Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza in attuazione alla legge 19 ottobre 2017, n. 155.
Riferimenti: SCH.DEC N.53/XVIII
Serie: Atti del Governo   Numero: 53
Data: 26/11/2018
Organi della Camera: II Giustizia

 


 

 

 

 

 

 

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

 

Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione alla legge 19 ottobre 2017, n. 155.

 

A.G. 53

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dossier n. 84

 

 

 

 

 

 

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Atti del Governo n. 53

 

 

 

 

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gi0036

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

 

 

 

Schede di lettura

La norma di delega. 3

L’Atto Governo n. 53: i principali contenuti 7

Parte Prima (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza) 15

Titolo I (Disposizioni generali) 15

Ambito di applicazione e definizioni 15

Principi generali 20

Titolo II (Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi) 24

Strumenti di allerta. 25

Organismo di composizione della crisi d’impresa. 28

Procedimento di composizione assistita della crisi 29

Misure premiali 31

Titolo III (Procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza) 34

Giurisdizione. 34

Competenza. 35

Cessazione dell’attività del debitore. 37

Accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 38

Titolo IV (Strumenti di regolazione della crisi) 49

I piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione. 49

Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. 54

Il concordato preventivo. 61

Titolo V (Liquidazione giudiziale) 72

Imprenditori individuali e società. 72

Custodia e amministrazione dei beni compresi nella liquidazione giudiziale. 88

Accertamento del passivo e diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale. 89

Esercizio dell’impresa e liquidazione dell’attivo. 92

Ripartizione dell’attivo. 95

Cessazione della procedura di liquidazione giudiziale. 96

Concordato nella liquidazione giudiziale. 97

Liquidazione giudiziale e concordato nella liquidazione giudiziale delle società. 99

Liquidazione controllata del sovraindebitato. 101

Esdebitazione. 103

Titolo VI (Disposizioni relative ai gruppi di imprese) 107

Titolo VII (Liquidazione coatta amministrativa) 114

Titolo VIII (Liquidazione giudiziale e misure cautelari penali) 117

Titolo IX (Disposizioni penali) 119

Titolo X (Disposizioni per l’attuazione del codice della crisi e dell’insolvenza, norme di coordinamento e disciplina transitoria) 121

Parte Seconda (Modifiche al codice civile) 127

Parte Terza (Garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire) 135

Parte Quarta (Disposizioni finali e transitorie) 137

 

 

 


SIWEB

Schede di lettura


La norma di delega

 

Lo schema di decreto legislativo A.G. 53 è adottato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 155 del 2017 (Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza).

 

Con la legge n. 155 del 2017, il Governo è stato delegato ad operare un'ampia riforma della disciplina delle crisi di impresa e dell'insolvenza.

 

I contenuti della legge delega di riforma delle procedure concorsuali derivano per la gran parte dai lavori della cd. Commissione Rordorf, istituita con decreto del Ministro della giustizia 28 gennaio 2015 e sintetizzati in una relazione finale nel dicembre dello stesso anno.

Il lavoro della Commissione ha, in particolare, mirato alla razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare del 1942 attraverso una riforma della disciplina concorsuale non più basata su interventi episodici o emergenziali, bensì organica e sistematica. Architrave dei lavori della Commissione sono stati, sia il favore per gli strumenti volti a garantire la continuità aziendale (con la previsione di misure di allerta per la precoce emersione dello stato di crisi dell’impresa) sia la previsione di una procedura iniziale unica, destinata in un secondo momento ad evolversi in senso favorevole o meno alla continuità dell’attività impresa.

 

I principali profili innovativi della legge delega appaiono i seguenti:

§  il superamento del concetto di fallimento, espressione che non dovrà più essere utilizzata. La procedura fallimentare dovrà infatti essere sostituita con quella di liquidazione giudiziale, strumento che vede, in particolare, il curatore come dominus della procedura e, come possibile sbocco (in caso di afflusso di nuove risorse), anche un concordato di natura liquidatoria;

§  nel generale quadro di favore per gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi, viene introdotta una fase preventiva di "allerta" finalizzata all'emersione precoce della crisi d'impresa e ad una sua risoluzione assistita;

§  la previsione, per le insolvenze di minore portata, di una esdebitazione di diritto – che dunque non richiede la pronuncia di un apposito provvedimento del giudice – conseguente alla chiusura della procedura di liquidazione giudiziale, fatta salva la possibilità di un'eventuale opposizione da parte dei creditori;

§  la facilitazione, nello stesso quadro, all'accesso ai piani attestati risanamento e agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Per gli accordi di ristrutturazione, in particolare, si propone l'eliminazione dell'attuale soglia del 60% dei crediti necessari per l'omologazione giudiziale; ciò, purché sia accertata l'idoneità dell'accordo alla soddisfazione totale e tempestiva dei creditori estranei alle trattative e sempre che il debitore non chieda misure protettive del patrimonio (come la sospensione delle eventuali azioni cautelari ed esecutive) ;

§  la semplificazione delle regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative, anche di natura giurisprudenziale, che ostacolano la celerità delle procedure concorsuali; in caso di sbocco giudiziario della crisi è prevista, in particolare, l'unicità della procedura destinata all'esame di tutte le situazioni di crisi e di insolvenza; dopo una prima fase comune, la procedura potrà, seconda i diversi casi, evolvere nella procedura conservativa o in quella liquidatoria;

§  una rivisitazione, sulla base delle prassi verificate e delle criticità emerse, della normativa sul concordato preventivo, lo strumento ritenuto più funzionale tra quelli concorsuali attualmente vigenti. Nell'ottica prevalente di garantire, ove possibile, la continuità dell'impresa, la riforma intende circoscrivere detto istituto alla sola ipotesi del cosiddetto concordato in continuità, che si verifica quando, versando l'impresa in situazione di crisi o anche di vera e propria insolvenza – ma reversibile – la legge prevede il superamento di tale situazione mediante la prosecuzione (diretta o indiretta) dell'attività aziendale sulla base di un adeguato piano che, per quanto possibile, consenta di soddisfare i creditori;

§  l'individuazione del tribunale competente in relazione alle dimensioni e tipologia delle procedure concorsuali assicurando la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale; in particolare, si prevede che presso le sezioni specializzate dei tribunali delle imprese a livello distrettuale (e con opportuno rafforzamento degli organici) siano concentrate le procedure di maggiori dimensioni;

§  la revisione della disciplina dei privilegi – ritenuta ormai obsoleta – che, tra le maggiori novità, prevede un sistema di garanzie mobiliari non possessorie. ;

§  il sostanziale ridimensionamento come procedura concorsuale, della liquidazione coatta amministrativa;

§  le modifiche alla normativa sulle crisi da sovraindebitamento, sia per coordinarla con la riforma in essere che per il sostanziale fallimento dell'istituto introdotto dalla legge n. 3 del 2012;

§  l'attenzione riservata alla crisi del gruppo societario con disposizioni volte, in particolare, a consentire lo svolgimento di una procedura unitaria per la trattazione dell'insolvenza delle plurime imprese del gruppo;

§  il riordino della disciplina dei privilegi e la previsione di garanzie reali non possessorie;

§  le garanzie per gli acquirenti di immobili da costruire;

§  il coordinamento ai contenuti della riforma delle disposizioni del codice civile nella parte relativa alle società.

 

La legge 155 del 2017 è entrata in vigore il 14 novembre 2017. Il termine di esercizio della delega era fissato al 14 novembre 2018. In tale data il Governo ha trasmesso lo schema alle Camere

In applicazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, della citata legge n. 155, per effetto dello “scorrimento dei termini” necessario a consentire l’espressione del parere parlamentare, il nuovo termine per l’esercizio della delega è individuato nel 13 gennaio 2019.

 

In base all’art. 1, comma 3, della legge n. 155/17, se il termine fissato per l'espressione del parere parlamentare scade nei 60 giorni che precedono il termine per l'esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di 60 giorni. L’applicazione della clausola di scorrimento intende permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l'eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

 

Quanto al procedimento per l'esercizio della delega, l’articolo 1, comma 3, prevede espressamente il parere sugli schemi di decreto legislativo, delle commissioni parlamentari competenti per materia e per gli aspetti finanziari, che hanno 30 giorni di tempo per esprimersi.


L’Atto Governo n. 53: i principali contenuti

Lo schema di decreto legislativo all’esame delle Commissioni si compone di quattro parti e di 390 articoli. Di seguito si dà sinteticamente conto del loro contenuto, rinviando per una più completa disamina alle schede di lettura (v. infra).

 

Le disposizioni più significative sono concentrate nella parte I, che contiene il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Tali disposizioni entrano in vigore decorsi 18 mesi dalla data di pubblicazione del decreto in esame, tranne che per talune specifiche norme la cui data di entrata in vigore è stata invece fissata al trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione.

La legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 1942) e la legge sul sovraindebitamento (legge n. 3 del 2012) non sono tuttavia abrogate: restano disciplinati dalla normativa attualmente vigente i ricorsi e le domande pendenti alla data di entrata in vigore del decreto in esame (nonché le procedure aperte a seguito della definizione di tali ricorsi e domande) sia le procedure pendenti alla medesima data.

 

La Parte prima dello schema è articolata in 10 titoli.

Il Titolo I, oltre a definire l'oggetto e l'ambito di applicazione dell'intervento normativo, reca le principali definizioni e i principi generali afferenti la materia dell'insolvenza e delle procedure concorsuali.

Tra gli elementi di maggiore rilievo si segnalano i seguenti:

§  con riguardo all'oggetto e all'ambito di applicazione le disposizioni del Codice della crisi e dell'insolvenza disciplinano lo stato di crisi o di insolvenza di qualsiasi debitore, ivi compresi consumatori, professionisti ed imprenditori di ogni dimensione e natura, anche agricoli, operanti come persona fisica, giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dei soli enti pubblici;

§  relativamente alle definizioni il Codice- fra le altre- introduce la nozione di crisi, intesa quale stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettivi a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate e quella, di matrice eurounitaria, di centro degli interessi principali del debitore, inteso come luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi;

§  con riguardo ai principi generali comuni alle varie forme di regolazione della crisi e dell'insolvenza la riforma modifica, in particolare, l'istituto della prededucibilità, al fine di contenere i costi delle procedure e di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili possa assorbire in misura rilevante l'attivo delle procedure. Rilevante è poi la previsione di una trattazione unitaria ed urgente di tutte le domande di regolazione della crisi e dell'insolvenza. In un quadro di generale semplificazione e contenimento dei costi delle procedure sono previste misure volte ad incentivare le modalità telematiche nelle comunicazioni poste a carico degli organi di gestione, controllo e assistenza delle procedure.

 

Il Titolo II reca disposizioni per le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi. Tra le novità più rilevanti si segnalano:

§  la disciplina di puntuali strumenti di allerta, finalizzati a far emergere tempestivamente la crisi dell'impresa, e di ricercare, con l'ausilio degli organi di controllo o dell'Organismo di composizione della crisi d'impresa una soluzione stragiudiziale alla crisi mediante l'adozione di misure riorganizzative dell'attività imprenditoriale;

§  l'istituzione presso ciascuna camera di commercio di un organismo di composizione della crisi d'impresa (c.d. OCRI) chiamato ad assistere il debitore nella procedura di composizione della crisi;

§  la previsione di un apposito procedimento di composizione assistita della crisi, che è finalizzato a ricercare una soluzione alla crisi mediante una trattativa con i creditori svolta con la mediazione dell'OCRI;

§  la disciplina di misure premiali (patrimoniali e legali) per i debitori/imprenditori che procedono all'auto-segnalazione delle circostanze di crisi che caratterizzano la loro impresa in maniera tempestiva ovvero entro sei mesi dal verificarsi di determinati indicatori di crisi.

 

Il Titolo III individua le procedure giurisdizionali di regolazione della crisi e dell’insolvenza che si rendono necessarie qualora non siano state esperite o non siano state concluse positivamente le soluzioni stragiudiziali. Le disposizioni in materia di giurisdizione e di competenza e quelle sulla cessazione dell’attività del debitore, ivi previste, si muovono sostanzialmente in linea con quanto stabilito dalla vigente legge fallimentare. Un alto tasso di innovatività ha invece disciplina relativa all’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza. In particolare:

§  con riguardo alle regole sull'iniziativa per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza si segnalano le seguenti principali novità: si generalizza la legittimazione ad agire del debitore a tutte le procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza; si estende la legittimazione ad agire, per la sola procedura di liquidazione giudiziale, anche agli organi e alle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa; si estende l'ambito oggettivo di applicazione della legittimazione ad agire del pubblico ministero ad ogni caso in cui egli abbia notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza; si arricchisce l'armamentario documentale che il debitore deve depositare presso il tribunale una volta che chieda l'accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza;

§  la riforma introduce e disciplina l'innovativa procedura di accertamento unico per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza;

§  costituiscono un'assoluta novità del processo di riforma le misure protettive, le quali sono richieste dal debitore alla sezione specializzata del tribunale al fine di concludere l'accordo stragiudiziale.

 

Il Titolo IV disciplina i seguenti strumenti di regolazione della crisi: i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione; le procedure di sovraindebitamento; il concordato preventivo. Si tratta di istituti che si propongono tutti la finalità del recupero dell'impresa in crisi, finalità da ritenersi prevalente rispetto a quella meramente liquidatoria. In particolare:

§  con riguardo ai piani attestati di risanamento e agli accordi di ristrutturazione la disciplina riprende, modificandola e integrandola, quella vigente. Fra le novità salienti si segnalano: l'introduzione di accordi agevolati; l'estensione dell'ambito di applicazione degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e delle convenzioni di moratoria anche a creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee diverse da quella dei creditori finanziari;

§  la riforma rivede la disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento: introducendo una specifica disciplina con riferimento alle procedure riferite a membri di una stessa famiglia; introducendo la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore e il concordato minore. Si tratta di istituti che riprendono in linea generale i vigenti istituti dell'accordo del debitore e del piano del consumatore, ma che se ne differenziano per l'ambito di applicazione (il concordato minore, a differenza dell'accordo del debitore, non può trovare applicazione con riguardo ai debitori- consumatori) e per il generale rafforzamento del ruolo, nelle procedure, degli organismi di composizione della crisi.

§  in relazione al concordato preventivo la riforma si pone in continuità con la disciplina vigente, prevedendo tuttavia alcune misure volte ad incentivare il ricorso al concordato in continuità.

 

Il Titolo V ha per oggetto la “liquidazione giudiziale”, e cioè la procedura che sostituisce il fallimento, finalizzata a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente, ripartendo il ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti. La procedura conserva le caratteristiche essenziali rispetto a quella vigente, salvo alcuni elementi innovativi volti a rendere la stessa più snella ed efficiente e a conferire particolare centralità alla figura del curatore. Tra le novità più rilevanti si segnalano :

§  viene attribuita al curatore la facoltà di effettuare azioni di responsabilità a più ampio raggio, escludendosi la previa autorizzazione da parte del giudice delegato e il parere del comitato dei creditori; sempre con riguardo al ruolo del curatore è introdotta una nuova disciplina concernente gli obblighi informativi a carico dello stesso: è infatti prevista la tenuta di un registro informatico, consultabile telematicamente, oltre che dal giudice delegato, da ciascuno dei componenti del comitato dei creditori e rimodulata la tempistica per le relazioni;

§  viene esteso il raggio temporale per l’azione revocatoria, facendolo decorrere dal deposito della domanda, anziché dall’apertura della procedura;

§  è ridimensionato il ruolo del comitato dei creditori, che viene soppresso per le procedure minori, e reso più snello per le altre, tramite la previsione della consultazione telematica;

§  con riferimento agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori, la principale novità consiste nella fissazione della data da cui calcolare il periodo sospetto dal quale considerare eventuali atti compiuti in danno dei creditori, in quella del deposito dell'istanza con cui si chiede l'apertura della liquidazione;

§  con riguardo alla disciplina relativa agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti si prevede, in caso di prosecuzione del contratto, la prededucibilità soltanto dei crediti maturati nel corso della procedura;

§  nuove specifiche disposizioni concernono lo scioglimento di contratto preliminare di vendita immobiliare e i contratti di carattere personale; nella disciplina dei contratti ad esecuzione continuata o periodica è introdotta la previsione, ai sensi della quale, in caso di subentro il curatore è obbligato al pagamento delle sole prestazioni avvenute dopo l’apertura della liquidazione; è introdotta una nuova disciplina relativa al contratto di affitto di azienda che differenzia il caso di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente, da quello in cui invece il debitore sia l'affittuario.

§  con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato, vengono introdotte nuove disposizioni volte ad armonizzare la disciplina dell’insolvenza con quella vigente in tema di diritto del lavoro;

§  per quanto riguarda l’accertamento dello stato passivo, è previsto che i creditori possano partecipare al concorso anche senza l’assistenza di un difensore e possano farlo anche con riguardo alle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui. Il termine per la presentazione di domande tardive è ridotto a 6 mesi (rispetto agli attuali 12);

§  è disciplinata in modo innovativo la liquidazione dell’attivo, con la previsione di un obbligo di stima dei beni, del ricorso al portale delle vendite pubbliche, di una durata massima della procedura (5 anni prorogabili a 7) e dettando disposizioni specifiche sulla vendita dei beni, con particolare riguardo al numero di tentativi da esperire ed al prezzo di aggiudicazione, attribuendo significativi poteri al giudice delegato;

§  è previsto che il concordato nella liquidazione giudiziale possa essere proposto dal debitore solo se prevede l’apporto di risorse che incrementano il valore dell’attivo di almeno il 10%; quando la liquidazione riguarda una società la riforma integra l’elenco delle azioni di responsabilità che il curatore può esperire, escludendo che egli debba ottenere la previa autorizzazione da parte del giudice delegato e sentire il comitato dei creditori;

§  è disciplinato il diritto allesdebitazione, dell’imprenditore insolvente come del consumatore, eliminando la norme che attualmente precludono la concessione del beneficio qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. L’esdebitazione può essere ottenuta alla chiusura della liquidazione o comunque trascorsi 3 anni dall’apertura della stessa. La riforma consente, inoltre, l’esdebitazione anche del debitore che non sia in grado di adempiere minimamente alle proprie obbligazioni e non possa offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura. In questo caso l’accesso al beneficio può essere concesso una sola volta.

 

Il Titolo VI reca la disciplina relativa ai gruppi di imprese. Tra le novità della riforma vi è l'espresso riconoscimento (effettuato dall'art. 3 della legge delega) dell'istituto del gruppo d'imprese il cui presupposto fondamentale è l'effettiva attività di direzione e coordinamento di società-madre. La vigente normativa non consente, infatti, di trattare il gruppo di imprese come un’entità unica, considerando ogni società come un soggetto di diritto autonomo. Viene quindi dettata una nuova disciplina che, per i gruppi di imprese – di cui è data specifica definizione - prevede una procedura unitaria davanti al tribunale dell’impresa per l’accesso ai diversi strumenti di risoluzione della crisi: concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti (di cui agli artt. 57 e ss), ove sia possibile garantire la continuità aziendale; in caso negativo, liquidazione giudiziale del gruppo.

 

Il Titolo VII contiene le disposizioni relative alla liquidazione coatta amministrativa. La riforma delimita in misura sostanziale l’applicazione dell’istituto alle imprese in stato di insolvenza. La principale novità riguarda i presupposti soggettivi dell’istituto allo scopo di rendere applicabile in via generale la procedura concorsuale ordinaria, anche alle imprese in stato di crisi o di insolvenza che, sulla base delle attuali disposizioni, dovrebbero essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa. La liquidazione coatta non sarà, infatti, più applicabile a tutte le imprese individuate da leggi speciali che esercitino attività a rilevanza pubblicistica o che operino in settori assoggettati a controllo pubblico ma solo a determinate categorie di imprese specificamente individuate (che, sostanzialmente rientrano nel settore bancario, dell’intermediazione finanziaria e delle assicurazioni) o quando costituisca sbocco di un procedimento amministrativo per violazioni accertate dalle autorità amministrative di vigilanza.

 

Il Titolo VIII, in materia di liquidazione giudiziale e misure cautelari penali, detta disposizioni di coordinamento con il Codice antimafia stabilendo in particolare la prevalenza delle misure adottate in sede penale (sia prima che dopo la dichiarazione di insolvenza) rispetto a quelle relative alla procedura concorsuale. Diversamente da quanto disposto dalla delega, non sono state previste disposizioni di coordinamento della disciplina concorsuale con quella del D.Lgs 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, con particolare riferimento alle misure cautelari adottate in tale sede.

 

Il Titolo IX, dedicato alle disposizioni penali, lascia sostanzialmente inalterata la disciplina penale contenuta nella vigente legge fallimentare (e nella legge n. 3/2012 sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento), apportando modifiche solo terminologiche.

 

Il Titolo X , contiene disposizioni generali di coordinamento in materia di: strumenti di allerta e composizione assistita della crisi; albo degli incaricati della gestione e del controllo delle procedure; disciplina dei procedimenti concorsuali. Analogo coordinamento è introdotto con la disciplina di diritto del lavoro, con la liquidazione coatta amministrativa e con la disciplina penale. Sono, infine, abrogate alcune disposizioni della legge fallimentare, relative ad istituti ormai soppressi.

 

La Parte II apporta modificazioni al libro V del codice civile e in particolare alle disposizioni in materia: di assetti organizzativi dell'impresa; di assetti organizzativi societari, di responsabilità degli amministratori, di nomina degli organi di controllo nelle società a responsabilità limitata, di cause di scioglimento delle società per azioni; nonché alla disciplina dell'insolvenza delle società cooperative.

 

La Parte III, reca novelle al decreto legislativo n. 122 del 2005, dirette a tutelare i diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire. In particolare, si interviene sulle disposizioni che disciplinano la fideiussione e su quelle relative alla polizza assicurativa.

 

La Parte IV contiene le disposizioni finali e transitorie, che regolano l’entrata in vigore della riforma. Si tratta, come già anticipato, di un’entrata in vigore differenziata a seconda della esigenza o meno di particolari attività preparatorie necessarie alla attuazione delle diverse disposizioni.

 

Con riguardo all’attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega, la relazione tecnica che correda il provvedimento afferma esplicitamente che lo schema di decreto legislativo «non fornisce compiuta attuazione alla delega contenuta nella legge 155 del 2017, dalla quale rimangono escluse le previsioni contenute agli articoli : 2, lettera n) punto 3 e disposizioni connesse e collegate; 7, comma 9, lettera b); 10 ed 11».

Restano dunque prive di attuazioni le parti relative:

§  alla specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale tramite l’individuazione tra i tribunali esistenti, di quelli competenti alla trattazione delle procedure concorsuali relative alle imprese (diverse da quelle in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione e dalle procedure di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista e dell'imprenditore in possesso del profilo dimensionale ridotto) sulla base di criteri oggettivi e omogenei basati su specifici indicatori;

§  alla realizzazione delle operazioni di liquidazione nell'ambito del mercato unitario telematico nazionale delle vendite, caratterizzato da specifiche peculiarità;

§  al riordino e alla revisione del sistema dei privilegi;

§  alla nuova disciplina delle garanzie non possessorie.

Con riguardo alle modalità di attuazione delle restanti parti della legge delega, si rinvia alle schede di lettura.


Parte Prima
(Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza)

Titolo I
(Disposizioni generali)

Il Titolo I dello schema (articoli da 1 a 11) reca disposizioni di carattere generale relative all’ambito di applicazione dell’intervento normativo, alle definizioni delle principali nozioni contenute nel codice (capo I, artt. 1 e 2) ed ai principi generali (capo II, artt. da 3 a 11).

 

Ambito di applicazione e definizioni

Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza mira alla riforma organica delle procedure concorsuali che regolano lo stato di crisi o di insolvenza di qualsiasi debitore operante come persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dei soli enti pubblici così qualificati dalla legge.

Sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di:

§  amministrazione straordinaria delle grandi imprese;

§  liquidazione coatta amministrativa speciale di cui all'articolo 293, comma 1, lettera a) dello schema;

§  liquidazione coatta amministrativa ordinaria di cui all'articolo 293, comma 1, lettera b) dello schema;

§  crisi di impresa delle società pubbliche, in quanto compatibili con le disposizioni della riforma.

 

L’articolo 2 della legge delega n. 155 del 2017, che individua i principi generali sui quali la riforma si fonda, interviene innanzitutto sull’aspetto definitorio, prevedendo la sostituzione della parola “fallimento” con l’espressione “liquidazione giudiziale” (comma 1, lett. a). Si prevede, alla successiva lettera e), l'esigenza di assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un'attività commerciale, agricola o artigianale, con esclusione dei soli enti pubblici.

 

All'articolo 2, comma 1, dello schema:

§  viene introdotta la definizione di “crisi”, intesa come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate (lett. a);

§  viene mantenuta ferma la vigente nozione di “insolvenza”, intesa come lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori (lett. b);

 

La legge delega individua, nell’ambito dei principi generali sui quali si fonda la riforma, la necessità di distinguere i concetti di stato di crisi e di insolvenza. L'art. 2, comma 1, lett. c), impone infatti l’introduzione della definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l'attuale nozione di insolvenza di cui all'articolo 5 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. L’art. 5 LF prevede che lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

 

§  Viene altresì tenuta ferma la nozione di “sovraindebitamento” attualmente vigente ed intesa come lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, professionista, imprenditore e ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o altre procedure liquidatore previste dal codice civile o da legge speciali in materia (lett. c);

§  viene prevista la nuova definizione di “impresa minore”, corrispondente sostanzialmente alla figura del piccolo imprenditore di cui all'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare, con la modifica derivante dalla sostituzione dell’espressione “ricavi lordi” con quella riferita solo ai ricavi. I requisiti dimensionali dell'impresa minore debbono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia (lett. d);

 

Nella relazione illustrativa si precisa che la sostituzione dell’espressione “ricavi lordi” con quella riferita semplicemente ai “ricavi” si giustifica per finalità di chiarezza normativa, essendo la formula novellata foriera di ambiguità ermeneutiche ed essendo invece la nuova formulazione direttamente riconducibile alle previsioni che disciplinano le modalità di iscrizione di tale voce nel bilancio delle società per azioni di cui agli articoli 2425 (contenuto del conto economico) e 2425-bis c.c. (iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri).

 

L'art. 2, comma 1, lett. e) della legge delega prevede di assimilare il trattamento dell'imprenditore che dimostri di rivestire un profilo dimensionale inferiore a parametri predeterminati, ai sensi dell'articolo 1 della legge fallimentare, a quello riservato a debitori civili, professionisti e consumatori, cui si applica la procedura di composizione delle crisi di sovraindebitamento di cui alla legge n. 3 del 2012.

 

§  viene indicata la definizione di “consumatore” – intesa come persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta - sostanzialmente mutuata dall'articolo 3, del d. lgs. n. 209 del 2005 (codice del consumo), ma con la novità dell’estensione anche alla persona fisica che sia contemporaneamente socia di società di persone, a condizione che il suo sovraindebitamento riguardi esclusivamente i debiti strettamente personali (lett. e);

§  si definiscono “grandi imprese” le imprese che alla data di chiusura del bilancio superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti: a) totale dello stato patrimoniale: 20 milioni di euro; b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40 milioni di euro; c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 250 (lett. g) [1] ;

§  viene definita, in attuazione della delega, la nozione di "gruppo di imprese" come l'insieme delle società, delle imprese e degli enti, escluso lo Stato, che sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto. A tal fine si presume fino a prova contraria:

a)       che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci;

b)      siano sottoposte alla direzione e coordinamento di una società o ente le società controllate, direttamente o indirettamente, o sottoposte a controllo congiunto, rispetto alla società o ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento (lett. h).

 

L'art. 3, comma 1, lett. a) della legge delega inserisce tra i principi e criteri direttivi la previsione di una definizione di gruppo di imprese, ai fini dell'applicazione delle procedure concorsuali, modellandone la definizione su quelle, previste dal codice civile, di direzione e coordinamento (artt. 2497 e seguenti) e di gruppo cooperativo paritetico (art. 2545-septies). Il legislatore delegato è stato altresì investito del compito di introdurre una presunzione semplice di assoggettamento a tale direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo, come definito dall'art. 2359 del codice civile. Ai sensi dell'art. 2359 c.c. sono considerate società controllate:

1. le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2. le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3. le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

 

§  si definiscono “gruppi di imprese di rilevante dimensione” i gruppi di imprese composti da un’impresa madre e imprese figlie da includere nel bilancio consolidato, che rispettano i limiti numerici di cui all’articolo 3, par. 6 e 7, della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (lett. i);

 

La direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, prevede al par. 6, i gruppi di dimensioni medie ed al successivo par. 7, i grandi gruppi. La differenza tra questi ultimi ed i primi è data dal fatto che superino o meno i limiti numerici per le grandi imprese di rilevanza comunitaria, ovverosia, almeno due dei tre criteri seguenti: a) totale dello stato patrimoniale: 20 milioni di euro; b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40 milioni di euro; c) numero medio dei dipendenti occupati durante l'esercizio: 250.

 

Il legislatore delegato ha ritenuto di comprendere nella definizione di gruppi di rilevante dimensione anche i gruppi di imprese che, per la disciplina UE, sono di dimensioni medie. Per la compatibilità di questa scelta con il campo d’applicazione degli strumenti di allerta, si veda infra l’art. 12 dello schema.

 

§  viene recepita la nozione, di matrice eurounitaria, del “centro degli interessi principali del debitore”, come il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi (lett. m), in conformità con quanto previsto dalla legge delega;

 

L'art. 2, comma 1, lett. f) della legge delega prevede di recepire, ai fini della disciplina della competenza territoriale, la nozione di «centro degli interessi principali del debitore» definita dall'ordinamento dell'Unione europea.

La definizione comunitaria di tale nozione (nota come COMI, centre of main interests) è contenuta nell'articolo 3 del Regolamento (UE) 2015/848 del 20 maggio 2015, che definisce il centro degli interessi principali come il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi.

 

§  viene fornita la definizione dell’"albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese", come l’albo, istituito presso il Ministero della giustizia, dei soggetti che svolgono su incarico del giudice, anche in forma associata o societaria, le funzioni di gestione, supervisione, controllo o custodia nell’ambito delle procedure concorsuali previste dal presente codice (lett. n), in attuazione di quanto previsto dalla legge delega;

 

L'art. 2, comma 1, lett. o) della legge delega prevede di istituire presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti, costituiti anche in forma associata o societaria, destinati a svolgere, su incarico del tribunale, funzioni di gestione o di controllo nell'ambito delle procedure concorsuali, con indicazione dei requisiti di professionalità, indipendenza ed esperienza necessari per l'iscrizione.

 

§  nelle lettere p) e q) sono contenute le definizioni di "misure protettive" e "misure cautelari": le prime sono misure temporanee volte ad evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare sin dall'inizio il buon esito delle iniziative per la regolazione della crisi o dell'insolvenza; le seconde sono invece volte a tutelare il patrimonio o l'impresa del debitore assicurando interinalmente gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza;

§  nelle lettere t) ed u) sono contenute le definizioni, rispettivamente, degli esistenti organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento (OCC), destinati a svolgere compiti di assistenza dei soggetti sovraindebitati, anche nella fase successiva alla ricezione della segnalazione di allerta per gli imprenditori agricoli e per le imprese minori, e dei neo-istituiti organismi di composizione della crisi di impresa (OCRI), chiamati a ricevere le segnalazioni di allerta per tutte le imprese, nonché a gestire la fase dell’allerta e, per le imprese diverse dalle imprese minori e dalle imprese agricole, la fase della composizione assistita della crisi;

§  nelle restanti lettere sono contenute le definizioni di "società pubbliche" (lett. f); "parti correlate" (lett. l); "professionista indipendente" (lett. o); "classe di creditori" (lett. r); "domicilio digitale" (lett. s).

 

Principi generali

Il Capo II, che detta principi giuridici comuni al fenomeno dell’insolvenza, rappresenta una forte carica innovativa rispetto all’assetto normativo vigente. Esso si ripartisce, a sua volta, nelle seguenti 4 sezioni:

§  la sezione I contiene obblighi dei soggetti partecipanti alla regolazione della crisi o dell'insolvenza (artt. da 3 a 5);

§  la sezione II detta regole di economicità delle procedure ed è composta dal solo art. 6 sulla prededucibilità dei crediti;

§  la sezione III contiene principi di carattere processuale di cui agli artt. da 7 a 10;

§  la sezione IV in materia di giurisdizione internazionale è composta dal solo art. 11 (attribuzione della giurisdizione).

 

Obblighi dei soggetti partecipanti alla regolazione della crisi

Gli articoli da 3 a 5 dello schema si rivolgono essenzialmente al debitore, ai creditori ed alle autorità preposte alle procedure di regolazione della crisi.

In capo al debitore sono posti i seguenti obblighi:

§  all’imprenditore individuale e collettivo, è richiesta l’adozione di ogni misura diretta alla precoce rilevazione del proprio stato di crisi, per porvi tempestivamente rimedio (art. 3);

§  nell’ambito dell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e durante le trattative che le precedono, il debitore è tenuto ad assolvere agli specifici obblighi di trasparenza, tempestività e prudenza in vista del buon esito della procedura intrapresa (art. 4, comma 2);

 

Entrambe le parti (debitore e creditori) sono tenuti al rispetto dei doveri di informazione, correttezza e buona fede, mentre per i creditori si prevede un particolare obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite (art. 4, commi 1 e 3).

