Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) Videoconferenza, 3-4 marzo 2021
Serie: Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari   Numero: 54
Data: 01/03/2021
Organi della Camera: III Affari esteri, IV Difesa

        

 

XVIII LEGISLATURA

 

Documentazione per le Commissioni

RIUNIONI INTERPARLAMENTARI

 

 

 

Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC)

Videoconferenza, 3-4 marzo 2021

 

 

 

 

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INDICE

Ordine del giorno

Schede di lettura   1

Introduzione. 3

Sessione I: difendere l'Europa: cooperazione UE - NATO e bussola strategica.. 5

La cooperazione tra l’UE e la NATO.. 5

Il rapporto NATO 2030 (a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)  8

La Bussola strategica (Strategic Compass). 9

Sessione II: discussione con l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell  15

Le dichiarazioni programmatiche dell’Alto Rappresentante. 15

Prossime iniziative del programma di lavoro della Commissione europea per il 2021 in materia di azione esterna. 17

Rafforzamento del multilateralismo. 17

Cooperazione UE/USA.. 19

Relazioni UE/Russia. 21

Relazioni UE-Cina. 22

Allargamento dell’UE.. 24

Vicinato meridionale. 24

Il partenariato orientale. 26

La revisione strategica della PESCO.. 27

Il Fondo europeo per la difesa. 30

EUNAVFOR MED IRINI 32

Focus sulla situazione in Libia (a cura del Servizio Affari internazionali del Senato) 35

Focus sulla situazione nel Mediterraneo orientale (a cura del Servizio Studi della Camera) 41

Sessione III - Relazioni UE-Africa.. 47

Il quadro della cooperazione tra l’UE e l’Africa. 47

L’accordo di Cotonou e il nuovo accordo di partenariato con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). 47

La nuova strategia dell’UE con l’Africa. 49

Le strategie regionali 52

La nuova agenda per il vicinato meridionale. 54

Relazioni commerciale tra l’UE e l’Africa. 54

Politica dell’UE per la Migrazione. 56

Sicurezza e lotta al terrorismo. 59

Profili economici e demografici 62

Stanziamenti per l’Africa nell’ambito dell’azione esterna dell’UE nel QFP 2021-2027  63

Presenza della Cina in Africa. 64

 


Schede di lettura




Introduzione

La Conferenza per il controllo parlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) si svolgerà il pomeriggio del 3 e la mattina del 4 marzo 2021, in videoconferenza.

La Conferenza, organizzata dal Parlamento del Portogallo - che esercita la presidenza del Consiglio dell’UE per il periodo 1° gennaio-30 giugno 2021 - prevede, dopo i saluti introduttivi, un intervento di Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO e tre sessioni:

·        Sessione I: Difendere l’Europa: la cooperazione UE-NATO e la Bussola Strategica (Strategic Compass);

·        Sessione II: Discussione con Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza;

·        Sessione III: Una strategia comprensiva dell’UE per l’Africa.

La Conferenza sarà preceduta, nella mattina del 3 marzo, dalla consueta riunione di coordinamento del Gruppo Med, che riunisce i rappresentanti delle Commissioni esteri e difesa dei parlamenti dell'Europa del Sud, con lo scopo di formare posizioni comuni sui temi di interesse e sugli argomenti in discussione in seno alle Conferenze interparlamentari PESC PSDC.

I lavori della conferenza si svolgono secondo i seguenti princìpi istitutivi:

-     la Conferenza interparlamentare per la PESC/PSDC è composta da delegazioni dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione europea e del Parlamento europeo;

-     ogni Parlamento decide autonomamente sulla composizione della sua delegazione. I Parlamenti nazionali sono rappresentati da delegazioni composte da 6 membri. Per i Parlamenti bicamerali il numero dei membri potrà essere distribuito con accordi interni. Il Parlamento europeo è rappresentato da una delegazione di 16 membri. I Parlamenti dei paesi candidati all’adesione ed i Parlamenti di paesi europei membri della NATO potranno partecipare con una delegazione composta da 4 osservatori (si tratta di Albania, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia in quanto candidati all’adesione e Norvegia e Islanda in quanto Paesi europei membri della NATO);

-     la Conferenza si riunisce due volte l'anno nel Paese che esercita la Presidenza semestrale del Consiglio o presso il Parlamento europeo a Bruxelles;

-     la Presidenza delle riunioni è esercitata dal Parlamento nazionale dello Stato membro che ricopre la Presidenza del Consiglio UE, in cooperazione con il PE;

-     il Segretariato della Conferenza è esercitato dal Parlamento nazionale dello Stato membro che esercita la Presidenza di turno del Consiglio, in stretta cooperazione con il Parlamento europeo, e dei Parlamenti nazionali della precedente e successiva Presidenza di turno dell’UE;

-     l'Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza è invitato alle riunioni della Conferenza per esporre le linee d’indirizzo e le strategie della politica estera e di difesa comune dell'Unione;

-     la Conferenza può adottare per consenso conclusioni non vincolanti;

-     sulla base dei principi sopra esposti, la Conferenza approva i propri regolamento interno e metodi di lavoro.

 


 

 

Sessione I: difendere l'Europa: cooperazione UE - NATO e bussola strategica

La cooperazione tra l’UE e la NATO

Fanno parte della NATO 21 Stati membri dell’UE, tutti tranne Austria, Cipro, Irlanda, Finlandia, Malta e Svezia.

A margine del Vertice NATO dell’8 e 9 luglio 2016 in Polonia, l'UE e la NATO hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta sull'intensificazione della cooperazione pratica attraverso iniziative di cooperazione nei seguenti settori:

·        contrasto alle minacce ibride, anche mediante l'elaborazione di procedure coordinate;

·        cooperazione operativa in mare e in materia di migrazione;

·        coordinamento nella cibersicurezza e difesa;

·        sviluppo di capacità di difesa coerenti, complementari e interoperabili;

·        agevolazione di un'industria della difesa più forte e di una maggiore ricerca nel campo della difesa;

·        potenziamento del coordinamento relativo alle esercitazioni;

·        supporto alle capacità di difesa e sicurezza dei partner a est e a sud.

Il Consiglio dell’UE ha adottato il 5 dicembre 2017 delle conclusioni nelle quali ha approvato nuove iniziative di cooperazione con la NATO (portando a 74 il totale delle iniziative di cooperazione pratica in corso), comprendenti aspetti quali l’antiterrorismo, la cooperazione su donne, pace e sicurezza e la mobilità militare.

Il 10 luglio 2018, l’UE e la NATO hanno firmato una nuova dichiarazione congiunta, che integra quella del 2016, e nella quale si indica che l'UE e la NATO concentreranno la propria cooperazione in settori quali: mobilità militare; cibersicurezza; minacce ibride; lotta al terrorismo; donne e sicurezza.

Il 16 giugno del 2020 è stato pubblicato il 5° Rapporto sui progressi nell'implementazione delle iniziative comuni. Il rapporto sottolinea innanzitutto alcuni aspetti significativi della cooperazione svolta:

·        il dialogo politico è stato intensificato ad ogni livello, e rimane uno strumento essenziale per la comprensione e la fiducia reciproche;

·        il Dialogo strutturato, a livello di staff, sulla mobilità militare continua a contribuire allo scambio di informazioni in aree cruciali come i requisiti militari, le infrastrutture di trasporto, le procedure per l'attraversamento delle frontiere, ecc.;

·        nell'ambito della comunicazione strategica, la cooperazione si è focalizzata sul rafforzamento dell'allerta reciproca sugli episodi di disinformazione e sulle attività informative ostili;

·        continua l'impegno per assicurare la coerenza dei reciproci processi di programmazione strategica, pur rispettando la diversa e i diversi compiti delle sue organizzazioni.

Il rapporto dà poi conto dei risultati raggiunti nelle diverse iniziative in corso, soffermandosi su:

·        contrasto alle minacce ibride;

·        collaborazione operativa, incluse le questioni in ambito marittimo;

·        difesa e sicurezza cibernetiche;

·        sviluppo capacitivo;

·        industria e ricerca nel settore della difesa;

·        esercitazioni;

·        gestione delle crisi e capacity building in Paesi terzi.

I vertici delle due organizzazioni hanno da sempre ribadito in più occasioni la necessità del rafforzamento della difesa europea, della complementarietà degli sforzi NATO ed UE e l’opportunità di bilanciare con un crescente impegno degli Alleati continentali il nuovo orientamento militare americano verso i quadranti asiatico e pacifico.

Il 15 dicembre del 2020, in una dichiarazione congiunta, la Presidente della Commissione europea e il Segretario generale Stoltenberg hanno espresso l'intenzione di estendere la cooperazione tra le due organizzazioni anche al tema del cambiamento climatico.

Per il futuro delle relazioni Nato-UE dovrà anche tenersi conto della posizione che, sul punto, intenderà assumere la nuova amministrazione Usa. Con una notevole inversione di rotta rispetto alla presidenza Trump, nelle sue prime dichiarazioni dopo l'elezione, Biden ha rimarcato "l'impegno durevole" nei confronti dell'Alleanza atlantica. Nei confronti degli alleati europei, si tratterà di capire l'atteggiamento della nuova amministrazione nei confronti delle iniziative dell'Unione per acquisire un maggior livello di autonomia strategica, anche dal punto di vista strettamente militare. L'UE ha sempre ribadito che tali iniziative non rappresentano un indebolimento del vincolo atlantico o l'avvio di una competizione tra partner, ad esempio sul piano industriale e tecnologico, quanto piuttosto l'assunzione di maggiori responsabilità da parte europea. Ciò nonostante, negli ultimi anni la posizione americana è stata spesso critica, fino a provocare alcuni momenti di vera e propria tensione. Anche su questo aspetto, dunque, le relazioni tra le due sponde dell'Atlantico potranno articolarsi in modi nuovi.

Il primo confronto ad alto livello della nuova amministrazione Usa con l'Unione si è svolto in occasione del Consiglio Affari esteri dello scorso 22 febbraio, cui è intervenuto il nuovo Segretario di Stato Antony Blinken. Blinken ha sottolineato "l'impegno della nuova amministrazione a riparare, rivitalizzare e alzare il livello di ambizioni delle relazioni con l'UE". La scambio di opinioni ha riguardato le principali questioni dell'agenda internazionale, in particolare le relazioni con la Cina, la Russia e l'Iran, il Covid-19, il cambiamento climatico, il rafforzamento del partenariato con l'Ucraina e i Balcani occidentali. Si è anche parlato della cooperazione in materia di difesa e sicurezza.

Dei rapporti Ue-Nato si è discusso anche nel recente Consiglio europeo del 25 e 26 febbraio, in videoconferenza, cui ha partecipato il Segretario Generale dell’Alleanza, Stoltenberg.

Ai rapporti con la Nato, con gli Usa e con gli altri attori del sistema globale è dedicato anche un passaggio della dichiarazione finale dei ministri Ue: “Ci impegniamo a cooperare strettamente con la NATO – nel pieno rispetto dei principi sanciti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo – e a rafforzare i nostri partenariati con le Nazioni Unite e i principali partner regionali. Attendiamo con interesse di cooperare con la nuova amministrazione degli Stati Uniti a una solida e ambiziosa agenda transatlantica che comprenda uno stretto dialogo in materia di sicurezza e di difesa. Tale cooperazione globale trarrà beneficio da un'UE più forte nel settore della sicurezza e della difesa.”

 

Il rapporto NATO 2030 (a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)

Il 1° dicembre 2020, in occasione della riunione tra i ministri degli Affari Esteri della NATO, è stato presentato il Rapporto “NATO2030: Uniti per una nuova era”, presentato dai due co-presidenti del Gruppo di Riflessione voluto dal Segretario generale della NATO, Thomas de Maizière e Wess Mitchell.

Il rapporto fornisce una serie di raccomandazioni volte ad assicurare un adattamento dell’Alleanza alle sfide future delineando le strategie per raggiungere l’obiettivo. Il Segretario generale ha dichiarato in conferenza stampa che 138 raccomandazioni del rapporto si tradurranno in un Piano d’azione che intende presentare al prossimo Vertice NATO del 2021. Il Segretario generale ha assicurato che continuerà a consultarsi con la società civile, i parlamentari, i giovani leader, il settore privato e, naturalmente, con gli alleati, sottolineando che l'obiettivo è mantenere la Nato una forte alleanza militare, renderla più unita politicamente e con un approccio più globale.

Il documento rileva che il contesto di sicurezza in cui opera la NATO è cambiato dal 2010 e pertanto è necessario aggiornare il Nuovo concetto di sicurezza. Rispetto al passato l’assertività della Russia è più netta, la Cina pone nuove sfide e il fianco Sud è minato da conflitti. Il rapporto propone la creazione di un Comitato consultivo sulle sfide alla sicurezza collegate alla Cina, suggerisce di rafforzare i partenariati con i paesi del Pacifico (Giappone, Corea del Sud e Australia, magari includendo anche l’India). Per far fronte alla competizione tecnologica che viene dalla Cina, il rapporto suggerisce di realizzare un foro di consultazione tra governi sulle implicazioni di sicurezza poste dalle tecnologie emergenti, e in particolare dal dominio cibernetico. Gli esperti propongono un Digital Summit che coinvolga alleati, aziende e partner del Pacifico e la creazione di un’unità speciale su ricerca e sviluppo, in particolare sull’intelligenza artificiale.

Con riferimento al fronte Mediterraneo, il Rapporto sostiene la necessità per la NATO di sviluppare un approccio trasparente, coerente per far fronte alle minacce tradizionali come il terrorismo, la crescente presenza della Russia ed anche della Cina. Al riguardo propone di rafforzare l’Hub per il Sud presso il Comando NATO di Napoli e la cooperazione con l’UE per un approccio comune coordinato. La NATO deve continuare un approccio dual track con la Russia. In tema di terrorismo, il Rapporto riconosce che questa è la più immediata e asimmetrica minaccia per l’Alleanza e pertanto la NATO dovrebbe integrare la lotta al terrorismo tra i suoi obiettivi, migliorando le attuali prassi di condivisione di intelligence.

Il Rapporto invoca una consultazione transatlantica sistematica e credibile

Il Consiglio Atlantico rimane il forum per la consultazione sulle principali questioni strategiche e politiche. La NATO dovrebbe tenere riunioni ministeriali più frequenti e, quando appropriato, espandere il loro formato. La NATO dovrebbe riprendere la pratica in base alla quale il numero delle riunioni dei Ministri degli affari esteri annuali corrisponde al numero delle Ministeriali della Difesa, con incontri alternati tra il Quartier generale di Bruxelles e nelle capitali alleate. Dovrebbero aumentare anche gli incontri informali e istituire consultazioni regolari informali su tematiche al di là della tradizionale agenda.

Il Rapporto riconosce che la NATO è un’Alleanza militare e tale resterà; tuttavia la NATO non può non tener conto delle sfide alla sicurezza che vengono da rischi globali come pandemie e cambiamenti climatici. Al riguardo si auspica la realizzazione di un Centro di eccellenza su Clima e Sicurezza.

