Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Schema di decreto legislativo recante disciplina dell'esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni
Riferimenti: SCH.DEC N.20/XVIII
Serie: Atti del Governo   Numero: 20
Data: 26/06/2018
Organi della Camera: II Giustizia

marzo 2018


 

 

 

 

 

Schema di decreto legislativo recante disciplina dell'esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni

 

A.G. 20

 

 

 

 

Servizio Studi

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Dossier n. 28

 

 

 

 

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Atti del Governo n. 20

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La redazione del presente dossier è stata curata dal Servizio Studi del Senato della Repubblica

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

La norma di delega. 5

Il contenuto dello schema di decreto legislativo. 9

I Servizi minorili in cifre. 13

Capo I (Disposizioni in tema di vita penitenziaria) 15

Capo II  (Esecuzione esterna e misure penali di comunità) 17

Capo III (Disciplina dell'esecuzione) 27

Capo IV   (Intervento educativo e organizzazione degli istituti penali per minorenni) 31

 


La norma di delega

 

 

La legge 23 giugno 2017 n. 103  (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario) ha delegato il Governo (art. 1, co. 82) ad adottare decreti legislativi per la riforma della disciplina in materia di intercettazione di conversazioni o comunicazioni e di giudizi di impugnazione nel processo penale nonché per la riforma dell'ordinamento penitenziario.

Il co. 83 dell’articolo unico specifica i tempi e il procedimento per l’attuazione della delega.  Quanto ai termini, la disposizione prevede che tale delega debba essere esercitata entro un anno dall’entrata in vigore della legge e dunque entro il 3 agosto 2018. I decreti legislativi non dovranno comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e dovranno essere adottati su proposta del Ministro della giustizia.

Quanto al procedimento per l’attuazione della delega, gli schemi di decreto legislativo dovranno essere trasmessi alle competenti commissioni parlamentari per il parere, da rendere entro 45 giorni, decorsi i quali i decreti potranno essere comunque adottati. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti lo spirare del termine di delega, o successivamente, quest'ultimo termine è prorogato di sessanta giorni. Se il Governo non intenderà conformarsi ai pareri parlamentari, dovrà trasmettere nuovamente gli schemi alle Camere con i necessari elementi informativi e le motivazioni delle scelte legislative. La Commissioni dovranno esprimersi nei successivi 10 giorni. Decorso tale termine, i pareri potranno comunque essere adottati.

 

Il co. 85 contiene, poi, i criteri e i principi direttivi a cui il Governo dovrà attenersi per la riforma dell'ordinamento penitenziario.

In particolare le prime lettere del comma 85 si occupano dell’ampliamento dell’ambito di operatività delle misure alternative alla detenzione, prevedendo:

·       la semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione (lett.a);

·        la revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale (lett. b);

·        la revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni e che il procedimento di sorveglianza garantisca il diritto alla presenza dell’interessato e la pubblicità dell’udienza (lett.c);

·        la previsione di una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire; integrazione delle previsioni sugli interventi degli uffici dell’esecuzione penale esterna; previsione di misure per rendere più efficace il sistema dei controlli, anche mediante il coinvolgimento della polizia penitenziaria (lett. d);

·       l’eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono ovvero ritardano, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la differenziazione dei percorsi penitenziari (lett. e).

 

 La delega reca poi i seguenti criteri e principi direttivi per la riforma dell’esecuzione intramuraria della pena detentiva:

·       incremento delle opportunità di lavoro retribuito sia intramurario che esterno (lett. g);

·        valorizzazione del volontariato (lett. h);

·       valorizzazione dell’utilizzo dei collegamenti audiovisivi (lett. i);

·       affermazione del diritto all’affettività (lett. n);

·        revisione delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario relative alla medicina penitenziaria, anche attraverso il potenziamento dell'assistenza psichiatrica negli istituti di pena ed esclusione del sanitario dal consiglio di disciplina istituito presso l’istituto penitenziario (lett. l e m);

·        interventi specifici per favorire l'integrazione dei detenuti stranieri (lett. o);

·       previsione di norme volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna; la sorveglianza dinamica (lett. r);

·       interventi a tutela delle donne recluse e delle detenute madri (lett. s e t);

·       revisione delle attuali previsioni in materia di libertà di culto e dei diritti ad essa connessi (lett. v).

Ulteriori criteri di delega riguardano:

·       la previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative (lett. f);

·       l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettività della funzione rieducativa della pena, attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, della salubrità ed integrità ambientale, dell'integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato (lett. q). In attuazione di tale disposizione è stato adottato il decreto legislativo 1 marzo 2018 n. 21;

·       la revisione del sistema delle pene accessorie improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato ed esclusione di una loro durata superiore alla durata della pena principale (lett. u).

 

Con riguardo alla materia oggetto del provvedimento in esame la lett. p) reca specifici principi e criteri direttivi per l'adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze rieducative dei detenuti minori di età. In particolare si prevede che:

·       venga mantenuta una giurisdizione specializzata, affidando le funzioni dei giudici di sorveglianza ai tribunali per i minorenni, fatta salva l'incompatibilità del giudice di sorveglianza che abbia svolto funzioni giudicanti nella fase di cognizione (n. 1);

·       sia rivista l'organizzazione degli istituti per i minorenni nella prospettiva della socializzazione, della responsabilizzazione e della promozione della persona (n. 2), anche attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale (n. 7), nonché dei contatti con la società esterna in funzione del reinserimento sociale (n. 8);

·       sia riconosciuto il ruolo strategico delle misure alternative alla detenzione attraverso la previsione di misure conformi alle istanze educative del minorenne (n. 4), l'ampliamento dei criteri per l'accesso alle misure, con particolare riferimento ai requisiti necessaria alla concessione dell'affidamento in prova e della semilibertà (n. 5), l'eliminazione di ogni automatismo nella revoca dei benefici penitenziarie di ogni meccanismo ostativo o preclusivo nella loro concessione, in contrasto la funzione rieducativa della pena e con il principio di individualizzazione del trattamento (n. 6);

·       l’applicabilità del diritto penitenziario minorile sia estesa anche ai giovani adulti (n. 3).

 

Per quanto concerne l'attuazione della delega si ricorda che, sul finire della XVII Legislatura, il Governo ha trasmesso al Parlamento lo schema di decreto legislativo AG 501. Il provvedimento oltre a dare attuazione di alcuni dei principi ad alcuni dei principi di delega, in particolare a quelli relativi all’assistenza sanitaria in ambito penitenziario; alle misure alternative alla detenzione; al volontariato; alla integrazione dei reclusi stranieri; ai bisogni e diritti delle donne detenute, reca anche modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario finalizzate alla garanzia del rispetto della dignità umana e alla massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna. Su tale schema di decreto le Commissioni hanno espresso i prescritti pareri. A tali pareri l’Esecutivo non si è integralmente conformato. Un nuovo schema (AG 17) è stato, quindi, trasmesso dal Governo alle Camere e deferito alla Commissione giustizia. Il termine per l'espressione del nuovo parere scade il 1° luglio 2018.

 

In attuazione di alcuni dei numerosi criteri di delega – oltre a quello qui in esame in tema di esecuzione penale minorile (AG 20) -  sono stati trasmessi al Parlamento anche altri due schemi di decreto legislativo:

·       il primo concerne la riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario (AG 16);

·       il secondo interviene in tema di giustizia riparativa (AG 29).

 

 

Il comma 86 dell’articolo unico reca un’ulteriore delega relativa all'adozione di norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, mentre il comma 87 riguarda la delega per le eventuali disposizioni integrative e correttive.

 

 


Il contenuto dello schema di decreto legislativo

 

Lo schema di decreto legislativo è stato assegnato alle Commissioni giustizia di Senato e Camera in data 21 giugno 2018. Le suddette Commissioni dovranno esprimere il proprio parere entro il 5 agosto 2018.

 

Il termine per l'espressione del parere parlamentare viene quindi a scadere successivamente alla scadenza del termine di delega (3 agosto 2018) e dunque, secondo quanto previsto dal comma 83 dell'articolo unico della legge n. 103, lo stesso termine di delega è prorogato di 60 giorni (v. sopra).

 

Nel merito il provvedimento si compone di 26 articoli suddivisi in 4 Capi.

 

Esso dà espressa attuazione ai principi di delega di cui alla lett. p) del comma 85 dell'articolo unico della legge n. 103 del 2017.

 

Più nel dettaglio:

·       il Capo I, costituito dal solo articolo 1, reca disposizioni generali;

·       il Capo II (artt. 2-8) interviene in materia di esecuzione esterna e misure penali di comunità;

·       il Capo III (artt. 9- 13) ha ad oggetto la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive e delle misure penali di comunità e delle misure alternative alla detenzione;

·       il Capo IV (artt. 14-26) reca disposizioni in tema di intervento educativo e in materia di organizzazione degli istituti penitenziari per minorenni.