Per quanto riguarda gli adempimenti delle autorità preposte, l’articolo 5 pone in capo sia alle autorità giudiziarie che a quelle amministrative un dovere di riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragioni d’ufficio nonché quello di rispetto dei canoni di trasparenza, rotazione ed efficienza nella nomina dei professionisti da esse incaricati, oltre agli obblighi di sollecitudine nella trattazione delle procedure concorsuali.

 

L'art. 2, comma 1, lett. g) della legge delega prevede di dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un'idonea soluzione alternativa

 

Prededucibilità dei crediti

La sezione II del Capo II detta regole sulle prededucibilità dei crediti al fine di favorire l’economicità delle procedure.

Come emerge dalla relazione illustrativa, l’obiettivo dell’intervento normativo, recato dall’articolo 6 dello schema, è quello di contenere le ipotesi di prededuzione dei crediti – in particolare di quelli professionali – al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l’attivo delle procedure, compromettendo gli obiettivi di salvaguardia della continuità aziendale ed il miglior soddisfacimento dei creditori.

A tale riguardo, l’articolo 6 dello schema dispone che:

§  con riferimento ai crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, nonché della presentazione della domanda di concordato preventivo, prevede che la prededuzione spetta solo nei limiti del 75% dell’ammontare del credito, a condizione, rispettivamente, che l’accordo sia omologato o che la procedura di concordato sia aperta (comma 1, lettere b) e c),

§  esenta dalla suddetta limitazione i crediti per spese e compensi degli OCC e degli OCRI, in modo da incentivare il ricorso alle soluzioni stragiudiziali, (comma 1, lett. a);

§  esclude la prededucibilità dei crediti professionali per prestazioni rese da soggetti diversi dall’OCRI ed incaricati dal debitore durante le procedure di allerta e composizione assistita della crisi (comma 3).

Restano ferme le regole già vigenti riguardanti la prededucibilità dei crediti sorti durante le procedure concorsuali e la sua persistenza nelle procedure successivamente aperte.

 

Si ricorda che l’art. 111 della legge fallimentare (e i nuovi articoli 221 e 222 dello schema in esame) dispone che “Le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono erogate nel seguente ordine: 1) per il pagamento dei crediti prededucibili; 2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge; 3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell'ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2 qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa. Sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n.1”.

 

Principi di carattere processuale

Per quanto riguarda i principi di carattere processuale (artt. 7-10) questi, in sintesi, gli aspetti innovativi introdotti dalla riforma:

§  tutte le domande dirette alla regolazione della crisi o dell’insolvenza debbono essere trattate con urgenza e riunite nell’ambito di un unico procedimento (art. 7), in attuazione dei principi recati dall'art. 2, comma 1, lettere e) ed l), della legge n. 155/2017;

§  deve essere dato esame prioritario alle domande che contemplano il mantenimento della continuità aziendale, anche indiretta, purché nel piano sia espressamente indicata la convenienza per i creditori della soluzione proposta e sempre che la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile o infondata;

§  la durata massima delle misure protettive non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi rinnovi o proroghe (art. 8);

§  salvo non sia diversamente disposto è prevista la trattazione delle procedure concorsuali anche nel periodo feriale, nonché l’obbligatorietà del patrocinio del difensore (art. 9);

§  si prevede (art. 10) che le comunicazioni poste a carico degli organi di gestione, controllo o assistenza delle procedure concorsuali si effettuino con modalità telematiche al domicilio digitale, assegnato dai medesimi organi e da utilizzare esclusivamente per le comunicazioni inerenti alla procedura:

-    ai creditori ed ai titolari di diritti sui beni che non hanno l’obbligo di munirsene;

-    ai soggetti che hanno sede o che risiedono all’estero;

-    al debitore e al legale rappresentante della società o ente sottoposti a una delle procedure disciplinate dal codice dell’insolvenza.

Nell’ipotesi di mancata istituzione o comunicazione del domicilio digitale, le comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale e quelle effettuate ai soggetti cui sia stato comunque assegnato un domicilio digitale, nonché nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio elettronico per cause imputabili al destinatario, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria.

 

Giurisdizione internazionale

L'articolo 11 dello schema completa il Titolo I dettando disposizioni in materia di giurisdizione internazionale e stabilendo - in linea di continuità con la normativa vigente - che, fatto salvo quanto previsto da convenzioni internazionali e dal diritto eurounitario, la giurisdizione italiana sulla domanda di apertura di una procedura per la regolazione della crisi o dell'insolvenza sussiste quando il debitore ha in Italia il centro degli interessi principali o una dipendenza. La sentenza è impugnabile davanti alla corte d’appello, per difetto di giurisdizione, da chiunque vi abbia interesse. E’ sempre ammesso ricorso per cassazione.

 

 


 

Titolo II
(Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi)

Il Titolo II reca disposizioni per le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi e si compone di 4 Capi:

§   il Capo I regola gli strumenti allerta (artt. da 12 a 15);

§   il Capo II disciplina l'organismo di composizione della crisi d'impresa (artt. da 16 a 18);

§   il Capo III regola il procedimento di composizione assistita della crisi (artt. da 19 a 22);

§   il Capo IV stabilisce le misure premiali (artt. 24 e 25).

 

Le disposizioni contenute in tale Titolo sono attuative dell’articolo 4, comma 1, della legge delega e si ispirano all'obiettivo previsto dalla raccomandazione n. 2014/135/UE (1° considerando) di «garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale». Come si ricava dalla relazione illustrativa, l'importanza di questo obiettivo - riconosciuto ormai pressoché in tutti gli ordinamenti e facente parte dei principi elaborati dall'UNCITRAL e dalla Banca Mondiale per la corretta gestione della crisi d'impresa - acquista notevole rilevanza in quanto consente di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà evitando che la situazione di crisi anche temporanea o congiunturale possa degenerare in vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile.

 

L’articolo 4, comma 1, della legge delega n. 155 del 2017 ha previsto l'introduzione di una fase preventiva di allerta, volta ad anticipare l'emersione della crisi, concepita come strumento stragiudiziale e confidenziale di sostegno alle imprese che può sfociare, in caso di mancata collaborazione dell'imprenditore, in una dichiarazione pubblica di crisi. In estrema sintesi il Governo è tenuto ad adeguarsi al rispetto dei seguenti principi:

   individuazione dei casi in cui le procedure di cui al presente articolo non trovano applicazione, in particolare prevedendo che non si applichino alle società quotate in borsa o in altro mercato regolamentato e alle grandi imprese come definite dalla normativa dell'Unione europea;

   attribuzione della competenza per l'assistenza al debitore nella procedura a un apposito organismo di composizione della crisi istituito presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che è tenuto, tra l'altro, a nominare un collegio di tre esperti e che dovrà addivenire, su istanza del debitore, ad una soluzione concordata della crisi entro un termine congruo (prorogabile solo a determinate condizioni) ma non superiore, in ogni caso, a complessivi sei mesi (lettera b);

   previsione, a carico degli organi di controllo societari e degli organi di revisione, dell'obbligo di avvisare immediatamente gli amministratori dell'esistenza di indizi fondati di uno stato di crisi. Se all'avviso gli amministratori non daranno risposta o daranno risposta inadeguata, gli stessi organi di controllo dovranno rivolgersi direttamente al competente organismo di composizione della crisi (lettera c);

   previsione, a carico di alcuni creditori pubblici qualificati (come, ad esempio l'Agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione e gli enti previdenziali) dell'obbligo di segnalare immediatamente agli organi di controllo della società e all'organismo di composizione "il perdurare di inadempimenti di importo rilevante" (lettera d);

   convocazione immediata del debitore e – se previsti – degli organi di controllo della società da parte dell'organismo di composizione. La convocazione dovrà essere riservata e confidenziale. La convocazione è finalizzata a individuare, previa verifica della situazione economica, le misure più idonee per uscire dallo stato di crisi (lettera e);

   determinare i criteri di responsabilità del collegio sindacale al fine di escludere che ricorra la responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori, in caso di segnalazione da parte dell'organismo di composizione (lettera f);

   possibilità per il debitore di rivolgersi alla sezione specializzata del tribunale per chiedere "misure protettive" necessarie a concludere l'accordo stragiudiziale (lettera g);

   previsione di misure premiali per l'imprenditore che si rivolge tempestivamente alla procedura di allerta o che tempestivamente si avvale di altri istituti per la risoluzione concordata della crisi (lettera h);

   regolazione del rapporto tra le procedure di composizione assistita e di segnalazione degli inadempimenti da parte dei creditori qualificati (lettera i).

 

Strumenti di allerta

Il Capo I regola gli strumenti di allerta, finalizzati a far emergere tempestivamente la crisi dell'impresa, e di ricercare, con l'ausilio degli organi di controllo o dell'Organismo di composizione della crisi d'impresa (regolato partitamente al successivo Capo II), una soluzione stragiudiziale alla crisi mediante l'adozione di misure riorganizzative dell'attività imprenditoriale. Esso si compone di quattro articoli.

Rientrano nella categoria degli strumenti di allerta secondo quanto previsto dall’articolo 12 dello schema:

a)       gli obblighi di segnalazione degli indizi di crisi posti a carico di alcuni soggetti qualificati (organi di controllo societari, revisore contabile e società di revisione da una parte; creditori pubblici qualificati, dall’altra, individuati dal codice nell’Agenzia delle entrate, INPS ed agente della riscossione). Gli obblighi di segnalazione cessano in pendenza di una procedura concorsuale, la cui apertura determina altresì la chiusura del procedimento di allerta e composizione assistita della crisi.

b)      gli obblighi organizzativi posti dal codice civile a carico dell’imprenditore.

Entrambi concorrono al perseguimento dell’obiettivo di una precoce rilevazione della crisi dell’impresa, in vista della tempestiva adozione delle misure idonee a superarla o regolarla. Il debitore, all'esito dell'allerta o anche prima della sua attivazione, può accedere al procedimento - di natura discrezionale, riservata e confidenziale - di composizione assistita della crisi, che si svolge dinanzi agli Organismi di composizione della crisi d'impresa (OCRI).

 

In attuazione della delega (art. 4, co. 1, lett. a) gli strumenti di allerta in base all’art. 12, commi 4 e 5 sono destinati ai debitori che svolgono attività imprenditoriale (ivi comprese le imprese agricole e le imprese minori, compatibilmente con la loro struttura organizzativa), con esclusione delle grandi imprese, gruppi di imprese di rilevante dimensione e società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa ordinaria, il comma 6 prevede un procedimento di allerta e composizione assistita della crisi integrato ai sensi dell’articolo 316, comma 1, lettere a) e b) dello schema (art. 12, commi da 4 a 6).

 

Si valuti se l’esclusione dei gruppi di imprese di rilevante dimensione – così come definiti dall’art. 2, comma 1, lett. i) dello schema, che vi ricomprende anche i gruppi di imprese di dimensione media ai sensi della normativa comunitaria (art. 3, par. 6, direttiva 2013/34/UE) – sia compatibile con l’art. 4, comma 1, lett. a) della legge delega, che esclude dalle procedure in esame (solo) le grandi imprese.

 

Gli strumenti di allerta si applicano in presenza di indicatori della crisi, costituiti dagli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, che possono incidere sulla sostenibilità dei debiti per l’esercizio in corso o per i sei mesi successivi e sulla continuità aziendale, tenuto conto anche della presenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti, di durata diversa in rapporto alle diverse categorie di debiti (art. 13 dello schema).

Ai sensi dell’articolo 14 dello schema, gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell’ambito delle rispettive funzioni, hanno il duplice obbligo di:

§  verificare che l’organo amministrativo monitori costantemente l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa, il suo equilibrio economico-finanziario ed il prevedibile andamento della gestione;

§  segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’eventuale esistenza di fondati indizi della crisi.

La segnalazione deve essere motivata, effettuata per iscritto e deve contenere la fissazione di un termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo amministrativo è tenuto a riferire in ordine alle soluzioni individuate ed alle iniziative intraprese. In caso di mancato o parziale riscontro da parte dell'impresa, gli organi di controllo sono tenuti ad attivare la procedura di allerta «esterna» mediante sollecita ed idonea segnalazione all’organismo di composizione della crisi d’impresa, corredata da tutte le informazioni necessarie.

In attuazione della legge delega (4, co. 1, lett. f), viene individuata nella tempestiva segnalazione all’organismo di composizione della crisi una causa di esonero dalla responsabilità solidale degli organi di controllo societari per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o delle azioni successivamente poste in essere dall’organo amministrativo in difformità dalle prescrizioni ricevute.

 

I creditori pubblici qualificati di cui all’articolo 15 dello schema sono invece tenuti alla segnalazione di allerta a fronte di una esposizione debitoria dell’imprenditore di importo rilevante (su cui art. 4, co. 1, lett. d) legge delega). In particolare, al fine di considerare l'inadempimento rilevante, anche all’esito delle audizioni degli interessati, si fa riferimento:

§  rispetto agli accertamenti condotti dall'Agenzia delle entrate, ai debiti IVA scaduti e non versati, se complessivamente pari ad almeno il 30 per cento del volume d’affari del periodo di riferimento e purché comunque l’ammontare del debito scaduto non sia inferiore a determinate soglie ivi fissate a seconda del volume d'affari e comunque non inferiore alla soglia di 25.000 euro di debiti non versati (art. 15, co. 2, lett. a);

§  rispetto all’INPS, ad un ritardo di oltre sei mesi nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nell’anno precedente, di ammontare in ogni caso superiore ad euro cinquantamila (art. 15, co. 2, lett. b);

§  con riguardo all’agente della riscossione, alla sommatoria dei crediti affidati per la riscossione dopo la data di entrata in vigore del codice, limitatamente ai crediti autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni per un importo non inferiore a 500.000 euro per le imprese individuali ed a 1.000.000 euro per le imprese collettive (art. 15, co. 2, lett. c).

Qualora l’inadempimento del debitore persista decorso il termine di 90 giorni dalla notifica della segnalazione i creditori pubblici qualificati procederanno senza indugio alla segnalazione presso L'Organismo di composizione della crisi d'impresa (OCRI).

 

Organismo di composizione della crisi d’impresa

Il Capo II reca disposizioni sull'organismo di composizione della crisi d'impresa (c.d. OCRI) e si compone di tre articoli (artt. 16-18).

L'articolo 16 prevede che l’OCRI:

§  sia costituito presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, con il compito di gestire la fase dell’allerta per tutte le imprese e l’eventuale procedimento di composizione assistita della crisi per le imprese diverse da quelle minori;

§  sia competente territorialmente presso la sede legale dell’impresa;

§  operi attraverso vari soggetti che lo compongono ed in particolare:

-        il referente, che viene individuato dal legislatore nel segretario della camera di commercio o in un suo delegato ed a cui è attribuito il compito di assicurare la tempestività del procedimento;

-        l’ufficio del referente, ossia l’apparato costituito dal personale e dai mezzi messi a disposizione dell’organismo dalla camera di commercio;

-        il collegio degli esperti, nominato di volta in volta per il singolo affare.

 

Secondo quanto previsto dall’articolo 17 dello schema:

§  il referente, una volta ricevuta la segnalazione da parte dei soggetti qualificati, ovvero l’istanza del debitore di assistenza nella composizione della crisi, deve procedere immediatamente alla segnalazione agli organi di controllo societari - nel rispetto di obblighi di riservatezza tali da non contenere elementi idonei ad identificare direttamente l'impresa - ed alla nomina del collegio di tre esperti, raccogliendo innanzitutto le designazioni dei relativi componenti da scegliersi tra gli iscritti nell’albo dei gestori della crisi e dell’insolvenza, assicurando trasparenza e rotazione nel conferimento degli incarichi.

 

I tre componenti del collegio sono così designati:

§  uno da parte dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 168/2003 o da un suo delegato;

§  un altro da parte del presidente della camera di commercio presso cui opera l’OCRI o da un suo delegato, diverso dal referente;

§  il terzo dal referente, sentito il debitore, tra quelli iscritti nell’elenco trasmesso annualmente all’organismo dalle associazioni imprenditoriali ed appartenente all’associazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore.

 

L'articolo 18 dello schema reca disposizioni sull'audizione del debitore prevedendo che:

§  entro quindici giorni lavorativi dalla ricezione della segnalazione o dell'istanza del debitore, venga disposta l'audizione, in via riservata e confidenziale, del debitore e degli organi di controllo societari, se esistenti.

§  Conclusa l’audizione, il collegio deve valutare, sulla base dei dati raccolti, se siano emersi fondati indizi di crisi, anche alla luce delle informazioni fornite circa le iniziative messe in atto in esito alle segnalazioni. Due i possibili esiti dell'audizione:

a)      se il collegio ritiene che non sussista una situazione di crisi, dispone l’archiviazione delle segnalazioni ricevute, dandone comunicazione per il tramite del referente ai soggetti autori della segnalazione;

b)      se, invece, la valutazione dei dati acquisiti conferma l’esistenza di fondati indizi di crisi, il collegio individua con il debitore le misure che appaiono idonee al suo superamento, fissando un termine entro il quale l’imprenditore deve riferire in merito alla relativa attuazione. Alla scadenza del termine, se il debitore non ha assunto le iniziative necessarie, il collegio redige una breve relazione e la trasmette al referente, che ne dà notizia a coloro che hanno effettuato la segnalazione.

 

Procedimento di composizione assistita della crisi

Il Capo III reca il procedimento di composizione assistita della crisi, che è finalizzato a ricercare una soluzione alla crisi mediante una trattativa con i creditori svolta con la mediazione dell'OCRI. Esso si compone di cinque articoli (artt. da 19 a 24).

Il Procedimento si articola in sintesi nei seguenti passaggi essenziali:

§  il debitore – titolare in via esclusiva del potere di iniziativa – avvia la procedura in esame con un’istanza all’OCRI.

§  Ricevuta l’istanza, il collegio fissa un termine non superiore a tre mesi - prorogabile fino ad un massimo di nove mesi - allo scopo di ricercare una soluzione concordata con i creditori, incaricando il relatore di seguire le trattative (art. 19, co. 1) e procedendo nel più breve tempo ad acquisire dal debitore la necessaria documentazione (art. 19, co. 2).

§  Se, all’esito delle trattative, il debitore raggiunge un accordo con i creditori, detto accordo deve essere formalizzato per iscritto e depositato presso l’OCRI; ove le descritte formalità vengano osservate, l’accordo ha la stessa efficacia degli accordi che danno attuazione al piano attestato di risanamento, con i conseguenti corollari in termini di esenzione dalla revocatoria in caso di successiva liquidazione giudiziale. È rimessa al debitore, con il consenso dei creditori interessati, la decisione di iscrivere o meno l’accordo nel registro delle imprese, rendendolo così conoscibile ai terzi (art. 19, co. 4).

§  Se l’accordo con i creditori non è stato raggiunto nei termini fissati, il collegio deve invitare il debitore a presentare una domanda di accesso ad una procedura concorsuale nel termine di trenta giorni. In tutti i casi in cui il procedimento di composizione assistita ha esito negativo, l’OCRI ne dà notizia ai soggetti obbligati alla segnalazione che non vi abbiano partecipato, al fine di metterli a conoscenza dell’insussistenza di ostacoli alla segnalazione, quando dovuta o di consentire loro di attivarsi in modo tempestivo per chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale. La documentazione acquisita o prodotta nel procedimento e gli atti dello stesso possono essere utilizzati unicamente nell’ambito della liquidazione giudiziale o in un eventuale procedimento penale, a tutela della riservatezza dell'interessato (art. 21).

 

Dopo l’audizione, il debitore che ha presentato istanza per la soluzione concordata della crisi può chiedere misure protettive, con istanza al tribunale competente. La durata delle misure protettive è fissata in tre mesi, prorogabili più volte entro il termine massimo di nove mesi, a condizione che siano stati compiuti progressi significativi nelle trattative tali da rendere probabile il raggiungimento dell’accordo.

Le misure protettive possono essere revocate in qualunque momento, anche d’ufficio, se:

§  risultano atti di frode nei confronti dei creditori;

§  il collegio della composizione assistita segnala che non vi è possibilità di soluzione concordata della crisi;

§  non risultano significativi progressi nell’attuazione delle misure adottate per superare la crisi.

 

In talune ipotesi il collegio - qualora ritenga che gli elementi raccolti rendano evidente la sussistenza di uno stato di conclamata insolvenza in capo al debitore - può effettuare segnalazione al P.M., il quale - ove ritenga fondata la notizia - procede entro i successivi sessanta giorni all'apertura della liquidazione giudiziale (art. 22). La predetta segnalazione avviene:

§  se il debitore non compare per l'audizione;

§  se dopo l'audizione il debitore non depositi l'istanza per la composizione della crisi senza che sia stata disposta dal collegio l'archiviazione delle segnalazioni ricevute;

§  se all'esito delle trattative il debitore non deposita domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi nel termine di conclusione del procedimento.

 

Completa il Capo III la disposizione sulla liquidazione del compenso dell’OCRI di cui all’art. 23 dello schema.

 

Misure premiali

A favore degli imprenditori che, di propria iniziativa, presentino tempestivamente all'OCRI istanza di composizione assistita della crisi o direttamente domanda di ammissione ad una delle procedure giudiziali di regolazione della crisi o dell’insolvenza vengono concesse misure premiali, disciplinate al Capo IV (artt. 24 e 25) del Titolo II dello schema.

L'articolo 24 dello schema individua i casi nei quali l'iniziativa del debitore volta a prevenire l'aggravarsi della crisi non possa dirsi tempestiva. L'iniziativa è intempestiva quando la domanda di accesso alle procedure concorsuali avvenga oltre il termine di sei mesi ovvero quando l'istanza di composizione della crisi avvenga oltre il termine di tre mesi al ricorrere delle seguenti, alternative, ipotesi:

a)     nel caso di debiti da retribuzioni, un ammontare dei debiti scaduti superiore alla metà del complessivo monte salari mensile e il protrarsi dell'inadempimento per sessanta giorni;

b)    per i debiti verso fornitori, un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti e il protrarsi dell’inadempimento per centoventi giorni;

c)     il superamento, nell'ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici rivelatori della crisi d'impresa elaborati, con cadenza almeno triennale, dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili.

Il successivo articolo 25 dello schema disciplina nello specifico le misure premiali, intesi come benefici di natura patrimoniale e personale, cumulabili tra loro, che spettano all'imprenditore che abbia correttamente e tempestivamente avviato e svolto il procedimento di composizione della crisi. Tra le misure di carattere patrimoniale sono previste:

§  la riduzione alla misura legale degli interessi che maturano sui debiti fiscali dell’impresa durante la procedura di composizione assistita della crisi e sino alla sua conclusione;

§  la riduzione alla misura minima delle sanzioni tributarie per le quali è prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento nei termini;

§  la riduzione della metà, nell’ambito dell’eventuale successiva procedura concorsuale, di tutte le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi;

§  la prorogabilità del termine fissato dal giudice per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, salvo che l’organismo di composizione della crisi non abbia dato notizia di insolvenza al pubblico ministero;

§  l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo in continuità aziendale concorrente in tutti casi in cui risulta attestato che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo dei crediti.

 

Vengono invece incluse tra le misure premiali attinenti alla responsabilità personale del debitore:

·     limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura ed, a condizione che il danno cagionato sia di speciale tenuità, viene esclusa la punibilità dei reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale di cui agli articoli 322 (bancarotta fraudolenta), 323 (bancarotta semplice), 325 (ricorso abusivo al credito), 328 (liquidazione giudiziale delle società in nome collettivo e in accomandita semplice), nonché dei reati commessi dagli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società in liquidazione giudiziale nelle ipotesi di cui agli articoli 329 (fatti di bancarotta fraudolenta), 330 (fatti di bancarotta semplice), 331 (ricorso abusivo al credito), nonché dei reati dell’institore dell’imprenditore di cui all’art. 333, nonché delle analoghe fattispecie criminose commesse nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria di cui all’articolo 341, comma 2, lettere a) e b);

·     fuori dei casi di speciale tenuità del fatto, si prevede la riduzione della pena fino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori supera il quinto dell’ammontare dei debiti.

 

Si ricorda che l’articolo 131-bis del codice penale – come introdotto dal d. lgs. n. 168 del 2015 – prevede, al primo comma, che nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è ritenuta di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

 


 

Titolo III
(Procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza)

Il Titolo III (articoli da 26 a 55) attiene alle procedure giurisdizionali di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che si rendono necessarie qualora non siano state esperite o non siano state concluse positivamente le soluzioni stragiudiziali. Esso si compone di 4 Capi:

§  il Capo I contiene norme in materia di giurisdizione (art. 26);

§  il Capo II reca disposizioni in materia di competenza (artt. da 27 a 32);

§  il Capo III ha ad oggetto previsioni sulla cessazione dell’attività del debitore (artt. da 33 a 36);

§  il Capo IV regola l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (artt. da 37 a 55).

A differenza del Capo IV – che presenta un alto tasso di innovatività - le disposizioni dei primi tre Capi si muovono sostanzialmente in linea con le previsioni della legge fallimentare, sia pure con talune novità i cui tratti essenziali verranno qui evidenziati.

Giurisdizione

Il Capo I, composto dal solo articolo 26, rubricato “giurisdizione italiana”, nel riprendere la regola già espressa dall'art. 9 della legge fallimentare - secondo cui l'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa è soggetto alla giurisdizione italiana anche se è stata aperta una procedura concorsuale all'estero - la estende a tutte le procedure concorsuali regolate dal codice in esame (mentre oggi è prevista solo per la dichiarazione di fallimento all'estero). Viene poi previsto che il tribunale, quando apre una procedura di insolvenza transfrontaliera ai sensi del Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, deve dichiarare se la procedura è principale, secondaria o territoriale.

 

Si ricorda che in base all’art. 3 del Regolamento (UE) 2015/848, «sono competenti ad aprire la procedura d'insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore» (procedura principale); se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro (procedura territoriale). Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio. Se è aperta una procedura d'insolvenza principale, le procedure d'insolvenza aperte successivamente in ragione di una dipendenza sono procedure secondarie di insolvenza. Il regolamento individua una serie di casi che giustificano l’apertura di una procedura territoriale prima della principale.

Competenza

Con riferimento al Capo II, recante disposizioni in materia di competenza, si riportano i punti di maggiore novità introdotti dagli articoli 27, 30, comma 1 e 32 dello schema.

L'articolo 27, recante competenza per materia e per territorio:

§  attribuisce in via ordinaria la competenza al tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali in conformità a quanto previsto dall'art. 2, comma 1, lett. f), della legge delega;

§  individua presunzioni assolute per la definizione del centro degli interessi principali ed in particolare:

-      per la persona fisica esercente attività d'impresa, la identifica con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale;

-      per la persona fisica non esercente attività d'impresa, con la residenza o il domicilio ovvero, in via gradatamente subordinata, con l'ultima dimora nota o con il luogo di nascita o se quest'ultimo non è in Italia, attribuendo la competenza in via suppletiva al Tribunale di Roma;

-      per la persona giuridica o gli enti, anche non esercenti attività d'impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale o, se quest'ultima è sconosciuta, con la sede del rappresentante legale.

§  In deroga al criterio di competenza ordinario, stabilisce che per i procedimenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione sia competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, in attuazione dell'art. 2, comma 1, lett. n) della legge delega.

 

L’art. 1 del d.lgs. n. 168/2003 prevede, al comma 1, che siano istituite sezioni specializzate in materia di impresa presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia. Successivamente, è stato introdotto il comma 1-bis, ai sensi del quale sono istituite sezioni specializzate in materia di impresa presso i tribunali e le corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città di cui al comma 1. Per il territorio compreso nella regione Valle d'Aosta/Vallè d'Aoste sono competenti le sezioni specializzate presso il tribunale e la corte d'appello di Torino. È altresì istituita la sezione specializzata in materia di impresa presso il tribunale e la corte d'appello di Brescia. È altresì istituita la sezione specializzata in materia di impresa del tribunale e della corte di appello (sezione distaccata) di Bolzano

 

L'articolo 2, comma 1, lett. n), della legge delega prevede, tra i principi e criteri direttivi, che il Governo debba assicurare la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale, con adeguamento degli organici degli uffici giudiziari la cui competenza risulti ampliata:

1) attribuendo ai tribunali sede delle sezioni specializzate in materia di impresa la competenza sulle procedure concorsuali e sulle cause che da esse derivano, relative alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione;

2) mantenendo invariati i vigenti criteri di attribuzione della competenza per le procedure di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista e dell'imprenditore in possesso del profilo dimensionale ridotto di cui alla lettera e);

3) individuando tra i tribunali esistenti, quelli competenti alla trattazione delle procedure concorsuali relative alle imprese diverse da quelle di cui ai numeri 1) e 2), sulla base di criteri oggettivi e omogenei basati sui seguenti indicatori:

3.1) il numero dei giudici professionali previsti nella pianta organica di ciascun tribunale, da valutare in relazione ai limiti dimensionali previsti ai fini della costituzione di una sezione che si occupi in via esclusiva della materia;

3.2) il numero delle procedure concorsuali sopravvenute nel corso degli ultimi cinque anni;

3.3) il numero delle procedure concorsuali definite nel corso degli ultimi cinque anni;

3.4) la durata delle procedure concorsuali nel corso degli ultimi cinque anni;

3.5) il rapporto tra gli indicatori di cui ai numeri 3.2), 3.3) e 3.4) e il corrispondente dato medio nazionale riferito alle procedure concorsuali;

3.6) il numero delle imprese iscritte nel registro delle imprese;

3.7) la popolazione residente nel territorio compreso nel circondario del tribunale, ponendo questo dato in rapporto con l'indicatore di cui al numero 3.6).

 

La relazione tecnica allegata al provvedimento specifica che non è stata data attuazione alla delega nella parte in cui (art. 2, lett. n), n. 3) richiedeva la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale anche tramite l’individuazione tra i tribunali esistenti, di quelli competenti alla trattazione delle procedure concorsuali relative alle imprese (diverse da quelle in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione e dalle procedure di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista e dell'imprenditore in possesso del profilo dimensionale ridotto) sulla base di criteri oggettivi e omogenei basati su specifici indicatori.

 

L'art. 30, comma 1, dello schema generalizza a tutte le procedure concorsuali la disciplina sul conflitto positivo di competenza (oggi disciplinato solo per la procedura fallimentare) che viene, in linea con quanto già previsto, risolto a favore del tribunale che si è pronunciato per primo.

L'art. 31, comma 2, dello schema, recante competenza sulle azioni che derivano dall'apertura delle procedure di liquidazione, introduce le seguenti novità:

§  estende l'ambito oggettivo di applicazione della disciplina oggi vigente per il fallimento ai sensi dell'art. 9-bis, quinto comma, della legge fallimentare anche alla procedura liquidatoria del debitore sovraindebitato (riferendosi esplicitamente all'apertura delle procedure di liquidazione;

§  introduce il termine di non oltre trenta giorni per la riassunzione della causa davanti al giudice competente.

 

La disciplina vigente prevede infatti, all'articolo 9-bis, comma quinto, della legge fallimentare che in caso di difetto di competenza del tribunale adito sulle azioni che derivano dalla dichiarazioni di fallimento (e che spettano al tribunale che ha dichiarato il fallimento ai sensi dell'art. 24 L.F, che lo schema estende al tribunale che ha aperto le procedure di liquidazione), il giudice assegna alle parti un termine per la riassunzione della causa davanti al giudice competente ai sensi dell'articolo 50 del codice di procedura civile e ordina la cancellazione della causa dal ruolo.

Quest'ultima disposizione prevede che se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nell'ordinanza dal giudice e in mancanza in quello di tre mesi dalla comunicazione dell'ordinanza di regolamento o dell'ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice.

Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue.

Cessazione dell’attività del debitore

Le principali novità introdotte dal Capo III, relativo alla cessazione dell'attività del debitore, impattano invece sugli articoli 10 ed 11 della legge fallimentare. Si tratta in particolare delle disposizioni contenute negli articoli 33 e 34 dello schema.

 

Ai sensi dell'art. 10 della legge fallimentare (fallimento dell'imprenditore che ha cessato l'esercizio dell'impresa), gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine precedentemente indicato.

Secondo quanto prescritto dall'articolo 11 della legge fallimentare (fallimento dell'imprenditore defunto) l'imprenditore defunto può essere dichiarato fallito quando ricorrono le condizioni stabilite nell'articolo 10. L'erede può chiedere il fallimento del defunto, purché l'eredità non sia già confusa con il suo patrimonio. Con la dichiarazione di fallimento cessano di diritto gli effetti della separazione dei beni ottenuta dai creditori del defunto a norma del codice civile.

 

L'articolo 33 dello schema riproduce l'articolo 10 della legge fallimentare, introducendo le seguenti novità:

§  viene previsto, al comma 1, che la regola unica per l’imprenditore collettivo e per quello individuale, sia quella di consentire l’apertura della procedura di liquidazione del debitore che abbia cessato l’attività di impresa da non oltre un anno, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo;

§  si specifica, al comma 2, che per gli imprenditori non iscritti, la cessazione coincide con il momento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa;

§  al fine di agevolare la notificazione di eventuali iniziative adottate dai terzi, sempre al comma 2 si fa obbligo all’imprenditore di mantenere operativo l’indirizzo di posta elettronica certificata per un anno, che decorre dalla cancellazione;

§  si introduce infine, al comma 4, il divieto espresso per l'imprenditore cancellato dal registro delle imprese di far ricorso alla procedura di concordato preventivo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, con conseguente inammissibilità della domanda presentata.

