Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari
Titolo: Legge Europea 2019-2020
Riferimenti: AC N.2670/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 359/1
Data: 26/03/2021
Organi della Camera: Assemblea

LEGGE EUROPEA
2019-2020

Schede di lettura
26 marzo 2021

A.C. 2670-A marzo 2018


 

Servizio Studi

Tel. 06 6706-2451 - studi1@senato.it - Twitter_logo_blue.png @SR_Studi

Dossier n. 294/1

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi

Dipartimento Affari comunitari

Tel. 06 6760-9409 - st_affari_comunitari@camera.it - Twitter_logo_blue.png @CD_affaricomunitari

Progetti di legge n. 359/1

 

Segreteria Generale - Ufficio Rapporti con l'Unione europea

Tel.06 6760 2145 - * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

ID0011a


 

 

INDICE

 

Introduzione.................................................................................................... ….5

Schede di lettura

Articolo 1 (Attuazione della direttiva 2014/54/UE relativa all’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori - Caso Ares (2019) 1602365)  17

Articolo 2 (Disposizioni relative alle prestazioni sociali accessibili ai cittadini di Paesi terzi titolari di alcune categorie di permessi di soggiorno per lavoro, studio e ricerca. Procedura di infrazione n. 2019/2100)........................................................................................................... 24

Articolo 3 (Disposizioni di cooperazione con i centri di assistenza per il riconoscimento delle qualifiche professionali – Procedura di infrazione n. 2018/2175)................................. 33

Articolo 4, comma 1, lett. a)-f) (Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali – Procedura di infrazione n. 2018/2295)......................................................... 35

Articolo 4, comma 1, lett. g)-i) (Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali – Procedura di infrazione n. 2018/2295)......................................................... 41

Articolo 5 (Disposizioni in materia di professioni ippiche. Corretta attuazione della direttiva 2013/55/UE)........................................................................................................ 44

Articolo 6 (Punto di contatto unico)................................................................ 45

Articolo 7 (Disposizioni relative all’etichettatura dei succhi di frutta ed altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana. Attuazione della rettifica della direttiva 2001/112/CE)  48

Articolo 8 (Disposizioni in materia di contratti pubblici – Procedura di infrazione n. 2018/2273)  50

Articolo 9 (Disposizioni relative alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall'applicazione di una normativa adottata da un Paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti. Attuazione del regolamento (CE) n. 2271/96)...................... 60

Articolo 10 (Disposizioni relative alle procedure di autorizzazione all'esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso e dell'applicazione delle sanzioni in materia di embarghi commerciali, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti. Attuazione del regolamento (CE) n. 428/2009)............................................................................................... 63

Articolo 11 (Disposizioni in materia di inammissibilità delle domande di protezione internazionale. Sentenza pregiudiziale della Corte di giustizia dell’Unione europea nelle cause riunite C-297/17, C-318/17 e C-319/17)............................................................................................. 67

Articolo 12 (Disposizioni in materia di validità e rinnovo del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, e del regolamento (UE) 2017/1954 su modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi).. 70

Articolo 13 (Disposizioni in materia di proroga del visto d’ingresso per soggiorni di breve durata.  Attuazione del regolamento (CE) n. 810/2009).............................................. 74

Articolo 14 (Disposizioni in materia di rilascio dei documenti di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Attuazione del regolamento (UE) 2016/1953) 79

Articolo 15 (Attuazione della direttiva di esecuzione (UE) 2019/68 che stabilisce le specifiche tecniche per la marcatura delle armi da fuoco e dei loro componenti essenziali e della direttiva di esecuzione (UE) 2019/69 che stabilisce le specifiche tecniche relative alle armi d’allarme o da segnalazione. Procedure di infrazione n. 2020/0211 e n. 2020/0212))................................ 81

Articolo 16 (Disposizioni per l’adeguamento alla direttiva 2013/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e che sostituisce la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2019/2033)  84

Articolo 17 (Disposizioni per l'adeguamento alla direttiva (UE) 2011/93 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. Procedura di infrazione n. 2018/2335; EU-Pilot 2018/9373) 94

Articolo 18 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/1910 del Consiglio del 4 dicembre 2018 che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati Membri. Procedura di infrazione 2020/0070).............................................................. 103

Articolo 19 (Razionalizzazione della normativa sanzionatoria applicabile ai casi di introduzione nel territorio dello Stato di piccoli quantitativi di merce contraffatta da parte del consumatore finale. Attuazione regolamento (CE) n. 608/2013).................................................. 113

Articolo 20 (Disposizioni in materia di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. Attuazione della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010) 118

Articolo 21 (Disposizioni in materia di bilancio di esercizio e consolidato. Attuazione della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio).................................... 123

Articolo 22 (Disposizioni in materia di marcatura e formato elettronico unico di comunicazione delle relazioni finanziarie annuali. Attuazione del regolamento delegato (UE) 2018/815 della Commissione, del 17 dicembre 2018, che integra la direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione relative alla specificazione del formato elettronico unico di comunicazione).............................................................. 128

Articolo 23 (Disposizioni sanzionatorie in materia di abusi di mercato. Procedura di infrazione n. 2019/2130)......................................................................................................... 131

Articolo 24 (Disposizioni relative alla vendita di medicinali veterinari per via telematica. Attuazione della direttiva 2004/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che modifica la direttiva 2001/82/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari)   148

Articolo 25 (Disposizioni relative alla vendita di prodotti cosmetici per via telematica. Attuazione del regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici)............................................................................................ 151

Articolo 26 (Disposizioni relative alla vendita di biocidi per via telematica. Attuazione del regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi)............................................. 154

Articolo 27 (Disposizioni sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Procedura di infrazione n. 2016/2013).................................................................................. 157

Articolo 28 (Designazione delle autorità competente per l’esecuzione del regolamento (UE) 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 relativo alla portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno)....................................... 161

Articolo 29 (Designazione delle autorità competenti per l’esecuzione del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e che abroga il regolamento CE n. 2006/2004 e loro poteri minimi)................................... 165

Articolo 30 (Disposizioni sulla metodologia di calcolo da utilizzare per la determinazione di energia prodotta dai biocarburanti e dai bioliquidi. Procedura d'infrazione 2019/2095)    176

Articolo 31 (Modifiche all’articolo 2 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, concernente il Comitato interministeriale per gli affari europei)......................................................... 181

Articolo 32 (Modifica all’articolo 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, concernente il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’Unione europea)....................................................................................... 183

Articolo 33 (Rafforzamento delle strutture del Ministero dell’economia e delle finanze preposte alle attività di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi dell’Unione europea per il periodo di programmazione 2021/2027).......................................................................... 186

Articolo 34 (Disposizioni relative al versamento delle risorse proprie dell’Unione europea. Anticipazione del Fondo di Rotazione e reintegro sui capitoli di bilancio dello Stato)    190

Articolo 35 (Clausola di invarianza finanziaria)......................................... 192

 

 

 


Introduzione

Il disegno di legge (A.C. 2670) recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2019-2020", è stato presentato per l’esame in prima lettura alla Camera dei deputati il 21 settembre 2020, in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

Il testo è stato trasmesso prima dell’espressione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, avvalendosi della procedura di urgenza prevista dall'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997. La medesima Conferenza, riunitasi in sessione europea nella seduta dell’8 ottobre 2020, ha in quella sede espresso il proprio parere favorevole sul testo, senza formulare osservazioni.

 

 

La legge europea

 

La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.

L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento. Non è stabilito un termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.

L'articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;

d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.

Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU Pilot (su cui infra).

La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento o attuazione degli atti dell'Unione europea che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).

Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta. È comunque possibile - come accaduto per il disegno di legge in titolo - che il Governo ricorra alla procedura di urgenza prevista dall'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997 e che quindi il parere sia reso non anticipatamente ma successivamente. In questo caso, il Governo è tenuto a tenere conto dei pareri una volta espressi.

Da ultimo, si evidenzia che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE. L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2). Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, in tema di “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”, prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale".

 

 

L’iter del disegno di legge in sede referente

 

 

L’esame in sede referente presso la XIV Commissione Politiche dell’Unione europea è iniziato nella seduta del 27 ottobre 2020 e si è concluso, dopo l’acquisizione delle relazioni e dei prescritti pareri delle Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, nella seduta del 24 marzo 2021, nel corso della quale sono stati approvati gli emendamenti ed articoli aggiuntivi sui quali le Commissioni di merito hanno espresso un parere favorevole.

In particolare, nel corso dell’esame in sede referente sono state apportate modifiche agli articoli 1 e 2 - volte a recepire le condizioni poste ex articolo 81 della Costituzione nel parere reso dalla V Commissione Bilancio - nonché agli articoli 3, 4, 8, 24 e 32.

Sono stati inoltre soppressi due articoli del testo originario del disegno di legge:

1.      l’articolo 26, recante disposizioni per l’applicazione del Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 agosto 2019 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali di servizi di intermediazione online, in quanto le relative diposizioni sono state medio tempore inserite nella Legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020, art. 1, commi 515, 516);

2.      l’articolo 28, recante disposizioni relative alla gestione degli sfalci e delle potature; tale soppressione discende dalla chiusura del caso EU Pilot 9180/17/ENVI, avvenuta in data 5 novembre 2020, alla luce delle modifiche operate dall’articolo 1, comma 13, lettera a), del decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116.

Infine, sono stati  introdotti tre nuovi articoli (16, 17 e 27) recanti, rispettivamente, disposizioni per l’adeguamento alla direttiva 2013/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione (procedura di infrazione n. 2019/2033), disposizioni per l'adeguamento alla direttiva (UE) 2011/93 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile (procedura di infrazione n. 2018/2335; caso EU-Pilot 2018/9373) e disposizioni sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (procedura di infrazione n. 2016/2013.

 

Il quadro di sintesi del disegno di legge

In esito all’esame in sede referente il disegno di legge (A.C. 2670-A) consta ora di 35 articoli (suddivisi in VIII capi), che modificano o integrano disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per adeguarne i contenuti al diritto europeo.

Esso contiene di disposizioni aventi natura eterogenea che intervengono nei seguenti settori:

·        libera circolazione di persone, beni e servizi e merci (capo I, articoli 1-10);

·        spazio di libertà, sicurezza e giustizia (capo II, articoli 11-17);

·        fiscalità, dogane e ravvicinamento delle legislazioni (capo III, articoli 18-20);

·        affari economici e monetari (capo IV, articoli 21-23);

·        sanità (capo V, articoli 24-27);

·        protezione dei consumatori (capo VI, articoli 28-29);

·         energia (capo VII, articolo 30).

Ulteriori disposizioni, contenute nel Capo VIII, riguardano il Comitato interministeriale per gli affari europei (articolo 31); il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell'Unione europea (articolo 32); il rafforzamento delle strutture del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) preposte alle attività di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi UE per il periodo di programmazione 2021/2027 (articolo 33); il versamento delle risorse proprie dell’Unione europea (articolo 34). Completa il disegno di legge l'articolo 35, che reca la clausola di invarianza finanziaria.

 

In sintesi, con il disegno di legge in esame si intende:

a)     agevolare la chiusura di 12 procedure d’infrazione;

Con la legge europea 2018 (legge 3 maggio 2019, n. 37) sono state affrontate 10 procedure avviate nei confronti dell'Italia, tra cui 6 procedure di infrazione e 4 casi di pre-contenzioso (EU Pilot); residuano tuttavia ancora numerose procedure di pre-contenzioso e di contenzioso che impongono la necessità di adottare in tempi brevi norme che consentano di adempiere agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione, compiendo un ulteriore sforzo per ridurre il numero delle procedure.

Si ricorda, a tal proposito, che allo stato (Fonte banca dati EUR-infra del Dipartimento per le politiche europee) le procedure di infrazione aperte a carico dell'Italia risultano pari a 82 (63 per violazione del diritto dell'Unione e 19 per mancato recepimento di direttive). Tra i settori maggiormente interessati, vi sono ambiente (16 procedure aperte), trasporti (11), fiscalità e dogane (9), energia (7), concorrenza e aiuti di Stato (6) e affari interni, giustizia e libera prestazione dei servizi e stabilimento (5 procedure ciascuno).

 

In particolare, il disegno di legge tratta le seguenti 13 procedure, di cui 12 tuttora aperte e una archiviata: 2019/2100 sulle prestazioni sociali accessibili ai cittadini di Paesi terzi titolari di alcune categorie di permessi di soggiorno per lavoro, studio e ricerca, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 2); 2018/2175 sulla cooperazione con i centri di assistenza per il riconoscimento delle qualifiche professionali, allo stadio di parere motivato ex articolo 258 TFUE (articolo 3); procedura 2018/2295 in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, allo stadio di parere motivato ex articolo 258 TFUE (articolo 4); 2018/2374 in materia di punto di contatto unico, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 6); 2018/2273 in materia di contratti pubblici, allo stadio di messa in mora complementare ex articolo 258 TFUE (articolo 8); 2020/0211 sulle specifiche tecniche per la marcatura delle armi da fuoco e dei loro componenti essenziali, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 15); 2020/0212 sulle specifiche tecniche relative alle armi d'allarme o da segnalazione, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 15); 2019/2033 in materia di attacchi contro i sistemi di informazione, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 16); 2018/2335 relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 17); 2020/0070 sull'armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati Membri, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 18); 2019/2130 sulle sanzioni penali in caso di abusi di mercato, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 23); 2016/2013 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, allo stadi di parere motivato ex articolo 258 TFUE (articolo 27); 2019/2095 sulla metodologia di calcolo da utilizzare per la determinazione di energia prodotta dai biocarburanti e dai bioliquidi, archiviata il 27 novembre 2019 (articolo 30).

 

b)     agevolare la chiusura di un caso ARES (2019) 1602365, avviato per mancata attuazione della direttiva 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolare l'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori (articolo l);

 

c)      attuare undici regolamenti europei;

 

Si tratta dei seguenti atti: il regolamento delegato (UE) 2018/815 della Commissione, del 17 dicembre 2018, che integra la direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione relative alla specificazione del formato elettronico unico di comunicazione (articolo 22); il regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori (articolo 29); il regolamento (UE) 2017/1954, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2017, che modifica il regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (articolo 12); il regolamento (UE) 2017/1128, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo alla portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno (articolo 28); il regolamento (UE) 2016/1953, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, relativo all'istituzione di un documento di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e recante abrogazione della raccomandazione del Consiglio del 30 novembre 1994 (articolo 14); il regolamento (UE) n. 608/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da patie delle autorità doganali e che abroga il regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio (articolo 19); il regolamento (UE) n. 528/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all'uso dei biocidi (articolo 26); il regolamento (CE) n. 1223/2009, del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici (articolo 25); il regolamento (CE) n. 810/2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) (articolo 13); il regolamento (CE) n. 428/2009 del Consiglio del 5 maggio 2009 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso (articolo 10); il regolamento (CE) n. 2271/96 del Consiglio del 22 novembre 1996 relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall'applicazione di una normativa adottata da un paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (articolo 9).

 

d)     garantire la corretta attuazione di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale;

 

Si tratta delle seguenti: la direttiva 2013/55/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, recante modifica della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI») (articolo 5); la direttiva 2003/109/CE, del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (articolo 12). la direttiva 2014/17/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (articolo 20); la direttiva 2013/34/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio (articolo 21); la direttiva 2004/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che modifica la direttiva 2001/82/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari (articolo 24).

 

Si segnala altresì che a questi interventi si aggiungono le disposizioni sopra richiamate, inserite nel corso dell’esame in sede referente, dell’articolo 16, per l’adeguamento alla direttiva 2013/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e che sostituisce la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio, e dell’articolo 17 per l'adeguamento alla direttiva (UE) 2011/93 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio.

 

e)      garantire la corretta attuazione della sentenza pregiudiziale della Corte di Giustizia UE nelle cause riunite C?297/17, C?318/17 e C?319/17, in materia di inammissibilità delle domande di protezione internazionale (articolo 11);

f)      recepire la rettifica della direttiva 2012/112/UE, in materia di etichettatura dei succhi di frutta ed altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana (articolo 7);

g)     agevolare la chiusura del caso EU Pilot 2018/9373, in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile (articolo 17).

 

 

Le procedure di infrazione

 

Le procedure di infrazione sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

L'articolo 258 disciplina le fattispecie in cui la Commissione europea, incaricata dall'articolo 17 del Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione del diritto dell'Unione, ritenga che vi sia stata una violazione del diritto UE ad opera di uno Stato membro.

La procedura prevede preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione indirizza allo Stato membro interessato:

1)   una lettera di messa in mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni di risposta;

2)   un parere motivato, nel caso in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.

Nel caso in cui lo Stato non si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia. In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza. Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria (articolo 260, paragrafo 2).

Come accennato, si ricorda che allo stato (Fonte banca dati EUR-infra del Dipartimento per le politiche europee) le procedure di infrazione aperte a carico dell'Italia risultano pari a 82 (63 per violazione del diritto dell'Unione e 19 per mancato recepimento di direttive). In linea generale, si può osservare che mentre tra il 2014 e il 2017 si è registrata una costante diminuzione del numero delle procedure aperte nei confronti del nostro Paese, a partire dal 2018 esso è tornato ad aumentare.

 

 

Si segnala, inoltre, che dall'aprile 2008 è attivo "EU-Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di contestazione prevista dai Trattati.

Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU-Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.

 

 

 

 

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Attuazione della direttiva 2014/54/UE relativa all’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori - Caso Ares (2019) 1602365)

 

L’articolo 1, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni volte a contrastare le discriminazioni basate sulla nazionalità dei lavoratori e a recepire compiutamente la direttiva n. 2014/54/UE[1] del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure intese ad agevolare l'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione, agevolando, altresì, la chiusura del caso ARES (2019) 1602365 avviato per mancata attuazione della medesima direttiva.

In particolare, le disposizioni attribuiscono espressamente all'Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Razziali (UNAR) il compito di occuparsi della promozione della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni, fondate anche sulla nazionalità, nei confronti dei lavoratori che esercitano il diritto alla libera circolazione all'interno dell'Unione europea e ne enuncia i compiti che conseguentemente gli restano ascritti. L’articolo, pertanto, prevede una serie di modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, di “attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”[2] (comma 1), modifiche alla legge 300/1970 (il c.d. Statuto dei lavoratori) (comma 2), nonché la integrazione di ulteriori 3 unità del contingente di personale di UNAR (comma 3).

 

In dettaglio, sono apportate modificazioni ai seguenti articoli del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216:

·        al fine di contrastare le discriminazioni basate sulla nazionalità dei lavoratori, vengono modificati gli articoli 1, (al comma 1) e 2 (al comma 1, alinea, primo periodo, al comma 1, lettera a), al comma 1, lettera b) e al comma 4) (comma 1, lett. a) e b)).

 

L’articolo 1, comma 1 del D.Lgs. 216/2003, in particolare, prevede disposizioni relative all'attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale, cui si aggiunge la nazionalità, per effetto della modifica in esame, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione, in un'ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini.

L’articolo 2 del D.Lgs. 216/2003 dispone, invece, in merito alla nozione di discriminazione, intesa come assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale, cui si aggiunge, sempre per effetto della modifica in esame, la nazionalità.

 

·        ai fini di una più articolata definizione del principio di parità di trattamento, viene novellato l’articolo 3 del D.Lgs. 216/2003 (comma 1, lett. c)).

 

Il citato articolo 3 definisce, appunto, l’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento, riferibile, senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale, cui si aggiunge la nazionalità, per effetto della modifica in esame, a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato, con riferimento alle seguenti aree: a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione; b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento e (ai sensi della modifica in esame) la salute e la sicurezza, il reintegro professionale o il ricollocamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affiliazione e attività nell'àmbito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni e (per effetto della modifica in esame) l’accesso all’alloggio e a vantaggi sociali e fiscali; l’assistenza fornita dagli uffici di collocamento, nonchè l’iscrizione alle organizzazioni sindacali e l’eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori.

 

·        ai fini di una più compiuta definizione della legittimazione ad agire in giudizio,    viene novellato l’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. 216/2020 (comma 1, lett. d));

 

L’articolo 5, comma 1 dispone che le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, sono legittimate ad agire, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione e (per effetto della modifica in esame) dei suoi familiari, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.

 

·        la modifica più significativa al D.Lgs. 216/2003, in quanto volta a   recepire compiutamente la direttiva n. 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, introduce l’articolo 5-bis, che reca previsioni circa i compiti dell'UNAR (comma 1, lett. e)).

·      

L'UNAR è stato istituito dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 215 del 2003 ("Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica") presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i suoi compiti sono i seguenti:

a)  fornire assistenza, nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi intrapresi, alle persone che si ritengono lese da comportamenti discriminatori;

b)  svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria, inchieste al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;

c)  promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare o compensare le situazioni di svantaggio connesse alla razza o all'origine etnica;

d)  diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parità di trattamento e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;

e)  formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per razza e origine etnica, nonché proposte di modifica della normativa vigente;

f)   redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento e sull'efficacia dei meccanismi di tutela, nonché una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attività svolta;

g)  promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze.

 

Le novelle recate dalla lettera e) del presente articolo incidono non già sul decreto legislativo n. 215 del 2003, entro il quale si rinviene la disposizione istitutiva dell'UNAR, bensì sul decreto legislativo n. 216 del 2003, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Nel decreto legislativo n. 216 si viene ad introdurre, appunto, un articolo 5-bis.

Esso enumera alcuni compiti dell'UNAR, sulla falsariga dell'articolo 4 della direttiva n. 2014/54/UE, il quale viene in ampia misura riprodotto.

Viene pertanto specificamente previsto che l'UNAR svolga, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nazionalità nei confronti dei lavoratori che esercitano il diritto alla libera circolazione all'interno dell'Unione europea.

Dunque l'UNAR presta o assicura che sia prestata, assistenza indipendente, giuridica o di altra natura, ai lavoratori dell'Unione e ai loro familiari, fatti salvi i loro diritti e i diritti delle associazioni e delle organizzazioni o altri soggetti giuridici preposti alla tutela dei loro diritti secondo l’ordinamento italiano; funge da punto di contatto nei confronti di punti di contatto equivalenti in altri Stati membri al fine di cooperare e scambiare informazioni utili; realizza o commissiona indagini e analisi indipendenti riguardo a restrizioni e ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione o alla discriminazione basata sulla nazionalità dei lavoratori dell’Unione e dei loro familiari; assicura la pubblicazione di relazioni indipendenti e formula raccomandazioni su ogni questione connessa a tali restrizioni e ostacoli o a tale discriminazione; pubblica informazioni pertinenti sull'applicazione a livello nazionale delle norme dell'Unione sulla libera circolazione dei lavoratori.

Vale precisare che l'UNAR fornisce mera assistenza giuridica e non giudiziaria (la quale è riservata a coloro che sono abilitati all'esercizio del patrocinio; e per questo riguardo l'assistenza giudiziaria ai non abbienti è assicurata dalle regole sul cd. gratuito patrocinio). La fattispecie di cui all'articolo 4, comma 2, par. 2, ultimo comma, della direttiva n. 2014/54/UE (ossia che "qualora gli organismi prestino assistenza in procedimenti giudiziari, tale assistenza è gratuita per coloro che non dispongono di risorse sufficienti, in conformità del diritto o delle prassi nazionali") non pare, pertanto, riferibile all'UNAR, non richiedendo, quindi, la necessità del recepimento.

 

Il comma 2 novella la legge n. 300 del 1970 (recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento": è il cd. Statuto dei lavoratori),  affinché vi figuri il divieto espresso di atti di discriminazione basati sulla nazionalità.

In particolare, ad essere inciso della legge n. 300 è l'articolo 15, avente ad oggetto gli atti discriminatori.

Quell'articolo prevede che è nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

E prevede che tali disposizioni si applichino altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

 

Il comma 3 dispone la integrazione con ulteriori 3 unità - di cui 2 di area A, 1 di area B - del contingente di personale di UNAR composto da personale appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio e di altre amministrazioni pubbliche, collocato in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo presso la Presidenza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.

Siffatta integrazione è previsto sia apportata - entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge europea - mediante le "opportune" modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2003 che reca le disposizioni di organizzazione dell'UNAR.

 

Il citato d.P.C.m. 11 dicembre 2003 (che ha disciplinato la costituzione e organizzazione interna dell'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, di cui all'art. 29, comma 1, lettera i) della legge n. 39 del 2002, poi attuata con l'art. 7 del decreto legislativo n. 215 del 2003 - recante attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica ) ha previsto un contingente composto da personale appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio e di altre amministrazioni pubbliche, collocato in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo presso la Presidenza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, quantificato come segue: a) 1 dirigente generale coordinatore dell'Ufficio; b) 2 dirigenti preposti ai servizi; c) 8 unità di area C; d) 10 unità di area B (ed oltre a tale complessivo contingente, può avvalersi di 5 unità di ulteriore personale, non appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio, compresi magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, in posizione di comando, aspettativa e fuori ruolo, nonché di un contingente di esperti, anche estranei all'amministrazione, nel limite massimo delle 5 unità).

 

Il comma 4 reca l’autorizzazione di spesa per l’attuazione dell’articolo in esame ed in particolare del comma 1, lettera e), e – come previsto da una modifica introdotta in sede referente – del comma 3.

La quantificazione degli oneri finanziari è determinata nel testo originale in 382.000 euro nel limite massimo a partire dal 2020. Recependo una condizione del parere della Commissione Bilancio, la Commissione in sede referente ha modificato la quantificazione degli oneri prevedendo un costo nel limite massimo di 382.000 euro per il 2021 e di 302.000 euro a decorrere dal 2022.

La copertura è a valere sulla corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea, ossia il Fondo di cui all'articolo 41-bis della legge n. 234 del 2012, la quale reca le norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.

 

Il “Caso ARES(2019)1602365”

 

Si ricorda che le disposizioni dell’articolo 1 intendono agevolare la chiusura del caso ARES(2019)1602365, nell’ambito del quale, nel marzo 2019, la Commissione europea ha chiesto all’Italia informazioni in merito ad alcune specifiche questioni concernenti il recepimento della direttiva 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolare l'esercizio dei diritti dei lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori stessi.

Nello specifico, la Commissione europea ha chiesto informazioni sulle seguenti questioni:

 

1. La Commissione ha sollevato il dubbio che in Italia i sindacati possano avviare procedimenti giudiziari soltanto nel caso di discriminazioni collettive e non anche per discriminazioni individuali (articolo 3, paragrafo 2, della direttiva).

L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva stabilisce che "gli Stati membri provvedono affinché le associazioni, le organizzazioni, comprese le parti sociali o altri soggetti giuridici che abbiano, secondo i criteri stabiliti dalla loro legislazione, dalle loro prassi o dai loro contratti collettivi nazionali, un legittimo interesse a garantire che la presente direttiva sia rispettata, possano avviare, per conto o a sostegno di un lavoratore dell'Unione europea e dei suoi familiari, con la loro approvazione, qualsiasi procedimento giudiziario e/o amministrativo finalizzato all'attuazione dell'articolo 1".

Il Governo italiano ha comunicato l’intenzione di modificare la legislazione vigente al fine di prevedere espressamente la legittimazione ad agire delle organizzazioni sindacali per la tutela di interessi individuali lesi da comportamenti discriminatori.

 

2. La Commissione ha chiesto all’Italia informazioni sulle risorse attribuite all’UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) anche alla luce dei nuovi compiti previsti dalla direttiva (articolo 4, paragrafo 1, e considerando 18 della direttiva).

Il Governo italiano ha segnalato l’intenzione di adottare modiche legislative e regolamentari inerenti l’assegnazione effettiva delle risorse finanziarie e l’ampliamento della pianta organica dell’UNAR:

 

3. La Commissione ha chiesto all’Italia di fornire i riferimenti che attestano che l'UNAR è deputato allo svolgimento dei compiti di cui all'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva (articolo 4, paragrafo 2, della direttiva).

L’articolo 4, paragrafo 2, stabilisce che gli Stati membri assicurano che la competenza degli organismi preposti alla promozione della parità di trattamento e al sostegno dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari comprenda: a) prestare o assicurare che sia prestata assistenza indipendente, giuridica e/o di altra natura, ai lavoratori dell'Unione e ai loro familiari, fatti salvi i loro diritti e i diritti delle associazioni, delle organizzazioni e degli altri soggetti giuridici di cui all'articolo 3; b) fungere da punto di contatto nei confronti di punti di contatto equivalenti in altri Stati membri al fine di cooperare e scambiare informazioni utili; c) realizzare o commissionare indagini e analisi indipendenti riguardo a restrizioni e ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione, o alla discriminazione in base alla nazionalità, di lavoratori dell'Unione e loro familiari; d) assicurare la pubblicazione di relazioni indipendenti e formulare raccomandazioni su ogni questione connessa a tali restrizioni e ostacoli o a tale discriminazione; e) pubblicare informazioni pertinenti sull'applicazione a livello nazionale delle norme dell'Unione sulla libera circolazione dei lavoratori.

Inoltre, in relazione al primo comma, lettera a), stabilisce che qualora gli organismi prestino assistenza in procedimenti giudiziari, tale assistenza è gratuita per coloro che non dispongono di risorse sufficienti, in conformità del diritto o delle prassi nazionali.

Il Governo italiano ha, successivamente, comunicato l’intenzione di modificare la normativa vigente al fine di prevedere espressamente l'estensione della competenza dell'UNAR in materia di tutela contro le discriminazioni per ragione di nazionalità.

 

4. Per quanto concerne il dialogo con i portatori di interessi (articolo 5 della direttiva), la Commissione ha chiesto all’Italia elementi di informazione con riguardo alle organizzazioni non governative coinvolte nel CNEL che, conformemente al diritto o alle prassi nazionali, hanno un legittimo interesse a contribuire alla lotta contro le restrizioni e gli ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione e la discriminazione fondata sulla nazionalità dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari al fine di promuovere il principio della parità di trattamento.

Il Governo italiano ha fornito elementi di informazione in ordine agli organismi facenti parte del CNEL in rappresentanza del c.d. Terzo settore.

 

5. Secondo la Commissione, in Italia la designazione dell'UNAR quale organismo previsto dall'articolo 4 della direttiva non è stata resa pubblica come invece prevede l'articolo 6, paragrafo 1.

Il Governo italiano ha fatto presente l’impegno dell’UNAR ad aggiornare il proprio sito istituzionale non appena saranno state approvate le nuove funzioni ad esso formalmente attribuite in materia di nazionalità.


 

Articolo 2
(Disposizioni relative alle prestazioni sociali accessibili ai cittadini di Paesi terzi titolari di alcune categorie di permessi di soggiorno per lavoro, studio e ricerca. Procedura di infrazione n. 2019/2100)

 

L'articolo 2, modificato nel corso dell’esame in sede referente,  contiene un insieme di novelle, le quali incidono sull'articolo 41 (relativo all'assistenza sociale) del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo n. 286 del 1998), nonché su un novero di disposizioni speciali, relative a specifiche prestazioni sociali.

 

Siffatta articolata rivisitazione normativa trae impulso da una procedura d'infrazione (2019/2100, ancora nella fase di messa in mora) avviata dalla Commissione europea per non corretto recepimento di disposizione della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa a: una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consenta ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro; ad un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro.

Di quella direttiva, rileva qui l'articolo 12, relativo al "Diritto alla parità di trattamento" per i cittadini di Paesi terzi ammessi in uno Stato membro o per fini lavorativi o per fini diversi (in tale secondo caso, che siano titolari di un permesso di soggiorno e sia loro consentito di lavorare).

Più in particolare ancora, rileva di quell'articolo 12 il paragrafo 1, lettera e), la quale concerne i settori della sicurezza sociale (come definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004).

Questo è il tessuto normativo che la Commissione europea richiama, ai fini della procedura d'infrazione, quale non correttamente recepito finora entro l'ordinamento italiano.

Va peraltro ricordato come il medesimo articolo 12, paragrafo 2, lettera b) consenta agli Stati membri alcune limitazioni alla parità di trattamento sancita da quell'articolo. Esse non valgono tuttavia, a detta della Commissione europea, a legittimare il recepimento quale finora intervenuto.

 

Il Testo unico dell'immigrazione reca l'articolo 41, il quale ha per oggetto la "assistenza sociale".

Esso prevede (nel testo finora vigente): "Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti".

Per carta di soggiorno è da intendersi oggi il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (a seguito di un'evoluzione normativa europea, riverberatasi dapprima nell'art. 2, comma 3 del decreto legislativo n. 3 del 2007, indi nell'art. 3, comma 1 del decreto legislativo n. 12 del 2014).

Da parte italiana vi era il convincimento che quell'articolo 41 del Testo unico valesse a soddisfare il contenuto precettivo dell'art. 12, par. 1, lettera e) della direttiva 2011/98.

Pertanto l'atto di recepimento di quella direttiva (ossia il decreto legislativo n. 40 del 2014) non ha recato alcuna disposizione relativa all'assistenza sociale.

La Commissione europea contesta invece l'esigenza di uno specifico recepimento, ravvisando un 'disallineamento' dell'articolo 41 del Testo unico rispetto alla citata lettera e) della direttiva, giacché quello prevede una durata minima del soggiorno (pari ad un anno) e fa riferimento alla "assistenza sociale", questa invece non prevede una durata minima e tratta di "sicurezza sociale" (diversità di dicitura suscettibile di interpretazioni diverse e dunque recepimento non univoco). 

Conseguentemente, il comma 1 del presente articolo del disegno di legge europea novella l'articolo 41 del Testo unico, riscrivendone il comma 1 ed aggiungendo i commi 1-bis e 1-ter.

Il comma 1 dell'articolo 41 viene riformulato sì da 'aggiornarlo' all'evoluzione normativa intervenuta.

Pertanto, l'espressione "carta di soggiorno" è sostituita con: "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", per le ragioni sopra dette.

Inoltre, per quanto concerne i minori, si fa riferimento alla loro diretta titolarità del permesso di soggiorno.

Infatti disposizione europea sopravvenuta ha previsto il rilascio di un permesso di soggiorno individuale ai minori. Il conseguente recepimento (disposto dall'art. 10 del decreto legislativo n. 122 del 2016) ha importato la modificazione dell'articolo 31 ("Disposizioni a favore dei minori") del Testo unico dell'immigrazione. E lì si prevede che, anche se di età inferiore a quattordici anni, il minore sia il titolare del permesso di soggiorno (senza più sua iscrizione nel permesso di soggiorno genitoriale).

Infine, nel comma 1 dell'articolo 41 del Testo unico si viene a precisare che il limite di durata di un anno del permesso di soggiorno dello straniero valga per permessi di soggiorni diversi da quelli oggetti dei novelli commi 1-bis e 1-ter (commi corrispettivi della fattispecie prevista dall'articolo 12 della direttiva 2011/98/UE, nella sua intersecazione con altre previsioni europee). 

Il nuovo comma 1-bis dispone la equiparazione ai cittadini italiani - ai fini della fruizione delle prestazioni costituenti diritti alle quali si applica il regolamento (CE) n. 883/2004 (dunque di "sicurezza sociale" si tratta) - di una triplice categoria di stranieri. Sono:

·        i titolari di permesso unico lavoro;

·        i titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio, i quali svolgano un'attività lavorativa o l'abbiano svolta per un periodo non inferiore a sei mesi e abbiano dichiarato la loro immediata disponibilità allo svolgimento della stessa ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150;

·        i titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca.

 

Il permesso unico lavoro è stato disciplinato dalla medesima direttiva 2011/98/UE, recepita dal decreto legislativo n. 40 del 2014.

Se ne trova menzione nell'articolo 5 (relativo ai permessi di soggiorno) del Testo unico dell'immigrazione. Ed in quell'articolo 5, il comma 8.2 esclude alcune categorie di soggetti dal permesso unico lavoro: tra questi, i lavoratori stagionali (oggetto dell'art. 24 del Testo unico) e i lavoratori autonomi (art. 26 del Testo unico).

Nemmeno figurano i volontari, ma per esclusione dettata (non già nel Testo unico bensì) altrove, nel Codice del Terzo settore, secondo cui la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario sia socio o associato o tramite il quale svolga la propria attività volontaria (così l'articolo 17, comma 5 del decreto legislativo n. 117 del 2017).

Né figura il collocamento alla pari (ossia l'accoglimento temporaneo in seno a famiglie, come contropartita di alcune prestazioni, di giovani stranieri venuti allo scopo di perfezionare le loro conoscenze linguistiche ed eventualmente professionali). Infatti la direttiva europea che tratta anche di questa materia (direttiva 2016/801/UE, di rifusione, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari: cfr. il suo articolo 16) lascia margini di facoltatività per il recepimento, della quale l'Italia si è avvalsa, mantenendo immutata la disciplina del collocamento alla pari quale recata dalla legge n. 304 del 1973.

Per quanto riguarda i titolari del permesso di soggiorno per motivi di studio, la disposizione prevede - giacché ci si muove nell'ambito dell'articolo 12 della direttiva 2011/98/UE - altresì lo svolgimento (in corso o previo) di un'attività lavorativa (per almeno sei mesi). E se sia attività non più in corso, è richiesto lo stato di disoccupazione quale configurato dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2015, secondo cui i soggetti privi di impiego dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro (concordate con il centro per l'impiego).

Il permesso di soggiorno per motivi di ricerca è stato anch'esso oggetto della direttiva 2016/801/UE, la quale ha trovato recepimento con il decreto legislativo n. 71 del 2018 - il quale a sua volta ha rivisitato l'articolo 27-ter del Testo unico dell'immigrazione.

 

Il nuovo comma 1-ter dell'articolo 41 del Testo unico - anch'esso introdotto dal comma del presente articolo del disegno di legge europea - verte sulla parità di trattamento in materia di prestazioni familiari.

Esso prevede che ai fini della fruizione delle prestazioni familiari, siano equiparati ai cittadini italiani:

ü  gli stranieri titolari di permesso unico lavoro autorizzati a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi;

ü  gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare per un periodo superiore a sei mesi.

La determinazione puntuale 'in positivo' dei fruitori implica la esclusione di coloro che non vi sono ricompresi.

