Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari |
Titolo: | Legge di delegazione europea 2019 - A.S. 1721 |
Serie: | Progetti di legge Numero: 279 |
Data: | 02/03/2020 |
Organi della Camera: | XIV Unione Europea |
Legge di delegazione europea 2019
A.S. n. 1721
SERVIZIO STUDI
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Dossier n. 226
SERVIZIO STUDI
Dipartimento Affari comunitari
Tel. 06 6760-9409 - st_affari_comunitari@camera.it - @CD_Europa
Dossier n. 279
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Articolo 16 (Fondi europei per il venture capital e per l'imprenditoria sociale)
Direttiva (UE) 2019/883 .................................................................................... 223
Direttiva (UE) 2019/1024 ..................................................................................237
Direttiva (UE) 2019/1151 ..................................................................................241
Il presente dossier contiene le schede di lettura riferite ai singoli articoli del disegno di legge di delegazione europea 2019 (A.S. 1721) nonché una descrizione delle direttive elencate nell'Allegato A.
Si ricorda che il 14 febbraio 2020 il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019 (A.S. 1721).
Il disegno di legge di delegazione europea 2019 consta di 20 articoli, che recano disposizioni di delega riguardanti il recepimento di 33 direttive europee inserite nell’allegato A, nonché l’adeguamento della normativa nazionale a 12 regolamenti europei. L’articolato contiene inoltre principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega relativa a 11 direttive.
Le leggi europee
La legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.
In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è stata sostituita da due distinti provvedimenti:
- la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea;
- la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea[1].
Il comma 4 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.
Il termine per la presentazione è posto entro il 28 febbraio di ogni anno.
Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2, della legge n. 234 del 2012:
a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta
esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;
b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;
c) disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;
d) delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;
e) delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;
f) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni UE recepite dalle regioni e dalle province autonome;
g) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
h) disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;
i) delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.
Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega[2], nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.
Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, il Governo deve inoltre dare conto dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza. Tutte queste informazioni sono contenute nella articolata ed estesa relazione illustrativa[3] che precede il testo del disegno di legge.
Si fa presente che - successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012 -, nell’ambito della XVII legislatura, sono state approvate 6 leggi di delegazione europea (due riferite al 2013, una, rispettivamente, agli anni 2014, 2015, 2016-2017 e una al 2018).
La legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) è composta da 13 articoli e tre allegati, ed ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive, il coordinamento della normativa nazionale alle rettifiche di 5 direttive e l’adeguamento a 2 regolamenti.
La legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (legge 7 ottobre 2014, n. 154) consta di 9 articoli e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.
La legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114), che consta di 21 articoli e due allegati, reca disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l'adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l'attuazione di 10 decisioni quadro.
La legge di delegazione europea 2015 (legge 12 agosto 2016, n. 170) si compone di 21 articoli e due allegati, conferendo deleghe per il recepimento di 7 regolamenti, 16 direttive, una raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico ed una decisione quadro GAI. L'articolo 7 contiene, inoltre, una delega generale per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni dell'Unione europea e agli accordi internazionali in materia di prodotti e tecnologia a duplice uso, di sanzioni ed embarghi commerciali, di commercio di strumenti di tortura e per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti.
La legge di delegazione europea 2016-2017 (legge 25 ottobre 2017, n. 163), che si compone di 15 articoli e un allegato, conferendo deleghe per il recepimento di 29 direttive.
Da ultimo, la legge di delegazione europea 2018 (legge 4 ottobre 2019, n. 117), che consta di 26 articoli e un allegato, e reca disposizioni per il recepimento di 14 direttive, 9 regolamenti, e una decisione quadro GAI.
Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione europea 2019 stabilisce - con riferimento ad alcuni atti dell’Unione europea - principi e criteri direttivi specifici cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati alle lettere da a) a i) del citato comma 1.
In particolare, il disegno di legge in esame introduce principi e criteri direttivi specifici di delega riferiti ai seguenti atti:
Direttive:
§ (UE) n. 2018/1808 fornitura di servizi media audiovisivi (articolo 3)
§ (UE) n. 2018/1972 codice europeo delle comunicazioni elettroniche (articolo 4)
§ (UE) n. 2018/2001 uso di energia da fonti rinnovabili (articolo 5)
Regolamenti:
§ (UE) n. 2014/806 meccanismo di risoluzione unico (articolo 11)
§ (UE) n. 2016/429 malattie animali trasmissibili (articolo 14)
Segue un elenco di tutti gli atti legislativi dell'UE contenuti nel disegno di legge di delegazione europea 2019 (articolato o Allegato A).
Atto dell’Unione europea |
Collocazione |
Regolamento (UE) 806/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico |
Articolo 11 |
Regolamento (UE) 2019/1156, per facilitare la distribuzione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo |
Articolo 13 |
Regolamento (UE) 2016/429, relativo alle malattie animali trasmissibili e che modifica e abroga taluni atti in materia di sanità animale |
Articolo 14 |
Regolamento (UE) 2017/745, relativo ai dispositivi medici |
Articolo 15 |
Regolamento (UE) 2017/746, relativo ai dispositivi medico diagnostici in vitro |
Articolo 15 |
Regolamento (UE) 2017/1991 che modifica il regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital |
Articolo 16 |
Regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l'imprenditoria sociale |
Articolo 16 |
Regolamento (UE) 518/2019, che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 per quanto riguarda talune commissioni applicate sui pagamenti transfrontalieri nell'Unione e le commissioni di conversione valutaria |
Articolo 17 |
Regolamento (UE) 2019/881, relativo all'ENISA, l'Agenzia dell'Unione europea per la cibersicurezza, e alla certificazione della cibersicurezza per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione |
Articolo 18 |
Regolamento (UE) n. 2019/943 sul mercato interno dell'energia elettrica (rifusione) |
Articolo 19 |
Regolamento (UE) n. 2019/941 sulla preparazione ai rischi nel settore dell'energia elettrica) |
Articolo 19 |
Regolamento (UE) 2019/1238 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativo al prodotto pensionistico individuale paneuropeo, PEP |
Articolo 20 |
Direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi media audiovisivi, in considerazione dell'evoluzione delle realtà di mercato |
Articolo 3 e Allegato A (n. 2) |
Direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche |
Articolo 4 e Allegato A (n.4) |
Direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili |
Articolo 5 e Allegato A (n. 5) |
Direttiva (UE) 2019/1 che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e che assicura il corretto funzionamento del mercato interno |
Articolo 6 e Allegato A (n. 6) |
Direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare |
Articolo 7 e Allegato A (n. 7) |
Direttiva (UE) 2019/789 che stabilisce norme relative all'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni on line degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici e che modifica la direttiva 93/83/CEE del Consiglio |
Articolo 8 e Allegato A (n. 13) |
Direttiva (UE) 2019/790, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE |
Articolo 9 e Allegato A (n. 14) |
Direttiva 2019/878, che modifica la direttiva 2013/36/UE per quanto riguarda le entità esentate, le società di partecipazione finanziaria, le società di partecipazione finanziaria mista, la remunerazione, le misure e i poteri di vigilanza e le misure di conservazione del capitale |
Articolo 10 e Allegato A (n.15) |
Direttiva (UE) 2019/879, che modifica la direttiva 2014/59/UE per quanto riguarda la capacità di assorbimento di perdite e di ricapitalizzazione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e la direttiva 98/26/CE |
Articolo 11 e Allegato A (n. 16) |
Direttiva (UE) 2019/944, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che modifica la direttiva 2012/27/UE |
Articolo 12 e Allegato A (n. 21) |
Direttiva (UE) 2019/1160, che modifica le direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE per quanto riguarda la distribuzione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo |
Articolo 13 e Allegato A (n. 29) |
Direttiva (UE) 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale |
Allegato A (n. 1) |
Direttiva (UE) 2018/1910 che modifica la direttiva 2006/112/CE sull'armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema d'imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati membri |
Allegato A (n. 3) |
Direttiva (UE) 2019/475 che modifica le direttive 2006/112/CE e 2008/118/CE per quanto riguarda l'inclusione del comune italiano di Campione d'Italia e delle acque italiane del Lago di Lugano nel territorio doganale dell'Unione e nell'ambito di applicazione territoriale della direttiva 2008/118/CE |
Allegato A (n. 7) |
Direttiva (UE) 2019/520 concernente l'interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale e intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sul mancato pagamento dei pedaggi stradali nell'Unione |
Allegato A (n. 8) |
Direttiva (UE) 2019/713 relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti e che sostituisce la decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio |
Allegato A (n. 10) |
Direttiva (UE) 2019/770 relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali |
Allegato A (n. 11) |
Direttiva (UE) 2019/771 relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE |
Allegato A (n. 12) |
Direttiva (UE) 2019/882 sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi |
Allegato A (n. 17) |
Direttiva (UE) 2019/883 relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che modifica la direttiva 2010/65/UE e abroga la direttiva 2000/59/CE |
Allegato A (n. 18) |
Direttiva (UE) 2019/884 che modifica la decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio per quanto riguarda lo scambio di informazioni sui cittadini di Paesi terzi e il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali (ECRIS), e che sostituisce la decisione 2009/316/GAI del Consiglio |
Allegato A (n. 19) |
Direttiva (UE) 2019/904 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente |
Allegato A (n. 20) |
Direttiva (UE) 2019/1023 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza) |
Allegato A (n. 22) |
Direttiva (UE) 2019/1024 relativa all'apertura dei dati e al riutilizzo dell'informazione del settore pubblico |
Allegato A (n. 23) |
Direttiva (UE) 2019/1151 recante modifica della direttiva (UE) 2017/1132 per quanto concerne l'uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario |
Allegato A (n. 24) |
Direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea |
Allegato A (n. 25) |
Direttiva (UE) 2019/1153 sull’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati, e che abroga la decisione 2000/642/GAI del Consiglio |
Allegato A (n. 26) |
Direttiva (UE) 2019/1158 relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE |
Allegato A (n. 27) |
Direttiva (UE)2019/1159 recante modifica della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare e che abroga la direttiva 2005/45/CE riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare |
Allegato A (n. 28) |
Direttiva (UE) 2019/1161 che modifica la direttiva 2009/33/CE relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada |
Allegato A (n. 30) |
Direttiva (UE) 2019/1936 che modifica la direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali |
Allegato A (n. 31) |
Direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione |
Allegato A (n.32) |
Direttiva (UE) 2019/1995 che modifica la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 per quanto riguarda le disposizioni relative alle vendite a distanza di beni e a talune cessioni nazionali di beni |
Allegato A (n. 33) |
Analizzando gli atti contenuti nel disegno di legge per anno di emanazione, si evidenzia che sono 5 le direttive emanate nel 2018 e 28 quelle pubblicate nel 2019. Quanto ai regolamenti europei, il disegno di legge reca 1 regolamento emanato nel 2014, 1 nel 2016, 3 nel 2017 e 7 nel 2019.
Tabella II - Direttive per anno di emanazione
2018 (5) |
2019 (28) |
(UE) 2018/1673 (UE) 2018/1808 (UE) 2018/1910 (UE) 2018/1972 (UE)2018/2001 |
(UE) 2019/1 (UE) 2019/475 (UE) 2019/520 (UE) 2019/633 (UE) 2019/713 (UE) 2019/770 (UE) 2019/771 (UE) 2019/789 (UE) 2019/790 (UE)2019/878 (UE) 2019/879 (UE) 2019/882 (UE) 2019/883 (UE) 2019/884 (UE) 2019/904 (UE) 2019/944 (UE) 2019/1023 (UE) 2019/1024 (UE) 2019/1151 (UE) 2019/1152 (UE) 2019/1153 (UE) 2019/1158 (UE)2019/1159 (UE) 2019/1160 (UE) 2019/1161 (UE) 2019/1936 (UE) 2019/1937 (UE) 2019/1995 |
Tabella III - Regolamenti per anno di emanazione
2014 (1) |
2016 (1) |
2017 (3) |
2019 (7) |
(UE) n. 806/2014 |
(UE) n. 2016/429 |
(UE) n. 2017/745 (UE) n. 2017/746 (UE) n. 2017/1991
|
(UE) n. 2019/876 (UE) n. 2019/1156 (UE) n. 2019/518 (UE) n. 2019/881 (UE) n. 2019/943 (UE) n. 2019/941 (UE) n. 2019/1238
|
La successiva Tabella elenca, invece, i documenti legislativi dell'Unione europea, oggetto di attuazione mediante il disegno di legge di delegazione 2019, ripartiti in base alla scadenza dei termini di recepimento delle direttive.
Termine di recepimento |
Direttive |
Totale |
31 dicembre 2019
|
Direttiva (UE) 2018/1910 Direttiva (UE) 2019/475
|
2 |
19 settembre 2020 |
Direttiva (UE) 2018/1808 |
1 |
3 dicembre 2020 |
Direttiva (UE) 2018/1673 |
1 |
21 dicembre 2020 |
Direttiva (UE) 2018/1972[4] |
1 |
28 dicembre 2020 |
Direttiva (UE) 2019/878 Direttiva (UE) 2019/879 |
2 |
31 dicembre 2020 |
Direttiva (UE) 2019/944[5] Direttiva (UE)2018/1995 |
2 |
4 febbraio 2021 |
Direttiva (UE) 2019/1 |
1 |
1o maggio 2021 |
Direttiva (UE)2019/633 |
1 |
31 maggio 2021 |
Direttiva (UE) 2019/713 |
1 |
7 giugno 2021 |
Direttiva (UE) 2019/789 Direttiva (UE) 2019/790 |
2 |
28 giugno 2021 |
Direttiva (UE) 2019/883 Direttiva (UE) 2019/884 |
2 |
30 giugno 2021 |
Direttiva (UE)2018/2001 |
1 |
1o luglio 2021 |
Direttiva (UE) 2019/770 Direttiva (UE) 2019/771 |
2 |
3 luglio 2021 |
Direttiva (UE) 2019/904[6] |
1 |
17 luglio 2021 |
Direttiva (UE) 2019/1023[7] Direttiva (UE) 2019/1024 |
2 |
1o agosto 2021 |
Direttiva (UE) 2019/1151[8] Direttiva (UE) 2019/1153 |
2 |
2 agosto 2021
|
Direttiva (UE) 2019/1159 Direttiva (UE) 2019/1160 Direttiva (UE) 2019/1161 |
3 |
19 ottobre 2021 |
Direttiva (UE)2019/520 |
1 |
17 dicembre 2021 |
Direttiva (UE) 2019/1936 Direttiva (UE) 2019/1937[9] |
2 |
28 giugno 2022 |
Direttiva (UE) 2019/882 Direttiva (UE) 2019/884 |
2 |
1° agosto 2022 |
Direttiva (UE) 2019/1152 |
1 |
La procedura parlamentare di esame delle leggi europee
La fase discendente di esame ed approvazione dei disegni di legge europea e di delegazione europea - con il contestuale esame della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione -, rappresentano il momento per compiere, in sede parlamentare, una verifica complessiva dell'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE da parte dell'Italia.
Sui due atti si svolge un procedimento di esame congiunto in Commissione ed in Assemblea, pur avendo l'uno natura legislativa e l'altro quella di indirizzo e controllo.
Per quanto riguarda il Senato, la procedura vigente per l'esame del disegno di legge di delegazione europea (come della legge europea e delle relazioni annuali sulla partecipazione dell'Italia all'UE) è disciplinata dall’articolo 144-bis del Regolamento interno.
Il suddetto articolo, al comma 1, prevede che tali atti siano assegnati, per l'esame generale in sede referente, alla 14a Commissione "Politiche dell'Unione europea" e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Queste ultime dispongono di quindici giorni per condurre l'esame che potrà concludersi, nel caso del disegno di legge di delegazione (e del disegno di legge europea), con l'approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore. E' prevista inoltre la possibilità di trasmettere relazioni di minoranza.
Nel caso si tratti delle relazioni annuali sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, l'esame nelle commissioni si concluderà con l'approvazione di un parere.
Trascorsi quindici giorni dall'assegnazione la 14a Commissione potrà in ogni caso procedere all'esame (comma 2). Avrà a disposizione trenta giorni per concluderlo e per trasmettere una relazione generale all'Assemblea. A tale relazione sono allegate altresì le relazioni delle Commissioni (o i pareri nel caso si esamini la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea).
Per quanto concerne gli emendamenti, fermi restando i principi sanciti dall'articolo 97 R.S. (dichiarazione di improbabilità e inammissibilità), sono inammissibili quelli che riguardano materie estranee al disegno di legge in esame. Il Presidente del Senato, ricorrendo tali condizioni, può dichiarare inammissibili disposizioni del testo proposto dalla Commissione all'Assemblea (comma 4). L'articolo 144-bis prevede poi, al comma 5, che possano essere presentati in Assemblea, anche dal solo proponente, i soli emendamenti respinti nella 14a Commissione. Il Presidente del Senato, tuttavia, potrà ammetterne dei nuovi purché correlati con modifiche proposte dalla Commissione o già approvate in Assemblea.
In base al comma 6, la discussione generale dell'esame del disegno di legge di delegazione europea (e della legge europea) può avvenire congiuntamente con la discussione della relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, sulla quale è prevista la possibilità di presentare delle proposte di risoluzione. Al termine della votazione sul disegno di legge, l'Assemblea delibera sulle suddette proposte, votando per prima quella accettata dal Governo, alla quale ciascun senatore può proporre emendamenti (comma 7).
Per quanto riguarda la Camera, occorre far riferimento all' articolo 126-ter[10] del Regolamento interno (R.C.) che traccia una procedura speciale.
Più in dettaglio, l'art. 126-ter R.C. prevede che il disegno di legge comunitaria (ora: europea e di delegazione europea) e la relazione (ora: consuntiva) sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE siano assegnati, per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea, e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.
Ciascuna Commissione è tenuta ad esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro quindici giorni dall'assegnazione, concludendo con l’approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell'Unione europea. Entro lo stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza. Le singole Commissioni approvano anche gli emendamenti al disegno di legge, relativi alle parti di competenza, che vengono inclusi nella relazione. Analogamente, sempre entro quindici giorni, ciascuna Commissione esamina le parti della Relazione annuale che riguardino la propria competenza ed approvano un parere.
Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi trenta giorni, conclude l'esame del disegno di legge e della relazione, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni ed i pareri approvati dalle singole Commissioni.
La Commissione politiche dell’Unione europea svolge l'esame in sede referente del provvedimento e gli emendamenti approvati dalle singole Commissioni si ritengono accolti, salvo che la Commissione politiche dell’Unione europea non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria, ovvero per esigenze di coordinamento generale.
Criteri particolari riguardano l'ammissibilità degli emendamenti: oltre ai princìpi generali contenuti all'art. 89 R.C.(estraneità all'oggetto della discussione), sono considerati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio delle leggi europee, come definito dalla legislazione vigente. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.
Terminato l’esame in Commissione, i disegni di legge europea e di delegazione
europea e la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, sono trasmessi all'Assemblea, dove ha luogo la discussione generale congiunta, nell’ambito della quale possono essere presentate risoluzioni sulla Relazione annuale, che sono votate dopo la votazione finale sul disegno di legge.
Si ricorda, infine, che sul disegno di legge di delegazione europea (e su quello di legge europea, ove contenga deleghe), si esprime, inoltre, il Comitato per la legislazione, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 6- bis, R.C., dal momento che si tratta di una legge contenente norme di delegazione legislativa.
Articolo 1
(Delega al Governo per il recepimento delle direttive e l'attuazione degli altri atti dell'Unione europea)
Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione degli altri atti dell'Unione elencati nell'allegato A ed oggetto degli articoli da 3 a 20 del provvedimento in esame.
L’allegato A elenca 33 direttive da recepire con decreto legislativo.
Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il citato comma 1 rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
L’articolo 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive[11]. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, il termine per l’esercizio della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.
L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.
L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione della normativa;
c) gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);
d) ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. In ogni caso le sanzioni penali sono previste "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti";
e) al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;
f) nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;
g) quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;
h) le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;
i) è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.
Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari.
La disposizione segue lo schema procedurale disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Esso prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.
Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì che ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.
Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi attuativi esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.
Alla copertura degli oneri recati dalle spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.
Il Fondo per il recepimento della normativa europea è stato istituito dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento di tali obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.
Il Fondo aveva una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per il 2015 e di 50 milioni annui a partire dal 2016.
Il comma 810 dell’articolo unico della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha previsto un ulteriore incremento della dotazione pari a 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. Il comma 813 della medesima legge ha posto a carico del Fondo il pagamento degli oneri finanziari derivanti dall'esecuzione delle sentenze di condanna inflitte dalla Corte di giustizia dell'Unione europea a carico dell'Italia (articolo 43, comma 9-bis, della legge n. 234/2012). Viene inoltre specificato che "a fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse".
Si segnala, infine, che l'articolo 36 della legge europea 2015-2016 (legge 7 luglio 2016, n. 122) ha incrementato il fondo di cui all’articolo 156, comma 10, del Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. n. 196/ 2003), al fine di assicurare il funzionamento del Garante per la protezione dei dati personali e il regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso affidati dalla normativa dell’Unione europea. La disposizione prevede che a tale onere si provveda mediante la corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della legge 234/2012, nella misura di 12 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.
Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).
Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti.
A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.
È altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.
In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie siano corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.
Articolo 2
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea)
L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei non trasfusi in leggi nazionali. Può trattarsi di direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, quindi trasposte con fonti secondarie, come tali inidonee a istituire sanzioni penali. Può, infine, altresì trattarsi di violazioni di regolamenti dell'Unione europea.
La delega è conferita per gli atti pubblicati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2016-2017, per i quali non siano già previste sanzioni.
Gli atti legislativi dell'Unione europea non introducono né disciplinano di norma sanzioni, rimandando invece agli ordinamenti nazionali, in virtù della netta diversità dei sistemi giuridici nazionali.
La disposizione è analoga a quella contenuta nelle leggi di delegazione europea relative agli anni precedenti. Risponde all'esigenza di prevedere con fonte normativa interna di rango primario - atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale - l'eventuale disciplina sanzionatoria necessaria all’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa. La stessa necessità si ravvisa per eventuali sanzioni da introdurre per violazione di norme contenute in regolamenti dell’Unione europea che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale.
La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo, fatte salve le norme penali vigenti, di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione europea, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni vengono trasposte nell’ordinamento interno.
L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 2 dell’articolo 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988[12], su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia.
La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.
La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, possono essere previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.
Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Articolo 3
(Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/1808, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) in considerazione dell'evoluzione delle realtà del mercato
La norma reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) in considerazione dell'evoluzione delle realtà del mercato. Per maggiori dettagli sulla direttiva (UE) 2018/1808 si veda infra la relativa scheda di sintesi.
Il comma 1 prevede che nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/1808, il Governo osserva, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:
a) riordinare le disposizioni del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, attraverso l'emanazione di un nuovo testo unico dei servizi di media digitali con adeguamento delle disposizioni e delle definizioni, comprese quelle relative ai servizi di media audiovisivi, radiofonici e ai servizi di piattaforma per la condivisione di video, alla luce dell'evoluzione tecnologica e di mercato;
In base all'articolo 1, lettera a-bis, della direttiva 2010/13/UE, come modificata dalla direttiva (Ue) 2018/1808, per «servizio di piattaforma per la condivisione di video», si intende un servizio quale definito agli articoli 56 e 57 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ove l'obiettivo principale del servizio stesso, di una sua sezione distinguibile o di una sua funzionalità essenziale sia la fornitura di programmi, video generati dagli utenti o entrambi per il grande pubblico, per i quali il fornitore della piattaforma per la condivisione di video non ha responsabilità editoriale, al fine di informare, intrattenere o istruire attraverso reti di comunicazioni elettroniche ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/21/CE e la cui organizzazione è determinata dal fornitore della piattaforma per la condivisione di video, anche con mezzi automatici o algoritmi, in particolare mediante visualizzazione, attribuzione di tag e sequenziamento.
b) prevedere misure che assicurino un'adeguata tutela della dignità umana e dei minori riguardo ai contenuti audiovisivi, compresi i video generati dagli utenti, e alle comunicazioni commerciali da parte delle piattaforme per la condivisione dei video. I relativi compiti, anche di promozione di procedure di auto-regolamentazione e co-regolamentazione, dovrebbero essere affidati all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni quale Autorità nazionale di regolamentazione di settore;
c) prevedere specifiche misure che tutelino i consumatori di servizi di media audiovisivi, lineari e non lineari, anche mediante il ricorso a procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie e meccanismi di indennizzo in caso di disservizi. La regolazione di tali procedure dovrebbe essere affidata all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
L'articolo 1, lettera e) della summenzionata direttiva 2010/13/UE definisce «radiodiffusione televisiva» o «trasmissione televisiva» (vale a dire un servizio di media audiovisivo lineare), un servizio di media audiovisivo fornito da un fornitore di servizi di media per la visione simultanea di programmi sulla base di un palinsesto di programmi.
La lettera g) del medesimo articolo definisce invece «servizio di media audiovisivo a richiesta» (vale a dire un servizio di media audiovisivo non lineare), un servizio di media audiovisivo fornito da un fornitore di servizi di media per la visione di programmi al momento scelto dall’utente e su sua richiesta sulla base di un catalogo di programmi selezionati dal fornitore di servizi di media.
d) prevedere misure per la promozione delle opere europee, anche nei servizi di media audiovisivi a richiesta, vale a dire i video on demand, nonché specifiche misure per la promozione della trasparenza degli assetti proprietari dei fornitori dei servizi di media audiovisivi e radiofonici digitali di cui alla lettera a);
In materia di promozione delle opere europee da parte dei servizi media audiovisivi era già stata emanata una precedente delega ad opera dell'articolo 34 della legge 14 novembre 2016, n. 220, recante la disciplina del cinema e dell'audiovisivo. Tale norma delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi sulla base di una serie di principi e criteri direttivi e in conformità della direttiva 2010/13/UE. Quest'ultima, all'articolo 13, chiedeva agli Stati membri di assicurare che i servizi media audiovisivi a richiesta promuovessero la produzione di opere europee e l'accesso alle stesse. La promozione poteva riguardare anche il contributo finanziario che tali servizi apportano alla produzione di opere europee, all'acquisizione di diritti sulle stesse e/o il rilievo dato alle opere nel catalogo dei programmi offerti. I principi e i criteri direttivi della delega contenuta nel richiamato articolo 34 della legge 220/2016 prevedevano, tra l'altro, l'introduzione di procedure più trasparenti ed efficaci in materia di obblighi di investimento e di programmazione di opere italiane ed europee con possibilità di eventuali deroghe e meccanismi di flessibilità; la definizione di un sistema di regole certo e coerente basato sul principio di proporzionalità, adeguatezza ed efficacia; l'individuazione di un sistema più forte con meccanismi di mercato più funzionali a una maggiore concorrenza. In virtù di tale delega, il d. lgs. 204/2017 ha novellato il testo unico dei servizi dei media audiovisivi proprio sul fronte della promozione delle opere europee, definendo obblighi di programmazione e di investimento.
Successivamente, sul versante europeo, la direttiva (UE) 2018/1808 - oggetto di recepimento con l'articolo in esame - è intervenuta sull'articolo 13 della direttiva 2010/13/UE rafforzando le disposizioni in materia di promozione delle opere europee nei servizi di media audiovisivi a richiesta. La nuova formulazione dell'articolo 13 prevede infatti che gli Stati membri assicurino che i fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta soggetti alla loro giurisdizione garantiscano che i loro cataloghi contengano almeno il 30% di opere europee e che queste siano messe in rilievo. Agli Stati membri è concessa la facoltà di imporre obblighi finanziari ai fornitori di servizi di media stabiliti nel loro territorio, mediante investimenti diretti e contributi ai fondi nazionali, nonché di chiedere contributi anche ai fornitori stabiliti in altri Stati membri ma che si rivolgono al pubblico nel loro territorio (in questo caso viene specificato che i contributi si basano solo sulle entrate provenienti dagli Stai membri destinatari dei servizi). L'articolo 13 chiarisce tuttavia che i suddetti obblighi finanziari non si applicano ai fornitori con un fatturato o un pubblico di modesta entità;
In vigore dal 11 dicembre 2016
e) prevedere misure finalizzate all'adeguamento delle prescrizioni per le comunicazioni commerciali da applicare anche ai servizi di piattaforma per la condivisione di video. Prevedere inoltre misure volte a rivedere i limiti di affollamento pubblicitario nella fascia oraria in cui è possibile trasmettere gli annunci in un'ottica di maggiore flessibilità, proporzionalità e concorrenzialità.
L'articolo 23 della direttiva 2010/13/UE fissa un limite complessivo di trasmissione per la pubblicità televisiva: nella fascia oraria compresa tra le 6 e le 18 e tra le 18 e le 24, la percentuale di spot pubblicitari e di televendita non deve superare il 20%. L'articolo 26 lascia comunque agli Stati membri la possibilità di prevedere condizioni diverse per le trasmissioni televisive destinate unicamente al territorio nazionale;
f) garantire la protezione dei minori da contenuti, anche pubblicitari, che possono arrecare danno al loro sviluppo fisico, mentale o morale. Includere inoltre il divieto di pubblicità relativa al gioco d'azzardo;
La direttiva (UE) 2018/1808, intervenendo sulla direttiva 2010/13/Ue ha rafforzato le disposizioni in materia di tutela dei minori. In particolare, ha inserito l'articolo 28-ter che obbliga gli Stati membri ad assicurare che le piattaforme di condivisione tutelino i minori da programmi, video generati dagli utenti e comunicazioni commerciali che possono nuocere al loro sviluppo fisico, mentale o morale (paragrafo 1, lett. a). Gli Stati membri devono inoltre incoraggiare la previsione di codici di condotta per proteggere i minori dalla pubblicità relativa a prodotti alimentari e bevande ad alto contenuto di sale, zucchero e grassi (oltre che alcoliche). L'articolo prevede inoltre, sempre a tutela dei minori, l'istituzione di sistemi di verifica dell'età degli utenti che accedono alle piattaforme, e di sistemi di controllo parentale sotto la vigilanza dell'utente finale.
g) promuovere l'alfabetizzazione digitale da parte dei fornitori di servizi di media e dei fornitori di piattaforme di condivisione dei video;
h) aggiornare i compiti dell'Autorità delle garanzie nelle comunicazioni, nell'ottica dell'ulteriore rafforzamento delle prerogative di indipendenza;
i) rivedere l'apparato sanzionatorio amministrativo e penale, già previsto dal testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.
Si valuti di meglio specificare la delega di cui alla lettera i), trattandosi di materia sanzionatoria.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria della disposizione, prevedendo che dall'attuazione della stessa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 4
(Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche)
L’articolo 4 detta i criteri di delega per l’attuazione del nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (direttiva 2018/1972/UE), approvato l'11 dicembre 2018 ed il cui termine per il recepimento è fissato al 31 dicembre 2020.
L’articolo prevede che, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, il recepimento sia conforme ai seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) riordinare le disposizioni del vigente Codice delle comunicazioni elettroniche (il decreto legislativo 1°agosto 2003, n. 259), attraverso l’adozione di un nuovo codice per l’armonizzazione della normativa di settore, assicurando il necessario coordinamento tra le disposizioni oggetto di modifica o integrazione;
b) prevedere l’assegnazione delle nuove competenze affidate all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) quale Autorità nazionale indipendente di regolamentazione del settore ed alle altre autorità amministrative competenti, tra cui il Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto del principio di stabilità dell’attuale riparto di competenze sancito dall’articolo 5 della direttiva(UE)2018/1972;
c) introdurre misure per lo sviluppo della connettività e per potenziare gli investimenti in reti a banda ultralarga, garantendo altresì l’accesso generalizzato delle reti ad altissima velocità e la loro ampia diffusione per tutti i cittadini a prezzi accessibili e con possibilità di scelta adeguata, nonché introdurre una nozione di servizio universale che rispecchi il progresso tecnologico, l’evoluzione del mercato e della domanda degli utenti;
d) prevedere oneri amministrativi proporzionati, al fine di non ostacolare lo sviluppo delle attività dei prestatori di servizi.
e) prevedere adeguate e specifiche misure per le imprese attive esclusivamente sul mercato all’ingrosso (c.d. wholesale only);
f) aggiornare i compiti AGCOM, anche nell’ottica di rafforzarne le prerogative di indipendenza;
g) provvedere alla revisione dell’apparato sanzionatorio amministrativo e penale, già previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche;
h) provvedere a integrare le limitazioni fatte salve dalla direttiva (UE) 2018/1972 per fini di ordine pubblico, pubblica sicurezza e difesa, includendo le esigenze della sicurezza dello Stato, secondo quanto già previsto dal codice delle comunicazioni elettroniche.
Si ricorda che l’art. l’articolo 31, comma 5 della legge n. 234 del 2012, prevede la delega al Governo per l'emanazione di eventuali disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in attuazione delle deleghe contenute nel disegno di legge, da esercitare entro il termine di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti legislativi.
Per l’illustrazione dei principi generali della direttiva 2018/1972/UE, nonché per una illustrazione delle principali novità del Codice rispetto alle precedenti direttive n. 2002/21/CE, la n. 2002/20/CE e la n. 2002/19/CE, che rifonde e sostituisce, si rinvia alla scheda sulla direttiva 2018/1972 contenuta nel presente dossier.
Articolo 5
(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/2001, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili)
L’articolo 5 detta i principi e criteri di delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 (cd. RED II) sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (testo modificativo e di rifusione della pregressa Direttiva 2009/28/UE, cd. RED I).
L’articolo, in particolare, delega il Governo a:
· prevedere, previa intesa con la Conferenza unificata Stato Regioni città e autonomie locali, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito degli obiettivi indicati nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), una disciplina per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili.
La definizione deve avvenire nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell'aria e dei corpi idrici, nonché delle specifiche competenze dei Ministeri coinvolti (MIBACT; MIPAAF, MAATM), privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili (lettera a));
Il criterio direttivo in esame non risponde ad uno specifico contenuto precettivo della Direttiva RED II. Cionondimeno, il PNIEC italiano (cfr. pag. 23), presentato alle Istituzioni europee a gennaio scorso, cita tale principio direttivo, richiamando come prossima l’attuazione della Direttiva RED II nel Disegno di legge di delegazione europea 2019.
· individuare procedure abilitative semplificate, proporzionate alla tipologia di interventi e alla loro localizzazione, per l'installazione degli impianti nelle aree e siti individuati ai sensi delle lettere precedenti, razionalizzando i termini dei procedimenti autorizzativi e per l'assegnazione di incentivi (lettera b));
La razionalizzazione dei procedimenti amministrativi è principio sancito nell’articolo 15 della Direttiva, il quale al paragrafo 1, secondo comma, prevede che gli Stati membri prendano misure appropriate per assicurare che:
a) le procedure amministrative siano razionalizzate e accelerate; b) le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano oggettive, trasparenti, proporzionate, non discriminatorie e tengano conto delle specificità di ogni singola tecnologia; c) le spese amministrative siano trasparenti e proporzionate ai costi; e d) le procedure autorizzatorie siano semplificate e meno gravose, anche con una notifica semplice per dispositivi decentrati, e per la produzione e lo stoccaggio di energia da FER.
Appare opportuno segnalare che il Piano nazionale per l’energia e clima italiano PNIEC, presentato alla Commissione europea a gennaio scorso, che illustra - ai sensi di quanto previsto dalla Direttiva(UE) 2001/2018 qui in esame – gli obiettivi dell’Italia in materia di sviluppo delle fonti rinnovabili al 2030, preannuncia l’intenzione di una razionalizzazione delle procedure autorizzative all’installazione di impianti per la produzione di energia da FER (pag.140 e ss.). Nel Piano si ricorda come, in Italia, dai primi anni 2000 a oggi, si sia intrapreso un progressivo percorso di semplificazione e snellimento delle procedure. L’assetto delle competenze degli enti coinvolti è peraltro mutato significativamente, con un ruolo di maggiore potestà decisionale delle Regioni sui temi energetici (sia pure nel rispetto dei principi quadro stabiliti dallo Stato) e, per quanto riguarda le rinnovabili, sulle valutazioni ambientali.
I principali iter procedurali previsti dalla normativa vigente per la realizzazione di impianti, differenziati a seconda della taglia e delle caratteristiche, sono l’Autorizzazione Unica, la Procedura Abilitativa Semplificata e la Comunicazione al Comune. Per taluni impianti di produzione elettrica è inoltre previsto un modello unico, che consente di affrontare con un’unica e semplice procedura tutto quanto serve per realizzare ed esercire l’impianto;
· riordinare la normativa vigente in materia di configurazioni per l'autoconsumo, ivi inclusi i sistemi efficienti di utenza (SEU) e il meccanismo incentivante dello scambio sul posto[13]. Ciò per favorire la realizzazione di tutti i sistemi di autoconsumo, anche collettivi, da FER. (lettera c)). In proposito, la norma di delega prevede di adottare misure per favorire l’installazione di impianti di produzione di energia da FER negli edifici esistenti (lettera e)), e individuare incentivi alla costituzione delle comunità di energia rinnovabile per la partecipazione di queste alla realizzazione degli impianti (lettera f)). Contestualmente, si prevede di adottare meccanismi per il monitoraggio degli effetti della diffusione dell'autoconsumo, anche ai fini dell'aggiornamento delle modalità di imposizione e raccolta delle componenti tariffarie a copertura degli oneri generali di sistema (lettera d))
La Direttiva impone agli Stati membri di autorizzare la costituzione dei consumatori in autoconsumatori di energia elettrica rinnovabile assicurando loro un trattamento non discriminatorio e sproporzionato e adeguati sistemi di sostegno. Gli SM devono predisporre infatti un quadro favorevole alla promozione e agevolazione dello sviluppo dell'autoconsumo, anche in forma collettiva (articoli 21 e 22, si veda più diffusamente la descrizione analitica della Direttiva).
I paragrafi 3.1.2 i e 3.4.3 ii (pag. 121 e ss.) del PNIEC presentato alla Commissione europea a gennaio descrivono nel dettaglio gli intendimenti in tema di promozione dell’autoconsumo e di sviluppo e sostegno alle comunità di energia rinnovabili, da perseguirsi principalmente mediante strumenti di natura regolatoria. A tale proposito, appare opportuno evidenziare che, nelle more del recepimento della Direttiva RED II, in parziale e anticipata attuazione delle disposizioni ivi contenute e del Piano di sostegno all’autoconsumo esposto nel PNIEC, l’articolo 42-bis del D.L. n. 162/2019 (cd. D.L. “Milleproroghe”), introdotto in prima lettura alla Camera in sede di procedimento di conversione del medesimo Decreto (attualmente in corso), autorizza l’attivazione dell'autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili, ovvero la realizzazione delle comunità energetiche rinnovabili, dettandone la relativa disciplina.
· prevedere misure per agevolare il massimo utilizzo dell'energia da FER, anche favorendo la diffusione e l'uso di sistemi di accumulo, compresi i veicoli elettrici, e le connesse esigenze di ricerca e sviluppo (lettera g));
Tale criterio direttivo appare riconducibile, invero, anche alla Direttiva 2019/944/UE sul mercato interno dell’energia elettrica (cfr. scheda di lettura relativa all’articolo 12 del Disegno di legge in esame che delega il Governo all’adozione di uno o più decreti delegati per il suo recepimento). In particolare, il considerando n. 42 della Direttiva in questione rileva come i consumatori dovrebbero poter consumare, immagazzinare e/o vendere sul mercato l'energia elettrica autoprodotta, e partecipare a tutti i mercati dell'energia elettrica fornendo flessibilità al sistema, ad esempio attraverso lo stoccaggio dell'energia, ad esempio lo stoccaggio mediante utilizzo di veicoli elettrici, mediante la gestione della domanda o mediante meccanismi di efficienza energetica. Dovrebbero dunque essere soppressi gli ostacoli che impediscono ai consumatori tali attività, assicurando nel contempo che i consumatori contribuiscano adeguatamente ai costi del sistema.
Il PNIEC (cfr. pag. 7) prospetta al riguardo promozione di attività di ricerca, anche al fine di esplorare la possibilità di utilizzare infrastrutture esistenti per l’accumulo dell’energia rinnovabile, anche di lungo periodo, con soluzioni efficaci sotto il profilo costi/benefici economici e ambientali;
· prevedere misure di incentivazione per la trasformazione ad uso plurimo di invasi, traverse e dighe esistenti, sia grandi, sia piccole, promuovendone, ove compatibile con gli altri usi, anche l'utilizzo energetico (lettera i));
Tale punto pare potersi ascrivere all’obiettivo – sopra indicato – dello sviluppo delle capacità di accumulo. Il PNIEC segnala in proposito l’avvio di attività di ricognizione delle potenzialità esistenti nelle varie aree del Paese e della localizzazione ottimale degli impianti di accumulo anche tenendo conto del potenziale residuo degli invasi idrici esistenti.
· aggiornare e potenziare i meccanismi vigenti di sostegno alle fonti rinnovabili, ivi inclusi gli interventi a favore dello sviluppo tecnologico e industriale, in coerenza con le esigenze di tutela ambientale, con semplificazione della gestione degli impianti di piccola taglia e in coordinamento con le disposizioni agevolative per l'autoconsumo, anche favorendo la sostituzione di impianti obsoleti e incentivando quelli tecnologicamente avanzati per la riduzione dei gas di scarico e dei particolati inquinanti, promuovendo la realizzazione di impianti fotovoltaici su edifici esistenti, anche al fine della completa rimozione dell’eternit o dell'amianto (lettera l)).
Il criterio direttivo appare conforme alle previsioni della Direttiva in materia di regimi di sostegno alla produzione energetica da FER. Si rinvia all’articolo 4 e all’articolo 5 (sostegno alla produzione elettrica da FER) e dall’articolo 6 della Direttiva stessa, analiticamente descritti nel presente Dossier.
· introdurre misure per la promozione dell'utilizzo energetico di biomasse legnose, nel quadro della gestione forestale sostenibile e della valorizzazione della silvicoltura a turno di taglio breve (short rotation forestry) e in coerenza con le previsioni europee dell'utilizzo a cascata e con le esigenze ambientali (lettera h));
La finalità, afferma la relazione illustrativa, è quella di un aumento della resa energetica e di una contestuale riduzione delle emissioni di gas climalteranti e polveri tramite l’incentivo al ricambio tecnologico delle apparecchiature in uso (camini, stufe, etc.).
Il criterio appare conforme alle previsioni della Direttiva. Si rinvia al considerando n. 93 e 102, secondo i quali gli Stati membri - per sfruttare appieno il potenziale della biomassa, che non include la torba o i materiali incorporati in formazioni geologiche e/o trasformati in fossili, ai fini della decarbonizzazione dell'economia - dovrebbero promuovere un maggior ricorso sostenibile alle risorse agricole e forestali esistenti e allo sviluppo di nuovi sistemi di silvicoltura e di produzione agricola, a condizione che siano soddisfatti i criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Quanto alla gestione forestale sostenibile, il PNIEC richiama il nuovo Testo Unico in materia di Foreste e filiere Forestali (TUFF) (D.Lgs. n.34/2018, che abroga il D. Lgs. 227/2001 recante “orientamento e modernizzazione del settore forestale”). Nel TUFF, la Gestione Forestale Sostenibile viene riconosciuta come strumento per garantire un aumento nell’assorbimento del carbonio. In questo contesto si prevede, nell’arco di dieci anni, una progressiva variazione dei tassi di utilizzazione finora registrati, con un passaggio dall’attuale 30-33% annuo al possibile 40-45%.
· promuovere l'utilizzo delle risorse rinnovabili disponibili in mare, previa identificazione delle aree idonee e la razionalizzazione dei procedimenti di rilascio delle concessioni demaniali e delle autorizzazioni, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, (lettera m))
Il PNIEC rileva come siano considerate fonti rinnovabili innovative, nel contesto nazionale, l’eolico off shore, il solare termodinamico, la geotermia a ridotto impatto ambientale e l’oceanica; sono considerate tecnologie più mature eolico on shore, solare fotovoltaico, idroelettrico, gas residuati dei processi di depurazione;
· semplificare e stimolare il ricorso a strumenti, aggiuntivi ai meccanismi di incentivazione economica, per incrementare il consumo di energia da fonti rinnovabili, ivi inclusi gli accordi di compravendita di energia elettrica da fonti rinnovabili a lungo termine (lettera n));
Il principio risponde a quanto previsto dalla Direttiva, all’articolo 15, paragrafo 8, ai sensi del quale gli Stati membri valutano gli ostacoli normativi e amministrativi agli accordi di compravendita di energia elettrica da fonti rinnovabili a lungo termine (Power Purchase Agreement (PPA)), agevolandone il ricorso e assicurando che tali accordi non siano soggetti a procedure o oneri sproporzionati o discriminatori.
Il PNIEC (cfr. pag. 125 e 126) afferma che “’Italia intende promuovere ampiamente il ricorso a questo strumento, con una regolamentazione che favorisca la stipula da parte di investitori di contratti Power Purchase Agreement (PPA) con soggetti interessati ad acquistare l’energia che l’impianto produrrà su un intervallo temporale sufficientemente lungo per garantire l’ammortamento dell’investimento necessario per la realizzazione di un nuovo impianto di produzione, ovvero per ricostruire o potenziare un impianto esistente. Il D.M. 4 luglio 2019 (cd. DMFER1) ha previsto la realizzazione di una piattaforma di mercato per la negoziazione di lungo termine. A questo scopo, è stato già avviato uno studio che ha lo scopo di approfondire quale sia il contesto legale, regolatorio e tecnico per un diffuso utilizzo dei PPA. La necessità dello studio muove dal fatto che le fonti rinnovabili con maggiore potenziale residuo (solare ed eolico) sono ora utilizzabili a costi adeguatamente bassi. Tuttavia, per tali fonti il costo di produzione dell’energia è imputabile in modo preponderante all’investimento iniziale e non ai costi di esercizio, come per gli impianti tradizionali, su cui è ancora basato l’attuale assetto del mercato elettrico. In esito dello studio si intende pervenire a una nomenclatura di riferimento, alla definizione delle possibili tipologie di PPA e dei relativi elementi minimi per la stipula dei contratti, con esame delle esigenze delle diverse parti in causa (grandi consumatori, trader, aggregatori, produttori, finanziatori), nonché alla individuazione di eventuali barriere da rimuovere, di natura normativa o regolatoria. Scopo ultimo è favorire la diffusione di tali schemi contrattuali senza che ne derivino oneri a carico dello Stato e dei consumatori”.
· introdurre misure per la razionalizzazione, la valorizzazione e l'incremento della produzione del parco di impianti a fonti rinnovabili esistente, fatto salvo quanto previsto circa le competenze regionali in materia di concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico (articolo 11-quater D.L. n. 135/2018) (lettera o)).
Il PNIEC (cfr. pag. 128) rileva come il raggiungimento degli obiettivi in materia di rinnovabili presuppone la realizzazione di nuovi impianti ma anche il mantenimento e, se possibile, l’incremento della produzione rinnovabile di impianti esistenti (revamping, repowering e riconversioni). Dunque, fatta salva la disciplina specifica delle concessioni idroelettriche (cfr. infra), le misure di natura non economica per revamping e repowering di impianti esistenti prospettati dal PNIEC includono:
? procedure autorizzative semplificate, con estensione della procedura autorizzatoria semplificata (PAS) ed esclusione o semplificazione della VIA/screening ambientale;
?fissazione di condizioni e limiti di base nel cui rispetto sia possibile realizzare interventi più semplici con mera comunicazione (ad esempio: sostituzione componenti di impianti, che non alterano il layout e il suolo impegnato);
- una migliore informazione in merito alle prestazioni degli impianti veicolata dal GSE;
?promuovere la riconversione di alcune tipologie impiantistiche che al termine del periodo di incentivazione dovessero risultare non competitive sul mercato, in favore di impianti più funzionali al percorso di transizione energetica. Tra queste, ad esempio, la riconversione a biometano degli impianti a biogas, già prevista dalla normativa vigente, per la quale si valuterà la diversificazione dell’impiego di sottoprodotti agro-industriali rispetto all’attuale normativa, in conformità a quanto previsto dalla Direttiva RED II.
Quanto alle concessioni idroelettriche, l’articolo 10-quater del D.L. n. n.135/2018 prevede tra l’altro che le Regioni, ove non ritengano sussistere un prevalente interesse pubblico a un diverso uso delle acque, incompatibile con il mantenimento dell’uso a fine idroelettrico, possono assegnare le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche a operatori qualificati, sulla base di alcuni criteri, tra i quali
a) la definizione dei miglioramenti minimi in termini energetici, di potenza di generazione e di producibilità da raggiungere nel complesso delle opere di derivazione, adduzione, regolazione e condotta dell’acqua e degli impianti di generazione, trasformazione e connessione elettrica con riferimento agli obiettivi strategici nazionali in materia di sicurezza energetica e fonti energetiche rinnovabili, compresa la possibilità di dotare le infrastrutture di accumulo idrico per favorire l’integrazione delle stesse energie rinnovabili nel mercato dell’energia;
b) i livelli minimi in termini di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, in coerenza con gli strumenti di pianificazione a scala di distretto idrografico in attuazione della Direttiva 2000/60/CE (Direttiva quadro acque), determinando obbligatoriamente una quota degli introiti derivanti dall’assegnazione, da destinare al finanziamento delle misure dei piani di gestione distrettuali o dei piani di tutela finalizzate alla tutela e al ripristino ambientale dei corpi idrici interessati dalla derivazione.
Nell’ambito della condivisione degli obiettivi nazionali con le Regioni, il PNIEC preannuncia un costante confronto con le Regioni per promuovere una efficiente e adeguata applicazione di queste norme, in modo da assicurare che l’idroelettrico concorra adeguatamente agli obiettivi.
A livello nazionale, si garantirà – afferma il PNIEC - la disponibilità degli strumenti di sostegno, ove occorrano, anche per promuovere la realizzazione di nuovi impianti su reti idriche minori, sfruttando ad esempio le cadute geodetiche degli acquedotti.
Inoltre, nell’ambito degli obiettivi di semplificazione delle autorizzazioni, si provvederà a definire mediante disciplina statale la qualificazione delle modifiche impiantistiche definite “sostanziali” e modifiche definite “non sostanziali” (ex art.5 del D.Lgs. 28/2011) e, con riferimento agli aspetti delle modifiche sostanziali degli impianti idroelettrici, l’univoca individuazione delle modifiche impiantistiche che comportano una revisione delle concessioni.
Articolo 6
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2019/1, che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e che assicura il corretto funzionamento del mercato interno)
Il comma 1 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo deve osservare (oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012) nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2019/1 (Direttiva ECN Plus):
Si veda il dossier n. 87 del 5 giugno 2017 predisposto in occasione dell'esame dell'atto comunitario COM(2017) 142 definitivo (Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno).
a) apportare alla normativa vigente le modifiche e le integrazioni necessarie al coordinamento ordinamentale e, in particolare, alla disciplina nazionale in materia di tutela della concorrenza e del mercato di cui alla L. 287/1990;
b) stabilire che i poteri investigativi e decisori di cui ai capi IV, V e VI della direttiva (UE) 2019/1 siano esercitati dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato anche in relazione alle fattispecie di esclusivo rilievo nazionale, cui si applicano gli articoli 2 e 3 della legge n. 287 del 1990;
L'art. 2 citato considera quali intese restrittive della libertà di concorrenza gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari (co. 1).
Vieta altresì le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi (co. 2).
Sancisce infine che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto (co. 3).
L'art. 3 vieta l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato: a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; d) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.
c) apportare alla legge n. 287 del 1990 le modifiche necessarie a consentire all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di irrogare sanzioni e penalità di mora efficaci, proporzionate e deterrenti alle imprese che non ottemperino alle decisioni dell’Autorità o non si conformino all’esercizio dei suoi poteri istruttori, in linea con le sanzioni irrogate dalla Commissione per analoghe infrazioni ai sensi degli articoli 23 e 24 del regolamento (CE) n. 1/2003;
L'articolo 23 (Ammende) del regolamento 1/2003 prevede che la Commissione può, mediante decisione, irrogare alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende il cui importo può giungere fino all'1 % del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente, quando esse, intenzionalmente o per negligenza:
a) forniscono informazioni inesatte o fuorvianti in risposta a una domanda rivolta a norma dell'articolo 17 o dell'articolo 18, paragrafo 2;
b) in risposta ad una richiesta formulata mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 17 o dell'articolo 18, paragrafo 3, forniscono informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito;
c) presentano in maniera incompleta, nel corso degli accertamenti effettuati a norma dell'articolo 20, i libri o altri documenti richiesti, connessi all'azienda, o rifiutano di sottoporsi agli accertamenti ordinati mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 4;
d) in risposta ad una domanda posta a norma dell'articolo 20, paragrafo 2, lettera e),
- forniscono una risposta inesatta o fuorviante,
- non rettificano entro un termine stabilito dalla Commissione una risposta inesatta, incompleta o fuorviante data da un membro del personale, oppure
- non forniscono o rifiutano di fornire una risposta completa su fatti inerenti all'oggetto e allo scopo di accertamenti ordinati mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 4;
e) sono stati infranti i sigilli apposti, in applicazione dell'articolo 20, paragrafo 2, lettera d), dagli agenti o dalle persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione (§ 1).
La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:
a) commettono un'infrazione alle disposizioni dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del trattato; oppure
b) contravvengono a una decisione che disponga misure cautelati ai sensi dell'articolo 8; oppure
c) non rispettano un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell'articolo 9.
Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all'infrazione, l'ammenda non deve superare il 10 % del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente.
Qualora l'infrazione di un'associazione sia relativa alle attività dei membri della stessa, l'ammenda non deve superare il 10 % dell'importo del fatturato totale di ciascun membro attivo sul mercato coinvolto dall'infrazione dell'associazione (§ 2).
Per determinare l'ammontare dell'ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell'infrazione, anche della sua durata (§ 3).
Qualora sia irrogata un'ammenda a un'associazione di imprese che tenga conto del fatturato dei suoi membri e l'associazione non sia solvibile, l'associazione è tenuta a richiedere ai propri membri contributi a concorrenza dell'importo dell'ammenda. Se tali contributi non sono stati versati all'associazione entro un termine stabilito dalla Commissione, quest'ultima può esigere il pagamento dell'ammenda direttamente da ciascuna delle imprese i cui rappresentanti erano membri degli organi decisionali interessati dell'associazione. Una volta richiesto il pagamento ai sensi del secondo comma, se necessario per garantire il totale pagamento dell'ammenda, la Commissione può esigere il pagamento del saldo da parte di ciascuno dei membri dell'associazione presenti sul mercato nel quale si è verificata l'infrazione. Tuttavia la Commissione non esige il pagamento ai sensi del secondo e del terzo comma dalle imprese che dimostrino che non hanno attuato la decisione dell'associazione che ha costituito un'infrazione e che o non erano al corrente della sua esistenza, o si sono attivamente dissociate da essa anteriormente all'avvio delle indagini da parte della Commissione. La responsabilità finanziaria di ciascuna impresa per il pagamento dell'ammenda non deve superare il 10 % del suo fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente (§ 4).
Le decisioni adottate a norma dei paragrafi 1 e 2 non hanno carattere penale (§ 5).
L'articolo 24 (Penalità di mora) prevede che la Commissione può, mediante decisione, irrogare alle imprese e associazioni di imprese penalità di mora il cui importo può giungere fino al 5 % del fatturato medio giornaliero realizzato durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data fissata nella decisione, al fine di costringerle:
a) a porre fine a un'infrazione alle disposizioni dell'articolo 81 o dell'articolo 82 del trattato conformemente a una decisione adottata in applicazione dell'articolo 7;
b) a rispettare una decisione che dispone provvedimenti provvisori in applicazione dell'articolo 8;
c) a rispettare un impegno reso obbligatorio mediante decisione ai sensi dell'articolo 9;
d) a fornire in maniera completa ed esatta un'informazione richiesta mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 17 o dell'articolo 18, paragrafo 3;
e) a sottoporsi agli accertamenti che essa ha ordinato mediante decisione adottata ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 4 (§ 1).
Quando le imprese o associazioni di imprese hanno adempiuto all'obbligo per la cui osservanza è stata inflitta la penalità di mora, la Commissione può fissare l'ammontare definitivo di questa in una misura inferiore a quella che risulta dalla decisione originaria. Si applicano per analogia le disposizioni dell'articolo 23, paragrafo 4 (§ 2).
d) prevedere che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato possa irrogare, nei limiti edittali fissati dall’articolo 32 della legge n. 234 del 2012, sanzioni e penalità di mora efficaci, proporzionate e deterrenti alle persone fisiche che non adempiano alle richieste di informazioni e alla convocazione in audizione da parte dell’Autorità ovvero si sottraggano alle ispezioni domiciliari o le ostacolino;
In particolare, ai sensi della lettera d) dell'articolo 32 citato, al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi per l'attuazione del diritto dell'Unione europea, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del d.lgs. n. 274/2000, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati dalla presente lettera. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate dalla presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, terzo e quarto comma, del codice penale e dall'articolo 20 della L. n. 689/1981, e successive modificazioni. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.
e) disporre che il termine prescrizionale per l’irrogazione della sanzione da parte dell’Autorità sia interrotto dagli eventi di cui all’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2019/1 e che, in analogia con quanto previsto dal regolamento (CE) n. 1/2003, la prescrizione operi comunque alla scadenza del termine doppio di quello originariamente previsto, fatte salve le cause di sospensione di cui al medesimo articolo 29, paragrafo 2;
L'articolo 29 (Norme relative ai termini di prescrizione in materia di irrogazione di ammende e di penalità di mora) della direttiva (UE) 2019/1 prevede che gli Stati membri provvedono affinché i termini di prescrizione per l'irrogazione di ammende o di penalità di mora da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza a norma degli articoli 13 e 16 siano sospesi o interrotti per la durata dei procedimenti istruttori dinanzi alle autorità nazionali garanti della concorrenza di altri Stati membri o alla Commissione per un'infrazione riguardante lo stesso accordo, la stessa decisione di un'associazione di imprese, pratica concordata o altra condotta vietata dall'articolo 101 o 102 TFUE. La sospensione o l'interruzione del termine di prescrizione decorrono dalla notifica della prima misura formale di indagine ad almeno una impresa oggetto del procedimento istruttorio. Si applicano a tutte le imprese o associazioni di imprese che hanno partecipato all'infrazione. La sospensione o l'interruzione terminano alla data in cui l'autorità garante della concorrenza in questione chiude il suo procedimento istruttorio adottando una decisione di cui agli articoli 10, 12 o 13 della presente direttiva o ai sensi degli articoli 7, 9 o 10 del regolamento (CE) n. 1/2003, oppure conclude che non vi sono motivi per ulteriori azioni da parte sua. La durata di tale sospensione o interruzione lascia impregiudicati i termini di prescrizione assoluti previsti dal diritto nazionale (§ 1).
Il termine di prescrizione applicabile all'irrogazione di ammende o di penalità di mora da parte di un'autorità nazionale garante della concorrenza rimane sospeso o interrotto fino a quando la decisione di tale autorità nazionale garante della concorrenza forma oggetto di un procedimento pendente dinanzi a un giudice del ricorso (§ 2).
La Commissione provvede affinché la notifica dell'avvio della prima misura formale di indagine da parte di un'autorità nazionale garante della concorrenza a norma dell'articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1/2003, sia resa disponibile alle altre autorità nazionali garanti della concorrenza nell'ambito della rete europea della concorrenza (§ 3).
f) prevedere che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato disponga di personale e risorse adeguate per lo svolgimento dei maggiori compiti previsti.
Il comma 2 prevede che dall’attuazione dell'articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio della delega nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie.
Sull'atto comunitario COM(2017) 142 definitivo (Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno), nella seduta n. 277 del 5 luglio 2017 la 14a Commissione del Senato ha approvato osservazioni favorevoli con i seguenti rilievi.
La Commissione ha tra l'altro segnalato la criticità relativa alla scelta di normare con un elevato grado di dettaglio la materia del trattamento di clemenza, da accordare alle imprese che avessero contribuito alle azioni di emersione e contrasto ai cartelli segreti, rispetto alla quale le esperienze giuridiche dei Paesi membri fanno registrare livelli normativi differenziati.
In particolare, la scelta di procedere a una codificazione pressoché integrale del modello di programma di clemenza della rete europea della concorrenza ECN (European Competition Network) rischia di sacrificare in misura eccessiva la necessaria flessibilità operativa della politica clemenziale. Infatti, l’eventuale necessità di procedere a successivi aggiustamenti del programma di clemenza comporterebbe una luna e onerosa procedura di revisione del testo della direttiva. Inoltre, la stessa rigida uniformità tra i programmi impedirebbe di tenere conto delle specifiche realtà nazionali, per cui si ritiene auspicabile che le autorità rimangano libere di modulare alcuni aspetti del programma, relativi alle soglie di accesso al beneficio, in modo da rafforzarne l’impatto nella propria giurisdizione di competenza.
Sempre in tema di procedure di clemenza, si esprimono perplessità in riferimento all’articolo 21 della proposta e si invita a valutare l’opportunità di richiedere la riformulazione dell’articolo, nella parte in cui disciplina il trattamento delle domande di clemenza in forma semplificata (ovvero prive della documentazione probatoria), la cui ratio è quella di attenuare gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese quando la fattispecie incida su più Stati membri e l’impresa debba rivolgersi a tutte le autorità suscettibili di poter trattare il caso di specie in parallelo.
In particolare, l’articolo 21, paragrafi 3 e 6, della proposta, che di fatto priva le autorità nazionali che abbiano ricevuto domanda in forma semplificata, del potere di ricevere la domanda completa o di richiedere informazioni supplementari all’impresa, prima che la Commissione europea – a sua volta investita del caso – abbia informato di non voler intervenire, sembra non essere in linea con quanto previsto dall’articolo 11, comma 6, del regolamento (CE) n. 1/2003, secondo cui è solo con "l’avvio di un procedimento" da parte della Commissione europea che le autorità nazionali sono private della competenza a procedere per proprio conto sul caso. Tale novità sembrerebbe quindi essere non in linea con il principio di leale collaborazione tra Commissione europea e autorità nazionali.
Inoltre, il paragrafo 7 dell’articolo 21, in deroga al principio dell’esame delle domande secondo l’ordine di arrivo, prevede che qualora, entro i cinque giorni successivi alla presentazione di una domanda ad un’autorità nazionale, la medesima domanda è presentata anche alla Commissione europea, l’originaria data di presentazione si considera quella della presentazione alla Commissione, con l’effetto di privare l’autorità nazionale della possibilità di procedere prima della comunicazione di rinuncia da parte della Commissione europea.
Il combinato disposto delle predette norme condurrebbe, quindi, la Commissione europea ad assumere una competenza esclusiva, ancorché rinunciabile, non solo nei casi in cui essa risulti essere nella posizione più idonea (ovvero quando il fatto incida sulla concorrenza in più di tre Stati membri, ai sensi del paragrafo 14 della Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza - 2004/C 101/03), ma in tutte le ipotesi in cui l’impresa ritenga discrezionalmente di presentare la domanda anche alla Commissione europea, con l’esito paradossale di ostacolare le autorità nazionali nel procedere anche contro le violazioni del diritto antitrust di propria competenza. Inoltre, come riporta l’AGCM, l’esperienza applicativa del regolamento (CE) n. 1/2003, maturata negli anni, dimostra che i servizi della Commissione possono essere spesso riluttanti a comunicare tempestivamente le proprie decisioni in materia di allocazione dei casi alle autorità nazionali di concorrenza.
In riferimento alla globalizzazione dei mercati, si auspica una sempre maggiore convergenza delle normative antitrust di Paesi terzi, con la normativa dell’Unione europea, al fine di evitare forme di svantaggio operativo ed economico a danno delle imprese europee rispetto alle concorrenti estere, attraverso i coordinamenti e delle collaborazioni esistenti tra cui la Rete Internazionale della Concorrenza (International Competition Network) e i diversi accordi di cooperazione internazionale in materia di antitrust (ad esempio, tra Unione europea e Stati Uniti e tra Unione europea e Canada);
Si invita a valutare l’opportunità di non escludere dalla possibilità di beneficiare dell’immunità totale dalle sanzioni quelle imprese che avessero esercitato coercizione su altre imprese per aderire al cartello segreto (articolo 16, paragrafo 3), per motivi di coerenza con le finalità del programma di clemenza e di efficacia dello stesso, e per l’opportunità di evitare ogni incertezza giuridica per le imprese che contemplino di aderirvi.
In base all’articolo 27, i termini di prescrizione per l’imposizione di sanzioni pecuniarie da parte dell’autorità nazionale rimangono sospesi per l’intera durata del procedimento dinanzi alle autorità di un altro Stato membro o della Commissione, a decorrere dalla notifica della prima misura formale d’indagine, per un’infrazione riguardante lo stesso accordo o pratica concordata. Tuttavia, l’esigenza di assicurare l’applicazione piena delle regole di concorrenza da parte di più autorità nazionali competenti, non può comportare un’eccessiva compressione della certezza del diritto che discenderebbe da una dilatazione indefinita dei termini di prescrizione;
In riferimento ai nuovi poteri previsti per le autorità nazionali garanti della concorrenza, come per esempio quelli di cui all’articolo 6 della proposta, si ritiene opportuno che sia esplicitato chiaramente che questi dovranno in ogni caso essere compatibili con i principi dei rispettivi ordinamenti nazionali, con particolare riguardo alle necessarie garanzie giurisdizionali a tutela dei beni e del personale dell’impresa oggetto di accertamento.