All'articolo 34, dello schema, recante apertura giudiziale del debitore defunto, oltre alla mera sostituzione lessicale della formula del fallimento con quella di "procedura di liquidazione giudiziale", è previsto, al comma 3, un adempimento ulteriore in capo all'erede che chiede l'apertura della procedura liquidativa, consistente nella presentazione di una relazione sulla situazione economico-patrimoniale aggiornata dell'impresa.

Accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza

Il Capo IV introduce il procedimento unitario di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza, allo scopo di armonizzare le procedure concorsuali in essere, pur nella specificità di ciascuna di essa, evitando inutili duplicazioni e sovrapposizioni tra le varie procedure.

In conformità dell'art. 2, comma 1, lett. d), della legge delega, il modello processuale unico per l'accertamento dello stato di crisi e di insolvenza del debitore, sulla falsariga dell'art. 15 della legge fallimentare, è caratterizzato:

§  dalla particolare celerità della procedura anche in fase di reclamo (art. 50);

§  dalla previsione della legittimazione ad agire anche dei soggetti con funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa e del pubblico ministero in ogni caso in cui egli abbia notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza (artt. 37 e 38);

§  dalla previsione di misure cautelari, con attribuzione della relativa competenza anche alla Corte d'appello (artt. 54 e 55);

§  dall’armonizzazione del regime delle impugnazioni, con particolare riguardo all'efficacia delle pronunce rese avverso i provvedimenti di apertura della procedura di liquidazione giudiziale ovvero di omologazione del concordato (art. 51).

In attuazione dell'art. 2, comma 1, lett. e), della legge delega, viene altresì previsto:

§  l'assoggettamento al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza di ogni categoria di debitore, disciplinandone i diversi esiti possibili tenendo conto sia delle peculiarità soggettive del debitore insolvente, sia dei caratteri oggettivi della procedura di regolazione (concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria);

§  l’uniformità e la semplificazione, in raccordo con il processo civile telematico, della disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale.

 

Ci si limita a ricordare in questa sede che l'art. 15, comma 1, della legge fallimentare prevede che il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolga dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.

 

Il Capo IV si compone delle seguenti 3 sezioni:

§  La sezione I detta regole sull'iniziativa per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza (artt. da 37 a 39);

§  La sezione II disciplina il procedimento unitario per l'accesso alle suddette procedure di regolazione (artt. da 40 a 53);

§  La sezione III prevede misure cautelari e protettive (artt. 54 e 55).

 

Iniziativa per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza

Nell'ambito della sezione I, si segnalano le seguenti principali novità:

§  si generalizza la legittimazione ad agire del debitore a tutte le procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza (e non solo al fallimento, come invece oggi prescritto dall'art. 6, primo comma, L.F.) (art. 37, comma 1, dello schema);

§  si estende la legittimazione ad agire, per la sola procedura di liquidazione giudiziale, anche agli organi e alle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa (in aggiunta ai legittimati attualmente previsti: debitore, uno o più creditori, pubblico ministero) (art. 37, comma 2, dello schema);

§  si estende l'ambito oggettivo di applicazione della legittimazione ad agire del pubblico ministero (rispetto a quanto attualmente previsto dall'art. 7 L.F.) ad ogni caso in cui egli abbia notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza;

§  si arricchisce l'armamentario documentale che il debitore deve depositare presso il tribunale una volta che chieda l'accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, dovendo depositare, anche in forma digitale, oltre alla documentazione prevista dal novellato art. 14 L.F. anche quella relativa:

-      all'intera attività economica o professionale, se questa ha avuto una durata inferiore a tre anni;

-      all’indicazione delle cause di prelazione;

-      alla certificazione sui debiti fiscali, contributi e per premi assicurativi;

-      al riepilogo degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore.

 

Le novità suddette impattano rispettivamente sugli articoli 6, 7 e 14 della legge fallimentare.

L'articolo 6 prevede che il fallimento sia dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero

La disciplina sancita dall'art. 7 ammette l'iniziativa del P.M. solo nei seguenti casi:

1.  quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore;

2.  quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Ai sensi dell'art. 14 L.F., il debitore che chiede il proprio fallimento deve depositare presso la cancelleria del tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie concernenti i tre esercizi precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata. Deve inoltre depositare uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività, l'elenco nominativo dei creditori e l'indicazione dei rispettivi crediti, l'indicazione dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi tre esercizi, l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto.

 

Procedimento unitario per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza

Nell'ambito della sezione II del Capo IV, viene regolata l'innovativa procedura di accertamento unico per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza.

Da quanto emerge nella relazione illustrativa l’impostazione prescelta è volta ad agevolare la risoluzione dei problemi di coordinamento tra le molteplici procedure concorsuali attualmente in essere (fase prefallimentare, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, dichiarazione di insolvenza degli imprenditori commerciali soggetti alla liquidazione coatta amministrativa, accordi e liquidazioni dell’imprenditore non assoggettabile a fallimento nonché del debitore civile, accordi, piani e liquidazione del consumatore), fatte salve le disposizioni speciali riguardanti l’una o l’altra di tali situazioni. La linea seguita è segnata inoltre dalla prevalenza degli strumenti negoziali di risoluzione della crisi d'impresa e di ristrutturazione rispetto a quelli meramente disgregatori.

Questi i passaggi salienti del procedimento disciplinato nel codice, con la specificazione delle varianti procedurali previste per la liquidazione giudiziale, il concordato preventivo e la procedura di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

 

La domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza viene formalizzata dal debitore con ricorso depositato al tribunale ed, entro il giorno successivo al deposito, comunicata dal cancelliere al registro delle imprese. La domanda, unitamente ai documenti allegati, è trasmessa al pubblico ministero.

Il ricorso deve indicare l'ufficio giudiziario, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni ed è sottoscritto dal difensore munito di procura. Nel procedimento di liquidazione giudiziale, il debitore può stare in giudizio personalmente. Le modalità di notificazione della domanda sono specificamente disciplinate ai commi 5, 6 e 7 dell’art. 40.

In caso di rinuncia alla domanda il procedimento si estingue ed il giudice può condannare la parte rinunciataria alle spese.

 

Il procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale di cui all’art. 41 dello schema – con decreto di convocazione delle parti da parte del tribunale non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso - ricalca quanto previsto dall'attuale art. 15 della legge fallimentare, con l'unica significativa innovazione - introdotta all'art. 41, comma 4, dello schema - che ammette l'intervento nel procedimento da parte dei terzi che hanno legittimazione a proporre la domanda e del pubblico ministero, con la precisazione che detto intervento può avere luogo sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione.

La procedura di accesso al concordato preventivo ed al giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti è disciplinata dall’articolo 44 e trova applicazione nelle seguenti ipotesi:

§  quando l’iniziativa sia stata assunta dal debitore;

§  quando il debitore, destinatario di una domanda di liquidazione giudiziale, si sia voluto difendere non limitandosi a chiedere di respingere tale richiesta bensì instando per regolare da sé, con il concordato preventivo ovvero l’accordo di ristrutturazione, la propria crisi o insolvenza;

§  quando il debitore si sia limitato a svolgere la domanda di accesso, senza depositare rispettivamente proposta, piano e documentazione completa, per il concordato o l’accordo, in caso di volontà di far omologare quest’ultimo;

§  quando la domanda sia già accompagnata da tutta la documentazione necessaria per l’accesso alla procedura.

 

Il tribunale, su richiesta del debitore, fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore per non più di ulteriori sessanta giorni, entro il quale il debitore deve depositare la proposta di concordato preventivo, oppure gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Nel caso di domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo può essere nominato un commissario giudiziale, mentre nel caso di domanda di accesso al giudizio di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, la nomina può essere disposta solo in presenza di istanze per la apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, il decreto concessivo dei termini per l'accesso al concordato preventivo o al giudizio per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti va notificato al debitore, al pubblico ministero e ai richiedenti l'apertura della procedura liquidatoria, nonché pubblicato mediante iscrizione nel registro delle imprese (art. 45). Il decreto di concessione dei termini può essere revocato, con decreto non soggetto a reclamo ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, in caso di inadempimento degli adempimenti richiesti al debitore dal tribunale (art. 44, comma 2).

Per quanto riguarda gli effetti della domanda di accesso al concordato preventivo o al giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione si prevede che la richiesta di autorizzazione riguardi gli atti di straordinaria amministrazione che il debitore intenda compiere «dopo il deposito della domanda di accesso». In assenza dell’autorizzazione del tribunale o del giudice delegato gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca dei termini concessi. I crediti dei terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili e le ipoteche giudiziali, iscritte nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso, sono inefficaci rispetto ai crediti anteriori (art. 46).

 

L’apertura del concordato preventivo è invece disposta con decreto sulla base della procedura di cui all'art. 47 dello schema, che può essere emesso alternativamente:

§  a seguito del deposito di una domanda già completa di tutti i suoi elementi ed accompagnata dalla necessaria documentazione (in questo caso il tribunale, dichiarando aperta la procedura, provvederà anche alla nomina del commissario giudiziale);

§  una volta verificato l’avvenuto completamento del corredo documentale necessario per un’ulteriore avanzamento della soluzione della crisi o insolvenza regolata su iniziativa del debitore (in tal caso, si procederà alla conferma del commissario giudiziale nominato).

In mancanza delle condizioni richieste per l’apertura, il tribunale dichiara con decreto - previa instaurazione del contraddittorio con il debitore, il pubblico ministero e i creditori ricorrenti per l’apertura della liquidazione giudiziale - l’inammissibilità della domanda; la pronuncia è reclamabile avanti alla corte d’appello con le regole dei procedimenti in camera di consiglio, ferma restando la sua riproponibilità, qualora si verifichino mutamenti delle circostanze ed esaurito il termine del reclamo.

 

L’articolo 48 dello schema disciplina la fase di omologazione del concordato preventivo e dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, che si svolge nello stesso modo per entrambe e si conclude sempre con sentenza da parte del tribunale. Se il tribunale non omologa il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione, dichiara, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale.

 

Sulla base dell’articolo 49 dello schema, il tribunale provvede all’apertura della liquidazione giudiziale, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, nelle seguenti ipotesi:

§  una volta definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata ed accertata la sussistenza dei presupposti della liquidazione giudiziale;

§  decorso inutilmente o essendo stato revocato il termine per il deposito della proposta di concordato preventivo oppure degli accordi di ristrutturazione dei debiti;

§  quando il debitore non abbia depositato le spese di procedure richiestegli dal tribunale all’atto della presentazione della proposta di concordato;

§  qualora abbia commesso atti di frode nel corso della procedura.

Non si fa luogo all'apertura della liquidazione giudiziale se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è complessivamente inferiore a euro trentamila.

Con la sentenza di apertura della liquidazione vengano adottati i provvedimenti conseguenti (tra i quali la nomina del giudice delegato per la procedura; del curatore; l'ordine al debitore di depositare entro tre giorni i bilanci e le scritture contabili fiscali obbligatorie; la nomina di uno o più esperti per l’esecuzione di compiti specifici in luogo del curatore).

Al termine della procedura, che ricalca quella di cui all'art. 16 della legge fallimentare, si aprono due possibili scenari:

§  se la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è respinta, il relativo decreto motivato è comunicato alle parti ed iscritto nel registro delle imprese. Contro il decreto di rigetto è ammesso reclamo da parte del ricorrente e del pubblico ministero, entro trenta giorni dalla comunicazione, davanti alla corte d’appello (art. 50). In caso di accoglimento del reclamo, la corte di appello dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza e rimette gli atti al tribunale per i provvedimenti conseguenti di cui all'art. 49, comma 3. In questo caso, la sentenza è ricorribile per cassazione con dimezzamento dei termini (15 giorni), mentre in caso di rigetto del reclamo il provvedimento non è impugnabile.

§  se la domanda di apertura è invece accolta può essere impugnata da qualunque interessato secondo la procedura di cui all’articolo 51.

 

L’articolo 51 disciplina il regime delle impugnazioni: il reclamo dinanzi alla corte d’appello e il ricorso per cassazione. La legittimazione è:

§  riservata alle parti del procedimento concluso con la sentenza impugnata, nel caso dell’omologazione del concordato preventivo o dell’accordo;

§  aperta a qualunque interessato, nel caso della liquidazione giudiziale.

Il termine per l’impugnazione è sempre di trenta giorni e decorre, per le parti, dalla data della notificazione telematica del provvedimento a cura dell'ufficio e, per gli altri interessati, dalla data della iscrizione nel registro delle imprese.

Il reclamo e il ricorso per cassazione non sospendono l’efficacia della sentenza. La corte d'appello decide con sentenza entro trenta giorni dall'esaurimento della trattazione; la sentenza, notificata a cura della cancelleria ed in via telematica alle parti, deve essere pubblicata e iscritta al registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.

Con una previsione fortemente innovativa per l’assetto normativo vigente, si prevede che – fatto salvo quanto previsto dall’art. 96 del c.p.c. - con la sentenza che decide l’impugnazione, il giudice dichiara se la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave e, in tal caso, revoca con efficacia retroattiva l’eventuale provvedimento di ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato; in caso di società o enti, dichiara se sussiste mala fede del legale rappresentante che ha conferito la procura e, in caso positivo, lo condanna in solido con la società o l’ente al pagamento delle spese dell’intero processo e al pagamento di una somma pari al doppio del contributo unificato di cui all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.115.

 

Ai sensi dell’art. 52 dello schema la corte d’appello - quando ricorrono gravi e fondati motivi e su richiesta di parte o del curatore - può sospendere in tutto o in parte o temporaneamente gli effetti della sentenza (liquidazione dell'attivo, formazione dello stato passivo e compimento di altri atti di gestione). Allo stesso modo può provvedere, in caso di reclamo avverso la omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ordinando l’inibitoria, in tutto o in parte o temporanea, dell’attuazione del piano o dei pagamenti. La corte d'appello può disporre le opportune garanzie a tutela dei creditori e in funzione della continuità aziendale.

 

All’art., 53 dello schema si regolano gli effetti della revoca della liquidazione giudiziale, dell’omologazione del concordato e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, entrambe disposte dalla corte d’appello.

Nel caso di revoca della liquidazione giudiziale, si prevede:

§  la permanenza degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura, che restano in carica fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che pronuncia sulla revoca;

§  la immediata restituzione dell’amministrazione dei beni e dell’esercizio dell’impresa al debitore, sia pure sotto la vigilanza del curatore (che rimane in carica fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che pronuncia sulla revoca);

§  l'assolvimento di obblighi informativi periodici in capo al debitore disposti dalla corte d’appello. In caso di violazione di tali obblighi il tribunale priva il debitore del potere di compiere gli atti di amministrazione, anche ordinari.

Nel caso di revoca dell'omologazione del concordato o degli accordi di ristrutturazione dei debiti si prevede invece che:

§  la corte d'appello dichiari l'apertura della liquidazione giudiziale e rimetta gli atti al tribunale per i conseguenti provvedimenti organizzatori di cui all'art. 49, comma 3 (tra cui la nomina del giudice delegato per la procedura e del curatore, l'ordine al debitore di depositare entro tre giorni i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie, etc.);

§  il debitore possa chiedere al tribunale di sospendere sia i termini per la proposizione delle impugnazioni dello stato passivo, sia la liquidazione dell’attivo fino al momento in cui la sentenza che pronuncia sulla revoca passa in giudicato.

 

Misure cautelari e protettive

Significativamente innovative sono anche le previsioni contenute nella sezione III, recanti misure cautelari e protettive (artt. 54 e 55).

 

La normativa vigente disciplina le misure cautelari all'art. 15, nono comma, L.F. secondo cui il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza.

Le misure protettive sono invece un'assoluta novità del processo di riforma, previste dall'art. 4, comma 1, lett. g), della legge delega n. 155/2017: sono richieste dal debitore alla sezione specializzata del tribunale al fine di concludere l'accordo stragiudiziale. Il legislatore delegante ha demandato al Governo di disciplinarne la durata, gli effetti, la pubblicità, nonché la revocabilità in caso di atti in frode ai creditori; la revoca delle misure potrà essere disposta anche a fronte di una prognosi negativa sulla possibile soluzione stragiudiziale resa dal collegio degli esperti. Nell'ambito della procedura di concordato preventivo, l'art. 6, comma 1, lett. b), della legge delega prevede altresì la necessità che il Governo disciplini anche la revocabilità delle misure suddette, su ricorso degli interessati, ove non arrechino beneficio al buon esito della procedura.

 

Con riferimento dell'articolo 54 dello schema:

§  si prevede, al comma 1, che la domanda per l’accertamento della crisi o dell’insolvenza e per l’accesso alle procedure regolatrici possa essere accompagnata dalla richiesta, in corso di causa, al tribunale (o alla corte d’appello) di misure cautelari “atipiche”, ivi inclusa la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti;

§  il debitore può chiedere, nella domanda di accesso ad una delle procedure regolatorie, l’adozione di misure protettive i cui effetti si producono a far data dalla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, inibendo i creditori per titolo o causa anteriore dall’iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio; dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano (comma 2). Tali misure possono essere richieste anche nel corso delle trattative e prima del deposito degli accordi di ristrutturazione (comma 3);

§  Il presidente del tribunale o il presidente della sezione cui è assegnata la trattazione delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza fissa con decreto l'udienza entro un termine non superiore a 30 giorni dal deposito della domanda, estendibile fino a 45 giorni da parte del presidente del tribunale.

Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire per quale ragione la facoltà di proroga a 45 giorni sia concessa solo al presidente del tribunale e non anche a quello della sezione cui è assegnata la trattazione della procedura concorsuale

§  all'esito dell'udienza, si provvede con decreto motivato, da depositarsi entro i successivi dieci giorni, fissando la durata delle misure. Se l'udienza e il deposito del decreto non intervengono nei termini prescritti cessano gli effetti protettivi (comma 5);

§  si riconosce la legittimazione ad agire anche all’amministratore delle procedure di insolvenza – nominato dal giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore - a prescindere dal fatto che sia stata o meno proposta domanda di accesso alle procedure di regolazione della crisi. Quando una proposta manchi, l’amministratore richiedente dovrà indicare nella richiesta le condizioni di effettivo e imminente soddisfacimento non discriminatorio di tutti creditori secondo la procedura concorsuale aperta presso lo Stato (comma 6).

 

Secondo quanto previsto dall'art. 55 dello schema:

§  il procedimento per la concessione delle misure protettive e di quelle cautelari è mutuato dalla disciplina del codice processuale in materia di misure cautelari, con la possibilità dell’adozione anche prima dell’udienza di comparizione delle parti e dunque con la conferma, modifica o revoca mediante ordinanza di quanto statuito con decreto. Le misure cautelari e protettive possono essere adottate anche dalla corte d’appello nel giudizio di reclamo.

§  gli effetti delle misure protettive eventualmente concesse devono essere espressamente confermati dal tribunale con proprio decreto, nel termine di quindici giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese. Il decreto è reclamabile dinanzi al collegio;

§  le misure protettive possono essere revocate o modificate, su istanza di parte, del commissario giudiziale o del pubblico ministero, in caso di atti di frode o, quando l’attività intrapresa dal debitore è manifestamente inidonea a pervenire al risultato sperato, conformemente a quanto previsto dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge delega.

 

 


 

Titolo IV
(Strumenti di regolazione della crisi)

Il Titolo IV dello schema disciplina i seguenti strumenti di regolazione della crisi:

§  i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione (Capo I);

§  le procedure di sovraindebitamento (Capo II);

§  il concordato preventivo (Capo III).

Tali istituti si propongono tutti la finalità del recupero dell'impresa in crisi, finalità da ritenersi prevalente rispetto a quella meramente liquidatoria.

 

I piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione

L'articolo 5, comma 1, della legge delega indica i principi e i criteri direttivi volti alla incentivazione del ricorso agli accordi di ristrutturazione dei debiti, dei piani attestati di risanamento e delle convenzioni di moratoria. Si tratta di strumenti già contemplati dalla legislazione vigente, in relazione ai quali lo schema apporta alcune modifiche, volte, in linea con la delega, a favorirne il ricorso.

 

L’art. 15, comma 1, della legge delega prevede che, nell'esercizio della delega il Governo debba attenersi ai seguenti criteri:

a) estensione della procedura prevista attualmente dall'articolo 182-septies della legge fallimentare, relativo agli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni di moratoria, agli accordi di ristrutturazione non liquidatori ovvero alle convenzioni di moratoria concluse con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75 per cento dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee;

b) eliminazione o riduzione del limite del 60 per cento dei crediti attualmente contemplato dall'articolo 182-bis della legge fallimentare qualora il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, né richieda le misure protettive previste rispettivamente dal primo e dal sesto comma del medesimo articolo;

c) assimilazione, in quanto compatibile della disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo;

d) estensione degli effetti dell'accordo ai soci illimitatamente responsabili, alle medesime condizioni previste per il concordato preventivo;

e) prevedere che il piano attestato abbia forma scritta, data certa e contenuto analitico;

f) prevedere l'obbligo di rinnovazione delle attestazioni nel caso di successive modifiche, non marginali, dell'accordo o del piano di risanamento.

 

I piani attestati di risanamento, a legislazione vigente, sono regolamentati esclusivamente negli effetti, nell'ambito delle esenzioni all'azione revocatoria fallimentare [2] . Essi si differenziano dagli accordi di ristrutturazione e dal concordato preventivo in quanto per essi non è previsto l'intervento o il controllo giudiziale della procedura. Si tratta in sostanza di strumenti dei quali l'imprenditore può servirsi in presenza di una crisi dell'impresa transitoria e di minore gravità per concordare con i creditori senza l'intervento della autorità giudiziaria il risanamento della impresa, da realizzarsi attraverso la riorganizzazione dell'impresa o anche nuove modalità di finanziamento.

 

Lo schema di decreto (art. 56) interviene in materia di piani attestati di risanamento disciplinandone il contenuto minimo obbligatorio. Essi, oltre ad una data certa, come richiesto dalla delega, devono indicare:

§  la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell'impresa;

§  le principali cause della crisi,

§  le strategie di intervento e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;

§  i creditori e l'ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione;

§  gli apporti di finanza nuova;

§  i tempi delle azioni da compiersi.

Al fine di una più compiuta regolamentazione si prevede che al piano debba essere allegata la stessa documentazione che viene richiesta al debitore che vuole accedere ad una procedura regolatrice della crisi o dell'insolvenza.

Sono confermati le vigenti previsioni che richiedono che il piano sia attestato da un professionista indipendente (rispetto alla formulazione attuale la disposizione si limita a richiedere "l'indipendenza" del professionista, senza prevedere il possesso di ulteriori requisiti attestanti tale indipendenza) e che esso possa essere pubblicato nel registro delle imprese.

Al fine di evitare possibili condotte opportunistiche o collusive si prevede che gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano debbano essere provati per iscritto e avere data certa.

 

Gli accordi di ristrutturazione sono disciplinati attualmente dall'articolo 182-bis della legge fallimentare, che delinea una procedura suddivisa in due fasi:

   una fase stragiudiziale: l'accordo, redatto in forma scritta deve essere sottoscritto dai creditori che rappresentano almeno 60% del passivo del debitore e deve garantire l'integrale pagamento dei creditori estranei all'accordo. La veridicità dei dati aziendali deve essere attestata da un professionista. Sono previsti inoltre precisi termini entro i quali deve avvenire il pagamento integrale dei creditori non aderenti all'accordo: entro 120 gg dall'omologazione in caso di crediti già scaduti a quella data; entro 120 giorni dalla scadenza in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione. L'accordo deve essere quindi pubblicato nel registro delle imprese e i creditori e ogni altro interessato possono, entro 30 giorni, proporvi opposizione. Per sessanta giorni decorrenti dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese sono inibite ai creditori azioni cautelati o esecutive sul patrimonio del debitore ed ogni eventuale azione in essere è sospesa. La pubblicazione comporta altresì il divieto- temporaneo- di acquisire titoli di prelazione se non concordati;

   una fase giudiziale puntualmente disciplinata dall'articolo e consistente nella richiesta di omologazione, che deve essere effettuata dal tribunale.

 

Lo schema di decreto interviene sulla disciplina degli accordi di ristrutturazione confermandone i requisiti (permane la soglia minima del 60% dei crediti); le modalità di pagamento dei creditori estranei e l'attestazione (art. 57). In relazione ad essi è introdotta una puntuale disciplina in materia di risoluzione delle problematiche che possono avere origine dalla necessità di modificare in modo sostanziale il contenuto degli accordi o del piano (art. 58). Con riguardo agli effetti dell’accordo, in attuazione di quanto previsto nell’articolo 5, comma 1, lett. d) della legge delega, l’efficacia dell’accordo è estesa ai soci illimitatamente responsabili, i quali, se hanno prestato garanzia, continuano a rispondere per tale diverso titolo (art. 59).

 

Ulteriori novità introdotte dallo schema con riguardo agli accordi di ristrutturazione sono rappresentate:

§  dalla introduzione di accordi agevolati (art. 60);

§  dall'estensione dell'ambito di applicazione degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari (art. 61) e delle convenzioni di moratoria (art. 62) anche a creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee diverse da quella dei creditori finanziari

 

Gli accordi agevolati, introdotti in attuazione dell'articolo 5, comma 1, lett. b) della legge delega, possono essere conclusi dall'imprenditore con i creditori che rappresentino almeno il 30% dei crediti. Essi possono essere conclusi solo ove il debitore:

§  non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei (e quindi il piano deve essere idoneo ad effettuare il pagamento dei creditori dissenzienti in modo integrale e tempestivo);

§  non richieda le misure protettive temporanee.

 

Gli accordi "ad efficacia estesa", in attuazione dell'articolo 5, comma 1, lett. a) della legge delega, che continuano ad applicarsi nei casi in cui l'ammontare dei debiti sia rappresentato da banche e intermediari finanziaria (vedi infra), possono riguardare solo creditori appartenenti alla medesima classe che abbiano, quindi, posizione giuridica ed interessi economici omogenei e comportano una espressa deroga agli articoli 1372 (efficacia del contratto) e 1411 (contratto a favore di terzi) del codice civile.

 

L'articolo 182-septies della legge fallimentare già contempla questa una tipologia di accordi, volti a sottrarre a creditori finanziari che vantano un credito di piccola entità la possibilità di dichiararsi contrari ad operazioni di ristrutturazione concordate tra il debitore e la maggioranza dei creditori finanziari.

Al fine di incentivarne l'utilizzo la legge delega ha previsto che l'applicazione dell'istituto debba essere estesa a tutte le ipotesi di ristrutturazione del debito e non soltanto all'ipotesi in cui l'ammontare dei debiti sia rappresentato, per almeno la metà da debiti verso banche e intermediari finanziari.

 

I requisiti necessari per l'estensione sono:

§  la soglia del 75% dei creditori aderenti appartenenti alla medesima classe;

§  la necessità che tutti i creditori appartenenti alla classe siano stati debitamente e compiutamente informati e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative;

§  l’obbligo del debitore di notificare l’accordo, la domanda di omologazione ed i documenti allegati ai creditori ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo, i quali, potranno opporsi all’omologa dell’accordo.

 

La principale novità è nel contenuto del piano e dell’accordo che deve prevedere la prosecuzione dell’attività d’impresa, mentre è stato opportunamente precisato che gli effetti dell’accordo possono essere estesi ai non aderenti soltanto ove essi risultino soddisfatti in misura superiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

Rimane ferma la tutela dei diritti dei creditori non appartenenti alla classe individuata nell’accordo. E' prevista una tutela rafforzata per i creditori non aderenti cui vengano estesi gli effetti dell’accordo, creditori ai quali deve essere notificata la domanda di omologazione e che potranno proporre opposizione. Per essi, il termine per proporre opposizione decorre dalla data della notificazione.

 

Sempre in attuazione dell'articolo 5, comma 1, lett. a) della legge delega, è esteso l'ambito di applicazione dell'istituto della convenzione in moratoria anche a creditori diversi da banche e intermediari finanziari.

 

La convenzione in moratoria, a legislazione vigente contemplata dall'articolo 182-septies della legge fallimentare, è uno strumento di composizione della crisi di impresa che si caratterizza per avere ad oggetto debiti verso banche e intermediari finanziari, già scaduti o ancora a scadere, di cui si prevede la dilazione dei termini di pagamento.

 

L'articolo 62 dello schema, oltre a meglio precisare l’oggetto della convenzione che disciplina in via provvisoria gli effetti della crisi e riguarda ogni tipo di misura che non comporti rinuncia al credito, individua i seguenti requisiti necessari per l’estensione degli effetti della moratoria:

§  la soglia del settantacinque per cento dei creditori aderenti appartenenti alla medesima classe,

§  la necessità che tutti i creditori appartenenti alla classe siano stati debitamente e compiutamente informati e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative, (gli effetti della moratoria possono essere estesi ai non aderenti soltanto ove essi risultino soddisfatti in misura superiore rispetto alla liquidazione giudiziale).

E’ sempre prescritto il deposito di una relazione redatta da un professionista indipendente designato dal debitore. Rispetto alla disciplina vigente è ampliato l’oggetto dell’attestazione che riguarda ora anche la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi, oltre che la convenienza della convenzione.

Per quanto concerne la disciplina del procedimento: il debitore ha l’obbligo di comunicare la convenzione e la relazione del professionista ai creditori non aderenti i quali possono opporsi entro trenta giorni. Diversamente da quanto previsto dalla normativa vigente il termine per l’opposizione non è sottoposto alla sospensione nel periodo feriale, considerato che, in questo caso, il termine decorre da una comunicazione del debitore e non dall’iscrizione nel registro delle imprese e che i creditori non aderenti a cui si vuole estendere la convenzione di moratoria devono essere obbligatoriamente informati delle trattative, sicché, diversamente da quanto può accadere per i creditori estranei agli accordi di ristrutturazione, essi sono già necessariamente a conoscenza dell’iniziativa dell’imprenditore. Il tribunale decide sulle opposizioni in camera di consiglio con sentenza nei cui confronti è ammesso reclamo.

Gli articoli 63 e 64 dello schema riproducono sostanzialmente quanto già previsto dai vigenti articoli 182-ter e 182-sexies della legge fallimentare, rispettivamente in materia di transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione e di effetti degli accordi sulla disciplina societaria.

 

Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento

L'articolo 9 della legge delega reca i principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina dell'istituto della composizione delle crisi da sovraindebitamento, attualmente disciplinato dalla legge n. 3 del 2012.

 

Il sovraindebitamento costituisce una situazione, non assoggettabile alle altre procedure concorsuali, di perdurante squilibrio tra le obbligazioni del debitore e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, tale da determinare la rilevante difficoltà di adempiere alle obbligazioni ovvero la definitiva incapacità di adempierle in modo regolare.

Il sovraindebitamento può riguardare qualunque soggetto, a prescindere dalla sua qualità o meno di imprenditore. Una disciplina particolare è prevista con riguardo al debitore-consumatore, ovvero il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Per far fronte alle situazioni di sovraindebitamento la disciplina vigente contempla tre forme di composizione della crisi:

   l'accordo del debitore (che ha per oggetto la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che deve essere approvato dai creditori);

   il piano del consumatore (che prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, ma è riservato al debitore persona fisica che abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Tale piano, inoltre prescinde dall'accordo con i creditori, in quanto è soggetto unicamente all'omologazione da parte del giudice);

   la liquidazione del patrimonio (che consiste nella liquidazione di tutti i beni del debitore, compresi quelli sopravvenuti ad eccezione dei beni aventi carattere personale. Tale strumento consiste in un procedimento di liquidazione analogo a quello fallimentare, che prescinde da un accordo con i creditori ed è soggetto esclusivamente all'omologazione da parte del giudice).

 

L'articolo 9 della legge n. 155 prevede che il Governo, nell'esercizio della delega per la riforma della disciplina della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento, debba:

a) comprendere nella procedura i soci illimitatamente responsabili e individuare criteri di coordinamento nella gestione delle procedure per sovraindebitamento riguardanti più membri della stessa famiglia;

b) disciplinare le soluzioni dirette a promuovere la continuazione dell'attività svolta dal debitore, nonché le modalità della loro eventuale conversione nelle soluzioni liquidatorie, anche ad istanza del debitore, e consentendo, esclusivamente per il debitore-consumatore, solo la soluzione liquidatoria, con esclusione dell'esdebitazione, nel caso in cui la crisi o l'insolvenza derivino da colpa grave, malafede o frode del debitore;

c) consentire al debitore meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno futura, di accedere all'esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni, laddove sopravvengano utilità;

d) prevedere che il piano del consumatore possa comprendere anche la ristrutturazione dei crediti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno;

e) prevedere che nella relazione dell'organismo di cui all'articolo 9, comma 3-bis, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, sia indicato se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del richiedente, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l'importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita;

f) precludere l'accesso alle procedure ai soggetti già esdebitati nei cinque anni precedenti la domanda o che abbiano beneficiato dell'esdebitazione per due volte, ovvero nei casi di frode accertata;

g) introdurre misure protettive simili a quelle previste nel concordato preventivo, revocabili su istanza dei creditori, o anche d'ufficio in caso di atti in frode ai creditori;

h) riconoscere l'iniziativa per l'apertura delle soluzioni liquidatorie, anche in pendenza di procedure esecutive individuali, ai creditori e, quando l'insolvenza riguardi l'imprenditore, al pubblico ministero;

i) ammettere all'esdebitazione anche le persone giuridiche, su domanda e con procedura semplificata, purché non ricorrano ipotesi di frode ai creditori o di volontario inadempimento del piano o dell'accordo;

l) prevedere misure sanzionatorie, eventualmente di natura processuale con riguardo ai poteri di impugnativa e di opposizione, a carico del creditore che abbia colpevolmente contribuito all'aggravamento della situazione di indebitamento;

m) attribuire anche ai creditori e al pubblico ministero l'iniziativa per la conversione in procedura liquidatoria, nei casi di frode o inadempimento.