Pertanto esclusi sono i soggiornanti per motivi di studio (avvalendosi di facoltà consentita dall'articolo 12, par. 2, lettera b), della direttiva 2011/98/UE che si intende recepire, secondo cui gli Stati membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di Paesi terzi che siano stati autorizzati a lavorare per un periodo non superiore a sei mesi o siano stati ammessi a scopo di studio o cui sia consentito lavorare in forza di un visto).

Per prestazione familiare si intendono - ai sensi del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio - tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari (ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione, menzionati nell'allegato I della medesima direttiva).

 

Dal novello comma 1-ter introdotto entro l'articolo 41 del Testo unico dell'immigrazione si irradia una serie di ulteriori novelle, incidenti su puntuali disposizioni di legge che costituiscono concretizzazione di singole prestazioni familiari.

Così, del presente articolo del disegno di legge, il comma 2 modifica la disposizione relativa all'assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori, sì da ricomprendere tra i fruitori gli stranieri titolari di permesso unico lavoro autorizzati a svolgere un'attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi, nonché gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare per un periodo superiore a sei mesi (sono i soggetti di cui al citato novello comma 1-ter introdotto nell'articolo 41 del Testo unico).

A tal fine è modificato l'articolo 65, comma 1, della legge n. 448 del 1998.

Esso dispone la corresponsione di un assegno in favore dei nuclei familiari con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18 anni, composti da cittadini italiani e dell'Unione europea residenti, da cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo[3], nonché dai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente (ed ora si vengono ad aggiungere i soggetti sopra indicati), che risultino in possesso di risorse economiche non superiori ad una determinata soglia.

Si ricorda che nel 2020 la misura massima di tale assegno è pari a 145,14 euro mensili (per tredici mensilità); per i nuclei con cinque componenti, sempre per il 2020, il limite massimo del valore dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), ai fini in oggetto, è pari a 8.788,99 euro (per i nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto decreto legislativo n. 109 del 1998).

L'assegno è concesso dai Comuni ed è erogato dall'INPS.

 

Di analogo segno e contenuto sono le novelle recate dal comma 3, relative all'assegno di maternità di base e all'assegno di maternità per lavori atipici e discontinui.

È conseguentemente inciso il decreto legislativo n. 151 del 2001 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità). Di quel decreto legislativo n. 151, sono incisi, rispettivamente, gli articoli 74 e 75.

L'articolo 74 prevede che per ogni figlio nato (dal 1°(gradi) gennaio 2001, o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento dalla stessa data) sia concesso - qualora le risorse economiche del nucleo familiare non siano superiori ad una determinata soglia - un assegno di maternità alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di soggiorno (si legga, a seguito della riformulazione operata dalla novella: permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; o carta di soggiorno per i familiari del cittadino comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea, ex articolo 10 del Testo unico dell'immigrazione; o carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, ex articolo 17 del Testo unico).

Sono ricompresi ora, per effetto della novella, altresì i soggetti di cui al novello comma 1-ter qui introdotto nell'articolo 41 del Testo unico (ossia: stranieri titolari di permesso unico lavoro autorizzati a svolgere un'attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi; gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare per un periodo superiore a sei mesi).

L'assegno è concesso dai Comuni. La misura massima dell'assegno è pari, nel 2020, a 348,12 euro; per il medesimo anno 2020, il limite massimo del valore dell'ISEE, ai fini in oggetto, è pari a 17.416,66 euro con riferimento a nuclei familiari con tre componenti[4] (per i nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto decreto legislativo n. 109 del 1998).

L'articolo 75 ancora del decreto legislativo n. 151 del 2001 ha per oggetto l'assegno di maternità per lavori atipici e discontinui, ed è novellato in egual modo rispetto all'articolo 74.

 

Ed eguale contenuto - rispetto a quanto appena sopra ricordato circa le disposizioni del decreto legislativo n. 151 del 2001 - ha la novella relativa all'assegno di natalità (cd. 'bonus bebè').

Essa è disposta dal comma 4 del presente articolo, e modifica l'articolo 1, comma 125, secondo periodo, della legge n. 190 del 2014.

Il comma 125 citato si prefigge di incentivare la natalità. Esso faceva riferimento ai figli nati o adottati tra il 1°(gradi) gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, ma successive disposizioni hanno dettato uno 'scorrimento' annuale[5]. In particolare, con riferimento ai figli nati o adottati nel corso del 2020, l'assegno è corrisposto fino al compimento del primo anno di età ovvero del primo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione e l'importo varia a seconda del valore dell'ISEE del nucleo e del numero di figli[6].

L'assegno è corrisposto, a domanda, dall'INPS.

In tema di assegno di natalità, sono intervenute, come accennato, disposizioni ulteriori, recate da: l'art. 1, comma 248 della legge n. 205 del 2017; l'art. 23-quater, comma 1, del decreto-legge n. 119 del 2018; l'art. 1, comma 340, della legge n. 160 del 2019. Peraltro tale successione normativa non ha inciso sul requisito richiesto del permesso di soggiorno di cui all’articolo 9 del Testo unico dell'immigrazione, ossia il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo - requisito posto dal citato articolo 1, comma 125, della legge n. 190. Su tale profilo interviene ora la disposizione in commento.

 

Il comma 5 reca l’incremento dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 355, della legge n. 232 del 2016, relativamente al pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, nonché per l'introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini al di sotto dei tre anni affetti da gravi patologie croniche. Tale incremento è stabilito – a seguito di una modifica da parte della Commissione in sede referente – in 12,8 milioni annui a decorrere dal 2021 (il testo originario contemplava una copertura anche per l’anno 2020, espunta in considerazione dell’entrata in vigore del testo in esame).

 

Esso si assomma al limite di spesa determinato da quella disposizione della legge di bilancio (come modificata dall'art. 1, co. 488 della legge n. 145 del 2018 e dall'art. 1, co. 343 della legge n. 160 del 2019), il quale era pari a: 520 milioni di euro per il 2020; 530 milioni per il 2021; 541 milioni per il 2022; 552 milioni per il 2023; 563 milioni per il 2024; 574 milioni per il 2025; 585 milioni per il 2026; 597 milioni per il 2027; 609 milioni per il 2028; 621 milioni annui a decorrere dall’anno 2029.

 

Il comma 6 quantifica i maggiori oneri derivanti dal presente articolo, come rideterminati nel corso dell’esame in sede referente:

·        12,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021 sono configurati in termini di limite massimo di spesa, con riferimento a quanto previsto dal comma 5;

·        i restanti oneri previsti dall’articolo 2 sono valutati complessivamente in 11,408 milioni di euro per l'anno 2021, in 16,108 milioni di euro per l'anno 2022, in 16,408 milioni di euro per l'anno 2023, in 16,708 milioni di euro per l'anno 2024, in 17,008 milioni di euro per l'anno 2025, in 17,308 milioni di euro per l'anno 2026, in 17,508 milioni di euro per l'anno 2027, in 17,908 milioni di euro per l'anno 2028 e in 18,308 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2029.

Alla copertura di tali oneri si provvede mediante riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea (di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234 del 2012).

 

Può valere ricordare come l'ordinanza della Corte costituzionale n. 182 del 2020 ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea una questione pregiudiziale, onde appurare se l’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) debba essere interpretato nel senso che nel suo àmbito di applicazione rientrino l’assegno di natalità e l’assegno di maternità, in base all’art. 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (richiamato dall’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico), e se, pertanto, il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso di non consentire una normativa nazionale che non estende agli stranieri titolari del permesso unico di cui alla medesima direttiva le provvidenze sopra citate, già concesse agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

 

Procedure di contenzioso

Con lettera di costituzione in mora trasmessa al Governo italiano il 26 luglio 2019 la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione per la non corretta  attuazione delle norme UE in materia di permessi di lavoro e di soggiorno extracomunitari (direttiva sul permesso unico UE 2011/98), volte a garantire che i lavoratori extracomunitari residenti legalmente in un paese dell'UE beneficino della parità di trattamento con i cittadini di quel paese per quanto riguarda le condizioni di lavoro, la libertà di associazione, l'istruzione, la sicurezza sociale e le agevolazioni fiscali tra le altre aree.

In particolare, gli addebiti rilevati dalla Commissione europea riguardano il recepimento dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della citata direttiva, operato dall’articolo 41 TUI sotto due diversi profili:

·        l’ambito di applicazione soggettivo dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva, è più ampio di quello dell’articolo 41 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (TUI): tale disposizione di diritto interno garantirebbe la parità di trattamento solo per coloro che sono in possesso di carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (ove l’espressione «carta di soggiorno» è superata e deve essere letta come “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”), mentre - al contrario – la direttiva al netto delle deroghe previste dall’articolo 12, paragrafo 2, lettera b) – non prevede alcuna durata minima del permesso di soggiorno;

·        l’ambito di applicazione oggettivo dell’articolo 41 TUI interessa la parità di trattamento nella fruizione delle prestazioni di assistenza sociale, mentre l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva, fa riferimento alle prestazioni di sicurezza sociale di cui al regolamento (CE) n. 883/2004. Secondo la Commissione europea questa differenza nominalistica può avere ripercussioni sostanziali in sede di interpretazione, determinando, pertanto, un recepimento non sufficientemente univoco.

Secondo la Commissione europea, inoltre le deroghe della direttiva, di cui al combinato disposto dell’articolo 12, paragrafi 1, lettera e) e dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), commi 1 e 2, contemplano limitazioni meno restrittive di quelle previste dall’articolo 41 TUI.

 

Secondo la Commissione europea il non corretto recepimento dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva, riguarda anche alcune disposizioni nazionali speciali volte a disciplinare specifiche prestazioni sociali – rientranti nella nozione di sicurezza sociale – che escluderebbero del tutto, dalla platea dei beneficiari, coloro che, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva, hanno diritto alla parità di trattamento.

Si tratta delle seguenti disposizioni: l’articolo 65 (“Assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori”, c.d. ANF) di cui alla legge 23 dicembre 1998, n. 448, “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”[7]; l’articolo 74, rubricato “Assegno di maternità di base”, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53; l’articolo 75, rubricato “Assegno di maternità per lavori atipici e discontinui”, del medesimo decreto legislativo n. 151/2001; l’articolo 1, commi da 125 a 129, c.d. bonus bebè 2015-2017, di cui alla legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)”.

 

 

 


 

Articolo 3
(Disposizioni di cooperazione con i centri di assistenza per il riconoscimento delle qualifiche professionali – Procedura di infrazione n. 2018/2175)

 

L’articolo 3 interviene sulla disciplina della cooperazione tra gli Stati membri nel settore del riconoscimento delle qualifiche professionali, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2007, per rispondere alle censure oggetto della procedura di infrazione 2018/2175. La disposizione, per dare migliore attuazione all’art. 57-ter della direttiva 2005/36/CE, modifica l’art. 6, comma 5-bis del decreto legislativo per specificare che il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio, in qualità di Centro di assistenza per il riconoscimento delle qualifiche professionali, deve prestare piena collaborazione ai centri di assistenza degli altri Stati membri: tanto a quelli degli Stati membri ospitanti il professionista italiano, quanto a quelli degli Stati membri di origine dei professionisti che vogliono esercitare in Italia.

 

La citata procedura di infrazione riguarda infatti – tra gli altri aspetti – il non corretto recepimento dell’art. 57-ter della direttiva 2005/36/CE[8], che al paragrafo 3 prescrive agli Stati, attraverso le designate autorità, di «prestare piena collaborazione al centro di assistenza dello Stato membro ospitante e, se del caso, dello Stato membro d’origine e trasmettere tutte le informazioni pertinenti su singoli casi ai centri di assistenza negli Stati membri ospitanti che ne fanno richiesta e fatte salve le disposizioni in materia di protezione dei dati».

L’art. 57-ter è stato inserito nella Direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali nel 2013; per questo in sede di attuazione della direttiva, l’art. 6 del decreto-legislativo n. 206 del 2007 si limitava a designare l’autorità nazionale competente a fornire assistenza per il riconoscimento delle qualifiche professionali (la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche europee), senza esplicitare gli obblighi di cooperazione con le omologhe autorità degli altri Stati.

Aperta sul punto la procedura di infrazione, la legge europea 2018 (legge n. 37 del 2019) ha inserito nell’art. 6 del D.Lgs. n. 206/2007 il comma 5-bis per specificare che le autorità interne competenti devono prestare piena collaborazione con i centri di assistenza degli Stati membri ospitanti (centri che forniscono l'assistenza necessaria in favore dei cittadini europei che intendano ottenere il riconoscimento di una qualifica professionale nel medesimo Stato ospitante) e, se richiesto, devono trasmettere ai medesimi centri tutte le informazioni pertinenti ai singoli casi, fatte salve le disposizioni in materia di protezione dei dati personali.

Come afferma la Relazione illustrativa del disegno di legge in esame, la Commissione europea, nonostante le modifiche introdotte dalla legge europea 2018, «ha continuato a contestare il non corretto recepimento dell’articolo 57-ter della direttiva 2005/36/UE». Per questo motivo il comma 5-bis dell’art. 6 viene riscritto «in senso conforme alle richieste della Commissione e al disposto di cui al citato articolo 57-ter, paragrafo 3, della direttiva 20005/36/UE».

Il nuovo comma 5-bis dispone, infatti, che le autorità nazionali competenti prestano piena collaborazione:

-         al centro d’assistenza dello Stato membro d’origine e

-         al centro d’assistenza dello Stato membro ospitante, al quale trasmettono altresì, su richiesta, tutte le informazioni pertinenti sui singoli casi, fatte salve le disposizioni in materia di protezione dei dati personali.

 

Rispetto alla formulazione vigente, è introdotto un obbligo di cooperazione anche con i centri di assistenza dello stato membro di origine del professionista.

 

Inoltre, a seguito di una modifica al disegno di legge introdotta in sede referente, il nuovo comma 5-bis precisa altresì che le autorità competenti per il riconoscimento delle qualifiche professionali devono sempre, prima di trasmettere alle altre autorità nazionali le informazioni pertinenti sui singoli casi, dare avviso della richiesta e della conseguente trasmissione al soggetto interessato dalla procedura.

 


 

Articolo 4, comma 1, lett. a)-f)
(Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali – Procedura di infrazione n. 2018/2295)

 

L’articolo 4 reca disposizioni in materia libera circolazione dei lavoratori intervenendo sul decreto legislativo n. 206 del 2007, recante attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Come specificato nella relazione illustrativa, le modifiche si sono rese necessarie in seguito alle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2295, allo stadio di parere motivato ex articolo 258 TFUE.

 

La direttiva 2005/36/CE, modificata dalla direttiva 2013/55/UE, fissa le regole con cui uno Stato membro, che sul proprio territorio subordina l’accesso ad una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce le medesime qualifiche acquisite in uno o più altri Stati membri che permettono al titolare di esercitarvi la stessa professione e di avere accesso alla stessa.

Nell’ordinamento interno il provvedimento di recepimento della direttiva 2005/36/CE è il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, successivamente modificato dal decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15, che ha recepito la direttiva 2013/55/UE.

 

In particolare, la lettera a) modifica il comma 1-bis dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 206/2007, al fine di ridefinire l’ambito di applicazione del decreto stesso.

La novella è volta a ricomprendere nell’ambito di applicazione della normativa interna sul riconoscimento delle qualifiche, i tirocini professionali effettuati al di fuori del territorio nazionale, non più solo dai cittadini italiani ma anche dai cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea residenti in Italia.

 

Nella formulazione vigente il comma 1-bis dell’articolo 2 del D.Lgs. 206 del 2007 stabilisce che le norme del decreto si applicano ai cittadini italiani che hanno effettuato un tirocinio professionale al di fuori del territorio nazionale.

Si ricorda inoltre che l’articolo 17-bis del citato D.Lgs. n. 206, prevede che, laddove l’accesso ad una professione regolamentata sia subordinato al compimento di un tirocinio professionale, l’autorità competente riconosca il tirocinio svolto in un altro Stato membro dell’Unione europea e tenga conto di quello svolto in un Paese terzo.

L’articolo 2, capoverso par. 1, della direttiva 2005/36/CE così come modificato dalla direttiva 2013/55/Ue, stabilisce espressamente che le disposizioni in essa contenute si applichino, ove compatibili, ai tirocini professionali effettuati al di fuori del territorio nazionale da tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea.

La modifica in esame risponde alla contestazione espressa dalla Commissione europea nel parere motivato 2018_2295 secondo la quale sulla base dell’ambito di applicazione definito nel D.Lgs. n. 206 del 2007, per i cittadini dell’UE che risiedono in Italia non è possibile alcun riconoscimento in tale paese, dei tirocini professionali effettuati in un altro Stato membro, in violazione del citato articolo 2, par. 1 della Direttiva. Il fatto che solo i cittadini italiani possano beneficiare del riconoscimento del tirocinio professionale effettuato al di fuori dell’Italia ai fini dell’accesso ad una professione, equivarrebbe secondo la Commissione ad una discriminazione degli altri cittadini dell’UE in base alla nazionalità, vietata dall’art. 49 del TFUE.

 

La lettera b) modifica l’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 206/2007, riguardante la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti al riconoscimento delle qualifiche nei diversi Stati membri. L’intervento è volto a limitare ai casi di dubbio fondato la possibilità per le autorità italiane di verificare, presso lo Stato membro di origine, le informazioni fornite dal richiedente.

 

L’articolo 8, comma 5, del D.Lgs. n. 207 prevede che nei casi di riconoscimento delle qualifiche in regime di stabilimento, in presenza di un titolo di formazione rilasciato da una autorità competente dello Stato membro di origine a seguito di una formazione ricevuta in tutto o in parte in un centro legalmente stabilito in Italia, ovvero nel territorio di un altro Stato membro dell'Unione europea, l'autorità competente assicura l'ammissione alla procedura di riconoscimento effettuando preliminarmente specifiche verifiche, presso la competente autorità dello stato membro d'origine.

La Direttiva 2005/36 prevede, all’articolo 50, par. 3 che solo in caso di dubbio fondato, qualora un titolo di formazione sia stato rilasciato da un'autorità competente di uno Stato membro e riguardi una formazione ricevuta in tutto o in parte in un centro legalmente stabilito nel territorio di un altro Stato membro, lo Stato membro ospitante può verificare presso l'autorità competente dello Stato membro di origine: se il programma di formazione del centro che ha impartito la formazione è stato formalmente certificato dal centro di formazione situato nello Stato membro di origine; se il titolo di formazione rilasciato è lo stesso che si sarebbe ottenuto avendo seguito integralmente la formazione nello Stato membro di origine; se tale titolo conferisce gli stessi diritti professionali nel territorio dello Stato membro di origine.

Come sottolineato nella relazione illustrativa la disposizione in esame  sana il punto di contestazione contenuto nel citato parere della Commissione europea relativo al non corretto recepimento dell’articolo 50, par. 3, della direttiva qualifiche, la cui finalità è quella di garantire il necessario scambio di informazioni in caso di dubbi fondati e non quella di istituire un obbligo di verifica sistematica presso le autorità competenti dello Stato membro d'origine delle informazioni fornite dal richiedente.

 

La lettera c) interviene sull’articolo 9 del decreto legislativo n. 206/2007, in materia di libera prestazione di servizi e prestazioni occasionali e temporanee.

In particolare:

·        modifica il comma 1 del suddetto articolo, al fine di prevedere anche nell’ordinamento italiano il divieto di esigere da un prestatore di servizio in via temporanea e occasionale un anno di esercizio della professione nello Stato d’origine, nel caso in cui la professione sia regolamentata nello Stato membro di stabilimento.

 

L’articolo 5, par. 1, della direttiva, stabilisce i casi in cui gli Stati membri non possono limitare, per ragioni attinenti alle qualifiche professionali, la libera prestazione di servizi in un altro Stato membro. In particolare si tratta: del caso in cui il prestatore è legalmente stabilito in uno Stato membro per esercitarvi la stessa professione; del caso di spostamento del prestatore, se questi ha esercitato tale professione in uno o più Stati membri per almeno un anno nel corso dei dieci anni che precedono la prestazione di servizi, se la professione non è regolamentata nello Stato membro di stabilimento. La Direttiva specifica che la condizione che esige un anno di esercizio della professione non si applica se la professione o la formazione che porta alla professione è regolamentata.

 

·        prevede la riformulazione del comma 3-bis, concernente i controlli per verificare il carattere temporaneo ed occasionale dei servizi prestati su tutto il territorio nazionale; al riguardo la possibilità di effettuare controlli viene limitata ai soli casi in cui sussistano “motivati dubbi” ed è soppressa la disposizione che prevede la possibilità di richiedere ai prestatori, una volta l’anno, informazioni sui servizi effettivamente forniti sul territorio italiano.

 

Come sottolineato nella relazione illustrativa, l’intervento normativo risponde ai rilievi mossi, nel parere motivato, dalla Commissione europea la quale ritiene che la previsione contenuta nel comma 3-bis dell’articolo 9 introduca un’attività di controllo sistematico per ogni attività stagionale in violazione della direttiva 2005/36/CE, in base alla quale tali controlli, in ossequio al principio di proporzionalità, devono essere disposti solo in presenza di dubbi fondati sul fatto che il prestatore di servizi a carattere temporaneo possa essere considerato stabilito e non in regime di libera prestazione.

La Commissione ha altresì rilevato che la possibilità di richiedere ai prestatori di attività stagionali, una volta l’anno, informazioni sui servizi effettivamente forniti sul territorio italiano contrasta con quanto previsto dall’articolo 7, par. 2 della Direttiva che contiene un elenco esaustivo (nel quale le informazioni contemplate nella normativa italiana non rientrano) delle informazioni da richiedere a corredo della dichiarazione preventiva in caso di spostamento del prestatore che deve considerarsi esaustivo.

 

·        interviene sul comma 4, concernente l’ambito di applicazione delle norme professionali cui assoggettare il prestatore in caso di libera prestazione di servizi, riproducendo testualmente il contenuto della Direttiva (art. 5 par. 3) e dunque limitando il medesimo ambito applicativo alle norme direttamente connesse alle qualifiche professionali

 

Il comma 4 dell’articolo 9, prevede attualmente che in caso di spostamento, il prestatore è soggetto alle norme che disciplinano l'esercizio della professione che è ammesso ad esercitare, quali la definizione della professione, l'uso dei titoli e la responsabilità professionale connessa direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, nonché alle disposizioni disciplinari applicabili ai professionisti che, sul territorio italiano, esercitano la professione corrispondente.

La Direttiva, all’articolo 5, par. 3 specifica invece che in caso di spostamento, il prestatore è soggetto a norme professionali, di carattere professionale, legale o amministrativo, direttamente connesse alle qualifiche professionali, quali la definizione della professione, l'uso dei titoli e gravi errori professionali connessi direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, nonché le disposizioni disciplinari applicabili nello Stato membro ospitante ai professionisti che, ivi, esercitano la stessa professione.

La Commissione europea, nel parere motivato, rileva al riguardo che la normativa italiana, assoggettando il prestatore a tutte le norme che disciplinano l’esercizio della professione, non risulta in linea con l’articolo 5, par. 3, della direttiva.

 

La lettera d) interviene in materia di adempimenti per l'esercizio della prestazione di servizi temporanea e occasionale, con particolare riguardo alla dichiarazione preventiva in caso di spostamento del prestatore. Allo scopo si modifica l’articolo 10, primo comma, eliminando l’obbligo per il prestatore di servizi di fornire informazioni sulla prestazione che intende svolgere.

 

L’articolo 10, comma 1, del D.Lgs. n. 206/2007, nella formulazione attualmente vigente, prevede che il prestatore che si sposta per la prima volta da un altro Stato membro sul territorio nazionale per fornire servizi sia tenuto ad informare in anticipo, l'autorità competente con una dichiarazione scritta, contenente informazioni sulla prestazione di servizi che intende svolgere, nonché sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale.

L'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/36/CE stabilisce che gli Stati membri possono esigere che, se il prestatore si sposta per la prima volta da uno Stato membro all'altro per fornire servizi, questi informi in anticipo l'autorità competente dello Stato membro ospitante con una dichiarazione scritta contenente informazioni sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale. Tale dichiarazione è rinnovata annualmente se il prestatore intende fornire servizi temporanei od occasionali in tale Stato membro durante l'anno in questione. Il prestatore può fornire la dichiarazione con qualsiasi mezzo.

Al riguardo la Commissione europea, nel parere motivato, ha evidenziato che nessuna disposizione dell'articolo 7 della direttiva contempla l’obbligo per il prestatore di trasmettere informazioni sulla prestazione di servizi che intende svolgere e che dunque tale obbligo si ponga in contrasto con la direttiva stessa.

 

La lettera e) incide sull’articolo 11, in materia di verifica preliminare delle qualifiche professionali del prestatore nei casi delle professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che non beneficiano del riconoscimento. La modifica è volta a specificare che la verifica preventiva è possibile unicamente se è finalizzata a evitare danni gravi per la salute o la sicurezza del destinatario del servizio per la mancanza di qualifica professionale del prestatore e non va oltre quanto è necessario a tal fine.

 

L'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2005/36/CE consente allo Stato membro ospitante, esclusivamente nel caso di professioni aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, di procedere a una verifica delle qualifiche professionali anteriormente alla prima prestazione di servizi. Tale verifica preventiva è tuttavia ammessa solo in caso di rischio di grave pregiudizio alla salute o alla sicurezza del destinatario del servizio e qualora una verifica preventiva delle qualifiche professionali sia necessaria per conseguire l'obiettivo di tutelare tali fini di interesse pubblico.

La formulazione attuale del comma 2 dell’articolo 11 del D.Lgs. 206/2007 già precisa che la finalità della verifica preliminare deve essere esclusivamente quella di evitare danni gravi per la salute o la sicurezza del destinatario del servizio per la mancanza di qualifica professionale del prestatore.

Tuttavia la Commissione, nel parere motivato, ha ritenuto che la disposizione italiana che attua l'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2005/36/CE non assicuri il rispetto del principio di proporzionalità laddove ai nuovi prestatori di servizi sia imposta una verifica preventiva delle qualifiche professionali. La Commissione ha ritenuto che, ai fini di una corretta e piena attuazione dell'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2005/36/CE nell’ordinamento giuridico italiano, debba essere previsto che 1a verifica preventiva delle qualifiche professionali non debba andare al di là di quanto è necessario per evitare danni gravi per la salute o la sicurezza del destinatario del servizio.

 

La lettera f), sempre con riferimento alla prestazione di servizi temporanea e occasionale, modifica l’articolo 14, comma 1, concernente le richieste di informazioni tra autorità competenti circa la buona condotta del prestatore, nonché l'assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere professionale. La modifica è finalizzata a limitare tali richieste ai casi in cui sussista un dubbio motivato sul prestatore di servizi.

 

La formulazione attuale del comma 1 dell’articolo 14, concernente la cooperazione tra autorità competenti prevede che le informazioni pertinenti circa la legalità dello stabilimento e la buona condotta del prestatore, nonché l'assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere professionale sono richieste e assicurate dalle autorità competenti.

L'articolo 8 della direttiva stabilisce che le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono chiedere alle autorità competenti dello Stato membro di stabilimento, ove sussistano giustificati dubbi, di fornire qualsivoglia informazione pertinente circa la legalità dello stabilimento e la buona condotta del prestatore nonché l'assenza di sanzioni disciplinari o penali di natura professionale.

Nella lettera di costituzione in mora la Commissione sottolinea che l’articolo 14 non specifica tuttavia che la richiesta di informazioni può essere avanzata solo nel caso in cui sussistano dubbi fondati. La Commissione desidera richiamare l'attenzione sul fatto che la finalità di questa disposizione è garantire il necessario scambio di informazioni in caso di dubbi fondati e non istituire un obbligo di verifica sistematica presso le autorità competenti dello Stato membro d'origine.

 

 

 

 


 

Articolo 4, comma 1, lett. g)-i)
(Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali – Procedura di infrazione n. 2018/2295)

 

L’articolo 4, al comma 1, lett. g), h) e i), apporta alcune modifiche al decreto legislativo n. 206/2007 di attuazione della normativa comunitaria sul riconoscimento delle qualifiche professionali, con riferimento, rispettivamente, all’attività professionale di ostetrica, alla formazione medica specialistica e formazione specifica in medicina generale.

 

 

Le lett. g), h) e i), comma 1, dell’articolo 4 in esame intervengono per far fronte ad alcune contestazioni avanzate dalla Commissione europea nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2018/2295, tuttora allo stadio di parere motivato ex articolo 258 TFUE, apportando alcune modifiche al D.Lgs. n. 206/2007, di attuazione della direttiva 2005/36/CE per il riconoscimento delle qualifiche professionali (cd. “direttiva qualifiche”). Tale decreto è stato successivamente modificato dal D.Lgs. n. 15/2016, di recepimento della direttiva 2013/55/UE, che ha apportato numerose novelle alla “direttiva qualifiche”.

Si ricorda che con l'avvio della procedura di infrazione n. 2018/2295 è stata contestata all'Italia la violazione di alcune disposizioni della direttiva 2005/36/CE per il riconoscimento delle qualifiche professionali (cd. “Direttiva Qualifiche”) e della successiva direttiva direttiva 2013/55/UE che ne ha modificato in diversi articoli il contenuto.

In esito ad un controllo di conformità volto a verificare che le norme nazionali di recepimento fossero conformi alle suddette direttive il 24 gennaio 2019 la Commissione europea ha inviato lettere di costituzione in mora a 27 Stati membri (tutti tranne la Danimarca) per la non conformità della loro legislazione e delle loro prassi giuridiche alle norme dell'UE sul riconoscimento delle qualifiche professionali e il relativo accesso alle attività (violazione della direttiva sulle qualifiche professionali).

Le disposizioni non conformi individuate dalla Commissione relative al D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206 di attuazione della normativa comunitaria per il riconoscimento delle qualifiche professionali (cd. “direttiva qualifiche”), e, per quanto qui interessa, con particolare riferimento alle professioni sanitarie, sono l’articolo 32, comma 1, per il mancato inserimento dell’attività professionale di ostetrica tra le attività professioni che beneficiano del regime dei “diritti acquisiti”, l’articolo 34, comma 2 sull’esatta denominazione di medico specialista e l’articolo 36, comma 4, sui requisiti completi per la formazione specifica in medicina generale.

Inserimento dell’attività professionale di ostetrica del regime dei “diritti acquisiti” (comma 1, lettera g))

La lettera g) del comma 1 dell’articolo 4 in esame apporta alcune modifiche al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, inserendo all’articolo 32, comma 1, l’attività professionale di ostetrica (unica mancante) tra quelle indicate dalla norma relative a medico con formazione di medico di base e di medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, odontoiatra, odontoiatra specialista, veterinario, farmacista, che hanno la possibilità di beneficiare del c.d. “regime dei diritti acquisiti”, in base al quale può avvenire il riconoscimento automatico della professione, in virtù di un pregresso esercizio dell’attività di almeno tre anni.

In tal modo si garantirebbe il corretto recepimento dell’articolo 23 della “direttiva qualifiche”, secondo il quale anche chi esercita la professione di ostetrica, al pari delle altre professioni sopra menzionate, possa avvalersi del “regime dei diritti acquisiti”.

 

Denominazione di medico specialista (comma 1, lettera h))

La lettera h) modifica l’articolo 34, comma 2, del decreto legislativo n. 206/2007, riguardante la formazione medica specialistica e la denominazione di medico specialista, specificando, che tale formazione comporta la partecipazione del personale medico in formazione specialistica alle attività e alle responsabilità relative ai servizi presso cui segue la formazione, per tutte le specializzazioni indicate nell’allegato V, punti 5.1.2 e 5.1.3 del medesimo D.Lgs. 206.

Viene inoltre inserito il comma 2-bis, volto a recepire nel nostro ordinamento, con una formula espressa, anche il contenuto del paragrafo 3 dell’articolo 25 della “Direttiva qualifiche”, specificando che la formazione si svolge a tempo pieno in luoghi appositi riconosciuti dalle autorità competenti. La stessa implica la partecipazione del medico in formazione specialistica a tutte le attività mediche della struttura in cui essa avviene, compresi i turni di guardia, in modo che lo specializzando dedichi alla formazione pratica e teorica tutta la sua attività per l’intera durata della settimana di lavoro e per tutto l'anno, secondo modalità fissate dalle competenti autorità. Di conseguenza è previsto il riconoscimento del trattamento economico di cui agli articoli da 37 a 41 del D.Lgs. 368/1999.

Si fa notare, al riguardo, che il parere motivato della Commissione puntualizzava la non completa trasposizione dell’articolo 25, paragrafo 2, della direttiva 2005/36/CE (Direttiva qualifiche), rilevando che l’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 368 del 1999 sulla disciplina delle specializzazioni mediche limiterebbe l’ambito di applicazione della stessa disposizione europea al medico chirurgo candidato alla specializzazione, e non al medico specialista in generale. La censura tuttavia si fonda su una diversa interpretazione lessicale in quanto in Italia acquisiscono il titolo di “medico chirurgo” tutti coloro che terminano il primo ciclo universitario sessennale (la cd. “formazione medica di base” di cui all’articolo 24 della Direttiva qualifiche). Pertanto, l’ambito soggettivo di applicazione dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 368/1999, recante le condizioni di accesso ai corsi specializzazione e la formazione dei medici chirurgi specialisti, comprende tutti i candidati medici specialisti e non solo coloro che seguono il percorso di specializzazione in chirurgia generale.  

Requisiti per la formazione specifica in medicina generale (comma 1, lettera i))

La lettera i) modifica l’articolo 36, comma 4, del decreto legislativo n. 206/2007, sostituendo il comma con una norma che richiama anche le disposizioni di cui agli articoli 26 e 27 del decreto legislativo 17 agosto 1999 n. 368, allo scopo di far riferimento a tutti i requisiti per la formazione specifica in medicina generale e non solo a quelli di cui all’articolo 24 (l’unico attualmente richiamato) relativo ai soli aspetti inerenti alle modalità con cui si svolge il corso di formazione a tempo pieno ovvero a tempo parziale. Quest’ultima modalità riferita alla possibilità di svolgere il corso di formazione anche a tempo parziale è stata aggiunta durante l’esame del provvedimento in sede referente.

Ciò al fine di garantire il corretto recepimento dell’articolo 28, paragrafi 3 e 4, della “Direttiva qualifiche”, in base al quale la formazione specifica in medicina generale dovrebbe avvenire a tempo pieno ovvero a tempo parziale sotto il controllo delle autorità o degli organi competenti e dovrebbe essere di natura più pratica che teorica. Tali aspetti sono meglio dettagliati, infatti, agli articoli 26 (articolazione delle attività didattiche pratiche e teoriche del corso di formazione specifica in medicina generale) e 27 (partecipazione personale del candidato all'attività professionale e assunzione delle responsabilità connesse all'attività svolta) di cui al citato D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, recante “Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE”.

 

 


 

Articolo 5
(Disposizioni in materia di professioni ippiche. Corretta attuazione della direttiva 2013/55/UE)

 

 

L’articolo 5 esenta le qualifiche professionali di allenatore, fantino e guidatore di cavalli da corsa dall’applicazione della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali – direttiva 2013/55/UE che modifica la direttiva 2005/36/CE - attuata nell’ordinamento interno con il decreto legislativo n. 15 del 2016.

 

Nello specifico, ciò avviene tramite una novella all’articolo 5, comma 1, lettera l-ter) del decreto legislativo n. 206 del 2007 (lettera introdotta dall’art. 5, comma 1, del citato decreto legislativo n. 15 del 2016) che espunge le suddette categorie professionali di allenatore, fantino e guidatore di cavalli da corsa da un elenco di professionalità per le quali è necessario un riconoscimento da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

 

Secondo quanto riporta la relazione illustrativa, in base a un monitoraggio effettuato in merito alla mobilità degli operatori, le qualifiche professionali ippiche risultano già garantite nella loro libera circolazione in Europa da accordi internazionali di settore, applicati nei diversi Stati membri. Ci si riferisce, in particolare, agli accordi internazionali sottoscritti dalle autorità ippiche dei diversi Paesi, europei ed extra-europei, associati, per il galoppo, all'International Federation of Horseracing Authority (IFHA) e, per il trotto, all'Union Européenne du trot (di seguito UET), organismi che hanno il compito di armonizzare le diverse normative in materia di corse ippiche e di allevamento dei cavalli.

Sempre secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, la gestione delle istanze di riconoscimento per tali professioni secondo le modalità richieste dalla normativa europea renderebbe più difficoltosa la circolazione dei professionisti del settore ippico, richiedendo la necessità di un passaggio attraverso lo sportello unico. Risulta, altresì, di difficile applicazione l’attivazione e il transito degli operatori per l’IMI (sistema di informazione del mercato interno), sistema che richiede tempi più lunghi rispetto a quanto si necessita per l’attività ippica, a dispetto di quanto previsto dagli accordi internazionali che permettono la libera circolazione dei professionisti sulla base di una semplice attestazione rilasciata dal Paese di provenienza. Gli accordi internazionali prevedono, per esempio, la possibilità di sostituire il professionista anche il giorno della gara, ipotesi non contemplata dalla direttiva 2005/36/CE (modificata dalla direttiva 2013/55/UE).

Inoltre, prosegue la relazione, il citato decreto legislativo n. 206 del 2007 (oggetto della novella in commento), che attua la predetta direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, si applica esclusivamente ai professionisti dell’Unione e, pertanto, le sue disposizioni imporrebbero di determinare criteri diversi di valutazione per gli operatori extra UE, limitandone la circolazione in violazione delle norme internazionali di settore.

Viene, infine, sottolineato che nessun Paese europeo aderente all’IFHA e all’UET ha chiesto il riconoscimento delle qualifiche professionali ippiche ai sensi della direttiva 2013/55/UE, risultando, da una verifica sulla banca dati delle professioni regolamentate in Europa, che solo l’Italia ha inserito le professioni in parola nel campo di applicazione della direttiva 2005/36/CE (modificata dalla predetta direttiva 2013/36/CE).

Articolo 6
(Punto di contatto unico)

 

 

L'articolo 6 reca disposizioni relative al punto di contatto unico e scaturisce da una procedura di infrazione (2018/2374, allo stadio di messa in mora) avviata dalla Commissione europea, in cui si eccepisce, tra l'altro, l'assenza di recepimento dell'articolo 57, paragrafi 2, 3 e 4, e dell'articolo 57-bis, paragrafo 4, della direttiva 2005/36/CE relativa alle qualifiche professionali.

