Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Lavoro
Titolo: Modifica all'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, in materia di obbligo contributivo dei liberi professionisti appartenenti a categorie dotate di una propria cassa di previdenza
Riferimenti: AC N.1823/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 324
Data: 28/07/2020
Organi della Camera: XI Lavoro


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Modifica all'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, in materia di obbligo contributivo dei liberi professionisti appartenenti a categorie dotate di una propria cassa di previdenza

28 luglio 2020
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QUADRO NORMATIVO

La proposta di legge in esame consta di un solo articolo che integra la disposizione dell'articolo 18, comma 12 della L. 111/2011, norma interpretativa dell'articolo 2, comma 26 L. 335/1995, in materia di obbligo di iscrizione per alcune categorie di lavoratori alla gestione separata dell'Inps.
L'art. 2, comma 26 della Legge n. 335/95, prevede, in particolare, che,a decorrere dal 1° gennaio 1996, il soggetto che produce reddito da lavoro autonomo e che non è tenuto al versamento presso altra cassa professionale obbligatoria è tenuto ad iscriversi alla Gestione separata dell'INPS, ai fini della estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti.
Si tratta, in particolare, dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell' articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell' articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all' articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426.

A seguito del contenzioso amministrativo e giurisdizionale suscitato dalla predetta disposizione (si veda oltre, per approfondimenti), la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 18 comma 12 legge 111/2011,ha interpretato l'articolo 2 nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, con riguardo a soggetti già pensionati.
Per tali soggetti, che esercitano un'attività professionale e in relazione allo svolgimento di tale attività percepiscono un reddito, gli enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, dovevano adeguare entro sei mesi i propri statuti e regolamenti, prevedendo l'obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione a carico di tutti coloro che risultino aver percepito un reddito, derivante dallo svolgimento della relativa attività professionale.
Il comma 12 ha, inoltre, fatta salva la disposizione di cui all' articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, che facoltizza gli enti esponenziali a livello nazionale degli enti abilitati alla tenuta di albi od elenchi a deliberare con la maggioranza dei componenti dell'organo statutario competente la scelta della forma gestoria più appropriata, tra cui, in particolare, ai sensi della lettera d) l'inclusione della categoria nella forma di previdenza obbligatoria di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, cioè della gestione separata INPS.
Le forme gestorie previste dal predetto art. 3 possono essere, alternativamente : a) la partecipazione ad un ente pluricategoriale, avente configurazione di diritto privato secondo il modello di ente privatizzato delineato dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (che ha trasformato in associazioni e fondazioni taluni enti senza scopo di lucro,  assumendo la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile e continuando a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione e in cui convergano anche altre categorie di lavoratori); b) la costituzione di un ente di categoria, avente la medesima configurazione di diritto privato di cui alla lettera a), alla condizione che lo stesso sia destinato ad operare per un numero di soggetti non inferiore a 8.000 iscritti; c) l'inclusione della categoria professionale per la quale essi sono istituiti, in una delle forme di previdenza obbligatorie già esistenti per altra categoria professionale similare, per analogia delle prestazioni e del settore professionale, compresa fra quelle di cui all'elenco allegato al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 , a condizione che abbia conseguito la natura di persona giuridica privata;
d) l'inclusione della categoria nella forma di previdenza obbligatoria di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Nel caso di mancata adozione delle delibere di cui sopra, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sono inseriti nella gestione di cui al comma 1, lettera d).

CONTENUTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE

La proposta di legge interviene su un diffuso contenzioso amministrativo e giurisprudenziale che ha interessato pressoché tutte le categorie di liberi professionisti non iscritti alla cassa previdenziale di riferimento, derivante dalla nota "Operazione Poseidone", con la quale l'INPS, a partire dal 2010, ha posto in essere attività di accertamento di crediti contributivi per contestare, all'esito dell'incrocio delle banche dati Inps con le informazioni in possesso dell'Agenzia delle Entrate, la mancata contribuzione alla Gestione separata da parte dei soggetti che hanno dichiarato redditi provenienti da attività di arti e professioni: verificata la natura del reddito e la mancata contribuzione presso altre casse previdenziali autonome (quali ad esempio Cassa forense o Inarcassa) si è proceduto all'invio degli avvisi di accertamento per diversi anni di imposta, a partire dal 2005.