 

L'esecuzione penale nei confronti dei condannati minorenni è attualmente regolamentata in generale dalla legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354/1975). L'articolo 79, primo comma, O.P. prevede, infatti, che “Le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge".

All'interno della stessa legge sull'ordinamento penitenziario sono poi rinvenibili specifiche previsioni relative ai soli detenuti minorenni. In proposito si segnalano, a titolo esemplificativo, l'articolo 30-ter O.P., il quale, al comma 2, consente ai minorenni di fruire di permessi premio per un periodo di tempo superiore a quello riservato ai condannati di maggiore età; l'articolo 47-ter O.P., il quale estende la detenzione domiciliare anche alla persona minore degli anni 21 per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.

Ulteriori disposizioni in materia sono contenute nel d.P.R. n. 448 del 1988, sul processo penale a carico di minorenni nonché nel regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. n. 230 del 2000.

Infine una serie di questioni relative al trattamento dei detenuti minorenni è disciplinata nella Circolare DAP n. 5391 del 2006 ("Organizzazione e gestione tecnica degli istituti per i minorenni").

 

 

Lo schema in esame, quindi, colmando di fatto un vuoto legislativo quarantennale, si propone di introdurre una normativa speciale per l'esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni e dei giovani al di sotto dei venticinque anni (cd. giovani adulti) al fine di adattare la disciplina dell'ordinamento penitenziario alle specifiche esigenze di tali soggetti, con particolare riguardo al peculiare percorso educativo e di reinserimento sociale di cui gli stessi necessitano in ragione della giovane età.

 

In proposito è opportuno ricordare che il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, nell'ultima Relazione (2018) presentata al Parlamento, ha evidenziato che " la mancanza di una disciplina dell'esecuzione penale specifica per i condannati minorenni costituisce un indubbio elemento di distonia nel sistema della giustizia minorile".

 

L'intervento legislativo si pone - come precisa la relazione illustrativa- nel solco delle statuizioni del giudice delle leggi e intende conferire la necessaria autonomia, specificità e coerenza al sistema esecutivo minorile.

 

In proposito, si segnala, fra tutte, una recente decisione (Sentenza n. 90 del 2017) con la quale la Corte costituzionale -nel censurare l’art. 656 c.p.p. - ha affermato l'importanza dell’individualizzazione del trattamento e della rieducazione del minore condannato, ribadendo che l’esecuzione penale minorile deve abbandonare ogni rigido automatismo e favorire il ricorso alle misure alternative risocializzanti, in linea con le indicazioni internazionali, convenzionali ed europee.

 

Il provvedimento inoltre mira ad adeguare il sistema vigente agli input derivanti dagli impegni assunti dall'Italia con la sottoscrizione di svariati atti internazionali ed europei (le Regole di Pechino, la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori...).

 

In particolare nel contesto europeo uno spazio importante è occupato dalle Regole europee per i minorenni autori di reato, allegate alla Raccomandazione (2008) 11 e adottate dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 2008. Tali Regole impongono agli Stati membri di assicurare che l'applicazione e l'esecuzione di sanzioni e misure penali tengano in prioritaria considerazione il superiore interesse del minorenne, con riguardo all'età, alla salute psichica e mentale, alla maturità e alla situazione personale. Inoltre esse stabiliscono che il ricorso alla detenzione debba essere sempre residuale e della più breve durata possibile.

Nella medesima direzione si pone la Direttiva UE 2016/800 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali, che riafferma la preferenza da riservarsi alle misure alternative alla detenzione e alle modalità esecutive delle forme di privazione della libertà nel rispetto della particolare vulnerabilità dei minorenni.

Sempre nello stesso solco si inseriscono (anche se non espressamente ricordate nella relazione illustrativa) le Linee guida sulla giustizia minorile amichevole, approvate dal Consiglio d'Europa il 17 novembre 2010, nelle quali sono ribaditi importanti principi in ordine alle garanzie dei diritti dei minori privati della libertà personale.

Infine, il Documento del Commissario per i diritti umani del 2009 "Minori e giustizia minorile: proposte di miglioramento" riassume i principi ai quali dovrebbe ispirarsi l'ordinamento penitenziario minorile, fra i quali si riconosce assoluta priorità alle misure non detentive e basate sulla comunità.


I Servizi minorili in cifre

 

 

 

Fonte: Sistema informativo dei servizi minorili (SISM)

 

 

 

Fonte: Sistema informativo dei servizi minorili (SISM)

 

 

 

Fonte: Sistema informativo dei servizi minorili (SISM)

 

 

 

Fonte: Sistema informativo dei servizi minorili (SISM)

 


 

Capo I
(Disposizioni in tema di vita penitenziaria)

 

 

Il Capo I, costituito dal solo articolo 1, in attuazione dei criteri di delega di cui ai punti 2 e 7 della lett. p), individua i principi fondamentali dell'esecuzione penale nei confronti dei minori di età e di coloro che non hanno ancora compiuto i venticinque anni (i c.d. giovani adulti).

 

Più nel dettaglio, l'articolo, al comma 1, stabilisce che con riguardo ai procedimenti per l'esecuzione delle pene detentive e per l'applicazione delle misure penali di comunità a carico di minorenni trovano applicazione le disposizioni del presente decreto. Per quanto non previsto da tale disciplina trovano applicazione le disposizioni:

·       del codice di procedura penale;

·       della legge n. 354 del 1975, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (O.P.);

·       del D.P.R. n. 448 del 1988 recante norme sul processo penale a carico di imputati minorenni;

·       del D.Lgs. n. 272 del 1989, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448.

 

Il comma 2 prevede poi, che, in fase esecutiva devono, per quanto possibile, essere favoriti percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato e che l'esecuzione deve favorire la responsabilizzazione, l'educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minore, la preparazione alla vita libera, l'inclusione sociale e tendere a prevenire la commissione di ulteriori reati, anche mediante il ricorso ai percorsi di istruzione, formazione professionale, educazione alla cittadinanza attiva e responsabile e ad attività di utilità sociale, culturali, sportive e di tempo libero.

 

La disposizione, come si precisa nella relazione illustrativa, individua gli obiettivi ai quali l'esecuzione penitenziaria minorile deve tendere, delineando nel contempo alcuni degli strumenti per realizzarli. Si tratta di una previsione in linea con il carattere pedagogico che caratterizza l'ordinamento penitenziario minorile, come previsto dai principi costituzionali. In proposito la relazione ricorda che la Corte costituzionale con la sentenza n. 168 del 1994 in relazione all'articolo 31, comma secondo, della Costituzionale ha affermato che esso impone un "mutamento di segno al principio rieducativo immanente alla pena, attribuendo a quest'ultima, proprio perché applicata nei confronti di un soggetto ancora in formazione e alla ricerca di una propria identità, una connotazione educativa più che rieducativa, in funzione di un suo inserimento maturo nel consorzio sociale".

L'intervento legislativo si prefigge, quindi, di favorire la funzione educativa- rieducativa della pena nella fase del procedimento di esecuzione, dove finora è mancata la specificità propria della materia di cui è invece permeata la fase di cognizione, improntata alla maggiore tutela e alla cura della dimensione psico-affettiva del minore.


Capo II
(Esecuzione esterna e misure penali di comunità)

 

 

Il Capo II introduce e disciplina le misure penali di comunità, quali misure alternative alla detenzione qualificate dall'essere destinate ai condannati minorenni e giovani adulti.

 

Come si precisa nella relazione tecnica la stessa definizione delle misure alternative alla detenzione in istituto come misure di comunità è volta a sottolineare il coinvolgimento diretto ed immediato della collettività nel processo di recupero sociale e inclusione sociale del minorenne che rappresentano gli obiettivi principali sottesi all'azione dello Stato nei confronti dei minori colpevoli.

 

L'articolo 2 dello schema, nel prevederne una disciplina generale comune, individua le seguenti misure penali di comunità:

·       l'affidamento in prova al servizio sociale,

·       l'affidamento in prova con detenzione domiciliare

·       la detenzione domiciliare

·       la semilibertà

·       l'affidamento in prova terapeutico (comma 1)

 

La scelta di dare preferenza a tali misure- precisa la relazione illustrativa-  risponde alla volontà del legislatore di rinunciare alla punizione intramuraria, ove si valuti che la sottoposizione del giovane ad un programma di intervento educativo, con il sostegno e la supervisione dei servizi sociali, possa proficuamente portare ad una evoluzione della sua personalità ed impedire che torni a commettere nuovi reati.