 

Il Trattato dell'Unione Europea assicura la libera circolazione dei lavoratori e, in particolare, disciplina il diritto di stabilimento che investe qualsiasi attività di lavoro svolta in regime di non subordinazione e in modo stabile.

Il diritto di stabilimento ricorre nei casi in cui un professionista qualificato intenda esercitare la propria professione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha ottenuto la qualifica professionale. Tuttavia, poiché ogni Stato membro può subordinare l'accesso a una determinata professione al possesso di una qualifica professionale specifica, che può variare negli Stati a seconda dei rispettivi ordinamenti, la qualifica ottenuta nel proprio Stato di origine potrebbe non essere sufficiente sul territorio di un altro Stato membro.

Questo potrebbe costituire un impedimento alla libera circolazione dei professionisti nell'Unione Europea. Pertanto l'Unione europea ha, da tempo, introdotto norme che regolano il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri.

La direttiva 2005/36/CE si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione Europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell'Unione Europea e che, nello Stato d'origine, li abilita all'esercizio di detta professione. La professione che l'interessato eserciterà sul territorio italiano sarà quella per la quale è stato qualificato nel proprio Stato membro d'origine, se le attività sono comparabili (nei Paesi in cui la professione non sia regolamentata, il titolare della qualifica professionale acquisita in un altro Paese non deve chiederne il riconoscimento e può esercitare la professione liberamente alle medesime condizioni valevoli per i cittadini dello Stato membro in questione; dovrà, però, dimostrare che abbia esercitato la professione nello Stato membro di provenienza).

 

Il citato articolo 57 della direttiva 2005/36/CE ha per oggetto l'accesso centralizzato on line alle informazioni.

I suoi paragrafi 2, 3 e 4 (dei quali la Commissione europea lamenta il mancato recepimento) dispongono che gli Stati membri provvedano affinché le informazioni sulle professioni che debbono essere disponibili on line attraverso i punti di contatto unici siano: fornite in modo chiaro e comprensibile agli utenti; facilmente accessibili mediante connessione remota e per via elettronica; siano aggiornate.  Gli Stati membri verificano che a qualsiasi richiesta di informazione rivolta ai punti di contatto unici si risponda quanto prima possibile.  Gli Stati membri e la Commissione adottano misure di accompagnamento intese a incoraggiare i punti di contatto unici a fornire le informazioni in altre lingue ufficiali dell'Unione europea.

L'altro citato articolo 57-bis della medesima direttiva 2005/36/CE ha per oggetto le procedure per via elettronica circa l'espletamento delle procedure e formalità relative alle qualifiche professionali, mediante connessione remota e per via elettronica attraverso il punto di contatto unico pertinente o la pertinente autorità competente. Il suo paragrafo 4 prevede che le procedure all'accesso ad un'attività di servizio siano del pari da rendere espletabili con facilità, a distanza e per via elettronica, tramite il punto di contatto unico o le autorità competenti (con decorrenza di termini procedimentali previsti dalla direttiva, dal momento in cui un cittadino presenti una richiesta presso un punto di contatto unico o direttamente alla pertinente autorità competente).

 

Si ricorda che il punto di contatto unico per le materie disciplinate dalla direttiva 2005/36/CE è il portale “impresainungiorno.gov.it” (gestito da Unioncamere).

Ne detta la disciplina attuativa l'articolo 3 del d.P.R. n. 160 del 2010 (ossia il regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008).

 

Per il recepimento delle disposizioni sopra richiamate della direttiva 2005/36/CE (introdotte dalla direttiva 2013/55/UE sulle qualifiche professionali), l’articolo in esame novella il decreto legislativo n. 206 del 2007 - il quale è l'atto che ha recepito quella direttiva del 2005.

Tale recepimento non era stato finora 'aggiornato' sulla scorta delle sopravvenute nuove disposizioni europee, delle quali la Commissione europea lamenta il mancato recepimento.

Ebbene, entro il decreto legislativo n. 206 del 2007 si viene ora ad introdurre l'articolo 7-bis ed a modificare l'articolo 59-bis.

 

In particolare, il novello articolo 7-bis (“Procedure per via elettronica”) recepisce l'articolo 57-bis, paragrafo 4 della direttiva qualifiche del 2005. Si prevede così che le procedure di riconoscimento delle qualifiche e dei tirocini professionali (previste dagli articoli 16, 17 e 17-bis del medesimo decreto legislativo n. 206 del 2007), nonché gli adempimenti richiesti al prestatore di servizi che si sposti per la prima volta da un altro Stato membro sul territorio nazionale (previsti dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 206) debbano potersi svolgere in via telematica attraverso il punto di contatto unico.

Tutti i relativi termini procedimentali decorrono dal momento in cui l'interessato presenti la richiesta o un documento mancante presso il punto di contatto unico o direttamente all’autorità competente.

L'eventuale richiesta di copie autenticate non è considerata come una richiesta di documenti mancanti e non comporta pertanto la riapertura dei termini.

Come sopra ricordato, sono previsioni che muovono sulla falsariga delle disposizioni europee, le quali vengono in tal modo trasposte nell'ordinamento interno.

 

Le novelle all'articolo 59-bis (avente ad oggetto l'“Accesso centralizzato online alle informazioni”) del decreto legislativo n. 206 del 2007 recepiscono, invece, l'articolo 57, paragrafi 2, 3 e 4 della direttiva qualifiche del 2005.

Il testo vigente già prevede l'obbligo per le autorità competenti di pubblicare le informazioni sulle professioni regolamentate e le relative procedure d’accesso su un'unica piattaforma online (il sito www.impresainungiono.gov.it gestito da Unioncamere), la quale agisce da punto di contatto unico ai sensi dell'articolo 25 (relativo allo sportello unico delle attività produttive) del decreto legislativo n. 59 del 2010 (che ha dato attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno).

Ebbene, la novellazione consiste nell'introduzione di due commi aggiuntivi. Il primo (comma 1-bis) prevede che quelle informazioni siano fornite in modo chiaro e comprensibile agli utenti, siano facilmente accessibili mediante connessione remota e per via elettronica, e siano aggiornate. Le autorità competenti dovranno altresì verificare che a qualsiasi richiesta di informazione rivolta al punto di contatto unico si risponda quanto prima possibile, eventualmente cooperando con il Centro di assistenza per il riconoscimento delle qualifiche (i cui compiti sono assolti dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio, ai sensi dell'articolo 6 del medesimo decreto legislativo n. 206 del 2007).

Il secondo comma aggiuntivo (comma 1-ter) prevede che il Coordinatore nazionale in materia (i cui compiti sono del pari assolti dal Dipartimento per le politiche europee) adotti misure volte ad incoraggiare il punto di contatto unico a fornire le informazioni in un'altra lingua ufficiale dell’Unione europea.

 

 


 

Articolo 7
(Disposizioni relative all’etichettatura dei succhi di frutta ed altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana. Attuazione della rettifica della direttiva 2001/112/CE)

 

L’articolo 7 prevede una modifica alle denominazioni di vendita – presenti sull’etichetta - dei succhi di frutta e di altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana.

 

 

Ciò avviene per mezzo di una novella all’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 151 del 2004, che reca attuazione della direttiva 2001/112/CE concernente i succhi di frutta.

Si ricorda che il citato articolo 4 reca le denominazioni di vendita e altre indicazioni relative ai succhi di frutta e ai prodotti analoghi (così come definiti all’allegato I, parte I del medesimo decreto legislativo n. 151 del 2004).

Nello specifico, il comma 2 del suddetto articolo 4 prevede - a legislazione vigente – alla lettera b), che si applichino, tra le altre, le seguenti particolari disposizioni:

b) la dicitura «a base di succo concentrato» o «a base di succhi concentrati» ovvero «parzialmente a base di succo concentrato» o «parzialmente a base di succhi concentrati» a seconda dei casi, deve figurare nell'etichettatura delle miscele di succo di frutta e di succo di frutta ottenuto da concentrato, e di nettare di frutta ottenuto interamente o parzialmente da concentrato; questa dicitura figura immediatamente accanto alla denominazione di vendita, bene in evidenza rispetto all'intero contesto e a caratteri chiaramente visibili”.

Ora, la disposizione in commento, sostituisce la suddetta lettera b) con la seguente:

b) le diciture «da concentrato», «da concentrati», «parzialmente da concentrato» o «parzialmente da concentrati» devono figurare nell’etichettatura delle miscele di succo di frutta e di succo di frutta ottenuto da concentrato e di nettare di frutta ottenuto interamente o parzialmente da concentrato immediatamente accanto alla denominazione di vendita, in evidenza rispetto all’intero contesto e a caratteri chiaramente visibili”.

 

La relazione illustrativa ricorda che il “5 maggio 2017 l’Italia ha chiesto ufficialmente alla Commissione che venisse rettificata la versione italiana della direttiva 2001/112/CE in quanto tale versione non risultava in linea con la versione inglese, creando di fatto una disparità di trattamento tra gli operatori europei e problemi di corretta informazione ai consumatori. È stato chiesto, infatti, di rettificare, fra le denominazioni, il termine “succo concentrato” con il termine “concentrato” che correttamente corrisponde alla traduzione del termine inglese “concentrate”. A seguito di tale richiesta, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 7 marzo 2019, è stata pubblicata la rettifica della versione italiana. Per effetto di tale rettifica, la precedente versione dell’articolo 3, punto 6), della direttiva [2001/112/CE] secondo cui, «Fatto salvo l’articolo 7, paragrafi 2 e 5, della direttiva 2000/13/CE, nel caso di miscugli di succo di frutta e di succo di frutta ottenuto da un succo concentrato, e di nettare di frutta ottenuti interamente o parzialmente a partire da uno o più succhi concentrati, l’etichettatura comporta la dicitura «a base di succo/succhi concentrato/i» o «parzialmente a base di succo/succhi concentrato/i», a seconda dei casi…», è sostituita dalla seguente: «Fatto salvo l’articolo 7, paragrafi 2 e 5, della direttiva 2000/13/CE, nel caso di miscugli di succo di frutta e di succo di frutta ottenuto da concentrato, e di nettare di frutta ottenuti interamente o parzialmente a partire da uno o più concentrati, l’etichettatura comporta la dicitura «da concentrato/i» o «parzialmente da concentrato/i», a seconda dei casi». La disposizione in esame è, pertanto, finalizzata ad allineare il decreto legislativo 21 maggio 2004, n.151 alla suddetta rettifica”.

 

Si ricorda che, in base all’allegato I, punto 1, lettera b) del decreto legislativo n. 151 del 2004 (che riprende quanto riportato nell’allegato I della direttiva 2012/112/UE, che modifica la direttiva 2001/112/CE), la definizione di “Succo di frutta da concentrato” designa “il prodotto ottenuto mediante ricostituzione del succo di frutta concentrato definito al punto 2, con acqua potabile…”.

 

Secondo il citato punto 2 dell’allegato I del decreto legislativo n. 151 del 2004, il termine “Succo di frutta concentrato” designa “il prodotto ottenuto dal succo di frutta di una o più specie di frutta, mediante eliminazione fisica di una determinata parte d'acqua. Se il prodotto è destinato al consumo diretto, l'eliminazione deve essere almeno pari al 50% della parte d'acqua. L'aroma, la polpa e le cellule ottenuti mediante processi fisici adeguati dalle stesse specie di frutta possono essere restituiti ai succhi di frutta concentrati”.

 

 


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di contratti pubblici – Procedura di infrazione n. 2018/2273)

 

L’articolo 8 novella alcuni articoli del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016), al fine di conformarsi a quanto indicato nella procedura di infrazione europea 2018/2273.

In primo luogo, viene modificato l'articolo 80, commi 1 e 5, del Codice, in materia di motivi di esclusione dalla partecipazione di un operatore economico ad una procedura per l’assegnazione di un appalto pubblico, al fine di eliminare la possibilità che un operatore economico possa essere escluso da una procedura di gara, quando la causa di esclusione riguardi non già l'operatore medesimo, bensì un suo subappaltatore, nei casi di obbligo di indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta o, indipendentemente dall'importo a base di gara, che riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato modificato, conseguentemente alla modifica apportata ai commi 1 e 5, il comma 7 dell’art. 80 del Codice, al fine di limitare al solo operatore economico (escludendo quindi il subappaltatore) la possibilità, in caso di ravvedimento operoso dopo un giudizio definitivo per determinati reati, di essere ammesso a partecipare alle procedure di appalto.

In secondo luogo, con le modifiche all'articolo 105, commi 4 e 6, del Codice, il concorrente non è più obbligato ad indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta, per appalti di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie UE, o, indipendentemente dall'importo a base di gara, per le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa. Viene inoltre stabilito che, a dimostrare l'assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione, sia il medesimo subappaltatore e non già il concorrente che subappalta le attività.

Per quanto riguarda la disciplina del subappalto nei contratti di concessione previsti dal Codice, con le modifiche all’articolo 174, commi 2 e 3 del Codice, i “grandi” operatori economici non sono più obbligati ad indicare, in sede di offerta, la terna di nominativi di subappaltatori.

Conseguentemente, per effetto delle modifiche introdotte nel Codice dall’articolo in esame, si dispone la soppressione di parte della disciplina transitoria relativa al subappalto, recata dall’articolo 1, comma 18 del D.L. 32/2019 che, nelle more di una complessiva revisione del Codice, ha previsto, in sostanza, l’applicazione temporanea di norme identiche/analoghe a quelle introdotte dalla norma in esame, con conseguente sospensione contestuale dell’efficacia delle vigenti disposizioni in materia.

Si stabilisce poi, con una modifica al D.M. 192/2017 che disciplina le procedure di scelta del contraente e l'esecuzione del contratto da svolgersi all'estero, la possibilità per gli eventuali subappalti di superare complessivamente il trenta per cento dell'importo complessivo del contratto.

Nel corso dell’esame in sede referente è stata introdotta, inoltre, una modifica all’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, al fine di includere, tra i soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria, anche altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato i medesimi servizi.

Da ultimo, si prevede, inoltre, che le modifiche recate al Codice trovino applicazione alle procedure dei bandi o degli avvisi di gara pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi.

 

 

La procedura di infrazione europea

Il 24 gennaio 2019, la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273, con la quale ha contestato all’Italia l’incompatibilità di alcune disposizioni dell’ordinamento interno in materia di contratti pubblici rispetto a quanto disposto dalle direttive europee relative alle concessioni (direttiva 2014/23), agli appalti pubblici nei settori ordinari (direttiva 2014/24) e agli appalti pubblici nei settori speciali (direttiva 2014/25). A seguito della valutazione della risposta del Governo, la Commissione europea ha indirizzato all’Esecutivo una lettera di costituzione in mora complementare del 27 novembre 2019, rilevando i problemi di conformità sollevati in precedenza non ancora risolti e individuando ulteriori disposizioni della legislazione italiana non conformi alle citate direttive.

Il Governo italiano avrebbe comunicato l’intenzione di apportare modificazioni alla legislazione vigente, al fine di adeguare la disciplina nazionale a quella europea, e avrebbe fornito elementi di informazione e di chiarimento rispetto a taluni profili di incompatibilità, che non necessiterebbero di ulteriori interventi normativi.

Come rilevato nella scheda di lettura sull’articolo 8 del disegno di legge in esame, la Commissione ha eccepito la mancata previsione di escludere un operatore economico (dalla partecipazione a una procedura di appalto o di concessione) che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione possa essere adeguatamente dimostrata, pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo, nonché l’obbligo di indicazione di una terna di subappaltatori nei contratti di appalto e di concessione.

Ulteriori contestazioni della Commissione europea, confermate nella lettera di costituzione in mora complementare, riguardano le disposizioni italiane concernenti:

·         il divieto di subappaltare più del 30% di un contratto pubblico;

·         il divieto generale per i subappaltatori di fare ricorso a loro volta ad altri subappaltatori (subappalto a cascata);

·         il divieto di sub-avvalimento (il soggetto delle cui capacità l’operatore intende avvalersi non può affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto);

·         il divieto per diversi offerenti in una procedura di gara di avvalersi dello stesso soggetto, per il soggetto di cui un offerente intende avvalersi di presentare un’offerta nella stessa procedura di gara e per l’offerente in una procedura di gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa procedura di gara;

·         il divieto di avvalimento qualora il contratto pubblico comprenda opere super specialistiche, che secondo la Commissione europea sembra non consentire l’avvalimento in relazione all’intero oggetto del contratto e non solo in relazione alle opere super specialistiche in esso comprese;

·         le offerte anormalmente basse, con particolare riguardo al numero di minimo di offerte ammesse oltre il quale si prevede l’applicazione dell’esclusione automatica nei contratti sotto soglia.

Con la citata messa in mora complementare, la Commissione europea ha individuato ulteriori profili di non conformità dell’ordinamento italiano al regime europeo in materia di appalti e concessioni concernenti:

·         il regime dei contratti pubblici aggiudicati da enti previdenziali privatizzati, con particolare riguardo all’esenzione prevista per tali enti dall’obbligo di indire gare pubbliche per l’aggiudicazione di contratti di gestione dei loro beni immobili, anche nei casi in cui il valore di tali contratti non sia inferiore alla pertinente soglia;

·         le categorie di operatori del settore cui è consentito partecipare alle procedure di aggiudicazione di contratti pubblici relativi a servizi di architettura e ingegneria; secondo la Commissione, la normativa italiana non sembrerebbe consentire a un operatore economico, il quale presti tali servizi e abbia una forma giuridica diversa da una di quelle elencate nella disciplina nazionale, di partecipare alle gare per l’affidamento di contratti pubblici relativi a tali medesimi servizi.

 

Si segnala che l’art. 8 in esame affronta solo alcuni dei profili di incompatibilità con la normativa europea sollevati con la citata procedura di infrazione.

 

 

Violazioni di norme riguardanti gli operatori economici per l'affidamento dei servizi di architettura e ingegneria (comma 1, lettera a))

Nel corso dell’esame in sede referente è stata introdotta al comma 1 dell’art. 8 in esame, la lettera a), che modifica l’art. 46 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/16) in cui sono elencati i soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria.

Il Codice dei contratti pubblici, all’art. 45, definisce, in via generale, la nozione di operatore economico ammesso a partecipare alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, mentre all’art. 46, elenca per i servizi di architettura e di ingegneria gli operatori economici ammessi alle procedure di appalto.

Ai sensi dell’art. 46, comma 1, sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria: a) i prestatori di servizi di ingegneria e architettura: i professionisti singoli, associati, le società tra professionisti di cui alla lettera b), le società di ingegneria di cui alla lettera c), i consorzi, i GEIE (gruppi europei di interesse economico), raggruppamenti temporanei fra i predetti soggetti che rendono a committenti pubblici e privati, operando sul mercato, servizi di ingegneria e di architettura, nonché attività tecnico-amministrative e studi di fattibilità’ economico-finanziaria ad esse connesse, ivi compresi, con riferimento agli interventi inerenti al restauro e alla manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, i soggetti con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della vigente normativa; b) le società di professionisti: le società costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai capi II, III e IV del titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperativa di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile, che svolgono per committenti privati e pubblici servizi di ingegneria e architettura quali studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico economica o studi di impatto ambientale; c) società di ingegneria: le società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, ovvero nella forma di società cooperative di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile che non abbiano i requisiti delle società tra professionisti, che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto, nonché eventuali attività di produzione di beni connesse allo svolgimento di detti servizi; d) i prestatori di servizi di ingegneria e architettura identificati con i codici CPV da 74200000-1 a 74276400-8 e da 74310000-5 a 74323100-0 e 74874000-6 stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi; e) i raggruppamenti temporanei costituiti dai soggetti di cui alle lettere da a) a d); f) i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato nei settori dei servizi di ingegneria e architettura.

 

La norma in esame aggiunge nel suddetto elenco degli operatori economici, previsto dall’art. 46, comma 1, la lettera d-bis), che prevede la partecipazione alle procedure di appalto anche di “altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura”. Conseguentemente, si interviene altresì sulla lettera e) dell’art. 46, al fine di introdurre tali nuovi soggetti tra quelli ammessi nei raggruppamenti temporanei.

Viene inoltre sostituito il comma 2 dell’art. 46, al fine di consentire anche a tali soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura di poter partecipare alle procedure di appalto, con il solo possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti dal bando di gara, per un determinato periodo.

Il comma 2  dell’art. 46 specifica che, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, le società, per un periodo di cinque anni dalla loro costituzione, possono documentare il possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti dal bando di gara anche con riferimento ai requisiti dei soci delle società, qualora costituite nella forma di società di persone o di società cooperativa, e dei direttori tecnici o dei professionisti dipendenti della società con rapporto a tempo indeterminato, qualora costituite nella forma di società di capitali.

L’intervento in commento richiama quanto recentemente deciso dalla Corte di giustizia UE, che nella sentenza dell'11 giugno 2020, C?219/19 ha stabilito che il diritto nazionale non può vietare ad una fondazione senza scopo di lucro, che è abilitata ad offrire taluni servizi sul mercato nazionale, di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi.

 

Violazione di norme riguardanti i motivi di esclusione (comma 1, lettera b))

La lettera b) del comma 1 dell’art. 8 in esame modifica i commi 1 e 5 dell’art. 80 del Codice, che disciplinano i motivi di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto o concessione, rispettivamente, in caso di giudizio definitivo per determinati reati ovvero in caso di presenza di determinate situazioni.

La modifica interviene al fine di limitare la verifica dei motivi di esclusione al solo operatore economico, e non anche in riferimento al suo subappaltatore, nel caso di obbligo di indicazione della terna di subappaltatori proposti in sede di offerta, per i contratti di valore pari o superiore alle soglie UE, di cui all'articolo 105, comma 6, del Codice o, indipendentemente dall'importo a base di gara, riguardanti le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa.

In sostanza, le modifiche in commento fanno venir meno la possibilità che un operatore economico possa essere escluso da una procedura di gara, quando la causa di esclusione riguardi non già l'operatore medesimo, bensì un suo subappaltatore proposto obbligatoriamente in sede di offerta.

Con tali interventi si intende coordinare l’articolo 80, commi 1 e 5, del Codice, con le novelle recate all’articolo 105 del Codice dal presente articolo, in materia di subappalto, a seguito dei rilievi recati dalla Commissione europea all'Italia nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273 (vedi infra per il commento all’art. 105).

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato modificato, conseguentemente alle modifiche sopra illustrate, il comma 7 dell’art. 80 del Codice, al fine di limitare al solo operatore economico (escludendo quindi il subappaltatore) la possibilità, in caso di ravvedimento operoso dopo un giudizio definitivo per determinati reati, di essere ammesso a partecipare alle procedure di appalto.

Violazione di norme riguardanti l’obbligo di indicare la terna di subappaltatori proposti (comma 1, lett. c) e d))

La lettera c) del comma 1 dell’articolo 8 in esame modifica in più punti l’articolo 105 del Codice, che disciplina i casi per l’affidamento di attività in subappalto,

L'articolo 105 del Codice, che disciplina il subappalto, stabilisce che i soggetti affidatari dei contratti pubblici eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto, prevede altresì le condizioni per le quali è ammesso il subappalto (comma 4) e gli obblighi previsti in sede di offerta, qualora gli appalti di lavori, servizi e forniture siano di importo pari o superiore alle soglie UE o, indipendentemente dall'importo a base di gara, riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa (comma 6).

In primo luogo, la lettera c) del comma 1 dell’art. 8 provvede ad abrogare il comma 6 dell’art. 105 del Codice, che prevede, per gli appalti di valore pari o superiore alle soglie UE, nonché per gli appalti che, pur essendo di valore inferiore alle soglie UE, riguardano specifiche attività individuate dalla normativa italiana come particolarmente esposte al rischio d’infiltrazione mafiosa, l’obbligo per gli operatori di indicare nelle loro offerte una terna di subappaltatori.

In particolare, la Commissione ritiene che, sebbene l’articolo 71, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 preveda che le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere agli operatori di indicare nelle loro offerte “i subappaltatori proposti”, una disposizione quale l’articolo 105, comma 6, del Codice, che obbliga gli offerenti ad indicare sempre tre subappaltatori, anche qualora all’offerente ne occorrano meno di tre, viola il principio UE di proporzionalità di cui all’articolo 18, paragrafo 1, della direttiva 2014/24.

La lettera c) del comma 1 dell’art. 8 interviene, inoltre, sul comma 4 dell’art. 105 del Codice, che disciplina le condizioni generali per l’affidamento delle attività in subappalto, previa autorizzazione della stazione appaltante, in base alle quali: l'affidatario del subappalto non deve aver partecipato alla procedura per l'affidamento dell'appalto; il subappaltatore deve essere qualificato nella relativa categoria; all'atto dell'offerta devono essere indicati i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che si intende subappaltare; il concorrente deve dimostrare l'assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80 del Codice.

La riscrittura del comma 4 dell’art. 105 del Codice operata dalla norma in esame provvede ad introdurre tra le predette condizioni per l’affidamento delle attività in subappalto, l’insussistenza a carico del subappaltatore dei motivi di esclusione previsti dall’art. 80 del Codice, e, conseguentemente elimina l’onere imposto al concorrente di dimostrare l’assenza in capo al subappaltatore dei suddetti motivi di esclusione.

In sostanza, si attribuisce al subappaltatore, e non già al concorrente, la dimostrazione della assenza dei motivi di esclusione previsti all'articolo 80 del Codice.

 

Le modifiche introdotte per i contratti di appalto per lavori, servizi e forniture dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 vengono altresì previste per i contratti di concessioni disciplinati dal Codice.

In particolare, la lettera d) del comma 1 dell’art. 8 in esame elimina l’obbligo, previsto dall’art. 174, comma 2, terzo periodo, del Codice, posto in capo ai “grandi” operatori economici, di indicare, in sede di offerta, una terna di nominativi di subappaltatori.

Si ricorda che il testo vigente prevede tale obbligo in capo agli operatori economici che non siano microimprese, piccole e medie imprese, nell’ambito delle concessioni di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alla soglia di rilevanza europea di cui all'art. 35 del Codice. Tale obbligo, secondo la disposizione, non ha portata generale ma è previsto solo nei seguenti casi: a) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione; b) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali risulti possibile reperire sul mercato una terna di nominativi di subappaltatori da indicare, atteso l'elevato numero di operatori che svolgono dette prestazioni.

Si ricorda che l’art. 42 della direttiva europea sulle concessioni (direttiva n. 2014/23/UE) prevede che l’indicazione sia, di norma, facoltativa e non obbligatoria. Il comma 2 di tale articolo stabilisce infatti che “Nei documenti di gara, l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore possono chiedere o possono essere obbligati da uno Stato membro a chiedere all'offerente o al candidato di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti della concessione che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti”. L’obbligo di indicare una terna di subappaltatori è stato censurato dalla Commissione europea (procedura di infrazione n. 2018/2273).

 

La modifica in commento riscrive inoltre il testo del comma 3 dell’art. 174 del Codice, al fine di sopprimere il riferimento all’obbligo posto in capo ai “grandi” operatori economici di dimostrare l’assenza dei motivi di esclusione previsti dall’art. 80 del Codice,  per i casi contemplati dal comma 2 dell’art. 174, rimanendo, come per i contratti di lavori e forniture (art.105), l’obbligo per l'affidatario di provvedere a sostituire i subappaltatori, relativamente ai quali apposita verifica abbia dimostrato la sussistenza dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80 del Codice.

Nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato, con una modifica al comma 3 dell’art. 174 del Codice, che la verifica sulla sussistenza dei motivi di esclusione nei confronti dei subappaltatori è a carico della stazione appaltante.

 

Soppressione della disciplina transitoria del subappalto (comma 2)

Il comma 2 dell’art. 8 in esame provvede a sopprimere una parte del comma 18 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, che detta una disciplina transitoria del subappalto, nelle more di una complessiva revisione del Codice, il cui termine di efficacia finale è fissato al 30 giugno 2021 (termine così prorogato dall'art. 13, comma 2, lett. c), del D.L. 183/20, previsto, precedentemente, al 31 dicembre 2020).

Il primo periodo del comma 18 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 prevede che il subappalto deve essere indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture, in deroga alla disciplina dettata dall’art. 105, comma 2, del Codice, che fissa tale quota al 30% dell’importo complessivo del contratto.

Nel disporre la deroga indicata, si fa comunque salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo art. 105 del Codice, che dispone, per le opere che richiedono lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali (di cui all’art. 89, comma 11, del Codice), un limite quantitativo del subappalto non superiore al 30% dell'importo delle opere medesime, che, inoltre, non può essere, senza ragioni obiettive, suddiviso.

Il limite quantitativo è stato innalzato dal 30% al 40% dal D.L. 32/2019, verosimilmente con l'intento di superare i problemi avanzati dall'Unione europea con l'apertura della procedura di infrazione n. 2018/2273, per cui tali restrizioni quantitative al subappalto fissate in maniera astratta in una determinata percentuale dell’appalto risulterebbero incompatibili con il dettato europeo in materia di contratti pubblici.

 

Il secondo periodo del comma 18 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, soppresso dalla norma in esame, prevede, fino al 31 dicembre 2021 (termine così prorogato dall'art. 13, comma 2, lett. c), del D.L. 183/20, in precedenza fissato al 31 dicembre 2020) la sospensione della applicazione:

-       del comma 6 dell'articolo 105 del Codice (di cui viene prevista l’abrogazione dalla lettera c), del comma 1 dell’art. in esame, vedi supra);

-       del terzo periodo del comma 2 dell'articolo 174 del Codice (di cui viene prevista la soppressione dalla lettera d) del comma 1 dell’art. in esame, vedi supra);

-       delle verifiche in sede di gara previste a carico dell’operatore economico, riferite al suo subappaltatore, dall'art. 80 del Codice (modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. in esame, vedi supra).

 

In sostanza l’intervento normativo in esame, che sopprime una parte dell’art. 1, comma 18, del D.L. 32/2019, è conseguente alle modifiche operate dalla norma in esame alle richiamate disposizioni del Codice (modifiche la cui applicazione è già vigente per effetto della sospensione prevista fino al 31 dicembre 2021).  

Di rilievo appare, per un esame della disciplina del subappalto, alla luce anche delle previsioni introdotte dall’art. 1, comma 18 del D.L. 32/2019, la segnalazione n. 8/2019, approvata con delibera ANAC n. 1035 del 13 novembre 2019.

Con la citata segnalazione l’Autorità raccomanda l’adozione di un intervento legislativo organico nella materia del subappalto “mediante una opportuna ‘compensazione’ tra i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo e le esigenze nazionali di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica, che sono sempre stati alla base della limitazione all’utilizzo dell’istituto”.

 

Per approfondire, inoltre, gli interventi recati dal D.L. 32/2019 al Codice, si rinvia al tema web sui Contratti pubblici ed al relativo dossier.

 

Subappalto nei contratti da svolgersi all’estero (comma 3)

Il comma 3 abroga il comma 2 dell’articolo 14 del decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale 2 novembre 2017, n. 192[9], che disciplina il subappalto nei contratti da svolgersi all’estero.

Con la modifica in esame, gli eventuali subappalti possono complessivamente superare il trenta per cento dell'importo complessivo del contratto.

L’art. 14 del D.M. 192/2017 stabilisce in materia di subappalto che nell'invito o nel bando e nel conseguente contratto devono essere specificati determinati obblighi a carico del contraente principale, dell’appaltatore e del subappaltatore (comma 1) e che gli eventuali subappalti non possono complessivamente superare il trenta per cento dell'importo complessivo del contratto (comma 2).

Applicazione delle norme introdotte nel Codice (comma 4)

Il comma 4 prevede l’applicazione delle nuove disposizioni introdotte dall’articolo in esame alle procedure i cui bandi o avvisi di gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi.

 

 

 


 

Articolo 9
(Disposizioni relative alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall'applicazione di una normativa adottata da un Paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti. Attuazione del regolamento (CE) n. 2271/96)

 

L’articolo 9 individua nel MAECI l'autorità competente ad applicare il regolamento (CE) del Consiglio n. 2271/96 del 22 novembre 1996, relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall’applicazione di una normativa adottata da un paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (cosiddetto “regolamento di blocco”).

 

In particolare, l’articolo modifica il decreto legislativo n. 346/1998, recante “Disposizioni di carattere sanzionatorio-amministrativo in attuazione del regolamento (CE) n. 2271/96 del Consiglio del 22 novembre 1996, a norma dell'articolo 8 della L. 24 aprile 1998, n. 128”, che ha attribuito al Ministero del commercio con l’estero la competenza ad irrogare le sanzioni per la violazione del citato regolamento di blocco. Successivamente, l’articolo 27, comma 3, del decreto legislativo n. 300/1999 ha attribuito le competenze del soppresso Ministero del commercio con l’estero al Ministero dello sviluppo economico. Da ultimo, l’articolo 2 del decreto-legge n. 104/2019 ha disposto il trasferimento dal Ministero dello sviluppo economico al MAECI delle competenze in materia di commercio internazionale e dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, e non di tutte le competenze già spettanti al Ministero del commercio con l’estero. Conseguentemente, l’articolo in esame chiarisce che la competenza ad applicare il regolamento (CE) n. 2271/96 è ora trasferita al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

 

 

Si ricorda che il  regolamento (CE) n. 2271/96 del Consiglio del 22 novembre 1996 relativo alla protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall'applicazione di una normativa adottata da un paese terzo, e dalle azioni su di essa basate o da essa derivanti (GU L 309 del 29.11.1996, pagg. 1–6) ha l’obiettivo di proteggere gli interessi di persone fisiche o giuridiche dagli effetti extraterritoriali di una legislazione adottata da paesi terzi. Le leggi coperte dal regolamento sono specificate nel suo Allegato.

La protezione copre:

Il regolamento si applica a:

Qualora gli interessi economici e/o finanziari di qualsiasi persona siano lesi da una legislazione straniera, tale persona ne deve informare la Commissione europea entro 30 giorni. I 30 giorni decorrono dalla data in cui questa informazione è pervenuta alla persona.

Nessuna sentenza di un tribunale e nessuna decisione di un’autorità amministrativa esterna alla Comunità che, direttamente o indirettamente, renda operativi gli atti normativi indicati nell’allegato (come ad esempio l’«Iran and Libya Sanctions Act» del 1996 degli USA) è accettata o eseguita in alcun modo. Nessuna delle persone cui si riferisce il regolamento deve rispettare richieste o divieti basati o derivanti dagli atti normativi indicati nell’allegato. Tuttavia, si può essere autorizzati a rispettare, completamente o in parte, tali norme o divieti se la loro inosservanza può danneggiare seriamente i propri interessi o quelli della Comunità. Questa autorizzazione viene concessa dalla Commissione, con l’assistenza di un comitato composto da rappresentanti dei paesi membri.

I paesi membri determinano le sanzioni da imporre in caso di violazione delle pertinenti disposizioni del regolamento.

Il regolamento (CE) n. 2271/96 è stato successivamente modificato.

Il regolamento (UE) n. 37/2014 ha stabilito che l’attuazione del regolamento (CE) n. 2271/96 richiede condizioni uniformi per la definizione di criteri intesi ad autorizzare le persone a conformarsi integralmente o in parte a eventuali prescrizioni o divieti, tra cui le ingiunzioni di tribunali stranieri, nei casi in cui la loro inosservanza pregiudicherebbe gravemente i loro interessi o quelli dell’Unione. Tali misure dovrebbero essere adottate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011. (Ruolo dei comitati nelle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione europea).

Il regolamento delegato (UE) 2018/1100 ha modificato l’allegato per tenere conto del fatto che nel maggio 2018 gli Stati Uniti hanno annunciato che non rinunceranno più ad applicare le loro misure restrittive nazionali nei confronti dell’Iran. Alcune di queste misure hanno un’applicazione extraterritoriale e possono avere effetti negativi sugli interessi dell’Unione e sugli interessi delle persone fisiche e giuridiche coinvolte in attività economiche con l’Iran.

 

Si ricorda altresì che il decreto legge n. 104/2019, art. 2, già citato, ha traferito al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale le funzioni (con le relative risorse umane e strumentali) precedentemente esercitate dal Ministero dello sviluppo economico in materia di politica commerciale e promozionale con l’estero e di sviluppo dell’internazionalizzazione del sistema Paese. Di conseguenza, sono stati posti in capo al Ministero degli affari esteri i poteri di vigilanza e di controllo su alcuni enti operanti nel settore, quali ICE Agenzia e SIMEST.

Le risorse umane, strumentali, compresa la sede, e finanziarie, compresa la gestione residui, della Direzione generale per il commercio internazionale del MISE sono state trasferite al MAECI, a decorrere dal 1° gennaio 2020.

Le risorse del bilancio Stato destinate all’esercizio delle funzioni sopra indicate, risultano iscritte, per il 2019, nello stato di previsione della spesa del MISE, nella Missione “Commercio internazionale ed internazionalizzazione del sistema produttivo”. La Missione consta di due programmi di spesa: “Politica commerciale in ambito internazionale[10]” e “Sostegno all'internazionalizzazione delle imprese e promozione del made in Italy[11].

Sul programma di spesa “Sostegno all'internazionalizzazione delle imprese e promozione del "Made in Italy", risulta stanziata la quasi totalità delle risorse della Missione stessa pari al 97,8%[12].

Sul programma di spesa “Politica commerciale in ambito internazionale” è stanziato il restante 2,2% delle risorse della Missione per l’anno 2019.

Articolo 10
(Disposizioni relative alle procedure di autorizzazione all'esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso e dell'applicazione delle sanzioni in materia di embarghi commerciali, nonché per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti. Attuazione del regolamento (CE) n. 428/2009)

 

L’articolo 10 reca disposizioni relative alle procedure di autorizzazione all’esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso, necessarie a garantire attuazione al regolamento (CE) n. 428/2009, trasferendo al MAECI le competenze in materia.

