Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) - Zagabria 2-4 marzo 2020 -
Serie: Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari   Numero: 37
Data: 27/02/2020
Organi della Camera: XIV Unione Europea, III Affari esteri, IV Difesa

   

 

XVIII LEGISLATURA

 

Documentazione per le Commissioni

riunioni interparlamentari

 

 

 

 

Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC)

Zagabria, 2-4 marzo 2020

 

 

 

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n. 82

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INDICE

Ordine del giorno

Schede di lettura.. 1

Sessione I: Sfide globali per una Europa resiliente ed influente.. 3

Tendenze dello scenario globale. 3

Priorità della Commissione europea. 9

Il bilancio della Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE   11

La nuova Agenda strategica 2019-2024. 13

Sessione II: Una prospettiva europea credibile per i Paesi dei Balcani occidentali 17

Quadro riepilogativo. 17

Discussione in seno al Consiglio dell’UE.. 18

Iniziative della Commissione europea. 18

Il processo di Berlino. 22

La Strategia adriatico-ionica. 23

Assistenza finanziaria dell’UE nell’ambito dello strumento di preadesione  24

Priorità del Governo Italiano. 25

Workshop 1: Il Partenariato orientale. 31

Quadro riepilogativo. 31

Priorità del Governo italiano. 32

L'evoluzione del Partenariato orientale. 35

Il Vertice di Bruxelles e i 20 obbiettivi da realizzare entro il 2020. 37

Estensione dei progetti della rete transeuropea di trasporto (TEN-T) ai paesi del partenariato orientale. 39

L’Assemblea parlamentare del vicinato orientale. 39

Assistenza finanziaria. 40

Workshop 2: PESCO: la sfida della coerenza delle iniziative dell'UE in materia di difesa e il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali 43

I progetti approvati 44

Workshop 3: Il ruolo delle donne nel garantire pace e sicurezza. 47

Un'Agenda ONU su Donne, pace e sicurezza: La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza e le successive risoluzioni 47

Ultimi aggiornamenti 50

L'Ufficio del Rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti 51

L'implementazione della Risoluzione 1325 e i Piani d'azione Nazionale. 52

Il quadro europeo. 53

L’attuazione in Italia della Risoluzione 1325. 54

Dalla Rete delle Donne mediatrici del Mediterraneo (MWMN) alla Alleanza globale delle Reti Regionali di Donne Mediatrici. Ruolo dell'Italia. 57

Sessione III – rafforzare la cooperazione e l’industria della difesa europea.. 58

Un punto di situazione. 58

Il Fondo europeo per la difesa. 61

Principali gruppi industriali europei nel settore aerospaziale per fatturato originato da commesse per la difesa. 64

Le piccole e medie imprese europee attive nel settore della difesa. 65

Le missioni militari Ue. 65

Il finanziamento delle missioni 68

Dibattito d’urgenza: Recenti sviluppi della situazione in Libia.. 69

Processo a guida ONU: gli accordi di Skirath del 2015 e le difficoltà di attuazione  69

Processo a guida ONU: il tentativo di rilancio di Salamé 2017-2018. 70

Le iniziative francesi 71

L'iniziativa italiana della Conferenza di Palermo 2018. 72

Missioni militari italiane in Libia. 72

Combattimenti sul terreno: sempre più una proxy war. 74

Dagli accordi bilaterali tra Turchia e GNA di fine novembre 2019 all'invio di truppe sul terreno. Chi assumerà la guida del processo politico?. 75

L'azione dell'Italia e dell'UE dall'inizio del 2020. 77

La conferenza di Berlino e il processo a guida ONU.. 79

La nuova missione militare dell'UE.. 81

 


 

 

 


Schede di lettura




Sessione I: Sfide globali per una Europa resiliente ed influente

 

Tendenze dello scenario globale

L’Europa si trova davanti ad uno scenario globale caratterizzato dai seguenti fattori:

·        il riposizionamento delle dinamiche che caratterizzano lo scenario globale sulla base di un nuovo paradigma caratterizzato della rapida emersione di dinamiche multi-polari, per l’emergere di una pluralità di attori, oltre agli USA e alla Russia, capaci di confrontarsi a livello globale (Cina, India, Brasile) e regionale (Turchia, Iran), che mettono in questione ed affievoliscono la centralità ed unitarietà del ricorso alla dimensione multilaterale come sede di governo delle dinamiche globali e di mediazione e risoluzione dei conflitti;

·        la crescita delle economie asiatiche, in particolare di Cina ed India, accompagnata da forte crescita demografica, rapida inurbazione, emergere di una classe media e la proiezione delle sfere di influenza e intervento di tali paesi - anche grazie alla conquista di maggiori quote di mercato a livello mondiale e ad investimenti nelle nuove tecnologie, ricerca e difesa - oltre i loro confini e/o le loro aree di influenza tradizionali;

Tra le 8 otto economie più grandi del mondo, che attualmente comprendono 4 Paesi europei (Germania, Regno Unito, Francia e Italia), si stima che nel 2050 vi rimarrà solo la Germania (v. tabella 1).

·        una rivoluzione tecnologica dovuta alla diffusione di tecnologie pervasive i diversi ambiti della vita sociale, in particolare attraverso una crescita esponenziale della connettività digitale e con un forte impatto sulla sicurezza degli Stati e dei cittadini;

·        l’evoluzione globale del commercio internazionale in un contesto di crescente difficoltà a pervenire a sistemi di regolamentazione, a livello bilaterale e multilaterale, dei fenomeni distorsivi della concorrenza leale e di reciproca apertura ed accesso ai rispettivi mercati e, quindi, il possibile innesco di spirali protezionistiche;

·        cambiamenti climatici ed ambientali in grado di produrre, in una breve cornice temporale, mutamenti delle condizioni materiali e di sussistenza di milioni di persone, in particolare nel territorio africano;

·        un andamento demografico fortemente differenziato tra Europa e altre aree del mondo;

Secondo alcune stime nel 2030 l’Europa sarà la regione con l’età media più alta del mondo, pari a circa 45 anni, contro un’età media del continente africano di circa 21 anni. Inoltre la popolazione europea rappresenta una quota decrescente della popolazione mondiale, dal 25% del 1900 al, secondo le attuali proiezioni, 4% del 2060.

·        il persistere da un lato, di aree di instabilità e crisi, in atto, ai confini meridionali (Libia) ed orientali dell’Europa (Ucraina) e, dall’altro, la mancanza di certezza nella prospettiva europea in paesi collocati geostrategicamente al centro dell’Europa (i paesi dei Balcani occidentali);

·        l’impatto di fenomeni migratori dovute a situazione di instabilità e crisi, in particolare sul versante dei confini meridionali ed orientali dell’Europa e di provenienza di subsahariana;

·        il persistere da un lato della minaccia del terrorismo e, dall’altro, l’emergere di minacce asimmetriche, ibride e trasversali che si aggiungono a quelle tradizionali.

 

 


 

Tabella 1 (proiezioni del prodotto interno lordo in miliardi di dollari - fonte PricewaterhouseCoopers, 2017)

 

 

 

A fronte di tale scenario globale, la dinamica interna dell’UE appare contrassegnata dai seguenti elementi:

·        una incapacità di agire in modo proattivo e coerente e con la necessaria tempestività, sia per procedure decisionali legate al requisito della unanimità, sia per la mancanza della volontà politica nel convergere su una posizione unica dell’UE nella sua proiezione esterna. Ciò comporta la mancanza di capacità di adattarsi con flessibilità agli sviluppi in corso, che è resa ancora più grave in un contesto geopolitico in cui, per contro, i nuovi attori globali agiscono a tutela dei propri interessi in modo immediato, diretto e con spregiudicatezza;

·        una crescente sfiducia tra gli Stati membri dell’Unione che ha comportato una crisi della solidarietà e coesione all’interno dell’Unione, emersa con particolare evidenza, sia in situazioni di difficoltà complessiva per il continente europeo, quali la crisi economica successiva al 2008/2009 e la gestione dei flussi migratori incrementati a partire dal 2015, sia in occasioni di decisioni relative alle prospettive future dell’Europa, come la decisione di bloccare l’avvio dei negoziati di adesione con Albania e la Repubblica della Macedonia del nord nell’autunno del 2019 e nei negoziati sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027 attualmente in corso;

·        il ribilanciamento della dinamica interna dell’UE in conseguenza della Brexit, e delle prospettive del futuro accordo di partenariato tra Regno Unito UE, in corso di negoziazione e il loro eventuale impatto sulla proiezione esterna dell’UE, sulla base delle rispettive vocazioni della Francia, ad assumere l’iniziativa per il controllo dell’agenda politica dell’europea, e della Germania proiettata maggiormente sull’espansione commerciale e manifatturiera da un lato e, dall’altro, sul consolidamento della finanza pubblica e sul rispetto rigido della governance economica dell’area dell’euro.

In tale scenario, gli unici progressi fatti registrare dall’UE nell’ambito della costruzione di una capacita di reazione alle sfide globali dell’UE si è concentrata sul progetto di istituire una Unione europea per la difesa per il 2025, sulla base della cooperazione rafforzata nel settore della difesa (PESCO) e dell’istituzione del Fondo europeo per la difesa e nella nuova priorità posta sul Green deal europeo indicato come principale obiettivo dalla nuova Commissione europea.

La discussione sulla capacità dell’UE di dotarsi di politiche in grado di rispondere alle sfide globali sarà al centro dei lavori della Conferenza su futuro dell’Europa che dovrebbe essere avviata il 9 maggio 2020 per concludersi entro giugno 2022, nell’ambito del turno di Presidenza del Consiglio della Francia.

Si presenta di seguito una tabella relativa alle tendenze e incertezze globali ed europee estratta dallo studio “Tendenze globali fini al 2030” del 2017, a cura della task force del sistema europeo di analisi strategica e politica (ESPAS) istituita dalla Commissione europea, dal Consiglio dell’UE e dal Parlamento europeo, nella quale si evidenziano le tendenze e le aree di incertezza a livello globale ed europeo.


Tendenze e incertezze europee e globali

 

MONDO

EUROPA

 

TENDENZE GLOBALI

come proiezioni

 

Incertezze

TENDENZE DELL’UNIONE EUROPEA

come proiezioni

 

Incertezze

 

 

In generale

Mondo complesso, fragile, instabile e insicuro.

Epoca di insicurezza.

Rischi sistemici legati ai paesi emergenti, crescita mondiale in stallo.

Integrazione della zona euro, ambiente insicuro, crescita lenta.

Capacità di cambiamento? Accumulo di rischi?

Etica/valori mutevoli?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Economia

Invecchiamento mondiale.

Recessione economica della Cina con conseguenze sistemiche?

Cambiamenti nella ripartizione dei flussi di investimento

a livello mondiale?

Rivoluzione tecnologica nel settore dell’energia o della comunicazione?

Insostenibilità dei sistemi di welfare vigenti.

Contrazione della forza lavoro.

Necessità di riforme strutturali per l’allocazione di investimenti e risparmi.

Istruzione come fattore chiave in una società che invecchia.

Massiccio aumento della produttività nel settore pubblico?

Drastico riassetto delle economie attraverso una rivoluzione tecnologica?

 

Crescente concorrenza per l’energia, le materie prime e le altre risorse naturali.

Impatto del gas di scisto, delle reti intelligenti e delle nuove energie rinnovabili?

Impatto del cambiamento climatico?

Impatto del ceto medio?

Crisi del mix energetico in numerosi Stati membri.

Realizzazione di una rete energetica paneuropea?

Difficoltà a garantire la sicurezza

dell’approvvigionamento?

 

Riduzione della leva finanziaria e intervento statale.

Guerre monetarie?

Rischi sistemici connessi ai sistemi finanziari nei paesi emergenti?

Lento recupero degli attivi

«tossici».

Crescita moderata senza debito. Integrazione dell’eurozona.

Fine del mercato libero dei capitali?

Euro senza riforme strutturali?

 

Aumento della concorrenza nord/sud e sud/sud nei mercati di esportazione.

Ruolo rafforzato degli accordi regionali.

Geopoliticizzazione del commercio?

Globalizzazione in stallo?

L’Unione europea continua

a essere una delle economie più aperte, vulnerabile alle flessioni del commercio globale.

Conseguenze del partenariato per il commercio e gli investimenti con gli Stati Uniti?

Accordi di libero scambio con Cina/Russia?

L’Unione europea è ancora un punto di riferimento per la definizione degli standard (assieme agli Stati Uniti) oppure no?

 

 

 

Tecnologie

Tecnologie convergenti.

Stravolgimento dei modelli aziendali in tutti i servizi.

Rivoluzione industriale (e quindi sociale) a tutti gli effetti?

Livello di perturbazione e opportunità create?

Recupero ancora possibile.

Mercati aggregati per combinazioni innovative (servizi/ prodotti).

L’istruzione sarà basilare.

Digitalizzazione di successo e ulteriore integrazione

del mercato unico, servizi compresi?

 

 

 

 

 

Società

Ceto medio in ascesa economica.

Aumento delle disuguaglianze.

Malcontento crescente.

Partecipazione consapevole e attiva degli individui.

Modelli migratori regionalizzati (da sud a sud, da nord a nord).

Epoca di rivoluzioni?

Gli individui sfidano le strutture collettive?

Ascesa del nazionalismo

e dell’estremismo (religioso)?

Avviare un dialogo con la classe media mondiale, minacce al ceto medio dell’Unione europea.

Aumento delle disuguaglianze. Società basata sulla creatività.

L’Unione europea continuerà a essere meta di immigrati provenienti da paesi vicini.

Effetti di ricaduta derivanti dall’instabilità dei paesi emergenti?

Resilienza/capacità di adattamento delle istituzioni politiche?

 

 

 

 

 

 

Relazioni esterne

Più multipolari ma meno multilaterali.

Ritorno alle politiche di potere.

Drastico riallineamento geopolitico mondiale?

Ascesa di nuove multi- istituzioni guidate dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa)?

Calo della spesa militare.

Dipendenza da approvvigionamenti energetici e forniture militari.

Pivot degli Stati Uniti.

Futuro della NATO?

Frammentazione dell’Unione europea?

Leadership dell’Unione europea sulla scena mondiale?

 

Nuovi conflitti (specialmente disastri naturali e relative conseguenze).

L’incertezza mondiale prosegue con maggiori episodi di violenza da parte di gruppi ribelli non statali.

Terrorismo, tensioni politiche. Instabilità, crescita lenta?

Impatto sull’Unione europea stessa (sulle sue frontiere, sul suo processo di integrazione).

Vicinato europeo in difficoltà.

Precarietà interna ed energetica?

 


Si illustrano di seguito:

·        le priorità della Commissione europea nell’ambito dell’azione esterna;

·        il bilancio della Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE - presentato nel giugno 2019 dall’Alto Rappresentante a tre anni dall’adozione della Strategia globale nel 2016;

·        le priorità definite dal Consiglio europeo nella nuova Agenda strategica 2019-2024.

Priorità della Commissione europea

La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, negli orientamenti politici presentati ad inizio del suo mandato, ha indicato 6 priorità, tra le quali quella di promuovere un ruolo più forte dell’UE sulla scena mondiale.

In particolare, la Presidente della Commissione ha indicato le seguenti priorità:

·        l’UE deve agire sulla scena mondiale in modo ambizioso, strategico e assertivo, sostenendo un approccio a favore del multilateralismo;

·        l’Europa deve parlare con voce più forte e più unita sulla scena mondiale ed agire rapidamente. A tal fine occorre adottare decisioni di politica estera a maggioranza qualificata;

Nella scorsa legislatura europea, la Commissione europea ha presentato nel settembre 2018 la comunicazione “Un ruolo più incisivo a livello mondiale: un processo decisionale più efficiente per la politica estera e di sicurezza comune dell'UE” nella quale propone che il Consiglio europeo decida, utilizzando le disposizioni previste dai Trattati vigenti e in particolare la cosiddetta “clausola passerella” del Trattato sull’Unione europea (TUE), il passaggio dall’unanimità alla votazione a maggioranza qualificata nelle decisioni del Consiglio dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza comune dell’UE in alcuni specifici casi, in materia di diritti umani, sanzioni e missioni civili. Si ricorda che la “clausola passerella” di cui all'articolo 31, paragrafo 3, del TUE consente al Consiglio europeo, all'unanimità, di autorizzare il Consiglio dell’UE a deliberare a maggioranza qualificata in casi ulteriori rispetto a quelli già previsti dall’articolo 31, paragrafo 2, del TUE[1], ad eccezione delle decisioni che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa;

·        rafforzare il ruolo dell’Europa quale promotore di un programma per un commercio equo e aperto a livello mondiale. In tale ambito, la Commissione intende: concludere rapidamente i negoziati in corso con l’Australia e la Nuova Zelanda; rafforzare un partenariato commerciale equilibrato e reciprocamente vantaggioso con gli Stati Uniti; far sì che ogni accordo commerciale contenga un capitolo dedicato allo sviluppo sostenibile e rispetti le norme più rigorose in termini di clima, ambiente e protezione del lavoro, con tolleranza zero in fatto di lavoro minorile; difendere condizioni di concorrenza leali e contrasto a dumping, deregolamentazione o sovvenzioni; riformare l’organizzazione mondiale del commercio; fare pieno uso, in caso di conflitto commerciale, degli strumenti di difesa commerciale e di sanzioni;

·        adottare una strategia globale sull’Africa per sfruttare le opportunità politiche, economiche e di investimento in tale continente;

·        tutelare i diritti dei cittadini nell’ambito della Brexit, mantenere la pace e la stabilità in Irlanda e preparare il terreno per un partenariato ambizioso e strategico con il Regno Unito;

·        riaffermare la prospettiva europea dei Balcani occidentali e avviare i negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord;

·        aumentare gli stanziamenti per l’azione esterna del 30% nel prossimo Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027, fino a 120 miliardi di euro;

·        pur restando la NATO la pietra angolare della difesa collettiva europea, occorre proseguire gli sforzi per realizzare una Unione europea della sicurezza e della difesa, rafforzando il Fondo europeo per la difesa nell’ambito del prossimo QFP;

·        sviluppare un approccio integrato e globale per la sicurezza, promuovendo il ruolo dell’Europa nei paesi limitrofi e su scala globale nell’ambito delle Nazioni Unite, anche grazie a un più stretto partenariato con l’Africa per fronteggiare l’instabilità, il terrorismo transfrontaliero e la criminalità organizzata;

·        potenziare le capacità dell’UE di reazione e la sua resilienza nei confronti delle minacce ibride.