Nella seduta del 12 ottobre 2017 le Commissioni riunite II e X della Camera hanno approvato un documento finale sull'atto comunitario COM(2017) 142 definitivo, nel quale è stata espressa una valutazione favorevole con le seguenti osservazioni:
a) in linea generale, appare condivisibile l'obiettivo di consolidare le autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC) attraverso un rafforzamento della loro indipendenza e l'armonizzazione dei poteri di intervento. Il processo di armonizzazione degli strumenti e dei poteri a disposizione delle ANC deve comunque avvenire valorizzando le esperienze più avanzate, come quella italiana;
b) il principio di indipendenza delle ANC, di cui all'articolo 4 della proposta di direttiva e ai connessi consideranda 13-17, deve trovare un'adeguata traduzione, anche a livello di ordinamenti nazionali, attraverso sistemi aperti e trasparenti per la designazione delle candidature e le nomine dei componenti degli organi collegiali e dei vertici delle strutture, oltre che attraverso un trasparente regime delle incompatibilità e di prevenzione dei conflitti di interessi;
c) si ravvisa l'opportunità di un approfondimento dell'impatto discrezionale della disposizione di cui all'articolo 4, comma 2, lettera e), circa l'attribuzione alle ANC del potere di respingere denunce formalmente depositate in quanto da esse non ritenute prioritarie, fermo restando, ai sensi del considerando 17, il diritto di un Governo di uno Stato membro di comunicare alle ANC orientamenti sulle priorità che non riguardino procedimenti specifici di applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE;
d) allo scopo di favorire la trasparenza e l'accountability delle ANC, si segnala l'opportunità di valutare l'inserimento di una disposizione diretta a impegnare le ANC alla trasmissione di relazioni periodiche sull'attività svolta, come già previsto nell'ordinamento italiano e come peraltro prospettato nel considerando 16;
e) l'obbligo, posto a carico degli Stati membri ai sensi dell'articolo 5 della proposta di direttiva, di assicurare alle ANC le risorse umane, finanziarie e tecniche necessarie per l'efficace svolgimento dei loro compiti e l'esercizio dei loro poteri, rende opportuna un'analisi comparata dei modelli di finanziamento delle autorità che, attraverso l'individuazione delle migliori pratiche, supporti le scelte dei legislatori nazionali. In particolare, si potrebbe mirare a un corretto equilibrio tra finanziamento a carico del bilancio degli Stati e contribuzione a carico del mercato, eventualmente accompagnato, a fini di rendiconto, dall'ipotesi del considerando 16 in base alla quale le ANC possono anche essere soggette al controllo o alla sorveglianza delle loro spese finanziarie, purché ciò non pregiudichi la loro indipendenza;
f) il rafforzamento dei poteri delle ANC, di cui al capo IV della proposta di direttiva (articoli da 6 a 11), sollecita un approfondimento della portata delle «garanzie adeguate» di cui all'articolo 3 alla luce del dettato del connesso considerando 12. In questo contesto, assumono particolare rilievo lo svolgimento, da parte dell'autorità, di attività ispettive di carattere paragiurisdizionale (con impatti anche sulla sfera delle libertà personali e dei diritti costituzionalmente tutelati) e l'incidenza di tali attività in eventuali e successivi procedimenti giudiziari;
g) in particolare, il bilanciamento e le garanzie dovrebbero comportare, nel nostro ordinamento, la previsione di forme di tutela dell'attività di consulenza e assistenza stragiudiziale resa da soggetti diversi dagli avvocati ma in vincolo di subordinazione con l'impresa, nonché una disciplina in materia di esercizio da parte delle autorità nazionali tanto di funzioni istruttorie quanto di funzioni decisorie, alla luce dell'articolo 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n.?3, in materia di effetti di decisioni antitrust definitive in sede di azione per il risarcimento del danno e di correlato controllo giurisdizionale;
h) sempre per quanto concerne la necessità di trovare adeguate compensazioni tra le finalità istruttorie e ispettive delle ANC e le garanzie dei diritti fondamentali e dell'intangibilità della sfera giuridica dei soggetti interessati, con riferimento all'articolo 6, paragrafo 1, concernente il potere di effettuare accertamenti nei locali dell'impresa, si segnalano le indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n.?10/1971 e sent. n.?56/1973) ed in particolare, nell'ambito della sent. n.?10/1971, la precisazione secondo la quale «non esiste una libertà dell'ispettore di esercitare promiscuamente funzioni di vigilanza amministrativa e di polizia giudiziaria», nonché, per i controlli e le copie documentali di cui alle lettere b) e c) del paragrafo, le disposizioni dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n.?633 del 1972, richiamato dalla disciplina delle procedure istruttorie dell'AGCM;
i) con riferimento all'articolo 6, paragrafo 2, concernente l'assistenza necessaria per l'esecuzione dell'accertamento disposto da un'ANC attraverso il ricorso alla forza pubblica o a un'autorità equivalente incaricata dell'applicazione della legge, si valuti l'opportunità di precisare che, ove prevista dalla legislazione nazionale, sia necessaria la previa autorizzazione di un'autorità giudiziaria, così come già disposto dall'articolo 20, paragrafi 7 e 8, del Regolamento (CE) 1/2003;
j) inoltre, sempre in tema di garanzie, l'attuale formulazione dell'articolo 7, che disciplina il potere di effettuare accertamenti in altri locali ove sussistano «motivi ragionevoli» e con preliminare autorizzazione dell'autorità giudiziaria nazionale, andrebbe riconsiderata alla luce delle più puntuali motivazioni previste – per l'esercizio del medesimo potere ispettivo da parte della Commissione europea e per il rilascio dell'autorizzazione giudiziaria – dall'articolo 21, paragrafi 2 e 3, del regolamento (CE) 1/2003; sempre all'articolo 7, paragrafo 3, si ravvisa l'opportunità di sostituire il riferimento ai «giudici nazionali» con la locuzione «autorità giudiziaria» per confermare, in fase discendente, l'affidamento al procuratore della Repubblica del potere di autorizzare;
k) con riferimento, poi, all'articolo 9, in materia di constatazione e cessazione delle infrazioni, il riconoscimento alle ANC della possibilità di «imporre l'adozione di tutti i rimedi comportamentali o strutturali proporzionati all'infrazione commessa e necessari a far cessare effettivamente l'infrazione stessa» andrebbe integrato alla stregua di quanto stabilito all'articolo 7 del regolamento (CE) n.?1/2003, per cui i rimedi strutturali possono essere imposti solo quando non esiste un rimedio comportamentale parimenti efficace o quando un rimedio comportamentale parimenti efficace risulterebbe più oneroso, per l'impresa interessata, del rimedio strutturale;
l) con riferimento al capo V della proposta di direttiva (articoli 12-15), in materia di ammende e penalità di mora, fermo restando l'obiettivo di introdurre una parziale convergenza delle politiche sanzionatorie, si segnala l'utilità di ricorrere a soluzioni di soft law, quali l'elaborazione di best practices;
m) sempre in riferimento al capo V, si segnala l'esigenza di un'attenta riconsiderazione delle ammende stabilite a carico delle associazioni d'impresa sulla base non già dell'entità dei contributi associativi ma, come affermato al considerando 33, in ragione della «somma delle vendite di beni e servizi alle quali l'infrazione si riferisce direttamente o indirettamente, effettuate dalle imprese che sono membri dell'associazione» e con possibilità di «richiedere il pagamento dell'ammenda ai membri dell'associazione nei casi in cui quest'ultima non sia solvibile», secondo le previsioni degli articoli 12, 13 e 14 della proposta. Vanno, infatti, rammentate, al riguardo, la differenza strutturale tra fatturati d'impresa e bilanci degli enti associativi fondati sulla contribuzione delle imprese aderenti, nonché l'indeterminatezza della nozione di associazione di imprese;
n) si segnala, altresì, l'opportunità di una più puntuale e motivata formulazione del comma 3 dell'articolo 12 allo scopo di assicurare che l'applicazione della «nozione di impresa ai fini dell'imposizione delle ammende alla società madre e ai successori legali ed economici delle imprese» – in funzione di contrasto di fenomeni di elusione di responsabilità operati attraverso il ricorso a cambiamenti di natura giuridica o organizzativa dell'attività d'impresa – non si traduca in forme presuntive di responsabilità e, nei rapporti tra controllante e controllata, si fondi, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, sull'effettivo esercizio di un'influenza determinante;
o) con riferimento all'articolo 14, appare necessario definire un livello minimo e massimo delle ammende che possono essere comminate dalle ANC al fine di circoscrivere il margine di discrezionalità ed evitare disparità eccessive nelle pronunce adottate. L'articolo 14, infatti, prevede al paragrafo 1 che, in caso di violazione degli articoli 101 e 102 del TFUE l'autorità nazionale garante della concorrenza possa infliggere una sanzione il cui importo massimo sia fissato a un livello non inferiore al 10 per cento del fatturato mondiale totale dell'impresa o dell'associazione di imprese responsabile della violazione e che, ove l'infrazione commessa da un'associazione di imprese riguardi le attività dei suoi membri, l'importo massimo dell'ammenda sia fissato a un livello non inferiore al 10 per cento della somma dei fatturati mondiali totali di ciascun membro operante sul mercato interessato. Tale limite minimo della sanzione appare eccessivo e sproporzionato anche in rapporto alle sanzioni che possono essere irrogate dalla Commissione ai sensi del Regolamento n.?1 del 2003. L'articolo 23 del predetto Regolamento prevede infatti, al paragrafo 2, per le violazioni degli articoli 81 e 82 del trattato (ora 101 e 102 TFUE), un'ammenda il cui importo non può superare il 10 per cento del fatturato totale realizzato nell'esercizio. Il Regolamento, dunque, che può essere assunto a parametro, individua l'importo del 10 per cento del fatturato totale (peraltro non mondiale) quale effettivo limite massimo della sanzione pecuniaria concretamente irrogabile. Si osserva, inoltre, che la disciplina delineata dal predetto articolo va ulteriormente precisata sotto il profilo dell'imputazione di responsabilità della nozione di «associazione di imprese», peraltro ricorrente in diverse disposizioni della proposta di direttiva, nozione che, com’è noto, viene intesa in termini estensivi ed elastici nell'ambito della giurisprudenza della Corte di giustizia, così come nel diritto interno;
p) sempre sul piano sanzionatorio, meriterebbe, ancora, attenta valutazione – anche sulla scorta dell'esperienza italiana in materia – l'ipotesi di riconoscimento, nell'impianto della proposta di direttiva, dell'adozione e del rispetto di programmi di compliance antitrust da parte delle imprese;
q) è opportuna una modifica sostanziale del capo VI della proposta di direttiva (articoli 16-22), concernente i programmi di trattamento favorevole che consentono alle ANC di concedere l'immunità dalle ammende alle imprese, in modo da renderlo più rispettoso dell'autonomia dei programmi nazionali e del principio di leale collaborazione tra Commissione europea e ANC. L'assetto normativo prefigurato tende a una codificazione quasi integrale del modello di programma ECN (European Competitiveness Network), che potrebbe condurre a un'eccessiva compressione dell'autonomia degli Stati membri con ripercussioni negative sotto il profilo della flessibilità e dell'adattabilità dell'istituto stesso alle specificità nazionali. In particolare, suscita forti perplessità l'articolo 21 nella parte in cui consente ai richiedenti che abbiano presentato una domanda di clemenza alla Commissione europea di presentare domande semplificate alle ANC che ritengano nella posizione più idonea per trattare il caso. In tal caso, le ANC potrebbero trovarsi obbligate ad accettare domande di clemenza prive di supporto probatorio anche quando siano esse – e non la Commissione europea – nella posizione migliore per svolgere l'eventuale accertamento istruttorio. Inoltre, il medesimo articolo priva le ANC del potere di chiedere informazioni supplementari all'impresa prima della presentazione della domanda completa e dispone che l'integrazione della domanda (attualmente rimessa alla valutazione discrezionale dell'autorità procedente) possa avvenire solo quando la Commissione europea abbia informato le autorità nazionali che non intende intervenire sul caso;
r) sempre in riferimento al capo VI della proposta, particolare delicatezza assumono le disposizioni di cui all'articolo 22, laddove si consente la previsione di una speciale causa di non punibilità per i dipendenti e gli amministratori delle imprese responsabili degli illeciti anticoncorrenziali che denuncino i fatti. Sarebbe preferibile al riguardo, per garantire maggiore coerenza con il nostro ordinamento, lasciare la possibilità di prevedere, in alternativa, una mera circostanza attenuante;
s) in riferimento all'articolo 23, relativo alle ipotesi di cooperazione tra le autorità nazionali garanti della concorrenza, si segnala che lo stesso prevede la possibilità che funzionari incaricati da autorità straniere assistano all'accertamento e vi partecipino attivamente esercitando i poteri di cui agli articoli 6 e 7 della proposta di direttiva. Al riguardo, rilevata l'eccezionalità di tali forme di partecipazione «attiva e considerati gli eventuali profili di responsabilità dello Stato, non si ritiene del tutto coerente con il vigente quadro normativo che i poteri dei funzionari incaricati dall'autorità nazionale richiedente eccedano quelli previsti per gli agenti autorizzati dalla Commissione dall'articolo 22, paragrafo 2, del Regolamento CE n.?1 del 2003, il quale si limita a disporre che gli accompagnatori autorizzati dalla Commissione «possono assistere i funzionari dell'autorità interessata»;
t) circa la previsione per cui i termini di prescrizione per l'imposizione di ammende o di penalità di mora da parte delle ANC rimangano sospesi nell'ipotesi in cui sia in corso, dinanzi ad un'altra ANC o alla Commissione europea, un procedimento riguardante la medesima condotta (articolo 27), si segnala il rischio di una eccessiva dilatazione del termine. Si suggerisce, pertanto, anche alla luce di quanto stabilito dall'articolo 25 del Regolamento CE n.?1 del 2003, che prevede la sospensione del termine di prescrizione solo per il tempo durante il quale il ricorso contro la decisione della Commissione pende innanzi alla Corte di giustizia, di inserire nella proposta di direttiva una disposizione che stabilisca, in ogni caso, un termine massimo di prescrizione;
u) con riferimento alle disposizioni di cui all'articolo 29 circa i limiti all'uso delle informazioni raccolte sulla base delle disposizioni di cui alla proposta di direttiva, sembra opportuno richiamare la direttiva 2014/104/UE in tema di acquisizione delle prove.
Articolo 7
(Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/633, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare)
L’articolo in esame reca i principi e criteri direttivi che dovranno presiedere all’attuazione, con decreto legislativo, della direttiva (UE) 2019/633 che ha dettato nuove disposizioni per contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare.
Essi fanno riferimento a:
ü la necessità di adeguare la normativa già vigente nell’ordinamento interno alle nuove disposizioni introdotte con la direttiva;
ü coordinare la normativa vigente in materia di termini di pagamento del corrispettivo con le previsioni relative alla fatturazione elettronica;
ü prevedere che i contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore e delle cessioni con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito, siano stipulati obbligatoriamente in forma scritta;
ü confermare che l'obbligo della forma scritta dei contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari non possa essere assolto mediante forme equipollenti quali documenti di trasporto o di consegna e fatture, secondo le disposizioni vigenti;
ü prevedere, tra le pratiche commerciali sleali vietate le vendite dei prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare a doppio ribasso;
ü introdurre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive nel limite massimo del 10 per cento del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio precedente all'accertamento.
Le pratiche commerciali sleali possono essere definite, in termini generali, come pratiche che si discostano ampiamente dalla buona condotta commerciale, sono in contrasto con la buona fede e la correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla controparte.
Contenuto della direttiva
La direttiva in esame è stata esaminata in fase ascendente dalle Commissioni X Attività produttive e XIII Agricoltura della Camera, le quali hanno, poi, approvato, il 26 settembre 2018, dopo un approfondito lavoro istruttorio, un documento finale, che è stato trasmesso alle istituzioni europee competenti.
La direttiva prevede l'introduzione di un livello minimo di tutela comune a tutta l'UE, comprendente un elenco di pratiche commerciali sleali vietate e un elenco di pratiche che saranno autorizzate solo se concordate in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura.
Uno dei principali punti di discussione ha riguardato la definizione dell’ambito di applicazione dal momento che la proposta iniziale faceva riferimento alla sola filiera alimentare, escludendo, così, produzioni agricole non destinate alla produzione alimentare, quali per esempio il tabacco e il cotone.
Nella stesura definitiva l’ambito oggettivo è stato ampliato in modo da tutelare gli scambi riguardanti sia i prodotti alimentari che quelli agricoli.
Altra questione dirimente è stata quella relativa all’ambito soggettivo di applicazione della normativa.
La versione iniziale prevedeva che essa si applicasse a tutte le pratiche commerciali che avessero come soggetti protagonisti i soli fornitori di prodotti agricoli e alimentari appartenenti alla categoria delle piccole e medie imprese ed aventi sede nell’Unione europea. Gli acquirenti, al contrario, non potevano rientrare nella categoria delle piccole e medie imprese.
La versione finale ha, invece, distinto l’ambito soggettivo in riferimento al fatturato sia dei fornitori che delle imprese acquirenti, evitando, così, possibili applicazioni distorsive.
Le pratiche commerciali sleali vietate sono:
a) i pagamenti tardivi per i prodotti agricoli e alimentari.
· Nella stesura definitiva è stato differenziato tra prodotti deperibili e prodotti non deperibili e tra accordi di fornitura che comportano una consegna regolare e accordi non aventi una tale cadenza. Nel caso di prodotti deperibili il pagamento tardivo si configurata passato oltre 30 giorni dalla consegna o dalla data in cui è stato stabilito l’importo da corrispondere; per i prodotti non deperibili, il riferimento è ad un arco temporale di oltre 60 giorni.
b) la cancellazione degli ordini all'ultimo minuto (con un preavviso inferiore a 30 giorni);
c) le modifiche unilaterali o retroattive ai contratti;
d) la richiesta al fornitore di pagamenti non connessi alla vendita;
e) l'obbligo imposto al fornitore di pagare per il deterioramento o la perdita dei beni nei locali dell’acquirente senza che vi sia stata colpa del fornitore per l’accaduto;
f) il rifiuto di conferma scritta da parte dell’acquirente delle condizioni dell’accordo, salvo che esso riguardi i prodotti consegnati da un socio di un’organizzazione di produttori (nel corso delle audizioni programmate nell’ambito dell’esame in fase ascendente della proposta di direttiva, l’esenzione in esame era stata chiesta dai rappresentati delle cooperative i quali avevano sottolineato la specificità del regime relativo ai conferimenti dei soci prima della commercializzazione verso fornitori esterni)
g) l’utilizzazione di segreti commerciali del fornitore da parte dell’acquirente;
h) la minaccia di ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore che voglia esercitare i diritti contrattuali e legali ad esso spettanti;
i) la richiesta del costo sostenuto per esaminare i reclami dei clienti in assenza di negligenze da parte del fornitore.
Le pratiche autorizzate solo se soggette a un accordo iniziale tra le parti chiaro e privo di ambiguità sono configurabili nei seguenti casi:
- l'acquirente restituisce a un fornitore i prodotti alimentari invenduti;
- l'acquirente impone al fornitore un pagamento per garantire o mantenere un accordo di fornitura relativo a prodotti alimentari;
- il fornitore è tenuto a sostenere i costi dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente legati alla promozione o al marketing o al costo del personale incaricato di organizzare gli spazi di vendita.
E’ sempre vietata la pratica in base alla quale l’acquirente chiede al fornitore di farsi carico del costo degli sconti relativi alle promozioni a meno che, prima dell’avvio della promozione, ne venga specificato il periodo e indicata la quantità prevista.
Ogni Stato membro è, poi, chiamato a designare una o più Autorità di contrasto. Possono presentare denuncia anche le organizzazioni dei produttori e dei fornitori in loro rappresentanza. Gli Stati membri sono chiamati ad adottare le misure di tutela necessarie per tutelare adeguatamente l’identità del denunciante.
Gli Stati membri possono introdurre norme più rigorose, purché compatibili con il funzionamento del mercato interno.
Normativa nazionale in materia di contrasto alle pratiche sleali
Si ricorda, al riguardo, che nell’ordinamento nazionale è in vigore l'articolo 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, e novellato con il decreto-legge n. 51 del 2015, che fissa gli elementi essenziali del contratto avente ad oggetto la cessione di prodotti agricoli (forma scritta, durata, quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento).
La disposizione determina inoltre i principi regolatori di tali contratti (trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni).
La norma disciplina inoltre le relazioni commerciali tra gli operatori economici rispetto a tale tipo di contratti vietando in particolare una serie di condotte (imporre direttamente o indirettamente condizioni ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti; subordinare la conclusione, l'esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali alla esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che non abbiano alcuna connessione con l'oggetto degli uni e delle altre; conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali; adottare ogni ulteriore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento).
Infine si fissa il termine di pagamento del corrispettivo entro 30 giorni per le merci deteriorabili e entro 60 per le altre.
L'articolo 4 del DM 19 ottobre 2012, n. 199 contiene il Regolamento di attuazione del citato articolo 62, chiarendo come rientrino nella definizione di "condotta commerciale sleale" anche il mancato rispetto dei principi di buone prassi e le pratiche sleali identificate dalla Commissione europea e dai rappresentanti della filiera agro-alimentare a livello comunitario nell'ambito del Forum di Alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare (High level Forum for a better functioning of the food supply chain ), approvate in data 29 novembre 2011. Si chiarisce inoltre che ai sensi dell'articolo 62 è vietato qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. Viene, altresì, configurata come pratica commerciale sleale la previsione nel contratto di una clausola che obbligatoriamente imponga al venditore, successivamente alla consegna dei prodotti, un termine minimo prima di poter emettere la fattura.
L'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, ha, inoltre, dettato norme specifiche per il rispetto di corrette relazioni commerciali in materia di cessione di latte crudo, prevedendo una durata contrattuale minima pari a 12 mesi e un criterio di calcolo per il riferimento ai costi medi di produzione, richiamati anche dal citato articolo 4 del DM n. 199 del 2012 quale parametro per la valutazione della corretta determinazione del prezzo.
Si ricorda, infine, che l’articolo 10-quater, del decreto-legge n.27 del 2019 (c.d. decreto-legge emergenze agricole) ha introdotte nuove disposizioni in materia di rapporti commerciali nell'ambito delle filiere agroalimentari.
Più in particolare, è stato stabilito che i contratti, stipulati o eseguiti nel territorio nazionale, aventi ad oggetto la cessione di prodotti agricoli, stipulati obbligatoriamente in forma scritta, devono avere, ad eccezione dei contratti di carattere stagionale, una durata non inferiore a dodici mesi. Per consentire l'accertamento di situazioni di significativo squilibrio nei contratti di cessione, l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) è stato chiamato ad elaborare mensilmente i costi medi di produzione dei prodotti agricoli sulla base della metodologia approvata dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. La fissazione da parte dell’acquirente di un prezzo significativamente inferiore ai costi medi di produzione risultanti dall'elaborazione dell'ISMEA costituisce in ogni caso una pratica commerciale sleale. A carico dell’impresa acquirente è prevista, in tal caso, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio precedente all'accertamento, e, in caso di reiterata violazione, la possibilità di sospendere l'attività di impresa fino a trenta giorni. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è stata chiamata a provvedere, d'ufficio o su segnalazione di chiunque vi abbia interesse, all'accertamento delle violazioni in esame, concludendo il procedimento inderogabilmente entro il termine di novanta giorni con l'intervento dell'associazione di categoria a cui è iscritto l'imprenditore cessionario.
In materia di divieto di aste a doppio ribasso
Si ricorda, al riguardo, che la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura e trasmesso al Senato il progetto di legge S. 1373 recante, tra l’altro, disposizioni in merito al divieto di aste e di gare a doppio ribasso relativamente al prezzo di acquisto per i prodotti agricoli e alimentari.
Normativa in materia di fatturazione elettronica
La legge di delega fiscale (articolo 9, legge n. 23 del 2014) ha previsto di incentivare l'utilizzo della fatturazione elettronica: in attuazione di tali norme è stato emanato il Decreto Legislativo n. 127 del 2015, che consente ai contribuenti di usare gratuitamente il servizio per la generazione, trasmissione e conservazione delle fatture elettroniche messo a disposizione dall'Agenzia delle entrate dal 1° luglio 2016.
Dal 1 gennaio 2017, il Ministero dell'economia e delle finanze ha messo a disposizione dei soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto il Sistema di Interscambio per la trasmissione e della ricezione delle fatture elettroniche e di eventuali variazioni delle stesse, relative a operazioni che intercorrono tra soggetti residenti nel territorio dello Stato, secondo il formato della fattura.
Dalla stessa data, chi effettua cessioni di beni e prestazioni di servizi (imprese, artigiani e professionisti) può trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, in sostituzione degli obblighi di registrazione.
La legge di bilancio 2018, in luogo del previgente regime opzionale, ha previsto sia nel caso in cui la cessione del bene o la prestazione di servizio è effettuata tra due operatori Iva (operazioni B2B, cioè Business to Business), sia nel caso in cui la cessione/prestazione è effettuata da un operatore Iva verso un consumatore finale (operazioni B2C, cioè Business to Consumer) l'obbligo di emettere soltanto fatture elettroniche attraverso il Sistema di Interscambio per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, a partire dal 1° gennaio 2019.
La fattura elettronica si differenzia da una fattura cartacea, in generale, per due aspetti:
a. va necessariamente redatta utilizzando un pc, un tablet o uno smartphone
b. deve essere trasmessa elettronicamente al cliente tramite il Sistema di Interscambio (SdI).
Il SdI svolge, in particolare, i seguenti compiti:
Articolo 8
(Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2019/789, che stabilisce norme relative all'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici e che modifica la direttiva 93/83/CEE del Consiglio)
L'articolo reca i principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/789, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, la quale stabilisce norme relative all'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici e che modifica la direttiva 93/83/CEE del Consiglio.
Nella relazione illustrativa del disegno di legge in esame si evidenzia che la direttiva (UE) 2019/789 ha come obiettivi la promozione della fornitura transfrontaliera di servizi online che sono accessori a determinati tipi di programmi radiotelevisivi, nonché l'agevolazione della ritrasmissione di determinati programmi televisivi e radiofonici provenienti da altri Stati membri, effettuata da soggetti diversi rispetto all'organismo di diffusione che ha emesso la trasmissione iniziale.
A tal fine la direttiva provvede: 1) a estendere il principio del "paese d'origine" ai servizi online accessori; 2) a introdurre l'obbligo di gestione collettiva per i diritti di ritrasmissione.
Il comma 1 - oltre a richiamare i princìpi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea, enunciati all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 - stabilisce i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
il decreto legislativo di attuazione deve definire in modo restrittivo i «programmi di produzione propria che sono finanziati interamente dall'organismo di diffusione radiotelevisiva» di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera b), punto ii), della direttiva (UE) 2019/789, in particolare riconducendo il concetto di «produzione propria» alla nozione di «produzione interna».
L'art. 3 della direttiva (UE) 2019/789 disciplina l'applicazione del principio del «paese d'origine» ai servizi online accessori degli organismi di diffusione radiotelevisiva. Vi si prevede che, in relazione all'esercizio del diritto d'autore, siano considerate come aventi luogo esclusivamente nello Stato membro in cui si trova la sede principale dell'organismo di diffusione radiotelevisiva le azioni di comunicazione/messa a disposizione al pubblico di materiali effettuate quando vengono forniti al pubblico determinati programmi radiofonici o televisivi nell'ambito di un servizio online accessorio fornito dall'organismo di diffusione radiotelevisiva.
Tra i programmi televisivi assoggettati a tale disposizione sono compresi i "programmi di produzione propria che sono finanziati interamente dall'organismo di diffusione radiotelevisiva" (di cui al paragrafo 1, lettera b), punto ii), del medesimo articolo 3).
Detti programmi sono oggetto della disposizione in commento, la quale impone al legislatore delegato di fornirne una definizione "restrittiva", quanto più circoscritta possibile, nonché di ricondurre la nozione di «produzione propria» a quella di «produzione interna».
Ciò - come si legge nella relazione illustrativa - al fine di chiarire che non solo il finanziamento, ma anche la realizzazione materiale deve essere interamente svolta attraverso i mezzi propri dell'emittente.
il decreto legislativo di attuazione della direttiva in questione è tenuto altresì a individuare i requisiti degli organismi di gestione collettiva autorizzati a rilasciare le licenze obbligatorie di cui all'articolo 4 della direttiva (UE) 2019/789.
Tale criterio, come chiarito nella relazione illustrativa, è volto a garantire omogeneità con quanto previsto dalla normativa sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali di cui al decreto legislativo n. 35 del 2017 ("Attuazione della direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno").
L'articolo 4 della direttiva (UE) 2019/789, richiamato nella disposizione in commento, disciplina l'esercizio dei diritti sulla ritrasmissione da parte di soggetti, titolari del diritto d'autore e dei diritti connessi, diversi dagli organismi di diffusione radiotelevisiva.
In particolare, l'art. 4 demanda agli Stati membri di provvedere affinché detti soggetti esercitino il loro diritto di concedere o rifiutare l'autorizzazione per una ritrasmissione esclusivamente attraverso organismi di gestione collettiva, i quali risultano, pertanto, incaricati della gestione dei diritti di ritrasmissione.
Il comma 2 reca clausola di invarianza finanziaria e prevede che le amministrazioni interessate provvedano all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega conferita ai sensi dell'articolo in esame con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 9
(Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2019/790, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE)
L'articolo reca i principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/790, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE.
Oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea, enunciati all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, sono stabiliti i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
applicare la definizione di «istituti di tutela del patrimonio culturale» nell'accezione più ampia possibile, al fine di favorire l'accesso ai beni in essi custoditi.
Al riguardo, si evidenzia che il punto 13 dei considerando della direttiva (UE) 2019/790 precisa che "per istituti di tutela del patrimonio culturale si dovrebbero intendere le biblioteche accessibili al pubblico e i musei, indipendentemente dal tipo di opere o altri materiali che detengono nelle loro collezioni permanenti, nonché gli archivi e gli istituti per la tutela del patrimonio cinematografico o sonoro. Vi dovrebbero rientrare anche le biblioteche nazionali e gli archivi nazionali e, per quanto concerne i loro archivi e le loro biblioteche accessibili al pubblico, vi dovrebbero altresì far parte gli istituti di istruzione, gli organismi di ricerca e gli organismi di radiodiffusione pubblici".
disciplinare le eccezioni o limitazioni ai fini dell'estrazione di testo e dati di cui all'articolo 3 della direttiva (UE) 2019/790, garantendo adeguati livelli di sicurezza delle reti e delle banche dati, nonché definire l'accesso legale e i requisiti dei soggetti coinvolti.
L'articolo 3 della direttiva disciplina l'estrazione di testo e di dati per scopi di ricerca scientifica, autorizzando i titolari dei diritti ad applicare misure adeguate a garantire la sicurezza e l'integrità delle reti e delle banche dati in cui sono ospitate le opere o altri materiali.
Sotto il profilo soggettivo, l'art. 3 demanda agli Stati membri di introdurre eccezioni a determinati diritti stabiliti dall'ordinamento europeo per le riproduzioni e le estrazioni effettuate da organismi di ricerca e istituti di tutela del patrimonio culturale.
esercitare l'opzione di cui all'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2019/790, che consente di escludere o limitare l'applicazione dell'eccezione o limitazione di cui al paragrafo 1 del medesimo articolo, per determinati utilizzi o tipi di opere o altri materiali
L'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva demanda agli Stati membri di introdurre eccezioni o limitazioni a determinati diritti stabiliti dall'ordinamento europeo per consentire l'utilizzo digitale di opere e altri materiali esclusivamente per finalità illustrativa ad uso didattico, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito e purché risultino soddisfatte determinate condizioni.
Il successivo paragrafo 2 conferisce facoltà agli Stati membri di prevedere che l'eccezione o limitazione adottata a norma del paragrafo precedente "non si applichi o non si applichi per determinati utilizzi o tipi di opere o altri materiali, tra cui il materiale destinato principalmente al mercato dell'istruzione o gli spartiti musicali, ove siano facilmente reperibili sul mercato opportune licenze che autorizzino gli atti di cui al paragrafo 1 del presente articolo e rispondano alle necessità e specificità degli istituti di istruzione".
ü stabilire le procedure che permettono ai titolari dei diritti che non abbiano autorizzato gli organismi di gestione collettiva a rappresentarli di escludere le loro opere o altri materiali dal meccanismo di concessione delle licenze di cui all'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2019/790 o dall'applicazione dell'eccezione o limitazione di cui al paragrafo 2 del medesimo articolo.
L'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva demanda agli Stati membri di disporre che organismi di gestione collettiva possano (a determinate condizioni) concludere contratti di licenza non esclusiva a fini non commerciali con istituti di tutela del patrimonio culturale per la riproduzione e distribuzione al pubblico di opere o altri materiali fuori commercio presenti in modo permanente nella raccolta degli istituti medesimi.
Ai sensi del successivo paragrafo 2, gli Stati membri sono autorizzati a introdurre eccezioni o limitazioni a determinati diritti, con l'obiettivo di consentire agli istituti di tutela del patrimonio culturale di mettere a disposizione, a fini non commerciali, opere o altri materiali fuori commercio presenti in modo permanente nella loro raccolta.
ü esercitare l'opzione di cui all'articolo 8, paragrafo 5, della direttiva (UE) 2019/790, che consente di stabilire requisiti specifici per determinare se un'opera e altri materiali possano essere considerati fuori commercio.
Il paragrafo 5 dell'articolo 8 definisce "fuori commercio" un'opera o un materiale quando si può supporre in buona fede che esso non sia disponibile al pubblico attraverso i consueti canali commerciali dopo aver effettuato uno sforzo ragionevole per determinare se sia disponibile al pubblico.
Consente altresì agli Stati membri di introdurre requisiti specifici (quali una data limite) che non vadano "al di là di quanto necessario e ragionevole".
ü individuare la disciplina applicabile nel caso l'opera, oltre ad essere fuori commercio ai sensi dell'articolo 8 della direttiva (UE) 2019/790, sia anche «orfana» e quindi soggetta alle disposizioni della direttiva 2012/28/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012.
Ai sensi della direttiva 2012/28/UE, un'opera è considerata "orfana" se nessuno dei titolari dei diritti su tale opera è stato individuato oppure, anche se uno o più di loro sia stato individuato, nessuno di loro è stato rintracciato nonostante sia stata svolta e registrata una ricerca diligente dei titolari dei diritti.
ü prevedere, ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2019/790, ulteriori misure di pubblicità a favore dei titolari dei diritti oltre quelle previste dal paragrafo 1 del medesimo articolo.
L'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva demanda agli Stati membri di provvedere a che - se necessario per accrescere la consapevolezza generale dei titolari dei diritti - siano adottate ulteriori misure di pubblicità adeguate per quanto concerne la possibilità degli organismi di gestione collettiva di concedere in licenza opere o altri materiali.
ü prevedere, ai sensi dell'articolo 15 della direttiva (UE) 2019/790, che - nel caso di utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell'informazione - trovino adeguata tutela i diritti degli editori, tenendo in debita considerazione i diritti degli autori di tali pubblicazioni.
ü definire il concetto di «estratti molto brevi» in modo da non pregiudicare la libera circolazione delle informazioni.
ü definire la quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l'utilizzo delle pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all'articolo 15, paragrafo 5, della direttiva (UE) 2019/790, destinata agli autori, tenendo in particolare considerazione i diritti di questi ultimi.
L'articolo 15, paragrafo 5, della direttiva demanda agli Stati membri di provvedere affinché gli autori delle opere incluse in una pubblicazione di carattere giornalistico ricevano una quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l'utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell'informazione.
ü definire la quota del compenso di cui all'articolo 16 della direttiva (UE) 2019/ 790 spettante agli editori nel caso l'opera sia utilizzata in virtù di un'eccezione o di una limitazione, tenuti in debito conto i diritti degli autori.
L'articolo 16 della direttiva conferisce facoltà agli Stati membri di prevedere che - nel caso in cui un autore abbia trasferito o concesso un diritto mediante licenza a un editore - tale trasferimento o licenza costituisca una base giuridica sufficiente affinché l'editore abbia diritto a una quota del compenso previsto per gli utilizzi dell'opera in virtù di un'eccezione o di una limitazione al diritto trasferito o concesso mediante licenza.
ü definire le attività di cui all'articolo 17, paragrafo 4, della direttiva (UE) 2019/790, con particolare riferimento al livello di diligenza richiesto al fine di ritenere integrato il criterio dei «massimi sforzi», nel rispetto del principio di ragionevolezza.
L'articolo 17, paragrafo 4, della direttiva dispone che, qualora non sia concessa alcuna autorizzazione, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online sono responsabili per atti non autorizzati di comunicazione al pubblico, compresa la messa a disposizione del pubblico, di opere e altri materiali protetti dal diritto d'autore, a meno che non dimostrino di: a) aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un'autorizzazione; b) aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti; c) in ogni caso, aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l'accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b).
Il legislatore delegato è chiamato a definire le attività di cui alle richiamate lettere a), b) e c), necessarie a ottenere lo scarico di responsabilità da parte dei prestatori di servizi di condivisione di contenuti online per atti non autorizzati di comunicazione al pubblico, compresa la messa a disposizione del pubblico, di opere e altri materiali protetti dal diritto d'autore.
ü individuare la disciplina relativa ai reclami e ai ricorsi di cui all'articolo 17, paragrafo 9, della direttiva (UE) 2019/790, ivi compreso l'organismo preposto alla gestione delle rispettive procedure.
L'articolo 17, paragrafo 9, della direttiva demanda agli Stati membri di disporre che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online istituiscano un meccanismo di reclamo e ricorso celere ed efficace che sia disponibile agli utenti dei loro servizi in caso di controversie in merito alla disabilitazione dell'accesso a, o alla rimozione di, specifiche opere o altri materiali da essi caricati.
ü stabilire le modalità e i criteri del meccanismo di adeguamento contrattuale previsto in mancanza di un accordo di contrattazione collettiva applicabile, di cui all'articolo 20 della direttiva (UE) 2019/790.
In base all'articolo 20 della direttiva, il meccanismo di adeguamento contrattuale deve garantire che gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) o i loro rappresentanti possano rivendicare una remunerazione ulteriore adeguata ed equa dalla parte con cui hanno stipulato un contratto per lo sfruttamento dei diritti, qualora la remunerazione inizialmente concordata si riveli sproporzionatamente bassa rispetto a tutti i proventi originati in un secondo tempo dallo sfruttamento delle loro opere o esecuzioni.
ü stabilire le modalità e i criteri, anche variabili in base ai diversi settori e al genere di opera, per l'esercizio del diritto di revoca di cui all'articolo 22 della direttiva (UE) 2019/790.
L'articolo 22 disciplina il diritto di revoca, totale o parziale, da parte di un autore o di un artista (interprete o esecutore), della concessione in licenza o del trasferimento in esclusiva dei propri diritti per un'opera o altri materiali protetti, nell'ipotesi di mancato sfruttamento dell'opera o di altri materiali protetti.
Articolo 10
(Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2019/878, che modifica la direttiva 2013/36/UE per quanto riguarda le entità esentate, le società di partecipazione finanziaria, le società di partecipazione finanziaria mista, la remunerazione, le misure e i poteri di vigilanza e le misure di conservazione del capitale, nonché per l'adeguamento al regolamento (UE) 2019/876, che modifica il regolamento (UE) 575/2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi)
L'articolo 10 detta i princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto a osservare, in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/878 e per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/876. Il primo atto integra e modifica la direttiva 2013/36/UE (Capital Requirements Directive - CRD), il secondo il regolamento (UE) n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR), che definiscono un sistema armonizzato di requisiti minimi riferiti al capitale e ad altri strumenti che una banca deve detenere affinché si possa ritenere che sia in grado di operare in condizioni di sicurezza e di far fronte autonomamente alle perdite operative.
Tali regole costituiscono i parametri da rispettare per assicurare una gestione sana e prudente degli enti creditizi e la prima linea (preventiva) di difesa contro le crisi che possono colpire i soggetti che svolgono attività legate al credito, sui quali vigilano la Banca Centrale Europea (BCE) e le banche centrali nazionali, secondo i meccanismi di cooperazione stabiliti dal regolamento (UE) n. 1024/2013 (Single Supervisory Mechanism Regulation - SSMR). Insieme alle regole sul risanamento e la risoluzione delle banche, contenute nella direttiva 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive - BRRD) e nel regolamento (UE) n. 806/2014 (Single Resolution Mechanism Regulation - SRMR), costituiscono la normativa unitaria (single rulebook) del settore a livello europeo.
Trattandosi di un complesso normativo di particolare complessità e dettaglio, a margine della presentazione dei criteri di delega viene fornita una sintetica indicazione dei contenuti della CRD e del CRR, alla luce delle modifiche da ultimo apportate al single rulebook bancario.
La lettera a) del comma 1 specifica che il Governo è delegato ad apportare alla normativa vigente e, in particolare, al decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - TUB) le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva (UE) 2019/878 e all'applicazione del regolamento (UE) 2019/876, relativi ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi, nonché delle pertinenti norme tecniche di regolamentazione di attuazione della direttiva e del regolamento tenendo conto degli orientamenti delle autorità di vigilanza europee. La lettera b) prevede la possibilità di ricorrere per l'attuazione della normativa europea alla disciplina secondaria adottata dalla Banca d'Italia. Nella delega viene specificato che quest'ultima autorità, nell'esercizio dei propri poteri regolamentari, tiene conto degli orientamenti emanati dalle autorità di vigilanza europee.
La lettera c) del comma 1 indica che il Governo dovrà confermare, ai sensi dell'articolo 53 del TUB, l'individuazione nella Banca d'Italia dell'autorità competente a esercitare le opzioni che la direttiva (UE) 2019/878 e il regolamento (UE) 2019/876 attribuiscono agli Stati membri.
Con riferimento alle opzioni discrezionali per cui è richiesta una scelta agli Stati membri, l'unico elemento rilevante recato dal regolamento (UE) 2019/876, è relativo alla possibilità di individuare una soglia inferiore ai 5 miliardi di euro per la definizione di enti piccoli e non complessi (nuovo punto 145 dell’articolo 4 del CRR). Oltre ad essere caratterizzato da un valore totale delle attività in media pari o inferiore alla soglia di 5 miliardi di euro nel quadriennio immediatamente precedente, il CRR prevede una serie di requisiti ulteriori necessari per qualificare un ente "piccolo e non complesso": non essere soggetto ad alcun obbligo (o soggetto a obblighi semplificati) in relazione ai piani di risoluzione e di risanamento; avere un portafoglio di negoziazione di piccole dimensioni a norma dell'articolo 94 del CRR; avere un valore totale delle posizioni in derivati non superiore al 2 per cento del totale delle attività in bilancio e fuori bilancio e un valore totale dell'insieme delle sue posizioni in derivati non superiore al 5 per cento e operante prevalentemente nello Spazio economico europeo. L'ente non deve, inoltre, utilizzare modelli interni per soddisfare i requisiti prudenziali e non aver sollevato obiezioni contro la classificazione come “ente piccolo e non complesso” presso l'autorità competente. Si segnala che la soglia dei 5 miliardi è superiore a quella attualmente prevista (3,5 miliardi) nella Circolare Banca d’Italia n. 285/2013 per definire la classe dimensionale delle "banche di minori dimensioni o complessità operativa".
Per quanto riguarda la direttiva (UE) 2019/878, l'unico elemento di discrezionalità è relativo alla definizione di "ente di minori dimensioni e complessità" rilevante ai fini dell'applicazione delle regole (più restrittive rispetto al regime vigente), relative alla remunerazione variabile degli esponenti aziendali, e per la definizione del perimetro di consolidamento a cui estendere la disciplina sulle remunerazioni
La lettera d) del comma 1 prevede l'attribuzione all'autorità designata ai sensi dell'articolo 53-ter del TUB (la Banca d'Italia, già individuata come autorità macro-prudenziale), i poteri previsti dagli articoli 124 e 164 del CRR, come modificato dal regolamento (UE) 2019/876.
Il nuovo articolo 124 del CRR (come modificato dal punto 60, articolo 1 del regolamento 2019/876) prevede che, in assenza di specifiche condizioni dettate dai successivi articoli 125 e 126 per la definizione di fattori di supporto (inferiori al 100 per cento e pari, a seconda dei casi, al 35 o al 50 per cento), alle esposizioni o eventuali parti di esposizioni pienamente garantite da un'ipoteca su beni immobili venga applicato un fattore di ponderazione del rischio del 100 per cento, a eccezione delle parti dell'esposizione assegnate ad un'altra classe. Alla parte dell'esposizione che supera il valore dell'ipoteca del bene immobile è assegnato il fattore di ponderazione del rischio applicabile alle esposizioni non garantite della controparte interessata. La parte di un'esposizione trattata come pienamente garantita da beni immobili non deve superare l'importo del valore di mercato del bene costituito in garanzia o, in quegli Stati membri che hanno stabilito mediante disposizioni legislative o regolamentari criteri rigorosi per la determinazione del valore del credito ipotecario, il valore del credito ipotecario del bene immobile in questione.
Il successivo paragrafo 1-bis impone agli Stati membri di designare un'autorità responsabile dell'applicazione del successivo paragrafo 2, specificando alcune regole di cooperazione istituzionale da applicare al caso in cui l'autorità designata sia diversa dall'autorità prudenziale (caso escluso da quanto indicato nel criterio di delega in esame). Il paragrafo 2 dell'articolo 124 prevede che, sulla base dei dati raccolti a norma dell'articolo 430-bis del CRR, e di eventuali altri indicatori rilevanti, l'autorità proceda periodicamente, e almeno una volta all'anno, a valutare se il fattore di ponderazione del rischio del 35 per cento applicabile alle esposizioni verso uno o più segmenti immobiliari garantite da ipoteche su immobili residenziali di cui all'articolo 125, situati in una o più parti del territorio dello Stato membro dell'autorità pertinente, e il fattore di ponderazione del rischio del 50 per cento per le esposizioni garantite da immobili non residenziali di cui all'articolo 126, situati in una o più parti del territorio dello Stato membro dell'autorità pertinente, siano basati in maniera appropriata su: a) le perdite effettive delle esposizioni garantite da immobili; b) gli sviluppi orientati al futuro sul mercato dei beni immobili.
Qualora l'autorità concluda che i fattori di ponderazione del rischio di cui all'articolo 125, paragrafo 2, o all'articolo 126, paragrafo 2, non rispecchiano adeguatamente i rischi effettivi relativi a uno o più segmenti immobiliari delle esposizioni pienamente garantite da ipoteche su immobili residenziali o su immobili non residenziali situati in una o più parti del territorio del relativo Stato membro e qualora ritenga che l'inadeguatezza della ponderazione del rischio potrebbe incidere negativamente sulla stabilità finanziaria attuale o futura del suo Stato membro, essa può, previa notifica all'Autorità bancaria europea (ABE) e al Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), aumentare i fattori di ponderazione del rischio applicabili a tali esposizioni o imporre criteri più severi di quelli di cui all'articolo 125, paragrafo 2, o all'articolo 126, paragrafo 2, garantendo agli enti un periodo transitorio di sei mesi per la loro applicazione. L'autorità può fissare i fattori di ponderazione del rischio entro i seguenti intervalli di valori: a) dal 35 per cento al 150 per cento in relazione alle esposizioni garantite da ipoteche su immobili residenziali; b) dal 50 per cento al 150 per cento per le esposizioni garantite da ipoteche su immobili non residenziali.
La lettera e) del comma 1 delega il Governo a estendere la disciplina delle sanzioni amministrative di cui al titolo VIII del TUB alle violazioni delle disposizioni dettate in attuazione della CRD e del CRR, nel rispetto dei criteri, dei limiti e delle procedure previste dalle disposizioni nazionali vigenti che disciplinano l'esercizio del potere sanzionatorio da parte delle autorità competenti a irrogarle.
La lettera f) del comma 1, con riferimento al potere di rimuovere il soggetto incaricato della revisione legale dei conti in banche e imprese di investimento, previsto in attuazione dell'articolo 1, punto 15), della direttiva (UE) 2019/878, delega il Governo a estenderne l'applicazione a tutti gli enti sottoposti a regime cosiddetto "intermedio" disciplinati dal TUB e dal TUF, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 19-ter, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 39 del 2010.
L'articolo 12 del regolamento (UE) n. 537/2014 prevede l'obbligo dei soggetti che svolgono attività di revisione contabile presso banche, imprese di assicurazione e, più in generale, tutte le società quotate, di comunicare all'autorità di vigilanza i fatti censurabili di cui sia venuto a conoscenza nell'esercizio delle proprie funzioni di revisione. L'articolo 63 della CRD, come modificato dalla direttiva (UE) 2019/878, impone agli Stati membri di disporre che le autorità competenti possano richiedere la sostituzione dei revisori legali qualora agiscano in violazione dell'obbligo di segnalare tempestivamente alle autorità competenti fatti o decisioni censurabili riguardanti di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio dei propri incarichi.
Per effetto dell'articolo 19-ter, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 39 del 2010 tale obbligo è stato esteso a tutti i cosiddetti enti sottoposti a regime intermedio, che prevede l’applicazione solo di alcune delle più stringenti regole di revisione applicate agli enti di interesse pubblico ai sensi del decreto legislativo n. 39 del 2010. In particolare, ai sensi dell'articolo 19-bis del citato decreto, sono enti a regime intermedio le società emittenti strumenti finanziari non quotati ma diffusi tra il pubblico in maniera rilevante; le società di gestione dei mercati regolamentati; le società che gestiscono i sistemi di compensazione e di garanzia; le società di gestione accentrata di strumenti finanziari; le società di intermediazione mobiliare; le società di gestione del risparmio ed i relativi fondi comuni gestiti; le società di investimento a capitale variabile e le società di investimento a capitale fisso; gli istituti di pagamento; gli istituti di moneta elettronica; gli intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all' articolo 106 del TUB.
In linea con l'estensione già operata, come rappresentato nella relazione illustrativa, "si rende opportuno, per esigenze di efficacia e organicità dell'azione di vigilanza nonché di coerenza sistemica", estendere il potere dell'autorità di vigilanza di rimuovere dall'incarico il revisore che non adempia all'obbligo di comunicazione nei confronti dell'autorità, introdotto dalla direttiva (UE) 2019/878, a tutti i soggetti ai quali si applica l'obbligo di segnalazione dei fatti censurabili.
Infine, la lettera g) del comma 1 prevede che il Governo apporti alla disciplina in materia di assetti proprietari contenuta nel TUB e nel TUF, le modifiche volte ad assicurarne la conformità agli orientamenti delle Autorità di vigilanza europee in materia e, in particolare, alle previsioni riguardanti l'individuazione delle partecipazioni rilevanti acquisite in via indiretta e tramite patti parasociali. Si tratta in particolare degli orientamenti comuni per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni qualificate nel settore finanziario emanati ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) n. 1093/2010 (che ha istituito l'ABE). Gli orientamenti comuni presentano la posizione delle autorità di vigilanza europee (oltre all'autorità bancaria ABE, si tratta dell'autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) in merito alle prassi di vigilanza ritenute adeguate all’ambito del Sistema europeo di vigilanza finanziaria o alle modalità di applicazione del diritto dell’Unione in un particolare settore. Le autorità competenti interessate sono tenute a conformarsi agli orientamenti comuni, integrandoli opportunamente nelle rispettive prassi di vigilanza (per esempio modificando il proprio quadro giuridico o le proprie procedure di vigilanza). La loro trasposizione nel diritto nazionale è pertanto finalizzata a garantire che il quadro giuridico non presenti elementi ostativi all'adeguamento da parte delle autorità nazionali agli orientamenti europei.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, per la quale dall'attuazione dell'articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La direttiva CRD detta in primo luogo le condizioni di accesso all'attività degli enti creditizi, nell'ambito delle quali vengono identificate regole specifiche relative all'idoneità dei soggetti che detengono partecipazioni nei medesimi enti. Con riferimento alla vigilanza prudenziale, a valle del quadro che disciplina la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi su base europea, vengono definite le competenze e i compiti dello Stato membro d'origine e dello Stato membro ospitante, i poteri di vigilanza (su base individuale e consolidata) e sanzionatori, nonché le relazioni con Paesi terzi. Per gli enti creditizi, vengono indicati i dispositivi, i processi e i meccanismi volti a conformare l'attività a criteri di sana e prudente gestione: regole sul governo societario, sui piani di risanamento e risoluzione, sulle politiche di remunerazione, sull'organizzazione e il trattamento dei rischi. Oltre ai requisiti organizzativi vengono previsti una serie di requisiti quantitativi applicabili alle riserve di capitale e una serie di misure di conservazione del capitale stesso. Il rispetto di tali presidi viene sottoposto al processo di valutazione dell'adeguatezza del capitale interno da parte delle autorità. La direttiva CRD è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 72 del 2015, che è intervenuto apportando le necessarie modifiche il decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo unico bancario - TUB) e al decreto legislativo n. 58 del 1998 (Testo unico dell'intermediazione finanziaria - TUF).
Il regolamento CRR attua con norme direttamente applicabili definite a livello europeo il quadro appena tracciato, definendo il livello di applicazione dei requisiti (su base individuale e consolidata). Il regolamento stabilisce gli elementi di bilancio che possono essere classificati come fondi propri da parte di enti creditizi, società di partecipazione finanziaria e società di partecipazione finanziaria miste sottoposti a vigilanza ai sensi della CRD: capitale primario di classe 1 (al netto di rettifiche, deduzioni, esenzioni e alternative alla deduzione), capitale aggiuntivo di classe 1 e di classe 2 (sempre al netto delle relative deduzioni). Fra le deduzioni rientrano, ad esempio, le perdite, le attività immateriali, le partecipazioni incrociate reciproche concepite per gonfiare artificialmente i fondi propri, le attività dei fondi pensione a prestazioni definite e le attività fiscali differite che dipendono dalla redditività futura. I fondi propri sono composti da strumenti di capitale, utili non distribuiti, riserve e altri strumenti sostanzialmente assimilabili al capitale. Tali strumenti sono soggetti a specifiche condizioni che ne differenziano il grado di disponibilità rispetto alla capacità di assorbimento delle perdite. Gli strumenti del capitale aggiuntivo di classe 2 sono soggetti, tra l'altro, a svalutazione o conversione direttamente da parte dell'ente al verificarsi di un cd. evento attivatore, mentre per gli strumenti di classe 2 la svalutazione o conversione in capitale non è direttamente connessa a un evento attivatore ma può essere disposta dall'autorità di risoluzione. Il regolamento stabilisce altresì le condizioni affinché gli elementi passivi di bilancio siano classificabili fra le "passività ammissibili" ai fini del relativo requisito minimo (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities - MREL).
Sulla base di tali definizioni, il regolamento stabilisce la disciplina generale dei requisiti patrimoniali: livello dei fondi propri richiesto (con specifica quantificazione dei coefficienti applicabili alle imprese di investimento e agli enti a rilevanza sistemica a livello globale) e relative disposizioni in materia di calcolo e di segnalazione. I requisiti sono rappresentati attraverso coefficienti, per cui i fondi richiesti all'ente per assicurare una gestione prudente e una prima linea di difesa nei confronti di crisi aziendali e di sistema sono espressi in percentuale dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. L'importo del capitale necessario, pertanto, dipende dal rischio legato alle attività di una determinata banca. Ad attività meno rischiose corrisponde una minore richiesta di fondi disponibili per l'assorbimento delle eventuali perdite, mentre alle attività più rischiose è attribuito un "fattore di ponderazione" del rischio più elevato, per cui l'ammontare di capitale che la banca deve accantonare cresce progressivamente in ragione dei rischi connessi alle poste attive del bilancio.
Vengono inoltre definiti requisiti per il portafoglio di negoziazione e per la valutazione prudente di tutte le attività in portafoglio.
A margine della disciplina generale vengono identificati requisiti patrimoniali relativi a specifici rischi. Con riferimento al rischio di credito vengono stabiliti i criteri di valutazione e i fattori di ponderazione del rischio rispetto a specifiche esposizioni. In tale contesto, l'articolo 114, paragrafo 4 del CRR dispone che alle esposizioni verso le amministrazioni centrali e le banche centrali degli Stati membri dell'Unione europea denominate e finanziate nella valuta nazionale si attribuisce un fattore di ponderazione del rischio dello 0 per cento, per cui, non viene richiesto un accantonamento di fondi in relazione a tali attività. In generale, al netto della liquidità e delle attività meno rischiose, fra le quali rientrano oltre alle esposizioni verso le amministrazioni centrali e le banche centrali appena citate, anche quelle nei confronti delle organizzazioni internazionali, alle altre esposizioni vengono applicati fattori di ponderazione progressivi che "pesano" dal 20 al 150 per cento del valore dell'attività in ragione della specifica classe di merito di credito assegnata, che corrisponde a un intervallo di stima delle probabilità che il debitore non sia in grado di corrispondere il capitale e gli interessi dovuti. Regole di dettaglio vengono disposte per specifiche tipologie di esposizioni, ad esempio derivanti da operazioni di cartolarizzazione. Un ente può prescegliere una o più agenzie esterne di valutazione del merito di credito (ECAI) per determinare i fattori di ponderazione del rischio attribuibili agli attivi e agli elementi fuori bilancio ovvero chiedere all'autorità competente di essere autorizzato, nel rispetto delle condizioni previste dal CRR, a calcolare gli importi delle esposizioni ponderati per il rischio utilizzando il metodo basato sui rating interni ("metodo IRB").
Oltre agli accantonamenti di capitale (requisiti di fondi propri) relativi al rischio di credito, vengono dettagliati i criteri per la valutazione e gli accantonamenti relativi al rischio operativo, al rischio di mercato, al rischio di regolamento e alla leva finanziaria.
Anche per il rischio di mercato viene previsto un metodo di valutazione standardizzato (al quale si affianca un metodo standardizzato alternativo per le segnalazioni previste dall'articolo 430-ter) e la possibilità di utilizzare un metodo di modelli interni autorizzato dall'autorità competente, anche in modo combinato rispetto al metodo standardizzato.
Nel complesso, il regolamento stabilisce norme dettagliate volte a quantificare in modo completo, uniforme e standardizzato i requisiti di fondi propri connessi ai suddetti elementi. Il regolamento stabilisce altresì regole uniformi concernenti i requisiti di fondi propri e passività ammissibili che si applicano alle entità soggette a risoluzione che sono enti a rilevanza sistemica a livello globale (G-SIIs) o fanno parte di G-SIIs o sono "filiazioni" significative di G-SIIs non UE.
Il CRR contiene inoltre una disciplina delle "grandi esposizioni". L'esposizione di un ente verso un cliente o un gruppo di clienti connessi è considerata una grande esposizione quando il suo valore è pari o superiore al 10 per cento del capitale ammissibile dell'ente. Rispetto a tali attività vengono disposti obblighi di segnalazione, requisiti organizzativi e specifici limiti alla relativa gestione.
Vengono poi dettate regole sulla gestione della liquidità e, infine, sull'informativa da rendere al pubblico da parte degli enti creditizi.
La direttiva (UE) 2019/878 e il regolamento (UE) 2019/876 hanno determinato una revisione complessiva della CRD e del CRR, anche al fine di trasporre in ambito europeo gli elementi definiti dagli organismi di normazione internazionale (Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria e Consiglio per la stabilità finanziaria). Le principali modifiche apportate al quadro normativo prudenziale riguardano i requisiti di capitale e di liquidità, la vigilanza, l'informativa al pubblico, l'applicazione del principio di proporzionalità e le disposizioni riconducibili alla disciplina sulla risoluzione delle banche. Sono state previste anche innovazioni relative alla governance, ad esempio, prevedendo che le politiche e prassi di remunerazione siano neutrali rispetto al genere (nuovo articolo 74 della CRD).
Più in particolare, è stato introdotto un nuovo requisito che ha stabilito in via legislativa (cosiddetto "primo pilastro" che riguarda la definizione uniforme dei requisiti) il limite del 3 per cento del coefficiente di leva finanziaria applicabile dal 2021 (punto 46 dell’articolo 1 del regolamento UE 876/2019 che introduce la nuova lettera d) dell’articolo 92 del CRR). Inoltre, dal 2022 per i G-SIIs (la definizione è inserita al nuovo punto 133 dell’articolo 4 del CRR, introdotto dal punto 2 del regolamento UE 876/2019) è previsto un requisito aggiuntivo pari al 50 per cento del coefficiente relativo alla riserva di capitale prevista dalla CRD per gli enti di rilevanza sistemica globale. Vengono introdotti dei limiti alla distribuzione in relazione al capitale di classe 1 in caso di mancato rispetto del limite del coefficiente di leva finanziaria (nuovo articolo 141-bis della CRD, punto 52 della direttiva UE 878/2019), in analogia a quanto già previsto per i coefficienti di capitale. Il calcolo della leva finanziaria è stato integralmente rivisto (articoli da 429 a 429-septies del CRR).
È stato introdotto un nuovo limite, applicabile dal 2021, del 100 per cento relativo al coefficiente di finanziamento stabile (Net Stable Funding Ratio - NSFR, disciplinato dai nuovi articoli 428-bis e seguenti del CRR).
Sono state rivisitate le modalità di calcolo del requisito per il rischio di mercato. Nell'ambito di tale revisione sono stati inclusi gli strumenti finanziari di proprietà nel portafoglio di negoziazione (nuovi articoli 325 e seguenti del CRR). La revisione è finalizzata a stabilire regole più chiare sul campo di applicazione per evitare che gli enti selezionino il trattamento patrimoniale più favorevole tra il portafoglio di negoziazione e il portafoglio bancario, a rendere proporzionati i requisiti, in modo da riflettere con maggiore precisione i rischi cui sono esposte le banche e a rafforzare le condizioni per l'utilizzo di modelli interni al fine di migliorare la coerenza e la comparabilità dei fattori di ponderazione del rischio tra le banche. Le banche con un portafoglio di negoziazione di piccole dimensioni (meno di 50 milioni di euro e meno del 5% delle attività totali di bilancio) sono autorizzate ad applicare il trattamento delle posizioni del portafoglio bancario al loro portafoglio di negoziazione.
La revisione ha riguardato anche le norme relative al calcolo del requisito di capitale per il rischio di controparte (articoli da 272 a 310 del CRR), con l'introduzione di un nuovo metodo standardizzato per il rischio di controparte, del quale viene fornita una versione semplificata per gli intermediari che non superano le soglie dimensionali di cui al nuovo articolo 273-bis del CRR.
Modifiche significative sono state inoltre apportate alle disposizioni in materia di grandi esposizioni (articoli 395 e seguenti del CRR). In particolare, è stato ridotto il limite generale del 25 per cento (rispetto al capitale di classe 1) al 15 per cento applicabile alle esposizioni di un G-SII verso un altro G-SII. La possibilità di utilizzare le tecniche di tecniche di attenuazione del rischio (customer relationship management - CRM) è consentita solo le stesse se sono già utilizzate per il calcolo del requisito di capitale per il rischio creditizio (nuovo paragrafo 1 dell’articolo 399 del CRR.
È stata rivista la disciplina della deducibilità dai fondi propri dalle attività immateriali relativamente ai costi per software: l'articolo 36 del CRR non prevede più la deduzione della totalità delle attività immateriali ma delle "attività immateriali ad eccezione delle attività sotto forma di software valutate prudentemente sul cui valore la risoluzione, l'insolvenza o la liquidazione dell'ente non ha effetti negativi" (punto 18, articolo 1 del regolamento UE 876/2019.
È stata modificata la disciplina sull’informativa al pubblico (punto 119 del regolamento UE 876/2019, articoli da 431 a 455 del CRR), in particolare con l’inclusione delle informazioni riguardanti nuovi adempimenti relativi a passività eleggibili, NSFR e leva finanziaria.
Viene prevista una ponderazione di favore (35 per cento) per esposizioni derivanti da prestiti a pensionati e dipendenti a tempo indeterminato in presenza di una serie di condizioni (punto 59, articolo 1 del regolamento UE 876/2019 che modifica l’articolo 123 del CRR). In particolare, alle esposizioni dovute a prestiti concessi da un ente creditizio a pensionati o lavoratori dipendenti con un contratto a tempo indeterminato a fronte del trasferimento incondizionato all'ente creditizio di parte della pensione o della retribuzione del debitore è attribuito un fattore di ponderazione del rischio del 35 per cento, purché siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: durata massima di 10 anni, il prestito non supera il 20 per cento della remunerazione, è in essere una polizza assicurativa in caso di decesso e il rimborso deve avvenire tramite deduzione dalla pensione o dalla remunerazione).
La CRD enfatizza la circostanza che i requisiti di capitale aggiuntivi definiti nell'ambito del processo di controllo prudenziale effettuato dalle autorità competenti (cosiddetto "secondo pilastro") devono essere motivati esclusivamente dalle specificità della singola banca e non possono essere motivate da scopi macro-prudenziali (considerando 13 e 14 e punto 33, articolo 1 della direttiva UE 878/2019, nuovo articolo 104-bis della CRD). Nei "considerando" viene riconosciuto che il requisito di fondi propri aggiuntivi imposto dalle autorità competenti costituisce un fattore importante per determinare il livello complessivo dei fondi propri di un ente ed è pertinente per i partecipanti al mercato, poiché il livello del requisito di fondi propri aggiuntivi imposto incide sulla soglia di attivazione dei limiti applicati ai pagamenti di interessi, ai bonus e ai pagamenti a titolo degli strumenti aggiuntivi di classe 1. Da tale considerazione deriva l'opportunità di definire chiaramente le condizioni cui è subordinata l'imposizione del requisito di fondi propri aggiuntivi per garantire un'applicazione uniforme delle norme in tutti gli Stati membri e assicurare il buon funzionamento del mercato interno. Il requisito di fondi propri aggiuntivi imposto dalle autorità competenti dovrebbe essere stabilito in funzione della situazione specifica dell'ente ed essere debitamente giustificato. I requisiti di fondi propri aggiuntivi possono essere imposti per far fronte a rischi o elementi di rischio esplicitamente esclusi o non esplicitamente coperti dai requisiti di fondi propri di cui al CRR solo nella misura in cui ciò sia ritenuto necessario alla luce della situazione specifica dell'ente.
Allo stesso tempo, vengono introdotte norme che stabiliscono specifici poteri a disposizione delle autorità di vigilanza rispetto alla possibilità di imporre requisiti di capitale aggiuntivi determinati caso per caso (nuovo articolo 104-bis della CRD). La possibilità di imporre requisiti aggiuntivi viene inserita in un processo di interlocuzione con l'autorità competente in cui la stessa comunichi agli enti i propri orientamenti sui fondi propri aggiuntivi (nuovo articolo 104-ter della CRD), e sia in grado di motivare chiaramente le proprie decisioni relative ai requisiti aggiuntivi (nuovo articolo 104-bis, paragrafo 5, della CRD).
Con l'obiettivo di facilitare i prestiti alle piccole e medie imprese (PMI), è stato rivisto l'articolo 501 del CRR (punto 133 dell’articolo 1 del regolamento UE 876/2019), per estendere il cosiddetto "supporting factor" (requisito patrimoniale moltiplicato per 0,7619 per i prestiti non in stato di default fino a 1,5 milioni di euro). Nella nuova versione si applica una riduzione del 15 per cento del requisito per la parte eccedente i 2,5 milioni di euro, con l’applicazione del supporting factor fino a tale soglia.
Al fine di facilitare i prestiti ai progetti infrastrutturali mediante una ponderazione delle relative esposizioni pari al 75 per cento, nel rispetto di una serie di condizioni, viene inserito l’articolo 501-bis del CRR relativo alle rettifiche ai requisiti di fondi propri per il rischio di credito per le esposizioni verso soggetti che gestiscono o finanziano strutture fisiche o impianti, sistemi e reti che forniscono o sostengono servizi pubblici essenziali (punto 134 dell’articolo 1 del regolamento UE 876/2019).
Con l'obiettivo di contenere gli impatti sulle perdite stimate in caso di fallimento del debitore (Loss Given Default - LGD) in conseguenza dell'applicazione dei modelli interni per il calcolo del requisito sul rischio di credito a seguito delle vendite su vasta scala di crediti, è stato integralmente sostituito l'articolo 500 del CRR (punto 134 dell’articolo 1 del regolamento UE 876/2019). In particolare, viene previsto che in deroga all'articolo 181, paragrafo 1, lettera a) del CRR, che prevede la stima delle LGD per classe di debitore sulla base della LGD effettiva media osservata su tutti i default, un ente possa correggere le proprie stime delle LGD compensando in parte o del tutto l'effetto delle vendite su larga scala di esposizioni in stato di default sulle LGD effettive fino alla differenza tra la media delle LGD stimate per le esposizioni comparabili in stato di default che non sono state liquidate in via definitiva e la media delle LGD effettive, anche sulla base delle perdite effettive dovute a vendite su larga scala, se sono soddisfatte alcune condizioni riguardanti l’informativa all’Autorità di vigilanza, la data di effettuazione delle vendite e l’importo cumulativo delle vendite su larga scala.
Viene inserita una nuova disciplina della "Intermediate Holding Company" (punto 9, articolo 1 della direttiva UE 878/2019, che inserisce l'articolo 21-ter nella CRD, rubricato "Impresa madre nell’UE intermedia"). In particolare, due o più enti nell'Unione appartenenti allo stesso gruppo di un Paese terzo, con un valore totale delle attività che supera i 40 miliardi di euro, sono tenuti ad avere un'unica impresa madre nell'UE intermedia, stabilita nell'Unione. Tale impresa è un ente creditizio autorizzato ai sensi dell'articolo 8 della CRD o una società di partecipazione finanziaria o società di partecipazione finanziaria mista a cui è stata concessa l'approvazione ai sensi dell'articolo 21-bis della CRD.