 

In particolare, l’articolo modifica il decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 221, recante l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della normativa europea ai fini del riordino e della semplificazione delle procedure di autorizzazione all'esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso[13] e dell'applicazione delle sanzioni in materia di embarghi commerciali. Modificando il decreto legislativo suddetto, il decreto legge 104/2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 132 del 18 novembre 2019, ha trasferito le competenze in materia di beni a duplice uso dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. La disposizione proposta completa le modifiche apportate al decreto legislativo 221/2017, chiarendo che è il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale l'autorità deputata a individuare i Paesi e i prodotti nei quali attivare lo strumento delle autorizzazioni generali nazionali di esportazioni di prodotti a duplice uso, nonché ad emanare il provvedimento che coordina le attività ispettive di altre amministrazioni relativamente alle operazioni di esportazione, importazione, trasferimento, intermediazione, transito e assistenza tecnica.

 

 

Si ricorda che il regolamento (CE) n. 428/2009 del Consiglio, del 5 maggio 2009, che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell’intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso (GU L 134 del 29.5.2009, pag. 1-269) crea un sistema uniforme dell’Unione europea per controllare l’esportazione, il trasferimento, il transito e l’intermediazione (il lavoro degli intermediari che comprano e vendono per conto di terzi) dei prodotti a duplice uso. Questi controlli mirano a garantire la conformità con gli impegni e le responsabilità internazionali dell’’UE, in particolare in materia di non proliferazione (cioè la prevenzione della diffusione delle armi nucleari).

Viene stabilito un elenco di controllo comune dell’UE e le regole per la sua attuazione. Per esportare un prodotto a duplice uso da un paese dell’UE a un paese terzo è necessaria un’autorizzazione di esportazione[14].

Il commercio di prodotti a duplice uso rappresenta una parte considerevole del commercio estero dell’UE: secondo i dati aggiornati al 2017, il volume delle esportazioni controllate a duplice uso dall’UE ha raggiunto gli 85 miliardi di EUR.

L'allegato I del regolamento riporta un elenco di prodotti a duplice uso che richiedono l’autorizzazione[15]. Vi è poi il caso che l’esportazione di determinati prodotti a duplice uso non elencati nell’allegato suddetto, possa essere soggetta comunque ad autorizzazione, quando vi è motivo di ritenere che siano destinati ad essere utilizzati in connessione con un programma di armamenti biologici, chimici, nucleari o di missili balistici, o per un uso militare in paesi soggetti a un embargo sugli armamenti.

In casi eccezionali, i paesi dell’UE possono imporre controlli aggiuntivi su prodotti non elencati per motivi di sicurezza pubblica o di rispetto dei diritti umani.

I paesi dell’UE applicano anche restrizioni sui servizi di intermediazione di prodotti a duplice uso, nonché sul transito attraverso l’UE.

Con l’eccezione di alcuni prodotti sensibili di cui all’allegato IV del regolamento (come i detonatori esplosivi azionati elettricamente), i prodotti a duplice uso possono essere liberamente scambiati all’interno dell’UE.

Il regolamento istituisce una rete di autorità competenti per il controllo delle esportazioni, coordinata dal gruppo di coordinamento dei prodotti a duplice uso (GCDU), preposta allo scambio di informazioni sui controlli delle esportazioni e sviluppa strumenti per supportare questa attuazione.

L'articolo 23, paragrafo 3, del regolamento prevede che la Commissione presenti una relazione annuale al Parlamento europeo sulle "attività, analisi e consultazioni del gruppo di coordinamento sui prodotti a duplice uso"[16]. L'articolo 25, paragrafo 2, del regolamento prevede inoltre che, ogni tre anni, la Commissione trasmetta al Parlamento europeo e al Consiglio una "relazione completa di attuazione e di valutazione dell'impatto"[17]. Nel novembre 2019 la Commissione ha presentato quest’ultima relazione di valutazione dell’attuazione e dell’impatto. Essa fornisce informazioni sull'attuazione del regolamento nel 2018 e comprende i dati aggregati sul controllo delle esportazioni per il 2017.

 

Si ricorda come accennato che il decreto legge n. 104/2019, art. 2, comma 15, ha apportato modifiche al D.Lgs. n. 221/2017. Sono state trasferite al MAECI le competenze relative alle autorizzazioni per le esportazioni di beni e materiali a duplice uso. In particolare:

·         la lettera a) ha modificato l’articolo 4, comma 1 del D.Lgs. n. 221/2017, individuando nel MAECI (e non più nel MISE) l’autorità competente all’applicazione delle disposizioni del decreto[18];

·         la lettera b) ha novellato il comma 3 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 221/2017 prevedendo che il comitato consultivo, istituito presso l’autorità competente (modificata dalla precedente lettera a) e ora individuata nel MAECI) venga nominato con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (e non più del Ministro dello sviluppo economico). Quanto alla composizione, fanno parte del comitato il direttore dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento-UAMA del MAECI (di cui all’articolo 7-bis della legge n. 185/1990, Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento)[19], che svolge le funzioni di presidente, e un rappresentante per ciascuno dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’interno, della difesa, dell’economia e delle  finanze, dello sviluppo economico, della salute, dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché uno dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Le funzioni di segretario sono esercitate da un funzionario del MAECI[20];

·         con la lettera c) si sono modificati i commi 4 e 7 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 221/2017. È previsto che il decreto di nomina alla partecipazione alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto, di esperti tecnici di provata competenza nei regimi di controllo dei prodotti a duplice uso (ai quali non spettano gettoni di presenza, indennità o altri emolumenti comunque denominati, né rimborsi spese), sia emanato dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (in luogo del Ministro delle attività produttive) (comma 4); ad un decreto del MAECI (non più del MISE) è demandata, sentite le altre amministrazioni facenti parte del comitato consultivo di cui al comma 3, la disciplina delle modalità di funzionamento del Comitato.

 

 

 

 


 

Articolo 11
(Disposizioni in materia di inammissibilità delle domande di protezione internazionale. Sentenza pregiudiziale della Corte di giustizia dell’Unione europea nelle cause riunite C-297/17, C-318/17 e C-319/17)

 

La disposizione interviene, modificando l’articolo 29 del decreto legislativo n. 25 del 2008, sui casi di inammissibilità della domanda di concessione dello status di protezione internazionale a cittadini di paesi terzi. Al fine di tenere conto di quanto evidenziato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (cause riunite C?297/17, C?318/17 e C?319/17), viene specificato che è inammissibile la domanda nel caso in cui al richiedente sia stata riconosciuta la protezione sussidiaria da parte di un altro Stato membro.

 

Nella relazione illustrativa si evidenzia che la modifica è finalizzata a dare corretta attuazione della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 luglio 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (di refusione della Direttiva 2008/85/CE) e, in particolare, dell’articolo 33 relativo ai criteri di inammissibilità della domanda.

La Corte di giustizia dell’Unione europea (cause riunite C?297/17, C?318/17 e C?319/17) ha infatti evidenziato come “l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria […]”.

 

La necessità di allineare l’ordinamento nazionale alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE è emersa anche in occasione dell’esame della domanda pregiudiziale (C-616/19) posta dalla High Court - Ireland, relativa all’irricevibilità della domanda di protezione internazionale nel caso in cui il richiedente ha già ottenuto la protezione sussidiaria da parte di un primo Stato membro. Il motivo del rinvio risiede nella particolare condizione giuridica dell’Irlanda, che non ha optato per il recepimento della direttiva 2013/32/UE, mantenendo nel diritto interno la previsione della precedente direttiva 2005/85/CE che, conformemente al sistema europeo di asilo all’epoca vigente, prevedeva l’irricevibilità della domanda solo nel caso in cui al richiedente era stato riconosciuto lo status di rifugiato.

 

Nell’ordinamento italiano, nel dare attuazione della direttiva europea 2013/32/UE, non è stata, in particolare, modificata l’originaria formulazione dell’articolo 29, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 25 del 2008, sulla inammissibilità della domanda di asilo, che tuttora condiziona l’inammissibilità della domanda al solo riconoscimento dello status di rifugiato da parte di un altro Stato membro, seppure tutta la materia dell’asilo sia stata uniformata alle prescrizioni della direttiva 2013/32/UE, che introduce il concetto di protezione internazionale che ricomprende il riconoscimento dello status di rifugiato e quello di persona ammessa alla protezione sussidiaria.

 

Nella relazione illustrativa si evidenzia che “per evitare possibili dubbi interpretativi in sede di applicazione della normativa nazionale, anche sotto il profilo della delimitazione degli obblighi dell'Italia quando la domanda è presentata da uno straniero che abbia già ricevuto la protezione sussidiaria da parte di un altro Stato membro, si rende necessario adeguare l'articolo 29, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 25/2008 prevedendo, conformemente alla normativa europea, l'inammissibilità della domanda anche nell'ipotesi in cui al richiedente è stata riconosciuta la protezione sussidiaria da parte di un altro Stato membro”.

 

Procedure di contenzioso

Con sentenza del 19 marzo 2019, nell’ambito delle cause riunite C?297/17, C?318/17, C?319/17 e C?438/17, aventi ad oggetto domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE (presentate dal Bundesverwaltungsgericht, Corte amministrativa federale, Germania), la Corte di giustizia dell’UE si è pronunciata in merito all’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), e dell’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale. In particolare, la Corte ha chiarito che la prima disposizione richiamata deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe sottoposto detto richiedente quale beneficiario di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro non lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Corte precisa che la circostanza che i beneficiari di tale protezione sussidiaria non ricevano, in detto Stato membro, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatto prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un siffatto rischio solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.

Secondo la Corte, inoltre, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che non osta a che uno Stato membro eserciti la medesima facoltà, quando la procedura d’asilo nell’altro Stato membro che ha concesso al richiedente una protezione sussidiaria conduca a rifiutare sistematicamente, senza un esame effettivo, il riconoscimento dello status di rifugiato a richiedenti protezione internazionale che presentano i requisiti previsti ai capi II e III della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nell’ambito della riforma complessiva del CEAS Sistema comune europeo di asilo, è tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee la proposta di regolamento (COM(2016) 467), che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE.

La proposta, tra l’altro, mira a sostituire l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a) della direttiva vigente (citato nella relazione illustrativa al provvedimento in esame), con una disposizione (l’articolo 36, paragrafo 2), direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale in quanto regolamentare. Nel testo formulato dalla Commissione europea la nuova disposizione prevede che: la domanda di protezione internazionale non sia esaminata nel merito quando non è esaminata a norma del regolamento Dublino, compreso quando un altro Stato membro ha riconosciuto al richiedente protezione internazionale o quando la domanda è respinta per i motivi di inammissibilità indicati dalla proposta medesima.

A seguito del complessivo stallo concernente l’iter di riforma del sistema comune europeo di asilo iniziato nel 2016, il 23 settembre 2020, la Commissione europea ha presentato il Nuovo patto per l’asilo e la migrazione che include tra l’altro la proposta modificata COM(2020) 611 istitutiva di una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE. La nuova proposta conferma la misura testé illustrata.

 

Articolo 12
(Disposizioni in materia di validità e rinnovo del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, e del regolamento (UE) 2017/1954 su modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi)

 

L’articolo 12, concernente le disposizioni in materia di validità e rinnovo del documento di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, introduce un termine di validità per tale tipologia di documento pari a 10 anni per i cittadini stranieri maggiorenni, e a 5 anni per i minorenni, fermo restando che esso è idoneo ad attestare il riconoscimento del relativo status, nel corso della sua validità.

A tal fine vengono modificati l’articolo 9 del Testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998) e l’articolo 17 del regolamento di attuazione del Testo unico (DPR 394/1999).

Il permesso di soggiorno UE, secondo la normativa vigente, è a tempo indeterminato ed è valido come documento di identificazione per 5 anni. Pertanto il rinnovo è a discrezione dell’interessato, qualora questi intenda utilizzare il permesso anche come documento di identificazione.

 

Come si legge nella relazione illustrativa, la norma è finalizzata a dare completa attuazione alle disposizioni previste dal regolamento (UE) n. 2017/1954 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2017, il cui allegato (lettera a), punto 11), modificando il regolamento (CE) n. 1030/2002 (istitutivo di un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi), “non consente più che la data di scadenza riportata sui documenti sia illimitata, in quanto essa deve essere riferita alla mera scadenza fisica del prototipo e non al diritto di residenza conferito dallo Stato membro”.

 

La materia del soggiorno di lungo periodo degli stranieri provenienti da Paesi terzi è disciplinata dalla direttiva 2003/109/CE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 3/2007 che ha novellato il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998, artt. 9 e 9-bis).

I cittadini di Paesi terzi, soggiornanti legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro, acquistano lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto ad un permesso di soggiorno speciale detto "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", che ha sostituito la "carta di soggiorno", dal contenuto analogo, prevista in precedenza.

Ai fini del rilascio del permesso UE lo straniero deve dimostrare, salvo determinati casi, la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio.

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato, salva revoca o perdita a date condizioni, ed è rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta. Il permesso non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato (D.Lgs. 286/1998, art. 5).

Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, lo status di soggiornante di lungo periodo reca con sé alcuni diritti, quali la parità di trattamento nell'esercizio di un'attività lavorativa, la tutela contro l'allontanamento, il soggiorno negli altri Stati membri, il ricongiungimento con i familiari.

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato anche agli stranieri titolari dello status di protezione internazionale.

Il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, tranne alcuni casi specificamente previsti (quale il permesso di soggiorno rilasciato per lo svolgimento di attività di ricerca e quello per lo straniero titolare di protezione internazionale).

 

Il comma 1 dell’articolo in esame modifica il comma 2 dell’articolo 9 del testo unico eliminando la previsione della durata a tempo indeterminato del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, sostituita con quella che esso “attesta il riconoscimento permanente del relativo status”, salvo i casi di revoca disciplinati dagli articoli 9, commi 4-bis, 7, 10 e 10 bis, del testo unico.

Inoltre, viene introdotta la durata di 10 anni del documento attestante il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Per i minori la durata è di 5 anni allo scopo – come riportato nella relazione illustrativa – “di agevolare le fasi di riconoscimento del titolare minorenne e garantire loro una maggiore tutela in considerazione della particolare condizione di vulnerabilità, coerentemente con gli altri documenti di identificazione concessi dalle Autorità nazionali (passaporto e carta d’identità), nel rispetto tuttavia della norma unionale sancita dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2003/109/CE, in cui è affermato che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo deve essere valido per almeno cinque anni”.

 

Si prevede poi che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, in corso di validità, costituisce documento di identificazione personale alla stregua della carta d'identità e di ogni altro documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione competente dello Stato italiano o di altri Stati, con la finalità prevalente di dimostrare l'identità personale del suo titolare (secondo la definizione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera d), del DPR 445/2000).

 

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione ha “l’obiettivo di far chiarezza, distinguendo il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo – che ha una durata permanente salvo i casi di revoca disciplinati dal legislatore nazionale, ai sensi dell’articolo 9, commi 4-bis, 7, 10 e 10 bis, del TUI – dalla validità del documento elettronico che attesta tale status, che invece, ha una durata limitata nel tempo, in analogia al tempo di validità attribuito, dalle norme nazionali di settore, alla carta d’identità, al passaporto e alla patente di guida”.

 

I successivi commi 2 e 3 recano norme di carattere transitorio.

Il comma 2 stabilisce che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da oltre 10 anni alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame non sia più valido per l’attestazione del regolare soggiorno nel territorio dello Stato.

La previsione del comma 2 sembra dunque riguardare tutti i permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati fino alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (permessi che non avevano dunque una scadenza).

 

La relazione illustrativa chiarisce che in ogni caso la scadenza non comporta la revoca del particolare status, stante la previsione dall’articolo 9, paragrafo 6, della direttiva 2003/109, dove è esplicitamente affermato che in nessun caso la scadenza del titolo di soggiorno comporta la revoca dello status. Tuttavia, prosegue la relazione illustrativa “in caso di esibizione nel corso dei controlli di polizia anche in frontiera, il titolo di soggiorno potrà essere ritirato – per la restituzione all’Autorità che ne aveva curato il rilascio – e la persona potrà essere invitata presso la Questura competente, per adempiere alle fasi di aggiornamento del documento in parola, ai sensi della vigente normativa (articolo 15 TULPS ovvero articolo 650 C.p.)”.

 

Il comma 3 chiarisce che il permesso di soggiorno UE con l’indicazione della durata (decennale o quinquennale) introdotta dall’articolo in esame sarà concesso ai titolari dello status di soggiornante di lungo periodo alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame al momento della prima richiesta presentata ai fini dell’aggiornamento delle informazioni trascritte o della fotografia.

 

Infine, il comma 4, dispone l’abrogazione del comma 2 dell’articolo 17 del regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 in quanto superato dalla previsione del comma 1 dell’articolo in esame, laddove prevede che il permesso di soggiorno UE costituisce documento di identificazione personale.

 

L’articolo 17, comma 2, del regolamento di attuazione prevede che il permesso di soggiorno UE costituisce documento di identificazione personale per non oltre cinque anni dalla data del rilascio o del rinnovo e che il rinnovo è effettuato a richiesta dell'interessato, corredata di nuove fotografie.

 

 

 


 

Articolo 13
(Disposizioni in materia di proroga del visto d’ingresso per soggiorni di breve durata.
Attuazione del regolamento (CE) n. 810/2009)

 

L’articolo 13 introduce l’istituto della proroga del visto di ingresso degli stranieri per soggiorni di breve durata. La proroga è disposta dal questore della provincia in cui si trova lo straniero, il quale è sottoposto a rilievi foto-dattiloscopici al momento della richiesta. La proroga consente il soggiorno dello straniero in tutto il territorio nazionale.

I dati relativi alla proroga sono memorizzate nel sistema informazioni visti (VIS) e registrate nel Centro elaborazione dati della Polizia.

 

A tal fine l’articolo in esame modifica il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante testo unico sull’immigrazione, con l’inserimento del nuovo articolo 4-ter rubricato Proroga del visto (comma 1, lettera a) dell’articolo in esame).

 

Come riportato nella relazione illustrativa, la disposizione ha lo scopo di dare compiuta attuazione a quanto previsto dall’articolo 33 del Regolamento (CE) n. 810/2009, istitutivo del codice comunitario dei visti, entrato in vigore nell’aprile 2010, che ha introdotto l’istituto unionale della proroga della validità del visto di breve durata, fino al termine massimo di 90 giorni nel semestre.

 

La disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri è recata principalmente dalla legge n. 68 del 2007 e dal regolamento (CE) n. 810/2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che ha istituito un codice comunitario dei visti (codice dei visti).

La legge 68/2007 prevede che, qualora la durata del soggiorno sia non superiore a tre mesi, non sia richiesto il permesso di soggiorno, sostituito da una dichiarazione di presenza. La disposizione si applica per l'ingresso per visite, affari, turismo, studio e, a seguito di una integrazione introdotta dal D.L. 53/2018, per missione, gara sportiva o ricerca scientifica.

In tali casi, il visto d'ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza dello straniero, costituisce documento idoneo anche per il soggiorno, purché al momento dell'ingresso, o in caso di provenienza da Paesi dell'area Schengen, entro otto giorni dall'ingresso, lo straniero dichiari la sua presenza all'autorità di frontiera o al questore della provincia in cui si trova, secondo le modalità stabilite con il decreto del Ministro dell'interno 26 luglio 2007.

Il termine di durata per cui è consentito il soggiorno è quello indicato nel visto di ingresso.

In caso di inosservanza dell’obbligo di dichiarazione di presenza, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, oppure in caso di permanenza nel territorio dello Stato oltre i tre mesi o il minore termine stabilito nel visto di ingresso lo straniero viene espulso.

Tale disciplina è integrata dettagliatamente dal regolamento (CE) n. 810/2009 (codice visti) che ha per oggetto le procedure e le condizioni per il rilascio dei visti per soggiorni previsti nel territorio degli Stati membri non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni (art. 1, § 1, come modificato dal Regolamento (UE) 2019/1155 del 20 giugno 2019.

 

L’articolo 33 del regolamento (CE) 810/2009 prevede che il visto già rilasciato è prorogato:

§  per motivi di forza maggiore o di ragioni umanitarie, riconosciute come tali dalle autorità competenti, che impediscono al titolare del visto di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del periodo di validità del visto o della durata del soggiorno da esso autorizzato;

§  per ragioni personali serie che giustifichino la proroga del periodo di validità o della durata del soggiorno.

 

Nel primo caso la proroga è concessa a titolo gratuito, mentre nel secondo caso la proroga dà luogo alla riscossione di un diritto pari a 30 euro.

L'autorità competente a prorogare il visto è quella dello Stato membro sul cui territorio si trova il cittadino del paese terzo al momento della richiesta della proroga.

Gli Stati membri comunicano alla Commissione le autorità competenti per la proroga dei visti.

Le informazioni sul visto prorogato sono inserite nel VIS conformemente all'articolo 14 del regolamento VIS.

 

La proroga del visto di ingresso per brevi periodi era già contemplata dall’Acquis di Schengen, dove, tra l’altro si precisa che, per l’Italia, le Autorità amministrative preposte alla proroga debbano essere gli Uffici per gli stranieri ubicati presso le Questure della Repubblica (Decisione del Comitato esecutivo del 14 dicembre 1993 (SCH/Com-ex(93)21).

 

Come si legge nella relazione illustrativa, l’intervento normativo è motivato dal fatto che le disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, non sono state aggiornate in tal senso: “la disciplina di settore, difatti, necessita di un adeguamento in quanto, sulla base delle specifiche previsioni contenute all’articolo 4, comma 2, del TUI e all’articolo 5 del novellato D.P.R. n. 394/99, il visto può essere rilasciato unicamente dalle autorità diplomatico-consolari o dagli uffici di polizia di frontiera italiani e ai soli fini dell’ingresso sul territorio nazionale o del transito”.

 

Nel dettaglio, la disposizione in esame stabilisce che il questore della provincia in cui lo straniero si trova può prorogare il visto per soggiorni di breve durata fino alla durata massima consentita dalla normativa europea (ossia 90 giorni) ai sensi dell’articolo 33 del citato regolamento (CE) 810/2009 (comma 1 del nuovo art. 4-ter).

Si stabilisce, inoltre, che lo straniero che chiede la proroga del visto è sottoposto a rilievi foto-dattiloscopici, alla stregua di colui che richiede il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno (comma 2 del nuovo art. 4-ter).

Si ricorda che il citato regolamento 810/2009 (CE) prescrive che “il richiedente che presenta la “prima domanda” deve presentarsi di persona. In tale occasione sono rilevati i seguenti identificatori biometrici del richiedente: una fotografia, scansionata o fatta al momento della domanda, e le sue impronte (..) rilevate digitalmente”.

 

 

L’acquisizione dei rilievi foto-dattiloscopici (ossia dei rilievi fotografici e delle impronte digitali) dei cittadini stranieri è previsto da diverse disposizioni speciali.

In linea generale, tutti gli stranieri che fanno richiesta del permesso di soggiorno, o ne richiedono il rinnovo, sono sottoposti alla rilevazione dei dati foto-dattiloscopici (art. 5, comma 2-bis e 4-bis del TU immigrazione, introdotto dalla L. 189/2002).

Gli stranieri autorizzati al lavoro stagionale ai sensi dell'articolo 24 del testo unico per un periodo non superiore a trenta giorni sono esonerati dall'obbligo di sottoposizione alla rilevazione dei dati foto-dattiloscopici (art. 9, comma 5, DPR 394/1999 regolamento di attuazione del TU).

Inoltre, sono sottoposti al rilevamento delle impronte digitali i cittadini stranieri o apolidi di età non inferiore a 14 anni che presentano una domanda di asilo o quando sono fermati dalle competenti autorità a seguito dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera italiana in provenienza da un paese terzo e non sia stato respinto (artt. 4 e 8 regolamento (CE) N. 2725/2000 del Consiglio dell'11 dicembre 2000 che istituisce l'«Eurodac»).

In ogni caso, qualunque cittadino straniero può essere sottoposto a rilievi foto-dattiloscopici e segnaletici qualora vi sia motivo di dubitare della sua identità personale (art. 6, comma 4, TU).

Infine, i cittadini stranieri, come quelli italiani, sono sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici qualora ricorrano le condizioni previste dalle norme del procedimento penale.

 

Il comma 3 del nuovo articolo 4-ter chiarisce che la proroga del visto concessa dal questore abilita al soggiorno sul territorio nazionale senza la necessità di ulteriori adempimenti, quindi, presumibilmente, senza dover trasmettere una nuova dichiarazione di presenza, come previsto per coloro che fanno ingresso in Italia con il visto per soggiorni di breve durata (vedi supra).

 

Il comma 4 del nuovo articolo 4-ter prevede che le informazioni sulla proroga del visto, siano memorizzate nel sistema di informazione visti (VIS) conformemente all’articolo 14 del regolamento (CE) n. 767/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 200 (regolamento VIS).

Si tratta di una disposizione già prevista dal citato articolo 33 del regolamento (UE) n. 810/2009).

 

Il regolamento VIS definisce lo scopo, le funzionalità e le responsabilità del sistema di informazione visti (VIS). Stabilisce inoltre le condizioni e le procedure per lo scambio dei dati sui visti tra i paesi dell’Unione europea (UE) e i paesi associati che applicano la politica comune in materia di visti. In tal modo vengono agevolati l’esame delle richieste di visto per soggiorni brevi e le decisioni di proroga, annullamento e revoca di visti, nonché i controlli sui visti e le verifiche e identificazioni dei richiedenti e dei titolari di un visto.

 

Oltre alla menzione sul sistema VIS, si prevede che i dati sulle proroghe dei visti siano registrate nel Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8, della legge 1° aprile 1981, n. 121.

 

Si tratta del Centro elaborazione dati operante presso il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministro dell’interno che provvede alla classificazione, analisi e valutazione delle informazioni e dei dati che devono essere forniti anche dalle forze di polizia in materia di tutela dell'ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità e alla loro diramazione agli organi operativi delle forze di polizia.

 

Le lettere b), c) e d) del comma 1 della disposizione in esame apportano ulteriori modifiche al testo unico di coordinamento della normativa di settore, in considerazione dell’introduzione dell’istituto della proroga del visto.

In particolare la lett. b), n. 1) modifica l’articolo 5 comma 1 del testo unico al fine di estendere alla proroga del visto il novero dei titoli che consentono il soggiorno dello straniero.

Dal punto di vista della formulazione del testo, si ricorda che la disposizione vigente non comprende espressamente tra i titoli che consentono il soggiorno il visto per ingresso di breve durata; con la modifica prevista vi comprenderebbe la sua proroga.

 

Le altre disposizioni di coordinamento riguardano:

·         lett. b), n. 2): i reati in materia di contraffazione, alterazione e utilizzo dei documenti relativi all’ingresso e al soggiorno (articolo 5, comma 8-bis, del TU),

·         lett. d): l’espulsione dello straniero (articolo 13, comma 2, lettera b), del TU),

·         lett. c): l’individuazione dell’autorità amministrativa competente alla trattazione dell’eventuale ricorso, seguente alla mancata concessione della proroga.

 

Con riguardo a tale ultimo aspetto, viene modificato l’articolo 6, comma 10, del TU, attribuendo la trattazione della proroga del visto al tribunale amministrativo regionale competente, che già è competente per i ricorsi contro i provvedimenti adottati in esito alla domanda di permesso di soggiorno.

 


 

Articolo 14
(Disposizioni in materia di rilascio dei documenti di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Attuazione del regolamento (UE) 2016/1953)

 

L’articolo 14 provvede a individuare nel questore l’autorità competente al rilascio del documento di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, ai sensi del regolamento (UE) 2016/1953, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016.

 

Si tratta del regolamento che ha istituito il documento di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e ha abrogato la raccomandazione del Consiglio del 30 novembre 1994.

Il regolamento stabilisce alcune caratteristiche base del documento ma lascia impregiudicate le modalità di rilascio dello stesso (n. 10 dei consideranda) che sono demandate agli Stati membri.

L’articolo in esame provvede appunto a specificare l’autorità competente nel rilascio del documento, aggiungendo il comma 6-bis all’articolo 1 del decreto legislativo n. 286 del 1998, recante il testo unico immigrazione, prevedendo che il documento di viaggio per il rimpatrio sia rilasciato dal questore, sulla base del modello conforme approvato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, la disposizione “consentirà di agevolare ed accelerare le procedure di rimpatrio degli stranieri che sono sprovvisti di documenti di viaggio rilasciati dagli Stati di origine o provenienza. L'uso di tale documento renderebbe difatti superabili talune criticità legate alla carente collaborazione delle Autorità diplomatiche dei Paesi terzi nelle attività di identificazione dei propri cittadini, onde consentirne il rimpatrio”.

 

Il regolamento (UE) 2016/1953 ha istituito un documento di viaggio europeo uniforme per il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi che non soddisfano, o non soddisfano più, le condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza negli Stati membri (denominato documento di viaggio europeo per il rimpatrio), e ne ha definito in particolare il formato, le caratteristiche di sicurezza e le specifiche tecniche dello stesso.

Il documento di viaggio europeo uniforme rappresenta una delle misure che contribuiscono al rimpatrio efficace dei cittadini di Paesi terzi, in quanto le caratteristiche di sicurezza e le specifiche tecniche del documento di viaggio facilitano il riconoscimento da parte dei paesi terzi e accelereranno i rimpatri nel quadro di accordi di riammissione o altri accordi conclusi dall'UE o dagli Stati membri con i Paesi terzi.

Il documento di viaggio europeo per il rimpatrio contiene le seguenti informazioni (art. 3 reg. UE 20167/1953):

a)  nome, cognome, data di nascita, sesso, cittadinanza, segni distintivi e, se noto, indirizzo nel Paese terzo di rimpatrio del cittadino;

b)  una fotografia del cittadino di paese terzo;

c)  autorità emittente, data e luogo di rilascio e periodo di validità;

d) informazioni relative alla partenza e all'arrivo del cittadino di Paese terzo.

Il documento è valido per un viaggio di sola andata fino al momento dell'arrivo nel Paese terzo di rimpatrio del cittadino oggetto di una decisione di rimpatrio.

Le caratteristiche di sicurezza e le specifiche tecniche del documento di viaggio europeo per il rimpatrio sono stabilite dall'articolo 2 del regolamento (CE) n. 333/2002.

 

 

 


 

Articolo 15
(Attuazione della direttiva di esecuzione (UE) 2019/68 che stabilisce le specifiche tecniche per la marcatura delle armi da fuoco e dei loro componenti essenziali e della direttiva di esecuzione (UE) 2019/69 che stabilisce le specifiche tecniche relative alle armi d’allarme o da segnalazione. Procedure di infrazione n. 2020/0211 e n. 2020/0212))

 

Si dà qui recepimento a due distinte direttive di esecuzione europee in materia di armi:

Ø  la n. 68 del 2019, che stabilisce le specifiche tecniche per la marcatura delle armi da fuoco e dei loro componenti essenziali (a norma della direttiva 91/477/CEE del Consiglio relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi);

Ø  la n. 69 del 2019, che stabilisce le specifiche tecniche relative alle armi d'allarme o da segnalazione (a norma della medesima direttiva 91/477/CEE del Consiglio).

 

Entrambe sono direttive di esecuzione (del 16 gennaio 2020, della Commissione europea), con termine di recepimento il 17 gennaio 2020.

Essendo scaduto tale termine, si è avviata nei confronti dell'Italia da parte della Commissione europea la procedura di infrazione per mancato recepimento (attualmente allo stato di messa in mora: rispettivamente, procedura n. 2020/0211 e n. 2020/0212).

Ambedue le direttive pongono prescrizioni obbligatorie e, in quanto tecniche, prive di spazi di discrezionalità in sede di recepimento.

 

Il recepimento è realizzato mediante novellazione della legge n. 110 del 1975, recante "Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi".

 

La prima delle due direttive sopra citate, la n. 68 del 2019, stabilisce le specifiche tecniche della marcatura delle armi da fuoco e dei loro componenti essenziali (non si applica invece alle unità elementari di imballaggio di munizioni complete).

Poiché della marcatura tratta l'articolo 11 della legge n. 110 del 1975, è questo ad essere inciso dalla novella (recata dal comma 1, lettera c) di questo articolo del disegno di legge).

Si viene a prevedere che la marcatura sia eseguita in conformità, appunto, delle specifiche tecniche contenute in allegato alla citata direttiva n. 68.

 

Ai sensi dell'articolo 11, comma 1 della legge n. 110 del 1975, sulle armi prodotte, assemblate o introdotte nello Stato deve essere impressa, senza ritardo, a cura del fabbricante, dell'assemblatore o dell'importatore, una marcatura unica, chiara e permanente, dopo la fabbricazione, l'assemblaggio, o l'importazione.

Tale marcatura, contenente il nome, la sigla o il marchio del fabbricante o dell'assemblatore, il Paese o il luogo di fabbricazione o assemblaggio, il numero di serie e l'anno di fabbricazione o assemblaggio, qualora lo stesso non faccia parte del numero di serie e, ove possibile, il modello, deve essere impressa sul telaio o sul fusto o su un'altra parte dell'arma da fuoco. Può, altresì, essere apposto il marchio del produttore.

Nel caso in cui una parte dell'arma sia di dimensioni troppo ridotte per essere provvista della marcatura in conformità del presente articolo, essa è contrassegnata almeno da un numero di serie o da un codice alfanumerico o digitale.

Un numero progressivo deve, altresì, essere impresso sulle canne intercambiabili di armi. Il calibro deve essere riportato almeno sulla canna.

Ogni marcatura deve essere apposta su una parte visibile dell'arma o facilmente ispezionabile senza attrezzi.

A cura del Banco nazionale di prova deve essere apposta la sigla della Repubblica italiana e l'indicazione dell'anno in cui è avvenuta l'introduzione dell'arma nel territorio nazionale, salvo che l'indicazione dello Stato membro dell'Unione europea importatore e l'anno di importazione siano già stati apposti dal medesimo Stato membro dell'Unione europea.

Per inciso, si ricorda che un riordino del Banco nazionale di prova è oggetto di schema di d.P.R. transitato al vaglio consultivo del Parlamento (A.G. n. 180, su cui v. il dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato n. 268).

 

La seconda delle due direttive sopra citate, la n. 69 del 2019, stabilisce le specifiche tecniche relative alle armi d'allarme o da segnalazione.

Ai sensi della direttiva, gli Stati membri provvedono affinché i dispositivi con camera di cartuccia che siano destinati esclusivamente a sparare cartucce a salve, sostanze irritanti o altre sostanze attive oppure cartucce pirotecniche da segnalazione, debbano rispettare in ogni momento le specifiche tecniche di cui all'allegato della medesima direttiva (per non essere considerati armi da fuoco a norma della direttiva 91/477/CEE).

Le specifiche tecniche riguardano le modalità che ogni fabbricante o importatore di armi a salve, strumenti di segnalazione o strumenti in grado di nebulizzare una miscela irritante per fini di autodifesa, deve seguire affinché tali prodotti possano essere utilizzati unicamente per tali specifici scopi.

Per il recepimento della direttiva n. 69, sono introdotte - dal comma 1, lettere a) e b) di questo articolo del disegno di legge - due complementari novelle.

Intanto si incide sull'articolo 2, comma 5 della legge n. 110 del 1975, il quale di per sé prevede che le disposizioni di quella medesima legge nonché del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e del suo regolamento esecutivo (regi decreti rispettivamente n. 773 del 1931 e n. 635 del 1940) relative alla detenzione ed al porto delle armi, non si applichino nei riguardi degli strumenti lanciarazzi e delle relative munizioni quando il loro impiego sia previsto da disposizioni legislative o regolamentari ovvero siano comunque detenuti o portati per essere utilizzati come strumenti di segnalazione per soccorso, salvataggio o attività di protezione civile.

La novella viene a specificare tali strumenti lanciarazzi, se muniti di camera di cartuccia, debbono comunque conformarsi alle specifiche tecniche recate dalla direttiva n. 69.

Inoltre si introduce, nel corpo della legge n. 110 del 1975, un nuovo articolo 5-bis, avente ad oggetto gli strumenti di segnalazione acustica o lanciarazzi o di autodifesa.

Vi si prevede che il Banco di prova verifichi (a spese dell'interessato) che gli strumenti sopra ricordati, qualora provvisti di camera di cartuccia (benché il dettato testuale potrebbe far intendere che tale requisito valga solo per gli strumenti di autodifesa), siano conformi alle specifiche tecniche della citata direttiva n. 69.

Vale specificare che per strumenti di autodifesa qui si intendono quelli che nebulizzano un principio attivo naturale a base di oleoresin capsicum e non abbiano l'attitudine a recare offesa alla persona (le caratteristiche tecniche sono state disciplinate dal regolamento posto con decreto del Ministro dell'interno n. 103 del 12 maggio 2011, autorizzato dall'articolo 3, comma 32 della legge n. 94 del 2009).

Aggiunge il novello articolo 5-bis ora introdotto dalla novella che il Banco di prova fornisce i risultati delle predette verifiche agli omologhi punti di contatto degli Stati membri che ne facciano richiesta.

Esso infine disciplina il profilo delle sanzioni.

Prevede infatti che chiunque produca o ponga in commercio gli strumenti sopra ricordati - di segnalazione acustica o lanciarazzi o di autodifesa - senza l'osservanza delle disposizioni, sia punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.500 euro a 15.000 euro.

Nel caso in cui l'uso o il porto d'armi sia previsto quale elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato, il reato stesso sussiste (o è aggravato) anche qualora si tratti di strumenti da segnalazione acustica non conformi alle specifiche tecniche di cui all'allegato alla direttiva n. 69 citata.

Siffatta disciplina sanzionatoria è analoga a quella già posta dall'articolo 5 della legge n. 110 del 1975, circa il divieto di strumenti trasformabili in armi.

 

La decorrenza della novella disciplina (e del suo corredo sanzionatorio) dalla data di entrata in vigore della presente legge europea, fa sì che ne siano oggetto gli strumenti prodotti o importati successivamente a quella data.

Per gli strumenti prodotti o importati o detenuti legittimamente fino a quella data, si applicano le disposizioni previgenti.

Articolo 16
(Disposizioni per l’adeguamento alla direttiva 2013/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e che sostituisce la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2019/2033)

 

 

L’articolo 16, introdotto dalla Commissione, modifica gli articoli 615-quater, 615-quinquies, 617, 617-bis, 617-quater e 617-quinquies del codice penale, in tema di criminalità informatica, per dare seguito alla procedura di infrazione n. 2019/2033, con la quale la Commissione europea contesta all’Italia il non corretto recepimento della Direttiva 2013/40/UE, relativa agli attacchi contro i sistemi informatici.

