Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Lavoro
Titolo: Disposizioni in materia di società cooperative, appalto, somministrazione di lavoro e distacco di lavoratori
Riferimenti: AC N.1423/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 315
Data: 01/07/2020
Organi della Camera: XI Lavoro


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Disposizioni in materia di società cooperative, appalto, somministrazione di lavoro e distacco di lavoratori

1 luglio 2020
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Articolo 1|Articolo 2|Articolo 3|Articolo 4|Articolo 5|Articolo 6|Articolo 7|Articolo 8|Articolo 9|Articolo 10|Articolo 11|Relazioni allegate o richieste|


Contenuto

La proposta di legge in esame si propone di affrontare "il tema delle false cooperative, dello sfruttamento dei lavoratori, degli appalti illeciti e della somministrazione abusiva di manodopera", che, secondo la relazione illustrativa al testo "costituisce una vera e propria piaga per l'intero sistema-lavoro e infesta il nostro Paese ormai da decenni".

Essa si articola in due capi ed 11 articoli, che intervengono, in prevalenza, sulla normativa della legge 3 aprile 2001, n. 142 ma anche su altre disposizioni che costituiscono il corpus normativo in materia di società cooperative, considerato inadeguato ad affrontare le storture del sistema come dimostrano "segnalazioni e inchieste giornalistiche che evidenziano come spesso i lavoratori delle cooperative subiscano trattamenti disumani, lavorino il doppio rispetto a quanto risulta dalle loro buste paga e percepiscano salari incostituzionali, ma non denuncino tali situazioni per paura di perdere il lavoro".

 


Articolo 1

L'articolo 1 della proposta di legge in esame sostituisce il comma 3 dell'articolo 1 della legge 142/2001, che definisce la struttura del rapporto di lavoro nelle cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio

La disposizione del comma 3 prevede che "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte

La novella prevede che "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro subordinato con la società cooperativa, disciplinato, fatte salve specifiche deroghe previste dalla legge, dalla disciplina ordinaria del diritto del lavoro. È consentita anche la costituzione, in alternativa al rapporto di lavoro subordinato, di un rapporto di lavoro autonomo e di collaborazione coordinata e continuativa, la cui ricorrenza concreta deve essere comprovata dalla società cooperativa».

Come evidenziato nella relazione illustrativa, l'obiettivo della nuova disposizione è quello di distinguere in modo netto il rapporto associativo dal rapporto lavorativo, in base ad uno schema dualistico che comporta, di conseguenza, la applicazione di tutte le norme che disciplinano il rapporto di lavoro, garantendo maggiore tutela al socio lavoratore.


Articolo 2

L'articolo 2 della proposta di legge modifica l'articolo 2 della l. 142/2001, che disciplina i "Diritti individuali e collettivi del socio lavoratore di cooperativa". In particolare, la lettera a) sopprime l'inciso "si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell'articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo", nel caso di lavoratori subordinati, disponendo che «si applicano la legge 15 luglio 1966, n. 604, e la legge 20 maggio 1970, n. 300, comprese le norme relative all'estinzione del rapporto di lavoro».

Si ricorda che l'articolo 18 della l.300/1970  rimette al giudice la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con il conseguente risarcimento del danno, in caso di licenziamento discriminatorio.

La novella introdotta dalla lettera a), con il richiamo alla l. 604/1966 e l'abrogazione del riferimento all'articolo 18 della l.300/1970, consente di cumulare la tutela reale (reintegratoria del rapporto di lavoro) dell'articolo 18 medesimo e la tutela obbligatoria (risarcimento del danno) di cui all'articolo 8 della legge 604/1966.

La lettera b), introduce il comma 1-bis all'articolo 2 della legge 142/2001, con il quale si trae conseguenza dal riconoscimento di un rapporto di lavoro a tutti gli effetti nel rapporto tra socio e cooperativa per individuare nel giudice del lavoro il giudice competente a risolvere le relative controversie. Si dispone, infatti, che "le controversie tra socio e cooperativa relative all'instaurazione e all'estinzione del rapporto di lavoro sono di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro, anche qualora l'estinzione consegua all'esclusione del socio dalla cooperativa. Le controversie specificatamente attinenti al rapporto associativo e alle prestazioni mutualistiche sono di competenza del tribunale ordinario».