Il bilancio della Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE

Il 14 giugno 2019, nella passata legislatura europea, l’Alta Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Federica Mogherini, ha presentato un documento intitolato “From Vision to Action: The EU Global Strategy in Practice - Three years on, looking forward” che illustra il bilancio delle azioni condotte dall’UE a tre anni dalla presentazione della Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE (v. infra).

Nel documento si indica in particolare che il contesto geopolitico e le priorità indicate dalla Strategia globale nel 2016 sono ancora validi ed anzi l’evolversi del contesto attuale conferma ancora di più uno dei presupposti della Strategia del 2016 e cioè che l'imperativo di una maggiore unità e coerenza all'interno dell'UE è la condizione per:

·        garantire che il multilateralismo rimanga il principale principio organizzativo dell'ordine internazionale;

·        promuovere ordini regionali cooperativi vicini e lontani;

·        contribuire alla resilienza e all'approccio integrato nelle regioni circostanti est e sud.

Nel documento si evidenziano in particolare i progressi raggiunti negli ultimi tre anni nel settore della cooperazione a livello europeo nel settore della sicurezza e della difesa.

Priorità per i prossimi anni

Per quanto riguarda le priorità per i prossimi anni si indica in particolare che l’UE dovrà:

·        far progredire la politica di sicurezza e difesa dell'Unione approfondendo il lavoro su intelligence, cultura strategica, interoperabilità, comando e controllo, cooperazione nel campo delle capacita di difesa, tecnologia e cyber sicurezza, il nesso tra la dimensione civile e quella militare della PSDC, la sicurezza nell’accesso a rotte e reti;

·        promuovere e proteggere il multilateralismo e sostenere gli ordini cooperativi regionali contribuendo alla riforma delle organizzazioni internazionali, sviluppando sia partenariati strutturali che una maggiore "geometria variabile" in collaborazione con paesi e regioni, combinando in modo intelligente flessibilità e inclusività nel perseguimento di formati multilaterali, e contemporaneamente rafforzando il coordinamento intraeuropeo;

·        continuare a investire nella resilienza degli Stati e delle società e in un approccio integrato ai conflitti e alle crisi nelle regioni circostanti all’Europa;

·        aumentare in modo significativo l’investimento politico e finanziario nella azione esterna dell’UE, compresa la difesa, conseguendo una maggiore visibilità e sviluppando ulteriormente, da un lato, l'approccio congiunto tra tutte le politiche dell’UE (in particolare sviluppando il nesso tra economia, sicurezza e politica e quello tra sicurezza e cambiamenti climatici) e, dall’altro, l’unitarietà di azione e un maggiore coordinamento tra gli Stati membri;

·        diventare più autonoma in termini strategici, anche al fine di diventare più cooperativa: un’Unione più autonoma deve, infatti, essere in grado di agire insieme ai suoi Partner ogni qualvolta sia possibile, ma anche da sola se necessario.

La nuova Agenda strategica 2019-2024

Il Consiglio europeo del 20 e 21 giugno 2019 ha approvato la Nuova Agenda strategica dell'UE 2019-2024.

L’Agenda strategica si articola in priorità declinate sotto quattro tematiche principali: proteggere i cittadini e le libertà; sviluppare una base economica forte e vivace; costruire un'Europa verde, equa, sociale e a impatto climatico zero; promuovere gli interessi e i valori europei sulla scena mondiale.

Per quanto riguarda in particolare il ruolo dell’UE nella scena mondiale nell’Agenda strategica si indicano le seguenti priorità:

·        rafforzare le capacità di agire dell’UE in modo autonomo per tutelare i propri interessi e valori e promuovere il multilateralismo e l'ordine internazionale basato su regole;

·        sostenere la prospettiva europea degli Stati europei che sono in grado e desiderosi di aderire all’UE; perseguire una politica di vicinato ambiziosa; sviluppare un partenariato di ampio respiro con l'Africa; adoperarsi con i partner globali per la pace e la stabilità a livello mondiale; promuovere la democrazia e i diritti umani; promuovere una maggiore unita dell’UE nelle sue posizioni, esercitare la influenza in modo più determinato, stanziando maggiori risorse, facendo un uso migliore di quelle già disponibili, e attribuendo una priorità più chiara agli interessi economici, politici e di sicurezza europei;

·        controllo efficace delle frontiere esterne e sviluppare una politica migratoria globale pienamente funzionante, approfondendo la cooperazione con i paesi di origine e di transito e trovando un consenso per la riforma del “regolamento Dublino” sulla base di un equilibrio tra responsabilità e solidarietà;

·        intensificare la lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera;

·        protezione dalle attività informatiche dolose, dalle minacce ibride e dalla disinformazione provenienti da attori statali e non statali ostili;

·        sostenere la lotta contro i cambiamenti climatici, la promozione dello sviluppo sostenibile e l’attuazione dell’Agenda 2030;

·        promuovere una politica commerciale ambiziosa, che assicuri una concorrenza leale e reciprocità, sia a livello multilaterale nell'ambito di un'OMC riformata, sia nelle relazioni bilaterali tra l'UE e i suoi partner;

·        a far diventare la PESC e la PSDC più reattive e meglio collegate agli altri aspetti delle relazioni esterne e assumere maggiore responsabilità per la sicurezza e difesa dell’UE, in particolare incrementando gli investimenti nel settore della difesa, sviluppando capacità e prontezza operativa e collaborando con la NATO;

·        promuovere le relazioni con i partner strategici, compresi i partner transatlantici, e con le potenze emergenti, moltiplicando le sinergie tra l'UE e i livelli bilaterali e presentando l'UE come un fronte unito nelle discussioni con le altre potenze mondiali.

L’Agenda strategica indica, altresì, che per la realizzazione delle sopracitate priorità l'UE deve affrontare le sfide interne ed esterne in modo integrato.


 


Sessione II: Una prospettiva europea credibile per i Paesi dei Balcani occidentali

Quadro riepilogativo

Attualmente i Paesi dei Balcani occidentali che hanno status di Paese candidato e per i quali sono in corso negoziati di adesione sono: Montenegro, Serbia.

Con il Montenegro dall’avvio dei negoziati, nel giugno 2012, sono stati al momento aperti 32 capitoli negoziali (sui 35 totali) di cui 3 sono stati chiusi (Scienza e ricerca; Educazione e cultura; Relazioni esterne); con la Serbia, dall’avvio dei negoziati, nel gennaio 2014, sono stati aperti 18 capitoli negoziali (sui 35 totali) di cui 2 sono stati chiusi (Scienza e ricerca; Educazione e cultura).

 Hanno status di Paese candidato Albania e Repubblica della Macedonia del Nord, ma i relativi negoziati di adesione non sono ancora stati avviati.

Non hanno ancora status di Paese candidato, ma sono qualificati come “potenziali candidati”, Bosnia-Erzegovina e Kosovo.

Il Consiglio affari generali del 24 marzo 2020 dovrebbe tornare ad esaminare la decisione sull’avvio dei negoziati di adesione con Albania e Repubblica della Macedonia del Nord, che dovrebbe poi essere avallata dal Consiglio europeo del 26 e 27 marzo 2020.

La Commissione europea ha presentato il 5 febbraio 2020 proposte per rivedere la metodologia dei negoziati per l’adesione all’UE, come sollecitato in particolare dalla Francia che ha fino ad ora esercitato un sostanziale veto sull’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord.

Il 6 e 7 maggio 2020 si svolgerà a Zagabria il Vertice dei capi di Stati e di Governo dell’UE e dei paesi dei Balcani occidentali, in vista del quale la Commissione europea ha annunciato che presenterà un piano per gli investimenti e l’integrazione socio-economica nella regione dei Balcani occidentali.

Discussione in seno al Consiglio dell’UE

Il 15 ottobre 2019, il Consiglio Affari generali dell'UE, per mancanza di unanimità, ha ulteriormente rinviato l'apertura dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord (il Consiglio aveva già rinviato tale decisione nel giugno 2018 e nel giugno 2019).

 In particolare, si sono pronunciate contro le delegazioni di Danimarca, Francia e Paesi Bassi. La Francia, in particolare, avrebbe, invece, esercitato un sostanziale veto (l’avvio dei negoziati è infatti deciso all’unanimità) sull’apertura dei negoziati motivato dalla necessità di procedere ad una revisione sia della metodologia dei negoziati per dare una maggiore rilevanza alla valutazione dello stato di diritto, sia, più complessivamente, del funzionamento dell’UE, prima di un futuro ulteriore allargamento. L’Italia ha sempre espresso in seno al Consiglio una posizione fortemente favorevole all’apertura dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord.

Il Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre 2019, prendendo atto della mancanza di consenso tra gli Stati membri, ha indicato che tornerà sulla questione dell'allargamento prima del vertice UE-Balcani occidentali che si terrà a Zagabria il 7 maggio 2020.

Secondo fonti della Rappresentanza italiana presso l’UE a Bruxelles, il Commissario europeo Verhelyi, a seguito degli ultimi contatti avuti a fine gennaio 2020, avrebbe espresso un cauto ottimismo sulla apertura dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord, confermato dall’impegno delle autorità di Francia e Paesi bassi nel superare le resistenze interne. Il Commissario tenderebbe inoltre ad escludere l’ipotesi di un “decoupling” di Albania e Macedonia del Nord, che potrebbe inserire un elemento di destabilizzazione a livello regionale.

Iniziative della Commissione europea

Proposte di riforma del metodo dei negoziati di adesione

La Commissione europea ha presentato il 5 febbraio 2020 una comunicazione contenente proposte per una riforma del metodo dei negoziati di adesione, nella quale si accolgono molte delle istanze che erano state avanzate dalla Francia e dall’Italia ed altri Stati membri in non paper[2] presentati a novembre e dicembre 2019.

Le proposte che, se avallate dal Consiglio dell’UE, si dovrebbero applicare ai prossimi negoziati di adesione - ma potranno essere applicati anche ai negoziati già in corso con Montenegro e Serbia se tali paesi lo riterranno – prevedono di riorganizzare il processo di adesione sulla base di:

·        un processo più credibile: il processo di adesione deve poggiare su solide basi di fiducia reciproca e impegni chiari da parte dell'Unione europea e dei Balcani occidentali e si dovrebbe concentrare sulle riforme fondamentali: lo Stato di diritto, il funzionamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione e l'economia dei paesi candidati;

·        un approccio politico più forte, prevedendo una maggiore frequenza dei vertici UE-Balcani occidentali (attualmente con cadenza biennale, l’Italia ha proposto una cadenza annuale) e contatti ministeriali più frequenti e un maggiore coinvolgimento degli Stati membri nel monitoraggio e nel riesame del processo;

·        una organizzazione più dinamica dei negoziati sui differenti capitoli negoziali, attraverso il raggruppamento degli attuali 35 capitoli negoziali in sei gruppi tematici:

¾           questioni fondamentali;

¾           mercato interno;

¾           competitività e crescita inclusiva;

¾           agenda verde e connettività sostenibile;

¾           risorse, agricoltura e coesione;

¾           relazioni esterne.

 

Si passerebbe da un approccio basato sull’apertura (e chiusura) di singoli capitoli negoziali ad approccio basato sull’apertura (e chiusura) di gruppi di capitoli (cluster). I negoziati sui gruppi potranno essere avviati anche in parallelo (come richiesto dall’Italia, e non in successione, come previsto dalla Francia, nei rispettivi non paper). I paesi saranno liberi di scegliere quali gruppi di capitoli aprire, con la sola eccezione del gruppo sulle questioni fondamentali, i cui negoziati saranno avviati per primi e chiusi per ultimi ed i cui progressi determineranno il ritmo generale dei negoziati. I negoziati per ogni gruppo, in funzione dei progressi delle riforme, dovrebbero indicativamente essere conclusi in un anno;

·        un processo più prevedibile: la Commissione definirà con maggior precisione le condizioni fissate per valutare i progressi nel processo di adesione e offrirà un sistema di incentivi ai paesi più meritevoli, quali l'integrazione graduale nelle politiche e nel mercato dell’UE e la partecipazione ai programmi dell'UE, nonché maggiori finanziamenti e investimenti (approccio proposto, in particolare, anche dall’Italia);

·        analogamente, la Commissione (accogliendo, in particolare, le proposte della Francia) propone di sanzionare l’eventuale stallo o regresso grave o prolungato nell'attuazione delle riforme e nel rispetto dei requisiti del processo di adesione, con la possibilità di sospendere i negoziati o, nei casi più gravi, riaprire capitoli già chiusi e sospendere o ritirare l'accesso ai programmi e ai finanziamenti dell’UE.

La Commissione europea annuncia anche che, in vista del vertice Unione europea-Balcani occidentali che si terrà a Zagabria il 6 e 7 maggio 2020, intende presentare un complessivo piano per gli investimenti e l’integrazione socioeconomica nella regione dei Balcani occidentali.

 

 

Le priorità della nuova Commissione europea

Presidente della Commissione europea

La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è espressa a favore della prospettiva europea dei Balcani occidentali, sottolineando l’importanza di promuovere il processo di riforma in tale regione e che il processo di adesione offre una opportunità unica per promuovere e condividere gli interessi ed i valori dell’Unione europea.

La Presidente ha, inoltre, espresso sostegno alla proposta di avviare negoziati con l'Albania e la Macedonia del Nord.

Le dichiarazioni programmatiche del Commissario designato per il vicinato e l'allargamento

Il Commissario per le politiche di vicinato e di allargamento, Oliver Varhelyi, in audizione al Parlamento europeo il 14 novembre 2019 ha:

·        ribadito come la prospettiva europea dei Balcani occidentali rimane perfettamente integra ed ha dichiarato di voler promuovere il progresso delle riforme in tali paesi e, in particolare, lo Stato di diritto, lo sviluppo economico, il funzionamento delle istituzioni democratiche e la riforma della pubblica amministrazione;

·        sottolineato come la metodologia andrebbe rivista e rafforzata in modo da assicurare un maggiore dinamismo per i Paesi candidati che hanno la volontà e i mezzi per accelerare i processi;

·        ribadito l’importanza del rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, indicando che se non si registrano progressi o si verificano passi indietro in tale ambiti i negoziati di adesione possono essere bloccati e l'assistenza finanziaria può essere sospesa;

·        indicato i seguenti obiettivi da raggiungere nel corso del suo mandato:

-              promuovere lo sviluppo significativo dei Balcani e la liberalizzazione completa dei visti;

-              piena pacificazione tra Serbia e Kosovo;

-              avanzamento dei negoziati di adesione con la Macedonia del Nord e l'Albania;

-              conclusione dei negoziati di adesione con la Serbia.

 

Il processo di Berlino

Il Processo di Berlino è una iniziativa di cooperazione di natura intergovernativa, voluta dalla Germania e inaugurata con il primo Vertice tenutosi a Berlino il 28 agosto 2014.

Partecipano a tale iniziativa 7 Stati membri dell’UE (Austria, Croazia, Francia, Germania, Italia, Slovenia e da ultimo anche il Regno Unito) e i 6 paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia Erzegovina, Ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Montenegro e Serbia).

In occasione del Vertice di Berlino nel 2014 è stata concordata l’agenda della connettività, volta a migliorare i collegamenti tra i Balcani occidentali e l’UE, puntando su progetti prioritari volti a stimolare gli investimenti e a promuovere crescita e occupazione, ma anche sull’adozione di standard tecnici e misure regolamentari, in tema di allineamento e semplificazione delle procedure di attraversamento delle frontiere, riforme ferroviarie, sicurezza stradale e manutenzione, accesso di terzi al mercato dei trasporti.

Uno dei primi risultati del Processo di Berlino è stato rappresentato dall’estensione della TEN-T (rete transeuropea dei trasporti) anche alla regione dei Balcani occidentali, concordata ad aprile 2015 (vedi figura 1) con un finanziamento complessivo per il periodo 2015-2020 da parte dell’UE di circa 1 miliardo di euro volti a promuovere investimenti totali per circa 4 miliardi di euro destinati a circa 39 progetti nella regione.

 

 

Figura 1 - Estensione delle reti TEN-T ai paesi dei Balcani occidentali

 

In occasione dell’ultimo vertice del processo di Berlino, che si è svolto a Pozna? (Polonia), il 4 e 5 luglio 2019 l'UE ha confermato l’impegno dell’UE a rafforzare la cooperazione con la regione attraverso una serie di misure concrete incentrate su cinque settori fondamentali: trasporti ed energia, tecnologie digitali, economia, sicurezza.

La Strategia adriatico-ionica

La Strategia adriatico-ionica, approvata dal Consiglio europeo di ottobre 2014 (durante il semestre di Presidenza italiana dell’UE), è rivolta ad otto Paesi di cui quattro Stati membri (Croazia, Grecia, Italia e Slovenia) e quattro Paesi dei Balcani occidentali, che non fanno ancora parte dell’UE (Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia).

La Strategia ha l'obiettivo di promuovere una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva sulla base di quattro obiettivi:

·        crescita blu: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Grecia e Montenegro, è favorire una crescita innovativa, in particolare nei settori della pesca e dell'acquacoltura;

·        collegare la regione: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Italia e Serbia, è migliorare la connettività dei trasporti e dell'energia nella regione e con il resto dell'Europa;

·        qualità ambientale: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Slovenia e Bosnia-Erzegovina, è ridurre l'inquinamento del mare e dell’aria, arrestando la perdita di biodiversità e la degradazione degli ecosistemi;

·        turismo sostenibile: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Croazia e Albania, è sviluppare appieno il potenziale della regione in termini di turismo, favorendo la diversificazione dei prodotti e dei servizi turistici.

Assistenza finanziaria dell’UE nell’ambito dello strumento di preadesione

Nell'ambito del Quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2014-2020, il regolamento (UE) n. 231/2014, che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA II), prevede uno stanziamento complessivo per l’intero periodo 2014-2020 di circa 11 miliardi di euro (che corrispondono a circa l’1 per cento degli stanziamenti complessivi per tutte le rubriche del Quadro finanziario pluriennale 2014-2020) cosi suddivisivi:

·                Albania: 649,5 milioni di euro;

·                Bosnia Erzegovina: 165,8 milioni di euro;

·                Repubblica della Macedonia del Nord: 664,2 milioni di euro;

·                Kosovo: 645,5 milioni di euro;

·                Montenegro: 270,5 milioni di euro;

·                Serbia: 1.508 milioni di euro;

·               Programmi multi beneficiari: 2.958,7 milioni di euro.