Viene inserita la nuova nozione di "filiazione significativa" (nuovo punto 135 dell’articolo 4 del CRR, introdotto dal punto 1 del regolamento UE 876/2016). L'impresa "figlia" è sostanzialmente un'impresa soggetta a controllo di diritto o di fatto da parte di un'impresa madre. La filiazione significativa è una filiazione che soddisfa una o più delle seguenti condizioni su base individuale o consolidata: detiene più del 5 per cento delle attività consolidate ponderate per il rischio della sua impresa madre apicale; genera più del 5 per cento del reddito operativo totale della sua impresa madre apicale; la misura dell'esposizione complessiva della filiazione è superiore al 5 per cento della misura dell'esposizione complessiva consolidata della sua impresa madre apicale.
Viene inoltre introdotta la nozione di “Ente piccolo e non complesso” (nuovo punto 145 dell’articolo 4 del CRR), caratterizzato da un valore totale delle attività in media pari o inferiore alla soglia di 5 miliardi di euro nel quadriennio immediatamente precedente; non soggetto ad alcun obbligo (o soggetto a obblighi semplificati) in relazione ai piani di risoluzione e di risanamento; con un portafoglio di negoziazione di piccole dimensioni a norma dell'articolo 94 del CRR; con un valore totale delle posizioni in derivati non superiore al 2 per cento del totale delle attività in bilancio e fuori bilancio e un valore totale dell'insieme delle sue posizioni in derivati non superiore al 5 per cento e operante prevalentemente nello Spazio economico europeo. L'ente non deve, inoltre, utilizzare modelli interni per soddisfare i requisiti prudenziali e non aver sollevato obiezioni contro la classificazione come “ente piccolo e non complesso” presso l'autorità competente. Si segnala che la soglia dei 5 miliardi è superiore a quella attualmente prevista (3,5 miliardi) nella Circolare Banca d’Italia n. 285/2013 per definire la classe dimensionale delle "banche di minori dimensioni o complessità operativa".
Con riferimento al raccordo fra la disciplina dei requisiti prudenziali e la disciplina di risanamento e risoluzione delle crisi bancarie, viene introdotto nel CRR l'obbligo per le banche identificate come soggette a risoluzione e che sono G-SIIs o fanno parte di un G-SIIs (o sono controllate significative di G-SIIs non UE), di detenere livelli minimi di capitale e di altri strumenti (passività ammissibili) idonei a sostenere le perdite nella risoluzione delle crisi, conformemente allo standard internazionale della capacità totale di assorbimento delle perdite (Total Loss Absorbing Capacity - TLAC). Il nuovo requisito prevede un rapporto basato sul rischio delle attività (Risk Weighted Assets - RWA) e un rapporto non basato sul rischio (stesso denominatore del coefficiente di leva finanziaria) rispetto alla somma dei fondi propri e delle passività ammissibili. La logica sottesa al rapporto con il totale delle passività, che esclude quindi la calibrazione del requisito in base alla rischiosità dell'attivo, è quella che informa la determinazione del requisito minimo di passività ammissibili (Minimum Requirement of Eligible Liabilities - MREL).
Il considerando 15 del regolamento UE 876/2019 ricorda che il 9 novembre 2015 il Consiglio per la stabilità finanziaria (FSB) ha pubblicato le modalità di funzionamento della capacità totale di assorbimento delle perdite (disciplina TLAC), che sono state approvate dal G-20 in occasione del vertice del novembre 2015 in Turchia. La disciplina TLAC, di cui il considerando auspica l'attuazione nel diritto dell'Unione europea, prevede che le banche a rilevanza globale detengano un numero sufficiente di passività con un'elevata capacità di assorbimento delle perdite (sottoponibili a opzioni di bail-in, salvataggio interno attraverso la svalutazione o conversione in capitale dei relativi strumenti), al fine di garantire che, in caso di risoluzione, l'assorbimento delle perdite e la ricapitalizzazione siano adeguati e rapidi. Il successivo considerando 16 specifica che l'applicazione della norma TLAC nel diritto dell'Unione deve tenere conto del requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL), di cui alla direttiva BRRD. Poiché la norma TLAC e il MREL perseguono lo stesso obiettivo di assicurare che gli enti dispongano di una sufficiente capacità di assorbimento delle perdite, i due requisiti dovrebbero essere elementi complementari di un quadro comune. A livello operativo, il livello minimo armonizzato della norma TLAC dovrebbe essere inserito nel CRR attraverso un nuovo requisito di fondi propri e passività ammissibili.
Di conseguenza, è stata inserita la nozione e la relativa disciplina delle "passività ammissibili" nel CRR, (articoli 72-bis e seguenti) e sono stati definiti nuovi limiti regolamentari per i G-SII (nuovo articolo 92-bis del CRR, rubricato “Requisiti di fondi propri e passività ammissibili per i G-SII”).
La disciplina prevede:
· un coefficiente pari al 18 per cento dei RWA per l’aggregato fondi propri e passività ammissibili (con una norma transitoria che riduce il livello al 16 per cento fino al 31 dicembre 2021 in base al nuovo articolo 494 del CRR). Viene dunque identificato un requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL) parametrato non più al totale delle passività, bensì alle attività ponderate per il rischio (secondo la logica della norma TLAC);
· un limite all’esposizione complessiva di cui all'articolo 429, paragrafo 4 del CRR (relativa al coefficiente di leva finanziaria, dove, in sostanza le attività vengono sommate, pur con alcuni aggiustamenti, senza essere ponderate per il rischio) del 6,75 per cento parametrato alla somma di fondi propri e passività ammissibili (con l'articolo 494 del CRR che anche in questo caso riduce il livello al 6 per cento fino al 31 dicembre 2021);
· un nuovo limite regolamentare del 90 per cento dei due suddetti requisiti per filiazioni significative (non soggette a risoluzione) di G-SIIs non EU (nuovo articolo 92-ter, paragrafo 1 del CRR)
· un nuovo requisito di finanziamento stabile (nuovo articolo 413 del CRR) in virtù del quale gli enti assicurano che le attività a lungo termine e gli elementi fuori bilancio siano adeguatamente "coperti" con una serie di strumenti di finanziamento (funding) stabile sia in condizioni normali che in condizioni di stress (punto 108 articolo 1 del regolamento 876/2019). Il requisito di finanziamento stabile prevede che il i fondi a disposizione siano pari al 100 per cento dei fondi richiesti, calcolati secondo quanto indicato nel CRR;
· nuovi requisiti di liquidità (nuovo articolo 414 del CRR) per cui un ente che non soddisfa o prevede di non soddisfare i requisiti in materia di copertura della liquidità (articolo 412) o di finanziamento stabile (articolo 413), anche in periodi di stress, ne dà immediata comunicazione alle autorità competenti e inoltra alle stesse senza indugio un piano per il tempestivo ripristino della conformità ai suddetti requisiti.
Articolo 11
(Princìpi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2019/879, che modifica la direttiva 2014/59/UE per quanto riguarda la capacità di assorbimento di perdite e di ricapitalizzazione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e la direttiva 98/26/CE, nonché per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 806/2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010)
L'articolo 11 detta i princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto a osservare, in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/879 e per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2014/806. Il primo atto integra e modifica la direttiva 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive - BRRD) che, insieme al regolamento (UE) n. 806/2014 (Single Resolution Mechanism Regulation - SRMR), che definisce un sistema armonizzato di regole sul risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie.
Insieme alle regole che definiscono un sistema armonizzato di requisiti minimi riferiti al capitale e ad altri strumenti che una banca deve detenere affinché si possa ritenere che sia in grado di operare in condizioni di sicurezza e di far fronte autonomamente alle perdite operative, contenute nella direttiva 2013/36/UE (Capital Requirements Directive - CRD) e nel regolamento (UE) n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR), atti sui quali vigilano la Banca Centrale Europea (BCE) e le banche centrali nazionali, secondo i meccanismi di cooperazione stabiliti dal regolamento (UE) n. 1024/2013 (Single Supervisory Mechanism Regulation - SSMR), costituiscono la normativa unitaria (single rulebook) del settore a livello europeo.
Si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 10 per ulteriori informazioni sulla direttiva CRD e sul regolamento CRR.
Trattandosi di un complesso normativo di particolare complessità e dettaglio, a margine della presentazione dei criteri di delega viene fornita una sintetica indicazione dei contenuti della BRRD e del SRMR, alla luce delle modifiche da ultimo apportate al single rulebook bancario.
La lettera a) del comma 1 specifica che il Governo è delegato ad apportare alla normativa vigente e, in particolare, a quella di recepimento della direttiva BRRD, contenuta nei decreti legislativi n. 180 del 2015 e n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - TUB) e n. 58 del 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF), le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva (UE) 2019/879, nonché all'applicazione del regolamento (UE) n. 806/2014 (SRMR), come modificato dal regolamento (UE) 2019/877, e delle pertinenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione, tenendo conto degli orientamenti dell'Autorità bancaria europea (ABE).
La lettera b) del comma 1 specifica che il Governo è chiamato a garantire la coerenza tra la disciplina nazionale di recepimento della direttiva e il quadro normativo dell'Unione europea in materia di vigilanza bancaria, gestione delle crisi e tutela dei depositanti.
La lettera c) prevede la possibilità di ricorrere per l'attuazione della normativa europea alla disciplina secondaria adottata dalla Banca d'Italia. Nella delega viene specificato che quest'ultima autorità, nell'esercizio dei propri poteri regolamentari, tiene conto degli orientamenti emanati dalle autorità di vigilanza europee.
Tali previsioni sono ulteriormente integrate dalle lettere g) e h) del comma 1, che delegano il Governo:
- ad apportare alla predetta normativa (in particolare, le norme indicate alla lettera a)) ogni altra modifica e integrazione volta a chiarire la disciplina applicabile e ad assicurare maggiore efficacia ed efficienza alla gestione delle crisi di tutti gli intermediari ivi disciplinati, anche tenendo conto di quanto previsto dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (decreto legislativo n. 14 del 2019) e delle esigenze di celerità delle relative procedure;
- nonché ad apportare al richiamato decreto legislativo n. 180 del 2015 e al TUB le modifiche e le integrazioni necessarie ad assicurare la (piena) coerenza con il regolamento SRMR, come modificato dal regolamento (UE) 2019/877.
La lettera d) del comma 1 delega il Governo ad avvalersi della facoltà prevista dall'articolo 33-bis, paragrafo 3, e dall'articolo 69, paragrafo 5, della direttiva BRRD, come modificata dalla direttiva (UE) 2019/879, riferiti alla tutela dei titolari di depositi esclusi dai relativi schemi di garanzia, in caso di sospensione degli obblighi di pagamento e di consegna nel corso di una risoluzione o prima del suo avvio.
In particolare, il nuovo articolo 33-bis, paragrafo 3 della BRRD (inserito dall'articolo 1, punto 12 della direttiva (UE) 2019/879) impone agli Stati membri di provvedere a che le autorità di risoluzione, previa consultazione dell'autorità competente, che risponde rapidamente, dispongano del potere di sospendere gli obblighi di pagamento o di consegna a norma di un contratto di cui è parte un ente creditizio, se sono soddisfatte una serie di condizioni: l'ente è in dissesto o a rischio di dissesto, non esistono misure disponibili sotto forma di intervento del settore privato e la misura è necessaria per evitare l'ulteriore deterioramento delle condizioni finanziarie dell'ente e per consentire la corretta valutazione delle azioni di risoluzione da intraprendere. Si tratta dunque della possibilità di esercitare tale potere quando già esistono alcune delle condizioni essenziali per l'avvio della risoluzione (dissesto o rischio di dissesto dell'ente) ma la valutazione complessiva non è stata ancora compiuta.
In tale contesto, il paragrafo 3 dell'articolo attribuisce agli Stati membri il potere di disporre che, ove la sospensione degli obblighi di pagamento o di consegna sia stabilita rispetto ai depositi che non sono esclusi dai relativi schemi di garanzia ("depositi ammissibili"), le autorità di risoluzione assicurino che i depositanti abbiano accesso a un importo giornaliero adeguato di tali depositi. La norma fa riferimento ai depositi ammissibili agli schemi di garanzia nel loro complesso, senza distinguere fra depositi coperti (la parte di depositi ammissibili che non supera il livello di copertura stabilito dall'articolo 6 della direttiva 2014/49/UE) e non coperti.
L'articolo 69 della BRRD (come modificato dall'articolo 1, punto 30 della direttiva (UE) 2019/879) fa invece riferimento al momento in cui avviene la pubblicazione da parte dell’autorità di risoluzione della copia del provvedimento o dello strumento mediante il quale l’azione di risoluzione è avviata oppure di un avviso che riassuma gli effetti di tale azione, in particolare sui clienti al dettaglio e, se del caso, i termini e il periodo di esercizio dei poteri di sospensione degli obblighi di pagamento o di consegna (articolo 69 della BRRD), di limitazione dell'opponibilità dei diritti di garanzia (articolo 70) e di sospensione temporanea dei diritti di recesso (articolo 71). Anche in questo caso, tramite la modifica del paragrafo 5 dell'articolo 69 si consente agli Stati membri di stabilire che, ove il potere di sospendere gli obblighi di pagamento o di consegna sia esercitato rispetto ai depositi ammissibili, le autorità di risoluzione assicurino che i depositanti abbiano accesso a un importo giornaliero adeguato di tali depositi.
La lettera e) del comma 1 delega il Governo affinché si avvalga, con le modalità più idonee ad assicurare la tutela degli investitori al dettaglio, delle facoltà previste dall'articolo 44-bis della direttiva BRRD, inserito nella stessa dall'articolo 1, punto 16 della direttiva (UE) 2019/879, sulla disciplina sulla commercializzazione degli strumenti finanziari computabili nel requisito minimo di passività soggette ad opzioni di salvataggio interno (bail-in) in grado di determinarne la svalutazione o la conversione in capitale.
In particolare, il nuovo articolo 44-bis, prevede una serie di regole volte a limitare la vendita di strumenti che rappresentano passività ammissibili, consentendo agli Stati membri di prevedere ulteriori limitazioni. In primo luogo, viene escluso che l'acquisto di tali strumenti avvenga attraverso la prestazione di servizi esecutivi, che non richiedono valutazioni da parte dell'impresa di investimento che esegue l'ordine di acquisto in merito all'adeguatezza dell'operazione ai sensi della direttiva 2014/65/UE, cosiddetta Markets in Financial Instruments Directive - MiFID. Al contrario, gli Stati membri devono assicurare che i venditori valutino, accertino e documentino l'adeguatezza delle operazioni di acquisto di passività ammissibili. Il paragrafo 1 consente agli Stati membri di estendere tale regime a tutti gli strumenti che si configurano come fondi propri o passività sottoponibili al bail-in.
Ulteriori limitazioni sono recate da paragrafo 2 dell'articolo 44-bis che stabilisce un taglio minimo iniziale (almeno 10 mila euro) e dei limiti alla concentrazione degli investimenti (massimo il 10 per cento del portafoglio) il cui rispetto deve essere assicurato dalle imprese che prestano servizi di investimento, sulla base delle informazioni fornite dagli investitori al dettaglio. Tali limiti si applicano agli strumenti che rappresentano passività ammissibili e agli altri strumenti ai quali gli Stati membri riterranno di estendere la disciplina del paragrafo 1.
Il paragrafo 5 dell'articolo 44-bis consente agli Stati membri, in deroga ai paragrafi da 1 a 4 dell'articolo, di fissare un importo nominale minimo di almeno 50 mila euro per le passività ammissibili (ed altri ai quali si riterrà di estendere la disciplina del paragrafo 1), tenendo conto delle condizioni di mercato e delle pratiche del mercato dello Stato membro, nonché delle misure di protezione dei consumatori vigenti nella sua giurisdizione.
Il paragrafo 6 consente agli Stati membri un'ulteriore opzione: applicare soltanto l'obbligo per il venditore di accertare che gli strumenti siano adeguati rispetto al profilo dell'investitore al dettaglio, disapplicando le restanti limitazioni alla vendita imposte dall'articolo 44-bis della BRRD, qualora il valore totale delle attività delle entità soggette a risoluzione non superi i 50 miliardi di euro.
Il paragrafo 7 dell'articolo 44-bis specifica, infine, che gli Stati membri non sono tenuti ad applicare le limitazioni previste dal medesimo articolo alle passività ammissibili (e agli altri strumenti ai quali si decidesse di estendere il regime) emesse prima del 28 dicembre 2020.
Si segnala che, alla luce dell'ampia discrezionalità che l'articolo 44-bis della BRRD riconosce agli Stati membri, la delega appare generica e potrebbe non fornire adeguati criteri e principi in grado di indirizzare le complesse scelte da effettuare nel decreto legislativo.
La lettera f) del comma 1 delega il Governo ad avvalersi della facoltà, (con gli effetti previsti dall'articolo 71-bis della direttiva BRRD, inserito nella medesima dall'articolo 1, punto 33 della direttiva (UE) 2019/879) di imporre alle società italiane capogruppo di un gruppo bancario l'obbligo di richiedere alle proprie controllate con sede legale in Stati terzi l'inserimento nei contratti finanziari, da esse conclusi, di una clausola che riconosca l'esercizio, da parte dell'autorità di risoluzione, dei poteri di sospensione degli obblighi di pagamento e di consegna, di limitazione dell'escussione di garanzie e di sospensione dei meccanismi terminativi previsti, rispettivamente, dagli articoli 69,70 e 71 direttiva 2014/59/UE, come modificata dall'articolo 1, punto 30 della direttiva (UE) 2019/879.
La lettera i) del comma 1 specifica, infine, che il Governo dovrà coordinare la disciplina delle sanzioni previste dal decreto legislativo n. 180 del 2015 e TUB, con quanto previsto dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del SRMR. Tale regolamento prevede infatti una compiuta disciplina sanzionatoria, circoscrivendo l'ambito di applicazione della relativa disciplina contenuta negli articoli da 96 a 98 del decreto legislativo n. 180 del 2015. La BRRD e il SRMR disegnano due diversi regimi sanzionatori: uno, relativo solo a specifiche condotte, applicato direttamente dal Comitato di risoluzione unico nei confronti delle banche significative e dei gruppi transfrontalieri nei confronti dei quali esercita direttamente la vigilanza, l'altro applicato dalle autorità di risoluzione nazionale nei confronti delle altre banche e, per i comportamenti che non ricadono nell'ambito di applicazione del SRMR, nei confronti di tutti gli enti.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, per la quale dall'attuazione dell'articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Con l'entrata in vigore della BRRD e del SRMR è stato definito il quadro giuridico del Meccanismo di risoluzione unico delle banche e delle società di intermediazione mobiliare (SIM) che prestano servizi che comportano l’assunzione di rischi in proprio (Single Resolution Mechanism - SRM), complementare al Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism - SSM) con l’obiettivo di preservare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro mediante un sistema unitario delle procedure di risoluzione. È altresì prevista l’istituzione di un Fondo di risoluzione unico per il finanziamento dei programmi di risoluzione (Single Resolution Fund - SRF) alimentato dai contributi degli intermediari dei paesi dell’area dell’euro con un piano di versamenti distribuito in 8 anni.
Il sistema è formato dalle autorità nazionali di risoluzione (National Resolution Authority - NRA) e dal Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board - SRB), un’agenzia europea per l’esercizio delle funzioni di risoluzione, nel cui consiglio sono presenti anche i rappresentanti delle autorità nazionali. Il sistema di risoluzione unico ha l'obiettivo di assicurare la gestione efficace delle crisi delle banche "significative" (sostanzialmente tutte le banche che hanno un attivo superiore ai 30 miliardi di euro) o con operatività transfrontaliera nell’area dell’euro e delle principali SIM, superando i problemi determinati dalla frammentazione delle procedure su base nazionale. Il Comitato di risoluzione unico assume le decisioni in merito ai piani di risoluzione e all’avvio della risoluzione e individua le azioni più idonee al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla disciplina europea. Le autorità nazionali di risoluzione, oltre a partecipare alle decisioni del Comitato, sono responsabili dell’attuazione delle concrete misure di risoluzione.
Le autorità nazionali di risoluzione (per l'Italia il ruolo è stato attribuito alla Banca d'Italia) rimangono altresì responsabili della gestione delle crisi degli intermediari meno significativi. Nello svolgimento di tali attività le NRA agiscono nell’ambito degli orientamenti e delle linee guida stabiliti dal Comitato di risoluzione unico che, in casi eccezionali, può esercitare poteri di sostituzione assicurando l’effettiva unitarietà del Meccanismo.
Sia il SRB sia le autorità nazionali si avvalgono degli strumenti di gestione delle crisi introdotti dalla BRRD. Tale quadro prevede in primo luogo che gli enti creditizi siano costantemente preparati ad affrontare un deterioramento della propria situazione finanziaria, adottando e tenendo aggiornato un piano di risanamento che preveda l’adozione da parte dell’ente di misure volte al ripristino della sua situazione finanziaria. Il piano costituisce un vero e proprio requisito di governo societario anche ai fini della direttiva CRD. Il piano è basato su un complesso di indicatori della situazione finanziaria concordati fra l'ente e l'autorità di risoluzione, che vengono monitorati per identificare le circostanze in cui risulti opportuno mettere in atto specifiche azioni di risanamento definite in via preventiva.
Così come gli enti devono essere preparati a gestire il deterioramento della situazione finanziaria, le autorità di risoluzione devono essere preparate a gestire i casi in cui questo deterioramento conduca al dissesto o al rischio di dissesto dell'ente. Il piano di risoluzione della crisi, preparati di norma con l'assistenza degli enti stessi, non deve presupporre interventi di salvataggio esterno (bail-out). La risoluzione di un ente s’intende possibile quando all’autorità di risoluzione risulta fattibile e credibile liquidare l’ente con procedura ordinaria di insolvenza oppure risolverne la crisi applicando all’ente i vari strumenti di risoluzione ed esercitando nei suoi confronti i diversi poteri di risoluzione, evitando il più possibile qualsiasi effetto negativo significativo, comprese situazioni di instabilità finanziaria più ampia o di eventi a livello sistemico, sul sistema finanziario dello Stato membro in cui l’ente è stabilito o di altri Stati membri dell’Unione e nella prospettiva di assicurare la continuità delle funzioni essenziali svolte dall’ente. Le autorità di risoluzione notificano con tempestività all’ABE quando la risoluzione di un ente non viene ritenuta possibile. In sostanza, il Comitato valuta se la banca possa essere liquidata nell’ambito delle procedure di insolvenza nazionali. Questo è l’approccio convenzionale, a meno che il Comitato non giunga alla conclusione che sia nel pubblico interesse procedere alla risoluzione.
La BRRD identifica una serie di misure di intervento precoce attivabili dall'autorità di vigilanza prudenziale ai sensi del CRR qualora un ente violi o appaia prossimo a violare i requisiti prudenziali, a causa tra l’altro di un rapido deterioramento della situazione finanziaria, del peggioramento della situazione di liquidità, del rapido aumento dei livelli di leva finanziaria, dei crediti in sofferenza o della concentrazione di esposizioni. Tali opzioni di intervento, vanno ad integrare il quadro dei poteri di vigilanza prudenziale stabilito dall'articolo 104 della CRD, si sostanziano nella richiesta rivolta all'organo amministrativo dell'ente di intraprendere specifiche azioni volte a risanare la situazione finanziaria, e sono assistite dalla facoltà di esigere la rimozione dell’alta dirigenza o dell’organo di amministrazione dell’ente, nella sua totalità o per quanto riguarda singole persone e dal potere di nomina della nuova alta dirigenza o dell’organo di amministrazione.
Le misure di intervento precoce sono esemplificative delle aree di interconnessione fra la disciplina prudenziale e la disciplina del risanamento e della risoluzione (per un approfondimento su CRD e CRR, si fa rinvio alla scheda di lettura dell'articolo 10 del disegno di legge in esame). Proprio al fine di gestire tali aree, il considerando 54 del regolamento SRMR prevede che il Comitato di risoluzione, le autorità nazionali di risoluzione e le autorità competenti, compresa la Banca centrale europea, dovrebbero all'occorrenza concludere (e riesaminare periodicamente) un memorandum d'intesa che descriva i termini generali della reciproca cooperazione nello svolgimento dei rispettivi compiti previsti dalla legislazione dell'Unione.
Qualora tutte le azioni di risanamento e intervento precoce non fossero in grado di evitare il rischio di dissesto, la BRRD prevede l'avvio di un'azione di risoluzione (articoli 31 e seguenti della BRRD), finalizzata a garantire la continuità delle funzioni essenziali; evitare effetti negativi significativi sulla stabilità finanziaria; salvaguardare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario; tutelare i depositanti, gli investitori e i clienti.
Gli strumenti principali che le relative autorità possono applicare per la risoluzione di una crisi bancaria sono elencati dall'articolo 37 della BRRD: vendita dell'attività d'impresa, creazione di un ente-ponte, separazione delle attività (applicabile solo se abbinato a un altro strumento di risoluzione), salvataggio interno mediante svalutazione o conversione in capitale delle passività ammissibili (bail-in).
In tale ambito, il quadro dell'Unione ha imposto alle autorità di risoluzione di stabilire, per ciascun ente, un requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities - MREL), che consiste in passività particolarmente adatte al bail-in, da utilizzare per assorbire le perdite e ricapitalizzare gli enti.
Allo stesso tempo, a livello internazionale, il 9 novembre 2015 il Consiglio per la stabilità finanziaria (FSB) ha pubblicato la lista delle condizioni relative alla capacità totale di assorbimento delle perdite (Total Loss Absorbing Capacity - TLAC), imponendo alle banche a rilevanza sistemica globale (global systemically important banks - G-SIBs), denominate enti a rilevanza sistemica globale (global systemically important institutions - G-SIIs) nella normativa dell'Unione, di detenere un quantitativo sufficiente di passività ad elevata capacità di assorbimento delle perdite (sottoponibili al bail-in), per assicurare che il capitale di tali soggetti si mantenga a un livello tale da consentire la risoluzione di una crisi.
Il requisito di TLAC fu espressamente definito dal FSB con riferimento alle G-SIBs come argine all'opportunismo degli istituti di maggiori dimensioni, definito dalla letteratura economica "azzardo morale", per cui, se una banca è consapevole che le conseguenze negative del suo fallimento sarebbero troppo nefaste per essere accettate dall'autorità pubblica ("too-big-to-fail"), diviene ragionevole che la stessa assuma rischi eccessivi per aumentare i propri rendimenti potenziali, in vista di un salvataggio esterno (bail-out) finanziato dal circuito della finanza pubblica.
La Commissione europea si è, di conseguenza, impegnata a riesaminare le norme sul requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL) per assicurare piena coerenza con la norma sulla capacità totale di assorbimento delle perdite (TLAC) convenuta a livello internazionale. Il principale obiettivo delle direttive (UE) 2019/878 (per la quale si fa rinvio alla già citata scheda di lettura dell'articolo 10) e 2019/879 è proprio quello di applicare la norma TLAC, integrando il relativo requisito nelle norme generali sul MREL, evitando duplicazioni conseguenti all'applicazione di due requisiti paralleli.
Sebbene perseguano lo stesso obiettivo normativo, imponendo alle banche di detenere un certo quantitativo di passività da utilizzare per il salvataggio in terno in caso di crisi, il TLAC e il MREL sono strutturati in modo diverso, in particolare con riferimento al campo di applicazione, alle modalità di determinazione quantitativa dei requisiti e alla tipologia di strumenti ammissibili.
Il campo di applicazione della norma TLAC è circoscritto ai G-SIIs, sulla base peraltro di quelli che vengono definiti "unità e gruppi" di risoluzione, mentre il MREL deve essere rispettato da ogni banca e copre l'intero settore bancario dell'Unione. Contrariamente alla norma TLAC, che contiene un livello minimo armonizzato, il livello del MREL è stabilito dalle autorità di risoluzione in base a una valutazione specifica dell'ente eseguita di volta in volta. Infine, il requisito minimo TLAC dovrebbe essere soddisfatto, in linea di massima, mediante strumenti di debito subordinati, mentre ai fini del MREL la subordinazione degli strumenti di debito potrebbe essere richiesta, di volta in volta, dalle autorità di risoluzione, se necessario per evitare che, in un caso specifico, ai creditori sottoposti al bail-in sia riservato un trattamento meno favorevole che in un ipotetico scenario di insolvenza (cosiddetto "scenario controfattuale alla risoluzione"). La direttiva in esame, pertanto, modifica la disciplina del MREL per garantire coerenza tecnica con la struttura dei requisiti applicabile ai G-SIIs.
Con gli interventi di cui si esamina il recepimento non è stata dunque modificata la sostanza delle procedure di risoluzione delle banche, ma è stata data attuazione alla volontà di adeguare il requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili alla disciplina internazionale relativa alla capacità di assorbimento delle perdite.
Nell'ambito delle banche la cui strategia di gestione della crisi prevede l'avvio di azioni di risoluzione, sono state individuate tre categorie:
- gli enti a rilevanza sistemica globale (global systemically important institutions - G-SIIs);
- gli enti con attivi consolidati superiori a 100 miliardi di euro (cosiddette top tier);
- le altre banche per le quali è previsto l'avvio di azioni di risoluzione.
Il nuovo articolo 45 della BRRD prevede un nuovo requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL) articolato in due coefficienti: uno relativo all'importo dei fondi propri e delle passività ammissibili, espresso in percentuale delle attività ponderate per il rischio (definite dall'articolo 92 del CRR) e uno relativo al medesimo importo espresso in percentuale dell’esposizione complessiva (definita dall'articolo 429, paragrafo 4 del CRR in relazione al coefficiente di leva finanziaria) dove, in sostanza le attività vengono sommate, pur con alcuni aggiustamenti, senza essere ponderate per il rischio.
L'ammissibilità delle passività ai fini del computo dei requisiti viene definita mediante riferimento alle condizioni disposte dagli articoli 72-bis e seguenti del CRR. Il nuovo MREL è determinato dall'autorità di risoluzione, previa consultazione dell'autorità competente, in base a specifici criteri definiti dal nuovo articolo 45-quater della BRRD. Il principio resta quello di una fissazione "caso per caso", pur con una integrazione dei criteri e delle procedure volte alla relativa determinazione quantitativa. Per garantire un'armonizzazione con la norma TLAC, tuttavia, vengono predefiniti dei livelli quantitativi per i soli G-SIIs (stabiliti dall'articolo 45-quinquies della BRRD mediante riferimento ai requisiti di cui agli articoli 92-bis e 494 del CRR) e per gli enti i cui attivi totali superano i 100 miliardi di euro (stabiliti dall'articolo 45-quater della BRRD definendo il valore dei requisiti di cui agli articoli 92-bis, pari al 13,5 per cento, e 494, pari al 5 per cento del CRR), rispettivamente nel specificando, tuttavia, che l'autorità di risoluzione ha la possibilità di richiedere un MREL aggiuntivo.
Articolo 12
(Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/944 relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica)
L’articolo 12 detta i principi e criteri di delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2019/944 relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica (testo abrogativo e di rifusione della precedente Direttiva 2009/72/CE sul mercato elettrico e modificativo della Direttiva 2012/27/UE in materia di efficienza energetica).
L’articolo, in particolare, precisa che il Governo osservi, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche i seguenti specifici princìpi e criteri direttivi:
a) in coerenza con le modalità e gli obblighi di servizio pubblico, definire la disciplina relativa alle comunità energetiche dei cittadini, attive nell'ambito della generazione, dell'approvvigionamento, della distribuzione, dell'accumulo, della condivisione, della vendita di energia elettrica e della fornitura di servizi energetici, ivi inclusi i servizi di efficienza energetica e di ricarica dei veicoli elettrici, valorizzando la rete elettrica esistente e assicurando un'adeguata partecipazione ai costi di sistema.
L’articolo 16 della direttiva 2019/944/UE introduce la nozione di “comunità energetiche dei cittadini”. L’istituto si sostanzia in un soggetto giuridico fondato sulla partecipazione volontaria e aperta di persone fisiche, autorità locali o piccole imprese, avente lo scopo principale di offrire ai suoi membri o soci o al territorio in cui opera benefici ambientali, economici o sociali, e non di generare profitti finanziari. Tale comunità potrà partecipare alla generazione, anche da fonti rinnovabili, alla distribuzione, alla fornitura, al consumo, all’aggregazione, allo stoccaggio dell’energia, ai servizi di efficienza energetica, o a servizi di ricarica per veicoli elettrici o fornire altri servizi energetici ai suoi membri o soci.
Nel considerando n. 43 si precisa come grazie alle tecnologie dell'energia distribuita e alla responsabilizzazione dei consumatori, le comunità energetiche siano divenute un modo efficace ed economicamente efficiente di rispondere ai bisogni e alle aspettative dei cittadini riguardo alle fonti energetiche, ai servizi e alla partecipazione locale. La comunità energetica è una soluzione alla portata di tutti i consumatori che vogliono partecipare direttamente alla produzione, al consumo o alla condivisione dell'energia. Le iniziative di comunità energetica vertono principalmente sull'approvvigionamento a prezzi accessibili di energia da fonti specifiche, come le rinnovabili, per i membri o i soci, piuttosto che privilegiare il fine di lucro come le imprese di energia elettrica tradizionali.
Le iniziative di comunità energetica dimostrano di possedere il potenziale di favorire la diffusione delle nuove tecnologie e di nuovi modi di consumo, tra cui le reti di distribuzione intelligenti e la gestione della domanda, in maniera integrata. Esse possono inoltre aumentare l'efficienza energetica dei consumatori civili e contribuire a combattere la povertà energetica riducendo i consumi e le tariffe di fornitura. La comunità energetica consente inoltre ad alcuni gruppi di clienti civili di prendere parte al mercato dell'energia elettrica, a cui altrimenti potrebbero non essere in grado di accedere.
Il considerando n. 47 chiarisce altresì come la direttiva conferisca agli Stati membri il potere di autorizzare le comunità energetiche dei cittadini a diventare gestori del sistema di distribuzione nell'ambito del regime generale o quali gestori del sistema di distribuzione chiuso;
b) aggiornare il quadro normativo in materia di configurazioni per l'autoconsumo, di sistemi di distribuzione chiusi e di linee dirette, disciplinando le modalità e gli obblighi di servizio pubblico e prevedendo un'adeguata partecipazione ai costi di sistema.
In base all’articolo 7 della direttiva gli Stati membri adottano le misure necessarie a consentire che: a) tutti i produttori e le imprese fornitrici di energia elettrica stabiliti nel loro territorio riforniscano mediante una linea diretta i propri impianti, le società controllate e i clienti, senza essere soggetti a procedure amministrative o costi sproporzionati; b) tutti i clienti nel loro territorio siano riforniti, individualmente o collettivamente, mediante una linea diretta da produttori e da imprese fornitrici. Gli Stati membri stabiliscono i criteri per il rilascio delle autorizzazioni per la costruzione di linee dirette nel proprio territorio. Tali criteri devono essere obiettivi e non discriminatori.
L’articolo 8 della direttiva disciplina i sistemi di distribuzione chiusi, intesi come sistemi che distribuiscono energia elettrica all'interno di un sito industriale, commerciale o di servizi condivisi geograficamente limitato e non riforniscono clienti civili, se: per specifiche ragioni tecniche o di sicurezza, le operazioni o il processo di produzione degli utenti di tale sistema sono integrati oppure il sistema distribuisce energia elettrica principalmente al proprietario o al gestore del sistema o alle loro imprese correlate.
La relazione illustrativa evidenzia che i criteri direttivi di cui alle lettere
a) e b) sono finalizzati ad armonizzare le disposizioni in materia di funzionamento dei mercati elettrici con quelle inerenti la promozione delle fonti rinnovabili, di cui alla nuova Direttiva (UE) 2018/2001 in particolare, per ciò che attiene allo sviluppo dell’autoconsumo e delle comunità energetiche, per i cui aspetti si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 5 del Disegno di legge in esame che reca i principi e criteri di delega per l’attuazione della Direttiva in questione.
c) definire il quadro normativo per lo sviluppo e la diffusione dei sistemi di accumulo e per la partecipazione degli stessi ai mercati dell'energia elettrica e dei servizi, tenuto conto degli obiettivi di sviluppo e integrazione della generazione da fonti rinnovabili.
Anche su tale punto si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 5 del Disegno di legge in esame. Tra i criteri direttivi per il recepimento della nuova Direttiva (UE) 2018/2001, ivi contenuti, rientra la previsione di misure per agevolare il massimo utilizzo dell'energia da FER, anche favorendo la diffusione e l'uso di sistemi di accumulo, compresi i veicoli elettrici, e le connesse esigenze di ricerca e sviluppo (lettera g)).
Per ciò che concerne la Direttiva (UE) 2019/944 in esame, l’articolo 36 prevede che i gestori dei sistemi di distribuzione non possono possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell'energia. In deroga a tale principio, gli Stati membri possono autorizzare i gestori dei sistemi di distribuzione a possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell'energia se sono componenti di rete pienamente integrate e l'autorità di regolazione ha concesso la sua approvazione o se sono soddisfatte determinate condizioni.
Nella comunicazione della Commissione del 15 luglio 2015 dal titolo «Avvio del processo di consultazione pubblica sul nuovo assetto del mercato dell'energia» si sottolinea che il passaggio dalla produzione in grandi impianti di generazione centralizzati a una produzione decentrata di elettricità da fonti rinnovabili e verso mercati a basse emissioni di carbonio richiede un adeguamento delle attuali norme sulla compravendita di energia elettrica e un cambiamento dei ruoli all'interno del mercato. La comunicazione mette inoltre in evidenza la necessità di organizzare i mercati dell'energia elettrica in modo più flessibile e di integrare pienamente tutti gli attori del mercato, tra cui i produttori di energia da fonti rinnovabili, i nuovi fornitori di servizi energetici, i fornitori di stoccaggio dell'energia e la domanda flessibile (considerando n. 6).
Si evidenzia, inoltre che, i consumatori dovrebbero poter consumare, immagazzinare e/o vendere sul mercato l'energia elettrica autoprodotta, e dovrebbero altresì poter partecipare a tutti i mercati dell'energia elettrica fornendo flessibilità al sistema, ad esempio attraverso lo stoccaggio dell'energia, ad esempio lo stoccaggio mediante utilizzo di veicoli elettrici, mediante la gestione della domanda o mediante meccanismi di efficienza energetica. In futuro tali attività saranno favorite dall'evoluzione delle tecnologie. (Considerando n. 42).
I gestori dei sistemi non dovrebbero possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell'energia. Nel nuovo assetto del mercato dell'energia elettrica, i servizi di stoccaggio dell'energia dovrebbero essere basati sul mercato ed essere competitivi. Di conseguenza, si dovrebbero evitare sovvenzioni incrociate tra lo stoccaggio dell'energia e le funzioni regolate di distribuzione o trasmissione. Simili restrizioni al possesso degli impianti di stoccaggio dell'energia mirano a prevenire distorsioni della concorrenza, eliminare il rischio di discriminazioni, assicurare un accesso equo ai servizi di stoccaggio dell'energia per tutti i partecipanti al mercato e promuovere l'uso efficace ed efficiente degli impianti di stoccaggio dell'energia, oltre la gestione del sistema di distribuzione o di trasmissione (Considerando n. 62).
d) aggiornare il quadro normativo delle misure per implementare la protezione dei clienti vulnerabili e in condizioni di povertà energetica.
L’articolo 28 della direttiva prevede, tra l’altro, che gli Stati membri adottano misure appropriate per tutelare i clienti ed assicurano in particolare ai clienti vulnerabili un'adeguata protezione. In questo contesto, ciascuno Stato membro definisce il concetto di cliente vulnerabile che può fare riferimento alla povertà energetica (meglio delineata dall’articolo 29) e, tra le altre cose, al divieto di interruzione della fornitura di energia elettrica a detti clienti nei periodi critici. Il concetto di cliente vulnerabile può comprendere i livelli di reddito, la quota del reddito disponibile destinata alle spese per l'energia, l'efficienza energetica delle abitazioni, la dipendenza critica dalle apparecchiature elettriche per motivi di salute, l'età o altri criteri. Gli Stati membri adottano misure adeguate, come la fornitura di prestazioni attraverso sistemi di assistenza sociale volte a garantire il necessario approvvigionamento ai clienti vulnerabili o un sostegno ai miglioramenti dell'efficienza energetica, al fine di affrontare la povertà energetica.
e) prevedere misure per l'evoluzione del ruolo e delle responsabilità dei gestori delle reti di distribuzione, in coordinamento con il gestore della rete di trasmissione, in funzione delle esigenze di flessibilità del sistema e di integrazione della generazione distribuita e della gestione della domanda, secondo criteri di gradualità.
Gli articoli 30-39 della direttiva si riferiscono alla gestione del sistema di distribuzione e l’articolo 31, segnatamente, definisce i compiti dei gestori.
L’articolo 35 stabilisce il principio secondo il quale il gestore del sistema di distribuzione, qualora faccia parte di un'impresa verticalmente integrata, è indipendente, quantomeno sotto il profilo della forma giuridica, dell'organizzazione e del potere decisionale, da altre attività non connesse alla distribuzione. Tali norme non comportano l'obbligo di separare la proprietà dei mezzi del gestore del sistema di distribuzione dall'impresa verticalmente integrata.
In base all’articolo 36, i gestori dei sistemi di distribuzione non possono possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell'energia (sono previste deroghe a tale principio).
I gestori dei sistemi di distribuzione devono integrare in modo economicamente efficiente la nuova generazione di energia elettrica, in particolare impianti che generano energia elettrica da fonti rinnovabili, e nuovi carichi quali quelli risultanti da pompe di calore e veicoli elettrici. A tal fine dovrebbero poter avvalersi, ed essere incentivati a farlo, dei servizi delle risorse distribuite di energia, quali la gestione della domanda e lo stoccaggio, in base a procedure di mercato, allo scopo di gestire in modo efficiente le rispettive reti ed evitare costi ingenti di ampliamento. È opportuno che gli Stati membri adottino misure adeguate, come i codici di rete e le norme sul mercato, e offrano incentivi ai gestori dei sistemi di distribuzione sotto forma di tariffe di rete che non ostacolino la flessibilità o il miglioramento dell'efficienza energetica nella rete. Gli Stati membri dovrebbero altresì introdurre piani di sviluppo delle reti di distribuzione al fine di sostenere l'integrazione degli impianti che generano elettrica energia da fonti rinnovabili, favorire lo sviluppo degli impianti di stoccaggio dell'energia e l'elettrificazione del settore dei trasporti, nonché fornire agli utenti del sistema informazioni adeguate sugli interventi previsti di ampliamento o miglioramento della rete;
f) riordinare la disciplina di adozione del piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale e le procedure finalizzate all'accelerazione dei tempi di conclusione dei procedimenti autorizzativi, inclusi quelli ambientali.
L’articolo 32, paragrafo 3, della direttiva precisa che lo sviluppo di un sistema di distribuzione è basato su un piano trasparente di sviluppo della rete che l'operatore del sistema di distribuzione pubblica almeno ogni due anni e presenta all'autorità di regolazione. Il piano di sviluppo della rete fornisce trasparenza in merito ai servizi di flessibilità a medio e lungo termine necessari e specifica gli investimenti programmati per i successivi cinque-dieci anni, in particolare le principali infrastrutture di distribuzione necessarie per collegare nuova capacità di generazione e nuovi carichi, inclusi i punti di ricarica per i veicoli elettrici. Il piano di sviluppo della rete riguarda inoltre l'impiego della gestione della domanda, l'efficienza energetica, gli impianti di stoccaggio dell'energia o le altre risorse cui il gestore del sistema di distribuzione ricorre in alternativa all'espansione del sistema.
Quanti alle procedure di autorizzazione, il considerando n. 79 afferma che esse non dovrebbero dar luogo a oneri amministrativi sproporzionati rispetto alle dimensioni e al potenziale impatto dei produttori. Procedure di autorizzazione eccessivamente lunghe possono costituire un ostacolo all'accesso di nuovi operatori del mercato.
Con specifico riferimento alle procedure di autorizzazione per nuove capacità, l’articolo 8 della direttiva prevede –tra l’altro- che per la costruzione di nuovi impianti di generazione gli Stati membri adottano una procedura di autorizzazione informata a criteri di obiettività, trasparenza e non discriminazione (paragrafo 1). Gli Stati membri definiscono i criteri di rilascio tenendo conto di parametri quali: la sicurezza tecnica e fisica della rete elettrica, degli impianti e della relativa apparecchiatura; la protezione della salute e della sicurezza pubblica; la protezione dell'ambiente; l’efficienza energetica (paragrafo 2). Gli Stati membri provvedono affinché sussistano procedure di autorizzazione specifiche, semplificate e razionalizzate per i piccoli impianti di generazione decentrata e/o distribuita che tengano conto della loro dimensione e del loro impatto potenziale limitati;
g) aggiornare la disciplina degli obblighi di servizio pubblico degli impianti di produzione di energia elettrica e dei processi di messa fuori servizio e dismissione al fine di garantire le esigenze di sicurezza del sistema elettrico.
L’articolo 9 della direttiva prevede che gli Stati membri possono, nell'interesse economico generale, imporre alle imprese che operano nel settore dell'energia elettrica obblighi relativi al servizio pubblico concernenti la sicurezza, compresi la sicurezza dell'approvvigionamento, la regolarità, la qualità e il prezzo delle forniture, nonché la tutela dell'ambiente, compresa l'efficienza energetica, l'energia da fonti rinnovabili e la protezione del clima. Questi obblighi sono chiaramente definiti, trasparenti, non discriminatori e verificabili, e garantiscono alle imprese dell'Unione che operano nel settore dell'energia elettrica parità di accesso ai consumatori nazionali. Inoltre, gli Stati membri devono informare la Commissione di tutte le misure adottate per adempiere agli obblighi di servizio universale e di servizio pubblico, compresa la tutela dei consumatori e dell'ambiente, ed in merito ai possibili effetti sulla concorrenza nazionale ed internazionale;
h) prevedere, in caso di mancato rispetto da parte delle imprese elettriche degli obblighi previsti dalla direttiva 2019/944, dal regolamento (CE) n. 2019/943 o dalle pertinenti decisioni giuridicamente vincolanti dell'Agenzia per la cooperazione dei regolatori per l'energia (ACER) o dell'autorità nazionale di regolazione, l'irrogazione da parte dell'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) di sanzioni amministrative pecuniarie effettive, proporzionate e dissuasive, incluso il potere di imporre sanzioni fino al 10 % del fatturato annuo del gestore del sistema di trasmissione o fino al 10 % del fatturato annuo dell'impresa verticalmente integrata.
Articolo 13
(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2019/1160, che modifica le direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE per quanto riguarda la distribuzione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo e per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1156, per facilitare la distribuzione transfrontaliera degli organismi di in-vestimento collettivo e che modifica i regolamenti (UE) n. 345/2013, (UE) n. 346/2013 e (UE) n. 1286/2014)
L'articolo 13 reca, al comma 1, i princìpi e i criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto a osservare, in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1160 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, e per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1156 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019.
La direttiva (UE) 2019/1160 e il regolamento (UE) 2019 1156 si inseriscono nel quadro delle iniziative di revisione del Piano di azione per l'Unione dei Mercati dei Capitali assunte dall'Unione europea nel marzo 2018. Il Piano mira a ridurre la frammentazione del mercato interno dei capitali attraverso la rimozione degli ostacoli di tipo normativo. Per maggiori dettagli, anche relativamente ai riferimenti contenuti nell'articolo in esame, si veda la scheda riguardante la direttiva (UE) 2019/1160.
In particolare, tali principi e criteri direttivi specifici prevedono:
- di apportare al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento, rispettivamente, della direttiva (UE) 2019/1160 e del regolamento (UE) 2019/1156 e delle relative norme tecniche di attuazione. I poteri e le competenze di vigilanza previsti dalla citata direttiva saranno attribuiti alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e alla Banca d’Italia, secondo le rispettive attribuzioni e finalità indicate negli articoli 5 e 6 del medesimo TUF (lettere a) e b));
- di apportare le modifiche alle norme del citato TUF concernenti la disciplina sull’operatività transfrontaliera delle società di gestione del risparmio, delle società di gestione UE e dei Gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) UE nel caso di stabilimento di succursali, prevedendo il ricorso alla disciplina secondaria adottata, secondo le rispettive attribuzioni, dalle autorità nazionali indicate nella lettera a) (CONSOB e Banca d'Italia), nell’ambito di quanto già specificamente previsto dagli articoli 41 (riguardante l'operatività transfrontaliera delle Sgr), 41-bis (riguardante le società di gestione dell'UE) e 41-ter (riguardante i GEFIA dell'UE) del citato testo unico (lettera c));
- apportare le modifiche alle norme del citato TUF al fine di recepire la disciplina in tema di strutture per gli investitori nel contesto della commercializzazione in Italia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) UE e fondi di investimento alternativi (FIA) UE prevista dagli articoli 1, numero 4), e 2, numero 6), della direttiva (UE) 2019/1160, prevedendo il ricorso alla disciplina secondaria adottata, secondo le rispettive attribuzioni, dalla CONSOB e dalla Banca d'Italia, nell’ambito di quanto già specificamente previsto dagli articoli 42 (riguardante la commercializzazione in Italia di quote o di azioni di OICVM dell'UE) e 44 (riguardante la commercializzazione di FIA non riservati) del TUF (lettera d));
apportare le modifiche alle norme del citato TUF al fine di recepire la disciplina di cui agli articoli 1, numero 5), e 2, numero 3), della direttiva (UE) 2019/1160 prevista per il contenuto della lettera di notifica - anche nel caso di modifica delle informazioni in essa contenute - trasmessa al proprio Stato membro di origine da un OICVM che intenda commercializzare le proprie quote in uno Stato membro diverso dal proprio Stato membro d'origine. La lettera di notifica include informazioni sugli accordi di commercializzazione delle quote, incluse, eventualmente, informazioni relative alle categorie di azioni (tale lettera è disciplinata dall’articolo 93 della direttiva 2009/65/CE e dall'articolo 32 della direttiva 2011/61/UE). Le nuove norme disciplinano i dettagli che devono essere contenuti nella lettera di notifica e le modalità che devono essere seguite dai soggetti interessati per la modifica delle informazioni. L'adozione della disciplina secondaria è demandata, secondo le rispettive attribuzioni, alla CONSOB e alla Banca d'Italia, nell’ambito di quanto già specificamente previsto dagli articoli 42 (riguardante la commercializzazione in Italia di quote o di azioni di OICVM UE), 43 (riguardante la commercializzazione di FIA riservati) e 44 (commercializzazione di FIA non riservati) del TUF (lettera e));
- apportare le modifiche alle norme del citato TUF al fine di recepire la disciplina prevista dagli articoli 1, numero 6), e 2, numero 4), della direttiva (UE) 2019/1160 in tema di ritiro della notifica nel caso in cui un gestore intenda interrompere la commercializzazione di un OICVM o di un FIA in uno o più Stati membri. Le nuove disposizioni mirano a riconciliare, da un lato, la capacità degli organismi di investimento collettivo o dei rispettivi gestori di porre fine alle loro disposizioni adottate per la commercializzazione delle rispettive azioni o quote quando sono rispettate le condizioni previste e, dall'altro, gli interessi detenuti in tali organismi dagli investitori. Le nuove disposizioni evitano inoltre che la cessazione della commercializzazione degli OICVM e dei FIA comporti un costo per gli investitori o ne riduca la tutela, in particolare per quanto riguarda il diritto a informazioni accurate sull'attività che i fondi continuano a svolgere. Vengono attribuiti alla CONSOB i relativi poteri e competenze e si prevede il ricorso alla disciplina secondaria adottata, secondo le rispettive attribuzioni, dalla CONSOB e dalla Banca d'Italia (lettera f));
- apportare le modifiche alle norme del citato TUF al fine di recepire la disciplina prevista dall’articolo 2, numeri 1) e 2), della direttiva (UE) 2019/1160 in tema di pre-commercializzazione di FIA. La nuova direttiva introduce una disciplina in tema di "pre-commercializzazione" al fine di permettere ai gestori di svolgere ricerche di mercato in un potenziale Stato ospitante, pur adottando cautele atte a evitare un aggiramento degli obblighi di notifica per la commercializzazione transfrontaliera. Per ulteriori dettagli si rinvia alla descrizione della direttiva. Vengono attribuiti alla CONSOB i relativi poteri e competenze e si prevede il ricorso alla disciplina secondaria adottata, secondo le rispettive attribuzioni, dalla CONSOB e dalla Banca d'Italia (lettera g));
- di designare la CONSOB e la Banca d’Italia, in base alle rispettive competenze previste dal citato TUF, quali autorità competenti alla pubblicazione delle disposizioni nazionali relative ai requisiti per la commercializzazione prevista dall’articolo 5 del regolamento (UE) 2019/1156 (lettera h));
- designare la CONSOB quale autorità competente alla pubblicazione delle disposizioni nazionali relative a spese ed oneri prevista dall’articolo 10 del regolamento (UE) 2019/1156 (lettera i));
- designare la CONSOB quale autorità competente alla trasmissione all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA - European Securities and Markets Authority) delle informazioni previste dagli articoli 5, 8, 10 e 13 del regolamento (UE) 2019/1156 (lettera l));
- attribuire alla CONSOB le competenze e i poteri in tema di pre-commercializzazione di fondi europei per il venture capital e fondi europei per l’imprenditoria sociale ai sensi degli articoli 15 e 16 del regolamento (UE) 2019/1156 (lettera m));
- attribuire alla CONSOB i poteri di vigilanza e di indagine già previsti dal citato TUF per l’esercizio delle funzioni previste dal regolamento (UE) 2019/1156 (lettera n));
- attribuire alla CONSOB il potere di imporre le sanzioni e le altre misure amministrative in caso di violazione delle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1156, già previste dal citato TUF nei limiti e secondo i criteri ivi indicati (lettera o));
- prevedere, in conformità alle definizioni e alla disciplina della direttiva (UE) 2019/1160 e del regolamento (UE) 2019/1156, nonché ai criteri direttivi previsti nella presente legge, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, assicurando un appropriato grado di protezione dell’investitore e di tutela della stabilità finanziaria (lettera p));
- prevedere che la CONSOB e la Banca d’Italia adottino la disciplina secondaria di cui al presente articolo entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2019/1160 e di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1156 (lettera q)).
Il comma 2 dell'articolo in esame reca la clausola di invarianza finanziaria, in base alla quale dall’esercizio della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. I soggetti pubblici interessati provvedono all’adempimento dei compiti derivanti dall’esercizio di tale delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 14
(Princìpi e criteri direttivi per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/429, relativo alle malattie animali trasmissibili e che modifica e abroga taluni atti in materia di sanità animale)
Il presente articolo reca una disciplina di delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, concernente le malattie animali trasmissibili nonché modifiche ed abrogazioni di taluni atti in materia di sanità animale.
La delega deve essere esercitata entro dodici mesi dall’entrata in vigore della presente legge.
La relazione illustrativa del disegno di legge in esame osserva che il suddetto regolamento (UE) 2016/429 reca un nuovo quadro giuridico generale in materia di sanità animale, modificando o abrogando circa cinquanta atti europei precedenti, e che il quadro normativo nazionale in materia è costituito da una molteplicità di provvedimenti di varia natura, alcuni anche molto risalenti.
Per l’esercizio della delega, il presente articolo reca princìpi e criteri direttivi specifici, ad integrazione di quelli generali, posti per il recepimento di direttive europee dall’articolo 32 della L. 24 dicembre 2012, n. 234 (riguardo a questi ultimi, cfr. la scheda di lettura del precedente articolo 1).
I princìpi e criteri direttivi specifici prevedono:
- l’adeguamento ed il coordinamento delle disposizioni nazionali vigenti in materia di sanità e benessere animale alle disposizioni del suddetto regolamento (UE) 2016/429 e dei relativi regolamenti delegati e di esecuzione, incluse le disposizioni nazionali riguardanti le malattie animali non elencate nell'articolo 5 del medesimo regolamento, con abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili (lettera a));
- l’individuazione del Ministero della salute quale autorità competente veterinaria centrale, responsabile del coordinamento delle autorità competenti regionali e locali in materia di programmazione ed esecuzione dei controlli ufficiali e delle altre attività ufficiali previste dal suddetto regolamento (lettera b)). Al riguardo, la relazione illustrativa del presente disegno di legge rileva che la giurisprudenza costituzionale riconduce la prevenzione, la sorveglianza e l’eradicazione delle malattie animali alla materia della profilassi internazionale, la quale rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato[14];
- l’individuazione, previo accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, delle modalità, uniformi sul territorio nazionale, per porre in essere le misure di emergenza (in attuazione degli articoli 257 e 258 del regolamento (UE) 2016/249, relativi, rispettivamente, alle misure di emergenza che deve adottare lo Stato membro nel cui territorio sia insorto un focolaio di una malattia elencata o di una malattia emergente, o un pericolo, ed alle misure di emergenza che deve adottare uno Stato membro diverso da quello in cui sia insorto il focolaio o il pericolo) (lettera c)). Le modalità in esame concernono: 1) la ridefinizione della composizione e delle funzioni del Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali[15]; 2) la definizione di una rete tra i responsabili dei servizi veterinari, individuati dalle regioni e dalle province autonome, coordinata dal Capo dei servizi veterinari nazionali, diretta a organizzare e razionalizzare le misure di emergenza in materia di sanità animale;
- l’individuazione di criteri, regole e condizioni, nonché del livello di responsabilità, per delegare specifiche attività ufficiali ai veterinari non ufficiali (lettera d)). Si ricorda che l’articolo 14, paragrafo, 1, del regolamento (UE) 2016/429 individua le attività ufficiali che è possibile delegare a questi ultimi soggetti;
- l’adeguamento e il coordinamento delle disposizioni nazionali vigenti in materia di registrazione e riconoscimento degli stabilimenti e degli operatori e in materia di identificazione e tracciabilità degli animali terrestri detenuti alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/429 e dei relativi regolamenti delegati e di esecuzione, con abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili (lettera e));
- l’individuazione delle modalità per adempiere agli obblighi informativi verso l'Unione europea e le organizzazioni internazionali di settore, attraverso il riordino e la connessione tra la Banca dati nazionale delle anagrafi zootecniche, i sistemi informativi del Ministero della salute ed i sistemi informativi delle regioni e province autonome (lettera f));
- l’individuazione (in attuazione dell'articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/429) di strumenti e modalità operative per consentire alle autorità competenti, nell'ambito delle attività di sorveglianza delle malattie animali, di acquisire i dati e le informazioni risultanti dall'attività di sorveglianza svolta dagli operatori e dagli esiti delle visite di sanità animale effettuate dai veterinari aziendali - attività e visite svolte secondo le disposizioni del regolamento (UE) 2016/429 e di quelle interne ivi richiamate - (lettera g));
- l’introduzione di sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate per la violazione delle disposizioni del medesimo regolamento (UE) 2016/429 (lettera h)).
Articolo 15
(Princìpi e criteri direttivi per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/745, in materia di dispositivi medici, e del regolamento (UE) 2017/746, in materia di dispositivi medici diagnostici in vitro)
Il presente articolo reca una disciplina di delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni di due regolamenti europei, relativi, rispettivamente, ai dispositivi medici in generale ed ai dispositivi medici diagnostici in vitro (regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017[16], e regolamento (UE) 2017/746 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017[17]).
La delega deve essere esercitata entro dodici mesi dall’entrata in vigore della presente legge.
La relazione illustrativa del disegno di legge in esame osserva che i due regolamenti europei presentano un periodo di transizione articolato sulla base delle priorità e della complessità dell'attuazione.
Per l’esercizio della delega, il presente articolo reca princìpi e criteri direttivi specifici, ad integrazione di quelli generali, posti per il recepimento di direttive europee dall’articolo 32 della L. 24 dicembre 2012, n. 234 (riguardo a questi ultimi, cfr. la scheda di lettura del precedente articolo 1).
I princìpi e criteri direttivi specifici prevedono:
- l'adeguamento ed il raccordo delle disposizioni nazionali vigenti a quelle dei due regolamenti europei in oggetto, con particolare riferimento alle modalità ed alle procedure di vigilanza, sorveglianza del mercato e controllo della sicurezza dei dispositivi medici, con abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili e con il coordinamento ed il riordino di quelle residue (lettera a));
- la definizione dei contenuti, delle tempistiche e delle modalità di registrazione delle informazioni che i fabbricanti e i distributori dei dispositivi in oggetto sul territorio italiano, nonché gli utilizzatori (operatori sanitari o "utilizzatori profani"), sono tenuti a comunicare al Ministero della salute (lettera b)). Per le nozioni relative alle categorie dei summenzionati soggetti, la presente lettera b) fa rinvio alle corrispondenti norme dei due regolamenti;
- il riordino ed il coordinamento delle attività tra gli enti pubblici deputati al governo dei dispositivi medici, anche attraverso una ridefinizione dei compiti ed anche al fine dell'emanazione di indirizzi generali uniformi per la garanzia di efficienza del sistema (lettera c)). In tale ambito, si prevede anche il riordino del meccanismo di definizione dei tetti di spesa relativi ai dispositivi medici.
A quest'ultimo riguardo, la presente disciplina di delega fa salvo il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 9-ter, comma 1, lettera b), e comma 9, del D.L. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 125. Sembrerebbe opportuno chiarire la portata della suddetta norma di salvezza.
Si ricorda che le disposizioni richiamate prevedono che:
§ il tetto di spesa regionale per l'acquisto di dispositivi medici sia stabilito con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome e sia aggiornato con cadenza biennale, "fermo restando il tetto di spesa nazionale fissato al 4,4 per cento" (rispetto alla base di calcolo costituita dal livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato). Con accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome, sancito dalla relativa Conferenza permanente il 7 novembre 2019, il tetto di spesa regionale è stato confermato al 4,4 per cento per il 2019;
§ ai fini del rispetto del limite di spesa regionale in oggetto, gli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale siano tenuti a proporre ai fornitori di dispositivi medici una rinegoziazione dei contratti in essere, che abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, senza che ciò comporti modifica della durata del contratto in essere;
§ l'eventuale superamento del tetto di spesa regionale in oggetto, come certificato con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sia posto a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 50 per cento. Ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote di ripiano in misura pari all'incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l'acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale. Le modalità procedurali del ripiano sono definite, su proposta del Ministero della salute, con apposito accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome;
- la revisione dell'apparato sanzionatorio, attraverso la previsione di sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni delle disposizioni dei due regolamenti europei in oggetto ed il riordino dell'apparato sanzionatorio vigente (lettera d));
- l'individuazione delle modalità di tracciabilità del singolo dispositivo medico, attraverso il riordino e la connessione delle banche dati esistenti in conformità al Sistema di identificazione unica del dispositivo (sistema UDI), previsto dai due regolamenti in oggetto[18], in modo da salvaguardare il livello informativo più completo (lettera e)).
Il sistema di tracciabilità dovrebbe consentire anche di migliorare la gestione delle "non-conformità", la gestione di forniture, scorte, materiali obsoleti o esauriti ed il contrasto della circolazione di dispositivi contraffatti;
- l'elevamento dell'efficienza dei procedimenti di acquisto, previo accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome ed attraverso l'articolazione e il rafforzamento delle funzioni di valutazione - Health Technology Assessment (HTA) - dei dispositivi medici, sulla base degli obiettivi individuati dal relativo Programma nazionale HTA (lettera f)).
Si ricorda che l'articolo 1, comma 587, della L. 23 dicembre 2014, n. 190, ha previsto l'istituzione, da parte del Ministero della salute, di una rete nazionale, coordinata dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), di collaborazione tra le regioni per la definizione e per l'utilizzo di strumenti per il governo dei dispositivi medici e per l'attuazione di un programma di valutazione - Programma nazionale di Health Technology Assessment (HTA) dei dispositivi medici -. Sulla base di tale previsione è stata istituita una Cabina di regia, al fine di coordinare, mediante gli apporti del Ministero della salute, dell'AGENAS, dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e delle regioni, le attività di Health Technology Assessment dei dispositivi medici sviluppate a livello nazionale e locale, dando attuazione ad un programma nazionale. Quest'ultimo è oggetto di un Documento strategico, predisposto dalla medesima Cabina di regia e sul quale è stata sancita l'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome il 21 settembre 2017[19];
- l'adeguamento delle attività dell'Osservatorio nazionale sui prezzi dei dispositivi medici (lettera f) citata).
Si ricorda che l'istituzione, presso il Ministero della salute, dell'Osservatorio è stata prevista dal comma 7 del citato articolo 9-ter del D.L. n. 78 del 2015 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 125 del 2015), allo scopo di supportare e monitorare le stazioni appaltanti e verificare la coerenza dei prezzi a base d'asta rispetto ai prezzi di riferimento definiti dall'Autorità nazionale anticorruzione o ai prezzi unitari disponibili nel flusso consumi del Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS);
- l'adeguamento dei trattamenti di dati personali effettuati in applicazione dei due regolamenti europei in oggetto alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679[20] del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e alla normativa vigente in materia di tutela dei dati personali e sensibili[21] (lettera g));
- l'introduzione, ai fini del finanziamento del governo dei dispositivi medici, dell'obbligo di corresponsione, da parte delle aziende che producono o commercializzano dispositivi medici, di una quota non superiore all'1 per cento del fatturato - al netto dell'imposta sul valore aggiunto - derivante dalla vendita al Servizio sanitario nazionale dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature (lettera h)).
Articolo 16
(Fondi europei per il venture capital e per l'imprenditoria sociale)
L’articolo 16 delega il Governo all’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, di uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/1991 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2017 (comma 1).
Il regolamento (UE) 2017/1991 modifica il regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital e il regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale (EuSEF), e amplia l’uso delle denominazioni EuVECA e EuSEF per i gestori di organismi di investimento collettivo autorizzati in base all’articolo 6 della direttiva 2011/61/UE. Esso amplia inoltre la gamma delle imprese ammissibili e diminuisce i costi associati alla commercializzazione dei fondi all’interno dell’Unione. Il regolamento 2017/1991 si applica dal 1° marzo 2018.
Si ricorda che con due distinti regolamenti l'Unione Europea ha dettato la disciplina applicabile a due particolari tipologie di gestori alternativi: i Fondi Europei per il Venture Capital - EUVECA (di cui al Regolamento UE n. 345/2013) e i Fondi Europei per l'Imprenditoria Sociale - EUSEF (di cui al Regolamento UE n. 346/2013).
Tali provvedimenti normativi si applicano ai gestori di fondi che si collocano al di sotto di specifiche soglie previste dalla direttiva AIFMD sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva 2011/61/UE). I gestori “sotto-soglia” possono fruire, a seguito di apposita registrazione presso lo Stato membro "home", del passaporto comunitario e della denominazione EUVECA ed EUSEF, laddove rispettino determinate condizioni.
Il cd. passaporto europeo o comunitario descrive il sistema per cui, in settori armonizzati, le imprese di uno Stato possono prestare i loro servizi in un altro Stato membro oppure stabilirvisi sulla base di una autorizzazione dell’autorità competente dello Stato d’origine; le autorità dello Stato di destinazione vengono di regola soltanto informate dell’inizio dell’attività del soggetto estero nel territorio nazionale. Tra le condizioni richieste dai regolamenti figurano:
- alcuni requisiti dei componenti gli organi apicali;
- specifici limiti e condizioni di investimento;
- una specifica composizione del patrimonio degli OICR gestiti.
Anche laddove il gestore si situi sopra tale soglia potrà utilizzare le indicate denominazioni, sempreché continui a gestire gli OICR secondo le disposizioni sancite dai regolamenti comunitari.
Per usufruire della denominazione EUVECA o EUSEF per la commercializzazione dei fondi gestiti, il gestore deve registrarsi presso l'autorità competente del proprio Stato membro d'origine, ai fini del rilascio del relativo "passaporto".