A fronte del suesposto quadro normativo, la posizione dell'INPS si delinea, dunque, nel senso che se un soggetto esercita, per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo che non richiede l'iscrizione a un albo professionale oppure attività di lavoro autonomo il cui esercizio è subordinato all'iscrizione a un albo professionale, ma che non è soggetta al «versamento contributivo» all'ente di categoria (in base alle fattispecie di esclusione previste dall'ordinamento pensionistico di quest'ultimo), sorge l'obbligo di iscrizione presso l'apposita gestione separata. Più in particolare, sin dalla prima circolare successiva all'entrata in scena della norma di interpretazione autentica di cui all'art. 18, co. 12, d.l. n. 98/2011 (ritenuta confermativa dell'orientamento amministrativo espresso dall'Istituto, secondo quanto espressamente affermato nella circolare n. 72/2015: "Il legislatore, all'articolo 18, comma 12, del d.l. 98/2011, con norma di interpretazone autentica, ha confermato quanto disciplinato nelle norme del 1995 e l'orientamento espresso da questo Istituto con circolare n. 9/2011 e messaggio n. 709/2012") l'INPS sostiene che debbano rientrare nell'ambito della gestione separata «tutti coloro che, pur svolgendo attività iscrivibili ad appositi albi professionali, non siano tenuti al versamento del contributo soggettivo presso le Casse di appartenenza, ovvero abbiano esercitato eventuali facoltà di non versamento/iscrizione, in base alle previsioni dei rispettivi Statuti o regolamenti», ribadendo che «tali soggetti continueranno ad essere destinatari dell'obbligo contributivo alla gestione separata INPS, in considerazione del fatto che i redditi percepiti non risultano assoggettati ad altro titolo a contribuzione previdenziale obbligatoria».

I flussi informativi pervenuti dagli uffici finanziari hanno messo in evidenza che un numero significativo di contribuenti, pur avendo prodotto un reddito derivante da attività professionale non assoggettata ad altra contribuzione obbligatoria, ha omesso la compilazione del quadro fiscale relativo alla determinazione del contributo dovuto alla Gestione Separata e, conseguentemente, il pagamento dell'onere previdenziale dovuto.

La capillare attività di accertamento posta in essere dall'INPS ha prodotto, a sua volta, un significativo contenzioso giurisdizionale che ha peraltro portato la prevalente giurisprudenza delle Corti di merito su posizioni opposte rispetto a quelle propugnate dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, pressoché integralmente adesive alle posizioni dell'INPS.

Con riferimento alle più rilevanti pronunce della Corte di Cassazione intervenute nel tempo, si segnalano le sentenze n. 30344 e n. 30345 del 2017, con le quali si afferma l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata di coloro che svolgono attività di ingegnere, contemporaneamente all'attività di lavoro subordinato privato o pubblico per la quale esiste altro rapporto previdenziale. CIò sulla base della ratio dell'introduzione della gestione separata, là dove si sostiene che «con la creazione di questa nuova gestione si è inteso estendere la copertura assicurativa, nell'ambito della cd. "politica di universalizzazione delle tutele", non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano "coperti" dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione». 
E' stato precisato, al riguardo, che il versamento del solo contributo integrativo alla propria Cassa professionale da parte del professionista, anche lavoratore dipendente, non esonera dall'iscrizione e dal versamento dei contributi alla Gestione separata dell'Inps in quanto la tutela previdenziale copre quelle attività lavorative che restano scoperte in base allo statuto delle Casse. Tali obblighi contributivi vengono, infatti, considerati "infruttiferi" dll'Inps, cioè "a fondo perduto", perché non destinati ad alimentare alcuna posizione assicurativa suscettibile di sfociare nell'erogazione di prestazioni previdenziali, essendo agganciati a mere finalità solidaristiche, sia pure endocategoriali ed essendo ripetibile nei confronti del debitore, avendo funzione di finanziare altre prestazioni erogate dalla Cassa. La contribuzione integrativa, secondo questa prospettazione, non potrebbe, dunque, ritenersi sostitutiva di quella obbligatoria istituita presso l'INPS: il contributo soggettivo minimo obbligatorio da versare all'Inps non è una maggiorazione percentuale sui corrispettivi prodotti, che deve essere versato da tutti gli iscritti all'Albo, ma deve essere versato dai soli iscritti alla Cassa predetta.
  Si chiarisce, infatti, che il pagamento alla cassa professionale di un contributo forfettario di importo non direttamente proporzionale al reddito, ma determinato in misura fissa, integra le condizioni per l'esclusione dal pagamento del contributo alla gestione separata INPS se, in relazione al contributo versato alla cassa, è prevista l'erogazione di un trattamento pensionistico. Qualora il versamento forfettario fisso sia invece effettuato a titolo di solidarietà e non comporti la valutazione del periodo ai fini pensionistici a carico della cassa professionale – si cita a titolo di esempio, il caso dell'ENPAM – il reddito dovrà essere assoggettato a contribuzione INPS
Ancora più recentemente, con la sentenza n. 32167 del 12 dicembre 2018, la Suprema Corte ha deciso la questione inerente all'obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l'Inps per gli avvocati non iscritti obbligatoriamente alla Cassa di previdenza forense alla quale hanno versato esclusivamente un contributo integrativo in quanto iscritti agli albi.
Anche in questo caso, la Corte, ha confermato il precedente orientamento (nn. 30344/17; 30345/17; 1172/18; 2282/18; 1643/18; e, per ultima, la n. 32166), già espresso per la categoria degli ingegneri ed architetti, estendendolo, da ultimo, ai dottori commercialisti.
Analogamente, i numerosi ricorsi presentati, in via amministrativa, innanzi al competente Comitato Amministratore del Fondo per la gestione speciale dei lavoratori autonomi di cui all'Art. 2, Comma 26, della Legge 8 agosto 1995, n.335 avverso i provvedimenti di iscrizione legati alla citata campagna di accertamento, vengono proposti per la delibera di reiezione.
Con riferimento all'indirizzo prevalente presso le Corti di merito, invece, il contenzioso è stato risolto in massima parte nel senso dell'esclusione dell'obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS di «tutti i soggetti comunque tenuti a corrispondere a casse ed enti previdenziali privati dei contributi, quale che ne sia la tipologia e natura» e ciò essenzialmente sulla base di due argomenti: l'uno, di carattere sistematico, diretto a ravvisare la  ratio della previsione di cui all'art. 2 della legge n. 335/1995 nell'esigenza di assicurare copertura assicurativa e tutela previdenziale"esclusivamente" a soggetti che, in mancanza di iscrizione alla gestione separata, ne sarebbero privi (ciò che – si argomenta ulteriormente – non potrebbe dirsi nel caso in cui il professionista sia iscritto a una cassa previdenziale o, comunque, a una forma obbligatoria di previdenza, solitamente l'INPS o, in passato, l'INPDAP); l'altro, di carattere testuale, volto a valorizzare l'ampiezza e la genericità del riferimento al «versamento contributivo», senza ulteriori specificazioni, contenuto nell'art. 18, co. 12, d.l. n. 98/2011.