Nel contesto dei negoziati relativi al prossimo Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la Commissione europea ha presentato, il 14 giugno 2018, la proposta di regolamento relativa allo strumento di assistenza di preadesione (IPA III) (COM(2018)465) che prevede uno stanziamento complessivo per tutti i paesi interessati dal processo di adesione all’UE (compresa la Turchia) di circa 14,5 miliardi di euro (non è ancora stata definita una ripartizione per paese).

La proposta è stata approvata dal Parlamento europeo, in prima lettura, il 27 marzo 2019, che, oltre ad aumentare lo stanziamento a circa 14,6 miliardi di euro, ha previsto la possibilità di sospendere l’erogazione degli aiuti in caso di violazioni dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali da parte dei singoli paesi.

In occasione del Consiglio europeo straordinario del 20 e 21 febbraio 2020, dedicato al Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha presentato una proposta complessiva che per quanto riguarda, in particolare, lo strumento di assistenza preadesione (IPA III), prevede di ridurne lo stanziamento a 11,3 miliardi di euro.

Priorità del Governo Italiano

Nella Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’UE per il 2020, il Governo indica che:

·        la strategia di allargamento dell’Unione europea verso i Paesi dei Balcani occidentali rappresenta per il Governo uno strumento politico prioritario per garantire il consolidamento della democrazia, della sicurezza e della stabilità politico-economica ai confini dell’Italia e per rafforzare l’UE sia sul piano interno sia su quello internazionale. L’Italia ritiene imprescindibile, in questa fase, preservare la credibilità del processo di allargamento, evitare effetti destabilizzanti nella regione e controbilanciare l’accresciuta presenza di attori terzi come Russia, Cina e Turchia;

·        in relazione alla questione della capacità di assorbimento dell’UE di nuovi Stati membri, continuerà a sostenere che l’avanzamento delle riforme istituzionali interne all’UE deve proseguire in parallelo con il processo di allargamento, senza congelarne gli sviluppi;

·        continuerà a sostenere la necessità di una rapida decisione di apertura dei negoziati di adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord, inclusiva di un riferimento temporale certo per la convocazione della prima conferenza intergovernativa;

·        appoggerà l’avanzamento dei negoziati di adesione con il Montenegro, e la Serbia, offrendo massimo supporto alla progressiva normalizzazione delle relazioni bilaterali tra Serbia e Kosovo;

·        continuerà ad appoggiare il percorso di integrazione europea della Bosnia Erzegovina, incoraggiando le autorità bosniache ad attuare le riforme prioritarie richieste da parte europea per l’ottenimento della candidatura stessa, a partire dall’attuazione dei criteri di Copenaghen in tema di garanzia delle istituzioni democratiche, Stato di diritto, diritti umani e delle minoranze;

·        presterà particolare attenzione affinché nell’ambito della programmazione del QFP 2021-2027 siano assicurate agli strumenti di preadesione adeguate risorse finanziarie.

 

 





 

Workshop 1: Il Partenariato orientale

 

Quadro riepilogativo

Il Partenariato orientale ha l'obiettivo di rafforzare la dimensione orientale della Politica europea di vicinato dell’UE, in modo complementare rispetto alle politiche a favore dei paesi del vicinato meridionale.

Il Partenariato orientale è stato avviato nel 2009 in occasione del Vertice di Praga, sulla base dell’articolo 8 del TUE[3]; nel 2019 è stato celebrato il 10° anniversario del Partenariato orientale.

I paesi coinvolti sono Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina.

In occasione dell’ultimo vertice biennale tra l’UE e gli Stati del Partenariato orientale, svoltosi a Bruxelles nel 2017 sono stati fissati 20 obiettivi per il partenariato orientale da realizzare entro il 2020 (v. infra).

Nella scorsa legislatura europea, la Commissione europea ha avviato una consultazione, che si è conclusa il 31 ottobre 2019 – ed alla quale ha partecipato anche il Governo italiano con un non paper (v. infra) - in vista della presentazione il prossimo 28 marzo di una comunicazione relativa alla riformulazione degli obiettivi e della struttura della politica a favore del partenariato orientale, volta a fornire una base di discussione per il prossimo Vertice dell’UE e dei paesi dei Balcani occidentali che si svolgerà il 6/7 maggio 2020 a Zagabria.

Priorità del Governo italiano

Nell’ambito della consultazione avviata dalla Commissione europea nella scorsa legislatura (v. supra) il Governo italiano ha presentato un contributo sotto forma di non paper sulle prospettive del partenariato orientale nel quale in particolare indica che:

·        nello scenario attuale è essenziale mantenere l’attuale livello di cooperazione sia con i paesi del Mediterraneo meridionale sia con i paesi del partenariato orientale, e conseguentemente adeguate risorse finanziarie nell’ambito dei negoziati sul futuro quadro finanziario pluriennale 2021-2027 (v. infra);

Il Governo nella relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’EU per il 2020 ha poi indicato che nei negoziati sul prossimo QFP 2021-2027, sosterrà l’attuale criterio di ripartizione di 1/3 ai paesi del vicinato orientale e 2/3 ai paesi del vicinato meridionale.

·        occorre definire una cornice unitaria che, pur sulla base dei principio di differenziazione tra le situazioni dei singoli paesi, si concentri su su obiettivi concreti nel quadro dell’iniziativa già in corso dei 20 obiettivi da raggiungere per il 2020 (“20 deliverables for 2020”, v. infra) che dovrebbe essere confermata per la strategia per il partenariato orientale post 2020, con gli opportuni adattamenti in linea con le priorità della nuova Commissione europea, e in particolare le inziative per l’adattamento al cambiamento climatico, la promozione delle energie rinnovabili e la protezione dell’ambiente;

·        dovrebbe essere proseguito il sostegno alle imprese (in particolare PMI) e la creazione di un ambiente imprenditoriale e di investimenti che possa sfuttare pienamente i vantaggi degli accordi di associazione e delle zone di libero scambio tra EU e i paesi del Partenariato orientale (attualmente esistenti solo per Georgia, Moldova e Ucraina). Per i paesi che non hanno accordi di associazione con l’UE comprensivi di aree di libero scambio, dovrebbe essere promossa l’assitenza tecnica attraverso programmi di gemellaggi (Twinning) e seminari TAIEX;

Il Twinning (gemellaggio) è uno strumento di cooperazione istituzionale utilizzato dall’UE mediante il quale le pubbliche amministrazioni nei paesi dell’UE condividono le proprie competenze con i loro omologhi nelle pubbliche amministrazioni di paesi partner. TAIEX è lo strumento di assistenza tecnica e scambio di informazioni della Commisione europea per il potenziamento delle istituzioni. Fornisce assistenza a breve termine ai paesi partner sotto forma di sostegno all’adeguamento delle leggi, norme e procedure nazionali all’intero corpo di diritto dell’UE contenuto nell’acquis). TAIEX è rivolto alle amministrazioni pubbliche centrali; autorità giudiziarie e incaricate dell’applicazione della legge; parlamenti e rispettivi funzionari; rappresentanti delle parti sociali, dei sindacati e delle associazioni dei datori di lavoro. TAIEX offre sostegno in tre forme principali: workshop; missioni di esperti; visite-studio.

·        l’attenzione dell’UE si dovrebbe, in particolare, concentrare sul processo di riforma nei seguenti ambiti: Stato di diritto, diritti fondamentali, riforma della pubblica amministrazione, lotta contro la corruzione e indipendenza della magistratura;

·        nell’ambito del rafforzamento dello Stato di diritto, particolare enfasi dovrebbe essere posta nel rinforzare la società civile nei paesi del Partenariato orientale e promuovere i contatti tra le persone;

·        dovrebbe essere mantenuta una strategia di comunicazione dell’UE, con un approccio non antagonizzante con i paesi del partenariato orientale;

·        tra i 20 obiettivi per il 2020 occorre aumentare gli sforzi sull’uguaglianza di genere, sulle politiche contro la discriminazione e per un maggior coinvolgimento della società civile, in particolare dei giovani;

·        una maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata al fenomeno dell’emigrazione di natura intellettuale ed accademica dei giovani ed a sviluppare una strategia coerente per valorizzare il capitale umano e aumentare le possibilità occupazionali offerte dal mercato del lavoro.

Secondo quanto indicato nella relazione programmatica 2020 sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, trasmessa alle Camere il 24 gennaio scorso, nell’ambito delle politiche di vicinato dell’Unione europea, il Governo ha continuato a farsi portatore dell’esigenza di non caratterizzare con una dimensione antagonizzante il Partenariato orientale (PO), valorizzando piuttosto esigenze e peculiarità di ogni Paese, con un’attenzione particolare ad investire sul rafforzamento della resilienza dei partner di fronte alle minacce.

Come ribadito, nel dicembre dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte[4], l’Italia continua a lavorare per realizzare gli obiettivi di lungo termine d’integrazione economica, associazione politica e libertà di movimento tra l ’UE ed i partner orientali, ponendo attenzione all’impatto che le relazioni con i “vicini dei nostri vicini” hanno sulla PEV stessa, anche attraverso la concreta attuazione dei venti obiettivi per il 2020, concordati proprio al Vertice di Bruxelles.

L’Italia continua a sostenere convintamente l’Ucraina, anche per quanto riguarda la piena attuazione dell’Accordo di associazione con l’UE che dovrebbe offrire, nel tempo, stabilità e prosperità ai vicini in tutta la regione.

Tale sostegno è stato ribadito anche in sede di diplomazia parlamentare, da ultimo con i colloqui a Roma, il 10 febbraio scorso, del Ministro degli Affari esteri ucraino Vadym Prystaiko con il Presidente della Camera, Roberto Fico e con la Presidente della Commissione Affari esteri, Marta Grande.

L’Italia sostiene altresì Moldova e Georgia, affinché possano efficacemente portare avanti il percorso di riforme in attuazione dei rispettivi accordi di associazione, comprensivi di area di libero scambio ampia e approfondita e delle intese relative alla liberalizzazione dei visti per i propri cittadini.

È altresì intenzione della diplomazia italiana sostenere la conclusione e l’attuazione di formule relazionali specifiche per quei partner che non intendono – o non sono in grado di – impegnarsi in un percorso negoziale così approfondito con l’UE.

Si tratta in particolare di Armenia (con la quale la UE ha firmato l’Accordo di partenariato globale e rafforzato[5]) e Azerbaigian (con cui sono in corso i negoziati per un nuovo Accordo quadro).

Per quanto concerne la Bielorussia, l’Italia intende sostenere il rinnovato dialogo europeo con quel Paese, anche alla luce della definizione delle priorità di partenariato avvenuta a fine 2018. Al fine di contribuire fattivamente al funzionamento del mercato unico dell'UE anche oltre i confini europei, il Governo continuerà, tra l’altro, a seguire e a partecipare attivamente al processo volto a promuovere l’allargamento ad est delle reti di trasporto transeuropee nonché dei Corridoi multimodali, al fine di rafforzare la cooperazione con i suddetti Paesi spingendosi fino all’estremo Oriente, con il chiaro obiettivo di realizzare una rete paneuropea per merci e passeggeri.

L'evoluzione del Partenariato orientale

Nell’ambito del partenariato orientale, le relazioni dell'UE con tali paesi si articolano in tre tipologie principali di strumenti:

·        relazioni contrattuali nuove e approfondite, tramite accordi di associazione - progressivamente subentranti a quelli di partenariato - e la creazione di zone di libero scambio globali e approfondite (DCFTA);

Le disposizioni sull’istituzione di un’area di libero scambio con l’UE, previste nell’ambito degli accordi di associazione con l’UE sono entrate in vigore (all’inizio provvisoriamente, successivamente definitivamente) per Georgia e Moldova (dal settembre del 2014) e Ucraina (dal gennaio 2016).

·        mobilità dei cittadini e liberalizzazione dei visti, promossi tramite accordi di riammissione e facilitazione del visto, nella prospettiva di instaurare veri e propri regimi di esenzione;

Accordi di liberalizzazione dei visti con l’UE sono in vigore con Georgia, Moldova ed Ucraina. Accordi di riammissione e facilitazione dei visti sono in vigore per Armenia ed Azerbaigian. La Bielorussia, ha firmato l’8 gennaio 2020 un accordo di riammissione e facilitazione dei visti che, dopo l’approvazione formale da parte dell’UE e della Bielorussia, dovrebbe entrare in vigore il 1° giugno 2020.

·        rafforzamento della cooperazione settoriale, in particolare nel settore energetico, e facilitazione della partecipazione dei paesi partner ai programmi dell'Unione.

Le linee-guida del Partenariato orientale sono state ricalibrate nel 2011, con l’introduzione di un nuovo approccio, definito more for more, che calibra il flusso di fondi da concedere ai paesi del vicinato sulla base del livello e della profondità dei processi di riforme interne.

Le valutazioni di esperti e stakeholders sui risultati conseguiti dal Partenariato orientale sono state polarizzate tra chi li considera ampiamente positivi, nonostante gli incidenti di percorso, e chi ne denunciava il sostanziale fallimento.

Se da un lato gli accordi di associazione rappresentano uno degli strumenti più ambiziosi che l'UE abbia concepito e realizzato nell'ambito dei suoi rapporti bi e multilaterali, dall'altro va ricordato che essi sono stati finalizzati solo con Georgia, Moldova, Ucraina e che anche tali paesi sono ancora ben lungi dal rispettare a pieno gli standard UE, nonostante le numerose riforme interne finalizzate nel corso degli ultimi anni.

Per quanto concerne lo scenario internazionale, gli sviluppi interni in tutti i paesi del Partenariato orientale sono spesso influenzati dalla Russia, che, negli ultimi anni, anche in reazione e in contrapposizione alle politiche dell'UE, ha assunto una forte iniziativa di espansione regionale, proponendosi quale partner politico, economico e commerciale.

 

Il Vertice di Bruxelles e i 20 obbiettivi da realizzare entro il 2020

Vertici tra l’UE e gli Stati del Partenariato orientale si svolgono normalmente con cadenza biennale. L’ultimo vertice si è svolto a Bruxelles nel 2017 e il prossimo si svolgerà a Zagabria il 6/7 maggio 2020.

Il Vertice svoltosi a Bruxelles il 24 novembre 2017 è culminato in una Dichiarazione congiunta nella quale sono stati fissati, tra l'altro, 20 obiettivi da realizzare entro il 2020 (“20 deliverables for 2020).

Obiettivi trasversali

1.              dialogo con le organizzazioni della società civile;

2.              rispetto della di parità di genere e non discriminazione;

3.              rafforzare la comunicazione strategica dell’UE e la pluralità e l’indipendenza dei media;

Sviluppo economico e opportunità di mercato

4.              crescita delle PMI e migliore contesto imprenditoriale;

5.              facilitare l'accesso ai finanziamenti;

6.              nuove opportunità di lavoro, diversificando l'attività economica;

7.              armonizzazione dei mercati digitali tra i paesi partner e con l'UE;

8.              sostenere il commercio tra l'UE e i paesi partner nell’ambito delle zone di libero scambio con Georgia, Moldova, Ucraina;

Consolidamento delle istituzioni e governance

9.              consolidamento dello stato di diritto e contrasto alla corruzione;

10.            riforme in materia di indipendenza, imparzialità, efficienza della magistratura;

11.            riforma della pubblica amministrazione;

12.            cooperazione più stretta nel settore della sicurezza e della gestione del rischio di catastrofi;

Competitività, efficienza energetica, ambiente e cambiamenti climatici

13.           ampliamento della rete dei trasporti europea (TEN-T), ai paesi del Partenariato orientale entro il 2030;

14.           sicurezza dell'approvvigionamento energetico e interconnettività del gas e dell'elettricità tra i paesi partner e tra questi e l'Unione;

15.           crescita a basse emissioni di carbonio, efficienza energetica, ricorso a energie rinnovabili;

16.           protezione ambientale, gestione delle risorse idriche e cooperazione transnazionale, integrazione degli obiettivi ambientali nelle politiche settoriali;

Mobilità e contatti interpersonali

17.           monitoraggio dell’adempimento dei parametri in materia di liberalizzazione dei visti;

18.           investimenti nelle competenze, nell'imprenditorialità e nell'occupazione dei giovani;

19.           cooperazione e la comprensione multiculturale;

20.           promuovere l'integrazione dei sistemi di ricerca e innovazione dei paesi del Partenariato orientale e dell'UE promuovendo i partenariati ricerca-industria.

 

Lo stato di attuazione dei 20 obiettivi per il 2020

La Commissione europea ha effettuato nel marzo 2019 un check generale sullo stato di attuazione dei 20 obiettivi per il 2020, traendo le seguenti conclusioni:

·        tra gli obiettivi trasversali, sono necessari ancora progressi per un ambiente favorevole alla società civile, sostenere il pluralismo e l'indipendenza dei media e assicurare l’eguaglianza di genere;

·        per quanto riguarda il rafforzamento dell'economia, vi sono stati progressi nell’accesso delle PMI al credito e nel potenziamento delle relazioni commerciali tra paesi partner e UE. Ulteriori sforzi sono richiesti per l’armonizzazione dei mercati digitali e il rafforzamento degli scambi inter-regionali.

Rispetto al 2017 si registra un ulteriore incremento nel volume degli scambi commerciali pari al 12% per l'Armenia, al 28% per l'Azerbaigian, al 16% per la Bielorussia, al 3% per la Georgia, al 14% per la Moldova e al 9% per l'Ucraina. Inoltre il numero delle imprese dei tre paesi che hanno zone di libero scambio con l’UE, che esportano verso l’UE è aumentato considerevolmente (+ 35% in Georgia; + 40% in Moldova; + 26% in Ucraina);

·        devono ancora proseguire gli sforzi per il rafforzamento delle istituzioni e della governance, in particolare per lo Stato di diritto, le riforme del sistema giudiziario e la lotta contro la corruzione;

·        vi sono stati dei progressi per il potenziamento della connettività e per le misure attinenti alla sicurezza energetica e all'uso potenziato delle energie rinnovabili. Resta da assicurare un'ulteriore riduzione delle emissioni di Co2;

·        molto rilevanti sono stati i progressi nel settore della mobilità, con il lancio a Tbilisi della prima Scuola europea del partenariato orientale e il pieno accesso per tutti i partner ai programmi Orizzonte 2020 ed Erasmus+.