Mantenere la coesione ed unità politica è una priorità; per questo gli Alleati dovranno confermare il proprio impegno verso la NATO come principale istituzione di difesa dell’Area euro atlantica, adottando a tal fine un codice di buona condotta. In caso di dispute tra alleati il Segretario generale offrirà i suoi buoni uffici e verificherà la possibilità di coinvolgere più da vicino altri alleati come mediatori informali. Il Rapporto suggerisce che gli alleati mantengano e soddisfino i requisiti di condivisione degli oneri concordati. Incoraggia anche lo sviluppo di una difesa europea complementare alla NATO. Gli esperti ribadiscono che il principio del consenso è una pietra miliare, tuttavia la NATO deve essere in grado di raggiungere ed attuare decisioni in modo tempestivo; la consultazione tra i membri dovrebbe avere anche un’ottica preveniva oltre che reattiva. Per questo fra le raccomandazioni degli esperti, quella di limitare il potere di veto dei Paesi membri e di accelerare la risposta politica a minacce della sicurezza o crisi internazionali. Al Segretario generale andrebbe riconosciuto il potere di prendere decisioni su questioni di routine.

La Bussola strategica (Strategic Compass)

In attuazione di quanto stabilito dal Consiglio europeo nel vertice di giugno 2020, lo scorso 20 novembre il Consiglio UE ha avviato il processo per la definizione dello Strategic Compass, una "bussola" per orientare l’azione dell’UE e degli Stati membri nel campo della difesa e della sicurezza. L’obiettivo di questo documento è di sviluppare una “cultura strategica condivisa", partendo da una visione comune delle minacce che incombono sull'Europa e dei possibili strumenti per farvi fronte.

Il Compass si muove nell’ambito geopolitico delineato nel 2016 dalla Strategia Globale dell'Unione, che definiva tre priorità strategiche per l'UE:

·        risposte alle crisi esterne;

·        capacity building dei Paesi partner,

·        protezione dell’Unione e dei suoi cittadini.

Rispetto a quel documento, il Compass dovrebbe occuparsi soprattutto dell'implementazione degli aspetti militari e di difesa, mettendo a sistema le diverse iniziative che l’UE ha avviato negli ultimi anni in questo settore. L'elaborazione del Compass non potrà comunque prescindere da una prospettiva più ampia, che è quella della proiezione esterna dell'Unione. Il concetto di difesa si è negli ultimi tempi molto modificato, tra l'altro, per il mutato scenario globale, le nuove minacce ibride e le emergenze sanitarie. La distinzione tra sicurezza interna e sicurezza esterna è sempre più evanescente: temi come la protezione delle infrastrutture critiche, la sicurezza dei rifornimenti o l'approvvigionamento delle materie prime devono ormai essere affrontati in modo integrato.

Il Compass dovrebbe comunque definire obiettivi chiari e misurabili in un orizzonte temporale di 5/10 anni nell’ambito della sicurezza e difesa.

Il percorso per l’approvazione del Compass

Il percorso per l’approvazione del Compass prevede le seguenti fasi:

·        l’avvio della discussione: nel Consiglio UE di novembre 2020 il punto di partenza è stato un corposo documento di ''analisi delle minacce” redatto dal Single Intelligence Analysis Capacity (SIAC), l'embrionale sistema di coordinamento tra i servizi nazionali. Il documento (classificato) dà conto del ruolo dei principali attori a livello globale e regionale e pone un’attenzione significativa alle minacce ibride e cyber. Gli Stati membri sono stati invitati ad esprimere le proprie posizioni nazionali, articolate sulla base di una serie di “domande guida” proposte dall’alto Rappresentante;

·        la fase di approfondimento: sulla base di questa prima riflessione tra gli Stati membri, all’inizio di febbraio 2021 il Servizio europeo di azione esterna ha presentato un documento di lavoro (riservato), per identificare i principali temi di discussione e facilitare il lavoro di approfondimento e il dialogo tra i governi. Nella prima metà del 2021 sono previsti una serie di appuntamenti di approfondimento dei temi del Compass, a livello politico, istituzionale e scientifico (su cui vedi infra). Nel frattempo gli Stati (con il supporto del SEAE) sono invitati a promuovere momenti di approfondimento e seminari, in vari formati, sui diversi aspetti del Compass. In questa fase si prevede il coinvolgimento di centri di ricerca e think tank dei diversi Paesi, oltre che del Comitato militare e lo Stato maggiore UE. Una serie di appuntamenti, anche su questioni settoriali e di dettaglio, sono stati già organizzati o annunciati, a cominciare da quelli della Presidenza di turno portoghese, che svolge una funzione di coordinamento delle diverse iniziative. Alcuni Stati hanno già annunciato la presentazione di documenti informali o l’impegno a svolgere un ruolo di traino su questo o quello dei diversi aspetti del documento L'Italia si è impegnata a fornire il proprio contributo su tutti gli aspetti del Compass, mantenendo però un'attenzione particolare al tema dei partenariati (su cui vedi infra);

·        la proposta di documento conclusivo: entro il mese di novembre 2021 l’Alto Rappresentante dovrà presentare una bozza completa del Compass, da sottoporre al Consiglio;

·        l'approvazione definitiva è prevista nel mese di marzo del 2022, sotto la Presidenza di turno francese. L’approvazione del Compass dovrebbe coincidere (almeno queste erano le previsioni iniziali) con lo svolgimento della Conferenza sul futuro dell'Europa, che dovrebbe avviare i suoi lavori il 9 maggio 2021.

La struttura del documento

Il Compass dovrebbe essere articolato in due parti.

Nella prima parte dovrebbero essere individuate da un lato le minacce e le sfide che l’UE ha di fronte, e dall’altro le risposte che essa intende mettere in campo. La prospettiva è di rafforzare la capacità dell’Unione di agire autonomamente (grazie ad una maggiore solidarietà tra gli Stati membri), ma anche di verificare le possibilità di fare fronte a queste minacce con partner affidabili. Si tratta di sviluppare una cultura della difesa e della sicurezza, improntata da un lato ai valori dell’Unione e dall'altro a principi più generali come il multilateralismo, il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani. Per fare tutto ciò, resta centrale il tradizionale "approccio integrato" civile-militare dell’Unione.

La seconda parte del Compass dovrebbe invece essere divisa in quattro aree:

a) gestione delle crisi

Muovendo dall'identificazione degli interessi e dei valori comuni, si dovranno analizzare priorità e modalità delle missioni UE, migliorando la generazione delle forze, la prontezza e la capacità di reazione e le modalità di finanziamento.

b) resilienza

Gli Stati dovranno identificare le aree di vulnerabilità dell'Unione, con una particolare attenzione alla capacità di resilienza dei cittadini e alla protezione di obiettivi strategici anche di carattere civile. Si dovrà analizzare la capacità dell'UE di rispondere a emergenze complesse, prendendo spunto dalle lezioni apprese nella gestione del Covid-19, identificando le carenze e criticità e valorizzando le sinergie con le iniziative UE in altri ambiti. Una particolare attenzione è riservata al tema della sicurezza e difesa in ambito cibernetico, in linea con la Strategia UE per la cibersicurezza.

c) sviluppo capacitivo

È l'ambito più prettamente militare, entro cui dovranno essere individuate le capacità necessarie all'Unione per raggiungere il Livello di ambizioni definito nella Strategia globale del 2016. Gli Stati dovrebbero individuare i parametri della c.d. "Full spectrum Force Package", concentrandosi sui punti deboli rispetto ad una piena autonomia operativa delle forze UE. In quest'ambito si prevede anche un aggiornamento, sempre in sinergia con la Nato, del Piano di sviluppo delle capacità dell'UE. Il Compass dovrà anche fornire indicazioni per stimolare lo sviluppo della base tecnologica industriale europea. Il processo dovrebbe portare alla definizione di nuovi "Headline goals" entro il 2022.

d) partenariati

L'obiettivo è migliorare le sinergie con le organizzazioni internazionali e regionali (Unione africana, Asean, ecc.) per promuovere approccio multilaterale e cooperazione anche nel campo della difesa e della sicurezza. Particolare attenzione è sulle politiche di partenariato, anche bilaterali, nell'ambito delle missioni civili e militari dell'Unione, in particolare nel campo del capacity building.

 

Un tema orizzontale, che dovrà essere ugualmente affrontato nel documento, è quello della clausola di mutua assistenza, prevista dall’articolo 42.7 del Trattato UE, alla luce della nuova natura delle minacce che incombono sul continente (terrorismo, minacce ibride, ciberdifesa, ecc.).

Si può segnalare che, per approfondire il percorso di elaborazione del Compass la Commissione difesa del Senato ha avviato un Affare assegnato "sulle prospettive strategiche della politica di sicurezza e difesa comune dell'Unione Europea".

Del tema si è parlato anche nel corso del recente Consiglio Europeo, in videoconferenza, del 25 e 26 febbraio. L'Alto Rappresentante – si legge nella dichiarazione finale – “ha presentato gli sforzi in corso per mettere a punto una ambiziosa bussola strategica intesa a orientare l'ulteriore attuazione del livello di ambizione dell'UE in materia di sicurezza e difesa”.  I ministri hanno invitato a proseguire i lavori, utilizzando tutti gli strumenti disponibili a livello Ue, confermando la tempistica che prevede l’adozione del documento entro marzo 2022. I ministri hanno anche stabilito che “la sicurezza e la difesa saranno oggetto di esame periodico da parte del Consiglio europeo”.

Il Consiglio ha peraltro affrontato anche gli altri principali temi della difesa europea (su cui vedi anche, in questo dossier, le schede dedicate alla II sessione), con l’obiettivo di “approfondire ulteriormente la cooperazione in materia di difesa e sicurezza, di aumentare gli investimenti per la difesa e di rafforzare lo sviluppo delle capacità civili e militari e la prontezza operativa all'interno dell'Unione”. A tal fine il Consiglio ha espresso la determinazione di:

         incrementare l'impegno operativo civile e militare dell'Unione, anche attraverso un miglioramento della costituzione della forza, una maggiore efficienza nella pianificazione e nel comando dell'UE e una solida attuazione dello strumento europeo per la pace, che dovrebbe essere rapidamente reso operativo;

         incoraggiare gli Stati membri a sfruttare meglio le opportunità di collaborazione individuate nella revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD) e a utilizzare appieno la cooperazione strutturata permanente (PESCO) per rafforzare gli investimenti, la prontezza e lo sviluppo collaborativo di capacità;

         rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa dell'Europa, tra l'altro mediante la rapida adozione, entrata in vigore e operatività del Fondo europeo per la difesa e la promozione di sinergie tra l'industria civile, della difesa e dello spazio, anche nel settore dell'intelligenza artificiale e delle tecnologie di rottura, nonché la promozione della partecipazione delle PMI;

         garantire un accesso europeo sicuro ai beni comuni globali (compresi lo spazio, il ciberspazio e l'alto mare) nonché una migliore mobilità militare in tutta l'Unione.

 


 

Sessione II: discussione con l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell

La presente nota dà conto delle dichiarazioni programmatiche dell’Alto Rappresentante, delle iniziative previste in materia di affari esteri e politica di sicurezza nel programma di lavoro della Commissione europea per il 2021, di quelle recentemente adottate e dei recenti sviluppi nelle relazioni dell’UE con i principali paesi e nelle aree di crisi.

Le dichiarazioni programmatiche dell’Alto Rappresentante

L’Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché Vice Presidente della Commissione europea, Josep Borrell, all’inizio del suo mandato - nel corso dell’audizione svoltasi preso il Parlamento europeo il 7 ottobre 2019 - aveva formulato una serie di impegni per l'assolvimento del suo mandato politico, soffermandosi in particolare:

·        sulla necessità di un'Unione più strategica, assertiva e unita sulla scena mondiale, creando un solido collegamento tra le politiche estere degli Stati membri e l'azione esterna della Commissione europea, e puntando a un sistema più focalizzato sugli obiettivi condivisi;

·        sulla velocizzazione e su una maggiore efficienza dei processi decisionali nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune;

Si ricorda che, nella scorsa legislatura europea, la Commissione europea ha presentato nel settembre 2018 una comunicazione nella quale ha proposto che il Consiglio europeo decida, utilizzando le disposizioni previste dai Trattati vigenti e in particolare la cosiddetta “clausola passarella” di cui all’articolo 31, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), il passaggio dall’unanimità alla votazione a maggioranza qualificata nelle decisioni del Consiglio dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza comune dell’UE in alcuni specifici casi, in materia di diritti umani, sanzioni e missioni civili.

·        garantire un maggior legame tra le dimensioni interna ed esterna delle politiche dell'Unione;

·        in tema di sicurezza e difesa, proseguire nella costruzione di una cultura strategica comune, prendendo le mosse dai progressi realizzati a livello politico con la cooperazione strutturata permanente (PESCO), a livello industriale con il Fondo europeo di difesa e a livello operativo con le missioni e aumentando il livello di spesa per la difesa; rafforzare l'Alleanza atlantica, acquisendo maggior peso all'interno della NATO e contribuendo così a relazioni transatlantiche più equilibrate; dotarsi di linee guida chiare per l'attivazione dell'art. 42, paragrafo 7 del Trattato sull’UE (TUE), relativo alla clausola di difesa reciproca, con riguardo alle modalità per una risposta comune agli attacchi terroristici nel territorio di uno o più Stati membri;

·        lottare con rinnovata energia contro le minacce ibride, con particolare riguardo alle campagne di disinformazione, che sono destinate a trasformarsi sempre più in strumento dominante di destabilizzazione, come dimostrato ampiamente nel caso di alcuni Paesi del vicinato orientale;

·        impegnarsi per il massimo rispetto dei diritti umani, facendone una clausola imprescindibile di ogni accordo commerciale che l'Unione concluda con Paesi terzi;

Si ricorda che il Consiglio dell’UE ha adottato il 7 dicembre 2020 una decisione e un regolamento che istituiscono un nuovo regime globale di sanzioni in materia di diritti umani, che prevede disposizioni che consentono all’UE di prendere misure mirate nei confronti di persone, entità e organismi – compresi soggetti statali e non statali – responsabili di gravi violazioni e abusi dei diritti umani in tutto il mondo, indipendentemente dal luogo in cui avvengono (e quindi a prescindere dai regimi di sanzioni e misure restrittive che già l’UE può adottare nei confronti di un paese terzo, ma che hanno sempre un contesto di applicazione “geografica”). Il quadro per le misure restrittive mirate si applica ad atti quali il genocidio, i crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni o gravi abusi dei diritti umani (ad esempio tortura, schiavitù, uccisioni extragiudiziali, arresti o detenzioni arbitrari). Anche altre violazioni o altri abusi dei diritti umani possono rientrare nell'ambito di applicazione del regime di sanzioni nella misura in cui tali violazioni o abusi sono diffusi, sistematici o comunque motivo di seria preoccupazione per quanto concerne gli obiettivi di politica estera e di sicurezza comune stabiliti nel trattato. Spetterà al Consiglio dell’UE, all’unanimità (come già per le sanzioni di natura “geografica”), redigere, riesaminare e modificare l'elenco delle sanzioni su proposta di uno Stato membro o dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

·        profondere il massimo sforzo a sostegno delle riforme e dei processi d'integrazione nei Balcani occidentali, sostenere la democrazia e l'integrità territoriale dell'Ucraina, affrontare le sfide poste dal vicinato meridionale, sviluppare una nuova strategia globale verso l'Africa e ricomporre le relazioni transatlantiche;

·        informare ogni aspetto della politica estera alla gestione delle due grandi sfide geopolitiche che caratterizzeranno gli anni a venire: il cambiamento climatico e i flussi migratori.