L'articolo 1 della proposta di legge in esame, intendendo specificare e chiarire ulteriormente il contenuto interpretativo del comma 12 dell'articolo 18 della legge 111/2011, inserisce un secondo periodo al comma, prevedendo che "non possono, quindi, essere iscritti presso la gestione separata dell'INPS i liberi professionisti appartenenti a categorie già dotate di una propria cassa di previdenza alla data di entrata in vigore della citata legge n. 335 del 1995, con riferimento ai redditi percepiti a seguito dell'esercizio dell'attività prevista dal rispettivo albo professionale».

Nella relazione di accompagnamento al testo normativo, si evidenzia che esso "si rende necessario per risolvere un problema che si è verificato a seguito di un'interpretazione del tutto arbitraria delle vigenti disposizioni in materia di obblighi contributivi dei liberi professionisti già iscritti a casse previdenziali di categoria, che l'INPS ha voluto imporre nonostante la soccombenza in tutti gli innumerevoli e conformi pronunciamenti giurisprudenziali".
  A conforto di tale assunto, si richiama la ratio originaria della citata disposizione della legge n. 335 del 1995, rafforzata dalla successiva norma di interpretazione autentica, che istituì la gestione separata dell'INPS, in via generale, per tutte le categorie di lavoratori autonomi, di lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e per i venditori a domicilio e, soltanto in via residuale, per le categorie di liberi professionisti ancora prive di una propria cassa di previdenza, escludendo, pertanto, dalla gestione separata singoli soggetti liberi professionisti appartenenti a categorie già dotate di una propria cassa di previdenza alla data di entrata in vigore della predetta legge del 1995 (e purché, come si è visto nella ricognizione normativa sopra svolta, non fosse nel frattempo intervenuta hanno una delle quattro opzioni indicate dall'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 103 del 1996).
  

In conclusione, la proposta di legge in esame, attraverso la ridefinizione ulteriore della interpretazione autentica operata con l'articolo 18 della legge 111/2011, si configura essa stessa come legge di interpretazione autentica, valida per il futuro ma anche con effetti retroattivi sui rapporti pregressi, in base alle regole generali .

Al riguardo, si valuti l'opportunità di chiarire gli effetti retroattivi della proposta di legge in esame, valutandone anche gli eventuali effetti finanziari alla luce delle possibili restituzioni di somme incassate dall'Inps a titolo di contributi previdenziali.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di leggi di interpretazione autentica

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di leggi di interpretazione autentica, «il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell'art. 25 della Costituzione. Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di "interpretazione autentica", che determinano – chiarendola – la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.

Ed è, quindi, proprio sotto l'aspetto del controllo di ragionevolezza che rilevano, simmetricamente, la funzione di "interpretazione autentica", che una disposizione sia in ipotesi chiamata a svolgere, ovvero l'idoneità di una disposizione innovativa a disciplinare con efficacia retroattiva anche situazioni pregresse in deroga al principio per cui la legge non dispone che per l'avvenire (sentenza n. 274/2006; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 234/2007 e n. 374/2002).

La Corte costituzionale ha quindi evidenziato (sentenza n. 78 del 2012) come la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica possa dirsi costituzionalmente legittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, la Corte ha individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010).