 

In base alla riforma, le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono:

-   il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73);

-   il concordato minore (artt. 74-82);

-   la liquidazione controllata (art. 83 e, infra, 268 e seguenti).

 

L'art. 65 definisce l’ambito di applicazione di queste procedure, che sono applicabili a tutti i debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) ovvero a consumatori, professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative e ogni altro debitore non soggetto alle procedure di regolazione della crisi “maggiori”.

Alle procedure di sovraindebitamento la disciplina generale trova applicazione nei soli limiti di compatibilità e per quanto non previsto espressamente nelle disposizioni del capo III del titolo IV e del capo IX del titolo V.

In questa prospettiva, si chiarisce che la nomina dell’attestatore è sempre facoltativa e che i compiti propri del commissario e del liquidatore sono sempre svolti dall’OCC, l’organismo di composizione della crisi.

Si prevede, inoltre che gli effetti delle procedure si producono anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili delle società di persone.

 

L'art. 66, dando attuazione allo specifico principio di delega di cui all'art. 9, comma 1, lettera a), della legge delega, introduce una disciplina innovativa con riferimento alle procedure collegate sia nei casi in cui i soggetti sovraindebitati siano familiari conviventi, sia quando la situazione di crisi del “gruppo familiare” abbia un’origine comune.

Tale disciplina contempla:

§  la possibilità per i membri di una stessa famiglia di presentare un unico progetto di risoluzione della crisi

§  l'obbligo per il giudice, nel caso di più richieste di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, di adottare i provvedimenti più idonei per assicurare il coordinamento delle procedure collegate.

 

La procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Gli artt. 67-73 disciplinano la forma di composizione della crisi da sovraindebitamento consistente nella procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore.

Le condizioni soggettive ostative all'accesso alla procedura ricalcano quelle vigenti (sono ostative all’accesso alla procedura l’avere già ottenuto l’esdebitazione nei cinque anni precedenti o comunque per due volte, ma anche l’avere determinato con grave colpa, malafede o frode il sovraindebitamento).

Coerentemente con la legge delega, sono state previste sanzioni processuali al creditore che ha colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento anche omettendo, quale finanziatore, di verificare adeguatamente il merito creditizio del finanziato; tale creditore, infatti, non può presentare osservazioni al piano né reclamo avverso l’omologazione né far valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore (art. 69).

Similmente alla normativa vigente il consumatore in stato di insolvenza (al quale la riforma equipara il socio illimitatamente responsabile) può proporre ai creditori, con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi, un piano di ristrutturazione dei debiti. Dando attuazione ad uno specifico principio di delega l'art. 67 prevede che la proposta possa prevedere anche la falcidia o la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione nonché di quelli derivanti da operazioni di prestito su pegno, con conseguente liberazione di risorse a vantaggio di tutti i creditori e possibilità di soddisfare i crediti derivanti dagli stessi nell’ambito della complessiva sistemazione dei debiti.

Il procedimento, che si svolge davanti al tribunale - in composizione monocratica - ha inizio con la presentazione tramite un organismo di composizione della crisi (costituito nel circondario del tribunale competente) della domanda. La presentazione della domanda comporta una valutazione della condotta del debitore e del presumibile sviluppo della procedura; a tal fine, l’organismo di composizione della crisi deve indicare gli elementi utili a valutare la meritevolezza (indicazione delle cause dell’indebitamento e l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte), l’affidabilità dei dati sui quali il piano è fondato (attendibilità della documentazione), i tempi e i costi della procedura. Ai fini della valutazione del piano da parte del giudice, si prevede che, in conformità con la legge delega, l'organismo debba indicare se il finanziatore abbia valutato, nell’accordare il finanziamento, il merito creditizio del finanziato, tenuto conto del suo reddito e dell’incidenza sullo stesso delle spese necessarie a mantenere un dignitoso tenore di vita, quantificando tale importo in misura non inferiore al doppio dell’indice ISEE.

L’organismo di composizione della crisi, entro sette giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, deve darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore (art. 68).

Con riguardo alla omologazione del piano si prevede che, superato il vaglio dell’ammissibilità, il piano e la proposta siano pubblicati- in apposita area del sito web del tribunale o del Ministero della giustizia- e ne sia data comunicazione, a cura dell'organismo di composizione della crisi, ai creditori, i quali potranno presentare osservazioni. Sulla base delle osservazioni ricevute dai creditori l'organismo di composizione della crisi può proporre modifiche al piano riferendone al giudice.

Il giudice può accordare le misure protettive dirette a porre il patrimonio del debitore al riparo dalle iniziative individuali dei creditori, tali da pregiudicare l’attuazione piano.

Il giudice, se ritiene ammissibile e fattibile il piano, lo omologa con sentenza.

Nel caso di contestazioni sulla convenienza della proposta, il giudice può procedere comunque all’omologazione se ritiene che la proposta consenta un soddisfacimento per il creditore in misura non inferiore a quello che questi potrebbe conseguire con la liquidazione controllata.

Se invece l’omologazione è negata, il giudice pronuncia decreto di rigetto –impugnabile- e revoca le misure protettive concesse.

Nel caso di istanza del debitore o, in casi di inadempimento o frode, di un creditore o del pubblico ministero, il tribunale provvede con sentenza all’apertura della liquidazione controllata (art. 70).

 

Nell'esecuzione del piano un ruolo di indubbio rilievo è ricoperto dall'organismo di composizione della crisi, che deve:

§  depositare semestralmente delle relazioni

§  risolvere le eventuali difficoltà insorte nella fase attuativa, eventualmente ricorrendo al giudice laddove ciò sia necessario;

§  segnalare al giudice le circostanze che possono comportare la revoca dell'omologazione (vedi infra);

§  presentare - al termine dell’esecuzione del piano- al giudice il rendiconto.

 

Il giudice che vigila sulla procedura attraverso le relazioni semestrali, deve approvare il rendiconto, liquidare il compenso e autorizzare il pagamento. Nel caso in cui non autorizzi il pagamento, il giudice individua gli atti necessari per l’esatto adempimento del piano omologato e il termine entro il quale detti atti devono essere posti in essere. Scaduto inutilmente tale termine l’omologazione è revocata (art. 71).

 

Oltre alla revoca per mancata approvazione del rendiconto, la sentenza di omologazione è revocata in tutti i casi:

§  di frode e falsità,

§  in cui il piano divenga inattuabile e non sia possibile modificarlo in modo da consentirne l’attuazione.

Alla revoca il giudice procede su istanza del pubblico ministero, di un creditore o di qualunque interessato, ma anche d’ufficio, sentito il debitore (art. 72).

In caso di revoca dell'omologazione il giudice dispone la conversione in liquidazione controllata (art. 73).

 

Il concordato minore

Gli articoli da 74 a 83 disciplinano il concordato minore, il quale, in sostanziale continuità con l'accordo del debitore disciplinato dalla legge n. 3 del 2012, costituisce una procedura di composizione concordata della crisi o dell'insolvenza.

Tutti i debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) diversi dai consumatori - che non sono già stati esdebitati nei cinque anni precedenti o non hanno beneficiato dell'esdebitazione per due volte o che non abbiano commesso atti in frode ai creditori (art. 77) - possono accedere al concordato minore.

Il concordato minore consiste in un accordo tra il debitore e i propri creditori, che viene raggiunto sulla base di una proposta formulata dal debitore, avente contenuto libero, che deve indicare in modo specifico i tempi e le modalità per superare la crisi da sovraindebitamento e può prevedere il soddisfacimento anche parziale dei crediti (art. 74).

La domanda deve essere formulata - anche in questo caso - tramite un organismo di composizione della crisi e senza l'assistenza di un difensore. La domanda, alla quale, oltre ad una apposita documentazione necessaria per ricostruirne la situazione economica e finanziaria (art. 75) può essere allegata una relazione particolareggiata dell'organismo stesso, deve contenere l'indicazione:

§  delle cause dell’indebitamento e la diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni;

§  delle ragioni dell’incapacità di adempiere;

§  degli elementi per valutare la proposta e la sua convenienza rispetto alla liquidazione;

§  dei costi presumibili della procedura,

§  della percentuale, delle modalità e dei tempi di soddisfacimento;

§  dei criteri utilizzati in caso di formazione delle classi.

Nella relazione, ove prevista, l'organismo deve chiarire se il soggetto finanziatore abbia tenuto conto, nell’erogare il finanziamento, della capacità del debitore di adempiere, tenuto conto del suo reddito e dell’incidenza sullo stesso delle spese necessarie a mantenere un dignitoso tenore di vita, quantificando tale importo in misura non inferiore al doppio dell’indice ISEE.

Entro sette giorni dal conferimento dell'incarico l'organismo deve darne notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, i quali possono nei successivi 15 giorni comunicare il debito tributario accertato e gli eventuali accertamenti pendenti (art. 76).

Il procedimento (art. 78) si svolge dinnanzi al tribunale in composizione monocratica. Il giudice valutata ammissibile la domanda, con decreto:

§  dichiara aperta la procedura e dispone la comunicazione a tutti i creditori, per il tramite dell'organismo di composizione della crisi, della proposta e del decreto;

§  dispone in ordine alle modalità di comunicazione del decreto stesso;

§  dispone la pubblicazione nel registro delle imprese, se il debitore è un imprenditore;

§  dispone la trascrizione del decreto in presenza di beni immobili o mobili registrati di cui sia prevista la cessione o l’affidamento a terzi;

§  assegna ai creditori un termine non superiore a trenta giorni per far pervenire all’organismo a mezzo PEC le dichiarazioni favorevoli o contrarie alla proposta e le eventuali contestazioni;

§  concede, su istanza del debitore, le opportune misure protettive del patrimonio.

 

L'esecuzione del decreto compete all'organismo di composizione della crisi.

 

Il concordato minore è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. I creditori privilegiati e coloro che sono legati da vincoli legali di coppia, di parentela o affinità con il debitore non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza. E' previsto un meccanismo del silenzio assenso, per il quale oltre ai voti favorevoli espressi sono considerati tali anche quelli non espressi (art. 79). In proposito è opportuno ricordare che l'analogo istituto previsto dalla legge n. 3 del 2012 prevedeva invece il raggiungimento del 60%.

Per poter omologare il concordato il giudice deve verificare l'ammissibilità giuridica, la fattibilità economica del piano e che il concordato sia stato approvato dalla maggioranza dei creditori. L'omologazione, con la quale si chiude la procedura, è pronunciata con sentenza.

Innovativa è la previsione con la quale si inibisce al creditore che ha colpevolmente determinato o aggravato la situazione di indebitamento di presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, anche se dissenziente, o di far valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore.

Se il tribunale rigetta la domanda di omologazione, dichiara l’inefficacia delle misure protettive accordate e, se vi è istanza del debitore o, in caso di frode, del pubblico ministero o di un creditore, dichiara aperta la procedura di liquidazione controllata con decreto reclamabile (art. 80).

La disciplina dell'esecuzione del concordato minore ricalca quella prevista con riguardo alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, prevedendo che sull'esatto adempimento del concordato vigili l'organismo di composizione della crisi (art. 81).

Anche la disciplina dei casi di revoca dell’omologazione a seguito della scoperta di atti fraudolenti commessi dal debitore e quella relativa alla conversione nella procedura liquidatoria ricalcano le omologhe previste con riguardo alla ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 82 e 83).

 

Il concordato preventivo

Il Capo III (artt.84-120), dando attuazione alla delega contenuta nella legge n. 155 e ai criteri e principi direttivi indicati all'articolo 6, ridelinea l'istituto del concordato preventivo.

 

A legislazione vigente il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 160 e ss della legge fallimentare. Il concordato preventivo è un mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei creditori, che si differenzia dal fallimento, in quanto si svolge in luogo di esso, impendendone la dichiarazione e le conseguenze di ordine personale e patrimoniale. Esso consiste in un accordo tra l'imprenditore e la maggioranza dei creditori, volto a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione, anche parziale, delle ragioni creditorie, sotto la protezione del tribunale. L'istituto è stato oggetto di modifica da parte del decreto-legge n. 83 del 2015 (conv. L. n. 132 del 2015), al fine di aprire maggiormente le procedure esecutive alla concorrenza di mercato e di agevolare il ricorso a soluzioni della crisi di impresa che prevedano la prosecuzione dell'attività invece della liquidazione del patrimonio aziendale.

 

L'art. 84 definisce le finalità del concordato preventivo, distinguendo il concordato in continuità aziendale dal concordato liquidatorio.

 

Il comma 1 dell'articolo 6 della legge delega contiene i principi e criteri direttivi per la modifica dell'istituto del concordato preventivo, che consente anche il concordato preventivo liquidatorio, ma solo nel caso in cui ci sia un consistente apporto esterno che può garantire ai creditori un maggiore soddisfacimento (lett.a). In particolare, la lett. i) delega il Governo ad integrare la disciplina del concordato con continuità aziendale, prevedendo:1) che il piano possa contenere, salvo che sia programmata la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussista la causa di prelazione, una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca per un periodo di tempo anche superiore ad un anno, riconoscendo in tal caso ai predetti creditori il diritto di voto; 2) che tale disciplina si applichi anche alla proposta di concordato che preveda la continuità aziendale e nel contempo la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, a condizione che possa ritenersi, a seguito di una valutazione in concreto del piano, che i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale; 3) che tale disciplina si applichi anche nei casi in cui l'azienda sia oggetto di contratto di affitto, anche se stipulato anteriormente alla domanda di concordato (lett. i);

 

Il principale criterio distintivo tra concordato in continuità e concordato liquidatorio è rappresentato dalla provenienza delle risorse utilizzate per il soddisfacimento dei creditori:

§  il concordato in continuità aziendale - l’opzione che la nuova disciplina della crisi valorizza maggiormente in quanto finalizzata al recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato- trae i mezzi destinati al soddisfacimento dei creditori in misura rilevante dai proventi che derivano dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale;

§  il concordato liquidatorio consente, invece il soddisfacimento dei creditori attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio. Per la disciplina di questo concordato si vedano infra gli articoli da 240 a 267 dello schema.

 

In attuazione del principio di delega di cui all’art. 6, comma 1, lettera i) si prevede con riguardo al concordato in continuità aziendale che la continuità debba essere intesa in senso oggettivo e quindi che ciò che rileva è che l’attività di impresa possa continuare anche dopo la conclusione della procedura, prescindendo dall’identità dell’imprenditore.

Viene perciò fatta rientrare nel concetto di continuità non solo la gestione diretta da parte dell’imprenditore debitore, ma anche quella in cui la gestione sia operata da un soggetto diverso in conseguenza della cessione al medesimo dell’azienda -ancora in esercizio o di cui sia prevista la riattivazione tempestiva - oppure in esito alla stipula di altri contratti quali l’usufrutto, l’affitto, anche se anteriori alla presentazione del ricorso, o mediante conferimento dell’azienda in una o più società anche di nuova costituzione. In questo caso, tuttavia, è necessario che l’affittuario, il cessionario e comunque il soggetto, diverso dal debitore, destinato a proseguire l’attività imprenditoriale assuma un preciso impegno in tal senso, garantendo, per almeno due anni, di mantenere in forza almeno il 30% dei lavoratori impiegati dal debitore al momento del deposito del ricorso nell’azienda o nel ramo d’azienda di cui è prevista la continuazione.

Dirimendo dubbi interpretativi sorti in relazione alla vigente legge fallimentare si prevede che nel concordato in continuità aziendale i creditori debbano essere soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale, ivi compresa la cessione del magazzino.

In attuazione dell’art. 6, comma 1, lettera a) della legge delega la disposizione precisa le condizioni alle quali è ammissibile una domanda di concordato esclusivamente liquidatorio, la cui sopravvivenza nel sistema risulta giustificata solo nel caso in cui ai creditori vengano messe a disposizione risorse ulteriori rispetto a quelle rappresentate dal patrimonio del debitore. In particolare, tali risorse aggiuntive devono incrementare la misura del soddisfacimento dei creditori di almeno il dieci per cento rispetto a quello assicurato da quest’ultimo.

 

Con riguardo ai presupposti per l'ammissione al concordato è chiarito che l’accesso è consentito all’imprenditore sia che sussista lo stato di crisi che quello di insolvenza. Si tratta di una precisazione necessaria, rispetto alla disciplina vigente, in quanto la crisi, alla luce della distinzione operata con l’art. 2, ha acquisito una propria dimensione autonoma e non può più considerarsi comprensiva dell’insolvenza.

Analogamente alla disciplina vigente si prevede che l'imprenditore debba proporre ai creditori un piano, il quale, in linea con la delega, deve essere fattibile.

Quanto alle modalità di soddisfacimento dei creditori la disposizione riprende in larga parte quanto già contemplato dalla legislazione vigente (art. 85).

Al fine di consentire al debitore di non impegnare immediatamente le utilità derivanti dalla continuità aziendale nel pagamento - integrale o per la parte coperta dal valore del bene su cui grava la garanzia - dei creditori il cui credito è assistito da privilegio o garantito da pegno o ipoteca, ma di utilizzarle per la gestione dell’impresa, si prevede - in attuazione del principio di delega di cui all'articolo 6, comma 1, lettera i) - che il debitore possa usufruire di una moratoria della durata massima di due anni, anziché di un anno, come già previsto dall’art. 186-bis, della vigente legge fallimentare, dalla data dell’omologazione (art. 86).

 

L'art. 87 disciplina il contenuto necessario del piano che, unitamente alla proposta rivolta ai creditori ed alla documentazione, deve essere depositato dal debitore proponente il concordato.

Il piano, per essere ammissibile, deve obbligatoriamente recare:

   le cause della crisi;

   l’illustrazione delle strategie di intervento, al fine di consentire un’informata valutazione delle possibilità di riuscita del piano, nonché, in caso di continuità diretta, la specificazione dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;

   l’indicazione degli eventuali apporti di nuova finanza;

   l’indicazione delle azioni recuperatorie e risarcitorie esercitabili, segnalando, tra queste, quelle proponibili solo dal curatore in caso di apertura della liquidazione giudiziale ed evidenziando quali siano le effettive prospettive di recupero;

   l'indicazione delle ragioni per le quali, in caso di continuità aziendale, questa deve ritenersi funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;

   l’indicazione dei tempi delle attività da porre in essere per l’esecuzione del piano, nonché degli strumenti da adottare per assicurare l’adempimento della proposta nel caso in cui le previsioni su cui il piano è fondato non si realizzino o comunque si verifichino nuove circostanze che mettano a rischio il raggiungimento degli obbiettivi prefissati;

   ove sia prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa in forma diretta, un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.

La norma, ponendosi in linea di continuità con la disciplina previgente, attribuisce ad un professionista indipendente il compito di redigere una relazione che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Nell’esercitare la delega, la riforma prevede l’obbligatorietà dell’attestazione e del suo aggiornamento nell’ipotesi di modifiche sostanziali della proposta o del piano.

In caso di continuità, il professionista indipendente deve attestare anche la funzionalità della prosecuzione dell’attività imprenditoriale al miglior soddisfacimento dei creditori.

 

La disciplina relativa al trattamento dei crediti tributari e contributivi (art. 88), alla riduzione (o alla perdita) del capitale delle società in crisi (art.89) e alle offerte concorrenti (art. 91) riproducono sostanzialmente quanto previsto dai vigenti articoli 182-ter, 182-sexies e 163-bis della legge fallimentare.

 

Lo schema non sembra dare attuazione all’art. 6, comma 1, lett. p) della legge delega, che chiedeva di disciplinare, nel concordato senza transazione fiscale, il trattamento del credito da IVA, tenendo conto anche delle sentenze della Corte di giustizia UE.

 

Si ricorda che con la sentenza della CGUE del 7 aprile 2016 pronunciata nella causa C-546/14è stata ammessa la falcidiabilità dell'imposta sul valore aggiunto in sede di concordato preventivo, a condizione che sia provata la serietà della proposta, dimostrandosi l'impossibilità di realizzare una maggiore soddisfazione sul ricavato nell'ipotesi di liquidazione, preso atto della collocazione preferenziale del credito.

 

In linea di continuità rispetto alle modifiche alla legge fallimentare introdotte con il decreto-legge n. 83 del 2015, è confermata la possibilità di presentazione di proposte alternative a quella presentata dal debitore (art. 90).

 

Il decreto-legge n. 83 del 2015 (conv. L. n. 132 del 2015) ha introdotto la possibilità per i creditori per fare proposte di concordato preventivo alternative rispetto a quella formulata dal debitore. La ratio di tale disposizione è rappresentata dalla possibilità di offrire ai creditori strumenti per impedire che il debitore presenti proposte che non rispecchino il reale valore dell'azienda.

 

La presentazione di proposte alternative non è consentita se la proposta di concordato del debitore assicura l'impegno al pagamento di almeno il 30% per cento (attualmente il 40%) dei debiti chirografari (o del 20% nel caso in cui il debitore abbia richiesto l'apertura del procedimento di allerta o utilmente avviato la composizione assistita della crisi).

Innovando rispetto a quanto previsto a legislazione vigente, è esclusa la legittimazione alla presentazione di proposta concorrente dello stesso debitore o di soggetti ad esso collegati per rapporti familiari o in quanto parti correlate (art. 90).

 

L'art. 92 ricalca quanto sostanzialmente già previsto dall'articolo 165 della legge fallimentare con riguardo alla disciplina del commissario giudiziale. Al commissario giudiziale spetta provvedere alla trascrizione del decreto di apertura quando il debitore possiede beni immobili o altri beni soggetti a pubblica registrazione (art. 93).

 

Con riguardo agli effetti della presentazione della domanda di concordato, innovative sono la previsione secondo la quale l’autorizzazione può essere concessa anche prima dell’omologazione se l’atto è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori e l’affermazione della regola secondo la quale l’alienazione e l’affitto di azienda, di rami di azienda e di specifici beni devono essere in ogni caso effettuati tramite procedure competitive, previa stima ed adeguata pubblicità, a garanzia della trasparenza della procedura ed allo scopo di assicurare il miglior risultato possibile per i creditori (art. 94).

 

Altrettanto innovative sono le disposizioni sugli effetti del concordato sui contratti pendenti (art. 97).

 

La norma di delega chiede al Governo di rivedere la disciplina dei rapporti pendenti, con riferimento alla loro possibile sospensione e scioglimento, al ruolo del commissario giudiziale e alla competenza per la determinazione per l'indennizzo (lett. h).

 

La riforma prevede che i contratti ancora ineseguiti proseguano anche durante il concordato e che il debitore possa chiedere l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento ove la prosecuzione non sia coerente con la previsione del piano, proponendo anche una quantificazione dell’indennizzo dovuto alla controparte. La controparte può opporsi alla richiesta, sulla quale decide il tribunale; l’indennizzo , equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento è determinato dal giudice e deve essere soddisfatto come credito chirografario anteriore al concordato.

 

Ricalca la disciplina vigente anche quanto previsto con riguardo all'autorizzazione al pagamento di crediti pregressi. In proposito la riforma, colmando una lacuna normativa, prevede che il tribunale possa autorizzare anche il pagamento della retribuzione dovuta per la mensilità antecedente il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione (art. 100).

 

La riforma interviene anche sulle varie tipologie di finanziamento all’impresa in crisi (artt. 99, 101 e 102).

 

La legge delega invita il Governo a prevedere il riordino e la semplificazione delle varie tipologie di finanziamento alle imprese in crisi, riconoscendo stabilità alla prededuzione dei finanziamenti autorizzati dal giudice nel caso di successiva liquidazione giudiziale o amministrazione straordinaria, salvo il caso di atti in frode ai creditori (art. 6, lett. o).

 

In particolare, per quanto riguarda i finanziamenti autorizzati prima dell’omologazione del concordato, lo schema di decreto in caso di successiva apertura della procedura di liquidazione giudiziale ne conferma la prededucibilità a meno che il curatore non dimostri che nel ricorso con il quale si chiedeva l’autorizzazione è stato dichiarato il falso e che i finanziatori ne erano a conoscenza (art. 99). Inoltre, una specifica disposizione è dedicata ai finanziamenti in esecuzione del concordato in continuità, che sono anch’essi prededucibili salva la prova della falsità delle informazioni fornite e un’altra alla prededucibilità dei finanziamenti dei soci fino all’80% del loro ammontare (art. 102).

 

Con riguardo ai provvedimenti immediati del commissario giudiziale, la riforma disciplina:

§  le formalità che il commissario giudiziale deve adempiere subito dopo la nomina e che consistono nella annotazione nei libri contabili (art. 103);

§  le modalità e i tempi di convocazione dei creditori (art. 104);

§  l'attività del commissario giudiziale prodromica all'espressione del voto e all'omologazione (art. 105);

§  le conseguenze della scoperta da parte del commissario di atti di frode o del compimento di atti di straordinaria amministrazione non autorizzati (art. 106).

 

In attuazione della delega lo schema rivede la disciplina sullo svolgimento delle operazioni di voto, prevedendo la soppressione dell'adunanza dei creditori e stabilendo che il voto debba essere espresso dai creditori per via telematica.

 

La norma di delega prevede (art. 6) che si debba eliminare l'adunanza dei creditori, disciplinando modalità telematiche per consentire ai creditori di dibattere sulle proposte ed esprimere il proprio voto e consentire qualora un solo creditore sia titolare di crediti pari alla maggioranza degli ammessi al voto, il calcolo delle maggioranze "per teste", disciplinando il conflitto di interessi (lett. f) e prevedere che il diritto di voto dei creditori con diritto di prelazione, il cui pagamento sia dilazionato, debba essere disciplinato come quello dei creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro (lett. g).

 

Sono previste, proprio per compensare l'assenza dell’adunanza quale luogo deputato a discutere della proposta di concordato ed a consentire ai creditori di chiedere chiarimenti e svolgere le loro osservazioni, puntuali modalità attraverso le quali si instaura il contraddittorio tra il commissario, il debitore, quanti abbiano eventualmente presentato proposte concorrenti ed i creditori (art. 107).

Nessuna sostanziale modifica è apportata con riguardo alla disciplina dell'ammissione provvisoria dei crediti contestati di cui al vigente art. 176 della legge fallimentare (art. 108).

 

Con riguardo alla approvazione del concordato è confermato il principio secondo il quale per l’approvazione del concordato è sufficiente che si esprimano a favore della proposta creditori titolari della maggioranza dei crediti ammessi al voto.

 

Sono previste alcune eccezioni alla regola della maggioranza nei seguenti casi:

   nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto: (in questo caso è necessario che venga raggiunta anche la maggioranza per teste dei creditori ammessi al voto);

   se sono previste diverse classi di creditori (in questo caso il concordato è approvato se la maggioranza è raggiunta anche nel maggior numero di classi);

   nel caso in cui siano ammesse al voto più proposte concorrenti (in tale caso, si considera approvata la proposta che ha ottenuto la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto) (art. 109).

 

All’esito della votazione il commissario deve redigere una relazione nella quale indica i voti favorevoli e quelli contrari, i nominativi dei votanti e l’ammontare dei loro crediti.

Tale relazione, con la documentazione relativa all’espressione del voto, deve essere depositato in cancelleria il giorno dopo la votazione (art. 110).

Nel caso in cui si raggiungano le maggioranze richieste e quindi in caso di mancata approvazione del concordato, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che con sentenza apre la liquidazione giudiziale (art. 111).

Una volta approvato il concordato si apre la fase della omologazione. Proprio con la sentenza di omologazione si chiude la procedura di concordato preventivo (art. 113).

Lo schema disciplina solo alcuni aspetti del giudizio di omologazione, rinviando per quanto non previsto alle norme del procedimento unitario (art. 112). In particolare sono riprese le vigenti disposizioni in ordine alla omologazione nel caso di contestazioni.

Nel caso di concordato attuato mediante la cessione dei beni la disciplina riproduce in larga parte quanto già previsto dal vigente art. 182 della legge fallimentare, con riguardo in particolare alla nomina (e ai requisiti) dei liquidatori e del comitato dei creditori. Nel concordato in continuità aziendale che preveda la liquidazione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell’attività, lo schema chiarisce che la liquidazione deve avvenire a cura del debitore, il cui unico obbligo è quello di assicurare ai creditori le utilità promesse e sulle quali essi hanno espresso la loro adesione (art. 114).

Di rilievo sono le previsioni relative alle azioni del liquidatore giudiziale in caso di cessione dei beni. In proposito si attribuisce al liquidatore la legittimazione all’esperimento, successivamente all’omologazione, delle azioni restitutorie, recuperatorie e dell’azione sociale di responsabilità (art. 115).

 

Con l’articolo 116 dello schema si dà attuazione alla norma di delega per le procedure di concordato riguardanti società.

 

Il comma 2 dell'articolo 6 detta specifici principi e criteri per il concordato preventivo delle società, volti a tutelare maggiormente i creditori. Nell'esercizio della delega il Governo è chiamato a: disciplinare compiutamente l'eventuale trasformazione, fusione o scissione di società che si verifichi nel corso della procedura, prevedendo che i creditori possano proporre opposizione solo in sede di controllo giudiziale sulla legittimità della domanda concordataria; che gli effetti prodotti dalle suddette operazioni siano irreversibili, anche in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, salvo il diritto al risarcimento dei soci o dei terzi danneggiati; che non spetti ai soci il diritto di recesso in conseguenza di operazioni che incidono sull'organizzazione finanziaria della società (lett. c).

 

Lo schema interviene sulla questione relativa ai rimedi concessi ai creditori avverso operazioni di trasformazione, fusione o scissione da effettuarsi in corso di procedura o dopo l’omologazione. In proposito si prevede che, se la proposta di concordato preventivo prevede il compimento, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, l’opposizione all’omologazione è l’unica forma di opposizione consentita ai creditori. Tali operazioni sono, per il resto, assoggettate alle norme del codice civile che, in generale, le disciplinano.

 

Con particolare riguardo alla previsione secondo la quale anche le operazioni destinate ad essere realizzate dopo l'omologazione del concordato debbano essere contestate attraverso l’opposizione all’omologazione, nella relazione si rileva che "vero è che la legge delega fa generico riferimento alle operazioni da compiersi durante la procedura. Tuttavia, considerato che, nella maggior parte dei casi, le operazioni di fusione o scissione sono attuate nella fase esecutiva del concordato e che l’altro principio espresso in materia dalla legge delega mira ad assicurare la stabilità degli effetti delle operazioni previste dal piano, sicché una lettura restrittiva della delega non consentirebbe di realizzare tale scopo, pare più ragionevole ritenere che il legislatore abbia fatto riferimento alla “procedura” intesa in senso ampio, comprensiva anche della fase successiva alla pronuncia della sentenza di omologazione".

 

La disciplina degli effetti del concordato per i creditori (art. 117) riprende quanto già previsto dall'articolo 184 della legge fallimentare.

La riforma risolve i dubbi che si sono manifestati con l’attuale disciplina circa gli strumenti di controllo e di intervento del tribunale nella fase esecutiva del concordato mutuandoli dall’intervento operato con l’art. 3 del D.L. n. 83 del 2015, relativamente all’esecuzione delle proposte concorrenti. Nel confermare che è compito del commissario giudiziale sorvegliare l’adempimento del concordato e riferire al giudice per ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio per i creditori e, in particolare, dell’inerzia o del ritardo del debitore nel dare esecuzione alla proposta, si prevede che il tribunale possa attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a porre in atto gli adempimenti omessi dal debitore, in violazione dell’obbligo che su di lui incombe di compiere tutto ciò che è necessario per dare esecuzione alla proposta, sia stata questa da lui presentata o sia stata omologata quella presentata da un creditore.

Nel caso in cui la proposta omologata sia quella presentata da uno o più creditori l’iniziativa della denuncia dei ritardi o delle omissioni del debitore può essere dagli stessi assunta con ricorso da notificarsi al debitore e al commissario giudiziale che può contenere anche la richiesta al tribunale di attribuzione dei poteri di cui sopra a quest’ultimo oppure di revoca dell’organo amministrativo, se si tratta di società, e di nomina di un amministrazione giudiziario, fatti salvi i diritti di informazione e di voto dei soci di minoranza.

 

La disciplina dell’esecuzione del concordato è contenuta nell’art. 118 dello schema, che riprende in parte l’art. 185 LF.

