Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | Riunione interparlamentare della Commissione esteri (AFET) del Parlamento europeo "Prospettive future della Politica estera e di sicurezza comune (PESC)" - Bruxelles, 2 aprile 2019 |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 21 |
Data: | 28/03/2019 |
Organi della Camera: | III Affari esteri, IV Difesa, XIV Unione Europea |
XVIII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
RIUNIONI INTERPARLAMENTARI
Riunione interparlamentare della Commissione esteri (AFET) del Parlamento europeo “Prospettive future della Politica estera e di sicurezza comune (PESC)”
Bruxelles, 2 aprile 2019
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 48 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 21 |
Servizio Studi
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Dossier europei n. 48
Ufficio rapporti con l’Unione europea
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Dossier n. 21
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Ordine del giorno
Il quadro politico in Iraq (a cura del Servizio Studi)
Le elezioni del 12 maggio 2018
Le recenti manifestazioni di protesta
Rapporti bilaterali Italia-Iraq
Nuova strategia dell’UE nei confronti dell’Iraq
Sostegno dell’UE all’aiuto umanitario ed alla ricostruzione in Iraq
Il futuro delle relazioni tra UE e Regno Unito dopo la Brexit
Il quadro delle future relazioni tra l’UE e il Regno Unito
Le prospettive future della Politica estera e di sicurezza comune (PESC)
La “Relazione PESC – Le nostre priorità nel 2018” del Consiglio dell’UE
Le risoluzioni del Parlamento europeo del 12 dicembre 2018
Relazione annuale sull'attuazione della politica estera e di sicurezza comune 45
Relazione annuale sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune ................................................................................ 55
La Commissione affari esteri del Parlamento europeo (AFET) ha organizzato una riunione interparlamentare, che si svolgerà presso il Parlamento europeo il 2 aprile 2019 e che sarà dedicata a tre temi:
· sviluppi politici in Iraq, con uno scambio di vedute con il Presidente della Repubblica Irachena, Barham Saleh;
· il futuro delle relazioni tra UE e Regno Unito dopo la Brexit, con uno scambio di vedute con il Capo negoziatore, Michel Barnier ;
· le prospettive future della Politica estera e di sicurezza comune (PESC), sulla base di due risoluzioni approvate dal Parlamento europeo il 12 dicembre 2018 rispettivamente sull’attuazione della politica estera e di sicurezza comune e sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune e con uno scambio di vedute con il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Johannes Hahn.
Entrambe le risoluzioni si basano sulle priorità definite dal Consiglio dell’UE nella relazione di carattere annuale “Relazione PESC – Le nostre priorità nel 2018” approvata dal Consiglio Affari esteri dell’UE il 16 luglio 2018.
Schede di lettura
(A cura del Servizio Studi)
Le elezioni del 30 aprile 2014 non hanno portato stabilità al Paese, già caratterizzato da diffuse insurrezioni contro il Governo Al-Maliki.
L’instabilità politica ha contribuito all’avanzata delle forze islamiste di Dàesh verso Baghdad ed Erbil, che ha avuto come apice la proclamazione il 29 giugno 2014 del Sedicente califfato islamico e la caduta della seconda città del Paese, Mosul.
Solo a seguito di questi avvenimenti i partiti iracheni hanno acconsentito ad un patto di unità nazionale, in cui il curdo Fuad Masoum è stato eletto Presidente della Repubblica e il sunnita Al Jabouri è diventato Speaker della Camera dei Rappresentanti.
Nel luglio 2014 si è costituito il Governo guidato dallo sciita Hayder Al Abadi, rappresentante del Dawa Party.
Oltre a condurre l’offensiva militare contro Daesh, il governo Abadi si è posto l’obiettivo di rafforzare le istituzioni centrali con un programma di riforme che mira a eliminare il sistema di ripartizione su base settaria delle cariche politiche e amministrative; attivare un Consiglio nazionale anti-corruzione presieduto dal Primo Ministro sull’impiego di fondi pubblici; riformare il settore giudiziario, emendare la Costituzione attribuendo maggiori poteri al Governo; ridurre il numero dei Ministeri; tagliare i salari pubblici.
La realizzazione dell’ambizioso programma si è scontrata con l’opposizione di vari fronti. Tra questi le milizie sunnite, che hanno talora cooperato con Daèsh e Al-Qaeda, e il movimento di Moqtada al Sadr (Movimento sadrista)[1]. che ha guidato proteste di piazza a Baghdad ed in varie province contro la corruzione, la scarsità dei beni primari ed il protrarsi della guerra.
La liberazione dei territori occupati da Daesh è avvenuta a seguito di una dura campagna militare ed è stata accompagnata da violenze nei confronti della popolazione sunnita, ad opera delle milizie irregolari sciite (Hashd al Shabi o PMF – Popular Mobilization Forces).
La durezza del conflitto ha indotto a mettere in primo piano la questione della Riconciliazione Nazionale. In ambito parlamentare sono state discusse a lungo sia la legge sulla “de-baathificazione” che quella per il riconoscimento delle milizie sciite le Popular Mobilization Forces (PMF). Quest’ultima è stata approvata il 26 novembre 2016, nonostante l’astensione e l’ostilità dichiarata dei gruppi parlamentari sunniti e curdi.
Dopo 3 anni di conflitto, Abadi il 10 dicembre 2017 ha annunciato la sconfitta delle forze di Daesh, proclamandolo giorno della vittoria.
Diversi analisti suggeriscono tuttavia che nel Paese persistono ancora estesi reti legate a Daèsh. Sono attualmente in corso operazioni contro gruppi armati nella zona di Anbar e Nineveh.
Agli inizi di luglio, Moqtada al Sadr, leader della più grande milizia irachena, ha cercato di avviare un processo di pacificazione e disarmo ordinando alle sue truppe di sospendere per due anni le loro attività. Nel contempo, ha chiesto anche alle forze statali di limitare l’uso delle armi.
Dopo la proclamata vittoria su Daesh il governo Abadi. ha convocato una Conferenza Internazionale per la ricostruzione dell’Iraq che ha avuto luogo in Kuwait dal 12 al 14 febbraio 2018. La Conferenza, che aveva lo scopo di porre le basi per la stabilizzazione del paese anche in vista del decisivo appuntamento elettorale del maggio 2018, si è focalizzata sulle priorità economiche del paese.
Alla conferenza, organizzata, svoltasi in collaborazione con la Banca Mondiale Iraq, Nazioni Unite ed Unione Europea, hanno preso parte 74 paesi, le organizzazioni internazionali, numerosissime ONG e aziende.
I fondi necessari alla ricostruzione, per i prossimi 10 anni, sono stati valutati in 88,2 miliardi di dollari, (16 mld USD per la ricostruzione). Di questi 22,85 nel breve periodo (1 anno) e 65,39 nel medio periodo (2-5 anni).
Sono stati valutati in 45,73 mld USD i danni subiti nei 7 governatorati devastati dal recente conflitto. Nonostante l’Iraq, nella fase preparatoria, avesse marcato l’accento sulla necessità di una Conferenza di donatori, anche per ricompensare il paese per la vittoria contro Daesh, nei fatti la Conferenza si è caratterizzata come Conferenza dei “Creditors”. Sono stati assunti impegni per crediti da accordare all’Iraq in vista della ricostruzione sull’assunto delle sue potenzialità inespresse, ma a patto che si concretizzino serie riforme politiche ed economiche.
Le elezioni politiche del 12 maggio 2018, svoltesi sotto la supervisione dell’Indipendent High Commission for Elections (IHEC), non sono state caratterizzate da violenze paragonabili a quelle degli anni passati.
Si è registrata tuttavia un’affluenza molto bassa (44,5% degli aventi diritto a fronte del 62% delle precedenti). Inoltre, i risultati definitivi non sono stati ancora diffusi e l’intero processo elettorale è ancora oggetto di contestazioni.
In base ai dati provvisori resi noti a mezzo stampa, il risultato delle elezioni sarebbe il seguente:
· Liste sciite 193 seggi (56,6%);
· Liste curde 44 seggi (13,4%);
· Liste sunnite 44 seggi (13,4%).
La frammentazione resta tuttavia molto alta.
Quasi metà dei parlamentari eletti appartiene a partiti che non esistevano alle scorse elezioni. Alle piattaforme tradizionali si sono opposte nuove forze come la coalizione “anti-sistema” Nishtiman per i curdi e quelle Saairun e Fatah per gli sciiti; per i sunniti si sono presentate con successo liste locali, come a Nineveh e nell’Anbar.
A differenza del passato, nelle diverse coalizioni è mancata l’unità politica di ciascun blocco etnico-confessionale.
Il primo partito, con 54 seggi, sarebbe il partito sciita Saairun di Motqada-al-Sadr, mentre il secondo, con 47 seggi, sarebbe il partito sciita filoiraniano Fatah di Hadi Al-Amiri. Solo 42 seggi toccherebbero al partito Nasr del premier Haider al-Abadi, 25 ai curdi del Partito democratico curdo, 25 alla Coalizione “Stato di diritto” dell’ex premier Nouri al-Maliki e 21 alla coalizione Wataniya di Ayad Allawi.