Con riferimento al riparto di competenze tra Stati membri e rispettive autorità in relazione all'operatività transfrontaliera dei gestori, i regolamenti prevedono che l'autorità del Paese di origine (c.d. autorità home, ossia quella del luogo in cui il gestore è stabilito) sia competente a vigilare sul rispetto delle disposizioni UE. L'autorità dello Stato membro di origine deve notificare all'autorità host, ovvero quella dello Stato membro ospitante - sul cui territorio le quote dei fondi verranno commercializzate - e all'ESMA la registrazione di un gestore, nonché i fondi che saranno oggetto di commercializzazione nel territorio dell'host.
Un altro aspetto rilevante della regolamentazione UE sui fondi EUVECA e EUSEF riguarda le informazioni da dare agli investitori: la commercializzazione su base transfrontaliera è infatti consentita solo nei confronti di investitori professionali (o che chiedono di essere trattati come investitori professionali) e quegli investitori che si impegnino a investire almeno 100.000 euro e dichiarino per iscritto di essere consapevoli dei rischi connessi all'impegno o all'investimento previsto.
I regolamenti impongono al gestore di osservare un obbligo di correttezza nei confronti degli investitori (c.d. "fair treatment"), in particolare prevenendo pratiche scorrette ed evitando trattamenti preferenziali; è richiesto un elevato livello di diligenza nella selezione e nel controllo degli investimenti e delle imprese in cui si investe. Sono inoltre disciplinate nel dettaglio anche le norme di trasparenza pre-contrattuale agli investitori.
Entrambi i regolamenti sono entrati in vigore il 22 luglio 2013.
Il decreto legislativo n. 44 del 2014 ha introdotto nella normativa primaria le norme strettamente necessarie all'applicazione dei regolamenti, demandando alla regolamentazione secondaria la disciplina dettagliata degli aspetti tecnici contenuti nella direttiva e nei regolamenti.
In primo luogo, con riferimento al riparto delle competenze, il D.lgs. n. 44 del 2014 ha introdotto nel Testo Unico della Finanza - TUF (D.lgs. n. 58 del 1998) l'articolo 4-quinquies, che ottempera all’individuazione delle autorità nazionali competenti ai sensi dei menzionati regolamenti comunitari. In particolare la Banca d'Italia è competente - sentita la Consob - in merito alla registrazione e cancellazione dei gestori italiani di EUVECA e EUSEF, nonché per ricevere le notifiche concernenti la commercializzazione transfrontaliera dei fondi EUVECA e EUSEF (sia per quanto riguarda l'operatività all'estero dei gestori italiani che per l'ingresso in Italia di gestori comunitari stabiliti in altro Stato membro). La Consob è competente per quanto riguarda l'attività di trasmissione delle predette notifiche.
Contestualmente il richiamato D.lgs. n. 44 del 2014 ha apportato sostanziali modifiche all’articolo 39 del TUF, demandando a un regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Consob, la disciplina dei criteri generali cui devono uniformarsi gli organismi di investimento collettivo del risparmio- OICR italiani, nonché l’individuazione delle categorie di investitori non professionali nei cui confronti è possibile commercializzare quote di FIA italiani riservati.
In attuazione della norma primaria, il Decreto 5 marzo 2015, n. 30 all’articolo 14 consente che ai fondi riservati partecipino investitori non professionali purché sottoscrivano/acquistino quote o azioni del FIA per un importo complessivo non inferiore a cinquecentomila euro.
Il 21 gennaio 2015 la Banca d’Italia e la Consob hanno pubblicato i regolamenti di attuazione del TUF che completano il recepimento della disciplina AIFMD. Si tratta delle modifiche ai regolamenti intermediari ed emittenti, adottate con delibera n. 19094 dell'8 gennaio 2015, nonché delle modifiche al regolamento congiunto Banca d'Italia-Consob in materia di organizzazione e procedure degli intermediari, adottato con atto del 19 gennaio 2015.
Tale disciplina è stata oggetto di revisione ad opera del regolamento 2017/1991 per soddisfare le necessità di finanziamento dell'economia reale e di potenziamento della crescita economica e dell'occupazione.
In particolare, attraverso le modifiche apportate all'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 345/2013 e all'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 346/2013, al fine di ampliare la base dei potenziali gestori che possono utilizzare la denominazione EuVECA e EuSEF, il regolamento ha esteso l'ambito di applicazione dei citati regolamenti anche ai gestori di FIA autorizzati ai sensi dell'articolo 6 della AIFMD (c.d. gestori sopra-soglia), in modo da permettere alle imprese in cerca di investimenti l'accesso ai finanziamenti offerti da una gamma più vasta e più differenziata di fondi.
Per mantenere un livello elevato di tutela degli investitori, i gestori sopra-soglia che intendono utilizzare la denominazione EuVECA e EuSEF rimangono soggetti a tutti i requisiti previsti dalla AIFMD e, in aggiunta, sono soggetti a talune disposizioni dei citati regolamenti (UE) n. 345/2013 e n. 346/2013, tra le quali le norme in materia di investimenti ammissibili e gli obblighi di informativa.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, nell'esercizio della delega il Governo osserva, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) apportare al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), le modifiche e le integrazioni necessarie per l'attuazione del regolamento 2017/1991, attribuendo i poteri e le competenze di vigilanza previsti dal citato regolamento alla Banca d'Italia e alla CONSOB, secondo le rispettive attribuzioni e finalità indicate negli articoli 5 e 6 del citato testo unico e prevedendo il ricorso alla disciplina secondaria;
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 5 TUF, la Banca d'Italia è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari, mentre la Consob è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti.
La Banca d'Italia e la Consob operano in modo coordinato anche al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati e si danno reciproca comunicazione dei provvedimenti assunti e delle irregolarità rilevate nell'esercizio dell'attività di vigilanza. Al fine di coordinare l'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza e di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati, esse stipulano un protocollo d'intesa, avente ad oggetto a) i compiti di ciascuna e le modalità del loro svolgimento, secondo il criterio della prevalenza delle funzioni; b) lo scambio di informazioni, anche con riferimento alle irregolarità rilevate e ai provvedimenti assunti nell'esercizio dell'attività di vigilanza.
Il successivo articolo 6 TUF, nel disciplinare i poteri regolamentari delle due Autorità, prevede che nell'esercizio dei poteri la Banca d'Italia e la Consob osservano i seguenti principi:
a) valorizzazione dell'autonomia decisionale dei soggetti abilitati;
b) proporzionalità, intesa come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari;
c) riconoscimento del carattere internazionale del mercato finanziario e salvaguardia della posizione competitiva dell'industria italiana;
d) agevolazione dell'innovazione e della concorrenza.
b) apportare al citato TUF le modifiche necessarie per prevedere la possibilità, per i gestori di fondi d'investimento alternativi autorizzati ai sensi della direttiva 2011/61/UE di gestire e commercializzare fondi europei per il venture capital e fondi europei per l'imprenditoria sociale;
Si ricorda che con la direttiva 2011/61/UE sono state inquadrate le attività dei gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA); i fondi di investimento alternativi sono definiti come organismi di investimento collettivo, compresi i relativi comparti d’investimento, che raccolgono capitali da una pluralità di investitori al fine di investirli in conformità di una politica di investimento definita a beneficio di tali investitori e che non sono soggetti alla direttiva sugli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari: vale a dire i fondi diversi da quelli già regolati a livello comunitario (i «fondi armonizzati», cosiddetti UCITS ovvero OICVM, e i fondi pensione); il gestore è definito come la persona giuridica che esercita abitualmente l’attività di gestione di uno o più fondi di investimento alternativi. Sostanzialmente si tratta dei fondi speculativi (hedge funds), dei fondi di private equity, di venture capital, immobiliari, di materie prime, infrastrutturali e altri tipi di fondi istituzionali. In particolare, fissa le norme in materia di autorizzazione, funzionamento e trasparenza dei GEFIA che gestiscono e/o commercializzano FIA nell'Unione.
c) modificare il TUF per adeguarlo alle disposizioni del regolamento 2017/1991 in materia di cooperazione e scambio di informazioni con le autorità competenti degli Stati membri dell'Unione europea, nonché con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati;
d) apportare al TUF le modifiche e le integrazioni necessarie per estendere il regime sanzionatorio previsto dal medesimo testo unico in attuazione della direttiva 2011/61/CE anche ai gestori sopra-soglia di cui all'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 345/2013 e di cui all'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 346/2013;
e) prevedere, in conformità alle definizioni e alla disciplina del regolamento 2017/1991 nonché ai criteri direttivi previsti nella presente legge, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
Il comma 3 prevede la clausola di invarianza finanziaria e dispone che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'esercizio della delega in esame con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 17
(Commissioni applicate sui pagamenti transfrontalieri nell'Unione e commissioni di conversione valutaria.)
L’articolo 17 delega il Governo all’adozioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2019/518 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, relativo alle commissioni applicate ai pagamenti transfrontalieri nell’Unione e alle commissioni di conversione valutaria.
Le norme del citato regolamento si applicano dal 15 dicembre 2019. Per sua natura, il regolamento ha portata generale in tutti i suoi elementi e non richiede il recepimento interno da parte degli Stati membri, in quanto di diretta applicazione nel territorio della UE. Le norme in commento dispongono in ordine all’adeguamento della legislazione interna alla disciplina regolamentare.
Il regolamento (UE) 2019/518 consente ai consumatori e le imprese di Stati membri dell’Unione non appartenenti alla zona euro di effettuare pagamenti transfrontalieri in euro allo stesso costo di quelli nazionali. Il regolamento disciplina inoltre le informazioni sulle commissioni applicate per il servizio di conversione valutaria da parte dei prestatori di servizi di pagamento, anche nel caso di utilizzo di bancomat (ATM).
A tale scopo viene modificato in più punti il regolamento n. 924/2009.
Viene in primo luogo stabilito (modifiche all’articolo 3 del regolamento n. 924/2009) che le commissioni applicate da un prestatore di servizi di pagamento a un utilizzatore di servizi di pagamento per i pagamenti transfrontalieri in euro siano uguali a quelle applicate da tale prestatore di servizi di pagamento per i corrispondenti pagamenti nazionali dello stesso valore effettuati nella valuta nazionale dello Stato membro in cui è situato il prestatore di servizi di pagamento dell'utilizzatore di servizi di pagamento.
Nel predetto regolamento del 2009 sono inseriti due nuovi articoli (3 bis e 3-ter).
Il nuovo articolo 3-bis disciplina le informazioni rese dal prestatore di servizi di pagamento riguardo alle commissioni di conversione valutaria applicate alle operazioni basate su carta. In particolare le informazioni sulle commissioni sono fornite anche quando si usufruisce di uno sportello di prelievo automatico (ATM, bancomat), prima dell’avvio dell’operazione di pagamento. Le commissioni di conversione valutaria sono espresse sotto forma di maggiorazione percentuale sugli ultimi tassi di cambio di riferimento in euro disponibili pubblicati dalla Banca centrale europea (BCE). Tali informazioni sono rese anche in modo comprensibile e facilmente accessibile su una piattaforma elettronica ampiamente disponibile e facilmente accessibile.
Oltre alle informazioni sulla commissione, chi fornisce il servizio di conversione valutaria presso un bancomat o un proprio punto di vendita deve fornire al pagatore le seguenti informazioni:
- l'importo da pagare al beneficiario nella valuta utilizzata dal beneficiario;
- l'importo che il pagatore deve pagare nella valuta del conto del pagatore.
Tali informazioni devono essere chiaramente esposte; prima dell'operazione di pagamento, il pagatore viene informato della possibilità di pagare nella valuta utilizzata dal beneficiario e di far effettuare successivamente la conversione valutaria dal prestatore di servizi di pagamento del pagatore. E’ previsto inoltre l’invio di un apposito messaggio elettronico con l’indicazione delle informazioni sulle commissioni applicate, “senza indebito ritardo”.
L’articolo 3 ter reca analoghe disposizioni con riferimento ai bonifici: prima dell’effettuazione di bonifici online o tramite app il pagatore è informato in modo chiaro, neutrale e comprensibile, delle spese stimate per i servizi di conversione valutaria applicabili al bonifico. Il pagatore è inoltre informato in modo chiaro, neutrale e comprensibile, dell'importo totale stimato del bonifico nella valuta del conto del pagatore, comprese le eventuali commissioni applicate all'operazione e le eventuali commissioni di conversione valutaria. Il prestatore di servizi di pagamento comunica anche l'importo stimato da trasferire al beneficiario nella valuta usata dal beneficiario.
Le norme del regolamento (che, per sua natura, ha portata generale in tutti i suoi elementi e non richiede il recepimento interno) si applicano dal 15 dicembre 2019 e si iscrivono nel contesto più ampio degli sforzi portati avanti della Commissione UE per migliorare l'accesso dei consumatori ai servizi finanziari e per abbassarne i costi, in seno al Piano d'azione riguardante i servizi finanziari destinati ai consumatori varato a marzo 2017.
Il prossimo passo, preannunciato dalla Commissione per aprile 2020, consiste nell'applicazione di ulteriori disposizioni, volte a garantire ai consumatori dell'UE di confrontare le commissioni di conversione valutaria al momento di effettuare pagamenti con carta in un'altra valuta dell'UE.
Il comma 2 dell’articolo 17, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (per cui si rinvia alla prima parte del presente dossier), individua princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega da parte del Governo.
In particolare, i decreti legislativi (lettera a) del comma 2) devono prevedere, in conformità alle prescrizioni dell'articolo 13 del regolamento (CE) 924/2009, l'applicazione di sanzioni amministrative efficaci, proporzionate e dissuasive per le violazioni degli obblighi informativi sulle commissioni valutarie (di cui ai già illustrati articoli 3-bis e 3-ter del regolamento medesimo), attraverso le modificazioni al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 135, e in linea con i limiti edittali ivi previsti; tale provvedimento ha stabilito i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e le disposizioni sanzionatorie per le violazioni del Regolamento (CE) n. 924/2009.
Per ulteriori informazioni sul citato D. Lgs. n. 135, si rinvia al dossier predisposto dai servizi di documentazione di Camera e Senato sull’atto del Governo n. 164, recante il relativo schema di decreto legislativo.
Inoltre, i decreti legislativi di adeguamento devono prevedere (lettera b) del comma 2), in conformità alle definizioni, alla disciplina e alle finalità del regolamento (UE) 518/2019, le occorrenti modificazioni e abrogazioni della normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di assicurare la corretta e integrale applicazione del medesimo regolamento e di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
Articolo 18
(Principi e criteri direttivi per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Titolo III “Quadro di certificazione della cibersicurezza” del regolamento (UE) 2019/881, relativo all’ENISA, l’Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza, e alla certificazione della cibersicurezza per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e che abroga il regolamento (UE) n. 526/2013 («regolamento sulla cibersicurezza»))
La norma reca principi e criteri direttivi per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Titolo III (“Quadro di certificazione della cibersicurezza”) del regolamento (UE) 2019/881, del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019.
Il regolamento (UE) 2019/881 ha creato l'Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza quale organo permanente per fornire all'UE una maggiore capacità di cibersicurezza ed ha definito un sistema europeo di certificazione.
Il regolamento è diviso in quattro parti.
Il Titolo I (articoli 1 e 2) contiene disposizioni generali (oggetto ed ambito di applicazione e definizioni).
Il titolo II (articoli 3-45) è dedicato all'ENISA, Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza, centro di competenze in materia di sicurezza informatica che ha sede ad Atene. Aiuta l’UE e i paesi membri a risultare e preparati a prevenire, rilevare e reagire ai problemi di sicurezza dell’informazione. Fornisce in tal senso consigli pratici e soluzioni per il settore pubblico e privato. Fra le sue attività rientrano:
1) l'organizzazione di esercitazioni di crisi informatiche in tutta Europa;
2) l'assistenza per lo sviluppo di strategie nazionali di sicurezza informatica;
3) la promozione della cooperazione fra le squadre di pronto intervento informatico e lo sviluppo di capacità.
L’ENISA pubblica altresì relazioni e studi sulle questioni di sicurezza informatica e nuove tecnologie.
Il Titolo III (articoli 46 - 65) istituisce il quadro europeo di certificazione della cibersicurezza, ovvero un meccanismo volto a istituire sistemi europei di certificazione della cibersicurezza[22] e ad attestare che i prodotti, servizi e processi TIC[23] valutati nel loro ambito sono conformi a determinati requisiti di sicurezza al fine di proteggere la disponibilità, l’autenticità, l’integrità o la riservatezza dei dati conservati, trasmessi o trattati o le funzioni o i servizi offerti da tali prodotti, servizi e processi o accessibili tramite essi per tutto il loro ciclo di vita.
L'articolo 51 descrive gli obiettivi di sicurezza dei sistemi europei, l'articolo 52 ne illustra i livelli di affidabilità e l'articolo 54 ne elenca gli elementi. L'articolo 56 disciplina la certificazione della cibersicurezza, specificando che i prodotti, servizi e processi TIC certificati ricorrendo ad un sistema europeo di certificazione sono considerati conformi ai requisiti di tale sistema. La certificazione è volontaria, salvo quando diversamente specificato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri. I certificati sono rilasciati da organismi di valutazione della conformità[24] (articolo56, par. 4), operanti al livello nazionale (articolo 60).
L'articolo 57 specifica che eventuali sistemi nazionali di certificazione della cibersicurezza che risultino coperti da un sistema europeo cessano di produrre effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore del sistema europeo medesimo.
Gli Stati membri sono incaricati di designare autorità nazionali di certificazione (articolo 58).
Al livello europeo, invece, opera il Gruppo europeo per la certificazione della cibersicurezza (articolo 62), composto da rappresentanti delle autorità nazionali.
Il Titolo IV (articoli 66-69) contiene alcune disposizioni finali.
Il comma 1 della norma in commento delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale al Titolo III del regolamento (UE) 2019/881.
Il comma 2 specifica i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici a cui il Governo si dovrà attenere:
a) designare il Ministero dello sviluppo economico quale «autorità nazionale di certificazione della cibersicurezza» ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 58 del regolamento (UE) 2019/881. Ogni Stato membro dovrà individuare una o più autorità e comunicarne l'identità alla Commissione europea. Le autorità sono incaricate di compiti di vigilanza e devono essere indipendenti dai soggetti sui quali vigilano in termini di organizzazione, decisioni di finanziamento, struttura giuridica e processo decisionale;
b) individuare l’organizzazione e le modalità per lo svolgimento dei compiti e l’esercizio dei poteri della medesima autorità competente, ovvero:
- supervisionare e far applicare le regole previste nei sistemi europei di certificazione della cibersicurezza per il controllo della conformità dei prodotti, servizi e processi TIC con i requisiti dei certificati europei di cibersicurezza rilasciati; controllare la conformità agli obblighi e far applicare gli obblighi che incombono ai fabbricanti o ai fornitori di prodotti, servizi o processi TIC che sono stabiliti in Italia e che effettuano un’autovalutazione della conformità; assistere e sostenere gli organismi nazionali di accreditamento nel monitoraggio e nella vigilanza delle attività degli organismi di valutazione; autorizzare gli organismi di valutazione della conformità o limitare, sospendere o revocare l’autorizzazione esistente in caso di violazione delle prescrizioni del regolamento; trattare i reclami delle persone fisiche o giuridiche in relazione ai certificati europei di cibersicurezza rilasciati dalle autorità nazionali di certificazione della cibersicurezza o ai certificati europei di cibersicurezza; redigere una relazione sintetica annuale; cooperare con le altre autorità nazionali di certificazione della cibersicurezza o con altre autorità pubbliche; sorvegliare gli sviluppi che presentano un interesse nel campo della certificazione della cibersicurezza (articolo 58, par. 7, regolamento (UE) 2019/881);
- il rilascio dei certificati europei da parte della stessa autorità nazionale di certificazione della cibersicurezza, di un organismo pubblico accreditato o di un organismo di valutazione della conformità. Ciò avviene qualora lo preveda lo stesso sistema europeo di certificazione della cibersicurezza "in casi debitamente giustificati" (articolo 56, par. 5, regolamento (UE) 2019/881) o qualora il sistema medesimo richieda un livello di affidabilità elevato (articolo 56, par. 6).
Si evidenzia che ai sensi dell'articolo 58, par. 4, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che le autorità nazionali di certificazione mantengano "rigorosamente separate" le attività di rilascio di certificati europei di cibersicurezza da quelle invece relative alla vigilanza;
c) definire il sistema delle sanzioni applicabili, stabilendo in particolare che le sanzioni amministrative pecuniarie devono essere non inferiori nel minimo a 15.000 euro né superiori nel massimo a 5.000.000 di euro. Gli introiti derivanti dall’irrogazione delle sanzioni saranno versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per finalità di ricerca e formazione in materia di certificazione della cibersicurezza.
Il presente criterio direttivo attua la norma di cui all'articolo 65 del regolamento (UE) 2019/881, la quale incarica gli Stati membri di stabilire sanzioni "effettive, proporzionate e dissuasive", che dovranno essere notificate alla Commissione europea.
d) prevedere che il Ministero dello sviluppo economico, quale «autorità nazionale di certificazione della cibersicurezza», possa revocare i certificati rilasciati sul territorio nazionale da organismi di valutazione della conformità o organismi pubblici accreditati come organismi di valutazione della conformità.
Tale potere di revoca è previsto dall'articolo 58, par. 7 e 8, del regolamento (UE) 2019/881, come descritto in precedenza.
I certificati oggetto di possibile revoca sono quelli rilasciati ai sensi dell’articolo 56, paragrafi 4 e 5, lettera b), del regolamento (UE) 2019/881, ovvero quelli rilasciati da organismi di valutazione della conformità e che corrispondono ad un livello di affidabilità "di base" o "sostanziale" ma anche quelli che, "in casi debitamente giustificati", siano rilasciati da un organismo pubblico accreditato come organismo di valutazione della conformità.
Tale possibilità di revoca viene meno, per espressa previsione della lettera d) del comma 2 della norma in commento, nel caso in cui i singoli sistemi europei di certificazione contengano disposizioni diverse.
La lettera d) cita l'articolo 49 del regolamento (UE) 2019/881, che disciplina l'iter di approvazione del sistema europeo di certificazione della cibersicurezza. La proposta di sistema è redatta dall'ENISA, su richiesta della Commissione europea, previa consultazione di tutti i pertinenti portatori di interessi. E' istituito un gruppo di lavoro ad hoc e l'ECCG presta assistenza e consulenza specialistica. La proposta elaborata dall'ENISA ad esito del processo sopra descritto può quindi essere adottata dalla Commissione europea nella forma di atti di esecuzione. Ogni sistema europeo di certificazione adottato è soggetto a revisione su base quinquennale.
In materia di certificazione della sicurezza informatica, a livello nazionale vige il D.P.C.M. 30 ottobre 2003, che definisce lo schema nazionale per la valutazione e la certificazione della sicurezza di sistemi e prodotti nel settore della tecnologia dell'informazione. Lo schema reca l'insieme delle procedure e delle regole nazionali necessarie per la valutazione e certificazione, conformemente ai criteri europei o agli standard internazionali. L'articolo 2, comma 2, del DPCM specifica che le procedure relative allo schema nazionale devono essere osservate "dall'organismo di certificazione, dai laboratori per la valutazione della sicurezza, nonché da tutti coloro, persone fisiche, giuridiche e qualsiasi altro organismo o associazione, cui competono le decisioni in ordine alla richiesta, acquisizione, progettazione, realizzazione, installazione ed impiego di sistemi e prodotti nel settore della tecnologia dell'informazione, per i quali la sicurezza costituisce uno dei requisiti e che necessitano di una certificazione di sicurezza". Vengono regolate (articolo 3) una procedura di valutazione e la relativa certificazione. Quest'ultima è effettuata a titolo oneroso dall'ex Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell'informazione (ISCTI), che opera nell'ambito del Ministero dello sviluppo economico in qualità di organo tecnico-scientifico.
Il citato DCPM è stato adottato in attuazione della delega contenuta nell'art. 10 del decreto legislativo n. 10 del 23 gennaio 2002, a sua volta attuativo della direttiva 1999/93/CE[25].
Più in generale in materia di sicurezza informatica, la direttiva (UE) 2016/1148 del 6 luglio 2016 reca misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione (c.d. direttiva NIS - Network and Information Security) al fine di conseguire un "livello elevato di sicurezza della rete e dei sistemi informativi in ambito nazionale, contribuendo ad incrementare il livello comune di sicurezza nell'Unione europea".
La direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 65. Esso detta la cornice legislativa delle misure da adottare per la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi ed individua i soggetti competenti per dare attuazione agli obblighi previsti dalla direttiva 2016/1148.
In particolare, al Presidente del Consiglio dei ministri compete l'adozione, sentito il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR)[26], della strategia nazionale di sicurezza cibernetica per la tutela della sicurezza delle reti e dei sistemi di interesse nazionale. Con la medesima procedura sono adottate linee di indirizzo per l'attuazione della strategia nazionale di sicurezza cibernetica.
La qualifica di "autorità competente NIS" viene attribuita ai singoli Ministeri in base ai settori di competenza (Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero della salute e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio) e, per taluni ambiti, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano. Tali autorità sono i soggetti competenti per settore (settori dell'energia e trasporti, settore bancario, infrastrutture dei mercati finanziari, settore sanitario, fornitura e distribuzione di acqua potabile, infrastrutture digitali) in materia di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi; verificano, in particolare, l'applicazione della direttiva a livello nazionale ed individuano gli operatori di servizi essenziali nell'ambito dei criteri ivi definiti.
Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituito il CSIRT-Computer Emergency Response Team italiano, al quale sono attribuite le funzioni del CERT nazionale (attualmente presso il Ministero per lo sviluppo economico) e del CERT-PA (attualmente presso l'Agenzia per l'Italia digitale-AGID). Il CSIRT è definito dalla direttiva 2016/1148 quale "gruppo di intervento per la sicurezza informatica in caso di incidente", che ogni Stato membro è chiamato a designare con il compito di trattare gli incidenti e i rischi secondo una procedura definita (con il DPCM 8 agosto 2019, pubblicato nella G.U. 8 novembre 2019, sono state adottate disposizioni sull’organizzazione e il funzionamento del - CSIRT italiano).
Viene designato il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) quale punto di contatto unico, organo incaricato a livello nazionale di coordinare le questioni relative alla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi e la cooperazione transfrontaliera a livello di Unione europea.
L'autorità di contrasto è individuata nell'organo centrale del Ministero dell'interno per la sicurezza e per la regolarità dei servizi di telecomunicazione al quale è attualmente attribuita la competenza ad assicurare i servizi di protezione informatica delle infrastrutture critiche informatizzate di interesse nazionale, operando mediante collegamenti telematici definiti con apposite convenzioni con i responsabili delle strutture interessate.
Gli operatori di servizi essenziali, ai fini del provvedimento, sono i soggetti pubblici o privati, della tipologia prevista dall'elenco dell'allegato II (settori dell'energia e trasporti, settore bancario, infrastrutture dei mercati finanziari, settore sanitario, fornitura e distribuzione di acqua potabile, infrastrutture digitali), individuati dalle autorità competenti NIS. Entro il 9 novembre 2018 le autorità competenti sono tenute ad identificare tali soggetti, ai fini del rispetto degli obblighi della direttiva.
Il decreto definisce inoltre gli obblighi in capo agli operatori dei servizi essenziali e ai fornitori dei servizi digitali con riferimento alla sicurezza della rete e dei sistemi informativi che utilizzano nel contesto dei servizi individuati dall'allegato III. È posto a loro carico l'obbligo di individuare le misure tecniche e organizzative relative alla gestione dei rischi, alle misure per prevenire e minimizzare gli impatti degli incidenti e, sotto il profilo procedurale, sono definite le modalità di notifica degli incidenti che abbiano un impatto rilevante sui servizi forniti individuando altresì le condizioni e le modalità secondo le quali potranno essere coinvolti gli organismi di altri Paesi.
Sono poi individuati i poteri di controllo delle autorità NIS sia nei confronti degli operatori di servizi essenziali, che dei fornitori di servizi digitali anche prevedendo poteri di verifica e di ispezione oltre che l'irrogazione di sanzioni amministrative nel caso di mancato adempimento degli obblighi previsti.
Nel mese di luglio 2019 le linee guida sulla gestione dei rischi e la prevenzione, mitigazione e notifica degli incidenti, elaborate dalle Autorità NIS, sono state adottate e condivise con i 465 operatori di servizi essenziali (OSE) già individuati nel dicembre 2018 (si veda, al riguardo, il comunicato stampa del 3 luglio 2019 del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza - DIS e la scheda sul sito "Agenda digitale").
Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 dicembre 2018, in attuazione degli articoli 16-bis e 16-ter del decreto legislativo n. 259 del 2003, ha dettato misure di natura tecnico-organizzativa per la sicurezza e l'integrità delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, al fine di conseguire un livello di sicurezza adeguato al rischio esistente e ha definito i casi in cui la violazione delle reti o la perdita dell'integrità sono da considerarsi significative, ai fini della notifica alle Autorità competenti da parte dei fornitori di reti e servizi.
Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 15 febbraio 2019, in attuazione del DPCM 12 febbraio 2017, ha istituito il Centro di Valutazione e Certificazione nazionale (CVCN), presso l'Istituto Superiore delle Comunicazioni e delle Tecnologie dell'Informazione, per la verifica delle condizioni di sicurezza e dell'assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati e sistemi destinati ad essere utilizzati per il funzionamento di reti, servizi e infrastrutture critiche, nonché di ogni altro operatore per cui sussista un interesse nazionale.
Si rammenta inoltre che il regolamento (CE) n. 2019/452/UE istitutivo di un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell'Unione, stabilisce (art. 4) che gli Stati membri dell'UE, nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull'ordine pubblico, devono prendere in considerazione, tra l'altro, fattori quali le infrastrutture critiche (fisiche e visuali) e le tecnologie critiche, (tra cui l'intelligenza artificiale, la robotica, la cibersicurezza ecc.).
Da ultimo, è intervenuto il D.L. 105 del 2019 al fine di assicurare, in particolare, un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, nonché degli enti e degli operatori nazionali, pubblici e privati, attraverso l'istituzione di un perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e la previsione di misure volte a garantire i necessari standard di sicurezza rivolti a minimizzare i rischi. Talune modifiche sono state apportate, da ultimo, dal D.L. 162/ 2019, in materia di proroga dei termini e altre disposizioni sulla pubblica amministrazione.
Per ulteriori approfondimenti si veda il tema web sul sito della Camera dei deputati.
Articolo 19
(Princìpi e criteri direttivi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/943, sul mercato interno dell'energia elettrica (rifusione), e del regolamento (UE) 2019/941, sulla preparazione ai rischi nel settore dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2005/89/C)
Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale ai regolamenti (UE) 2019/943 e 2019/941.
In base al comma 2, nell'esercizio della delega il Governo osserva, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) riordinare, coordinare e aggiornare le disposizioni nazionali al fine di adeguarle alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/943 e del regolamento (UE) 2019/941, con abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili;
b) stabilire, in caso di mancato rispetto degli obblighi previsti dal regolamento (UE) 2019/943, l'irrogazione da parte dell'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente di sanzioni amministrative pecuniarie effettive, proporzionate e dissuasive.
Sintesi della normativa unionale
Nel corso della fase ascendente, la X Commissione della Camera ha approvato sull'atto COM(2016) 861, nella seduta del 2 agosto 2017, un documento finale contenente una valutazione positiva con osservazioni.
Il regolamento (UE) n. 2019/943 sul mercato interno dell’energia elettrica:
riesamina le regole e i principi del mercato interno dell’elettricità dell’UE per garantire che sia ben funzionante, competitivo e senza distorsioni;
supporta inoltre la decarbonizzazione del settore energetico dell’UE e l’eliminazione degli ostacoli agli scambi transfrontalieri di energia elettrica.
fa parte del pacchetto Energia pulita per tutti gli europei.
Il regolamento stabilisce una serie di principi sulla base dei quali dovrebbero essere gestiti i mercati dell’energia elettrica, tra cui:
incoraggiare la formazione libera dei prezzi ed evitare azioni che impediscano la formazione dei prezzi sulla base della domanda e dell’offerta;
facilitare lo sviluppo di una generazione più flessibile, una generazione sostenibile a basse emissioni di carbonio e una domanda più flessibile;
offrire ai consumatori l’opportunità di agire come partecipanti al mercato nel mercato dell’energia e nella transizione energetica;
permettere la decarbonizzazione del sistema elettrico, anche consentendo l’integrazione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili e fornendo incentivi all’efficienza energetica;
incentivi d’investimento per la generazione, in particolare per quanto concerne gli investimenti a lungo termine in un sistema elettrico decarbonizzato e sostenibile;
facilitare la progressiva rimozione degli ostacoli ai flussi transfrontalieri di energia elettrica tra zone di offerta o Stati membri e alle transazioni transfrontaliere sui mercati dell’energia elettrica e dei relativi mercati dei servizi;
consentire lo sviluppo di progetti dimostrativi in materia di fonti energetiche, tecnologie o sistemi sostenibili, sicuri e a basse emissioni di carbonio, da realizzare e da sfruttare a favore della società.
La Commissione europea assiste gli Stati membri nel far fronte agli impatti sociali ed economici della transizione verso l’energia pulita anche attraverso il sostegno a strategie nazionali per la riduzione dell’estrazione di carbone e altri combustibili fossili solidi.
Accesso alle reti e gestione della capacità
Gli Stati membri adottano tutte le misure appropriate per affrontare le congestioni.
È pertanto opportuno definire le zone di offerta in modo da garantire la liquidità del mercato, una gestione efficiente della congestione e l’efficienza complessiva del mercato.
Ogni tre anni, la Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione per l’energia elettrica riferisce in merito alle congestioni strutturali e alle altre congestioni fisiche importanti tra le zone di offerta e al loro interno, comprese l’ubicazione e la frequenza di tali congestioni.
Qualsiasi Stato membro con una congestione strutturale identificata decide, in cooperazione con i suoi gestori dei sistemi di trasmissione, di istituire piani d’azione nazionali o multinazionali al fine di aumentare la capacità transfrontaliera disponibile per gli scambi o rivedere e modificare la configurazione delle proprie zone di offerta.
Meccanismo di capacità
Il regolamento stabilisce le condizioni in base alle quali gli Stati membri possono introdurre meccanismi di capacità e i principi per la loro creazione.
Questi meccanismi mirano a garantire che l’approvvigionamento di energia elettrica sia sufficiente durante i periodi di punta remunerando le risorse per la loro disponibilità. Dovrebbero essere temporanei e progettati per affrontare un problema identificato di adeguatezza delle risorse. Dovrebbero essere aperti alla partecipazione transfrontaliera.
Viene introdotta una valutazione europea dell’adeguatezza delle risorse per verificare se l’introduzione dei meccanismi di capacità è giustificata. Gli Stati membri che introducono meccanismi di capacità sottopongono i loro piani di attuazione alla Commissione al fine di migliorare il funzionamento del mercato.
Viene fissato per le emissioni un limite di 550 g di CO2 per kWh di energia elettrica. Le nuove centrali elettriche con emissioni superiori e che iniziano la produzione commerciale dopo l’entrata in vigore del regolamento non potranno più partecipare ai meccanismi di capacità.
Le centrali elettriche esistenti che emettono più di 550 g di CO2 fossile per kWh e una media di 350 kg di CO2 all’anno per kW installato non saranno in grado di partecipare ai meccanismi di capacità dopo il 1 luglio 2025.
I contratti di capacità conclusi entro il 31 dicembre 2019 non saranno interessati dalle nuove regole.
Centri di coordinamento regionali
Questi centri sostengono il coordinamento regionale degli operatori dei sistemi di trasmissione.
Essi sostituiscono i coordinatori regionali della sicurezza, ma svolgono altri compiti di gestione del sistema, gestione del mercato e preparazione ai rischi.
Il regolamento istituisce inoltre un Ente europeo dei gestori dei sistemi di distribuzione (DSO), entità che opera nel comune interesse dell’UE.
Abrogazione
Il regolamento (UE) n. 2019/943 abroga il regolamento (CE) 714/2009 a partire dal 31 dicembre 2019.
Il regolamento si applica dal 1° gennaio 2020.
In relazione all'atto n. COM (2016) 862 definitivo, si veda la Nota su atti dell'Unione europea n. 93 del 21 febbraio 2017; su tale atto la 14a Commissione del Senato ha espresso osservazioni favorevoli con rilievi nella seduta n. 70 del 14 marzo 2017 mentre la X Commissione della Camera ha approvato nella seduta del 2 agosto 2017 un documento finale contenente una valutazione positiva con osservazioni.
Il regolamento (UE) 2019/941 sulla preparazione ai rischi nel settore dell’energia elettrica ha lo scopo di:
migliorare i criteri di identificazione di possibili crisi dell’energia elettrica;
preparare i piani per la gestione della crisi; e
gestire le situazioni di crisi che si presentano.
Esso stabilisce una metodologia comune e definisce le regole per la cooperazione tra i paesi dell’UE al fine di prevenire, preparare e gestire le crisi dell’energia elettrica in uno spirito di solidarietà e trasparenza, nel rispetto dei requisiti per un mercato interno dell’energia elettrica che sia competitivo.
Abroga la direttiva 2005/89/CE che stabiliva le misure che i paesi dell’UE dovevano adottare per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica in generale.
La Rete europea di gestori di sistemi di trasmissione dell’energia elettrica (REGST-E):
presenta, entro il 5 gennaio 2020, dopo ampie consultazioni, all’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) per l’approvazione e/o la modifica delle metodologie per:
identificare gli scenari regionali di crisi dell’energia elettrica in relazione all’adeguatezza e alla sicurezza del sistema nonché alla sicurezza dei combustibili;
valutare l’adeguatezza del sistema di approvvigionamento stagionale e a breve termine (mensile, settimanale e giornaliera) dell’energia elettrica di fronte a problemi come il maltempo;
individua, entro 6 mesi dall’approvazione della prima metodologia, gli scenari di crisi dell’energia elettrica più rilevanti per ciascuna regione;
rivaluta questi scenari di crisi regionali ogni 4 anni;
aggiorna e migliora entrambe le metodologie quando diventano disponibili nuove informazioni significative;
effettua valutazioni di adeguatezza stagionale, pubblicando quelle per l’inverno entro il 1° dicembre e quelle per l’estate entro il 1° giugno di ogni anno.
La metodologia per l’identificazione degli scenari di crisi dell’energia elettrica a livello regionale:
prende in considerazione almeno i seguenti rischi:
calamità naturali rare ed estreme;
pericoli accidentali;
fattori derivati di pericolo, tra cui le conseguenze di attacchi dolosi e della carenza di combustibile;
include quanto segue:
considerazione di tutte le pertinenti circostanze nazionali e regionali;
interazione e correlazione dei rischi transfrontalieri;
simulazioni di crisi dell’energia elettrica simultanee;
classificazione dei rischi in base al loro impatto e probabilità;
principi per la gestione delle informazioni sensibili garantendo al contempo la trasparenza.
è pubblicato sui siti web ENTSO-E e ACER.
Le autorità competenti, nominate dai paesi membri entro il 5 gennaio 2020:
sono responsabili e collaborano tra loro nell’esecuzione dei compiti previsti dalla legislazione;
collaborano con i gestori dei sistemi di trasmissione e distribuzione, le autorità di regolamentazione, ENTSO-E, i centri di coordinamento regionali e altre parti interessate pertinenti, se necessario;
identificano, entro 4 mesi dall’identificazione degli scenari regionali di crisi dell’energia elettrica, gli scenari nazionali più rilevanti di crisi dell’energia elettrica e li aggiornano ogni 4 anni;
stabiliscono piani di preparazione al rischio, basati sugli scenari di crisi regionali e nazionali identificati. I piani, che saranno valutati dalla Commissione europea, dopo aver consultato il Gruppo di coordinamento dell’energia elettrica (ECG), seguono un modello che stabilisce informazioni quali:
una sintesi degli scenari di crisi dell’energia elettrica;
i ruoli e le responsabilità delle autorità competenti;
le procedure e le misure da adottare in una crisi dell’energia elettrica (ad es. nazionale, regionale e bilaterale);
la nomina e la definizione del ruolo di un coordinatore della crisi,
le modalità di consultazione con le parti interessate, quali gli operatori della trasmissione e distribuzione e le società dell’energia elettrica e del gas.
le prove di emergenza;
emettono immediatamente un avviso tempestivo alla Commissione e ai paesi limitrofi dell’UE quando informazioni attendibili indicano che può verificarsi una crisi dell’energia elettrica sul loro territorio e forniscono informazioni pertinenti;
dichiarano una crisi dell’energia elettrica e ne informano la Commissione e i paesi limitrofi dell’UE;
presentano una relazione di valutazione, al più tardi 3 mesi dopo la fine di una crisi dell’energia elettrica, alla Commissione e all’ECG, descrivendo l’evento e valutandone l’impatto, le misure adottate e i possibili miglioramenti.
Controllo
L’ECG discute questioni come la coerenza dei piani di preparazione al rischio, i risultati delle valutazioni di adeguatezza e le prestazioni dei paesi dell’UE nel settore della sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica.
L’ACER monitora la sicurezza delle misure di fornitura di energia elettrica e riferisce periodicamente all’ECG.
La Commissione, entro il 1 settembre 2025, presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio su come migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica nell’UE.
Il regolamento si applica a partire dal 4 luglio 2019.
Contesto
Le crisi di energia elettrica possono verificarsi per molte ragioni, ad esempio a causa di condizioni meteorologiche estreme, attacchi dolosi o carenza di combustibile. Spesso queste situazioni di crisi hanno ripercussioni transnazionali. Incidenti su larga scala, come ondate di freddo o caldo o attacchi informatici, possono colpire contemporaneamente diversi paesi dell’UE.
Il regolamento è uno degli 8 atti legislativi del pacchetto «Energia pulita per tutti gli europei» che la Commissione ha presentato nel novembre 2016. Ciò contribuisce a dare forma all’Unione dell’energia, mantenendo competitiva l’UE e rispettando gli impegni assunti dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
Articolo 20
(Princìpi e criteri direttivi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1238, sul prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP))
L'articolo 20 detta princìpi e criteri direttivi specifici che il Governo è tenuto a osservare, in aggiunta ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 20121, nell'esercizio della delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1238. Gli atti normativi delegati dovranno essere adottati nel termine di un anno.
Il regolamento sul prodotto pensionistico paneuropeo (PEPP) crea un nuovo tipo di prodotto pensionistico individuale ad adesione volontaria con caratteristiche armonizzate su base europea. I prodotti che rientreranno nel PEPP potranno essere offerti da compagnie di assicurazione, banche, fondi pensione professionali, imprese di investimento e gestori di attivi, che beneficeranno di un passaporto europeo in base al quale potranno vendere tali prodotti finanziari in diversi Stati membri. Si tratta di prodotti di previdenza complementare volti a integrare i regimi pensionistici individuali pubblici, professionali e nazionali.
Il regolamento disciplina in dettaglio gli obblighi pre-contrattuali di fornitori e distributori, la documentazione che dovrà supportare le scelte di investimento (documento contenente le informazioni chiave sul PEPP o PEPP Key Information Document - KID), il regime di responsabilità civile, la possibilità di trasferire le risorse accumulate da un fornitore a un altro (servizio di trasferimento), la possibilità di continuare a versare sul proprio PEPP in caso di trasferimento della propria residenza da uno Stato membro a un altro (servizio di portabilità del PEPP tramite apertura di sottoconti nazionali), nonché le norme che sovraintendono la cosiddetta fase di "decumulo", in cui il capitale accumulato negli anni viene trasformato in prestazione pensionistica complementare.
Nonostante si tratti di un regolamento le cui norme saranno direttamente applicabili trascorsi 12 mesi dalla pubblicazione degli atti delegati alla Commissione, che li adotta previa elaborazione dell'autorità di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (EIOPA), previsti dagli articoli 28, 30, 33, 36, 37, 45 e 46, l'attuazione delle disposizioni ivi contenute richiede la definizione di diverse opzioni normative a livello nazionale. In particolare, fra le scelte da compiere a livello nazionale rientreranno la definizione delle condizioni relative alla fase di accumulo (articolo 47 del regolamento PEPP) e decumulo (articolo 57), l'assetto della vigilanza (Capo IX), attraverso la designazione delle autorità nazionali competenti e dei relativi poteri, nonché l'assetto sanzionatorio (Capo X) necessario per sostenere l'effettività delle disposizioni europee.
In particolare, la lettera a) del comma 2 specifica che il Governo è delegato individuare e designare la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) come autorità competente per le procedure di registrazione e di cancellazione, nonché come unico soggetto deputato allo scambio di informazioni con le autorità competenti degli Stati membri e di comunicazioni con l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA). La successiva lettera c) specifica inoltre che il Governo è delegato individuare nella COVIP l'autorità nazionale competente a effettuare la pubblicazione sul proprio sito internet delle disposizioni nazionali, primarie e secondarie, di cui all'articolo 12, paragrafo 1, del regolamento PEPP, prevedendo che la Banca d'Italia, la CONSOB e l'IVASS garantiscano un collegamento diretto dai propri siti internet a tale pubblicazione.
In particolare, l'articolo 12, paragrafo 1, del regolamento PEPP prevede che i testi delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali che disciplinano le condizioni relative alla fase di accumulo e le condizioni relative alla fase di decumulo siano resi pubblici e aggiornati dall’autorità nazionale competente. Il paragrafo 2 stabilisce inoltre che tutte le autorità competenti di uno Stato membro garantiscano che sul proprio sito web vi sia un collegamento aggiornato ai testi normativi suddetti.
Per quanto riguarda, invece, l'individuazione e la designazione delle autorità nazionali competenti ai fini dello svolgimento delle altre attività di vigilanza previste dal medesimo regolamento, tra cui la vigilanza sull'adozione e la corretta attuazione delle procedure in materia di governo e di controllo del prodotto in coerenza con il generale assetto e il riparto di competenze previsti, a livello nazionale, tra la COVIP, la Banca d'Italia, la CONSOB e l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), con particolare riguardo alle competenze previste in materia di autorizzazione alla costituzione delle forme pensionistiche individuali e vigilanza sulle stesse, anche prevedendo forme di coordinamento e di intesa tra le anzidette autorità.
La lettera b) del comma 2 specifica che il Governo è chiamato ad attribuire alle autorità designate ai sensi della lettera a) e in coerenza con quanto disposto in forza del precedente criterio, i poteri previsti dal regolamento (UE) 2019/1238, ivi inclusi i poteri di vigilanza e di indagine e quelli di intervento sul prodotto rispettivamente previsti dagli articoli 62 e 63 del regolamento PEPP.
L'articolo 62 (Poteri delle autorità competenti) del regolamento PEPP impone, in via generale, agli Stati membri di assicurare che le autorità competenti dispongano di tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l’esercizio delle loro funzioni in relazione alla normativa dei PEPP. L'articolo 63 stabilisce specifici poteri di intervento delle autorità competenti sui prodotti, attribuendo alle autorità competenti il potere di vietare o limitare la commercializzazione o la distribuzione di un PEPP, nel proprio Stato membro o a partire da esso, nel rispetto di specifiche condizioni relative, in primo luogo, al rischio che un prodotto costituisca una minaccia per la tutela degli investitori o per l’ordinato funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari. La misura deve inoltre risultare proporzionata tenendo conto della natura dei rischi individuati, deve essere adottata dopo aver consultato le autorità degli Stati membri nei quali la misura potrebbe avere ripercussioni significative e non deve avere un effetto discriminatorio sui servizi o sulle attività fornite a partire da un altro Stato membro. Il successivo articolo 64 stabilisce che l’EIOPA svolge un ruolo di agevolazione e coordinamento in relazione alle misure adottate dalle autorità competenti nell'attuazione dei poteri di intervento sui prodotti. In particolare, l’EIOPA assicura che le misure adottate da un’autorità competente siano giustificate e proporzionate e che, se opportuno, le autorità competenti adottino un approccio coerente.
Tali previsioni sono ulteriormente integrate dalle lettere p) e q) del comma 2 che delegano il Governo ad apportare alla normativa vigente tutte le modifiche e le integrazioni necessarie a dare adeguamento alle disposizioni del regolamento PEPP e alle inerenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione della Commissione europea previste dal medesimo regolamento, e a prevedere forme di coordinamento e di intesa tra le autorità di cui alla lettera a), al fine di dare esecuzione alle disposizioni emanate in forza del presente articolo.
La lettera d) del comma 2 delega il Governo a definire per i PEPP un trattamento fiscale analogo a quello previsto per le forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo n. 252 del 2005, anche prevedendo l'obbligo della sussistenza di requisiti che garantiscano al risparmiatore in PEPP un livello di tutela almeno analogo a quello derivante dalla sottoscrizione di forme pensionistiche complementari già esistenti. In tale ambito va inquadrata anche la successiva lettera l) del comma 2, che delega il Governo a esercitare l'opzione di cui all'articolo 58, paragrafo 3, del regolamento PEPP, che consente di adottare misure volte a privilegiare la rendita vitalizia quale forma di erogazione della prestazione, coordinando e collegando tali misure alla definizione del trattamento fiscale. Analogamente connesso alla definizione di tale trattamento appare il criterio di delega espresso dalla lettera m) del comma 2, il quale prevede che venga esercitata l'opzione di cui all'articolo 58, paragrafo 4, del regolamento PEPP, che consente di specificare le condizioni che devono sussistere affinché lo Stato possa esigere il rimborso dei vantaggi e degli incentivi concessi ai risparmiatori in PEPP ai sensi della lettera c). Si segnala che quest'ultimo richiamo potrebbe essere riformulato facendo riferimento alle disposizioni nazionali pubblicate ai sensi della lettera c).
La lettera e) del comma 2 delega il Governo affinché eserciti l'opzione di cui all'articolo 37, paragrafo 3, del regolamento PEPP, che consente di imporre ai fornitori di PEPP di fornire ai risparmiatori in PEPP proiezioni pensionistiche aggiuntive rispetto a quelle previste dal regolamento PEPP, basate su ipotesi fissate a livello nazionale in modo da permettere la confrontabilità con i prodotti nazionali.
La lettera f) del comma 2 delega il Governo a esercitare, in coerenza con la vigente disciplina delle forme pensionistiche complementari di cui decreto legislativo n. 252 del 2005, l'opzione di cui all'articolo 47, paragrafo 1, del regolamento PEPP, che consente di determinare le condizioni relative alla fase di accumulo del sotto-conto nazionale del PEPP.
La lettera g) del comma 2 prevede che il Governo eserciti l'opzione di cui all'articolo 53, paragrafo 2, del regolamento PEPP, che consente di prevedere che la richiesta di trasferimento del risparmiatore in PEPP sia presentata in forma scritta e che questi abbia anche il diritto di ricevere comunicazione, in forma scritta, da parte del fornitore di PEPP, dell'accoglimento della stessa.
La lettera h) del comma 2 specifica che il Governo dovrà esercitare l'opzione di cui all'articolo 54, paragrafo 3, del regolamento PEPP, che, nel caso di richiesta di trasferimento del risparmiatore in PEPP, consente di fissare le commissioni e gli oneri addebitati al risparmiatore in PEPP dal fornitore di PEPP trasferente, per la chiusura del conto PEPP detenuto presso di esso, ad un limite inferiore rispetto a quello previsto nella medesima disposizione, ovvero un limite diverso nel caso in cui il fornitore di PEPP consenta ai risparmiatori in PEPP di effettuare il trasferimento presso altro fornitore di PEPP con una frequenza maggiore di quella prevista dall'articolo 52, paragrafo 3, dello stesso regolamento.
La lettera i) del comma 2 specifica che il Governo dovrà esercitare, in coerenza con la vigente disciplina delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo n. 252 del 2005, l'opzione di cui all'articolo 57, paragrafo 1, del regolamento PEPP, che consente di fissare le condizioni riguardanti la fase di decumulo e le erogazioni del sotto-conto nazionale, ivi incluse le condizioni del rimborso prima dell'inizio della fase di decumulo.
La lettera n) del comma 2 specifica che il Governo dovrà attribuire alle autorità designate ai sensi della lettera a) il potere di imporre le sanzioni e le altre misure amministrative previste dall'articolo 67, paragrafo 3, del regolamento PEPP per le violazioni previste dal paragrafo 2 del medesimo articolo 67 e per le violazioni di ulteriori obblighi previsti dal regolamento medesimo, nel rispetto dei previsti criteri e dei limiti, nonché delle procedure previste dalle disposizioni nazionali vigenti che disciplinano l'esercizio del potere sanzionatorio da parte delle autorità anzidette, avuto riguardo alla ripartizione di competenze secondo i princìpi indicati nella lettera a).
Viene direttamente fissato il limite inferiore dello spazio edittale, stabilendo che le sanzioni amministrative pecuniarie non devono essere inferiori nel minimo a 500 euro, mentre per il massimo si fa riferimento a quanto previsto dall'articolo 67, paragrafo 3, del regolamento PEPP, in base al quale gli Stati membri provvedono a imporre:
· per le persone giuridiche, sanzioni pecuniarie amministrative massime di almeno 5 milioni di euro, con la specifica che l’importo può arrivare fino al 10 per cento del fatturato annuo totale risultante dagli ultimi conti disponibili approvati dall’organo direttivo, di vigilanza o di amministrazione;
· per le persone fisiche, sanzioni pecuniarie amministrative massime di almeno 700 mila euro;
· sanzioni pecuniarie amministrative massime pari almeno al doppio dell’ammontare del beneficio derivante dalla violazione, se tale beneficio può essere determinato, anche se supera gli importi massimi suddetti.
Rispetto alla disciplina sanzionatoria, la lettera o) del comma 2 specifica che il Governo dovrà prevedere che, per stabilire il tipo e il livello delle sanzioni e delle altre misure amministrative previste dall'articolo 67, paragrafo 3, del regolamento PEPP, si tenga conto delle circostanze pertinenti elencate dall'articolo 68, paragrafo 2, del medesimo regolamento e prevedere la pubblicazione delle decisioni che impongono sanzioni o altre misure amministrative nei limiti e secondo le previsioni dell'articolo 69 del medesimo regolamento PEPP.
del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale
La direttiva in esame si propone di consentire una cooperazione transfrontaliera efficiente e rapida fra le autorità nazionali in materia di contrasto del riciclaggio mediante il diritto penale.
A tal fine il riciclaggio è qualificato come reato qualora sia commesso intenzionalmente e con la consapevolezza che i beni derivano da un'attività criminosa (articolo 3, par. 1)[27]. Può concretizzarsi nella conversione o trasferimento di beni (lettera a); nell'occultamento o dissimulazione della loro reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento o proprietà (lettera b); nel loro acquisto, detenzione o utilizzazione (lettera c).
Ai sensi dell'articolo 3, par. 2, gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per garantire la punibilità di chi poteva sospettare o avrebbe dovuto essere a conoscenza della provenienza dei beni. In virtù del par. 3, invece, dovranno far sì che la condanna possa avvenire a prescindere dall'esistenza di condanne precedenti (lettera a) e dalla determinazione di tutti gli elementi fattuali o circostanze relative (lettera b). La lettera c) estende i reati ai beni provenienti da condotta che abbia avuto luogo nel territorio di un altro Stato membro o di un paese terzo, "qualora tale condotta costituisca un'attività criminosa se posta in atto nel territorio nazionale".
Ai sensi dell'articolo 4 sono da considerare reati anche il concorso, l'istigazione e il tentativo di commettere riciclaggio.
In termini di sanzioni, l'articolo 5 incarica gli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché i reati che costituiscono riciclaggio "siano punibili con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive" (par. 1); stabilisce per alcuni di essi una pena detentiva massima non inferiore a quattro anni (par. 2), con possibilità di riconoscere sanzioni o misure addizionali (par. 3). E' possibile riconoscere circostanze aggravanti ai sensi dell'articolo 6.
L'articolo 7 disciplina la responsabilità delle persone giuridiche, che possono essere sottoposte alle sanzioni pecuniarie penali e non penali elencate dall'articolo 8. Queste si estendono fino all'adozione di provvedimenti giudiziari di liquidazione (lettera e) e alla chiusura, temporanea o permanente, dei locali usati per commettere il reato (lettera f).
Il congelamento o la confisca dei proventi e dei beni strumentali utilizzati è regolata dall'articolo 9.
In termini di giurisdizione, la competenza degli Stati membri è stabilita in virtù di un criterio territoriale (reato commesso, anche solo parzialmente, nel territorio di uno Stato membro) e di cittadinanza (reato commesso da un cittadino) (articolo 10, par. 1). Criteri da applicare in caso di volontà, da parte di uno Stato membro, di estendere la propria giurisdizione a reati commessi al di fuori del proprio territorio (paragrafo 2) e di incertezza sulla giurisdizione applicabile (paragrafo 3) sono dettati dall'articolo 10. E' prevista la possibilità di superare ogni incertezza deferendo la questione a Eurojust (par. 3, c. 2).
Gli Stati membri sono tenuti (articolo 11) a dotare gli incaricati delle indagini o dell'azione penale di "strumenti di indagine efficaci, quali quelli utilizzati nella lotta contro la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità".
Si evidenzia, infine, che l'articolo 1, par. 2, specifica che le norme della direttiva in titolo non si applicano al riciclaggio di beni derivanti da reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. In quest'ultimo caso, infatti, sono applicabili le specifiche norme di cui alla direttiva (UE) 2017/1371[28].
Il termine per il recepimento della direttiva è posto al 3 dicembre 2020.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM (2016)826 del 21 dicembre 2016[29].
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), in considerazione dell'evoluzione delle realtà del mercato
La direttiva (UE) 2018/1808 mira ad adeguare la previgente direttiva 2010/13/UE[30] alla recente evoluzione del mercato dei servizi di media audiovisivi[31], caratterizzato tra l'altro dalla convergenza tra televisione e servizi Internet.
A tal fine vengono innanzitutto aggiornate le definizioni della direttiva del 2010 (articolo 1), introducendo concetti come "servizio di piattaforma per la condivisione di video" (lettera a-bis), "video generato dall'utente" (lettera b-bis), "fornitore della piattaforma per la condivisione di video" (lettera d-bis).
Vengono inoltre inserite le seguenti, principali modifiche:
1) l'obbligo, per gli Stati membri, di assicurare la libertà di ricezione e di non limitare la ritrasmissione sul proprio territorio di servizi di media audiovisivi provenienti da parte di altri Stati membri. Eventuali deroghe sono disciplinate dall'articolo 3;
2) la facoltà, per gli Stati membri, di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose di quelle in commento, purché conformi al diritto dell'Unione. Anche ai fornitori di servizi soggetti alla giurisdizione di altri Stati membri può essere richiesto di conformarsi a tali norme qualora forniscano servizi destinati, in tutto o per la maggior parte, allo Stato membro in questione. La relativa procedura è descritta dall'articolo 4;
3) ai sensi dell'articolo 4-bis, gli Stati membri incoraggiano "il ricorso alla coregolamentazione e la promozione dell'autoregolamentazione tramite codici di condotta adottati a livello nazionale" nella misura consentita dai rispettivi ordinamenti giuridici. I codici devono:
- essere concepiti in modo da essere ampiamente accettati dai principali soggetti interessati;
- stabilire chiaramente e senza ambiguità i loro obiettivi;
- fornire un monitoraggio e una valutazione regolari, trasparenti e indipendenti degli obiettivi fissati;
- prevedere un'applicazione effettiva, comprensiva di sanzioni effettive e proporzionate.
Alla Commissione europea spetta il compito di agevolare la messa a punto di codici di condotta dell'Unione "conformemente ai principi di sussidiarietà e proporzionalità";
4) l'obbligo, per gli Stati membri, di garantire che i servizi di media audiovisivi erogati dai fornitori soggetti alla loro giurisdizione:
- non contengano istigazione alla violenza o all'odio o pubbliche provocazioni a commettere reati di terrorismo (articolo 6);
- tutelino i minori ed il loro sviluppo fisico, mentale o morale (articolo 6-bis);
- siano resi "costantemente e progressivamente" più accessibili alle persone con disabilità, mediante misure proporzionate (articolo 7);
- non siano dissimulati a fini commerciali o modificati senza il consenso esplicito dei fornitori (articolo 7-ter).
Rimane la facoltà di dare debito rilievo ai servizi di media audiovisivi di interesse generale (articolo 7-bis);
5) una dettagliata disciplina delle comunicazioni commerciali audiovisive, che ne assicuri la riconoscibilità, tuteli il rispetto della dignità umana, non promuova discriminazioni e tuteli i minori (articolo 9). E' previsto, in diversa forma, il divieto di comunicazioni commerciali per prodotti specifici (sigarette, medicinali e cure mediche, bevande alcoliche);
6) il divieto di sponsorizzazione da parte di imprese la cui attività principale sia la produzione o vendita di sigarette, anche elettroniche (articolo 10, par. 2); l'impossibilità di sponsorizzare notiziari e programmi di attualità, con la facoltà, per gli Stati membri, di vietare la sponsorizzazione anche dei programmi per bambini, dei documentari e dei programmi religiosi (articolo 10, par. 4),
7) il divieto di inserimento di prodotti in notiziari, programmi di attualità, programmi per i consumatori, programmi religiosi e per bambini. L'inserimento di prodotti in altri tipi di programmi è subordinato a specifiche prescrizioni, elencate nell'articolo 11. Un divieto assoluto vige per le sigarette, elettroniche o a base di tabacco, per altri prodotti basati sul tabacco, per medicinali e cure mediche ottenibili solo su prescrizione;
8) l'obbligo, per gli Stati membri, di assicurare che i fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta soggetti alla loro giurisdizione garantiscano che i loro cataloghi contengano almeno il 30 per cento di opere europee e che queste siano poste in rilievo. Rimane la possibilità, per gli Stati membri, di chiedere ai fornitori anche di contribuire finanziariamente alla produzione di opere europee (articolo 13);
9) la regolamentazione di spot pubblicitari e televendite, che sono ammessi negli eventi sportivi se isolati (articolo 19, par. 2) e la cui riproduzione in film prodotti per la televisione, opere cinematografiche e notiziari è consentita per ogni periodo programmato di trenta minuti (articolo 20, par. 2). Nella fascia oraria compresa tra le 06.00 e le 18.00 la percentuale di spot non può essere superiore al 20 per cento (articolo 23).
Viene inserito un nuovo capo (Capo IX-bis, articoli 28-bis - 28-ter) che disciplina i servizi di piattaforma per la condivisione di video. Dopo avere preliminarmente definito i criteri per individuare quale servizi siano soggetti alla giurisdizione degli Stati membri (articolo 28-bis), il Capo detta misure (articolo 28-ter) a beneficio di:
1) i minori, a tutela del loro sviluppo fisico, mentale e morale;
2) il grande pubblico in caso di istigazione alla violenza o all'odio e, in generale, nei confronti di contenuti la cui diffusione costituisce un'attività che rappresenta un reato ai sensi del diritto dell'Unione
Il Capo IX (articoli 30, 30-bis e 30-ter) riguarda le autorità e organismi di regolamentazione degli Stati membri. Questi ultimi sono incaricati di designare una o più autorità o organismi di regolamentazione, giuridicamente e funzionalmente indipendenti, imparziali e trasparenti, dotati di risorse umane e finanziarie (articolo 30). Le autorità nazionali devono adottare le misure necessarie per "scambiare tra loro e comunicare alla Commissione le informazioni necessarie ai fini dell'applicazione della presente direttiva" (articolo 30-bis). L'articolo 30-ter istituisce il gruppo dei regolatori europei per i servizi dei media audiovisivi (ERGA), composto dai rappresentanti delle autorità o degli organismi nazionali. Oltre ad offrire consulenza tecnica alla Commissione europea, ha la funzione di facilitare lo scambio di buone prassi, collaborare ai fini dell'applicazione del documento in titolo e formulare pareri su aspetti tecnici e pratici, su richiesta della Commissione.
Alla Commissione viene affidato il compito di monitorare l'applicazione del documento in titolo mediante la redazione di una relazione sulla sua applicazione entro il 19 dicembre 2022 ed una sul suo impatto e valore aggiunto entro il 19 dicembre 2026 (articolo 33).
Gli Stati membri sono invece chiamati ad adottare misure che promuovano lo sviluppo dell'alfabetizzazione mediatica, presentando relazioni alla Commissione entro il 19 dicembre 2022 (articolo 33-bis).
Il termine per il recepimento è fissato al 19 settembre 2020.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 287.
Il 27 luglio 2016 l'8a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato su tale proposta una risoluzione (Doc XVIII, n. 144 della XVII legislatura) favorevole con le seguenti osservazioni:
1) la necessità di garantire condizioni di omogeneità normativa per tutti i soggetti che forniscono servizi di media audiovisivi, con particolare riferimento alle piattaforme di condivisione video;
2) la necessità di adottare le misure più efficaci per assicurare la tutela dei minori da contenuti nocivi e dei cittadini da forme di incitamento all'odio e alla violenza;
3) l'opportunità di effettuare una riflessione più ampia circa gli effetti, in termini di parità delle condizioni competitive, derivanti dall'esclusione delle piattaforme di condivisione video dalla tutela del diritto d'autore e dalla possibilità di richiedere loro un contributo finanziario per il sostegno alle opere europee;
4) l'opportunità che la maggiore frequenza dell'interruzione pubblicitaria dei film per la televisione non comprometta l'integrità e la continuità delle opere stesse;
5) l'invito a valutare il rischio di possibili disagi per gli utenti in relazione alla nuova formulazione del limite giornaliero di pubblicità;
6) l'opportunità di valutare un'azione più efficace ed equilibrata sulla pubblicità televisiva con riferimento alle potenzialità complessive del mercato pubblicitario;
7) l'invito a prevedere criteri più rigorosi per evitare che possano derivare fenomeni di elusione fiscale dalla norma che consentirebbe ai fornitori di piattaforme di condivisione di scegliere liberamente lo Stato membro a cui spetta la giurisdizione nel caso in cui la casa madre non sia stabilita nell'Unione europea ed operi in più Stati membri.
La Commissione europea ha risposto in data 14 ottobre 2016.
Modifiche alla direttiva 2006/112/CE sull'armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema d'imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati membri
La direttiva (UE) 2018/1910/UE introduce, a decorrere dal 1° gennaio 2020, modifiche alla disciplina IVA delle operazioni transfrontaliere, con riguardo al ruolo del numero di identificazione IVA nell'ambito dell'esenzione delle cessioni intracomunitarie, al regime di call-off stock e alle operazioni a catena.
La direttiva in esame si colloca nel solco delle azioni di riforma dell’IVA varate dalla Commissione UE con la Comunicazione COM(2016) 148 del 7 aprile 2016 relativa al piano di azione sull’IVA, che dovrebbe condurre alla creazione di uno spazio unico europeo dell’imposta, alla luce della necessità di semplificare e rendere più efficiente il sistema e contrastare le frodi.
Tale piano d’azione si snoda in più tappe e prevede una revisione riguardante:
· i principi fondamentali di un futuro sistema unico dell’IVA a livello europeo;
· delle misure a breve termine per combattere le frodi a danno dell’IVA;
· l'aggiornamento del quadro delle aliquote IVA e una serie di opzioni per concedere maggiore flessibilità agli Stati membri nel definirle;
· progetti per semplificare le norme IVA in materia di commercio elettronico, nel quadro della strategia per il mercato unico digitale, e per un pacchetto IVA che faciliti la vita alle PMI.
Si tratta di uno schema negoziale diffuso negli scambi transnazionali di beni, che condivide alcuni elementi con il contratto estimatorio (di cui all’art. 1556 c.c.): il cedente invia beni mobili presso un deposito di proprietà o in uso al cessionario; i beni stoccati, nonostante la consegna, restano di proprietà del cedente fino a quando il cessionario li preleva dal deposito per proprie esigenze produttive o commerciali.