Prossime iniziative del programma di lavoro della Commissione europea per il 2021 in materia di azione esterna

Le iniziative previste nel programma di lavoro della Commissione europea per il 2021, presentato il 19 ottobre 2020, nell’ambito dell’azione esterna dell’UE sono le seguenti:

·        una comunicazione sul rafforzamento del contributo dell'UE al multilateralismo fondato su regole, con particolare riferimento alle riforme dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Organizzazione mondiale del commercio (presentata il 17 febbraio 2021 – v. infra);

·        una comunicazione sul vicinato meridionale nella quale saranno avanzate proposte per un partenariato rinnovato con l’insieme dei paesi del vicinato meridionale (presentata il 9 febbraio 2021 - v. infra);

·        una comunicazione sull'Artico, volta in particolare ad aggiornare la politica dell'UE nei confronti di una regione particolarmente esposta ai cambiamenti climatici e alle pressioni ambientali e al conseguente impatto sull'economia e la sicurezza;

·        una comunicazione su un nuovo approccio strategico per sostenere il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento degli ex combattenti, al fine di garantire stabilità e pace nei paesi e nelle regioni colpiti da conflitti;

·        una comunicazione sugli aiuti umanitari dell'UE, che si concentrerà in particolare sulle nuove modalità di collaborazione con i principali partner dell’UE e altri donatori, sull'uso di strumenti digitali e approcci innovativi in materia di finanziamento e modalità di erogazione degli aiuti;

·        una proposta di revisione della direttiva sulla tutela consolare, volta a consentire ai cittadini dell'Unione di avvalersi più facilmente della tutela consolare, anche attraverso il potenziamento e la cooperazione tra gli Stati membri e, sfruttando la rete di delegazioni dell'UE.

Rafforzamento del multilateralismo

La Commissione europea e l’Alto Rappresentante hanno presentato il 17 febbraio 2021 una comunicazione congiunta sul rafforzamento del contributo dell’UE per il multilateralismo basato su regole.

La Comunicazione indica la necessità di concentrarsi su “coerenza, unità e solidarietà” interne dell’UE come condizione per un’azione esterna più efficace, riconoscendo l’urgenza di rafforzare il coordinamento tra le istituzioni europee e gli Stati membri.

A tal fine, la Commissione e l'Alto Rappresentante useranno il loro potere di iniziativa in modo più mirato al fine di migliorare la formulazione delle posizioni dell'UE da adottare nelle sedi internazionali. Inoltre, al fine di adottare decisioni in modo più rapido ed efficace, il Consiglio dell’UE deve anche utilizzare le disposizioni dell’articolo 31 del Trattato sull’UE che consentono l'astensione costruttiva e l'adozione di decisioni a maggioranza qualificata nella politica estera e di sicurezza comune.

Come regola generale, tutte le decisioni prese relativamente alla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea sono adottate all’unanimità. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 31 del trattato sull’Unione europea, uno Stato membro può scegliere di astenersi dal voto senza bloccare una decisione del Consiglio dell’UE. Il paese che si astiene può motivare la propria astensione con una dichiarazione formale. In tal caso, non è tenuto ad applicare tale decisione, ma accetta che essa impegni l’Unione.

La Comunicazione propone una sorta di “multilateralismo modulare”, basato su una cooperazione più stretta con partner che condividono lo stesso orientamento dell’UE - in particolare cogliendo le opportunità offerte dalla nuova amministrazione americana - nella difesa dei principi e delle norme universali e integrato da partenariati settoriali con altri attori su questioni di interesse comune come il cambiamento climatico, l’istruzione e la tecnologia.

Al fine di rafforzare il sistema multilaterale globale l'UE intende, in particolare:

·        sostenere le iniziative di riforma per un migliore funzionamento dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza dell’ONU;

·        promuovere l'ammodernamento dell’Organizzazione mondiale della sanità, dell'Organizzazione mondiale del commercio, e delle istituzioni finanziarie internazionali quali il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale;

·        proporre nuove norme internazionali e piattaforme di cooperazione in settori prioritari in cui la governance globale è limitata o assente, quali: fiscalità; sfera digitale; intelligenza artificiale; cooperazione e tutela dei consumatori; ambiente, oceani, risorse naturali; sicurezza delle materie prime; tecnologie verdi e energia rinnovabile.

Cooperazione UE/USA

La Commissione e l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, hanno presentato il 2 dicembre 2020 una comunicazione congiunta intitolata "Una nuova agenda UE-USA per il cambiamento globale", nella quale si propone di strutturare la futura nuova agenda transatlantica, che dovrebbe essere definita in occasione di un vertice UE – USA nel 2021, attorno alle seguenti priorità ed iniziative:

lotta alla pandemia di COVID 19 e azioni di prevenzione in ambito sanitario

·        garantire finanziamenti per lo sviluppo e un'equa distribuzione globale di vaccini, test e trattamenti, aderendo e contribuendo alle iniziative dell'OMS, ACT-A e COVAX, programmi per l'accesso globale del vaccino anti COVID-19;

·        sviluppare linee guida sulla pandemia e intensificare la cooperazione e la condivisione dei dati;

·        facilitare il commercio di beni medici essenziali nell'ambito dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e rafforzare l'OMS;

·        cooperare su prevenzione, preparazione e risposta a future pandemie, anche sulla base dell'esperienza dell'attuale.

protezione del pianeta

·        coordinare le rispettive posizioni per accordi globali ambiziosi ai vertici delle Nazioni Unite sul clima e la biodiversità del prossimo anno, a partire da un impegno comune per le emissioni zero entro il 2050;

·        promuovere una nuova agenda per il commercio verde transatlantico nell'ambito dell'OMC (Organizzazione mondiale del commercio) e misure per evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio; promuovere un'alleanza transatlantica per la tecnologia verde per la cooperazione nello sviluppo di tecnologie pulite e circolari e nella creazione di mercati leader; progettare un quadro normativo globale per la finanza sostenibile;

·        lotta contro la deforestazione e intensificare la protezione degli oceani, in particolare promuovendo un trattato globale sulle plastiche e designando delle aree marittime protette negli oceani del sud;

tecnologia, commercio e standard

·        riforma dell'OMC e promuovere soluzioni negoziate per controversie commerciali bilaterali (si ricorda al proposito che la Commissione europea ha presentato il 18 febbraio 2021 la comunicazione sul riesame della politica commerciale dell’UE);

·        istituire un nuovo Consiglio per il commercio e la tecnologia UE-USA per facilitare il commercio, sviluppare standard compatibili e promuovere l'innovazione;

·        avviare un dialogo sulla responsabilità delle piattaforme online e Big Tech per soluzioni globali per una tassazione equa e evitare distorsioni del mercato nell'economia digitale;

·        sviluppare un approccio comune alla protezione delle tecnologie critiche alla luce delle preoccupazioni economiche e di sicurezza globali, iniziando dalle discussioni sul 5G;

·        promuovere un accordo sull'intelligenza artificiale e intensificare la cooperazione per facilitare il libero flusso di dati sulla base di un contesto di fiducia comune;

·        rinnovare la cooperazione in materia di regolamentazione e standard;

sicurezza, prosperità e democrazia

·        piena disponibilità dell'UE a partecipare al vertice per la Democrazia proposto dal Presidente eletto Biden, rendendo comuni impegni per combattere l'ascesa dell'autoritarismo, le violazioni dei diritti umani e la corruzione;

·        coordinare le risposte alle sfide comuni per promuovere la stabilità regionale e globale: la comunicazione indica che per l'UE la Cina rappresenta un partner negoziale per la cooperazione, un concorrente economico e un rivale sistemico e che, in quanto società democratiche ed economie di mercato aperte, l'UE e gli USA concordano sul fatto che la crescente assertività internazionale della Cina pone sfide strategiche, anche se non si trovano sempre d'accordo sulle migliori modalità per affrontarle;

·        rafforzare l'impegno comune a favore della sicurezza transatlantica e internazionale, istituendo un nuovo dialogo UE-USA su sicurezza e la difesa;

·        rafforzare il sistema multilaterale.

 

Relazioni UE/Russia

Il Consiglio affari esteri dell’UE del 22 febbraio 2021 ha svolto una discussione globale e strategica sulle relazioni UE-Russia. Durante il dibattito è emersa una valutazione condivisa sul fatto che la Russia sta registrando una evoluzione verso uno Stato autoritario, con un allontanamento dall'Europa. I Ministri degli esteri dell’UE hanno discusso di come le relazioni con la Russia potrebbero svilupparsi nel quadro dei cinque principi guida e si sono concentrati sulla necessità di respingere le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, contenere la disinformazione e gli attacchi informatici, impegnarsi nel dialogo con la Russia su questioni di interesse nell'UE.

Alla luce degli ultimi sviluppi, il Consiglio dell’UE ha, altresì, raggiunto un accordo politico per procedere con i lavori su future misure restrittive nei confronti dei responsabili dell’arresto, condanna e persecuzione di Alexei Navalny, facendo per la prima volta ricorso al nuovo regime globale di sanzioni dell’UE in materia di diritti umani, approvato il 7 dicembre 2020 (v. supra).

Secondo fonti stampa destinatari delle sanzioni sarebbero 4 personalità coinvolte nell’arresto e detenzione di Navalny: il Presidente della commissione di inchiesta russa, Alexander Bastrykin, il Direttore del servizio federale delle prigioni russe, Alexander Kalashnikov, il direttore della Guardia nazionale russa, Viktor Zolotov, e il Procuratore generale, Igor Krasnov.

Si ricorda che l’Alto Rappresentante, Josep Borrell, si è recato a Mosca dal 4 al 6 febbraio 2021 in Russia per una serie di colloqui. L’Alto rappresentante aveva fatto anche richiesta di incontrare il rappresentante dell’opposizione Alexei Navalny, attualmente detenuto, che però è stata negata dal Governo russo.

Il 18 gennaio 2021 la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha diffuso una dichiarazione nella quale si condanna l’arresto di Alexei Navalny e se ne chiede l’immediata liberazione e una indagine indipendente sul suo avvelenamento.

Il 5 febbraio 2021, nel corso della conferenza stampa congiunta, il Ministro degli affari esteri russo, Lavrov ha attaccato l’UE, indicando che l’Europa non è un partner affidabile per la Russia.

A margine della conferenza stampa è stata diffusa sui social media la notizia dell’espulsione di tre diplomatici di Germania, Polonia e Svezia accusati di aver partecipato a una manifestazione a sostegno di Alexei Navalny. Germania Polonia e Svezia, il 6 febbraio 2021, in base al principio di reciprocità hanno poi espulso tre diplomatici russi.

L’Alto rappresentante ha successivamente, in occasione del suo intervento alla plenaria del Parlamento europeo il 9 febbraio 2021, indicato che la Russia sembra al momento contraria ad avviare un dialogo costruttivo con l’UE e che sulla base di tale constatazione occorrerà riflettere su quale strada intraprendere sulle prospettive strategiche delle relazioni tra UE e Russia che al momento sembrano divergere.

Borrell ha quindi indicato tre priorità per l’UE:

·        decidere il passo successivo, che potrebbe includere sanzioni;

·        allo stesso tempo, nonostante ogni difficoltà, è di fondamentale importanza definire un modus vivendi che eviti il confronto permanente con la Russia che rimane il più grande vicino dell’Europa;

·        occorre comunque proseguire l’impegno dell’UE a favore della società e della popolazione russa che desidera mantenere forti legami con l'Unione europea e nutre aspirazioni democratiche.

Si ricorda che a partire dall'annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014, l’UE ha sospeso la cooperazione con la Russia ed ha rivisto le sue relazioni bilaterali, cancellando i vertici bilaterali regolari, ha sospeso tutti i negoziati e processi di dialogo in corso ed ha introdotto misure restrittive e sanzioni nei confronti della Russia.

Il tema delle prospettive delle relazioni UE- Russia sarà discusso in occasione del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2021.

Relazioni UE-Cina

Al termine del Vertice UE- Cina del 22 giugno 2020 - con il primo ministro cinese, Li Keqiang, il presidente cinese, Xi Jinping - il Presidente Michel e la Presidente von der Leyen hanno rilasciato un comunicato stampa congiunto che indica le seguenti prospettive per le relazioni UE-Cina nei diversi ambiti:

·        il dialogo e la cooperazione con la Cina rappresentano per l’UE sia un'opportunità che una necessità. Riconoscendo che l’UE non condivide con la Cina gli stessi valori, e lo stesso approccio al multilateralismo, si indica la necessita di dialogare, difendendo gli interessi e i valori dell'UE;

·        occorre compiere progressi per quanto riguarda l'attuazione degli impegni assunti al vertice UE-Cina del 2019, in merito a condizioni di parità e riequilibrio delle asimmetrie nell'accesso al mercato;

Si ricorda che il 30 dicembre 2020 l'UE e la Cina hanno raggiunto una intesa in linea di principio per un accordo globale sugli investimenti (CAI). Il testo dell'accordo, è attualmente in corso di revisione giuridica e traduzione prima di essere sottoposto all'approvazione del Consiglio dell'UE e del Parlamento europeo. L’accordo prevede l’impegno da parte della Cina a garantire: un livello più elevato di accesso al mercato per gli investitori dell'UE; un trattamento equo alle aziende dell'UE in modo che possano competere in condizioni di migliore parità in Cina, anche in termini di disciplina per le imprese di proprietà statale, trasparenza dei sussidi e regole contro il trasferimento forzato di tecnologie; il rispetto di disposizioni sullo sviluppo sostenibile, compresi gli impegni sul lavoro forzato e la ratifica delle pertinenti convenzioni fondamentali dell'OIL.

·        la Cina è partner dell'UE nel quadro dell'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, ma deve impegnarsi ad agire in modo decisivo e ambizioso nel suo territorio per ridurre nel breve termine le emissioni e deve fissare l'obiettivo della neutralità climatica prima possibile;

La Cina è al tempo stesso la principale fonte mondiale di emissioni di carbonio e il principale investitore nell'energia rinnovabile.

·        l'UE ha sottolineato che lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali deve andare di pari passo con il rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati;

Si ricorda che in merito al 5G, la Commissione europea ha adottato, il 26 marzo 2019, una raccomandazione relativa a un approccio comune dell'UE ai rischi per la sicurezza delle reti 5G, che prevede in particolare: la valutazione da parte degli Stati membri dei rischi di cibersicurezza nelle reti 5G e l’adozione delle relative misure di sicurezza per attenuare i rischi di cibersicurezza relativi alle infrastrutture alla base dell'ecosistema digitale, in particolare delle reti 5G.

·        l'UE ha invitato la Cina ad assumersi una maggiore responsabilità nella risposta alle sfide globali tramite il sistema internazionale basato su regole, nella promozione della pace e della sicurezza internazionali e nell'adesione alle norme internazionali a sostegno dello sviluppo sostenibile, soprattutto in Africa;

·        relativamente alla pandemia di Covid-19, l'UE ha evidenziato che le due parti condividono la responsabilità di: partecipare agli sforzi globali per arrestare la diffusione del virus; incentivare la ricerca su trattamenti e vaccini; sostenere una ripresa globale verde e inclusiva; dar prova di solidarietà nell'affrontare le conseguenze nei paesi in via di sviluppo; partecipare al riesame indipendente degli insegnamenti appresi dalla risposta sanitaria internazionale alla Covid-19;

·        in merito a questioni regionali e internazionali, l'UE e la Cina hanno discusso della situazione in Afghanistan, nella penisola coreana e l'attuazione dell'accordo sul nucleare iraniano (PACG). L’UE ha inoltre espresso preoccupazione in merito alle iniziative prese dalla Cina per imporre a Hong Kong la legge sulla sicurezza nazionale, come pure in merito al deterioramento della situazione dei diritti umani, tra cui il trattamento delle minoranze nello Xinjiang e nel Tibet e dei difensori dei diritti umani, nonché riguardo alle restrizioni delle libertà fondamentali.