Il 6 giugno, dopo che il Premier aveva reso nota le conclusioni di un'inchiesta della Commissione, da lui nominata, sulla regolarità del processo elettorale, 172 Parlamentari, convocati dal non rieletto Presidente del Parlamento, Al-Jubouri, hanno votato all'unanimità un emendamento alla legge elettorale che prevede il conteggio totale e manuale di oltre 11 milioni di schede; la sostituzione dei componenti della Commissione indipendente Elettorale (IHEC) con 9 giudici nominati dal Presidente della Corte di Cassazione, nonché l'approvazione dei risultati del lavoro condotto dal comitato investigativo governativo sulle “irregolarità nell'attività della stessa IHEC".
Il 21 giugno successivo la Corte suprema ha dichiarato legittima la decisione. Di conseguenza la nuova Commissione elettorale sta procedendo al conteggio manuale dei voti. Da notizie stampa risulta che alla data 23 luglio la Commissione elettorale indipendente ha completato il conteggio manuale in 14 governatorati su 18.
La formazione di un Governo, necessariamente di coalizione, è oggetto di negoziati riservati e potrà avvenire in tempi allo stato non prevedibili.
La situazione socio-economica della popolazione, che risente dei lunghi anni di conflitto e dei problemi endemici dell’Iraq (corruzione, povertà diffusa, carenze nei servizi idrici, black out elettrici ecc..) sta provocando nell’estate del 2018 il dilagare di proteste.
Le proteste sono iniziate nel sud del Paese l’8 luglio e hanno avuto per oggetto la corruzione, la disoccupazione, l’aumento del costo della vita e la mancanza di servizi pubblici basilari, in particolare acqua e elettricità, in un periodo di forte siccità. La situazione è rapidamente degenerata dopo l’uccisione di un dimostrante da parte di un membro delle forze di sicurezza irachene a Bassora.
Le manifestazioni si sono estese a otto governatorati, tra cui la stessa Baghdad, con episodi eclatanti nelle città a maggioranza sciita come Karbala e Najaf, ma anche a Bassora, Nassiriya, Amarah, Maysan. I disordini si sono rivolti contro strutture pubbliche (chiuso per tre giorni l’aeroporto di Najaf, messe a rischio le esportazioni petrolifere) e presidi militari e hanno provocato almeno 14 morti e alcune centinaia di feriti. Tra le rivendicazioni sostenute dalle popolazioni delle provincie meridionali figura l’attribuzione di posti di lavoro nei campi petroliferi alla popolazione locale.
Abadi, rientrato dal vertice NATO dell'11-12 luglio, ha convocato a Baghdad una riunione dei leader dei partiti politici, promettendo di trasferire circa 3 miliardi di dollari dal bilancio federale e parte delle tariffe doganali al sud del paese; nonché di mettere un freno ai black out energetici previa deviazione di energia elettrica da Mosul verso il sud siglando anche un’intesa con l’Arabia saudita per l’approvvigionamento energetico, che si aggiungerebbe a quella già siglata con Teheran.
Le manifestazioni avvengono in una fase particolarmente delicata, a causa della situazione politica del Paese e delle tensioni tra Stati Uniti e Iran, che, in diversa maniera, condizionano il quadro politico iraqeno. Sul breve periodo sembra che esse portino a prolungare la vita del Governo uscente di Abadi, rimandando la formazione di nuove coalizioni.
Dopo la fine del regime di Saddam Hussein, la regione del Kurdistan iraqeno (KRG) gode di un’ampia autonomia nonché di proprie forze di sicurezza.
Le elezioni del 2013 hanno portato al potere il PDK (Partito democratico del Kurdistan) di Masoud Barzani, dal 2005 Presidente del Kurdistan. Il mandato presidenziale scadeva nel 2015, ma la contrapposizione tra i partiti sul meccanismo di scelta del Presidente ha consentito a Barzani di mantenere l’incarico.
Esaurita la comune battaglia contro Daesh, i rapporti tra il Governo centrale e il Governo della Regione autonoma sono tornati tesi, in particolare sulla cruciale questione della ripartizione dei proventi petroliferi e delle provincie di Niniwe e Kirkuk.
La mancata attuazione dell’accordo del febbraio 2015 sui proventi petroliferi e sul versamento delle quote di bilancio ha acuito le tensioni.
Nel giugno 2016 è stato trovato un nuovo compromesso con lo sblocco parziale delle esportazioni “autogestite” di greggio dal Kurdistan iracheno (KRG) verso la Turchia.
Altro elemento di tensione è legato al fatto che i curdi reclamano la città di Kirkuk ed altri territori controversi la cui sorte, secondo la Costituzione, dovrebbe essere oggetto di referendum.
Il 7 giugno 2017 il presidente Barzani, ha indetto il referendum per l’indipendenza del KRG, esteso anche agli abitanti delle zone contese, per il 25 settembre 2017.
Con decisione del 14 settembre il Parlamento di Baghdad ha respinto come "illegittimo" il referendum curdo, mentre a livello internazionale sono state esercitate pressioni, concordate tra ONU, USA e Regno Unito, ma anche dai paesi dell’area come Iran, Turchia, e persino Arabia Saudita contrarie all’indipendenza del KRG.
In seguito al referendum, dove il 92% dei votanti si è pronunciato per l’indipendenza, il governo iracheno ha ordinato la chiusura delle frontiere del Kurdistan, nonché a partire dal 29 settembre dello spazio aereo curdo (fatta eccezione per i voli interni) ed il blocco delle esportazioni di petrolio attraverso la Turchia. A fine ottobre dopo l’intervento delle forze armate irachene che hanno ripreso il controllo di Kirkuk e di altri territori contesi, si sono avute le dimissioni di Masoud Barzani da presidente del KRG.
Il primo Ministro iracheno Abadi ha riavviato successivamente il dialogo tra Regione e Governo federale, reiterando l'offerta di un negoziato sulle questioni pendenti da ricondurre all'interno di un'ottica nazionale.
La situazione rimane comunque fluida e potrebbe essere ulteriormente modificata dalle prossime elezioni politiche del Kurdistan che dovrebbero essere fissate per l’autunno.
Attualmente i principali partiti curdi sono i due più antichi Partito democratico del Kurdistan (PDK), guidato dalla famiglia Barzani e l’Unione patriotica del Kurdistan (UPK) e il più recente Gorran (Partito del cambiamento), fondato nel 2009 e fortemente critico nei confronti delle forze politiche tradizionali.
La cooperazione italiana è particolarmente attiva nella regione e ha svolto una funzione importante anche in occasione del terremoto del 12 novembre 2017.
La situazione dei diritti umani in Iraq, già grave nel periodo del regime saddamista, è ulteriormente peggiorata in seguito all’insorgenza di Dàesh e all’inizio del conflitto nel Governatorato dell’Anbar (gennaio 2014), estesosi al nord e centro dell’Iraq (giugno 2014). Il conflitto ha causato notevoli sofferenze tra la popolazione civile, oggetto di attentati, pulizie etniche, rapimenti, aggressioni fisiche e sessuali e altre sistematiche violazioni dei diritti umani, perpetrate in particolare dai terroristi di Dàesh. Le donne e i bambini sono stati oggetto di violenze generalizzate e rimane preoccupante l’utilizzo dei bambini nelle operazioni militari.
Le minoranze etniche e religiose hanno sofferto particolarmente, subendo rapimenti e vere e proprie esecuzioni di massa. Anche nelle aree non direttamente interessate dal conflitto si è assistito a un deterioramento del rispetto della Rule of Law e dei diritti umani.
Oltre al problema della pena di morte (cfr. supra), si segnala l’aggravamento delle condizioni delle prigioni e dei carcerati, a causa del sovraffollamento e della mancanza di personale.
Sul fronte del rispetto dei diritti di libertà di espressione e di assemblea, continui sono gli attacchi, le intimidazioni, gli arresti, gli abusi e le confische nei confronti di giornalisti e operatori di media.
Suscita preoccupazione la recente approvazione della National Card Law irachena[2] che prevede tra l’altro l’obbligo per i minori di seguire, se un genitore si converte all’Islam, la sua scelta a prescindere dalle convinzioni dell’altro genitore e dall’affidamento parentale.
Le minoranze religiose non musulmane oscillano dall’1 al 3% della popolazione irachena, anche se risulta alquanto difficile, in assenza di stime ufficiali, stilare una mappatura dettagliata delle minoranze religiose non islamiche.
Le drammatiche vicende degli ultimi anni hanno spinto migliaia di cristiani e yazidi ad abbandonare i loro luoghi di origine per sfuggire alle violenze delle milizie Daesh.