 

 

La Direttiva 2013/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione e che sostituisce la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio stabilisce norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni nel settore degli attacchi contro i sistemi di informazione. I suoi obiettivi sono facilitare la prevenzione di tali reati e migliorare la cooperazione fra autorità giudiziarie e altre autorità competenti, compresi la polizia e i servizi degli Stati membri incaricati dell'applicazione della legge, nonché le competenti agenzie e gli organismi specializzati dell'Unione, come Eurojust, Europol e l'Agenzia per la sicurezza delle reti e dell'informazione (ENISA).

La direttiva, che mantiene la maggior parte delle disposizioni già contenute nella decisione quadro 2005/222/GAI, richiede che siano qualificate come reato le seguenti condotte, almeno per i casi che non sono di minore gravità:

- l'accesso illecito e intenzionale a sistemi di informazione (art. 3);

- l'interferenza illecita in sistemi di informazione (art. 4) e a dati (art. 5), tanto sotto forma di ostacolo quanto di interruzione di comunicazioni, mediante l’immissione, la trasmissione, il danneggiamento, l’alterazione o la cancellazione di dati;

- l'intercettazione illecita, tramite strumenti tecnici, di trasmissioni non pubbliche di dati informatici (art. 6);

- la produzione e la messa a disposizione di strumenti quali programmi o password di computer, senza diritto e con l'intenzione di utilizzarli al fine di commettere i reati di cui agli articoli da 3 a 6. La direttiva si riferisce, in particolare, all'azione con cui si stabilisce il controllo a distanza di un numero rilevante di computer infettandoli con software maligni per mezzo di attacchi informatici mirati (art. 7);

- l'istigazione, il favoreggiamento, il concorso ed il tentativo di commettere tali reati (art. 8).

Per quanto riguarda le sanzioni penali applicabili, gli Stati membri dovranno assicurare:

- una pena detentiva massima non inferiore a 2 anni, almeno per i casi che non sono di minore gravità;

- una pena di detenzione massima di almeno 3 anni, qualora un numero significativo di sistemi di informazione sia stato colpito avvalendosi di uno degli strumenti di cui all'art. 7;

- una pena detentiva non inferiore a 5 anni, qualora i reati di interferenza illecita siano stati commessi nell'ambito di un'organizzazione criminale, o abbiano causato gravi danni, o siano stati commessi ai danni di un sistema di informazione di un'infrastruttura critica (art. 9).

Gli Stati dovranno inoltre prevedere, per i reati individuati dalla Direttiva, la responsabilità amministrativa degli enti (artt. 10-11) e affermare la propria giurisdizione (art. 12).

Ulteriori previsioni riguardano il rafforzamento della rete esistente di punti di contatto per lo scambio di informazioni e la cooperazione tra gli Stati (art. 13) e la raccolta di dati statistici (art. 14).

Il termine ultimo per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri era fissato al 4 settembre 2015.

 

La Direttiva 2013/40/UE, pur inserita nell’Allegato A della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 114 del 2015), non è stata mai recepita nel nostro ordinamento. Il Governo ha infatti comunicato alla Commissione europea un elenco di riferimenti normativi interni, tra i quali gli articoli 615-ter e seguenti del codice penale, per dimostrare come l’ordinamento nazionale fosse già conforme alle disposizioni della Direttiva.

 

Si ricorda che nel nostro ordinamento lo sviluppo di una normativa in materia di criminalità informatica è avvenuto senza un previo disegno sistematico perché condizionato da contingenti necessità di tutela, cui il legislatore ha inteso via via far fronte, ovvero dall'urgenza di adeguarsi ad indicazioni e raccomandazioni di fonte sovranazionale.

Sulla spinta delle Raccomandazioni del Consiglio d'Europa, il legislatore ha infatti approvato la legge n. 547 del 1993 (Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica) con la quale ha novellato il codice penale introducendovi nuove fattispecie di reato e modificando le fattispecie esistenti con riferimento ai beni informatici.

In particolare, e per quanto concerne specificamente la conformità con la Direttiva 2013/40/UE, la legge n. 547 del 1993 ha previsto tre nuove fattispecie di reato: l'intercettazione, impedimento, interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quater c.p.); l'installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-quinquies c.p.) e la falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617-sexies c.p.).

Inoltre, la legge è intervenuta sui delitti contro l'inviolabilità del domicilio, introducendo tre nuove fattispecie di reato, il cui bene giuridico tutelato è costituito sia dalla libertà individuale sia dalla tutela del bene patrimoniale costituto dal mezzo informatico. In particolare, l'art. 615-ter (Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico) sanziona chiunque si introduce abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto o vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita del titolare (la norma intende sanzionare i c.d. hackers); l'art. 615-quater (Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso ai sistemi informatici o telematici) sanziona l'appropriazione indebita delle parole chiave e dei codici segreti per accedere ai sistemi; l'art. 615-quinquies (Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico) sanziona la diffusione dei c.d. virus informatici, ossia di programmi che diffusi nei computer danneggiano irrimediabilmente i programmi residenti, i dati immagazzinati e i sistemi operativi degli elaboratori.

La stessa legge del 1993, in riferimento ai delitti contro il patrimonio, ha introdotto quattro nuove fattispecie di danneggiamento: le prime due (artt. 635-bis e 635-ter c.p.) relative al danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici anche di pubblica utilità, e le seconde due (artt. 635-quater e 635-quinquies c.p.) relative al danneggiamento di sistemi informatici e telematici, anche di pubblica utilità.

 

Con la legge n. 48 del 2008 è stata poi ratificata la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, la cui maggiore novità è rappresentata dall'estensione della responsabilità amministrativa degli enti per una ampia serie di reati informatici. E proprio tale Convenzione rappresenta “il quadro giuridico di riferimento per la lotta contro la criminalità informatica” anche per l’Unione europea, che la pone a base della Direttiva 2013/40/UE (cfr. Considerando n. 15 della direttiva).

 

La Commissione europea, dopo aver valutato il quadro normativo nazionale, ha aperto la procedura di infrazione n. 2019/2033 ritenendo che l’Italia non abbia correttamente recepito i seguenti articoli della direttiva 2013/40/UE:

§  l’articolo 7, che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché la fabbricazione, la vendita, l'approvvigionamento per l'uso, l'importazione, la distribuzione o la messa a disposizione in altro modo intenzionali di determinati strumenti (programmi per computer o password o codici d’accesso o simili), con l’intenzione di utilizzarli per commettere un reato di accesso illecito a sistemi di informazione, interferenza illecita in un sistema o a dati, intercettazione illecita, siano punibili come reato, almeno per i casi che non sono di minore gravità:

§  l’articolo 9, par. 2, che impone agli Stati di prevedere, per i reati di cui agli articoli da 3 a 7 della direttiva (accesso illecito a sistemi di informazione; interferenza illecita relativamente ai sistemi; interferenza illecita relativamente ai dati; intercettazione illecita; messa a disposizione di strumenti utilizzati per commettere tali reati), una pena detentiva massima non inferiore a 2 anni, almeno per i casi che non sono di minore gravità;

§  l’articolo 12, par. 1, lett. b), che impone agli Stati di affermare la propria giurisdizione relativamente ai reati di cui agli articoli da 3 a 8 della direttiva (accesso illecito a sistemi di informazione; interferenza illecita relativamente ai sistemi; interferenza illecita relativamente ai dati; intercettazione illecita; messa a disposizione di strumenti utilizzati per commettere tali reati e connesse ipotesi di istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo), quando il reato sia commesso da un loro cittadino.

 

 

L’articolo 16 del disegno di legge europea risponde alla messa in mora della Commissione apportando modifiche agli articoli 615-quater, 615-quinquies, 617, 617-bis, 617-quater e 617-quinquies del codice penale.

 

Più nel dettaglio, il comma 1 modifica l’art. 615-quater c.p., che sanziona l'appropriazione indebita delle parole chiave e dei codici segreti per accedere ai sistemi.

 

Normativa vigente

A.C. 2670-A

Codice penale

Art. 615-quater

Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici

Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, codici e altri mezzi atti all’accesso a sistemi informatici o telematici

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all'accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a euro 5.164.

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, detiene, produce, riproduce, diffonde, importa, comunica, consegna, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti, codici, parole chiave o altri mezzi idonei all'accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino a due anni e con la multa sino a euro 5.164.

La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da euro 5.164 a euro 10.329 se ricorre taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell'articolo 617-quater.

La pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da euro 5.164 a euro 10.329 se ricorre taluna delle circostanze di cui al quarto comma dell'articolo 617-quater.

 

Anzitutto, le modifiche sono volte ad estendere il campo d’applicazione dell’art. 615-quater - attualmente relativo alle password e ai codici di accesso ai sistemi di informazione – fino a coprire anche le condotte di installazione di apparati o strumenti utili, ad esempio, a commettere il reato di intercettazione illecita, come richiesto dall’art. 7 della Direttiva.

Inoltre, elevando la pena della reclusione per portarla a un massimo di 2 anni, il disegno di legge dà compiuta attuazione all’art. 9, par. 2, della Direttiva che impone agli Stati di prevedere, appunto per i casi che non sono di minore gravità, una pena detentiva massima non inferiore a 2 anni.

 

 

Il comma 2 modifica l’art. 615-quinquies del codice penale, che punisce la diffusione dei c.d. virus informatici, ossia di programmi che diffusi nei computer danneggiano irrimediabilmente i programmi residenti, i dati immagazzinati e i sistemi operativi.

 

Normativa vigente

A.C. 2670-A

Codice penale

Art. 615-quinquies

Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico

Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico

Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l'interruzione, totale o parziale, o l'alterazione del suo funzionamento, si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329.

Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l'interruzione, totale o parziale, o l'alterazione del suo funzionamento, abusivamente si procura, detiene, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette in altro modo a disposizione di altri, installa apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329.

 

Anche in questo caso la modifica è volta a estendere il campo d’applicazione della fattispecie penale, per ricomprendervi le ipotesi di installazione abusiva di un apparecchio informatico.

 

 

Il comma 3 aumenta le pene previste dall’art. 617 del codice penale. Si tratta della fattispecie che, nel tutelare la libertà e la segretezza delle comunicazioni, punisce tre distinte condotte: la presa di cognizione, l'interruzione e l'impedimento di conversazioni o comunicazioni telegrafiche o telefoniche.

 

Normativa vigente

A.C. 2670-A

Codice penale

Art. 617

Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche

Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni indicate nella prima parte di questo articolo.

Identico.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da tre a otto anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

 

L’aumento di queste pene potrebbe essere ricondotto all’esigenza di attuare l’art. 12 della Direttiva, che impone agli Stati di affermare la propria giurisdizione quando i delitti di criminalità informatica sono commessi da un proprio cittadino. In base all’art. 9 del codice penale, infatti, il delitto comune commesso all’estero dal cittadino è punito secondo la legge italiana quando, per quel delitto, sia prevista almeno la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni.

Il disegno di legge eleva a 3 anni il minimo edittale per l’ipotesi aggravata di cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche aggravate. Conseguentemente, innalza anche a un anno e sei mesi il minimo per la fattispecie base.

 

Analoga pena, della reclusione da 3 a 8 anni, è prevista dall’art. 635-quinquies, secondo comma, c.p. per il delitto di danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità.

 

 

Il comma 4 modifica l’art. 617-bis del codice penale che punisce l’installazione di apparati o strumenti oggettivamente idonei ad intercettare od impedire le conversazioni o comunicazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone, diverse dal soggetto agente.

Senza intervenire sulla pena edittale, il disegno di legge specifica le finalità della condotta, ad esempio aggiungendo l’ipotesi di interruzione delle comunicazioni, e ne estende il campo d’applicazione ricomprendendovi anche la detenzione di apparecchiature atte ad intercettare. Anche in questo caso la modifica sembra da ricondurre ad una migliore attuazione dell’art. 7 della Direttiva (v. sopra).

 

Normativa vigente

A.C. 2670-A

Codice penale

Art. 617-bis

Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche

Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature ed altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche.

Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, al fine di prendere cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefonica o telegrafica, tra altre persone o comunque a lui non diretta, ovvero di impedirla o interromperla, si procura, detiene, produce, riproduce, diffonde, importa, comunica, consegna, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti idonei a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni o conversazioni telefoniche o telegrafiche tra altre persone, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell'esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

Identico.

 

 

Il comma 5 interviene sul’art. 617-quater del codice penale per innalzare le pene previste per il delitto di intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche, tanto in relazione alla fattispecie base quanto per l’ipotesi aggravata.

 

 

Normativa vigente

A.C. 2670-A

Codice penale

Art. 617-quater

Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche

Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.

Identico.

I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.

Identico.

Tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:

1) in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;

2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;

3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

Tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da tre a otto anni se il fatto è commesso:

1) in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;

2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;

3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

 

 

Infine, il comma 6 modifica l’art. 617-quinquies del codice penale, in tema di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche. Anche questa fattispecie viene ampliata, ricomprendendovi la detenzione e la diffusione di strumenti atti a intercettare, per dare completa attuazione all’art. 7 della Direttiva (v. sopra).

Il disegno di legge non interviene in questo caso né sulla pena prevista per la fattispecie base (reclusione da 1 a 4 anni), né su quella prevista per le ipotesi aggravate già elencate dall’art. 617-quater (reclusione da 1 a 5 anni); diversamente da quanto previsto, infatti, per l’intercettazione, l’impedimento o l’interruzione illecita aggravate, per le quali il disegno di legge prevede la reclusione da 3 a 8 anni (v. sopra, comma 5) nel caso dell’art. 617-quinquies viene mantenuto il quadro punitivo vigente.

 

Normativa vigente

A.C. 2670-A

Codice penale

Art. 617-quinquies

Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche

Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche

Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, al fine di intercettare comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero di impedirle o interromperle, si procura, detiene, produce, riproduce, diffonde, importa, comunica, consegna, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparecchiature, programmi, codici, parole chiave o altri mezzi atti ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell'articolo 617-quater.

Identico.

 

 

Rispetto al contenuto della procedura di infrazione 2019/2033, si segnala che l’articolo in esame non appare dare pieno seguito alla richiesta della Commissione europea di affermare la competenza giurisdizionale italiana per tutti i reati previsti dalla Direttiva commessi all’estero da un cittadino italiano (come richiesto dall’art. 12, par. 1, lett. b) della direttiva).

 

 

 


 

Articolo 17
(Disposizioni per l'adeguamento alla direttiva (UE) 2011/93 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. Procedura di infrazione n. 2018/2335; EU-Pilot 2018/9373)

 

 

L’articolo 17, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, interviene sul codice penale introducendo nuove fattispecie delittuose e modificando le aggravanti dei delitti di sfruttamento sessuale dei minori e di violenza sessuale in danno dei minori, dando seguito in parte alla procedura EU-Pilot n. 2018/9373 e alla procedura di infrazione n. 2018/2335, con le quali la Commissione europea contesta all’Italia il non corretto recepimento della Direttiva 2011/93/UE, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.

 

Si ricorda che la Direttiva 2011/93/UE, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI[21] e si pone l'obiettivo di ravvicinare ulteriormente le legislazioni penali degli Stati membri in materia di abuso e sfruttamento sessuale dei minori, pornografia minorile e adescamento di minori per scopi sessuali, stabilendo norme minime relative alla definizione dei suddetti reati e delle relative sanzioni, nonché l'obiettivo di introdurre disposizioni intese a rafforzare la prevenzione di tali reati e la protezione delle vittime minorenni.

Dopo avere chiarito l'oggetto dell'intervento normativo (art. 1), la direttiva contiene le consuete definizioni (art. 2), tra le quali quelle di «pornografia minorile» o «materiale pedopornografico».

In particolare, la direttiva rimette agli Stati membri la individuazione dell'età del consenso sessuale, al di sotto della quale è vietato compiere atti sessuali con un minore. Si ricorda che il nostro codice penale individua nei 14 anni l'età al di sotto della quale gli atti sessuali con un minorenne sono considerati violenza sessuale (16 anni se il rapporto è con qualcuno legato al minore da vincoli di convivenza o di cura); il consenso sessuale è considerato prestato anche dal tredicenne se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.

Quanto ai reati e alle relative pene, la direttiva definisce una ventina di fattispecie, suddivise in quattro categorie, ed impone agli Stati di prevedere pene detentive massime superiori a talune soglie (che vanno da uno a dieci anni in relazione alla gravità dei fatti e al fatto che il minore abbia raggiunto o meno l'età del consenso sessuale); impone poi agli Stati di attribuire rilevanza penale all'istigazione a commettere quei reati. Si tratta di:

- reati di abuso sessuale, come compiere attività sessuali con un minore che non ha raggiunto l'età del consenso sessuale o costringerlo a compiere tali attività con un'altra persona;

- reati di sfruttamento sessuale, come ad esempio costringere un minore a prostituirsi o a partecipare a spettacoli pornografici;

- reati di pornografia minorile: possedere, accedere, distribuire, fornire e produrre materiale pedopornografico;

- reati di adescamento di minori su internet per scopi sessuali: proporre su Internet un incontro con un minore con l'intento di commettere abusi sessuali o incoraggiarlo, con lo stesso mezzo, a fornire materiale pornografico che ritragga tale minore.

La direttiva prevede diverse circostanze aggravanti, in particolare quando il reato è commesso nei confronti di un minore in situazione di particolare vulnerabilità o da un familiare del minore, o da una persona che ha abusato della sua posizione di fiducia o di autorità, o ancora quando l'autore è già stato condannato per reati della stessa indole (art. 9).

Dal punto di vista processuale-penale, la direttiva richiede che le indagini e le azioni legali relative a questi reati non siano subordinate alla querela o alla denuncia formulate dalla vittima e afferma che il procedimento penale deve continuare, anche se la persona ha ritirato la sua dichiarazione.

Gli articoli 12 e 13 della Direttiva 2011/93/UE prevedono che gli Stati membri debbano assicurare che anche le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili e sanzionate qualora il reato di sfruttamento sessuale dei minori sia commesso per loro conto da una persona che eserciti potere decisionale.

La direttiva detta una particolare disciplina in relazione alle attività professionali a contatto con i minori. Per evitare il rischio di recidiva, gli autori di uno dei reati di sfruttamento sessuale dei minori previsto dalla direttiva dovrebbero essere interdetti dall'esercizio di attività professionali che comportano contatti regolari e diretti con minori (articolo 10, par. 1). L'articolo 10 della direttiva prevede, inoltre, che i datori di lavoro hanno il diritto di essere informati dell'esistenza di una condanna o delle misure interdittive esistenti. Tali informazioni devono inoltre essere trasmesse agli altri Stati membri onde evitare che un pedofilo possa usufruire della libera circolazione dei lavoratori nell'UE per lavorare con minori in un altro paese. Inoltre, la Direttiva richiede agli Stati di disciplinare il sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi derivanti dai reati di sfruttamento sessuale dei minori (art. 11).

Gli articoli 22 e 24 della direttiva prevedono programmi specifici per ridurre il rischio di recidiva che devono essere offerti alle persone condannate o perseguite per reati sessuali contro i minori nonché a coloro che ritengano di poter commettere i reati di sfruttamento sessuale dei minori.

In conformità con le disposizioni previste dalla direttiva relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, la Direttiva 2011/93/UE prevede che si debba assicurare un'assistenza e un sostegno alle vittime prima, durante e dopo il procedimento penale e che ciò debba essere garantito anche ove l'età della vittima risulti incerta (art. 18).

Infine, in relazione alla pornografia infantile su Internet, la Direttiva stabilisce che gli Stati membri devono garantire la tempestiva rimozione delle pagine web che contengono o diffondono materiale pedopornografico ospitate nel loro territorio e adoperarsi per ottenere la rimozione di pagine ospitate al di fuori del loro territorio. In determinate condizioni di trasparenza e di informazione degli utenti internet, hanno altresì facoltà di bloccare l'accesso a tali siti.

 

La Direttiva è stata attuata nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 39 del 2014 che, muovendo da un quadro normativo che soprattutto a seguito della ratifica della Convenzione di Lanzarote (legge n. 172 del 2012[22]) riconosce un elevato livello di tutela ai minori vittime di sfruttamento sessuale, ha operato pochi interventi riformatori, relativi prevalentemente alla previsione di ulteriori circostanze aggravanti dei delitti di sfruttamento sessuale dei minori e di violenza sessuale in danno dei minori.

Da ultimo, a completare l’attuazione della Direttiva è intervenuta anche la legge n. 69 del 2019[23] (c.d. Codice Rosso), che è intervenuta non solo sulla tutela delle vittime dei reati di pedopornografia ma anche e nuovamente sulle aggravanti dei reati di violenza sessuale in danno dei minori.

 

 

Chiamata a valutare il quadro normativo nazionale e la sua conformità con la Direttiva 2011/93/UE la Commissione europea ha avviato due distinte procedure alle quali il disegno di legge afferma di voler dar seguito con l’intervento in esame. Si tratta, in particolare,

- della procedura EU-Pilot n. 2018/9373, con la quale si chiede al Governo di rispondere a specifiche quesiti sullo stato di attuazione della Direttiva e che dunque configura una istruttoria ancora in corso;

- della procedura di infrazione 2018/2335, con la quale si mette in mora il Governo sul mancato recepimento di specifiche disposizioni della Direttiva.

 

La procedura di infrazione riguarda il non corretto recepimento nell’ordinamento nazionale dei seguenti articoli della Direttiva:

- art. 2, lett. c), punto iii), relativo alla inclusione nella definizione di materiale pedopornografico del materiale che ritrae visivamente una persona che sembra un minore in atteggiamenti sessuali espliciti, reali o simulati, oppure la rappresentazione per scopi prevalentemente sessuali degli organi sessuali di una persona che sembra un minore;

- l’art. 9, lett. f), che richiede che sia considerata come circostanza aggravante l’aver messo in pericolo, deliberatamente o per negligenza, la vita del minore;

- l’art. 10, par. 1, relativo alla previsione di misure interdittive a carico del responsabile dei reati di pedopornografia volte a impedirgli di avere contatti diretti e regolari con minori;

- l’art. 11, relativo al sequestro e alla confisca degli strumenti e dei proventi derivanti dai reati;

- l’art. 15, par. 1 e 2, relativi alle condizioni di procedibilità dei reati di pedopornografia;

- l’art. 18, par. 3, relativo all’assistenza, al sostegno e alla protezione delle vittime minorenni, anche in caso di dubbio circa la minore età;

- l’art. 20, par. 3, lett. e), relativo alle modalità di assunzione della testimonianza del minore nel processo penale.

 

L’articolo 17 interviene sul codice penale rispondendo ad alcune delle contestazioni mosse con la procedura di infrazione e ad alcune delle osservazioni contenute nella procedura EU-Pilot.

 

In particolare, per quanto riguarda la procedura di infrazione 2018/2335, si segnala che parte delle censure mosse all’Italia hanno già trovato un seguito nella legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso). La legge n. 69/2019 è intervenuta in particolare sulle condizioni di procedibilità dei reati di pedopornografia (v. art. 15, par. 1 e 2, della Direttiva) e sulle modalità di assunzione della testimonianza del minore nel processo penale (v. art. 20, par. 3, lett. e) della Direttiva).

Gli ulteriori profili di censura sono in parte affrontati dal disegno di legge in commento mentre restano estranei all’intervento riformatore le questioni relative alla definizione di materiale pedopornografico, all’introduzione di ulteriori misure interdittive a carico del responsabile dei reati di pedopornografia, al sequestro e alla confisca degli strumenti con i quali sono stati commessi i reati, e alla tutela della vittima in caso di dubbio sull’età, anche al di fuori del processo penale.

 

 

Analiticamente, il comma 1, la lettera a), interviene sull'articolo 600-quater c.p., concernente il delitto di detenzione di materiale pornografico.

 

L'art. 600 quater, c.p. prevede il delitto di detenzione di materiale pornografico. La disposizione punisce con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549, la condotta di chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 600-ter (pornografia minorile), consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto. È previsto un aumento di pena in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità.

 

La novella è volta ad inserire – fuori dai casi di detenzione di materiale pornografico – una nuova fattispecie delittuosa con la quale si punisce con la reclusione fino a 2 anni e con la multa non inferiore a euro 1.000, la condotta di chiunque accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18, mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione e sembra dunque intesa a punire coloro che guardano immagini di minori online accedendo a siti pedopornografici, ma non ne scaricano il contenuto.

La novella appare volta a dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 5, par. 3 della direttiva 2011/93/UE che prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia punito con una pena detentiva massima di almeno un anno “l'accesso consapevole, a mezzo di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, a materiale pedopornografico”.

 

Con la procedura EU-Pilot 2018/9373 la Commissione ha richiesto all’Italia chiarimenti sulla conformità della legislazione italiana alle prescrizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva. La commissione ha infatti espresso dei dubbi in merito alla possibilità di qualificare come reato la visione di immagini di minori online mediante l'accesso a siti pedopornografici, senza scaricarne il contenuto, in quanto tale condotta, non comportando l'atto di procurarsi o detenere materiale pedopornografico, non sembrerebbe poter essere punita per questo reato. Non è chiaro infatti alla Commissione se l'espressione "si procura materiale pornografico" contenuta nella legislazione italiana comprenda integralmente la condotta prevista dalla direttiva, ovvero "l'accesso consapevole a materiale pedopornografico". Secondo la Commissione nessun elemento indicherebbe che l'accesso a siti pedopornografici, senza scaricare o detenere contenuti, sia considerato equipollente al "procurarsi" materiale pedopornografico e configuri quindi un reato.

 

È conseguentemente modificata la rubrica dell’articolo 600-quater c.p. inserendo accanto alla detenzione anche l’accesso a materiale pornografico.

 

 

La lettera b) interviene sull'articolo 602-ter, ottavo comma, c.p. che disciplina le circostanze aggravanti dei reati di sfruttamento sessuale dei minori di cui agli artt. 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione e accesso a materiale pornografico), 600-quater.1 (pornografia virtuale) e 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) del codice penale.

 

Secondo quanto disposto dall’art 602-ter, ottavo comma, nei casi previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1. e 600-quinquies, la pena è aumentata fino ad un terzo:

a) se il reato è commesso da più persone riunite;

b) se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività;

c) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

Tale disposizione è stata introdotta nel codice penale dal d.lgs. n. 39 del 2014, di attuazione della direttiva 2011/93/UE.

 

La novella è volta ad inserire un’ulteriore aggravante (lettera c-bis) per i suddetti delitti, che consiste nella circostanza che dal fatto derivi pericolo di vita del minore.

La modifica appare volta a recare attuazione a quanto previsto nell’articolo 9, lettera f) della Direttiva il quale prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia considerata quale aggravante con riferimento ai reati sessuali su minori (specificamente indicati negli articoli da 3 a 7 della direttiva stessa) la circostanza per la quale “l'autore del reato, deliberatamente o per negligenza, ha messo in pericolo la vita del minore”.

 

Si ricorda che attualmente la normativa interna volta a recepire l’articolo 9, lettera f), della Direttiva è costituita dall’articolo 56 e dall’articolo 575 del codice penale. Il combinato disposto di tali norme disciplina il delitto tentato di omicidio. Tuttavia la Commissione nella procedura di infrazione 2018/2335 sottolinea che l’esistenza della fattispecie di tentato omicidio non sembra appropriata per recepire pienamente la direttiva, evidenziando come da un lato i reati sessuali sui minori nell’ambito della circostanza aggravante di mettere deliberatamente in pericolo la vita dei minori non comportano necessariamente l’intento di uccidere da parte dell’autore del reato, dall’altro lato, la necessità che vi sia l’intento di uccidere per considerare gli atti in questione come tentato omicidio non contemplerebbe le situazioni in cui la vita del minore è messa in pericolo per negligenza e non deliberatamente.

 

 

La lettera c) interviene sull’articolo 609 ter c.p. che contiene la disciplina delle circostanze aggravanti per il delitto di violenza sessuale. Analogamente a quanto previsto dalla lettera b), la novella introduce tra le suddette aggravanti - che determinano l’aumento di un terzo della pena - la nuova circostanza (lett. 5-septies) per cui dal fatto commesso derivi pericolo di vita per il minore. Anche in questo caso la novella appare volta ad attuare quanto previsto dalla Direttiva (articolo 9, lett. f) sopra citato).

Si ricorda che l’art. 609 ter prevede attualmente, tra le diverse circostanze aggravanti quella consistente nella commissione del reato con violenze gravi o se dal fatto derivi al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave (n. 5-sexies inserito dal d.lgs. n. 39 del 2014, recante attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile). Si ricorda, inoltre, che l’art. 609-ter c.p. è stato da ultimo oggetto di significative modifiche da parte della legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso). In particolare l'art. 13, comma 2, ha rimodulato le aggravanti quando la violenza sessuale sia commessa in danno di minore. Per la violenza sessuale in danno di minori fino a 10 anni la pena base è stata raddoppiata, essendo pertanto applicabile, in tali ipotesi, la reclusione da 12 a 24 anni; per la violenza nei confronti dei minori da 10 a 14 anni la pena base è aumentata della metà (diventa dunque reclusione da 9 a 18 anni); per la violenza nei confronti di minori da 14 a 18 anni la pena base è aumentata di un terzo (diviene dunque reclusione da 8 a 16 anni).

 

 

La lettera d) incide sull’articolo 609-quater, che disciplina il delitto di atti sessuali con minorenne, inserendovi un’ulteriore fattispecie con la quale si punisce con la reclusione fino a 4 anni chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni 14, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell'autorità o dell'influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell'ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità.

 

L’art. 609 quater nella sua formulazione attuale prevede che soggiace alla pena stabilita per il delitto di violenza sessuale (reclusione da 6 a 12 anni) chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza.

Inoltre il terzo comma prevede che fuori dei casi previsti dall'articolo 609-bis (violenza sessuale), l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza, che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da 3 a 6 anni.

 

Tale modifica sembra volta ad attuare quanto previsto dall’articolo 3 della Direttiva che al par. 5, lettera i), prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché siano punite le condotte intenzionali di chi compie atti sessuali con un minore, e a tal fine abusa di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore, con una pena detentiva massima di almeno otto anni, se il minore non ha raggiunto l'età del consenso sessuale, e con una pena detentiva massima di almeno tre anni, se il minore ha raggiunto tale età.

 

Con la procedura EU Pilot (2018)9373, la Commissione ha sottolineato che pur essendo l’Italia dotata di norme volte a punire i reati commessi da chiunque compia atti sessuali con un minore e a tal fine abusi di una posizione riconosciuta di fiducia o influenza (articoli 609-ter e 609-quarter c.p.) tale normativa non  comprenderebbe le situazioni di abuso di fiducia o influenza (in cui le persone coinvolte abusano di un rapporto di fiducia instauratosi con il minore tramite un'autorità naturale, sociale o religiosa che permette di controllare, punire o premiare il minore sul piano emotivo, economico o anche fisico) diverse dai casi specificamente previsti dal codice penale, ossia quando il minore non è affidato alla persona in questione per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia.

 

Inoltre la lettera d) incide sul terzo comma dell’articolo 609-quater, che attualmente prevede una aggravante quando gli atti sessuali siano commessi con minori di anni 14 in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi. In questo caso la pena base - per la quale l'art. 609-quater rinvia all'art. 609-bis c.p. (reclusione da 6 a 12 anni) è aumentata fino a un terzo.

La novella aggiunge rispetto alla descritta aggravante, ulteriori circostanze che determinano l’aumento della pena fino ad un terzo e che si verificano:

§  se il reato è commesso da più persone riunite;

§  se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione a delinquere e al fine di agevolarne l'attività;

§  se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave;

§  se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

 

La novella aggiunge le medesime aggravanti già previste dall’art. 602 ter c.p., ottavo comma così come modificato dall’articolo in esame (vedi sopra) per i reati sessuali su minori di cui agli artt. 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione e accesso a materiale pornografico), 600-quater.1 (pornografia virtuale) e 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) del codice penale.

 

La lettera e) incide sull’articolo 609-quinquies c.p. relativo al delitto di corruzione di minorenne. La modifica è volta, anche in questo caso, ad integrare l’elenco delle circostanze aggravanti del reato, con l’ipotesi in cui dal fatto derivi pericolo di vita per il minore, ottemperando alla più volte citata disposizione della Direttiva contenuta nell’art. 9, lett. f).

 

L’art. 609-quinquies punisce con la reclusione da uno a cinque anni, chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere. Il terzo comma (inserito nel codice dal d.lgs. n. 39 del 2014) prevede che la pena sia aumentata fino ad un terzo:

a) se il reato è commesso da più persone riunite;

b) se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività;

c) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

 

Infine la lettera f) incide sulla fattispecie delittuosa dell’adescamento di minorenni di cui all’art. 609-undecies del codice penale.

 

L’art. 609-undecies prevede che chiunque, allo scopo di commettere i reati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.) e detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater c.p.), adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.

 

Anche in questo caso la novella è volta ad introdurre, in relazione a tale fattispecie, l’elenco delle circostanze aggravanti previste con riguardo agli altri reati sessuali sui minori. Con l’introduzione del secondo comma dell'articolo 609-undecies, si prevede quindi che la pena per il delitto di adescamento di minore (reclusione da 1 a 3 anni) sia aumentata fino ad un terzo:

§   se il reato è commesso da più persone riunite;

§  se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione a delinquere e al fine di agevolarne l'attività;

§  se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave;

§  se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

 

 


 

Articolo 18
(Attuazione della direttiva (UE) 2018/1910 del Consiglio del 4 dicembre 2018 che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’armonizzazione e la semplificazione di determinate norme nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto di imposizione degli scambi tra Stati Membri. Procedura di infrazione 2020/0070)

 

L’articolo 18 intende attuare nell’ordinamento nazionale la direttiva 2018/1910, con la quale sono armonizzate alcune norme nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, allo scopo di superare i rilievi della procedura di infrazione 2020/0070, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE.

Si tratta in particolare di disposizioni riguardanti il regime della cd. call-off stock, operazione con cui un soggetto passivo trasferisce beni della sua impresa da uno Stato Membro in un altro Stato Membro per venderli, dopo l’arrivo in tale Stato, a un acquirente già noto. Le disposizioni in esame recepiscono le norme UE, ai sensi delle quali le operazioni in regime di call-off stock danno luogo, nel rispetto di determinate condizioni, ad una cessione intracomunitaria nello Stato Membro di partenza da parte del cedente e a un corrispondente acquisto intracomunitario nello Stato Membro di arrivo da parte dell’acquirente, nel momento in cui si realizza la cessione dei beni.

Sono inoltre disciplinate nell’ordinamento le operazioni a catena, ovvero le forniture successive (due o più) degli stessi beni, oggetto di un singolo trasporto comunitario tra due Stati Membri, al fine di individuare il momento di applicazione dell’imposta.

 

La direttiva 2018/1910 avrebbe dovuto essere recepita nell’ordinamento nazionale entro il 31 dicembre 2019 (articolo 2 della direttiva stessa). La procedura di infrazione citata richiama l’attenzione del Governo sulla circostanza che il predetto termine è scaduto senza che siano state comunicate alla Commissione le misure per il recepimento completo.

 

La disciplina IVA per il 2020: i quick fixes e il call off stock

 

La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento rileva anzitutto che il sistema comune dell’IVA, fondato sul principio di tassazione nello Stato Membro di destinazione, era nato come transitorio, per garantire - mediante l’avvicinamento delle legislazioni interne - l’applicazione futura dell’imposta nello Stato Membro di origine. Tale progetto non è stato tuttavia ancora attuato.

Al riguardo il Governo rammenta che, per migliorare la disciplina unionale dell’IVA, è stato adottato a fine 2019 il cosiddetto pacchetto quick fixes, che comprende:

•   il regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/1912 del Consiglio del 4 dicembre 2018 che, modificando il regolamento (UE) n. 282/2011, definisce criteri comuni per la prova documentale del trasporto necessaria per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie e individua i dati che il cedente e il cessionario dei beni in regime di call-off stock devono annotare nell’apposito registro;

•   il regolamento (UE) n. 2018/1909 del Consiglio del 4 dicembre 2018 che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto concerne lo scambio di informazioni ai fini del monitoraggio della corretta applicazione del regime di call-off stock;

•   la direttiva (UE) 2018/1910 del Consiglio del 4 dicembre 2018 che modifica la direttiva 2006/112/CE, armonizzando e semplificando determinate norme Iva relative ad operazioni transfrontaliere mediante l’introduzione dei nuovi articoli 17-bis e 36-bis e la modifica degli articoli 138, 243 e 262.

Le linee guida sui quick fixes sono state pubblicate dalla Commissione UE il 29 dicembre 2019: si tratta delle indicazioni sulle disposizioni transitorie Iva in materia di scambio transfrontaliero di merci, introdotte dal Consiglio Ue in attesa dell’introduzione del regime definitivo Iva. Esse sono consultabili qui. Per una sintesi delle misure si rinvia altresì alla rivista online dell’Agenzia delle entrate, FiscoOggi, che ha dedicato un articolo all’argomento.

La direttiva (UE) 2018/1910, in particolare, contiene disposizioni riguardanti:

•   la semplificazione e il trattamento uniforme del call-off stock negli scambi transfrontalieri;

•   l’armonizzazione del trattamento Iva delle cessioni a catena (comprese le operazioni triangolari), anche ai fini di una maggiore certezza del diritto;

•   la qualificazione del numero di identificazione Iva del cessionario come requisito sostanziale delle cessioni intracomunitarie.

Il call-off stock è l’operazione mediante la quale un soggetto passivo trasferisce beni della sua impresa da uno Stato Membro in un altro Stato Membro per venderli, dopo l’arrivo in tale Stato, a un acquirente già noto. La direttiva 2018/1910 prevede che le operazioni in regime di call-off stock, nel rispetto di determinate condizioni, diano luogo ad una cessione intracomunitaria nello Stato Membro di partenza da parte del cedente e a un corrispondente acquisto intracomunitario nello Stato Membro di arrivo da parte dell’acquirente, nel momento in cui si realizza la cessione dei beni.