 

In merito, si ricorda che l’art. 6 comma 2 della legge delega, impone agli organi della società il dovere di dare tempestiva attuazione alla proposta omologata, stabilendo che, in caso di comportamenti dilatori od ostruzionistici, l'attuazione possa essere affidata ad un amministratore provvisorio, nominato dal tribunale, dotato dei poteri spettanti all'assemblea ovvero del potere di sostituirsi ai soci nell'esercizio del voto in assemblea, con la garanzia di adeguati strumenti d'informazione e di tutela, in sede concorsuale, dei soci (lett. b).

La legge delega, inoltre, prevede all’art. 6, comma 1, che sia disciplinata in modo più dettagliato la fase di esecuzione del piano, anche con riguardo agli effetti purgativi e alla deroga alla solidarietà passiva di cui all'articolo 2560 del codice civile, con possibilità per il tribunale di affidare ad un terzo il compito di porre in essere gli atti necessari all'esecuzione della proposta concordataria (lett. l). La stessa disposizione delega inoltre il Governo a riordinare la disciplina della revoca, dell'annullamento e della risoluzione del concordato preventivo, prevedendo la legittimazione del commissario giudiziale a richiedere, su istanza di un creditore, la risoluzione del concordato per inadempimento (lett. m).

 

In merito, lo schema prevede che il tribunale provvede in camera di consiglio, sentiti il debitore e il commissario giudiziale, e, nel caso nomini un amministratore giudiziario, determina la durata dell’incarico e i poteri che possono essere particolarmente ampi, comprendendo, se il piano prevede un aumento del capitale sociale, quello di convocare l’assemblea e l’esercizio nella stessa del diritto di voto per le azioni o quote facenti capo al socio di maggioranza (art. 118). In attuazione della delega, inoltre, è introdotta una disposizione specifica per l’ipotesi di cessione dell’azienda, volta a liberare l’acquirente dai debiti pregressi.

Il concordato omologato è soggetto a risoluzione o annullamento. Se la disciplina relativa all'annullamento del concordato riprende sostanzialmente quella vigente (art. 120), la disciplina relativa invece alla risoluzione del concordato presenta una rilevante novità rispetto alla normativa vigente. Lo schema prevede in particolare (art. 119) che la legittimazione ad agire per la risoluzione spetti non soltanto ai creditori ma anche al commissario giudiziale ove un creditore gliene faccia richiesta.

 

La Relazione illustrativa motiva l’attribuzione anche al commissario giudiziale della legittimazione con l’esigenza di evitare che vi siano procedure concordatarie che si prolungano per anni ineseguite in quanto i creditori, spesso scoraggiati dall’andamento della procedura e preoccupati dei costi per l’avvio di un procedimento giudiziale, non si vogliono assumere l’onere di chiederne giudizialmente la risoluzione.

 


 

Titolo V
(Liquidazione giudiziale)

 

Il Titolo V ha per oggetto la “liquidazione giudiziale”, e cioè la procedura che sostituisce il fallimento - del quale conserva le caratteristiche essenziali - finalizzata a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente, ripartendo il ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti. La finalità della riforma è quella di rendere più snella ed efficiente la procedura, nella quale particolare centralità è data alla figura del curatore.

 

Come già ricordato, la legge delega, all’art. 2, comma 1, lett. a) prevede tra i principi e criteri cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, la sostituzione del termine «fallimento» e i suoi derivati con l'espressione «liquidazione giudiziale», adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, la definizione della procedura muove dal presupposto che il fallimento ha perso negli anni la sua connotazione di strumento volto ad espellere dal mercato l’imprenditore insolvente, gravato anche dal marchio della colpevole incapacità di corretta gestione degli affari. La mancata riuscita dell’attività imprenditoriale non è dunque valutata quale esclusiva conseguenza di colpevole inettitudine o di attività fraudolente, ma quale possibile evento che può interessare un’attività intrinsecamente connotata dal rischio economico.

 

Il Titolo V è strutturato in 10 Capi.

Imprenditori individuali e società

Il Capo I, dedicato agli imprenditori individuali e alle società, è ripartito in 5 sezioni.

Presupposti della liquidazione e organi preposti

La Sezione I (articoli da 121 a 141) contiene le disposizioni relative ai presupposti della liquidazione e agli organi ad essa preposti.

L’ambito di applicabilità soggettivo ed oggettivo della liquidazione giudiziale è definito dall’articolo 121. Dal punto di vista soggettivo sono escluse dalla liquidazione giudiziale, in quanto assoggettate ad una specifica procedura semplificata denominata liquidazione controllata del sovraindebitato, l'impresa minore (definita nell'art. 2 comma l, lett. d)), e l'impresa agricola. Dal punto di vista oggettivo il presupposto è la sussistenza dello stato di insolvenza quale definito, in continuità con l'attuale disciplina, nell'art. 2, comma lett. b) (vedi ante).

Con gli articoli 122 e 123 vengono stabilite, riproducendo sostanzialmente l'attuale disciplina, le funzioni del tribunale concorsuale che è l'organo apicale della procedura ed opera in composizione collegiale e del giudice delegato che ha poteri di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura che è affidata alla diretta gestione del curatore fallimentare.

I poteri del tribunale concorsuale sono disciplinati dall’art. 122 che riproduce il contenuto dell’attuale disciplina relativa al tribunale fallimentare (art. 23 LF.). L’unica modifica attiene alla necessaria motivazione dei decreti del tribunale.

Anche la disposizione (art. 123) sui poteri del giudice delegato non presenta sostanziali novità: le uniche modifiche rispetto alla normativa vigente (art. 25 LF) consistono:

§  nell’eliminazione del termine di quindici giorni, per decidere sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori;

§  nella possibilità di disporre che il curatore presenti relazioni ulteriori rispetto a quelle previste dall’articolo 130, prescrivendone le modalità.

La disciplina del reclamo avverso i decreti del tribunale concorsuale e del giudice delegato (art. 124), riproduce sostanzialmente l’attuale disciplina (art.  26 l. fall) attribuendo la legittimazione attiva al curatore, al comitato dei creditori, al debitore e a qualunque interessato.

La novità più rilevante attiene alla possibilità di abbreviazione dei termini quando ricorrono particolari ragioni di urgenza.

 

Con gli articoli da 125 a 137 – che riproducono sostanzialmente gli articoli da 27 a 39 della legge fallimentare - vengono definite la procedura di nomina nonché  le prerogative e le funzioni del curatore, che riveste la qualifica di pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni a lui affidate, ossia in particolare la cura e la gestione diretta del patrimonio debitorio.

 

Al curatore, il cui ruolo e funzioni sono disciplinate dagli artt. 27-39 della LF, il legislatore ha attribuito, tramite gli interventi di riforma succedutisi nel tempo importanti poteri, riducendo, di riflesso, quelli del giudice delegato, che ai sensi dell'art. 25 della L.F.: “…esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità' della procedura”. Già attualmente quindi le funzioni di controllo e di gestione sono scisse, riconoscendo al curatore l'amministrazione del patrimonio fallimentare e il compito di porre in essere tutte le operazioni della procedura di propria competenza, al giudice delegato e al comitato dei creditori (art. 31 L.F.) il potere di vigilanza.

 

 

L’art. 7, comma 2 della legge n. 155 del 2017 delega il Governo ad adottare misure dirette a rendere più efficace la funzione del curatore:

a) integrando la disciplina sulle incompatibilità tra gli incarichi assunti nel succedersi delle procedure;

b) definendo i poteri di accertamento e di accesso a pubbliche amministrazioni e a banche di dati, per assicurare l'effettività dell'apprensione dell'attivo, anche responsabilizzando il debitore;

c) specificando il contenuto minimo del programma di liquidazione;

d) chiarendo l'ambito dei poteri giudiziali di cui all'articolo 108, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in ipotesi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita;

e) attribuendo al curatore, previa acquisizione delle prescritte autorizzazioni, i poteri per il compimento degli atti e delle operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società, previsti nel programma di liquidazione, assicurando un'adeguata e tempestiva informazione dei soci e dei creditori della società nonché idonei strumenti di tutela, in sede concorsuale, degli stessi e dei terzi interessati.

 

La disciplina concernente la nomina del curatore (art. 125) corrisponde agli attuali articoli 27 e 28 della legge fallimentare.

Ad essa provvede il tribunale concorsuale nella sentenza che apre la liquidazione giudiziale. Con riguardo ai requisiti, essi sono contenuti nell’articolo 358 delle disposizioni di attuazione del provvedimento in esame e corrispondono in larga parte a quelli attualmente previsti dall’articolo 28 della legge fallimentare.

 

L’art. 358 prevede che il curatore, (così come il commissario giudiziale e il liquidatore) sia scelto tra gli iscritti agli albi degli avvocati e dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, o tra gli studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse siano iscritti agli albi degli avvocati e dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (in tal caso, all'atto dell'accettazione dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura), oppure tra coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

 

Con riguardo alle cause di incompatibilità, esse sono altresì disciplinate dal citato articolo 358 (comma 2) il quale regola altresì i casi del conflitto di interessi con la procedura, quali cause impeditive della nomina.

 

Al riguardo la legge delega, all’art. 7, comma 2, lett a) prescrive al Governo adottare misure dirette a rendere più efficace la funzione del curatore, anche integrando la disciplina sulle incompatibilità tra gli incarichi assunti nel succedersi delle procedure.

 

Il comma 3 dell’art. 358 indica i criteri di valutazione ai fini della nomina,  che deve tener conto: delle risultanze dei rapporti riepilogativi e finali di procedure concluse che il curatore deve redigere e quindi della diligenza dimostrata nella gestione della procedura quale dovrebbe emergere dalle citate relazioni; di quanto emerge dalla gestione degli incarichi in corso in relazione alla necessità di assicurare l’espletamento diretto, personale e tempestivo delle funzioni; delle esigenze di trasparenza e di turnazione nell’assegnazione degli incarichi, valutata l’esperienza richiesta dalla natura e dall’ oggetto dell’incarico.

 

Sono inoltre richiamate (dall’art. 125, comma 3 come già dall’art. 28 LF), le disposizioni del codice antimafia sulla dichiarazione di incompatibilità (art. 35.1), sulla vigilanza del Presidente della Corte d’Appello (l’art. 35.2). sulle incompatibilità (l’art. 35 co. 4 bis). 

 

Si ricorda che in realtà il richiamo a tali disposizioni del codice antimafia  era stato già inserito nella legge fallimentare (art. 28) dal d.lgs. 18 maggio 2018, n. 54, Disposizioni per disciplinare il regime delle incompatibilità degli amministratori giudiziari, dei loro coadiutori, dei curatori fallimentari e degli altri organi delle procedure concorsuali, in attuazione dell'articolo 33, commi 2 e 3, della legge 17 ottobre 2017, n. 161.

 

Con riferimento all’accettazione del curatore nonché alla disciplina delle sue funzioni con particolare riferimento alla possibilità di nominare un delegato (art. 129) non si evidenziano sostanziali novità rispetto alla vigente disciplina (artt. 29-32 l. fall), ad eccezione delle seguenti disposizioni:

§  una volta intervenuta l’accettazione, al curatore vengono comunicate dall’ufficio le credenziali di accesso al domicilio digitale assegnato alla procedura dal Ministero della giustizia (art. 126, comma 2);

§  è ribadita l’impossibilità del curatore di assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano la liquidazione giudiziale, ma è introdotta l’eccezione concernente i giudizi tributari in cui è parte il debitore sempre che il curatore abbia la qualifica previste per il patrocinio avanti tale giurisdizione e ciò sia funzionale contribuisca a ridurre i costi della procedura

La relazione motiva tale scelta con la considerazione che si tratta di giudizi per i quali è importante una compiuta conoscenza della situazione contabile e delle vicende economiche dell’impresa.

 

Contiene invece diverse novità la disciplina concernente obblighi informativi del curatore (art. 130).

 

La legge delega, art. 7, comma 2, lett. e) prevede, tra l’altro, che il curatore assicuri un’adeguata e tempestiva informazione dei soci e dei creditori della società.

 

Rispetto infatti a quanto previsto nell’art. 33 LF:

§  è ridotto da 60 a 30 giorni il termine, che decorre dall’apertura della procedura,  entro il quale il curatore deve presentare al giudice delegato una relazione contenente l’informazione circa gli accertamenti compiuti, e quanto è stato accertato sulle cause dell’insolvenza nonché sull’eventuale responsabilità del debitore, degli amministratori o degli organi di controllo;

§  sono introdotte alcune previsioni che dispongono nuovi obblighi informativi a carico del curatore:  la segnalazione al pubblico ministero, nel caso in cui  il debitore non abbia depositato copia dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori oppure se le scritture contabili siano incomplete o inattendibili. In tal caso, il curatore, oltre ad accedere alle banche dati delle pubbliche amministrazioni, deve reperire la documentazione idonea a ricostruire la situazione economica e finanziaria dell’impresa acquisendo, con l’autorizzazione del giudice, tutti i dati, le informazioni e la documentazione indicati dalla norma. Un’ulteriore relazione deve essere trasmessa dal curatore entro 60 giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (180 giorni se non si fa luogo all’accertamento del passivo). In particolare, il curatore deve riferire in modo particolareggiato in ordine alla sussistenza della responsabilità del debitore o di terzi, evidenziando tutti gli elementi informativi acquisiti e rilevanti ai fini delle indagini preliminari in sede penale. Specifici obblighi informativi sono introdotti se il debitore insolvente è una società o un ente e fa parte di un gruppo.

§  sono introdotte alcune nuove norme, in ordine ai rapporti riepilogativi che il curatore deve presentare: il primo entro quattro mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e gli altri ogni sei mesi. Le novità attengono in particolar modo ai termini di presentazione nonché ai termini entro i quali il comitato dei creditori può presentare osservazioni al suddetto rapporto riepilogativo e i termini entro i quali il rapporto è trasmesso al debitore e agli altri soggetti specificati.

 

La disciplina del deposito delle somme riscosse (art. 131) riprende parzialmente quanto previsto dall’art. 34 LF.

 

Si prevede dunque, così come nella disciplina vigente, l’obbligo di immediato deposito da parte del curatore di quanto riscosso a qualunque titolo nel conto aperto presso un ufficio postale o una banca a sua scelta, sanzionando con l’eventuale revoca l’inadempimento. Il prelievo di somme può essere eseguito solo su mandato di pagamento del giudice delegato così come nella vigente disciplina.

 

Le novità attengono in particolare:

§  alla soppressione della possibilità - da parte del comitato dei creditori su proposta del curatore - di investire, in tutto o in parte, le somme riscosse a qualsiasi titolo dal curatore con strumenti diversi dal deposito in conto corrente, comunque garantendo l'integrità del capitale. Si stabilisce inoltre che, nel periodo di intestazione “Fondo unico giustizia” del conto corrente, il prelievo delle somme sia eseguito su disposizione di Equitalia Giustizia SpA (gestore del Fondo ai sensi del comma 1, articolo 2, D.L. n. 143 del 2008).

 

Al riguardo si segnala che le novità introdotte col provvedimento in esame riproducono le disposizioni già previste dalla legge di bilancio 2018 (art. 1, comma 471, legge n. 205 del 2017) di modifica del citato articolo 2 del DL 143/2008, la cui entrata in vigore era tuttavia subordinata all’adozione di un decreto ministeriale che avrebbe dovuto determinare le modalità di attuazione delle stesse. Il medesimo decreto avrebbe dovuto individuare il tasso di interesse attivo di riferimento che la banca o l’ufficio postale scelto dal curatore deve riconoscere, al fine di garantire l’ordinario rendimento finanziario delle somme riscosse a qualsiasi titolo e successivamente depositate dal medesimo curatore. Tale decreto non è ancora stato emanato.

 

§  alle modalità di trasmissione telematica del mandato secondo le modalità da definirsi con decreto del Ministro della Giustizia. Al riguardo è rimessa al responsabile dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia l’adozione,  entro un anno dall’entrata in vigore del decreto in esame, del provvedimento attestante la piena funzionalità dei sistemi di redazione e trasmissione telematica, alla cui pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale è subordinata l’efficacia della disposizione.

 

La disciplina relativa all’integrazione dei poteri del curatore (art. 132), al reclamo contro gli atti e le omissioni nonché alla revoca del curatore stesso (artt. 133 e 134) riproduce sostanzialmente quanto attualmente previsto dagli articoli da 35 a 37 LF.

 

Alcune novità si registrano nella disciplina della responsabilità del curatore (art. 137). In particolare si prevede:

§  in conformità a quanto previsto dalla legge delega, la tenuta di un registro informatico, consultabile telematicamente, oltre che dal giudice delegato, da ciascuno dei componenti del comitato dei creditori e in cui il curatore deve annotare giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione, apponendo la firma digitale e la marca temporale, nonché la tenuta della contabilità dell'impesa;

 

L’articolo 7, comma 3 della legge delega prevede che al fine di semplificare la gestione delle procedure meno complesse, le funzioni del comitato dei creditori possono essere sostituite con forme di consultazione telematica del ceto creditorio, anche nelle modalità del silenzio-assenso

 

§  la limitazione della legittimazione a proporre l’azione di responsabilità nei confronti del curatore revocato o sostituito al nuovo curatore (e non più anche al comitato dei curatori), previa autorizzazione del giudice delegato;

§  la contemporaneità tra le operazioni di liquidazione e le operazioni di accertamento del passivo da parte del curatore;

§  specifiche disposizioni in ordine alla presentazione del  rendiconto sia nel caso in cui il curatore cessi dall’ufficio, anche se ciò avvenga nel corso della procedura di liquidazione giudiziale, sia in quello in cui vi sia una permanenza nell'incarico anche dopo la chiusura della procedura per la pendenza di giudizi o di altre operazioni e l'incarico cessi con il termine degli stessi;

§  l’attribuzione al responsabile dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, del compito, sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, di stabilire le specifiche tecniche necessarie per assicurare la compatibilità tra i software utilizzati per la tenuta del registro con i sistemi informativi del Ministero della giustizia.

 

Con riferimento al compenso del curatore (art. 137), le novità rispetto alla disciplina vigente (art. 39 LF) sono individuabili nelle seguenti:

§  la previsione di un’integrazione del compenso per l’attività svolta fino al termine dei giudizi e delle altre operazioni di chiusura della procedura;

§  l’individuazione dei criteri per la ripartizione del compenso ta il curatore e gli esperti nominati ai sensi dell'articolo 49 comma 3, lett. b).

 

La disciplina del comitato dei creditori (artt. da 138 a 141) riproduce sostanzialmente quella vigente (artt. 40 e 41 l. fall).

 

Il comitato dei creditori è l'organo rappresentativo dei creditori in quanto si pone come necessario interlocutore del curatore nella gestione del patrimonio oggetto della liquidazione. La composizione può essere di tre o cinque membri e deve essere rappresentativo delle varie tipologie di creditori, viene nominato dal giudice delegato che vi deve provvedere entro trenta giorni dalla sentenza che apre la liquidazione giudiziale tenendo presenti le indicazioni sui possibili componenti desumibili dalla documentazione già acquisita (e quindi anche di quella presentata nell'ambito del procedimento unitario), dalle informazioni che può fornire ·il curatore, dalle manifestazioni di diponibilità eventualmente espresse dai creditori nelle domande di ammissione al passivo o precedentemente. Si prevede l'obbligo di astensione del componente del comitato che si trovi in conflitto di interessi e la possibilità che un componente possa delegare, a sue spese e previa comunicazione al giudice delegato, a un avvocato o un dottore commercialista l'espletamento delle sue funzioni (l’esplicitazione dell’assunzione dell’onere delle spese da parte del componente che intende delegare le funzioni  ad un avvocato o dottore commercialista rappresenta l’unico elemento di novità rispetto alla normativa vigente).

 

Effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale per il debitore

La Sezione II del Capo I del Libro V (artt. da 142 a 149) disciplina gli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale per il debitore, riproducendo sostanzialmente la disciplina vigente (artt. da 42 a 49 LF), aggiornando in conformità ai criteri di delega la terminologia relativa al “fallito” che viene sostituito dal “ debitore”.

 

E’ infatti confermato il pieno spossessamento (art. 142) del debitore dal momento della pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale in conseguenza del quale ogni successivo atto del· debitore risulta inefficace (art. 144). Lo spossessamento riguarda sia l’ amministrazione dei beni, la cui gestione viene affidata al curatore, sia la disponibilità dei medesimi e quindi la legittimazione a compiere atti dispositivi del patrimonio destinato alla liquidazione anch'essa affidata al curatore, come l'esclusiva legittimazione processuale (art. 143). La disciplina dei beni esclusi dallo spossessamento debitorio che sono tutti i beni di carattere strettamente personale anche se a contenuto patrimoniale è contenuta nell’art. 146, mentre l'art. 147 disciplina la possibilità di concedere un sussidio al debitore a titolo di alimenti per lui e la sua famiglia e l'uso dell'abitazione fino alla sua liquidazione. Al riguardo, l’unico elemento di novità rispetto alla disciplina vigente è la specificazione che non solo la casa della quale il debitore è proprietario, ma anche quella in relazione alla quale sia titolare di altro diritto reale nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della famiglia, non possa essere distratta da tale uso fino alla sua liquidazione.

La disposizione contenuta all'art. 148 specifica che il debitore persona fisica, è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nella liquidazione giudiziale. L’articolo 149 specifica gli obblighi di comunicazione al curatore.

 

Effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale per i creditori

La Sezione III del Capo I del Libro V (artt. da 150 a 162) contiene la disciplina relativa  agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale per i creditori e riproduce in larga parte, con i necessari adattamenti lessicali, la disciplina vigente (artt da 51 a 63 LF)

Resta infatti fermo il principio fondamentale dell'intangibilità del patrimonio del debitore dal momento dell’apertura della procedura liquidatoria (art. 150), il cui ricavato deve essere distribuito in ossequio alla regola della par condicio creditorum. Altro principio fondante (art. 151) è quello che prevede che tutte le pretese a contenuto patrimoniale, compresi i crediti prededucibili, da far valere sul ricavato della liquidazione, debbono essere accertate secondo il rito della verifica del passivo.

Continua a fare eccezione a tale principio il  caso dei creditori muniti di pegno o privilegio su beni mobili (art.152) che possono essere autorizzati alla vendita dal giudice delegato. Con riguardo a tale disciplina si segnalano le seguenti novità rispetto alla disciplina vigente (art. 53 LF):

§  il giudice delegato può assegnare i beni al creditore che ne ha fatto istanza. Il giudice provvede, acquisita la valutazione dei beni oggetto del provvedimento di autorizzazione o di assegnazione.

§  se il ricavato della vendita, al netto delle spese o, in caso di assegnazione, il valore di stima è superiore all’importo del credito ammesso al passivo con prelazione, il creditore ne versa al curatore l’eccedenza.

 

Con riguardo alla disciplina del diritto dei creditori privilegiati nella ripartizione dell’attivo (articolo 153) le novità concernono invece l’estensione del privilegio dei crediti in questione anche alle spese necessarie per la sua gestione nell'ambito della procedura e a quelle necessarie per la costituzione e manutenzione del privilegio.

 

Gli articoli da 154 a 162 riproducono sostanzialmente, con limitate modifiche di ordine lessicale la disciplina dell'attuale legge fallimentare in merito: ai crediti pecuniari (art. 154); alla possibilità di opporre in compensazione a un debito nei confronti del soggetto sopposto al liquidazione giudiziale un controcredito anche non scaduto prima dell'apertura (art. 155); ai crediti infruttiferi (art.156); alle obbligazioni ed altri titoli di debito (art. 157);  ai crediti non pecuniari (art. 158);  alla rendita vitalizia (art. 159); ai creditori di più coobbligati in solido (art. 160); al creditore di più coobbligati solidali parzialmente soddisfatto (art. 161); al coobbligato o fideiussore con diritto di garanzia (art. 162).

 

Effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori

La Sezione IV del Capo I del Libro V (artt. da 163 a 171) contiene la disciplina relativa  agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori.

Il principio base resta quello della par condicio creditorum, secondo il quale il patrimonio da liquidare deve essere ricostruito nella situazione preesistente all'apertura della successione. Tale obiettivo è raggiunto anche attraverso lo strumento giuridico dell'inefficacia, nei confronti della massa dei creditori, degli atti che hanno modificato in pejus la consistenza o la qualità del patrimonio del debitore. In tale prospettiva, recependo quanto previsto della legge delega (art. 7, comma 4, lett. b)), viene stabilito (art. 163) che la data da cui calcolare il periodo sospetto dal quale considerare eventuali atti compiuti in danno dei creditori, è quella del deposito dell'istanza con cui si chiede l'apertura della liquidazione, periodo che si estende sino alle operazioni di apertura della procedura in esame.

 

L’art. 7, comma 4, lett.b) della legge delega prevede quale specifico principio cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega quello di  “far decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatoria, a ritroso, dal deposito della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale. La medesima disposizione fa salvo quanto previsto dall’art. 69-bis, secondo comma LF, ossia il caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua l’apertura del fallimento (ora  della liquidazione giudiziale): in tale caso i termini decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

 

Con riferimento alla disciplina dei pagamenti di crediti non scaduti e postergati (art. 164)  ne viene stabilita l'inefficacia per quelli effettuati dopo il deposito della domanda in esito alla quale è stata aperta la liquidazione o nei due anni anteriori. Ulteriore novità riguarda l’inefficacia rispetto ai creditori dei rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società se sono stati eseguiti dal debitore oppure da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti, dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell'anno anteriore.

E’ invece riproposta senza modifiche la disciplina dell’azione revocatoria ordinaria degli atti inefficaci avanti al tribunale che ha aperto la liquidazione giudiziale, cui è legittimato il curatore (art. 165).

 

Con riguardo alla disciplina (art.166) degli atti a titolo oneroso revocabili senza che il curatore debba provare la conoscenza in capo alla controparte dello stato di insolvenza in cui versava il debitore, la novità rispetto alla disciplina vigente (art. 67 LF) consiste nell’introduzione del riferimento temporale del compimento di essi dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale.

Con riferimento agli atti esclusi dall’azione revocatoria, è confermata l’esclusione degli atti, dei pagamenti effettuati e delle garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano di risanamento (ai sensi degli artt. 56 e 284). Al riguardo è però introdotta una nuova disposizione in base alla quale l’esclusione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia.

 

Nessuna novità presentano, rispetto alla disciplina vigente, le disposizioni concernenti i patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 167) e quelle relative al pagamento di cambiale scaduta (art. 168), che riproducono gli artt. 67 e 68 LF

La disciplina degli atti compiuti da coniugi presenta rispetto alle norme vigenti (art. 69 LF) alcune differenze consistenti nell’estensione della disciplina stessa  agli atti compiuti tra parti di un'unione civile tra persone dello stesso sesso o conviventi di fatto e nel riferimento temporale, per gli atti a titolo gratuito compiuti tra le stesse persone, fissato a più di due anni prima della data di deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 169).

E’ confermata in tre anni dall’apertura della liquidazione giudiziale la possibilità per il curatore di proporre l'azione revocatoria e di inefficacia (art. 170); la disciplina degli effetti della revocazione (art. 171) riproduce la disciplina vigente (art. 70 LF).

 

Effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti

La Sezione V del Capo I del Libro V (artt. da 172 a 192) contiene la disciplina relativa  agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti.

 

L’articolo 7 comma 6 della legge delega prevede specificamente che la disciplina dei rapporti giuridici pendenti sia integrata:

a) limitando la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, compreso l'esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura;

b) prevedendo lo scioglimento dei contratti aventi carattere personale che non proseguano con il consenso della controparte;

c) dettando un'autonoma regolamentazione del contratto preliminare, anche in relazione alla disciplina degli immobili da costruire.

 

Rispetto alla disciplina vigente resta ferma la sospensione dei contratti che alla data di apertura della liquidazione giudiziale risultino ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti, finché il curatore non subentri in luogo del debitore nel contratto, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi, ovvero dichiari di sciogliersi dal medesimo salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.

 

La novità consiste invece (art. 172), nella disposizione che prevede che in  caso di prosecuzione del contratto, sono prededucibili soltanto i crediti maturati nel corso della procedura. Ciò in ossequio del citato criterio della legge delega (art. 7, comma 6, lett. a)).

 

In attuazione dello specifico criterio di delega di cui all’art. 7, comma 6, lett. c), l 'articolo 173 interviene dettando un’autonoma disciplina dello scioglimento di contratto preliminare di vendita immobiliare.

Al riguardo viene introdotta una specifica disposizione (art. 173, comma 1) secondo la quale il curatore può sciogliersi dal contratto preliminare di vendita immobiliare, anche se il promissario acquirente abbia proposto prima dell’apertura  della liquidazione giudiziale, domanda di esecuzione in forma specifica (art. 2932 c.c.). Tuttavia lo scioglimento non è opponibile al promissario acquirente, se la domanda è stata trascritta e successivamente accolta.

E’ confermata l’impossibilità di sciogliere il contratto preliminare di vendita regolarmente trascritto, avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale del promissario acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa del promissario acquirente; tuttavia viene introdotta una nuova disposizione che esclude  tale impossibilità se gli effetti della trascrizione siano cessati anteriormente alla data dell’apertura della liquidazione giudiziale e il promissario acquirente ne chieda l’esecuzione nel termine e secondo le modalità stabilite per la presentazione delle domande di accertamento dei diritti dei terzi sui beni compresi nella procedura.

E’ inoltre specificato che nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, l’immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui si trova. Gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato.

Infine, in attuazione di quanto previsto dalla legge delega (art. 7, comma 2, lett.d)), è previsto che il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordini con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo.

 

L’art. 7, comma 2, lett d) della legge delega prevede che il Governo, in sede di attuazione della delega, chiarisca l'ambito dei poteri giudiziali di cui all'articolo 108, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in ipotesi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita.

Si ricorda al riguardo, che l’art. 108, secondo comma, LF. prevede che, per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, con decreto del giudice delegato sono cancellate le iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché le trascrizioni dei pignoramenti, i sequestri conservativi e ogni altro vincolo.

 

La disciplina dei contratti relativi ad immobili da costruire (art. 174) riproduce integralmente la vigente disciplina contenuta nella legge fallimentare (art. 72-bis).

Una nuova specifica disposizione concerne invece i contratti di carattere personale, che, l’art. 175 individua in quelli in cui la considerazione della qualità soggettiva della parte nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è stata motivo determinante del consenso.

In ossequio a quanto previsto dalla legge delega (art. 7, comma 6, lett.b)) si dispone che tali contratti si sciolgono per effetto dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di uno dei contraenti, ia meno che il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori e il consenso dell’altro contraente, manifesti la volontà di subentrarvi, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi

 

In linea con la normativa vigente e priva di sostanziali elementi innovativi appare la disciplina:

§  degli effetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affare (art. 176 che ricalca il vigente art. 72-ter LF);

§  della locazione finanziaria (art. 177 che riprende il contenuto dell’art. 72-quater); al riguardo l’unica novità concerne la stima dalla nuova allocazione del bene che deve essere disposta in sede di verifica del passivo e salvo conguaglio in sede di riparto sulla base del ricavato effettivo;

§  della vendita con riserva di proprietà (art. 178 che riproduce sostanzialmente il contenuto dell’art. 73 LF); al riguardo la sola novità concerne la possibilità – nel caso in cui il curatore si sciolga dal contratto - di compensare il diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa a favore del venditore, con il credito avente ad oggetto la restituzione delle rate pagate;

§  della restituzione di cose non pagate (art. 180 che riproduce il contenuto dell’art. 75 LF):

§  del contratto di borsa a termine (art.181 che riproduce il contenuto dell’art. 76 LF);

§  dell’associazione in partecipazione (art.182 che riproduce il contenuto dell’art. 77 LF);

§  del conto corrente, mandato e commissione (art.183 che riproduce il contenuto dell’art. 78 LF);

§  del contratto di locazione di immobili (art. 185 che riproduce il contenuto dell’art. 80 LF);

§  del contratto di appalto (art. 186 che riproduce il contenuto dell’art. 81 LF):

§  del contratto di assicurazione (art. 187 che riproduce il contenuto dell’art. 82 LF); al riguardo l’unica novità nell’introduzione di una specifica disposizione ai sensi della quale se il curatore comunica di voler subentrare nel contratto, il credito dell'assicuratore è soddisfatto in prededuzione per i premi scaduti dopo l’apertura della liquidazione giudiziale;

§  del contratto di edizione (art. 188 che riproduce il contenuto dell’art. 83 LF):

 

Hanno invece carattere innovativo, rispetto alla normativa vigente le disposizioni concernenti:

§  la disciplina dei contratti ad esecuzione continuata o periodica (art. 179); rispetto a quanto previsto nel corrispondente art. 74 LF, è introdotta la previsione, ai sensi della quale, in caso di subentro in tale tipologia contrattuale,  il curatore è obbligato al pagamento delle sole prestazioni avvenute dopo l’aperura della liquidazione; contestualmente si prevede che il creditore possa chiedere l’ammissione al passivo del prezzo delle consegne avvenute e dei servizi erogati prima dell’apertura della liquidazione giudiziale;

§  la disciplina relativa al contratto di affitto di azienda (art. 184); la nuova disciplina differenzia il caso di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente, da quello in cui invece il debitore sia l'affittuario. Nel primo caso è prevista la prosecuzione del rapporto, salva la possibilità per il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, di recedere entro sessanta giorni corrispondendo alla controparte un equo indennizzo che, nel dissenso delle parti, è determinato dal giudice delegato e può essere insinuato al passivo come credito concorsuale e quindi non in prededuzione. Nel secondo caso, il rapporto prosegue, ma il curatore può recedere, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, senza limiti di tempo, corrispondendo al concedente un equo indennizzo, da liquidarsi dal giudice delegato in caso di mancato accordo, e da insinuarsi al passivo come credito concorsuale.