I cristiani rappresentano la minoranza religiosa non musulmana più numerosa in Iraq. Tradizionalmente suddivisi in 3 gruppi: Caldei, Assiri (o Nestoriani) e Siriaci occidentali (o Giacobiti), la loro presenza era stimata in 1.5 milioni di individui concentrati principalmente nella Provincia di Ninewa, nel Kurdistan iracheno e a Baghdad. Dopo il 2003 il loro numero è drasticamente diminuito. Ad oggi si calcola che la comunità cristiana rappresenti tra lo 0.8% e l’1% della popolazione, con una consistenza numerica oscillante tra le 400mila e le 500mila unità.
Dopo la crisi del regime di Saddam Hussein, l’Iraq è diventato un’arena aperta alle influenze di diverse potenze, regionali o globali.
Sin dal 2003, diversi partiti interni hanno ricercato appoggi esterni per rafforzare la propria legittimità e il proprio potere.
In tale contesto la politica estera iraqena appare soprattutto condizionata dalle divisioni interne e dall’esigenza di ricostruire il Paese.
I principali attori internazionali attivi nella regione sono l’Iran, che sostiene alcuni dei partiti politico-religiosi sciiti, e gli Stati Uniti, che hanno condotto numerose operazioni militari nella guerra contro Daèsh e hanno fornito cospicui aiuti.
Si segnala che negli ultimi mesi sono stati conclusi due accordi fra Baghdad e Teheran. Il primo, siglato dal segretario generale del ministero della Difesa iracheno, Mohammad Jawad Kazim, e dal viceministro della Difesa iraniano, Hajtallah al-Quraishi, riguarda una rafforzata cooperazione militare, in cui Teheran si impegna a fornire maggiore assistenza in termini di approvvigionamenti militari (19 febbraio); il secondo è un memorandum d’intesa per allargare la cooperazione in ambito di intelligence militare (18 marzo).
L’influenza della Turchia si esercita soprattutto verso il Nord del Paese, nel Kurdistan e nell’area di Mosul.
Appare in crescita l’influenza dell’Arabia saudita, che aspira a contrastare l’influenza iraniana sostenendo sia la componente sunnita sia la componente sciita non filoiraniana.
Pur nelle difficoltà imposte dalla situazione interna del Paese, le relazioni tra Italia ed Iraq continuano a crescere sia a livello politico che economico, grazie soprattutto all’impegno italiano a sostenere l’Iraq con progetti di cooperazione e di collaborazione in vari settori.
Si ricorda in particolare la visita del Presidente del Consiglio Renzi a Baghdad ed Erbil (dicembre 2014). Più recentemente, nel marzo 2017, si è registrata la visita a Roma del ministro dei trasporti al Hamami che ha incontrato l’allora Ministro Delrio e ha presentato il nuovo piano governativo nel settore trasporti Successivamente presso la sede di Italferr il Ministro iracheno ha incontrato il sottosegretario del Maeci on. Amendola che ha restituito la visita recandosi a Baghdad ed Erbil nel maggio 2017.
Il direttore generale Marrapodi della Cooperazione e lo Sviluppo del MAECI ha partecipato alla Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Iraq tenutasi il 14 febbraio a Kuwait City in rappresentanza dell’Italia confermando 260 milioni in crediti di aiuto e 5 mln in doni per il 2018.
Sul fronte operativo e della cooperazione già nel 2013 l’Italia era intervenuta per assistere la popolazione in fuga dal conflitto in Siria rifugiatasi nel Kurdistan iracheno.
In accoglimento dell’appello dell’UNICEF era stato disposto tramite la Cooperazione Italiana un intervento umanitario di emergenza per fornire acqua potabile a circa 27.000 rifugiati.
A seguito dell’offensiva militare Daesh nel giugno 2014, la Cooperazione italiana ha risposto stanziando fondi a beneficio dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (500.000 Euro) e del Programma Alimentare Mondiale (250.000 Euro). Interventi minori sono stati coordinati direttamente dall’Ambasciata a Baghdad (attraverso l’utilizzo di fondi disponibili) Nella fase più acuta della crisi, la Cooperazione italiana ha inviato ad Erbil aiuti di emergenza con sei voli umanitari, oltre ad effettuare donazioni alle principali agenzie ONU (UNICEF, UNHCR, OMS e WFP) impegnate sul terreno. La Cooperazione Italiana ha poi stanziato fondi in loco per il valore di più di 4 milioni di euro per progetti di emergenza realizzati dalle ONG italiane presenti sul territorio.
L’impegno italiano si è concretizzato anche attraverso un considerevole sforzo militare, fornendo addestramento ai Peshmerga curdi. È stata inoltre predisposta una Task Force Praesidium presso la Diga di Mosul con compiti di protezione del cantiere della società Trevi, a cui sono stati assegnati i lavori per la ristrutturazione ed il consolidamento della Diga di Mosul (sulla presenza militare italiana cfr. infra).
Importante è anche la collaborazione nel settore culturale. L’Italia ha realizzato numerose attività per il recupero e la preservazione del patrimonio archeologico minacciato dalla guerra o trafugato in tutte le aree del Paese, contribuendo anche alla riapertura, nel marzo 2015, del Museo di Baghdad, al quale è stato donato un laboratorio di restauro dei manoscritti e un laboratorio biologico.
Sul piano economico, quello iracheno è stato negli ultimi anni un mercato di sbocco particolarmente importante per le imprese italiane che hanno potuto registrare esportazioni in costante crescita, a partire dalla caduta di Saddam fino al 2013. La bilancia commerciale è costantemente in favore dell’Iraq per via delle importazioni di petrolio greggio
Dai dati FMI l’Italia risulta per il 2016 il quinto cliente con una quota del 6,6% ed il nono fornitore con un peso relativo del 2,4% nel commercio mondiale con l’Iraq.
La crisi irachena ha influenzato gli scambi bilaterali. Per il 2016 le esportazioni sono scese dai 914 del 2015 a 619 mln € (-32%), mentre sul fronte delle importazioni si passa dai 3.365 ai 2.943 mln € (-12,5%). Nel 2017 è proseguito il trend al ribasso, con esportazioni attestate a quota 571 mln € (-32,3%) e una diminuzione delle importazioni: 2.821 mln € (-4,1%).
Le necessità legate alla ricostruzione fanno tuttavia ben sperare nella crescita dell’interscambio sia per i grandi player del settore Oil & Gas che per le imprese operanti nell’ambito delle infrastrutture e delle costruzioni, nel settore elettrico, nell'industria manifatturiera e nel settore agricolo.
Le principali voci merceologiche delle esportazioni italiane sono tradizionalmente costituite da macchinari ed apparecchiature destinati ai settori energetico e petrolifero, oltre che al settore delle risorse idriche, nonché, pur se in misura ridotta, prodotti dell'industria chimica e farmaceutica.
I beni di consumo durevoli e semidurevoli occupano un posto ancora modesto nel paniere del nostro export. Lo stock di Investimenti italiani ha raggiunto nel 2016 i 193 mln USD (tra il 2013 ed il 2016 il flusso medio annuo è stato di 50 milioni di USD).
Tra le imprese presenti in Iraq si ricordano in particolare Italferr, che ha sviluppato diversi progetti, tra cui quello del porto di Al Faw, nell’area di Bassora, Eni e Trevi, che ha curato la messa in sicurezza della diga di Mosul.
L’Italia partecipa alla Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh, che opera in Iraq e Siria. L'Italia ha partecipato esclusivamente alle attività condotte in Iraq. La campagna militare, articolata in quattro fasi temporali in successione, l'8 agosto 2017 è passata alla Fase III (Defeat), che vede il passaggio dello sforzo principale di contrasto a Daesh dall'Iraq alla Siria ed ha come obiettivo la sconfitta militare di Daesh, la riconquista dei territori occupati e la messa in sicurezza delle principali città.
L'attuale contributo nazionale prevede, dal 1° gennaio al 30 settembre 2018, un impiego massimo di 1497 militari, 390 mezzi terrestri e 17 mezzi aerei, impiegati in fasi successive:
· prima fase (completata - dal 16 al 20 agosto 2014) di “supporto umanitario”: circa 45 unità tra Force Protection (FP) e aviorifornitori più gli equipaggi di volo nel trasporto e consegna di materiale umanitario;
· seconda fase (completata) per la fornitura materiale di armamento alle Iraqi Security Forces (ISF) e milizie volontarie con circa 30 unità tra equipaggi di volo, Force Protection (FP) e aviorifornitori;
· terza fase inserimento di personale nella costituenda Combined Joint Task Force da ottobre 2014: in Kuwait, ad Al-Udeid (Qatar), a Baghdad e ad Erbil (Iraq) per esigenze di comando e per addestrare i militari peshmerga e irakeni;
· quarta fase da ottobre 2014 con la costituzione di una Task Force Air (TF-A) con circa 280 unità in Kuwait: per lo schieramento di 1 velivolo da rifornimento in volo (AAR) KC 767 e di alcuni assetti per la ricognizione e sorveglianza: due aerei a pilotaggio remoto Predator e di 4 velivoli (inizialmente nr. 4 A-200 TORNADO in versione IDS) AMX.