 

Estensione dei progetti della rete transeuropea di trasporto (TEN-T) ai paesi del partenariato orientale

La Commissione europea, in collaborazione con la Banca mondiale, ha presentato il 15 gennaio 2019 un nuovo piano d’azione indicativo per gli investimenti nella rete transeuropea di trasporto (TEN-T), che individua progetti prioritari in Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Repubblica di Moldova e Ucraina, per un investimento complessivo di quasi 13 miliardi di euro e un totale di 4800 chilometri di strade e ferrovie, 6 porti e 11 centri logistici.

L’Assemblea parlamentare del vicinato orientale

Su iniziativa del Parlamento europeo, ed al fine di associare il Parlamento europeo ai Parlamenti dei paesi del Partenariato orientale il 3 maggio 2011 è stata costituita a Bruxelles l’Assemblea parlamentare del vicinato orientale (EuroNEST PA).

Ad essa non partecipano i Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE.

L’Assemblea - che si riunisce una volta l’anno alternativamente in un Paese partner e presso il Parlamento europeo - è costituita da una delegazione del Parlamento europeo, composta da 60 membri, e dalle delegazioni dei Paesi partner, ciascuna composta da 10 membri (ad eccezione della Bielorussia, la cui partecipazione è al momento sospesa). L’assemblea è dotata di un proprio regolamento e può adottare risoluzioni e raccomandazioni a maggioranza dei due terzi dei votanti.

L’Assemblea plenaria EuroNest si è riunita 8 volte dalla sua istituzione; l’ultima riunione dell’Assemblea plenaria si è svolta a Tiblisi, in Georgia, dal 8 al 10 dicembre 2019, la prossima si dovrebbe svolgere a Bruxelles, presso il Parlamento europeo, nell’autunno 2020.

Assistenza finanziaria

Attuale quadro finanziario pluriennale 2014-2020

Nell’ambito dell’attuale Quadro finanziario pluriennale 2014 – 2020 lo strumento europeo di vicinato (ENI) prevede uno stanziamento complessivo per la politica di vicinato dell’UE di 15,4 miliardi di euro con un incremento rispetto alle precedenti prospettive finanziarie (11 miliardi circa nel periodo di programmazione 2007-2013), attribuiti per circa 2/3 ai paesi del vicinato meridionale e 1/3 ai paesi del vicinato orientale.

Per quanto riguarda i paesi del partenariato orientale, la ripartizione per la fase di programmazione 2014-2020 prevede le seguenti allocazioni finanziarie per paese:

Armenia: tra 252 e 308 milioni di euro, ripartiti tra sviluppo del settore privato (35%); riforma della pubblica amministrazione (25%); riforma del settore della giustizia (20%); supporto alla società civile (20%);

Azerbaigian: tra 139 e 169 milioni di euro, ripartiti tra sviluppo regionale e rurale (40%); riforma del settore della giustizia (20%); istruzione e formazione (20%); supporto alla società civile (20%);

Bielorussia: tra 129 e 158 milioni di euro, ripartiti tra inclusione sociale (30%); ambiente (25%); sviluppo economico regionale e locale (25%); supporto alla società civile (20%);

Georgia: tra 610 e 746 milioni di euro, ripartiti tra riforma della pubblica amministrazione (25%); agricoltura e sviluppo rurale (30%); riforma della giustizia (25%); supporto alla società civile (20%);

Moldova: tra 610 e 746 milioni di euro, ripartiti tra riforma della pubblica amministrazione (30%); Agricoltura e sviluppo rurale (30%); riforma delle forze di polizia e gestione delle frontiere (20%); supporto alla società civile (20%);

Ucraina: circa 1 miliardo di euro (a cui occorre pero aggiungere gli stanziamenti straordinari decisi dall’UE in favore dell’Ucraina, in seguito alla crisi con la Russia, che portano l’assistenza finanziaria dell’UE all’Ucraina a circa 13 miliardi per l’intero periodo).

La Commissione europea, in cooperazione con la Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) ha varato il 21 maggio 2015 uno strumento finanziario volto a promuovere le attività delle PMI per i paesi per i quali i nuovi accordi di associazione prevedono la creazione di un’area di libero scambio: Georgia, Moldova e Ucraina. Lo strumento con una dotazione di 200 milioni di euro dovrebbe promuovere investimenti per le PMI per un valore complessivo di 2 miliardi di euro.

Prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027

Nell’ambito dei negoziati per la definizione del prossimo Quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027, la Commissione europea ha proposto un nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI), con una dotazione - secondo la proposta iniziale della Commissione europea, attualmente in corso di negoziazione nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 - di 89,5 miliardi di euro, di cui 22 miliardi di euro per la politica di vicinato nel suo complesso (con un aumento del 50% rispetto agli stanziamenti 2014-2020, si ricorda però che le ultime proposte in discussione presso il Consiglio dell’UE prevedono una riduzione, rispetto alla proposta della Commissione, degli stanziamenti per la politica di vicinato alla quale sarebbero destinati 18,3 miliardi di euro).

Si ricorda che lo stanziamento per il vicinato è stato finora diretto per 1/3 ai paesi del Partenariato orientale e 2/3 ai Paesi del vicinato meridionale.

 

 


 


 

Workshop 2: PESCO: la sfida della coerenza delle iniziative dell'UE in materia di difesa e il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali

Il Consiglio affari esteri dell’Ue ha adottato nel dicembre del 2017 – sulla base della proposta presentata da Francia, Germania, Italia e Spagna – la decisione (PESC) 2017/2315 con la quale è stata istituita la cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa (Permanent Structured Cooperation - PESCO).

Gli Stati partecipanti hanno concordato di assumere una serie di impegni vincolanti, e cioè:

·        aumentare le risorse per i bilanci per la difesa, al fine di conseguire l’obiettivo di un aumento a medio termine della spesa per la difesa al 2% sul Pil (obiettivo concordato anche in ambito Nato), con una quota del 20% per investimenti nel settore della ricerca;

·        aumentare i progetti congiunti e collaborativi;

·        ravvicinare gli strumenti di difesa, in particolare armonizzando l'identificazione dei bisogni militari e promuovendo la cooperazione nei settori della formazione e della logistica;

·        rafforzare la disponibilità, l’interoperabilità, la flessibilità e la schierabilità delle forze;

·        partecipare allo sviluppo di programmi comuni di equipaggiamenti.

Alla PESCO partecipano 25 Stati membri dell’UE (tutti, tranne Danimarca e Malta). Potranno essere invitati a partecipare ad alcuni progetti anche Paesi terzi, secondo condizioni che dovranno essere specificate con una decisione del Consiglio. Sul punto vi sono però ancora molte divergenze tra gli Stati membri, che sono divisi tra quelli (ad esempio la Francia) che vorrebbero restringere la possibilità di partecipazione di Paesi terzi e quelli (tra cui l'Italia) che propendono invece per una maggiore apertura. Il tema è ovviamente molto delicato, perché riguarda non solo i rapporti con il Regno Unito e con gli Stati Uniti, ma anche possibili future collaborazioni con Paesi "controversi" (a cominciare dalla Turchia).

Il Consiglio Ue ha definito un vero e proprio "ciclo" della cooperazione strutturata (ad oggi annuale, ma probabilmente destinato a diventare biennale), con scadenze relative alla realizzazione e alla verifica dei progetti. Il primo passaggio è la pubblicazione dell'invito, rivolto agli Stati partecipanti, a presentare nuovi progetti. La selezione dei progetti, compiuta dal Servizio di azione esterna, coadiuvato dallo Stato Maggiore Ue, e dall'Agenzia europea la difesa, viene ratificata a livello politico dal Consiglio ("in linea di massima" entro il mese di novembre). A gennaio di ogni anno gli Stati partecipanti devono aggiornare il proprio piano di implementazione nazionale, indicando le attività che hanno svolto per l'avanzamento per i progetti di cui fanno parte. Entro il mese di aprile, l'Alto Rappresentante presenta il suo rapporto annuale, sulla base dei piani di implementazione nazionali e delle relazioni sull'andamento dei singoli progetti. Sulla base di questo rapporto, il Consiglio procede alla revisione annuale dei progetti, verificando che gli Stati partecipanti stiano assolvendo gli impegni che hanno assunto.

I progetti approvati

Nel quadro della PESCO sono stati fino ad ora approvati, tra il 2018 e il 2019, 47 progetti di cooperazione, in sei diversi ambiti[6].

Tra i progetti nel settore formazione e logistica si possono segnalare:

·        centro europeo di formazione e certificazione per eserciti (capofila Italia);

·        comando medico europeo (capofila Germania);

·        comunicazioni radio (capofila Francia);

·        hub logistico di supporto alle missioni ed operazioni (capofila Germania).

Nel settore terrestre:

·        sostegno militare in caso di catastrofi, emergenze civili e pandemie (capofila Italia);

·        sviluppo di veicoli militari di combattimento (capofila Italia);

·        sistema missilistico terrestre (capofila Francia, cui però l'Italia non partecipa).

Tra i progetti per il settore marittimo:

·        corvetta di pattuglia europea (capofila Italia);

·        sorveglianza marittima e protezione dei porti (capofila Italia);

·        sistema marittimo antisommergibile senza equipaggio (capofila Portogallo, cui l'Italia non partecipa).

Nell'ambito dei sistemi aerei, si possono segnalare:

·        sistema di droni di media altitudine e lunga durata (Eurodrone, capofila Germania);

·        elicottero europeo da attacco (TIGER Mark III) (capofila Francia, cui però l’Italia non partecipa);

·        sistema di contraerea automatizzato (capofila Italia).

Per il settore cyberdifesa/comando, controllo e comunicazione:

·        piattaforma europea per navigazione nell’alta atmosfera, con compiti di sorveglianza, intelligence e riconoscimento (capofila Italia);

·        squadre di reazione rapida di contrasto alle minacce alla cybersicurezza (capofila Lituania).

Per i sistemi interforze/abilitanti si possono segnalare:

·        rete per la sorveglianza dello spazio militare europeo (capofila Italia);

·        sistema globale europeo di architettura globale velivoli senza pilota (capofila Italia);

·        mobilità militare transfrontaliera (capofila Paesi Bassi)[7].

Nel 2020 non saranno approvati nuovi progetti, sia perché il numero di quelli già esistenti è considerato fin troppo alto (molti di essi non sono andati molto più avanti del mero stadio progettuale), sia perché quest'anno si conclude il primo ciclo di programmazione Pesco e le istituzioni europee (appena rinnovate) saranno chiamate a fare un riflessione sui prossimi sviluppi. Il punto centrale è quello delle risorse finanziarie per consentire un reale avanzamento dello sviluppo dei progetti. Appare dunque decisivo il percorso di approvazione (e la misura del finanziamento) del Fondo europeo della difesa (su cui vedi il paragrafo dedicato di questo dossier), senza le cui risorse molti progetti Pesco sono destinati a rimanere lettera morta. C'è poi l'esigenza di assicurare la coerenza con le iniziative nazionali, quelle in ambito Nato e in altri contesti multilaterali. Infine, si pone anche un tema di trasparenza e di informazione sulla cooperazione strutturata permanente, per assicurare un controllo parlamentare quanto più efficace, sia a livello nazionale che in ambito Ue.


 

Workshop 3: Il ruolo delle donne nel garantire pace e sicurezza

 

Un'Agenda ONU su Donne, pace e sicurezza: La risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza e le successive risoluzioni [8]

Il 31 ottobre 2000 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la Risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, primo documento del Consiglio che menziona esplicitamente l’impatto dei conflitti armati sulle donne. La risoluzione 1325 e le successive delineano un sistema ampio di obiettivi a garanzia della prevenzione, della partecipazione e protezione delle donne nei contesti di conflitto (paradigma delle 3”P”), focalizzando tre elementi:

1.  le donne ed i fanciulli rappresentano i gruppi più colpiti dai conflitti armati;

2.  le donne svolgono un ruolo imprescindibile sia nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, sia nelle attività di ricostruzione della pace;

3.  gli Stati membri dell’ONU sono invitati ad assicurare una più ampia partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, con particolare riferimento ai meccanismi di prevenzione, gestione e risoluzione del conflitto.

Il principio ispiratore della risoluzione - la “tolleranza zero” rispetto a tali forme di violenza che violano le norme internazionali e costituiscono comportamenti di rilievo penale - si applica ai militari, alle parti in conflitto nonché al personale militare e civile dell’Onu responsabile di abusi sessuali nelle aree di conflitto.

L’agenda del Consiglio di Sicurezza sulla tematica donne, pace e sicurezza, riprendendo lo schema delineato dalla Risoluzione 1325 che contiene precise indicazioni rivolte agli Stati membri, al Segretario Generale – con riferimento ai profili organizzativi e operativi dell’ONU – nonché impegni assunti direttamente dal Consiglio di Sicurezza, si caratterizza per l’individuazione di una dimensione centrale della donna, per definire azioni volte a:

·        aumentare la rappresentanza femminile nelle istituzioni a qualsiasi livello;

·        aumentare il sostegno finanziario, tecnico e logistico alle strutture dell’ONU impegnate nella formazione della cultura di genere;

·        coinvolgere le donne nei negoziati per gli accordi di pace e nei processi decisionali contestuali alla risoluzione dei conflitti e alla ricostruzione post conflitto;

·        fornire un’adeguata preparazione al personale civile e militare dispiegato in operazioni decise dal Consiglio di Sicurezza;

·        adottare misure speciali di protezione delle donne rispetto alla violenza di genere;

·        considerare le esigenze delle donne nella pianificazione post conflict dei programmi di disarmo, smobilitazione e reintegro.

Tale centralità femminile ritorna nelle Risoluzioni adottate negli anni successivi, sia pure con un approccio differente, in quanto il punto focale si sposta dalla questione della violenza contro le donne all’interno dei conflitti armati verso l’evidenziazione della partecipazione e del rafforzamento del ruolo femminile nella gestione e risoluzione di tali conflitti.

Sul tema specifico dei conflitti armati è ancora incentrata la Risoluzione 1820 (adottata il 19 giugno 2008), nella quale si afferma che la violenza sessuale in situazioni di conflitto armato può costituire crimine di guerra, crimine contro l’umanità e prefigurare genocidio. L’Italia, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza nel biennio 2007-2008, aveva profuso un intenso impegno in fase negoziale, con particolare riguardo al riconoscimento del nesso tra sicurezza internazionale e violenza sessuale nei casi in cui questa viene impiegata come tattica di guerra.

Con la Risoluzione 1888, del 30 settembre 2009, il Consiglio di Sicurezza ritorna sul tema prevedendo misure per fornire protezione a donne e bambini contro la violenza sessuale in situazioni di conflitto attraverso l’affidamento dei mandati per le operazioni di peacekeeping a esperti sul tema specifico. Il documento chiede al Segretario generale di nominare un Rappresentante speciale sulla violenza sessuale durante i conflitti armati (v. infra).

La successiva Risoluzione 1889 (2009) si incentra, in particolare, sul rafforzamento della partecipazione delle donne nei processi di pace, nonché sullo sviluppo di indicatori adatti a misurare i progressi nella realizzazione della risoluzione madre 1325.

Un’ulteriore Risoluzione, la 1960 (2010), è stata adottata all’unanimità il 16 dicembre 2010 dal Consiglio di Sicurezza, il quale ha chiesto alle parti coinvolte in conflitti armati di assumere specifici impegni ed indicare precise scadenze della lotta alla violenza sessuale, sollecitandole sul lato della prevenzione a proibire tali crimini attraverso la somministrazione di ordini precisi alle catene di comando e l’imposizione di codici di condotta e, sul versante giudiziario, ad indagare i presunti abusi affidandone tempestivamente alla giustizia i responsabili.

La Risoluzione 2106 (2013) del 24 giugno 2013 è specificamente focalizzata sul tema della violenza sessuale in situazioni di conflitto armato. Ribadisce la necessità di sforzi più intensi da parte di tutti gli Stati membri e gli enti delle Nazioni Unite, per l’attuazione dei mandati promananti dal complesso delle risoluzioni sul tema e per la lotta all’impunità per questi crimini.

La Risoluzione 2122 (2013) rafforza le misure che consentono alle donne di partecipare alle varie fasi di prevenzione e risoluzione dei conflitti, ponendo agli Stati membri, alle organizzazioni regionali ed alle stesse Nazioni Unite, l’obbligo di riservare seggi alle donne nei tavoli di pace. La risoluzione chiede poi ai responsabili delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite di effettuare valutazioni sulle violazioni dei diritti umani e degli abusi di donne nei conflitti armati e nelle situazioni di post conflitto e richiede alle missioni di peacekeeping di dare risposta alle minacce della sicurezza delle donne in situazioni di conflitto e post conflitto.

Con la Risoluzione 2242 (2015) viene riconosciuto il ruolo centrale della partecipazione delle donne nell’impegno globale per costruire la pace e la sicurezza, compresi i contributi strategici per contrastare la crescita dell’estremismo violento e trovare soluzioni alla complessa crisi della sicurezza internazionale. La Risoluzione è stata adottata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, nell’ambito di una valutazione complessiva sul livello di implementazione della 1325, recata dal Global Study Preventing conflict, transforming justice, securing the peace

L'11 marzo 2016 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2272 per il contrasto al fenomeno dei crimini sessuali commessi dai peacekeepers[9].

Ultimi aggiornamenti

Nel corso dei primi mesi del 2019, si è registrata un’intensa attività del Consiglio di sicurezza, attraverso incontri formali ed informali e con il coinvolgimento della società civile, sul tema della sicurezza delle donne nel corso dei conflitti armati, a partire dal rapporto del Segretario generale António Guterres sulla Conflict-related sexual violence. Alla fine del dibattito, cui ha partecipato anche Nadia Murad, yazida sopravvissuta alla violenza e insignita del premio Nobel per la pace, e di faticose negoziazioni, è stata approvata lo scorso 23 aprile con 13 voti favorevoli[10] la Risoluzione 2467 (2019), che intervenendo in tema violenza sessuale nei conflitti, ha ribadito la condanna della violenza sessuale come tattica di guerra e strumento del terrorismo internazionale. La risoluzione evidenzia che, data la responsabilità primaria degli Stati nella tutela dei diritti umani di ogni persona, debbano essere proprio gli Stati stessi ad adottare misure normative interne tese a contrastare il fenomeno da una parte, e prevedere meccanismi interni tesi a perseguire i responsabili. Le azioni degli Stati, infatti, devono essere orientate da un survivor-centred approach. I sopravvissuti alle violenze nei conflitti debbono essere posti al centro degli sforzi degli Stati, attraverso la previsione di misure che ne migliorino l’accesso alla giustizia e ai servizi medici e che semplifichino la loro reintegrazione nel tessuto sociale.