Allargamento dell’UE

Si ricorda che è attualmente bloccata in seno al Consiglio dell’UE - che deve deliberare all’unanimità - l’approvazione dei mandati per l’avvio dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord. I negoziati si sarebbero dovuti avviare nel corso del semestre di Presidenza tedesca dell’UE che si è concluso il 31 dicembre 2020.

In particolare, l’adozione del mandato negoziale con la Macedonia del Nord è bloccato a livello di Consiglio dell’UE per il veto espresso dalla Bulgaria, che condiziona il suo assenso al riconoscimento da parte della Macedonia del Nord di condizioni relative al retaggio storico e linguistico comune.

Vicinato meridionale

La Commissione europea e l’Alto rappresentante hanno presentato il 9 febbraio 2021 una comunicazione congiunta nella quale si propone di avviare una nuova Agenda per il Mediterraneo, accompagnata da un piano di investimenti economici.

La nuova Agenda per il Mediterraneo si incentra su 5 settori d'intervento:

·        sviluppo umano, buongoverno e Stato di diritto, in particolare rafforzando le capacità di preparazione e di risposta dei sistemi sanitari; sostenendo un rinnovato impegno a favore dei diritti umani, dello Stato di diritto, della democrazia e del buongoverno; aumentando la trasparenza, l’assunzione di responsabilità e rafforzando la fiducia nelle istituzioni; promuovendo l’emancipazione dei giovani, della società civile e la parità di genere; incoraggiando la ricerca, l’innovazione, la cultura e l’istruzione mediante una più stretta partecipazione ai programmi dell’UE;

·        resilienza, prosperità e transizione digitale, in particolare, ristabilendo la fiducia nel contesto imprenditoriale, incoraggiando la diversificazione economica, migliorando l’interconnettività, sostenendo la transizione digitale sia per il settore pubblico che per il settore privato, migliorando l’accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese e promuovendo l’emancipazione economica delle donne;

·        pace e sicurezza, fornendo sostegno ai paesi per affrontare le sfide in materia di sicurezza e trovare soluzioni ai conflitti in corso, riaffermare il ruolo dell’UE quale operatore di pace e di prevenzione e risoluzione dei conflitti ed intensificando la cooperazione in materia di sicurezza per contrastare meglio il terrorismo, le minacce cibernetiche e ibride e la criminalità organizzata;

·        migrazione e mobilità, intensificando la cooperazione sulla migrazione tramite partenariati globali, equilibrati, ritagliati sulle esigenze di ciascun paese; affrontando le cause profonde della migrazione irregolare e dello sfollamento forzato mediante la risoluzione dei conflitti e apportando alle sfide socioeconomiche una risposta mirata che offra sbocchi economici, specie ai giovani; facendo ricorso alle possibilità offerte dalla migrazione legale e dalla mobilità in funzione delle competenze dell’UE e degli Stati membri;

·        transizione verde, resilienza climatica, energia e ambiente, con l’obiettivo di proteggere le risorse naturali della regione e generare crescita verde sfruttando le potenzialità di un futuro a basse emissioni di carbonio e delle iniziative dell’UE a favore del green deal e della strategia europea per l’idrogeno, in particolare sostenendo i paesi nell’assolvimento degli impegni climatici assunti, promuovendo l’integrazione regionale dei mercati e delle reti dell’elettricità e la transizione energetica e garantendo la sicurezza energetica, incoraggiando l’uso efficiente delle risorse, la tutela della biodiversità e la transizione verso sistemi alimentari sostenibili.

Il piano di investimenti economici prevede 12 iniziative faro da realizzare a livello regionale, nazionale e locale.

Per l'attuazione dell'Agenda per il Mediterraneo si prevede uno stanziamento fino a 7 miliardi di euro, nell'ambito del nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale dell'UE (NDICI), per il periodo 2021-2027. A giudizio della Commissione tale importo potrebbe mobilitare fino a 30 miliardi di euro di investimenti privati e pubblici nella regione nei prossimi dieci anni.

 

Il Consiglio europeo del 25 e 26 febbraio 2020 ha discusso sul Vicinato meridionale. Nella dichiarazione approvata al termine della riunione il Consiglio europeo ha riaffermato le sue conclusioni del dicembre 2020 e invitato il Consiglio dell’UE ad occuparsi dell'attuazione della comunicazione congiunta della Commissione e Alto rappresentante.

Si ricorda che il Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020, nelle conclusioni, ha indicato che:

·        un vicinato meridionale democratico, più stabile, più verde e più prospero costituisce una priorità strategica per l'UE, che è determinata a rilanciare, rafforzare e sviluppare tale partenariato strategico basato su una geografia e una storia condivise;

·        occorrere combattere assieme la pandemia di COVID-19, rafforzando la resilienza delle rispettive economie e società, preservando la sicurezza collettiva, affrontando la sfida della mobilità e della migrazione e offrendo prospettive ai giovani su entrambe le sponde del Mediterraneo.

·        la nuova agenda per il Mediterraneo dovrà essere basata su priorità condivise e incentrata su risposte specifiche per il Mediterraneo e sulla stretta cooperazione in settori quali l'ambiente, la connettività, l'istruzione e la cultura nonché le risorse naturali. A tale riguardo è essenziale rafforzare il ruolo della società civile.

Il partenariato orientale

Il partenariato orientale ha l'obiettivo di rafforzare l'associazione politica e l'integrazione economica di sei paesi partner dell'Europa orientale e del Caucaso meridionale: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Repubblica di Moldova e Ucraina.

La Commissione europea ha presentato il 18 marzo 2020 una comunicazione relativa alla politica per il PO dopo il 2020 nella quale delinea i seguenti obiettivi strategici dell’UE per il partenariato orientale dopo il 2020:

·        economie resilienti, sostenibili e integrate;

L’UE propone di approfondire ulteriormente l'integrazione economica e di incrementare lo scambio commerciale (quasi raddoppiato nell'ultimo decennio), con l’obiettivo di promuovere la creazione di posti di lavoro ed opportunità economiche. L'UE sosterrà la piena attuazione delle zone di libero scambio globali e approfondite (DCFTA) con l'Ucraina, la Georgia e la Moldova e incoraggerà la cooperazione rafforzata con i paesi che non hanno DCFTA con l’UE attraverso accordi settoriali di facilitazione degli scambi.

·        istituzioni responsabili, Stato di diritto e sicurezza;

L'UE continuerà a collaborare con i governi dei paesi partner per rafforzare lo Stato di diritto e i meccanismi anticorruzione, nonché l'indipendenza, l'imparzialità e l'efficienza dei sistemi giudiziari e per potenziare la pubblica amministrazione. L'UE resta impegnata a promuovere e difendere i diritti umani nella regione, anche attraverso il suo sostegno alla società civile e ai media.

·        resilienza ambientale e ai cambiamenti climatici;

Nel progredire verso la neutralità climatica, l'UE promuoverà il rispetto dei contributi stabiliti a livello nazionale nel quadro dell'accordo di Parigi e la modernizzazione delle economie, riducendo le emissioni di carbonio.

·        trasformazione digitale;

L'UE investirà nella trasformazione digitale dei paesi partner e promuoverà la partecipazione nel mercato unico digitale, al fine di rendere possibile un più agevole accesso alle infrastrutture e ai servizi digitali, migliorare i servizi pubblici, estendere le infrastrutture a banda larga.

·        società eque e inclusive;

L’UE promuoverà la trasparenza della pubblica amministrazione, lo svolgimento di libere elezioni, la protezione dei diritti dei cittadini, la partecipazione della società civile, l'indipendenza dei media.

Gli obiettivi post 2020 dovrebbero essere approvati in occasione del prossimo vertice tra l’UE e i paesi del partenariato orientale che si dovrebbe svolgere a Bruxelles nella primavera del 2021.

La revisione strategica della PESCO

Lo scorso novembre il Consiglio UE ha approvato un documento per la revisione strategica della cooperazione rafforzata, per la sua seconda fase, che corrisponde al periodo dal 2021 al 2025.

Il processo di riflessione era avviato da tempo e aveva ricevuto uno stimolo decisivo, tra gli altri, dalla posizione comune dei c.d. "Pesco 4" (Italia, Germania, Francia e Spagna), espressa, nel giugno 2020, da una lettera congiunta dei quattro ministri della difesa.

Restano confermati gli impegni ambiziosi e vincolanti assunti dai 25 Stati UE (tutti tranne Danimarca e Malta) nel momento in cui hanno deciso di partecipare alla Pesco e cioè:

·        aumentare l'ammontare, ma anche la qualità delle spese per la difesa (privilegiando ad esempio gli investimenti);

·        riavvicinare gli strumenti militari nazionali;

·        rafforzare la disponibilità, interoperabilità, flessibilità e schierabilità delle forze;

·        colmare le lacune capacitive esistenti;

·        partecipare allo sviluppo di programmi comuni di equipaggiamento.

La revisione strategica ha l’obiettivo di superare i limiti mostrati dalla cooperazione nei suoi primi tre anni di attività, in particolare – viene sottolineato - "per quanto riguarda gli impegni operativi e quelli attinenti all’approccio collaborativo europeo”.

Occorrono dunque maggiori sforzi da parte degli Stati, che nel prossimo futuro dovrebbero essere facilitati da un lato, sul piano politico, dall'elaborazione del documento sullo Strategic Compass (su cui vedi la nota dedicata in questo dossier).

Per il futuro, il Consiglio propone in primo luogo un cambiamento di metodo: occorre individuare obiettivi misurabili nella realizzazione degli impegni assunti dagli Stati, fissando indicatori di progresso e incentivi di risultato, per attivare una sorta di “controllo reciproco” tra gli Stati. Per far questo, ci dovranno essere maggiori occasioni di confronto, su base regolare, per discutere sui progressi compiuti, anche a livello di Comitato politico e di sicurezza e di Coreper.

Sul versante finanziario, il Consiglio ritiene necessario valorizzare tutti i possibili strumenti di sostegno del bilancio UE ed esaminare incentivi finanziari compatibili con le norme UE e nazionali.

Per quanto riguarda gli aspetti industriali, si rinnova l’invito agli Stati ad utilizzare maggiormente gli strumenti cooperativi e a promuovere l’apertura nelle catene di approvvigionamento transfrontaliera, in particolare per le piccole e medie imprese.

Per le missioni militari (che sono il primo banco di prova delle effettive capacità operative comuni), il Consiglio sottolinea infine l’esigenza di migliorare il finanziamento, aumentando il contributo comune e gestendo a livello più politico il tema cruciale della “generazione della forza”, cioè dei contributi nazionali necessari all’avvio delle missioni.

L’obiettivo della seconda fase è di migliorare la qualità dei progetti, anche a costo di ridurne il numero.

Finora, tra novembre 2018 e novembre 2019, sono stati infatti già approvati 47 progetti (di cui uno già chiuso). Molti di questi – si rileva - sono rimasti però poco più che sulla carta e comunque non sembrano in grado di fornire un grande contributo a colmare le lacune capacitive UE.

Gli Stati si impegnano dunque a operare una razionalizzazione dei progetti già approvati, raggruppando quelli che hanno obiettivi simili e chiudendo quelli che non potranno raggiungere gli obiettivi previsti.

Per il futuro viene modificata la scansione temporale della presentazione dei bandi, che da annuale diventa biennale (anche se con possibili finestre intermedie).

La call per presentare nuovi progetti verrà aperta nel mese di luglio degli anni pari, con la scadenza ad ottobre (si prevede però anche un bando per il 2021, dato che è saltato quello del 2020).

I criteri di selezione sono rafforzati. Ad anni alterni il Piano nazionale di implementazione dovrà essere corredato da una "dichiarazione politica di alto livello", che, sotto diretta responsabilità dei vertici di governo, definisca i principali obiettivi raggiunti e le priorità nazionali di sviluppo.

Una possibile accelerazione dei progetti nei prossimi anni, oltre che da un più marcato impegno nazionale, potrà derivare, come detto, dall'entrata in funzione del Fondo europeo per la difesa (su cui vedi la nota dedicata in questo dossier) che prevede tassi di cofinanziamento più vantaggiosi per i progetti Pesco.

Il Consiglio ha anche individuato, tra quelli già approvati, una lista di 26 progetti che possono produrre risultati concreti entro il 2025. Tra questi il progetto sulle Squadre di reazione rapida di contrasto alle minacce cyber (con capofila Lituania); il Comando medico europeo (a guida tedesca, reso urgente dalla pandemia); la Mobilità militare (coordinato dai Paesi Bassi) e il progetto sulla Sorveglianza e protezione marittima dei porti, a guida italiana.

Dopo un lungo stallo, sono state anche finalmente decise le modalità per la partecipazione ai progetti Pesco da parte di Paesi terzi (a cominciare da Regno Unito e Usa). I Paesi che intendono partecipare devono rispettare determinate condizioni politiche, legali e progettuali: deve trattarsi di Paesi che condividano i valori e i principi dell’Unione e rispettino "il principio delle relazioni di buon vicinato con gli Stati Membri". Lo Stato terzo deve inoltre avere un accordo con l'UE sulla sicurezza delle informazioni.  L'apporto esterno deve fornire un "valore aggiunto sostanziale" al progetto ed avere un impatto positivo sulla base industriale e tecnologica della difesa europea. Non si possono creare "dipendenze" dallo Stato terzo. L'ingresso di uno Stato terzo (che comunque partecipa ad un singolo progetto e non alla cooperazione strutturata in quanto tale) deve essere approvata da tutti gli Stati UE che partecipano alla Pesco.

Il Fondo europeo per la difesa

Il nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’Unione 2021-2027 prevede l’istituzione di un Fondo europeo per la difesa, dotato di risorse complessive (per sette anni) di quasi 8 miliardi di euro, divisi tra finanziamenti alla ricerca (2.651 milioni) e allo sviluppo (5.302 milioni).

Il Fondo ha l’obiettivo di rafforzare l’industria europea di settore, favorendo le economie di scala e la standardizzazione dei sistemi di difesa, in modo da rendere “più efficiente” la spese degli Stati membri, e favorire una maggiore interoperabilità tra le diverse forze armate nazionali.

Il Fondo rappresenta la prosecuzione e la stabilizzazione di alcuni strumenti di sostegno già istituiti nell’ambito del bilancio precedente, in particolare l’Azione preparatoria sulla ricerca in materia di difesa (PADR) e il Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (EDID).

Il Fondo europeo copre tutto il ciclo produttivo dell'industria della difesa. I progetti finanziabili possono infatti riguardare:

·        attività per migliorare le tecnologie della difesa (comprese le cd. “tecnologie di rottura”);

·        interoperabilità e resilienza dei prodotti (compresa la protezione dei dati e degli approvvigionamenti);

·        studi di fattibilità;

·         progettazione e sviluppo;

·        collaudi, qualificazioni e certificazione;

·        tecnologie per rendere più efficiente il ciclo di vita dei prodotti.

Considerato il suo obiettivo (migliorare la cooperazione in ambito UE), i progetti sono finanziabili solo se coinvolgono, in un consorzio, almeno tre soggetti giuridici diversi (non controllati tra loro) di tre diversi Stati membri. In linea di principio i fondi sono riservati alle imprese stabilite all’interno del territorio UE o in un paese associato, che non siano controllate da un paese terzo o da soggetti di paesi terzi. La partecipazione di aziende stabilite nell'UE ma controllate da paesi o entità terze è però ammessa (eccezione fortemente sostenuta dall’Italia nel negoziato) a certe condizioni: che il loro contributo sia necessario per raggiungere gli obiettivi dell'azione e che tale partecipazione "non metta a rischio gli interessi di sicurezza dell'Unione e dei suoi Stati membri".