In attuazione di uno specifico principio contenuto nell’art. 7, comma 7, della legge delega l'articolo 189 dedicato ai rapporti di lavoro subordinato, è volto a coordinare la procedura di liquidazione giudiziale con le disposizioni in materia di diritto del lavoro per quanto attiene il licenziamento.

 

L’art. 7, comma 7, della norma di delega afferma che la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato deve essere coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di insinuazione al passivo.

 

In generale, la norma segue il principio per cui la liquidazione giudiziale, nei casi diversi dall’assunzione dell’esercizio dell’impresa da parte del curatore, comporta la sospensione dei rapporti di lavoro in attesa delle decisioni del curatore e mantiene le regole generali del recesso, introducendo però una semplificazione per la procedura di licenziamento collettivo. Più in particolare:

§  il recesso da parte del curatore, deve essere comunicato per iscritto e il diritto all’indennità sostitutiva in caso di mancato preavviso è ammessa al passivo come credito anteriore all'apertura della liquidazione;

§  la disciplina si applica anche a rapporti diversi da quello a tempo indeterminato. Per esigenze di celerità e certezza della procedura è previsto che se entro quattro mesi il curatore non comunica il subentro, i rapporti di lavoro si intendono risolti dalla data di apertura della liquidazione giudiziale;

§  è previsto che,  nei casi in cui sia ipotizzabile la ripresa dell'attività o il trasferimento a terzi dell'azienda, il giudice delegato, anche su istanza di singoli lavoratori, può accordare una proroga termine dei quattro mesi, decorso il quale, tuttavia, senza che ci sia stato esercitato il subentro i rapporti di lavoro si intendono risolti;

§  le eventuali dimissioni del lavoratore trascorsi quattro mesi dall'apertura della liquidazione giudiziale, vengono equiparate al recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c.;

§  sono richiamate espressamente le disposizioni previste dagli articoli 4, comma l e 24, comma l, della legge 23 luglio 1991, n. 223 in tema di licenziamento collettivo (a cui l’impresa può ricorrere qualora ritenga di non poter garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi) alle quali il curatore dovrà adeguarsi nella procedura di licenziamento conseguente alla liquidazione giudiziale;

§  sono disciplinate l’indennità sostitutiva del preavviso, il trattamento di fine rapporto e il c.d. contributo Naspi, che, ai fini dell’ammissione al passivo sono considerati come crediti anteriori all’apertura della liquidazione giudiziale;

§  durante l'esercizio dell'impresa del debitore in liquidazione giudiziale da parte del curatore, i rapporti di lavoro subordinato in essere proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderli o esercitare la facoltà di recesso.

 

Una specifica disposizione (art. 190) prevede che al lavoratore si applichi il trattamento "Naspi", secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, in tema di ammortizzatori sociali.

 

Si ricorda che la NASpI (Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego) (istituita dal D.Lgs. 22/2015) è uno strumento di sostegno al reddito che, con decorrenza 1° maggio 2015, assicura un trattamento a favore di lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. In particolare, il diritto al trattamento è subordinato alla sussistenza congiunta dei seguenti requisiti: stato di disoccupazione; almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione; 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione.

 

L’articolo 191 prevede l'applicazione al trasferimento di azienda nell'ambito della procedura di liquidazione, concordato preventivo e al trasferimento di azienda in esecuzione di accordi di ristrutturazione, della disposizione secondo cui, nel caso l'azienda occupi almeno 15 dipendenti, il cedente e il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei lavoratori sulla data e sui motivi del trasferimento, sulle conseguenze giuridiche, economiche o sociali e sulle eventuali misure previste nei confronti dei lavoratori medesimi (art. 47 della L. 428/1990), nonché delle altre disposizioni vigenti in materia.

Custodia e amministrazione dei beni compresi nella liquidazione giudiziale

Il Capo II del Titolo V (articoli da 193 a 199) disciplina la custodia e l’amministrazione dei beni compresi nella liquidazione giudiziale, riproponendo sostanzialmente l’attuale contenuto degli articoli da 84 a 90 della Legge Fallimentare.

La procedura prevede dunque la competenza del curatore per la fase di apprensione e conservazione del patrimonio del debitore insolvente, che si sviluppa con apposizione di sigilli e inventario dei beni del debitore (con eventuale assistenza della forza pubblica), salvo che vi siano elementi sicuri che dimostrano che si tratta di beni che appartengono a terzi; consegna del denaro e custodia di documenti da parte del curatore o di terzi (previa autorizzazione del giudice delegato); presa in consegna dei beni; formazione degli elenchi dei creditori e di tutti coloro che vantano diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, su cose in possesso del debitore; predisposizione del bilancio dell’ultimo esercizio; formazione del fascicolo informatico della procedura.

Rispetto alla normativa vigente si evidenziano le seguenti novità:

§  l’apposizione dei sigilli sui beni del debitore non è più obbligatoria, ma il curatore vi potrà ricorrere quando non sia possibile procedere immediatamente all’inventario dei beni. Quando non sia agevole l’immediato completamento delle operazioni, il giudice delegato può autorizzare il curatore ad avvalersi di coadiutori (art. 193);

§  l’inventario dei beni è effettuato dal curatore senza l’assistenza del cancelliere e comporta la formazione di un processo verbale al quale dovrà essere allegata anche la documentazione fotografica dei beni inventariati (art. 195);

§  il giudice delegato può disporre che non siano inclusi nell’inventario i beni mobili sui quali terzi vantino diritti reali o personali chiaramente e immediatamente riconoscibili senza il necessario consenso di curatore e comitato dei creditori, che sono chiamati solo ad esprimere un parere non vincolante (“sentiti”) (art. 196);

§  i creditori possono prendere visione ed estrarre copia di quanto contenuto nel fascicolo della procedura a proprie spese (art. 199).

 

In ordine alla formulazione del testo, si valuti la possibilità, all’art. 197, comma 2, di eliminare il riferimento alla “sentenza dichiarativa di fallimento”.

Accertamento del passivo e diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale

Il Capo III (articoli da 200 a 210) attiene all’accertamento del passivo e sostanzialmente ripropone, con alcune modifiche, gli attuali articoli da 92 a 103 della Legge fallimentare.

 

In merito la legge delega (articolo 7, comma 8) afferma che il sistema di accertamento del passivo dovrà essere improntato a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione. A tal fine il Governo dovrà adottare misure dirette a:

a) agevolare la presentazione telematica delle domande tempestive di creditori e terzi, anche non residenti nel territorio nazionale, restringendo l'ammissibilità delle domande tardive;

b) introdurre preclusioni attenuate già nella fase monocratica;

c) prevedere forme semplificate per le domande di minor valore o complessità;

d) assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari;

e) attrarre nella sede concorsuale l'accertamento di ogni credito opposto in compensazione ai sensi dell'articolo 56 della LF;

f) chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca;

g) adeguare i criteri civilistici di computo degli interessi alle modalità di liquidazione dell'attivo.

 

Anche a seguito della riforma, la fase di accertamento del passivo si articola nei seguenti momenti: avviso ai creditori per la verifica (art. 200); presentazione delle domande di ammissione al passivo (art. 201 e 202); esame delle domande e formazione del progetto dello stato passivo; deposito dello stato passivo in cancelleria e osservazioni dei creditori; adunanza di verificazione e definitiva formazione dello stato passivo (art. 203); dichiarazione di esecutività dello stato passivo (art. 204).

Rispetto alla disciplina vigente, lo schema di decreto legislativo:

§  precisa che il curatore deve avvisare i creditori della possibilità di partecipare al concorso per l’ammissione al passivo anche senza l’assistenza di un difensore e deve avvisarli dell’ora e del luogo fissati per l’esame dello stato passivo, non solo del giorno previsto per tale adempimento. Egli dovrà inoltre comunicare ai creditori il domicilio digitale assegnato alla procedura (art. 200);

§  prevede che possano essere depositate - oltre alle domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione e rivendicazione di beni compresi nella procedura – anche domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui (art. 201). La disposizione recepisce l’indicazione della Corte di cassazione, per la quale l'ipoteca iscritta su beni compresi nel fallimento, ma a garanzia di debiti altrui, non attribuisce titolo al beneficiario della garanzia ipotecaria per partecipare al concorso dei creditori, non determinando di per sé il sorgere di alcun credito verso il fallito (Cass., Sez. I, 9 febbraio 2016, n. 254). Al beneficiario della garanzia ipotecaria è però consentito di presentare domanda già in questa fase, di accertamento del passivo, al fine di far valere il suo diritto di collocazione preferenziale sul ricavato della liquidazione del bene ipotecato. A tal fine egli dovrà indicare l’ammontare del credito per il quale intende partecipare al riparto. L’intervento riformatore pare attuare il principio di delega di cui all’art. 17, comma 8, lett. f (v. sopra);

§  precisa il contenuto della domanda di ammissione al passivo, con particolare riferimento alle coordinate bancarie del creditore (art. 201);

§  prevede che il procedimento di formazione del passivo sia soggetto alla sospensione feriale dei termini (art. 201);

§  riconosce efficacia meramente endoconcorsuale al decreto che rende esecutivo lo stato passivo ed alle decisioni prese dal tribunale in sede di impugnazione per quanto riguarda i crediti accertati ed il diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui (art. 204).

 

Per quanto concerne i rimedi contro lo stato passivo, la riforma conferma le tre forme di impugnazione attuali, ovvero l’opposizione allo stato passivo, l’impugnazione dei crediti altrui e la revocazione (art. 206), da presentare entro 30 giorni dalla comunicazione di esecutività, salvo che in caso di revocazione, per la quale il termine decorre dalla scoperta del fatto (art. 207). Rispetto alla normativa vigente, la riforma prevede che in caso di opposizione o di impugnazione, la parte contro la quale l’impugnazione è proposta possa proporre a sua volta impugnazione incidentale, anche se il termine di 30 giorni è scaduto. Tale impugnazione incidentale tardiva dovrà essere proposta, a pena di decadenza, nella memoria difensiva con la quale la parte resistente si costituisce nel procedimento di impugnazione; spetterà al tribunale adottare i provvedimenti necessari ad assicurare il contraddittorio.

 

La relazione tecnica specifica che la previsione dell’impugnazione incidentale sarebbe attuativa del criterio espresso nella legge delega (art. 7, comma 8) che richiede maggiore concentrazione nel sistema di accertamento del passivo.

 

Rispetto alla normativa vigente, inoltre, la riforma:

§  prevede che se nessuna delle parti costituite compare nella prima udienza, il giudice fissa un’udienza successiva all’esito della quale, se persiste la mancata comparizione, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del giudizio (art. 207);

§  prevede che il curatore, ancorché non costituito, debba partecipare all’udienza di comparizione per informare le altre parti e il giudice in ordine allo stato della procedura (art. 207). La Relazione illustrativa ritiene che questa disposizione risponda a finalità deflattive giacché il creditore opponente, informato dal curatore del fatto che la procedura concorsuale non gli consentirà di ottenere soddisfazione del suo credito, potrebbe precidere di abbandonare l’impugnazione;

§  dispone che eventuali errori materiali contenuti nel decreto con il quale il tribunale definisce l’impugnazione possano essere corretti dallo stesso tribunale senza necessità di instaurare il contraddittorio purché tutte le parti concordino sulla correzione; altrimenti si procederà alla correzione previa fissazione di un’udienza. Sull’istanza il collegio provvede con decreto (art. 207);

§  ribadisce, anche nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’applicazione della sospensione feriale dei termini processuali.

 

Quanto alle domande tardive, per le quali la legge delega chiede al Governo di restringere l’ammissibilità (art. 7, comma 8, lett. a), l’art. 208 della riforma riduce da 12 a 6 mesi il termine concesso per la presentazione, da calcolare a partire dall’esecutività dello stato passivo. Analogamente, in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale può prorogare tale termine fino a 12 mesi (in luogo degli attuali 18 mesi). E’ previsto, inoltre, che se la ripartizione dell’attivo è ancora in corso, la domanda tardiva sia ammissibile anche allo scadere di tali termini purché l’istante possa provare che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile: a tal fine occorre però che l’istante rivolga la domanda al curatore entro 60 giorni dal momento in cui è cessata la causa che ha impedito la presentazione tempestiva della domanda. Il giudice si pronuncia sull’inammissibilità della domanda con decreto reclamabile.

Infine, la riforma interviene anche sui procedimenti relativi a domande di rivendica e restituzione (art. 210), per specificare che il decreto che accoglie la domanda, quando questa abbia ad oggetto beni o diritti il cui trasferimento è soggetto a forme di pubblicità legale, è opponibile ai terzi con le medesime forme di pubblicità.

 

Esercizio dell’impresa e liquidazione dell’attivo

Il Capo IV contiene la disciplina relativa all’esercizio dell’impresa e liquidazione dell’attivo.

Gli articoli 211 e 212 disciplinano la continuazione dell’impresa del debitore, in sostanziale continuità con la normativa vigente (artt. 104 e 104-bis LF).

La riforma, infatti, si limita ad affermare il principio in base al quale l’apertura della liquidazione non determina la cessazione dell’attività d’impresa, purché ricorra uno dei due presupposti già individuati dalla normativa vigente, ovvero la volontà di proseguire con l’attività dell’impresa, o di specifici rami d’azienda:

§  espressa dal tribunale, che ritiene l’interruzione un grave danno. In questo caso la continuazione dell’attività è autorizzata dal tribunale con la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, purché non arrechi pregiudizio ai creditori;

§  da curatore e comitato dei creditori. In questo caso la continuazione è autorizzata con decreto motivato dal giudice delegato, che fissa la durata dell’attività.

 

L’art. 213 disciplina il programma di liquidazione, sulla cui base si svolgerà poi la liquidazione dell’attivo. Rispetto alla normativa vigente (art. 104-ter LF), la riforma:

§  prevede che il programma debba essere predisposto dal curatore, da questi trasmesso al giudice delegato che ne autorizza la sottoposizione al comitato dei creditori per l’approvazione;

§  definisce manifestamente non conveniente la liquidazione quando si sono svolti invano 6 tentativi di vendita, a meno che il giudice delegato non autorizzi il curatore a insistere, in presenza di giustificati motivi;

§  specifica che il programma deve contenere una previsione di costi e tempi della liquidazione e riportare, altresì, gli esiti delle liquidazioni già compiute;

§  scandisce i tempi della liquidazione, prevedendo che entro 12 mesi dall’apertura della procedura si debba procedere al primo esperimento di vendita di beni; fissa in 5 anni – prorogabili in casi di eccezionale complessità a 7 anni – la durata massima della procedura.

 

Gli articoli da 214 a 219 disciplinano la vendita dei beni, ripercorrendo quanto attualmente previsto dagli articoli da 105 a 109 della Legge Fallimentare.

 

Si ricorda che l’art. 7, comma 9 della legge delega individua l’obiettivo della massima trasparenza ed efficienza delle operazioni di liquidazione dell'attivo della procedura, da perseguire:

a) introducendo sistemi informativi e di vigilanza della gestione liquidatoria, caratterizzati da trasparenza, pubblicità e obblighi di rendicontazione;

b) garantendo la competitività delle operazioni di liquidazione nell'ambito del mercato unitario telematico nazionale delle vendite, caratterizzato:

1) dalla presenza di un ente che certifichi la ragionevole probabilità di soddisfazione dei crediti insinuati al passivo di ciascuna procedura aderente al sistema;

2) dalla presenza di un operatore del sistema di regolamento e di compensazione;

3) dal riconoscimento, ai creditori che ne facciano richiesta, di un titolo che li abiliti a partecipare alle vendite dei beni in misura proporzionale alla probabilità di soddisfazione del loro credito, certificata dall'ente di cui al numero 1);

4) dalla presenza di uno o più fondi per la gestione dei beni invenduti;

c) introducendo misure volte a garantire all'insolvente i diritti di informazione, accesso e partecipazione, prevedendo che, fatte salve le eventuali limitazioni motivatamente e specificamente fissate dal giudice delegato, all'insolvente medesimo sia assicurata l'informazione sull'andamento della procedura e che lo stesso abbia diritto di accesso agli atti della procedura non coperti da segreto, con possibilità di prenderne visione e di estrarne copia.

 

Quanto oggetto della vendita sia l’azienda, suoi rami o rapporti in blocco, la riforma prevede che se il curatore procede alla liquidazione mediante conferimento di tali beni in una società di nuova costituzione, le azioni o quote della società che riceve il conferimento possono essere attribuite – nel rispetto delle clausole di prelazione – a singoli creditori che vi consentono (art. 214).

 

In ordine alla formulazione del testo si valuti, all’art. 214, comma 4, la sostituzione della parola “individuali” con la parola “individuabili”.

 

In ordine, invece alla liquidazione dei beni che fanno parte dell’attivo della procedura, la riforma introduce le seguenti novità (artt. 216 e 217):

§  prevede che di tutti i beni acquisiti all’attivo della procedura sia fatta una stima da parte di un esperto nominato dal curatore; l’unica eccezione è prevista per i “beni di modesto valore”;

§  consente al giudice delegato di scegliere le modalità di liquidazione dei beni, applicando le disposizioni sull’insolvenza o quelle dettate dal codice di procedura civile per l’espropriazione (vendita con o senza incanto;

§  prevede che le vendite siano effettuate sempre con modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche e che su tale portale debbano essere pubblicati tutti i documenti utili. Sempre attraverso il portale gli interessati dovranno presentare l’offerta di acquisto del bene, che non sarà efficace se inferiore di oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nell’ordinanza di vendita. Se invece il prezzo offerto è inferiore al prezzo di vendita in misura non superiore a un quarto, e dunque l’offerta è ammissibile, il perfezionamento della vendita può essere impedito dal giudice delegato, che ritenga possibile procedere alla vendita del bene attraverso un nuovo esperimento di vendita con elevate probabilità di conseguire un prezzo almeno pari a quello stabilito;

§  conferma che le vendite hanno luogo tramite procedure competitive, ma detta disposizioni specifiche per le vendite di beni immobili. In particolare, la riforma obbliga il curatore a procedere ad almeno 3 tentativi di vendita in un anno; dopo il terzo tentativo andato deserto, il curatore può ribassare il prezzo fino alla metà rispetto a quello previsto nell’ultimo tentativo. Spetta al giudice delegato ordinare la liberazione dei beni immobili occupati con titolo non opponibile al curatore;

§  consente al giudice delegato di sospendere le operazioni di vendita e di impedirne il perfezionamento quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello ritenuto congruo; in particolare, se il prezzo offerto è inferiore a quello stabilito in misura non superiore a un quarto, il giudice può impedire il perfezionamento se sussistono elementi idonei a far ritenere probabile il raggiungimento di un prezzo pari a quello stabilito attraverso un nuovo esperimento di vendita.

 

Per quanto concerne le modalità della vendita, con particolare riferimento al ribasso del prezzo, non appare chiaro quale sia il fondamento di tali disposizioni nella legge delega.

Si osserva, inoltre, che il Governo, nella nuova disciplina della vendita dei beni, non ha dato attuazione al principio di delega di cui all’art. 7, comma 9, lett. b).

 

La norma di delega prevedeva:

- la presenza di un ente che certificasse «la ragionevole probabilità di soddisfazione dei crediti insinuati al passivo di ciascuna procedura aderente»;

- la presenza di «un operatore del sistema di regolamento e di compensazione»;

- il riconoscimento, «ai creditori che ne facciano richiesta, di un titolo che li abiliti a partecipare alle vendite dei beni in misura proporzionale alla probabilità di soddisfazione del loro credito», certificata dall'ente di cui sopra;

- la presenza di uno o più fondi per la gestione dei beni invenduti.

Ripartizione dell’attivo

Il Capo V (articoli da 220 a 232) disciplina la ripartizione dell’attivo riproducendo pressoché integralmente gli artt. 110-117 della Legge Fallimentare, che dispongono che la ripartizione del ricavato dalla liquidazione dei beni avvenga normalmente a gradi, mediante ripartizioni parziali.

La riforma conferma che spetta al curatore, ogni 4 mesi, redigere un prospetto delle attività esistenti accompagnato da un progetto di ripartizione, ma precisa che il progetto deve essere redatto solo “qualora l’entità del passivo accertato consenta una ripartizione in misura apprezzabile” (art. 220). Il progetto sarà trasmesso ai creditori e non più depositato in cancelleria. Rispetto alla normativa vigente, inoltre, la riforma:

§  interviene sull’ordine di distribuzione delle somme per aggiungere, dopo ai crediti prededucibili, ai crediti ammessi con prelazione ed ai creditori chirografari, il pagamento dei crediti postergati (art. 221);

 

La disposizione intende forse fare riferimento al rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società che, in base all’art. 2467 del codice civile, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.

 

§  modifica la disposizione relativa al rendiconto del curatore, per imporgli l’obbligo di rendere conto anche delle modalità con cui ha attuato il programma di liquidazione nonché il relativo esito; il rendiconto dovrà essere trasmesso ai creditori ammessi al passivo, in analogia con la comunicazione del progetto di ripartizione. La riforma prevede inoltre che, in caso di contestazioni sul rendiconto, il giudice si pronunci con decreto emesso in camera di consiglio ma sentite le parti (art. 231).

 

La riforma non modifica la disciplina dei crediti assistiti da privilegio (art. 224).

 

Si osserva, dunque, che il Governo, non ha dato attuazione all’art. 10 della legge delega.

 

L’art. 10 della legge n. 155 del 2017 invitava il Governo al «riordino e alla revisione del sistema dei privilegi, principalmente con l'obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, con particolare riguardo ai privilegi retentivi, eliminando quelle non più attuali rispetto al tempo in cui sono state introdotte e adeguando in conformità l'ordine delle cause legittime di prelazione».

 

Cessazione della procedura di liquidazione giudiziale

Il Capo VI (articoli da 233 a 239) interviene sulla cessazione della procedura di liquidazione, oggi disciplinata dalla Legge Fallimentare agli articoli da 118 a 123.

 

Si ricorda che la norma di delega prevede che il Governo debba, al fine di accelerare la chiusura della procedura, adottare misure dirette a:

a) affidare la fase di riparto al curatore, fatta salva la facoltà degli interessati di proporre opposizione, ricorrendo al giudice;

b) integrare la disciplina della chiusura della procedura in pendenza di procedimenti giudiziari, specificando che essa concerne tutti i processi nei quali è parte il curatore […]; prevedere in particolare che il curatore conservi la legittimazione esclusiva in relazione ai predetti procedimenti e che, con il decreto di chiusura in pendenza di procedimenti giudiziari, il tribunale disponga sulle modalità del rendiconto e del riparto supplementare nonché sulla determinazione del supplemento di compenso eventualmente spettante al curatore in caso di realizzazione di ulteriore attivo; prevedere che al curatore sia consentito di mantenere aperta la partita IVA anche dopo la chiusura della liquidazione giudiziale in pendenza di procedimenti giudiziari;

c) prevedere che, alla chiusura della procedura relativa a società di capitali, nei casi di assenza di domande di ammissione al passivo e di totale pagamento dei crediti, il curatore convochi l'assemblea ordinaria dei soci per le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell'attività o della sua cessazione, ovvero per la trattazione di argomenti sollecitati, con richiesta scritta, da un numero di soci che rappresenti una percentuale significativa del capitale sociale;

d) disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l'attivo (art. 7, comma 10).

 

In particolare, nel confermare la disciplina sulle ipotesi di chiusura della liquidazione giudiziale (quando i creditori non propongono domande di ammissione al passivo; quando tutto il passivo accertato è stato saldato; quando data l’insufficienza dell’attivo la prosecuzione della procedura appaia inutile) e dando attuazione alla lettera c) dell’art. 7, comma 10, della legge delega, l’articolo 233 dello schema prevede in caso di chiusura della liquidazione relativa ad una società di capitali, per assenza di domande di ammissione al passivo o totale soddisfazione dei creditori, il curatore debba convocare l'assemblea ordinaria dei soci per le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell'attività o della sua cessazione, ovvero per la trattazione di argomenti sollecitati, con richiesta scritta, da un numero di soci che rappresenti almeno il 20% del capitale sociale.

In attuazione della lett. b) dell’art. 7, comma 10, della legge delega, relativo alla disciplina della chiusura della procedura in pendenza di procedimenti giudiziari, l’art. 234 dello schema prevede con disposizione innovativa rispetto all’art. 118 L.F. che la legittimazione del curatore permane anche dopo la chiusura della procedura in caso di pendenza di procedimenti esecutivi o cautelari strumentali all’attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura. Viene quindi disciplinato il deposito del rendiconto, del riparto supplementare e del rapporto riepilogativo finale all’esito anche dei giudizi pendenti. L’art. 234 prevede infine che solo a conclusione di tali giudizi il curatore chieda al tribunale di archiviare la procedura e conseguentemente cancellare la società dal registro delle imprese.

La riforma non muta la disciplina del decreto di chiusura (art. 235) né quella della riapertura della procedura (art. 237), salvo che per l’esclusione della riapertura stessa laddove sia intervenuta l’esdebitazione. In caso di riapertura, sono confermate le disposizioni relative al concorso di vecchi e nuovi creditori (art. 238) e sugli effetti della riapertura sugli atti pregiudizievoli ai creditori (art. 239).

 

Concordato nella liquidazione giudiziale

Il Capo VII (articoli da 240 a 253) disciplina il concordato nella liquidazione giudiziale, riproducendo sostanzialmente le disposizioni degli articoli da 124 a 141 della Legge fallimentare.

 

Si ricorda che l’art. 7, comma 10, lett. d) della legge delega richiede che siano disciplinate e incentivate le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l'attivo.

 

La riforma conferma che il concordato è una delle cause di cessazione della procedura liquidatoria (art. 233) e che la relativa proposta – indirizzata con ricorso al giudice delegato (art. 241) - può venire tanto dal debitore quanto dai creditori e dai terzi (art. 240). La proposta, che prevede la suddivisione dei creditori in classi, trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse, ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, è sottoposta al voto dei creditori ed è approvata dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 244). In assenza di opposizione, segue l’omologazione da parte del giudice delegato, con decreto reclamabile in corte di appello (artt. 245-247). Il concordato omologato è dunque obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla sentenza di apertura della procedura di liquidazione (art. 248); se il proponente non adempie agli obblighi assunti con il concordato si può dar luogo a risoluzione dello stesso con conseguente ripresa della liquidazione giudiziale (art. 250). Analoga conseguenza si ha in caso di annullamento del concordato, se si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo o dissimulata parte dell’attivo (art. 251). Sarà sempre possibile, dopo aver accertato nuovamente il passivo, presentare una nuova proposta di concordato: in tal caso, però, questo potrà essere omologato solo previo deposito di tutte le somme occorrenti al suo integrale adempimento (art. 253).

Rispetto alla normativa vigente, si segnalano le seguenti novità della riforma:

§  la proposta di concordato presentata dal debitore è ammissibile solo se prevede l’apporto di risorse che incrementano il valore dell’attivo di almeno il 10% (nella medesima direzione v. sopra art. 84);

§  sono costituiti in classe di creditori, ai fini della valutazione della proposta di concordato, i portatori di obbligazioni o strumenti finanziari emessi dalla società in liquidazione giudiziale e oggetto della proposta;

 

Si ricorda che l’art. 6 della legge delega consente il concordato preventivo liquidatorio solo nel caso in cui ci sia un consistente apporto esterno che può garantire ai creditori un maggiore soddisfacimento (lett.a). La stessa disposizione invita a individuare i casi in cui la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, è obbligatoria, prevedendo, in ogni caso, che tale obbligo sussiste in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne (lett. d).

 

§  la valutazione di convenienza del concordato, rispetto alla liquidazione, per i creditori muniti di privilegio deve essere fatta tenendo conto del presumibile ammontare delle spese di procedura e delle spese generali (art. 240);

§  dal voto per l’approvazione del concordato, e dal computo delle maggioranze, sono esclusi i creditori in conflitto di interessi, il convivente di fatto e la parte di un’unione civile con il debitore; se il concordato è proposto dal creditore, o da una sua società controllata, questi possono partecipare al voto solo se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe (art. 243);

§  il concordato diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura della liquidazione solo dopo l’omologazione (art. 248).

Liquidazione giudiziale e concordato nella liquidazione giudiziale delle società

Il Capo VIII (articoli da 254 a 267) disciplina la liquidazione giudiziale della società ed i patrimoni destinati ad uno specifico affare, riproponendo sostanzialmente le disposizioni degli articoli da 146 a 156 della legge fallimentare.

Rispetto alla disciplina vigente, la riforma integra l’elenco delle azioni di responsabilità che il curatore può esperire, escludendo che egli debba ottenere la previa autorizzazione da parte del giudice delegato e sentire il comitato dei creditori.

 

Il rafforzamento del ruolo del curatore in questa fase è oggetto di uno specifico criterio direttivo. L’art. 7, comma 5, della norma di delega prevede infatti che il Governo debba disciplinare la legittimazione del curatore a promuovere o a proseguire:

a) per le società di capitali e per le società cooperative, l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali prevista dall'articolo 2394 del codice civile, l'azione prevista dall'articolo 2476, settimo comma, del codice civile, le azioni di responsabilità previste dall'articolo 2497 del codice civile e le altre analoghe azioni di responsabilità contemplate da singole disposizioni di legge;

b) l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali prevista dall'articolo 2394 del codice civile, in caso di violazione delle regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima;

c) per le società di persone, l'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore cui non sia stata personalmente estesa la procedura di liquidazione giudiziale.  

 

L’art. 255 aggiunge infatti, all’azione sociale di responsabilità e all’azione prevista dall’art. 2476, settimo comma (azione contro i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi), già previste a legislazione vigente:

§  l’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 e dell’art. 2476, sesto comma c.c.

 

L’art. 2394 c.c. prevede che gli amministratori rispondano verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
L’art. 2476, sesto comma, afferma il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

 

§  l’azione prevista dall’art. 2497, quarto comma, c.c. Si tratta dell'azione spettante ai creditori della società soggetta a liquidazione giudiziale ed esercitata dal curatore.

Con disposizione di chiusura, peraltro l’elencazione delle azioni esperibili dal curatore è integrato da «tutte le altre azioni di responsabilità» che sono attribuite al curatore dalla legge.

 

Nella disciplina delle società con soci a responsabilità illimitata (art. 256), la riforma:

-            prevede la legittimazione a proporre l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di altri soci illimitatamente responsabili anche del pubblico ministero, dei soci o dei loro creditori personali (oltre alla già prevista legittimazione del curatore e dei creditori della società);

-            prevede la partecipazione obbligatoria di coloro che hanno promosso la procedura di liquidazione giudiziale nel giudizio di reclamo contro la decisione del tribunale che l’abbia disposta.

 

Ulteriori novità della riforma attengono:

§  alla previsione di un solo compenso per il curatore anche quando sia nominato tanto nella procedura di liquidazione della società tanto in quella di liquidazione dei singoli soci;

§  alla possibilità per il curatore della liquidazione giudiziale della società di esercitare l’azione sociale di responsabilità anche nei confronti del socio amministratore per il quale non sia stata aperta una procedura di liquidazione giudiziale (art. 257);

§  alla possibilità di applicare la disciplina della liquidazione giudiziale delle società anche in caso di insolvenza di enti ed imprenditori collettivi non societari ed ai loro componenti illimitatamente responsabili (art. 259).

 

Si fa riferimento alle imprese collettive istituite in forme diverse dalla società. Le più comuni forme di esercizio collettivo di impresa, non come società, sono: associazioni, fondazioni, consorzi e gruppi europei di interesse economico (organizzazioni di soggetti, a livello europeo,  che coordinano le imprese).

 

Infine, con disposizione innovativa (art. 264), la riforma consente al curatore di compiere gli atti e le operazioni che attengono all’organizzazione e alla struttura societaria previsti dal programma di liquidazione, dovendo informare i soci ed i creditori; lo stesso programma può attribuire al curatore i poteri dell’assemblea dei soci in relazione al compimento di specifici atti. Gli atti compiuti nell’esercizio di tale potere sono reclamabili davanti al tribunale.

Liquidazione controllata del sovraindebitato

Il Capo IX (articoli da 268 a 277) disciplina la liquidazione del patrimonio di consumatore, professionista, imprenditore agricolo e imprenditore minore nonché di ogni altro debitore insolvente non assoggettabile alla liquidazione giudiziale. Per questi soggetti la riforma introduce la liquidazione controllata, che ricalca a grandi linee la procedura della liquidazione giudiziale.