 

Proprio in ossequio a tale finalità la disposizione prevede che le misure in esame possano essere disposte quando risultano idonee a favorire l'evoluzione positiva della personalità, un proficuo percorso educativo e di recupero, sempre che non vi sia il pericolo che il condannato si sottragga all'esecuzione o commetta nuovi reati. Al fine di favorire un proficuo percorso di recupero tutte le misure devono prevedere un programma di intervento educativo (comma 2).

 

Ai fini della concessione delle misure penali di comunità e dei permessi premio e per l'assegnazione al lavoro esterno trova applicazione l'articolo 4-bis, commi 1 e 1-bis O.P.

 

L'articolo 4-bis O.P. fissa le condizioni per l'accesso ai benefici penitenziari per talune tipologie criminali dalla spiccata pericolosità.

Il comma 1 dell'articolo prevede una serie di reati per i quali l’accesso ai benefici (rectius l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione) è subordinato al verificarsi di alcune condizioni. Più nel dettaglio possono accedere ai benefici solo se collaborano con la giustizia, ai sensi dell’art. 58 ter O.P .i detenuti per i seguenti reati:

·       i delitti di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

·       i delitti di cui all’art. 416 bis (associazione di tipo mafioso) c.p. e 416-ter (scambio elettorale politico mafioso) c.p., i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste (comprese le ipotesi tentate);

·        i delitti di cui agli artt. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù), 600-bis primo comma (prostituzione minorile), 600-ter, primo e secondo comma (pornografia minorile), 601(tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi), 609-octies (violenza sessuale di gruppo) e 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione);

·       quelli previsti dall'articolo 12, commi 1 e 3 del TU immigrazione (immigrazione clandestina), dall’art. 291-quater T.U. in materia doganale (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri) e dall’art. 74 d.P.R 309/90 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope)

 Ai sensi del comma 1-bis dell'art. 4-bis O.P., se vi è stata limitata partecipazione al fatto o l’accertamento integrale del fatto ha reso impossibile la collaborazione, ovvero la collaborazione risulti oggettivamente irrilevante, in presenza di una delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6 c.p. [1] , 114 [2] , 116, secondo comma c.p. [3] l’accesso ai benefici è consentito, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.

 

Presupposti comuni per l'ammissibilità delle misure- la cui durata è corrispondente a quella della pena da eseguire (comma 6) -  sono l'osservazione e la valutazione:

·       della personalità del minorenne,

·       delle condizioni di salute psico-fisica,

·       dell'età e del grado di maturità,

·       del contesto di vita

·       di ogni altro elemento utile, tenuto conto della proposta di programma di intervento educativo redatta dall'ufficio di servizio sociale e dei percorsi formativi in atto (comma 4).

 

L'osservazione è svolta dall'ufficio di servizio· sociale per i minorenni che acquisisce i dati giudiziari e penitenziari, sanitari, psicologici e sociali, coordinandosi con i servizi socio-sanitari tenitori ali di residenza del minorenne e, per i detenuti, anche con il gruppo dì osservazione e trattamento dell'istituto di appartenenza. Il tribunale di sorveglianza può disporre approfondimenti sanitari anche avvalendosi dei servizi specialistici territoriali (comma 9).

 

La scelta della misura di comunità più idonea deve essere effettuata tenendo conto dell'esigenza di garantire un rapido inserimento sociale e il minor sacrificio della libertà personale (comma 5).

 

L'esecuzione penale di comunità deve rispondere anche al principio di territorialità, all'uopo si prevede infatti che essa avvenga principalmente nel contesto di vita del minorenne e nel rispetto delle positive relazioni socio familiari, salvo che non si ravvisino elementi tali da far ritenere sussistenti collegamenti con la criminalità organizzata (comma 7).

 

Con l'applicazione delle misure può essere disposto il collocamento del minorenne in comunità pubbliche o del privato sociale. Per favorire il percorso educativo del condannato, le comunità possono essere organizzate, in deroga a quanto previsto dall'articolo 10, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, anche in modo da ospitare solamente minorenni sottoposti a procedimento penale ovvero in esecuzione di pena (comma 8).

 

L'articolo 10 del decreto legislativo n. 272 del 1989, di attuazione del processo penale minorile, disciplina l'organizzazione delle comunità prevedendo che i centri per la giustizia minorile stipulano convenzioni con comunità pubbliche e private, associazioni e cooperative che operano in campo adolescenziale e che siano riconosciute o autorizzate dalla regione competente per territorio. Possono altresì organizzare proprie comunità, anche in gestione mista con enti locali. La disposizione, al comma 2, lettera a), precisa che l'organizzazione e la gestione delle comunità deve essere di tipo familiare, e prevedere anche la presenza di minorenni non sottoposti a procedimento penale e capienza non superiore alle dieci unità, tale da garantire, anche attraverso progetti personalizzati, una conduzione e un clima educativamente significativi;

 

Come si precisa nella relazione tecnica, il comma 8 dell'articolo in esame, nel riferirsi a comunità pubbliche o del privato sociale, non istituisce nuove strutture, ma si riferisce a quelle esistenti, dettagliatamente regolate -per l'appunto- dal citato articolo 10 del decreto legislativo n. 272 del 1989.

 

Il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nel proprio parere ha espresso serie perplessità circa la previsione di collocamento in comunità pubbliche o del privato sociale che ospitino solo minorenni sottoposti a procedimento penale ovvero in esecuzione di pena. Secondo il Garante, infatti la pluralità di tipologie all'interno di una comunità chiusa è un valore che evita l'istituzionalizzazione, favorisce la circolazione di esperienze e competenze diverse e, come tale, andrebbe preservata.

 

Il tribunale di sorveglianza acquisisce informazioni sul contesto di vita familiare· e ambientale, sui precedenti delle persone con cui il minorenne convive e sull'idoneità del domicilio indicato per l'esecuzione della misura (comma 10).

Ai fini della individuazione di un domicilio o di altra situazione abitativa, tale da consentire l'applicazione di una misura penale di comunità compete all'ufficio di servizio sociale per i minorenni la predisposizione degli interventi necessari (comma 11).

La disposizione infine prevede, per quanto compatibili l'applicazione delle disposizioni sull'affidamento in prova al servizio sociale, sulla detenzione domiciliare e sulla semilibertà alle corrispondenti misure di comunità di cui al presente decreto (comma 12).

 

L'articolo 3 definisce l'ambito di applicazione delle misure di comunità, stabilendone i contenuti e le modalità di esecuzione. Competente all'applicazione delle misure suddette è il tribunale dei minorenni, in funzione di tribunale di sorveglianza.

Il suddetto organo, nel disporre una misura penale di comunità, prescrive lo svolgimento di attività di utilità sociale, anche a titolo gratuito, o di volontariato (comma 1). Tali attività sono svolte compatibilmente con i percorsi di istruzione, formulazione professionale, istruzione e formazione professionale, le esigenze di studio, di lavoro, di famiglia e di salute del minorenne e non devono mai compromettere i percorsi educativi in atto (comma 2).

Nel provvedimento che applica la misura devono essere indicate altresì le modalità di coinvolgimento del nucleo familiare del minorenne nel progetto di intervento educativo, nonché gli eventuali provvedimenti cautelari che l'autorità giudiziaria ritenga di dover adottare in ambito civile.

 

L'articolo 32 comma 4, del decreto d.P.R. n. 448 del 1988 attribuisce al gup il potere di adottare con decreto provvedimenti di natura civilistica aventi carattere di necessità ed urgenza finalizzati alla protezione del minore.

 

L'articolo 4, riprendendo quanto previsto dall'articolo 47 O.P., disciplina l'affidamento in prova al servizio sociale.

 

Tale misura costituisce quella che più di ogni altra è in grado di soddisfare le istanze educative del condannato minorenne e giovane adulto, alla luce del criterio di delega di cui al n. 5 del comma 85 dell'articolo unico della legge n. 103 del 2017, stante il suo prevalente carattere pedagogico e i ridotti contenuti afflittivi.

E' opportuno ricordare che l'articolo 47 O.P. è oggetto di modifica da parte dell'articolo 1 dell'AG 17.

 

La misura in questione consiste nell'affidamento del condannato all'ufficio di servizio sociale per i minorenni per lo svolgimento del programma di intervento educativo. La soglia di pena prevista per l'accesso all'affidamento in prova dei minorenni è fissata in 6 anni (comma 1).

 

Come si legge nella relazione illustrativa, si tratta di un limite di pena sufficientemente congruo modulato con riguardo a quanto già previsto per l'affidamento in prova in casi particolari dall'art. 94 del D.P.R. n. 309 ·del 1990. A ciò si aggiunga che l'articolo 47 O.P. vigente stabilisce in tre anni il limite di accesso per gli adulti all'omologo istituto.