Prima dell’adozione della direttiva 2018/1910 l’operazione realizzata dal fornitore (i.e. invio dei beni) era qualificata come un trasferimento di beni a sé stesso, ossia come un’operazione assimilata ad una cessione/acquisto di beni intra-Ue, con l’obbligo, quindi, per il fornitore di identificarsi ai fini Iva nello Stato di destinazione degli stessi. Per evitare ciò la direttiva prevede che tali operazioni, quando hanno luogo tra due soggetti passivi, siano considerate, a determinate condizioni, una cessione esente nello Stato membro di partenza e un acquisto intracomunitario nello Stato membro di arrivo.

Per uniformare, e conseguentemente semplificare, le operazioni a livello Ue, la Direttiva 2018/1910/Ue ha inserito nella Direttiva 2006/112/CE il nuovo art. 17-bis. La direttiva ha altresì introdotto un nuovo articolo 36-bis nella direttiva Iva, relativo alle operazioni a catena. Esse si riferiscono a cessioni successive di beni che sono oggetto di un unico trasporto intracomunitario.

La nuova disciplina consente di imputare la circolazione intracomunitaria dei beni a una sola delle cessioni, che beneficia così dell'esenzione dall'IVA prevista per le cessioni intracomunitarie. Le altre cessioni nella catena sono soggette a imposizione e, a specifiche condizioni, richiedono l'identificazione IVA del cedente nello Stato membro di cessione. Al fine di evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione, e al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori, è opportuno stabilire una norma comune secondo cui, purché siano soddisfatte determinate condizioni, il trasporto dei beni è essere imputato a una sola cessione all'interno della catena di operazioni.

L’articolo 2 della direttiva (UE) 2018/1910 prevede che gli Stati Membri adottino e pubblichino, entro il 31 dicembre 2019, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva stessa; a partire dal 1° gennaio 2020 hanno efficacia anche i regolamenti UE sopra citati, che saranno obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili negli Stati Membri (articolo 288, paragrafo 2, TFUE).

 

Le norme in esame più in dettaglio modificano il decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 introducendo, al capo II del titolo II, rubricato “Disciplina temporanea delle operazioni intracomunitarie e dell’imposta sul valore aggiunto”, i nuovi articoli 38-bis, 41-bis e 41-ter e modificando gli articoli 41 e 50.

I nuovi articoli 38-bis e 41-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, disciplinano, rispettivamente, gli acquisti e le cessioni di beni effettuate nel territorio dello Stato, secondo il regime semplificato e armonizzato del cosiddetto call off-stock, previsto dall’articolo 17-bis della direttiva IVA.

 

Si tratta di una semplificazione tesa ad evitare che il cedente effettui:

-    una cessione presunta nello Stato di partenza (ovvero un trasferimento di beni nell’altro Stato Membro per esigenze della sua impresa);

-    un conseguente acquisto presunto nello Stato di arrivo (ovvero un acquisto a seguito della introduzione nello Stato di beni provenienti dalla sua impresa);

-    una successiva cessione “interna”, con obbligo di identificazione ai fini Iva nello Stato Membro di arrivo dei beni.

Tale semplificazione trova già attuazione in Italia, in via di prassi, con riferimento al cosiddetto consignment stock, che presuppone un sistema di consegna dei beni analogo a quello del call-off stock delineato dalla direttiva. Il recepimento della direttiva (UE) 2018/1910 consente di disciplinare in via normativa l’istituto e di introdurre nell’ordinamento anche le più dettagliate e articolate disposizioni unionali.

 

Call-off stock

L’articolo 18, comma 1, lettera a) inserisce nel decreto-legge n. 331 del 1993 l’articolo 38-bis.

L’articolo 38-bis, comma 1, stabilisce che il soggetto passivo che trasferisce beni della sua impresa da altro Stato Membro nel territorio dello Stato non effettua un acquisto intracomunitario se:

a)      direttamente o tramite un terzo, trasporta, in un magazzino situato nello Stato, beni che un soggetto passivo, già individuato dal contratto, avrà il diritto di acquistare;

b)     non ha nello Stato la sede della propria attività economica o una stabile organizzazione;

c)      conosce, già al momento di inizio del trasporto, il numero identificativo Iva del soggetto passivo destinatario dei beni. Dunque il soggetto passivo destinatario della cessione è identificato ai fini dell'IVA nello Stato.

Tali disposizioni si pongono in esplicita deroga all’articolo 38, comma 3, lettera b), ai sensi del quale si configura un acquisto intracomunitario nel caso di introduzione nel territorio dello Stato da parte o per conto di un soggetto passivo d'imposta di beni provenienti da altro Stato membro;  ciò si verifica anche nel caso di destinazione nel territorio dello Stato, per finalità rientranti nell'esercizio dell'impresa, di beni provenienti da altra impresa esercitata dallo stesso soggetto in altro Stato membro.

Ove siano soddisfatte tali condizioni, il successivo comma 2 dell’articolo 38-bis prevede che l’acquisto intracomunitario si considera effettuato dal soggetto passivo destinatario dei beni, purché questi, entro dodici mesi dall’arrivo dei beni nello Stato, ne acquisti la proprietà. Tale circostanza si realizza, in linea di massima, con il prelievo dei beni dal magazzino.

Il comma 3 individua le circostanze che, verificandosi entro il periodo di dodici mesi dall’arrivo dei beni in Italia, impediscono il realizzarsi della semplificazione del call-off stock e comportano, di conseguenza, l’effettuazione di un acquisto intracomunitario presunto in Italia da parte del cedente. Si tratta, in particolare:

-         della mancata cessione dei beni (comma 3, lettera a), ovvero se il giorno successivo alla scadenza del periodo di dodici mesi dall’arrivo dei beni nel territorio dello Stato i beni non sono stati ceduti al soggetto passivo destinatario della cessione o al soggetto passivo che lo ha sostituito);

-         del venir meno di una delle condizioni indicate dal comma 1 (comma 3, lettera b)) entro dodici mesi dall’arrivo dei beni nel territorio dello Stato di destinazione;

-         della cessione dei beni ad un soggetto diverso da quello designato o da quello che lo ha sostituito entro il consueto termine di dodici mesi (comma 3, lettera c));

-         del trasporto dei beni in un altro stato entro dodici mesi (comma 3, lettera d));

-         della distruzione, furto o perdita dei beni entro dodici mesi (comma 3, lettera e)).

Con riferimento ad ognuna di tali ipotesi la norma individua il momento in cui si considera effettuato l’acquisto intracomunitario presunto.

La relazione illustrativa chiarisce che per il calcolo del periodo di dodici mesi si applica il regolamento (CEE, EURATOM) n. 1182/71, che stabilisce le norme generali relative ai periodi di tempo, alle date e ai termini. In particolare, poiché il termine decorre dall’arrivo dei beni nello Stato Membro in cui avverrà la cessione, occorre considerare i giorni festivi previsti in tale Stato. 

Il comma 4 prevede che non si realizza alcun acquisto intracomunitario (né da parte del fornitore né da parte dell’acquirente) in relazione ai beni che, entro dodici mesi dall’arrivo nello Stato, non sono stati ceduti e sono rispediti nello Stato Membro di partenza, purché siano effettuate le prescritte registrazioni, di cui all’articolo 50, comma 5-bis, introdotto dalle norme in commento (si veda infra).

Il comma 5 consente la sostituzione dell’acquirente designato nel contratto di call-off stock con un altro soggetto passivo il quale subentra all’acquirente originario, permanendo così il regime semplificato di call-off stock, purché sussistano tutte le altre condizioni richieste per tale regime, e siano effettuate le prescritte annotazioni.

 

Il comma 1, lettera b) dell’articolo in esame modifica l’articolo 41 del decreto-legge n. 331 del 1993, introducendovi un nuovo comma 2-ter, per recepire il principio contenuto nei nuovi commi 1 e 1-bis dell’articolo 138 della direttiva IVA, come modificati dalla direttiva 2018/1910.

L’articolo 138 dispone che gli Stati membri esentino da imposta le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore o dall'acquirente o per loro conto, se sono soddisfatte le condizioni seguenti:

a)  i beni sono ceduti a un altro soggetto passivo, o a un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio;

b)  il soggetto passivo o un ente non soggetto passivo destinatario della cessione è identificato ai fini dell'IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione IVA.

Tale esenzione non si applica qualora il cedente non abbia rispettato l'obbligo, di presentare un apposito elenco riepilogativo o l'elenco riepilogativo da lui presentato non riporti le informazioni previste ex lege, a meno che egli non possa debitamente giustificare la sua mancanza secondo modalità ritenute soddisfacenti dalle autorità competenti.

 

Il nuovo comma 2-ter chiarisce che requisito sostanziale della cessione intracomunitaria non imponibile è la comunicazione al cedente, da parte del cessionario, del numero di identificazione Iva assegnatogli da un altro Stato Membro, e la compilazione da parte del cedente dell’elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie (di cui all’articolo 50, comma 6 del decreto-legge n. 331 del 1993).

 

L’articolo 18, comma 1, lettera c) introduce anzitutto il nuovo articolo 41-bis nel decreto-legge n. 331 del 1993 che, con formulazione simmetrica rispetto al nuovo articolo 38-bis, disciplina le condizioni in base alle quali il cedente che trasferisce i beni della sua impresa dallo Stato ad un altro Stato Membro per venderli in tale Stato, successivamente al loro arrivo, ad un soggetto passivo già individuato nel contratto, effettua una cessione intracomunitaria non imponibile, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lettera a).

Ai sensi del richiamato articolo 41, costituiscono cessioni non imponibili le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall'acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta o di enti, associazioni ed altre organizzazioni non soggetti passivi d'imposta; i beni possono essere sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad altri beni.

Con formulazione pressoché identica all’articolo 38-bis, i commi 1 e 2, rispettivamente, dettano le condizioni alle quali la cessione non è imponibile (per cui si veda supra) e chiariscono il momento di perfezionamento della cessione; i commi 3, 4, e 5 dell’articolo 41-bis individuano, rispettivamente, i casi in cui il cedente effettua una cessione imponibile (ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c)), l’ipotesi in cui non si verifica alcuna cessione in quanto i beni sono rispediti i nello Stato, e l’ipotesi di sostituzione dell’originario cessionario senza che venga meno il regime semplificato di call-off stock.

 

Cessioni a catena

Il nuovo articolo 41-ter recepisce l’articolo 36-bis della direttiva Iva, anch’esso introdotto dalla direttiva 1910/2018, relativo alle già menzionate operazioni a catena, ovvero le forniture successive (due o più) degli stessi beni, oggetto di un singolo trasporto comunitario tra due Stati Membri.

Come già visto, per evitare l’applicazione di criteri diversi tra gli Stati Membri che determini una doppia imposizione o la non imposizione delle operazioni, l’articolo 36-ter individua quale cessione, tra quelle della “catena”, deve considerarsi come cessione intracomunitaria non imponibile, offrendo così certezza agli operatori.

Il Governo nella relazione illustrativa ricorda che le norme UE recepiscono quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui solo la cessione della catena alla quale è imputato il trasporto intracomunitario si configura come cessione intracomunitaria non imponibile e stabilisce, al contempo, i criteri oggettivi di imputazione del trasporto. Se, infatti, in base alla giurisprudenza comunitaria (cfr., inter alia, Corte di giustizia UE, causa C-430/09), l’imputazione del trasporto ad una delle cessioni della catena deve avvenire alla luce di una valutazione globale di tutte le circostanze del caso concreto, l’articolo 36-bis della direttiva Iva prevede che la spedizione o il trasporto siano imputati unicamente alla cessione effettuata nei confronti dell'operatore intermedio. Tuttavia, se quest’ultimo comunica al proprio cedente il numero di identificazione Iva attribuitogli dallo Stato Membro a partire dal quale i beni sono spediti o trasportati, la spedizione o il trasporto sono, invece, imputati alla cessione effettuata dall’operatore intermedio.

Ai fini della disciplina delle cessioni a catena, la direttiva stabilisce che si considera “operatore intermedio” l’operatore della catena, diverso dal primo cedente che spedisce o trasporta i beni direttamente o tramite un terzo che agisce per suo conto. Secondo tale definizione, non può assumere la qualifica di operatore intermedio oltre che il primo cedente della catena, anche l’ultimo acquirente.

In base alla definizione di “cessioni a catena” contenuta nell’articolo 36-bis, comma 1, la relativa disciplina non si applica alle cessioni in cui il trasporto è effettuato dal primo cedente o dall’acquirente finale della catena né alle cessioni a catena che comprendono importazioni ed esportazioni né a quelle effettuate esclusivamente all’interno di uno Stato Membro.

La relazione illustrativa chiarisce che nuove regole per le cessioni a catena non fanno venir meno le semplificazioni previste dalla legge per gli acquisti intracomunitari (tra cui quelle previste dagli articoli 38, comma 7, e 40, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge n. 331 del 1993: la prima norma prevede che l'imposta non è dovuta per l'acquisto intracomunitario nel territorio dello Stato, da parte di soggetto passivo d'imposta in altro Stato membro, di beni dallo stesso acquistati in altro Stato membro e spediti o trasportati nel territorio dello Stato a propri cessionari, soggetti passivi d'imposta, assoggettati all'imposta per gli acquisti intracomunitari effettuati, designati per il pagamento dell'imposta relativa alla cessione; la seconda disposizione chiarisce che l'acquisto intracomunitario si considera effettuato nel territorio dello Stato quando l'acquirente è ivi soggetto d'imposta, salvo che sia comprovato che l'acquisto è stato assoggettato ad imposta in altro Stato membro di destinazione del bene. Viene comunque effettuato senza pagamento dell'imposta l'acquisto intracomunitario di beni spediti o trasportati in altro Stato membro se i beni stessi risultano ivi oggetto di successiva cessione a soggetto d'imposta nel territorio di tale Stato o ad ente ivi assoggettato ad imposta per acquisti intracomunitari e se il cessionario risulta designato come debitore dell'imposta relativa).

 

Il nuovo articolo 41-ter del decreto-legge n. 331 del 1993, riproduce, al comma 1, rispettivamente alle lettere a) e b), la nozione di cessioni a catena e di operatore intermedio stabilite dall’articolo 36-bis. Le cessioni a catena sono definite come cessioni successive di stessi beni, oggetto di un unico trasporto intracomunitario dal primo cedente all’ultimo acquirente della catena; l’operatore intermedio è definito come il cedente, diverso dal primo, che trasporta o spedisce i beni anche tramite un terzo che agisce per suo conto.

Il comma 2 disciplina, in particolare, l’ipotesi in cui il trasporto dei beni oggetto delle cessioni a catena ha inizio in Italia. Secondo la regola generale, il trasporto è attribuito unicamente alla cessione effettuata nei confronti dell’operatore intermedio; di conseguenza, nell’ipotesi in cui operatore intermedio sia il secondo cedente della catena, solo la prima cessione è una cessione intracomunitaria, non imponibile in Italia. Tuttavia, se l’operatore intermedio comunica al proprio cedente il numero di identificazione Iva attribuitogli dall’Italia, è la cessione effettuata dall’operatore intermedio ad essere qualificata intracomunitaria. Le cessioni precedenti a quella intracomunitaria si configurano come cessioni interne effettuate in Italia, Stato di partenza dei beni, mentre non si considerano effettuate in Italia le cessioni successive a quella che costituisce cessione intracomunitaria, le quali saranno territorialmente rilevanti nello Stato di arrivo dei beni.

Il comma 3 prevede la diversa ipotesi di cessioni a catena in cui l’Italia è lo Stato di arrivo dei beni e il trasporto è effettuato da un operatore intermedio. In tal caso si considera acquisto intracomunitario effettuato in Italia solo l’acquisto effettuato dall’operatore intermedio. Tuttavia, se l’operatore intermedio comunica al proprio cedente il numero di identificazione Iva attribuitogli dallo Stato in cui ha avuto inizio il trasporto o la spedizione dei beni, si considera acquisto intracomunitario quello effettuato dall’acquirente dell’operatore intermedio. Conseguentemente sono territorialmente rilevanti in Italia la cessione posta in essere dal soggetto che effettua l’acquisto intracomunitario e le cessioni successive. 

Il comma 4 esclude dall’ambito di applicazione dell’articolo 41-ter le vendite a distanza effettuate tramite le piattaforme elettroniche che assumono la veste di rivenditori dei beni stessi, secondo l’articolo 14-bis della direttiva IVA, che gli Stati devono recepire a partire dal 1° gennaio 2021, introdotto dalla direttiva 2017/2455/UE.

 

La direttiva (UE) 2017/2455 del Consiglio e? intervenuta sulle norme generali IVA (direttiva 2006/112/UE) e sulle esenzioni IVA per le importazioni di piccole spedizioni di valore trascurabile (direttiva 2009/132/UE) per dettare una specifica disciplina sugli obblighi relativi alle prestazioni di servizi e alle vendite a distanza di beni.

In sintesi, le norme UE modificano le regole di territorialita? IVA stabilite per i servizi di telecomunicazione, i servizi di teleradiodiffusione ed i servizi forniti per via elettronica e intervengono sulla fatturazione di tali servizi. Viene estesa e semplificata l'adesione al regime speciale MOSS (Mini One Stop Shop - Mini Sportello Unico). Segnatamente, con la direttiva 2017 /2455/UE e? introdotta una soglia a livello comunitario, pari a 10.000 euro, non oltre la quale le prestazioni di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione e di quelli resi per via elettronica forniti in Stati membri diversi dallo Stato membro di stabilimento del prestatore sono imponibili ai fini IVA in quest'ultimo Stato membro, in deroga ai criteri di territorialita? previsti in via generale per le predette prestazioni laddove rese nei confronti di committenti non soggetti passivi.

Come anticipato, la direttiva semplifica ed estende l'operatività? del regime speciale c.d. MOSS (Mini One Stop Shop) o Mini Sportello Unico. Si tratta di un regime di tassazione IVA opzionale relativo alle prestazioni di servizi elettronici e di telecomunicazione e teleradiodiffusione (TTE) a favore di consumatori finali europei (Business to consumer - B2C). In base alla disciplina europea dell'IVA, la tassazione IVA di tali prestazioni di servizi avviene nello Stato membro del consumatore finale (Stato membro di consumo) e non in quello del prestatore (Stato membro di identificazione). Optando per il regime MOSS, il soggetto passivo (fornitore dei servizi) evita di doversi identificare presso ogni Stato membro di consumo per effettuare gli adempimenti richiesti (dichiarazione e versamento dell'IVA), mentre trasmette telematicamente le dichiarazioni IVA trimestrali ed effettua i versamenti, attraverso un apposito portale elettronico, esclusivamente nel proprio Stato membro di identificazione, limitatamente alle operazioni rese a consumatori finali residenti o domiciliati in altri Stati membri di consumo. Le dichiarazioni e i versamenti cosi? acquisiti dallo Stato membro di identificazione sono quindi trasmesse ai rispettivi Stati membri di consumo mediante una rete di comunicazione sicura. In Italia il portale elettronico MOSS e? gestito dall'Agenzia delle entrate.

In termini di semplificazione del regime MOSS, in primo luogo la direttiva (articolo 1) introduce una soglia di 10.000 euro, al di sotto della quale le prestazioni sono soggette ad IVA nello Stato membro di identificazione del soggetto passivo, a meno che questo non opti per l'applicazione dell'imposta nello Stato membro di consumo.  Inoltre la direttiva (articolo 2, che ha introdotto l’articolo 14-bis alla direttiva IVA del 2006) applica tale regime speciale anche ai soggetti passivi non stabiliti nell'Unione europea ma registrati ai fini IVA in uno o più? Paesi membri, nonché? alla vendita di beni materiali e di servizi diversi da quelli elettronici. Si estende l'applicazione del MOSS anche alle piccole spedizioni di valore non superiore a 150 euro. Il  soggetto passivo che facilita le vendite a distanza tramite l'uso di interfaccia elettronica è coinvolto nella riscossione dell'IVA ed e? inoltre obbligato a conservare, per un periodo di dieci anni, la documentazione relativa a tale cessione o prestazione, facendo in modo che sia sufficientemente dettagliata da consentire alle amministrazioni fiscali degli Stati membri interessati di controllare che sia contabilizzata in modo corretto.

Occorre rammentare che la successiva direttiva 2019/1995/UE ha introdotto regole per determinare con precisione il luogo di effettuazione dell'operazione ai fini IVA nel caso di cessioni facilitate mediante l'uso di interfaccia elettronica (cd. piattaforme web); le nuove disposizioni trovano applicazione dal 1° gennaio 2021 e il termine di recepimento e? fissato al 31 dicembre 2020.

Il decreto legislativo n. 45 del 2020 (A.G. 150) ha recepito le disposizioni contenute nell'articolo 1 (decorrenti dal 1° gennaio 2019) della direttiva 2017/2455/UE. Il decreto legislativo in particolare (articolo 1) modifica la disciplina della territorialita? IVA delle prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici rese a committenti non soggetti passivi. Si prevedono inoltre (articolo 2) semplificazioni alla disciplina del MOSS. Si rinvia al dossier predisposto dai servizi di documentazione parlamentare.

 

Adempimenti strumentali

L’articolo 18, comma 1, lettera d) modifica infine l’articolo 50 del suddetto decreto-legge n. 331 del 1993, che disciplina gli obblighi connessi agli scambi intracomunitari.

In particolare viene soppresso il comma 1, il cui contenuto è stato trasfuso nell’articolo 41, comma 2-ter (ai sensi del quale la comunicazione da parte del cessionario del numero identificativo Iva attribuitogli da un altro Stato Membro e la compilazione degli elenchi riepilogativi delle cessioni intracomunitarie da parte del cedente sono requisiti sostanziali e non formali della cessione intracomunitaria non imponibile).

Il successivo comma 2 è modificato ai fini di coordinamento.

Con l’inserimento del nuovo comma 5-bis è recepito l’articolo 243, comma 3, della direttiva IVA che, per l’annotazione dei trasferimenti dei beni in regime di call-off stock, istituisce un apposito registro, il quale dovrà riportare specifiche informazioni sui beni, sul loro trasporto, sui destinatari (indicate dall’articolo 54-bis del regolamento di esecuzione (UE) n. regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011, modificato dal regolamento 2018/1912, che dà attuazione al citato articolo 243 della direttiva IVA).

 

Viene infine integrato il comma 6 dell’articolo 50, al fine di prevedere l’obbligo di inserire nell’elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie anche il numero di identificazione IVA dell’acquirente dei beni in regime di call-off stock, nonché le eventuali modifiche del contratto.

 

 


 

Articolo 19
(Razionalizzazione della normativa sanzionatoria applicabile ai casi di introduzione nel territorio dello Stato di piccoli quantitativi di merce contraffatta da parte del consumatore finale. Attuazione regolamento (CE) n. 608/2013)

 

L’articolo 19 prevede disposizioni volte:
- ad introdurre nel sistema sanzionatorio italiano una nuova fattispecie di illecito amministrativo in base al quale è punito l’acquirente finale che introduce nel territorio dello Stato modiche quantità di beni contraffatti di provenienza extra-UE;
- a prevedere la responsabilità del vettore per la custodia e la distruzione di tali beni, qualora l’acquirente non vi provveda; ad individuare l’organo competente a irrogare la sanzione per il suddetto illecito.

 

Più in dettaglio, l’articolo 19 novella l’art. 1 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, introducendovi tre nuovi commi (7-bis, 7-ter e 7-quater) al fine di rendere il sistema sanzionatorio italiano maggiormente aderente a quanto disposto dal regolamento (CE) n. 608/2013 in tema di introduzione di beni contraffatti nello spazio doganale europeo.

 

Con il Regolamento UE n.608/2013 in vigore dal 1 gennaio 2014, l’Unione Europea ha dettato la disciplina per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e ha regolamentato l'intervento delle Autorità doganali nel caso di merci sospettate di contraffazione. In particolare, il Regolamento all’art.2 definisce le merci contraffatte:

·      merci oggetto di un atto che viola un marchio nello Stato membro in cui si trovano e a cui sia stato apposto senza autorizzazione un segno che è identico a quello validamente registrato per gli stessi tipi di merci, o che non possa essere distinto nei suoi aspetti essenziali da tale marchio;

·      merci oggetto di un atto che viola un’indicazione geografica (IGP, DOP) nello Stato membro in cui si trovano e su cui sia stato apposto un nome o un termine protetto rispetto a tale indicazione geografica o che sono descritte da tale nome o termine;

·      merci con imballaggio, etichetta, adesivo, prospetto, foglio informativo,  documento di garanzia e ogni altro elemento analogo, anche presentati in modo distinto, oggetto di un'azione che viola un marchio o un’indicazione geografica, che contiene un simbolo, un nome o un termine che è identico ad un marchio validamente registrato o a un'indicazione geografica protetta, o che non possa essere distinto nei suoi aspetti essenziali da tale marchio o indicazione geografica, e che può essere usato per gli stessi tipi di merci per cui sono stati validamente registrati il marchio o l'indicazione geografica.

Le merci usurpative sono invece definite come merci oggetto di un’azione che viola un diritto di autore o un diritto connesso o un disegno o modello nello Stato membro in cui le merci sono state trovate e che costituiscono o contengono copie fabbricate senza il consenso del titolare del diritto d'autore o del diritto connesso o del disegno o modello, o di una persona da questi autorizzata nel paese di produzione.

Tra le principali novità introdotte dal Regolamento c’è l’introduzione di una nuova procedura specifica per le piccole spedizioni, ossia la spedizioni postali o a mezzo corriere espresso che comprendono fino a tre unità oppure che hanno un peso lordo inferiore a 2 kg (vedi infra).

 

In particolare, si prevede (comma 7-bis) che sia punito con una sanzione amministrativa pecuniaria tra i 100 e i 7.000 euro l’acquirente finale che, all'interno degli spazi doganali, introduce con qualsiasi mezzo nel territorio dello Stato beni provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione Europea, che violano le norme in materia:

·         di origine e provenienza dei prodotti;

·         di proprietà industriale e di diritto d’autore.

Tale sanzione si applica soltanto quando i beni introdotti all’interno del territorio dello Stato siano:

·         in numero pari o inferiore a 20 pezzi;

·          di peso lordo pari o inferiore ai cinque chilogrammi.

Ulteriore requisito richiesto per l’applicazione della richiamata sanzione è che l’introduzione di tali beni nello Stato italiano non sia connessa all’esercizio di un’attività commerciale.

 

Si ricorda che, nella normativa vigente, la condotta posta in essere dal consumatore finale che si approvvigiona di modiche quantità di prodotti contraffatti è trattata in maniera differente, a seconda che detta condotta sia realizzata sul territorio nazionale o dell’UE o si perfezioni invece con l’arrivo della merce da Paesi non facenti parte dell’Unione europea. Infatti l’acquisto nel territorio nazionale o UE di merci contraffatte (già presenti nel territorio dello Stato) viene sanzionato in via amministrativa (articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 35/2005), mentre le importazioni da paesi terzi sono previste – in presenza di particolari condizioni-  come reato (articolo 474 c.p.).

In particolare la disciplina vigente dell’acquisto per uso personale di prodotti realizzati in violazione delle norme in materia di provenienza e origine e di proprietà industriale (art. 1, c. 7, d.l. n. 35/2005 come modificato dalla l. n. 99/2009), prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da100 euro fino a 7.000 euro con riguardo esclusivo al consumatore finale che acquista a qualsiasi titolo, cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale. Secondo quanto sottolineato al riguardo dalla Corte di cassazione “non può configurarsi una responsabilità penale per l'acquirente finale di cose in relazione alle quali siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale: tale condotta è sanzionabile solo amministrativamente in forza della norma speciale di cui all'art. 1, comma 7, D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80, nel testo successivamente modificato dalla legge 23 luglio 2009, n. 99. In caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all'altra all'esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte (Cass. pen. Sez. Unite, 19/01/2012, n. 22225).

Invece l’introduzione nel territorio dello Stato di “prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati” è prevista come reato dall’articolo 474 del codice penale, ed è punita con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 3.500 a 35.000 euro, indipendentemente dalla quantità di merce importata. La fattispecie è configurabile solo in presenza del dolo specifico del fine di trarre profitto.

 

L’introduzione della disposizione di cui al comma 7-bis ha dunque l’intento di colmare una lacuna del sistema sanzionatorio italiano, con la previsione di una sanzione specifica per il caso di acquisto di piccole quantità di merce contraffatta da Paesi extra-UE.

In particolare, secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa, l’assenza di una disciplina specifica per la fattispecie dell’acquisto dall’estero di modiche quantità di merce contraffatta rende inapplicabile, nell’ordinamento italiano, la disciplina europea, di cui al Regolamento n. 608/2013, relativa alla procedura semplificata per la distruzione di merci oggetto di piccole spedizioni, sospettate di essere contraffatte o usurpative.

L’art. 26 del citato regolamento n. 608/2013 ha infatti introdotto una procedura semplificata per la distruzione di merci oggetto di piccole spedizioni (ovvero quelle composte, sempre secondo le definizioni del regolamento, al massimo da 3 unità oppure da oggetti di peso lordo inferiore ai 2 chilogrammi) sospettate di essere contraffatte o usurpative, che non prevede il preventivo accertamento giudiziario dell’effettiva sussistenza della contraffazione o usurpazione. Tale procedura semplificata può essere esperita al ricorrere di alcune circostanze: oltre al già ricordato sospetto che si tratti di merci contraffatte o usurpative e al fatto che si tratti di piccole spedizioni di merci non deperibili, è lo stesso titolare dei diritti sulle merci a doverne chiedere l’applicazione e il dichiarante[24] o il detentore delle merci devono aver confermato per iscritto alle autorità doganali il proprio accordo alla distruzione delle merci o, comunque, non devono aver fatto pervenire la propria opposizione entro i termini prescritti.

Nell’ordinamento italiano, come si è detto, la suddetta procedura non risulta attualmente compatibile con la norma penale che punisce l’introduzione (connotata peraltro dall’elemento del profitto) di merci nel territorio dello Stato, di cui al citato art. 474 c.p. La procedura è infatti incompatibile con il sistema processuale penale che non consente l'immediata distruzione dei beni di cui si sospetta la contraffazione se non dopo che l'Autorità giudiziaria abbia accertato il reato.

 

L’applicazione della sanzione amministrativa da 100 a 7.000 euro è quindi circoscritta alle spedizioni dirette al consumatore finale, a condizione che l’acquisto non superi i 20 pezzi o i 5 Kg, e non vi siano elementi per sospettare l'esistenza di un traffico commerciale.

Rispetto a quanto previsto dal Regolamento, la disposizione introdotta con il presente articolo amplia la definizione di piccola spedizione fino a 20 pezzi e 5 kg, elevando la soglia attualmente prevista dal regolamento europeo (3 pezzi o peso fino a 2 kg.) che, secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa, si è rilevata – anche a giudizio della Commissione europea -  troppo limitata per rispondere alle esigenze di semplificazione degli accertamenti doganali.

 

Oltre alla sanzione amministrativa, sull’acquirente finale gravano anche gli oneri per la custodia e la distruzione delle merci. Come già previsto dal comma 7 dell’art. 1 del decreto-legge 35/2005 per gli acquisti nel territorio dello Stato, anche le merci contraffatte acquistate all’estero sono sottoposte a confisca amministrativa per essere quindi distrutte nei successivi 30 giorni.

Qualora l’acquirente finale non vi provveda, la responsabilità per i suddetti oneri di custodia e distruzione delle merci si estende al vettore, in virtù della funzione di rappresentanza dell’acquirente da lui esercitata nello svolgimento degli adempimenti doganali, secondo quanto stabilito dagli articoli 18 e 19 del regolamento (UE) 952/2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione (comma 7-ter).

 

L’organo competente a irrogare la sanzione per violazione della norma di cui al comma 7-bis è l’ufficio delle dogane e dei monopoli dove è stato accertato il fatto. Trattandosi di sanzione amministrativa, si applica il procedimento previsto della legge 24 novembre 1981, n. 689 (comma 7-quater).

In base alla legge n. 689 del 1981 (Modifiche al sistema penale), l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria avviene secondo il seguente procedimento:

·         accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;

·         pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa: archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;

·         eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);

·         accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);

·         eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.

Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che essa sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). 

La violazione deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione o pagamento in misura ridotta, art. 16). In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).

Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso all'autorità giudiziaria competente (artt. 22, 22-bis). In base all'art. 6 del decreto-legislativo 150/2011, l'autorità giudiziaria competente sulla citata opposizione è il giudice di pace a meno che, per il valore della controversia (sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro) o per la materia trattata (tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro; previdenza e assistenza obbligatoria; tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; igiene degli alimenti e delle bevande; materia valutaria; antiriciclaggio), non sussista la competenza del tribunale. L'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito. In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26) Decorso il termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).

 

 


 

Articolo 20
(Disposizioni in materia di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. Attuazione della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010)

 

L'articolo 20 propone modifiche alla disciplina dei contratti di credito, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. Con riferimento a tali categorie di operatori finanziari, l'intervento in esame è volto ad integrare nella normativa nazionale le regole in materia di "passaporto europeo" degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, ovvero le disposizioni che consentono di operare su tutto il territorio dell'Unione ai soggetti autorizzati a farlo in uno dei Paesi membri, nel rispetto di specifici obblighi di notifica.

 

 

In particolare, l'articolo 20 disciplina le attività di agente in attività finanziaria e di mediatore creditizio. Le relative disposizioni sono finalizzate a completare l'attuazione della direttiva 2014/17/UE in materia di contratti di credito ai consumatori relativi a ben immobili residenziali e del regolamento (UE) n. 1093/2010.

La direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento mediante il decreto legislativo n. 72 del 2016, che ha apportato una serie di modifiche al decreto legislativo n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - TUB) e al decreto legislativo n. 141 del 2010, con il quale era stata data attuazione alla previgente normativa europea (direttiva 2008/48/CE) in merito, tra l'altro, alla disciplina dei contratti di credito, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.

Con riferimento a tali categorie di operatori finanziari, l'intervento in esame è volto, come accennato, ad integrare nella normativa nazionale le regole in materia di "passaporto europeo" degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, ovvero le disposizioni che consentono di operare su tutto il territorio dell'Unione ai soggetti autorizzati a farlo in uno dei Paesi membri, nel rispetto di specifici obblighi di notifica.

 

La lettera a) del comma 1 dell'articolo 20 in esame dà attuazione all’articolo 36 paragrafo 1, comma 3, della direttiva 2014/17/UE secondo cui "al fine di agevolare ed accelerare la collaborazione e [...] lo scambio di informazioni, gli Stati membri designano un’unica autorità competente quale punto di contatto". Di conseguenza, viene inserito nell’articolo 7 del TUB il comma 10-bis, che designa la Banca d’Italia quale punto di contatto per la ricezione delle richieste di informazioni o di collaborazione provenienti dalle autorità di altri Stati membri dell’Unione europea in relazione ai contratti di credito disciplinati dal capo I-bis del titolo VI.

 

La lettera b) inserisce nel TUB il nuovo articolo 128-novies.1 allo scopo di garantire la libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi da parte di intermediari del credito (articolo 32, paragrafi 1, 3 e 4, della direttiva 2014/17/UE). In particolare, viene previsto che l’abilitazione di un intermediario del credito da parte dell’autorità competente del suo Stato membro d’origine sia valida per l’intero territorio dell’Unione senza che sia necessaria alcuna abilitazione supplementare da parte delle autorità competenti degli Stati membri ospitanti a condizione che le attività che l’intermediario del credito intende svolgere nello Stato membro ospitante siano coperte dall’abilitazione. All’intermediario del credito abilitato che intenda esercitare per la prima volta in uno o più Stati membri la propria attività in regime di libera prestazione di servizi o nel momento in cui vi stabilisca una succursale, viene comunque previsto un obbligo di informativa nei confronti delle autorità competenti del proprio Stato membro d’origine, i quali dovranno, a loro volta, adempiere specifici obblighi di notifica nei riguardi delle autorità competenti degli Stati membri ospitanti.

Inoltre, in settori nei quali non vi è piena armonizzazione fra gli ordinamenti degli Stati membri nel diritto dell’Unione, è prevista l’attivazione di attività di vigilanza da parte delle autorità competenti dello Stato membro ospitante, secondo specifiche condizioni individuate dall’articolo 128-novies.1, rispettivamente al primo e al secondo comma per agli agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi abilitati in Italia e per gli agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi abilitati in un altro Stato membro dell’Unione europea.

Il primo comma dispone che gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi possono svolgere le attività alle quali sono abilitati (relative ai contratti di credito disciplinati dal capo I-bis del titolo VI del TUB) in un altro Stato membro, anche senza stabilirvi succursali, ma dandone previa comunicazione all’Organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (OAM), disciplinato dall’articolo 128-undecies del TUB.

Per quanto riguarda gli agenti e mediatori abilitati dall’autorità competente di un altro Stato membro dell’Unione europea a svolgere una o più delle attività previste dall’articolo 120-quinquies, comma 1, lettera g), del TUB (preparazione, presentazione o proposta di contratti di credito; conclusione degli stessi per conto del finanziatore) prevede che essi possano svolgere le stesse attività nel territorio della Repubblica, anche senza stabilirvi succursali, dopo che l’autorità competente dello Stato membro di origine ne abbia dato comunicazione all’OAM. I soggetti autorizzati in altro Stato membro per i quali viene fornita tale comunicazione sono iscritti in un apposito elenco tenuto dall’OAM.

 

La lettera c) modifica l’articolo 128-decies del TUB, recante disposizioni di trasparenza e connessi poteri di controllo, inserendovi il comma 4-ter. In attuazione dell’articolo 34, paragrafo 5, della direttiva 2014/17/UE, la norma stabilisce che l’autorità competente dello Stato membro di origine, in relazione ai soggetti da questa autorizzati e operanti in Italia, può, dopo aver informato l’OAM, effettuare ispezioni presso le relative succursali stabilite nel territorio della Repubblica.

 

La lettera d) modifica il già citato articolo 128-undecies del TUB, che disciplina l'OAM, aggiungendo il comma 4-bis al fine di disciplinare la collaborazione e lo scambio di informazioni fra l’Organismo e le autorità competenti di altri Stati membri dell’Unione europea.

 

La lettera e) modifica le disposizioni procedurali recate dall’articolo 128-duodecies del TUB, aggiungendovi i commi 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies e 1-septies.