Articolo 3

L'articolo 3 definisce il trattamento economico e normativo dovuto al socio lavoratore, sostituendo il comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 142 del 2001, secondo cui le societa' cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. La novella prevede, infatti, che ogni socio lavoratore con rapporto di lavoro subordinato debba avere un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni datoriali maggiormente rappresentative; in caso di rapporto di lavoro diverso da quello subordinato, viene confermato il criterio vigente del compenso medio in uso per prestazioni analoghe , purchè non inferiore, in ogni caso, a quello spettante ove la prestazione fosse stata resa in forma subordinata (nuovo comma 1, lett. a). A tal fine, si precisa che i criteri per considerare una organizzazione sindacale "maggiormente rappresentativa" sono: il numero complessivo delle imprese associate, il numero complessivo dei lavoratori occupati, il numero di sedi presenti sul territorio e il numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti (comma 1-bis, introdotto dalla novella). Inoltre, il socio lavoratore ha diritto all'equa ripartizione delle occasioni di lavoro e del monte-ore lavorabile sia nel caso che risulti insufficiente ad assicurare a tutti i soci lavoratori l'effettuazione del normale orario di lavoro, sia nel caso che ecceda il normale orario di lavoro (nuovo comma 1, lett.b). Con tale ultima disposizione, si garantisce, secondo la relazione illustrativa, "la parità di trattamento tra i soci lavoratori nella distribuzione delle occasioni di lavoro; questa parità è fondamentale se si considera che, in molte cooperative «false», la distribuzione ineguale delle occasioni di lavoro è proprio lo strumento con cui i vertici illegittimamente premiano i soggetti a loro fedeli e puniscono i soggetti a loro contrari. Il mancato riconoscimento del trattamento minimo non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva è punito sia con sanzioni amministrative pecuniarie sia con l'esclusione dagli appalti pubblici, da contributi europei e ed è altresì disposta la perdita degli eventuali benefìci contributivi e normativi spettanti alla medesima cooperativa (commi 1-ter e 1-quater, introdotti dalla novella).


Articolo 4

L'articolo 4, confermando l'ispirazione complessiva del provvedimento in esame, prevede l'abrogazione del comma 2 dell'articolo 5 della l. 142/2001, che, disponendo che Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio (deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile) subordina il rapporto di lavoro al rapporto associativo. La soppressione travolge, conseguentemente, la competenza del tribunale ordinario per le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica, che, come si è visto sub articolo 1, sono riportate sotto la competenza del giudice del lavoro. Si abroga, inoltre, l'articolo 6 della legge, che definisce le procedure per la approvazione da parte delle cooperative dello strumento del regolamento interno, secondo la relazione illustrativa " troppo spesso utilizzati per costringere i soci lavoratori a rinunciare ai loro diritti minimi per quanto concerne il trattamento economico e normativo. Appare evidente che se il socio lavoratore è titolare di un «parallelo» rapporto di lavoro questi strumenti non hanno ragione di esistere".


Articolo 5

L'articolo 5 prevede una modifica al decreto legislativo n. 220 del 2002, recante disposizioni in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi, che, all'articolo 8, regola la tematica delle ispezioni ministeriali sulle cooperative, finalizzate a rilevare l'effettiva realizzazione dello scopo mutualistico e a evitare degenerazioni che comportino lo sfruttamento dei soci lavoratori. Si dispone che tali ispezioni possano essere richieste "anche su segnalazione non anonima di lavoratori delle stesse cooperative", in modo da rafforzare la funzione di verifica e controllo sottesa a questo strumento.


Articolo 6

Con riferimento agli strumenti di controllo sulla attività delle cooperative, l'articolo 6, al fine di rendere maggiormente cogente gli strumenti di controllo, precisa che il Ministero del lavoro è obbligato ad adottare (e non "possa", semplicemente, adottare) le sanzioni nei confronti delle cooperative previste dall'articolo 12 del predetto d.lgs.


Articolo 7

L'articolo 7 istituisce il reato di falsità ideologica per gli atti delle società cooperative.

A tal fine, nel Capo I del Titolo XI del Libro quinto del codice civile, viene introdotto l'articolo 2625-bis, il quale prevede che la falsità ideologica in atti societari, verbali assembleari o in altri atti redatti da una società cooperativa, sia punita con la pena della reclusione fino a due anni, come stabilito dall'art. 483 del codice penale per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.Si specifica inoltre che tale reato è perseguibile d'ufficio.

Si ricorda che il Titolo XI del Libro quinto del codice civile contiene le "disposizioni penali in materia di società, di consorzi e di altri enti privati" ed in particolare il Capo I di tale Titolo è dedicato alle fattispecie di falsità in atti societari.
Cardine del sistema sono gli articoli 2621 e 2622, i quali prevedono il reato di false comunicazioni sociali, il primo nell'ambito delle società in generale ed il secondo più specificamente per le società quotate.Con specifico riguardo alle società non quotate, la condotta illecita consiste nell'esporre consapevolmente fatti materiali non rispondenti al vero o nell'omettere consapevolmente fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore. La disposizione trova applicazione anche qualora le falsità o le omissioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. I soggetti attivi della disposizione sono rimasti immutati; possono quindi compiere il delitto di false comunicazioni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti addetti alla predisposizione delle scritture contabili, i sindaci ed i liquidatori. La pena prevista per tale reato è costituita dalla reclusione da uno a cinque anni. Il delitto così configurato è procedibile d'ufficio salvo le ipotesi di lieve entità per le quali è prevista una norma ad hoc con l'art. 2621 bis. Esso, infatti, prevede che, sempre nell'ambito delle società non quotate e salvo che la condotta non costituisca più grave reato, la pena sia ridotta da sei mesi a tre anni qualora i fatti siano di lieve entità, tenuto conto della natura delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta. La medesima pena ridotta è applicabile qualora le condotte riguardino società che non possono fallire, quelle cioè che non superano i limiti indicati dall'art. 1, 2° co., R.D. 16.3.1942, n. 267. In tale ultima ipotesi la procedibilità del delitto è a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale. Da ultimo il legislatore ha previsto un'ipotesi di non punibilità del reato di false comunicazioni sociali nelle società non quotate per particolare tenuità introducendo così l'art. 2621 ter in forza del quale la valutazione del giudice circa la particolare tenuità dovrà essere indirizzata all'entità dell'eventuale danno cagionato alla società, ai soci e ai creditori.

Andrebbe valutata l'opportunità di chiarire quale sia il rapporto tra il nuovo illecito introdotto dalla disposizione in esame e la disciplina sistematica degli illeciti concernenti le false comunicazioni sociali di cui al Titolo Xi del libro V del codice civile.

Si ricorda inoltre che il  falso ideologico è un comportamento consistente nell'attestare, in un documento che non sia stato materialmente falsificato, un contenuto non corrispondente alla realtà. Il codice penale lo punisce, agli articoli 479 e seguenti, con diverse fattispecie di reato, sanzionando, in particolare, il falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici, quello commesso dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative, quello commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità e quello commesso dal privato in atto pubblico.
Il reato di f alsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico di cui all'art. 483 c.p. (cui fa esplicito richiamo la norma in esame al fine di determinare l'entità della pena da comminare per la falsità ideologica in atti di società cooperative ivi introdotta)  è configurabile soltanto laddove le false attestazioni al pubblico ufficiale da parte del privato siano rese nell'ambito della formazione di un atto pubblico destinato a provare la veridicità di quanto in esso statuito. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, "il delitto previsto dall'art. 483 c.p. sussiste solo se l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa, è destinato a provare la verità dei fatti attestati, e, cioè, quando una norma giuridica obbliga il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente" (Cass. pen. n. 23587/2013, Cass. pen. n. 2218/1995).
Il reato di cui all'art. 483 c.p. è punito con la reclusione fino a due anni; ai sensi del secondo comma, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile.
Si ricorda infine che la fattispecie di  "falsità in scrittura privata" è stata depenalizzata (è statto infatti abrogato l'art. 485 c.p.), per cui, ai sensi del D.Lgs. 15/01/2016, n. 7, art. 4, lett. a) soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno. Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata.

Articolo 8

L'articolo 8 modifica l'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 che distingue il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, "dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che puo' anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonche' per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa". Secondo la relazione illustrativa, questa formulazione ha, per contro, "aperto la strada alla mera interposizione del rapporto di lavoro perché ha reso legittimi gli appalti consistenti in una mera fornitura di lavoratori purché vi sia una loro direzione tecnica più o meno formalmente affidata all'appaltatore o a un suo dipendente" La novella, pertanto, intende porre rimedio a questo stato di cose "specificando che l'appalto cosiddetto «labour intensive», ossia consistente essenzialmente in prestazioni di lavoro, è lecito solo se riguarda lavoratori specializzati che garantiscano un notevole valore aggiunto rispetto all'ipotesi che quel servizio sia eseguito da normali dipendenti del committente. In caso di appalti di mera manodopera, ovvero di carenza dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore o di un suo rischio d'impresa, i dipendenti di quest'ultimo sono considerati dipendenti del committente". In dettaglio, la novella recata dalle lettera a) dell'articolo 8, sostituisce il comma 1 del predetto art. 29, precisando che Il contratto di appalto stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile si distingue dalla somministrazione di lavoro per l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore nonché per l'assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa (nuovo comma 1). Inoltre, si considera illegittimo l'appalto consistente in mere prestazioni di lavoro, salvo che l'appaltatore eserciti il potere organizzativo e direttivo esclusivamente nei confronti di lavoratori in possesso di competenze specialistiche e diverse da quelle dei lavoratori alle dipendenze del committente. Perché si determini questa circostanza in termini oggettivi, occorre (e la prova è a carico del committente) che l'impiego di tale manodopera specializzata generi un evidente incremento di produttività e di risultati; qualora così non fosse, i lavoratori sono considerati alle dipendenze del medesimo committente (commi 1-bis e 1-ter, introdotti dalla novella). La lettera b) dell'articolo 8, sostituisce integralmente il comma 3 dell'articolo 29 del d.lgs. 276/2003, disponendo, in caso di subentro nell'appalto, la applicazione dell'articolo 2112 del codice civile, in forza del quale "in caso di trasferimento dell'azienda, se l'alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il contratto di lavoro continua con l'acquirente, e il prestatore di lavoro conserva i diritti derivanti dall'anzianita' raggiunta anteriormente al trasferimento. L'acquirente e' obbligato in solido con l'alienante per tutti i crediti che il prestatore di lavoro aveva al tempo del trasferimento in dipendenza del lavoro prestato, compresi quelli che trovano causa nella disdetta data dall'alienante, sempreche' l'acquirente ne abbia avuto conoscenza all'atto del trasferimento, o i crediti risultino dai libri dell'azienda trasferita o dal libretto di lavoro. Con l'intervento delle associazioni professionali alle quali appartengono l'imprenditore e il prestatore di lavoro, questi puo' consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell'azienda".

Pertanto, si dispone il passaggio dei dipendenti dal precedente appaltatore al nuovo appaltatore con il mantenimento dei livelli retributivi e dello status normativo, salvo che il nuovo appalto si presenti come sostanzialmente diverso dal precedente, nel qual caso si applica comunque la clausola sociale in forza della quale i lavoratori hanno diritto a un'assunzione ex novo da parte del nuovo appaltatore e senza peggioramento delle condizioni economico-normative. La novella ribalta la presunzione di trasferimento d'azienda (o di parte d'azienda), ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, di cui al comma 3 dell'articolo 29 vigente. Infine, l'ultima novella all'articolo 29 dispone che il committente che stipula contratti di appalto di opere o di servizi, da eseguire all'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, è tenuto in solido con quest'ultimo a corrispondere ai lavoratori utilizzati nell'appalto, un trattamento minimo economico e normativo non inferiore a quello spettante ai lavoratori alle dipendenze del medesimo committente. Secondo la relazione illustrativa, il meccanismo di responsabilità solidale introdotto dalla norma, comporta che il committente non abbia interesse "a scorporare una parte della sua organizzazione produttiva per darla in appalto a costi ridotti in quanto rimarrebbe comunque responsabile di quei lavoratori come se fossero suoi dipendenti; ciò comporta che la scelta se appaltare o non appaltare una parte dell'apparato produttivo sarà una scelta essenzialmente tecnica e motivata da reali esigenze produttive e di ricerca di migliori tecnologie".

In forza del quale "in caso di trasferimento dell'azienda, se l'alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il contratto di lavoro continua con l'acquirente, e il prestatore di lavoro conserva i diritti derivanti dall'anzianita' raggiunta anteriormente al trasferimento. L'acquirente e' obbligato in solido con l'alienante per tutti i crediti che il prestatore di lavoro aveva al tempo del trasferimento in dipendenza del lavoro prestato, compresi quelli che trovano causa nella disdetta data dall'alienante, sempreche' l'acquirente ne abbia avuto conoscenza all'atto del trasferimento, o i crediti risultino dai libri dell'azienda trasferita o dal libretto di lavoro. Con l'intervento delle associazioni professionali alle quali appartengono l'imprenditore e il prestatore di lavoro, questi puo' consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell'azienda".

 


Articolo 9

L'articolo 9 interviene sull'istituto del distacco, con modifiche all'articolo 30 del decreto legislativo n. 276 del 2003, che lo configura allorquando "un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa". In tal caso, il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.  La novella introduce i commi 1-bis e 2-bis, affermando il principio della parità di trattamento per tutta la durata del distacco presso l'utilizzatore (ciò che, attualmente, non è riconosciuta espressamente) e costituendo una responsabilità in solido tra datore di lavoro distaccante e datore di lavoro utilizzatore. In dettaglio, infatti, la disposizione prevede che "per la durata del distacco, i lavoratori hanno diritto, a parità di mansioni svolte, ad un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei lavoratori di pari livello alle dipendenze del soggetto che ne utilizza le prestazioni» (comma 1-bis); inoltre, "il soggetto che utilizza le prestazioni del lavoratore distaccato è obbligato in solido con il datore di lavoro a corrispondere al medesimo lavoratore il trattamento retributivo e al versamento dei contributi previdenziali maturati nel periodo del distacco, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il datore di lavoro" (comma 2-bis). A ribadire, in chiusura, le disposizioni precedenti interviene la modifica del comma 4-bis dell'articolo 30 sopra citato, in forza della quale "i lavoratori distaccati sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che abbia utilizzato le loro prestazioni. In tale ipotesi, i pagamenti corrisposti dal datore di lavoro che ha effettuato il distacco, a titolo di retribuzione o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che utilizza le prestazioni del lavoratore distaccato dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma pagata. Per il periodo del distacco tutti gli atti compiuti dal datore di lavoro che ha effettuato il distacco per la costituzione o per la gestione del rapporto si intendono compiuti dal soggetto che utilizza le prestazioni del lavoratore distaccato».


Articolo 10

L'articolo 10 della proposta di legge sostituisce l'articolo 50 del codice degli appalti (d.lgs 50/2016), stabilendo che "per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei princìpi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a subordinare l'esito positivo della gara alla garanzia della piena stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo inoltre l'applicazione da parte dell'aggiudicatario delle condizioni di orario e di retribuzione proprie dei contratti collettivi di settore di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e comunque non peggiorative rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva applicata dall'impresa cessante".Come si evince dala relazione illustrativa, con la novella in esame "si cerca di rendere più stringente non solo la concreta applicazione della clausola sociale negli appalti, intesa come obbligo di dare piena stabilità occupazionale al personale, ma anche come obbligo di garantire, da parte dell'aggiudicatario, un trattamento (economico e lavorativo, nel senso di ore lavorative richieste) non peggiorativo rispetto a quanto previsto dall'impresa cessante. All'articolo 50 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, si fa infatti riferimento, come clausola sociale, al rispetto dei contratti siglati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, mentre con la modifica proposta si stabilisce che le condizioni non devono essere in ogni caso peggiorative rispetto alle precedenti".
  


Articolo 11

L'articolo 11 è volto ad escludere le violazioni di alcune delle norme in materia di somministrazione di lavoro, dalla depenalizzazione effettuata dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, ripristinandone lo status di norme penali e inasprendo le sanzioni pecuniarie ivi previste.

Ai sensi dell'art. 1, comma 1, del d.lgs. 8/2016 tutte le violazioni punite esclusivamente con multa o ammenda, non costituiscono più reato e divengono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, la cui entità è determinata ai sensi del comma 5, per i casi in cui le norme prevedevano l'ammontare della pena pecuniaria, e del comma 6, qualora fosse prevista una pena pecuniaria proporzionale, senza l'indicazione di limiti minimi o massimi. I commi 3 e 4 del medesimo articolo 1 prevedono alcune eccezioni alla depenalizzazione (i reati puniti dal codice penale, quelli concernenti la disciplina dell'immigrazione di cui al testo unico 286/1998 e quelli contenuti nell'allegato al medesimo d.lgs. 8/2016).

In particolare il comma 1, attraverso l'inserimento del comma 4-bis all'articolo 1 del citato decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, dispone che non si applichi la depenalizzazione prevista (dal medesimo decreto legislativo n. 8) per i reati puniti con la sola pena pecuniaria:

  • alle fattispecie di esercizio non autorizzato delle attività di agenzia di somministrazione di lavoro di cui all'articolo 18, commi 1, 2 e 5-bis, del d.lgs. 276/2003;
Il comma 1 dell'art. 18 del D.Lgs. 10/09/2003, n. 276, punisce con la pena dell'ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro l'esercizio non autorizzato delle attività di agenzia di somministrazione di lavoro previste dall'art. 4, comma 1, lettere a) e b), che rinvia in tal senso all'articolo 20 del d.lgs. 276/2003. Andrebbe al riguardo valutata l'opportunità di specificare che le attività cui la disposizione fa riferimento sono attualmente contemplate nel capo IV del d.lgs. 81/2015, che ha provveduto ad abrogare il predetto articolo 20.
Il comma 2 punisce colui che, per la somministrazione di lavoro, si avvale di soggetti diversi da quelli autorizzati o al di fuori dei limiti previsti dal citato art. 4, comma 1, lettere a) e b); infine, il comma 5- bis punisce l'utilizzatore ed il somministratore di lavoro nei casi di appalto non configurabile come tale perché privo dei requisiti richiesti dall'articolo 29, comma 1 (ovvero organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto e assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa) e di distacco non configurabile come tale perché privo dei requisiti di cui all'articolo 30, comma 1 (ovvero messa a disposizione temporanea, da parte di un datore di lavoro e per il soddisfacimento di un proprio interesse, di uno o più lavoratori a favore di un altro soggetto per lo svolgimento di una determinata attività lavorativa).
  • alla fattispecie di somministrazione fraudolenta 38-bis del d.lgs. 81/2015;
L'articolo 38-bis del d.lgs. 81/2015 prevede attualmente che quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, il somministratore e l'utilizzatore sono puniti con la pena dell'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

 

Il comma 2 apporta all'art. 18 del d.lgs. 276/2003 modifiche finalizzate ad inasprire le pene pecuniarie previste ai commi 1, 2 e 5-bis, graduandone l'ammontare in base all'entità della violazione, avendo riguardo al numero di lavoratori ed al numero di giornate lavorative per i quali la violazione si è verificata.

L'ammenda attualmente prevista (euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro) viene aumentata secondo il seguente schema, indipendentemente che la violazione sia riferita al comma 1 (lettera a), al comma 2 (lettera b) o al comma 5-bis (lettera c):

-         da 50 a 300 euro per ogni lavoratore occupato in caso di impiego fino a trenta giorni di lavoro effettivo;

-         da 100 a 600 euro per ogni lavoratore occupato in caso di impiego da trentuno fino a sessanta giorni di lavoro effettivo;

-         da 200 a 1.200 euro per ogni lavoratore occupato in caso di impiego oltre sessanta giorni di lavoro effettivo.

Non viene invece modificato l'art. 38-bis del d.lgs. 81/2015, riguardante la somministrazione fraudolenta, che pure, ai sensi del comma 1 della norma in commento, costituisce eccezione alla depenalizzazione dei reati per i quali è prevista la sola pena dell'ammenda.

 


Relazioni allegate o richieste