 

Il programma, che deve essere predisposto in collaborazione con i servizi socio-sanitari territoriali, deve contenere gli impegni in ordine:

·       alle attività di istruzione, di formazione, di lavoro o comunque utili dal punto di vista educativo e per l'inserimento sociale;

·       alle prescrizioni riguardanti la dimora, la libertà di movimento e divieti di frequentare determinati luoghi;

·       alle prescrizioni dirette ad impedire lo svolgimento dì attività non consentite o relazioni personali che potrebbero portare alla commissione di ulteriori reati (comma 2).

 

L'ordinanza che applica la misura deve fissare, in maniera puntuale, le modalità di coinvolgimento di quanti intervengono nell'esecuzione del programma associato all'affidamento in prova, e le modalità di svolgimento delle attività di utilità sociale, così che il condannato possa determinarsi in merito alle prescrizioni da osservare e dalle quali dipende la prosecuzione, la modifica ed eventualmente la revoca di questo regime esecutivo di favore (comma 4).

 

Al fine di favorire il più ampio ricorso all'istituto, la disposizione (comma 3) consente al tribunale di sorveglianza di disporre anche il collocamento in comunità, quando risulti opportuno, come nei casi in cui il condannato non abbia un domicilio idoneo dove poter svolgere la misura.

 

Un ruolo centrale è assegnato agli uffici di servizio sociale per i minorenni, i quali, in collaborazione con i servizi socio-sanitari territoriali, hanno il compito di prendere in carico l'affidato, predisponendo il progetto di intervento e curandone l'esecuzione. Essi possono anche proporne la modifica al magistrato di sorveglianza, ove non appaia più adeguato a soddisfare le sue esigenze educative o l'affidato non sia in grado di sostenerlo. I servizi affiancano il condannato per tutta la durata della misura e lo aiutano a gestire e superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, ponendosi come punti di riferimento per lo stesso minorenne, per la famiglia e il suo ambiente di vita (commi 5 e 6).

 

L'articolo 5, in ossequio al criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 85, lett. p), n. 4 della legge n. 103 del 2017, introduce e disciplina la misura penale di comunità costituita dall'affidamento in prova con detenzione domiciliare.

 

Tale misura, come si rileva nella relazione tecnica, conserva la spinta educativa propria della messa alla prova, ma al tempo stesso considera tutte quelle situazioni in cui il pericolo di commissione di nuovi reati non può essere scongiurato ricorrendo alle sole prescrizioni di fare e agli impegni positivi che il minorenne assume con il semplice affidamento in prova. Si tratta di una misura senza dubbio più afflittiva, quindi, rispetto all'affidamento in prova, ma al fine di attenuare l'aspetto connesso alla detenzione domiciliare sono previsti determinati limiti di durata.  

 

La disposizione in commento prevede, più nel dettaglio, che il tribunale di sorveglianza possa disporre la detenzione domiciliare dell'affidato in prova al servizio sociale in determinati giorni della settimana, presso la propria abitazione, altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza o presso comunità (comma 1).

Per quanto concerne la disciplina della detenzione domiciliare la disposizione rinvia al successivo articolo 6 (comma 2).

 

Il rinvio all'articolo 6 dello schema, precisa la relazione illustrativa, è funzionale oltre che a prevedere in caso di violazione del divieto di allontanarsi dall'abitazione nei giorni stabiliti la ricorrenza del delitto di evasione, anche ai fini dell'eventuale detrazione dei giorni di detenzione patita nel caso di revoca della misura.

 

 

L'articolo 6 disciplina la misura della detenzione domiciliare, riprendendo quanto già previsto dall'art. 47-ter O.P., ma adattandolo alle peculiari esigenze dei condannati minorenni.

 

In proposito è opportuno ricordare che il principio di delega di cui all'articolo 1, comma 85, lett. p), n. 5 della legge n. 103 del 2017 prevede l'ampliamento dei criteri per l'accesso alle misure alternative alla detenzione, con particolare riferimento ai requisiti necessaria alla concessione dell'affidamento in prova e della semilibertà.  Il criterio in questione quindi non contempla espressamente la misura della detenzione domiciliare, tuttavia, come sottolinea la relazione illustrativa, il fatto che la delega - al di là della specificazione- discorra in generale di un ampliamento dei criteri per l'accesso alle misure alternative alla detenzione, non sembra precludere la possibilità di regolamentare anche tale misura, ampliandone a quattro anni il limite di pena per i minori.

 

La misura alternativa della detenzione domiciliare consiste nella possibilità per il minorenne di scontare la pena detentiva da eseguire in misura non superiore a quattro anni, nella propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza e presso comunità. Tale misura può essere applicata solo quando non vi siano le condizioni per l'affidamento in prova al servizio sociale e per l'affidamento in prova al servizio sociale con detenzione domiciliare.

Continuano ad essere applicabili le attuali forme speciali di detenzione domiciliare contemplate dagli articoli 47-ter, comma 1 (detenzione domiciliare concessa ove ricorrano particolari condizioni personali, quali lo stato di gravidanza o la presenza di figli minori) 47-quater (misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da HIV conclamata o da grave deficienza immunitaria) e 47-quinquies (detenzione domiciliare speciale) O.P. (comma 1).

 

Rispetto alla disciplina generale prevista dall'ordinamento penitenziario lo schema in esame oltre ad estendere a quattro anni il limite di pena per i minori, amplia il catalogo dei luoghi di esecuzione ricomprendendovi anche i luoghi privati di cura assistenza e accoglienza, nonché le eventuali strutture comunitarie di accoglienza.

 

Nel disporre la detenzione domiciliare, il tribunale di sorveglianza deve fissarne le modalità tenendo conto del programma di intervento educativo predisposto dall'ufficio di servizio sociale per i minorenni (comma 2).

 

Il programma di intervento educativo costituisce una peculiarità della misura in esame, a ben vedere infatti, la detenzione domiciliare disciplinata dall'art. 47-ter O.P., risulta quasi totalmente priva di contenuto trattamentale differenziandosi in concreto dalla detenzione in carcere soltanto per il luogo dove ne viene data esecuzione alla pena.

 

Le prescrizioni cui deve attenersi il detenuto devono favorire lo svolgimento di attività esterne, in particolare di istruzione, di formazionale professionale, ovvero di lavoro, o culturali o sportive, comunque utili dal punto di vista pedagogico e funzionali al suo inserimento sociale (comma 3).

 

Il soggetto sottoposto alla detenzione domiciliare non può allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura senza l'autorizzazione del magistrato di sorveglianza. Nel caso di violazione di tale obbligo si configura il delitto di evasione di cui all'articolo 385 c.p. (comma 4).

 

Analoga previsione è contenuta nell'articolo 47-ter, comma 8 dell'O.P. In proposito è opportuno rilevare come secondo la giurisprudenza (Cassazione, Sez. VI, sentenza 15.12.2000), il delitto evasione dalla detenzione domiciliare costituisce figura autonoma di reato, equiparata a quella di cui all'art. 385 solo quoad poenam, con la conseguenza che, stante il divieto di estensione analogica in materia penale, non ne è preclusa la sostituzione della pena ai sensi dell'art. 60 n. 689 del 1981, il quale si riferisce solo al delitto di cui all'art. 385.

 

L'articolo 7, recependo il criterio di cui all'articolo 1, comma 85, lett. p), n. 5 della legge n. 103 del 2017, disciplina la semilibertà. Tale regime, disciplinato con riguardo ai detenuti maggiorenni dagli articoli 48 e ss. dell'O.P., rappresenta più che una vera e propria alternativa alla detenzione, una speciale modalità di esecuzione di essa. A ben vedere infatti lo stato detentivo permane, anche se quotidianamente risulta intervallato da contatti con l'ambiente esterno.

Tale misura consiste nella concessione, da parte del tribunale di sorveglianza, al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto per partecipare ad attività di istruzione, di formazione professionale, di lavoro, di utilità sociale o comunque funzionali all'inclusione sociale.

 

Come si precisa nella relazione illustrativa la semilibertà costituisce la misura che più risponde al principio della progressione trattamentale.

 

Le condizioni di accesso risultano in generale più favorevoli di quelle previste con riguardo ai detenuti maggiorenni. Sono, infatti, ammessi al regime della semilibertà:

·       i condannati che hanno espiato almeno un terzo della pena;

·       i condannati per uno dei delitti indicati nel primo comma dell'articolo 4-bis dell'O.P., allorché abbiano espiato almeno la metà della pena (comma 1).