Dalla fine di giugno 2015, inoltre, è attiva nella capitale irakena la Police Task Force Iraq (PTFI) di circa 90 unità con il compito di addestrare gli agenti della Iraqi Federal Police destinati ad operare nei territori liberati dall’ISIS, evitando il pericoloso vuoto di potere che segue la fase dei combattimenti
L'UE sostiene la transizione dell'Iraq verso la democrazia e la sua integrazione all'interno della regione e nella comunità internazionale.
Nel maggio del 2012, la UE e l'Iraq hanno firmato un accordo di partenariato e di cooperazione, che fornisce un quadro per promuovere il dialogo e la cooperazione sui seguenti temi: questioni politiche e sociali; diritti umani; lo stato di diritto; migrazione; ambiente; commercio; cultura; energia; trasporto e sicurezza.
Il Consiglio affari esteri dell’UE - sulla base della comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alta Rappresentante presentata l’8 gennaio 2018 - ha adottato il 22 gennaio 2018 delle conclusioni relative alla nuova strategia dell’UE nei confronti dell’Iraq, nelle quali in particolare si indica l’impegno dell'UE seguenti settori chiave:
· l'UE ribadisce il proprio impegno a promuovere un forte partenariato UE-Iraq, basato sull'accordo di partenariato e di cooperazione (APC), e a sostenere le autorità irachene nella fase di ricostruzione e nelle azioni volte ad affrontare i fattori politici, sociali ed economici alla base dell'instabilità. L'UE invita tutte le parti interessate in Iraq a collaborare in modo pacifico, cooperativo e responsabile per far fronte a tali questioni, gettando le basi per uno Stato inclusivo;
· mantenere l'unità, la sovranità e l'integrità territoriale dell'Iraq, nonché la sua diversità etnica e religiosa: l'UE invita il governo iracheno e il governo regionale del Kurdistan ad avviare un dialogo basato sulla piena applicazione della costituzione irachena, comprese le disposizioni sull'autonomia curda;
· rafforzare il sistema politico iracheno sostenendo gli sforzi dell'Iraq tesi a istituire un sistema di governo equilibrato, inclusivo, responsabile e democratico: è fondamentale che la popolazione irachena intraprenda un processo inclusivo di riconciliazione a livello nazionale, regionale e locale in uno spirito di comprensione reciproca e compromesso. In tutti i processi è necessario garantire a livello nazionale, regionale e locale la piena partecipazione di donne, giovani, società civile e di tutte le componenti della società irachena, comprese le minoranze etniche e religiose;
· assistere le autorità irachene nella fornitura di aiuti umanitari, nel sostegno ad una rapida ripresa, nella stabilizzazione, nello sviluppo e nella ricostruzione: occorre consolidare la pace stabilizzando le condizioni nelle province liberate, garantendo il ritorno non discriminatorio degli sfollati interni alle loro zone di origine e assicurando un contesto favorevole alla riconciliazione, nonché attuando riforme politiche ed economiche. Nel processo di ritorno e ricostruzione è opportuno, in particolare, concentrare l'attenzione su questioni relative ai diritti all'abitazione, fondiari e di proprietà;
· promuovere una crescita economica sostenibile, inclusiva e fondata sulla conoscenza e la creazione di posti di lavoro: l'UE evidenzia la necessità di proseguire le riforme finanziarie ed economiche e di erogare adeguati fondi di bilancio ai governi subnazionali per consentire all'Iraq di intraprendere un percorso di ripresa economica, ricostruzione e sviluppo economico e sociale. L'UE è pronta a contribuire all'attuazione, da parte dell'Iraq, del processo di riforme necessarie a rafforzare e diversificare l'economia, creando opportunità per la creazione di posti di lavoro, anche per i giovani. Il potenziamento del sistema di istruzione è decisivo per la stabilizzazione a lungo termine dell'Iraq e per lo sviluppo del paese;
· promuovere un sistema giudiziario efficace e indipendente e assicurare l'assunzione di responsabilità: l'UE ritiene indispensabile che il governo e i leader politici propongano e sostengano un processo credibile di giustizia di transizione. L'assunzione di responsabilità per i crimini commessi da tutte le parti, assicurando un giusto processo, è un elemento importante per la riconciliazione nazionale. L'UE rinnova l'invito al Governo federale dell'Iraq a introdurre una moratoria delle esecuzioni capitali e al governo regionale del Kurdistan a ripristinare una moratoria, con il fine ultimo di abolire la pena di morte;
· instaurare con l'Iraq un dialogo in materia di migrazione: l’UE accoglie con favore l'avvio di uno scambio formale con l'Iraq in materia di migrazione, volto ad individuare settori di cooperazione di reciproco interesse L'UE invita il Governo iracheno a continuare a cooperare per stabilire procedure volte ad agevolare il rimpatrio dignitoso, sicuro e ordinato dei cittadini iracheni nel loro paese di origine in linea con il diritto internazionale, compresi il diritto dei diritti umani e l'obbligo di riammettere i propri cittadini;
· promuovere buone relazioni tra l'Iraq e tutti i suoi vicini: l'UE è determinata a promuovere il dialogo regionale e si compiace del costante impegno diplomatico dell'Iraq con i paesi vicini. Incoraggia tutti i paesi della regione a svolgere un ruolo costruttivo, a sostenere e aumentare il loro sostegno all'Iraq e a continuare a favorire l'unità, la sovranità e l'integrità territoriale dell'Iraq.
L’UE è il maggiore donatore per aiuti umanitari in Iraq. Nel periodo 2015-2018 l’UE ha infatti fornito circa 420 milioni di euro in aiuti umanitari per assistere i rifugiati in Iraq in seguito alla crisi siriana. Secondo gli ultimi dati disponibili 1,8 milioni di iracheni hanno abbandonato le proprie abitazioni, di cui 600.000 vivono in campi. Mentre sono 250.000 i rifugiati siriani attualmente presenti in Iraq.
L'UE ha copresieduto la Conferenza internazionale per la ricostruzione dell'Iraq che si è tenuta in Kuwait il 12-14 febbraio 2018 nel corso della quale è stata concordata la mobilitazione di circa 30 miliardi di dollari di ulteriore sostegno internazionale per il paese dopo la sconfitta territoriale dell'ISIL nel 2017. L'UE ha annunciato uno stanziamento ulteriore 400 milioni di euro dal suo bilancio - in aggiunta al sostegno degli Stati membri dell'UE - per il recupero, la stabilizzazione, la ricostruzione e lo sviluppo sostenibile a lungo termine.
L’UE ha avviato nel novembre 2017 missione consultiva dell'UE a sostegno della riforma del settore della sicurezza in Iraq (EUAM Iraq).
Gli obiettivi strategici della missione sono, tra l'altro: mettere a disposizione delle autorità irachene consulenza e competenze a livello strategico al fine di contribuire all'attuazione della strategia di sicurezza nazionale irachena, nonché analizzare, valutare e individuare opportunità di un potenziale futuro impegno dell'Unione a sostegno delle esigenze della riforma del settore della sicurezza in Iraq a lungo termine.
La missione ha raggiunto la sua piena capacità operativa a marzo 2018. Il suo mandato scaduto ad ottobre 2018 è stato prorogato fino ad ottobre 2020.
La House of Commons nella giornata del 27 marzo 2019 - sulla base di un emendamento approvato il 25 marzo alla mozione del Governo sulle comunicazioni sull'esito del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo (v. infra) - ha proceduto, ad un serie di serie di votazioni indicative sulle possibili alternative rispetto all'approvazione dell'accordo di recesso negoziato dal Governo, su 8 mozioni, selezionate dallo Speaker, John Bercow, tra le 16 che sono state presentate.
Nella stessa seduta, la Camera dei Comuni ha novellato la legge di procedura sulla Brexit, per spostare la data del recesso dal 29 marzo al 12 aprile (di fatto, recependo nel diritto interno la decisione adottata dal Consiglio europeo ex art. 50 TUE).
Prima dello svolgimento delle votazioni indicative, il Primo Ministro del Regno Unito, Theresa May, ha annunciato la sua intenzione di dimettersi nel caso di approvazione dell'accordo di recesso, lasciando ad un nuovo Governo il compito di negoziare la fase successiva dei negoziati relativi al futuro accordo tra il Regno Unito e l'UE.
In particolare le mozioni sulle quali la House of Commons si è pronunciata, respingendole tutte, sono le seguenti:
Si ricorda che, sulla base di un emendamento alla mozione sull'ordine dei lavori, approvata dalla House of Commons nella giornata del 27 marzo, prima di procedere alla votazione indicative di cui sopra, la House of Commons ha deciso che la procedura dei voti indicativi si svolga in due fasi, la prima delle quali nella stessa seduta del 27 marzo, volta a valutare quali opzioni alternative all'accordo di recesso raccolgono maggiori consensi ed una seconda prevista per lunedì 1° aprile ad una ulteriore votazione sulle opzioni che hanno ricevuto maggior consenso.
Nel contesto della discussione dell'ordine dei lavori svolta il 27 Marzo, lo Speaker della House of Commons, John Bercow, ha ribadito che non potrà ammettere al voto una terza volta (third meaningful vote) una mozione recante approvazione dell'accordo di recesso su un testo sostanzialmente uguale a quello già respinto il 12 marzo scorso. La possibilità di un voto entro venerdì 29 marzo, tenuto conto delle conclusioni adottate dal Consiglio europeo ex art. 50 TUE, non sembra comunque potersi escludere in caso di sostanziali novità.
Si ricorda che il Consiglio europeo del 21 marzo 2019, riunito nel formato a 27 Stati membri, ha adottato delle conclusioni con le quali ha:
· preso atto della lettera del Primo Ministro, Theresa May, del 20 marzo 2019 (v. infra);
· approvato lo strumento relativo all'accordo di recesso e la dichiarazione congiunta integrativa della dichiarazione politica, concordati tra la Commissione europea e il Governo del Regno Unito a Strasburgo l'11 marzo 2019 (v. infra);
· acconsentito a una proroga fino al 22 maggio 2019, a condizione che l'accordo di recesso sia approvato dalla Camera dei Comuni nella settimana dal 25 al 31 marzo 2019. Se l'accordo di recesso non sarà approvato dalla Camera dei Comuni entro tale termine, il Consiglio europeo acconsente a una proroga limitata al 12 aprile 2019 (data limite entro la quale il Regno Unito può organizzare lo svolgimento delle elezioni europee nel suo territorio) e si attende che il Regno Unito indichi prima di tale data il percorso da seguire, in vista dell'esame ulteriore da parte del Consiglio europeo;
· ribadito che non è possibile riaprire l'accordo di recesso che è stato concordato tra l'Unione e il Regno Unito nel novembre 2018 e che ogni impegno, dichiarazione o altro atto unilaterale dovrebbe essere compatibile con la lettera e lo spirito dell'accordo di recesso;
· chiesto di proseguire i lavori sulle misure di preparazione e di emergenza a tutti i livelli, per far fronte alle conseguenze del recesso del Regno Unito, prendendo in considerazione tutti gli esiti possibili;
· indicato che continuerà a occuparsi della questione.
Nelle comunicazione sugli esiti del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo, svolte alla House of Commons il 25 marzo, il Primo Ministro del Regno Unito, Theresa May, ha indicato che al momento non vi sono le condizioni per sottoporre nuovamente l'accordo di recesso al voto e che proseguirà i contatti con le forze politiche, non escludendo la possibilità di un voto più in là nel corso della settimana.
A seguito delle comunicazioni del Primo Ministro, la House of Commons ha approvato (329 voti a favore, 302 contro) un emendamento alla mozione del Governo, presentato dal deputato conservatore Oliver Letwin, con il quale si prevede lo svolgimento dalla parte della House of Commons nella giornata del 27 marzo di una serie di votazioni indicative su alternative all'accordo di recesso negoziato dal Governo (alternative che non sono state ancora presentate) con le quali procedere nel processo della Brexit. Il Primo Ministro, Theresa May, ha indicato che sarà comunque difficile per il Governo sostenere alternative all'accordo negoziato che si discostassero dal programma di Governo del partito conservatore.
Si ricorda che la House of Commons, in una sequenza di votazioni su diverse mozioni presentate dal Governo dal 12 al 14 marzo scorso, ha respinto, il 12 marzo, l'accordo di recesso, la dichiarazione sul quadro delle future relazioni tra UE e Regno Unito e gli atti aggiuntivi che sono stati concordati tra UE e Regno Unito l'11 marzo 2019 (v. infra). Il 13 marzo ha approvato una mozione con la quale respinge la possibilità di recedere dall'UE senza un accordo (cosiddetto No Deal) ora e in futuro e il 14 marzo ha approvato una mozione a favore di un'eventuale estensione del periodo previsto all'art. 50 del Trattato sull'Unione europea.
Secondo la mozione approvata il 14 marzo, tale estensione avrebbe dovuto avere una durata limitata al 30 giugno 2019, in caso fosse stato approvato un accordo da parte della House of Commons entro il 20 marzo 2019, ovvero una durata da definire in seno al Consiglio europeo in caso contrario, tale comunque da prevedere la partecipazione del Regno Unito alle prossime elezioni europee.
Lo Speaker della House of Commons, John Bercow, intervenendo sull'ordine dei lavori della Camera il 18 marzo 2019, aveva però escluso l'ammissibilità di un ulteriore voto da parte della House of Commons su un testo sostanzialmente uguale a quello già respinto il 12 marzo scorso.
Il 20 marzo 2019 il Primo Ministro del Regno Unito, Theresa May, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk con la quale, in particolare, si informa il il Consiglio europeo sui risultati delle recenti votazioni della House of Commons, si invita il Consiglio europeo ad approvare il documenti complementari all'accordo di recesso ed alla dichiarazione sul quadro delle future relazioni negoziati l'11 marzo scorso, in modo da consentire al Governo di ripresentare una mozione per l'approvazione dell'accordo di recesso e degli altri documenti complementari da parte della House of Commons (su un testo quindi sostanzialmente diverso a quello su cui si è già pronunciata il 12 marzo scorso) e si avanza la richiesta di una estensione del periodo previsto dall'art. 50 del TUE fino al 30 giugno 2019.
Si ricorda che, a seguito di un incontro svoltosi a Strasburgo l'11 marzo 2019, il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e il Primo Ministro del Regno Unito, Theresa May, avevano annunciato di aver concordato di integrare l'accordo di recesso del Regno Unito dall'UE e la dichiarazione sul quadro delle future relazioni, con tre ulteriori atti, volti a dare assicurazioni al Regno Unito sulla natura della cosiddetta clausola di backstop per il confine tra Irlanda e irlanda del Nord.
Si tratta in particolare di:
Il 12 marzo 2019, l'Attorney General del Regno Unito, Geoffrey Cox, ha reso il suo parere giuridico al Governo del Regno Unito sulla portata dello strumento interpretativo e della dichiarazione congiunta, nel quale indica, tra l'altro, la validità dello stesso quale posizione unilaterale espressa "a verbale" e significativa nell'interpretazione del diritto internazionale. Egli ha sostenuto che – salvi sviluppi eccezionali e imprevedibili, i quali autorizzerebbero il recesso unilaterale del Regno Unito dal backstop – tale clausola avrebbe validità limitata alla durata dei negoziati sulle future relazioni, ma ha altresì sostenuto che il rischio non è totalmente eliminato nel caso in cui, a causa di posizioni inconciliabili non si dovesse raggiungere in futuro un accordo tra UE e Regno Unito che contenga disposizioni alternative alla clausola di backstop.
Al momento, in seguito al respingimento dell'Accordo di recesso ed alla concessione di una estensione del termine ex art. 50 del TUE si prospettano le seguenti possibilità (alcune delle quali tra loro compatibili):
· approvazione dell'accordo di recesso, della dichiarazione sulle future relazioni con l'UE, integrati dagli atti negoziati l'11 marzo 2019, e completamento del recesso del Regno Unito entro il 22 maggio 2019;
· uscita del Regno Unito dall'UE senza accordo a partire dal 12 aprile 2019, che si potrebbe comunque realizzare di default sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo adottate il 21 marzo 2019, in caso di mancata approvazione dell'accordo entro la settimana dal 25 al 31 marzo;
· ulteriore proroga del termine previsto dall'art. 50 del TUE, a seguito di un'eventuale richiesta formulata dal Regno Unito, in mancanza dell'approvazione di un accordo entro la settimana dal 25 al 31 marzo. Tale proroga dovrebbe comunque intervenire in tempo utile atto a consentire la partecipazione del Regno Unito alle elezioni del Parlamento europeo del 23-26 maggio 2019.
· dimissioni del Primo Ministro, a seguito di una eventuale ulteriore approvazione di una mozione di sfiducia, sua sostituzione e/o convocazione di nuove elezioni politiche. L'indizione di elezioni politiche anticipate (l'attuale legislatura scade nel 2022) è prevista se, entro 14 giorni dall'approvazione di una mozione di sfiducia, il Governo in carica o un nuovo Governo non ottiene la fiducia. In tal caso, le elezioni posso essere indette dopo solo dopo 25 giorni lavorativi. Il Primo Ministro può comunque proporre lo svolgimento di elezioni anticipate, anche a prescindere dall'approvazione della mozione di sfiducia, ma, in tal caso, è richiesta l'approvazione da parte di due terzi del Parlamento;
· convocazione di un secondo referendum che potrebbe vertere sull'approvazione o meno dell'accordo di recesso o invitare i cittadini ad esprimere una preferenza tra approvazione dell'accordo di recesso, uscita senza accordo (No deal) e permanenza nell'UE alle attuali condizioni, anche se un emendamento in tal senso alla mozione approvata il 14 marzo è stato respinto;
· revoca unilaterale da parte del Regno Unito della decisione di recedere dall'UE. La Corte di giustizia dell'UE, nell'ambito del procedimento C-621/18, ha emesso il 10 dicembre 2018 una sentenza con la quale ha stabilito che il Regno Unito può decidere, unilateralmente, di revocare la sua decisione di recedere dall'Unione europea, prima dell'entrata in vigore dell'accordo di recesso o prima della scadenza dei due anni prevista dall'50 del Trattato sull'Unione europea o di una sua eventuale proroga. Tale revoca deve essere decisa sulla base di un processo democratico e in accordo con le norme costituzionali nazionali.
La definizione delle future relazioni tra l'UE e il Regno Unito è affidato ad una dichiarazione relativa al quadro delle future relazioni.
L'accordo vero e proprio sulle future relazioni tra UE e Regno Unito dovrebbe, infatti, essere definito dopo il completamento del processo di recesso, quando il Regno Unito diventerà uno Stato terzo ed entro il termine del periodo di transizione che l’accordo di recesso fina al 31 dicembre 2020.
L’accordo sulle future relazioni tra UE e Regno Unito, a differenza dell'accordo di recesso, oltre che essere approvato dall’Istituzioni dell’UE, dovrà essere ratificato da tutti gli Stati membri.
La dichiarazione sulle future relazioni tra UE e Regno Unito contiene impegni per i seguenti settori:
· cooperazione economica
- creazione di una area di libero scambio per le merci, che combini una stretta cooperazione regolamentare e doganale e un adeguato level playing field (ossia la garanzia del rispetto dell'insieme di regole e disposizioni del mercato interno in materia di concorrenza e aiuti di stati, fiscalità, ambiente, lavoro e protezione sociale volte ad evitate vantaggi competitivi);
- accordi ambiziosi, comprensivi ed equilibrati sul commercio di servizi ed investimenti;
- accordi sulle qualifiche professionali;
- impegno a preservare nel settore dei servizi finanziari la stabilità finanziaria, l'integrità del mercato, la protezione degli investitori ed una equa competizione;
- previsioni per facilitare il commercio elettronico e la circolazione transfrontaliera dei dati;
- protezione della proprietà intellettuale e promozione di reciproche opportunità nei rispettivi marcati degli appalti pubblici;
- mobilità delle persone, anche in riferimento ad attività di impresa in alcune aree;
- accordo comprensivo sui trasporti aerei, accesso ai rispettivi mercati per operatori di trasporto su strada, accordi ferroviari, la promozione della connettività nel trasporto marittimo;
- facilitare la cooperazione tra operatori di reti di gas ed energia elettrica e cooperazione nel settore dell'energia nucleare;
- cooperazione bilaterale e internazionale nel settore della pesca;
- cooperazione globale in fori internazionali in materia di cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile, protezione del commercio mondiale e stabilità finanziaria.
· cooperazione nel settore della sicurezza
- cooperazione giudiziaria sui profili penali e criminali volta a garantire la sicurezza di cittadini;
- cooperazione per la promozione e tutela dei diritti fondamentali e della protezione dei dati personali;
- accordi per lo scambio dati relati al PNR (Passenger name record), alle impronte digitali e DNA;
- accordi per l'estradizione di sospetti o condannati;
- definizione della cooperazione del Regno Unito con le Agenzie europee Europol ed Eurojust;
- sostegno all'azione internazionale volta a contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento di terroristi;
- cooperazione nel settore della politica estera, di sicurezza e di difesa comune, attraverso forme strutturate di consultazione e dialoghi tematici a vari livelli, partecipazione caso per caso a missioni e operazioni dell'UE in materia di politica di sicurezza e difesa comune, collaborazione del Regno Unito ai progetti condotti dall'Agenzia europea per la difesa e a progetti nell'ambito della cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa, forme di consultazione sulle misure restrittive e sanzioni dell'UE, cooperazione in paesi terzi, inclusa la protezione consolare e cooperazione nell'ambito di organizzazioni internazionali, in particolare nell'ambito delle Nazioni unite;
- scambio di informazioni relative ad attività di intelligence e accordi di cooperazione sullo spazio e sulla navigazione satellitare;
- accordi sulla sicurezza delle informazioni classificate.
· cooperazione tematica
- sicurezza e stabilità del cyberspazio;
- contrasto al terrorismo;
- contrasto alla migrazione illegale;
- protezione civile nei disastri naturali o prodotti dall'uomo;
- sicurezza della salute.
La relazione per il 2018 si articola in una parte dedicata alle varie aree geografiche e in una parte tematica dedicata alle questioni globali.
Nell’introduzione la relazione indica che:
· nel 2018 l'incertezza nelle relazioni internazionali e l'instabilità del panorama mondiale sono diventate la nuova normalità e le certezze da lungo tempo intrattenute sono sempre più messe in questione;
· a fronte di un contesto strategico complesso, di preoccupazioni che riguardano gli immediati vicini - ad est e a sud - e delle numerose crisi e minacce, l'UE continua a rafforzare il suo ruolo di erogatrice di sicurezza, ancora di stabilità e partner internazionale affidabile e, in tale ambito, ribadisce l’impegno a favore della prospettiva europea per i partner dei Balcani occidentali;
· l’azione dell’UE continua a proteggere i suoi valori e difendere i propri interessi promuovendo approcci collaborativi e sostenendo il multilateralismo e l'ordine globale basato sulle regole con una governance mondiale responsabile e il rispetto del diritto internazionale;
· la strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'UE del 2016 continua ad orientare l’azione comune nella politica estera e di sicurezza ed è stata rafforzata l'unità e la coerenza della azione esterna e migliorata il collegamento tra le dimensioni interna e esterna della politica dell'UE. In particolare, sono proseguite le attività nei seguenti settori prioritari:
- sviluppo della resilienza degli Stati e delle società a est e a sud e approccio integrato a conflitti e crisi;
- potenziamento della sicurezza e della difesa;
- rafforzamento del nesso tra politica interna ed esterna;
- elaborazione di nuove strategie regionali e tematiche;
- intensificazione degli sforzi di diplomazia pubblica;
- impegno a rafforzare l'ordine globale basato sul diritto internazionale, con l'ONU al centro;
- sostegno alle organizzazioni regionali;
· nel settore della sicurezza e difesa si sono realizzati progressi storici attraverso le seguenti iniziative: l’istituzione della revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD); creazione della capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC); avvio della cooperazione strutturata permanente (PESCO); varo del Fondo europeo per la difesa;
· si ribadisce la necessità di sviluppare ulteriormente la strategia di comunicazione strategica dell'UE insieme agli Stati membri per una risposta coordinata dell'UE al problema della disinformazione, comprensiva di mandati appropriati e risorse sufficienti per le pertinenti squadre di comunicazione strategica del Servizio per l’azione esterna (SEAE);
· alla luce dell'incertezza del contesto internazionale, l'allarme rapido, la conoscenza situazionale, la previsione e pianificazione strategiche sono diventati strumenti indispensabili per l'elaborazione e l'assunzione di decisioni riguardanti l‘azione esterna dell’UE.
Nella risoluzione, il Parlamento europeo, in particolare:
· ritiene che l'UE debba assumere, nelle relazioni internazionali, un ruolo di vera e propria potenza politica ed economica sovrana che contribuisce a risolvere i conflitti mondiali e che plasma la governance globale e che a tal fine è necessaria una vera e propria politica estera e di sicurezza comune europea, basata sull'autonomia strategica e sulla sua integrazione, anche in termini di capacità, nei settori dell'industria e delle operazioni;
· deplora che spesso gli Stati membri diano priorità ai propri interessi nazionali, compromettendo l'unità, la coerenza e l'efficacia dell'UE e chiede migliore ripartizione delle responsabilità, maggiore solidarietà e miglior coordinamento tra l'UE e gli Stati membri;
· rammenta che le politiche esterne dell'Unione devono essere coerenti fra loro e con le altre politiche dotate di una dimensione esterna;
· sottolinea che l'approccio europeo alle relazioni esterne deve essere caratterizzato da:
- promozione e la salvaguardia dei valori universali quali la pace, la democrazia, l'uguaglianza, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, compresi i diritti delle minoranze;
- impegno a favore del multilateralismo e di un ordine internazionale basato su regole con il sostegno del sistema dell'ONU e delle organizzazioni regionali quali l'OSCE;
- accento sulla prevenzione dei conflitti, nonché sulla gestione, mediazione e risoluzione pacifica dei conflitti, sulla costruzione della pace e sul rafforzamento delle istituzioni;
- promozione dello sviluppo sostenibile, degli aiuti e della cooperazione economica, del commercio equo e solidale, degli accordi rispettosi del clima e delle fonti energetiche alternative;
· osserva che, pur perseguendo nel lungo termine una maggiore cooperazione per la sicurezza e la difesa, nel breve termine l'istituzione, ove opportuno, di coalizioni ad hoc di Stati membri che possano intervenire rapidamente in risposta alle crisi internazionali potrebbe rendere l'azione esterna dell'UE più flessibile e reattiva;
· chiede che siano messe a disposizione, per l'azione esterna dell'UE, sufficienti risorse finanziarie nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027 e che l'UE concentri le proprie risorse sulle priorità strategiche;
· sottolinea la necessità di rafforzare la resilienza interna dell'UE all'interferenza esterna e di stabilire una strategia comune con i partner internazionali per quanto riguarda sia la protezione delle infrastrutture critiche che le istituzioni di base, adottando misure per evitare ingerenza nelle prossime elezioni del Parlamento europeo;
· sottolinea che lo sviluppo di nuovi formati, ad esempio un Consiglio di sicurezza dell'UE e di nuove modalità per un più stretto coordinamento all'interno dell'UE potrebbe facilitare un processo decisionale più efficiente per la PESC ma dovrebbe comportare, di pari passo, lo sviluppo di meccanismi per garantirne il controllo democratico;
· sostiene la discussione in seno all'UE sulla proposta di passare al voto a maggioranza qualificata (VMQ) in settori specifici della PESC, in particolare le questioni relative ai diritti umani, le sanzioni e le missioni civili ed incoraggia il Consiglio europeo a prendere in considerazione la possibilità di estendere il VMQ facendo uso della clausola passerella (articolo 31, paragrafo 3, TUE) anche ad altri settori della PESC.
· esorta a prendere in considerazione un'impostazione "less for less" (minori aiuti a fronte di un minore impegno) nei confronti dei paesi che regrediscono in termini di governance, democrazia e diritti umani e ritiene che l'UE dovrebbe utilizzare in modo più efficace i propri strumenti di politica estera, garantendo in particolare che nessun accordo commerciale o di sviluppo venga ratificato prima che siano soddisfatti i parametri di riferimento in materia di diritti umani
· comprende che la vicinanza alle minacce determina le priorità politiche; invita, tuttavia, tutti gli Stati membri a rispettare il principio di solidarietà sancito dai trattati (articolo 80 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea) e ad adottare le misure necessarie per fornire una risposta comune alla crisi migratoria;
· evidenzia che il partenariato transatlantico, pur se sta affrontando un significativo numero di sfide e perturbazioni nel breve termine, rimane, tuttavia, indispensabile per la sicurezza e la prosperità di entrambe le sponde dell'Atlantico; si rammarica del graduale ritiro degli Stati Uniti dall'ordine mondiale multilaterale basato su regole ed invita l'UE a ribadire il suo pieno sostegno al Piano d’azione congiunto globale (PACG) sul nucleare iraniano e a proteggere le imprese europee che investono in Iran dalle sanzioni statunitensi; chiede inoltre all'UE di incrementare gli sforzi nell'ambito della diplomazia in materia di cambiamenti climatici e di integrare l'adesione all'accordo di Parigi in tutti gli accordi commerciali e di investimento;
· sottolinea che la stabilità e prosperità dei Balcani occidentali deve continuare a essere una priorità fondamentale per l'Unione europea e ribadisce che la prospettiva europea per i paesi dei Balcani occidentali deve condurre a una piena adesione dei paesi coinvolti, sulla base di condizionalità rigide ed eque conformemente alla rigorosa applicazione dei criteri di Copenaghen, e dipendente dai risultati concreti conseguiti da ogni singolo paese su questioni come la corruzione, le pratiche di riciclaggio, la trasparenza e l'indipendenza giudiziaria; ribadisce l'importanza, nel corso di tale processo, della promozione delle riforme necessarie per un ordine economico internazionale e politico basato su regole e cooperativo, incentrato sullo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani;
· riconosce l'importanza della stabilità del vicinato orientale per la stabilità dell'Unione e incoraggia lo sviluppo di relazioni ancora più strette con il partenariato orientale; invita la Commissione e il SEAE a utilizzare il potere di trasformazione dell'UE sulle sue frontiere orientali, ricorrendo ad accordi commerciali e di associazione, all'accesso al mercato unico e a contatti interpersonali approfonditi, anche mediante l'agevolazione e la liberalizzazione dei visti, qualora tutti i requisiti siano soddisfatti, come incentivi per la promozione di riforme democratiche e l'adozione di regole e norme europee;
· ribadisce l'impegno dell'UE a sostegno della sovranità, dell'indipendenza e dell'integrità territoriale dei suoi partner e ribadisce la condanna dell'annessione illegale della Crimea e dell'intervento militare nell'Ucraina orientale da parte della Russia; chiede il proseguimento degli sforzi al fine di garantire l'attuazione degli accordi di Minsk e che le sanzioni dell'UE contro la Russia siano prorogate fino a quando essa non rispetterà tali accordi;
· condanna il reiterato esercizio del diritto di veto da parte della Russia in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e chiede agli Stati membri di sostenere le riforme nella composizione e nel funzionamento del Consiglio di sicurezza;
· ribadisce l’urgenza di stimolare lo sviluppo economico e sociale equo del bacino del Mediterraneo meridionale e dell'Africa subsahariana e di assistere i paesi nel contrastare le cause profonde dell'instabilità, ad esempio conflitti armati, governance non democratica e inefficiente, corruzione e cambiamenti climatici, creando opportunità economiche a livello locale, specialmente per i giovani e per le donne, in particolare nei paesi di origine dei migranti;
· sottolinea che l'UE deve svolgere un ruolo guida in Medio Oriente e nel Golfo Persico ed assumere il ruolo di forza motrice per la ripresa del processo di pace in Medio Oriente che miri a una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati; ribadisce il primato del processo di Ginevra guidato dalle Nazioni Unite nella risoluzione del conflitto siriano, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; condanna il sostegno russo e iraniano al regime di Assad;
· condanna le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse da tutte le parti nello Yemen;
· sottolinea che il rafforzamento della sicurezza regionale nella regione indo-pacifica e incoraggia una ripresa dei colloqui bilaterali tra la Cina e Taiwan;
· riafferma il suo impegno a instaurare relazioni forti con i paesi dell'America latina, promuovendo la difesa della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani ed esprime grave preoccupazione per il mancato rispetto della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di diritto a Cuba, in Nicaragua e in Venezuela;
Nella risoluzione il Parlamento europeo, in particolare:
· osserva che l'ordine mondiale basato su regole viene messo sempre più in discussione da sfide sistemiche accompagnate da un deterioramento del contesto internazionale strategico, che è esposto a conflitti e a violenza interstatali e intrastatali, terrorismo, fallimenti di Stati e attacchi ibridi e informatici;
· sottolinea che tali sfide sono troppo vaste per poter essere affrontate singolarmente dagli Stati ed osserva che la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) è uno degli strumenti utili per rispondere a molte di queste sfide, ma che dovrebbe essere, tuttavia, utilizzato in maniera più efficiente al fine di consentire all'UE di contribuire alla gestione delle crisi internazionali e esercitare la sua autonomia strategica;
· chiede che l’UE definisca un approccio strategico complessivo in materia di difesa ed orientamenti precisi per disporre di un quadro correttamente definito per la futura attivazione e attuazione dell'articolo 42, paragrafo 7 del TUE (cosiddetta clausola assistenza reciproca in caso di aggressione armata ad uno Stato membro) attraverso un Libro bianco sulla sicurezza e la difesa dell'UE;
· sottolinea che il terrorismo jihadista, che già colpisce il Medio Oriente, il Sahel e il Corno d'Africa, si sta diffondendo verso l'Africa occidentale, l'Asia centrale e l'Asia sud-orientale e che questa minaccia richiede una strategia continua e ben coordinata a livello di UE;
· esprime profonda preoccupazione per il fatto che le esercitazioni e attività militari da parte della Russia e le sue tattiche ibride, tra cui il terrorismo informatico, notizie false e campagne di disinformazione e il ricatto economico ed energetico stiano destabilizzando i paesi del partenariato orientale e dei Balcani occidentali;
· auspica maggiori investimenti nella sicurezza e nella difesa e a tal fine chiede agli Stati membri di puntare all'obiettivo del 2 % del PIL per la spesa per la difesa e di spendere il 20 % del proprio bilancio per la difesa negli equipaggiamenti indicati come necessari dall'Agenzia europea per la difesa, nonché nella ricerca e nello sviluppo;
· osserva la rilevanza che la mobilità militare va acquisendo all'interno dell'agenda di difesa europea; sottolinea che la mobilità militare è uno strumento strategico fondamentale nell'attuale contesto di minacce, essenziale sia per la PSDC che per gli altri impegni multilaterali degli Stati membri, inclusa la NATO ed accoglie con favore la proposta della Commissione di destinare, nel prossimo QFP (2021-2027), 6,5 miliardi di EUR a progetti di mobilità militare attraverso il meccanismo per collegare l'Europa;
· ritiene che gli Stati membri dell'UE debbano adoperarsi per migliorare le capacità militari, per coprire l'intero spettro di capacità terrestri, aeree, spaziali, marittime e cibernetiche, compresi i facilitatori strategici e sottolinea la necessità di investire in intelligence, sorveglianza e ricognizione, comunicazioni via satellite e accesso autonomo allo spazio e osservazione permanente della terra;
· riafferma il ruolo dell'UE in quanto garante della sicurezza marittima globale e sottolinea l'importanza di sviluppare pertinenti capacità militari e civili;
· reputa essenziale che l'UE e la NATO intensifichino la condivisione di intelligence per consentire l'attribuzione formale degli attacchi informatici e, di conseguenza, permettere di imporre sanzioni restrittive ai responsabili di tali attacchi;
· riconosce la dimensione strategica del settore spaziale per l'Europa e la necessità di migliorare le sinergie tra i suoi aspetti civili e di sicurezza/difesa;
· accoglie con favore gli interventi dell'UE a favore del consolidamento della sua cibersicurezza istituendo un quadro comune di certificazione della cibersicurezza, rafforzando l'agenzia dell'UE per la cibersicurezza e attuando rapidamente la direttiva (UE) 2016/1148 sulla sicurezza delle reti e dell'informazione (direttiva SRI);
· ritiene che l'interferenza nelle elezioni di altri paesi attraverso operazioni cibernetiche costituisca una violazione del diritto internazionale;
· accoglie con favore l'istituzione del programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa, volto a sostenere la competitività e la capacità di innovazione dell'industria di difesa dell'UE con 500 milioni di EUR fino al 2020 ed accoglie con favore la proposta di un regolamento che istituisce un Fondo europeo per la difesa per il prossimo QFP 2021-2027;
· mette in evidenza che gli obiettivi strategici di sicurezza e di difesa dell'UE possono essere conseguiti soltanto con un coordinamento più stretto delle necessità e dei requisiti di sviluppo di capacità a lungo termine sia delle forze armate che delle industrie di difesa degli Stati membri;
· ritiene che l'attuazione della cooperazione strutturata permanente del settore della difesa (PESCO) sia un passo fondamentale verso una cooperazione più stretta fra Stati membri in materia di sicurezza e difesa e sottolinea la necessità di un allineamento totale tra le attività della PESCO, le altre attività della PSDC, in particolare gli obiettivi definiti dal TUE, e le attività con la NATO;
· prende atto del contributo delle missioni e delle operazioni della PSDC alla pace e alla stabilità internazionali ma si rammarica del fatto che l'efficienza di tali missioni è messa a repentaglio da debolezze strutturali, contributi non uniformi da parte degli Stati membri e non idoneità all'ambiente operativo;
· sottolinea che il Consiglio e la Commissione nel prossimo QFP dovrebbero incrementare gli investimenti nella prevenzione dei conflitti civili e chiede un adeguamento delle strutture e delle procedure della PSDC per dispiegare missioni e operazioni civili e militari più rapidamente;
· accoglie inoltre con favore la proposta, di uno strumento europeo per la pace, che finanzierà parte dei costi delle attività di difesa dell'UE, ad esempio le missioni di mantenimento della pace nell'Unione africana, i costi comuni delle proprie operazioni militari della PSDC e lo sviluppo delle capacità militari per i partner;
· è convinto che la missione EUFOR BiH / Operazione Althea, continua a fungere da deterrente come segno tangibile dell'impegno dell'Unione nel paese e nella più ampia regione dei Balcani occidentali e considera fondamentale continuare il suo mandato esecutivo e sostenere gli effettivi attuali (600 unità), perché le attuali condizioni di sicurezza potrebbero nuovamente destabilizzarsi per l'aumento delle tensioni e l'attuale politica etno-nazionalista;
· riafferma l'importanza strategica del partenariato tra l'UE e l'Africa e sottolinea la necessità di rafforzare la cooperazione, anche in materia di sicurezza. A tal fine osserva che la situazione geopolitica nel Corno d'Africa è caratterizzata da una crescente competizione, alla luce della sua importanza per il commercio globale e per la stabilità regionale; accoglie dunque con favore il perdurare dell'operazione Atalanta, di EUCAP Somalia e di EUTM Somalia, in quanto contribuiscono alla stabilizzazione della regione. Si accoglie con favore le attività delle missioni e operazioni dell'UE nella regione del Sahel, EUCAP Sahel Mali, EUCAP Sahel Niger nonché EUTM Mali, e il contributo che apportano alla stabilità regionale, alla lotta contro il terrorismo e contro la tratta di esseri umani e alla sicurezza della popolazione locale;
· sottolinea il contributo dell'EUNAVFOR MED operazione SOPHIA a favore di un ampliamento degli sforzi dell'UE per lo smantellamento del modello di attività del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centrale e meridionale;
· accoglie con favore l'istituzione e la piena capacità operativa della capacità di pianificazione e di condotta militare (MPCC) per missioni e operazioni non esecutive dell'UE (missioni di addestramento); sottolinea la necessità di concedere tempestivamente alla MPCC il mandato di pianificare e condurre tutte le operazioni militari della PSDC in futuro ed eliminare alcuni ostacoli allo schieramento di gruppi tattici dell'UE;
· sottolinea la necessità di applicare la prospettiva di genere all'azione della PSDC dell'UE e di far fronte alla violenza di genere quale strumento di guerra nelle regioni in situazioni di conflitto;
· sottolinea che il partenariato strategico tra l'UE e la NATO è fondamentale per affrontare le sfide di sicurezza cui l'UE e il suo vicinato devono far fronte e che la cooperazione tra l’UE e la NATO deve essere portata avanti nel pieno rispetto dell'autonomia e delle rispettive procedure decisionali, lasciando impregiudicata la specificità della politica di sicurezza e di difesa di ciascun Stato membro; sottolinea che il partenariato strategico UE-NATO è fondamentale anche per le relazioni tra l'UE e il Regno Unito dopo la Brexit;
· ritiene che siano necessari sforzi ulteriori per quanto riguarda l'attuazione pratica degli impegni sottoscritti nel contesto del partenariato UE-NATO, soprattutto nell'ambito della lotta alle minacce ibride, della sicurezza informatica e delle esercitazioni congiunte;
· sottolinea che nell’ambito del partenariato UE –NATO gli sforzi riguardanti la mobilità militare dovrebbero costituire una priorità ed incoraggia entrambe le organizzazioni a continuare a collaborare alla mobilità militare il più strettamente possibile, anche attraverso lo sviluppo di requisiti militari comuni per agevolare un rapido spostamento di forze ed equipaggiamenti militari in tutta Europa, tenendo conto delle sfide multidirezionali provenienti principalmente da Sud e da Est;
· sottolinea l'importanza del controllo parlamentare in materia di sicurezza e difesa a livello nazionale ed europeo e incoraggia soggetti parlamentari a collaborare più strettamente, eventualmente cercando nuove forme di cooperazione in grado di garantire un controllo parlamentare a tutti livelli e ricorda l'importanza della partecipazione della società civile e dei cittadini ai futuri dibattiti sulla sicurezza europea. A tal fine si rinnova l’appello a promuovere la sottocommissione per la sicurezza e la difesa del Parlamento europeo a commissione a pieno titolo, dotandola delle competenze necessarie per un controllo parlamentare ampio della PSDC, ed a prevedere riunioni interparlamentari congiunte tra i rappresentanti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo;
· ribadisce il suo invito a creare una forma di riunione dei ministri della difesa in seno al Consiglio dell’UE, presieduta dall’Alto Rappresentante osserva che vari Stati membri hanno recentemente chiesto un Consiglio di sicurezza dell'UE e ritiene che tale concetto debba essere ulteriormente definito, prima che possa essere effettuata una valutazione del suo valore aggiunto;
· sottolinea che qualsiasi futura convenzione o conferenza intergovernativa, incaricata di preparare una modifica dei trattati UE, dovrebbe prendere in considerazione l'istituzione di una forza europea dotata di effettive capacità di difesa per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai compiti previsti all'articolo 43, paragrafo 1, del TUE.
[1] Al Sadr è anche il leader delle milizie “Esercito del Mahdi” (poi successivamente rinominate “Brigate della Pace”) ed hanno combattuto dapprima contro l’occupazione USA dell’Iraq, quindi contro il califfato di Daesh.
[2] L’art.26 di tale normativa, come approvata dal Parlamento iracheno lo scorso 27 ottobre, prevedrebbe l’obbligo per i minori di seguire, in caso di conversione di un genitore, l’eventuale scelta di quest’ultimo a favore dell’Islam a prescindere dalle convinzioni dell’altro genitore e dall’affidamento parentale. Proprio per tale ragione, essa viene ritenuta da alcuni una chiara violazione dell’attuale impianto costituzionale così’ come del principio coranico della “no compulsion in Islam”. Manifestazioni si sono tenute a Baghdad, come ad Erbil, e il Patriarca caldeo Sako ha parlato di una carta di identità che “dividerebbe anziché unire gli iracheni”. Il 17 novembre il Parlamento ha reso nota l’intenzione di emendare detto articolo ma, al momento, la discussione in aula non e’ proseguita.