 

In merito, tre sono i principi e criteri direttivi della legge delega ai quali la riforma dà in questa parte attuazione. Si tratta di quanto previsto dall’art. 9 che chiede al Governo di:

precludere l'accesso alle procedure ai soggetti già esdebitati nei cinque anni precedenti la domanda o che abbiano beneficiato dell'esdebitazione per due volte, ovvero nei casi di frode accertata (lett. f);

riconoscere l'iniziativa per l'apertura delle soluzioni liquidatorie, anche in pendenza di procedure esecutive individuali, ai creditori e, quando l'insolvenza riguardi l'imprenditore, al pubblico ministero (lett. h);

attribuire anche ai creditori e al pubblico ministero l'iniziativa per la conversione in procedura liquidatoria, nei casi di frode o inadempimento (lett. m).

 

Attualmente, la disciplina applicabile è contenuta nel capo II della legge n. 3 del 2012 [3] , relativo ai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio (artt. da 14-ter a 14-terdecies) che viene solo marginalmente riproposta.

In estrema sintesi, la liquidazione controllata è una procedura che può essere attivata volontariamente dal debitore sovraindebitato, come alternativa agli strumenti di composizione della crisi previsti dal titolo IV dello schema (procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, accordi e concordati), consentendo la completa esdebitazione del debitore attraverso la liquidazione del suo patrimonio a parziale soddisfacimento dei creditori. La riforma elimina la disposizione che oggi non consente l’accesso alla liquidazione a colui che ha già fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, alla procedura di composizione della crisi (art. 268).

La riforma consente, inoltre, di presentare domanda di liquidazione controllata anche al creditore e al pubblico ministero (in quest’ultimo caso solo se l’insolvenza riguarda un imprenditore). Se la domanda non viene dal debitore, egli ha la possibilità di chiedere al giudice di sospendere la decisione sulla liquidazione per optare per l’accesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: il giudice gli concederà un termine per integrare la domanda ed aprire la composizione della crisi (art. 271).

Sostanzialmente, la procedura prevede che il debitore presenti domanda (ricorso) al tribunale, anche personalmente, con l’assistenza dell’organismo di composizione della crisi chiedendo la liquidazione dei suoi beni [4] , elencati in una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi che specifica lo stato patrimoniale, economico e finanziario del debitore. L'organismo di composizione della crisi cui viene richiesta la relazione deve tempestivamente darne notizia all'agente della riscossione (Equitalia s.p.a.) ed agli uffici fiscali (Agenzia delle entrate), nonché ai competenti enti locali (art. 269).

Il tribunale, in presenza dei requisiti, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata, nominando un giudice delegato e un liquidatore. Quest’ultimo potrà essere individuato nell’organismo di composizione della crisi che ha redatto la relazione ovvero in uno dei soggetti iscritti nell’elenco dei gestori della crisi tenuto dal Ministero della giustizia.

In base all’art. 270, con la sentenza il tribunale ordina il deposito dei documenti contabili del debitore, assegna un termine ai creditori per chiedere l’ammissione al passivo, ordina di dare pubblicità alla procedura, dispone di procedere alle trascrizioni riguardanti i beni immobili e mobili registrati, ordina la consegna o il rilascio di beni che fanno parte del patrimonio da liquidare (salvo, per gravi motivi, che il debitore o un terzo sia autorizzato ad un utilizzo di parte di essi).

Il liquidatore deve formare l'inventario dei beni oggetto della procedura, aggiornare l’elenco dei creditori che concorrono nella liquidazione e predisporre un progetto di stato passivo da comunicare agli interessati; dovrà infine redigere un programma di liquidazione. Se non vengono proposte osservazioni alla formazione del passivo, questo è approvato dal liquidatore; diversamente, spetterà al giudice approvare con decreto – reclamabile davanti al collegio – lo stato passivo (artt. 272 e 273); allo stesso giudice spetta autorizzare, eventualmente, il liquidatore ad esercitare ogni azione prevista dalla legge volta a rendere disponibili i beni componenti il patrimonio di liquidazione e comunque correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione dei beni oggetto della liquidazione. Il liquidatore può altresì promuovere le azioni volte al recupero dei crediti inseriti nella liquidazione ed a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori (art. 274).

Il liquidatore ha l'amministrazione dei beni liquidabili e procede alla liquidazione in conformità al programma e senza ulteriori autorizzazioni (il liquidatore deve aggiornare ogni sei mesi il giudice delegato).

Terminata l’esecuzione il liquidatore presenta al giudice il rendiconto per l’approvazione (alla quale consegue la liquidazione del compenso del liquidatore); egli presenta inoltre ai creditori il programma di riparto delle somme ricavate dalla liquidazione che diviene esecutivo in assenza di contestazioni; diversamente interviene il giudice delegato (art. 275).

La procedura si chiude con decreto (art. 276), con il quale il giudice autorizza il pagamento del compenso al liquidatore, lo svincolo delle somme e la cancellazione di ogni vincolo sui beni (trascrizione di pignoramenti, diritti di prelazione, ecc.).

Sono esclusi dalla procedura i creditori con causa o titolo posteriore alla data di esecuzione della pubblicità della domanda di liquidazione (art. 277).

 

Esdebitazione

Il Capo X (articoli da 278 a 283) disciplina l’esdebitazione, ovvero la liberazione di colui che sia stato oggetto di liquidazione dai debiti residui contratti verso quei creditori che abbiano ritenuto insoddisfacente l’esito della liquidazione stessa, in attuazione dell’art. 8 della norma di delega.

 

L’art. 8 della legge n. 155 del 2017 prevede che, nell'esercizio della delega per la disciplina della procedura di esdebitazione all'esito della procedura di liquidazione giudiziale, il Governo debba:

a) prevedere per il debitore la possibilità di presentare domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura e, in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura, al di fuori dei casi di frode o di malafede e purché abbia collaborato con gli organi della procedura;

b) introdurre particolari forme di esdebitazione di diritto riservate alle insolvenze minori, fatta salva per i creditori la possibilità di proporre opposizione dinanzi al tribunale;

c) prevedere anche per le società l'ammissione al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso di società di persone, in capo ai soci.

 

Attualmente l’istituto è disciplinato in via generale dagli articoli da 142 a 145 della legge fallimentare (RD. n. 267 del 1942), in forza dei quali il fallito persona fisica viene ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a determinate condizioni. L'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali (art. 142).
Introdotto dalla riforma del 2006, l’esdebitazione è un beneficio accordato all’imprenditore sfortunato ma corretto, che persegue l’obiettivo di consentire all’imprenditore insolvente di avviare nuove iniziative imprenditoriali senza essere gravato da debiti pregressi (cosiddetto fresh start).
Una disciplina specifica, relativa al consumatore, è dettata dall’art. 14-terdecies della legge n. 3 del 2012.

 

In particolare, gli articoli da 278 a 281 disciplinano l’esdebitazione in generale, in esito alla procedura di liquidazione, mentre gli articoli 282 e 283 disciplinano l’esdebitazione del sovraindebitato.

In estrema sintesi, la riforma (art. 278) definisce l’istituto dell’esdebitazione come la liberazione dai debiti e l’inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura concorsuale che prevede la liquidazione dei beni e ne prevede l’applicazione a consumatore, professionista o imprenditore, che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, industriale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti qualificati pubblici dalla legge (art. 1, comma 1). Se il debitore è una società, in attuazione della delega, le condizioni personali vengono riferite alle persone dei soci illimitatamente responsabili o dei legali rappresentanti e l’esdebitazione della società ha efficacia nei confronti di tali soci. La riforma conferma che il beneficio dell’esdebitazione non si estende agli obblighi di mantenimento e alimentari, ai debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale e alle sanzioni penali e amministrative pecuniarie.

Rispetto alla normativa vigente, la principale novità è rappresentata dall’eliminazione della norme che preclude la concessione del beneficio qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali: è dunque possibile che il debitore si liberi dai debiti senza adempiere alle obbligazioni, anche in minima parte.

La riforma, inoltre, afferma che l’esdebitazione è un diritto (art. 279), che può essere conseguito al momento della chiusura della liquidazione o comunque trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione (termine ridotto a 2 anni se il debitore ha proposto tempestivamente istanza di composizione assistita della crisi).

Le condizioni per accedere all’esdebitazione (art. 280) sono sostanzialmente quelle previste attualmente, con le seguenti novità:

§  se è in corso un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, il beneficio è riconosciuto solo all’esito del relativo procedimento;

§  l’esdebitazionme è esclusa per colui che ne abbia già beneficiato due volte;

§  l’esdebitazione è esclusa per colui che ne abbia già beneficiato nei 5 anni precedenti (attualmente si ha riguardo agli ultimi 10 anni).

Il procedimento (art. 281) prevede la dichiarazione di inesigibilità dei debiti concorsuali non soddisfatti pronunciata dal tribunale d’ufficio contestualmente al decreto di chiusura della liquidazione; si provvede invece su istanza del debitore quando sono trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione. Il decreto è comunicato agli organi della procedura, al PM, al debitore ed ai creditori per l’eventuale reclamo.

L’esdebitazione non ha effetti sulle procedure liquidatorie e sui giudizi ancora in corso; se tali attività determinano un maggior riparto, l’esdebitazione ha effetto solo per la parte definitivamente non soddisfatta.

 

Per quanto riguarda l’esdebitazione del sovraindebitato (artt. 282 e 283), lo schema di decreto legislativo prevede che questo istituto operi di diritto alla chiusura della liquidazione controllata o trascorsi 3 anni dall’apertura della stessa. Vengono confermate anche in questo caso le preclusioni all’accesso inerenti a condanne penali nonché ad atti in fronde dei creditori. Il decreto motivato del tribunale è comunicato ai creditori ed al OM che possono proporre reclamo (art. 282).

 

La riforma consente, inoltre, l’esdebitazione anche del debitore che non sia in grado di adempiere minimamente alle proprie obbligazioni e non possa offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura. In questo caso l’accesso al beneficio può essere concesso una sola volta (art. 283).

 

La relazione illustrativa motiva questa disposizione con l’esigenza di offrire una seconda chance a coloro che non avrebbero alcuna prospettiva di superare lo stato di sovraindebitamento, per fronteggiare un problema sociale e reimmettere nel mercato soggetti potenzialmente produttivi.

 

Se, entro 4 anni dall’esdebitazione, sopravvengono utilità tali da consentire di soddisfare almeno il 10% dei crediti, il debitore dovrà procedere a tale pagamento. A tal fine, ogni anno il debitore deve presentare al tribunale una dichiarazione sulle sopravvenienze rilevanti.

La domanda di esdebitazione deve essere presentata al tribunale tramite l’organismo di composizione della crisi chiamato a relazionare su una serie di aspetti relativi alla situazione economica ed alle cause dell’indebitamento; spetta al tribunale valutare la meritevolezza del debitore e concedere l’esdebitazione con decreto. Il provvedimento è comunicato al debitore e ai creditori che possono proporre opposizione.

 

L’art. 344 dello schema (v. infra), punisce con la reclusione da 6 mersi a 2 anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il debitore incapiente che produce documentazione contraffatta o alterata o sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile ovvero omette o dichiara il falso, dopo il decreto di esedebitazione, nella dichiarazione annuale sulle sopravvenienze rilevanti.

 


 

Titolo VI
(Disposizioni relative ai gruppi di imprese)

 

In attuazione dei criteri di delega dettati dall’articolo 3 della legge 155 del 2017, il Titolo VI (art. 284-292) introduce una specifica disciplina dell’insolvenza dei gruppi d’imprese, attualmente estranea alla legge fallimentare del 1942.

La vigente normativa non consente, infatti, di trattare il gruppo di imprese come un’entità unica, considerando ogni società come un soggetto di diritto autonomo. Diversamente, in tali casi, è esperienza comune che la frammentazione delle procedure non consente di apprestare rimedi efficaci e funzionali al risanamento dell’insolvenza.

 

Disposizioni sulle insolvenze dei gruppi sono contenute, limitatamente alle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nella cd. legge Prodi-bis (D.Lgs 270 del 1999) che ha modificato la disciplina della prima legge Prodi (legge 79 del 1995); specifiche disposizioni riguardano le insolvenze di gruppi bancari e assicurativi (TU bancario) e delle società fiduciarie (D.L. 233 del 1986). In particolare, la legge Prodi-bis consente l’apertura della procedura se i requisiti ivi previsti siano soddisfatti da almeno una delle imprese partecipanti al gruppo o, meglio, a quella oggetto della procedura madre; i requisiti , non devono invece sussistere in capo alle imprese a cui la procedura si estende. Lo scopo è quello di consentire all’impresa capogruppo di superare il proprio stato di insolvenza, pur tenendo presenti i legami che la legano alle imprese del gruppo. Non è tuttavia, possibile ammettere alla procedura concorsuale più imprese che solo congiuntamente detengano i requisiti richiesti dal D.lgs. 270/1999.

 

La riforma in esame detta, quindi, una nuova disciplina in materia che, per i gruppi di imprese, prevede una procedura unitaria per l’accesso ai diversi strumenti di risoluzione della crisi: concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti (di cui agli artt. 57 e ss), ove sia possibile garantire la continuità aziendale; in caso negativo, liquidazione giudiziale del gruppo.

Solo ove si tratti di gruppi di imprese di rilevante dimensione (cfr. art. 27), il giudice competente su tali procedure è il cd. tribunale delle imprese, costituito a livello di distretto di corte d’appello (si tratta delle sezioni specializzate in materia di impresa istituite presso i tribunali e le corti d'appello aventi sede, con specifiche eccezioni, nel capoluogo di ogni regione).

 

L’art. 2, comma 1, lett. h) del provvedimento in esame fornisce, come previsto dai principi generali della delega, la definizione di “gruppi di imprese” ovvero l’insieme delle società, imprese ed enti (escluso lo Stato) sottoposti al coordinamento di una società, impresa o ente o persona fisica sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto. L’attività di direzione e coordinamento deve essere svolta dalla “società madre” tenuta al consolidamento dei bilanci, che a sua volta dirige e coordina, direttamente o indirettamente, le società controllate.

La successiva lett. i) definisce poi i “gruppi di imprese di rilevanti dimensione” come quelli composti da una impresa madre e imprese figlie da comprendere nel bilancio consolidato che rispettano i limiti dimensionali previsti dalla direttiva 2013/34/UE.

 

L’art. 3, comma 1, lett. a) della legge delega prevede una definizione di gruppo di imprese modellata sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli articoli 2497, e seguenti nonché di cui all'articolo 2545-septies del codice civile corredata della presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.

 

Regolazione della crisi o insolvenza del gruppo

L’art. 284 del decreto in esame prevede – in attuazione della delega - la possibilità per le imprese, in crisi o insolventi, di uno stesso gruppo di proporre un unico ricorso presso lo stesso tribunale delle imprese sia per la domanda di concordato preventivo che per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti (per la liquidazione giudiziale, v. ultra, art. 287).

Il giudice competente ex art. 27, in conformità dei principi generali di delega (art. 2, co. 1, lett. f), è il tribunale ordinario nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali.

 

L’art. 3, comma 1, lett. d) della legge delega prevede per le imprese, in crisi o insolventi, del gruppo sottoposte alla giurisdizione dello Stato italiano la facoltà di proporre con unico ricorso domanda di omologazione di un accordo unitario di ristrutturazione dei debiti, di ammissione al concordato preventivo o di liquidazione giudiziale, ferma restando in ogni caso l'autonomia delle rispettive masse attive e passive, con predeterminazione del criterio attributivo della competenza, ai fini della gestione unitaria delle rispettive procedure concorsuali, ove le imprese abbiano la propria sede in circoscrizioni giudiziarie diverse.

 

In particolare, vanno precisate: le ragioni di maggior convenienza per i creditori del piano unitario (o dei piani collegati) del gruppo e la sua idoneità a risolvere l’esposizione debitoria; vanno fornite informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e le singole imprese (le cui masse attive e passive restano separate); deve, inoltre, essere allegato al ricorso il bilancio consolidato, se redatto, unitamente alla documentazione richiesta per le procedure (concordato o accordi di ristrutturazione).

 

L’art. 3, comma 1, lett. b) della norma di delega prescrive specifici obblighi dichiarativi nonché il deposito del bilancio consolidato di gruppo, ove redatto, a carico delle imprese appartenenti a un gruppo, a scopo di informazione sui legami di gruppo esistenti, in vista del loro assoggettamento a procedure concorsuali.

 

Nella gestione unitaria del concordato preventivo di gruppo, sono indicati i contenuti del piano (o dei piani collegati) (art. 285) in attuazione di quanto previsto dalla delega.

 

L’art. 3, comma 2, lett. f) prevede che nella gestione unitaria della procedura di concordato preventivo di gruppo devono essere previsti i criteri per la formulazione del piano unitario di risoluzione della crisi del gruppo, eventualmente attraverso operazioni contrattuali e riorganizzative intragruppo funzionali alla continuità aziendale e al migliore soddisfacimento dei creditori, fatta salva la tutela in sede concorsuale per i soci e per i creditori delle singole imprese nonché per ogni altro controinteressato.

 

Il piano concordatario può prevedere: la liquidazione di una o più imprese del gruppo e la continuazione dell’attività per le altre; riorganizzazioni e trasferimenti di risorse intergruppo, la cui necessarietà per la continuità aziendale e il miglior soddisfacimento dei creditori è attestata da un professionista indipendente.

 

Sia l’omologazione del concordato che dell’accordo di ristrutturazione da parte del tribunale è condizionato dalla positiva valutazione dei creditori sulla possibilità di essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto possibile con la liquidazione. E’ fatta salva la tutela dei creditori delle società che possono fare opposizione all’omologazione; analoga possibilità è data ai soci delle imprese del gruppo in relazione all’omologazione del concordato.

 

Per quanto concerne il procedimento del concordato di gruppo (art. 286) alla unicità del giudice competente (individuato sulla base del centro prevalente di interessi della società capogruppo) corrisponde – se il ricorso è accolto - la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale nonché il deposito di un fondo per le spese di giustizia; i costi della procedura vanno ripartiti tra le imprese del gruppo in proporzione delle masse attive.

 

Si osserva che tale ultima previsione non è contenuta nella delega sul concordato (art. 3, comma 2) bensì in quella sulla liquidazione giudiziale di gruppo (art.3, co. 3, lett. b).

 

La procedura prevede la contestuale e separata votazione sulla domanda di concordato da parte dei creditori di ogni impresa del gruppo. In ossequio all’unitarietà della procedura, è esclusa la possibilità di risoluzione o annullamento del concordato quando le relative motivazioni riguardino solo alcune delle società del gruppo.

 

In base all’art. 3, comma 2, della norma di delega la procedura di gestione unitaria del concordato preventivo di gruppo deve prevedere:

a) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale e il deposito di un unico fondo per le spese di giustizia;

b) la contemporanea e separata votazione dei creditori di ciascuna impresa;

c) gli effetti dell'eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata;

d) l'esclusione dal voto delle imprese del gruppo che siano titolari di crediti nei confronti delle altre imprese assoggettate alla procedura;

e) gli effetti dell'eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata.

 

Si segnala che non sembra essere stata data attuazione al criterio di delega previsto dall’art. 3, comma 2, lett. e), mancando una disciplina degli effetti dell'eventuale annullamento o risoluzione della proposta unitaria omologata di concordato di gruppo.

 

In specifica attuazione di uno dei criteri di delega, il commissario giudiziale può chiedere informazioni alla Consob o ad altre autorità tra cui quelle sulla sussistenza di collegamenti tra le società del gruppo (art. 286).

 

L’art. 3, comma 1, lett. c) attribuisce all'organo di gestione della procedura il potere di richiedere alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) o a qualsiasi altra pubblica autorità informazioni utili ad accertare l'esistenza di collegamenti di gruppo, nonché di richiedere alle società fiduciarie le generalità degli effettivi titolari di diritti sulle azioni o sulle quote a esse intestate.

 

Procedura unitaria di liquidazione giudiziale

Anche se non finalizzata al risanamento delle imprese, si è ritenuto di introdurre – concordemente a quanto previsto in sede di delega - una procedura unitaria anche della liquidazione giudiziale di gruppo (art. 287-289).

 

L’art. 3, comma 3, della norma di delega stabilisce che, nell'ipotesi di gestione unitaria della procedura di liquidazione giudiziale di gruppo, devono essere previsti:

a) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico curatore, ma di distinti comitati dei creditori per ciascuna impresa del gruppo;

b) un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppo.

 

Anche in tal caso, all’unicità della procedura consegue l’individuazione di un unico tribunale territorialmente competente (quello di prima presentazione della domanda), un unico giudice delegato e un unico curatore; è, invece, nominato un comitato dei creditori per ogni impresa del gruppo. La procedura prevede un programma di liquidazione coordinata delle masse attive delle singole imprese nella citata ottica del miglior soddisfacimento dei creditori (art. 287).

Non risulta qui attuato il criterio sulla ripartizione proporzionale delle spese della procedura che, come accennato, è invece stato previsto nel concordato di gruppo.

 

In caso le imprese del gruppo siano assoggettate a separate procedure di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo sono previsti – in attuazione della delega - obblighi di cooperazione e informazione reciproca tra i diversi organi delle procedure (art. 288).

 

L’art. 3, comma 1, lett. e) prevede siano stabiliti obblighi reciproci di informazione e di collaborazione tra gli organi di gestione delle diverse procedure, nel caso in cui le imprese insolventi del gruppo siano soggette a separate procedure concorsuali, in Italia o all'estero.

 

 

Procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di imprese appartenenti ad un gruppo

Analogamente, obblighi informativi sono previsti, in base alla delega, anche quando una delle imprese del gruppo chieda separato accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza. La relativa domanda deve contenere informazioni precise sulla struttura del gruppo, indicare il registro delle imprese dove è indicata la società capogruppo e ad essa va allegato l’eventuale bilancio consolidato di gruppo. Anche nella liquidazione, si stabilisce la possibilità di chiedere informazioni suppletive alla Consob o ad altre autorità sulla sussistenza di collegamenti tra le società del gruppo (art. 289).

 

La disposizione della legge delega sul concordato in fase di liquidazione giudiziale (art. 7, n. 10, lett. d) si limita a prevedere che il legislatore delegato debba “disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo”.

 

La disciplina ordinaria del concordato nella liquidazione giudiziale è contenuta agli artt. 240 e ss. del provvedimento. Qui, la proposta del debitore, per essere ammissibile, deve prevedere un incremento della massa attiva di almeno il 10%.

 

Norme comuni

Sono, infine, dettate disposizioni comuni alle liquidazioni giudiziali dei gruppi di imprese.

 

In base all’art. 3, comma 3, lett. c) si attribuisce al curatore, anche nei confronti di imprese non insolventi del gruppo, il potere di: 1) azionare rimedi contro operazioni antecedenti l'accertamento dello stato di insolvenza e dirette a spostare risorse a un'altra impresa del gruppo, in danno dei creditori; 2) esercitare le azioni di responsabilità di cui all'articolo 2497 del codice civile; 3) promuovere la denuncia di gravi irregolarità gestionali nei confronti degli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale; 4) nel caso in cui ravvisi l'insolvenza di imprese del gruppo non ancora assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale, segnalare tale circostanza agli organi di amministrazione e di controllo ovvero promuovere direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza di dette imprese.

 

L’art. 290 attua le previsioni di delega che mirano alla conservazione della condizione patrimoniale delle imprese del gruppo, prevedendo l’inefficacia, mediante azione del curatore, delle operazioni intragruppo, ove avvenute nei 5 anni antecedenti la domanda di liquidazione giudiziale, che abbiano spostato risorse da una impresa all’altra in pregiudizio dei creditori. Agli stessi fini, entro termine più breve (due anni), può essere esercitata l’azione revocatoria degli atti compiuti dopo al domanda di liquidazione.

Analogo scopo riveste la possibilità per il curatore di avviare l’azione di responsabilità verso la società capogruppo ex (art. 2497 c.c. e del potere di denuncia degli amministratori di cui all’art. 2409 c.c. (art. 291).

 

Viene poi data attuazione al principio generale di delega che ha previsto il principio di postergazione del rimborso dei crediti derivanti da finanziamenti tra società del gruppo (art. 292). Sostanzialmente, si prevede anche in relazione ai gruppi di imprese, la disciplina del rimborso dei crediti dei soci finanziatori da parte della società dettato dall’art. 2467 c.c.

 

L’art. 3, comma 1, lett. f) stabilisce il principio di postergazione del rimborso dei crediti di società o di imprese appartenenti allo stesso gruppo, in presenza dei presupposti di cui all'articolo 2467 del codice civile, fatte salve deroghe dirette a favorire l'erogazione di finanziamenti in funzione o in esecuzione di una procedura di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti.

 


 

Titolo VII
(Liquidazione coatta amministrativa)

 

 

La liquidazione coatta amministrativa è un procedimento concorsuale amministrativo che si applica in via esclusiva (si conferma quindi l’inapplicabilità delle procedure concorsuali) nei casi previsti da leggi speciali che disciplinano:

§  le imprese bancarie, finanziarie e assicurative di cui all’art. 295;
Sono, in particolare, assoggettate esclusivamente alla liquidazione coatta le seguenti imprese (art. 295): le banche, le società capogruppo di banche e le società facenti parte del gruppo bancario; gli intermediari finanziari iscritti all’albo tenuto dalla Banca d’Italia; gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento; le società di intermediazione mobiliare, di gestione del risparmio e le società d’investimento; i fondi comuni d’investimento; le fondazioni bancarie; la Cassa depositi e prestiti; i fondi pensione; le imprese di assicurazione e riassicurazione; le società fiduciarie e gli enti di gestione societarie. Per tali categorie di imprese la procedura è dettata dalle rispettive leggi speciali.

§  la procedura conseguente all’accertamento delle irregolarità da parte di autorità amministrative.

Per altre categorie di imprese, quindi, indipendentemente dall’insolvenza o dalla crisi, la liquidazione coatta consegue ad irregolarità verificate dalle autorità pubbliche preposte alla vigilanza.

 

Diversamente da quanto attualmente previsto, la liquidazione coatta non è applicabile agli enti pubblici (v. art. 2, comma 1, lett. e) della legge delega).

 

La disciplina dei rapporti tra l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza e la liquidazione coatta amministrativa ricalca sostanzialmente quello vigente.

Si segnala, tuttavia, che quando il primo preceda la liquidazione coatta (art. 296) si prevede - coerentemente con la novità introdotta dai principi generali di delega – che sia competente all’accertamento dell’insolvenza il tribunale del luogo in cui l’impresa ha il principale centro d’interesse anziché il luogo dove l’impresa ha la sede principale.

 

Viene previsto che oltre che il commissario liquidatore e il PM, a liquidazione coatta in corso, possano fare ricorso al tribunale per far accertare l’insolvenza dell’impresa (precedente alla liquidazione) anche gli organi di controllo interno dell’impresa o le autorità amministrative di vigilanza.

L’art. 296 fa, comunque, rinvio alle leggi speciali per le disposizioni diverse che regolano l’accertamento dell’insolvenza dopo l’apertura della liquidazione coatta.

Ulteriori modifiche riguardano gli effetti dell’accertamento dello stato di insolvenza dell’impresa a cui è applicabile la disciplina sulla liquidazione giudiziale in relazione agli atti pregiudizievoli ai creditori (art. 298). Agli organi della liquidazione giudiziale (tribunale-giudice delegato, curatore e comitato dei creditori) sono sostituiti quelli della liquidazione coatta (l’autorità amministrativa vigilante, il commissario liquidatore e il comitato di sorveglianza).

 

Inoltre, il provvedimento introduce - per le imprese vigilate dalla PA diverse da quelle di cui all’art. 295 - una regola di prevalenza delle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e liquidazione giudiziale) sulla liquidazione coatta amministrativa, indipendentemente dal momento di apertura della procedura amministrativa (art. 300).

 

L’art. 15, comma 1, lett. a) della legge delega ha previsto di applicare in via generale la disciplina concorsuale ordinaria anche alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette alla procedura di liquidazione coatta amministrativa,

 

Fermo restando che la nuova disciplina dell’istituto ricalca quella attualmente contenuta nella legge fallimentare del 1942, tra le ulteriori novità rispetto alla disciplina vigente si segnalano:

§  all’art. 306, sul commissario della liquidazione coatta, il rinvio alle disposizioni degli artt. 212 e 213 sulla liquidazione giudiziale dell’affitto d’azienda e sul programma di liquidazione;

§  all’art. 308, il sensibile aumento del limite di valore (da 1.032 euro a 100.000 euro) degli atti, entro cui il commissario liquidatore non ha bisogno dell’autorizzazione dell’autorità amministrativa di vigilanza;

§  all’art. 313, in sede di ripartizione dell’attivo, la possibilità - prima della fine della liquidazione coatta - di chiedere l’accertamento dell’insolvenza e l’apertura della liquidazione giudiziale ove i fondi disponibili siano insufficienti a soddisfare i creditori.

 

In specifica attuazione della delega, si prevede (art. 316) l’attribuzione alle autorità amministrative di vigilanza della competenza alla segnalazione dell’allerta sulla base delle notizie sui fondati indizi della crisi dell’impresa ricevute dagli organi interni di controllo societari. Alle stesse autorità spetta svolgere le funzioni che, nella procedura ordinaria, spetta agli organismi di composizione della crisi nonché, se del caso, chiedere l’accertamento dell’insolvenza con apertura della liquidazione giudiziale.

 

L’art. 15, comma 1, lett. b) della legge delega prevede di attribuire alle autorità amministrative di vigilanza le competenze in tema di segnalazione dell'allerta e le funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi di cui all'articolo 4, anche al fine di individuare soluzioni di carattere conservativo, nonché la legittimazione alla domanda di apertura della procedura di liquidazione giudiziale di cui all'articolo 7

 

L’art. 15, comma 2, della legge 155/2017 ha stabilito che le disposizioni di delega e quelle attuative della riforma della liquidazione coatta amministrativa sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale n. 3 del 2001 (di modifica del titolo V).


 

Titolo VIII
(Liquidazione giudiziale e misure cautelari penali)

 

Ai rapporti tra liquidazione giudiziaria e misure assunte in sede penale è dedicato l’art. 13 della legge delega, cui sono riferiti gli artt. da 317 a 321 del decreto.

 

L’art. 13, comma 1, della legge delega ha stabilito che il Governo debba adottare disposizioni di coordinamento con il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, stabilendo condizioni e criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza.

Il comma 2 ha, poi, previsto l’adozione di disposizioni di coordinamento con la disciplina di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001, e in particolare con le misure cautelari previste dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, nel rispetto del principio di prevalenza del regime concorsuale, salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale.

 

Si prevede, anzitutto (art. 317) come principio generale la prevalenza del sequestro a fini di confisca dettata dal Codice antimafia rispetto alla gestione concorsuale dei beni del debitore. La concreta disciplina in oggetto è contenuta nell’art. 104-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p., come riformulato dal successivo art. 372 del decreto in esame (v. ultra).

Tale regola generale di prevalenza “penale” è derogata dagli artt. 318 e 319 dello schema di decreto in relazione sia ai sequestri preventivi (art. 321 c.p.p.) che a quelli conservativi (art. 316 c.p.p.) sui beni del debitore, per i quali in pendenza della liquidazione giudiziale non prevale il procedimento penale (salvo specifiche eccezioni riferite al sequestro di cui all’art. 321) e le indicate misure cautelari non possono essere, quindi, disposte.

A liquidazione aperta, sia l’intervenuto sequestro preventivo che quello conservativo possono essere revocati a richiesta del curatore (art. 319), legittimato al ricorso ai sensi dell’art. 320.

Tale disciplina, in quanto compatibile, si applica anche nei rapporti tra misure penali e liquidazione coatta amministrativa (art. 321)

 

Non risulta essere stata data attuazione al secondo dei principi di delega (art. 13, comma 2, legge 155) relativo alla possibile interferenza tra le misure cautelari adottate ex D.Lgs. 231/2001 e quelle adottate in sede concorsuale.

 


 

Titolo IX
(Disposizioni penali)

 

Il titolo in esame (artt. da 322 a 347), dedicato alle disposizioni penali, comprende cinque capi, relativi ai reati commessi:

-        dall’imprenditore in liquidazione giudiziale (capo I);

-        da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale (capo II);

-        nelle procedure di sovraindebitamento e nelle procedure di composizione della crisi (capo IV).

Gli altri due titoli riguardano:

-        le disposizioni applicabili nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione, nei piani attestati di risanamento e nella liquidazione coatta amministrativa (capo III);

-        le disposizioni procedurali (capo V).

 

La legge delega contiene, nelle disposizioni generali, scarne indicazioni in materia di disposizioni penali. A parte le consuete modifiche di natura lessicale e quelle avente natura di coordinamento con i nuovi istituti, non sono dettate disposizioni sostanziali volte a riformulare le fattispecie penali previste dall’attuale legge fallimentare.

 

L’art. 2, comma 1, della legge 155 ha previsto, oltre alla sostituzione del termine «fallimento» e i suoi derivati con l'espressione «liquidazione giudiziale», di adeguare dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose.

 

L’attuale disciplina penale recata dalla legge fallimentare nonché dalla legge n. 3 del 2012 (sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento) rimane sostanzialmente inalterata, venendo solo adattata ai nuovi istituti. Secondo la norma transitoria di cui all’art. 389, il RD 267 del 1942 continuerà ad essere applicato in relazione ai fallimenti dichiarati prima dell’entrata in vigore del decreto attuativo in esame o le cui procedure siano pendenti a tale data.