In particolare, l’accordo di call-off stock ricorre quando il venditore trasferisce uno stock di beni presso un deposito situato in un altro Stato membro, a disposizione di un acquirente conosciuto, e tale acquirente diventa il proprietario dei beni all’atto della loro estrazione dal deposito. In ogni caso l’accordo prevede una condizione sospensiva, e cioè rinvia il trasferimento della proprietà al momento del prelievo o allo scadere del termine concordato tra le parti per la restituzione.
Le norme in parola disciplinano compiutamente il regime IVA in materia di call-off stock o consignment stock, con lo scopo di semplificare e di uniformare il trattamento di tali operazioni nell’ambito UE.
Il considerando n. 5 riferisce che, nel regime previgente, tale situazione dava luogo a una cessione presunta (nello Stato membro di partenza dei beni) e a un acquisto intracomunitario presunto (nello Stato membro di arrivo dei beni), seguiti da una cessione “interna” nello Stato membro di arrivo, per la quale il cedente deve essere identificato ai fini dell'IVA in tale Stato membro.
Per evitare che ciò accada la direttiva dispone che tali operazioni, quando hanno luogo tra due soggetti passivi, sono considerate - a determinate condizioni - una cessione esente nello Stato membro di partenza e un acquisto intracomunitario nello Stato membro di arrivo.
A tal fine, con riferimento alla call-off stock, viene inserito un nuovo articolo 17-bis nella direttiva sul sistema comune dell’IVA (direttiva 2006/112/CE) col quale si chiarisce che non è assimilato a una cessione di beni effettuata a titolo oneroso il trasferimento, da parte di un soggetto passivo, di un bene della sua impresa a destinazione di un altro Stato membro in regime di call-off stock. Sono dunque enumerate le condizioni specifiche alle quali si ritiene esistente un regime di call-off stock (articolo 17-bis, par. 2).
Ove soddisfatte le condizioni richieste dalle norme, al momento del trasferimento del diritto di disporre dei beni come proprietario al soggetto passivo destinatario della cessione di beni (di cui al paragrafo 2, lettera c)), purché il trasferimento abbia luogo entro uno specifico termine (12 mesi dall'arrivo dei beni nello Stato membro verso il quale sono stati spediti o trasportati), si applicano le seguenti norme:
- si considera effettuata una cessione intracomunitaria di beni esente (in conformità all'articolo 138, paragrafo 1 della direttiva IVA, modificato dalle norme in parola) da parte del soggetto passivo che ha spedito o trasportato i beni esso stesso, o tramite un terzo che ha agito per suo conto, verso lo Stato membro a partire dal quale i beni sono stati spediti o trasportati;
- si considera effettuato un acquisto intracomunitario di beni dal soggetto passivo a cui tali beni sono ceduti nello Stato membro verso cui i beni sono stati spediti o trasportati.
In sostanza le norme qualificano l’invio di beni in call off stock una cessione e un acquisto intracomunitari effettivi, che si perfezionano al momento del trasferimento del diritto di disporre dei beni come proprietario in favore del soggetto destinatario dei beni e purché il trasferimento abbia luogo entro il termine di 12 mesi dall’arrivo dei beni.
Con le modifiche all’articolo 243 della direttiva IVA si impone al soggetto passivo che trasferisce beni nell'ambito del regime di call-off stock di tenere un apposito registro che consente alle autorità fiscali di verificare la corretta applicazione di tale articolo. Analoga prescrizione è imposta al soggetto passivo destinatario.
Con riferimento alle cd. operazioni a catena, i considerando della direttiva chiariscono che si tratta di cessioni successive di beni oggetto di un unico trasporto intracomunitario. Le norme UE intendono imputare la circolazione intracomunitaria dei beni a una sola delle cessioni.
In virtù del nuovo articolo 36-bis della direttiva IVA, solo detta cessione è destinata a beneficiare dell'esenzione d’imposta prevista per le cessioni intracomunitarie.
I considerando chiariscono che le altre cessioni nella catena dovrebbero essere soggette a imposizione e potrebbero necessitare dell'identificazione IVA del cedente nello Stato membro di cessione. Al fine di evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione, e al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori, si ritiene opportuno stabilire una regola comune secondo cui, purché siano soddisfatte determinate condizioni, il trasporto dei beni sia essere imputato a una sola cessione all'interno della catena di operazioni.
Ai sensi del nuovo articolo 36-bis della Direttiva IVA, qualora lo stesso bene sia successivamente ceduto e sia spedito o trasportato da uno Stato membro a un altro direttamente dal primo cedente all'ultimo acquirente nella catena, la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione effettuata nei confronti dell'operatore intermedio.
Tale disposizione non vale se la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione di beni effettuata dall'operatore intermedio se quest'ultimo ha comunicato al cedente il numero di identificazione IVA attribuitogli dallo Stato membro a partire dal quale i beni sono spediti o trasportati.
Viene definito il cd. operatore intermedio, ovvero un cedente all'interno della catena diverso dal primo cedente della catena, che spedisce o trasporta i beni esso stesso o tramite un terzo che agisce per suo conto.
La direttiva in parola ha modificato l'articolo 138, par. 1 della direttiva IVA, riguardanti le cessioni intracomunitarie esenti di beni.
Con le norme in esame l'inserimento del numero di identificazione IVA dell'acquirente nel sistema di scambio di informazioni sull'IVA (VIES), assegnato da uno Stato membro diverso da quello in cui ha inizio il trasporto dei beni, diventa - oltre alla condizione di trasporto dei beni al di fuori dello Stato membro di cessione - una condizione sostanziale per l'applicazione dell'esenzione da imposta, in luogo di essere anziché un requisito formale.
Nella formulazione previgente, il par. 1 dell’articolo 138 considerava esenti le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall'acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, agente in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.
Il novellato paragrafo 1 dell’articolo 138 prevede che gli Stati membri esentino le cessioni intracomunitarie alle seguenti condizioni:
a) i beni sono ceduti a un altro soggetto passivo, o a un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio;
b) il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione è identificato ai fini dell'IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione IVA.
L’esenzione non si applica se il cedente non ha rispettato l'obbligo di presentare l’elenco riepilogativo delle operazioni o l'elenco riepilogativo da lui presentato non riporti le informazioni corrette riguardanti l’operazione esente, a meno che egli non possa debitamente giustificare la sua mancanza secondo modalità ritenute soddisfacenti dalle autorità competenti.
I considerando della direttiva al riguardo sottolineano come gli Stati membri dovrebbero garantire che, qualora il cedente non rispetti i suoi obblighi di inserimento nell'elenco VIES, l'esenzione non si applichi, salvo quando il cedente agisce in buona fede, vale a dire quando può debitamente giustificare dinanzi alle autorità fiscali competenti la sua mancanza in relazione all'elenco riepilogativo, il che potrebbe anche comprendere, in quel momento, la comunicazione da parte del cedente delle informazioni corrette come prescritto a norma dell'articolo 264 della direttiva 2006/112/CE.
La direttiva ha sostituito integralmente l’articolo 262 della direttiva IVA, relativa agli elenchi riepilogativi delle cessioni intracomunitarie, dettagliandone il contenuto.
In particolare, ai sensi delle nuove norme l’elenco riepilogativo presentato dal soggetto passivo identificato ai fini dell'IVA deve includere:
- gli acquirenti identificati ai fini dell'IVA cui ha ceduto dei beni alle condizioni previste per l’esenzione delle cessioni intracomunitarie (di cui all'articolo 138, paragrafo 1, e all'articolo 138, paragrafo 2, lettera c));
- le persone identificate ai fini dell'IVA cui ha ceduto dei beni che gli sono stati ceduti tramite gli acquisti dei beni intracomunitari di cui all'articolo 42 (acquisti assoggettati all’IVA);
- i soggetti passivi e gli enti non soggetti passivi identificati ai fini dell'IVA cui ha prestato servizi, diversi dai servizi esenti da IVA nello Stato membro in cui la prestazione è imponibile, per i quali il destinatario dei servizi è debitore dell'imposta) conformemente all'articolo 196).
Inoltre, il soggetto passivo trasmette le informazioni relative al numero di identificazione IVA dei soggetti passivi cui sono destinati i beni che sono spediti o trasportati in regime di call-off stock, nonché le informazioni relative a eventuali modifiche.
La direttiva infine abroga l‘articolo 403 della Direttiva IVA, che affida al Consiglio il compito di adottare le direttive appropriate al fine di completare il sistema comune d'IVA e, segnatamente, di ridurre gradualmente o di sopprimere le deroghe al sistema stesso. E’ altresì soppresso l’articolo 404, che dispone la presentazione con cadenza quadriennale, da parte della Commissione presenta, di una relazione sul funzionamento del sistema comune d'IVA negli Stati membri al Parlamento europeo e al Consiglio.
Ai sensi dell’articolo 2 gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 31 dicembre 2019, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva.
L’applicazione delle norme decorre dal 1° gennaio 2020.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2017) 569 del 4 ottobre 2017
Direttiva (UE) 2018/1972
(Codice delle comunicazioni elettroniche)
Il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (direttiva 2018/1972/UE), è stato approvato l'11 dicembre 2018. Esso rifonde e sostituisce le precedenti direttive n. 2002/21/CE, la n. 2002/20/CE e la n. 2002/19/CE.
Il nuovo codice intende stabilire nuove regole e nuovi obiettivi comuni riguardanti il settore delle telecomunicazioni nell'UE, definendo i compiti delle autorità nazionali di regolamentazione (ANR) e delle altre autorità competenti, nonché le procedure per garantire l’applicazione armonizzata del quadro normativo nell’Unione europea.
In tal senso i principali ambiti di intervento sono i seguenti:
· introduce un regime normativo semplificato, in particolare in materia di coinvestimento di operatori concorrenti sulle reti di capacità molto elevata, con l’intento di promuovere la concorrenza e incoraggiare gli investimenti in reti ad altissima capacità, nonché agevola la partecipazione nei progetti di investimento degli operatori minori e dei pionieri;
· in materia di assegnazione dello spettro, migliora il coordinamento e l'uso delle frequenze radio nell'UE grazie a licenze di lunga durata, una tempistica coordinata delle assegnazioni e requisiti più stringenti in merito all'effettivo utilizzo dello spettro;
· prevede la promozione degli investimenti nel 5G, disponendo che gli Stati membri debbano garantire agli operatori, in linea generale, la prevedibilità normativa per un periodo di almeno 20 anni per quanto riguarda la concessione di licenze relative allo spettro per la banda larga senza fili;
· interviene sull'accesso degli operatori alle reti e prevede una regolamentazione simmetrica di tutti i fornitori di reti in situazioni specifiche;
· consente ai consumatori di beneficiare di un maggiore livello di protezione uniforme in tutta l'UE, concentrandosi sulle lacune non coperte dalle norme generali dell'UE, che si applicheranno ora anche ai servizi forniti attraverso Internet, come le applicazioni di messaggistica;
· stabilisce che gli Stati membri debbano definire regole di compensazione in caso di condotta scorretta da parte dei fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica;
· introduce modifiche alla governance e al regime del servizio universale;
· modifica le norme relative alla comunicazione di emergenza: gli Stati membri istituiranno un sistema di allarme pubblico per una maggiore protezione dei cittadini. Questo sistema di "112 inverso" allerterà i cittadini sui loro telefoni cellulari in caso di catastrofi naturali, attacchi terroristici o altre gravi emergenze nella loro zona. Esso dovrà essere operativo entro tre anni e mezzo dall'entrata in vigore del codice.
Le principali novità del Codice rispetto alle precedenti direttive
Rispetto al testo delle precedenti direttive, che il nuovo codice rifonde, le principali differenze sono le seguenti:
· negli scopi della direttiva è espressamente ricompreso quello di realizzare un mercato interno delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica che si traduca in realizzazione e diffusione di reti ad altissima capacità, in luogo della mera armonizzazione delle modalità con cui gli Stati membri disciplinano l’accesso alle reti e si introduce la finalità della sicurezza delle reti e dei servizi, mentre si confermano gli altri scopi: concorrenza sostenibile, interoperabilità dei servizi di comunicazione elettronica, accessibilità e vantaggi per gli utenti finali;
· si stabilisce espressamente che la Commissione, l'Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche («BEREC») e le autorità interessate garantiscano la conformità del trattamento dei dati alle norme dell'Unione in materia di protezione dei dati;
· viene introdotta la definizione di rete ad altissima capacità: si tratta delle reti costituite interamente da elementi in fibra ottica almeno fino al punto di distribuzione nel luogo servito oppure una rete di comunicazione elettronica in grado di fornire prestazioni di rete analoghe in condizioni normali di picco in termini di larghezza di banda disponibile per downlink/uplink, resilienza, parametri di errore, latenza e relativa variazione; tra gli obiettivi generali viene elencato come primo in ordine di priorità quello di promuovere la connettività e l'accesso alle reti ad altissima capacità - comprese le reti fisse, mobili e senza fili - e il loro utilizzo da parte di tutti i cittadini e le imprese dell'Unione; inoltre si prevede che entro il 21 dicembre 2020, il BEREC, consultate le parti interessate e in stretta collaborazione con la Commissione, formuli le linee guida sui criteri che una rete deve soddisfare per essere considerata una rete ad altissima capacità, in particolare in termini di larghezza di banda disponibile per downlink/uplink, resilienza, parametri di errore, latenza e relativa variazione (art. 82);
· viene introdotta la definizione di «sicurezza delle reti e dei servizi»: la capacità delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica di resistere, a un determinato livello di riservatezza, a qualsiasi azione che comprometta la disponibilità, l'autenticità, l'integrità o la riservatezza di tali reti e servizi, dei dati conservati, trasmessi o trattati oppure dei relativi servizi offerti o accessibili tramite tali reti o servizi di comunicazione elettronica, nonché quella di incidente di sicurezza; si specifica che l'Agenzia dell'Unione europea per la sicurezza delle reti e dell'informazione (ENISA) facilita il coordinamento tra gli Stati membri al fine di evitare l'esistenza di requisiti nazionali divergenti che possano comportare rischi per la sicurezza e creare ostacoli al mercato interno; gli Stati membri inoltre devono assicurare che i fornitori di reti pubbliche di comunicazioni elettronica o di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico comunichino senza indebito ritardo all'autorità competente ogni incidente di sicurezza, individuato secondo parametri definiti, che abbia avuto conseguenze significative sul funzionamento delle reti o dei servizi (art. 40).
· vengono introdotte le definizioni di comunicazione di emergenza, di servizio di emergenza e di “informazioni sulla localizzazione del chiamante”, nonché di “centro di raccolta delle chiamate di emergenza” o PSAP (public safety answering point) e di “servizio di conversazione globale”;
· in materia di diritti amministrativi viene introdotta la facoltà degli Stati membri di non applicare i diritti amministrativi alle imprese il cui fatturato è inferiore a una determinata soglia o le cui attività non raggiungono una quota minima di mercato o hanno una portata territoriale molto limitata (art. 16);
· viene previsto che gli Stati membri possano consentire la limitazione o la revoca dei diritti d'uso dello spettro radio, compresi i diritti d'uso individuali per un periodo limitato, sulla base di procedure previamente disposte e chiaramente definite e con alcuni limiti, nonché nel rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione (art. 19); vengono inoltre definite le condizioni associate ai diritti d’uso individuali dello spettro radio (art. 47) ed il principio della durata adeguata che gli Stati membri devono assicurare anche per consentire l’ammortamento degli investimenti (art. 49), tenendo presente la necessità di assicurare la concorrenza, come previsto anche dal principio generale sancito all’art. 52;
· per quanto riguarda il diritto delle autorità nazionali di regolamentazione e delle altre autorità competenti di imporre alle imprese di fornire informazioni in relazione all'autorizzazione generale, ai diritti d'uso o agli obblighi specifici, viene aggiunta la fattispecie delle informazioni necessarie per realizzare mappature geografiche e quelle per rispondere a richieste motivate di informazioni da parte del BEREC (art. 21); in particolare l’articolo 22 prevede la mappatura geografica delle installazioni di rete da realizzarsi entro il 21 dicembre 2023: le autorità nazionali di regolamentazione e/o le altre autorità competenti realizzano una mappatura geografica della portata delle reti a banda larga e successivamente provvedono a aggiornare i dati ogni tre anni; inoltre, nell'ambito dell'area designata le autorità pertinenti possono invitare le imprese e le autorità pubbliche a dichiarare l'intenzione di installare reti ad altissima capacità per la durata del periodo di riferimento delle previsioni;
· si introduce il principio che gli Stati membri debbano prevedere, a livello nazionale, meccanismi efficienti che permettano a qualunque utente e a qualunque impresa che fornisce reti o servizi di comunicazione elettronica o risorse correlate, che siano interessati dalla decisione di una autorità competente, di ricorrere contro detta decisione dinanzi a un organo di ricorso, indipendente dalle parti coinvolte e da qualsiasi intervento esterno o pressione politica che possa comprometterne l'imparzialità di giudizio nelle questioni che è chiamato a dirimere (art. 31);
· si introduce il principio del coordinamento dello spettro radio tra gli Stati membri, da realizzarsi attraverso il gruppo «Politica dello spettro radio» (art. 28), nonché attraverso norme per regolare e rendere effettivo tale coordinamento, sia attraverso un meccanismo di valutazione tra pari (articolo 35) che con l’assegnazione armonizzata (artt. 36, 38 e 39) o congiunta (art. 37) dello spettro; vengono inoltre definite le procedure per garantire una tempistica coordinata delle assegnazioni (art. 53), anche per le specifiche bande del 5G, che gli Stati possono adottare entro il 31 dicembre 2020 (art. 54), nonché le procedure che gli Stati membri devono seguire per limitare il numero dei diritti d'uso da concedere per lo spettro radio (art. 55);
· uno specifico Capo (Capo IV) è dedicato alla diffusione e uso delle apparecchiature di rete senza fili, prevedendosi in particolare (art. 56) che le autorità competenti autorizzino l’accesso alle reti locali in radiofrequenza (RLAN) e che non impediscano ai fornitori di reti pubbliche di comunicazione elettronica o di servizi di comunicazione elettronica di autorizzare l'accesso del pubblico alle loro reti attraverso le RLAN; inoltre si prevede che le autorità competenti non possano limitare indebitamente, attraverso in particolare permessi urbanistici individuali o ad altri permessi individuali preventivi (con l’eccezione degli edifici o siti di valore architettonico, storico o ambientale protetti), l'installazione dei punti di accesso senza fili di portata limitata (art. 57) e che si applichino le regolamentazioni tecniche sui campi elettromagnetici della direttiva (UE)2015/1535 (art. 58);
· per quanto riguarda i poteri e competenze delle autorità nazionali di regolamentazione e di altre autorità competenti in materia di accesso e di interconnessione, si specifica queste forniscano orientamenti e rendano disponibili al pubblico le procedure per ottenere l'accesso e l'interconnessione, garantendo che piccole e medie imprese e operatori aventi una portata geografica limitata possano trarre beneficio dagli obblighi imposti (art. 61);
· specifiche e più dettagliate disposizioni sono previste nel capo III relativamente all’analisi di mercato ed alla nozione di significativo potere di mercato, in particolare per quanto riguarda la previa consultazione del BEREC da parte della Commissione per la pubblicazione delle linee guida per l'analisi del mercato e la valutazione del significativo potere di mercato («linee guida SPM»), le quali contengono indicazioni per le autorità nazionali di regolamentazione sull'applicazione del concetto di significativo potere di mercato nel contesto specifico della regolamentazione ex ante dei mercati delle comunicazioni elettroniche (art. 64), inoltre si definisce una nuova procedura per l'individuazione da parte del BEREC della domanda transnazionale da parte degli utenti finali, di prodotti e servizi forniti all'interno dell'Unione (art. 65), che può avvenire su richiesta della Commissione o di almeno due autorità nazionali di regolamentazione interessate; ulteriori specificazioni sono previste nell’ambito della procedura per l'analisi dei mercati rilevanti, in particolare vengono precisamente elencati (art. 67), tutti i criteri che devono essere soddisfatti per poter giustificare l'imposizione di obblighi di regolamentazione;
· in relazione al potere delle autorità di regolamentazione di imporre obblighi alle imprese che detengono un significativo potere di mercato, si specifica che le autorità nazionali di regolamentazione debbano prendere anche in considerazione l'impatto dei nuovi sviluppi del mercato, ad esempio in relazione agli accordi commerciali, compresi gli accordi di coinvestimento, che influenzano le dinamiche della concorrenza (art. 68); inoltre, le imprese che sono state designante come detentrici di un significativo potere di mercato possono offrire impegni per aprire al coinvestimento la realizzazione di una nuova rete ad altissima capacità che consista di elementi in fibra ottica fino ai locali degli utenti finali o alla stazione di base, ad esempio proponendo la contitolarità o la condivisione del rischio a lungo termine attraverso cofinanziamento o accordi di acquisto che comportano diritti specifici di carattere strutturale da parte di altri fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica (art. 76); tali offerte devono rispettare una serie di condizioni, che vengono valutate dell’autorità e devono rispettare la procedura ed i criteri definiti nell’art. 79; infine, tutte le imprese che sono state designate come aventi un significativo potere di mercato in uno o più mercati rilevanti devono comunicare anticipatamente e tempestivamente all'autorità nazionale di regolamentazione la migrazione delle infrastrutture esistenti, quindi l'intenzione di disattivare o sostituire con nuove infrastrutture parti della rete, comprese le infrastrutture preesistenti necessarie per far funzionare una rete in rame (art. 81);
· si prevede altresì che un'autorità di regolamentazione possa designare un'impresa come avente un significativo potere di mercato in uno o più mercati all'ingrosso, se l'impresa opera solo nei mercati all'ingrosso dei servizi di comunicazione elettronica e presenta anche le altre caratteristiche definite nell’articolo 80; a tali imprese possono essere imposti solo obblighi di non discriminazione (ex art. 70) o in materia di accesso e di uso di determinati elementi di rete e risorse correlate (ex art. 73), ovvero inerenti a prezzi equi e ragionevoli;
· per contribuire all'applicazione coerente degli obblighi di trasparenza, si prevede che il BEREC, previa consultazione delle parti interessate e in stretta collaborazione con la Commissione, formuli linee guida sui criteri minimi per un'offerta di riferimento e che per le imprese soggette agli obblighi relativi all'accesso all'ingrosso all'infrastruttura della rete, le autorità nazionali di regolamentazione assicurino la pubblicazione di un'offerta di riferimento tenendo nella massima considerazione le linee guida del BEREC sui criteri minimi (art. 69);
· per quanto riguarda gli obblighi di non discriminazione nel fornire l’interconnessione e l’accesso, si specifica che le autorità nazionali di regolamentazione possono imporre alle imprese l'obbligo di fornire prodotti e servizi di accesso a tutte le imprese, compresa la propria, negli stessi tempi, termini e condizioni, incluse quelle relative ai livelli di prezzi e servizi, e attraverso gli stessi sistemi e processi, al fine di garantire l'equivalenza dell'accesso (art. 70); inoltre l’art. 72 prevede anche l’accesso alle infrastrutture di ingegneria civile, compresi edifici o accessi a edifici, cablaggio degli edifici, inclusi cavi, antenne, torri e altre strutture di supporto, pali, piloni, cavidotti, tubature, camere di ispezione, pozzetti e armadi di distribuzione, qualora l’autorità di regolamentazione ritenga che il rifiuto di concedere l'accesso o l'imposizione di termini e condizioni non ragionevoli d'accesso o di condizioni di effetto equivalente ostacolerebbe l'emergere di una concorrenza sostenibile sul mercato e non sarebbe nell'interesse dell'utente finale; inoltre, tra gli obblighi che le autorità possono imporre alle imprese viene introdotto quello di concedere a terzi l'accesso a specifici elementi e servizi di rete attivi o virtuali, mentre per tutti gli obblighi specifici che possono essere imposti dall’autorità si specifica che essa debba valutare se altre forme di accesso a input all'ingrosso, nello stesso mercato all'ingrosso o in un mercato all'ingrosso connesso, sarebbero sufficienti a dare soluzione al problema, nonché debba tenere conto sia dell’evoluzione tecnologica prevista, che incida sulla progettazione e sulla gestione della rete, sia della necessità di garantire la neutralità tecnologica che consenta alle parti di progettare e gestire le proprie reti (art. 73);
· l’articolo 75 prevede che entro il 31 dicembre 2020 la Commissione, tenendo nella massima considerazione il parere del BEREC, definisca una tariffa unica massima di terminazione, che viene imposta ai fornitori, per le chiamate vocali sia su reti mobili che su reti fisse a livello dell'Unione; si definiscono i criteri a cui deve attenersi la Commissione per determinare tali tariffe massime e se ne prevede il riesame ogni cinque anni;
· si introduce espressamente il principio del servizio universale a prezzi accessibili, che in precedenza era previsto solo come meccanismo di sorveglianza da parte dell’Autorità di regolamentazione dell’evoluzione dei prezzi per i servizi al dettaglio soggetti agli obblighi di servizio universale: gli Stati membri devono provvedere in base al nuovo art. 84 affinché tutti i consumatori nei loro territori abbiano accesso a un prezzo abbordabile, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, a un adeguato servizio di accesso a internet a banda larga e a servizi di comunicazione vocale, che siano disponibili, al livello qualitativo specificato nei loro territori, ivi inclusa la connessione sottostante, in postazione fissa; si prevede altresì la facoltà degli Stati di assicurare anche l'accessibilità economica dei servizi non forniti in postazione fissa; a tali fini si prevede che il BEREC, entro il 20 giugno 2020, previa consultazione delle parti interessate e in stretta cooperazione con la Commissione, tenendo conto dei dati della Commissione (Eurostat) disponibili, rediga una relazione sulle migliori prassi degli Stati membri per sostenere la definizione del servizio di accesso adeguato a internet a banda larga (art. 84, par. 3); la previsione di prestazioni del servizio universale a prezzi accessibili, già prevista per i consumatori a basso reddito o con esigenze sociali particolari, viene estesa agli utenti finali che siano microimprese, piccole e medie imprese e organizzazioni senza scopo di lucro (art. 84, par.5); gli Stati membri possono imporre obblighi di servizio universale per soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso ai servizi di internet a banda larga ed ai servizi di comunicazione vocale da parte degli utenti finali nelle relative parti del suo territorio, qualora questa non possa essere altrimenti garantita alle normali condizioni commerciali o mediante altri strumenti potenziali delle politiche pubbliche (art. 86); in materia di trasparenza, si introduce la previsione che qualora sia istituito un meccanismo di ripartizione del costo netto degli obblighi di servizio universale tra i fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica, le autorità nazionali di regolamentazione provvedono affinché i principi di ripartizione dei costi e di compensazione del costo netto siano portati a conoscenza del pubblico (art. 91);
· relativamente alle risorse di numerazione, si consente alle autorità nazionali di regolamentazione di concedere a imprese, diverse dai fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica, diritti d'uso di tali risorse per la fornitura di determinati servizi, a condizione che adeguate risorse di numerazione siano messe a disposizione per soddisfare la domanda attuale e quella prevedibile in futuro (art. 93, par. 2), nonché di riscuotere contributi sui diritti d'uso delle risorse di numerazione (art. 95) al fine di garantire l'impiego ottimale di tali risorse; gli Stati membri assicurano che tali contributi siano trasparenti, obiettivamente giustificati, proporzionati allo scopo perseguito e non discriminatori; si prevede inoltre che entro il 21 giugno 2020 il BEREC adotti linee guida su criteri comuni per la valutazione della capacità di gestione delle risorse di numerazione e del rischio di esaurimento di tali risorse (art. 93, par. 2); per quanto riguarda le numerazioni non geografiche, oltre alla possibilità di concedere diritti di uso anche su di essi rispettando specifiche condizioni poste nella parte E dell’Allegato I, si prevede che il BEREC istituisca una banca dati delle risorse di numerazione con diritto di uso extraterritoriale all'interno dell'Unione e assista le autorità nazionali di regolamentazione o le altre autorità competenti, su loro richiesta, nel coordinamento delle attività per garantire l'efficiente gestione delle risorse di numerazione con un diritto di uso extraterritoriale all'interno dell'Unione (art. 93, par. 4); si introduce infine la previsione che gli Stati membri, fatte salve le procedure dell’art. 106 relative al cambio di operatore, promuovano la fornitura via etere, ove tecnicamente fattibile, per agevolare il cambio di fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica da parte di utenti finali, in particolare fornitori e utenti finali di servizi da macchina a macchina (art. 93, par. 6);
· in materia di diritti degli utenti finali, il Titolo III prevede il rispetto del principio di non discriminazione (art. 99) da parte dei fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica nei confronti degli utenti per l’accesso o di uso di reti o servizi, nonché la tutela dei diritti (art. 100) di cui alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ed ai principi generali del diritto dell'Unione, specificandosi in particolare che qualunque provvedimento riguardante l'accesso a servizi e applicazioni o il loro uso attraverso reti di comunicazione elettronica, da parte degli utenti finali, che possa limitare l'esercizio dei diritti o delle libertà fondamentali riconosciuti dalla Carta possa essere imposto soltanto se previsto dalla legge e se rispetti detti diritti e libertà, e se sia proporzionato e necessario e risponde effettivamente agli obiettivi di interesse generale riconosciuti dal diritto dell'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, incluso il diritto a un ricorso effettivo e a un giusto processo;
· vengono inoltre definiti una serie di principi (articoli da 102 a 115 del Codice) per i quali è stabilito il principio del livello di armonizzazione dei diritti (art. 101) in base al quale non è consentito agli Stati membri, successivamente al 21 dicembre 2021, di introdurre o mantenere norme di tutela degli utenti che divergano da quelle indicate, con l’esclusione della possibilità di deroga prevista dall’art. 98 per le microimprese; si tratta dei seguenti principi e norme, per i quali si indicano altresì le più rilevanti novità:
o gli obblighi di informazione applicabili ai contratti, per i quali si introduce l’obbligo dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico di fornire ai consumatori una sintesi contrattuale concisa e facilmente leggibile che individua i principali elementi degli obblighi di informazione nonché, nel caso di servizi a consumo in termini di tempo o volume, l’obbligo dei fornitori di offrire ai consumatori il mezzo per monitorare e controllare l'uso di ciascun servizio (art. 102);
o la trasparenza, il confronto delle offerte e la pubblicazione delle informazioni (art. 103);
o la qualità dei servizi relativi all'accesso a internet e dei servizi di comunicazione interpersonale accessibili al pubblico: si prevede che le misure intese a garantire la qualità del servizio siano conformi al regolamento sull’internet aperta n. 2015/2120 e che le autorità di regolamentazione nazionali possano richiedere ai fornitori di servizi di comunicazione interpersonale accessibili al pubblico di informare i consumatori qualora la qualità dei servizi offerti dipenda da fattori esterni, quali il controllo della trasmissione dei segnali o la connettività della rete; inoltre si demanda al BEREC di adottare, entro il 21 giugno 2020, linee guida sui parametri di qualità del servizio, compresi i parametri pertinenti per gli utenti finali con disabilità, i metodi di misura applicabili, il contenuto e il formato di pubblicazione delle informazioni e i meccanismi di certificazione della qualità (art. 104);
o la durata dei contratti e la relativa risoluzione: si prevede che gli Stati membri provvedano affinché le condizioni e le procedure di risoluzione non fungano da disincentivo al cambiamento di fornitore di servizi (art. 105);
o il passaggio ad un altro fornitore e sulla portabilità del numero: si prevede che i fornitori interessati cooperino in buona fede senza causare abusi o ritardi nelle operazioni di passaggio ed offrano all'utente finale informazioni adeguate prima e durante il passaggio e garantiscano la continuità del servizio di accesso a internet che deve avere luogo nel più breve tempo possibile alla data ed entro i termini espressamente concordati con l'utente finale, nonché che l'interruzione del servizio durante la procedura di passaggio non possa superare un giorno lavorativo; si introduce inoltre il principio che nel caso l’utente finale risolva un contratto, gli Stati membri provvedano affinché possa mantenere il diritto di trasferire un numero dal piano di numerazione nazionale verso un altro fornitore per almeno un mese dalla data della risoluzione, a meno che non rinunci a tale diritto (art. 106);
o le offerte di pacchetti: si introducono tutele per il consumatore prevedendosi che se il consumatore ha il diritto di risolvere un elemento del pacchetto prima della scadenza abbia anche il diritto di risolvere il contratto in relazione a tutti gli elementi del pacchetto, si prevede inoltre che la sottoscrizione di servizi o apparecchiature terminali supplementari non prolunghi automaticamente la durata originaria del contratto, salvo consenso espresso (art. 107),
o la disponibilità dei servizi di comunicazione vocale e di accesso a internet (art. 108),
o le comunicazioni di emergenza, senza dover utilizzare alcun mezzo di pagamento e l'accesso ai servizi di soccorso tramite il numero unico di emergenza europeo 112 anche da reti di comunicazione elettronica che non sono accessibili al pubblico ma consentono le chiamate verso le reti pubbliche; si prevede che gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sulla localizzazione del chiamante siano messe a disposizione dello PSAP (il Public Safety Answering Point cioè il Centro di raccolta delle chiamate di emergenza 112) più adatto senza indugio dopo che è stata stabilita la connessione della comunicazione di emergenza (art. 109),
o il sistema di allarme pubblico: gli Stati membri, nel caso siano istituiti tali sistemi devono provvedere, entro il 21 giugno 2022, affinché, in caso di gravi emergenze e catastrofi imminenti o in corso, i fornitori dei servizi mobili di comunicazione interpersonale basati sul numero trasmettano allarmi pubblici agli utenti interessati, oppure possono stabilire che gli allarmi pubblici siano trasmessi tramite servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico diversi o tramite un'applicazione mobile basata su un servizio di accesso a internet, a condizione che l'efficacia del sistema di allarme pubblico sia equivalente in termini di copertura e capacità di raggiungere gli utenti finali (art.110);
o l’accesso e la scelta equivalenti per gli utenti finali con disabilità (art. 111),
o i servizi di consultazione degli elenchi (art. 112),
o l’interoperabilità dei ricevitori autoradio e dei ricevitori radio di consumo e delle apparecchiature di televisione digitale di consumo: si prevede che gli Stati membri possano adottare misure per garantire l'interoperabilità di altri ricevitori radio di consumo, limitando nel contempo l'impatto sul mercato di ricevitori di radiodiffusione di valore modesto e garantendo che tali misure non si applichino ai prodotti nei quali il ricevitore radio è puramente accessorio, quali gli smartphone, né alle apparecchiature utilizzate da radioamatori; per le apparecchiature di televisione digitale si prevede che gli Stati membri provvedano affinché, al termine del loro contratto, gli utenti finali abbiano la possibilità di restituire le apparecchiature di televisione digitale in modo semplice e gratuito, a meno che il fornitore dimostri che sono pienamente interoperabili con i servizi di televisione digitale di altri fornitori (art. 113),
o gli obblighi di trasmissione (art. 114) e la fornitura di prestazioni supplementari (art. 115).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 590.
Il 1° febbraio 2017 l'8a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato su tale proposta una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 181 della XVII Legislatura). La Commissione europea ha risposto in data 15 maggio 2017.
(Promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili)
La direttiva (UE) 2018/2001 (cd. RED II) sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (testo modificativo e di rifusione della pregressa Direttiva 2009/28/UE, cd. RED I) fa parte del pacchetto di interventi legislativi presentato dalla Commissione europea il 30 novembre 2016, noto come Winter package o Clean energy package. Il pacchetto comprende diverse misure legislative nei settori dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e del mercato interno dell'energia elettrica.
I Regolamenti e le direttive del Clean Energy Package, approvate in via definitiva dalle Istituzioni europee, tra la fine del 2018 e la prima metà del 2019, fissano il quadro regolatorio della governance dell'Unione per energia e clima, funzionale al raggiungimento dei nuovi obiettivi europei al 2030 in materia[32].
Nel quadro di tali obiettivi, la Direttiva (UE) 2018/2001 dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che, nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell'Unione sia almeno pari al 32% (articolo 1 e articolo 3, par. 1) e la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti sia almeno pari al 14% del consumo finale in tale settore (articolo 25, par. 1)[33].
Gli Stati membri devono, ciascuno, fissare i contributi nazionali per conseguire collettivamente l'obiettivo vincolante UE 2030 nell’ambito dei loro Piani nazionali integrati per l'energia e il clima-PNIEC (articolo 3, par. 1).
Tale previsione ha contenuto auto applicativo (articolo 37) ed è stata già adempiuta, posto che – in applicazione del processo di governance dell’energia definito nel Regolamento (UE) 2018/1999 – il PNIEC nazionale, per il periodo programmatorio 2021-2030, è stato già stato predisposto, a seguito di interlocuzione con la Commissione UE, e notificato nella sua versione definitiva alla Commissione stessa.
All’interno del Piano sono quindi contenuti – tra gli altri - gli obiettivi 2030 per l’Italia in materia di consumo di energie rinnovabili.
Nel dettaglio, il PNIEC si prefigge:
· una percentuale di energia da FER nei Consumi Finali Lordi di energia pari al 30%;
· una quota di energia da FER nei Consumi Finali Lordi di energia nei trasporti del 22%, obiettivo più alto del target UE (14%). Si consideri che tale obiettivo consiste in un obbligo che gli Stati membri devono imporre in capo ai fornitori di carburante per assicurare che entro il 2030 la quota di energia da FER fornita sia almeno il 14 % del consumo finale di energia nel settore dei trasporti (articolo 25, par. 1).
La Direttiva fornisce agli Stati membri i criteri di calcolo del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili (articolo 7 e Allegato II)[34] e di consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili nei trasporti (articoli 25-27 e Allegato IX)[35].
Contestualmente, la Direttiva dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2021, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di ciascuno Stato membro non debba essere inferiore a dati limiti, che, per l'Italia, corrispondono essenzialmente ad un obiettivo già raggiunto (17%) (articolo 3, par. 4 e allegato I, parte A).
Funzionali al raggiungimento degli obiettivi 2030, sono le norme – contenute nella Direttiva stessa – che forniscono agli Stati membri i principi e i criteri per disciplinare (articolo 1):
· il sostegno finanziario all'energia elettrica da fonti rinnovabili (articoli 4-6 e 13),
· l'autoconsumo dell’energia elettrica prodotta da tali fonti (articoli 21 e 22)
· l'uso di energia da FER nel settore del riscaldamento e raffrescamento e nel settore dei trasporti (articoli 23-24 e 25-28),
· la cooperazione tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e i paesi terzi su progetti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (9-12 e 14),
· le garanzie di origine dell’energia da FER (articolo 19), le procedure amministrative improntate a garantire un favor per la produzione da FER e l'informazione e la formazione sulle FER (articoli 15-18)
La Direttiva fissa altresì criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa (articoli 29-31).
Strumentale alla nuova disciplina è il quadro definitorio (contenuto nell’articolo 2), integrato – rispetto alla Direttiva 2009/28/UE – in base alle novità da questa introdotte (cfr. infra).
Si segnala, in proposito, che anche la più dettagliata definizione di energia rinnovabile quale energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare (solare termico e fotovoltaico) e geotermica, energia dell'ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.
Gli Stati membri dovranno recepire nel diritto nazionale la direttiva entro il 30 giugno 2021. La direttiva entrerà in vigore a partire dal 1o luglio 2021 (articolo 36). A decorrere da tale data è abrogata la precedente Direttiva in materia di promozione dell’uso di fonti rinnovabili (Direttiva 2009/28/CE, come modificata dalla Direttiva 2013/18/UE e dalla Direttiva (UE) 2015/1513) (articolo 37 e Allegato X).
Viene di seguito data sintetica illustrazione dei principali contenuti della Direttiva.
La Direttiva vieta, in primis, qualsiasi tipo di sostegno per l'energia rinnovabile prodotta mediante l'incenerimento di rifiuti, se non sono stati rispettati gli obblighi in materia di raccolta differenziata stabiliti nella Direttiva 2008/98/CE. Deve essere tenuta in debita considerazione la gerarchia dei rifiuti (articolo 3, paragrafo 3).
I regimi di sostegno all’energia da FER, funzionali al raggiungimento dei target prefissati, sono ammessi, alle condizioni stabilite dall’articolo 4 e dall’articolo 5, incentrati sul sostegno alla produzione elettrica da FER e dall’articolo 6.
Il sostegno deve essere concesso con modalità aperte, trasparenti, competitive, non discriminatorie ed efficaci sotto il profilo dei costi, cosi che i produttori reagiscano ai segnali dei prezzi del mercato e massimizzino i loro ricavi. In tal senso, il sostegno diretto dei prezzi è concesso sotto forma di integrazione economica sul prezzo, fissa o variabile.
Gli Stati membri possono esentare dalle procedure di gara gli impianti di piccola taglia e i progetti pilota, che ricevono dunque un trattamento di sostegno in deroga ai criteri suddetti (articolo 4).
Inoltre, la Direttiva consente agli Stati membri di prevedere che una quota indicativa di nuova capacità, o del regime di sostegno sia annualmente aperto ai produttori situati in altri Stati membri. Le quote possono ammontare, in ciascun anno, almeno al 5 % tra il 2023 e il 2026 e almeno al 10 % tra il 2027 e il 2030 o, se inferiore, al livello di interconnettività degli Stati membri interessati in un ogni anno. Gli Stati membri possono organizzare uno o più progetti pilota di regimi di sostegno aperto (nell’ambito di progetti comuni).
In via generale, il sostegno alla produzione di energia da FER non deve subire revisioni che incidono negativamente sui diritti conseguiti e minano la sostenibilità economica dei progetti che beneficiano del sostegno. In tal senso, l’adeguamento dei meccanismi di sostegno deve avvenire sulla base di criteri predeterminati ab origine (articolo 6).
La Direttiva impone agli Stati membri di autorizzare la costituzione dei consumatori in autoconsumatori di energia elettrica rinnovabile assicurando loro un trattamento non discriminatorio e sproporzionato. Gli SM devono predisporre un quadro favorevole alla promozione e agevolazione dello sviluppo dell'autoconsumo, anche in forma collettiva (articolo 21).
La concessione di diritti agli autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente permette – secondo la Direttiva (considerando n. 67) - di aumentare l'efficienza energetica delle famiglie e contribuisce a combattere la povertà energetica mediante la riduzione dei consumi e delle tariffe di fornitura.
La Direttiva introduce dunque (articolo 2, nn. 14-16)) la definizione di:
· autoconsumatore, quale “cliente finale che, operando in propri siti situati entro confini definiti o, se consentito da uno Stato membro, in altri siti, produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere la stessa, purché, per un autoconsumatore diverso dai nuclei familiari, tali attività non costituiscano l'attività commerciale o professionale principale (articolo 2, n. 14))
· autoconsumatori di energia dal FER che agiscono collettivamente quale un gruppo di almeno due autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente e si trovano nello stesso edificio o condominio (articolo 2, n. 15))
· comunità di energia rinnovabile: un soggetto giuridico autonomo, cui si partecipa su base volontaria, controllato da azionisti o membri situati nelle vicinanze di impianti di produzione di energia da FER appartenenti alla comunità e dalla medesima sviluppati. Gli azionisti o i membri della comunità devono essere persone fisiche, PMI o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali. L’obiettivo principale della comunità deve essere fornire benefici ambientali, economici o sociali ai azionisti o membri o aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.
Gli Stati devono provvedere affinché tali soggetti siano autorizzati a:
· produrre, anche per il proprio consumo, immagazzinare e vendere le eccedenze di produzione di energia elettrica rinnovabile, anche tramite accordi di compravendita, senza essere soggetti:
o relativamente all'energia elettrica da FER autoprodotta, che rimane nella loro disponibilità, a procedure discriminatorie o sproporzionate e a oneri o tariffe. Tali oneri o tariffe possono però essere applicati, ma in misura proporzionata e non discriminatoria, se
- vi sono già altri regimi di sostegno, o
- se, dal 1° dicembre 2026 la quota di impianti in autoconsumo supera l'8 % della potenza elettrica totale installata in uno Stato membro, e se è dimostrato, mediante un'analisi costi-benefici effettuata dall'autorità di regolamentazione (ARERA), che l’assenza di oneri o tariffe ha comportato un effetto sproporzionato sulla sostenibilità finanziaria a lungo termine del sistema elettrico o che l’incentivo supera quanto necessario per conseguire la diffusione economicamente efficiente dell'energia da FER
- se l'energia elettrica rinnovabile autoprodotta è prodotta in impianti con potenza elettrica totale superiore a 30 kW (articolo 21, commi 1 e 3)
· relativamente all'energia elettrica da FER, proveniente o immessa dalla rete, ad oneri o procedure discriminatorie o sproporzionate, nonché ad oneri di rete che non tengano conto dei costi sostenuti;
· installare e gestire sistemi di stoccaggio abbinati a impianti di generazione a fini di autoconsumo senza essere soggetti ad alcun duplice onere, comprese le tariffe di rete;
· mantenere i loro diritti e obblighi in quanto consumatori finali;
· ricevere una remunerazione, anche mediante regimi di sostegno, per l'energia elettrica da FER autoprodotta immessa nella rete, che corrisponda al valore di mercato di tale energia elettrica e possa tener conto del suo valore a lungo termine per la rete, l'ambiente e la società (articolo 21, commi 1 e 2).
Inoltre, gli Stati membri devono provvedere affinché gli autoconsumatori di energia rinnovabile che si trovano nello stesso edificio, compresi condomìni, siano autorizzati a esercitare collettivamente le attività di produzione, vendita delle eccedenze e installazione dei sistemi di stoccaggio e ad organizzare tra di loro lo scambio di energia rinnovabile prodotta presso il loro sito o i loro siti, fatti salvi gli oneri di rete e altri oneri, canoni, prelievi e imposte, applicabili a ciascun autoconsumatore.
Gli Stati membri possono distinguere tra autoconsumatori individuali di energia rinnovabile e autoconsumatori collettivi di energia rinnovabile. Eventuali trattamenti diversi devono essere proporzionati e debitamente giustificati.
In proposito, l’articolo 22 della Direttiva disciplina le cd. “comunità di energia rinnovabile”, basate sull'autoconsumo elettrico e sulla condivisione dell'energia prodotta. Le comunità potranno utilizzare le reti esistenti di distribuzione, pagando i relativi oneri, secondo criteri equi basati sull'analisi specifica dei costi-benefici anche a livello ambientale.
Gli Stati membri devono assicurare la partecipazione alla Comunità ai clienti finali, in particolare domestici, garantendo a questi ultimi i diritti o i doveri di clienti finali. La Comunità è dunque un vero e proprio soggetto giuridico.
Il quadro nazionale favorevole alla promozione e agevolazione dello sviluppo dell'autoconsumo di energia rinnovabile e alle comunità di eenrgia rinnovabile deve essere predisposto dagli Stati membri sulla base di una valutazione, i cui criteri sono indicati dalla Direttiva stessa.
Una sintesi delle politiche e delle misure previste, nonché una valutazione della loro attuazione deve essere contenuta nei PNIEC (articolo 21, paragrafo 6 e articolo 22, comma 4 e 5).
I paragrafi 3.1.2 i e 3.4.3 ii (pagg. 121 e ss.) del PNIEC presentato alla Commissione europea a gennaio scorso descrivono nel dettaglio gli intendimenti in tema di promozione dell’autoconsumo e di sviluppo e sostegno alle comunità di energia rinnovabili, da perseguirsi principalmente mediante strumenti di natura regolatoria.
Appare opportuno ricordare che, nelle more del recepimento della Direttiva RED II ed in parziale e anticipata attuazione delle disposizioni ivi contenute, l’articolo 42-bis del D.L. n. 162/2019 (cd. D.L. “Milleproroghe”) autorizza l’attivazione dell'autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili, ovvero la realizzazione delle comunità energetiche rinnovabili, dettandone la relativa disciplina.
Ai sensi dell’articolo 23 della Direttiva, ciascuno Stato deve aumentare la quota di energia rinnovabile nel settore del riscaldamento e del raffrescamento di indicativamente 1,3 punti percentuali come media annuale calcolata per i periodi dal 2021 al 2025 e dal 2026 al 2030, partendo dalla quota di energia rinnovabile destinata al riscaldamento e al raffrescamento nel 2020, espresso in termini di quota nazionale dei consumi finali di energia e calcolato secondo la metodologia indicata dalla stessa Direttiva (articolo 7 e articolo 23, par. 2). L’aumento è limitato indicativamente a 1,1 punti percentuali per gli Stati membri in cui non sono utilizzati calore e freddo di scarto. Gli Stati membri attribuiscono la priorità alle migliori tecnologie disponibili.
L’articolo 24 indica agli Stati membri le modalità alternative attraverso le quali perseguire i sopra indicati obiettivi.
Si segnala in merito che la quota di energia da FER nei Consumi Finali Lordi per riscaldamento e raffrescamento indicata nel PNIEC è del +1,3% annuo (indicativo).
Quanto al settore dei trasporti, come accennato, ogni Stato membro è tenuto a far sì che al 2030 i fornitori di carburante conseguano una quota minima di energia da fonti rinnovabili almeno del 14% dei prodotti immessi in consumo nei trasporti.
Nel calcolo della quota minima, il contributo dei biocarburanti avanzati prodotti a partire dalle materie prime elencate nell'allegato IX parte A della Direttiva (biocarburanti avanzati), deve essere almeno dello 0,2 % nel 2022, almeno dell'1 % nel 2025 e almeno del 3,5 % nel 2030 (articolo 25, paragrafo 1).
La quota dei biocarburanti prodotti a partire da materie prime elencate nell'allegato IX, parte B, è limitato all'1,7 % del contenuto energetico dei carburanti per il trasporto, lasciando agli Stati membri la possibilità di incrementare tale valore, se giustificato (articolo 27, paragrafo 1).
La quota di biocarburanti per il trasporto prodotti dalle materie prime elencate nell'allegato IX può essere considerata pari al doppio del suo contenuto energetico (double counting) (articolo 27, paragrafo 2, lett. a)); la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili è calcolata come pari a 4 volte il suo contenuto energetico, se fornita a veicoli stradali e pari a 1,5 volte se fornita al trasporto ferroviario (articolo 27, paragrafo 2, lett. b)); a eccezione dei combustibili prodotti a partire da colture alimentari e foraggere, il contributo dei carburanti forniti nel settore dell'aviazione e dei trasporti marittimi è ottenuto moltiplicando per 1,2 volte il loro contenuto energetico(articolo 27, paragrafo 2, lett. c)).
Infine, in ciascun Stato membro, la quota di biocarburanti e bioliquidi, se prodotti a partire da colture alimentari o foraggere, non deve superare di più di un punto percentuale la quota di tali carburanti nel consumo finale lordo di energia nei settori del trasporto stradale e ferroviario nel 2020, con un massimo del 7% (articolo 26, paragrafo 1).
Il PNIEC italiano dettaglia il contributo offerto dalle diverse voci ai fini del raggiungimento dell’obiettivo nazionale del 22% di fonti rinnovabili nel settore trasporti previsto al 2030 (cfr. Tabella infra).
(ktep)
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 767 del 30 novembre 2016.
del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e che assicura il corretto funzionamento del mercato interno
La direttiva (UE) 2019/1 mira a garantire alle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri l’indipendenza, le risorse e i poteri di esecuzione e sanzione necessari per affrontare efficacemente gli accordi e le pratiche delle società che limitano la concorrenza all’interno della propria giurisdizione; si applica in particolare quando gli accordi anticoncorrenziali vietati dagli articoli 101 (cartelli) e 102 (abuso di posizione dominante) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) sono applicati su base autonoma o in parallelo con il diritto della concorrenza nello stesso caso; prevede la reciproca assistenza tra le autorità garanti della concorrenza per garantire che le imprese non possano sfuggire all’applicazione affinché il mercato unico dell’UE funzioni correttamente.
Le autorità nazionali garanti della concorrenza hanno il potere di: eseguire accertamenti ispettivi a sorpresa, compreso il diritto di accedere ai locali, esaminare i libri, apporre sigilli agli edifici e interrogare il personale; perquisire le abitazioni di dirigenti, amministratori e membri del personale, se vi sono motivi di sospettare che vi siano conservati i libri o altri documenti pertinenti; richiedere alle imprese di fornire tutte le informazioni necessarie entro un termine ragionevole e determinato; convocare in audizione obbligatoria i rappresentanti delle imprese; ordinare che venga interrotta qualsiasi pratica illegale e adottare le misure appropriate, tra cui l’imposizione di rimedi strutturali o comportamentali, ordinare misure cautelari o assumere impegni offerti dalle imprese, vincolanti per raggiungere tale obiettivo; imporre ammende efficaci, proporzionate e dissuasive nell’ambito di un proprio procedimento, oppure chiedendo l’irrogazione delle ammende in un procedimento giudiziario non penale non solo per le violazioni degli articoli 101 e 102 del TFUE, ma anche quando le società omettono intenzionalmente o negligentemente di cooperare con le proprie autorità investigative; irrogare inoltre efficaci sanzioni periodiche proporzionate e dissuasive al fine di imporre il rispetto dei loro poteri investigativi e decisionali; disporre di programmi di trattamento favorevole efficaci che incoraggino le imprese a segnalare cartelli in tutta l’UE; si prestano reciproca assistenza affinché, ad esempio, le imprese con attività in altri paesi dell’UE non possano sottrarsi al pagamento delle sanzioni.
Tutto il personale interessato: deve agire in modo indipendente da ingerenze politiche e da altre influenze esterne; non deve sollecitare né accettare istruzioni dal governo o da altre entità pubbliche o private; deve astenersi dall’intraprendere qualsiasi azione incompatibile con lo svolgimento dei propri compiti; deve astenersi dal trattare procedimenti che potrebbero dar luogo a conflitti o interessi per un periodo ragionevole dopo aver lasciato l’autorità nazionale garante della concorrenza.
Le persone che prendono le principali decisioni di esecuzione devono essere protette da rimozioni arbitrarie e possono essere sollevate dall’incarico solamente se non soddisfano più le condizioni richieste per lo svolgimento dei loro compiti.
I membri degli organi decisionali dell’autorità garante della concorrenza devono essere selezionati, assunti o nominati in modo chiaro e trasparente.
Gli Stati membri devono garantire che le autorità garanti della concorrenza: rispettino i diritti delle parti convenute, compreso il diritto a essere sentite e il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice; svolgano i procedimenti istruttori in tempi ragionevoli; dispongano di sufficiente personale qualificato e di sufficienti risorse finanziarie, tecniche e tecnologiche per lo svolgimento dei loro compiti; forniscano assistenza ai colleghi di altri Stati membri al fine di notificare atti procedimentali o garantire il pagamento di sanzioni transfrontaliere.
Le ammende contro una o più imprese per comportamento illecito devono: tenere conto della gravità e della durata dell’infrazione; essere fissate a un livello non inferiore al 10 % del fatturato totale realizzato dall’impresa a livello mondiale durante l’esercizio precedente la decisione di irrogazione.
I programmi di trattamento favorevole consentono all’impresa che riveli la propria partecipazione a cartelli segreti: l’immunità dalle ammende se fornisce per prima elementi probatori che consentono all’autorità nazionale garante della concorrenza di effettuare un accertamento ispettivo mirato o che siano sufficienti a quest’ultima per constatare un’infrazione; la riduzione delle ammende se fornisce elementi probatori che costituiscano un valore aggiunto significativo al fine di provare un’infrazione rispetto agli elementi probatori già in possesso dell’autorità nazionale garante della concorrenza.
Entro il 12 dicembre 2024, la Commissione europea presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sul recepimento e sull’attuazione della direttiva.
La direttiva è in vigore dal 3 febbraio 2019 e diventerà legge nei paesi dell’UE entro il 4 febbraio 2021.
Nella relazione annuale sull’attività svolta, del 31 marzo 2019, pp. 179-182, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha dedicato un approfondimento alla direttiva 2019/1.
In particolare, essa ha osservato che il 14 gennaio 2019 è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea la Direttiva (UE) n. 2019/1 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficaci e assicura il corretto funzionamento del mercato interno (Direttiva ECN Plus); essa dovrà essere trasposta nella legislazione degli Stati Membri entro due anni dall’entrata in vigore, ossia entro il 4 febbraio 2021.
La Direttiva ECN Plus stabilisce alcune norme per garantire che le autorità nazionali garanti della concorrenza dispongano delle necessarie garanzie di indipendenza, delle risorse e dei poteri di indagine e sanzionatori per poter applicare efficacemente gli articoli 101 e 102 TFUE, anche in parallelo all’applicazione del diritto nazionale della concorrenza allo stesso caso. Infine, la Direttiva ECN Plus stabilisce talune norme efficaci in materia di assistenza reciproca al fine di tutelare il corretto funzionamento del mercato interno e del sistema di stretta cooperazione nell'ambito della rete europea della concorrenza.
Al Capo III, in tema di indipendenza e risorse, si stabilisce all’articolo 4 che i membri dell’organo decisionale delle autorità di concorrenza siano in grado di svolgere i loro compiti ed esercitare i loro poteri ai fini dell'applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE in modo indipendente da ingerenze politiche e da altre influenze esterne; non sollecitino né accettino istruzioni dal governo; non siano rimossi da tali autorità per motivi connessi al corretto svolgimento dei loro compiti; siano selezionati, assunti o nominati in base a procedure chiare e trasparenti; infine, abbiano il potere di definire le loro priorità per lo svolgimento dei compiti, potendo anche archiviare le segnalazioni pervenute, la cui trattazione non sia considerata prioritaria. Riconoscendo che il più importante presidio dell’autonomia decisionale delle autorità consiste nella effettiva disponibilità di risorse umane, strumentali e finanziarie, adeguate allo svolgimento dei compiti istituzionali a esse attribuiti, l’articolo 5 della Direttiva ECN Plus impone agli Stati Membri garanzie anche a tal riguardo.
Con le disposizioni del Capo IV, la Direttiva ECN Plus consolida e armonizza i poteri istruttori e decisori conferiti alle autorità nazionali di concorrenza nell’applicazione delle norme di concorrenza del Trattato, per favorire una efficiente e uniforme applicazione del diritto antitrust a livello europeo. Per quanto riguarda il diritto italiano, le principali novità riguarderanno le verifiche ispettive e i poteri decisori. In particolare, l’articolo 6(1)(b) e (c) codifica la prassi applicativa che consente ai funzionari dell’Autorità incaricati dell’accertamento di acquisire ogni elemento informativo che sia “accessibile” per l’impresa soggetta all’ispezione (inclusi dunque i documenti e le informazioni ospitati su server esterni all’impresa) e – ove necessario – di proseguire l’ispezione presso i locali dell’Autorità stessa. Inoltre, quando l’Autorità sia chiamata a svolgere un accertamento ispettivo per conto di altra autorità di concorrenza della rete ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento 1/2003, l’articolo 24 (1) della Direttiva ECN Plus dispone ora esplicitamente che i funzionari incaricati potranno essere accompagnati e attivamente assistiti dai colleghi designati dall’autorità richiedente, abilitati all’esercizio dei poteri ispettivi.
L’articolo 7 prevede il potere di svolgere ispezioni a sorpresa in locali diversi da quelli nei quali si svolge l’attività di impresa, incluse dunque le abitazioni dei dirigenti delle imprese interessate. Tale potere potrà essere esercitato solo dopo aver ottenuto una preventiva autorizzazione giudiziale.
Si segnala inoltre che, a differenza di quanto previsto per le ispezioni dei locali commerciali, il novero dei poteri ispettivi minimi che devono essere attribuiti alle autorità di concorrenza nell’ipotesi di ispezioni di locali “privati” risulta più circoscritto, in quanto non include né il potere di apporre sigilli, né quello di richiedere spiegazioni ai soggetti interessati e di verbalizzarne le risposte.
Inoltre, l’articolo 10 della Direttiva ECN Plus dispone che alle autorità nazionali di concorrenza sia conferito il potere di imporre rimedi strutturali o comportamentali con la decisione che accerta l’infrazione, quando ciò sia necessario per assicurare l’effettiva cessazione della violazione, sulla falsariga di quanto previsto dall’articolo 7 del Regolamento 1/2003.
Il Capo V disciplina invece l’esercizio del potere sanzionatorio da parte delle autorità nazionali di concorrenza, disponendo la capacità delle autorità nazionali di concorrenza di imporre o di chiedere di imporre sanzioni pecuniarie proporzionate e dotate di una adeguata efficacia deterrente e dettando un regime parzialmente armonizzato con riferimento al computo delle sanzioni associate tanto alle violazioni di natura procedurale, quanto alle norme sostanziali di concorrenza.
Dal punto di vista dell’impatto sul diritto nazionale, la disposizione di maggior rilievo della Direttiva ECN Plus riguarda certamente il trattamento sanzionatorio delle associazioni di imprese che violino la normativa a tutela della concorrenza. Come è noto, l’articolo 23, comma 2, del Regolamento 1/2003 prevede che in queste ipotesi il massimo edittale debba essere calcolato in relazione al fatturato totale di ciascuna delle imprese associate attive sul mercato interessato dall’infrazione commessa dall’associazione.
Nel diritto italiano, per contro, il parametro di riferimento è stato costantemente individuato nel valore (di gran lunga inferiore) delle quote associative versate. In conformità al disposto dell’articolo 23, comma 4, del Regolamento 1/2003, la Direttiva ECN Plus all’articolo 14 dispone altresì che qualora l'associazione non sia solvibile, essa sia tenuta a richiedere ai propri membri dei contributi a concorrenza dell'importo dell'ammenda. Se tali contributi non sono versati all'associazione entro un termine stabilito dall’autorità procedente, la Direttiva ECN Plus prevede che quest'ultima possa esigere il pagamento dell'ammenda direttamente da ciascuna delle imprese i cui rappresentanti siano membri degli organi decisionali interessati dell'associazione o – in subordine – da ciascuna delle imprese associate che opera sul mercato interessato dall’infrazione.
Inoltre, la Direttiva ECN Plus attribuisce alle autorità nazionali di concorrenza il potere di applicare penalità di mora alle imprese che si sottraggano all’ottemperanza delle decisioni di accertamento di infrazione, di adozione di misure cautelari o impegni proposti dalle parti, che si rifiutino di sottoporsi all’accertamento ispettivo o non adempiano in modo corretto, completo e tempestivo a una richiesta di informazioni. Si segnala, da ultimo, che le sanzioni previste per violazioni procedurali, quali l’infrazione dei sigilli apposti nei locali in cui si svolge un accertamento ispettivo, il rifiuto di soggiacere all’ispezione e l’inottemperanza a richieste di informazioni formulate in ispezione o nel corso del procedimento, dovranno – contrariamente a quanto ora avviene nel diritto italiano – essere determinate in proporzione al fatturato globale delle imprese interessate.
Norme armonizzate in tema di programmi di clemenza si rinvengono nel Capo VI, che regola anche il raccordo tra la concessione del beneficio dell’immunità e l’irrogazione di sanzioni alle persone fisiche responsabili dell’attuazione della condotta illecita. A riguardo, la Direttiva ECN Plus impone agli Stati membri che i dipendenti e gli amministratori delle società che accedono al beneficio dell’immunità siano tenuti indenni dalle conseguenze sanzionatorie dell’illecito, sul piano amministrativo e penale, purché la richiesta di immunità preceda l’avvio del procedimento penale e i soggetti interessati cooperino attivamente con le autorità nazionali di concorrenza.
Il Capo VII rafforza i meccanismi di cooperazione tra le autorità della rete europea della concorrenza, consentendo alle autorità nazionali di fornirsi assistenza reciproca per la notifica delle decisioni e per l’esecuzione dei provvedimenti sanzionatori in contesti transfrontalieri. Gli ultimi tre Capi della proposta di Direttiva ECN Plus contengono una serie di disposizioni eterogenee, tese alla corretta applicazione della normativa rilevante.
In conclusione, la Direttiva ECN Plus stabilisce una considerevole espansione dei poteri delle autorità nazionali di concorrenza, modellati sui poteri istruttori di cui si avvale la stessa Commissione. Il completamento e consolidamento dello strumentario investigativo e repressivo di cui dispongono le autorità nazionali di concorrenza può accrescere l’efficacia dell’attività di enforcement, agevolando l’acquisizione degli elementi di prova dell’illecito concorrenziale e favorendo la definizione del procedimento amministrativo; per altro verso, un certo grado di convergenza tra i poteri istruttori minimi risulta funzionale ad assicurare l’efficace cooperazione investigativa nell’ambito della rete europea della concorrenza ECN.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2017) 142 del 23 marzo 2017.
La direttiva (UE) 2019/475 dispone che il comune italiano di Campione d'Italia e le acque italiane del Lago di Lugano siano inclusi nel territorio doganale dell'Unione, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013, nonché nell'ambito di applicazione territoriale della direttiva 2008/118/CE ai fini dell'accisa.
Al contempo tali territori permangono al di fuori dell'ambito di applicazione territoriale della direttiva 2006/112/CE, quindi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.
Come emerge dai considerando della direttiva, si accoglie in tal modo la richiesta avanzata dall’Italia con lettera del 18 luglio 2017; in particolare l’esclusione dalla direttiva IVA 2006/112/CE è ritenuta essenziale per garantire condizioni di parità fra gli operatori economici stabiliti in Svizzera e nel comune italiano di Campione d'Italia, attraverso l'applicazione di un regime di imposizione indiretta locale in linea con l'imposta sul valore aggiunto svizzera.
In dettaglio, l’articolo 1 della direttiva modifica l’articolo 6 della direttiva sul sistema comune dell’IVA (direttiva 2006/112/CE), per inserire Campione d’Italia e le acque del Lago di Lugano tra i territori in cui la direttiva IVA non si applica, pur facendo essi parte del territorio doganale della comunità.
L’articolo 2 modifica in senso analogo l’articolo 5, paragrafo 3 della direttiva 2008/118/CE in materia di accise.
Ai sensi dell’articolo 3, il recepimento della disciplina così introdotta deve avvenire entro il 31 dicembre 2019.
Con riferimento alle misure per Campione d’Italia si ricorda che l’articolo 25-octies del decreto-legge n. 119 del 2018 ha introdotto numerose misure per il rilancio del comune, tra cui la previsione della nomina di un commissario straordinario, incaricato di valutare la sussistenza delle condizioni per l'individuazione di un nuovo soggetto giuridico per la gestione della casa da gioco di Campione d'Italia, e numerose modifiche al regime fiscale di persone fisiche e società di Campione d'Italia, cui sono concesse specifiche agevolazioni (che consistono nella riduzione delle imposte sui redditi e dell’IRAP).
La legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi 559-580 della legge n. 160 del 2019) ha introdotto un complesso di misure fiscali relative al comune di Campione d’Italia, in considerazione della direttiva in esame.
In particolare i commi da 559 a 568 disciplinano la nuova imposta locale sul consumo di Campione d’Italia (ILCCI) sulle forniture di beni, prestazioni di servizi e importazioni effettuate nel territorio del Comune per il consumo finale, con aliquote IVA allineate a quelle svizzere.
Viene poi chiarito che Campione d’Italia e le acque territoriali del lago di Lugano sono incluse nell’ambito di applicazione della disciplina sulle accise e nel territorio doganale (commi 569-572).
Sono previste agevolazioni IRPEF, IRES e IRAP per i soggetti residenti a Campione d’Italia, che consistono nella riduzione a metà delle imposte per cinque anni (commi 573-576).
Si prevede un credito d’imposta per i nuovi investimenti iniziali nel territorio di Campione d’Italia, fino al 2024 (commi 577-579).
Infine, il regime agevolato IRES per Campione d’Italia è esteso anche a società ed enti non residenti che hanno sede nel Comune medesimo (comma 580).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2018) 261 dell'8 maggio 2018 .
Direttiva (UE) 2019/520
del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2019 concernente l'interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale e intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sul mancato pagamento dei pedaggi stradali nell'Unione
La direttiva (UE) 2019/520 mira a garantire l'interoperabilità dei sistemi di telepedaggio stradale sull'intera rete urbana e interurbana dell'UE[36], agevolando al tempo stesso lo scambio transfrontaliero di dati di immatricolazione dei veicoli per i quali si è verificato un mancato pagamento dei pedaggi stradali dell'Unione (articolo 1, par. 1). La finalità perseguita è quella di disporre di sistemi affidabili, di facile utilizzo, efficienti in termini di costi ed adeguati allo sviluppo futuro della politica di tariffazione nonché alla futura evoluzione tecnologica (considerando n. 2).