Da ultimo, è stata adottata dal Consiglio di sicurezza il 29 ottobre 2019 la Risoluzione 2493 (2019)[11] che esprime l’urgenza di garantire una partecipazione delle donne ai processi di pace fin dai primi momenti di un conflitto, promuovendo un loro pieno coinvolgimento nei processi di pace e nei tavoli negoziali di alto livello. L’obiettivo è rendere la partecipazione delle donne “full, equal and meaningful”.

L'Ufficio del Rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti

L’Ufficio del Rappresentante Speciale ONU per le violenze sessuali in situazioni di conflitto (OSRSG-SVC) è stato istituito nell’aprile 2010 sulla base della SCR 1888 (2009), e supporta il Rappresentante Speciale (SRSG-SVC), nominato dal Segretario Generale. Il primo Rappresentante è stata la svedese Margot Wallström; le è succeduta nella carica, dal settembre 2012, Zainab Hawa Bangura, della Sierra Leone. Dal 12 aprile 2017 è stata nominata Pramila Patten, della Repubblica di Mauritius.

Tre sono le priorità strategiche dell’attuale mandato:

·        convertire la cultura dell’impunità in quella della giustizia e della responsabilità, attraverso una consistente ed effettiva azione giudiziaria, che possa dissuadere e pertanto prevenire;

·        promuovere l’azione a livello nazionale per il supporto delle vittime, includendo cure sanitarie, sostegno psicologico, legale ed economico, soprattutto nei casi in cui le vittime siano scacciate dalle proprie famiglie;

·        individuare le radici di tale violenza nella strutturale ineguaglianza e discriminazione di genere, povertà e marginalizzazione.

 

La Rappresentante Speciale è il portavoce nonché il responsabile dell’ONU sullo specifico tema. In aggiunta a tale ruolo, presiede l’iniziativa UN Action Against Sexual Violence (e la sua International Campaign to Stop Rape & Gender Violence in Conflict).

Una funzione primaria dell’Ufficio è quella di preparare il Rapporto annuale dei Segretario generale sulla Violenza Sessuale nei Conflitti (CRSV).

L'implementazione della Risoluzione 1325 e i Piani d'azione Nazionale

Lo stato d’attuazione della Risoluzione 1325 a livello internazionale è illustrato in appositi rapporti del Segretario generale delle Nazioni Unite: a ottobre scorso, il Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres ha presentato il più recente rapporto. I progressi raggiunti nell’implementazione della Risoluzione 1325 e delle successive risoluzioni sul tema donne, pace e sicurezza non hanno ancora raggiunto il livello auspicabile e, ad esempio, sono ancora pochissime le azioni penali effettive contro la violenza sessuale, nonostante la condanna più volte ribadita e contenuta anche nella Dichiarazione sulla violenza sessuale nei conflitti dei Ministri degli esteri dei Paesi del G8 riuniti a Londra nel 2013.

A fronte dell’ampiezza del mandato della Risoluzione 1325 e della mancanza di indicazioni precettive in ordine all’attuazione delle sue disposizioni, e mentre si continuavano a registrare numerosi casi di violenza sessuale nelle aree di conflitto armato e post conflitto, il Consiglio di Sicurezza ha previsto, nel Presidential Statement del 28 ottobre 2004, la possibilità che gli Stati membri proseguissero sulla strada dell’attuazione della Risoluzione 1325 anche attraverso l’adozione di National Action Plans – NAPs (PAN- Piani di azione nazionali nell’acronimo italiano). Un rapporto del Segretario generale ONU dà conto ogni anno dei progressi compiuti.

A gennaio 2020 risultano essere 83 gli Stati membri (su un totale di 193, pari al 43 per cento) che hanno adottato un piano d’azione nazionale. Tra questi, sono 20 gli Stati membri UE. In particolare, da ultimo, hanno adottato un piano d’azione nazionale l'Armenia (febbraio 2019) e la Namibia (aprile 2019). Tuttavia, solo 28 PAN includono un budget stanziato per l'attuazione della Risoluzione e solo 25 contengono riferimenti al disarmo e indicano azioni specifiche per il suo conseguimento e per il controllo del commercio illecito di armi di piccolo calibro.

Sono stati adottati anche 11 Piani d’azione a livello di organizzazioni regionali, tra cui quelli dell'Unione Africana e dell'Unione europea.

Il quadro europeo

L'Unione europea e i suoi Stati membri sono impegnati ad attuare integralmente l'Agenda in materia di donne, pace e sicurezza, che comprende la Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e le risoluzioni successive, garantendo che tale Agenda sia pienamente integrata in tutte le politiche e iniziative dell'UE volte a promuovere l'importante ruolo dell'impegno delle donne a favore della pace sostenibile, della sicurezza, dei diritti umani, della giustizia e dello sviluppo.

Tra i più recenti documenti che tracciano le linee guida dell’UE in materia va ricordato il Piano d'azione sulla parità di genere 2016-2020 (GAP), adottato dal Consiglio il 26 ottobre 2015, basato sul documento congiunto dei servizi della Commissione e del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) sul tema Parità di genere ed emancipazione femminile: trasformare la vita delle donne e delle ragazze attraverso le relazioni esterne dell'UE (2016-2020). Il contributo finanziario UE in merito a Donne, pace e sicurezza è stato in media di 200 milioni l'anno, con interventi in più di 70 paesi in tutto il mondo, mirati all'implementazione dei Piani d'azione nazionali (PAN), alla formazione delle agenzie governative, a progetti di Ong per il contrasto della violenza di genere[12].

Il 31 maggio 2018 il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione su Parità di genere ed emancipazione femminile: Trasformare la vita delle donne e delle ragazze attraverso le relazioni esterne dell'UE 2016-2020. Tra i punti sollevati, l'invito all'UE a promuovere quadri giuridici e strategie che incoraggino una maggiore e più efficace partecipazione delle donne ai processi di mantenimento e di consolidamento della pace e di mediazione e alle missioni dell'UE, di gestione militare e civile delle crisi, in conformità della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulle donne, la pace e la sicurezza, prestando particolare attenzione alla violenza sessuale connessa ai conflitti. Anche la Risoluzione del Parlamento europeo del 12 marzo 2019 sulla costruzione di una capacità dell'UE di prevenzione e mediazione dei conflitti pone una forte enfasi su donne, pace e sicurezza.

Nella Relazione PESC sulle priorità per il 2018, l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha ricordato come l'UE sia impegnata a promuovere l'integrazione della prospettiva di genere nell'analisi, nella pianificazione e nello svolgimento delle operazioni e missioni PSDC e delle attività diplomatiche/politiche, al fine di sostenere l'emancipazione significativa, equa e trasversale delle donne, quale aspetto fondamentale per la pace, la sicurezza e lo sviluppo sostenibile.

Il 10 dicembre 2018 il Consiglio europeo, nelle Conclusioni su donne, pace e sicurezza, ha sostenuto di accogliere con favore il nuovo approccio strategico dell'UE in materia di donne, pace e sicurezza.

Anche nella Dichiarazione congiunta sulla Cooperazione NATO-UE la promozione dell'agenda Donne, pace e sicurezza è una priorità.

Il 25 novembre 2019 nelle Conclusioni del Consiglio dal titolo Attuazione del Piano d'azione dell'UE sulla parità di genere nel 2018: rafforzare la parità di genere e l'emancipazione femminile nell'azione esterna dell'UE, viene sottolineata la necessità di fornire con urgenza una risposta molto più approfondita, rapida e ambiziosa a livello globale, regionale e locale al fine di contribuire alla realizzazione dell'Agenda 2030 e dei relativi obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) nonché al raggiungimento dei traguardi legati al genere.

L’attuazione in Italia della Risoluzione 1325

In Italia il primo Piano d’azione nazionale Donne Pace e Sicurezza 2010-2013 è stato adottato nel dicembre 2010: ad esso ha fatto seguito, a novembre 2014, il secondo Piano nazionale, relativo al periodo 2014-2016. Il terzo Piano d’azione nazionale dell’Italia in attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325(2000) per gli anni 2016-2020 ha visto la luce nel dicembre 2016.

Il Piano si focalizza con particolare attenzione sulla situazione delle donne e delle minori in situazioni di conflitto e post-conflitto come pure negli Stati fragili, in quanto sopravvissute alla violenza e, soprattutto, quali “agenti per il cambiamento”. Ai fini di un’efficace attuazione del Piano si conferma l’approccio multi-stakeholder, integrato e olistico, che prevede il pieno coinvolgimento delle Organizzazioni della società civile, del mondo accademico, delle ONG, del settore privato e delle organizzazioni sindacali, già adottato nei precedenti Piani nazionali.

Il Piano – che per quanto abbia un contenuto strategico è concepito come work in progress oggetto di ulteriori integrazioni nel triennio a venire - è organizzato intorno a 7 obiettivi (goals) rispetto ai quali si precisano impegni (commitments), azioni, attori ed indicatori per la valutazione dell’efficacia e/o del risultato.

Di seguito i 7 obiettivi:

1)       rafforzare il ruolo delle donne nei processi di pace ed in tutti i processi decisionali;

2)       continuare a promuovere la prospettiva di genere nelle operazioni di pace;

3)       continuare ad assicurare una formazione specifica sui vari aspetti trasversali della Risoluzione 1325(2000);

4)       valorizzare ulteriormente la presenza delle donne nelle Forze Armate e nelle Forze di Polizia nazionali;

5)       proteggere i diritti umani delle donne e delle minori in aree di conflitto e post-conflitto;

6)       accrescere le sinergie con la società civile, per implementare la Risoluzione 1325;

7)       rafforzare  comunicazione strategica e result-oriented advocacy:

Quanto alle attività di monitoraggio e valutazione, il piano prevede la predisposizione di un progress report annuale, preparato dal CIDU in consultazione sia con la società civile, sia con il Parlamento.

Le risorse finanziarie per l’attuazione del Piano sono state stanziate dalle leggi di bilancio per il 2017 e  per il 2018, ed ammontano a 500.000 euro per ciascuna annualità 2017, 2018, 2019 e 2020. I criteri e le modalità di erogazione dei contributi sono contenuti in un decreto del direttore generale per gli affari politici e di sicurezza del MAECI dell'aprile 2019 (D.D.G. n. 133/2019).

L’Italia, sin dalla seconda edizione del Piano (2014 – 2016), ha deciso di introdurre un progress reporting annuale per considerare gli sviluppi progressivi di un settore, sicuramente dalla grande valenza strategica. Nel Report 2018 si evidenzia che in quell'anno ci si è focalizzati in particolare su: i) il valore trasformativo che le donne e le minori possono apportare ai processi di pace; ii) il profondere ogni sforzo per sostenere il ruolo delle Organizzazioni della società civile quale efficace strumento per una sua implementazione, il più possibile ampia e di successo. Questo impegno rientra tra gli sforzi italiani da ricondursi alla più ampia promozione e protezione della parità e dei diritti umani delle donne e delle minori, nella cornice degli obblighi dell’Italia derivanti dagli strumenti giuridici internazionali di settore, nonché alla luce di tutti gli impegni assunti nella cornice dell’Agenda di Sviluppo Sostenibile 2030, soprattutto gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 5 e 16.

È utile rammentare che  la legge 21 luglio 2016, n. 145 (cosiddetta legge-quadro sulle missioni internazionali) prevede che, nell’ambito della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, vengano adottate iniziative volte ad attuare la Risoluzione 1325 (2000) e le successive risoluzioni ONU, il Piano d’azione nazionale 2014-2016 e i piani successivi.

Nella Relazione analitica per il 2019 sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, la scheda 45 prevede, tra gli interventi di cooperazione allo sviluppo, la prevenzione, protezione e contrasto alla violenza sessuale sulle donne e le bambine, soprattutto quando usata come tattica di guerra, la tutela e il rispetto dei loro diritti umani, nonché misure a sostegno di iniziative di pace promosse dalle donne. Nella scheda 47, tra gli interventi finanziati vi sono le iniziative delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace e per favorire la partecipazione dei giovani e delle donne al Sustaining Peace.

Dalla Rete delle Donne mediatrici del Mediterraneo (MWMN) alla Alleanza globale delle Reti Regionali di Donne Mediatrici. Ruolo dell'Italia

Nel solco dell'Agenda Donne Pace e Sicurezza, in attuazione della Risoluzione 1325, si inserisce anche il lancio dell'Alleanza globale delle Reti Regionali di Donne Mediatrici avvenuto a settembre 2019, ai margini della 74° Assemblea generale dell'ONU. L'Alleanza nasce dalla cooperazione tra 4 reti regionali: la rete delle Donne mediatrici del Mediterraneo (MWMN) lanciata dall'Italia nel 2017 nell'ambito del suo mandato di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, la Rete delle Donne africane nella prevenzione dei conflitti e la mediazione (FemWise-Africa), la Rete delle Donne nordiche e quella delle Donne mediatrici nel Commonwealth. La creazione dell’Alleanza Globale mira a incrementare la partecipazione e l'influenza delle donne nei processi di pace, a tutti i livelli, mediante azioni condivise e concertate tra network che perseguono le medesime finalità.

A livello parlamentare, il 6 marzo 2019 la Camera dei Depuatati ha promosso l'incontro dedicato al tema "Donne, Pace e Sicurezza: verso i 20 anni della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite", in collaborazione con l'Ambasciata del Canada in Italia e con l'associazione Wiis Italy (Women in international security). L'evento era finalizzato a promuovere l'impegno internazionale per l'attuazione della Risoluzione n. 1325, in vista delle celebrazioni per i vent'anni dalla sua approvazione unanime da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, attraverso il racconto e la riflessione sull'esperienza di protagoniste di eccellenza, che hanno patito e si sono spese in prima persona per la pace in aree di crisi.


 

 

Sessione III – rafforzare la cooperazione e l’industria della difesa europea

Un punto di situazione

Negli ultimi anni, caratterizzati da grandi difficoltà per la costruzione europea, proprio i temi della difesa, tradizionalmente rivendicati, più di altri, come gelosa sovranità dagli Stati nazionali, sono stati caratterizzati da significativi progressi, favoriti da una serie di vincoli interni (tra cui le ristrettezze dei bilanci nazionali) e dal mutato quadro internazionale (crescenti sfide alla sicurezza e mutata postura degli Stati Uniti).

Nel quadro complessivo delle diverse iniziative avviate in ambito PSDC ci sono, ovviamente luci ed ombre. A cominciare dall'implementazione della Cooperazione strutturata permanente (PESCO) (su cui vedi il paragrafo dedicato), dei cui tanti programmi finora approvati, parecchi non sono andati molto più in là dello stadio meramente progettuale. Altri invece, a partire da quello sulla mobilità militare transfrontaliera, procedono a passo abbastanza spedito (con risorse dedicate) anche perché rispondono a esigenze varie (anche della Nato) e hanno effetti immediati di tipo dual use (ad esempio in caso in calamità naturali). Il Fondo europeo per la difesa (EDF) (su cui infra) presuppone cooperazione, sinergie e specializzazioni nell'industria della difesa, finora ancorata ai mercati nazionali. Da alcuni anni gli Stati membri si sottopongono del resto a un processo di Revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD), con lo scopo di individuare (in una sorta di “semestre europeo della difesa”), le carenze capacitive e sincronizzare, su base volontaria, i bilanci nazionali, pianificando insieme gli investimenti futuri (ed evitare duplicazioni). Si tratta di un processo che promette razionalizzazioni ed economie di scala, in grado di rilanciare la competitività dell'industria europea nel suo complesso, ma che dovrà essere gestito anche nei suoi possibili effetti negativi a livello delle singole industrie (soprattutto le più piccole) e dei singoli paesi. Le missioni militari dell'Unione (su cui pure vedi infra) sono ormai una realtà nel panorama degli interventi di peace keeping e stabilizzazione. Proprio nelle aree più vicine all'Ue (e a tutela dei suoi interessi più immediati), esse non mancano però di continuare a suscitare contrasti tra le diverse prospettive nazionali, come nel caso dell'operazione Sophia, e della missione destinata tra breve a sostituirla nel Mediterraneo.

Ursula von der Leyen, esponendo le priorità per i prossimi cinque anni, ha promesso una Commissione più "geopolitica" sottolineando che, pur restando la NATO la pietra angolare della difesa collettiva europea, occorre proseguire gli sforzi per realizzare una Ue della difesa come parte integrante della sicurezza globale. Nonostante questo, nel Programma di lavoro della Commissione per il 2020 non sono però previste iniziative in tema di difesa. Un passo significativo è stato invece fatto per quanto riguarda l'assetto amministrativo della nuova Commissione, con la creazione della direzione generale "Industria della difesa e dello spazio", sotto la responsabilità del commissario al mercato interno (il francese Thierry Breton). Tale nuova DG sarà responsabile del sostegno, del coordinamento e del completamento delle azioni degli Stati membri nel settore della difesa europea. I suoi compiti principali saranno: l'attuazione e il controllo del Fondo europeo per la difesa, la creazione di un mercato europeo dei materiali per la difesa aperto e competitivo, il rafforzamento dell'industriale europea dello spazio e l'attuazione del piano d'azione sulla mobilità militare.