 

L'articolo 50 dell'O.P. condiziona l'accesso a tale regime all'espiazione di almeno metà della pena e nel caso di condanna per uno dei delitti di cui all'art. 4-bis O.P. all'espiazione di almeno due terzi di essa.

 

I soggetti ammessi alla semilibertà sono assegnati preferibilmente in appositi istituti o in apposite sezioni e possono essere trasferiti in altri istituti che agevolino l'organizzazione e lo svolgimento delle attività esterne, nonché il consolidamento delle relazioni socio-familiari funzionali al loro inserimento sociale (comma 3).

 

La possibilità di trasferimento in altra struttura, non previsto dal vigente ordinamento penitenziario, risponde all'esigenza di consentire una gestione flessibile del minorenne funzionale al pieno recupero del condannato.

 

Nei confronti del semilibero è formulato un particolare programma di intervento educativo nel quale sono dettate le prescrizioni che il condannato deve osservare durante il tempo da trascorrere fuori dell'istituto con riferimento ai rapporti con la famiglia e con l'ufficio di servizio sociale per i minorenni, nonché quelle relative all'orario di uscita e di rientro (comma 2).

La disposizione (comma 4) prevede un differente regime sanzionatorio nel caso in cui il condannato semilibero non rientri in istituto o rimanga assente, senza giustificato motivo, a seconda della durata dell'assenza:

 

·       nel caso in cui l'assenza si protragga per più di dodici ore il condannato è punibile ex art. 385 c.p. e può essere proposto per la revoca;

 

L'art. 385 c.p., comma primo, punisce con la pena detentiva da uno a tre anni l'evasione. L'ultimo capoverso della disposizione codicistica prevede una diminuzione di pena nel caso in cui l'evaso si costituisca in carcere prima della condanna.

 

·       nel caso in cui l'assenza sia inferiore alle tre ore il condannato è punito solo in via disciplinare.

 

L'articolo 8 reca infine disposizioni volte a razionalizzare e uniformare le procedure comuni a tutte le misure alternative alla detenzione, in considerazione del fatto che la attuale disciplina risulta affrontata in modo disorganico, essendo contenuta in parte nella legge sull'ordinamento penitenziario e in parte nel regolamento di esecuzione della stessa (d.P.R. n. 230 del 2000).

 

L'ammissione alla misura di comunità, nonché la revoca, sono di competenza del tribunale di sorveglianza per i minorenni, mentre l'applicazione in via provvisoria è demandata al magistrato di sorveglianza, secondo la disciplina prevista dall'articolo 47, comma 4, dell'O.P. per l'affidamento in prova al servizio sociale (comma 2).

Quanto alla concessione la disposizione prevede che il provvedimento possa essere adottato su richiesta dell'interessato, del difensore e dell'esercente la potestà genitoriale se il condannato è minorenne o su proposta del PM o dell'ufficio di servizio sociale per i minorenni (comma 1).

 

L'articolo disciplina poi, in via generale ed unitaria la materia della sostituzione e della revoca di tutte le misure penali di comunità, le quali sono disposte nei casi espressamente previsti e qualora il comportamento del condannato risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse (comma 3).

 

Elemento qualificante dell'intervento, da un punto di vista procedurale, è rappresentato dalla eliminazione di ogni automatismo che comporti modifiche nel regime esecutivo della pena sottratte alla valutazione discrezionale dell'organo giurisdizionale. Proprio a tale logica risponde la previsione per la quale in caso di revoca il tribunale di sorveglianza può decidere anche per la sostituzione della misura in atto con altra, che appaia maggiormente adeguata a soddisfare le esigenze del caso concreto e a garantire l'attuazione degli obiettivi perseguiti. Il potere di sostituzione e revoca è attribuito in via provvisoria anche al magistrato di sorveglianza, il quale deve trasmettere gli atti immediatamente al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. La decisione definitiva del tribunale deve intervenire entro 30 giorni dalla ricezione degli atti (comma 4).

 

L'articolo infine, colmando alcune lacune normative della disciplina dell'ordinamento penitenziario, interviene sul computo del periodo trascorso in misura penale di comunità nel momento in cui viene revocata.

 

Il problema sostanzialmente esiste per il solo affidamento in prova al servizio sociale e per l'affidamento in prova con detenzione domiciliare, poiché per la detenzione domiciliare e la semilibertà, trattandosi di misure a carattere detentivo, l'intero periodo deve essere scomputato dalla pena ancora da eseguire. Per le prime, invece, è il tribunale di sorveglianza che dovrà stabilire l'entità della decurtazione sul residuo di pena, considerate le limitazioni imposte con la misura e il comportamento complessivamente tenuto dal condannato (comma 5).


Capo III
(Disciplina dell'esecuzione)

 

 

Il Capo III reca la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive e delle misure penali di comunità, nonché delle misure alternative alla detenzione.

 

L'articolo 9 modifica, in primo luogo, l'articolo 24 del decreto legislativo n. 272 del 1989, in materia di esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale nei confronti di minorenni e giovani adulti, inserendo anche le misure penali di comunità tra gli istituti in ordine ai quali trova applicazione la disciplina in esso contenuta, in modo da aggiornare tale norma di carattere generale alle novità introdotte dal provvedimento in esame.

 

L'art. 24 del D.Lgs. n. 272 del 1989, prevede che le misure cautelari, le misure alternative, le sanzioni sostitutive, le pene detentive e le misure di sicurezza si eseguono secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni anche nei confronti di coloro che nel corso dell'esecuzione abbiano compiuto il diciottesimo ma non il venticinquesimo anno di età, sempre che, per quanti abbiano già compiuto il ventunesimo anno, non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice competente, tenuto conto altresì delle finalità rieducative. L'esecuzione rimane affidata al personale dei servizi minorili. La disposizione, al secondo comma, estende l'ambito di applicazione della disciplina anche al caso in cui l'esecuzione ha inizio dopo il compimento del diciottesimo anno di età.

 

 

L'articolo 10 delinea l'ambito applicativo della speciale disciplina in materia di esecuzione penale minorile, in particolare nell'ipotesi in cui siano in esecuzione pene concorrenti per fatti commessi da minorenne e da adulto.

 

La legislazione vigente non disciplina in modo specifico tale situazione in relazione alla quale trovano applicazione le regole generali di cui all'articolo 665, comma 41 c.p.p., per le quali la competenza del giudice è individuata in base alla sentenza divenuta irrevocabile per ultima. Nella relazione illustrativa si precisa che con l'introduzione di una autonoma regolamentazione della esecuzione penale nei confronti dei minorenni e dei giovani adulti, che prevede norme più favorevoli rispetto a quelle degli adulti, soprattutto in materia di accesso e concessione delle misure penali di comunità, si è reso necessario prevedere criteri oggettivi al fine di individuare la disciplina da applicare nel caso in cui concorra l'esecuzione per fatti commessi da minorenne e fatti commessi da maggiorenne. In assenza di tale specifica previsione si correrebbe il rischio di far dipendere il regime da applicare da fattori puramente casuali, come quello del momento in cui divengono irrevocabili le sentenze.

 

Più nel dettaglio la disposizione prevede che quando nel corso dell'esecuzione di una condanna per reati commessi da minorenne sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva per reati commessi da maggiorenne, il PM emette l'ordine di esecuzione, lo sospende secondo quanto previsto dall'articolo 656 c.p.p. e trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza per i minorenni. La disposizione lascia quindi la possibilità al magistrato di sorveglianza di far proseguire l'esecuzione secondo le modalità previste per i minorenni. A tal fine l'autorità giudiziaria dovrà tener conto della gravità dei fatti oggetto di cumulo e del percorso in atto e, se i1 condannato ha compiuto ventuno anni, anche delle ragioni di sicurezza di cui all'articolo 24 del decreto legislativo n. 272 del 1989 (comma 1).

 

Sotto l'aspetto procedurale l'articolo prevede che la decisione del magistrato di sorveglianza è reclamabile ai sensi dell'art. 69-bis O.P. E' inoltre richiamata la disciplina, in quanto compatibile, prevista dall'articolo 98- in tema di prosecuzione o cessazione, revoca e annullamento dell'affidamento in prova al servizio sociale - del d.P.R. n. 230 del 2000 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), che a sua volta richiama l'articolo 51-bis O.P. in materia di sopravvenienza di titoli esecutivi nel corso della misura di affidamento in prova già concessa (comma 2).

 

Il comma 3 dell'art. 69-bis O.P. prevede che avverso l'ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza decide sull'istanza di concessione della liberazione anticipata, il difensore, l'interessato e il P.M. possono entro 10 giorni dalla notificazione o dalla comunicazione, proporre reclamo al magistrato di sorveglianza competente per territorio.