Si intende così mettere i fornitori del servizio europeo di telepedaggio[37] (SET) in condizione di accedere al mercato in maniera più semplice, rimuovendo barriere amministrative onerose, procedure autorizzative o specificazioni locali non standard.
Sulla base della definizione data dall'Enciclopedia Treccani, l'interoperabilità è la capacità di due o più sistemi, reti, mezzi, applicazioni o componenti, di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di utilizzarle.
L'articolo 3, nel disciplinare le "soluzioni tecnologiche", stabilisce (par. 1) che tutti i nuovi sistemi di telepedaggio stradale che richiedono l'installazione o l'uso di apparecchiature di bordo si basano su tecnologie specifiche (posizionamento satellitare, comunicazioni mobili o tecnologia a microonde a 5,8 GHz). Ai pertinenti organismi di normalizzazione è richiesto di adottare le relative norme "rapidamente", aggiornandole ove necessario, garantendo "la compatibilità continua dei componenti di interoperabilità" (par. 2). I fornitori del SET (par. 4) sono tenuti a rendere disponibili agli utenti apparecchiature di bordo "idonee all'uso, interoperabili e in grado di comunicare con i pertinenti sistemi di telepedaggio stradale in uso negli Stati membri" utilizzando le tecnologie sopra elencate. Le apparecchiature di bordo possono "facilitare servizi diversi dal pedaggio a condizione che il funzionamento di tali servizi non interferisca con i servizi di pedaggio (par. 5).
Il Capo II del provvedimento in titolo detta i principi generali del Servizio europeo di telepedaggio (SET). L'articolo 4 incarica gli Stati membri di individuare una procedura per la registrazione dei fornitori, elencando i requisiti tecnici, finanziari e di onorabilità al cui soddisfacimento la registrazione è subordinata. I successivi articoli stabiliscono in dettaglio i diritti ed obblighi dei fornitori (articolo 5), degli esattori di pedaggi (articolo 6) ma anche degli utenti (articolo 10).
L'articolo 7 disciplina la remunerazione che i fornitori del SET hanno diritto di ricevere da parte degli esattori. Questa deve essere definita con una metodologia "trasparente, non discriminatoria e identica per tutti i fornitori (...) accreditati a un determinato settore". Ulteriori norme di dettaglio applicabili ai pedaggi sono contenute nell'articolo 8.
In tema di contabilità (articolo 9), gli Stati membri devono assicurare che i soggetti giuridici che forniscono servizi di pedaggio tengano tale attività ben distinta da eventuali altre da essi svolte.
Il Capo III è dedicato all'organismo di conciliazione che ciascuno Stato membro con almeno un settore del SET è tenuto a designare o istituire per:
1) facilitare la mediazione tra gli esattori di pedaggi con un settore del SET situato nel proprio territorio e i loro fornitori (articolo 11, par. 1);
2) verificare che le condizioni contrattuali imposte da un esattore di pedaggi ai fornitori del SET non siano discriminatorie e che la remunerazione rispecchi le indicazioni del sopra illustrato articolo 7 (articolo 11, par. 2).
Spetta inoltre agli Stati membri adottare le misure necessarie per garantire che il proprio organismo di conciliazione sia "indipendente, nella sua organizzazione e struttura giuridica, dagli interessi commerciali degli esattori dei pedaggi e dei fornitori di servizi di pedaggio" (articolo 11, par. 3).
La procedura di mediazione a cui eventualmente fare ricorso è disciplinata dall'articolo 12, ai sensi del quale l'organismo di conciliazione:
1) entro un mese dichiara se sia o meno in possesso di tutti i documenti necessari per la mediazione (par. 2);
2) entro sei mesi esprime un parere (par. 3).
Sono previste da un lato la facoltà di richiedere le informazioni pertinenti "agli esattori dei pedaggi, ai fornitori del SET e a eventuali terzi " (par. 4) e, dall'altro, lo scambio di informazioni, principi e prassi tra i vari organismi nazionali (par. 5).
Il Capo IV è dedicato alle disposizioni tecniche, relative all'unicità e la continuità del servizio SET (articolo 13), alla regolazione di alcuni elementi aggiuntivi (interazione tra utenti, esattori e fornitori; diffusione dei dati sul traffico, articolo 14) e alle componenti di interoperabilità[38] (articolo 15). In relazione a queste ultime, si disciplinano tra l'altro:
1) l'adozione e pubblicazione, ad opera dell'esattore dei pedaggi, della programmazione dettagliata del processo di valutazione della conformità alle specifiche e dell'idoneità all'uso dei componenti di interoperabilità (par. 1);
2) il divieto, agli Stati membri, di limitare o impedire l'immissione sul mercato di componenti recanti la marcatura CE, la dichiarazione di conformità alle specifiche o una dichiarazione di idoneità all'uso "o entrambe" (par. 3). La procedura di valutazione della conformità alle specifiche e dell'idoneità all'uso di componenti di interoperabilità è regolata dalla Commissione europea con atti di esecuzione (articolo 15, par. 7). L'individuazione degli organismi abilitati a eseguire o controllare la procedura di valutazione, nonché la loro eventuale revoca, sono oggetto di notifica da parte degli Stati membri alla Commissione europea e agli altri Stati membri (articolo 19). Il loro elenco è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea e sono riuniti in un gruppo di coordinamento (articolo 20).
Qualora vi sia invece il timore che un componente di interoperabilità rischi di non soddisfare le prescrizioni pertinenti, si ricorre ad una procedura di salvaguardia finalizzata a vietarne l'uso o ritirarli dal mercato e che vede coinvolti sia lo Stato membro che la Commissione europea oltre al fabbricante, il fornitore del SET o il loro mandatario stabilito nell'Unione (articolo 16). Le relative decisioni devono essere motivate "in modo dettagliato" e vengono notificate "al più presto al fabbricante interessato, al fornitore del SET o ai loro mandatari con l'indicazione dei mezzi di impugnazione previsti dalla normativa in vigore (...) e dei termini entro i quali tali mezzi devono essere esperiti" (articolo 17).
Ogni Stato membro con almeno due settori del SET sul proprio territorio designa un ufficio di contatto unico per i fornitori. Può trattarsi di una persona fisica o di un organismo - pubblico o privato - incaricato di agevolare e coordinare i primi contatti amministrativi tra esattori e fornitore su richiesta di quest'ultimo (articolo 18).
Vige inoltre l'obbligo, per gli Stati membri, di curare un registro elettronico nazionale (articolo 21), da mantenere aggiornato e di cui curare l'esattezza, che contenga i dettagli dei settori del SET situati nel loro territorio, dei fornitori a cui è stata concessa la registrazione e dei dettagli dell'ufficio di contatto unico. I registri devono essere accessibili dal pubblico per via elettronica ed essere disponibili a decorrere dal 19 ottobre 2021. Tale registro deve essere comunicato alla fine di ogni anno solare alla Commissione europea, che lo condivide con gli altri Stati membri.
L'articolo 22 prevede la possibilità di autorizzare, per un periodo iniziale massimo di tre anni, il ricorso a sistemi pilota di pedaggio "che integrano nuove tecnologie o concetti non conformi a una o più disposizioni della presente direttiva". Tali sperimentazioni non coinvolgono i fornitori del SET. E' necessaria la previa autorizzazione della Commissione europea, che deve valutare il rischio che sia compromesso il corretto funzionamento del normale sistema di telepedaggio stradale o del SET.
Il Capo VIII (articolo 23 - 27) è dedicato allo scambio di informazioni sul mancato pagamento dei pedaggi stradali. Vengono regolati:
1) la procedura per lo scambio di informazioni fra Stati membri (articolo 23);
2) le modalità di notifica del mancato pagamento di un pedaggio stradale al proprietario, l'intestatario del veicolo o la persona altrimenti identificata che è sospettata del mancato pagamento (articolo 24). La decisione se avviare o meno la notifica è assunta dallo Stato membro interessato;
3) i procedimenti di follow up da parte delle entità responsabili della riscossione (articolo 25);
4) la relazione che gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione, entro il 19 aprile 2023 ed in seguito ogni tre anni, in cui si dà conto delle richieste di pagamento indirizzate verso altri Stati membri, unitamente al numero di quelle non andate a buon fine (articolo 26).
L'articolo 27 è dedicato alla protezione dei dati personali, tutelata mediante l'applicazione della normativa dell'Unione in materia.
Il testo in esame autorizza la Commissione europea ad adottare sia atti delegati (articoli 29 e 30) che atti di esecuzione (articolo 31). E' altresì previsto che, entro il 19 aprile 2023, presenti una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione e gli effetti della normativa in oggetto.
Il termine per il recepimento è stabilito al 19 ottobre 2021.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2017) 280 del 31 maggio 2017.
Il 26 luglio 2017 l'8a Commissione permanente del Senato della Repubblica (Lavori pubblici, comunicazioni) ha adottato sulla proposta un'articolata risoluzione favorevole con osservazioni (Doc XVIII, n. 213 della XVII Legislatura), relativa anche ad altre proposte legislative in tema di mobilità.
La Commissione europea ha risposto in data 4 gennaio 2018.
del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare
La direttiva 2019/633 prevede l'introduzione di un livello minimo di tutela comune a tutta l'UE, comprendente un elenco di pratiche commerciali sleali vietate e un elenco di pratiche che saranno autorizzate solo se concordate in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura.
L’ambito oggettivo riguarda sia i prodotti alimentari che quelli agricoli.
L’ambito soggettivo interessa i produttori agricoli e alimentari e gli acquirenti, distinti entrambi in relazione al fatturato prodotto.
Le pratiche commerciali sleali vietate sono:
j) i pagamenti tardivi per i prodotti agricoli e alimentari. Per i prodotti deperibili il termine è fissato al superamento del trentesimo giorno dalla consegna; per i prodotti non deperibili, il termine è al sessantesimo giorno dopo la consegna
k) la cancellazione degli ordini all'ultimo minuto (con un preavviso inferiore a 30 giorni);
l) le modifiche unilaterali o retroattive ai contratti;
m) la richiesta al fornitore di pagamenti non connessi alla vendita;
n) l'obbligo imposto al fornitore di pagare per il deterioramento o la perdita dei beni nei locali dell’acquirente senza che vi sia stata colpa del fornitore per l’accaduto;
o) il rifiuto di conferma scritta da parte dell’acquirente delle condizioni dell’accordo, salvo che esso riguardi i prodotti consegnati da un socio di un’organizzazione di produttori
p) l’utilizzazione di segreti commerciali del fornitore da parte dell’acquirente;
q) la minaccia di ritorsioni commerciali nei confronti del fornitore che voglia esercitare i diritti contrattuali e legali ad esso spettanti;
r) la richiesta del costo sostenuto per esaminare i reclami dei clienti in assenza di negligenze da parte del fornitore.
Le pratiche autorizzate solo se soggette a un accordo iniziale tra le parti chiaro e privo di ambiguità sono configurabili nei seguenti casi:
- l'acquirente restituisce a un fornitore i prodotti alimentari invenduti;
- l'acquirente impone al fornitore un pagamento per garantire o mantenere un accordo di fornitura relativo a prodotti alimentari;
- il fornitore è tenuto a sostenere i costi dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente legati alla promozione o al marketing o al costo del personale incaricato di organizzare gli spazi di vendita.
E’ sempre vietata la pratica in base alla quale l’acquirente chiede al fornitore di farsi carico del costo degli sconti relativi alle promozioni a meno che, prima dell’avvio della promozione, ne venga specificato il periodo e indicata la quantità prevista.
Ogni Stato membro è, poi, chiamato a designare una o più Autorità di contrasto. Possono presentare denuncia anche le organizzazioni dei produttori e dei fornitori in loro rappresentanza. Gli Stati membri sono chiamati ad adottare le misure di tutela necessarie per tutelare adeguatamente l’identità del denunciante.
Gli Stati membri possono introdurre norme più rigorose, purché compatibili con il funzionamento del mercato interno.
Direttiva (UE) 2019/713
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti e che sostituisce la decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio
La direttiva in oggetto si propone di predisporre un quadro normativo efficace per combattere la frode e la contraffazione dei mezzi di pagamento diversi dai contanti[39], con la finalità di prevenire i reati ma anche di prestare assistenza e sostegno alle vittime.
A questo fine, ai sensi dell'articolo 1, vengono stabilite "norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni". L'esistenza di lacune e differenze nel diritto degli Stati membri in materia di frodi e falsificazioni può infatti ostacolare la prevenzione, l'individuazione e il perseguimento di questi reati, i quali - specifica il par. 1 della Premessa - costituiscono una minaccia alla sicurezza in quanto fonti di entrate per la criminalità organizzata e rendono possibili attività di terrorismo, il traffico di droga e la tratta di esseri umani. Per contro tali frodi sono in costante aumento e presentano, anche in virtù della loro natura digitale, una dimensione sempre più transfrontaliera (par. 5 della Premessa).
Rileva la circostanza che la direttiva sia applicabile non solo ai mezzi di pagamento diversi dai contanti tradizionali (es. carte di credito, assegni) ma anche a denaro elettronico, valuta virtuale e pagamenti realizzati attraverso telefoni cellulari.
Gli Stati membri sono incaricati di introdurre le misure necessarie perché siano punibili come reato, qualora commessi intenzionalmente:
1) l'utilizzazione fraudolenta di uno strumento di pagamento diverso dai contanti rubato, illecitamente ottenuto, oggetto di illecita appropriazione ovvero contraffatto o falsificato (articolo 3);
2) una serie di reati connessi all'utilizzazione fraudolenta di strumenti di pagamento materiali (articolo 4) e immateriali (articolo 5) diversi dai contanti;
3) l'atto di effettuare o indurre un trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale, arrecando illecitamente a terzi una perdita patrimoniale allo scopo di procurare un ingiusto profitto, ostacolando il funzionamento di un sistema di informazione (o interferendo con esso) o introducendo, alterando, cancellando, trasmettendo o sopprimendo dati informatici (articolo 6).
Analogamente, spetta agli Stati membri adottare le misure necessarie perché siano punibili come reato:
1) la fabbricazione e l'ottenimento, per sé o per altri, di dati informatici o di altri mezzi progettati o adattati per commettere uno dei reati sopra elencati. La punibilità è subordinata all'intenzione di utilizzare tali mezzi (articolo 7);
2) l'istigazione, il favoreggiamento e il concorso (articolo 8, par. 1). Per alcune delle fattispecie sopra elencate è punibile anche il tentativo (articolo 8, par. 2).
L'articolo 9 è dedicato alle sanzioni per le persone fisiche, che devono essere "effettive, proporzionate e dissuasive". I paragrafi da 2 a 5 individuano la pena detentiva massima, compresa tra non meno di uno e tre anni, applicabile ad ognuna delle fattispecie. A parte è considerato il caso di reati commessi nell'ambito di una organizzazione criminale (par. 6).
Le persone giuridiche possono essere ritenute responsabili dei reati commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona che agisca a titolo individuale o in quanto membro di un organismo della persona giuridica e che vi occupi una posizione preminente (articolo 10, par. 1). Le sanzioni contro le persone giuridiche "comprendono sanzioni pecuniarie penali o non penali"; possono comprendere, tra l'altro, l'interdizione temporanea o permanente ad esercitare un'attività commerciale, l'assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, lo scioglimento e la chiusura, temporanea o permanente, dei locali usati per commettere il reato (articolo 11).
In termini di giurisdizione, la competenza degli Stati membri è stabilita in virtù di un criterio territoriale (reato commesso, anche solo parzialmente, nel territorio di uno Stato membro) e di cittadinanza (reato commesso da un cittadino) (articolo 12, par. 1). Uno Stato membro può, informando la Commissione europea, estendere la propria giurisdizione a reati commessi al di fuori del proprio territorio qualora l'autore del reato vi risieda abitualmente, il reato sia commesso a favore di una persona giuridica che ha sede nel suo territorio o il reato sia stato commesso contro uno dei suoi cittadini o contro una persona che risiede abitualmente nel suo territorio (articolo 12, par. 3).
Ai sensi dell'articolo 13 gli Stati membri sono tenuti a dotare gli incaricati delle indagini o dell'azione penale di "strumenti di indagine efficaci e proporzionati al reato commesso, quali quelli utilizzati per contrastare la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità".
Il Titolo IV è dedicato allo scambio di informazioni e comunicazione dei reati e stabilisce la predisposizione di un contatto operativo nazionale disponibile ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, attrezzato per trattare tempestivamente richieste urgenti di assistenza e che risponda entro otto ore dalla richiesta (articolo 14). E' possibile avvalersi delle reti esistenti di punti di contatto operativi.
Devono essere predisposti canali adeguati per agevolare le comunicazioni sui reati alle autorità di contrasto e misure necessarie per incoraggiare le istituzioni finanziarie a comunicare "senza indebito ritardo" i sospetti di frode (articolo 15).
L'assistenza ed il sostegno alle vittime sono regolati dall'articolo 16, ai sensi del quale gli Stati membri si adoperano per fornire:
1) a chi abbia subito un danno informazioni, consigli ed un elenco delle istituzioni di sostegno (par. 1);
2) alle persone giuridiche vittime di reati, "senza indebito ritardo dopo il primo contatto con un'autorità competente", informazioni dettagliate sulle procedure ed il diritto ad informazioni (par. 3).
Agli Stati membri è altresì rivolto l'incoraggiamento all'istituzione di strumenti nazionali unici di informazione online per facilitare persone fisiche e giuridiche che abbiano subito un danno (par. 2).
Azioni adeguate di prevenzione, anche attraverso Internet, sono portate avanti dagli Stati membri, anche in cooperazione con i portatori di interessi (articolo 17).
L'articolo 18 regola:
1) il programma di monitoraggio di esiti, risultati ed effetti della direttiva in oggetto, che la Commissione europea dovrà istituire al più tardi entro il 31 agosto 2019;
2) il sistema di registrazione, produzione e fornitura di dati statistici in forma anonima, da predisporre a cura degli Stati membri.
Il termine per il recepimento è stabilito al 31 maggio 2021 (articolo 20).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2017) 489 del 13 settembre 2017. Il 21 novembre 2017 la II Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei deputati ha adottato una risoluzione favorevole con osservazioni.
Direttiva (UE) 2019/770
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali
La direttiva (UE) 2019/770, partendo dal presupposto che il potenziale di crescita del commercio elettronico non sia stato ancora sfruttato pienamente, armonizza alcuni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto o servizi digitali, garantendo un elevato livello di protezione dei consumatori. La finalità perseguita è quella di instaurare un mercato unico digitale, accrescere la certezza giuridica e ridurre i costi di transazione, in particolare per le piccole e medie imprese.
Per espressa disposizione dell'articolo 3, la direttiva si applica a qualsiasi contratto in cui l'operatore economico fornisce, o si impegna a fornire, un contenuto o servizio digitale al consumatore e quest'ultimo corrisponde - o si impegna a corrispondere - un prezzo o dati personali. Esplicite eccezioni sono elencate al par. 5.
Vengono stabilite norme comuni relative a:
1) la conformità al contratto del contenuto[40] o servizio digitale[41]. Si stabilisce che l'operatore economico è tenuto a fornire al consumatore il contenuto o servizio digitale "senza indebito ritardo dopo la conclusione del contratto"; l'adempimento ha luogo quando il contenuto - o qualunque mezzo idoneo ad accedervi o a scaricarlo - è reso disponibile al consumatore o quando il servizio gli è altrimenti reso accessibile (articolo 5).
Gli articoli 7 e 8 contengono rispettivamente l'elenco dei requisiti soggettivi ed oggettivi di conformità, ovvero degli elementi che rendono il contenuto o servizio digitale conforme al contratto.
L'articolo 9 specifica che l'eventuale difetto di conformità consistente in un'errata integrazione[42] del contenuto o servizio digitale rileva solo se il contenuto o servizio è stato integrato dall'operatore economico o sotto la propria responsabilità ovvero in caso di carenza delle istruzioni fornite a tal fine. In termini di responsabilità, l'operatore economico risponde per la mancata fornitura nei termini previsti dall'articolo 11 e, ai sensi dell'articolo 12, è gravato dall'onere della prova riguardo al fatto se il contenuto o servizio sia stato fornito in conformità con il testo in esame;
2) i rimedi per difetto di conformità al contratto o di mancata fornitura.
In caso di mancata fornitura è riconosciuto al consumatore il diritto di recedere dal contratto se, a seguito di invito del consumatore ad adempiere, l'operatore economico non provveda "senza indebito ritardo oppure entro un ulteriore termine espressamente concordato dalle parti". Il recesso immediato è previsto nel caso in cui l'operatore dichiari che non procederà all'adempimento o quando le parti convengano - oppure risulti evidente dalle circostanze - che un tempo specifico per la fornitura sia essenziale per il consumatore (articolo 13).
In caso di fornitura che presenti difetti di conformità, ai consumatori vengono riconosciuti i seguenti diritti:
- ripristino della conformità del contenuto o servizio digitale, a meno che ciò sia impossibile o imponga all'operatore economico costi sproporzionati (articolo 14, par. 2-3);
- riduzione del prezzo proporzionale alla diminuzione del valore del contenuto o servizio fornito rispetto al valore che avrebbe avuto in caso di conformità (articolo 14, par. 4-5);
- recesso dal contratto solo se il contenuto o servizio sia stato fornito a pagamento e se il difetto di conformità non è di lieve entità (articolo 14, par. 6);
- risoluzione del contratto, previa dichiarazione in tal senso (articolo 15). L'articolo 16 enumera gli obblighi dell'operatore economico in caso di risoluzione, primo tra tutti quello di rimborsare al consumatore "tutti gli importi versati in esecuzione del contratto". Gli obblighi del consumatore sono invece elencati nell'articolo 17.
E' espressamente stabilito che il consumatore possa esercitare i sopra elencati rimedi per difetto di conformità anche nel caso in cui l'uso del contenuto o servizio digitale sia impedito o limitato in conseguenza della violazione dei diritti di terzi, con particolare riferimento ai diritti di proprietà intellettuale (articolo 10).
Nei casi in cui un rimborso sia dovuto al consumatore da parte dell'operatore economico, questi procede entro 14 giorni, utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dal consumatore e senza l'imposizione di commissioni (articolo 18);
3) la modifica del contenuto o servizio digitale da parte degli operatori economici (articolo 19). Nei contratti destinati ad essere applicati per un certo periodo di tempo, la modifica è consentita:
- per mantenere la conformità del contenuto o servizio;
- se consentito dal contratto, con una motivazione valida;
- purché non vi siano costi aggiuntivi per il consumatore e questi sia informato con un anticipo ragionevole, in modo chiaro e comprensibile.
Resta salvo il diritto, da parte del consumatore, di recedere dal contratto qualora la modifica incida negativamente sull'utilizzo del contenuto o servizio digitale o sull'accesso ad esso, a meno che tali conseguenze siano trascurabili (articolo 19, par. 2).
Una tutela è altresì prevista per l'operatore economico nel caso in cui la sua inadempienza risulti "da un atto o da un'omissione di una persona nell'ambito dei passaggi precedenti della catena di operazioni commerciali". In questo caso egli può agire in giudizio nei confronti di tale persona, l'individuazione della quale è demandata al diritto nazionale (articolo 20).
Agli Stati membri incombe l'obbligo di garantire che esistano "mezzi adeguati ed efficaci" per assicurare l'osservanza della direttiva in titolo. Tra tali mezzi, l'articolo 21 cita la possibilità di adire organi giurisdizionali da parte di enti pubblici, organizzazioni di consumatori, associazioni di categoria o enti senza scopo di lucro attivi nel settore della tutela dei diritti.
In termini di imperatività delle proprie norme, il documento in esame stabilisce che:
1) agli Stati membri sia precluso mantenere o adottare nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dal documento in esame (articolo 4);
2) non siano vincolanti eventuali clausole contrattuali che, a danno del consumatore, escludano l'applicazione delle misure nazionali di recepimento (articolo 22).
Il termine per il recepimento è fissato al 1° luglio 2021, così da applicare le relative disposizioni a decorrere dal 1° gennaio 2022 (articolo 24).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2015) 634.
Il 17 febbraio 2016 la 10a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 107 della XVII Legislatura) con i seguenti rilievi:
1) l'invito ad assicurare la coerenza della proposta in esame con la direttiva 2011/83/UE, sia per quanto concerne la definizione di "contenuto digitale" sia per il carattere imperativo delle norme a tutela del consumatore;
2) l'invito a chiarire se il diritto al risarcimento del danno di cui all'art. 14 sia limitato al "danno emergente", ovvero alla perdita subita dal consumatore, oppure comprenda anche il "lucro cessante", ovvero il mancato guadagno.
La Commissione europea ha risposto in data 7 giugno 2016.
Il 18 maggio 2016 le Commissioni riunite IX e X della Camera dei deputati hanno approvato una risoluzione positiva con una condizione ed osservazioni (Doc XVIII, n. 39 della XVII Legislatura).
La Commissione europea ha risposto in data 16 agosto 2016.
Direttiva (UE) 2019/771
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE
La direttiva (UE) 2019/771 parte dal presupposto che, al fine di restare competitiva sui mercati mondiali, l'Unione europea deve migliorare il funzionamento del mercato interno per rispondere alle molteplici sfide poste da un'economia sempre più guidata dalla tecnologia. In quest'ottica, vengono armonizzati alcuni aspetti dei contratti di vendita dei beni, garantendo un elevato livello di protezione dei consumatori. La finalità perseguita è quella di instaurare un autentico mercato unico digitale, accrescere la certezza giuridica e ridurre i costi di transazione, in particolare per le piccole e medie imprese.
Per espressa disposizione dell'articolo 3, la direttiva si applica a qualsiasi contratto di vendita tra un consumatore e un venditore, ivi compresi quelli per la fornitura di beni ancora da fabbricare o produrre. I par. 3 e 4 elencano alcune eccezioni, tra cui i contratti di fornitura di un contenuto o servizio digitale, già disciplinati dalla direttiva (UE) 2019/770, il cui contenuto è altresì sintetizzato nel presente Dossier.
Il testo in esame stabilisce norme comuni relative a:
1) conformità dei beni al contratto. Gli articoli 6 e 7 contengono rispettivamente l'elenco dei requisiti soggettivi ed oggettivi di conformità, ovvero degli elementi che rendono il bene conforme al contratto. Se l'installazione fa parte del contratto di vendita ed è stata eseguita dal venditore o sotto la sua responsabilità, l'eventuale difetto di conformità che discende dall'errata installazione è considerato difetto di conformità del bene. Analoga conseguenza deriva in caso di carenze nelle apposite istruzioni fornite dal venditore (articolo 8);
2) rimedi in caso di difetto di conformità. L'articolo 10 disciplina la responsabilità del venditore, che vige per "qualsiasi difetto di conformità sussistente al momento della consegna del bene e che si manifesta entro due anni da tale momento" (par. 1)[43]. Gli Stati membri possono introdurre o mantenere in vigore anche termini più lunghi (par. 3). Ai sensi dell'articolo 12 il godimento dei diritti del consumatore può essere subordinato alla notifica del difetto di conformità al venditore entro un periodo di almeno due mesi dalla data in cui il difetto è stato riscontrato.
Si presume che qualsiasi difetto che si manifesta entro un anno dal momento in cui il bene è stato consegnato fosse esistente al momento della consegna, salvo prova contraria o che la presunzione sia incompatibile con la natura del bene o del difetto (articolo 11).
In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto, alternativamente, a (articolo 13):
- ripristino della conformità del bene, scegliendo tra riparazione e sostituzione. Queste devono avere luogo gratuitamente, entro un periodo di tempo ragionevole e senza inconvenienti per il consumatore (articolo 14). Il rimedio prescelto non deve essere impossibile o imporre al venditore costi sproporzionati rispetto al metodo alternativo (articolo 13, par. 2);
- riduzione del prezzo proporzionale alla diminuzione del valore del bene ricevuto dal consumatore rispetto a quello del bene conforme (articolo 15), nelle specifiche circostanze elencate al par. 4 dell'articolo 13;
- risoluzione del contratto, a meno che il difetto sia solo di lieve entità (articolo 13, par. 5). Il relativo diritto è subordinato ad una dichiarazione del consumatore e comporta - secondo modalità che gli Stati membri stabiliscono autonomamente - la restituzione del bene a spese del venditore ed il rimborso del prezzo pagato (articolo 16).
Ai sensi del par. 6 dell'articolo 13 il consumatore ha diritto di rifiutare il pagamento di qualsiasi parte del prezzo finché il venditore non abbia adempiuto agli obblighi che gli incombono in virtù del testo in esame.
E' espressamente stabilito che il consumatore possa esercitare i sopra elencati rimedi per difetto di conformità anche nel caso in cui l'uso del bene sia impedito o limitato in conseguenza della violazione dei diritti di un terzo, con particolare riferimento ai diritti di proprietà intellettuale (articolo 9).
3) garanzie commerciali. La dichiarazione di garanzia commerciale è fornita al consumatore su supporto durevole al più tardi al momento della consegna dei beni; è redatta in un linguaggio semplice e comprensibile. Gli elementi che deve comprendere sono elencati nel par. 2 dell'articolo 17. Quando un produttore offre al consumatore una garanzia commerciale concernente la durata di determinati beni, diviene direttamente responsabile per la riparazione o sostituzione del bene medesimo durante l'intero periodo della garanzia. In caso di differenza tra la garanzia commerciale e quella offerta in pubblicità, il venditore è vincolato dalle condizioni stabilite in pubblicità se più vantaggiose (par. 1).
Una tutela è altresì prevista per il venditore nel caso in cui la sua inadempienza risulti "da un'azione o da un'omissione (...) di una persona nell'ambito dei passaggi precedenti della catena di transazioni commerciali". In questo caso egli può agire in giudizio nei confronti di tale persona, l'individuazione della quale è demandata al diritto nazionale (articolo 18).
Agli Stati membri incombe l'obbligo di garantire che:
- esistano "mezzi adeguati ed efficaci" per assicurare l'osservanza della direttiva in titolo (articolo 19). Tra questi la possibilità di adire organi giurisdizionali da parte di enti pubblici, organizzazioni di consumatori e associazioni di categoria;
- i consumatori dispongano di informazioni sui propri diritti (articolo 20).
In termini di imperatività delle proprie norme, il documento in esame stabilisce che:
1) agli Stati membri sia precluso mantenere o adottare nel diritto nazionale disposizioni divergenti, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso (articolo 4). Il par. 6 dell'articolo 3 consente invece agli Stati membri di disciplinare gli aspetti di diritto generale dei contratti (ad esempio le norme sulla formazione, la validità, la nullità o l'efficacia) nella misura in cui essi non siano disciplinati dal testo in esame;
2) non siano vincolanti eventuali accordi contrattuali che, a danno del consumatore, escludano l'applicazione delle misure nazionali di recepimento, vi deroghino o ne modifichino gli effetti prima che il difetto di conformità del bene sia portato all'attenzione del venditore (articolo 21).
Il termine per il recepimento è fissato al 1° luglio 2021, così da applicare le relative disposizioni a decorrere dal 1° gennaio 2022 (articolo 24).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2015) 635.
Il 17 febbraio 2016 la 10a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 108 della 17a Legislatura) con rilievi riguardo l'opportunità di:
3) valutare un intervento normativo dell'Unione volto all'adozione di misure di armonizzazione dei diritti dei consumatori anche in materia di vendite dirette;
4) uniformare l'art. 1, che menziona come oggetto della direttiva i contratti di vendita a distanza conclusi tra venditori e consumatori, con il titolo, che menziona invece i contratti di vendita on-line e altri tipi di vendita a distanza dei beni;
5) prevedere un termine massimo per il rimborso di parte del corrispettivo in caso di riduzione del prezzo (art. 12);
6) con riferimento al termine biennale di prescrizione (art. 14), effettuare un richiamo espresso all'art. 8, che definisce i casi di "momento rilevante per la conformità".
La Commissione europea ha risposto in data 7 giugno 2015.
Il 18 maggio 2016 e Commissioni riunite IX e X della Camera dei deputati hanno approvato una risoluzione positiva con osservazioni (Doc XVIII, n. 40 della XVII Legislatura).
La Commissione europea ha risposto in data 16 agosto 2016.
Direttiva (UE) 2019/789
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che stabilisce norme relative all'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici e che modifica la direttiva 93/83/CEE del Consiglio
Il provvedimento in oggetto mira a fornire una più ampia diffusione negli Stati membri di programmi televisivi e radiofonici che hanno origine in Stati membri diversi. In considerazione della loro natura di strumenti importanti di promozione della diversità culturale e linguistica e della coesione sociale, si desidera così facilitare la concessione di licenze di diritto d'autore e di diritti connessi.
L'intervento legislativo - specifica il par. 2 della Premessa - si è reso necessario a seguito della trasformazione nella distribuzione e nell'accesso ai programmi televisivi e radiofonici dovuta allo sviluppo delle tecnologie digitali e di Internet. Sempre più spesso, infatti, le trasmissioni vengono offerte anche tramite servizi on-line accessori[44]: contemporaneamente alla trasmissione iniziale, restano a disposizione degli utenti in una versione inalterata e integrale utilizzando varie tecniche di ritrasmissione[45], tra cui il cavo, il satellite, il digitale terrestre ma anche l'Internet aperta. Nel contempo, cresce la domanda di accesso a trasmissioni televisive e programmi radiofonici provenienti da un diverso Stato membro, ad opera ad esempio di minoranze linguistiche o di chi vive in uno Stato membro diverso dal proprio.
In questo contesto, l'articolo 3 stabilisce il principio del "paese d'origine", in virtù del quale i servizi online accessori sono, ai fini dell'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi, considerati come aventi luogo esclusivamente nello Stato membro in cui si trova la sede principale dell'organismo di diffusione radiotelevisiva che fornisce il servizio. Il principio si applica alle azioni di comunicazione e messa a disposizione del pubblico di programmi radiofonici e programmi televisivi "in maniera tale che ciascuno possa accedere ad esse dal luogo e nel momento da esso scelti" (par. 1). Le trasmissioni di eventi sportivi sono esplicitamente escluse (par. 1, comma 2).
Spetta agli Stati membri fare in modo che, nel fissare l'importo del pagamento dei diritti, le parti contraenti tengano conto "di tutti gli aspetti del servizio online accessorio" (par. 2). Tra queste rilevano la durata della disponibilità online, il pubblico e le versioni linguistiche fornite.
In tema di ritrasmissione (Capo III, articoli 4-7), i titolari del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico autorizzano gli atti di ritrasmissione attraverso un organismo di gestione collettiva (articolo 4), il cui operato è regolato dall'articolo 5. Norme dettagliate disciplinano l'individuazione dell'organismo competente in caso di mancato trasferimento del diritto ad opera del titolare (articolo 4, par. 2 e 3).
In caso di mancato accordo (articolo 6), gli Stati membri provvedono affinché sia possibile far ricorso all'assistenza di uno o più mediatori.
Per espressa indicazione dell'articolo 7, gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere che le disposizioni in esame siano estese anche alle situazioni in cui sia la trasmissione iniziale che la ritrasmissione abbiano luogo nel loro territorio.
Il Capo IV (articolo 8) è dedicato alla trasmissione di programmi attraverso immissione diretta, in cui l'organismo di diffusione trasmette i programmi non direttamente al pubblico ma ad un distributore di segnali, il quale poi trasmette al pubblico. In questo caso si considera che organismo e distributore partecipino ad un unico atto di comunicazione al pubblico, rispetto al quale ottengono l'autorizzazione da parte del titolare dei diritti secondo le modalità stabilite dagli Stati membri.
Un riesame della direttiva è previsto ad opera della Commissione europea entro il 7 giugno 2025, presentando le principali conclusioni al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale in una relazione, da pubblicare anche sul sito web della Commissione.
Disposizioni transitorie sono stabilite dall'articolo 11 per eventuali accordi già conclusi, ed autorizzazioni già ottenute, che siano in vigore al 7 giugno 2021, ovvero il termine posto dall'articolo 12 per il recepimento.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2016) 594 del 14 settembre 2016.
Direttiva (UE) 2019/790
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE
La direttiva (UE) 2019/790 ha la finalità di modernizzare il quadro giuridico dell'Unione in materia di diritto d'autore, adattandolo all'ambiente digitale contemporaneo e salvaguardando al tempo stesso un elevato livello di protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi. Si è infatti considerato necessario adeguare la legislazione UE alle sempre nuove modalità di creazione, produzione, distribuzione e sfruttamento delle opere.
In particolare gli Stati membri vengono incaricati di introdurre eccezioni alla vigente normativa sul copyright per consentire (Titolo II, articoli 3-7):
1) a organismi di ricerca ed istituti di tutela del patrimonio culturale di estrarre, a scopo di ricerca scientifica, testo e dati da opere o altri materiali a cui hanno lecitamente accesso (articolo 3);
2) le riproduzioni e le estrazioni effettuate da opere o altri materiali a cui si abbia legalmente accesso ai fini dell'estrazione di testo o dati (articolo 4);
3) l'utilizzo digitale di opere ed altri materiali, esclusivamente per finalità illustrativa ad uso didattico, sotto la responsabilità di un istituto di istruzione e con indicazione della fonte (articolo 5);
4) agli istituti di tutela del patrimonio culturale di realizzare copie di qualunque opera o altri materiali presenti in maniera permanente nelle loro raccolte ai fini di conservazione dell'opera medesima (articolo 6).
Al fine di migliorare le procedure di concessione delle licenze e garantire un più ampio accesso ai contenuti (Titolo III, articolo 8-14), gli Stati membri dovranno facilitare:
1) la riproduzione, distribuzione, comunicazione o messa a disposizione del pubblico di opere fuori commercio presenti in modo permanente nella raccolta di istituti di tutela del patrimonio culturale. La licenza concessa a tal fine deve consentire l'utilizzo dei materiali in qualsiasi Stato membro (articoli 8-11);
2) la concessione di licenze collettive con effetto esteso (articolo 12), in virtù delle quali gli Stati membri possono disporre che qualora un organismo di gestione collettiva[46] stipula un accordo di concessione di licenza per lo sfruttamento di un'opera, questo può essere esteso ai diritti dei titolari che non lo hanno autorizzato a rappresentarli. Le specifiche circostanze in cui questo meccanismo può essere operativo sono specificate nei paragrafi 2 e seguenti dell'articolo 12;
3) la possibilità, in caso di difficoltà nella conclusione di una licenza sui diritti per mettere a disposizione opere audiovisive su servizi di video su richiesta, di ricorrere a un organismo imparziale o di mediatori. Questi "prestano assistenza alle parti nei negoziati e le sostengono nella conclusione degli accordi", anche presentando proposte (articolo 13);
4) la circolazione delle opere delle arti visive di dominio pubblico, prevedendo che, alla scadenza della durata di protezione di una tale opera, il relativo materiale non sia soggetto a diritto d'autore, "a meno che (...) sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell'autore" (articolo 14).
Gli Stati membri dovranno inoltre adoperarsi per l'introduzione delle seguenti misure per garantire il buon finanziamento del mercato per il diritto d'autore (Titolo IV, articoli 15-23):
1) il riconoscimento dei diritti d'autore agli editori stabiliti in uno Stato membro per l'utilizzo on-line delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell'informazione, eccezion fatta per gli utilizzi privati e non commerciali, i collegamenti ipertestuali e l'utilizzo di estratti molto brevi (articoli 15-16);
2) l'obbligo, per i prestatori di servizi di condivisione di contenuti on-line, di ottenere un'autorizzazione quando concedono l'accesso al pubblico a opere protette dal diritto d'autore (articolo 17), senza che ciò costituisca un obbligo generale di sorveglianza (articolo 17, par. 8);
3) la garanzia, per gli utenti, di poter caricare e mettere a disposizione sui servizi di condivisione on-line contenuti con finalità di citazione, critica, rassegna, caricatura, parodia o pastiche (articolo 17, par. 7, comma 2);
4) la garanzia, per gli autori e gli artisti che concedono in licenza o trasferiscono i loro diritti per lo sfruttamento di opere o materiali, di:
- ricevere una remunerazione "adeguata e proporzionata" (articolo 18), con un meccanismo di adeguamento descritto all'articolo 20;
- ricevere, "regolarmente e almeno una volta l'anno", informazioni "aggiornate, pertinenti e complete" sullo sfruttamento delle loro opere ed esecuzioni (articolo 19);
- poter ricorrere ad una procedura alternativa volontaria di risoluzione delle controversie nei casi illustrati nell'articolo 21;
- revocare, in toto o in parte, la licenza o il trasferimento dei diritti in caso di mancato sfruttamento, con una procedura da individuare al livello nazionale sulla base dei criteri elencati nell'articolo 22.
Di eventuali disposizioni contrattuali in contrasto con quanto disposto dagli articoli 19, 20, 21 deve essere assicurata l'inapplicabilità (articolo 23).
Il termine per il recepimento è stabilito al 7 giugno 2021 (articolo 29), data a partire dalla quale il documento in esame si applicherà "a tutte le opere e altri materiali protetti dal diritto nazionale" (articolo 26). Dal 7 giugno 2022, invece, sarà obbligatoriamente applicato l'obbligo di trasparenza a beneficio degli artisti di cui all'articolo 19.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2016) 593.
Direttiva (UE) 2019/878
del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2013/36/UE per quanto riguarda le entità esentate, le società di partecipazione finanziaria, le società di partecipazione finanziaria mista, la remunerazione, le misure e i poteri di vigilanza e le misure di conservazione del capitale
La direttiva (UE) 2019/878 fa parte di un pacchetto di proposte volte a modificare il quadro normativo dell'Unione bancaria recato dalla direttiva 2014/59/UE (direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche o BRRD), dal regolamento (UE) n. 806/2014 (regolamento sul meccanismo di risoluzione unico o SRMR), dalla direttiva 2013/36/UE (direttiva sui requisiti patrimoniali o CRD) e dal regolamento (UE) n. 575/2013 (regolamento sui requisiti patrimoniali o CRR).
Dette misure sono state adottate in risposta alla crisi finanziaria scoppiata nel 2007-2008, per fornire un quadro armonizzato sia alle norme prudenziali volte a prevenire nuovi casi di crisi sistemiche nel settore bancario (CRD e CRR), sia alle procedure di risoluzione delle crisi degli operatori del medesimo settore (BRRD). Strumenti fondamentali del nuovo quadro sono:
· i requisiti volti a limitare l'assunzione di specifici rischi e ad assicurare che le banche detengano sufficiente capitale e altri strumenti in grado di coprire perdite inattese e shock economici;
· la definizione di procedure per la risoluzione delle crisi bancarie, basate prevalentemente su opzioni di salvataggio interno ("bail-in"), che si sostanziano nella svalutazione del debito o nella conversione di passività in capitale, in base a una gerarchia predefinita. Queste opzioni possono essere utilizzate per assorbire le perdite di un ente in dissesto o a rischio di dissesto, in modo che la risoluzione di una crisi bancaria gravi sugli azionisti e sugli altri creditori anziché sui contribuenti.
Il pacchetto di modifiche alla CRD e al CRR mira a completare il programma di riforma attuando alcuni elementi definiti dagli organismi di normazione internazionale (Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria e Consiglio per la stabilità finanziaria) successivamente all'adozione della CRD. Si tratta, in particolare, dei seguenti requisiti:
· un coefficiente di leva finanziaria vincolante;
· un coefficiente netto di finanziamento stabile (Net Stable Funding Ratio - NSFR) vincolante, basato su profili di finanziamento migliorati degli enti, che stabilisca una norma armonizzata sull'entità delle fonti di finanziamento stabili e a lungo termine di cui un ente ha bisogno per far fronte ai periodi di stress di mercato e difficoltà di finanziamento;
· requisiti di fondi propri (cioè patrimoniali) più sensibili al rischio per gli enti che negoziano in larga misura titoli e derivati, al fine di evitare divergenze troppo pronunciate tra i requisiti non basati sui profili di rischio degli enti;
· nuove norme sulla capacità totale di assorbimento delle perdite (TLAC) degli enti a rilevanza sistemica a livello globale (G-SII).
Oltre a presentare modifiche basate sugli sviluppi della normazione internazionale, la direttiva mira a realizzare un quadro legislativo più proporzionato, tenendo conto in particolare della situazione degli enti più piccoli e meno complessi, con riferimento agli obblighi relativi all'informativa, alla segnalazione e ai portafogli di negoziazione complessi. Inoltre, è stato previsto un requisito di fondi propri ridotto per quanto attiene al rischio legato ai prestiti alle PMI e al finanziamento di progetti infrastrutturali. Inoltre, la direttiva mira a raggiungere una maggiore armonizzazione delle regole a livello europeo, eliminando alcune opzioni e una parte della discrezionalità per quanto concerne le disposizioni sul coefficiente di leva finanziaria, sulle grandi esposizioni e sui fondi propri.
Con riferimento al coefficiente di leva finanziaria, la riforma introduce un requisito minimo pari al 3% del capitale di livello 1 (cosiddetto "Tier 1" composto dal capitale azionario e dalle riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte). A tale requisito viene sommato un ulteriore "buffer" (cuscinetto) solo per gli enti a rilevanza sistemica globale (global systemically important institutions - G-SIIs). In caso di mancato rispetto del limite del coefficiente di leva finanziaria vengono introdotti limiti alla distribuzione degli utili (nuovo articolo 141-bis della CRD), in analogia a quanto già previsto per i coefficienti di capitale.
Con riferimento al coefficiente netto di finanziamento stabile (NSFR), viene introdotto il livello minimo a garanzia della capacità dell’ente di disporre di finanziamenti stabili sufficienti a soddisfare le sue esigenze di finanziamento su un orizzonte temporale di un anno sia in condizioni normali che in condizioni di stress. In particolare, il coefficiente minimo prevede un rapporto pari a 1 fra ammontare della provvista stabile disponibile e l'ammontare obbligatorio di provvista stabile. La “provvista stabile disponibile” è definita come porzione di patrimonio e passività che si ritiene risulti affidabile nell’arco temporale considerato ai fini dell’NSFR, ossia un anno. L’ammontare di provvista stabile richiesto a una istituzione specifica dipende dalle caratteristiche di liquidità e dalla vita residua delle varie attività detenute dall’istituzione, nonché delle sue esposizioni fuori bilancio.
Con riferimento ai fondi propri, la nuova riforma esclude dagli asset intangibili dedotti da tali fondi specifici investimenti in software che, a seguito di una valutazione economica accurata, verranno ritenuti non passibili di un deterioramento economico in caso di risoluzione, insolvenza o liquidazione. La norma mira ad incentivare gli investimenti finalizzati alla trasformazione digitale del settore bancario.
Con riferimento all'armonizzazione della disciplina contenuta nella CDR rispetto alla capacità totale di assorbimento delle perdite (TLAC) definita in sede internazionale, è prevista l’introduzione, solo per i G-SIIs, di un livello specifico del requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL) pari al 18 per cento dell’importo complessivo dell’esposizione al rischio e al 6,75 in percentuale all’esposizione rilevante ai fini del calcolo del coefficiente di leva finanziaria. Il nuovo requisito è finalizzato a garantire un ammontare sufficiente di passività con un’elevata capacità di assorbimento delle perdite (sottoponibili a bail-in), al fine di garantire in caso di risoluzione, adeguati e rapidi meccanismi di assorbimento delle perdite e ricapitalizzazione.
Con riferimento al rischio di credito, la riforma introduce un regime regolamentare più favorevole, alle seguenti tipologie di esposizioni:
· prestiti alle piccole e medie imprese (PMI): per tale categoria è prevista l’estensione dello sconto rappresentato dal fattore di supporto (supporting factor pari al 23,81 per cento dell’importo ponderato per il rischio) alle esposizioni fino a 2,5 milioni di euro (in precedenza 1,5 milioni); in più, per la parte eccedente i 2,5 milioni di euro, viene introdotto un beneficio del 15 per cento dei requisiti patrimoniali;
· credito finalizzato alla realizzazione di infrastrutture che la banca classifica nei portafogli regolamentari “corporate” o “specialized lending”: per tali categorie, rispettate specifiche condizioni di profilo di rischio e struttura dei flussi di cassa attesi, è prevista una riduzione del 25 per cento degli assorbimenti patrimoniali.
Sempre con riferimento alle novità in termini di rischio di credito, per le Banche che utilizzano modelli interni di valutazione, la nuova normativa introduce la possibilità di correggere il parametro di previsione delle perdite in caso di fallimento del debitore (loss given default - LGD) in caso di cessioni massive di crediti deteriorati effettuate tra il 23 novembre 2016 e il 28 giugno 2022.
Con riferimento ai prestiti garantiti dalla cessione di una quota dello stipendio o della pensione, è prevista una riduzione del coefficiente di ponderazione regolamentare dal 75 per cento al 35 per cento nel caso in cui la rata del finanziamento non superi il 20 per cento dello stipendio o della pensione e la sua durata sia uguale o inferiore a 10 anni.
Fra le misure chiave dell'intervento è possibile identificare altresì:
· requisiti organizzativi volti a garantire che le società capogruppo possano essere direttamente responsabili e assicurare la conformità normativa ai requisiti prudenziali consolidati;
· l'obbligo di applicare un principio di parità retributiva fra uomini e donne che svolgono compiti identici o equivalenti;
· maggiori poteri di intervento precauzionale da parte delle autorità competenti;
· l'integrazione sistematica dei sistemi di vigilanza su antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo nel quadro dell'Unione bancaria.
L'intervento è connesso le modifiche recate dalla direttiva (UE) 2019/879, alla cui sintesi si fa rinvio.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2016) 854.
Il 13 dicembre 2017 la 6a Commissione del Senato della Repubblica ha adottato su tale proposta una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 227 della XVII Legislatura) con le seguenti osservazioni circa l'opportunità di:
1) evitare che si giunga alla definizione di un ammontare del requisito MREL estremamente elevato: esso deve essere commisurato alle esigenze dell'effettiva ricapitalizzazione a seguito della risoluzione e alle dimensioni e al profilo di rischio della banca derivante dalla procedura di risoluzione stessa;
2) prevedere uno specifico trattamento prudenziale di favore per le operazioni di credito garantite da cessione dello stipendio e della pensione, che presentano livelli di rischiosità inferiori a quello delle altre forme di credito al consumo;
3) introdurre un fattore di riduzione della ponderazione per gli investimenti delle banche nel capitale di rischio di imprese in fase di avvio (start up) e di crescita dimensionale;
4) incrementare i requisiti di capitale richiesti alle banche sugli asset liquidi di secondo e terzo livello (derivati) prevedendo altresì criteri più stringenti ed oggettivi per la valutazione del loro valore;
5) adottare una misura transitoria che consenta un periodo di adeguamento sufficientemente lungo per consentire alle banche europee di costruire progressivamente la propria dotazione di strumenti computabili nel TLAC e nel MREL, in modo da evitare che il soddisfacimento dei requisiti possa avere effetti di riduzione della capacità di erogare credito;
La Commissione ha inoltre espresso osservazioni sulla futura, completa revisione della direttiva in materia di crisi bancarie e requisiti patrimoniali degli enti creditizi e sul completamento dell'Unione bancaria, con particolare riferimento alla formazione di crediti deteriorati che impongono accantonamenti e bloccano l'erogazione del credito. Alla luce dell'implementazione dell'IFRS 9, la Commissione ha sostenuto la necessità di creare un organismo pubblico di gestione delle attività deteriorate almeno a livello nazionale.
La Commissione europea ha risposto in data 3 agosto 2018.
Direttiva (UE) 2019/879
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, che modifica la direttiva 2014/59/UE per quanto riguarda la capacità di assorbimento di perdite e ricapitalizzazione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e la direttiva 98/26/CE
La direttiva (UE) 2019/879 fa parte di un pacchetto di proposte volte a modificare il quadro normativo dell'Unione bancaria recato dalla direttiva 2014/59/UE (direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche o BRRD), dal regolamento (UE) n. 806/2014 (regolamento sul meccanismo di risoluzione unico o SRMR), dalla direttiva 2013/36/UE (direttiva sui requisiti patrimoniali o CRD) e dal regolamento (UE) n. 575/2013 (regolamento sui requisiti patrimoniali o CRR).
Dette misure sono state adottate in risposta alla crisi finanziaria scoppiata nel 2007-2008, per fornire un quadro armonizzato sia alle norme prudenziali volte a prevenire nuovi casi di crisi sistemiche nel settore bancario (CRD e CRR), sia alle procedure di risoluzione delle crisi degli operatori del medesimo settore (BRRD). Strumenti fondamentali del nuovo quadro sono:
· i requisiti volti a limitare l'assunzione di specifici rischi e ad assicurare che le banche detengano sufficiente capitale e altri strumenti in grado di coprire perdite inattese e shock economici;
· la definizione di procedure per la risoluzione delle crisi bancarie, in cui assumono un ruolo chiave le opzioni di salvataggio interno ("bail-in"), che si sostanziano nella svalutazione del debito o nella conversione di passività in capitale, in base a una gerarchia predefinita. Queste opzioni possono essere utilizzate per assorbire le perdite di un ente in dissesto o a rischio di dissesto, in modo che la risoluzione di una crisi bancaria gravi sugli azionisti e sugli altri creditori anziché sui contribuenti.
Con l'entrata in vigore della BRRD e del SRMR è stato definito il quadro giuridico del Meccanismo di risoluzione unico delle banche e delle società di intermediazione mobiliare (SIM) che prestano servizi che comportano l’assunzione di rischi in proprio (Single Resolution Mechanism - SRM), complementare al Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism - SSM) con l’obiettivo di preservare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro mediante un sistema unitario delle procedure di risoluzione. È altresì prevista l’istituzione di un Fondo di risoluzione unico per il finanziamento dei programmi di risoluzione (Single Resolution Fund - SRF) alimentato dai contributi degli intermediari dei paesi dell’area dell’euro con un piano di versamenti distribuito in 8 anni.
Il sistema è formato dalle autorità nazionali di risoluzione (National Resolution Authority - NRA) e dal Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board - SRB), un’agenzia europea per l’esercizio delle funzioni di risoluzione, nel cui consiglio sono presenti anche i rappresentanti delle autorità nazionali. Il sistema di risoluzione unico ha l'obiettivo di assicurare la gestione efficace delle crisi delle banche "significative" o con operatività transfrontaliera nell’area dell’euro e delle principali SIM, superando i problemi determinati dalla frammentazione delle procedure su base nazionale. Il Comitato di risoluzione unico assume le decisioni in merito ai piani di risoluzione e all’avvio della risoluzione e individua le azioni più idonee al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla disciplina europea. Le autorità nazionali di risoluzione, oltre a partecipare alle decisioni del Comitato, sono responsabili dell’attuazione delle concrete misure di risoluzione.
Le Autorità nazionali di risoluzione rimangono altresì responsabili della gestione delle crisi degli intermediari meno significativi. Nello svolgimento di tali attività le NRA agiscono nell’ambito degli orientamenti e delle linee guida stabiliti dal Comitato di risoluzione unico che, in casi eccezionali, può esercitare poteri di sostituzione assicurando l’effettiva unitarietà del Meccanismo.
Sia il SRB sia le autorità nazionali si avvalgono degli strumenti di gestione delle crisi introdotti dalla Direttiva 2014/59/UE (Banking Recovery and Resolution Directive - BRRD).
Gli strumenti che le relative autorità possono applicare per la risoluzione di una crisi bancaria sono elencati dall'articolo 37 della BRRD: vendita dell'attività d'impresa, creazione di un ente-ponte, separazione delle attività (applicabile solo se abbinato a un altro strumento di risoluzione), salvataggio interno mediante svalutazione o conversione in capitale delle passività ammissibili.
Il quadro dell'Unione ha imposto alle autorità di risoluzione di stabilire, per ciascun ente, un requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities - MREL), che consiste in passività particolarmente adatte al bail-in, da utilizzare per assorbire le perdite e ricapitalizzare gli enti. Allo stesso tempo, a livello internazionale, il 9 novembre 2015 il Consiglio per la stabilità finanziaria (FSB) ha pubblicato la lista delle condizioni relative alla capacità totale di assorbimento delle perdite (Total-Loss Absorbing Capacity - TLAC), imponendo alle banche a rilevanza sistemica globale (global systemically important banks - G-SIBs), denominate enti a rilevanza sistemica globale (global systemically important institutions - G-SIIs) nella normativa dell'Unione, di detenere un quantitativo sufficiente di passività ad elevata capacità di assorbimento delle perdite (sottoponibili al bail-in), per assicurare che il capitale di tali soggetti si mantenga a un livello tale da consentire la risoluzione di una crisi. Il requisito di TLAC fu espressamente definito dal FSB con riferimento alle G-SIBs come argine all'opportunismo degli istituti di maggiori dimensioni, definito dalla letteratura economica "azzardo morale", per cui, se una banca è consapevole che le conseguenze negative del suo fallimento sarebbero troppo nefaste per essere accettate dall'autorità pubblica ("too-big-to-fail"), diviene ragionevole che la stessa assuma rischi eccessivi per aumentare i propri rendimenti potenziali, in vista di un salvataggio esterno ("bail-out") finanziato dal circuito della finanza pubblica.
La Commissione europea si è, di conseguenza, impegnata a riesaminare le norme sul requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL) per assicurare piena coerenza con la norma sulla capacità totale di assorbimento delle perdite (TLAC) convenuta a livello internazionale. Il principale obiettivo della direttiva (UE) 2019/878 è proprio quello di applicare la norma TLAC, integrando il relativo requisito nelle norme generali sul MREL, evitando duplicazioni conseguenti all'applicazione di due requisiti paralleli.
Sebbene perseguano lo stesso obiettivo normativo, imponendo alle banche di detenere un certo quantitativo di passività da utilizzare per il salvataggio in terno in caso di crisi, il TLAC e il MREL sono strutturati in modo diverso, in particolare con riferimento al campo di applicazione, alle modalità di determinazione quantitativa dei requisiti e alla tipologia di strumenti ammissibili.
Il campo di applicazione della norma TLAC è circoscritto ai G-SIIs, sulla base peraltro di quelli che vengono definiti "unità e gruppi" di risoluzione, mentre il MREL deve essere rispettato da ogni banca e copre l'intero settore bancario dell'Unione. Contrariamente alla norma TLAC, che contiene un livello minimo armonizzato, il livello del MREL è stabilito dalle autorità di risoluzione in base a una valutazione specifica dell'ente eseguita di volta in volta. Infine, il requisito minimo TLAC dovrebbe essere soddisfatto, in linea di massima, mediante strumenti di debito subordinati, mentre ai fini del MREL la subordinazione degli strumenti di debito potrebbe essere richiesta, di volta in volta, dalle autorità di risoluzione, se necessario per evitare che, in un caso specifico, ai creditori sottoposti al bail-in sia riservato un trattamento meno favorevole che in un ipotetico scenario di insolvenza (cosiddetto "scenario controfattuale alla risoluzione"). La direttiva in esame, pertanto, modifica la disciplina del MREL per garantire coerenza tecnica con la struttura dei requisiti applicabile ai G-SIIs.
Il requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (MREL) è calcolato come l’importo dei fondi propri e delle passività ammissibili, espresso in percentuale delle passività e dei fondi propri totali dell’ente (articolo 45, paragrafo 1 della BRRD). La direttiva non contiene una determinazione quantitativa di tale percentuale: il calcolo materiale è affidato all'autorità competente per ciascun soggetto, sulla base dei criteri elaborati dall'EBA in virtù delle delega contenuta nell'articolo 45, paragrafo 2 della BRRD, e contenuti nel regolamento n. 2016/1450.
In sede di recepimento nell'ordinamento italiano, l'articolo 50 del decreto legislativo n. 180 del 2015 ha previsto che, per assicurare l'applicabilità del bail-in le banche siano tenute a rispettare, su base individuale e consolidata, un requisito minimo di passività in grado di essere svalutate o convertite in capitale per il salvataggio interno. Il requisito da rispettare su base individuale è determinato dalla Banca d'Italia, se del caso previa consultazione con la Banca Centrale Europea (BCE) quale autorità competente, tenendo conto della necessità di assicurare che la banca possa essere sottoposta in qualsiasi momento alla procedura di risoluzione e abbia passività sufficienti per assorbire le perdite e per assicurare il rispetto del requisito di capitale primario previsto per l'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria, nonché per ingenerare nel mercato una fiducia sufficiente, anche alla luce della possibilità che il piano di risoluzione escluda certe categorie di passività dal bail-in. Ulteriori criteri rilevanti per la determinazione del MREL sono rappresentati dalle dimensioni, le caratteristiche operative, il modello di finanziamento e il profilo di rischio della banca, la misura del contributo al finanziamento della risoluzione da parte di un sistema di garanzia dei depositi e le ripercussioni negative sulla stabilità finanziaria che deriverebbero dal dissesto della banca, anche per effetto del contagio di altri enti.
Con riferimento ai gruppi bancari, la Banca d'Italia in qualità di autorità di risoluzione di gruppo, sentita, se del caso, la BCE quale autorità competente, determina il requisito minimo su base consolidata il cui rispetto deve essere assicurato dalla capogruppo, avendo riguardo, oltre che ai criteri appena citati, alla possibilità che le società controllate aventi sede legale in Stati terzi debbano essere sottoposte a misure di risoluzione distinte secondo quanto previsto dal piano di risoluzione.
Con riferimento alle passività ammissibili per il salvataggio interno, l'articolo 50 del decreto legislativo n. 180 del 2015 ha delegato la Banca d'Italia a disciplinare le caratteristiche delle passività computabili e le modalità secondo cui esse sono computate. La cornice di tale disciplina risiede negli articoli 44 e 45 della BRRD.
L'articolo 44 elenca (paragrafo 2) le passività in relazione alle quali è escluso l'esercizio dei poteri di svalutazione o conversione in capitale da parte dell'autorità di risoluzione (tra le quali, depositi protetti, passività garantite, passività verso dipendenti, fornitori, autorità tributarie e previdenziali, sistemi di garanzia dei depositi) e le condizioni (paragrafo 3) per cui, in circostanze eccezionali, talune passività possono essere escluse dal salvataggio esterno. L'articolo 45, paragrafo 4 della BRRD 4 elenca invece i (sei) criteri che le passività devono soddisfare per essere considerate "ammissibili" e, dunque, computate nell’importo dei fondi propri. In particolare, si deve trattare di strumenti disponibili (già emessi e interamente versati, non coperti da nessun tipo di garanzia fornita dall’ente stesso), il cui acquisto non è stato finanziato dall'ente direttamente né indirettamente e la cui durata residua risulti di almeno un anno (in modo da potervi fare ragionevolmente affidamento). Inoltre, sono escluse le passività derivanti da uno strumento derivato (per gli ampi margini di aleatorietà) e quelle relative a depositi protetti dagli schemi nazionali di garanzia.
L'intervento è connesso le modifiche recate dalla direttiva (UE) 2019/878, alla cui sintesi si fa rinvio. In particolare, tale ultimo atto, che modifica la CRD, introduce il livello minimo armonizzato della norma TLAC, mentre la maggiorazione specifica per gli enti a rilevanza sistemica globale (G-SIIs) e il MREL specifico per gli enti non G-SIIs sono disciplinati dalla direttiva (UE) 2019/879.
Inoltre, in seguito al parere espresso da molte parti interessate in fase ascendente, la direttiva in esame modifica la BRRD nell'intento di ridurre i costi di conformità sostenuti dalle banche quando le loro passività sono disciplinate dalla legislazione di paesi terzi.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2016) 852.
Il 13 dicembre 2017 la 6a Commissione del Senato della Repubblica ha adottato su tale proposta una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 227 della XVII Legislatura) con le seguenti osservazioni circa l'opportunità di:
1) evitare che si giunga alla definizione di un ammontare del requisito MREL estremamente elevato: esso deve essere commisurato alle esigenze dell'effettiva ricapitalizzazione a seguito della risoluzione e alle dimensioni e al profilo di rischio della banca derivante dalla procedura di risoluzione stessa;
2) prevedere uno specifico trattamento prudenziale di favore per le operazioni di credito garantite da cessione dello stipendio e della pensione, che presentano livelli di rischiosità inferiori a quello delle altre forme di credito al consumo;
3) introdurre un fattore di riduzione della ponderazione per gli investimenti delle banche nel capitale di rischio di imprese in fase di avvio (start up) e di crescita dimensionale;
4) incrementare i requisiti di capitale richiesti alle banche sugli asset liquidi di secondo e terzo livello (derivati) prevedendo altresì criteri più stringenti ed oggettivi per la valutazione del loro valore;
5) adottare una misura transitoria che consenta un periodo di adeguamento sufficientemente lungo per consentire alle banche europee di costruire progressivamente la propria dotazione di strumenti computabili nel TLAC e nel MREL, in modo da evitare che il soddisfacimento dei requisiti possa avere effetti di riduzione della capacità di erogare credito;
La Commissione ha inoltre espresso osservazioni sulla futura, completa revisione della direttiva in materia di crisi bancarie e requisiti patrimoniali degli enti creditizi e sul completamento dell'Unione bancaria, con particolare riferimento alla formazione di crediti deteriorati che impongono accantonamenti e bloccano l'erogazione del credito. Alla luce dell'implementazione dell'IFRS 9, la Commissione ha sostenuto la necessità di creare un organismo pubblico di gestione delle attività deteriorate almeno a livello nazionale.
La Commissione europea ha risposto in data 3 agosto 2018.
Direttiva (UE) 2019/882
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi
La direttiva (UE) 2019/882 ha lo scopo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno mediante l'armonizzazione dei requisiti di accessibilità per determinati prodotti o servizi immessi sul mercato o forniti ai consumatori dopo il 28 giugno 2025.
Si tratta di prodotti e servizi destinati a persone con disabilità, il cui numero peraltro - secondo le previsioni - dovrebbe aumentare nell'Unione europea in modo significativo. Anche altre persone con limitazioni funzionali beneficerebbero della direttiva in titolo, come ad esempio gli anziani, le donne in gravidanza ma anche coloro che viaggiano con bagaglio.
In particolare, l'articolo 2, par. 1, elenca i seguenti prodotti a cui si applica la direttiva: sistemi hardware e sistemi operativi informatici generici; determinati terminali self-service; apparecchiature terminali con capacità informatiche interattive per consumatori, utilizzate per servizi di comunicazione elettronica o per accedere a servizi di media audiovisivi; lettori di libri elettronici (e-reader).
In termini di servizi, invece (articolo 2, par. 2), la direttiva si applica a: servizi di comunicazione elettronica; servizi di accesso a media audiovisivi; alcuni elementi relativi ai servizi di trasporto passeggeri aerei, con autobus, ferroviari e per vie navigabili; terminali self-service interattivi dei servizi di trasporti urbani, extraurbani e regionali; servizi bancari per consumatori; libri elettronici (e-book) e software dedicati; servizi di commercio elettronico.
Vengono individuati (Allegato I) requisiti di accessibilità armonizzati e gli Stati membri vengono incaricati di provvedere affinché siano immessi sul mercato solo i prodotti e vengano forniti solo i servizi conformi a tali requisiti[47] (articolo 4). Dei prodotti e servizi che rispettano i requisiti non può essere ostacolata la messa a disposizione sul mercato nel territorio degli Stati membri per motivi relativi ai requisiti di accessibilità (articolo 6). Si intende così superare l'eterogeneità dei requisiti di accessibilità vigenti negli Stati membri, con auspicabili benefici in termini di rimozione di ostacoli alla libera circolazione di prodotti e servizi, partecipazione al mercato da parte di piccole e medie imprese e creazione di una società più inclusiva che faciliti la vita indipendente delle persone con disabilità (par. 2 delle Premesse).