Per i progressi delle diverse iniziative in cantiere, un aspetto decisivo, ovviamente, sarà quello finanziario. Si tratta infatti di vedere le risorse che il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la cui discussione è peraltro ancora segnata da grandi difficoltà, destinerà al settore della difesa. Nel progetto iniziale, confermato nell'accordo istituzionale del febbraio 2019, il nuovo Fondo europeo per la Difesa dovrebbe ad esempio contare su una leva finanziaria di 13 miliardi di euro, nel periodo 2021-2027, di cui oltre 4 miliardi dedicati ai progetti di ricerca. È però molto difficile che nel nuovo bilancio Ue ci saranno tutte queste risorse. Già a dicembre 2019, con la sua proposta per il Consiglio europeo, la presidenza finlandese non aveva inviato messaggi confortanti. Nell'ambito di una complessiva riduzione delle ambizioni del bilancio comune, le risorse per il fondo per la difesa erano più che dimezzate (poco più di 6 miliardi) e analoghe riduzioni erano proposte per la mobilità militare e per lo Strumento europeo per la pace. Anche il Consiglio europeo dello scorso 21 febbraio si è chiuso con un nulla di fatto, nonostante il fatto che il compito di tentare una soluzione di compromesso sia stato nel frattempo affidato al Presidente del Consiglio, Michel. Anche la sua proposta, peraltro, sul fronte delle risorse per la difesa non è particolarmente ambiziosa (come hanno fatto notare diversi governi, tra cui quello italiano).

In particolare, la proposta del Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, prevede i seguenti stanziamenti: circa 7 miliardi di euro per il fondo europeo per la difesa (rispetto ai 13 miliardi di euro previsti dalla Commissione); 1,5 miliardi euro per la mobilità militare (rispetto ai 6,5 miliardi di euro proposto dalla Commissione), nell’ambito della proposta di regolamento relativo al meccanismo per collegare l’Europa, per il finanziamento di infrastrutture di trasporto a duplice uso civile e militare; 8 miliardi di euro (rispetto ai 10,5 miliardi proposta dall'Alta rappresentante) per lo strumento europeo per la pace, che sarebbe comunque strumento esterno al bilancio dell'UE, poiché volto a finanziare azioni operative nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune che hanno implicazioni militari o di difesa e che non possono pertanto essere finanziate a titolo del bilancio dell'UE.

 C'è poi la questione dei rapporti con gli Stati Uniti. Le relazioni transatlantiche non attraversano un momento felice, tanto che la recente Conferenza di Monaco sulla sicurezza è stata dedicata proprio alla Westlessness, alla mancanza (alla scomparsa?) dell'Occidente. Tra Usa e Ue non sono certo mancati, di recente, i momenti di tensione. Nel maggio del 2019, ad esempio, dopo l'approvazione del secondo gruppo di progetti PESCO e la definizione del regolamento EDF, il sottosegretario di stato e il sottosegretario della difesa Usa hanno indirizzato una lettera all'Alto Rappresentante Ue, chiedendo di rendere più facile la partecipazione di stati terzi e industrie extra-Ue alla progettazione Pesco e ai finanziamenti del fondo. Gli esponenti dell'amministrazione americana hanno anche chiesto di rivedere le regole sulla proprietà intellettuale che, nella formulazione attuale, disincentiverebbe la partecipazione di imprese e l'utilizzo di tecnologie Usa. Un modo di ricordare ai partner, insomma, che l'obiettivo dell'autonomia strategica europea non è un fatto solo militare, ma deve tener conto di una pluralità di aspetti.

Sempre sulla collaborazione transatlantica, c'è poi la famosa intervista (dello scorso novembre) nella quale il Presidente francese Macron, nell'ambito di una riflessione più ampia su difesa e sicurezza in Europa, decretava la "morte cerebrale." della Nato. Più recentemente lo stesso Macron ha introdotto un altro tema nel dibattito sulla difesa europea, cioè la possibile inclusione, a condizioni tutte da definire, della forza nucleare francese (l'unica rimasta sul continente, dopo la Brexit) nei progetti della difesa europea. Dalla stessa Francia era del resto partita, nel giugno del 2018, anche un altro progetto di cooperazione militare, l'Iniziativa di intervento europeo (European Intervention Iniziative, EI2). Per il fatto di nascere al di fuori del contesto istituzionale Ue, l'iniziativa non ha mancato di suscitare perplessità in diversi paesi, tra cui Germania (che pure ha aderito fin dal principio) e Italia (che invece ha deciso di prendervi parte solo nel settembre dello scorso anno). Dopo i suoi primi passi, però, all'iniziativa francese viene riconosciuto il merito di muoversi verso una collaborazione militare ambiziosa (forse più di quanto si possa sperare in ambito PSDC) e anche di estendere la cooperazione anche al di fuori dei Paesi coinvolti nella PSDC, a cominciare dal Regno Unito. E proprio le future relazioni col Regno Unito, che in questo settore ha un ruolo più significativo che in altri, sono un altro dei temi con cui l'Ue della difesa dovrà presto fare i conti, visti anche gli interessi comuni di carattere industriale che legano Londra a diversi Stati membri, Italia in testa

Il Fondo europeo per la difesa

L'idea di mobilizzare risorse del bilancio Ue in un vero e proprio fondo dedicato, per sostenere iniziative industriali collaborative nel campo della difesa, è stata espressa per la prima volta dall'allora Presidente della Commissione europea, Juncker, nel suo "Discorso sullo Stato dell'Unione" del settembre 2016[13]. A seguire, dopo il sostegno espresso dagli Stati membri, la Commissione ha attivato dei primi programmi di finanziamento nel campo della ricerca e nello sviluppo industriale, con le risorse già disponibili nel bilancio 2014-2020[14].

Dopo un intenso lavoro preparatorio, la proposta di regolamento per il fondo è stata presentata dalla Commissione nel giugno del 2018[15]. La proposta ha l’obiettivo di sostenere la competitività e l’innovazione dell’industria della difesa finanziando progetti collaborativi a livello europeo che coinvolgano almeno 3 imprese o enti cooperanti stabiliti in almeno tre diversi paesi membri (e/o paesi associati). Il fondo ha l'ambizione di modificare radicalmente la situazione attraverso un potenziale finanziario che, se confermato, nelle intenzioni della commissione potrà costituire un "game changer" per la collaborazione industriale europea. Il fondo permetterebbe all'Ue di collocarsi tra i primi quattro principali investitori europei in ricerca e tecnologia per la difesa, e fungerebbe "da catalizzatore per una base industriale scientifica innovativa e competitiva".

L’accordo interistituzionale raggiunto nel febbraio del 2019 prevede i seguenti elementi chiave:

·        il Fondo sosterrà l'intera fase di sviluppo industriale, dalla ricerca allo sviluppo di prototipi fino alle certificazioni;

·        oltre alla fase di ricerca e progettazione, finanziabile fino al 100%, il bilancio dell'UE sarà disponibile per integrare gli investimenti degli Stati membri cofinanziando i costi connessi allo sviluppo di prototipi (fino al 20%) e alle conseguenti attività di collaudo, qualificazione e certificazione (fino all'80%);

·        i progetti nel contesto della cooperazione strutturata permanente europea (PESCO), se ammissibili, possono ricevere un'ulteriore maggiorazione del cofinanziamento del 10%, ma il finanziamento non è automatico;

·        i progetti saranno definiti in base alle priorità di difesa concordate dagli Stati membri nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, in particolare nel contesto del piano di sviluppo delle capacità (CDP), ma possono anche essere prese in considerazione priorità regionali e internazionali, ad esempio nel quadro della NATO;

·        una quota della dotazione di bilancio compresa tra il 4% e l'8% sarà destinata all'innovazione dirompente e ad alto rischio, che darà impulso alla leadership tecnologica e all'autonomia di difesa dell'Europa a lungo termine;

·        in linea di principio solo i soggetti stabiliti nell'UE o nei paesi associati che non sono controllati da paesi terzi o da soggetti giuridici di paesi terzi sono ammissibili al finanziamento. Le controllate di società di paesi terzi con sede nell'UE possono, in via eccezionale, essere ammissibili al finanziamento a determinate condizioni, per garantire che gli interessi di sicurezza e di difesa dell'UE e degli Stati membri non siano messi a repentaglio. I soggetti stabiliti al di fuori dell'UE non riceveranno alcun finanziamento dell'UE ma possono partecipare ai progetti di cooperazione.

Per l'approvazione definitiva del regolamento bisognerà però attendere l'accordo complessivo sul prossimo bilancio pluriennale dell'Unione, che come si è detto, non lascia presagire un alto grado di ambizione. Un altro aspetto che è stato lasciato in sospeso è quello della partecipazione delle società di paesi al di fuori dell'Unione. Come detto prima, si tratta di un tema di grande delicatezza politica, soprattutto per le sue ricadute sulla cooperazione transatlantica e anche sulle future relazioni con il Regno Unito.

Gli importi del fondo, quali che alla fine saranno, mirano anche a sostenere l’industria della difesa e della sicurezza europea nella competizione internazionale nella quale i sistemi produttivi degli Stati Uniti, della Russia e della Cina possono avvalersi di assai più consistenti risorse finanziarie (la spesa degli USA per la difesa è stata pari a 730 miliardi di dollari nel 2019; la Cina circa 300 miliardi di dollari; la Russia circa 60 miliardi di dollari).

In questa ottica particolare importanza assume la previsione per cui le fasi di ricerca e progettazione potrebbero essere finanziate integralmente a valere sulle risorse del Fondo. Ne consegue che la partecipazione in una funzione primaria alle fasi di ricerca e progettazione assumere un peso decisivo potendo precostituire anche le decisioni relative alle fasi successive (sviluppo dei prototipi, collaudo e messa in produzione).

Per il nostro Paese c'è anche l’esigenza primaria di garantire che nel riparto delle risorse tra i diversi progetti si eviti una concentrazione in capo a pochi Paesi, penalizzando la nostra industria nazionale.

Principali gruppi industriali europei nel settore aerospaziale per fatturato originato da commesse per la difesa

Si riporta di seguito la classifica dei 10 maggior gruppi industriali europei attivi nel settore aerospaziale per fatturato generato nell’ambito della difesa, rispetto al fatturato complessivo e la loro posizione a livello mondiale (Fonte: The Aerospace and de.fence Industries Association of Europe – Facts and Figures 2019)

Le piccole e medie imprese europee attive nel settore della difesa

Le piccole e medie imprese europee attive nel settore della difesa sono stimate* tra 2.000 e 2.500, cosi suddivise per settore:

·        39,6% difesa terrestre;

·        30,5% difesa aerea;

·        18,7% difesa navale;

·        7,8% cyberdifesa;

·        3,4% difesa spaziale.

*Fonte IHS, analysis of defence-related SMEs’ composition in EU, decembre 2016

Le missioni militari Ue

Secondo l'articolo 42 del TUE, l'Unione europea può avviare missioni civili o militari, all'esterno del suo territorio, "per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite".

Le operazioni possono consistere in (art.43, TUE):

·        azioni congiunte in materia di disarmo,

·        missioni umanitarie e di soccorso,

·        missioni di consulenza e assistenza in materia militare,

·        missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace (peace-keeping);

·        missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace (peace-making) e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti.

Tutte queste missioni possono essere finalizzate alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio. La decisione sull'avvio di una missione spetta al Consiglio, che decide all'unanimità, su proposta dell'Alto rappresentante o su iniziativa di uno Stato membro.

Le missioni militari attualmente operative sono sei. Il numero non dovrebbe cambiare anche dopo il 31 marzo prossimo, quando scadrà il mandato della missione EUNAVFORM MED Sophia, che, come noto, da un anno opera senza il dispiegamento di imbarcazioni, e che gli Stati membri nel Consiglio Ue dello scorso 17 febbraio hanno già deciso di non rinnovare. Entro quella data dovrebbe però partire una nuova missione nel Mediterraneo, con un mandato però diverso da quello di Sophia, almeno nell'ordine di priorità degli obiettivi da raggiungere (su cui si veda anche una recente interrogazione discussa lo scorso 20 febbraio nell'Aula del Senato).

L'operazione EUNAVFOR Med Sophia, era stata istituita nel giugno 2015 con il mandato originario della lotta contro i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. La prima fase della missione era orientata alla raccolta di informazioni e al pattugliamento in alto mare, mentre la seconda prevede fermi, ispezioni, sequestri e distruzione in alto mare di imbarcazioni usate dai trafficanti. Le due fasi successive, che non sono state mai attuate, in mancanza di un mandato Onu o del consenso del paese interessato, prevedevano che queste stesse attività si svolgessero nelle acque territoriali libiche e, poi, sulla terraferma. Nel giugno del 2016 il mandato della missione era stato esteso alla formazione della Guardia costiera e della Marina libiche e al contrasto al traffico di armi, in conformità alle relative risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU. Nel luglio 2017 a questi compiti si era aggiunta l'attività di sorveglianza e raccolta informazioni sulle esportazioni illecite di petrolio dalla Libia. A partire dal marzo 2019, a causa del mancato accordo tra i paesi Ue sui criteri di ripartizione delle persone salvate in mare dalle imbarcazioni della missione nello svolgimento dei propri compiti, il Consiglio aveva deciso di sospendere temporaneamente il dispiego degli assetti navali. Sophia ha continuato finora a svolgere il suo mandato attraverso la sorveglianza aerea e proseguendo il sostegno e l’attività di formazione alla Guardia costiera e alla Marina libiche.

La nuova operazione, secondo quando concordato informalmente dai governi nel Consiglio Ue del 17 febbraio scorso, avrà come mandato principale quello di cercare di far rispettare l'embargo sulle armi decretato dall'Onu fin dal 2011. L'operazione dovrebbe comprendere assetti satellitari, aerei e navali. Secondo il compromesso raggiunto (per superare l'opposizione alla missione di alcuni Stati, segnatamente Austria e Ungheria), la dislocazione delle imbarcazioni sarà stabilita "in accordo con il mandato convenuto". Questo significa che gli assetti navali saranno dispiegati (sempre in acque internazionali) molto più ad est rispetto all'area delle operazioni di Sophia, visto che è da quella direzione che provengono i trasporti di armi via mare e dunque saranno molto decentrati rispetto alle rotte dei trafficanti di esseri umani. La missione manterrebbe comunque, come compiti "secondari/di supporto" la lotta ai trafficanti e la formazione della Guardia costiera e Marina libiche. Gli assetti navali sarebbero comunque ritirati, nel caso in cui, in base a criteri e meccanismi evidentemente tutti ancora da definire, si osservi che l'operato della missione costituisca uno stimolo (pull factor) ai flussi migratori. Molti nodi restano tuttavia ancora da sciogliere, tra cui le regole per la ripartizione tra i vari paesi delle persone salvate in mare. La nuova missione dovrebbe mantenere il nome, generico, della missione precedente, cioè EUNAVFOR Med, anche se, comprensibilmente, non sarà più dedicata a "Sophia", bambina somala nata a bordo della nave tedesca, dedicata all'omonima principessa prussiana, che partecipava all'operazione, nell'agosto del 2015.

Oltre che in Sophia e nella missione che dovrà sostituirla, l'Ue è impegnata in un'altra operazione navale, in una missione nei Balcani occidentali e in tre missioni dispiegate in Africa.

In Bosnia-Erzegovina opera, dal 2004, la missione EUFOR Althea. Si tratta della missione di più lunga durata, tra quelle PSDC ancora in funzione, e attualmente l'unica operazione condotta in collaborazione con la Nato, secondo i cd. "accordi Berlin plus".

Nelle acque al largo della Somalia (e più recentemente anche nelle sue acque territoriali) opera EUNAVFOR Atlanta, istituita nel 2008 per scortare le navi dei convogli umanitari e per contrastare le azioni di pirateria contro le imbarcazioni commerciali. Sulla terraferma del paese africano è attiva anche, dal 2010, la missione EUTM Somalia, per la formazione delle locali forze armate.

In Africa l'Ue è impegnata in altri due scenari. EUTM Mali è stata lanciata nel 2013, nell'emergenza di una grave crisi politica e dell'avanzare delle milizie islamiste, con lo scopo di fornire formazione e consulenza militare alle forze armate locali. In parallelo all'estensione dell'area di intervento dell'azione Ue nella regione, il mandato della missione è stato ampliato per supportare non solo le forze armate maliane ma anche degli altri quattro componenti del G5 Sahel Joint Force (cioè Burkina Faso, Mauritania, Chad e Niger).

Nella Repubblica centrafricana è invece attiva, dal 2016, EUFOR RCA, con il mandato di formazione, addestramento e consulenza strategica delle forze armate locali, dopo che nella stessa area l'Ue aveva attivato una missione esecutiva dopo la grave crisi politica del 2013.

Il finanziamento delle missioni

Le regole di finanziamento delle missioni Ue sono diverse a seconda che si tratti di missioni civili o di missioni militari. A differenza delle spese per le missioni civili, che rientrano nel bilancio Ue, quelle militari sono invece a carico degli Stati che vi partecipano, tranne una piccola parte di spese comuni (tra il 10 e il 15%) distribuite tra tutti gli Stati (in proporzione al rispettivo Pil) in base al cosiddetto meccanismo "Athena".

È evidente che una regola del genere scoraggia la partecipazione degli Stati alle missioni militari, di cui devono accollarsi anche i costi finanziari. Per ovviare a questa situazione, nel giugno del 2018 l’allora Alto Rappresentante Federica Mogherini, ha proposto di istituire uno Strumento europeo per la pace (European Peace Facility - EPF), al di fuori del bilancio dell’Ue. Il nuovo strumento finanziario, che sostituirebbe l'attuale meccanismo Athena, consentirebbe all'Ue di finanziare una percentuale più elevata dei costi comuni per le missioni e le operazioni militari (stimata al 35-45 %) e dovrebbe disporre, secondo quanto proposto dalla Commissione, di risorse per 10,5 miliardi di euro nel periodo 2021-2027 (stanziamento ridotto a 8 miliardi di euro nell’ultima proposta di compromesso presentata dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al Consiglio europeo del 20 e 21 febbraio 2020). Il meccanismo dovrebbe garantire che i finanziamenti Ue siano disponibili in via permanente, favorendo una programmazione più adeguata e un dispiegamento più rapido delle truppe, oltre a facilitare il supporto alle operazioni di peace keeping condotte da organizzazioni internazionali (ad esempio l'Unione africana). Si tratta di uno progetto cui anche l'attuale Alto Rappresentante tiene molto, se è vero che a margine di una riunione del Coreper di fine gennaio ha chiesto un forte sostegno agli Stati, nell'ambito delle trattative per prossimo quadro finanziario, per garantire allo strumento adeguate risorse finanziarie, "anche a scapito del fondo europeo per la difesa".