 

La possibilità di estendere l'ambito applicativo delle modalità esecutive destinate ai minori è, però, preclusa se il condannato si trovi in custodia cautelare per reati commessi da maggiorenne (comma 3).

 

Si stabilisce, poi, che l'esecuzione della pena nei confronti di chi ha commesso il fatto da minorenne è affidata al personale dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia (comma 4).

 

Da ultimo la disposizione precisa che quando l'ordine di esecuzione per il reato commesso da maggiorenne non può essere sospeso, il magistrato di sorveglianza per i minorenni trasmette gli atti al P.M. che ha emesso l'ordine per l'ulteriore corso dell'esecuzione secondo le norme e con le modalità previste per i maggiorenni (comma 5).

 

E' opportuno segnalare che il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nel parere reso sullo schema, ha sottolineato la necessità di un approfondimento della costituzionalità della disposizione nella parte in cui diversifica potenzialmente - anche se il tutto è sottoposto al vaglio del magistrato di sorveglianza per i minorenni- le modalità esecutive per due soggetti concorrenti in uno stesso reato, commesso da maggiorenni, nel caso in cui uno dei due sia in esecuzione penale per un pregresso reato commesso da minore.

 

L'articolo 11 si occupa dell'esecuzione delle pene detentive per reati commessi da minorenne nei confronti di persona che non ha compiuto venticinque anni.

 

Come si precisa nella relazione illustrativa, l'introduzione di questa disposizione ha lo scopo di favorire un più rapido accesso alle misure penali di comunità e mutua il contenuto dell'articolo 656 c.p.p. sull'esecuzione di pene detentive per i condannati per fatti commessi da maggiorenne.

 

Più nel dettaglio si prevede che quando deve essere eseguita nei confronti di un infraventicinquenne una condanna a pena detentiva per reati commessi da minorenne, sia seguita la seguente procedura:

·       il PM emette l'ordine di esecuzione e contestualmente ne dispone la sospensione, salvo che il condannato si trovi per il fatto oggetto della condanna in stato di custodia cautelare ovvero sia detenuto in carcere o in istituto penitenziario minorile per altro titolo definitivo (comma 1);

·       l'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato, al difensore e, in caso di persona minore degli anni diciotto, agli esercenti la responsabilità genitoriale, con l'avviso che nel termine di trenta giorni può essere presentata richiesta, corredata di dichiarazione o elezione di domicilio, al tribunale di sorveglianza per l'applicazione di una misura di comunità, mediante deposito presso l'ufficio del pubblico ministero (comma 2);

·        se, invece, non sono presentate richieste nel termine il PM revoca la sospensione dell'ordine di esecuzione (comma 4);

·       il tribunale di sorveglianza, ricevuta istanza, entro quarantacinque giorni fissa udienza a norma dell'articolo 666, comma 3, c.p.p. e ne fa dare avviso al condannato, agli esercenti la responsabilità genitoriale, al PM, al difensore e ai servizi sociali minorili dell'amministrazione della giustizia (comma 5);

·       con l'avviso suddetto le parti sono altresì invitate a depositare, almeno cinque giorni prima della data fissata per l'udienza, memorie e documenti utili per l'applicazione della misura, mentre i servizi socia1ì minorili dell'amministrazione della giustizia presentano, anche in udienza, la relazione personologica e sociale svolta sul minorenne, nonché il progetto di intervento redatto sulla base delle specifiche esigenze del condannato, salva la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o dì informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5, c.p.p. (comma 6).

 

Nella relazione illustrativa si precisa che la previsione della procedibilità d'ufficio in sede di esecuzione avrebbe segnato certamente un regresso rispetto all'attuale sistema e per questo motivo sì è optato per un modello che opera ad istanza dell'interessato. Tale scelta peraltro risponde anche alla necessità di una responsabilizzazione del condannato il quale, non avendo colto le opportunità della messa alla prova nel corso del procedimento, cioè in sede di udienza preliminare, in primo grado e in appello, ovvero in caso di esito negativo della stessa, una volta raggiunto dall'ordine di esecuzione deve attivarsi per chiedere in prima persona una misura di comunità.

 

L'articolo 12 fissa le regole generali per l'esecuzione delle misure penali di comunità. Tali disposizioni, se da un lato, riprendono quanto già previsto dalle norme dell'ordinamento penitenziario, dall'altro, introducono particolari previsioni che tengono conto delle speciali esigenze dei condannati minorenni e giovani adulti durante e al termine dell'esecuzione della pena.

L'articolo affida al magistrato di sorveglianza del luogo dove la misura deve essere eseguita l'esecuzione delle misure penali di comunità (comma 1) e all'ufficio di servizio sociale per i minorenni, in collaborazione con i servizi socio-sanitari territoriali, l'attività di controllo, assistenza e sostegno (comma 3).

Quest'ultimo qualora ne ravvisi l'opportunità per elementi sopravvenuti, provvede alla modifica delle prescrizioni con decreto motivato, dandone notizia all'ufficio di servizio sociale per i minorenni (comma 2).

 

La disposizione introduce poi una particolare disciplina relativa alla fase successiva allo scadere della misura di comunità e al compimento del venticinquesimo anno di età.

Con riguardo al primo aspetto si garantisce ai condannati che hanno terminato l'esecuzione della misura la prosecuzione di un intervento di sostegno e accompagnamento da parte dei servizi socio-sanitari territoriali, volto ad agevolare un pieno inserimento sociale, attraverso la cura, ove necessario anche dei contatti con i familiari e con le altre figure familiari di riferimento (comma 4).

 

In relazione al secondo aspetto si prevede che al compimento dei venticinque anni, se ancora è in corso l'esecuzione della misura, il magistrato di sorveglianza per i minorenni trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza ordinario per la prosecuzione della misura, possibilmente con le modalità previste dalla legge n. 354 del 1975 (comma 5).

 

Infine, l'articolo 13 disciplina i casi in cui, durante l'esecuzione di una misura penale di comunità, sopravvenga un nuovo titolo esecutivo di altra pena detentiva, prevedendosi che il PM sospende l'ordine di esecuzione e trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza, il quale, se ritiene che permangono le condizioni per la prosecuzione della misura, la dispone con ordinanza; in caso contrario, dispone la cessazione dell'esecuzione della stessa, sempre con ordinanza (comma 1). Avverso tale ordinanza è comunque possibile proporre reclamo ai sensi dell'art. 69-bis O.P. (comma 2).

 


Capo IV
 (Intervento educativo e organizzazione degli istituti penali per minorenni)

 

 

Il Capo IV reca la disciplina in materia di intervento educativo e di organizzazione degli istituti penitenziari per i minorenni.

 

L'articolo 14 indica le forme e le modalità di predisposizione del progetto di intervento educativo.

 

Tale espressione, come si sottolinea nella relazione illustrativa, è stata preferita a quella più generica di attività trattamentale utilizzata nell'ordinamento penitenziario.

 

All'uopo si prevede che all'ingresso nell'istituto penitenziario sia predisposto un programma di intervento rieducativo del minore da realizzarsi entro tre mesi dall'inizio dell'esecuzione della pena.

Tale programma deve essere elaborato -previo ascolto del condannato- secondo i principi della personalizzazione delle prescrizioni e la flessibilità esecutiva e deve tenere conto delle attitudini e delle caratteristiche della sua personalità. Esso deve contenere indicazioni:

·       sulle modalità con cui coltivare le relazioni con il mondo esterno e attuare la vita di gruppo e la cittadinanza responsabile, anche nel rispetto della diversità di genere;

·        sulla personalizzazione delle attività di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, nonché sulle attività di lavoro, di utilità sociale, culturali, sportive e di tempo libero utili al recupero sociale e alla prevenzione del rischio di commissione di ulteriori reati (comma 1).

 

La disposizione assicura una progressione e un costante aggiornamento del programma - il quale peraltro deve essere illustrato al condannato con linguaggio comprensibile- tale da consentire una progressiva uscita dal circuito detentivo con una graduale conquista di spazi di libertà (commi 3 e 4).

Al minore che fa ingresso in istituto è altresì garantito un supporto psicologico da parte di personale specializzato. Tale misure oltre ad essere utile per la predisposizione del progetto educativo, costituisce uno strumento per prevenire il rischio di atti di autolesionismo e di suicidio (comma 2).

 

L'articolo 15, riprendendo quanto già stabilito nell'ordinamento penitenziario, detta i criteri di assegnazione dei detenuti.

Si prevede, in particolare, che sia assicurata la separazione:

·       dei minorenni dai giovani adulti

·       degli imputati dai condannati

·       degli uomini dalle donne, le quali devono essere ospitate in istituti o in sezioni apposite.