Sulla base di queste premesse il testo in esame individua ed elenca gli obblighi degli operatori economici che trattano prodotti (Capo III, articoli 7-12), ovvero:
- fabbricanti (progettazione e fabbricazione conforme ai requisiti di accessibilità; preparazione di documentazione tecnica ed esecuzione di una procedura di valutazione della conformità; redazione di una dichiarazione UE di conformità[48] e apposizione della marcatura CE[49]; garanzie relative alla produzione in serie; predisposizione di informazioni sulla sicurezza e istruzioni comprensibili, chiare e intellegibili, articolo 7). L'articolo 11 individua i casi in cui gli obblighi dei fabbricanti si applicano agli importatori e ai distributori;
- rappresentanti autorizzati (cooperare con le autorità nazionali, in particolare tenendo a disposizione la dichiarazione UE di conformità e la documentazione tecnica e fornendo, su richiesta, informazioni e documentazione sulla conformità del prodotto, articolo 8);
- importatori (immissione sul mercato solo di prodotti conformi, accompagnati da istruzioni e informazioni sulla sicurezza in una lingua facilmente compresa dagli utenti finali, trasportati e conservati in modo da non pregiudicare la conformità ai requisiti di accessibilità; verifica dell'operato dei fabbricanti, articolo 9);
- distributori, tenuti - prima di mettere un prodotto a disposizione sul mercato - ad agire "con la dovuta attenzione" in relazione ai requisiti del testo in esame (articolo 10).
Ai sensi dell'articolo 12 tutti gli operatori economici sopra elencati sono tenuti ad indicare alle autorità di vigilanza che ne facciano richiesta gli operatori economici che abbiano fornito loro un prodotto o a cui essi stessi abbiano fornito un prodotto.
Per i fornitori di servizi l'articolo 13 (Capo IV) pone l'obbligo di progettazione e fornitura di servizi in conformità ai requisiti di accessibilità della direttiva in titolo, preparando le informazioni necessarie a valutare come il servizio soddisfi i requisiti medesimi sulla base dell'Allegato V.
Peraltro i requisiti di accessibilità - specifica l'articolo 14 - si applicano solo nella misura in cui la conformità non richieda - previa valutazione ad opera degli operatori economici - la modifica sostanziale di un prodotto o di un servizio e non comporti l'imposizione di un onere sproporzionato agli operatori economici interessati. Il punto n. 66 delle Premesse specifica che tale norma deve intendersi come destinata ad applicarsi "in casi eccezionali", debitamente giustificati. L'Allegato VI elenca i criteri per la valutazione del carattere sproporzionato dell'onere.
L'articolo 15 stabilisce una presunzione di conformità per i prodotti ed i servizi conformi a norme armonizzate - o parti di esse - i cui riferimenti siano stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. In particolare per i prodotti di cui all'Allegato I, poi, si prevede (articolo 15, par. 2) che la Commissione europea richieda a una o più organizzazioni europee di normazione di elaborare norme armonizzate per i requisiti di accessibili.
Il Capo VIII (articoli 19-22) è dedicato alla vigilanza del mercato dei prodotti e alla procedura di salvaguardia dell'Unione.
In virtù del rinvio ad alcuni articoli del regolamento (CE) n. 765/2008[50] contenuto nell'articolo 19, sugli Stati membri incombono anche gli obblighi derivanti dalle relative norme. Si tratta, tra l'altro, dell'obbligo di:
- vigilare affinché siano ritirati dal mercato - o messi a disposizione in forma ristretta - i prodotti suscettibili di compromettere la salute e la sicurezza degli utenti o non conformi alle disposizioni UE (articolo 16);
- istituire adeguati meccanismi di comunicazione e coordinamento tra le autorità di vigilanza del mercato (articolo 18), le quali sono incaricate di controllare le caratteristiche dei prodotti attraverso verifiche sia documentarie che fisiche (articolo 19);
- realizzare una cooperazione e condivisione delle risorse tra Stati membri e Commissione (articoli 24 e 25);
- controllare i prodotti che entrano nel mercato comunitario (articoli 27 e 28).
L'articolo 20 disciplina la procedura nazionale da applicare ai prodotti non conformi ai requisiti di accessibilità, incaricando le autorità di vigilanza del mercato nazionali di effettuare una valutazione del prodotto interessato rispetto ai requisiti della direttiva in titolo. Ad esito di questa, qualora il prodotto non rispetti i requisiti e l'operatore economico non adotti misure correttive entro un termine ragionevole e proporzionato alla natura della non conformità, viene vietata o limitata la messa a disposizione del prodotto o esso viene ritirato. Analoghe conseguenze può avere la non conformità formale (articolo 22), come ad esempio la mancata o erronea compilazione della dichiarazione UE di conformità o la indisponibilità o incompletezza della documentazione tecnica.
Resta la possibilità per la Commissione europea - qualora vengano sollevate obiezioni contro una misura adottata da uno Stato membro o vi siano elementi di prova ragionevoli che suggeriscano che una misura nazionale sia contraria al diritto dell'Unione - di intervenire decidendo se la decisione nazionale sia o meno giustificata (articolo 21). In caso positivo, tutti gli Stati membri adottano le misure necessarie perché il prodotto non conforme sia ritirato dal proprio mercato; in caso negativo, lo Stato interessato la revoca (articolo 21, par. 2).
Il Capo IX (articolo 23) è dedicato esplicitamene alla conformità dei servizi. Agli Stati membri è affidato il compito di istituire, attuare ed aggiornare periodicamente procedure adeguate al fine di:
1) verificare la conformità dei servizi ai requisiti della direttiva in commento, ivi compresa la valutazione relativa alla modifica sostanziale ed all'onere sproporzionato di cui all'articolo 14;
2) dare seguito a reclami o relazioni su problemi di non conformità;
3) verificare che gli operatori economici adottino le misure correttive necessarie.
Essi sono inoltre responsabili per l'individuazione delle autorità responsabili per l'attuazione delle misure sopra elencate e per garantire l'informazione al pubblico.
Il coordinamento con altri atti dell'Unione che stabiliscono requisiti di accessibilità è assicurato dal Capo X (articoli 24 e 25) mentre l'articolo 26 disciplina il potere della Commissione europea di adottare atti delegati e l'articolo 27 la procedura di Comitato.
Il gruppo di lavoro previsto dall'articolo 28 - incaricato di agevolare lo scambio di informazioni, promuovere la cooperazione e fornire consulenza alla Commissione - sarà composto da rappresentanti delle autorità di vigilanza del mercato, delle autorità responsabili per la conformità dei servizi e dalle altre parti interessate. Tra queste ultime sono espressamene annoverate le organizzazioni di persone con disabilità.
Gli Stati membri vengono, infine, incaricati di:
1) garantire che esistano mezzi adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto delle disposizioni del testo in commento. Tra essi vengono citati la possibilità di agire in giudizio per i consumatori, gli organismi pubblici, le associazioni, le organizzazioni o altri soggetti giuridici privati che abbiano un legittimo interesse (articolo 29);
2) stabilire sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva in oggetto. Tali sanzioni devono essere "effettive, proporzionate e dissuasive" ed essere accompagnate da misure correttive efficaci "in caso di non conformità dell'operatore economico". Tengono inoltre conto dell'entità della non conformità nonché del numero di persone colpite (articolo 30).
Il termine per il recepimento è fissato al 28 giugno 2022 (articolo 31) per potere applicare le relative disposizioni a partire dal 28 giugno 2025.
E' previsto un periodo transitorio, fino al 28 giugno 2030, durante il quale i fornitori di servizi possono continuare a prestare i loro servizi utilizzando prodotti che utilizzavano in modo legittimo prima di tale data. I contratti di servizi conclusi prima del 28 giugno 2025 possono, a loro volta, essere mantenuti invariati fino alla scadenza ma per un periodo non più lungo di cinque anni. E' data, infine, facoltà agli Stati membri di disporre che i terminali self-service utilizzati in modo legittimo dai fornitori di servizi prima del 28 giugno 2025 possano continuare ad essere utilizzati per la fornitura di servizi analoghi fino alla fine della loro vita economica utile "ma per non più di venti anni dalla loro messa in funzione" (articolo 32).
Entro il 28 giugno 2030, e in seguito su base quinquennale, è stabilito che la Commissione europea presenti una relazione sull'applicazione delle norme in commento.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2015) 615.
Direttiva (UE) 2019/883
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che modifica la direttiva 2010/65/UE e abroga la direttiva 2000/59/CE)
La direttiva (UE) 2019/883 ha l’obiettivo di proteggere l’ambiente marino dagli effetti negativi degli scarichi dei rifiuti delle navi che utilizzano porti situati nel territorio dell’Unione e di garantire nel contempo il buon funzionamento del traffico marittimo, migliorando la disponibilità e l'uso degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti delle navi.
La direttiva intende allineare la legislazione dell'UE alla Convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi ("convenzione MARPOL"), la quale stabilisce i divieti generali relativi agli scarichi delle navi in mare, nonché le condizioni alle quali alcuni tipi di rifiuti possono essere scaricati nell’ambiente marino.
La direttiva si applica a tutte le navi, indipendentemente dalla loro bandiera, che fanno scalo o che operano in un porto di uno Stato membro, a esclusione delle navi adibite a servizi portuali (ai sensi dell’art. 1, par. 2, del regolamento (UE) 2017/352), e con l’eccezione delle navi militari da guerra, delle navi ausiliarie o di altre navi possedute o gestite da uno Stato e impiegate, al momento, solo per servizi statali a fini non commerciali.
Gli Stati membri dovranno provvedere a che:
· gli impianti portuali di raccolta dispongano della capacità di ricevere i tipi e i quantitativi di rifiuti delle navi che abitualmente utilizzano tale porto;
· le formalità e le modalità operative relative all'utilizzo degli impianti portuali di raccolta siano semplici e rapide ed evitino ingiustificati ritardi;
· le tariffe stabilite per il conferimento non creino un disincentivo all'uso degli impianti portuali di raccolta da parte delle navi;
· gli impianti portuali di raccolta gestiscano i rifiuti delle navi in un modo ambientalmente compatibile, conformemente alla direttiva 2008/98/CE e ad altre pertinenti leggi nazionali e dell’Unione sui rifiuti.
La direttiva disciplina la notifica anticipata dei rifiuti e il conferimento dei rifiuti delle navi.
Prevede inoltre che i sistemi di recupero dei costi non dovranno costituire un incentivo per le navi a scaricare i loro rifiuti in mare. A tale scopo le navi dovranno pagare una tariffa indiretta, indipendentemente dal conferimento o meno dei rifiuti agli impianti portuali di raccolta. Dovranno essere soggetti all’imposta indiretta anche i settori della pesca e della navigazione da diporto, dato il loro contributo alla produzione di rifiuti marini.
Al fine di prevedere l'incentivo massimo per il conferimento dei rifiuti di cui all'allegato V della convenzione MARPOL, diversi dai residui del carico, anche per tali rifiuti non si impone una tariffa diretta. Tuttavia, qualora una nave conferisca un quantitativo eccessivo di rifiuti, in particolare i rifiuti operativi, che superi la massima capacità di stoccaggio dedicata così come menzionata nel modulo di notifica anticipata per il conferimento dei rifiuti, sarà possibile addebitare una tariffa diretta supplementare al fine di garantire che i costi relativi al ricevimento di tale quantitativo in eccesso di rifiuti non costituiscano un onere sproporzionato per il sistema di recupero dei costi del porto.
L’eventuale parte dei costi non coperta dalla tariffa indiretta è recuperata in base ai tipi e ai quantitativi di rifiuti effettivamente conferiti dalla nave.
Le tariffe possono essere differenziate sulla base dei seguenti elementi: la categoria, il tipo e le dimensioni della nave; la prestazione di servizi alle navi al di fuori del normale orario di lavoro nel porto; la natura pericolosa dei rifiuti. Si applicano tariffe ridotte alle navi adibite al commercio marittimo a corto raggio nonché alle navi che dimostrino di produrre minori quantità di rifiuti e di gestire tali rifiuti in modo ambientalmente sostenibile e compatibile.
Sono previste esenzioni qualora vi siano prove sufficienti del rispetto delle seguenti condizioni: la nave svolge servizio di linea con scali frequenti e regolari; esiste un accordo che garantisce il conferimento dei rifiuti e il pagamento delle tariffe in un porto lungo il tragitto della nave; l'esenzione non incide negativamente sulla sicurezza marittima, sulla salute, sulle condizioni di vita e di lavoro a bordo o sull'ambiente marino.
Gli Stati membri provvederanno a ispezioni, anche casuali, per qualsiasi nave per verificarne la compatibilità alla direttiva.
La Commissione dovrà elaborare, mantenere e aggiornare una "banca dati sulle ispezioni", cui sono collegati tutti gli Stati membri, che contenga tutte le informazioni necessarie per attuare il sistema di ispezioni istituito dalla direttiva. Tale banca dati è basata su quella di cui all’art. 24 della direttiva 2009/16/CE relativa al controllo da parte dello Stato di approdo e ha funzionalità simili.
Gli Stati membri dovranno inoltre stabilire le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva e garantirne l'attuazione. Le sanzioni previste dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive.
La direttiva modifica la direttiva 2010/65/UE relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri e abroga la direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico.
Il termine per il recepimento è fissato al 28 giugno 2021.
La direttiva genera dalla proposta COM(2018)33 del 16 gennaio 2018.
Direttiva (UE) 2019/884
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che modifica la decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio per quanto riguarda lo scambio di informazioni sui cittadini di Paesi terzi e il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali (ECRIS), e che sostituisce la decisione 2009/316/GAI del Consiglio)
La direttiva (UE) 2019/884 introduce modifiche alla decisione quadro 2009/315/GAI per consentire uno scambio efficace di informazioni sulle condanne di cittadini di Paesi terzi tramite il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali (ECRIS).
La direttiva:
· obbliga gli Stati membri ad adottare le misure necessarie a garantire che le condanne siano corredate di informazioni sulla cittadinanza o sulle cittadinanze della persona condannata, nella misura in cui gli Stati membri dispongano di tali informazioni;
· introduce le procedure di risposta alle richieste di informazioni;
· garantisce l'integrazione dell'estratto del casellario giudiziario richiesto all'autorità centrale di uno Stato membro da un cittadino di Paese terzo con le informazioni provenienti da altri Stati membri;
· prevede le modifiche tecniche necessarie per il funzionamento del sistema di scambio di informazioni.
La direttiva (UE) 2016/680 dovrà applicarsi al trattamento dei dati da parte delle autorità nazionali competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro le minacce alla sicurezza pubblica e la prevenzione delle stesse (qualora il trattamento dei dati personali da parte delle autorità nazionali non rientri nell’ambito di applicazione della direttiva dovrà applicarsi il regolamento (UE) 2016/679).
La direttiva specifica che lo scambio di informazioni sulle condanne penali è un elemento importante di qualsiasi strategia di lotta alla criminalità e al terrorismo. Tale meccanismo dovrebbe fra l'altro garantire che una persona condannata per un reato sessuale a danno di minori non possa occultare tale condanna o interdizione al fine di esercitare un'attività professionale che comporti contatti diretti e regolari con minori in un altro Stato membro.
Per quanto concerne in particolare il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali (ECRIS), la direttiva introduce l'art. 11 bis, nel quale si specifica che l'Agenzia dell'Unione europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (eu-LISA) dovrà fornire, sviluppare ulteriormente e gestire l'implementazione di riferimento ECRIS.
Ciascuno Stato membro dovrà sostenere i propri costi per l'attuazione, la gestione, l'uso e la manutenzione della propria banca dati di casellari giudiziali e per l'installazione e l'uso dell'implementazione di riferimento ECRIS.
Entro il 29 giugno 2023, la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione della decisione quadro. Dovrà inoltre pubblicare una relazione periodica sugli scambi delle informazioni estratte dai casellari giudiziali tramite ECRIS e sull'uso di ECRIS-TCN, basata in particolare sulle statistiche fornite da eu-LISA e dagli Stati membri.
Il termine per il recepimento è fissato al 28 giugno 2022.
La direttiva genera dalla proposta COM(2016)7 del 19 gennaio 2016.
Il Senato si era espresso sulla proposta, formulando osservazioni favorevoli, in data 13 luglio 2016 (doc. XVIII-bis n. 17).
E' opportuno ricordare che con i d.lgs. n. 74 e n. 75 del 2016 il legislatore italiano ha dato attuazione alle Decisioni quadro n. 2009/315/GAI del 26 febbraio 2009 e n. 2009/316/GAI del 6 aprile 2009, la prima relativa "all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario" e la seconda "che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS)".
Direttiva (UE) 2019/904
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente)
La direttiva (UE) 2019/904 è volta a prevenire e a ridurre l’impatto sull’ambiente di determinati prodotti in plastica e a promuovere una transizione verso un’economia circolare introducendo un insieme di misure specifiche che includono un divieto a livello dell’UE sull'utilizzo di prodotti in plastica monouso ogniqualvolta sono disponibili alternative.
Sancisce pertanto il divieto di alcuni prodotti di plastica tra cui: posate (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette); piatti; cannucce; bastoncini cotonati; agitatori per bevande.
Gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure per ridurre il consumo di alcuni prodotti in plastica monouso per i quali non esiste alternativa (tazze per bevande, inclusi i relativi tappi e coperchi e contenitori per alimenti destinati al consumo immediato) e a monitorare il consumo di tali prodotti monouso e le misure adottate riferendo alla Commissione europea sui progressi compiuti.
La direttiva prevede poi una riduzione quantitativa ambiziosa e duratura del consumo di questi prodotti entro il 2026 (rispetto all’anno di riferimento 2022).
Fissa poi un obiettivo di raccolta pari al 90% per il riciclaggio di bottiglie di plastica entro il 2029 (con un obiettivo intermedio del 77% entro il 2025). Inoltre, stabilisce che la produzione di queste bottiglie debba prevedere un contenuto di almeno il 25% di plastica riciclata a partire dal 2025 (per le bottiglie in PET), e il 30% a partire dal 2030 (per tutte le bottiglie).
La direttiva definisce inoltre dei requisiti di marcatura al fine di comunicare, per una serie di prodotti, alcune informazioni riguardanti le modalità corrette di gestione del rifiuto per il prodotto o, per lo stesso prodotto, le forme di smaltimento dei rifiuti da evitare, nonché la presenza di plastica nel prodotto e la conseguente incidenza negativa sull’ambiente della dispersione.
Basata sul principio "chi inquina paga", definisce le responsabilità dei produttori che dovranno coprire i costi della gestione e rimozione dei rifiuti, della racconta dei dati e delle misure di sensibilizzazione adottate per alcuni tipi di prodotti (contenitori per alimenti e bevande, bottiglie, tazze, pacchetti e involucri, sacchetti in materiale leggero e prodotti del tabacco con filtri). Per quanto riguarda le salviette umidificate e i palloncini, sono applicati questi obblighi con l’esclusione dei costi di raccolta
La direttiva definisce alcune prescrizioni per gli Stati membri che dovranno: garantire che siano messe in atto disposizioni sulla responsabilità estesa del produttore anche per gli attrezzi da pesca contenenti plastica; monitorare e valutare tali attrezzi in plastica in vista di definire obiettivi di raccolta a livello di Unione.
Essi dovranno poi: informare i consumatori e incentivarli ad adottare un comportamento responsabile al fine di ridurre la dispersione dei rifiuti derivanti dai prodotti contemplati dalla direttiva; informare i consumatori della disponibilità di prodotti alternativi riutilizzabili e dell’impatto sulla rete fognaria dello smaltimento improprio dei rifiuti di prodotti in plastica monouso.
Il termine per il recepimento è fissato al 3 luglio 2021, salvo alcune eccezioni. Le disposizioni riguardanti i requisiti di progettazione del prodotto per le bottiglie dovranno essere recepite a partire dal 3 luglio 2024 e le misure relative alla responsabilità estesa del produttore a partire dal 31 dicembre 2024.
La direttiva genera dalla proposta COM(2018)340 del 28 maggio 2018.
Direttiva (UE) 2019/944
(Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica)
La Direttiva (UE) 2019/944, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, composta di 74 articoli (testo abrogativo e di rifusione della precedente Direttiva 2009/72/CE e modificativo della Direttiva 2012/27/UE in materia di efficienza energetica), fa parte del pacchetto di interventi legislativi presentato dalla Commissione europea il 30 novembre 2016, noto come Winter package o Clean energy package. Il pacchetto comprende diverse misure legislative nei settori dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e del mercato interno dell'energia elettrica.
I Regolamenti e le direttive del Clean Energy Package, approvate in via definitiva dalle Istituzioni europee, tra la fine del 2018 e la prima metà del 2019, fissano il quadro regolatorio della governance dell'Unione per energia e clima, funzionale al raggiungimento dei nuovi obiettivi europei al 2030 in materia.
La Direttiva (UE) 2019/944 è dunque finalizzata ad adattare l’attuale quadro normativo alle nuove dinamiche del mercato tenendo in considerazione l’obiettivo di decarbonizzazione del sistema energetico e gli sviluppi tecnologici, che consentono nuove forme di partecipazione dei consumatori e la cooperazione transfrontaliera (cfr. considerando n. 3).
La Direttiva stabilisce le regole per la generazione, la trasmissione, la fornitura e lo stoccaggio dell’energia elettrica, e gli aspetti legati alla tutela dei consumatori al fine di creare nell’UE mercati dell’energia elettrica integrati, competitivi, orientati al consumatore, flessibili, equi e trasparenti.
Tra l’altro, contiene le regole sui mercati al dettaglio dell’elettricità, mentre il Regolamento (UE) 2019/943 contiene principalmente le regole sul mercato all’ingrosso e sulla gestione delle reti.
La Direttiva è entrata in vigore il 4 luglio 2019, purtuttavia numerose sue disposizioni entreranno in vigore in modo differito, le ultime delle quali il 1° gennaio 2021. A decorrere da tale data è abrogata la Direttiva 2009/72/CE.
Gli Stati membri dovranno quindi recepire le previsioni della Direttiva nella normativa nazionale entro il 31 dicembre 2020.
Nel segnalare le principali innovazioni apportate dalla direttiva in esame, si segnala come essa, in relazione ai consumatori, comporti un importante mutamento di paradigma, volto a qualificare i consumatori stessi come “clienti attivi”.
L’articolo 15 obbliga gli Stati membri a provvedere affinché i clienti finali abbiano il diritto di agire in qualità di clienti attivi senza essere soggetti a requisiti tecnici o a requisiti amministrativi, procedure e oneri discriminatori o sproporzionati (comma 1).
In particolare, i clienti si qualificheranno come “attivi” in quanto dovranno avere il diritto di:
a) operare direttamente o in maniera aggregata;
b) vendere energia elettrica autoprodotta, anche attraverso accordi per l’acquisto di energia elettrica;
c) partecipare a meccanismi di flessibilità e a meccanismi di efficienza energetica;
d) delegare ad un terzo la gestione degli impianti necessari per le loro attività, compresi l’installazione, il funzionamento, il trattamento dei dati e la manutenzione, senza che il terzo sia considerato un cliente attivo;
e) vedersi contabilizzata separatamente l’energia elettrica immessa in rete e quella assorbita dalla rete come base per il calcolo degli oneri di rete; e
f) nel caso in cui siano proprietari di un impianto di stoccaggio di energia, a poter connettere lo stesso alla rete in un arco di tempo ragionevole, a non essere soggetti ad alcun doppio onere, requisiti o adempimenti sproporzionati in relazione all’iter autorizzatorio nonché di essere autorizzati a fornire diversi servizi contemporaneamente, se tecnicamente possibile (comma 2).
La Direttiva sancisce due importanti principi:
1) libertà di scelta del fornitore (articolo 4), che deve essere assicurata dagli Stati membri a tutti i clienti che devono inoltre essere liberi di avere più di un contratto di fornitura di energia elettrica allo stesso tempo;
2) libertà dei fornitori di determinare liberamente il prezzo della fornitura di energia elettrica ai clienti, in una dinamica di mercato e di effettiva concorrenza che deve essere assicurata dagli Stati membri. In deroga a quest’ultimo principio, gli Stati membri dovranno assicurare la protezione dei clienti che versino in condizioni di povertà energetica e dei soggetti classificabili come clienti vulnerabili, oltre a poter adottare interventi pubblici di fissazione dei prezzi per un periodo transitorio volto a conseguire una concorrenza effettiva a favore di clienti civili e microimprese non rientranti in dette condizioni. La fissazione da parte di organismi pubblici dei prezzi va comunque notificata alla Commissione europea, unitamente alla spiegazione dei motivi per cui altri strumenti non sono stati ritenuti sufficienti a raggiungere gli obiettivi perseguiti (articolo 5; cfr. artt. 28-29).
Come precisato nel considerando 37), tutti i consumatori dovrebbero poter trarre vantaggio dalla partecipazione diretta al mercato, in particolare adeguando i consumi in base ai segnali del mercato e, in cambio, beneficiare di prezzi più bassi dell’energia elettrica o di altri incentivi. Ciò si sostanzierebbe nel riconoscimento in capo agli stessi del diritto di poter scegliere di avere un sistema di misurazione intelligente e un contratto con prezzi dinamici dell’energia elettrica
In particolare, gli Stati membri devono assicurare ai clienti finali dotati di un contatore intelligente, la possibilità di concludere, su richiesta, un contratto con prezzo dinamico dell’energia elettrica con almeno un fornitore e con ogni fornitore che abbia più di 200.000 clienti finali (cfr. articoli 11 e 21).
In aggiunta, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare la possibilità in capo a tutti i clienti di poter acquistare e vendere servizi di energia elettrica, anche mediante l’aggregazione, indipendentemente dal loro contratto di fornitura di energia elettrica e da un’impresa elettrica di loro scelta.
L’aggregazione è definita dall’articolo 2, n. 18, della Direttiva come la funzione svolta da una persona fisica o giuridica finalizzata alla combinazione di più carichi di clienti o di energia elettrica generata, per la vendita, l’acquisto o la vendita all’asta in qualsiasi mercato dell’energia elettrica.
Come indicato nel considerando 39), l’introduzione di tale istituto è finalizzato a consentire agli aggregatori di svolgere il loro ruolo di intermediari tra gruppi di clienti e mercato. Al fine di garantire che il cliente finale benefici adeguatamente dell’attività degli aggregatori, gli Stati membri, nello scegliere il modello di attuazione e l’approccio di governance appropriati per l’aggregazione, sono invitati ad incoraggiare la gestione attiva della domanda in tutti i mercati dell’energia elettrica, ivi compresi i mercati dei servizi ancillari e della capacità.
A tutti i clienti dovrà dunque essere garantita la possibilità di poter stipulare un c.d. contratto di aggregazione, anche senza il consenso delle imprese elettriche, partecipando alla gestione della domanda e potendo quindi accedere a tutti i mercati dell’energia elettrica in modo non discriminatorio (articolo 13).
Importante innovazione prevista dalla Direttiva concerne l’introduzione della nozione di “comunità energetica dei cittadini” (articolo 16). L’istituto si sostanzia in un soggetto giuridico fondato sulla partecipazione volontaria e aperta di persone fisiche, autorità locali o piccole imprese, avente lo scopo principale di offrire ai suoi membri o soci o al territorio in cui opera benefici ambientali, economici o sociali, e non di generare profitti finanziari. Tale comunità potrà partecipare alla generazione, anche da fonti rinnovabili, alla distribuzione, alla fornitura, al consumo, all’aggregazione, allo stoccaggio dell’energia, ai servizi di efficienza energetica, o a servizi di ricarica per veicoli elettrici o fornire altri servizi energetici ai suoi membri o soci.
Le comunità energetiche potranno essere costituite in forma di qualsiasi soggetto giuridico (es. associazione, cooperativa, organizzazione senza scopo di lucro o piccole/medie imprese). I soggetti partecipanti ad una comunità energetica manterranno al contempo tutti i loro diritti e obblighi di clienti civili o clienti attivi.
Le comunità energetiche dovranno poter operare sul mercato a condizioni paritarie e non discriminatorie rispetto gli altri soggetti, potendo assumere liberamente i ruoli di cliente finale, produttore, fornitore o gestore dei sistemi di distribuzione.
Con riferimento alle bollette, esse devono essere chiare, concise e presentate in modo da facilitare i confronti. Le informazioni di fatturazione devono essere fornite almeno ogni sei mesi o una volta ogni tre mesi, se richiesto, oppure, qualora il cliente finale abbia optato per la fatturazione elettronica, e almeno una volta al mese se i contatori possono essere letti in remoto (art. 18).
Quanto al tema dell’accesso ai dati e dell’interoperabilità, la direttiva aggiorna le norme sull’accesso ai dati del contatore e di consumo/generazione da parte di operatori di rete, consumatori, fornitori e prestatori di servizi. Inoltre, prevede che la Commissione europea istituirà norme di interoperabilità di diritto derivato per facilitare lo scambio di dati. I soggetti responsabili della gestione dei dati devono garantire un accesso non discriminatorio ai dati dei contatori intelligenti nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati (artt. 23-24).
Sul tema dell’elettro mobilità, gli Stati membri definiscono il quadro normativo necessario per agevolare la connessione dei punti di ricarica per veicoli elettrici alle reti di distribuzione. I gestori dei sistemi di distribuzione (DSO) possono solo possedere, sviluppare, gestire o esercire i punti di ricarica se nessun altro organismo ha espresso interesse in una procedura di appalto aperta, soggetta all’approvazione da parte dell’autorità di regolazione e in linea con le regole d’accesso di parti terze (art. 33).
I gestori del sistema di distribuzione (DSO) sono responsabili di garantire la capacità a lungo termine del sistema, di soddisfare le richieste di distribuzione di energia elettrica, compresa l’integrazione efficiente in termini di costi delle nuove installazioni di generazione di elettricità e, in particolare, di quelle che producono energia elettrica da fonti rinnovabili, nonché di fornire agli utenti del sistema le informazioni necessarie per un accesso e un utilizzo efficienti del sistema; devono pubblicare piani di sviluppo delle reti che definiscano gli investimenti programmati per i successivi cinque-dieci anni; qualora facciano parte di un’impresa verticalmente integrata, sono indipendente, quantomeno sotto il profilo della forma giuridica, dell’organizzazione e del potere decisionale, da altre attività non connesse alla distribuzione; non possono possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell’energia, tranne nei casi in cui sono soddisfatte determinate condizioni (artt. 30-39).
Merita particolare approfondimento la finalità della direttiva di delineare un nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica in cui i servizi di stoccaggio siano basati esclusivamente sul mercato e pertanto siano erogati unicamente su base competitiva.
In tale contesto, l’articolo 36 prevede espressamente il divieto per i gestori dei sistemi di distribuzione di possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell’energia, a meno che non si tratti di componenti di rete pienamente integrati e l’Autorità di regolazione nazionale abbia concesso la sua approvazione, oppure impianti necessari affinché i gestori possano garantire il funzionamento efficiente, affidabile e sicuro del sistema di distribuzione, non utilizzati per l’acquisto o la vendita dell’energia elettrica sui mercati dell’energia elettrica e per i quali non sia stato possibile identificare, a seguito di una procedura di gara aperta, un soggetto terzo in grado di erogare il servizio.
Analogo divieto è disposto per i gestori dei sistemi di trasmissione (c.d. transmission system operators – TSO) dall’articolo 54, fatte salve le medesime deroghe previste per gestori dei sistemi di distribuzione.
I Gestori di sistemi di trasmissione (GST) devono garantire la capacità a lungo termine del sistema di soddisfare richieste di trasmissione di energia elettrica, in stretta collaborazione con i gestori dei sistemi di trasmissione e i gestori dei sistemi di distribuzione limitrofi; devono gestire il funzionamento sicuro del sistema, compreso il mantenimento dell’equilibrio tra domanda e offerta di energia elettrica; non possono possedere, sviluppare, gestire o esercire impianti di stoccaggio dell’energia, a condizioni simili a quelle applicate ai gestori del sistema di distribuzione (art. 40 e ss.).
L’articolo 43, in particolare, enuncia e dettaglia il principio di separazione proprietaria dei sistemi di trasmissione e dei gestori dei sistemi di trasmissione.
In tema di designazione e certificazione dei GST, si segnala, in particolare, l’articolo 53, secondo il quale, qualora la certificazione di gestore di un sistema di trasmissione sia richiesta da un proprietario di sistema di trasmissione controllato da una o più persone di un paese terzo o di paesi terzi, l'autorità di regolazione lo comunica alla Commissione europea. La certificazione può essere negata nel caso di mancata ottemperanza alla separazione proprietaria (art. 43), ovvero allorquando vi sia pregiudizio per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico dello stato membro e dell'Unione europea nella sua globalità.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 864 del 20 aprile 2017.
La direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del del 20 giugno 2019, è volta a contribuire al corretto funzionamento del mercato interno nonché a eliminare gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali, quali la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento, che derivano dalle differenze tra le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni.
Il testo della direttiva è composto di sei titoli: il titolo I (artt. da 1 a 3) contiene le “disposizioni generali”; il Titolo II disciplina i “quadri di ristrutturazione preventiva” (artt. da 4 a 19), nel titolo III sono contenute le regole comuni per l’esdebitazione e per le interdizioni (artt. da 20 a 24), mentre i titoli IV e V sono dedicati, rispettivamente, alle misure per aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (artt. da 25 a 28) e a quelle per assicurarne il monitoraggio (artt. 29 e 30); infine il titolo VI contiene le disposizioni finali, comprese quelle sul termine entro cui gli Stati devono adottare le discipline nazionali di attuazione della normativa comunitaria (artt. da 31 a 36).
L’obiettivo principale della direttiva è quello di garantire «alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l'esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata» (Considerando n. 1)
Per conseguire tale risultato, la direttiva (art. 1) individua tre settori di intervento:
- quadri di ristrutturazione preventiva per il debitore che versa in difficoltà finanziarie e per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, al fine di impedire l'insolvenza e di garantire la sostenibilità economica del debitore;
- procedure che portano all'esdebitazione dai debiti contratti dall'imprenditore insolvente;
- misure per aumentare l'efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.
Va ricordato che la direttiva in commento, non trova applicazione – sotto il profilo soggettivo – per le imprese di assicurazione o di riassicurazione, per gli enti creditizi, per le imprese di investimento o finanziarie, nonché per gli enti pubblici.
Sempre nel quadro del Titolo I, che contiene le disposizioni generali, la direttiva (art. 3) impegna gli Stati membri a favorire l’accesso dei debitori a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire prontamente.
Gli strumenti di allerta precoce possono includere:
- meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento;
- servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private;
- incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi.
Inoltre, gli Stati membri devono introdurre norme finalizzate a consentire che sia i debitori che i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso a informazioni aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili, come pure sulle procedure di ristrutturazione e di esdebitazione.
E’ consentito agli Stati membri di introdurre una disciplina tesa a fornire sostegno ai rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore, allo scopo di assumere in maniera consapevole le iniziative ritenute più utili per la tutela dei crediti da lavoro dipendente.
Il Titolo II contiene disposizioni concernenti i quadri di ristrutturazione preventiva. In particolare, gli Stati membri (art. 4) devono provvedere affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l'insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l'insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale.
Gli Stati membri provvedono altresì (artt 5-7) affinché il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva:
- mantenga il controllo totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell'impresa.
- possa beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva.
Norme specifiche sono dedicate:
- al contenuto del piano di ristrutturazione con particolare riferimento: all’identità del debitore; alle sue attività e passività al momento della presentazione del piano, compreso il valore delle attività; a una descrizione della situazione economica del debitore e della posizione dei lavoratori; alle parti interessate, denominate individualmente o descritte mediante categorie di debiti a norma del diritto nazionale e ai relativi crediti o interessi coperti dal piano di ristrutturazione; ai valori rispettivi dei crediti e degli interessi di ciascuna classe (art. 8);
- alle procedure di adozione del piano, prevedendosi che lo stesso sia adottato dalle parti interessate purché in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza dell'importo dei crediti o degli interessi. Inoltre gli Stati membri possono richiedere che in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza del numero di parti interessate (art.9);
- all’omologazione dello stesso (art. 10).
In particolare l'omologazione del piano di ristrutturazione da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa serve per garantire che la riduzione dei diritti dei creditori o delle quote dei detentori di strumenti di capitale sia proporzionata ai benefici della ristrutturazione e che tali soggetti abbiano accesso a un ricorso effettivo.
L'omologazione è particolarmente necessaria quando:
- vi siano parti interessate dissenzienti;
- il piano di ristrutturazione contenga disposizioni su nuovi finanziamenti;
- il piano comporti una perdita di più del 25 % della forza lavoro.
L'omologazione di un piano che comporti una perdita di più del 25 % della forza lavoro dovrebbe essere necessaria solo se il diritto nazionale ammette che i quadri di ristrutturazione preventiva prevedano misure aventi effetti diretti sui contratti di lavoro.
Disposizioni ulteriori (artt. 17-18) concernono l’obbligo per Stati membri di provvedere affinché i nuovi finanziamenti e i finanziamenti temporanei siano adeguatamente tutelati, così come le altre operazioni connesse alla ristrutturazione.
Sono inoltre previsti obblighi (art. 19) a carico dei dirigenti qualora sussista una probabilità di insolvenza. In particolare gli stessi devono tenere conto come minimo dei seguenti elementi: gli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; la necessità di prendere misure per evitare l'insolvenza; la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell'impresa.
Il Titolo III è dedicato (artt. 20-24) alle esdebitazioni e alle interdizioni. E contiene disposizioni volte a ridurre gli effetti negativi del sovraindebitamento o dell'insolvenza sugli imprenditori che sono persone fisiche, in particolare consentendo l'esdebitazione integrale dai debiti dopo un certo periodo di tempo e limitando la durata dei provvedimenti di interdizione emessi a causa del sovraindebitamento o dell'insolvenza del debitore.
In particolare gli Stati membri provvedono affinché:
- il periodo trascorso il quale l'imprenditore insolvente può essere liberato integralmente dai propri debiti non sia superiore a tre anni a decorrere al più tardi: nel caso di una procedura che comprende un piano di rimborso, dalla data della decisione adottata da un’autorità giudiziaria o amministrativa per l'omologazione del piano o dalla data d'inizio dell'attuazione del piano; oppure nel caso di qualsiasi altra procedura, dalla data della decisione adottata dall'autorità giudiziaria o amministrativa per l'apertura della procedura o dalla determinazione della massa fallimentare dell'imprenditore.
- qualora l'imprenditore insolvente ottenga l'esdebitazione, qualsiasi interdizione dall'accesso a un’attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale e dal suo esercizio per il solo motivo dell'insolvenza dell'imprenditore cessi di avere effetto, al più tardi, alla scadenza dei termini per l'esdebitazione
- alla scadenza dei termini per l'esdebitazione, l'interdizione cessi di avere effetto senza necessità di rivolgersi all'autorità giudiziaria o amministrativa.
Sono inoltre previste specifiche deroghe alle regole comuni sulle esdebitazioni, in forza delle quali gli Stati membri mantengono o introducono disposizioni che negano o limitano l'accesso all'esdebitazione o che revocano il beneficio di tale esdebitazione o che prevedono termini più lunghi per l'esdebitazione integrale dai debiti o periodi di interdizione più lunghi quando, nell'indebitarsi, durante la procedura di insolvenza o il pagamento dei debiti, l'imprenditore insolvente ha agito nei confronti dei creditori o di altri portatori di interessi in modo disonesto o in malafede ai sensi del diritto nazionale, fatte salve le norme nazionali sull'onere della prova.
Inoltre è data la possibilità agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni che negano o limitano l'accesso all'esdebitazione, revocano il beneficio dell’esdebitazione, o prevedono termini più lunghi per l'esdebitazione integrale o periodi di interdizione più lunghi in determinate circostanze ben definite e nei casi in cui tali deroghe siano debitamente giustificate.
Il Titolo IV contiene le misure comuni per aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione preventiva, di insolvenza e di esdebitazione,. Al riguardo (artt. 25 e 26) si stabilisce che le normative nazionali dovranno assicurare che le autorità giudiziarie e amministrative, come pure i professionisti che si occupano delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, «ricevano una formazione adeguata e possiedano le competenze necessarie per adempiere alle loro responsabilità».
Inoltre, le procedure tese alla nomina, alla revoca e alle dimissioni dei professionisti debbano essere «chiare, trasparenti ed eque», tenendo conto delle esperienze e competenze maturate da questi ultimi, nonché delle specificità del caso; la direttiva inoltre al fine di evitare il permanere di una qualsiasi situazione di conflitto di interessi, consente sia ai debitori che ai creditori di opporsi alla scelta o alla nomina del professionista, ovvero di chiederne la sostituzione quando si verifichi una tale evenienza.
Gli Stati membri devono altresì introdurre norme tese a garantire che il lavoro dei professionisti sia adeguatamente vigilato dall’autorità giudiziaria o amministrativa, in modo da assicurarne l’efficacia e la competenza, oltre che la sua imparzialità e indipendenza; per raggiungere tale obbiettivo è prevista espressamente la possibilità di avviare azioni di responsabilità nei confronti dei professionisti che non abbiano adempiuto ai propri obblighi.
Quanto ai compensi spettanti ai professionisti, la remunerazione dovrà essere regolamentata in modo da raggiungere l’obiettivo di un espletare in modo efficiente le procedure, mentre devono essere istituite procedure adeguate per risolvere le eventuali controversie sui compensi liquidati ai professionisti. Un ulteriore mezzo individuato dalla direttiva per rendere più efficienti le procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione all’interno degli Stati europei, si fonda sulla generalizzata informatizzazione dei depositi e delle notifiche degli atti; si dispone infatti (art. 28) che gli Stati membri assicurino a tutte le parti coinvolte nelle procedure concorsuali di utilizzare i moderni strumenti telematici per depositare le domande di insinuazione al passivo, dei piani di ristrutturazione o di quelli di rimborso, nonché per presentare le contestazioni e le impugnazioni da parte dei creditori e per eseguire le notifiche di rito ai creditori.
Il Titolo V è dedicato al monitoraggio delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, con particolare riguardo alla raccolta e conservazione dei dati (art. 29).
Il Titolo VI contiene le disposizioni finali.
La direttiva è entrata in vigore il 16 luglio 2019 e gli Stati membri, hanno tempo fino al 17 luglio 2021, per adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla normativa comunitaria. In ogni caso, gli Stati membri che dovessero incontrare particolari difficoltà nell'attuazione della direttiva, avranno la possibilità di beneficiare di una proroga di massimo un anno del periodo di attuazione, comunicando alla Commissione l’esistenza di tale necessità almeno sei mesi prima della scadenza del termine.
Fanno eccezione le norme necessarie per adeguarsi a quanto previsto dall’art. 28, in tema di uso dei mezzi di comunicazione elettronici per le procedure di insinuazione al passivo, per depositare i piani di ristrutturazione e per effettuare le notifiche ai creditori, che devono essere adottate entro il 17 luglio 2024; solo per consentire le contestazioni dei piani di ristrutturazione e le impugnazioni sui provvedimenti di omologa in formato digitale, il termine per uniformare le legislazioni nazionali è spostato al 17 luglio 2026.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 723 del 22 novembre 2016.
La direttiva (UE) 2019/1024 detta un complesso di norme minime in materia di riutilizzo dei documenti esistenti in possesso degli enti pubblici e delle imprese pubbliche degli Stati membri[51], al fine di promuovere l'utilizzo di dati aperti[52] e di incentivare l'innovazione nei prodotti e nei servizi.
Nei considerando viene evidenziato che il settore pubblico degli Stati membri raccoglie, produce, riproduce e diffonde un'ampia gamma di informazioni in molti settori di attività, per esempio informazioni di tipo sociale, politico, economico, giuridico, geografico, ambientale, meteorologico, sismico, turistico, informazioni in materia di affari, di brevetti e di istruzione. Le possibilità di riutilizzo di tali informazioni consentono a tutte le imprese dell'Unione, incluse le microimprese e le PMI, e alla società civile, di sfruttarne il potenziale e contribuire allo sviluppo economico nonché alla creazione e alla salvaguardia di posti di lavoro di qualità, in particolare a vantaggio delle comunità locali, come anche a importanti obiettivi sociali quali la responsabilizzazione e la trasparenza.
La direttiva procede alla rifusione della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo dell'informazione del settore pubblico. La Commissione ha infatti ritenuto che un'azione a livello dell'Unione fosse necessaria, da un lato, per affrontare i restanti ostacoli e le barriere emergenti che limitano un ampio riutilizzo dell'informazione del settore pubblico e dell'informazione finanziata con fondi pubblici e, dall'altro, per adeguare il quadro legislativo ai progressi delle tecnologie digitali, nonché per stimolare ulteriormente l'innovazione digitale, in particolare con riguardo all'intelligenza artificiale.
La direttiva mira pertanto a proseguire un'armonizzazione minima delle normative e delle prassi nazionali relative al riutilizzo dei documenti del settore pubblico, nei casi in cui le differenze o la mancanza di chiarezza ostacolino il buon funzionamento del mercato interno e l'adeguato sviluppo della società dell'informazione nell'Unione, in particolare per quanto riguarda i "dati dinamici" (ossia i documenti in formato digitale, soggetti ad aggiornamenti frequenti o in tempo reale, a causa della loro volatilità o rapida obsolescenza, compresi i dati generati da sensori).
Sono esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva:
· i documenti la cui fornitura è un'attività che esula dall'ambito dei compiti di servizio pubblico degli enti pubblici in questione;
· i documenti connessi ad attività direttamente esposte alla concorrenza e, di conseguenza, a norma dell'art. 34 della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, non soggetti alle norme in materia di appalti;
· i documenti su cui terzi detengono diritti di proprietà intellettuale;
· i documenti, come i dati sensibili, esclusi dall'accesso in virtù dei regimi di accesso nello Stato membro anche per motivi di tutela della sicurezza nazionale, riservatezza statistica o commerciale;
· i documenti il cui accesso è escluso o limitato per motivi di protezione delle informazioni sensibili relative alle infrastrutture critiche;
· i documenti il cui accesso è limitato in virtù dei regimi di accesso vigenti negli Stati membri, compresi i casi in cui i cittadini o le persone giuridiche devono dimostrare un interesse particolare.
La direttiva non si applica inoltre a: logotipi, stemmi e distintivi; documenti il cui accesso è escluso o limitato in virtù dei regimi di accesso per motivi di protezione dei dati personali; documenti in possesso delle emittenti di servizio pubblico e delle società da esse controllate per l'adempimento di un compito di radiodiffusione di servizio pubblico; documenti in possesso di enti culturali diversi dalle biblioteche, dai musei e dagli archivi; documenti in possesso di istituti di istruzione secondaria e inferiore; documenti in possesso di organizzazioni che svolgono o finanziano attività di ricerca.
La direttiva si basa sul principio generale secondo cui i dati pubblici e finanziati con fondi pubblici dovrebbero essere riutilizzabili a fini commerciali o non commerciali.
La direttiva disciplina il trattamento delle richieste di utilizzo: gli enti pubblici devono esaminare le richieste di riutilizzo e mettere i documenti a disposizione del richiedente, laddove possibile e opportuno per via elettronica o, se è necessaria una licenza, devono mettere a punto l'offerta di licenza per il richiedente entro un lasso di tempo ragionevole e coerente con quello previsto per l'esame delle richieste di accesso ai documenti.
Gli Stati membri sono a loro volta tenuti a definire disposizioni pratiche per facilitare l'effettivo riutilizzo dei documenti. In particolare, tali disposizioni possono includere i mezzi per fornire informazioni pertinenti sui diritti di cui alla presente direttiva e per offrire assistenza e orientamenti adeguati.
Per quanto riguarda le condizioni di riutilizzo, la direttiva dispone che gli enti pubblici e le imprese pubbliche mettano a disposizione i propri documenti in qualsiasi formato o lingua preesistente e, laddove possibile e opportuno, per via elettronica, in formati aperti, leggibili meccanicamente, accessibili, reperibili e riutilizzabili, insieme ai rispettivi metadati.
I dati dinamici devono essere resi disponibili per il riutilizzo immediatamente dopo la raccolta o, in caso di aggiornamento manuale, immediatamente dopo la modifica della serie di dati, tramite un'interfaccia per programmi applicativi (API) e, se del caso, come download in blocco.
Per quanto riguarda i principi di tariffazione, la direttiva specifica che il riutilizzo di documenti è gratuito; può essere tuttavia autorizzato il recupero dei costi marginali sostenuti per la riproduzione, messa a disposizione e divulgazione dei documenti, nonché per l'anonimizzazione di dati personali o per le misure adottate per proteggere le informazioni commerciali a carattere riservato. In via eccezionale, gli enti pubblici che devono generare proventi per coprire una parte sostanziale dei costi inerenti allo svolgimento dei propri compiti di servizio pubblico, le biblioteche (comprese le biblioteche universitarie), i musei, gli archivi e le imprese pubbliche possono applicare tariffe calcolate conformemente ai principi contabili applicabili agli enti pubblici interessati.
Gli Stati membri devono adottare modalità pratiche per facilitare la ricerca dei documenti disponibili per il riutilizzo, come elenchi dei documenti più importanti, insieme ai rispettivi metadati, laddove possibile e opportuno accessibili online e in formati leggibili meccanicamente.
Gli Stati membri devono promuovere la disponibilità dei dati della ricerca adottando politiche nazionali e azioni pertinenti per rendere i dati della ricerca finanziata con fondi pubblici apertamente disponibili ("politiche di accesso aperto"), secondo il principio dell'apertura per impostazione predefinita, e compatibili con i principi "FAIR" (ossia la diffusione di dati della ricerca che siano reperibili, accessibili, interoperabili e riutilizzabili). In tale contesto, occorrerà prendere in considerazione le preoccupazioni in materia di diritti di proprietà intellettuale, protezione dei dati personali e riservatezza, sicurezza e legittimi interessi commerciali, in conformità del principio "il più aperto possibile, chiuso il tanto necessario".
I dati della ricerca saranno riutilizzabili a fini commerciali o non commerciali, nella misura in cui tali ricerche siano finanziate con fondi pubblici e ricercatori, organizzazioni che svolgono attività di ricerca e organizzazioni che finanziano la ricerca li abbiano già resi pubblici attraverso una banca dati gestita a livello istituzionale o su base tematica.
Le condizioni poste per il riutilizzo di documenti non devono comportare discriminazioni per categorie analoghe di riutilizzo, compreso il riutilizzo transfrontaliero. Inoltre i contratti o gli altri accordi fra gli enti pubblici o le imprese pubbliche in possesso dei documenti e terzi non devono stabilire diritti esclusivi.
In casi strettamente definiti in cui la direttiva consente la conclusione di accordi di esclusiva, la loro validità sarà soggetta a revisione periodica e si applicheranno speciali requisiti di trasparenza.
Alla Commissione europea è conferito il potere di adottare atti delegati al fine di modificare l'allegato I ("Elenco delle categorie tematiche di serie di dati di elevato valore") aggiungendovi nuove categorie tematiche di serie di dati di elevato valore per tener conto degli sviluppi tecnologici e di mercato. Le categorie tematiche di tali serie di dati sono le seguenti:
· dati geospaziali;
· dati relativi all'osservazione della terra e all'ambiente;
· dati meteorologici;
· dati statistici;
· dati relativi alle imprese e alla proprietà delle imprese;
· dati relativi alla mobilità.
La Commissione potrà inoltre adottare atti di esecuzione e stabilire un elenco di specifiche serie di dati di elevato valore, appartenenti alle categorie di cui all'allegato I, detenute da enti pubblici e imprese pubbliche.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 17 luglio 2021.
La direttiva genera dalla proposta COM(2018)234 del 25 aprile 2018.
Direttiva (UE) 2019/1151
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, recante modifica della direttiva (UE) 2017/1132 per quanto concerne l'uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario)
La direttiva (UE) 2019/1151 integra le norme esistenti in materia di diritto societario dell’Unione europea codificate nella direttiva (UE) 2017/1132 al fine di garantire l'esistenza di un contesto giuridico e amministrativo adeguato che faccia fronte alle nuove sfide sociali ed economiche della globalizzazione e della digitalizzazione.
La presente direttiva stabilisce disposizioni specifiche relative alla costituzione online di società di capitali, alla registrazione di succursali e alla presentazione di documenti e informazioni da parte di società e succursali ("procedure online"), che non sono contemplate dal regolamento (UE) 2018/1724 che istituisce lo sportello digitale unico.
Le procedure previste dovrebbero consentire l'intero svolgimento della costituzione delle società e della registrazione delle succursali online e facilitare pertanto la costituzione delle società e la registrazione delle loro succursali, riducendo i costi, le tempistiche e gli oneri amministrativi in particolare per micro, piccole e medie imprese (PMI) quali definite nella raccomandazione della Commissione 2003/361/CE.
Le principali modifiche alla direttiva (UE) 2017/1132 sono le seguenti:
- gli Stati membri devono provvedere affinché possano essere utilizzati nelle procedure online i mezzi di identificazione elettronica emessi nell'ambito di un regime di identificazione elettronica approvato dal loro Stato membro, nonché i mezzi di identificazione elettronica emessi in un altro Stato membro e riconosciuti ai fini dell'autenticazione transfrontaliera a norma dell'art. 6 del regolamento (UE) n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (art. 13 ter);
- la direttiva detta le disposizioni generali sulle procedure online e lascia impregiudicate le normative nazionali che, conformemente agli ordinamenti giuridici degli Stati membri e alle loro tradizioni giuridiche, designano le autorità, le persone o gli organismi incaricati a norma del diritto nazionale di trattare ogni aspetto concernente la costituzione online delle società, della registrazione online delle succursali e della presentazione online di documenti e informazioni, purché siano possibili la costituzione online di una società, la registrazione online di una succursale e la presentazione online di documenti e informazioni. Restano inoltre impregiudicati i requisiti previsti dal diritto nazionale applicabile concernenti l'autenticità, l'accuratezza, l'affidabilità, l'attendibilità e la forma giuridica appropriata dei documenti o delle informazioni presentati (art. 13 quater);
- eventuali diritti applicati dai registri per le procedure online non devono superare i costi di recupero di fornitura di tali servizi (art. 13 quinquies);
- gli Stati membri devono assicurare che siano rese disponibili informazioni concise e agevoli, gratuitamente, in almeno una lingua ampiamente compresa dal maggior numero possibile di utenti transfrontalieri, sui portali o sui siti web per la registrazione accessibili mediante lo sportello digitale unico (art. 13 septies);
- gli Stati membri devono provvedere affinché la costituzione delle società possa essere completamente svolta online, senza che i richiedenti debbano comparire di persona dinanzi a un'autorità o a qualsiasi persona o organismo incaricato a norma del diritto nazionale di occuparsi di qualunque aspetto della costituzione online delle società, compresa la redazione dell'atto costitutivo (la presenza fisica dei richiedenti potrà essere richiesta solo se giustificata da motivi di interesse pubblico).
· Gli Stati membri possono tuttavia decidere di non prevedere procedure di costituzione online per i tipi di società diversi da quelli di cui all'allegato II bis, che comprende, per l'Italia, le società a responsabilità limitata e le società a responsabilità limitata semplificata.
· Gli Stati membri sono tenuti a precisare le modalità per la costituzione online delle società, comprese le norme relative all'uso di modelli e i documenti e le informazioni richiesti per la costituzione di una società. Gli Stati membri devono inoltre:
· non subordinare la costituzione online di una società all'ottenimento di una licenza o di un'autorizzazione prima della registrazione stessa, a meno che tale condizione sia indispensabile per la corretta supervisione di cui al diritto nazionale di determinate attività stabilite dal diritto nazionale;
· assicurare che, quando la procedura di costituzione di una società prevede il versamento del capitale sociale, il pagamento possa essere effettuato per mezzo di un servizio di pagamento online, su un conto bancario della banca che opera nell'Unione. Devono inoltre provvedere a che anche la prova di tali pagamenti possa essere fornita online;
· assicurare che la costituzione online sia completata entro cinque giorni lavorativi, laddove la società sia costituita esclusivamente da persone fisiche che utilizzino i modelli per la costituzione online di società, oppure dieci giorni lavorativi negli altri casi (art. 13 octies);
- gli Stati membri devono mettere a disposizione, per i tipi di società elencati nell'allegato II bis, i modelli per la costituzione online delle società sui portali o sui siti web per la registrazione garantendone l'accessibilità mediante lo sportello digitale unico. Possono altresì mettere a disposizione online modelli per la costituzione di altri tipi di società. La direttiva non pregiudica il requisito, ai sensi del diritto nazionale, che gli atti costitutivi siano redatti in forma di atto pubblico, purché la costituzione online rimanga possibile (art. 13 nonies);
- gli Stati membri devono assicurare che le informazioni e i documenti societari possano essere presentati online presso il registro entro i termini previsti dalle leggi dello Stato membro in cui la società è registrata (art. 13 undecies);
- in ciascuno Stato membro deve essere costituito un fascicolo presso un registro centrale, presso il registro di commercio o presso il registro delle imprese per ogni società iscritta. Le società dovranno disporre di un identificativo unico europeo ("EUID"), che consenta di identificarle inequivocabilmente nelle comunicazioni tra registri attraverso "il sistema di interconnessione dei registri". Tale identificativo unico comprenderà, quanto meno, gli elementi che consentono di identificare lo Stato membro del registro, il registro nazionale d'origine e il numero di iscrizione della società in tale registro e, laddove ritenuto opportuno, elementi atti a evitare errori di identificazione. Tutti i documenti e le informazioni soggetti a obbligo di pubblicità dovranno essere inseriti nel fascicolo o trascritti direttamente nel registro. Gli Stati membri devono provvedere affinché i documenti e le informazioni in questione che sono stati registrati su supporto cartaceo prima del 31 dicembre 2006 siano convertiti in formato elettronico dal registro alla ricezione di una richiesta di pubblicità per via elettronica (art. 16);
- gli Stati membri devono assicurare che copie di tutti i documenti e le informazioni inseriti nel fascicolo o di parti di essi possano essere ottenute dal registro su richiesta e che tali richieste possano essere presentate al registro in forma cartacea o elettronica. Gli Stati membri possono tuttavia decidere che alcuni tipi o parti dei documenti e delle informazioni presentati su supporto cartaceo il 31 dicembre 2006 o anteriormente non vengano ottenuti per via elettronica se è trascorso un determinato lasso di tempo tra la data in cui sono stati presentati e la data della richiesta. Tale periodo non può essere inferiore a 10 anni (art. 16 bis);
- gli oneri previsti per il rilascio dei documenti e delle informazioni attraverso il sistema di interconnessione dei registri non possono essere superiori ai costi amministrativi, compresi i costi dello sviluppo e della manutenzione dei registri (art. 19).
·
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 1° agosto 2021.
Gli Stati membri che incontrino particolari difficoltà nel recepimento della presente direttiva hanno il diritto di beneficiare di una proroga del periodo previsto di massimo un anno, ma dovranno fornire motivi oggettivi e notificare alla Commissione l'intenzione di avvalersi di tale proroga entro il 1° febbraio 2021.
La direttiva genera dalla proposta COM(2018)239 del 25 aprile 2018.
Direttiva (UE) 2019/1152
del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea
La direttiva (UE) 2019/1152 reca disposizioni volte a migliorare le condizioni dei lavoratori nell’UE promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile, attraverso l’introduzione di diritti minimi per i lavoratori e di nuovi obblighi informativi in capo al datore di lavoro in merito alle rispettive condizioni di lavoro.
Ambito di applicazione
La direttiva si applica a tutti i lavoratori nell’UE che hanno un contratto o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE (art. 1). Gli Stati membri hanno facoltà di non applicare gli obblighi stabiliti nella direttiva in esame ai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia caratterizzato da un tempo di lavoro predeterminato ed effettivo di durata pari o inferiore a una media di tre ore a settimana in un periodo di riferimento di quattro settimane consecutive (art. 1).
Obblighi informativi
Il datore di lavoro deve informare i lavoratori per iscritto, al più tardi entro una settimana dal primo giorno di lavoro, degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, tra cui (artt. 4 e 5):
§ le identità delle parti del rapporto di lavoro;
§ il luogo di lavoro e la natura dell’impiego;
§ la data di inizio e, se si tratta di un rapporto di lavoro a tempo determinato, la data di fine;
§ la durata e le condizioni del periodo di prova, se previsto;
§ ogni elemento costitutivo della retribuzione, nonché la periodicità e le modalità di pagamento;
§ la durata normale della giornata o della settimana di lavoro, se prevedibile. Se non prevedibile, il lavoratore deve essere informato riguardo, tra l’altro, al principio che la programmazione del lavoro è variabile, all’ammontare delle ore retribuite garantite e alla retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta a dette ore garantite, nonché al periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell’inizio di un incarico.
Le seguenti informazioni, invece, devono essere rese entro un mese dal primo giorno di lavoro:
§ nel caso di lavoratori tramite agenzia interinale, l’identità delle imprese utilizzatrici (quando e non appena è nota);
§ il diritto alla formazione;
§ la durata del congedo retribuito;
§ i contratti collettivi che disciplinano le condizioni di lavoro del lavoratore;
§ la procedura e i periodi di preavviso in caso di cessazione del rapporto di lavoro o le modalità di determinazione di detti periodi di preavviso;
§ ove la responsabilità incomba al datore di lavoro, l’identità delle istituzioni di sicurezza sociale che ricevono i contributi sociali.
Eventuali modifiche degli elementi del rapporto di lavoro e delle informazioni supplementari per i lavoratori in missione in un altro Stato membro o in un paese terzo (di cui all’art. 7) devono essere comunicate dal datore di lavoro al lavoratore, in forma scritta, quanto prima e, al più tardi, il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica (art. 6).
Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro
La direttiva riconosce una serie di diritti minimi in favore dei lavoratori. In particolare:
§ non può essere previsto un periodo di prova superiore a sei mesi, a meno che questo non sia giustificato dalla natura dell’impiego o sia nell’interesse del lavoratore. Nel caso di rapporti di lavoro a tempo determinato, la durata del periodo di prova deve essere proporzionata alla durata del rapporto di lavoro (art. 8);
§ al di fuori di casi di incompatibilità, al lavoratore deve essere consentito di accettare impieghi presso altri datori di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro, senza che questo comporti un trattamento sfavorevole (art. 9);
§ se l’organizzazione del lavoro è interamente o in gran parte imprevedibile, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore un incarico di lavoro a meno che non siano soddisfatte determinate condizioni (art. 10);
§ nel caso in cui sia consentito l’utilizzo di contratti a chiamata, gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per prevenire pratiche abusive (art. 11);
§ il lavoratore con almeno sei mesi di servizio può chiedere una forma di lavoro con condizioni più prevedibili e sicure (art. 12);
§ qualora il datore di lavoro sia tenuto ad erogare la formazione, essa deve essere gratuita per il lavoratore (art. 13).
Nel rispetto della protezione generale dei lavoratori, gli Stati membri possono consentire alle parti sociali di concludere contratti collettivi che stabiliscano condizioni di lavoro diverse da quelle sopra elencate.
Tutela del lavoratore
Gli Stati membri devono:
§ garantire che qualora un lavoratore non abbia ricevuto le informazioni pertinenti a tempo debito questi abbia accesso ad almeno uno dei due seguenti sistemi (art. 15):
- beneficiare delle presunzioni favorevoli che i datori di lavoro hanno la possibilità di confutare;
- sporgere denuncia a un’autorità o a un organo competente e ricevere un’adeguata riparazione in modo tempestivo ed efficace;
§ assicurarsi che i lavoratori, compresi coloro il cui rapporto di lavoro è cessato, abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso (art. 16);
§ proteggere i lavoratori da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro e da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato al datore di lavoro o da un procedimento promosso al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui alla direttiva in esame (art. 17);
§ adottare le misure necessarie per vietare il licenziamento di lavoratori per il fatto che questi abbiano esercitato i diritti previsti dalla direttiva in esame (art. 18).
Si demanda agli Stati membri la definizione delle sanzioni – che devono essere effettive, proporzionate e dissuasive - applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva (art. 19).
Viene inoltre specificato che la direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri (art. 21).
Il termine per il recepimento della direttiva è posto al 1° agosto 2022.
La direttiva genera dalla proposta di direttiva di cui al COM (2017)797.
Direttiva (UE) 2019/1153
del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 sull’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati, e che abroga la decisione 2000/642/GAI del Consiglio
La direttiva (UE) 2019/1153 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, entrata in vigore il 1° agosto 2019, reca disposizioni per agevolare l’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati.
Essa mira inoltre a rafforzare la collaborazione tra gli organi investigativi e le Unità di informazione finanziaria (UIF), nel rispetto dei principi di indipendenza operativa di queste ultime. Il provvedimento disciplina gli scambi informativi tra UIF, organi investigativi nazionali ed Europol, per consentire l’uso più esteso possibile delle informazioni e delle analisi finanziarie prodotte dalle UIF a supporto di indagini per reati gravi, categoria più ampia di quella dei reati presupposto associati al riciclaggio.
In particolare, all’interno del Capo I della direttiva (che contiene le disposizioni generali), l’articolo 2 indica le definizioni rilevanti, tra cui quelle di “informazioni finanziarie”, “informazioni sui conti bancari” e “registri centralizzati dei conti bancari”. Questi ultimi sono i meccanismi automatici centralizzati, quali registri centrali o sistemi elettronici centrali di reperimento dei dati, che consentano l'identificazione tempestiva di qualsiasi persona fisica o giuridica che detenga o controlli conti di pagamento, conti bancari identificati dall'IBAN e cassette di sicurezza detenuti da un ente creditizio nel loro territorio.
In Italia le informazioni sui conti bancari sono contenute nell’Anagrafe tributaria (istituita ai sensi dell’articolo 7 del D.P.R. n. 605 del 1973), all’interno della sezione speciale dell’archivio dei rapporti con operatori finanziari.
Occorre ricordare in questa sede che le definizioni rilevanti comprendono anche quella di “reato grave”, inteso come l’insieme di reati indicati all’Allegato I del regolamento Europol, regolamento (UE) 2016/794.
Tale elenco comprende, oltre al riciclaggio, anche:
- terrorismo,
- criminalità organizzata,
- traffico di stupefacenti,
- criminalità nel settore delle materie nucleari e radioattive,
- organizzazione del traffico di migranti,
- tratta di esseri umani,
- criminalità connessa al traffico di veicoli rubati,
- omicidio volontario e lesioni personali gravi,
- traffico illecito di organi e tessuti umani,
- rapimento, sequestro e presa di ostaggi,
- razzismo e xenofobia,
- rapina e furto aggravato,
- traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d'antiquariato e le opere d'arte,
- truffe e frodi,
- reati contro gli interessi finanziari dell'Unione,
- abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato finanziario,
- racket e estorsioni,
- contraffazione e pirateria in materia di prodotti,
- falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi,
- falsificazione di monete e di altri mezzi di pagamento,
- criminalità informatica,
- corruzione,
- traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi,
- traffico illecito di specie animali protette,
- traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette,
- criminalità ambientale, compreso l'inquinamento provocato dalle navi,
- traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita,
- abuso e sfruttamento sessuale, compresi materiale pedopornografico e adescamento di minori per scopi sessuali,
- genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra.
Ai sensi dell’articolo 3, gli Stati membri devono designare, entro il 2 dicembre 2021, tra le proprie autorità competenti a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di reati:
- quelle abilitate ad accedere al suo registro nazionale centralizzato dei conti bancari;
- quelle che possono richiedere e ricevere informazioni finanziarie o analisi finanziarie dalle UIF.
Il Capo II della direttiva concerne l’accesso delle autorità competenti alle informazioni sui conti bancari.
Più in dettaglio, l’articolo 4 disciplina l’accesso e la consultazione delle informazioni sui conti bancari da parte delle autorità competenti. Gli Stati membri devono provvedere affinché le autorità nazionali competenti siano abilitate ad accedere alle informazioni sui conti bancari e consultarle, direttamente e immediatamente, quando ciò è necessario per svolgere i loro compiti a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di un reato grave o per sostenere un’indagine penale relativa ad un reato grave, inclusi l’identificazione, il reperimento e il congelamento dei beni connessi a tale indagine.
In sostanza la direttiva espande il perimetro di utilizzo delle informazioni afferenti i conti bancari, consentendo l’impiego di tali dati anche in settori ulteriori rispetto a quelli tradizionali (lotta all’evasione fiscale internazionale e riciclaggio di denaro).
Sono poi regolate in dettaglio (articolo 5) le condizioni per l’accesso e per la consultazione da parte delle autorità competenti: accesso e consultazione devono essere eseguiti unicamente da personale di ciascuna autorità competente che sia stato specificamente designato e autorizzato a svolgere tali compiti e devono essere predisposte misure tecniche e organizzative atte a garantire la sicurezza dei dati con elevati standard tecnologici. Si prevede poi una forma di controllo (articolo 6) dell’accesso e delle consultazioni effettuati dalle autorità competenti, attraverso forme di conservazione dell’accesso mediante registrazioni.
Il Capo III della direttiva si occupa dello scambio di informazioni tra le autorità competenti e le UIF e tra le UIF medesime, prevedendo un sistema di richiesta di informazioni da parte delle autorità competenti alle UIF (articolo 7) e salvaguardando l’eventuale impatto di una richiesta informativa sulle indagini in corso. Ove, infatti, sussistano ragioni oggettive per supporre che la comunicazione delle informazioni in questione abbia un impatto negativo su indagini o analisi in corso o, in circostanze eccezionali, qualora la comunicazione delle informazioni sia palesemente sproporzionata rispetto agli interessi legittimi di una persona fisica o giuridica oppure non sia pertinente agli scopi per cui è stata richiesta, la UIF non è in alcun modo tenuta a soddisfare la richiesta di informazioni. Si chiarisce che la decisione di comunicare le informazioni spetta alla UIF.
Ai sensi dell’articolo 8, possono essere richieste informazioni alle autorità competenti da parte di una UIF; l’articolo 9 disciplina la procedura di scambio di informazioni tra le UIF di diversi Stati membri e l’articolo 10 quello tra le autorità competenti di diversi Stati membri.
Il Capo IV disciplina lo scambio di informazioni con Europol, l'Ufficio europeo di polizia.
In particolare, ogni Stato membro deve adottare le necessarie iniziative affinché le proprie autorità competenti siano autorizzate a rispondere, tramite l'unità nazionale Europol o eventualmente tramite contatti diretti con Europol, a richieste debitamente motivate di informazioni sui conti bancari (articolo 11).
In merito, la direttiva richiama l'applicazione dell'art. 7, paragrafi 6 e 7, del Regolamento UE 2016/794. Ne consegue che ogni Stato membro, tramite la propria unità nazionale o un'autorità competente, provvede in particolare a:
a) fornire a Europol le informazioni necessarie per il conseguimento dei suoi obiettivi, comprese le informazioni relative alle forme di criminalità la cui prevenzione o lotta sono considerate prioritarie dall'Unione;
b) garantire l'effettiva comunicazione e cooperazione con Europol di tutte le autorità nazionali competenti interessate;
c) promuovere la conoscenza delle attività di Europol;
d) garantire che la fornitura di informazioni a Europol abbia luogo nel rispetto del diritto nazionale.
Gli Stati membri non sono tenuti, in singoli casi concreti, a fornire le indicate informazioni qualora ciò:
a) sia contrario agli interessi essenziali della sicurezza dello Stato membro in questione;
b) comprometta il successo di indagini in corso o la sicurezza di una persona; oppure
c) implichi la divulgazione di informazioni riguardanti servizi o specifiche attività di intelligence nel settore della sicurezza nazionale.
Tuttavia, gli Stati membri hanno l'obbligo di fornire le informazioni non appena queste non rientrino più nell'ambito delle citate ipotesi di esclusione.
Per quanto concerne le modalità dello scambio, le informazioni devono avvenire in conformità a quanto previsto dal Regolamento UE 2016/794 per via elettronica (articolo 13).
Quanto agli obblighi in materia di protezione dei dati personali relativi alle informazioni sui conti bancari, alle informazioni finanziarie e alle analisi finanziarie, il relativo trattamento deve essere eseguito conformemente al Regolamento UE 2016/794, sulla cooperazione con Europol, esclusivamente dal personale specificamente designato e autorizzato a svolgere tali compiti (articolo 14).
Più ampiamente il Capo V si occupa della tutela dati personali, con particolare riferimento ai c.d. dati sensibili (articolo 16).
Si tratta dei dati personali che rivelano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni filosofiche o religiose, l’appartenenza sindacale, i dati riguardanti lo stato di salute oppure la vita sessuale o l’orientamento sessuale di una persona fisica; l’accesso a tali dati è consentito solo nel rispetto di specifiche adeguate garanzie per i diritti e le libertà dell’interessato.
Si segnala che, ai sensi dell’articolo 18 della direttiva, gli Stati membri possono adottare misure legislative volte a limitare, in tutto o in parte, il diritto di accesso dell’interessato ai dati personali che lo riguardano trattati nell’ambito della direttiva in conformità a quanto previsto dalla normativa sulla privacy.
Si ricorda, infatti, che l’art. 23 del cd. GDPR, Regolamento (UE) 2016/679 e l’art. 15, par. 1, della direttiva (UE) 2016/680 (relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati), consentono agli Stati di adottare misure legislative volte a limitare, in tutto o in parte, il diritto di accesso dell’interessato ai dati personali che lo riguardano, purché la limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e rappresenti una misura necessaria e proporzionata per salvaguardare alcuni specifici interessi pubblici (dalla sicurezza nazionale alla sicurezza pubblica, dalla difesa alla prevenzione dei reati, ecc..).
Il Capo VI contiene le disposizioni finali, tra cui si prevede (articolo 19) un sistema di monitoraggio dell’efficacia dei sistemi nazionali di lotta contro i reati gravi. Viene chiarito (articolo 20) che la direttiva non osta a che gli Stati membri mantengano o concludano accordi o intese bilaterali o multilaterali sullo scambio di informazioni tra autorità competenti, purché tali accordi e intese siano compatibili con il diritto dell’Unione, in particolare con la presente direttiva. Né la direttiva pregiudica gli obblighi e gli impegni degli Stati membri o dell’Unione ai sensi di accordi bilaterali o multilaterali vigenti conclusi con paesi terzi.
L’articolo 23 fissa il termine di recepimento al 1° agosto 2021; la direttiva è entrata in vigore nel mese di agosto 2019 (articolo 25).
Viene abrogata (articolo 24) la decisione 2000/642/GAI del Consiglio, concernente le modalità di cooperazione tra le unità di informazione finanziaria degli Stati membri per quanto riguarda lo scambio di informazioni.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2018) 213 del 18 aprile 2018.
Direttiva (UE) 2019/1158
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE
La direttiva (UE) 2019/1158 stabilisce prescrizioni minime relative al congedo di paternità, al congedo parentale, al congedo per prestatori di assistenza e a modalità di lavoro flessibili per i lavoratori che sono genitori o prestatori di assistenza.
Si mira così ad affrontare le sfide che sorgono a seguito dei cambiamenti demografici - che fanno prevedere un aumento delle esigenze in termini di assistenza informale - e a facilitare la conciliazione tra lavoro e vita familiare. La crescente prevalenza di orari di lavoro prolungati e di orari di lavoro su turni, infatti, ha un impatto negativo sull'occupazione femminile. Il testo in esame è quindi anche volto a contribuire a conseguire gli obiettivi dei Trattati istitutivi in materia di parità tra uomini e donne (Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, articolo 153, par. 1, lett. i); Trattato sull'Unione europea, articolo 3, par. 3).
Per espressa previsione dell'articolo 2, il testo in esame "si applica a tutti i lavoratori, uomini e donne, che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro", tenendo altresì conto della giurisprudenza della Corte di giustizia.
La direttiva dispone diritti individuali relativi a:
1) congedo di paternità, della durata di dieci giorni lavorativi, da usufruire in occasione della nascita di un figlio. Non è subordinato ad anzianità lavorativa o di servizio ed è concesso "a prescindere dallo stato civile o di famiglia del lavoratore" (articolo 4). L'eventuale flessibilità delle modalità di fruizione è rimessa agli Stati membri. L'articolo 8, par. 2, prevede una retribuzione o indennità "almeno equivalente a quello che il lavoratore interessato otterrebbe in caso di (...) motivi connessi al suo stato di salute, entro i limiti di un eventuale massimale stabilito dal diritto nazionale";
2) congedo parentale, della durata di quattro mesi, da sfruttare prima che il bambino raggiunga una determinata età, non superiore agli otto anni. La fruizione è subordinata ad un "ragionevole" periodo di preavviso da dare al datore di lavoro (articolo 5, par. 1-3).
Ai sensi dell'articolo 8, par. 3, il lavoratore riceve una retribuzione o indennità "definita dallo Stato membro o dalle parti sociali" e "stabilita in modo da facilitare il ricorso al congedo parentale da parte di entrambi i genitori".
L'articolo 5 dà agli Stati membri la facoltà di:
- subordinare il diritto ad una determinata anzianità lavorativa o di servizio, comunque non superiore a un anno (par. 4);
- definire le circostanze in cui un datore di lavoro è autorizzato a rinviarne la concessione per iscritto per un periodo ragionevole - a norma del diritto, dei contratti collettivi o delle prassi nazionali - in caso di grave compromesso al buon funzionamento dell'organizzazione (par. 5).
Spetta inoltre agli Stati membri:
- garantire che la richiesta di fruire del congedo parentale possa avvenire anche secondo modalità flessibili (par. 6);
- valutare la necessità di adeguare le condizioni di accesso al congedo parentale e le sue modalità di applicazione alle esigenze dei genitori adottivi, dei genitori con disabilità e dei genitori di figli con disabilità o malattie a lungo decorso (par. 8);
3) congedo per prestatori di assistenza, di cinque giorni lavorativi all'anno, subordinato alla presentazione di adeguata attestazione. Resta salva la facoltà degli Stati membri di assegnare il congedo "sulla base di un periodo di riferimento diverso da un anno, per singola persona che necessità assistenza o sostegno o per singolo caso" (articolo 6).
In forza dell'articolo 7, gli Stati membri sono incaricati di adottare le misure necessarie per garantire che ogni lavoratore abbia il diritto di assentarsi dal lavoro per cause di forza maggiore derivanti da ragioni familiari urgenti "in caso di malattie o infortuni che ne rendano indispensabile l'immediata presenza".
4) modalità di lavoro flessibili per lavoratori che siano genitori (con figli di età non inferiore a otto anni) o prestatori di assistenza, la cui durata può essere soggetta a una limitazione "ragionevole". Le relative richieste vengono prese in considerazione dai datori di lavoro, i quali rispondono "entro un periodo di tempo ragionevole alla luce sia delle proprie esigenze sia di quelle del lavoratore", motivando eventuali rifiuti o richieste di rinvio. Il diritto può essere subordinato a una determinata anzianità lavorativa o di servizio, comunque non superiore a sei mesi.
Il testo in esame tutela ulteriormente i diritti dei lavoratori che usufruiscono dei sopra menzionati congedi o delle modalità di lavoro flessibili stabilendo in modo esplicito che:
1) i diritti acquisiti o in via di acquisizione restano immutati fino alla fine del congedo o delle assenze (articolo 10, par. 1);
2) al termine dei congedi i lavoratori hanno diritto di riprendere il loro posto di lavoro o uno equivalente secondo termini e condizioni che non siano meno favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro a cui avrebbero avuto diritto se non avessero fruito del congedo (articolo 10, par. 2);
3) è vietata ogni discriminazione (articolo 11);
4) ne è vietato il licenziamento. In caso di contestazioni, l'onere della prova incombe sul datore di lavoro (articolo 12).
Ulteriori disposizioni della direttiva in oggetto incaricano gli Stati membri di:
1) stabilire le sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva (articolo 13);
2) proteggere i lavoratori, nonché i loro rappresentanti, da qualsiasi trattamento o conseguenza sfavorevole derivante da reclami o procedure giudiziarie promosse ai sensi delle norme in commento (articolo 14);
3) assicurare la competenza di organismi nazionali per la parità per le questioni connesse alla discriminazione che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva in oggetto (articolo 15);
4) divulgare su tutto il territorio nazionale a datori di lavoro e lavoratori il contenuto delle disposizioni in commento (articolo 17).
Rimane ferma la facoltà, per gli Stati membri, di "introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli ai lavoratori rispetto a quelle stabilite nella presente direttiva" (articolo 16).
Il termine per il recepimento è fissato al 2 agosto 2022. Per la retribuzione o l'indennità corrispondente alle ultime due settimane di congedo parentale è stabilito il diverso termine del 2 agosto 2024 (articolo 20).
La Commissione europea è incaricata di redigere una relazione sull'attuazione della direttiva in oggetto, destinata a Parlamento europeo e Consiglio, basandosi su dati che gli Stati membri dovranno mettere a disposizione entro il 2 agosto 2027. La relazione potrà essere accompagnata da una proposta legislativa (articolo 18).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2017) 253.
Il 13 settembre 2017 l'XI Commissione permanente della Camera dei deputati ha adottato una risoluzione favorevole con osservazioni.
Il 14 dicembre 2017 la Commissione europea ha inviato una risposta.
Il 20 giugno 2017 l'11a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha approvato sulla proposta una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 209 della XVII Legislatura).
Il 10 ottobre 2017 la Commissione europea ha inviato una risposta.
Direttiva (UE) 2019/1159
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, recante modifica della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare e che abroga la direttiva 2005/45/CE riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare
La direttiva (UE) 2019/1159 adegua il diritto dell'Unione alle recenti proposte di revisione della Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi (SCTW), conclusa sotto gli auspici dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO).
La Convenzione, originariamente conclusa nel 1978 ed entrata in vigore nel 1984, è stata oggetto di una prima revisione approfondita nel 2010; nel 2015 e nel 2016 sono state approvate ulteriori modifiche - che si vuole col provvedimento in titolo introdurre nel diritto dell'Unione - relative ai requisiti relativi alla formazione e alle qualifiche della gente di mare.
Poiché il diritto dell'Unione è stato adeguato alla Convenzione SCTW con la direttiva 2008/106/CE, il testo in esame modifica la direttiva del 2008 apportandovi le seguenti, principali modifiche:
1) il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare, con riferimento a certificati: di addestramento e prove documentali, in formato cartaceo o digitale (nuovo articolo 5-ter, par. 1); di competenza o di addestramento a comandanti e ufficiali (par. 2); medici (par. 3). Le relative decisioni devono essere emesse "entro un periodo di tempo ragionevole" e devono poter essere appellabili (par. 4);
2) il riconoscimento, su iniziativa degli Stati membri ad opera della Commissione europea, dei certificati della gente di mare rilasciati da paesi terzi. Ai sensi del nuovo articolo 19, par. 2, lo Stato che intende riconoscere - mediante convalida - i certificati di competenza o di addestramento rilasciati da un paese terzo a un comandante, ufficiale o radiooperatore, presenta alla Commissione la domanda di riconoscimento del Paese terzo interessato. Tale istanza deve essere accompagnata da un'analisi preliminare della conformità del Paese terzo ai requisiti della Convenzione SCTW. La Commissione è incaricata di esaminare "senza ritardo" la richiesta e di decidere nel merito, con atti di esecuzione. Nelle more, lo Stato membro ha facoltà di riconoscere unilateralmente il paese terzo secondo le modalità descritte nel par. 3, c. 3 dell'articolo 19;
3) il riesame, da parte della Commissione europea, della qualificazione dei paesi terzi:
- nel caso in cui per un periodo superiore a otto anni non vi siano state convalide emesse da uno Stato membro che attestano il riconoscimento di certificati di competenza o addestramento (articolo 20, nuovo par. 8);
- al fine di verificare se essi continuino a soddisfare i criteri posti dalla Convenzione e se siano state adottate misure atte a prevenire l'emissione di certificati fraudolenti. Tale verifica viene condotta "regolarmente, ed almeno entro dieci anni dall'ultima valutazione", con l'assistenza dell'Agenzia europea per la sicurezza marittima (articoli 21, nuovi par. 1 e 2);
4) la previsione di un rapporto di valutazione, che la Commissione dovrà redigere entro il 2 agosto 2024 (nuovo articolo 26). Tale rapporto dovrà contenere suggerimenti riguardo possibili azioni da adottare, analizzando l'attuazione del regime di reciproco riconoscimento dei certificati ed eventuali sviluppi riguardo sia ai certificati digitali per gente di mare a livello internazionale sia ad eventuali diplomi di eccellenza europei per gente di mare, sulla base di raccomandazioni formulate dalle parti sociali.
Il termine per il recepimento è fissato al 2 agosto 2021.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2018) 315.
Direttiva (UE) 2019/1160
(del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che modifica le direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE per quanto riguarda la distribuzione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo)
La direttiva (UE) 2019/1160 si inserisce nel quadro delle iniziative di revisione del Piano di azione per l'Unione dei Mercati dei Capitali assunte dall'Unione europea nel marzo 2018. Il Piano mira a ridurre la frammentazione del mercato interno dei capitali attraverso la rimozione degli ostacoli di tipo normativo. Infatti, nonostante gli sforzi compiuti, il mercato UE dei fondi di investimento è ancora prevalentemente organizzato su base nazionale: il 70% delle attività è gestito da fondi registrati esclusivamente per la vendita nel mercato nazionale, mentre soltanto il 37% degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e circa il 3% dei fondi di investimento alternativi (FIA) sono registrati per la vendita in più di tre Stati membri.
La direttiva ha l'obiettivo di facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento rendendola meno costosa e riducendo gli attuali ostacoli normativi, consentendo ai gestori di distribuire e in alcuni casi di gestire i propri fondi sul territorio europeo, pur garantendo la tutela degli investitori.
La direttiva va letta congiuntamente al regolamento (UE) 2019/1156 del Parlamento europeo e del Consiglio, il quale fissa norme e procedure supplementari relative agli OICVM e ai gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA).
In particolare, la direttiva (UE) 2019/1160 modifica le direttive 2009/65/CE (c.d. UCITS, acronimo inglese per OICVM) e 2011/61/UE (c.d. AIFMD, acronimo inglese per GEFIA) che mirano anch'esse a creare un mercato unico dei fondi di investimento facilitandone la distribuzione transfrontaliera, ma che sono considerate onerose o poco chiare anche a causa della sovra-regolamentazione che hanno determinato al momento del recepimento negli ordinamenti nazionali.
Le modifiche riguardano innanzitutto l'abrogazione della disciplina in materia di comunicazioni di marketing, confluita nel regolamento (UE) 2019/1156 al fine di rafforzarne i principi attraverso l'estensione dei principi medesimi ai GEFIA in modo da assicurare un livello elevato di tutela degli investitori a prescindere dalla categoria.
In secondo luogo, sono aggiornate le norme e precisati i requisiti per mettere a disposizione degli investitori al dettaglio le strutture organizzative stabili con presenza fisica di personale a livello locale, fermo rimanendo l'obbligo di garantire che gli investitori abbiano accesso alle informazioni che hanno diritto di ricevere. Le disposizioni della direttiva 2009/65/CE che impongono agli OICVM di fornire strutture agli investitori, come attuate in taluni ordinamenti nazionali, si sono, infatti, rivelate onerose. Inoltre, le strutture locali sono raramente utilizzate dagli investitori nel modo previsto dalla direttiva. Il metodo preferito di contatto è cambiato ed è ora costituito dall'interazione diretta tra gli investitori e i gestori del fondo, per via elettronica o per telefono, mentre i pagamenti e i rimborsi sono effettuati mediante altri canali. Tali strutture sono attualmente utilizzate a fini amministrativi, ad esempio per la riscossione transfrontaliera di spese e oneri regolamentari, ossia per scopi per i quali dovrebbero essere utilizzati altri mezzi, compresa la cooperazione tra autorità competenti. È previsto inoltre che i requisiti relativi alle strutture siano rispettati anche dai GEFIA autorizzati dagli Stati membri a commercializzare quote o azioni di FIA presso gli investitori al dettaglio nel loro territorio. Ciò al fine di garantire il trattamento uniforme degli investitori al dettaglio.
Un ulteriore modifica riguarda le disposizioni contenute nelle direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE in materia di notifica e di c.d. "de-notifica" (ritiro della notifica delle disposizioni adottate per la commercializzazione). Il quadro normativo delineato dalle due direttive, infatti, è caratterizzato dall'assenza di condizioni chiare e uniformi per la cessazione della commercializzazione di quote o azioni degli OICVM o dei FIA nello Stato membro ospitante. Ciò crea di conseguenza incertezza economica e giuridica per i gestori dei fondi. Le nuove disposizioni mirano a riconciliare, da un lato, la capacità degli organismi di investimento collettivo o dei rispettivi gestori di porre fine alle loro disposizioni adottate per la commercializzazione delle rispettive azioni o quote quando sono rispettate le condizioni previste e, dall'altro, gli interessi detenuti in tali organismi dagli investitori. Le nuove disposizioni evitano inoltre che la cessazione della commercializzazione degli OICVM e dei FIA comporti un costo per gli investitori o ne riduca la tutela, in particolare per quanto riguarda il diritto a informazioni accurate sull'attività che i fondi continuano a svolgere.
La direttiva in esame, infine, introduce nella direttiva 2011/61/UE una disciplina in tema di "pre-commercializzazione" al fine di permettere ai gestori di svolgere ricerche di mercato in un potenziale Stato ospitante, pur adottando cautele atte a evitare un aggiramento degli obblighi di notifica per la commercializzazione transfrontaliera. È stata, in particolare, inserita una definizione di pre-commercializzazione secondo cui detta attività può essere svolta esclusivamente nei confronti di potenziali investitori professionali e può riguardare la fornitura di informazioni e comunicazioni su un'idea o una strategia di investimento per sondarne l'interesse per un FIA (o per un suo specifico comparto) non ancora istituito, ovvero - se già istituito - per il quale non è stata espletata la procedura di notifica. In ogni caso, la pre-commercializzazione, in quanto funzionale a sondare il mero interesse in un investimento all'estero, non dovrà consentire agli investitori di assumere impegni in merito all'acquisto delle quote, o azioni, del FIA. Tali modifiche si sono rese necessarie in quanto attualmente i GEFIA si trovano di fronte a divergenze di trattamento in materia di pre-commercializzazione nei vari ordinamenti nazionali, sia per quanto riguarda la definizione di pre-commercializzazione, sia per quanto riguarda le condizioni alle quali essa è consentita.
Il regolamento (UE) 2019/1156, per facilitare la distribuzione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo e che modifica i regolamenti (UE) 345/2013, (UE) 346/2013 e (UE) 1286/2014, integra la direttiva in esame, mirando a rafforzare ulteriormente i principi applicabili alle comunicazioni di marketing fissati dalla direttiva 2009/65/CE, estendendone l'applicazione ai GEFIA e assicurando in tal modo un livello elevato di tutela degli investitori a prescindere dalla categoria. Esso si applica ai gestori di fondi di investimento alternativi, alle società di gestione OICVM, incluso qualsiasi OICVM che non abbia designato una società di gestione di OICVM, ai gestori EuVECA (European Venture Capital Fund) ed EuSEF (European social entrepreneurship funds). Nello specifico, sono previste norme uniformi in materia di pubblicazione delle disposizioni nazionali relative ai requisiti di commercializzazione per gli organismi di investimento collettivo e di comunicazioni di marketing destinate agli investitori, nonché principi comuni in materia di spese e oneri gravanti sui gestori degli organismi di investimento collettivo in relazione alle loro attività transfrontaliere.
In particolare, l'articolo 4 del regolamento stabilisce i requisiti per le comunicazioni di marketing destinate agli investitori in FIA e OICVM.
Al fine di accrescere la trasparenza e la tutela degli investitori, nonché agevolare l'accesso alla normativa sulle comunicazioni di marketing, le autorità competenti pubblicano le relative informazioni sui propri siti web (articolo 5).
Si prevede inoltre l'istituzione presso l'ESMA (European Securities and Markets Authority) di una banca dati centrale contenente le sintesi dei requisiti nazionali per le comunicazioni di marketing (articolo 6).
È attribuita alle autorità competenti la facoltà di procedere a una verifica ex ante delle comunicazioni di marketing al fine di controllarne la conformità al regolamento medesimo (articolo 7).
All'ESMA viene assegnato il compito di raccogliere le informazioni sulle comunicazioni di marketing dalle autorità competenti e di trasmettere periodicamente al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione una relazione (articolo 8).
L'articolo 9 riguarda i principi comuni in materia di spese e oneri, mentre l'articolo 10 prevede che sui siti web delle autorità competenti sia pubblicato l'ammontare delle spese e degli oneri dovuti alle autorità competenti per l'esercizio delle loro funzioni in relazione alla distribuzione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo ovvero il metodo per il computo degli stessi.
L'ESMA è chiamata inoltre a pubblicare sul proprio sito web i collegamenti ipertestuali ai siti delle autorità competenti nazionali, nonché uno strumento interattivo che consenta il calcolo delle spese e degli oneri (articolo 11).
L'articolo 12 prevede l'istituzione presso l'ESMA di una banca dati centrale sulla commercializzazione transfrontaliera degli organismi di investimento collettivo contenente l'elenco di tutti gli OICR (FIA, EuVECA, EuSEF e OICVM) che sono commercializzati in uno Stato membro diverso da quello di origine, dei relativi gestori e degli Stati membri ospitanti.
Per consentire all'ESMA di svolgere adeguatamente i propri compiti, le autorità competenti sono tenute a trasmettere all'ESMA le informazioni sulle notifiche e le lettere di notifiche stesse, nonché qualsiasi modifica di tali informazioni (articolo 13). Il paragrafo 3 dell'articolo 13, inoltre, prevede l'attribuzione all'ESMA e alla Commissione europea del compito di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione prevedendo in tal modo una regolamentazione di livello 2, ritenuta maggiormente in grado di prendere in considerazione le specificità nazionali delle singole realtà nazionali.
Alle autorità competenti nazionali sono attribuiti tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari per l'esercizio delle loro funzioni, compresi quelli sanzionatori (articolo 14).
Gli articoli 15 e 16 modificano i regolamenti riguardanti EuVECA e EuSEF al fine di garantirne la parità di trattamento rispetti agli altri FIA attraverso l'introduzione dei regolamenti stessi di norme in tema di "pre-commercializzazione" che consentono ai gestori di fondi EuVECA e EuSEF di rivolgersi agli investitori per sondare l'interesse per future opportunità di investimento in un fondo EuVECA o EuSEF non ancora istituito o istituito ma non ancora notificato ai fini della commercializzazione.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 2 agosto 2021, data di decorrenza della sua applicazione.
Il regolamento si applica a decorrere dal 1° agosto 2019, a eccezione dell'articolo 4, paragrafi da 1 a 5, in materia di requisiti per la comunicazione di marketing, l'articolo 5, paragrafi 1 e 2, in tema di pubblicazione delle informazioni sui siti web delle autorità competenti, e gli articoli 15 e 16, in tema di "pre-commercializzazione", i quali si applicano dal 2 agosto 2021.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2018) 92 del 12 marzo 2018.
La direttiva (UE) 2019/1161 promuove soluzioni per la mobilità pulita negli appalti pubblici, offrendo una base solida per stimolare la domanda e l'ulteriore diffusione di soluzioni in questo settore. A tale scopo interviene sulla direttiva 2009/33/CE, che, al fine di stimolare il mercato dei veicoli adibiti al trasporto su strada puliti e a basso consumo energetico aveva integrato la normativa dell'Ue sugli appalti pubblici orizzontali e aggiunto criteri di sostenibilità. Tuttavia, in esito ad una valutazione ex-post, la Commissione europea concludeva che la direttiva non aveva dato l'impulso sperato alla diffusione dei veicoli puliti sul mercato, presentando lacune relative all'ambito di applicazione, all'acquisto dei veicoli puliti e alla governance del settore degli appalti di tali veicoli.
La direttiva (UE) 2019/1161 apporta pertanto una serie di modifiche alla direttiva 2009/33/CE.
La prima riguarda il titolo, sostituito con una formulazione che fa un esplicito riferimento al sostegno della mobilità a basse emissioni.
La seconda modifica alla direttiva 2009/33/CE riguarda l'articolo 1, recante l'oggetto e le finalità, che viene sostituito con una formulazione che prevede l'obbligo per gli Stati membri di assicurare che le amministrazioni e gli enti aggiudicatori tengano conto dell'impatto energetico e ambientale negli appalti pubblici relativamente ad alcuni veicoli adibiti a trasporto su strada.
Per evitare di imporre un onere sproporzionato alle autorità pubbliche e agli operatori viene sostituito anche l'articolo 2, relativo deroghe, con un nuovo articolo sulle "esenzioni" che concede agli Stati membri la possibilità di esentare dagli obblighi previsti della direttiva gli appalti di alcuni veicoli con caratteristiche specifiche. Si tratta di: veicoli blindati; ambulanze; autofunebri; veicoli con accesso per sedie a rotelle e gru mobili. Tali tipologie di veicoli si aggiungono a quelle per cui è già prevista una deroga dalla direttiva 2009/33/CE (ossia veicoli progettati e costruiti per essere utilizzati in cantieri edili, cave, infrastrutture portuali o aeorportuali nonché veicoli destinati all'utilizzo da parte delle forze armate, della protezione civile, dei servizi antincendio e delle forze responsabili del mantenimento dell'ordine pubblico).
Viene sostituito inoltre l'articolo 3, relativo all'ambito di applicazione, che risulta esteso al fine di includervi pratiche quali il leasing, la locazione o la vendita a rate nonché i contratti per alcuni servizi. In tal modo viene garantita la copertura di tutte le pratiche di appalto. Sono inoltre inseriti nell'ambito di applicazione anche contratti per i veicoli utilizzati per servizi di ordine pubblico quali il trasporto pubblico terrestre, il trasporto passeggeri su strada, il trasporto non regolare di passeggeri, la raccolta dei rifiuti, i trasporti postali su strada, consegna e trasporto colli e consegna postale. Viene poi specificato che la direttiva si applica ai contratti per i quali l'avviso di gara sia stato pubblicato dopo il 2 agosto 2021. Sono esclusi dall'ambito di applicazione i veicoli progettati e costruiti per eseguire lavori, quali i veicoli per la manutenzione stradale (es. spazzaneve).
Un'ulteriore modifica riguarda l'articolo 4, relativo alle definizioni, che viene sostituito con una nuova formulazione nella quale è inserita la definizione di "veicoli puliti" applicabile ai veicoli leggeri e a quelli pesanti. Per i veicoli leggeri la nuova definizione tiene conto dei requisiti per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e di inquinanti atmosferici in condizioni reali di guida. Per quanto concerne i veicoli pesanti, sono considerati puliti quelli che utilizzano combustibili alternativi in linea con la direttiva 2014/94/CE recante disposizioni sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi. Per tali veicoli, inoltre, è previsto che nel caso si utilizzino biocombustibili liquidi, combustibili sintetici o paraffinici, questi non debbano essere miscelati con i combustibili fossili tradizionali. Il nuovo articolo 4 inserisce inoltre la definizione di "veicoli pesanti a zero emissioni".
Viene poi sostituito l'articolo 5 con un nuovo articolo che definisce obiettivi minimi per gli appalti pubblici di veicoli puliti leggeri e pesanti da conseguire in due periodi di riferimento che terminano al 2025 e al 2030. Per i diversi Stati membri vengono fissati obiettivi diversificati. Per quanto riguarda l'Italia, le percentuali di veicoli puliti (leggeri e pesanti) rispetto al numero totale di veicoli contemplati dai contratti sono: veicoli leggeri puliti, 38,5% al 2025 e al 2030; veicoli pesanti puliti, 10% (autocarri) e 45% (autobus) al 2025; 15% (autocarri) e 65% (autobus) al 2030. Per i periodi successivi, nel caso in cui non vengano fissati nuovi obiettivi, si ripeteranno i medesimi obiettivi al 2030 per periodi quinquennali Agli Stati membri è lasciata la facoltà di applicare obiettivi nazionali o requisiti più rigorosi di quelli fissati dalle tabelle 3 e 4.
Vengono soppressi gli articoli 6 e 7 (rispettivamente sul calcolo dei costi di esercizio e sull'adeguamento al progresso tecnico).
Vengono infine sostituiti gli articoli da 8 a 10 con nuovi articoli che riguardano: lo scambio di conoscenze e migliori prassi (articolo 8); la procedura di comitato (articolo 9); le relazioni e il riesame (articolo 10). In particolare, quest'ultimo prevede, tra l'altro, che: gli Stati membri informino la Commissione europea sulle misure adottate per dare attuazione alla direttiva entro il 2 agosto 2022 e che presentino una relazione in merito entro il 18 aprile 2026 e successivamente ogni tre anni; la Commissione europea presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione entro il 18 aprile 2027 e poi ogni tre anni; la Commissione europea riesamini la direttiva entro il 31 dicembre 2027.
Il termine per il recepimento è fissato al 2 agosto 2021.
La direttiva genera dalla proposta COM(2017)653.
Direttiva (UE) 2019/1936
del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019 che modifica la direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali.
La direttiva (UE) 2019/1936 reca disposizioni di modifica della precedente direttiva 2008/96/CE (sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali), al fine di migliorare la gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali per ridurre il numero e la gravità degli incidenti.
Si ricorda che la direttiva 2008/96/CE oggetto di modifica è stata recepita a livello nazionale dal decreto legislativo n. 35 del 15 marzo 2011, recante “Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture”. Con tale decreto sono state disciplinate, in particolare, le procedure relative alle valutazioni d'impatto sulla sicurezza stradale, ai controlli sulla sicurezza stradale, alla gestione della sicurezza della rete stradale ed alle ispezioni di sicurezza.
Le principali novità recate dalla proposta di direttiva in oggetto riguardano:
§ l’ampliamento dell’ambito di applicazione delle disposizioni della direttiva anche alle autostrade e strade principali al di fuori della rete TEN, nonché a qualsiasi progetto di infrastrutture stradali nelle aree extraurbane completato mediante fondi dell'UE (tale ultima estensione era prevista come mera facoltà dal testo originario dell’art. 1 della direttiva 2008/96/CE);
§ la modifica dell’attività di “ispezione di sicurezza stradale”, al fine di chiarire la natura mirata di questa procedura (v. nuovo punto 7 dell’art. 2 della direttiva 2008/96/CE) e differenziarla dalla nuova procedura di valutazione delle strade a livello di rete (v. infra);
§ la soppressione del metodo della classificazione dei tratti ad elevata concentrazione di incidenti e la sua sostituzione con la nuova procedura di “valutazione della sicurezza stradale a livello di rete” (prevista dal nuovo testo dell’art. 5 della direttiva 2008/96/CE);
§ l’introduzione di un criterio di consequenzialità logica tra le risultanze delle ispezioni di sicurezza stradale e le necessarie attività da porre in essere riferite alla sicurezza stessa (nuovo art. 6-bis della direttiva 2008/96/CE);
§ la previsione (all’interno dell’art. 2) della nuova definizione di “utenti della strada vulnerabili” (vale a dire gli utenti della strada non motorizzati, quali in particolare ciclisti e pedoni, e utilizzatori di veicoli a motore a due ruote), che sono sovrarappresentati negli incidenti stradali mortali o con feriti gravi[53] e che pertanto richiedono una particolare attenzione nell’applicazione delle procedure previste dalla direttiva (come previsto dal nuovo art. 6-ter della direttiva 2008/96/CE);
§ la previsione di un’attività ispettiva sui tratti della rete stradale contigui alle gallerie (le quali sono oggetto della direttiva 2004/54/CE) effettuata in maniera congiunta, con la partecipazione delle entità competenti coinvolte nell'attuazione della direttiva 2008/96/CE e della direttiva 2004/54/CE (nuovo paragrafo 3 dell’art. 6 della direttiva 2008/96/CE);
§ la previsione di nuove attività sulla segnaletica stradale orizzontale e verticale al fine di una migliore riconoscibilità sia per i conducenti umani che per i sistemi automatizzati di assistenza alla guida (come previsto dal nuovo art. 6-quater della direttiva 2008/96/CE);
§ l’obbligo di rendicontazione da parte degli Stati membri, che sono tenuti a presentare relazioni quinquennali (la prima delle quali entro il 31 ottobre 2025) sulla classificazione della sicurezza dell’intera rete valutata secondo la nuova procedura di “valutazione della sicurezza stradale a livello di rete” prevista dal nuovo testo dell’art. 5 (v. nuovo art. 11-bis della direttiva 2008/96/CE);
§ l’integrazione degli allegati in armonia con le nuove disposizioni della direttiva.
Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 17 dicembre 2021.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2018) 274 del 17 maggio 2018.
La direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, entrata in vigore il 16 dicembre 2019, reca disposizioni volte a fornire ai segnalanti (o whistleblowers) una tutela uniforme in tutti gli Stati membri e armonizzata tra i vari settori, introducendo regole comuni che impongano l’adozione di canali di segnalazione efficaci, riservati e sicuri e, al tempo stesso, garantiscano una protezione efficace degli informatori da possibili ritorsioni.
Il Capo I (artt. 1-6) contiene le disposizioni relative all’ambito di applicazione, alle definizioni e alle condizioni di protezione. In particolare l’ambito di applicazione oggettivo è esteso (art. 2) a tutti i casi in cui vengano segnalate violazioni del diritto dell’Unione, definite come atti od omissioni illecite ovvero che vanificano l’oggetto e le finalità di norme dell’Unione relative agli specifici settori individuati nell’allegato alla Direttiva, relativi a settori quali gli appalti pubblici, la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, la sicurezza dei prodotti, la tutela dell’ambiente e la salute pubblica etc..
Per quanto attiene all’ambito di applicazione soggettivo il whistleblower è definito come la persona fisica che segnala o divulga informazioni sulle violazioni acquisite nell’ambito delle sue attività professionali, a prescindere dalla natura di tali attività o del fatto che il rapporto di lavoro sia nel frattempo terminano o non ancora iniziato.
Nello specifico, rientrano tra i segnalanti tutelati dalla Direttiva le persone aventi la qualifica di “lavoratori” ai sensi dell’art. 45 TFUE, ossia le persone che nel settore privato come in quello pubblico forniscono, per un certo periodo di tempo, a favore di terzi e sotto la direzione di questi, determinate prestazioni verso il corrispettivo di una retribuzione. La protezione deve, quindi, essere concessa anche ai lavoratori con contratti atipici, quali quello a tempo parziale e a tempo determinato, nonché a chi ha un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale, ai tirocinanti e ai volontari. Le medesime tutele devono, altresì, essere applicate a lavoratori autonomi, consulenti, subappaltatori e fornitori. Sono, infine, tutelati gli azionisti e le persone negli organi direttivi.
Inoltre la Direttiva (art. 4) impegna gli Stati ad estendere le misure di protezione non soltanto ai segnalanti che lavorano nel settore privato o pubblico, bensì anche ai c.d. facilitatori, ossia coloro che assistono “una persona segnalante nel processo di segnalazione in un contesto lavorativo e la cui assistenza deve essere riservata” (art. 5), ai terzi connessi con le persone segnalanti, quali ad esempio colleghi o familiari, e ai soggetti giuridici collegati al segnalante.
Le tutele previste dalla Direttiva sono concesse nel caso in cui siano segnalate violazioni già commesse o non ancora commesse (ma che molto verosimilmente potrebbero esserlo), atti od omissioni che il segnalante abbia fondati motivi di ritenere violazioni, nonché tentativi di nascondere violazioni. Sono, tuttavia, stabiliti alcuni specifici requisiti per poter accedere alle tutele. Innanzitutto, il segnalante deve avere ragionevoli motivi, alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispone al momento della segnalazione, per ritenere che i fatti che segnala siano veri. Inoltre, è necessario che il segnalante abbia fondati motivi per ritenere che le informazioni segnalate rientrino nell’ambito di applicazione della Direttiva stessa (art. 6).
Il Capo II, contiene le disposizioni relative alle segnalazioni interne e al seguito delle stesse. In particolare si chiede agli Stati di “incoraggiare la segnalazione mediante canali di segnalazione interni prima di effettuare la segnalazione mediante canali di segnalazione esterni” (art. 7). Tale regola, subisce alcune eccezioni, specificamente indicate:
- nel caso in cui non si ritenga che la segnalazione possa essere gestita efficacemente a ‘livello interno’ e sussiste un rischio di ritorsione;
- nel caso in cui è ammissibile una segnalazione diretta ai media in deroga ai canali whistleblowing.
La Direttiva (art. 8) impone l’obbligo di istituire canali di segnalazione interni a tutte le imprese con almeno 50 lavoratori, indipendentemente dalla natura delle loro attività, nonché a tutti i soggetti giuridici del settore pubblico, compresi quelli di proprietà o sotto il controllo degli stessi. L’esenzione delle piccole e medie imprese da tale obbligo non si applica, tuttavia, ai soggetti che operano nel settore dei servizi finanziari esposti a rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo che, pertanto, dovranno istituire canali di segnalazione interni indipendentemente dalle loro dimensioni. Inoltre, a seguito di un’opportuna valutazione del rischio, è riconosciuta agli Stati membri la facoltà di esigere che anche società con un numero di dipendenti inferiore istituiscano canali di segnalazione interna in casi specifici, per esempio a causa dei notevoli rischi che possono derivare dalle loro attività. Nel settore pubblico, invece, l’obbligo di istituire canali whistleblowing potrà essere derogato - a discrezione del singolo Stato membro - per i soli Comuni con meno di 10.000 abitanti.
Quanto alle procedure per la segnalazione interna, sono imposti (art. 9) una serie di requisiti che gli enti devono rispettare, riconoscendo, al tempo stesso, che spetti comunque a ciascun soggetto definire il tipo di canale da istituire. Nello specifico i canali per ricevere le segnalazioni devono essere progettati, realizzati e gestiti in modo sicuro e tale da garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, nonché di eventuali terzi citati nella segnalazione. Al whistleblower deve essere consentito di segnalare per iscritto e di trasmettere le segnalazioni per posta, mediante cassetta per i reclami o piattaforma online o di segnalare oralmente mediante linea telefonica gratuita o altro sistema di messaggistica vocale, o entrambi. Inoltre, su richiesta del segnalante, deve essere possibile effettuare segnalazioni mediante incontri di persona con i soggetti incaricati. Sono altresì imposte determinate tempistiche: entro sette giorni il segnalante deve ricevere un avviso circa il ricevimento della segnalazione stessa e le procedure devono prevedere un termine ragionevole (non superiore a tre mesi) per dare un riscontro alla segnalazione.
I canali di segnalazione possono essere gestiti internamente da una persona o da un servizio designato a tal fine o essere messi a disposizione esternamente da terzi, purché offrano adeguate garanzie di indipendenza, riservatezza, protezione dei dati e segretezza. È, inoltre, necessario che sia designata una persona o un servizio imparziale competente per dare seguito alle segnalazioni, che potrebbe essere la stessa persona o lo stesso servizio che riceve le segnalazioni e che manterrà la comunicazione con il segnalante.
Il Capo III (artt. 10-14) disciplina le segnalazioni esterne e il relativo seguito.
Quanto alle segnalazioni esterne, i whistleblowers possono segnalare violazioni alle autorità designate dagli Stati membri, nonché a quelle competenti a livello europeo. Sono quindi disciplinati: l’obbligo di istituire canali di segnalazione esterna e di seguito alle segnalazioni, i criteri per la progettazione dei canali di segnalazione esterna (affinché gli stessi vengano considerati indipendenti e autonomi); le informazioni sul ricevimento delle segnalazioni e relativo seguito che le autorità competenti devono pubblicare sui loro siti web, in una sezione separata, facilmente identificabile e accessibile.
Il Capo IV (art. 15) riconosce la possibilità di effettuare divulgazioni pubbliche in alcuni specifici casi. In particolare, in tali circostanze, i segnalanti beneficiano delle protezioni previste a condizione che:
- abbiano prima segnalato internamente ed esternamente o direttamente esternamente, ma non sia stata intrapresa un’azione appropriata in risposta alla segnalazione entro il termine di tre mesi previsto dalla direttiva oppure
- abbiano fondati motivi di ritenere che possa esservi un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse o le prospettive che la violazione sia affrontata efficacemente siano scarse.
Il Capo V (artt. 16-18) contiene disposizioni concernenti:
· l’obbligo di riservatezza, specificando l’obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché l’identità della persona segnalante non sia divulgata, senza il suo consenso esplicito, a nessuno che non faccia parte del personale autorizzato competente a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni. Sono inoltre previsti specifici casi di deroga e le relative garanzie.
· il trattamento dei dati personali
· la conservazione della documentazione inerente alle segnalazioni; tutti i dati e le informazioni relativi alla segnalazione devono essere conservati diligentemente in modo da poterle fornire alle autorità competenti se necessario;
Il Capo VI (artt.19-24) concerne le misure di protezione. In particolare gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per:
· vietare qualsiasi forma di ritorsione;
· garantire che siano fornite informazioni pertinenti e accurate a tale riguardo in modo chiaro e facilmente accessibile al pubblico;
· assicurare consulenze individuali, imparziali e riservate a titolo gratuito, nonché –sempre che ricorrano determinate condizioni - il patrocinio gratuito nei procedimenti penali;
· prevedere che una volta che il whistleblower abbia dimostrato di aver effettuato una segnalazione a norma della Direttiva e di aver subito un danno, l’onere della prova sia spostato sulla persona che ha compiuto l’azione ritorsiva.
· garantire l’impossibilità nei confronti del segnalante di far valere obblighi giuridici o contrattuali come le clausole di lealtà dei contratti o gli accordi di riservatezza o non divulgazione per impedire di effettuare una segnalazione, negare la protezione o penalizzare le persone segnalanti per aver effettuato la segnalazione.
· escludere, nei procedimenti giudiziari, la responsabilità del segnalante per effetto di segnalazioni o divulgazioni pubbliche
· escludere la responsabilità dei segnalanti per l’acquisizione delle informazioni segnalate o divulgate pubblicamente né per l’accesso alle stesse, purché tale acquisizione o accesso non costituisca di per sé un reato.
A tutela del sistema di protezione dei segnalanti previsto dalla Direttiva, gli Stati membri sono chiamati a prevedere sanzioni – di natura civile, penale o amministrativa – effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti:
· di coloro che ostacolano o tentano di ostacolare le segnalazioni; attuano atti di ritorsione o procedimenti vessatori contro i segnalanti; violano l’obbligo di riservatezza sull’identità delle persone segnalanti.
· delle persone segnalanti per le quali sia accertato che hanno scientemente effettuato segnalazioni o divulgazioni pubbliche false.
Inoltre gli Stati membri provvedono affinché i diritti e i mezzi di ricorso previsti dalla presente direttiva non possano essere oggetto di rinuncia o limitazione in virtù di accordi, regimi, forme o condizioni di lavoro, compreso un accordo arbitrale precontenzioso.
Il Capo VII contiene le disposizioni finali.
In particolare, il termine di recepimento della Direttiva è fissato al 17 dicembre 2021; per quanto riguarda i soggetti giuridici del settore privato con più di 50 e meno di 250 lavoratori, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi all’obbligo di stabilire un canale di segnalazione interno entro il 17 dicembre 2023 (articolo 26).
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2018) 218 del 23 aprile 2018.
Direttiva (UE) 2019/1995
Modifica la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 per quanto riguarda le disposizioni relative alle vendite a distanza di beni e a talune cessioni nazionali di beni
La direttiva (UE) 2019/1995 modifica le norme europee sull’IVA applicabili alle vendite a distanza di beni.
In sintesi essa stabilisce che, se un soggetto passivo facilita - tramite l'uso di un'interfaccia elettronica come un mercato virtuale (marketplace), una piattaforma o un portale - le vendite a distanza di beni importati da paesi terzi con spedizioni di valore intrinseco non superiore a 150 euro, la partenza della spedizione o il trasporto dei beni sono imputati, ai fini IVA, alla cessione effettuata da tale soggetto passivo.
Si ricorda che con la Comunicazione COM(2016) 148 del 7 aprile 2016 la Commissione UE ha varato il piano di azione sull’IVA, che dovrebbe condurre alla creazione di uno spazio unico europeo dell’imposta, alla luce della necessità di semplificare e rendere più efficiente il sistema e contrastare le frodi.
Tale piano d’azione si snoda in più tappe e prevede una revisione riguardante:
· i principi fondamentali di un futuro sistema unico dell’IVA a livello europeo;
· delle misure a breve termine per combattere le frodi a danno dell’IVA;
· l'aggiornamento del quadro delle aliquote IVA e una serie di opzioni per concedere maggiore flessibilità agli Stati membri nel definirle;-
· progetti per semplificare le norme IVA in materia di commercio elettronico, nel quadro della strategia per il mercato unico digitale, e per un pacchetto IVA che faciliti la vita alle PMI.
In dettaglio, l’articolo 1 modifica la direttiva 2006/112/CE del Consiglio - relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto - che prevede, all’articolo 14 bis, che se un soggetto passivo facilita, tramite l'uso di un'interfaccia elettronica quale un mercato virtuale (marketplace), una piattaforma, un portale o altri mezzi analoghi, le vendite a distanza di beni importati da territori terzi o paesi terzi con spedizioni di valore intrinseco non superiore a 150 euro, o facilita le cessioni di beni effettuate nella Comunità da un soggetto passivo non stabilito nella Comunità a una persona che non è un soggetto passivo, si considera che lo stesso soggetto passivo che facilita la vendita o la cessione abbia ricevuto e ceduto detti beni.
Nei considerando della direttiva in esame si sottolinea che, poiché tale disposizione di beni suddivide una cessione unica in due cessioni, è necessario determinare a quale di tali cessioni debbano essere imputati la partenza della spedizione o il trasporto dei beni, al fine di determinare correttamente il luogo di cessione e dunque l’applicazione dell’imposta.
A tal fine l’articolo in esame introduce nella citata direttiva 2006/112/CE l’articolo 36 ter ai sensi del quale, ove si consideri che un soggetto passivo abbia ricevuto e ceduto beni conformemente al sopra citato articolo 14 bis, la partenza della spedizione o il trasporto dei beni sono imputati alla cessione effettuata da tale soggetto passivo.
Inoltre la disposizione, sostituendo interamente l’articolo 66-bis della direttiva 2006/112/CE, stabilisce che il fatto generatore della cessione di beni da parte di un soggetto passivo che si ritiene abbia ricevuto e ceduto i beni in tal modo si verifica, e l'IVA diventa esigibile, nel momento in cui il pagamento è stato accettato.
L’articolo 369 septies della direttiva IVA, come interamente sostituito dalla direttiva in esame, dispone altresì che il soggetto passivo che si avvale del regime speciale presenta per via elettronica allo Stato membro di identificazione una dichiarazione IVA per ogni trimestre civile, indipendentemente dal fatto che siano o non siano state effettuate cessioni di beni o prestazioni di servizi che rientrano nel presente regime speciale. La dichiarazione IVA è presentata entro la fine del mese successivo alla scadenza del periodo d'imposta cui essa si riferisce.
L’articolo 2 dispone che gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 31 dicembre 2020 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva e comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni. Tali disposizioni verranno applicate a decorrere dal 1° gennaio 2021.
La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2018) 819 dell'11 dicembre 2018.
[1] Il disegno di legge europea 2019 non è ancora stato presentato.
[2] Per maggiori dettagli sui criteri generali di delega (art. 32, L. 234/2012), vedi all'articolo 1.
[3] Le informazioni fornite nella relazione illustrativa contengono dati aggiornati al 31 dicembre 2018. Con riguardo alle procedure d’infrazione aperte nei confronti dell’Italia, la relazione presenta altresì un aggiornamento alla data del 27 novembre 2019.
[4] Ad eccezione dell'articolo 54, il cui recepimento è deferito al 31 dicembre 2020.
[5] Per l'articolo 70, punto 4 il recepimento è previsto entro il 25 ottobre 2020 e per l'articolo 70, punto 5, lettera a) entro il 31 dicembre 2019.
[6] Per alcuni articoli il recepimento è deferito al 3 luglio 2024 (articolo 6, paragrafo 1) e al 31 dicembre 2024 (articolo 8) con alcune specifiche.
[7] Per l'1articolo 28, lettere a), b) e c) il recepimento è previsto entro il 17 luglio 2014 e per l'articolo 28 lettera d) entro il 17 luglio 2026.
[8] Per l'articolo 1, punto 5) il recepimento è previsto entro il 1° agosto 2023.
[9] Per l'articolo 8, paragrafo 3 il recepimento è previsto entro il 17 dicembre 2023.
[10] Nella vigente formulazione la norma regolamentare mantiene il riferimento alla legge comunitaria e alla relazione annuale, precedentemente previsti dalla legge n. 11 del 2005. Per effetto dello sdoppiamento dello strumento legislativo recato dalla legge n. 234 del 2012, tale disciplina si intende applicabile all'esame della legge europea e della legge di delegazione europea. La disciplina speciale prevista all'art. 126-ter, inoltre, si intende riferita solamente all'esame della Relazione consuntiva. A tal riguardo, la Giunta per il Regolamento della Camera con due pareri adottati il 6 ottobre 2009 ed il 14 luglio 2010, ha ritenuto, in via interpretativa, che: la relazione programmatica, che il Governo presenta entro il 31 dicembre di ciascun anno, è oggetto di esame congiunto con il programma legislativo delle Istituzioni europee, secondo la procedura già delineata dalla Giunta medesima il 9 febbraio 2000; la relazione a consuntivo, che il Governo presenta assieme al disegno di legge comunitaria, è invece oggetto di esame congiunto con il disegno di legge comunitaria, secondo il disposto regolamentare vigente.
[11] Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).
[12] L'articolo 14 della legge n. 400/1988 ("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri") contiene la disciplina di riferimento per i decreti legislativi. Questi sono emanati dal Presidente della Repubblica (comma 1) entro il termine fissato dalla legge di delegazione (comma 2). Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti; il Governo informa inoltre periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega (comma 3). Si evidenzia la norma di cui al comma 4, secondo il quale "qualora il termine previsto per l'esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati. Il parere è espresso dalle Commissioni permanenti delle due Camere competenti per materia entro sessanta giorni, indicando specificamente le eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti alle direttive della legge di delegazione. Il Governo, nei trenta giorni successivi, esaminato il parere, ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, i testi alle Commissioni per il parere definitivo che deve essere espresso entro trenta giorni".
[13] Come evidenzia il GSE, i Sistemi Semplici di Produzione e Consumo (SSPC) sono sistemi elettrici connessi alla rete pubblica, caratterizzati dalla presenza di almeno un impianto di produzione di energia elettrica e un'unità di consumo (costituita da una o più unità immobiliari) direttamente collegati tra loro, nell'ambito dei quali il trasporto di energia elettrica non è attività di trasmissione e/o di distribuzione, ma è attività di autoapprovvigionamento energetico. Ciò grazie alla presenza di un solo cliente finale e di un solo produttore (gruppi societari, cooperative o consorzi storici). Gli SSPC si suddividono in due gruppi: i Consorzi e Cooperative dotati di rete propria e gli Altri Sistemi Semplici di Produzione e Consumo (ASSPC). Gli ASSPC, a loro volta, si suddividono nelle seguenti categorie:
· SSP-A, -B: sistemi in regime di Scambio sul Posto di tipo A o B;
· SEU: Sistemi Efficienti di Utenza;
· SEESEU-A, -B, -C e -D: Sistemi Esistenti Equivalenti ai Sistemi Efficienti di Utenza di tipo A, B, C o D;
· ASAP: Altri Sistemi di Auto Produzione;
· ASE: Altri Sistemi Esistenti.
Si rinvia, più diffusamente, alla pagina web dedicata del sito istituzionale del GSE.
[14] Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera q), della Costituzione.
[15] Riguardo a tale Centro, cfr. l’articolo 10 del regolamento di cui al D.P.R. 28 marzo 2013, n. 44.
[16] Regolamento "relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio".
[17] Regolamento "relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro e che abroga la direttiva 98/79/CE e la decisione 2010/227/UE della Commissione".
[18] Cfr., in particolare, l'articolo 27 del regolamento (UE) 2017/745 e l'articolo 24 del regolamento (UE) 2017/746.
[19] Si rinvia, in merito, anche alla sezione del Ministero della salute presente al seguente indirizzo http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=5201&area=dispositivi-medici&menu=tecnologie.
[20] Regolamento "relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)".
[21] Cfr. il codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
[22] Ai sensi dell'articolo 2, punto n. 9, del regolamento (UE) 2019/881 un "sistema europeo di certificazione della cibersicurezza" consiste in "una serie completa di regole, requisiti tecnici, norme e procedure stabiliti a livello di Unione e che si applicano alla certificazione o alla valutazione della conformità di specifici prodotti, servizi e processi TIC".
[23] L'articolo 2, punti n. 12, 13 e 14 del regolamento (UE) 2019/881 definisce un "prodotto TIC" come "un elemento o un gruppo di elementi di una rete o di un sistema informativo", un "servizio TIC" come "un servizio consistente interamente o prevalentemente nella trasmissione, conservazione, recupero o elaborazione di informazioni per mezzo della rete e dei sistemi informativi " ed un "processo TIC" come "un insieme di attività svolte per progettare, sviluppare, fornire o mantenere un prodotto TIC o servizio TIC".
[24] In virtù del rinvio contenuto nell'articolo 2, n. 18, un organismo di valutazione della conformità è un "organismo che svolge attività di valutazione della conformità, fra cui tarature, prove, certificazioni e ispezioni" (articolo 2, n. 13, regolamento (CE) n. 765/2008).
[25] Direttiva 1999/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 1999 relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche. La direttiva non è più in vigore.
[26] Il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR) è un organismo di consulenza, proposta e deliberazione sugli indirizzi e le finalità generali della politica dell’informazione per la sicurezza. In particolare il Comitato: delibera sulla ripartizione delle risorse finanziarie e sui bilanci preventivi e consuntivi di DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna); indica il fabbisogno informativo necessario ai ministri per svolgere l’attività di governo. Sono membri del CISR: il Presidente del Consiglio dei ministri; l’Autorità delegata; il Ministro degli affari esteri; il Ministro dell’interno; il Ministro della difesa; il Ministro della giustizia; il Ministro dell’economia e delle finanze; il Ministro dello sviluppo economico. Al Direttore generale del DIS sono assegnate le funzioni di segretario del Comitato.
[27] L'articolo 2 stabilisce, tra le altre, definizioni dettagliate dei concetti di "beni" (par. 2), "persona giuridica" (par. 3) ed "attività criminosa" (par. 1). Il par. 1 contiene anche un elenco, non esaustivo, di categorie da considerare attività criminosa, tra cui: la partecipazione ad un gruppo criminale organizzato (lettera a), il terrorismo (lettera b), la tratta di esseri umani e il traffico di migranti (lettera c) ed i reati ambientali (lettera l).
[28] Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale.
[29] Per maggiori dettagli sulla proposta, si rinvia al Dossier "L'unione europea e la lotta al finanziamento del terrorismo e della criminalità organizzata", n. 45/DE della XVII Legislatura, a cura del Servizio studi del Senato della Repubblica.
[30] Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi)
[31] L'articolo 1, lettera a), della direttiva 2010/13/UE definisce "servizio di media audiovisivo" una comunicazione commerciale audiovisiva o un servizio il cui obiettivo principale sia "la fornitura di programmi al grande pubblico, sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media al fine di informare, intrattenere o istruire, attraverso reti di comunicazioni elettroniche".
[32] Nella premessa alla Direttiva (considerando n. 2) si evidenzia che il maggiore ricorso all'energia rinnovabile costituisce una parte importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, a seguito della 21a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il quadro per le politiche dell'energia e del clima all'orizzonte 2030, compreso l'obiettivo vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.
Sul Clean energy package e gli obiettivi UE 2030 in materia di energia e clima si rinvia, più diffusamente, al pertinente Tema dell’attività parlamentare.
[33] La Direttiva, nel fissare i predetti target, demanda altresì alla Commissione di valutare tali obblighi presentando nel caso, entro il 2023, una proposta legislativa che ne preveda il rialzo, se necessario, per rispettare gli impegni internazionali dell'Unione nel processo di decarbonizzazione o se giustificato sulla base di un significativo calo del consumo energetico nell'Unione.
[34] Ai sensi dell’articolo 7 della Direttiva, il consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili in ogni Stato membro è calcolato come la somma: a) del consumo finale lordo di energia elettrica da fonti rinnovabili, che include anche l’energia elettrica prodotta dagli autoconsumatori di energia rinnovabile e da comunità di energia rinnovabile; b) del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili per il settore del riscaldamento e del raffrescamento; e c) del consumo finale di energia da fonti energetiche rinnovabili nel settore dei trasporti. La quota di energia da fonti rinnovabili è calcolata dividendo il consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili per il consumo finale lordo di energia da tutte le fonti energetiche, espressa in percentuale.
[35] Le metodologie di calcolo sono contenute negli artt. 26 e 27, cfr. infra, nel testo.
[36] Per espressa statuizione dell'articolo 1, par. 3, le disposizioni della direttiva non si applicano invece alle tariffe di parcheggio.
[37] L'articolo 2, par. 1, n. 1, definisce il "servizio di pedaggio" come quello che consente agli utenti di utilizzare un veicolo in uno o più settori del SET in esecuzione di un unico contratto e, se necessario, con un'apparecchiatura di bordo. Il fornitore di servizi di pedaggio (par. 1, n. 2) è "un soggetto giuridico che fornisce servizi di pedaggio in uno o più settori del SET per una o più classi di veicoli. Il n. 8, a sua volta, fornisce la definizione di settore del SET: "una strada, una rete stradale o strutture, come ponti o tunnel, o traghetti, per le quali è riscosso un pedaggio utilizzando un sistema di telepedaggio stradale".
[38] La definizione di "componenti di interoperabilità" è contenuta nell'articolo 2, par. 1, n. 13: "Qualsiasi componente elementare, gruppo di componenti, sottoinsieme o insieme completo di materiali incorporati o destinati ad essere incorporati nel SET da cui dipende direttamente o indirettamente l'interoperabilità del servizio". Sono quindi componenti di interoperabilità sia oggetti tangibili che intangibili, come ad esempio il software.
[39] L'articolo 2, par. 1, let a), definisce lo "strumento di pagamento diverso dai contanti" come un dispositivo, oggetto o record protetto immateriale o materiale, o una loro combinazione, diverso dalla moneta a corso legale, che, da solo o unitamente a una procedura o a una serie di procedure, permette al titolare o all'utente di trasferire denaro o valore monetario, anche attraverso mezzi di scambio digitali.
[40] Ai sensi dell'articolo 2, n. 1, si intende per contenuto digitale "i dati prodotti e forniti in formato digitale".
[41] Il servizio digitale è definito un servizio: che consente al consumatore di creare, trasformare, archiviare i dati o di accedervi in formato digitale; oppure che consente la condivisione di dati in formato digitale caricati o creati dal consumatore e da altri utenti di tale servizio o qualsiasi altra interazione con tali dati (articolo 2, par. 2).
[42] Il punto n. 4 dell'articolo 2 definisce l'integrazione come "il collegamento del contenuto o del servizio digitale con le componenti dell'ambiente digitale del consumatore e l'incorporazione di dette componenti affinché il contenuto o servizio digitale sia utilizzato nel rispetto dei requisiti di conformità previsti dalla presente direttiva".
[43] Per i beni di seconda mano l'articolo 10, par. 6, prevede la possibilità di termini contrattuali o accordi con un periodo di responsabilità più breve, non inferiore ad un anno.
[44] Ai sensi dell'articolo 2, par. 1, n. 1, il "servizio online accessorio" consiste nella fornitura al pubblico, da parte di un organismo di diffusione radiotelevisiva, di programmi televisivi o radiofonici contemporaneamente alla loro trasmissione o per un determinato periodo di tempo dopo la loro trasmissione da parte dell'organismo di diffusione radiotelevisiva, nonché di qualsiasi materiale che riveste carattere accessorio rispetto a tale trasmissione.
[45] La ritrasmissione consiste in qualsiasi ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale, destinata al pubblico, di una emissione primaria di un altro Stato membro, di programmi televisivi o radiofonici destinati al pubblico. La ritrasmissione deve essere effettuata da un soggetto diverso dall'organismo che ha effettuato la trasmissione iniziale e, se effettuata da un servizio di accesso ad Internet, deve essere effettuata in un ambiente gestito, in cui l'operatore fornisce un servizio di ritrasmissione sicura ad utenti autorizzati (articolo 2, par. 1, nn. 2 e 3).
[46] Ai sensi dell'articolo 3, lett. a), della direttiva 2014/26/UE, richiamata dall'articolo 12 del testo in commento, si intende per organismo di gestione collettiva "un organismo autorizzato, per legge o in base a una cessione dei diritti, una licenza o qualsiasi altro accordo contrattuale, a gestire i diritti d’autore o i diritti connessi ai diritti d’autore per conto di più di un titolare dei diritti, a vantaggio collettivo di tali titolari come finalità unica o principale e che soddisfa uno o entrambi i seguenti criteri: i) è detenuto o controllato dai propri membri; ii) è organizzato senza fini di lucro".
[47] L'articolo 5 specifica, per quanto riguarda il settore del trasporto passeggeri, che sono ritenuti conformi ai requisiti della direttiva in oggetto i servizi conformi ai requisiti sulla fornitura di informazioni accessibili e sulle informazioni sull'accessibilità contenute nei regolamenti (CE) n. 261/2004 (compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato), (CE) n. 1107/2006 (diritti delle persone con disabilità e con modalità ridotta nel trasporto aereo), (CE) n. 1371/2007 (diritti ed obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario), (UE) n. 1177/2010 (diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne) e (UE) n. 181/2011 (diritti dei passeggieri nel trasporto effettuato con autobus).
[48] Ai sensi dell'articolo 16 della direttiva in oggetto la dichiarazione UE di conformità dei prodotti "attesta che è stata dimostrata la conformità ai requisiti di accessibilità applicabili". Con la redazione di tale documento il fabbricante "si assume la responsabilità della conformità del prodotto ai requisiti della presente direttiva".
[49] Alla marcatura CE sono dedicati gli articoli 17-18 del documento in titolo, che stabiliscono come essa debba essere apposta sul prodotto o sulla targhetta segnaletica in modo visibile, leggibile e indelebile e prima che il prodotto sia immesso sul mercato. Ai sensi dell'articolo 30 del regolamento (CE) n. 765/2008 - espressamente richiamato dall'articolo 17 - essa può essere apposta solo dal fabbricante o dal suo mandatario su prodotti per i quali è prevista dalla specifica normativa comunitaria di armonizzazione. Con la marcatura il fabbricante accetta di assumersi la responsabilità della conformità del prodotto a tutte le prescrizioni applicabili della normativa comunitaria di armonizzazione pertinente.
[50] Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008 , che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93
[51] Ai fini della direttiva si intende per "ente pubblico" le autorità statali, regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico o le associazioni formate da una o più di tali autorità oppure da uno o più di tali organismi di diritto pubblico e per "impresa pubblica" qualsiasi impresa su cui gli enti pubblici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante perché ne sono proprietari, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù di norme che disciplinano l'impresa in questione.
[52] La direttiva definisce "formato aperto" un formato di file indipendente dalla piattaforma e messo a disposizione del pubblico senza restrizioni che impediscano il riutilizzo dei documenti.
[53] Nel 2017, secondo quanto riportato nel 19° considerando della direttiva, tali “utenti vulnerabili” hanno costituito il 47 % delle vittime di incidenti stradali nell'UE.