Le quote di co-finanziamento dei progetti sono differenziate a seconda delle attività che si propone di realizzare. Per le attività di ricerca il progetto può essere finanziato anche al 100%. Per le attività di test, certificazioni e collaudi, la quota di finanziamento può invece arrivare fino all'80% delle spese complessive. Per lo sviluppo di prototipi la quota non può eccedere il 20%, dei costi, con un incremento progressivo se il progetto è stato già approvato in sede PESCO o se coinvolge piccole e medie imprese. Una parte di fondi, almeno il 5% del totale, deve essere destinata a sostenere le cosiddette "tecnologie di rottura”.

I progetti che partecipano al Fondo dovranno essere fortemente sostenuti dai Paesi membri dal punto finanziario (per la quota non finanziata), ma anche in certi casi con un impegno formale ad acquistare il prodotto finale.

Su richiesta del Parlamento europeo è stata anche inserita una clausola di "valutazione etica" dei progetti da finanziare, in base alla quale, per esempio, sarebbero escluse dai finanziamenti le armi letali autonome (quelle che “non permettono un adeguato controllo umano sulle decisioni in materia di scelta e intervento nell’esecuzione di attacchi contro l’uomo”), con possibili eccezioni solo per i sistemi di allarme rapido e di contromisure a fini difensivi.

Il 22 febbraio 2021 la Commissione ha anche presentato un Piano d'azione per sostenere e sviluppare le convergenze tra l'industria civile, della difesa e dello spazio. L'obiettivo, hanno rilevato la Vice Presidente della Commissione, Vestager e il Commissario a industria e difesa, Breton, è quello di "creare nuove sinergie tra i programmi e gli strumenti UE per sviluppare il mercato delle tecnologie di rottura e per assicurare che le tecnologie dello spazio e della difesa possano trovare applicazioni civili, e viceversa", rafforzando così il vantaggio tecnologico dell'Europa e sostenere la sua base industriale. Il Piano d'azione coinvolge anche il Fondo europeo della difesa.

EUNAVFOR MED IRINI

L'operazione militare EUNAVFOR MED IRINI ("pace" in greco) è stata istituita dal Consiglio dell'UE il 31 marzo 2020, con un mandato iniziale della durata di un anno. All’operazione partecipano attualmente, con contributi di diversa natura, 24 Stati Membri (tutti tranne Danimarca, Spagna e Malta).

L’operazione ha il suo comando a Roma, presso l'aeroporto militare di Centocelle, ed è guidata dall'ammiraglio Fabio Agostini. Il comando delle forze in teatro è affidato, con alternanza semestrale, alla Grecia e all’Italia.

Il compito principale dell’operazione è contribuire all’attuazione dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU nei confronti della Libia. Per svolgere tale attività, IRINI impiega mezzi aerei, satellitari e marittimi e può svolgere ispezioni sulle imbarcazioni sospettate di trasportare armi o materiale connesso da e verso la Libia. In caso vengano trovati a bordo materiali illeciti, le imbarcazioni possono essere sequestrate e dirottate in un porto dell’UE, per svolgere le successive attività giudiziarie e di polizia (compresa l’eventuale distruzione delle armi).

I compiti secondari sono (in quest’ordine di importanza): il contrasto al contrabbando di petrolio; la formazione della guardia costiera e della marina libiche (che non è stata però ancora avviata, in mancanza di un accordo con il governo libico) e la lotta ai trafficanti di esseri umani (ma solo con la sorveglianza aerea).

L’operazione deve essere riconfermata dal Comitato politico e di sicurezza dell’UE (composto da rappresentanti nazionali) ogni 4 mesi, a meno che, sulla base di prove fondate raccolte conformemente ai criteri stabiliti nel piano operativo, non si valuti che lo schieramento navale stia producendo un effetto di attrazione dei flussi migratori (cosiddetto "pull factor"). In questo caso gli Stati possono decidere di interrompere le attività. L'operazione è stata già riconfermata per due volte. Ovviamente gli assetti navali di IRINI, in virtù delle norme internazionali del mare, hanno comunque l’obbligo di condurre le operazioni di salvataggio che si rendessero necessarie nelle zone in cui operano. Questa evenienza non si è però per ora mai verificata.

Con l’avvicinarsi della data di scadenza del mandato (prevista al 31 marzo 2021), è iniziato il processo per la sua revisione strategica. Non si tratterebbe di rinnovare semplicemente l’operazione (presumibilmente per due anni), ma piuttosto di ripensare (ampliandolo) il suo mandato, nel quadro di un maggior coinvolgimento dell’UE nel processo di Berlino e nel sostegno al dialogo politico tra le parti. Oltre ad alcune misure di rafforzamento dell’operazione, il confronto tra gli Stati coinvolge diverse questioni di grande rilievo politico: la ripresa delle attività di formazione di guardia costiera e marina libiche (finora impedita dal mancato accordo con le autorità locali) e il rapporto tra le attività di Irini e il sistema sanzionatorio dell’UE. Sullo sfondo, poi, c’è la possibilità che IRINI possa acquisire un ruolo significativo, in modi e a condizioni tutte da verificare, nel controllo del cessate il fuoco tra le parti libiche raggiunto il 23 ottobre 2020.

Nel corso dell’audizione presso le Commissioni affari esteri e difesa di Camera e Senato, svoltasi in video conferenza il 28 gennaio 2021, l’ammiraglio Fabio Agostini a capo dell’operazione IRINI ha indicato le seguenti questioni da risolvere per una maggiore efficacia dell’operazione:

·        il numero degli attuali assetti (navali e aerei) è decisamente insufficiente per svolgere i compiti assegnati all’operazione;

·        occorre superare lo stallo politico con il Governo di unità nazionale libico (GNA) al fine di avviare le attività di formazione della guardia costiera e della marina libiche;

·        è necessario definire moduli di cooperazione con la NATO e gli USA;

·        occorre individuare altri porti (oltre quello di Marsiglia), per il dirottamento delle navi intercettate in mare in violazione dell'embargo di armi alla Libia, possibilmente più vicini all’area delle operazioni;

·        è necessaria una comunicazione strategica a livello europeo e negli Stati membri che sostenga l’operazione IRINI in contrapposizione a “narrative” ostili;

·        occorre un maggiore approccio integrato dei profili militari e civili coinvolti nell’operazione volto a coordinare i vari contributi dell’UE e degli Stati membri messi in campo a supporto delle istituzioni libiche.

 


 


 

Focus sulla situazione in Libia[1] (a cura del Servizio Affari internazionali del Senato)

In attuazione dell'Accordo politico libico, mediato dall'ONU, concluso a Skhirat il 17 dicembre 2015[2] si era formato il Governo di Accordo Nazionale (GNA), internazionalmente riconosciuto e guidato dal Presidente Fayez al-Sarraj.

Fin dall'insediamento a Tripoli il 30 marzo 2016 del GNA, il Generale Haftar a Est ha perseguito il logoramento della leadership di al-Sarraj per realizzare opzioni alternative all’assetto istituzionale configurato nell’Accordo di Skhirat.

 

Il 1° aprile 2019, alla vigilia della convocazione della Conferenza nazionale libica, il generale Haftar ha intrapreso un'offensiva militare contro Tripoli, segnata da iniziali successi e giunta fino alle porte della capitale.

Tuttavia a partire da marzo 2020 le sorti del conflitto si sono capovolte a favore del GNA e di al-Serraj, grazie all'aiuto militare della Turchia.

A fine aprile 2020 la figura di Aghila Saleh, Presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk - vicina al generale Haftar - sembrava emergere come quella destinata, secondo alcuni osservatori, a sostituire in Cirenaica Haftar nei favori dei suoi sponsor internazionali (Egitto, Emirati, Russia).

Sul piano militare, a decretare la fine dell’assedio su Tripoli è stata a inizio giugno 2020 la riconquista da parte delle truppe di al-Sarraj della città di Tarhouna, centro strategico della Tripolitania in cui Haftar aveva spostato il comando centrale delle sue milizie e da dove Egitto, Emirati Arabi e Russia guidavano il loro supporto logistico.

Respinte da Tripoli, le forze fedeli ad Haftar si sono reinsediate alla periferia di Sirte, nei pressi della Mezzaluna petrolifera e della base aera di al-Jufra, dove si è rivolta la controffensiva del GNA.

Alla fine dell'azione militare turca, Haftar è apparso più disponibile a trattare mentre il GNA forte dei suoi successi militari si è attestato su posizioni più oltranziste. Le forze di Haftar, peraltro, godono del sostegno egiziano ed emiratino e dei mercenari del gruppo russo Wagner, a conferma che il conflitto libico è sempre più giocato o condizionato da attori esterni.

Grande indignazione ha poi suscitato nella Comunità internazionale la scoperta a partire da giugno 2020 di fosse comuni a Tarhouna[3]. Il 23 giugno il Consiglio Diritti Umani dell'ONU ha istituito al riguardo una fact finding mission.

Una ripresa dell'iniziativa a sostegno del processo politico a guida ONU si era avuta il 19 gennaio 2020 con la Conferenza di Berlino sulla Libia, alla presenza dei paesi più influenti sul dossier libico, oltre che di al -Sarraj e Haftar, i quali tuttavia non hanno avuto colloqui diretti ma solo proximity talks. La Conferenza di Berlino ha concordato una roadmap che prevede il raggiungimento del cessate il fuoco ma anche l'embargo delle armi; poi la riattivazione del processo politico e le riforme. Tra i meccanismi attuativi è previsto un Comitato militare congiunto 5+5 (5 rappresentanti nominati da Al-Serraj e 5 da Haftar). La Conferenza di Berlino ha anche ravvisato la necessità di far avanzare contemporaneamente 3 track: quello economico, il track militare e il track politico; è altresì previsto che i 3 percorsi negoziali si svolgano a livello di parti libiche[4].

Dopo la Conferenza di Berlino, di fronte alle difficoltà di trasformare in un cessate il fuoco duraturo la tregua raggiunta ai primi di gennaio 2020 grazie alla mediazione di Turchia e Russia e più in generale di fronte alle difficoltà delle Nazioni Unite di ottenere un vero ritorno dei contendenti al tavolo negoziale, l'Inviato Speciale Ghassan Salamé a marzo 2020 ha annunciato le proprie dimissioni.

In un quadro di crescenti ingerenze esterne, da fine giugno 2020 inoltre gli Stati Uniti hanno iniziato a mostrare un rinnovato interesse al dossier libico, preoccupati anche dal rischio di veder consolidare la presenza russa nel quadrante meridionale del Mediterraneo. Ad agosto 2020 due distinte dichiarazioni di tregua sono state emesse da Sarraj e Saleh ed entrambe facevano perno sulla demilitarizzazione della zona attorno a Sirte e sulla necessità di riprendere l'esportazione di petrolio.

Anche dal fronte interno libico, caratterizzato da proteste su scala nazionale, nasceva una pressione a rivitalizzare il processo politico a guida ONU e così a settembre 2020 si registrava la ripresa dei colloqui tra le delegazioni prima in Marocco e poi in Svizzera. Il 16 settembre al-Sarraj in un intervento televisivo annunciava la sua intenzione di dimettersi entro la fine di ottobre per consegnare il potere ad un governo di unità nazionale; tuttavia, su richiesta del Consiglio di Stato e di alcuni membri della Camera dei Rappresentanti, il 30 ottobre al- Sarraj ha acconsentito a rimanere in carica fino al raggiungimento di un accordo per una transizione ordinata alla nuova autorità esecutiva.

Il 23 ottobre 2020 un accordo di cessate il fuoco è stato firmato dal Comitato militare congiunto 5+5. Tale accordo, oltre a stabilire la linea del cessate il fuoco tra Sirte e Jufra, prevedeva che entro il 23 gennaio 2021 si sarebbe dovuto realizzare il ritiro di tutte le unità militari dalle linee di scontro e il ritorno nelle caserme, nonché l'abbandono da parte di foreign fighters e mercenari di tutti gli spazi sovrani libici di terra, mare, aria.

Passando dal piano militare alla cornice politica, dal 9 al 15 novembre 2020 UNSMIL con il sostegno di UNDP è riuscita a convocare a Tunisi il primo incontro in presenza dei 75 delegati provenienti da tutto il Paese del Libyan poltical Dialogue Forum (LPDF)[5]. Il LPDF il 15 novembre 2020 ha approvato una political roadmap che prevede lo svolgimento di elezioni politiche e presidenziali entro il 24 dicembre 2021; prevede inoltre un'autorità esecutiva unificata ad interim - che consiste di un Consiglio presidenziale di 3 membri, una distinta carica di primo ministro e due vice primi ministri - che guiderà il governo di unità nazionale fino alle elezioni. Le candidature alle cariche apicali sarebbero state poi votate a Ginevra dall'1 al 5 febbraio (vedi infra), in diretta web dal sito delle Nazioni Unite.

Frattanto, il 18 gennaio 2021 l'ONU ha finalmente annunciato la nomina del diplomatico slovacco Jan Kubic come nuovo Inviato speciale e guida del processo negoziale.

Un tema molto discusso ultimamente è quello di una presenza straniera ufficiale che monitori il cessate-il-fuoco. A tal fine è emerso un dibattito a livello politico su un maggiore coinvolgimento dell'UE che contempla anche l'ampliamento del mandato della missione EUNAVFORMED IRINI.

Per quanto riguarda le cariche apicali per il governo ad interim, a Ginevra, il 5 febbraio 2021, i veti incrociati hanno prevalso sul binomio dei due uomini forti, Aguila Saleh per l'est e Fathi Basghaha per l'ovest, su cui la comunità internazionale aveva chiaramente puntato. Nei giorni precedenti si erano ritirati anche l'attuale vice premier del governo di Tripoli, Ahmed Maitig, il ministro della Difesa Salahuddin Al- Namroush ed il presidente dell'Alto consiglio di Stato di Tripoli, Khaled al Mishri, tutte figure forti che hanno deciso di fare un passo indietro.

Al voto di Ginevra si è così imposta la lista con Mohammad Younes Menfi, diplomatico di lungo corso, come candidato alla presidenza del Consiglio presidenziale e con Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, facoltoso imprenditore di Misurata formatosi in Canada, per la carica di premier. Le nomine devono essere approvate dal Parlamento di Tobruk presieduto da Saleh entro il 26 febbraio 2021. Qualora il Parlamento non riuscisse ad esprimere il quorum per una votazione valida, sarà il LPDF a pronunciarsi.

Francia, Regno Unito e Stati Uniti (3 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza) più Italia e Germania il 5 febbraio hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui accolgono con favore l'accordo raggiunto dal LPDF per dar vita ad un governo ad interim.

Tuttavia la tensione in questa fase di transizione politica resta alta e porta le milizie a schierarsi a favore di un referente o di un altro. Così il 21 febbraio, secondo prime notizie di stampa, si sarebbe verificato a Tripoli un attentato sventato ai danni del ministro dell'Interno Bashaga da parte di esponenti dell'Autorità per il supporto alla stabilità ovvero il cartello delle milizie più fedeli ad al-Sarraj. Il premier del GNA, nell'intento di depotenziare Bashaga, aveva di recente istituito un nuovo apparato di sicurezza che dipendesse direttamente da se stesso e quindi sottratto alla catena di comando sia del Ministero dell'Interno sia di quello della Difesa, cioè i dicasteri che finora avevano il controllo delle milizie.