Il comma 1-quater, in attuazione all’articolo 32, paragrafo 3, comma 2, della direttiva 2014/17/UE, individua l'OAM quale autorità competente a notificare all’autorità competente dell’altro Stato membro, dopo aver ricevuto dall'intermediario la relativa comunicazione, l’intenzione dell’agente o del mediatore abilitato di esercitare per la prima volta in uno o più Stati membri la propria attività in regime di libera prestazione di servizi o al momento di stabilire una succursale.

Il successivo comma 1-quinquies attua l’articolo 32, paragrafo 4, della direttiva, il quale, con riferimento all’avvio delle attività delle succursali dell’intermediario del credito, prevede un'apposita vigilanza da parte delle autorità competenti dello Stato membro ospitante e, inoltre, in relazione ai settori non armonizzati nel diritto dell’Unione, dispone l’indicazione delle le condizioni alle quali tali attività devono essere esercitate nello Stato membro ospitante. Di conseguenza, viene previsto un obbligo di informazione da parte dell'OAM, da assolversi prima dell’avvio dell’operatività della succursale o comunque entro due mesi dalla comunicazione dell'intenzione dell'intermediario di avviare l'attività, avente ad oggetto le condizioni previste per il loro svolgimento dell’attività in Italia.

Il nuovo comma 1-sexies dell'articolo 128-duodecies del TUB disciplina l'attività di verifica da parte dell'OAM rispetto delle disposizioni applicabili agli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi che svolgono la loro attività anche senza stabilirvi succursali, attribuendo di conseguenza al medesimo Organismo specifici poteri, da esercitare nelle forme e modalità stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, ai sensi del successivo comma 1-septies.

 

La lettera f) modifica l’articolo 128-terdecies del TUB, che disciplina la vigilanza della Banca d'Italia sull'OAM, inserendo il nuovo comma 4-bis, in attuazione dell’articolo 5, paragrafo 6, della direttiva, relativo al caso in cui esistano più autorità di vigilanza su agenti e mediatori nel medesimo Stato membro. Al riguardo, il comma 4-bis prevede un’attività di collaborazione tra la Banca d’Italia e l’OAM, anche mediante lo scambio di informazioni necessarie per l’espletamento delle rispettive funzioni e al fine di consentire all’OAM l’esercizio dei poteri ad esso conferiti.

 

Il comma 2 dell'articolo 20 dispone che l’articolo 128-duodecies, comma 1-sexies, (inserito dalla lettera e) del comma 1, vedi supra) si applica dalla data dell’entrata in vigore del decreto con cui sono definiti e disciplinati i suddetti poteri.

 

Il comma 3 dell’articolo modifica il decreto legislativo n. 141 del 2010, con il quale era stata data attuazione alla previgente normativa europea (direttiva 2008/48/CE) in merito, tra l'altro, alla disciplina dei contratti di credito, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.

 

La lettera a) modifica il comma 1-bis dell’articolo 20 del citato decreto legislativo, per includere i soggetti autorizzati in un altro Stato membro, operanti in Italia in regime di "passaporto europeo", fra quelli in relazione ai quali l'OAM determina e riscuote i contributi.

 

La lettera b) modifica l’articolo 22 del predetto decreto legislativo, aggiungendo il comma 4-bis, che traspone l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2014/17/UE, ai sensi del quale “qualora l’abilitazione di un intermediario del credito venga ritirata dalle autorità competenti dello Stato membro d’origine, questo ne informa le autorità competenti degli Stati membri ospitanti appena possibile e al più tardi entro quattordici giorni, con tutti i mezzi adeguati”. Di conseguenza, viene previsto che l'OAM esegua la comunicazione relativa al ritiro dell'abilitazione alle autorità competenti degli altri Stati membri tempestivamente e, in ogni caso, non oltre quattordici giorni dalla cancellazione.

 

La lettera c) modifica l’articolo 23, comma 3, del decreto legislativo n. 141/2010 relativo all’elenco degli agenti in attività finanziaria.

Il punto 1) aggiunge, fra le informazioni che le persone fisiche devono indicare nell'apposito elenco degli agenti in attività finanziaria in cui sono iscritte, anche gli Stati membri dell’Unione europea in cui possono svolgere le attività relative ai contratti di credito disciplinati dal Capo I-bis del titolo VI del TUB (nuovo numero 7-bis).

Il punto 2) modifica il comma 4 dell’articolo 23 del decreto legislativo n. 141 del 2010, relativo alle indicazioni contenute nell’elenco dei mediatori creditizi. Anche con riferimento ai mediatori, viene aggiunta (nuova lettera f-ter) l’informazione concernente gli Stati membri dell’Unione europea in cui il mediatore creditizio può svolgere, anche senza stabilirvi succursali, le attività relative ai contratti di credito.

Infine, il punto 3) aggiunge all’articolo 23 del decreto legislativo n. 141 del 2010 il comma 6-bis, che si riferisce agli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi abilitati dall’autorità competente di un altro Stato membro dell’Unione europea a svolgere la loro attività anche in Italia senza l’obbligo (ma con la mera facoltà) di stabilirvi succursali. In tali elenchi è previsto che siano indicate le informazioni contenute nella comunicazione inviata dall’autorità competente dello Stato membro di origine, incluse la denominazione del soggetto, l’indirizzo della sede amministrativa, l’eventuale succursale con sede in Italia e l’indirizzo, anche di posta elettronica, o altro recapito.

 

 

 


 

Articolo 21
(Disposizioni in materia di bilancio di esercizio e consolidato. Attuazione della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio)

 

L'articolo 21 è volto a garantire il completo recepimento della direttiva 2013/34/CE relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese.

 

La direttiva 2013/34/UE mira a garantire la chiarezza e la comparabilità dei bilanci; limitare gli oneri amministrativi e prevedere norme di rendicontazione semplici e solide, soprattutto per le piccole e medie imprese (PMI); aumentare la trasparenza dei pagamenti effettuati dalle industrie estrattive e forestali ai governi. La normativa si applica alle tipologie di società a responsabilità limitata nell’Unione europea (UE). La normativa definisce e differenzia tra microimprese, piccole, medie e grandi imprese, sulla base dei rispettivi: stato patrimoniale, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio. Per ciascuna categoria stabilisce tre limiti, due dei quali non devono essere superati: microimprese: stato patrimoniale (350 000 euro), ricavi netti delle vendite e delle prestazioni (700 000 euro), dipendenti (10); piccole imprese: stato patrimoniale (4 milioni di euro), ricavi netti delle vendite e delle prestazioni (8 milioni di euro), dipendenti (50); medie imprese: stato patrimoniale (20 milioni di euro), ricavi netti delle vendite e delle prestazioni (40 milioni di euro), dipendenti (250); grandi imprese: stato patrimoniale (20 milioni di euro), ricavi netti delle vendite e delle prestazioni (40 milioni di euro), dipendenti (250). I bilanci d’esercizio devono: contenere almeno lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa; fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, nonché del risultato economico dell’esercizio; essere pubblicati da ciascuna società nel registro nazionale delle imprese pertinente. La direttiva stabilisce dei principi generali di bilancio, quali il divieto di modificare i principi contabili e i criteri di valutazione da un esercizio all’altro. Norme dettagliate riguardano la presentazione dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota integrativa, nonché delle relazioni sulla gestione, delle informazioni non finanziarie, delle relazioni sul governo societario e di quelle consolidate. Gli obblighi possono variare a seconda delle dimensioni della società e la direttiva accorda esenzioni o semplificazioni in molte aree alle microimprese e alle PMI. Spetta a ciascun paese dell’UE decidere la portata di tali esenzioni e semplificazioni. I bilanci di enti di interesse pubblico, medie e grandi imprese devono essere rivisti da uno o più revisori legali. Le grandi imprese la cui attività comporta l’estrazione da giacimenti di minerali, petrolio, gas naturale o altri materiali, oppure le imprese che utilizzano aree forestali primarie devono pubblicare i dettagli dei pagamenti il cui totale è superiore a 100 000 euro effettuati nei confronti di governi durante un esercizio. La normativa abroga alcune direttive contabili precedenti (78/660/CEE e 83/349/CEE) e modifica la direttiva 2006/43/CE.

La direttiva è entrata in vigore il 19 luglio 2013. I paesi dell’UE dovevano recepirla nel diritto nazionale entro il 20 luglio 2015.

La Direttiva è stata recepita con il decreto legislativo n. 139 del 2015 per la parte relativa alla disciplina del bilancio di esercizio e di quello consolidato per le società di capitali e gli altri soggetti individuati dalla legge.

 

In particolare, il comma 1 aggiunge un comma all’articolo 111-duodecies delle disposizioni di attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, necessario per il coordinamento con le disposizioni dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della direttiva 2013/34/UE. In base a tale modifica, l'obbligo per le società in nome collettivo o in accomandita semplice di redigere il bilancio secondo le norme previste per le società per azioni, nonché di redigere e pubblicare il bilancio consolidato come disciplinato dall'articolo 26 (Imprese controllate) del decreto legislativo n. 127 del 1991, ed in presenza dei presupposti ivi previsti - obbligo attualmente vigente qualora tutti i loro soci illimitatamente responsabili siano società per azioni, in accomandita per azioni o società a responsabilità limitata - si applica anche qualora i soci illimitatamente responsabili siano società di capitali soggette al diritto di un altro Stato membro dell’Unione europea oppure società soggette al diritto di un altro Stato ma assimilabili giuridicamente alle imprese a responsabilità limitata disciplinate dal diritto di uno Stato membro dell’Unione europea.

 

Il comma 2 apporta una serie di modificazioni al Codice Civile. In particolare:

 

a)      all’articolo 2423-ter, relativo alla struttura dello stato patrimoniale e del conto economico, viene integrato il sesto comma, specificando che, nei casi in cui la compensazione di partite è ammessa dalla legge sono indicati nella nota integrativa gli importi lordi oggetto di compensazione;

 

Nella relazione illustrativa, il Governo chiarisce che, in forza di quanto previsto dall'articolo 9-bis del decreto legislativo n. 38 del 2005, non soltanto le disposizioni del codice civile ma anche le previsioni dei principi contabili nazionali, emanati dall'Organismo Italiano Contabilità (OIC), che forniscono "elementi interpretativi ed applicativi nella redazione dei documenti contabili" devono essere considerati quali fonti rilevanti, qualificate e legittimanti ai fini dell'effettuazione delle compensazioni in oggetto. Con tale previsione, pertanto, si dà attuazione all'articolo 6, comma 2, della direttiva 2013/34/UE, che prevede la facoltà per gli Stati membri di consentire o imporre, in casi specifici, di effettuare una compensazione tra voci dell 'attivo e del passivo, nonché tra quelle dei costi e dei ricavi, a condizione che nella nota integrativa siano indicati gli importi lordi.

 

b)     viene di conseguenza integrato l’articolo 2435-bis, recante la disciplina del bilancio in forma abbreviata, quinto comma, al fine di precisare che la nota integrativa fornisce altresì le informazioni richieste anche dal sesto comma dell'articolo 2423-ter, di cui sopra;

 

c)      all’articolo 2435-ter, dopo il quarto comma, è aggiunto un ulteriore comma che esclude gli enti di investimento e le imprese di partecipazione finanziaria dall'applicazione delle disposizioni previste:

1)     dal medesimo articolo 2435-ter, riguardante il bilancio delle micro-imprese;

2)     dal settimo comma dell’art. 2435-bis, secondo cui le società che redigono il bilancio in forma abbreviata, in deroga a quanto disposto dall'articolo 2426, hanno la facoltà di iscrivere i titoli al costo di acquisto, i crediti al valore di presumibile realizzo e i debiti al valore nominale;

3)     dal secondo comma dell’art. 2435-bis con riferimento alla facoltà di ricomprendere la voce D (Ratei e risconti) dell’attivo nella voce CII (Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esericizo successivo) e la voce E (Ratei e risconti) del passivo nella voce D (Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esericizo successivo);

 

La disposizione recepisce il disposto dell'articolo 36, comma 7, della direttiva. Per la definizione delle tipologie di imprese considerate si rimanda all'articolo 2 (numeri 14 e 15) della direttiva stessa che fornisce le seguenti nozioni di "enti di investimento" e di "imprese di partecipazione finanziaria":

Enti di investimento:

a) le imprese il cui unico oggetto è l'investimento dei propri fondi in valori mobiliari diversi, valori immobiliari e altre attività con l'unico scopo di ripaitire i rischi d'investimento e di far beneficiare i loro investitori dei risultati della gestione delle loro attività;

b)  le imprese collegate a enti di investimento a capitale fisso, se l'unico oggetto di tali imprese collegate è l'acquisto delle azioni completamente liberate emesse da tali enti di investimento, fatto salvo l'articolo 22, paragrafo 1, lettera h), della direttiva 2012/30/UE;

Imprese di partecipazione finanziaria:

le imprese il cui unico oggetto è l'acquisizione di partecipazioni in altre imprese, nonché la gestione e la valorizzazione di tali partecipazioni, senza coinvolgimenti diretti o indiretti nella gestione di tali imprese, senza pregiudizio per i diritti che l 'impresa di paitecipazione finanziaria possiede in qualità di azionista;

 

d)     all’articolo 2361, secondo comma, si specifica che l'informazione circa l'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante responsabilità illimitata riportata dagli amministratori nella nota integrativa del bilancio deve essere corredata dell'indicazione della denominazione, della sede legale e della forma giuridica di ciascun soggetto partecipato.

 

Il comma 3 apporta delle modificazioni al decreto legislativo n. 127 del 1991 (recante attuazione delle direttive n. 78/660/CEE e n. 83/349/CEE in materia societaria, relative ai conti annuali e consolidati).

In particolare:

a)      all’articolo 26, relativo alle imprese controllate, dopo il comma 3, sono aggiunti due ulteriori commi necessari a recepire l'articolo 22, comma 5, della direttiva. Il comma 3-bis dispone che, al fine di individuare le imprese obbligate a redigere il bilancio consolidato, la totalità dei diritti di voto dei soci dell’impresa partecipata è ridotta dei diritti di voto inerenti alle azioni o quote proprie detenute dall'impresa partecipata stessa, o da una sua controllata o detenute da terzi per conto di tali imprese. Il comma 3-ter stabilisce inoltre che le imprese controllate sono oggetto di consolidamento a prescindere dal luogo in cui sono costituite;

b)     all’articolo 27, relativo ai casi di esonero dall'obbligo di redazione del bilancio consolidato, si apportano le seguenti modifiche,   in linea con quanto disposto dall'articolo 3, comma 6, della direttiva:

1)     al comma 1 si specifica che i limiti numerici da considerare in termini degli attivi degli stati patrimoniali, del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni e dei dipendenti occupati ai fini dell'esenzione dall'obbligo di redazione del bilancio consolidato, sono da considerarsi su base consolidata;

 

Nella relazione illustrativa, il Governo precisa che il  calcolo  su  base  consolidata  prevede  che  si proceda all'eliminazione delle partecipazioni in imprese incluse nel consolidamento e delle corrispondenti frazioni del patrimonio netto di queste, e all'eliminazione dei debiti e dei crediti tra le imprese incluse nel consolidamento, dei proventi e degli oneri relativi ad operazioni effettuate tra le imprese medesime, e degli utili e delle perdite conseguenti ad operazioni effettuate tra tali imprese e relative a valori compresi nel patrimonio, diversi da lavori in corso su ordinazione di terzi, ai sensi dell'articolo 31, comma 2, del decreto legislativo n. 127 del 1991.

 

2)     dopo il comma 1, è inserito un ulteriore comma 1-bis ai sensi del quale la verifica del superamento dei limiti numerici in termini degli attivi degli stati patrimoniali, del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni e dei dipendenti occupati indicati al comma precedente può essere effettuata su base aggregata senza effettuare le operazioni di consolidamento. In tale caso, i limiti numerici indicati al comma 1, lettere a) (attivi degli stati patrimoniali) e b) (totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni) sono maggiorati del venti per cento. Tale modifica è necessaria al fine di recepire l'articolo 3, comma 8, della direttiva;

3)     di conseguenza, il comma 2 viene modificato per far riferimento al primo comma anziché al “comma precedente”;

c)      all’articolo 39, relativo agli elenchi delle imprese incluse nel bilancio consolidato e delle partecipazioni, dopo il comma 1, è inserito un ulteriore comma 1-bis in base al quale l’elenco previsto dall'articolo 38, relativo al contenuto della nota integrativa, comma 2, lettera d), relativa all'elenco delle altre partecipazioni in imprese controllate e collegate, deve altresì indicare, per ciascuna impresa, l’importo del patrimonio netto e dell’utile o della perdita risultante dall’ultimo bilancio approvato. Tali informazioni possono essere omesse, quando l’impresa controllata non è tenuta a pubblicare il suo stato patrimoniale in base alle disposizioni della legge nazionale applicabile. Tale previsione dà attuazione all'articolo 28, comma 2, lettera d), numero iii) della direttiva.

 

Il comma 4 stabilisce che le disposizioni del presente articolo si applicano per la prima volta al bilancio dell'impresa e al bilancio consolidato relativi al primo esercizio successivo a quello chiuso o in corso al 31 dicembre 2019.

 

Il comma 5, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dalle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 22
(Disposizioni in materia di marcatura e formato elettronico unico di comunicazione delle relazioni finanziarie annuali. Attuazione del regolamento delegato (UE) 2018/815 della Commissione, del 17 dicembre 2018, che integra la direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione relative alla specificazione del formato elettronico unico di comunicazione)

 

L’articolo 22, modificando il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58), introduce misure finalizzate a garantire l’attuazione del Regolamento delegato (UE) 2019/815 della Commissione, del 17 dicembre 2018, in materia di marcatura e formato elettronico unico di comunicazione delle relazioni finanziarie annuali.

 

Preliminarmente si ricorda che l’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. Transparency), introdotto dalla direttiva 2013/50/UE,  stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2020 tutte le relazioni finanziarie annuali sono predisposte in un formato elettronico unico di comunicazione (c.d. European Single Electronic Format, ESEF).

Successivamente il Regolamento delegato (UE) 2019/815 della Commissione, del 17 dicembre 2018, che integra la citata direttiva 2004/109/CE, prevede che gli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di qualsiasi Stato membro redigono tutte le loro relazioni finanziarie annuali nel formato XHTML (Extensible Hypertext Markup Language).

Pertanto, come indicato anche nella relazione illustrativa della norma, tale obbligo ricomprende tutti i documenti che compongono la relazione finanziaria annuale (ossia il bilancio d’esercizio e consolidato; la relazione sulla gestione; le attestazioni di conformità delle persone responsabili).

Le motivazioni della scelta del formato sono indicate nei considerando della direttiva stessa dove si segnala che il formato XHTML non richiede meccanismi specifici per essere convertito in un formato leggibile dagli utenti e, trattandosi di un formato elettronico per la presentazione delle informazioni non proprietario, è liberamente utilizzabile.

 

Il Regolamento prevede inoltre che la marcatura (o taggatura) obbligatoria delle voci contenute nei bilanci consolidati (redatti secondo i princìpi contabili internazionali (IFRS)), avvenga attraverso una tassonomia fornita nell’Allegato II dello stesso Regolamento delegato. Per effettuare le marcature, tanto di natura obbligatoria quanto di natura volontaria, gli emittenti devono utilizzare il linguaggio di mark up XBRL (eXtensible Business Reporting Language) e una tassonomia (denominata tassonomia di base) che si compone dell’insieme degli elementi della tassonomia contenuti nell’allegato VI del Regolamento e di una serie di link.

 

Nei considerando del Regolamento si chiarisce che l’adozione e l’uso degli IFRS mira a garantire un elevato livello di trasparenza e comparabilità dei bilanci. Al fine di agevolarne ulteriormente l’accessibilità, l’analisi e la comparabilità, i bilanci consolidati nelle relazioni finanziarie annuali redatti conformemente agli IFRS adottati a norma del regolamento (CE) n. 1606/2002 o agli IFRS emessi dallo IASB dovrebbero essere marcati utilizzando il linguaggio XBRL. Il linguaggio XBRL è leggibile da un dispositivo automatico e consente l’utilizzo automatizzato di grandi quantità di informazioni. Il linguaggio XBRL è consolidato e utilizzato in diverse giurisdizioni ed è attualmente l’unico linguaggio di markup appropriato per marcare le informazioni contenute nei bilanci.

 

Per i termini di attuazione delle norme della direttiva il considerando n. 12 chiarisce che, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva 2004/109/CE, il Regolamento dovrebbe applicarsi alle relazioni finanziarie annuali contenenti i bilanci per gli esercizi finanziari aventi inizio il 1o gennaio 2020 o in data successiva. Al fine, tuttavia, di facilitare l’agevole attuazione della rendicontazione finanziaria in un formato leggibile da un dispositivo automatico, e in particolare per concedere agli emittenti un periodo di tempo ragionevole per adattarsi all’utilizzo della tecnologia XBRL, la marcatura obbligatoria delle note al bilancio dovrebbe applicarsi solo in relazione ai bilanci per gli esercizi finanziari aventi inizio il 1o gennaio 2022 o in data successiva.

 

Come sopra anticipato, la lettera a) dell’articolo in esame modifica il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, introducendo due nuovi commi all’articolo 154-ter (1.1. e 1.2).

Il nuovo comma 1.1 stabilisce che gli amministratori curano l’applicazione delle disposizioni contenute nel richiamato Regolamento delegato (UE) 2019/815 alle relazioni finanziarie annuali che gli emittenti quotati aventi l’Italia come Stato membro d'origine sono tenuti a pubblicare. Pertanto, gli amministratori dell’emittente sono responsabili dell’applicazione delle disposizioni contenute nel Regolamento, con particolare riferimento, secondo quanto indicato nella relazione illustrativa, alle attività di taggatura obbligatoria delle voci contenute nei bilanci consolidati redatti secondo i princìpi contabili internazionali (IFRS).

 

La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento chiarisce tuttavia che le attività concernenti la produzione della marcatura, interne all’emittente, possono essere ricomprese nelle procedure amministrativo-contabili dell’emittente. Sotto questo aspetto, è dunque possibile la delega a singoli componenti, da parte del consiglio di amministrazione, dell’attività relativa al tagging delle informazioni contenute nel consolidato (articolo 2381 codice civile).

 

Il nuovo comma 1.2. introduce l’obbligo dei revisori degli emittenti di esprimersi sulla conformità dei bilanci inclusi nella relazione finanziaria al Regolamento. In particolare la norma prevede che il revisore legale o la società di revisione legale, nella relazione di revisione esprime altresì un giudizio sulla conformità del progetto di bilancio d’esercizio e del bilancio consolidato, compresi nella relazione finanziaria annuale, alle disposizioni del Regolamento delegato, sulla base di un principio di revisione elaborato, tenendo conto dei principi di revisione internazionali, da associazioni e ordini professionali congiuntamente al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Consob e adottati dal Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Consob (articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39).

 

La lettera b), modificando il comma 6 dell’articolo 154-ter, dispone che la Consob, in conformità alla disciplina europea, stabilisce con regolamento le eventuali disposizioni necessarie per l’attuazione di quanto disposto dal nuovo comma 1.1.

 

 


 

Articolo 23
(Disposizioni sanzionatorie in materia di abusi di mercato. Procedura di infrazione n. 2019/2130)

 

L'articolo 23 propone modifiche alla disciplina delle sanzioni penali in caso di abusi di mercato di cui al Testo unico in materia di intermediazione finanziaria (TUF). In particolare, la disposizione:

§  modifica l'ambito di applicazione della disciplina sanzionatoria in materia di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato;

§  estende i casi di esenzione da tale disciplina alle negoziazioni di strumenti mobiliari o operazione collegate;

§  introduce specifiche sanzioni penali per i soggetti che abbiano acquisito illecitamente informazioni privilegiate fuori dai casi previsti a legislazione vigente (c.d. insider secondari);

§  innalza a quattro anni (da tre) il periodo massimo di reclusione per reati connessi ad operazioni concernenti talune tipologie di strumenti finanziari; 

§  limita la confisca al solo profitto realizzato con la commissione del reato, ove la norma vigente fa riferimento anche al prodotto del reato e ai mezzi per realizzarlo.

 

Tali modifiche mirano a superare alcuni motivi di contestazione sollevati dalla Commissione europea con la procedura di infrazione n. 2019/2130 (v. infra).

 

Il comma 1, lettera a), riscrive l'art. 182 del decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF), modificando l'ambito di applicazione della disciplina sanzionatoria penale per fatti relativi ad abusi di mercato.

Secondo la novella, quanto previsto in materia di:

§  abuso di informazioni privilegiate dall'art. 184 del TUF, come modificato dal presente provvedimento;

§  manipolazione del mercato dall'art. 185 del TUF, come modificato dal presente provvedimento;

§  abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate dall'art. 187-bis del TUF;

§  manipolazione del mercato dall'art. 187-ter del TUF;

si applica (secondo l'art. 182, comma 1, del testo novellato) a fatti concernenti:

a)      strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea (si tratta di disposizione sostanzialmente identica al testo vigente dell'art. 182, comma 2, del TUF);

b)     strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano o di altro Paese dell'Unione europea;

c)      strumenti finanziari negoziati su un sistema organizzato di negoziazione;

d)     strumenti finanziari non contemplati dalle lettere a), b) e c), il cui prezzo o valore dipende dal prezzo o dal valore di uno strumento finanziario menzionato alle stesse lettere, ovvero ha un effetto su tale prezzo o valore (tra i quali figurano i credit default swap e i contratti differenziali);

e)      condotte od operazioni, comprese le offerte, relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d'asta correlati, anche quando i prodotti oggetto d'asta non sono strumenti finanziari, ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010 della Commissione 2010 (recante disciplina sulla vendita all'asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE).

 

Con la novella in esame si modifica il testo dell'art. 182 del TUF al fine di adeguarlo alle definizioni recate dall'art. 180 del medesimo testo unico e alle disposizioni recanti l'ambito di applicazione della direttiva direttiva 2014/57/UE, c.d. MAD II, all'art. 1, par. 2.

La modifica intende, in particolare, rispondere alla contestazione mossa dalla Commissione nella procedura di infrazione n. 2019/2130, includendo nell'ambito di applicazione della disciplina sanzionatoria penale gli strumenti finanziari negoziati (o per i quali sia stata richiesta l'ammissione alla negoziazione) in altre sedi (sistemi multilaterali di negoziazione "MTF" e sistemi organizzati di negoziazione "OTF") e gli strumenti finanziari non negoziati in alcuna sede (OTC).

 

Il testo vigente dell'art. 182, comma 1, TUF richiama "gli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato (italiano o di altro Paese UE) qualora attengano a strumenti finanziari ammessi o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, o a strumenti finanziari negoziati su un sistema organizzato di negoziazione italiano". Rimangono quindi esclusi gli altri strumenti previsti dall'art. 1, par. 2, lettere b), c) e d), della direttiva MAD II. La novella mira pertanto a colmare tale lacuna.

 

La lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame, integra l'art. 183, comma 1, TUF, concernente le esenzioni. Tale articolo 183 (al comma 1, lettera b)) esclude dall'ambito di applicazione della disciplina sugli abusi di mercato le negoziazioni di azioni proprie effettuate ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (UE) n. 596/2014.

Secondo la Commissione, tale disposizione è contraria alla disciplina europea in quanto non menziona le negoziazioni di strumenti mobiliari o operazione collegate a fini di stabilizzazione.

Le previsioni di cui all'art. 5, par. 1 e 4, del citato regolamento (UE) 596/2014, prevedono l'esenzione di tali negoziazioni o strumenti collegati (di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento), quando tali negoziazioni sono effettuate conformemente all’articolo 5, paragrafi 4 e 5, del regolamento medesimo.

La novella in esame, quindi estende l'esenzione alle suddette operazioni, ottemperando a quanto richiesto dalla Commissione con la procedura di infrazione n. 2019/2130, inserendo la nuova lettera b-bis) all'art. 183, comma 1 (la quale riproduce il dettato dell'art. 1, par. 3, lettera b) della direttiva MAD II).

 

Si ricorda, per completezza, che l'art. 183, comma 1, lett. a) del TUF prevede, inoltre, l'esenzione per le attività di gestione monetaria e del debito pubblico nonché per le attività relative alla politica climatica condotte da: a) uno Stato membro; b) i membri del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC); c) un ministero, un'agenzia o una società veicolo di uno o più Stati membri, o un soggetto che agisce per suo conto; d) nel caso di uno Stato membro a struttura federale, un membro che abbia posto in essere tale struttura federale (art. 6 del Regolamento (CE) n. 596 citato).

 

La lettera c) del comma 1 dell'articolo in esame riscrive l'art. 184 TUF. Viene preliminarmente riscritta la rubrica dell'articolo che, nella nuova formulazione, reca il riferimento all'abuso di informazioni privilegiate (come nella rubrica vigente), nonché raccomandazione o induzione di altri alla commissione di tale reato.

Tale articolo 184, al comma 1, stabilisce le sanzioni (reclusione da due a dodici anni e multa da ventimila a tre milioni di euro) nei confronti di chi acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime ovvero comunica tali informazioni al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio o di un sondaggio di mercato. È soggetto a medesima sanzione chi raccomanda o induce altri al compimento di tali condotte. Inoltre, le medesime sanzioni si applicano a chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose, commette taluno dei fatti qui sopra ricordati.

L'art. 184 TUF si applica a chi sia in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio. Si tratta sostanzialmente delle categorie di soggetti previste dall'art. 3, par. 3, lettere a) - d) della direttiva 2014/57/UE -  MAD II.

Con la procedura di infrazione n. 2019/2130 la Commissione contesta all'Italia che tale disciplina non annoveri i soggetti, c.d. insider secondari, che abbiano acquisito le informazioni privilegiate a qualunque titolo, quindi anche in circostanze diverse da quelle contemplate dall'art 184 nella formulazione vigente.

Si segnala che l'art. 187-bis del TUF punisce chi viola il divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate, qualunque sia la modalità di acquisizione delle informazioni privilegiate, con la con la sanzione amministrativa pecuniaria da ventimila euro a cinque milioni di euro. Si prevede inoltre l'inasprimento della sanzione al ricorrere di determinate circostanze. La condotta in esame ricade quindi negli illeciti amministrativi, salvo i casi di concorso di colpa o favoreggiamento.

 

La novella in esame propone, quindi, modifiche all'art. 184 del TUF introducendo il riferimento all'insider secondario, anche con riferimento alla comunicazione illecita di informazioni privilegiate.

A tal fine è introdotta una nuova disposizione (recata dal comma 3 del testo modificato) la quale punisce l'insider secondario, consapevole del carattere privilegiato delle informazioni, con la reclusione da un anno e sei mesi a dieci anni e con la multa da euro ventimila a euro due milioni e cinquecentomila.

La sanzione penale risulta quindi inferiore rispetto al caso previsto dalla norma vigente per l'insider primario, ove la condotta è punita con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da ventimila a tre milioni di euro. Si deve tuttavia sottolineare che la nuova disposizione si applica quando la condotta tenuta dal soggetto non configuri un concorso di reato: in tali casi è applicabile la disciplina sanzionatoria prevista nel caso generale.

Con la modifica si prevede, quindi, una specifica disciplina sanzionatoria nei confronti dell'insider secondario al quale si applica (secondo la formulazione del comma 4 dell'art 184 nel testo novellato) anche la possibilità di aumentare la multa quando essa appaia, anche nella misura massima, non adeguata per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito. Analogamente a quanto previsto dal testo vigente, si prevede che la multa irrogata all'insider secondario (come agli altri soggetti che commettono i reati in oggetto) possa essere aumentata fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato.

Il comma 5 dell'art. 184, come modificato, stabilisce che si applichino le disposizioni in esame anche quando i fatti riguardino condotte od operazioni, comprese le offerte, relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d'asta correlati, anche quando i prodotti oggetto d'asta non sono strumenti finanziari, ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010 (recante disciplina sulla vendita all'asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE).

 

L'art. 184, comma 3-bis e l'art 185, comma 2-bis, del TUF recano, rispettivamente, la disciplina sanzionatoria relativa all'abuso di informazione privilegiata e alla manipolazione del mercato in relazione ad operazioni concernenti strumenti sui sistemi multilaterali di negoziazione ("MTF") e sui sistemi organizzati di negoziazione ("OTF"), ovvero riguardanti altri strumenti, tra i quali figurano credit swap o contratti differenziali.

In entrambi i casi è previsto l'arresto fino a tre anni.

A tale riguardo, la Commissione ha contestato le norme citate del testo unico in quanto l'art. 7 della direttiva MAD II impone che gli Stati membri adottino (per un insieme di reati comprendente quelli qui sopra ricordati) norme che prevedano la reclusione per una durata massima non inferiore a quattro anni.

A seguito di tale contestazione, la citata lettera c) dell'articolo 21, comma 1, in esame, riscrivendo l'art. 184 TUF non ripropone la disposizione contestata. Tali fattispecie sono quindi ricondotte tra quelle annoverate dall'art. 182 TUF qui novellato (v. sopra il commento alla lettera a)).

Analogamente, la lettera d) reca l'abrogazione del comma 2-bis dell'art. 185 TUF per quanto riguarda la disciplina sanzionatoria in materia di manipolazione del mercato

 

Si osserva che la formulazione vigente dell'art. 184, comma 3-bis e dell'art 185, comma 2-bis, del TUF prevede la sanzione penale dell'ammenda fino a euro 103.291 e dell'arresto fino a tre anni, qualificando tali fattispecie come contravvenzioni dal punto di vista sanzionatorio. Come rilevato dalla relazione illustrativa, tali differenziazioni rispetto agli altri reati di abuso di mercato (operata con le modifiche apportate al testo unico dal D.Lgs. n. 107 del 2018) non trovano riscontro nella disciplina dettata dalle norme europee, confermando l'opportunità della novella in esame, la quale allinea la disciplina sanzionatoria per violazioni concernenti strumenti scambiati su MTF, OTF e OTC, nonché altri strumenti come i credit swap, riconducendoli alla disciplina di carattere generale di cui all'art. 182 TUF come modificato dalla lettera a).

 

La lettera e) modifica il comma 1 dell'art. 187 TUF in materia di confisca. La nuova formulazione prevede che si proceda alla confisca del profitto realizzato, laddove la formulazione vigente prevede la confisca anche del "prodotto" (da intendersi, secondo consolidata giurisprudenza, quale insieme delle cose materiali che derivano dalla commissione dell'illecito) e dei mezzi utilizzati per ottenerlo.

 

Secondo quanto rappresentato dalla relazione illustrativa, la modifica intende garantire "la conformità della disciplina ablatoria penale ai principi costituzionali e europei di proporzionalità e adeguatezza delle pene". Al riguardo, viene richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 2019 la quale ha ritenuto illegittimo l'art. 187-sexies TUF nella parte in cui prevede che prevede (a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 107 del 2018) la confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prodotto o del profitto degli illeciti amministrativi di manipolazione del mercato (art. 187-bis) e di abuso di informazioni privilegiate (art. 187-ter).

 

 

La procedura di infrazione n. 2019/2130

 

Le disposizioni in esame sono finalizzate all'archiviazione della procedura di infrazione n. 2019/2130 allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE, avviata il 26 luglio 2019 dalla Commissione europea, per non corretto recepimento della direttiva 2014/57/UE relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (“direttiva MAD II”).

La lettera di costituzione in mora elenca diversi motivi di contestazione da parte della Commissione. Di questi, alcuni sono affrontati nelle novelle proposte dal provvedimento in esame e sono stati richiamati nel commento alle singole novelle al TUF.

Il Governo italiano ha ritenuto invece infondate due distinte contestazioni relative all'errato recepimento dell'art. 5 della direttiva MAD II in materia di manipolazione del mercato. Secondo la Commissione, non sono state recepite correttamente tali disposizioni della direttiva in quanto l'art. 185 TUF:

§  punisce la condotta di alterazione del prezzo di strumenti finanziari non contemplando le condotte relative ai segnali fuorvianti relativi alla domanda o all'offerta di strumenti finanziari o alla fissazione di prezzi anomali o artificiali, in contrasto con l'art. 5, par. 2, lettera a) della direttiva;

§  non si applica alla manipolazione del mercato mediante diffusione di informazioni contenenti segnali falsi o fuorvianti sull'offerta, la domanda o il prezzo di uno strumento finanziario o di un contratto a pronti su merci collegato, poiché si applicherebbe solamente al prezzo.

 

Il Governo italiano, fornendo chiarimento con nota del 26 settembre 2019, ha sostenuto che l'art. 185 TUF reca una disposizione di carattere generale la quale prevede che sia punito (con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni) "chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari". Tale formulazione, per la sua ampiezza, sarebbe quindi idonea ad assicurare la punibilità della diffusione di notizie false (aggiotaggio informativo), nonché il compimento di operazioni simulate o di altri artifizi (aggiotaggio manipolativo o operativo), come dimostrerebbero numerosi precedenti giurisprudenziali.

 

 

 

 

La normativa europea sugli abusi di mercato

 

Il regolamento (UE) n. 596/2014 è entrato in vigore il 3 luglio 2016, sostituendo le disposizioni contenute nella direttiva 2003/6/UE (Market Abuse Directive - "MAD I") e istituendo un quadro comune di regolamentazione in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazioni illecite di informazioni previlegiate e manipolazione del mercato. Oltre al regolamento, la disciplina è contenuta nella direttiva 2014/57/UE, ("MAD II"), relativa alle sanzioni penali in  comma 1,

 

Il regolamento europeo identifica tre tipi di abusi:

a) manipolazione del mercato: qualsiasi condotta e, in particolare, l'avvio di un'operazione sul mercato, che invii (o è probabile che invii) segnali falsi o fuorvianti riguardo all'offerta, alla domanda o al prezzo di uno strumento finanziario, o che consenta (o è probabile che consenta) di fissare il prezzo di uno strumento finanziario a un livello anormale o artificiale ovvero, infine, che utilizzi artifici o qualsiasi altra forma di raggiro o espediente per incidere sul prezzo di uno strumento finanziario. Le tre fattispecie appena descritte sono riconducibili alla manipolazione di tipo "operativo".