 

Con riguardo alla detenzione femminile è opportuno ricordare che la Risoluzione ONU n. 65/229 del 21 dicembre 2010 (recante le c.d. Regole di Bangkok) prevede puntuali disposizioni per le giovani recluse. Tali regole impongono agli organismi penitenziari di mettere in atto misure idonee a soddisfare le esigenze di protezione delle giovani detenute, alle quali devono essere riconosciute le stesse possibilità di accesso all'istruzione e alla formazione professionale dei detenuti uomini, ma devono anche essere assicurate tutele specifiche sotto il profilo dell'assistenza psicologica (soprattutto nel caso in cui si tratti di donne vittime di violenza sessuale) e medica (ginecologica in particolare, nel caso in cui siano in stato di gravidanza).

 

L'articolo 16, con riferimento alle camere di pernottamento, specifica che debbono essere adattate alle esigenze di vita individuale dei detenuti e devono ospitare di regola due persone, al massimo quattro (comma 1).

Per tali finalità è autorizzata la spesa di 80.000 euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 (comma 2).

 

Con riguardo ai detenuti maggiorenni le caratteristiche generali dei reparti detentivi sono fissati dagli art. 6 O.P. e del Reg. Esec. Tali disposizioni indicano come requisiti di adeguatezza: ampiezza sufficiente, illuminazione con luce naturale e artificiale, tale da permettere il lavoro e la lettura, aerazione, riscaldamento, dotazione di servizi igienici, buono stato di conservazione e di pulizia. Per quanto riguarda l'ampiezza dei locali l'amministrazione penitenziaria ha ritenuto di individuare come criterio idoneo per definire la capienza ottimale di una stanza quello previsto dal ministero della sanità con D.M. 5 luglio 1975. Secondo l'art. 2 del suddetto decreto le stanze da letto devono avere una superficie minima di 9 mq per singolo detenuto, di mq 14 per due persone e di ulteriori 5 mq per ogni persona in più presente nei cd. cameroni.  Tale parametro è stato assunto dal Dap per calcolare sulla base della disponibilità di 9 mq per persona la cd. capienza regolamentare.

E' opportuno peraltro ricordare che l'articolo 1 dell'AG 16 interviene sull'articolo 6 O.P., al fine di assicurare migliori condizioni detentive.

 

L'articolo 17 garantisce la permanenza all'aperto almeno per quattro ore al giorno, senza alcune possibilità di riduzione (comma 1).  La permanenza all'aperto in spazi attrezzati per lo svolgimento di attività fisica e ricreativa deve avvenire in modo organizzato e con la presenza di operatori penitenziari e di volontari (comma 2). A tal fine la disposizione stanzia 100.000 euro per l'anno 2018 (comma 3).

 

L'art. 10 O.P. ( e 16 del Reg. Esec.) garantisce la permanenza all'aperto almeno per due ore al giorno, ridotto a non meno di un'ora al giorno soltanto per motivi eccezionali.

 

L'articolo 18 detta norme in materia di formazione professionale riconoscendo un ruolo primario a tale attività ai fini del reinserimento nella società dei minori sottoposti a misura restrittiva in istituto, reinserimento che deve essere agevolato dalla valorizzazione delle potenzialità individuali e dall'acquisizione di nuove e sempre più specializzate competenze, che verranno anche certificate. In tal senso, si prevede che i detenuti siano ammessi a frequentare i corsi di istruzione, formazione professionale, previa intesa con istituzioni, imprese, cooperative o associazioni così da consentire ai minori di perfezionare all'esterno le loro capacità per ricevere un'adeguata preparazione per l'accesso al mondo lavorativo (comma 1).

 

In proposito nella relazione tecnica si rappresenta che il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità incentiva e promuove interventi indirizzati a vari settori formativi, quali, a titolo esemplificativo, il "Progetto LeAli al futuro" presso il carcere minorile di Nisida - che coinvolgono aspetti culturali per dare spazio all'arte ed alla creatività, a percorsi di rieducazione alla cittadinanza consapevole e responsabile con potenziamento di corsi in alcune materie, quali la lingua italiana per il recupero delle carenze linguistiche, nonché laboratori professionali e di didattica avanzata attraverso percorsi realizzati con associazioni di volontariato a finalità gratuita e c.d. "Progetti di Microcredito" in stretta collaborazione con gli Enti Locali per favorire l'inserimento dei giovani nel mondo lavorativo. Nell'ambito della sperimentazione è previsto il finanziamento di alcuni progetti nel campo dell'artigianato in collaborazione con le associazioni di categoria e gli enti locali. La partecipazione a simili iniziative è diretta, altresì, ad armonizzare le differenze territoriali tra i giovani, nonché all'integrazione dei minori immigrati per i quali è in funzione il "Progetto Old", che si occupa di favorire la comunicazione sociale ed è promosso dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e A.I.C.C.R.E. ed è co-finanziato dal Fondo FEI e dal Ministero dell'Interno, con l'obiettivo di favorire l'inserimento sociale e lavorativo dei minori migranti nei territori di riferimento dei Centri per la Giustizia Minorile.

 

Per quanto riguarda la disciplina specifica trova applicazione l'articolo 21 O.P. in materia di lavoro all'esterno (comma 2).

 

In proposito è opportuno ricordare che la materia del lavoro penitenziario è oggetto di modifica da parte dell'AG 16 (si veda in particolare l'articolo 2 dello schema).

 

L'articolo 19 incentiva la tutela dell'affettività dei minori reclusi. In particolare, si prevede che il detenuto ha diritto a otto colloqui mensili con congiunti e con coloro con cui sussiste un significativo legame affettivo e che ogni colloquio ha una durata non inferiore a sessanta minuti. Le visite prolungate sono favorite per i detenuti che non usufruiscono di permessi premio (comma 6). La norma interviene anche sulle regole che governano i colloqui telefonici, stabilendo che la durata massima della conversazione è di venti minuti e può avvenire anche mediante dispositivi mobili in dotazione dell'istituto (comma 1). Sono favoriti i colloqui con volontari autorizzati ad operare negli istituti penali per minorenni ed è assicurato un costante supporto psicologico per i detenuti privi di riferimenti socio-familiari (comma 2) e, al fine di favorire le relazioni affettive, sono contemplate visite prolungate, della durata non inferiore a quattro ore, con una o più delle persone tra quelle sopra indicate (comma 3), favorite per i detenuti che non usufruiscono di permessi premio.

Compete al direttore verificare la sussistenza:

·       di eventuali divieti dell'autorità giudiziaria che impediscono i contatti con le persone indicate ai commi precedenti;

·       del legame affettivo, acquisendo le informazioni necessarie tramite l'ufficio del servizio sociale per i minorenni, acquisendo le informazioni necessarie tramite l'ufficio del servizio sociale per i minorenni e dei servizi socio-sanitari territoriali (comma 4).

 

I detenuti maggiorenni usufruiscono di sei colloqui al mese con congiunti, conviventi o altre persone autorizzate, in appositi locali. Il colloquio ha la durata massima di un'ora, eccezionalmente prolungabile a due ore. I condannati possono inoltre essere autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza telefonica con i congiunti e conviventi, una volta alla settimana per la durata massima di dieci minuti (art. 18 O.P.). Regole più stringenti sono previste per i detenuti per uno dei delitti di cui all'art. 4-bis O.P.

 

L'articolo 20 detta la disciplina in tema di regole di comportamento all'interno degli istituti penitenziari minorili. La norma prevede la necessità di un coinvolgimento del detenuto nella vita dell'istituto. Presupposto di tale partecipazione è che il regolamento che disciplina la vita nell'istituto sia portato a conoscenza dei detenuti fin dal loro ingresso attraverso l'utilizzo di un linguaggio comprensibile (comma 1).

Affinché vi sia una piena adesione ai programmi di intervento educativo, con conseguente progressione e concessione di benefici, è valutato anche il rispetto delle seguenti regole di comportamento all'interno dell'istituto:

·       osservanza degli orari, cura dell'igiene personale, pulizia e ordine della camera di pernottamento; _

·       partecipazione alle attività di istruzione, formazione professionale, istruzione e formazione professionale, lavoro, culturali e sportive; la permanenza nelle camere di pernottamento nel corso dello svolgimento di tali attività è consentita soltanto in casi eccezionali, o per motivi di salute acce1tati dall'area sanitaria;

·       consumazione dei pasti nelle aree specificamente dedicate e non all'interno delle camere di pernottamento, salvo specifica indicazione in tal senso da patte dell'area sanitaria;

·       relazioni con gli operatori e con gli altri detenuti improntate al reciproco rispetto.