Sul piano militare, va detto che alla data del 23 gennaio scorso, prevista dall'accordo di cessate il fuoco, non si è realizzato il ritiro di tutti i combattenti libici dalle linee di scontro e il loro ritorno nelle proprie caserme, né l'abbandono da parte di foreign fighters e mercenari di tutti gli spazi sovrani libici di terra, mare, aria, né la sospensione di tutte le attività di addestramento con istruttori stranieri.

Anzi, risulta che i mercenari russi della Wagner hanno costruito una trincea lunga circa 70 km tra Sirte e Jufra, in uno scenario di intensificazione della presenza di truppe e del consolidamento di basi nei due opposti campi.


 


 

Focus sulla situazione nel Mediterraneo orientale (a cura del Servizio Studi della Camera)

Nell’ultimo decennio, il Mediterraneo è diventato un epicentro globale di interessi geopolitici e geoeconomici. Una rilevanza accresciuta in virtù delle profonde trasformazioni che lo hanno attraversato e che continuano a manifestarsi sotto forme sempre fluide e mutevoli.

I conflitti regionali in Libia e in Siria, le tensioni mai sopite tra Turchia, Grecia e Cipro, le rivendicazioni degli Stati rivieraschi sulle risorse offshore di gas naturale, le controversie in merito ai confini marittimi contestati nel Mar del Levante, nonché le politiche competitive delle potenze intra- ed extra-regionali rappresentano solo alcuni dei principali driver di instabilità nel Mediterraneo centrale e orientale.

A questi fattori di crisi bisogna aggiungere, infine, gli effetti socio-economici, e durevoli nel tempo, prodotti dalla pandemia da Covid-19 e dal conseguente crollo dei prezzi energetici su scala globale. Di fatto, il contesto operativo mediterraneo si mostra colmo di elementi di conflittualità, nel quale si scorgono chiaramente diverse sfide e opportunità.

Non a caso, si registra nel Mediterraneo un forte attivismo di attori del calibro di Egitto, Turchia, Israele, Francia, Grecia, Cipro, Russia, Emirati Arabi Uniti e Qatar, mossi dal desiderio di soddisfare sia i rispettivi interessi economici nel Mediterraneo orientale sia le proprie importanti ambizioni geopolitiche mirate a rinsaldare, e possibilmente ampliare, lo status regionale e internazionale.

Il nodo dei confini marittimi

Una delle cause principali di questa escalation risiede nella irrisolta questione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale. Tale dimensione investe in particolar modo Grecia e Turchia alle prese sia con le dispute relative allo status giuridico delle isole nell’Egeo – che trovano le proprie rispondenze nel Trattato di Losanna (1923) – sia con l’annosa crisi cipriota, congelata e confinata a una dimensione sub-regionale tra questi attori e l’Unione europea (UE).

Alla base di queste tensioni vi è il non riconoscimento (come nel caso turco) della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS – anche nota come convenzione di Montego Bay del 1982), che definisce non solo la cornice giuridico- internazionale nella quale si inscrivono le rivendicazioni di Turchia e Grecia, ma ne codifica tutte le attività collegate, come lo sfruttamento delle risorse marine e sottomarine da parte di attori statali o privati, nazionali e stranieri. Infatti, la gran parte di queste tensioni ricadono in questa cornice e in particolar modo nella fattispecie non ancora regolata relativa alle zone economiche esclusive (ZEE).

Nel novembre del 2019 Ankara ha firmato con il Governo di Accordo Nazionale di Tripoli (GNA), guidato da Fayez al-Sarraj, un’intesa bilaterale che fissava una delimitazione precisa tra le ZEE di queste due realtà, in una porzione di mare che poneva in diretta sovrapposizione le acque libiche e turche con quelle greche e in minima parte egiziane. Questo accordo è stato ritenuto illegale dagli Stati rivieraschi e dalla Comunità internazionale perché contrario al diritto del mare.

Tuttavia, l’intesa ha indirettamente favorito l’avvio di una serie di iniziative nazionali simili a quella turco-libica, tanto da portare Atene a firmare un’intesa con Roma (giugno 2020) e con Il Cairo (agosto 2020).

A ciò, infine, va aggiunto il fattore relativo alla piattaforma continentale. Secondo Ankara, a causa della stretta vicinanza di un certo numero di isole greche alla costa turca, queste non dovrebbero rientrare nella casistica della Convenzione UNCLOS.

La motivazione addotta è data dalla estrema vicinanza geografica delle isole greche alla costa turca, che impediscono ad Ankara di usufruire di opportunità uguali a quelle dei Paesi limitrofi nello sfruttamento delle risorse derivanti dal mare e in particolar modo dei possibili introiti economici dei giacimenti sottomarini.

Altro dettaglio non irrilevante è dato dalla contiguità della ZEE greca con quella cipriota: tale fattore assume una grande importanza strategica nell’eventualità in cui Atene e/o Nicosia decidessero di realizzare gasdotti che potrebbero bypassare la Turchia, favorendo invece un approvvigionamento energetico diretto con gli altri Paesi rivieraschi e UE. Non a caso, la scelta di Turchia e Grecia di concordare alcune ZEE in maniera bilaterale e soltanto con alcuni degli Stati dell’area ha contribuito ad accrescere le rivendicazioni sulle acque continentali contese. Un aspetto controverso ma necessario per impedire azioni unilaterali e costringere le parti a ricorrere ad un negoziato diretto con ognuno o buona parte degli Stati rivieraschi.

La variabile energetica e l’East Mediterranean Gas Forum 

Direttamente connessa al primo elemento è la variabile energetica, che sta contribuendo a rilanciare il fattore competitivo intra ed extra mediterraneo. Le prime scoperte sono avvenute nel 2009, quando la compagnia texana Noble Energy e quella israeliana Delek scoprirono il giacimento di gas naturale Leviathan (450 bcm), a circa 130 chilometri al largo della città israeliana di Haifa, dando il là a nuove esplorazioni che portarono di lì a poco al rinvenimento di Tamar (circa 318 bcm), Dalit (55 bcm), Karish e Tanin (rispettivamente circa 8 e 55 bcm). Nel 2011, fu la volta dell’importante rinvenimento nelle acque cipriote di Afrodite (circa 129 bcm); nel 2015, fu scoperto, grazie a ENI, nell’offshore egiziano il pozzo Zohr (circa 850 bcm).

Infine, nel 2018, ENI e Total hanno scoperto il giacimento Calypso al largo delle coste cipriote (con un potenziale di 170-230 bcm), mentre, all’inizio del 2019, sono stati rinvenuti Glaucus (con una stima di 142-227 bcm), nell’offshore di Cipro, e Noor (del quale non vi sono dati ufficiali ma si stima siano tre volte il volume di Zohr), in quello egiziano. Scoperte fondamentali che hanno favorito una vera e propria corsa alle esplorazioni – soprattutto da parte della Turchia – in tutto il Mediterraneo centrale e orientale.

L’aspetto più interessante di queste scoperte energetiche consiste, però, nell’individuazione dei blocchi gasiferi in uno spazio geografico marino ben delimitato (un’area di 100-150 km2), all’incrocio tra le acque territoriali egiziane, cipriote e israeliane. Non a caso, le riserve di gas scoperte si trovano in percentuale tra il 41-43% nelle acque egiziane, tra il 40-41% in quelle israeliane, tra il 16-17% in quelle cipriote. Tali scoperte hanno consentito a Cipro, Israele ed Egitto di coprire adeguatamente il loro fabbisogno interno, indirizzando al contempo una parte considerevole verso l’export, tanto da divenire esportatori netti di gas.

A complicare, infine, il contesto nel Mediterraneo orientale vi sono una serie di fattori geopolitici legati alla postura assertiva adottata in politica estera da quasi tutti gli attori coinvolti. Tra questi spiccano in particolar modo Turchia e Russia, che giocano un ruolo più evidente in virtù della sovraesposizione diplomatica, militare ed economica a cui sono sottoposti nei diversi scenari di crisi in cui sono direttamente coinvolti: Libia, Mediterraneo centrale e orientale, Siria, Caucaso meridionale, Mar Rosso.

Dal punto di vista strategico e geopolitico, la corsa alle esplorazioni e allo sfruttamento delle risorse gasiere ha posto due sfide molto rilevanti. In primo luogo, il rischio maggiore è di veder riaffiorare vecchie questioni mai risolte (come il dossier cipriota) o di aprire scenari di tensioni nuove in dinamiche apparentemente congelate (come le contestazioni marittime da parte turca e libanese nelle acque cipriote e libanesi), alimentando, al contempo, relazioni tese tra alcuni Paesi della sub-regione.

In secondo luogo, data la natura peculiare della risorsa gas e del sistema economico globale degli idrocarburi, i vari attori mediterranei si trovano di fronte a nuove sfide e opportunità di cooperazione internazionale riguardante l’intero processo di estrazione, stoccaggio, trasporto e rivendita della materia prima.

In questa prospettiva di cooperazione regionale s’inseriscono gli accordi sinergici tra alcuni Paesi rivieraschi (come quello tra Israele-Egitto del 2018 e quello tra Israele-Grecia-Cipro del 2020), e soprattutto l’East Mediterranean Gas Forum (EMGF), ossia l’organizzazione internazionale con sede a Il Cairo, rappresentante i produttori di gas naturale del Mediterraneo orientale al quale ha aderito anche il nostro Paese. Questi strumenti sono potenzialmente utili a migliorare le relazioni tra Stati e a coordinare possibili convergenze politiche, perlomeno, a livello sub-regionale.

In altre parole, meccanismi e strumenti ad hoc volti a unificare con una chiave pacifica l’intera area centrale e orientale del Mediterraneo. Quel che emerge, però, in maniera palese da queste iniziative è l’esclusione della Turchia, reputata non solo come un competitor da avversare ma come una minaccia alla stabilità del Mediterraneo.

Altresì, pare evidente che un’esclusione turca dalle iniziative sub-regionali in corso riduca di molto lo stesso spessore e potenziale dell’EMGF. Non a caso, l’attuale conformazione della piattaforma di cooperazione del Mediterraneo orientale, fortemente sostenuta da Egitto e Israele, mira a ridurre l’importanza del gasdotto trans-anatolico (TANAP) e di Turkish Stream, oltre a marginalizzare Ankara dai progetti di investimento per lo sfruttamento del gas nel Levante.

Allo stesso tempo, nel corso della seconda metà del 2020, l’EMGF ha lavorato con Francia, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti per creare un hub geoeconomico e geopolitico che escludesse la Turchia dalle dinamiche di area, rafforzando una visione antiturco-centrica che ha inasprito le tensioni nel quadro operativo mediterraneo.

Da questo scenario complesso emergono in maniera alquanto plastica due chiari percorsi di confronto: da un lato il triangolo Turchia-Cipro-Grecia, dall’altro l’attivismo conflittuale tra Turchia, Egitto e Israele. Una competizione multidimensionale che coinvolge contemporaneamente anche diversi attori internazionali (in primis EAU e Francia) in una partita geopolitica e strategica ampia.

Altresì, gli Stati Uniti, meno coinvolti che in passato nell’area, hanno un chiaro interesse nell’evitare il disordine nel Mediterraneo orientale e nell’impedire escalation fuori controllo tra Atene e Ankara. Infatti, in un’ottica statunitense di disengagement dall’area, l’intreccio di interessi sovrapposti potrebbe favorire lo sviluppo di una dinamica multilaterale con gli attori mediterranei e mediorientali per dar vita ad un sistema di sicurezza regionale parallelo alla NATO.

In buona sostanza, si darebbe vita ad uno spazio mediterraneo collegato con l’Asia occidentale e l’Africa orientale, nel quale i player regionali si troverebbero delegati gran parte delle responsabilità di gestione e sicurezza da parte di Washington. In questo senso, l’EMGF potrebbe fungere non solo da strumento di cooperazione energetica, economica e commerciale, ma anche da soggetto propriamente politico che, in collaborazione con l’UE e, in particolar modo, con la NATO, possa portare alla nascita di un ampio sistema di sicurezza regionalizzato mediterraneo-mediorientale.

Questo sviluppo potrebbe favorire l’istituzione di un’architettura politica, economica, e di sicurezza ben definita per proteggere sia gli interessi degli Stati Uniti, senza coinvolgerli direttamente nell’area, sia dei partner europei e mediorientali contro la crescente influenza di altre potenze nella regione (soprattutto gli attori internazionali come Cina e Russia).  

 

 


 


 

Sessione III - Relazioni UE-Africa

Il quadro della cooperazione tra l’UE e l’Africa

Le relazioni tra l’UE e l’Africa negli ultimi anni si stanno focalizzando attorno a 4 profili/aree principali:

·        la gestione dei flussi migratori in provenienza dalle regioni subsahariane e da alcuni paesi dell’Africa settentrionale (in particolare Libia e Tunisia), la cui stabilizzazione costituisce una priorità per l’Europa, anche sotto il profilo della sicurezza;

·        la stabilizzazione della regione del Corno d’Africa che ha una collocazione geo-strategicamente fondamentale per i commerci internazionali che vanno dall’Asia all’Europa, attraverso i passaggi obbligati dello Stretto di Bab al Mandeb nel Mar Arabico, il Mar Rosso e il Canale di Suez dai quali passa quasi tutto il commercio marittimo europeo con l’Asia, per un interscambio annuale che alcune stime quantificano in circa 700 miliardi di dollari;

·        lo sviluppo di un partenariato politico con i paesi della regione del Sahel, caratterizzata da una crescente espansione della minaccia terroristica, della violenza estremista e della criminalità organizzata, compresa la tratta degli esseri umani, e dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla desertificazione con effetti negativi sulle risorse naturali e sui conflitti locali;

·        il riequilibrio della presenza economica dell’Europa rispetto alla crescente presenza della Cina in termini di investimenti, assistenza finanziaria, accesso privilegiato alle materie prime, politiche infrastrutturali e sviluppo di relazioni commerciali.

La cornice della cooperazione tra i paesi africani e l'UE è costituita dall'accordo di Cotonou e dalla strategia comune Africa-UE, e per i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo, della politica europea per il vicinato meridionale.

L’accordo di Cotonou e il nuovo accordo di partenariato con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)

L'accordo di Cotonou, firmato il 23 giugno del 2000 per una durata di 20 anni, è il quadro generale per le relazioni dell'UE con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), e segnatamente con 79 paesi, inclusi 48 paesi dell'Africa subsahariana.

L’accordo di Cotonou è attualmente in fase di rinegoziazione e un accordo politico tra le parti per un nuovo accordo di partenariato è stato annunciato il 3 dicembre 2020.

Si ricorda che in attesa della conclusione dei negoziati del nuovo accordo, la validità dell’accordo attuale, che sarebbe dovuta scadere il 29 febbraio 2020, è stata estesa al più tardi al 30 novembre 2021 o sino a quando non sarà entrato in vigore il nuovo accordo.

Il nuovo accordo - il cui testo non ancora pubblicato è in una fase di finalizzazione giuridica prima di poter essere firmato - avrà una durata di 20 anni e contiene disposizioni nei seguenti settori:

·        diritti umani, democrazia e governance;

·        pace e sicurezza;

·        sviluppo umano e sociale;

·        sostenibilità ambientale e cambiamenti climatici;

·        crescita e sviluppo economici inclusivi e sostenibili;

·        migrazione e mobilità.

Il nuovo accordo pone una particolare enfasi sulla transizione verde e la gestione delle migrazioni, rispetto ai temi commerciali. In particolare, l’accordo prevede di rafforzare le disposizioni in tema di accordi sui rimpatri, prevedendo il riferimento ad accordi internazionali quali i patti globali delle Nazioni Unite sulla migrazione e sui rifugiati e un meccanismo per il mancato rispetto delle disposizioni in materia di rimpatrio e riammissione.

Il nuovo accordo di partenariato prevede, inoltre, tre protocolli regionali specifici orientati all'azione (Africa, Caraibi e Pacifico), incentrati sulle esigenze di ciascuna regione.

Il protocollo regionale per l’Africa, prevede, in particolare, le seguenti priorità:

·        crescita e sviluppo economici inclusivi e sostenibili, con attenzione al miglioramento, al capitale umano e alle competenze, al clima degli investimenti, alla proprietà intellettuale, all'economia blu e alle industrie estrattive e di trasformazione;

·        sviluppo umano e sociale, con una enfasi particolare sull'affrontare le disuguaglianze e la coesione sociale, e sottolineando la necessità di un lavoro dignitoso. Tra le priorità figurano anche la promozione dei diritti delle donne e dei bambini, i valori e la conoscenza culturali e l'assistenza alle persone con disabilità;

·        ambiente e gestione delle risorse naturali, concentrandosi su una migliore gestione del territorio, conservazione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, una migliore governance degli oceani e un'enfasi sull'economia circolare;

·        pace e sicurezza, attraverso una cooperazione regionale e multilaterale per la risoluzione pacifica dei conflitti e la lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo, all'estremismo violento e alla crescente minaccia della criminalità informatica;

·        diritti umani, democrazia e governance, in particolare parità di genere, Stato di diritto, giustizia e governance finanziaria;

·        migrazione e mobilità attraverso la promozione di un approccio equilibrato, completo e coerente che tenga conto della migrazione legale e della mobilità, della diaspora e delle rimesse, ma anche della necessità di affrontare la migrazione irregolare, il traffico di migranti e la tratta di esseri umani in linea con il diritto internazionale.

Il finanziamento delle azioni previste dall’Accordo di Cotonou è stato garantito dal Fondo europeo di sviluppo (FES), fondo collocato fuori dal bilancio dell’UE. A partire dal periodo di programmazione finanziaria dell’UE 2021-2027 è stato deciso di includere le risorse del FES a favore dei paesi ACP, nel Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, nell’ambito del nuovo strumento per il vicinato, lo sviluppo e la cooperazione internazionale (NDICI) (v. infra paragrafo assistenza finanziaria).

La nuova strategia dell’UE con l’Africa

La Commissione europea e l'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato il 9 marzo 2020 una comunicazione congiunta sulla nuova strategia con l'Africa, nella quale si propone una piattaforma sulla quale strutturare le future relazioni tra l’UE e l’Africa, in vista delle discussioni con i paesi partner africani e dell’approvazione di una nuova strategia comune, volta a sostituire quella del 2007, in occasione del vertice Unione europea – Unione africana che si sarebbe dovuto svolgere ad ottobre 2020 e che è stato rimandato al 2021 a causa della pandemia di Covid-19.

Fino ad ora la cornice della cooperazione tre UE e Africa è stata governata dalla strategia comune Africa-UE, adottata nel 2007, che è stata attuata attraverso piani d'azione periodici. Nel 2014 l'UE e i paesi africani hanno convenuto la tabella di marcia per il periodo 2014-2017, che fissava le seguenti cinque priorità: Pace e sicurezza; Democrazia, buon governo e diritti umani; Sviluppo umano; Sviluppo e crescita sostenibili e inclusivi e integrazione continentale; Problemi globali ed emergenti.

La Commissione europea propone di sviluppare il partenariato dell’UE con l’Africa in cinque settori chiave:

·        transizione verde ed accesso all’energia;

·        trasformazione digitale;

·        crescita e occupazione sostenibili;

·        migrazione e mobilità.

·        pace e governance.

Sulla base delle sopracitate priorità la Commissione europea propone che l'UE si associ con l'Africa nell'ambito delle 10 azioni seguenti:

1.      massimizzare i vantaggi della transizione verde e ridurre al minimo le minacce per l'ambiente nel pieno rispetto dell'accordo di Parigi;

2.      promuovere la trasformazione digitale del continente africano;

3.      aumentare in modo sostanziale investimenti sostenibili sotto il profilo ambientale, sociale e finanziario, resilienti alle conseguenze del cambiamento climatico; promuovere le opportunità di investimento intensificando il ricorso a meccanismi di finanziamento innovativi e stimolare l'integrazione economica regionale e continentale, in particolare attraverso l'accordo continentale di libero scambio con l'Africa;

Con un volume di investimenti esteri diretti pari a 222 miliardi di euro (dati al 2017), l'UE rappresenta il principale investitore in Africa, superando di gran lunga gli Stati Uniti (42 miliardi di euro) e la Cina (38 miliardi di euro). L’UE ha previsto un finanziamento di 60 milioni di euro per il periodo 2018-2020 a sostegno dell'Accordo continentale di libero scambio per l'Africa, entrato in vigore nel maggio 2019, che ha l'obiettivo ultimo della creazione di un mercato unico continentale.

4.      attirare gli investitori aiutando gli Stati africani ad adottare politiche e riforme normative capaci di migliorare il contesto imprenditoriale e il clima degli investimenti, comprese condizioni di parità per le imprese;

5.      migliorare l'apprendimento, le conoscenze e le competenze, le capacità di ricerca e innovazione, in particolare per le donne e i giovani, tutelare e migliorare i diritti sociali ed eliminare il lavoro minorile;

6.      adeguare e approfondire il sostegno dell'UE alle iniziative di pace attuate dall'Africa attraverso una forma di cooperazione più strutturata e strategica, con particolare attenzione alle regioni caratterizzate da maggiori vulnerabilità;

7.      integrare la buona governance, la democrazia, i diritti umani, lo Stato di diritto e la parità di genere negli interventi e nella cooperazione;

8.      garantire la resilienza collegando gli interventi in ambito umanitario e in materia di sviluppo, pace e sicurezza in tutte le fasi del ciclo dei conflitti e delle crisi;

9.      garantire partenariati equilibrati, coerenti e globali in materia di migrazione e mobilità;

La Commissione europea indica che la cooperazione in materia di rimpatri e riammissioni e i tassi di rimpatrio effettivi dovrebbero essere migliorati. Parallelamente andrebbe rafforzata la cooperazione in materia di migrazione legale che potrebbe produrre vantaggi reciproci.

10. rafforzare l'ordine internazionale basato su regole e il sistema multilaterale, con al centro le Nazioni Unite.

Le conclusioni del Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre 2020

Il Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre 2020 ha adottato delle conclusioni sull’Africa nelle quali in particolare si indica che l’UE:

·        attribuisce un'elevata priorità al consolidamento delle relazioni strategiche con l'Africa e al partenariato con l'Unione africana;

·        è impegnato a rafforzare il sostegno dell'UE ai sistemi sanitari nonché le capacità di preparazione e di risposta dei partner africani, nel contesto della lotta contro la pandemia di COVID-19;

·        è impegnata a portare avanti in modo coordinato, nell'ambito dei pertinenti quadri multilaterali, gli sforzi internazionali per l'alleviamento del debito dei paesi africani;

Il Consiglio dell’UE nelle conclusioni sull’Africa del 30 giugno 2020 ha sottolineato l’importanza della sospensione del servizio del debito dei paesi africani, promossa dal G7, dal G20 e dal Club di Parigi e ribadito l’invito a coordinare gli sforzi internazionali per l'alleviamento del debito. Si ricorda che il 15 aprile 2020 il G20, alla luce dell’impatto della pandemia di COVID 19 nel continente africano, ha deciso una moratoria del debito in scadenza nel 2020 per 73 paesi più poveri, con la possibilità di ripagarlo nel 2022-2024, e che la Commissione europea e l’Alto rappresentante si sono espressi a favore della cancellazione del debito dei paesi africani, andando oltre la moratoria decisa dal G20. Il debito estero totale dell'Africa è stimato a 417 miliardi di dollari nel 2018, il 36% del debito estero dei paesi africani è dovuto a organizzazioni multilaterali come la Banca mondiale e il FMI, il 32% a creditori bilaterali (di cui il 20% alla Cina) e un altro 32% a istituti di credito privati. Si ricorda che il G20, che si è svolto a Riad (Arabia Saudita) il 21 e 22 novembre 2020, ha deciso di estendere la moratoria del debito fino a giugno 2021.

·        deve ulteriormente promuovere il potenziale delle relazioni con l’Africa e collaborare con i partner africani per stimolare gli investimenti nell’ambito di un programma d'investimento globale che dia priorità ai seguenti settori: economia digitale e della conoscenza, energia rinnovabile, trasporti, salute e sistemi agroalimentari. Temi trasversali fondamentali per l'impegno dell'UE sono inoltre i valori universali, la non discriminazione e la parità di diritti e di opportunità per tutti, l'emancipazione femminile, l'inclusione dei giovani, l'istruzione e le competenze, la sostenibilità sociale, ambientale ed economica nonché il buon governo e lo Stato di diritto. Particolare importanza rivestono anche il sostegno all'integrazione economica a livello regionale e continentale;

·        è pronto a continuare a sostenere gli sforzi africani a favore della pace e della sicurezza, del buon governo e della promozione dei diritti umani;

·        intende affrontare insieme ai partner africani la questione della mobilità e tutti gli aspetti della migrazione, comprese la migrazione legale, la lotta alla migrazione illegale, la riammissione e la lotta contro le reti del traffico di migranti, sia all'interno dei due continenti che tra di essi;

·        chiede una cooperazione rafforzata con l'Africa al fine di promuovere soluzioni multilaterali in generale sulla scena mondiale.

Le strategie regionali

L’UE ha anche adottato tre strategie regionali per il Corno d'Africa, il Golfo di Guinea e il Sahel.

Strategia regionale per il Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Gibuti e Somalia)

Il Consiglio dell’UE nel 2011 ha adottato il quadro strategico sul Corno d’Africa, che individua tre obiettivi principali dell’azione dell’UE nel Corno d’Africa: pace, stabilità e sicurezza; 2) prosperità e sviluppo economico; 3) creare condizioni adeguate e stabili per una buona governance.

Nel 2015 il Consiglio dell’UE ha poi adottato il piano d'azione regionale per il Corno d'Africa 2015-2020, che delinea l'approccio dell'UE nei confronti delle sfide divenute più critiche nel corso degli anni, in particolare: l'influenza dell'intera regione sul Corno d'Africa; la radicalizzazione; la migrazione e gli sfollamenti forzati.

Nella regione del Corno d’Africa l’UE ha, inoltre, promosso missioni ad hoc (come quelle contro la pirateria nell’Oceano Indiano occidentale ricadenti nel cappello EU Navfor Atalanta), contribuendo alla stabilità dell’area (come quelle di capacity building, EUTM e EUCAP Somalia) oppure finanziando le attività dell’AMISOM in Somalia (l’UE ha fornito più di 1,3 miliardi di euro al dispositivo militare dell’Unione Africana sin dal suo primo dispiegamento nel 2007).

Strategia regionale per Golfo di Guinea

I paesi della regione del Golfo di Guinea (Liberia, Costa d'Avorio, Ghana, Togo Benin, Nigeria, Camerun, São Tomé e Príncipe, Guinea Equatoriale, Gabon) si trovano ad affrontare una crescente instabilità dovuta alla mancanza di controllo sulle acque costiere e sulla costa stessa.

Ne consegue un aumento delle attività criminali quali:

·        tratta di esseri umani e traffico di stupefacenti, armi, diamanti, farmaci contraffatti, rifiuti illeciti;

·        pirateria e rapine a mano armata in mare;

·        furto di greggio;

·        pesca illegale.

Nel 2015 il Consiglio dell’UE ha adottato il piano d'azione per il Golfo di Guinea 2015-2020, che delinea il sostegno dell'UE per affrontare le sfide poste dalla sicurezza marittima e dalla criminalità organizzata nella regione.

Strategia regionale per Sahel

Nel 2015 il Consiglio ha adottato il piano d'azione regionale per i paesi del Sahel 2015-2020 (Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad, Camerun Sudan, Etiopia ed Eritrea) che si concentra su quattro settori di particolare importanza per la stabilizzazione della regione, in particolare:

·        la prevenzione e il contrasto della radicalizzazione;

·        la creazione di condizioni adeguate per i giovani;

·        la migrazione, la mobilità e la gestione delle frontiere;

·        la lotta al traffico illecito e alla criminalità organizzata transnazionale.

La nuova agenda per il vicinato meridionale

La Commissione europea e l’Alto rappresentante hanno presentato il 9 febbraio 2021 una comunicazione congiunta nella quale si propone di avviare una nuova Agenda per il Mediterraneo, accompagnata da un piano di investimenti economici per stimolare la ripresa socioeconomica a lungo termine nel vicinato meridionale.

Si ricorda che sono coinvolti nella politica dell’UE per il vicinato meridionale i seguenti paesi africani: Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia.

(Per maggiori dettagli si rinvia al paragrafo vicinato meridionale nella scheda per la sessione I).

Relazioni commerciale tra l’UE e l’Africa

L’Unione europea è il principale partner commerciale con l’Africa. Secondo gli ultimi dati Eurostat disponibili, il 31% delle esportazioni africane sono dirette verso l’UE e il 29% delle importazioni verso l’Africa provengono dall’UE.

Nel 2019 l’UE ha esportato beni in Africa per un valore di 145 miliardi di euro ed ha importato beni dell’Africa per un valore di 136,2 miliardi di euro, con una bilancia commerciale positiva per circa 8,8 miliardi di euro.

Nel 2019, quasi il 70% delle merci esportate dall'UE in Africa era rappresentato da prodotti manifatturieri e oltre il 65% dei beni importati nell'UE dall'Africa era costituito da beni primari (cibo e bevande, materie prime ed energia).

 

 

 

Nella comunicazione sul riesame della politica commerciale dell’UE, presentata il 18 febbraio 2021, la Commissione europea indica l’obiettivo di approfondire il dialogo con il continente africano e gli Stati africani sulla base di una più stretta integrazione economica dei due continenti e una promozione congiunta con l'Africa delle transizioni verde e digitale.

Per quanto riguarda le relazioni commerciali con l’Africa la Commissione indica le seguenti priorità:

·        migliorare il dialogo politico e la cooperazione con l'Unione africana e i suoi membri, nonché la corretta attuazione dell'Area di libero scambio continentale africana (AfCFTA), compreso il dialogo con il settore privato e la promozione di norme comuni in Africa per rafforzare l'integrazione regionale e continentale;

L’accordo relativo all'Area di libero scambio continentale africana (AfCFTA) è entrato in vigore il 30 maggio 2019 e, sottoscritto da 54 su 55 paesi africani (l’Eritrea non ha ancora aderito), prevede l'abolizione delle barriere tariffarie e non tariffarie sul 90% delle merci entro 10 anni.

·        approfondire e ampliare gli accordi commerciali esistenti con le comunità economiche regionali africane e rafforzando la loro dimensione di sostenibilità;

L’UE ha firmato accordi di commerciali e di partenariato con varie comunità economiche regionali africane.

·        esaminare ulteriormente la possibilità di rafforzare legami e sinergie tra i diversi accordi commerciali con i paesi africani, ad esempio attraverso norme di origine più armonizzate negli scambi commerciali con l'UE;

·        perseguire accordi di investimento sostenibile con l'Africa e il vicinato meridionale.

Politica dell’UE per la Migrazione

Dati statistici

Secondo l’UNHCR, dall’inizio del 2021 (dati aggiornati al 15 febbraio) il numero complessivo di rifugiati e migranti giunti via mare in Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta è pari a 5.809, di cui: 2.278 in Italia; 3.162 in Spagna; 367 in Grecia. L’UNCHR stima nello stesso periodo 59 persone tra morti e dispersi in mare.