 

Tra le limitatissime modifiche, si segnalano:

§  al capo I (reati commessi dall’imprenditore in liquidazione giudiziale), l’abrogazione espressa dell’art. 221 legge fallimentare, che prevede che in caso di applicazione del rito sommario nel fallimento, le pene per la bancarotta, il ricorso abusivo al credito e la denuncia di creditori inesistenti sono ridotte di un terzo; l’art. 373 del provvedimento abroga espressamente tale disposizione che fa riferimento al non più attuale rito sommario;

§  al capo II (reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale) l’abrogazione espressa dell’art. 235 da parte del sopra citato art. 373 della disciplina penale per l’omessa trasmissione dell’elenco dei protesti cambiari al presidente del tribunale, obbligo non più in vigore (art. 235 L. fall.);

§  al capo IV (reati commessi nelle procedure di sovraindebitamento e di composizione della crisi), nel nuovo art. 344:

-      viene omesso, tra i reati di falso del debitore, il riferimento al reato di omissione di beni dell’inventario (nella domanda di liquidazione di cui all’art. 14 della vigente legge n. 3 del 2012, sul sovraindebitamento);

-      il nuovo comma 2 sanziona il debitore incapiente che, per accedere all’esdebitazione produce documenti falsi o contraffatti o distrugge quelli che permettono la ricostruzione della propria situazione debitoria.

 

E’, infine, sanzionato dal nuovo art. 345 le falsità nelle attestazioni dei componenti degli organismi di composizione della crisi (OCRI) relative ai dati aziendali del debitore che voglia presentare domanda di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti (crf art. 19, co. 3).

Nonostante costituisca autonoma disposizione del decreto, la relazione illustrativa precisa, tuttavia, che questa non ha carattere di novità risultando modellata su quella dell’art. 342 (falsità in attestazioni per l’accesso al concordato) che, a sua volta, riproduce il contenuto dell’art. 236-bis (falso in attestazioni e relazioni) della legge fallimentare.

 


 

Titolo X
(Disposizioni per l’attuazione del codice della crisi e dell’insolvenza, norme di coordinamento e disciplina transitoria)

 

Il titolo X (artt. da 348 a 373) comprende sette capi.

 

Il Capo I (artt. 348-355) contiene alcune disposizioni generali relative alla disciplina del titolo II del decreto in esame, relativo agli strumenti di allerta e composizione assistita della crisi.

A parte le necessarie variazioni lessicali, si prevede in particolare:

§  l’adeguamento ogni tre anni delle soglie dimensionali della “impresa minore” e delle “grandi imprese” ai sensi della riforma, stabilite dall’art. 2 del decreto (art. 348);

§  le modalità di determinazione dei compensi degli OCRI, gli organismi di composizione delle crisi e la disciplina transitoria sul loro funzionamento (art. 351 e 352);

§  l’istituzione, con decreto del ministro della giustizia, di un osservatorio permanente sull’efficienza delle misure di allerta e di composizione assistita delle crisi d’impresa (art. 353);

§  l’adeguamento, sulla base dei dati dell’osservatorio sopracitato, dei parametri (dell’art. 15) sull’esposizione debitoria ai fini del miglioramento dell’allerta e di una più rapida emersione della crisi d’impresa (art. 354);

§  obblighi di relazione biennale al Parlamento sull’applicazione del codice della crisi e dell’insolvenza qui in esame (art. 355).

 

Il Capo II (artt. 356-358) riguarda, in attuazione della delega, disposizioni sull’albo degli incaricati della gestione e del controllo delle procedure.

 

Uno dei principi di delega prevede (art. 2, lett. o) di istituire presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti, costituiti anche in forma associata o societaria, destinati a svolgere, su incarico del tribunale, funzioni di gestione o di controllo nell'ambito delle procedure concorsuali, con indicazione dei requisiti di professionalità, indipendenza ed esperienza necessari per l'iscrizione.

 

Il riferimento è ai curatori, commissari giudiziali e liquidatori per i quali si prevede l’istituzione presso il ministero della giustizia (ente vigilante) di un apposito albo unico nazionale - il cui il funzionamento è regolato da un DM Giustizia - per l’iscrizione al quale sono previsti specifici requisiti (professionali e di onorabilità) nonché obblighi di aggiornamento biennale (art. 356 e 358).

La nomina agli incarichi è di competenza dell’autorità giudiziaria e avviene anche in base alle risultanze degli incarichi in corso. Lo scopo è evitare un cumulo di incarichi in capo a pochi professionisti assicurando un turno over degli incarichi sulla base di regole di trasparenza, cui assolve lo stesso albo.

 

Il capo III (artt. 359-367) detta disposizioni in materia di disciplina dei procedimenti.

Oltre a demandare ad un decreto del Ministro della Giustizia i contenuti dell’area web riservata (art. 359) presso cui, in sede di domanda di domanda di accesso alla procedura, far pervenire gli atti non notificabili via PEC (v. art. 40, comma 6) si stabilisce la regola generale della trasmissione con modalità telematiche di tutti gli atti relativi alle procedure di accertamento dello stato di crisi e insolvenza, prevedendo una specifica norma transitoria (artt. 360 e 361).

 

Uno dei principi generali di cui all’art. 2 della legge delega (lett. h), prevede di uniformare e semplificare, in raccordo con le disposizioni sul processo civile telematico, la disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale.

 

Per accelerare la definizione delle controversie relative alle procedure in esame, si prevede l’adeguamento, in base a parametri di efficienza, del numero dei magistrati di cassazione impiegati nella sezione adibita a tali controversie (art. 362).

 

Altre disposizioni riguardano la collaborazione di creditori pubblici qualificati ai fini dell’emersione anticipata della crisi.

 

L’art. 2 lett. d) della legge delega prevede sia imposto a creditori pubblici qualificati, tra cui in particolare l'Agenzia delle entrate, gli enti previdenziali e gli agenti della riscossione delle imposte, l'obbligo, a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari o per i quali procedono, di segnalare immediatamente agli organi di controllo della società e, in ogni caso, all'organismo di cui alla lettera b), il perdurare di inadempimenti di importo rilevante; definire l'inadempimento di importo rilevante sulla base di criteri non assoluti ma relativi, come tali rapportati alle dimensioni dell'impresa, che considerino, in particolare, l'importo non versato delle imposte o dei contributi previdenziali autodichiarati o definitivamente accertati e, in ogni caso, siano tali da assicurare l'anticipata e tempestiva emersione della crisi in relazione a tutte le imprese soggette alle procedure di cui al presente articolo; prevedere che il creditore pubblico qualificato dia immediato avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato l'importo rilevante di cui alla presente lettera e che effettuerà  la segnalazione agli organi di controllo della società e all'organismo di cui alla lettera b), se entro i successivi tre mesi il debitore non abbia attivato il procedimento di composizione assistita della crisi o non abbia estinto il debito o non abbia raggiunto un accordo con il creditore pubblico qualificato o non abbia chiesto l'ammissione ad una procedura concorsuale.

 

In tal senso, l’INPS , l’INAIL e l’amministrazione finanziaria sono tenuti – su domanda del debitore o del tribunale -alla comunicazione e certificazione, rispettivamente, di debiti contributivi e tributari del debitore (artt. 363 e 364).

Per consentire l’emersione anticipata della crisi d’impresa sono, poi, stabiliti obblighi di trasmissione di dati alle cancellerie giudiziarie su oneri debitori risultanti dalle banche dati su cui operano le pubbliche amministrazioni. Gli obblighi e le relative modalità di attuazione nella trasmissione delle informazioni sono stabilite, in attuazione della delega, in capo ai seguenti creditori pubblici qualificati (art. 367):

§  al Registro delle imprese (per gli ultimi tre bilanci, visure storiche e operazioni straordinarie;

§  all’Agenzia delle entrate (ultime tre dichiarazioni dei redditi, debiti fiscali, atti sottoposti a imposta di registro),

§  e all’INPS (contributi non versati).

 

In relazione alle spese della procedura e all’onorario del curatore in caso di revoca dell’apertura della liquidazione giudiziale, è la corte d’appello a decidere tra debitore e creditore su chi ricade l’addebito (art. 366). Colmando un vuoto normativo, in particolare, si precisa che ove non sia possibile imputare l’apertura della procedura né a debitore né al creditore, le indicate spese sono a carico dell’Erario.

 

Si ricorda, al riguardo, che l’art. 2, lett. m) della legge delega prevede di riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge.

 

Il capo IV composto dal solo art. 368 contiene disposizioni di coordinamento con la disciplina in materia di diritto del lavoro.

L’art. 368 adegua la normativa in materia di licenziamenti introducendo, in particolare, modifiche all’art. 47 della legge comunitaria del 1990 (L. n. 428 del 1990) che disciplina la procedura del trasferimento d’azienda sulla base delle previsioni dell’’art. 2112 c.c. (disposizione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori nell’indicato trasferimento).

 

L’art. 2, lett. p) della legge delega prevede di armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell'insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella Carta sociale europea, fatta a Strasburgo il  maggio 1996, ratificata ai sensi della legge 9 febbraio 1999, n. 30, e nella direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, nonché nella direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.

 

L’art. 47 cit. è stato oggetto di seri dubbi interpretativi sia da parte della giurisprudenza nazionale che europea in relazione alle deroghe che tale disposizione prevedeva sia rispetto all’art. 2112 c.c. che alla sua non conformità alla normativa comunitaria. Anche dopo la parziale modifica del citato art. 47, la giurisprudenza ha ritenuto che una interpretazione comunitariamente orientata dovesse prevedere, in caso di trasferimento d’azienda, il mantenimento dei livelli occupazionali senza limitazioni al trasferimento dei rapporti di lavoro nell’impresa cessionaria.

 

Anche al fine di superarne le difficoltà interpretative e applicative (in applicazione dell’ulteriore citato criterio di delega di cui all’art. 2, lett. m), viene integrato il contenuto dell’art. 47 della citata legge comunitaria, prevedendo che le deroghe all’art. 2112 c.c. nelle procedure di insolvenza previste dal decreto in esame avvengano, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, nei termini concordati da accordi sindacali, da concludersi anche mediante contratti collettivi.

 

Nella liquidazione giudiziale, l’art. 7, comma 7, della legge delega prevede che la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato è coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di insinuazione al passivo (v. anche artt. 189, 190 e 191).

 

Il capo V (artt. 369-371) introduce modifiche di coordinamento con la nuova disciplina sulla liquidazione coatta amministrativa introdotta dal provvedimento in esame.

Le prime due modifiche riguardano leggi speciali ovvero il TU bancario (D.Lgs 385/1993) e il Codice delle assicurazioni private.

In entrambi i casi - oltre quelle che fanno riferimento alla legge fallimentare - sono novellate le disposizioni in materia di competenza territoriale del giudice nel procedimento di liquidazione coatta per adeguarle al criterio generale di delega (art. 2, lett. f) relativa al “centro degli interessi principali del debitore” (artt. 369 e 370).

Ulteriori modifiche di coordinamento (art. 371) interessano l’art. 16 delle disposizioni di attuazione del codice civile il cui contenuto fa riferimento a specifiche disposizioni della legge fallimentare del 1942 (ora riferite al quelle corrispondenti del Codice della crisi e dell’insolvenza in esame).

 

In adesione alla delega, il capo VI, composto dal solo art. 372, reca disposizioni di coordinamento della disciplina penale con quella introdotta dal Codice in esame.

 

L’art. 13 della legge 155 prevede che, nell'esercizio della delega, il Governo adotta disposizioni di coordinamento:

- con il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, stabilendo condizioni e criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza (comma 1);

- con la disciplina di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e in particolare con le misure cautelari previste dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, nel rispetto del principio di prevalenza del regime concorsuale, salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale (comma 2).

 

Sono, infatti, riformulati i commi 1-bis e 1-quater dell’art. 104-bis delle norme di attuazione del c.p.p. (cfr art. 317 dello schema di decreto in esame) per adeguarne il contenuto alla prevalenza della disciplina del Codice antimafia sia in relazione alla disciplina dell’amministratore giudiziario sia per quanto riguarda il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (ai fino della tutela dei terzi e nei rapporti con la liquidazione giudiziale). Analoga prevalenza è stabilita per quel che riguarda i sequestri e la cd. confisca allargata (o per sproporzione) di cui all’art. 240-bis c.p., nonché in relazione alla collaborazione con l’autorità giudiziaria nell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati da parte dell’Agenzia nazionale.

 

Si segnala che non appare attuato quanto previsto al comma 2 dell’art. 13 della legge delega, relativo alla necessità di coordinare con la riforma in esame la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato (D.Lgs 231 del 2001), con particolare riferimento alle misure cautelari previste dalla citata disciplina, nel rispetto del principio di prevalenza del regime concorsuale.

 

Il Governo, nella relazione al provvedimento in esame spiega come l’art. 53 del D.Lgs. 231 contiene disposizioni in materia di sequestro ai fini della confisca che rinviano alle norme del codice di procedura penale "in quanto compatibili”. Sempre la relazione opina che l’opportunità di “non creare uno statuto del sequestro alternativo, ulteriore e diverso se esso riguardi persone giuridiche” deriva anche dal fatto che “le norme introdotte dal presente schema di decreto legislativo siano in grado di adempiere…al criterio di prevalenza del regime concorsuale”.

 

L’art. 373, oggetto unico del capo VII, concerne le abrogazioni di alcune disposizioni della legge fallimentare

Si tratta di norme che riguardano istituti ormai abrogati da tempo e che sono quindi soppresse, diversamente dal resto della disposizioni del RD del 1942 destinate alla momentanea vigenza per regolare i procedimenti concorsuali pendenti all’entrata in vigore del Codice dell’insolvenza in esame.

La prima abrogazione riguarda l’art. 221, che prevede il procedimento sommario nel procedimento di fallimento.

La seconda riguarda l’omessa trasmissione dell'elenco dei protesti cambiari al presidente del tribunale prevista dall’art. 235.

La terza abrogazione è relativa alla riabilitazione del fallito prevista dall’art. 241 della legge fallimentare

 


Parte Seconda
(Modifiche al codice civile)

 

La Parte II apporta modificazioni al codice civile in attuazione dell'art. 14 della legge delega.

Alcune delle modificazioni introdotte sono dettagliatamente indicate nel medesimo art. 14, in quanto rese necessarie per la definizione della disciplina organica di attuazione dei princìpi e criteri direttivi dettati dalla legge delega.

Le modifiche introdotte intervengono sul libro V del codice civile, concernendo gli assetti organizzativi dell'impresa (titolo II del libro V); gli assetti organizzativi societari, la responsabilità degli amministratori, la nomina degli organi di controllo nelle società a responsabilità limitata, le cause di scioglimento delle società per azioni (titolo V del libro V); la disciplina dell'insolvenza delle società cooperative (titolo VI del libro V).

 

In particolare, in attuazione all'art. 14, comma 1, lett. b), della legge delega, viene novellato l’art. 2086 c.c. al fine di introdurre una disposizione diretta ad imporre all'imprenditore l'obbligo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa (art. 374).

La disposizione è rivolta agli imprenditori operanti in forma societaria ovvero collettiva. Ne sono pertanto esclusi gli imprenditori individuali.

Si specifica che l'istituzione di un assetto organizzativo adeguato è, tra l'altro, funzionale alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, consentendo in tal modo all'imprenditore di attivare prontamente gli strumenti previsti dall’ordinamento al fine di pervenire al superamento della crisi e al recupero della continuità aziendale.

In coerenza con l'introduzione della disposizione in esame, la vigente rubrica dell'art. 2086 ("Direzione e gerarchia nell'impresa") è sostituita con la rubrica "Gestione dell’impresa".

 

All'art. 2119 c.c. (in materia di recesso dal contratto per giusta causa) viene innanzitutto soppresso il riferimento al "fallimento dell'imprenditore" come situazione che, al pari della liquidazione coatta amministrativa dell'impresa, non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto (art. 375). Ciò in coerenza con il complessivo disegno di riforma delle procedure di crisi e di insolvenza, caratterizzato tra l'altro - come evidenziato nella relazione illustrativa - dall'abbandono della tradizionale espressione "fallimento".

Inoltre viene introdotto il richiamo al Codice della crisi e dell'insolvenza (di cui al provvedimento in esame) per la disciplina degli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro (si vedano gli artt. 189 e sgg. del Codice della crisi e dell'insolvenza).

 

Sono estesi a tutti i tipi di società i vincoli posti all'imprenditore dall’art. 2086, secondo comma, c.c., aggiunto dall'art. 374 dello schema in esame (art. 376, in materia di assetti organizzativi societari). Tali vincoli impongono - si ricorda - l'istituzione di un assetto organizzativo adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa.

A tal fine sono modificati: l'art. 2257 (amministrazione disgiuntiva della società semplice); l'art. 2380-bis (amministrazione della società per azioni); l'art. 2409-novies (consiglio di gestione delle società governate secondo un sistema dualistico); l'art. 2475 (amministrazione della società a responsabilità limitata).

Per tutte le precedenti fattispecie è introdotta la previsione sulla base della quale la gestione dell’impresa deve svolgersi nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2086, secondo comma.

All’art. 2475 è inoltre aggiunto un apposito comma volto a prevedere l'applicabilità alle società a responsabilità limitata, in quanto compatibili, delle disposizioni recate dall’art. 2381 c.c. con riferimento alle società per azioni.

Esse concernono le funzioni del presidente del consiglio di amministrazione nonché l'eventuale delega di compiti amministrativi a un comitato esecutivo ovvero ad uno o più dei componenti del cda.

 

Sono modificati gli artt. 2476 (in materia di responsabilità degli amministratori delle società a responsabilità limitata) e 2486 (relativo ai poteri degli amministratori al verificarsi di una causa di scioglimento della società) c.c., con l'obiettivo di innalzare il grado di responsabilità degli amministratori in caso di mancato rispetto degli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 377).

All'art. 2476, viene inserito un comma diretto a introdurre la previsione per la quale gli amministratori delle società a responsabilità limitata rispondono verso i creditori della società quando il patrimonio sociale sia insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

Sotto il profilo procedurale si prevede che l’azione possa essere proposta dai creditori, i quali sono legittimati ad agire anche nell'ipotesi di rinunzia all’azione da parte della società.

Inoltre i creditori sociali possono impugnare l'eventuale transazione intervenuta tra la società e gli amministratori soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrano gli estremi.

Con la modifica dell'art. 2476 lo schema di decreto dà attuazione all'art. 14, comma 1, lett. a), della legge delega, nella parte in cui prevede l'applicabilità alle società a responsabilità limitata dell'art. 2394 c.c., che sancisce la responsabilità degli amministratori delle società per azioni verso i creditori sociali.

All'art. 2486 - in attuazione all'art. 14, comma 1, lett. e), della legge delega - sono introdotti (mediante aggiunta di un apposito comma) criteri di quantificazione del danno risarcibile una volta accertata la violazione, da parte degli amministratori, delle disposizioni del medesimo art. 2486.

L'art. 2486 disciplina, infatti, i poteri degli amministratori al verificarsi di una causa di scioglimento della società e fino al momento della consegna ai liquidatori dei libri sociali e dei rendiconti.

In quell'arco temporale "gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale" e sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione di detta disposizione.

Per effetto della novella recata dall'articolo in esame, gli amministratori - in caso di accertamento di tale responsabilità e fatta salva la prova di un diverso ammontare - sono tenuti a risarcire il danno in misura pari alla differenza tra il patrimonio netto al momento dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e il patrimonio netto al momento in cui si è verificata una delle cause di scioglimento enumerate all’art. 2484 c.c.

Dalla differenza così calcolata sono detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, a seguito del verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.

Qualora le scritture contabili manchino ovvero i netti patrimoniali non possano essere determinati in ragione dell’irregolarità delle scritture medesime o per altre motivi, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella liquidazione giudiziale.

 

Nella Relazione illustrativa si segnala "l'effetto risolutivo anche in termini deflattivi di tale intervento che risolve alla base tutte le possibili questioni derivanti dall'obiettiva difficoltà di quantificare il danno in tutti quei casi, nella pratica molto frequenti, in cui mancano le scritture contabili o le stesse sono state tenute in modo irregolare".

 

In attuazione all'art. 14, comma 1, lett. f), g), h) e i), della legge delega, viene modificato l'art. 2477 c.c., al fine di estendere le ipotesi in cui le società a responsabilità limitata sono obbligate a nominare l'organo di controllo o il revisore (art. 378).

Più specificamente, rispetto al testo vigente del terzo comma dell'art. 2477 c.c., sono ridotte le soglie di totale dell'attivo dello stato patrimoniale, di ricavi delle vendite e delle prestazioni e di dipendenti occupati in media durante l'esercizio, che, se oltrepassate in numero di due per due esercizi consecutivi, obbligano la società a responsabilità limitata a nominare l'organo di controllo o il revisore.

Le soglie sono così rideterminate dalla lett. g) dell'art. 14, comma 1, della legge delega (e conseguentemente dalla lettera c) dell'art. 2477, terzo comma, c.c., come modificata dall'articolo in esame):

§  il totale dell'attivo dello stato patrimoniale è ridotto dagli attuali 4.400.000 euro (art. 2435-bis, primo comma, n. 1), c.c.) a 2 milioni di euro;

§  i ricavi delle vendite e delle prestazioni sono ridotti dagli attuali 8.800.000 euro (art. 2435-bis, primo comma, n. 2), c.c.) a 2 milioni di euro;

§  i dipendenti occupati in media durante l'esercizio sono ridotti dalle attuali 50 unità (art. 2435-bis, primo comma, n. 3), c.c.) a 10 unità.

Rispetto al vigente quarto comma dell'art. 2477, la nuova formulazione chiarisce che nessuno dei predetti limiti (in luogo della più generale locuzione vigente "i predetti limiti") deve essere superato, per due esercizi consecutivi, per far venire meno l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore.

 

Si rileva che la nuova formulazione del quarto comma non risulta conforme alla disposizione di cui all'art. 14, comma 1, lett. i), della legge delega, la quale prevede che "l'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore cessi, per la società a responsabilità limitata, quando per tre esercizi consecutivi non è superato alcuno dei limiti di cui alla lettera g)".

Va a tal proposito rilevato che - stando alla riformulazione del quarto comma dell'art. 2477 presente nello schema in esame - l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa quando non è superato alcuno dei predetti limiti per due - e non per tre - esercizi consecutivi.

 

In attuazione della lett. h) dell'art. 14, comma 1, della legge delega, si conferisce al conservatore del registro delle imprese il potere di segnalare al tribunale che l'assemblea, tenuta a nominare l'organo di controllo o il revisore ai sensi del sesto comma dell'art. 2477, non vi ha provveduto nel termine di trenta giorni (secondo quanto previsto dal primo periodo del medesimo sesto comma).

In attuazione della lett. f) dell'art. 14, comma 1, della legge delega, mediante aggiunta di un comma all'art. 2477, è disposta l'applicabilità alle società a responsabilità limitata, anche se prive di organo di controllo, delle disposizioni dell'art. 2409, che disciplinano le modalità di denunzia al tribunale di gravi irregolarità compiute dagli amministratori e tali da poter arrecare danno alla società.

Infine si fa carico alle società a responsabilità limitata e alle società cooperative già costituite alla data di entrata in vigore dell'articolo in esame di adeguare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni dei novellati commi terzo e quarto dell'art. 2477 c.c. entro 180 giorni dalla predetta data.

Fino alla scadenza del termine, l’atto costitutivo e lo statuto conservano la loro efficacia anche se non conformi alle inderogabili disposizioni di cui al novellato art. 2477 c.c.

 

In attuazione all'art. 14, comma 1, lett. c), della legge delega, è modificato l'art. 2484 c.c. (mediante aggiunta al primo comma del numero 7-bis) al fine di inserire l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale tra le cause di scioglimento delle società di capitali (art. 379).

 

Le cause di scioglimento previste dal vigente art. 2484, primo comma, c.c. sono: il decorso del termine; il conseguimento dell'oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo (salvo che l'assemblea non deliberi le opportune modifiche statutarie); l'impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell'assemblea; la riduzione del capitale al disotto del minimo legale (salvo quanto disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter); le ipotesi previste dagli articoli 2437-quater e 2473; una deliberazione dell'assemblea; altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto.

 

Si interviene sulla disciplina dell'insolvenza delle società cooperative (art. 380).

Rispetto al vigente primo comma, secondo periodo, dell'art. 2545-terdecies c.c. - che prevede l'assoggettamento anche al "fallimento" di tutte cooperative che svolgono attività commerciale - la novella in commento esclude dall'assoggettamento a liquidazione giudiziale le imprese individuate dall'art. 295 dello schema in esame come assoggettabili esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa.

L'art. 380 (tramite sostituzione del primo periodo dell’art. 2545-sexiesdecies, primo comma, c.c.) interviene inoltre sulla disciplina della gestione commissariale delle società cooperative. In particolare, rispetto alla disciplina vigente:

§  sono esclusi espressamente i casi di scioglimento delle società cooperative e degli enti mutualistici per atto dell'autorità disciplinati dall'art. 2545-septiesdecies;

§  l'affidamento della società ad una gestione commissariale può intervenire "in caso di irregolare funzionamento della società cooperativa", senza che sia richiesta la "gravità" delle irregolarità di funzionamento o "fondati indizi di crisi delle società cooperative";

§  è espressamente enunciato l'obiettivo della gestione commissariale "di sanare le irregolarità riscontrate";

§  per il caso di crisi o insolvenza, l’autorità di vigilanza può autorizzare il commissario a domandare la nomina del collegio o del commissario per la composizione assistita della crisi o l’accesso a una delle procedure regolatrici previste dallo schema di codice in esame.

 

Per l'esercizio delle funzioni da parte dell'autorità amministrativa di vigilanza è richiamato l’art. 316, comma 1, lettera b), dello schema in esame, che conferisce all'autorità di vigilanza la competenza a svolgere le funzioni attribuite agli organismi di composizione assistita della crisi.

 

§  viene meno la possibilità di nomina di un vice commissario prevista dal testo vigente per i casi in cui l'importanza della società cooperativa lo richieda.

 

Sono modificati gli articoli 2288, 2308 e 2497 c.c. al fine di adeguarne la formulazione, dal punto di vista lessicale, al complessivo disegno di riforma delle procedure di crisi e di insolvenza, caratterizzato dall'abbandono delle tradizionali espressioni "fallito" e "fallimento" (art. 381). Pertanto:

§  all'art. 2288, primo comma, è escluso di diritto il socio nei confronti del quale sia stata aperta o estesa la procedura di liquidazione giudiziale secondo il codice della crisi e dell’insolvenza (anziché "il socio che sia dichiarato fallito");

§  all'art. 2308, primo comma, tra le cause di scioglimento della società è posta "l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale" (in luogo della "dichiarazione di fallimento");

§  all'art. 2497, quarto comma, si fa richiamo al "caso di liquidazione giudiziale" anziché al "caso di fallimento".

 

E' soppressa la disposizione di cui all'art. 2467, primo comma, c.c., nella quale si prevede la restituzione del rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento (art. 382).

 

Il secondo comma dell'art. 2467 c.c. chiarisce che la locuzione "finanziamenti dei soci a favore della società" si riferisce ai finanziamenti che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

 

E' disposta l'abrogazione dell’art. 2221 del codice civile (imprenditori soggetti a fallimento e concordato preventivo) a decorrere dalla data di entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza (art. 383).

 

L'art. 2221 dispone che - fatte salve le disposizioni delle leggi speciali - in caso di insolvenza, siano soggetti alle procedure del fallimento e del concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori.

 

Parrebbe non trovare attuazione nello schema in esame la disposizione dell'art. 14, comma 1, lett. a), della legge delega, nella parte in cui demanda al Governo l'abrogazione dell'art. 2394-bis c.c., in materia di azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali.

 


Parte Terza
(Garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire)

 

La Parte III (articoli da 384 a 387) - in attuazione dell'art. 12 della legge delega - reca novelle al decreto legislativo n. 122 del 2005, dirette a tutelare i diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.

 

In particolare, si interviene sul decreto legislativo n. 122 come segue:

§  all'art. 3, comma 1, è soppresso il riferimento all'art. 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (decreto legislativo n. 385 del 1993), che coinvolgeva gli intermediari finanziari nel rilascio della fideiussione. Inoltre, la garanzia della fideiussione viene estesa anche al caso di inadempimento all’obbligo assicurativo di cui all’art. 4 del decreto n. 122 (art. 384, comma 1, lett. a));

§  all'art. 3, comma 3, la garanzia di escussione della fideiussione è estesa al caso di recesso dal contratto preliminare dell’acquirente che abbia ottenuto da parte del notaio l’attestazione di non aver ricevuto per la data dell’atto la polizza assicurativa (art. 384, comma 1, lett. b));

§  all'art. 3, comma 7, si introduce la previsione sulla base della quale la fideiussione perde efficacia solo nel momento in cui il fideiussore riceve dal costruttore copia dell’atto di trasferimento che contenga menzione degli estremi della polizza decennale e della sua conformità (art. 384, comma 1, lett. c));

§  sempre all'art. 3, è aggiunto un apposito comma volto a demandare a un decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, la determinazione del modello standard della fideiussione (art. 384, comma 1, lett. d));

§  all'art. 4, comma 1 - in attuazione della disposizione di cui all'art. 12, comma 1, lett. b), della legge delega - è introdotta la previsione per la quale all'inadempimento dell'obbligo assicurativo consegue la nullità relativa del contratto, che può essere fatta valere solo dall'acquirente (art. 385, comma 1, lett. a));

§  sempre all'art. 4, sono aggiunti tre commi diretti a: demandare ad un decreto interministeriale la determinazione del contenuto e delle caratteristiche della polizza di assicurazione, nonché dell'eventuale modello standard; in caso di mancata consegna della polizza assicurativa da parte del costruttore, riconoscere all'acquirente che recede dal contratto preliminare il diritto di escutere la fideiussione; introdurre l'obbligo di menzionare nell'atto di trasferimento gli estremi della polizza assicurativa e della sua conformità al decreto interministeriale che la disciplina (art. 385, comma 1, lett. b));

§  all'art. 5, viene introdotta apposita disposizione volta a circoscrivere l'ambito di applicazione delle disposizioni recate dallo schema di decreto in esame ai contratti che hanno ad oggetto immobili da costruire per i quali il titolo abilitativo edilizio sia stato richiesto o presentato successivamente alla data di entrata in vigore del decreto medesimo (art. 386);

§  all'art. 6 - in attuazione dell'art. 12, comma 1, lett. a), della legge delega - si dispone che i contratti preliminari e quelli comunque diretti al successivo acquisto della proprietà o di altro diritto reale su un immobile da costruire siano stipulati per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (art. 387, comma 1, lett. a)).

 

Dal punto di vista della formulazione del testo, si osserva che, in fine alle parole inserite nell'alinea ("devono essere stipulati per atto pubblico o per scrittura privata autenticata"), dovrebbe essere aggiunta una "e".

 

§  sempre all'art. 6, è sostituita la lett. g) del comma 1 al fine di prevedere che il contratto preliminare contenga, oltre agli estremi della fideiussione, anche l’attestazione della sua conformità al modello standard stabilito con il decreto interministeriale di cui all'art. 3, comma 7-bis (art. 387, comma 1, lett. b)).

 


Parte Quarta
(Disposizioni finali e transitorie)

 

La Parte IV (articoli da 388 a 390) reca:

 

§  le disposizioni di entrata in vigore del decreto legislativo (art. 388).

Le disposizioni che disciplinano gli istituti della crisi e dell'insolvenza entrano in vigore decorsi 18 mesi dalla data di pubblicazione.

Per talune altre disposizioni (tra le quali alcune modifiche al codice civile nonché le garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire di cui alla Parte III), la data di entrata in vigore è stata invece fissata al trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione.

 

Nella Relazione illustrativa si specifica che la data di entrata in vigore delle disposizioni è stata differenziata "in considerazione della esigenza o meno di. particolari attività preparatorie necessarie alla loro attuazione".

 

§  la disciplina transitoria (art. 389).

Si prevede che restano disciplinati dalla legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 1942) e dalla legge n. 3 del 2012 sia i ricorsi e le domande pendenti alla data di entrata in vigore del decreto in esame (nonché le procedure aperte a seguito della definizione di tali ricorsi e domande) sia le procedure pendenti alla medesima data.

 

§  Le disposizioni finanziarie, recanti clausola di invarianza finanziaria, in conformità a quanto previsto dall’art. 16 della legge delega (art. 390).

 

Si osserva che la rubrica dell'articolo - "Disposizioni finanziarie e finali" - non risulta del tutto corrispondente all'articolato che reca esclusivamente la clausola di invarianza finanziaria.

 

 

 



[1]     Tali limiti sono prescritti  dall’art. 3, par. 4, della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese.

[2]     L'articolo 67, terzo comma, LF, individua tra gli atti esclusi dalla revocatoria, alla lettera d): gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria.

[3]     L. 27 gennaio 2012, n. 3, Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

[4] La riforma conferma che non possono essere compresi nella liquidazione:

- i crediti impignorabili ai sensi dell'articolo 545 c.p.c.;

- i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento;

- i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall'articolo 170 del codice civile (che dispone che «L'esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia»);

- le cose impignorabili per legge.