Dibattito d’urgenza: Recenti sviluppi della situazione in Libia

Processo a guida ONU: gli accordi di Skirath del 2015 e le difficoltà di attuazione

Dopo la caduta di Gheddafi (2011), il 16 settembre 2011 è stata istituita la Missione di Supporto dell'ONU in Libia (UNSMIL, guidata dal Rappresentante Speciale ONU) che ha dato vita a un processo politico-diplomatico che ha condotto alla firma dell'Accordo politico libico concluso a Skhirat il 17 dicembre 2015. In attuazione dell’Accordo di Skhirat si è formato il Governo di Accordo Nazionale (GNA) guidato dal Presidente Fayez al-Sarraj, con sede a Tripoli. Il GNA consiste in un Consiglio Presidenziale, organo collegiale di 9 membri, con funzioni anche di Capo dello Stato, e in un Gabinetto. Completano il quadro istituzionale definito a Skhirat una Camera dei Rappresentanti, con sede a Tobruk (città portuale libica situata in Cirenaica, ad Est del paese, non distante dal confine con l'Egitto) e un Alto Consiglio di Stato (una sorta di camera alta) con sede a Tripoli.

Le difficoltà di dare effettiva attuazione all'Accordo di Skhirat si sono manifestate con un lungo stallo giuridico: il GNA guidato da al-Sarraj è infatti rimasto sospeso in una sorta di limbo, in attesa di una sua piena approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, che non è mai intervenuta.

Il GNA, installatosi a Tripoli il 30 marzo 2016 e riconosciuto dalle Nazioni Unite, è apparso con il tempo sempre più debole, insidiato a est dal generale Haftar e dallo schieramento di Tobruk, e ad ovest dall'ex premier tripolino Khalifa al-Ghwell, a sua volta reinsediatosi a Tripoli. Il generale Haftar, forte dei successi militari (riconquista di Bengasi da DAESH) e politici (occupazione dei campi petroliferi della Mezzaluna e riconsegna alla National Oil Company, NOC) e appoggiato dall'Egitto, ha determinato un logoramento della leadership di al-Sarraj: agendo sul Parlamento di Tobruk perché posticipasse a tempo indeterminato un’approvazione del governo di al-Sarraj, mirava a costringere la Comunità internazionale a prendere atto del fallimento di al-Sarraj e a valutare opzioni alternative all’assetto istituzionale configurato nell’Accordo di Skhirat.

Al di là dello stallo politico-istituzionale, il quadro di sicurezza libico ha fatto registrare un deterioramento nella stessa Tripoli in cui si è assistito, in una prima fase, alla formazione di una sorta di "cartello" di milizie per il controllo della Capitale (controllo che vale quote in termini di business e di influenza sulle istituzioni statali e sull'amministrazione pubblica), e successivamente (nell'agosto-settembre 2018) ad un'offensiva a Tripoli da parte delle brigate divenute "periferiche", come la Settima Brigata (alleatasi con Haftar), che cercavano di superare la loro marginalità e di riconquistare un posizionamento favorevole nello scacchiere interno. A settembre-ottobre 2018 un miglioramento del quadro di sicurezza nella Capitale era stato ottenuto grazie alla tregua mediata da UNSMIL, che aveva condotto i capi milizia e il Governo di al-Sarraj a sottoscrivere un accordo di cessate-il-fuoco, nonché grazie all'approvazione da parte di al-Sarraj del Piano di sicurezza della Capitale, elaborato in seguito a consultazioni allargate, che prevedeva che la sicurezza della capitale fosse garantita da Forze di Polizia e dall’Esercito regolare secondo un sistema a cerchi concentrici e che le principali milizie tripoline iniziassero a ridurre i ranghi e ad abbandonare alcune infrastrutture della città.

Processo a guida ONU: il tentativo di rilancio di Salamé 2017-2018

Nella primavera 2017 il processo politico a guida ONU che aveva prodotto l'Accordo di Skhirat sembrava destinato ad esaurirsi e ad essere superato nei fatti da un processo parallelo a guida emiratina che coinvolgeva Russia ed Egitto. Ma nel giugno 2017 il nuovo Rappresentante Speciale del Segretario generale dell'ONU in Libia, Ghassan Salamé, ex Ministro della Cultura libanese, ha raccolto la sfida di ripensare e rilanciare il processo negoziale dell’ONU. Nel settembre 2017 Salamé ha presentato un Action plan articolato su successive fasi: 1) emendamenti all'Accordo Politico libico di Skhirat; 2) Conferenza Nazionale per la riconciliazione; 3) indizione del referendum costituzionale, delle elezioni presidenziali e delle elezioni parlamentari.

Ulteriormente messo a punto nel novembre 2018, il “Revised Action Plan” di Salamé ha posto l'accento sulla convocazione della Conferenza Nazionale - una sorta di Lloya Jirga allargata alle componenti tribali e delle milizie, con l'obiettivo ultimo di generare un ampio consenso intra-libico volto ad esercitare una pressione “libica” sulle istituzioni. La Conferenza Nazionale risultava incaricata di affrontare le seguenti questioni: (1) definizione del quadro costituzionale; (2) definizione della legge elettorale; (3) elaborazione di un piano di sicurezza per il Paese; (4) definizione di un piano economico libico (da integrare nell’Accordo Politico Libico del 2015).

Tuttavia, l'offensiva condotta contro Tripoli da Haftar ad aprile 2019, proprio alla vigilia della convocazione della Conferenza Nazionale dei libici indetta a Ghadames per il 14-16 aprile 2019, ha costretto Salamé ad un rinvio della medesima Conferenza. Tale offensiva si protrae da 10 mesi.

Le iniziative francesi

Due le iniziative francesi da tenere a mente.

Il 25 luglio 2017 Macron aveva convocato a Parigi al-Sarraj e Haftar, alla presenza di Salamé. A conclusione del vertice di Parigi, al-Sarraj e Haftar avevano emesso una dichiarazione congiunta, in dieci punti, che però non è stata sottoscritta bensì adottata come dichiarazione di principi. Tra i punti figurava anche l'impegno a rendere operativo l'Accordo politico libico e a perseguire il dialogo politico. I due leader libici concordavano anche sull'indizione di elezioni presidenziali e parlamentari appena possibile. Il vertice di Parigi aveva avuto per la prima volta l'effetto di collocare sullo stesso piano i due interlocutori libici, nei fatti accordando così al generale Haftar quella legittimità internazionale fino ad allora riconosciuta al solo governo presieduto da al-Sarraj.

Il 29 maggio 2018, un anno dopo, Macron convocò una nuova Conferenza a Parigi con la partecipazione di al-Sarraj, Haftar, Saleh (Presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk) e Meshri (Presidente del Consiglio di Stato, di Tripoli). Ancora una volta una dichiarazione congiunta in 8 punti non venne sottoscritta ma adottata come dichiarazione di principi; il testo prevedeva che le parti predisponessero le previsioni costituzionali sulle elezioni e la legge elettorale entro il 18 settembre 2018 e che le elezioni si tenessero il 10 dicembre 2018.

L'iniziativa italiana della Conferenza di Palermo 2018

Con la Conferenza di Palermo "per la Libia" del 12-13 novembre 2018, l'Italia ha inteso rilanciare il sostegno alla missione speciale dell'ONU UNSMIL e al piano aggiornato del rappresentante speciale Salamé che affidava ad una Conferenza Nazionale dei Libici il compito di definire la loro visione della transizione libica e di individuare date per le elezioni. I lavori della Conferenza sono stati sorretti proprio dai principi guida della ownership e dell'inclusività, con l'obiettivo di identificare le tappe del processo di stabilizzazione e di rilanciare la nuova roadmap delle Nazioni Unite. I temi della Conferenza erano: Conferenza nazionale dei Libici che si adoperi per la definizione del quadro costituzionale e della legge elettorale; ricomposizione del quadro delle istituzioni economico-finanziarie libiche e del quadro di sicurezza.

Alla Conferenza hanno partecipato il presidente del Governo di Accordo Nazionale (GNA) riconosciuto dall’ONU al-Sarraj, il presidente del Parlamento di Tobruk Saleh, il presidente dell’Alto consiglio di Stato libico Meshri. La partecipazione del generale Haftar, in dubbio fino all'ultimo, si è risolta alla fine con la formula degli incontri bilaterali, escludendo la partecipazione a sedute plenarie. Ciononostante, la partecipazione di Haftar a Palermo ha irritato la delegazione turca che ha voluto dare un segnale di dissenso, abbandonando i lavori.

Missioni militari italiane in Libia[16]

Personale militare italiano (400 unità) partecipa alla missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT), il cui obiettivo è di assistere il Governo di Accordo nazionale libico attraverso lo svolgimento di una serie di compiti (assistenza sanitaria, corsi di sminamento, formazione delle forze di sicurezza, assistenza nel controllo dell'immigrazione illegale, ripristino dell'efficienza degli assetti terrestri, navali ed aerei comprese le relative infrastrutture, attività di capacity building, ricognizioni sul territorio per individuare le attività di supporto necessarie, garanzia della cornice di sicurezza per il personale impiegato). Fra i compiti della missione sono confluiti pertanto le attività della precedente missione denominata operazione Ippocrate, terminata come missione autonoma il 31 dicembre 2017, il cui obiettivo era fornire supporto sanitario al Governo di Accordo nazionale libico (GNA), mediante l'installazione di un ospedale da campo presso l'aeroporto di Misurata, entro un quadro coerente con la Risoluzione UNSCR n. 2259 (2015).[17]

Sono confluiti inoltre fra i compiti di questa nuova missione anche alcuni compiti di supporto alla Guardia costiera libica, in particolare quelli di ripristino dei mezzi aerei e degli aeroporti libici, originariamente demandati al dispositivo aeronavale nazionale Mare Sicuro.

La base giuridica della missione è data da una serie di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite[18] che definiscono il quadro delle attività di supporto al GNA, in continuità con l'impegno umanitario assunto dall'Italia sulla crisi libica. A tale quadro normativo si aggiungono le specifiche richieste all'Italia del Consiglio presidenziale-GNA, contenute nelle lettere del Presidente al-Sarraj del 30 maggio e 23 luglio 2017.

L’Italia ha autorizzato per il 2019 l'invio di 150 mezzi terrestri. Mezzi navali ed aerei sono tratti dalle unità già autorizzate per il dispositivo aeronavale nazionale Mare Sicuro.

Personale militare del Corpo della Guardia di Finanza (25 unità) partecipa alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera della Marina militare, con l'obiettivo di fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani, tramite l'addestramento della Guardia costiera libica e il mantenimento in esercizio delle unità navali cedute.

L’Italia ha autorizzato per il 2019 l'invio di 6 mezzi terrestri (autovetture a trazione integrale blindate) e 1 mezzo navale corredato da sistema di videosorveglianza per la difesa passiva (tipo guardiacoste classe Bigliani). La base giuridica della missione è da rinvenire nel Protocollo per la cooperazione tra l'Italia e la Libia 29 dicembre 2007 in materia di immigrazione clandestina e tratta degli esseri umani, nel Protocollo aggiuntivo tecnico-operativo, siglato in data 29 dicembre 2009 (attività addestrativa del personale della Guardia costiera libica e di pattugliamento a bordo delle unità cedute, nonché manutenzione delle unità navali cedute al Governo libico pro tempore nel 2009-2010), nonché nel D.L. n. 84/2018 che ha previsto la cessione a titolo gratuito di complessive 12 unità navali.

Combattimenti sul terreno: sempre più una proxy war

"Negli ultimi mesi il coinvolgimento degli attori regionali (in particolare Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto opposti a Turchia e Qatar) nella crisi libica, anche dal punto di vista militare, è diventato considerevole. Il conflitto ha assunto sempre più i connotati di una guerra per procura tra questi attori che, non senza spregiudicatezza (e in violazione dell’embargo ONU sulle armi), stanno rifornendo di mezzi militari sofisticati le due fazioni contendenti, mentre la presenza di mercenari sembra supplire alla carenza di manodopera militare"[19].

Secondo i principali quotidiani, il governo di al-Sarraj potrebbe contare sul sostegno militare del Qatar e della Turchia, mentre il generale Haftar conterebbe su caccia egiziani, droni emiratini e contractor russi della compagnia Wagner - come per primo rivelato dal NewYorkTimes.

Agli inizi di gennaio 2020 la strage all'Accademia dei cadetti di Tripoli (ad opera di droni, secondo fonti giornalistiche presumibilmente degli EAU) ha provocato un ulteriore deterioramento del quadro di sicurezza rendendo impossibile una missione diplomatica in loco della UE: lo stesso presidente al-Sarraj ha invitato i ministri dell'UE a cancellare la visita.

Frattanto, Haftar ha sferrato una nuova offensiva su Sirte ai primi di gennaio 2020: le truppe di Haftar hanno preso possesso della città provenendo da sud e dal mare, approfittando dello scarso numero di uomini lasciati a sua difesa in seguito all’invio di rinforzi da Sirte verso Tripoli per difendere la capitale dall’offensiva del Libyan National Army (LNA, la galassia di milizie agli ordini di Haftar), nonché della defezione di alcune unità poste a difesa della città ed ora integrate nello stesso LNA (tra cui il 604° Battaglione Salafita).

Dal punto di vista tattico, la presa di Sirte, ubicata in prossimità dei terminal petroliferi della Mezzaluna petrolifera, rappresenta un enorme successo, tenuto conto che determina simultaneamente l’interruzione della continuità territoriale delle aree costiere sotto controllo del GNA di al-Sarraj tra Sirte e Misurata e la messa in sicurezza del fianco settentrionale della strategica base aerea di al-Jufra.

Dagli accordi bilaterali tra Turchia e GNA di fine novembre 2019 all'invio di truppe sul terreno. Chi assumerà la guida del processo politico?

Tra i partner regionali, la Turchia, insieme al Qatar, è da anni l’unico paese a sostenere il Governo di unità nazionale (GNA) di Tripoli, in contrapposizione al generale Khalifa Haftar. Ma i due accordi sottoscritti con il GNA a fine novembre 2019 hanno segnato un tornante che ha permesso alla Turchia di stabilire "una partnership privilegiata con Sarraj" e diventare "il maggior difensore del governo riconosciuto dalle Nazioni Unite dall’attacco che il generale Haftar ha portato a Tripoli il 4 aprile scorso", aprendo la strada all'invio di soldati turchi in Libia[20].

Il primo accordo bilaterale fra Turchia e Libia riguarda la definizione di nuovi confini marittimi tra i due paesi e stabilisce la creazione di un corridoio di Zee (Zone economiche esclusive) tra Tripoli ed Ankara, prefigurando per quest’ultima la possibilità di esplorare ed estrarre gas e petrolio. Intervenendo sulla questione della delimitazione delle contese acque territoriali attorno all’isola di Cipro e sullo sfruttamento delle ingenti risorse, tale accordo ha provocato dure reazioni in Grecia, Cipro ed Egitto ed è stato immediatamente condannato dall'Unione Europea (conclusioni del Consiglio europeo del 12 dicembre che reiterano le precedenti condanne delle trivellazioni turche nella ZEE di Cipro).

Con questa mossa Ankara acquisisce una posizione strategica sui gasdotti che attraversano quei tratti di mare. In particolare, Ankara punta a rendere più difficile un ambizioso progetto EastMed per la costruzione di un gasdotto marittimo che collegherebbe Egitto, Israele, Cipro e Grecia, tagliando fuori la Turchia. Sulle sue mire energetiche, la Turchia cerca la sponda di al-Sarraj, in cambio di appoggio politico e soprattutto militare.

Il secondo accordo bilaterale è una intesa militare firmata a metà dicembre, che si colloca nel solco di una cooperazione già in atto da tempo e prevede che Tripoli possa richiedere ad Ankara veicoli, attrezzature e armi per operazioni terrestri, navali e aeree.

La Turchia ha assunto da ultimo un atteggiamento più assertivo e muscolare, con il voto del parlamento turco che il 2 gennaio ha approvato il dispiegamento di forze turche sul suolo libico, cui è seguito l’annuncio del presidente Erdo?an di aver iniziato l’invio di truppe per “sostenere il governo internazionalmente riconosciuto di al-Sarraj ed evitare un disastro umanitario”. Tuttavia, non sono emersi dettagli sui numeri, la composizione e l’effettiva portata dell’impegno militare turco in Libia.

La reazione politica di gran parte della Lega Araba all’annuncio del Parlamento di Ankara è stata estremamente negativa, soprattutto da parte egiziana, saudita, emiratina e bahreinita, e ha portato Haftar a dichiarare la Jihad contro l’invasore.

Secondo autorevoli commentatori, "l’azione della Turchia è stata sostanzialmente permessa dall’inazione degli attori occidentali nell’ultimo anno.... Non sorprende dunque che, nell’inazione e nelle divisioni europee, la crisi libica sia diventata sempre più un “affare” di altri, in primis Turchia e Russia[21]".

L'8 gennaio 2020, a conclusione dell'incontro di Istanbul in occasione dell'inaugurazione di Turkstream2, il presidente russo Putin e il presidente turco Erdogan in una dichiarazione congiunta hanno chiesto alle parti libiche una tregua nei combattimenti dalla mezzanotte del 12 gennaio 2020 e di addivenire immediatamente a negoziati di pace.

Il Presidente al-Sarraj ha dichiarato subito la sua adesione. Le forze del LNA legate ad Haftar hanno fatto sapere di accettare nella serata dell'11 gennaio.

La richiesta avanzata da Erdogan e dal presidente russo Vladimir Putin per una tregua a partire dalla mezzanotte del 12 gennaio risponde alle esigenze di Ankara e Mosca di porsi come interlocutori privilegiati per una soluzione negoziale e, allo stesso tempo, evitare uno scontro diretto. Ovviamente alcuni osservatori[22] fanno notare che la tregua congela una situazione sul terreno in cui Haftar è assai avvantaggiato rispetto al 4 aprile 2019, data di inizio della sua offensiva contro Al-Sarraj.

Parallelamente le cancellerie europee hanno continuato a lavorare per la Conferenza di pace a Berlino, a supporto del processo a guida ONU.