Di seguito una tabella riassuntiva del trend annuale (dal 2014) dei flussi migratori verso l’UE lungo le rotte del Mediterraneo; le rilevazioni comprendono gli arrivi via mare in Italia, Cipro e Malta e quelli via mare e via terra in Grecia e Spagna (comprese le Isole Canarie) (Fonte UNHCR).

 

 

                      Anno                                          Arrivi               Morti/Dispersi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di seguito il trend degli sbarchi in Italia a partire dal gennaio 2017 (Fonte UNHCR)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di seguito un grafico recante il trend gennaio 2020 – gennaio 2021 delle principali nazionalità dei migranti sbarcati in Italia. La curva più significativa (gialla) riguarda migranti di cittadinanza tunisina (Fonte UNHCR)

 

L’EASO, l’Ufficio europeo per l’asilo, stima approssimativamente un numero complessivo di 422 mila domande di protezione internazionale registrate nell’UE, circa il 31 per cento in meno del 2019. Inoltre, alla fine di ottobre 2020 erano pendenti 876 mila procedure di asilo, concentrate in un numero limitato di Stati membri. Secondo UNHCR, in Italia sono pendenti circa 95 mila procedure di asilo; le domande registrate sarebbero oltre 26.600 nel 2020 a fronte di oltre 43.500 dell’anno precedente.

Profili di azione esterna della politica di migrazione dell’UE

Nel novembre 2015 l'UE e i leader africani hanno approvato il piano d'azione di La Valletta, che include 16 misure concrete per far fronte all'afflusso massiccio di migranti che arrivano in Europa.

In occasione del Vertice è stato istituito il Fondo fiduciario europeo di emergenza per l'Africa (EU Emergency Trust Fund for Africa), strumento nell’ambito dell’approccio globale alla migrazione dell’Unione europea volto a eliminare le cause profonde dei flussi migratori. Le risorse sono destinate a sostenere gli Stati africani che affrontano sfide prioritarie che vanno dalla pressione demografica, alla povertà estrema, alle carenti infrastrutture sociali ed economiche, alle tensioni interne e alle debolezze istituzionali, alla incapacità di affrontare le crisi alimentari e il cambiamento climatico-ambientale. I progetti finanziati con le risorse del fondo fiduciario si concentrano su quattro obiettivi strategici:

·        maggiori opportunità economiche e occupazionali;

·        rafforzare la resilienza delle comunità;

·        migliore gestione della migrazione;

·        migliore governance e prevenzione dei conflitti.

Il Fondo si attesta su un volume di risorse pari a 5 miliardi di euro, di cui oltre 4,4 miliardi provenienti dal Fondo europeo di sviluppo e da altri strumenti finanziari UE, mentre gli Stati membri ed altri Paesi donatori (Svizzera e Norvegia) vi contribuiscono per 620 milioni. Gli Stati membri maggiori contributori al Fondo sono la Germania e l'Italia con un impegno, rispettivamente, per 228,5 e 123 milioni di euro.

L'assegnazione delle risorse del Fondo si articola in tre macroregioni: Sahel e Lago Ciad, Corno d'Africa, e Nord Africa.

Grazie al Fondo sono 455 i milioni di euro mobilizzati in particolare per progetti in Libia riguardanti: protezione e assistenza per migranti e rifugiati; stabilizzazione delle comunità locali; gestione delle frontiere. Sono complessivamente circa 700 i milioni di euro impegnati dall’UE tra il 2014 e il 2020 nel sostegno alla Libia, mediante vari strumenti che (oltre al fondo citato) includono, tra l’altro, lo Strumento di vicinato, l’assistenza umanitaria, e lo Strumento per la stabilità e la pace (IcSP)

Per la Tunisia il Fondo ha mobilizzato circa 90 milioni di euro, tra l’altro in progetti per la riammissione dei cittadini tunisini e per lo sviluppo di un sistema di gestione delle frontiere. Ulteriori programmi nell’ambito dello Strumento di vicinato sono direttamente complementari al Trust Fund, in particolare per quanto riguarda l’implementazione del Partenariato per la mobilità UE-Tunisia. Dal 2011 l’assistenza bilaterale dell’UE alla Tunisia si attesta a 1,7 miliardi di euro in sovvenzioni, concentrandosi per il periodo 2017- 2020, sui seguenti settori prioritari: promuovere il buon governo e lo Stato di diritto; investire nel futuro: stimolare crescita economica sostenibile e creazione di posti di lavoro; rafforzare la coesione sociale tra le generazioni e regioni.

Accordi di riammissione e memorandum d’intesa dell’UE e dell’Italia con paesi africani

Secondo la recente comunicazione della Commissione europea (COM(2021) “Rafforzare la cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione come parte di un'equa, efficace e politica globale dell'UE in materia di migrazione” tra i 18 accordi di riammissione perfezionati dall’UE con Stati terzi, uno solo riguarda un paese africano, Capo Verde, mentre sono in corso negoziati per addivenire a questo tipo di accordo tra l’UE anche con i seguenti Stati africani: Nigeria, Tunisia, Marocco.

L’Italia ha stabilito, in via bilaterale, accordi di riammissione, memorandum di intesa o intese bilaterali a carattere tecnico in materia di migrazione con i seguenti paesi africani: Algeria (accordo di riammissione), Costa d’Avorio (intesa a carattere tecnico), Gambia (intesa a carattere tecnico), Ghana (intesa a carattere tecnico), Gibuti (memorandum d’intesa), Egitto (accordo di riammissione), Niger (memorandum d’intesa), Senegal (memorandum d’intesa), Sudan (memorandum d’intesa), Tunisia (accordo di riammissione), Libia (memorandum d’intesa), Marocco (accordo di riammissione), Nigeria (memorandum d’intesa).

Sicurezza e lotta al terrorismo

L'UE ha avviato missioni e operazioni militari e civili in Africa nel quadro della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) in: Repubblica centrafricana; Libia; Mali; Niger; Somalia.

In particolare, l’UE ha avviato nel continente africano le seguenti missioni:

 

Missioni militari

·        EUNAVFOR ATLANTA, operazione navale istituita nel 2008 per contrastare le azioni di pirateria sulle coste della Somalia;

·        EUTM SOMALIA, missione istituita nel 2010 e con sede in Uganda. La missione è parte della strategia europea per il Corno d’Africa ed è volta a contribuire allo sviluppo delle istituzioni preposte al settore della sicurezza in Somalia;

·        EUTM MALI, missione istituita nel 2013 con lo scopo di fornire, nel sud del Mali, formazione e consulenza militare alle forze armate maliane;

·        EUTM RCA, missione istituita nel 2014 con l'obiettivo di supportare l'attività formativa a favore delle Forze di Sicurezza della Repubblica centrafricana; 

·        EUNAVFOR MED IRINI, operazione istituita il 31 marzo 2020 ed operativa in mare dal 4 maggio 2020, con il compito principale di contribuire all'attuazione dell'embargo sulle armi imposto dall'ONU nei confronti della Libia con mezzi aerei, satellitari e marittimi (vedi scheda sessione II).

Missioni civili

·        EUCAP SAHEL NIGER, istituita nel 2012 a sostegno delle autorità nigeriane nello sviluppo di capacità proprie di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo nel Sahel;

·        EUCAP SAHEL-MALI, anch’essa istituita nel 2015, a fini di sostegno alle forze di sicurezza interna del Mali.

·        EUCAP SOMALIA, istituita nel 2012 in Somalia con il fine di rafforzare la capacità degli Stati della regione del Corno d’Africa e dell’Oceano Indiano occidentale a gestire efficacemente le rispettive acque territoriali;

·        EUBAM LIBIA, istituita nel 2013 con l’obiettivo di fornire alle autorità libiche sostegno per sviluppare la capacità di accrescere la sicurezza delle frontiere terrestri, marine e aeree, a breve termine, e per implementare una strategia più ampia di gestione integrata delle frontiere a più lungo termine;

·        EUAM RCA, missione civile di natura consultiva dell'Unione europea nella Repubblica centrafricana (RCA), istituita il 9 dicembre 2019 e che dovrebbe essere avviata nel giugno 2020. Scopo della missione è sostenere la riforma delle forze di sicurezza interna per consentire alle autorità della RCA di alleviare le attuali sfide per la sicurezza nel paese.

L'UE sostiene iniziative e attività di lotta al terrorismo nel continente africano. In particolare nel giugno 2017 l'UE si è impegnata a stanziare 50 milioni di euro per sostenere la forza congiunta G5 Sahel al fine di migliorare la sicurezza nella regione.

L’Italia, oltre alle missioni in ambito EU, partecipa anche ad altre missioni internazionali presenti in Africa, come evidenziato nella seguente tabella.

 

 

 

Profili economici e demografici

Vi è una significativa variazione regionale e nazionale nella crescita economica. Nel 2019, l'Africa orientale è stata la regione in più rapida crescita e il Nord Africa ha continuato a dare il maggior contributo alla crescita complessiva del PIL dell'Africa, grazie principalmente a quella dell'Egitto. Sei paesi africani sono tra i 10 paesi in più rapida crescita tra le economie del mondo: Ruanda all'8,7%, Etiopia al 7,4%, Costa d'Avorio al 7,4%, Ghana 7,1%, Tanzania 6,8% e Benin 6,7%. Tuttavia, la crescita economica dell'Africa non è stata inclusiva, ma registra una costante elevata disuguaglianza.

 

Crescita del PIL in Africa


Il continente africano conta oltre 1 miliardo di abitanti ed ha la popolazione con la più bassa età media a livello mondiale (v. tabella 1). Secondo le proiezioni demografiche al 2100 la crescita maggiore della popolazione si registrerà nell’Africa subsahariana (v. tabella 2)

 

 

 

Tabella 1 (età media della popolazione per aree geografiche)

 

Tabella 2 (Proiezioni crescita popolazioni primi 10 Stati – fonte Nazioni Unite, dipartimento per affari economici e sociali)

Stanziamenti per l’Africa nell’ambito dell’azione esterna dell’UE nel QFP 2021-2027

Nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027 (QFP), il nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI), con una dotazione complessiva di 70,8 miliardi di euro, prevede - nell’ambito dello stanziamento di 53,8 miliardi di euro per il pilastro geografico: 17,2 miliardi di euro per i paesi coinvolti nella politica di vicinato dell’UE (i paesi africani coinvolti nella politica di vicinato dell’UE sono: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia) e 26 miliardi di euro per l’Africa subsahariana.

Il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa, volto a promuovere iniziative di contrasto alla migrazione irregolare nei paesi delle aree regionali del Sahel, Corno d’Africa e nel Nord Africa (v. supra) ha una dotazione di circa 5 miliardi di euro.

Infine, nell’ambito dei fondi stanziati dall’UE per l’assistenza a paesi terzi per alleviare l’impatto della pandemia di COVID 19, a favore dei paesi del continente africano sono previsti complessivamente fondi per un totale di circa 11 miliardi di euro tra finanziamenti, prestiti e strumenti di garanzia.

Presenza della Cina in Africa

La presenza cinese in Africa risale già agli anni ‘50 e ‘60 del 900, con il supporto ai nuovi stati nazionalisti e socialisti e poi più ampio, dagli anni ’70 per ottenere voti alle Nazioni Unite e in funzione anti Taiwan. Dal 2000 con l’istituzione del Forum on China-Africa Cooperation la presenza cinese ha raggiunto dimensioni notevoli attraverso l’aumento dei flussi economici e finanziari, in particolare attraverso investimenti diretti esteri, aiuti allo sviluppo e altri flussi ufficiali (crediti all’importazione e crediti garantiti con risorse naturali) e la costruzione di infrastrutture come scali portuali, ferrovie, ponti e strade funzionali allo scambio commerciale.

 Le relazioni con l’Africa si sono sviluppate attraverso tre aree di interesse principale per la Cina:

·        l’acquisizione di materie prime;

·        l’apertura di mercati emergenti;

·        il supporto africano nelle istituzioni internazionali.

La Cina, dopo l’UE, è il secondo partner commerciale in Africa con una quota del 16% per le importazioni in Africa (UE 29%) e dell’11% per le esportazioni dall’Africa (UE 31%).

Secondo uno studio dell’ISPI, la Cina è il principale prestatore bilaterale in 32 dei 40 paesi africani e ha persino superato la Banca mondiale (62 miliardi di dollari) come il principale prestatore (64 miliardi di dollari) del continente. Tra il 2000 e il 2018, la Cina ha prestato oltre 147 miliardi di dollari ai governi africani. La Cina controlla inoltre molto del debito pubblico dei paesi africani, pari secondo alcune stime a circa il 20% dello stock complessivo del debito pubblico africano detenuto a livello bilaterale da singoli Stati terzi (e non da organizzazioni internazionali quali Banca mondiale o Fondo monetario internazionale).

La Cina è uno dei più grandi attori del mantenimento della pace in Africa. Tra i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha il maggior numero di personale per il mantenimento della pace in Africa e ed ha partecipato a 16 operazioni per tali finalità.

Secondo le stime dello Stockholm International Peace Research Institute, nel periodo 2015-2019 la Cina , con il 13% delle importazioni militari africane, dopo la Russia, con il 39%, e gli USA, 14% è il terzo dei maggiori Paesi esportatori d’armi in Africa.


La tabella seguente evidenzia i Paesi africani con i quali la Cina ha stabilito protocolli di intesa (Memorandum of Understanding MoU) per progetti infrastrutturali nell’ambito dell’iniziativa della nuova via della seta (Belt and Road iniziative) - fonte Silk road briefing - Dezan Shira & Associates.



[1] V. anche Nota n. 36 del Servizio Affari internazionali del Senato, febbraio 2021.

[2]All'indomani della conclusione dell'Accordo di Skhirat, il 18 dicembre 2015 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha adottato all'unanimità la Risoluzione n. 2259 (2015) sulla Libia in cui si invita il Consiglio di presidenza libico a lavorare speditamente per formare entro 30 giorni il Governo di unità nazionale che costituirà l'unico governo legittimo della Libia, necessario ad assicurare la governance, la stabilità e lo sviluppo della Libia - come già affermato nel Comunicato di Roma. Si chiede, inoltre, agli Stati membri di rispondere urgentemente alle richieste di assistenza del Governo di unità nazionale per l'attuazione dell'Accordo politico libico. Si imponeva, infine, agli Stati membri di assistere prontamente il Governo di unità nazionale nel rispondere alle minacce alla sicurezza libica e a sostenere attivamente il nuovo Governo nella necessità di sconfiggere ISIS ed i gruppi ad esso affiliati o ad al-Qaeda, su sua richiesta.

 

 

[4] Le conclusioni della Conferenza di Berlino sono state fatte proprie dall'ONU con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 2510 (2020) del 12 febbraio che ha inoltre ribadito la necessità di un cessate il fuoco duraturo senza precondizioni al più presto possibile, dando mandato al Segretario Generale di produrre un Rapporto e fare raccomandazioni dettagliate al Consiglio di Sicurezza su un monitoraggio del cessate il fuoco sotto gli auspici ONU, non appena il cessate il fuoco venga consolidato. Tuttavia, tale Risoluzione, approvata con l'astensione della Russia, non opera sotto il Capitolo VII della Carta dell'ONU, non prevede cioè misure (tra cui l'uso della forza) per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. Opera invece sotto il capitolo VII la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 2509 (2020) dell'11 febbraio in materia di esportazione illecita di petrolio, embargo sulle armi, ecc.