 

L'articolo 21 introduce e disciplina la c.d. vigilanza dinamica e forme di custodia attenuata. La vigilanza dinamica costituisce un modello di detenzione, richiamato peraltro nella normativa europea, che presuppone una modulazione e differenziazione del controllo da parte della polizia penitenziaria, da esercitare in base alle diverse situazioni concrete. Più nel dettaglio la disposizione prevede che le camere di pernottamento, al di fuori delle ore dedicate al riposo sia pomeridiano che notturno, debbano restare aperte. Compete alla polizia giudiziaria svolgere attività di controllo e prevenzione e partecipare in modo attivo all'osservazione del comportamento dei detenuti (comma 1).

Si prevede inoltre la possibilità di organizzare sezioni a custodia attenuata per ospitare detenuti che non presentano rilevanti profili di pericolosità o che sono prossimi alle dimissioni e ammessi allo svolgimento di attività all'esterno. L'organizzazione di tali strutture deve prevedere spazi di autonomia nella gestione della vita personale e comunitaria (comma 2).

 

 L'articolo 22 esclude espressamente l'applicazione del regime della sorveglianza particolare di cui all'art. 14-bis O.P., per i detenuti minorenni (comma 1).

Con riguardo ai giovani adulti tale provvedimento di rigore può trovare applicazione solo laddove ricorrano casi di eccezionale gravità e comunque per un periodo non superiore a tre mesi, prorogabile una sola volta. In relazione alle restrizioni connesse al suddetto regime la disposizione esclude che esse possano riguardare il diritto alla socialità. Si prevede inoltre che l'adozione del provvedimento con il quale si applica la sorveglianza particolare sia accompagnata dalla previsione di una costante opera di sostegno degli operatori volta al ripristino del regime ordinario (comma 2).

 

 L'art. 14-bis O.P. disciplina il regime di sorveglianza particolare, prevedendo che possano essere sottoposti a tali misure di rigore, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore a tre mesi, i detenuti che si sono resi responsabili di comportamenti pericolosi all'interno degli istituti (cioè comportamenti che compromettono la sicurezza o turbano l'ordine negli istituti, oppure con la violenza o la minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o ancora, si avvalgono nella vita penitenziaria dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti). Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, all'esercizio dei diritti dei detenuti e alle regole di trattamento previste dall'ordinamento penitenziario. L'art. 14-quater O.P.  indica, poi, una serie di materie che non possono essere oggetto di restrizione. Fra queste sono ricomprese l'igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il possesso, l'acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi nel regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e periodici; le pratiche di culto; l'uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all'aperto; i colloqui con il difensore e con i familiari.

 

L'articolo 23 sancisce il principio, già presente nell'ordinamento penitenziario, della territorialità dell'esecuzione penale.

La disposizione prevede infatti che a meno che non ricorrano ragioni ostative, anche dovute a collegamenti con ambienti criminali, la pena deve essere eseguita in istituti prossimi alla residenza o alla abituale dimora del detenuto e delle famiglie, in modo da mantenere le relazioni personali e socio-familiari educativamente e socialmente significative (comma 1).

L'assegnazione a un istituto penale per minorenni è comunicata all'autorità giudiziaria procedente. L'assegnazione a un istituto diverso da quello più vicino al luogo di residenza o di abituale dimora è disposta con provvedimento motivato, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria (comma 2).

Il principio di territorialità deve trovare applicazione anche con riguardo ai trasferimenti si applicano i criteri di cui al comma 1 e sono disposti con provvedimento motivato, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria. Nei casi di urgenza sono eseguiti dalla competente amministrazione per la giustizia minorile e comunicati senza ritardo all'autorità giudiziaria (comma 3).

 

L'articolo 24 ridisegna le sanzioni disciplinari da comminare ai minori, le quali consistono:

·       nel rimprovero verbale e scritto del direttore dell'istituto;

·        in attività dirette a rimediare al danno cagionato;

·       nell'esclusione dalle attività ricreative per non più di dieci giorni;

·       nell'esclusione dalle attività in comune per non più di dieci giorni.

 

Con riguardo ai detenuti maggiorenni le sanzioni, previste dall’art. 39 O.P., in ordine progressivo di gravità sono:

Le ultime tre sanzioni sono inflitte dal Consiglio di disciplina presieduto dal direttore e composto dal sanitario e dall’educatore. Per l’applicazione della sanzione di esclusione dalle attività in comune è necessaria la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla.

 

Per quanto concerne le condotte sanzionabili la disposizione fa rinvio a quanto previsto dall'articolo 77 del Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà (d.P.R. n. 230 del 2000).

 

L'articolo 77 del d.P.R. n. 230 del 2000 individua le singole infrazioni disciplinari, le quali possono essere sostanzialmente suddivise in due gruppi.

Nel primo gruppo sono ricomprese tutte quelle infrazioni, considerate di minore gravità, fra queste: la negligenza nella pulizia e nell'ordine della persona o della camera; l'abbandono ingiustificato del posto assegnato; il volontario inadempimento di obblighi lavorativi; gli atteggiamenti e comportamenti molesti nei confronti della comunità; i giochi o le altre attività non consentite dal regolamento interno; la simulazione di malattia; il traffico di beni di cui è consentito il possesso; il possesso o il traffico di oggetti non consentiti o di denaro.

Nel secondo gruppo rientrano, invece, le infrazioni più gravi (punibili con la pena più restrittiva delle sanzioni disciplinari, ovvero l'esclusione dalle attività in comune) , fra le quali: le comunicazioni fraudolente con l'esterno o all'interno, nei casi indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma dell'articolo 33 della legge (norma che disciplina l'isolamento); gli atti osceni o contrari alla pubblica decenza; la intimidazione di compagni o sopraffazioni nei confronti dei medesimi; la falsificazione di documenti provenienti dall'amministrazione affidati alla custodia del detenuto o dell'internato; l'appropriazione o il danneggiamento di beni dell'amministrazione; il possesso o il traffico di strumenti atti ad offendere; l'atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell'istituto per ragioni del loro ufficio o per visita; l'inosservanza di ordini o prescrizioni o ingiustificato ritardo nell'esecuzione di essi; i ritardi ingiustificati nel rientro dai permessi di necessità, dai permessi premio o dalle licenze per i semiliberi o gli internati; la partecipazione a disordini o a sommosse; la promozione di disordini o di sommosse; l'evasione; i fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori. In applicazione del principio di tipicità è punibile anche il tentativo d'infrazione.

 

Il direttore dell'istituto è competente ad impartire le sanzioni del rimprovero verbale e scritto. Per le altre sanzioni è competente invece il consiglio di disciplina.

Tale organo è composto:

·       dal direttore dell'istituto o in caso di legittimo impedimento dall'impiegato più alto in grado con funzioni di presidente,

·        da uno dei magistrati onorari in servizio presso il tribunale per i minorenni, designato dal presidente e

·        da un educatore.

 

L'articolo 25 disciplina la fase di dimissione del detenuto minorenne, prevedendo che nei sei mesi precedenti l'ufficio di servizio sociale per i minorenni, in collaborazione con l'area trattamentale, prepari e curi la dimissione:

ü  elaborando, per i condannati cui non siano state applicate misure penali di comunità, programmi educativi, dì formazione professionale, di lavoro e di sostegno all'esterno;

ü  curando i contatti con i familiari di riferimento e con i servizi socio-sanitari territoriali;

ü  rafforzando, in assenza di riferimenti familiari, i rapporti con i servizi socio-sanitari territoriali e con le organizzazioni di volontariato per la presa in carico del soggetto; attivando sul territorio le risorse educative, di formazione, di lavoro e di sostegno, in particolare per i condannati privi di legami familiari .sul territorio nazionale, ovvero la cui famiglia sia irreperibile o inadeguata, e individuando le figure educative o la comunità di riferimento proposte dai servizi sociali per i minorenni o dai servizi sodo-sanitari territoriali.

 

Come si sottolinea nella relazione illustrativa la disposizione- collegata all'esigenza pressante di condivisione tra l'azione dei servizi minorili e quella dei servizi socio-sanitari del territorio, al fine di dare continuità all'intervento educativo e di sostegno- introduce specifici obblighi di attivazione nel periodo precedente al termine di espiazione, finalizzati ad impedire che dopo la rimessione in libertà il giovane si trovi privo di un adeguato sostegno o di opportunità che potrebbero condurlo alla commissione di nuovi reati.

 

L'articolo 26, infine, contempla le opportune disposizioni finanziarie.

 



[1] Art.62 c.p. - Circostanze attenuanti comuni- ...omissis... 6) avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l'essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell'ultimo capoverso dell'articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato

[2] Art. 114 c.p. - Circostanze attenuanti. -Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena. Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell'articolo 112. La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma.

[3] Art. 116. c.p. - Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti- Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave