Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Lavoro
Titolo: Disposizioni per la prevenzione e il contrasto delle molestie morali e delle violenze psicologiche in ambito lavorativo
Riferimenti: AC N.1741/XVIII AC N.1722/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 246
Data: 18/12/2019
Organi della Camera: XI Lavoro


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Disposizioni per la prevenzione e il contrasto delle molestie morali e delle violenze psicologiche in ambito lavorativo

18 dicembre 2019
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Quadro normativo vigente|Rispetto delle competenze costituzionalmente definite|


Contenuto

Le proposte di legge in esame (C. 1722 Roberto Rossini ed altri, C. 1741 De Lorenzo ed altri) recano disposizioni volte a prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei confronti dei lavoratori. La proposta di legge C. 1722 si compone di 10 articoli, mentre la proposta di legge C. 1741 si compone di 9 articoli.

Ambito di applicazione e finalità

Entrambe le proposte di legge, all'art. 1, definiscono l'ambito di applicazione del provvedimento.

In particolare, la proposta di legge C. 1741, all'art. 1, comma 1, individua l'ambito di applicazione oggettivo del provvedimento, che, in attuazione dei princìpi stabiliti dagli articoli 2, 32, 35 e 41 della Costituzione, reca misure volte a prevenire e contrastare azioni di mobbing poste in essere nei confronti dei lavoratori da parte del datore di lavoro o di un suo preposto, nonché da altri dipendenti.

Si ricorda in proposito che, ai sensi dell' articolo 2 della Costituzione, la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L' articolo 32 della Costituzione riconosce il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. L' articolo 35 riconosce e garantisce il diritto al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e prevede che la Repubblica riconosce la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori e promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. L' articolo 41 sancisce il principio di libertà dell' iniziativa economica privata, che non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

 Con più specifico riferimento all'ambito di applicazione soggettivo del provvedimento, l'art. 1, comma 2, della proposta di legge C. 1741 prevede che le disposizioni in esso contenute si applicano a qualsiasi rapporto di lavoro e in tutti i settori di attività privati e pubblici, indipendentemente dalla mansione svolta o dalla qualifica ricoperta dagli interessati.

L'art. 1, comma 1, della proposta di legge C. 1722 individua la finalità del provvedimento nella tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie morali e da violenze psicologiche (successivamente definite all'art. 2 della medesima proposta di legge) poste in essere nell'ambito del rapporto di lavoro, pubblico o privato, comprese le collaborazioni, indipendentemente dalla loro natura, mansione o grado.

L'art. 1, comma 2, della stessa proposta di legge C. 1722 vieta, nell'ambito di qualsiasi rapporto di lavoro, i comportamenti, anche omissivi, che ledono o pongono in pericolo la salute fisica e psichica, la dignità e la personalità morale del lavoratore.

Definizione di mobbing e di molestie morali e violenze psicologiche  

Entrambe le proposte di legge, all'art. 2, definiscono e specificano le condotte che configurano fattispecie di mobbing (C. 1741) e di molestie morali e violenze psicologiche nell'ambito del posto di lavoro (C. 1722).

In particolare, l'art. 2 della proposta di legge C.1741 qualifica fattispecie di mobbing sul posto di lavoro le molestie morali e le violenze psicologiche di carattere persecutorio, esercitate con intento vessatorio, iterativo e sistematico. La norma specifica, poi:

  • quanto alle modalità di realizzazione di tali condotte, che esse possono essere poste in essere esplicitamente o implicitamente, nonché direttamente o indirettamente;
  • quanto agli effetti delle condotte medesime, che esse sono tali da determinare eventi lesivi dell'integrità psico-fisica o della dignità sociale e lavorativa della vittima.

La disposizione individua, altresì, un'ampia casistica delle condotte in questione, il cui elenco corrisponde sostanzialmente alle condotte individuate nella proposta di legge C. 1722 (v. infra).

L'art. 2, c. 1, della proposta di legge C. 1722 qualifica molestie morali e violenze psicologiche nell'ambito del posto di lavoro le azioni, esercitate esplicitamente con modalità lesiva, che sono svolte con carattere iterativo e sistematico e che hanno il fine di emarginare, discriminare, screditare o, comunque, recare danno alla lavoratrice o al lavoratore in relazione alla sua carriera, alla sua autorevolezza e al suo rapporto con gli altri.

Come prima già anticipato, entrambe le proposte di legge individuano un'ampia casistica delle condotte in questione, con una sostanziale differenza: per l'AC. 1722 si tratta di condotte meramente esemplificatorie di una molestia morale o violenza psicologica (che "possono avvenire anche attraverso...") mentre per l'AC. 1741 le condotte elencate sono esaustive. Si tratta della:

a) rimozione da incarichi;

b) esclusione dalla comunicazione e dall'informazione aziendali;

c) svalutazione sistematica dei risultati, attraverso il sabotaggio del lavoro, svuotato dei contenuti o privato degli strumenti necessari al suo svolgimento (l'AC. 1722 specifica che svalutazione sistematica dei risultati attraverso cui avvengono le molestie morali e psicologiche si spinge "fino a" un sabotaggio del lavoro, che può essere svuotato dei suddetti contenuti);

d) sovraccarico di lavoro o attribuzione di compiti impropri o inattuabili in concreto (l'AC. 1722 parla di compiti "impossibili o inutili"), che acuiscono il senso di impotenza e di frustrazione;

e) attribuzione di compiti inadeguati rispetto alla qualifica e alla preparazione professionale o alle condizioni fisiche e di salute;

f) abuso del potere disciplinare, attraverso l'esercizio da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di azioni sanzionatorie, quali reiterate visite fiscali o di idoneità, contestazioni o trasferimenti in sedi lontane, rifiuto di permessi, di ferie o di trasferimenti, finalizzate all'estromissione del soggetto dal posto di lavoro (il riferimento all'abuso del potere disciplinare è contenuto nel solo A.C. 1741);

Si osserva che la norma prevede solo per quest'ultima condotta la finalizzazione all'estromissione del soggetto dal posto di lavoro. La giurisprudenza citata (cfr, da ultimo, Cass. Civ ordinanza 24883 del 4 ottobre 2019) associa tale finalizzazione anche ad altre molteplici tipologie di condotte poste in essere nei confronti del lavoratore che, pur riconducibili all'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro, hanno come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza.

g) atti persecutori e di grave maltrattamento di fronte a terzi, nonché, come previsto dalla sola proposta di legge C. 1722, le "comunicazioni verbali o scritte e le tesi a critica, anche di fronte a terzi";

h) molestie sessuali;

i) squalificazione dell'immagine personale e professionale;

l) offese alla dignità personale, attuate da superiori, da pari grado o da subordinati ovvero dal datore di lavoro.

Obblighi del datore di lavoro e accertamento delle responsabilità

Entrambe le proposte di legge dispongono l'obbligo del datore di lavoro, pubblico o privato, di accertare tempestivamente le suddette condotte, qualora esse siano state denunciate da singoli lavoratori o da gruppi di lavoratori, ovvero su di esse vi sia stata segnalazione da parte delle rappresentanze sindacali aziendali o del rappresentante per la sicurezza, nonché del medico competente (art. 3, c. 1, della proposta di legge C. 1741, e art. 4, c. 1, della proposta di legge C. 1722).

Al riguardo, sembrerebbe opportuno delimitare temporalmente i termini dell'accertamento "tempestivo" delle condotte da parte del datore di lavoro, nonché specificare i requisiti della citata denuncia delle condotte in questione ad opera di singoli lavoratori o di gruppi di lavoratori.

Si ricorda, in proposito, con riferimento al solo settore pubblico, che i compiti e le funzioni di accertamento delle condotte in questione sono già svolti dal Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG), istituito all'interno delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell' art. 57 del D.lgs. n. 165/2001.
Il Comitato ha composizione paritetica ed è formato da un componente designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello di amministrazione e da un pari numero di rappresentanti dell'amministrazione in modo da assicurare nel complesso la presenza paritaria di entrambi i generi.
Il Comitato, all'interno dell'amministrazione pubblica, ha compiti propositivi, consultivi e di verifica e opera in collaborazione con la consigliera o il consigliere nazionale di parità. Contribuisce all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando l'efficienza delle prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica per i lavoratori. La mancata costituzione del Comitato comporta responsabilità dei dirigenti incaricati della gestione del personale, da valutare anche al fine del raggiungimento degli obiettivi. La direttiva del 4 marzo 2011 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione e del Ministro per le pari opportunità reca indicazioni riguardanti i CUG.

Entrambe le proposte di legge paiono volte a equiparare alla commissione dei fatti di mobbing la condotta di colui che istighi a commetterli, con due rilevanti differenze:

  • la pdl 1722 afferma tale equiparazione in generale, nell'ambito delle definizioni di mobbing (art. 2, co. 2);
  • la pdl 1741 inserisce questa previsione nell'ambito degli obblighi di accertamento delle responsabilità da parte del datore di lavoro (art. 3, comma 2) prevedendo che egli debba considerare equivalenti alla realizzazione dei fatti di mobbing, oltre all'istigazione a commetterli anche "l'omissione consapevole dei soggetti denunciati". Si valuti l'esigenza di specificare che cosa si intenda per omissione consapevole dei soggetti denunciati. 

La (sola) proposta di legge C. 1741 introduce sanzioni a carico del datore di lavoro - pubblico o privato - che per dolo o negligenza violi gli obblighi di accertamento delle responsabilità. A suo carico sono previsti:

  • l'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 28 c.p. Si tratta di una pena accessoria che il giudice penale applica a seguito di una sentenza di condanna. 
  • il licenziamento
  • in via subordinata, rispetto alle precedenti misure, le misure previste per i diversi livelli di responsabilità dal Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008), per la violazione di taluni obblighi posti a carico del datore di lavoro e del dirigente, del preposto e del medico competente.
In particolare, il D. Lgs. n. 81/2008 prevede: all'articolo 55, c. 1 e 3, talune sanzioni (arresto o ammenda) per la violazione di obblghi posti a carico del datore di lavoro e del dirigente; all'articolo 56,la sanzione dell'arresto per la violazione di taluni obblighi spettanti al preposto; all'art. 58, la sanzione dell'arresto o la sanzione amministrativa pecuniria per una serie di violazioni di obblighi posti in capo al medico competente; si segnala, inoltre, che l'art. 302 prevede la possibilità, per il giudice, su richiesta dell'imputato, di sostituire la pena irrogata nel limite di dodici mesi con il pagamento di una somma determinata secondo i criteri di ragguaglio individuati dal codice penale.

Si osserva che la disposizione non definisce l'autorità competente ad accertare la violazione da parte del datore di lavoro; peraltro, l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e il riferimento al dolo sembrerebbe prefigurare un intervento del giudice penale e dunque una qualificazione della condotta come reato. Si valuti inoltre l'esigenza di specificare l'ambito di applicazione e le modalità applicative del licenziamento, con particolare riguardo al datore di lavoro privato.

La sola proposta di legge C. 1741 dispone la comunicazione alla procura della Repubblica, da parte dell'autorità gerarchica competente, previo onere della prova contraria, del danno all'integrità psico-fisica provocato dalle azioni di cui all'articolo 2 sopra descritte, quando esso comporti una riduzione della capacità lavorativa derivante da disturbi psico-fisici (art. 3, c. 4).

 Sembrerebbe opportuno, al riguardo, chiarire come si configuri tale comunicazione nell'ipotesi in cui le azioni di mobbing siano state poste in essere dal datore lavoro, che è anche l'autorità gerarchica competente.

Più in generale occorre chiarire l'ambito di applicazione della disposizione con particolare riferimento al coinvolgimento dell'autorità giudiziaria penale e al "previo onere della prova inversa". Si valuti, in particolare, l'opportunità di chiarire quali siano i fatti da provare e chi debba provarli posto che in campo penale la presunzione di innocenza impone all'accusa di provare la colpevolezza.

 La norma esemplifica, poi, taluni di questi disturbi psico-fisici, specificando che essi possano essere di qualsiasi entità: depressione; disturbi psico-somatici conseguenti a stress lavorativo come l'ipertensione, l'ulcera e l'artrite; disturbi allergici; disturbi della sfera sessuale; tumori.

Sembrerebbe opportuno specificare, al riguardo, se l'esemplificazione in questione abbia o meno carattere tassativo, nonché quali siano i soggetti abilitati a rilasciare le certificazioni necessarie.

A tale riguardo, la proposta di legge C. 1722 specifica soltanto che il danno all'integrità psicofisica sussiste quando le azioni di cui al comma 1 (v. infra, paragrafo "Definizione di mobbing e di molestie morali e psicologiche") determinano una riduzione della capacità lavorativa per disturbi psicofisici di qualsiasi entità, quali depressione, disturbi psicosomatici conseguenti a stress lavorativo, come l'ipertensione, l'ulcera e l'artrite, disturbi allergici, disturbi della sfera sessuale, nonché tumori (art. 2, c.3).

Tutela giudiziaria

Entrambe le proposte di legge (AC. 1722, art. 5; AC. 1741, art. 4) individuano nel giudice del lavoro (tribunale territorialmente competente, e applicazione del rito del lavoro di cui all'art. 413 c.p.c.) l'autorità competente a ricevere il ricorso nel quale sono denunciate le azioni di mobbing. Mentre l'AC. 1722 consente di rivolgersi al giudice del lavoro per denunciare tutte le condotte di mobbing, come definite dalla proposta stessa, l'A.C. 1741 circoscrive il ricorso alle seguenti condotte:

  • rimozione da incarichi;
  • esclusione dalla comunicazione aziendale;
  • sovraccarico di lavoro o attribuzione di compiti impropri;
  • attribuzione di compiti inadeguati rispetto alla qualifica;
  • squalificazione dell'immagine personale e professionale.

Rispetto alla definizione di mobbing fornita dalla stessa proposta di legge, restano escluse dalla possibile denuncia al giudice del lavoro le condotte di: svalutazione sistematica dei risultati attraverso il sabotaggio del lavoro; abuso del potere disciplinare; atti persecutori e di grave maltrattamento di fronte a terzi; molestie sessuali; offese alla dignità personale.

Si osserva che, mentre per alcune di queste condotte la p.d.l. prevede la possibilità di rivolgersi al giudice penale (v. infra, art. 7), le offese alla dignità personale (lett. l) appaiono sfornite di tutela giudiziaria.

Entrambe le proposte di legge prevedono che il giudice del lavoro possa, entro 5 giorni dalla denuncia, ordinare al responsabile la cessazione del comportamento, determinando altresì una misura di coercizione indiretta obbligando il responsabile al pagamento di una somma per ogni giorno di mancata esecuzione del provvedimento. Contro la decisione del tribunale monocratico è ammessa - entro15 giorni - l'opposizione davanti al tribunale in composizione collegiale.

Le due proposte di legge, invece, divergono quanto a onere della prova e conseguenze economiche della decisione del giudice.

In particolare, l'AC. 1722, senza modificare le regole generali sull'onere probatorio, stabilisce che sia dovuto al lavoratore danneggiato un risarcimento del danno che comprende comunque anche una somma a titolo di indennizzo del danno biologico, da determinare in via equitativa.

L'AC. 1741 invece, introduce una inversione dell'onere della prova stabilendo che a fronte della denuncia del lavoratore, spetti a colui che è accusato dimostrare l'inesistenza della condotta; qualora sia chiamato in causa il datore di lavoro, egli dovrà dimostrare di essersi adeguatamente attivato a fronte di una lamentela circostanziata del lavoratore.

Pubblicità del provvedimento del giudice

Entrambe le proposte di legge (AC. 1722, art. 6; AC 1741, art. 5) consentono al giudice, su istanza della parte interessata, di disporre che, a cura del datore di lavoro, pubblico o privato, sia data informazione della sentenza di accoglimento o di rigetto. Tale informazione ha luogo mediante lettera ai lavoratori interessati dell'unità produttiva o amministrativa nella quale è stato denunciato l'atto o il comportamento di mobbing oggetto dell'intervento giudiziario, con omissione del nome della persona che ha subìto l'atto o il comportamento.

Il giudice dispone in ogni caso la pubblicazione della sentenza di condanna su almeno due quotidiani a tiratura nazionale, qualora la condotta sia imputabile al datore di lavoro, pubblico o privato, o si evinca una sua complicità. La norma specifica che anche in tal caso la pubblicazione ha luogo con omissione del nome della persona oggetto di mobbing e che le eventuali spese sono a carico del condannato.

Si valuti l'opportunità di chiarire se con l'espressione "complicità" si intenda fare riferimento ad un comportamento oggetto di specifica condanna da parte del giudice del lavoro.

Responsabilità disciplinare e nullità delle azioni discriminatorie

L'art. 7 della proposta di legge C. 1722 l'applicazione nei confronti di coloro che pongono in essere le molestie morali e le violenze psicologiche descritte all'articolo 2 del provvedimento, da parte del datore di lavoro, pubblico o privato, ovvero del loro diretto superiore, di una sanzione disciplinare stabilita in sede di contrattazione collettiva.

Quanto agli effetti degli atti o dei comportamenti posti in essere, l'articolo 6 della proposta di legge C. 1741 dispone la nullità: degli atti o dei comportamenti di mobbing accertati secondo le procedure sopra descritte (comma 1); delle dimissioni presentate dal lavoratore vittima di atti o di comportamenti di mobbing (comma 2)., mentre l'art. 8 della proposta di legge C. 1722 dispone la nullità degli atti e dei provvedimenti discriminatori ai sensi dell'art. 2.

Modifiche al codice penale: introduzione di un nuovo delitto

Entrambe le proposte di legge (AC. 1722, art. 10; AC. 1741, art. 7) introducono nel codice penale, tra i delitti contro la libertà morale, una nuova fattispecie volta a punire le azioni di mobbing.

In particolare, l'AC. 1722 introduce l'art. 610-bis c.p. (subito dopo la fattispecie di violenza privata), con il quale punisce gli atti di discriminazione o di persecuzione psicologica in ambito lavorativo con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da 30.000 a 100.000 euro. La pena si applica a chiunque, in ambito lavorativo, reiteratamente o in modo sistematico o abituale, vessa, discrimina, compie atti di violenza morale o di persecuzione psicologica tali da degradare le condizioni di lavoro compromettendo la salute fisica o psichica ovvero la professionalità o la dignità del lavoratore. La fattispecie si applica "salvo che il fatto costituisca più grave reato". Il reato è aggravato (pena aumentata di un terzo) se le condotte sono tenute dal superiore gerarchico o in accordo da più persone; se gli stessi atti (tanto la fattispecie base quanto quella aggravata) sono commessi nei confronti di una donna in stato di gravidanza o nel corso dei primi quattro anni di vita del figlio, ovvero nei confronti di un minore o di un disabile, le pene sono aumentate della metà. Il reato è procedibile a querela, da proporsi entro 6 mesi dai fatti di reato. Si procede d'ufficio nelle ipotesi aggravate.

Si valuti l'opportunità di specificare che l'aggravante opera non soltanto quando vittima del reato sia una madre con prole di età inferiore a 4 anni ma anche quando la vittima sia un padre nelle medesime condizioni.

L'AC. 1741 introduce nel codice penale l'art. 612-ter con il quale punisce gli atti vessatori in ambito lavorativo  con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena si applica al datore di lavoro, al dirigente o al lavoratore che nell'ambito lavorativo, reiteratamente, compie atti, omissioni o comportamenti di vessazione o di persecuzione psicologica tali da compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore. La fattispecie si applica "salvo che il fatto costituisca più grave reato".

Si osserva che l'articolo 612-ter è già presente nel codice penale (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti): si valuti pertanto l'esigenza di introdurre un nuovo articolo 612-quater.

Anche la proposta AC 1741 prevede le ipotesi aggravate del reato: se dal fatto deriva una malattia nel corpo o nella mente la pena è aggravata fino ad un terzo; è aumentata invece fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità. Il reato è procedibile a querela, da proporsi entro 6 mesi dai fatti di reato, Nelle ipotesi aggravate si procede d'ufficio.

Per quanto attiene la tutela e la responsabilità penale, il mobbing non ha una specifica collocazione nel diritto quale autonoma e precipua fattispecie criminosa, dal momento che la legislazione vigente non prevede alcuna ipotesi di reato a carico del datore di lavoro per le condotte di vessazione morale e di dequalificazione professionale da lui tenute nell'ambiente di lavoro in danno del lavoratore. In tal senso si è altresì espressa la Corte di Cassazione sottolineando «la difficoltà di inquadrare la fattispecie in una precisa figura incriminatrice, mancando in seno al codice penale questa tipicizzazione» (Cass., Sez. V, 9 luglio 2007, n. 33624). Allo stato attuale, infatti, i fatti di mobbing possono assumere specifica rilevanza solo ove la condotta vessatoria integri gli estremi di specifici reati, quali: ingiuria (art. 594 c.p.), ossia l'offesa all'onore o al decoro di una persona presente, anche commessa attraverso comunicazione telefonica o scritta; diffamazione (art. 595 c.p.), vale a dire la lesione della reputazione di un soggetto; molestia o disturbo alle persone (660 c.p.), corrispondente alla condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, rechi a taluno molestia o disturbo; violenza privata (art. 610 c.p.), ossia il comportamento di chi, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa; atti persecutori (art. 612-bis)  consistenti in condotte reiterate di minaccia o molestia tale da cagionare in una persona un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero ingeneri e un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto  ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita; abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), nell'ambito di un rapporto d'impiego all'interno della Pubblica Amministrazione; lesioni (artt. 582-583 c.p), in ragione, quando meno, dell'indebolimento permanente della funzione psichica;  maltrattamenti (art. 572 c.p.). Tale disposizione, tra le varie ipotesi, sanziona chiunque maltratta una persona sottoposta alla sua autorità. Va inoltre ricordata  l'aggravante prevista dall'art. 61 n. 9 c.p., ossia l'aver commesso il fatto con abuso dei poteri, violazione dei doveri inerenti a pubblica funzione o servizio.

 

Misure di prevenzione, vigilanza e informazione nei luoghi di lavoro

La proposta di legge C. 1741 (articolo 8, comma 1) prevede che le amministrazioni dello Stato e i datori di lavoro pubblici e privati, d'intesa con le rappresentanze sindacali o con i consigli centrali, intermedi e di base dell'Esercito italiano, della Marina militare, dell'Aeronautica militare, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, adottano una serie di misure di prevenzione e contrasto delle azioni di mobbing.

Al riguardo, si osserva preliminarmente che le materie tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro attengono alla sfera della legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. Sembrerebbe pertanto opportuno prevedere norme di coordinamento in sede di Conferenza Stato-regioni e province autonome ai sensi dell'art. 8, comma 5, della legge n. 131 del 2003.

Più in dettaglio, la norma prevede che le amministrazioni dello Stato e i datori di lavoro pubblici e privati adottino le seguenti misure di contrasto delle azioni di mobbing:

a) adottano iniziative periodiche di informazione dei dipendenti, anche al fine di individuare immediatamente eventuali sintomi o condizioni di discriminazioni, come descritti e individuati nell'articolo 2;

b) organizzano, ogni sei mesi, di corsi specifici di gestione delle relazioni interpersonali o del mobbing. La norma specifica che tali corsi sono affidati a soggetti, anche esterni, in qualità di consulenti, muniti:

  • di abilitazione all'esercizio della professione di psicologo;
  • di ampia e comprovata esperienza specifica nel settore della psicologia del lavoro;

c) accertano azioni di mobbing nei confronti dei lavoratori, avvalendosi dei suddetti consulenti;

d) organizzano corsi obbligatori di prevenzione e di informazione sulle azioni di mobbing nei confronti dei lavoratori, a carico del datore di lavoro, per le seguenti categorie:

  • dirigenti;
  • medici competenti;
  • responsabili della sicurezza aziendale;
  • rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

e) iniziative per la risoluzione delle controversie tramite la stipulazione di appositi accordi transattivi o conciliativi;

Sembrerebbe opportuno specificare se tale ultima disposizione faccia riferimento alla diretta adozione o alla semplice promozione di misure di risoluzione delle controversie da parte delle amministrazioni dello Stato e dei datori di lavoro.

Si ricorda, in proposito, che il codice di procedura civile già reca norme relative al tentativo di conciliazione presso le commissioni di conciliazione ( (art. 410 c.p.c.) e alla risoluzione arbitrale della controversia presso le commissioni di conciliazione stesse(art. 412 c.p.c.).

f) denuncia alle autorità competenti.

La stessa proposta di legge C. 1741 (art. 8, co. 2) prevede l'istituzione, da parte di ciascuna azienda sanitaria locale del comune capoluogo di provincia, nell'ambito della propria organizzazione amministrativa, di un centro di riferimento per il benessere organizzativo nei luoghi di lavoro, costituito da specialisti di salute mentale, anche interni alla medesima azienda sanitaria locale, quali:

a) un medico specialista in medicina del lavoro, con funzioni di coordinamento;

b) un esperto in test psicodiagnostici;

c) un esperto in psicologia del lavoro e delle organizzazioni;

d) un medico specialista in psichiatria;

e) uno psicoterapeuta.

Relativamente alle funzioni di tali specialisti, il successivo comma 3 dispone che essi provvedono:

  • all' accertamento dello stato di disagio psico-sociale o di malattia del lavoratore;
  • all'eventuale indicazione del percorso terapeutico di sostegno, cura e riabilitazione;
  • all'individuazione delle eventuali misure di tutela da parte dei datori di lavoro, qualora siano rilevati casi di disagio lavorativo.

Si osserva anche a tale riguardo che, considerato che le materie tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro attengono alla sfera della legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, appare opportuno un rinvio a disposizioni di armonizzazione stabilite in sede di Conferenza Stato-regioni e province autonome.

 La norma prevede inoltre, al comma 4, che il sopra citato centro di riferimento per il benessere organizzativo nei luoghi di lavoro organizza una conferenza annuale al fine di valutare i risultati del lavoro svolto, nonché di individuare le opportune iniziative per la riduzione o l'eliminazione delle azioni di mobbing.

Sempre con riferimento alle misure di prevenzione e informazione, la proposta di legge C. 1722, all'art. 3, prevede che, al fine di prevenire i casi di molestie morali e violenze psicologiche, i datori di lavoro, pubblici e privati, in collaborazione con le organizzazioni sindacali aziendali e con i servizi di prevenzione e protezione della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro (SPRESAL) delle aziende sanitarie locali, unitamente ai centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo di cui al successivo articolo 9 (v. infra), organizzano iniziative periodiche di informazione dei dipendenti, anche al fine di individuare immediatamente eventuali sintomi o condizioni di discriminazione (comma 1).

In proposito si sottolinea che le Aziende sanitarie locali possono dotarsi, in base a determinati standard relativi al numero di posti letto (se aziende ospedaliere) ovvero alla popolazione residente nel territorio regionale (se aziende non ospedaliere), di strutture complesse per la prevenzione, tra le quali quella negli ambienti di lavoro. La finalità è garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori esercitando funzioni di controllo, vigilanza e promozione della salute e sicurezza, anche con l'obiettivo di prevenire gli infortuni e le malattie professionali e di promuovere il benessere negli ambienti di lavoro. Comunemente, questo tipo di Servizi di prevenzione delle ASL concorrono all'obiettivo di favorire la diffusione della cultura della prevenzione, coinvolgendo le parti sociali ed istituzionali.
In particolare, le unità SPRESAL intervengono con attività di polizia giudiziaria o di rilascio di pareri e autorizzazioni, oltre che attività di notifica e di informazione, formazione ed assistenza per le imprese sui rischi degli ambienti di lavoro e sul modo di ridurli o eliminarli.

A tale riguardo, il successivo comma 2 dispone che, in concorso con i suddetti centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo, gli SPRESAL organizzano annualmente corsi di prevenzione e di informazione sulle molestie morali e sulle violenze psicologiche, obbligatori e a carico del datore di lavoro, per i dirigenti, i medici competenti e i responsabili della sicurezza aziendale, nonché per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Ai sensi del comma 3, in ogni azienda il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, previsto dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, è competente in materia di molestie morali e di violenze psicologiche e può svolgere le proprie funzioni in materia anche avvalendosi di appositi consulenti.

Si ricorda in proposito che il datore di lavoro ha l'obbligo di organizzare all'interno dell'azienda, o dell'unità produttiva, il servizio di prevenzione e protezione. Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. Gli addetti e i responsabili dei servizi devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell'azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell'espletamento del proprio incarico (art. 33 ss del D. Lgs. n. 81/2008).

Il comma 4 dispone che in ogni azienda, nell'ambito dei processi informativi e formativi previsti dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono previste apposite riunioni aziendali periodiche, improntate alla trasparenza e alla correttezza nei rapporti aziendali e professionali, atte a fornire alle lavoratrici e ai lavoratori informazioni sugli aspetti organizzativi, anche attinenti all'attribuzione di ruoli e mansioni, agli avanzamenti di carriera e ai processi di mobilità.

Si ricorda, al riguardo, che il citato Testo unico prevede l'obbligo del datore di lavoro di fornire a ciascun lavoratore una adeguata informazione: sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all'attività dell'impresa in generale; sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei luoghi di lavoro; sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di primo soccorso e di prevenzione incendi, nonché del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione e del medico competente; sui rischi specifici cui è esposto; sui pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi; sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.

Il comma 5 prevede lo svolgimento di un'attività di informazione generale sulle molestie morali e sulle violenze psicologiche per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori. A tale scopo sono dedicate due ore di assemblea annuali, oltre a quelle previste dallo Statuto dei lavoratori.

Si ricorda in proposito che l'art. 20 dello Statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300) prevede il diritto dei lavoratori di riunirsi, nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali è corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.

Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro.

Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.

Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.

L'articolo 9 della proposta di legge C. 1722, infine, prevede l'istituzione in ogni regione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di un centro regionale per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo, dotato di adeguato organico, diretto da uno psichiatra della dirigenza sanitaria in possesso dei requisiti per l'attribuzione di un incarico di direzione di struttura complessa, che abbia seguito appositi corsi di formazione.

Al riguardo, come già rilevato con riferimento all'art. 8, co. 2 e 3 della proposta di legge C. 1741 (v. ante), appare opportuno un rinvio alla Conferenza Stato-regioni e province autonome per la determinazione di norme di armonizzazione.

La disposizione prevede che il centro - che, anche ai fini contrattuali, ha carattere di struttura complessa - è organizzato quale organismo tecnico di consulenza degli SPRESAL.

La norma enumera i seguenti compiti del centro:

  • ricerca e prevenzione delle molestie morali e delle violenze psicologiche;
  • informazione dei lavoratori;
  • formazione degli operatori dei servizi degli SPRESAL;
  • formazione dei medici competenti, dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti;
  • monitoraggio delle molestie morali e delle violenze psicologiche (comma 1).

Ai sensi del comma 2, il centro in questione organizza una conferenza annuale per valutare i risultati dell'attività svolta e individuare le opportune iniziative per la riduzione o l'eliminazione del fenomeno delle molestie morali e delle violenze psicologiche.


Quadro normativo vigente

Nel nostro ordinamento, il fenomeno del mobbing, in assenza di provvedimenti legislativi di rango primario, è stato oggetto di attenzione e di esame prevalentemente in sede dottrinale e giurisprudenziale (v. più approfonditamente infra).

Tra le iniziative adottate a livello europeo, si segnalano:

  • la firma, il 3 marzo 1996, da parte di nove Stati membri del Consiglio d'Europa, della nuova versione della Carta Sociale Europea, con la previsione, all'articolo 26, di un impegno degli Stati, allo scopo di assicurare l'esercizio effettivo del diritto di ogni lavoratore alla protezione della loro dignità al lavoro, a promuovere la sensibilizzazione, l'informazione e la prevenzione in materia di "atti condannabili o esplicitamente ostili ed offensivi, diretti in modo ripetuto contro ogni lavoratore sul luogo di lavoro o in relazione con il lavoro", nonché ad adottare le misure appropriate al fine di proteggere i lavoratori contro tali comportamenti.
  • l'approvazione, da parte del Parlamento Europeo, il 20 settembre 2001, della Risoluzione (2001/2339(INI)) riguardante il mobbing sul posto di lavoro. In particolare, nel documento si esortano gli Stati membri:

   -  a rivedere e a completare la propria legislazione sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro;

   -  a verificare e ad uniformare la definizione delle fattispecie di mobbing;

   -  a elaborare, con l'ausilio delle parti sociali, idonee strategie di lotta contro il mobbing e, in generale, contro la violenza sul posto di lavoro. Il documento conteneva anche un invito alla Commissione a presentare, entro il mese di marzo 2002, un Libro verde recante un'analisi approfondita della situazione relativa al mobbing in Italia e in ogni Stato membro e, successivamente, entro il mese di ottobre 2002, un "Programma d'azione" contenente le misure comunitarie contro il mobbing. Nonostante ciò, sia il Libro verde sia il Programma d'azione, ad oggi, non sono stati presentati.

  • l'approvazione, da pare del Parlamento europeo, della Risoluzione (2004/2205(INI)) sulla promozione della salute e della sicurezza sul lavoro, nella quale si invita la Commissione ad includere nel programma di azione alcune problematiche di genere, quali il mobbing. Nella Risoluzione, in particolare, si invita la Commissione ad analizzare più attentamente la possibilità di presentare un approccio globale alla salute sul luogo di lavoro che comprenda tutte le forme di rischio, come, tra le altre, il mobbing.

Nel nostro ordinamento, i primi passi volti a disciplinare normativamente il fenomeno sono stati compiuti, seppur indirettamente, attraverso l'emanazione di due provvedimenti:

  • il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, attuativo della direttiva 2000/43/CE del 26 settembre 2000, del Consiglio, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica;
  • il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, attuativo della direttiva 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, del Consiglio, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, fornendo altresì una precisa definizione delle discriminazioni dirette e indirette, alle quali ha assimilato le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere con lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

In assenza, quindi, di una disciplina organica del fenomeno del mobbing, la giurisprudenza è intervenuta in funzione di "supplenza" del legislatore, riscontrando non poche difficoltà ai fini della tipizzazione delle condotte, configurabili attraverso una varietà di atti e comportamenti in cui elementi soggettivi di carattere psicologico rendono più complessa l'analisi probatoria.

Le fattispecie di mobbing sono state inizialmente ricondotte, ai fini del risarcimento del danno, prevalentemente:

  • all'art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro), ai sensi del quale «l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure ... necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro», interpretato come fonte di responsabilità anche contrattuale del datore di lavoro;
  • all'articolo 2043 c.c. (in materia di responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro e di responsabilità oggettiva dello stesso per gli illeciti commessi dai dipendenti);
  • in caso di mobbing e demansionamento, all'articolo 2103 c.c. per il settore privato e all'articolo 52 del D.Lgs. n. 165/2001 per il settore pubblico.

Ai fini della configurabilità di una fattispecie di mobbing, l'evoluzione giurisprudenziale ha portato a individuare una serie di elementi essenziali costitutivi della condotta.

In particolare, per mobbing si intende comunemente una condotta sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che assumono gli estremi della prevaricazione o della persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità (Cass., sentenze nn. 3785/2009, 12048/2011, 2711/2012, 12725/2013, 19872/2014, 10285/2018, 26495/2018, 21464/2019 e 24883/2019). Gli episodi di aggressione, esclusione o emarginazione del lavoratore sono posti in essere da parte dei suoi colleghi (mobbing orizzontale), da parte di superiori gerarchici (mobbing verticale), oppure da parte di sottoposti nei confronti di un superiore (mobbing ascendente).

La condotta lesiva del datore di lavoro è, pertanto, caratterizzata da:

a) una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio: gli episodi, ripetuti e costanti nel tempo, sono volti a ottenere l'estromissione dall'azienda del lavoratore (c.d. bossing) o, più in generale, la sua distruzione psicologica, sociale e professionale;

b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;

d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (cfr. Cass. n. 3785 del 17 febbraio 2009, Cass. n. 898 del 17 gennaio 2014 e, in senso analogo, Cass. n. 17698 del 6 agosto 2014, nonché, tra le tante, da ultimo, Cass. 10 novembre 2017, Cass. 21 maggio 2018, n. 12437).

Incombe sul lavoratore che si affermi vittima di mobbing l'onere di provare le condotte vessatorie, con le caratteristiche sopra descritte, la lesione alla sua integrità psicofisica, il nesso causale tra l'evento dannoso e l'espletamento della prestazione lavorativa.

Si segnala che è in discussione presso l'Assemblea della Camera dei deputati la proposta di legge A.C. 1524, recante disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo, il cui articolo 1 interviene sul delitto di atti persecutori, previsto dall'art. 612- bis del codice penale, estendendo l'ambito oggettivo dell'illecito penale alle condotte di reiterata minaccia e molestia che pongono la vittima in una condizione di emarginazione.
In particolare, ai possibili eventi prodotti dalle condotte reiterate di minaccia o molestia – che attualmente possono cagionare «un perdurante e grave stato di ansia o di paura» oppure ingenerano «un fondato timore per l'incolumità» della vittima, di un suo prossimo congiunto o del partner, oppure costringono la vittima ad «alterare le proprie abitudini di vita» - la proposta di legge in questione prevede l'aggiunta anche della condizione di emarginazione della vittima. Si tratta di una condotta, la c.d. "condotta di emarginazione", richiamata dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato sul mobbing, definito anche come "danno da emarginazione". La sentenza n. 5905 del 2018 della Sez. IV del Consiglio di Stato, infatti, ai fini della configurabilità della condotta lesiva di mobbing, ritiene rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, "che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell'ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore)", ad ha "come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza" (in senso conforme anche Cons. Stato Sez. IV Sent., 10/01/2012, n. 14 e Cons. Stato Sez. III, 04/02/2015, n. 549).

Rispetto delle competenze costituzionalmente definite

Le proposte di legge intervengono sulle materie tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro, riconducibili alla competenza legislativa concorrente Stato-regioni in base all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, nonché sull'ordinamento penale, riconducibile alla competenza legislativa esclusiva statale in base all'art. 117, secondo comma, lett. l) della Costituzione.