L'azione dell'Italia e dell'UE dall'inizio del 2020

Come esposto dal Ministro degli Affari esteri Di Maio nella sua Informativa alle Camere del 15 gennaio 2020, la politica estera italiana sul dossier libico è sorretta da 5 linee guida: respingimento della soluzione militare (e dunque impegno per il cessate-il-fuoco); processo a guida ONU, a supporto del quale si è svolta il 19 gennaio la Conferenza di Berlino; condanna delle ingerenze esterne e rispetto dell'embargo sulle armi; stabilità e unità della Libia; inclusività.

L'Italia ha inoltre promosso un ruolo più attivo e visibile dell'Unione europea (v. infra) al fine di favorire la convocazione e il successo della Conferenza di Berlino. Il Ministro degli esteri ha ricordato, in particolare, che in occasione del Consiglio affari esteri dell'Unione europea del 10 gennaio l'Italia ha promosso una riflessione sugli strumenti più efficaci per contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Conferenza di Berlino: in dettaglio, monitoraggio del cessate-il-fuoco; attuazione dell'embargo sulle armi e riforma del settore sicurezza, anche attraverso la costituzione di Forze armate professionali; sostegno alle necessarie riforme economiche. L'Unione europea, anche su impulso italiano, ha avviato una riflessione per una missione europea di monitoraggio del cessate-il-fuoco, naturalmente su espressa richiesta dei libici e in un quadro di legalità internazionale sancito dalle Nazioni Unite.

Tra fine dicembre 2019 e gennaio 2020 l'Italia ha attivato numerosi contatti di alto livello con i Paesi più direttamente interessati al dossier libico: Stati Uniti, Russia, Turchia, Francia, Regno Unito, Germania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto; da tale contesto è scaturito l'avvio di un tavolo trilaterale tra Italia, Russia e Turchia per la Libia, su proposta italiana.

Il 7 gennaio 2020, in una dichiarazione congiunta, l'Alto Rappresentante e i Ministri Affari Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno messo in guardia le parti in conflitto dal fare affidamento su assistenza militare dall'esterno perché non sia riconosciuta una influenza indebita agli attori stranieri nelle decisioni libiche; hanno chiesto un immediata cessazione delle ostilità e il rispetto dell'embargo sulle armi stabilito dall'ONU ;hanno chiesto di evitare azioni unilaterali come la firma di accordi che creano pretesti per interferenze esterne, richiamando quanto affermato nelle conclusioni del Consiglio europeo del 12 dicembre 2019 ("il Memorandum d'intesa Turchia-Libia sulla delimitazione delle giurisdizioni marittime nel Mar Mediterraneo lede i diritti sovrani di Stati terzi, non è conforme al diritto del mare e non può produrre alcun effetto giuridico nei confronti di Stati terzi") che ribadiscono precedenti condanne di attività di trivellazione della Turchia nella ZEE di Cipro.

Il 10 gennaio 2020 a Bruxelles il Consiglio Affari Esteri (CAE) ha dato all'Alto Rappresentante il mandato per rafforzare l'outreach diplomatico e raggiungere una soluzione politica nel quadro del processo di Berlino. Auspicando che il cessate-il-fuoco sia raggiunto e che la Conferenza di Berlino raggiunga un accordo politico, l'UE potrà concentrarsi - con una nuova missione - sul monitoraggio del cessate il fuoco e sul controllo del rispetto dell'embargo sulle armi. L'Alto Rappresentante Borrell presenterà delle proposte in tal senso al prossimo CAE.

La necessità di passare dalla retorica ai fatti, con forza, prima che sia troppo tardi deriva dalla valutazione di un complesso di rischi esposto dal Rappresentante Speciale dell'ONU, Salamé: il rischio terrorismo, il rischio migratorio, il rischio di destabilizzare l'intera regione, il rischio di un "nuovo schema geopolitico" nel Mediterraneo Centrale con l'ingresso di nuovi attori come Russia e Turchia.

La conferenza di Berlino e il processo a guida ONU

Alla vigilia della Conferenza di Berlino, Haftar ha bloccato i terminal dell'esportazione di greggio, causando un crollo immediato della produzione nazionale (da un milione di barili al giorno a 72.000 barili al giorno). Una mossa chiaramente volta ad aumentare il proprio peso negoziale, ma che ricade sul popolo libico.

Il 19 gennaio 2020 alla Conferenza di Berlino hanno partecipato rappresentanti degli attori statali esterni più influenti sul dossier libico (Algeria, Cina, Egitto, Francia, Germania, Italia, Russia, Turchia, Congo , EAU, Regno Unito e USA), nonché rappresentanti di ONU, Unione Africana, Unione Europea e Lega Araba, i quali hanno espresso sostegno alla tregua e al rilancio del processo politico, adottando delle Conclusioni su 6 panieri: politica, economia-finanza, sicurezza, embargo sulle armi, diritto umanitario e diritti umani. Al-Sarraj e Haftar, entrambi presenti a Berlino, non hanno avuto colloqui diretti bensì solo proximity talks. Tra i meccanismi attuativi della Conferenza di Berlino vi è l'istituzione di un Comitato dei Seguiti e di un Comitato militare congiunto 5+5 (5 rappresentanti nominati da Al-Serraj e 5 da Haftar). Quest'ultimo ha cominciato a lavorare a Ginevra il 3 febbraio 2020.

Intervenendo in sede di Comunicazioni alle Camere il 30 gennaio, il Ministro degli Esteri di Maio ha chiarito che l'importanza della Conferenza di Berlino risiede nel fatto che per la prima volta tutti gli attori internazionali influenti in quell'area hanno concordato su una roadmap che prevede il raggiungimento del cessate il fuoco ma anche l'embargo delle armi; poi la riattivazione del processo politico, la riforma del settore della sicurezza, la riforma del settore economico-finanziario e il rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. Tale roadmap è contenuta nell'allegato II (UNSMIL Operationalization of Berlin Process) alle Conclusioni della Conferenza di Berlino.

Il Rappresentante Speciale del Segretario generale dell'ONU, Ghassan Salamé, ha affermato che il suo Piano non ha mai smesso di essere in pista. Negli ultimi 4 mesi del 2019 vi è stato un intenso lavoro per costruire il consenso internazionale sull'attuazione del Piano e preparare la Conferenza di Berlino, prevedendo un meccanismo dei seguiti. Ci si è resi conto della necessità di far avanzare contemporaneamente i 3 track: quello economico (che ha cominciato a lavorare il 6 gennaio); il track militare (dal 3 febbraio) e il track politico che dovrebbe partire a Ginevra il 26 marzo; i 3 percorsi negoziali si svolgono a livello di parti libiche.

Le conclusioni della Conferenza di Berlino sono state fatte proprie dall'ONU con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 2510 (2020) del 12 febbraio che ha inoltre ribadito la necessità di un cessate il fuoco duraturo senza precondizioni al più presto possibile, dando mandato al Segretario Generale di produrre un Rapporto e fare raccomandazioni dettagliate al Consiglio di Sicurezza su un monitoraggio del cessate il fuoco sotto gli auspici ONU, non appena il cessate il fuoco venga consolidato. Tuttavia, tale Risoluzione, approvata con l'astensione della Russia, non opera sotto il Capitolo VII della Carta dell'ONU, non prevede cioè misure (tra cui l'uso della forza) per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. Opera invece sotto il capitolo VII la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 2509 (2020) dell'11 febbraio in materia di esportazione illecita di petrolio, embargo sulle armi, ecc.

Il Comitato dei seguiti di Berlino si è riunito il 16 febbraio a Monaco, a margine dell'annuale Conferenza di Monaco sulla sicurezza, e ha ribadito l'impegno ad ottenere il pieno rispetto dell'embargo sulle armi. La prossima riunione del Comitato dei seguiti si svolgerà a Roma, nel mese di marzo.

Tuttavia, il 19 febbraio al-Sarraj ha annunciato la sospensione della partecipazione del GNA ai colloqui del 5+5, a seguito del bombardamento del porto di Tripoli da parte del LNA di Haftar. In pari data, le dichiarazioni di UNSMIL sia dell'Alto Rappresentante dell'UE Borrell hanno condannato l'escalation delle violenze e il bombardamento del porto di Tripoli, invitando le parti a riprendere al più presto i colloqui di Ginevra per favorire la de-escalation e il raggiungimento di un cessate il fuoco permanente.

La nuova missione militare dell'UE

Il 17 febbraio 2020 il Consiglio Affari esteri dell'UE ha raggiunto all'unanimità l'accordo politico sul varo di una nuova missione europea, con assetti satellitari, aerei e navali, per il controllo dell'embargo di armi alla Libia, disposto dall'ONU sin dal 2011[23]. Le navi stesse serviranno come base per il controllo radar del loro spazio.

L'operazione europea Sophia[24] cesserà alla scadenza del suo mandato, il 31 marzo.

Per quanto riguarda l'area delle operazioni, al contrario di Sophia,  il dispositivo della nuova missione - avente come obiettivo principale l'attuazione dell'embargo sulle armi - si concentrerà nella parte est (di fronte alla Cirenaica) da cui provengono le armi. La nuova missione manterrà anche altri compiti come il contrasto al traffico di migranti e l'addestramento della Marina e della Guardia Costiera libica.

Il cosiddetto "pull factor" (fattore di attrazione) di flussi migratori[25] verrà attentamente monitorato dal Comandante dell'Operazione (attualmente i flussi partono principalmente dall'ovest e dal centro della Libia); se tale fattore verrà constatato, gli assetti navali verranno ritirati dall'area rilevante. Il prossimo Consiglio Affari esteri dell'UE definirà ulteriori dettagli (i dettagli sugli assetti saranno frattanto valutati dallo Stato Maggiore dell'UE) e discuterà anche dell'ipotesi dell'invio degli assetti terrestri per monitorare il confine con l'Egitto, come alcuni Stati membri hanno proposto, ma che presuppone la richiesta delle autorità libiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]   Si tratta dei seguenti casi: un'azione o una posizione dell'Unione, sulla base di una decisione europea del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell'Unione; un'azione o una posizione dell'Unione in base a una proposta dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza presentata in seguito a una richiesta specifica rivolta a quest'ultimo dal Consiglio europeo di sua iniziativa o su iniziativa dell’Alto Rappresentante; l’attuazione di una decisione europea che definisce un'azione o posizione dell'Unione; la nomina di un rappresentante speciale con un mandato per problemi politici specifici.

 

[2]   In particolare, la Francia ha presentato un non paper sulla riforma del processo di allargamento, il 15 novembre 2019 nel quale si condizionava l’avvio di negoziati ad una preventiva riforma della loro metodologia e successivamente l’11 dicembre 2019 l’Italia insieme ad Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia e Slovenia hanno presentato un ulteriore non paper, nel quale si indicava, in particolare, la disponibilità a rivedere la metodologia dei negoziati di adesione (secondo proposte sostanzialmente poi riprese dalla Commissione europea nella sua proposta sulla metodologia dei negoziati del 5 febbraio 2020), ma non a scapito della decisione di aprire i negoziati con Albania e Macedonia del Nord.

[3]   L'articolo 8 del Trattato sull’UE (TUE) prevede che l'UE "sviluppa con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell'Unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione".

 

 

[4] Intervento al vertice dei capi di Stato e di Governo dell’InCE (Roma, 19 dicembre 2019).

[5]   Si tratta del ddl A.C. 2120, già approvato dal Senato ed attualmente all’esame della Commissione Affari esteri, in sede referente.

[6]   I primi 17 progetti sono stati approvati nel marzo 2018. Una seconda tranche di altri 17 progetti sono stati approvati a novembre 2018, mentre gli ultimi 13 sono stati approvati a novembre 2019. L’Italia partecipa a 26 progetti ed è capofila di 9. Per l'elenco completo vedi qui.

[7]   Quest'ultimo, coordinato dai Paesi Bassi, è uno dei progetti più significati vi dell'intera Pesco. Commissione e l'Alta rappresentante hanno avviato nel 2018 un piano d'azione per la mobilità militare volto in particolare ad individuare i requisiti militari, gli eventuali potenziamenti delle infrastrutture di trasporto e le opzioni di semplificazione delle formalità doganali ed allineamento della normativa sul trasporto di merci pericolose atti a garantire la mobilità militare. Nell’ambito della proposta di regolamento relativo al meccanismo per collegare l’Europa (COM(2018) 438), relativo alle reti di trasporto, energia e infrastrutture digitali, è previsto uno stanziamento di 6,5 miliardi di euro per il finanziamento di infrastrutture di trasporto a duplice uso civile e militare nell’ambito del quadro finanziario 2021-2017, che tenendo conto del tasso di cofinanziamento del 50%, potrebbe mobilitare uno stanziamento complessivo di almeno 13 miliardi di euro per tali progetti.

    Il piano d’azione sulla mobilità militare è stato esaminato dalla Commissione IV Difesa della Camera dei deputati, le quale, tenuto conto anche del parere espresso dalla XIV Commissione Politiche dell’Unione europea, il 6 novembre 2018 ha approvato un documento finale esprimendo una valutazione favorevole con osservazioni. La Commissione Difesa del Senato si è pronunciata sul piano d'azione, tenuto conto anche del parere espresso dalla 8° Commissione (Lavori pubblici), il 5 dicembre 2018, con una risoluzione favorevole condizionata (Doc. XVIII, n. 8).

[8]   V. dossier n. 48 Donne, pace e sicurezza. Verso i 20 anni della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a cura del Servizio studi della Camera dei deputati (5 marzo 2019); dossier La 63^ Sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione femminile (CSW) e dossier n. 17 Partecipazione alla LXXIII Assemblea generale delle Nazioni Unite (New York, 25-28 settembre 2018) a cura del Servizio studi della Camera dei deputati e del Srvizio Affari internazionali del Senato.

[9]   http://www.rivistaoidu.net/sites/default/files/2_paragrafo_2_CdS_2_2016.pdf.

[10] Con le astensioni di Cina e Russia, non includendo però la tutela della salute riproduttiva delle vittime di tali violenze, su richiesta degli Stati Uniti.

[11] http://www.masterdirittiumanisapienza.it/l%E2%80%99agenda-%E2%80%9Cdonne-pace-e-sicurezza-nella-ris-2493-del-consiglio-di-sicurezza-delle-nazioni-unite

[12] V. nota di background per il Workshop 3 “The role of women in peace and security” a cura del Parlamento croato.

[13] Già in passato, per la verità, c'erano state alcune iniziative normative (che però non avevano mutato sensibilmente il quadro del mercato europeo della difesa) per facilitare la collaborazione trans-frontaliera nel campo della difesa, tra cui in particolare le due direttive del 2009 sul procurement militare e sul trasferimento infra-comunitario dei prodotti della difesa.

[14] Sono state così lanciate l'Azione preparatoria per la ricerca nell'ambito della difesa (PADR, dall'acronimo in inglese), con un budget di 90 milioni di euro nel periodo 2017-2019, e il Programma di sviluppo industriale della difesa europea (EDIDP), con un budget di 500 milioni per il biennio 2019-2020 (e che ha finanziato, anche l'ambizioso progetto Ocean 2020, guidato da dall'italiana Leonardo).

[15] La proposta è stata esaminata congiuntamente dalle Commissioni IV (Difesa) e X (Attività produttive, commercio e turismo), della Camera dei deputati le quali, tenuto conto anche del parere espresso dalla XIV Commissione (Politiche dell’Unione europea), il 6 settembre 2018 hanno approvato un documento finale esprimendo una valutazione favorevole con osservazioni. Nella stessa data, al termine dell'esame del provvedimento, la Commissione Difesa del Senato ha formulato una risoluzione favorevole con osservazioni (Doc. XVIII, n. 4).

 

[16] Per maggiori approfondimenti v. dossier n. 16 Autorizzazioni e proroga missioni internazionali

[17] Il 18 dicembre 2015 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU aveva adottato all'unanimità la Risoluzione n. 2259 (2015) sulla Libia in cui si invita il Consiglio di presidenza libico a lavorare speditamente per formare entro 30 giorni il Governo di unità nazionale che costituirà l'unico governo legittimo della Libia, necessario ad assicurare la governance, la stabilità e lo sviluppo della Libia - come già affermato nel Comunicato di Roma. Si chiedeva, inoltre, agli Stati membri di rispondere urgentemente alle richieste di assistenza del Governo di unità nazionale per l'attuazione dell'Accordo politico libico. Si imponeva, infine, agli Stati membri di assistere prontamente il Governo di unità nazionale nel rispondere alle minacce alla sicurezza libica e a sostenere attivamente il nuovo Governo nella necessità di sconfiggere ISIS ed i gruppi ad esso affiliati o ad al-Qaeda, su sua richiesta.

[18] Oltre alla già citata 2259 (2015), le risoluzioni 2312 (2016), 2362 (2017) e 2380 (2017), 2437 (2018).

[19] V. Talbot, A. Varvelli, Turchia sul fronte Libia con armi e gas, 19 dicembre 2019, in Ispionline.

[20] V. Talbot, A. Varvelli, ibidem.

[21] V. Talbot, A. Varvelli, ibidem.

[22] F. Semprini, Sarraj e Haftar a Mosca per firmare la tregua, in La Stampa, 13 gennaio 2020.

[23] Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1970 (2011).

[24] Tale operazione - i cui assetti navali sono stati temporaneamente sospesi dal Comitato politico e di sicurezza dell'UE nel marzo 2019 - è stata inizialmente istituita dal Consiglio affari esteri dell'UE nella riunione del 22 giugno 2015 nel corso della quale si è deciso l'avvio di un'operazione navale militare, denominata EUNAVFOR MED, volta a contribuire allo smantellamento delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale. La missione è stata ribattezzata EUNAFOR MED "Sophia" dal nome di una bambina nata sulla nave militare tedesca Schleswig-Holstein, nel corso di una operazione di soccorso effettuata il 22 agosto 2015. Nel giugno del 2016 sono stati aggiunti due compiti ulteriorii: la formazione della guardia costiera e della marina libiche; il contrasto al traffico di armi, in conformità alle relative risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU. Nel luglio del 2017, il Consiglio UE ha ulteriormente ampliato il mandato dell'operazione, attribuendole anche i compiti di: svolgere attività di sorveglianza e raccolta informazioni sulle esportazioni illecite di petrolio dalla Libia, conformemente alle rilevanti risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU; istituire un meccanismo di controllo per assicurare l'efficienza a lungo termine della formazione della Guardia costiera libica.

[25] La preoccupazione per il pull factor, come è noto, è stata rappresentata soprattutto da Austria e Ungheria.