La condotta abusiva può inoltre consistere nella diffusione di informazioni che forniscano, o siano idonee a fornire, segnali falsi o fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo di uno strumento finanziario. In tali casi si fa riferimento alla manipolazione di tipo "informativo".

b) abuso di informazioni privilegiate: la condotta di una persona che acquista o cede, sulla base di informazioni privilegiate di cui è in possesso, per conto proprio o per conto di terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui tali informazioni si riferiscono. Le informazioni privilegiate, definite dall'articolo 7 del regolamento, sono informazioni di carattere preciso, concernenti direttamente o indirettamente uno o più emittenti o uno o più strumenti finanziari, che non sono state rese pubbliche e che, se rese pubbliche, potrebbero avere un effetto significativo sui prezzi;

c) comunicazione illecita di informazioni privilegiate: la condotta di una persona che è in possesso di informazioni privilegiate e comunica tali informazioni a un'altra persona, tranne quando la comunicazione avviene durante il normale esercizio di un'occupazione, una professione o una funzione.

Rispetto alla disciplina previgente, vengono inclusi nell'ambito di applicazione della disciplina nuove sedi di negoziazione, i sistemi multilaterali di negoziazione ("MTF") e i sistemi organizzati di negoziazione ("OTF"). L'estensione dell'ambito di applicazione riguarda anche prodotti finanziari precedentemente esclusi, per cui risultano assoggettati alla disciplina gli strumenti derivati su merci e i contratti a pronti ad essi collegati, nonché i prodotti oggetto d'asta sulla base di quote di emissioni. Nel perimetro della disciplina vengono anche esplicitamente incluse le condotte manipolative relative agli indici di riferimento (benchmark, quali il London Interbank Offered Rate, conosciuto come tasso Libor). L'estensione delle ipotesi di manipolazione del mercato riguarda anche gli ordini negoziazione effettuati da mezzi elettronici, come le strategie di negoziazione algoritmiche e ad alta frequenza (Algotrading e High Frequency Trading).

Rimangono esenti dalla disciplina le operazioni effettuate nella conduzione della politica monetaria, dei cambi, della gestione del debito pubblico e della politica climatica (articolo 6 del regolamento), nonché le operazioni effettuate da un emittente nell'ambito di programmi di riacquisto di azioni proprie e di stabilizzazione di strumenti finanziari oggetto di offerta al pubblico (articolo 5). Il perimetro delle violazioni viene, inoltre, definito identificando esplicitamente le condotte legittime (articolo 9), la possibilità di effettuare sondaggi di mercato alle condizioni previste dal regolamento (articolo 11) e le condotte consentite in quanto conformi a una pratica di mercato ammessa (articolo 13) istituita dall'autorità nazionale competente in conformità al regolamento delegato (UE) 2016/908 che integra il regolamento MAR.

Per contrastare il compimento degli abusi in precedenza descritti, oltre a disporne il divieto, vengono previsti una serie di strumenti in grado di prevenire e individuare in modo efficacie le condotte lesive dell'integrità dei mercati. Si fa riferimento, in particolare a:

§   gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette da parte dei gestori dei mercati e delle imprese di investimento (articolo 16);

§   gli obblighi di comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, prima possibile, da parte degli emittenti di prodotti finanziari rientranti nel perimetro della disciplina (articolo 17), con norme esplicitamente applicabili al caso in cui la comunicazione viene ritardata;

§   la redazione da parte degli stessi emittenti di elenchi delle persone aventi accesso a informazioni privilegiate (articolo 18);

§   gli obblighi di notifica all'autorità competente e all'emittente, con conseguente comunicazione al pubblico, delle operazioni effettuate da persone che esercitano funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione, nonché da persone a loro strettamente associate (articolo 19);

§   le regole volte a garantire la corretta e trasparente presentazione di raccomandazioni di investimento e statistiche (articolo 20);

§   le norme sulla prevenzione e individuazione di abusi di mercato mediante procedure di segnalazione alle autorità di vigilanza (articolo 32), comprese le procedure interne messe in atto dai datori di lavoro che svolgono attività regolamentate dalla normativa in materia di servizi finanziari affinché i propri dipendenti possano segnalare violazioni della disciplina sugli abusi di mercato (cd. whistleblowing).

Per garantire il rispetto delle disposizioni previste dal regolamento e, in ultima istanza, l'integrità dei mercati, ciascuno Stato membro è tenuto a identificare un'autorità competente dotata (almeno) dei poteri definiti dall' articolo 23, che devono essere esercitati in cooperazione con le autorità competenti degli altri Stati membri e con l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA).

 

Il regolamento europeo rafforza anche i poteri di controllo e indagine delle autorità nazionali, prevedendo, ad esempio, la possibilità di condurre ispezioni e indagini sul posto e richiedere il congelamento o il sequestro dei beni.

Tra i poteri di controllo e di indagine a disposizione delle autorità vi sono: il potere di accedere a documenti e di richiedere informazioni a chiunque; il potere di eseguire ispezioni o indagini in siti diversi dalle residenze private di persone fisiche; di entrare nei locali di persone fisiche o giuridiche a specifiche condizioni, per sequestrare documenti e dati sotto qualsiasi forma, quando esista un ragionevole sospetto che documenti o dati connessi all'oggetto dell'ispezione o dell'indagine possano avere rilevanza per provare un caso di abuso di informazioni privilegiate o di manipolazione del mercato in violazione del regolamento; di chiedere le registrazioni esistenti relative a conversazioni telefoniche, comunicazioni elettroniche e allo scambio di dati conservate da società di investimento, istituti di credito o istituti finanziari; di chiedere il congelamento o il sequestro di beni, o entrambi; di sospendere la negoziazione dello strumento finanziario interessato; di richiedere la cessazione temporanea di qualsiasi pratica che l'autorità competente reputi contraria al regolamento e di imporre un'interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività professionale.

Le autorità designate possono inoltre adottare tutte le misure necessarie a garantire che il pubblico sia correttamente informato, anche imponendo all'emittente o ad altri che abbiano pubblicato o diffuso informazioni false o fuorvianti di pubblicare una dichiarazione di rettifica.

 

Fra i poteri affidati alle autorità nazionali, vi è anche quello di adottare sanzioni e altre misure amministrative relative alle condotte abusive e alla violazione degli obblighi imposti dal regolamento (articoli 30 e 31).

È, inoltre, compito dei Paesi membri provvedere affinché le autorità competenti abbiano il potere di adottare le sanzioni amministrative e altre misure amministrative adeguate in relazione alle violazioni del regolamento (articolo 30), specificando le sanzioni amministrative pecuniarie massime, connesse alle condotte abusive descritte in precedenza, pari ad almeno 15 milioni di euro o al 15 per cento del fatturato annuale totale per le persone giuridiche (come le aziende), e a 5 milioni di euro per le persone fisiche.

Si precisa che gli Stati membri possono decidere di non stabilire norme relative alle sanzioni amministrative se le violazioni sono già soggette a sanzioni penali. In questo caso, gli Stati membri hanno l'obbligo di comunicare dettagliatamente alla Commissione e all'ESMA le pertinenti norme di diritto penale.

Tra i poteri sanzionatori che gli Stati membri devono conferire alle Autorità competenti, in specifici casi individuati dal regolamento, vi sono, oltre al potere di comminare le anticipate sanzioni amministrative pecuniarie, poteri di tipo interdittivo e inibitorio (revoca o sospensione dell'autorizzazione di una società di investimento; interdizione temporanea o permanente, nei confronti di chiunque eserciti responsabilità di direzione in una società di investimento o di qualsiasi altra persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall'esercizio di funzioni dirigenziali in società di investimento).

In virtù della diretta applicabilità delle norme contenute nel regolamento sugli abusi di mercato, la Consob, a seguito di un ampio processo di consultazione degli operatori del mercato, con la delibera n. 19925, ha adottato le modifiche dei regolamenti di attuazione del TUF concernenti la disciplina degli emittenti e dei mercati, nonché del regolamento in materia di operazioni con parti correlate, necessarie ai fini dell'attuazione del regolamento (UE) n. 596/2014 in materia di abusi di mercato.

Dall'adozione del regolamento sugli abusi di mercato, inoltre, la Commissione europea ha adottato un insieme di atti delegati che integrano o chiarificano ulteriormente determinati aspetti del regolamento. Essi riguardano, fra le altre cose, la disciplina di dettagli relativa a:

§  gli elenchi interni che gli emittenti di strumenti finanziari devono redigere (regolamento (UE) 2016/347);

§  la comunicazione di ordini o transazioni sospetti (regolamenti (UE) 2016/378 e 2016/957);

§  la presentazione di raccomandazioni di investimento (regolamento (UE) 2016/958) e sondaggi di mercato (regolamenti (UE) 2016/959 e 2016/960).

 

Accanto al regolamento sugli abusi di mercato, la direttiva 2014/57/UE (MAD II) relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato richiede che tutti i paesi dell'UE armonizzino le proprie leggi sui reati penali per gli abusi di mercato.

Con riferimento all'impianto sanzionatorio, che prevede un doppio binario penale e amministrativo per le condotte lesive dell'integrità dei mercati, si segnala che in tre recenti cause è stato chiesto alla Corte di giustizia europea di valutare la compatibilità di tale sistema in materia di illeciti finanziari con il diritto dell'Unione europea e, in particolare, con la direttiva sugli abusi di mercato (direttiva 2003/6/UE).

Secondo la Corte di giustizia, il cumulo di sanzioni penali e amministrative può essere previsto se strettamente necessario per il conseguimento dell'obiettivo consistente nel proteggere l'integrità dei mercati finanziari dell'Unione e la fiducia del pubblico negli strumenti finanziari. La normativa italiana in materia di abusi di mercato potrebbe pertanto essere contraria al diritto dell'Unione poiché eccederebbe quanto necessario per conseguire l'obiettivo di tutela dell'integrità del mercato.

Per un approfondimento sul tema si fa rinvio alla Nota su atti dell'Unione europea n. 2 su doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato e principio del ne bis in idem del Servizio studi e Servizio delle Commissioni del Senato.

 

 

D.Lgs. 24/02/1998, n. 58

Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria

Art. 182

Ambito di applicazione

1. I reati e gli illeciti previsti dal presente titolo sono puniti secondo la legge italiana anche se commessi all'estero, qualora attengano a strumenti finanziari ammessi o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, o a strumenti finanziari negoziati su un sistema organizzato di negoziazione italiano.

Soppresso

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, le disposizioni degli articoli 184, 185, 187-bis e 187-ter si applicano ai fatti concernenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altri Paesi dell'Unione europea.

2-bis. Le disposizioni degli articoli 184, 185, 187-bis e 187-ter si applicano anche alle condotte o alle operazioni, comprese le offerte, relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d'asta correlati, anche quando i prodotti oggetto d'asta non sono strumenti finanziari, ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Le disposizioni degli articoli 184, 185, 187-bis e 187-ter si applicano ai fatti concernenti:

a) strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;

b) strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano o di altro Paese dell'Unione europea;

c) strumenti finanziari negoziati su un sistema organizzato di negoziazione;

d) strumenti finanziari non contemplati dalle lettere a), b) e c), il cui prezzo o valore dipende dal prezzo o dal valore di uno strumento finanziario menzionato alle stesse lettere, ovvero ha un effetto su tale prezzo o valore, compresi, ma non in via esclusiva, i credit default swap e i contratti differenziali;

e) condotte od operazioni, comprese le offerte, relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d'asta correlati, anche quando i prodotti oggetto d'asta non sono strumenti finanziari, ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010 della Commissione, del 12 novembre 2010.

 

2. Le disposizioni degli articoli 185 e 187-bis si applicano altresì ai fatti concernenti:

a) i contratti a pronti su merci che non sono prodotti energetici all'ingrosso, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore degli strumenti finanziari di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a);

b) gli strumenti finanziari, compresi i contratti derivati o gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o

Art. 183

Esenzioni

1. Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano:

a) alle operazioni, agli ordini o alle condotte previsti dall'articolo 6 del regolamento (UE) n. 596/2014, dai soggetti ivi indicati, nell'ambito della politica monetaria, della politica dei cambi o nella gestione del debito pubblico, nonché nell'ambito delle attività della politica climatica dell'Unione o nell'ambito della politica agricola comune o della politica comune della pesca dell'Unione;

b) alle negoziazioni di azioni proprie effettuate ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (UE) n. 596/2014.

 

Art. 184

Abuso di informazioni privilegiate

1. E' punito con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:

a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;

b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio o di un sondaggio di mercato effettuato ai sensi dell'articolo 11 del regolamento (UE) n. 596/2014;

 

c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).

 

2. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo   in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Il giudice può aumentare           la multa

fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.

 

3-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a), numeri 2), 2-bis) e 2-ter), limitatamente agli strumenti finanziari il cui prezzo o valore dipende dal prezzo o dal valore di uno strumento finanziario di cui ai numeri 2) e 2-bis) ovvero ha un effetto su tale prezzo o valore, o relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni, la sanzione penale è quella dell'ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell'arresto fino a tre anni.

1. È punito con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:

a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;

b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio o di un sondaggio di mercato effettuato ai sensi dell'articolo 11 del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014;

c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).

 

2. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose, commette taluno dei fatti di cui al medesimo comma 1.

 

3. Fuori dei casi di concorso nei reati di cui ai commi 1 e 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a dieci anni e con la multa da euro ventimila a euro due milioni e cinquecentomila chiunque, essendo in possesso informazioni privilegiate per ragioni diverse da quelle indicate a commi 1 e 2 e conoscendo il carattere privilegiato di tali informazioni, commette taluno dei fatti di cui al comma 1.

 

4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, la pena della multa può essere aumentata fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.

 

5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando i fatti di cui ai commi 1, 2 e 3 riguardano condotte od operazioni, comprese le offerte, relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d'asta correlati, anche quando i prodotti oggetto d'asta non sono strumenti finanziari, ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010 della Commissione, del 12 novembre 2010.

Art. 185

Manipolazione del mercato

1. Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da due (1377) a dodici (1377) anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni.

1-bis. Non è punibile chi ha commesso il fatto per il tramite di ordini di compravendita o operazioni effettuate per motivi legittimi e in conformità a prassi di mercato ammesse, ai sensi dell'articolo 13 del regolamento (UE) n. 596/2014. (1379)

2. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.

2-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a), numeri 2), 2-bis) e 2-ter), limitatamente agli strumenti finanziari il cui prezzo o valore dipende dal prezzo o dal valore di uno strumento finanziario di cui ai numeri 2) e 2-bis) ovvero ha un effetto su tale prezzo o valore, o relative alle aste su una piattaforma d'asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni, la sanzione penale è quella dell'ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell'arresto fino a tre anni. (1378)

2-ter. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche:

a) ai fatti concernenti i contratti a pronti su merci che non sono prodotti energetici all'ingrosso, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore degli strumenti finanziari di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a);

b) ai fatti concernenti gli strumenti finanziari, compresi i contratti derivati o gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore di un contratto a pronti su merci, qualora il prezzo o il valore dipendano dal prezzo o dal valore di tali strumenti finanziari;

c) ai fatti concernenti gli indici di riferimento (benchmark).

 

Art. 186

Pene accessorie

1. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente capo importa l'applicazione delle pene accessorie previste dagli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codice penale per una durata non inferiore a sei mesi e non superiore a due anni, nonché la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani, di cui uno economico, a diffusione nazionale.

 

Art. 187

Confisca

1. In caso di condanna per uno dei reati previsti dal presente capo è disposta la confisca del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo.

2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente.

3. Per quanto non stabilito nei commi 1 e 2 si applicano le disposizioni dell'articolo 240 del codice penale.

1. In caso di condanna per uno dei reati previsti dal presente capo è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto.

 

 

 


 

Articolo 24
(Disposizioni relative alla vendita di medicinali veterinari per via telematica. Attuazione della direttiva 2004/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che modifica la direttiva 2001/82/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari)

 

L’articolo 24 prevede alcune modifiche agli articoli 92 e 108 del decreto legislativo 6 aprile 2006, n. 193, di attuazione della normativa comunitaria riguardante i medicinali veterinari, allo scopo di individuare il Ministero della salute quale principale autorità titolare delle funzioni di vigilanza e sanzione per il contrasto delle pratiche illegali di vendita di tali medicinali per via telematica.

 

Le modifiche apportate alla disciplina di attuazione della direttiva 2004/28/CE (Codice comunitario dei medicinali veterinari) è illustrata nei seguenti paragrafi.

Autorità competenti alla vigilanza della vendita per via telematica dei medicinali veterinari (nuovi commi da 5-bis a 5-quinquies, articolo 92 del Codice comunitario dei medicinali veterinari)

 

All’articolo 92 del sopra citato Codice comunitario dei medicinali veterinari sono aggiunti i commi da 5-bis a 5-quinquies volti a disciplinare alcuni aspetti della vendita di tali medicinali per via telematica. In particolare:

-         il comma 5-bis attiene alle procedure di vigilanza e pertanto, al fine di garantire la sicurezza dei medicinali veterinari offerti a distanza al pubblico mediante i servizi della società dell’informazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 70/2003, viene riconosciuto il Ministero della salute quale autorità a cui compete l’emanazione di disposizioni per impedire l’accesso agli indirizzi internet corrispondenti ai siti web individuati come promotori di pratiche illegali da parte degli utenti, mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano;

-         il comma 5-ter dispone che il  Ministero della salute è chiamato a convocare periodicamente la Conferenza dei servizi di cui all’articolo 14, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l’esame dei casi segnalati o riscontrati nella sorveglianza svolta d’intesa con il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.), finalizzata all’identificazione delle violazioni della disciplina sulla vendita a distanza al pubblico mediante i servizi della società dell’informazione dei medicinali veterinari. A tale Conferenza dei servizi partecipano come amministrazioni interessate il Ministero dello sviluppo economico e il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.) e, come osservatori, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (quest’ultima aggiunta durante l’esame in sede referente, in analogia a quanto previsto per la vendita di prodotti cosmetici e biocidi, rispettivamente agli articoli 25 e 26 del presente provvedimento).

-         il comma 5-quater prevede che il Ministero della salute disponga, anche a seguito dell’istruttoria della Conferenza dei servizi di cui al precedente comma 5-ter, con provvedimento in via d’urgenza, la cessazione di pratiche commerciali consistenti nell’offerta di medicinali veterinari attraverso i mezzi della società dell’informazione non conformi ai requisiti previsti dal presente decreto.

-         infine, il comma 5-quinquies dispone che i provvedimenti di cui ai commi 5-bis e 5-quater siano attuati dal Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.).

Sanzioni amministrative relative a pratiche illegali di vendita per via telematica di medicinali veterinari (nuovo comma 18-bis, articolo 108 del Codice comunitario dei medicinali veterinari)

-          

All’articolo 108 del citato Codice comunitario dei medicinali veterinari relativo all’apparato sanzionatorio è inserito il comma 18-bis che prevede, in caso di mancata ottemperanza ai provvedimenti di cui ai sopra illustrati commi 5-bis e 5-quater dell’articolo 92 del medesimo Codice, entro il termine indicato dagli stessi provvedimenti, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria che varia da euro 10.329 a euro 61.974.

 

 

Attuazione della direttiva 2004/28/CE – Codice comunitario medicinali veterinari

 

L’articolo in esame rientra, insieme ai successivi articoli 23 e 24, nell’ambito del Capo V che reca disposizioni in materia di sanità.

Con l’articolo 22 il disegno di legge europea intende garantire la corretta attuazione di una direttiva già recepita nell’ordinamento nazionale, segnatamente per quanto attiene la materia di controlli sui medicinali veterinari, al fine di costituire un’efficace attività di contrasto al fenomeno della vendita online (“medicinali veterinari offerti a distanza al pubblico mediante i servizi della società dell’informazione”) di prodotti non conformi alla normativa nazionale ed europea e contribuire in tal modo a tutelare la salute animale, la sicurezza degli alimenti di origine animale e la sicurezza per l'ambiente.

Si tratta della direttiva 2004/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che modifica la direttiva 2001/82/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari.

Le disposizioni introdotte ricalcano quelle già previste dall’articolo 142-quinquies, commi da 3 a 6, del D.Lgs. n. 219/2006, in materia di farmaci ad uso umano, che prevede, allo scopo di garantire la sicurezza dei medicinali offerti online, l’istituzione di una Conferenza dei servizi a cui partecipano, tra le amministrazioni interessate, il Ministero della salute, il Ministero dello sviluppo economico e il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.) e, come osservatori, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato e il Consiglio nazionale delle ricerche.

La procedura di vigilanza è definita in base alle norme degli articoli 14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3, del D.Lgs. n. 70 del 2003 che disciplina il commercio elettronico il quale prevede che l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza (in questo caso il Ministero della salute) può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore di servizi, nell'esercizio delle attività, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse, con particolare riferimento alla responsabilità di semplice trasmissione o fornitura di accesso alle informazioni, cd. mere conduit (articolo 14, comma 3) ovvero responsabilità nell'attività di memorizzazione temporanea, cd. caching (articolo 15, comma 2) o responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni, cd. hosting (articolo 16, comma 3).

 


 

Articolo 25
(Disposizioni relative alla vendita di prodotti cosmetici per via telematica. Attuazione del regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici)

 

L’articolo 25 dispone alcune modifiche agli articoli 13 e 18 del D.Lgs. n. 204 del 2015, riguardante la disciplina sanzionatoria per la violazione del regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici, allo scopo di individuare le autorità preposte alla vigilanza dei requisiti di tali prodotti idonei alla vendita per via telematica.

 

Di seguito sono illustrate puntualmente le modifiche apportate al decreto legislativo riguardante la disciplina sanzionatoria per la violazione della norme comunitarie sui prodotti cosmetici, finalizzate a dare più completa attuazione al regolamento comunitario (CE) 1223/2009 recante tale disciplina.

Compiti di vigilanza del Ministero della salute sulla vendita on line di prodotti cosmetici (nuovi commi da 2-bis a 2-quinquies, articolo 13, D.Lgs. n. 204 del 4 dicembre 2015)

All’articolo 13, rubricato “Violazione degli obblighi derivanti dagli articoli 19 e 20 in materia di etichettatura e dichiarazioni relative al prodotto”, sono aggiunti i seguenti commi:

-         il comma 2-bis individua nel Ministero della salute l’autorità cui compete l’emanazione di disposizioni per impedire l'accesso agli indirizzi internet corrispondenti ai siti web individuati come promotori di pratiche illegali ai sensi del sopra richiamato regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 sui prodotti cosmetici, per mezzo di richieste di connessione, da parte degli utenti, alla rete internet provenienti dal territorio italiano;

-       il comma 2-ter attribuisce al Ministero della salute la funzione di indire periodicamente una Conferenza dei servizi istruttoria per esaminare i casi segnalati o riscontrati nella sorveglianza effettuata d’intesa dal Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S);

-       il comma 2-quater attribuisce al Ministero della salute la competenza a far cessare, con provvedimento motivato, in via d'urgenza, le pratiche commerciali consistenti nell’offerta di prodotti cosmetici attraverso i mezzi della società dell'informazione non conformi ai requisiti previsti dal citato regolamento (CE) n. 1223/2009;

-       il comma 2-quinquies prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 20.000 a 250.000 euro, in caso di mancata ottemperanza ai provvedimenti di cui ai commi 2-bis e 2-quater.

 

Sanzioni amministrative per pratiche illegali relative alla vendita per via telematica di prodotti cosmetici (nuovi commi da 1-bis e 1-ter, articolo 18, D.Lgs. n. 204/2015)

 

All’articolo 18, rubricato “Applicazione sanzioni amministrative”, sono aggiunti i seguenti commi:

-         il comma 1-bis dispone che, ove dall’analisi di campioni risulti un illecito amministrativo, si applicano le disposizioni dell’articolo 15, della legge di depenalizzazione n. 689 del 1981, indicando l’Istituto superiore di sanità – ISS quale autorità competente ad effettuare le analisi di revisione.

Tale norma consente la revisione delle analisi da parte dell’Istituto superiore di sanità. La relazione illustrativa, peraltro, chiarisce che tale disposizione è conforme all’articolo 22 del regolamento 1223/2009 in esame, secondo il quale la sorveglianza del mercato deve avvenire, ove necessario, anche mediante test fisici e di laboratorio sulla base di campioni adeguati. I campionamenti e le analisi devono essere condotti in maniera affidabile e riproducibile. La riproducibilità, in particolare, costituisce una garanzia in caso di contestazioni legate ad esiti di analisi non conformi; in tal caso il regolamento intende consentire all’operatore che riceve la contestazione di poter effettuare analisi autonome e formulare le proprie controdeduzioni, coerentemente peraltro con quanto previsto dall’articolo 28, par. 2, del citato Regolamento che stabilisce la possibilità di un parere di parte, preventivamente all’adozione di qualsiasi decisione da parte dell’Autorità di vigilanza competente. In tale sistema di analisi e controanalisi, pertanto, la revisione è affidata ad un terzo valutatore imparziale, individuato nell’ISS. L’Istituto è chiamato a provvedere, nel caso di analisi e controanalisi discordanti, ad una terza analisi di revisione, allo scopo di garantire una uniformità di giudizio e di trattamento degli operatori, come già avveniva fino al 2013 con la direttiva 76/768/CEE, per l’armonizzazione delle legislazioni nazionali riguardanti la composizione, l'etichettatura e l'imballaggio dei prodotti cosmetici.

-         il comma 1-ter è diretto a specificare che il pagamento delle sanzioni in misura ridotta entro il termine di 60 giorni dalla contestazione immediata deve essere ricevuto dall'organo regionale territorialmente competente, come previsto dall’articolo 16 della citata legge di depenalizzazione n. 689/1981.

 

 

 

Attuazione del regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici

 

L’articolo 23 in esame è diretto a dare attuazione ad uno dei 12 regolamenti previsti dal presente disegno di legge europea, relativo alla disciplina di vigilanza e sanzionatoria delle pratiche illegali di vendita online di prodotti cosmetici non conformi alla normativa nazionale e comunitaria.

Gli Stati Membri sono chiamati ad una più efficace attività di contrasto del fenomeno, sempre più diffuso, di prodotti cosmetici contraffatti, adempiendo all’obbligo di appositi controlli all’interno del mercato dei prodotti cosmetici, come previsto dall’articolo 22 del regolamento (CE) 1223/2009, mediante l’applicazione di altre misure comunitarie quali il regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativo all'intervento dell'autorità doganale per l’applicazione di specifiche misure nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di proprietà intellettuale e la direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

Si sottolinea che le disposizioni introdotte ricalcano quelle già previste dall’articolo 142-quinquies, commi da 3 a 6, del decreto legislativo n. 219/2006, in materia di farmaci ad uso umano, che prevede, allo scopo di garantire la sicurezza dei medicinali offerti online, l’istituzione di una Conferenza dei servizi a cui partecipano, come amministrazioni interessate, il Ministero della salute, il Ministero dello sviluppo economico e il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.) e, come osservatori, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato e il Consiglio nazionale delle ricerche. Con particolare riferimento a quanto previsto dal comma 4 del citato articolo 142-quinquies, il Ministero della salute è individuato quale autorità competente ad emanare disposizioni per impedire l'accesso agli indirizzi internet corrispondenti ai siti web indicati come promotori di pratiche illegali ai sensi del presente decreto da parte degli utenti mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano.

Le competenze relative alla vigilanza sono specificamente individuate in base agli articoli 14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3, del D.Lgs. n. 70 del 2003 che disciplina il commercio elettronico prevedendo che l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza (in questo caso il Ministero della salute) può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore di servizi, nell'esercizio delle attività, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse, con particolare riferimento alla responsabilità di semplice trasmissione o fornitura di accesso alle informazioni, cd. mere conduit (articolo 14, comma 3) ovvero responsabilità nell'attività di memorizzazione temporanea, cd. caching (articolo 15, comma 2) o responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni, cd. hosting (articolo 16, comma 3).


 

Articolo 26
(Disposizioni relative alla vendita di biocidi per via telematica. Attuazione del regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi)

 

L’articolo 26 apporta alcune modifiche all’articolo 15, della legge europea 2013, al fine di individuare il Ministero della salute come principale autorità di vigilanza per i controlli riguardanti la vendita per via telematica di prodotti biocidi.

 

Di seguito sono illustrate le modifiche apportate all’articolo 15 della legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 97) rubricato “Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, in materia di biocidi” per garantire la completa attuazione del regolamento (UE) n. 528/2012 sui prodotti biocidi. In estrema sintesi, i biocidi rappresentano principi attivi diretti ad eliminare o rendere innocui organismi nocivi.

Compiti di vigilanza del Ministero della salute sulla vendita on line di prodotti biocidi (nuovi commi da 2-bis a 2-sexies, articolo 15 della legge europea 2013)

Alla legge europea 2013 sono aggiunti i commi da 2-bis a 2-sexies, finalizzati ad attribuire al Ministero della salute specifici compiti di vigilanza sul commercio elettronico di prodotti biocidi, inteso ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70 quale attività economica di vendita online.

Quest’ultimo decreto - si ricorda - ha dato attuazione alla direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno riferiti al commercio elettronico.

In particolare:

-         il comma 2-bis individua nel Ministero della salute l’autorità cui compete l’emanazione delle disposizioni volte ad impedire l'accesso agli indirizzi internet corrispondenti ai siti web individuati come promotori di pratiche illegali ai sensi del citato regolamento (UE) n. 528/2012, da parte degli utenti mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano;

Ai sensi del richiamato regolamento comunitario, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) è il soggetto preposto a stabilire le norme riguardanti l'approvazione dei principi attivi presenti nei biocidi,   l'autorizzazione della fornitura e dell'uso di tali prodotti, oltre che la fornitura di articoli trattati con biocidi. In particolare, un biocida non può essere immesso sul mercato o utilizzato, se non contiene principi attivi approvati e se non è stato autorizzato, anche con riferimento alla procedura sul riconoscimento reciproco delle autorizzazioni e sul commercio parallelo (articolo 53 e ss. del citato regolamento sui biocidi).

-         il comma 2-ter attribuisce al Ministero della salute la funzione di indire periodicamente una Conferenza dei servizi istruttoria per esaminare i casi segnalati o riscontrati nella sorveglianza effettuata d’intesa con il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.). L’istruttoria è finalizzata all'identificazione delle violazioni alla disciplina sulla vendita per via telematica dei biocidi. Partecipano alla Conferenza, come amministrazioni interessate, il Ministero dello sviluppo economico e il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.) oltre che, in qualità di osservatori, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

-         il comma 2-quater attribuisce al Ministero della salute la competenza a far cessare, con provvedimento motivato, in via d'urgenza, le pratiche commerciali consistenti nell’offerta di biocidi attraverso i mezzi della società dell'informazione (vendita per via telematica) non conformi ai requisiti inerenti l’autorizzazione al commercio previsti dal regolamento (UE) n. 528/2012 da parte dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (v. ante);

-         viene stabilito che l’esecuzione dei provvedimenti di cui ai commi 2-bis e 2-quater spetta al citato Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (comma 2-quinquies);

-         si prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 20.000 a 250.000 euro in caso di mancata ottemperanza ai provvedimenti del Ministero della salute di cui ai commi 2-bis e 2-quater, entro il termine da questi stessi indicato (comma 2-sexies).

 

Attuazione del regolamento 528/2012 sulla messa a disposizione sul mercato ed uso dei biocidi

 

L’articolo 24 è diretto a dare attuazione, al pari del precedente articolo 23 in materia di cosmetici, ad uno dei 12 regolamenti previsti dal presente disegno di legge europea, specificamente al fine di contrastare lo svilupparsi di pratiche di commercio elettronico (vendita online) di prodotti non conformi alla normativa nazionale e comunitaria del settore dei biocidi, in virtù degli obblighi di controllo all’interno del mercato previsti dall’articolo 65 del suddetto regolamento (UE) n. 528/2012.

Quest’ultimo articolo prevede che gli Stati membri adottino le disposizioni necessarie per il monitoraggio dei biocidi e degli articoli trattati immessi sul mercato al fine di accertarne la rispondenza ai requisiti del citato regolamento, oltre che i provvedimenti necessari affinché siano effettuati controlli ufficiali ai fini dell'osservanza dello stesso regolamento. Allo scopo, il citato articolo 65 richiama, per gli tutti gli effetti relativi all’applicazione delle norme da esso discendenti, il regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti.

Si sottolinea che le disposizioni introdotte ricalcano quelle già previste dall’articolo 142-quinquies, commi da 3 a 6, del decreto legislativo n. 219/2006, in materia di farmaci ad uso umano, che prevede, allo scopo di garantire la sicurezza dei medicinali offerti online, l’istituzione di una Conferenza dei servizi a cui partecipano, come amministrazioni interessate, il Ministero della salute, il Ministero dello sviluppo economico e il Comando dei Carabinieri per la tutela della salute (N.A.S.) e, come osservatori, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato e il Consiglio nazionale delle ricerche. Con particolare riferimento a quanto previsto dal comma 4 del citato articolo 142-quinquies, il Ministero della salute è individuato quale autorità competente ad emanare disposizioni per impedire l'accesso agli indirizzi internet corrispondenti ai siti web indicati come promotori di pratiche illegali ai sensi del presente decreto da parte degli utenti mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano.

Le competenze relative alla vigilanza sono specificamente individuate in base agli articoli 14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3, del D.Lgs. n. 70 del 2003 che disciplina il commercio elettronico prevedendo che l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza (in questo caso il Ministero della salute) può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore di servizi, nell'esercizio delle attività, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse, con particolare riferimento alla responsabilità di semplice trasmissione o fornitura di accesso alle informazioni, cd. mere conduit (articolo 14, comma 3) ovvero responsabilità nell'attività di memorizzazione temporanea, cd. caching (articolo 15, comma 2) o responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni, cd. hosting (articolo 16, comma 3).


 

Articolo 27
(
Disposizioni sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Procedura di infrazione n. 2016/2013)

 

L’articolo 27 proroga (dal 1° gennaio 2022) al 30 giugno 2022 la sospensione di alcuni divieti relativi a procedure di sperimentazione sugli animali a fini scientifici.

 

La disposizione, mediante una modifica testuale all’articolo 42 del Decreto legislativo n. 26/2014[25], differisce dal 1° gennaio 2022 al 30 giugno 2022 la sospensione dell’applicazione di alcuni divieti e condizioni in materia di procedure di sperimentazione sugli animali a fini scientifici, con particolare riferimento all’autorizzazione di procedure relative a xenotrapianti  (costituiti  dai  trapianti  di  uno  o  più organi  effettuati  tra  animali  di  specie  diverse) e alle ricerche sulle sostanze d'abuso (per testare possibili effetti di sostanze quali alcol, droghe e tabacco)[26] e alla condizione secondo la quale un animale già usato in una o più procedure possa essere impiegato in altre procedure solo qualora queste ultime siano classificate come "lievi" o "non risveglio"[27]. Tale divieto è contenuto nel D.Lgs. 26, peraltro finalizzato a recepire la direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici.

Si segnala che tale termine era stato già recentemente oggetto di una proroga dal 1° gennaio 2021 al 1° gennaio 2022 ai sensi dell’articolo 4, comma 5, del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183 (cd. Proroga termini, L. n. 21/2021).

 

Il percorso di recepimento della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici è stato avviato dall'articolo 14 della legge Comunitaria 2011, il cui contenuto è stato successivamente trasfuso nell'articolo 13, comma 1, lett. c) ed f) della legge di delegazione europea 2013 (legge 96/2013)[28], che ha stabilito i criteri di delega da rispettare nella trasposizione della direttiva nel nostro ordinamento (v. box). Con il decreto legislativo n. 26 del 2014 sono state sia recepite le norme della direttiva, sia introdotte disposizioni discrezionali più restrittive di regolazione della materia rispetto a quelle europee[29]. L’applicazione di tali disposizioni discrezionali è stata comunque di volta in volta differita nel tempo, già inizialmente di un triennio, e pertanto i divieti avrebbero dovuto essere osservati a far data dal 1° gennaio 2017.

Sono poi intervenuti successivi differimenti mediante novelle testuali al comma 1 dell’articolo 42 del richiamato D. Lgs. n. 26/2014, specificamente mediante i seguenti decreti-legge di proroga termini:

§  articolo 7, comma 3, del D.L. 30 dicembre 2016, n. 244 (L. n. 19/2017) che ha prorogato il termine di applicazione delle procedure dal 1° gennaio 2017 al 1° gennaio 2020;

§  articolo 5, comma 3, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162 (L. n. 8/2020) che ha prorogato il medesimo termine dal 1° gennaio 2020 al 1° gennaio 2021.

§  da ultimo, come sopra accennato, l’articolo 4, comma 5, del D.L. n. 183/2020 che ha disposto la proroga fino al 1° gennaio 2022.

Ulteriori differenze di recepimento hanno riguardato il fatto che il decreto ha disposto, entro il mese di giugno 2016, un monitoraggio da parte del Ministero della salute, avvalendosi dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia-Romagna, reparto substrati cellulari ed immunologia cellulare, per valutare l'effettiva disponibilità dei metodi alternativi durante il periodo di sospensione del divieto e consentire alle attività interessate opportuni tempi di adeguamento all'esito del monitoraggio.

Pertanto, le sollecitazioni alle successive proroghe sono derivate in special modo dalle segnalazioni degli enti scientifici contrari all'interruzione della ricerca in tali settori. La relazione illustrativa sottolinea in particolare che la piattaforma Research4Life che rappresenta i maggiori enti di ricerca nazionale (tra cui l'istituto Mario Negri, l’Istituto europeo oncologico e la Società italiana di neuroscienze) ha ribadito al Ministero della salute la necessità dell’intervento regolatorio per non impedire le ricerche soprattutto nel settore delle sostanze di abuso, peraltro pienamente consentite negli altri Stati membri Ue ed extra-Ue, al fine di non pregiudicare la possibilità per i ricercatori italiani di accedere a bandi e finanziamenti europei pluriennali. L'ulteriore proroga consentirebbe pertanto ai soggetti interessati di sviluppare un approccio alternativo idoneo agli attuali livelli di sperimentazione, oltre a rispondere adeguatamente alla procedura di infrazione avviata nei confronti dell'Italia per il non corretto recepimento della richiamata direttiva 2010/63/UE.

Con riferimento alle norme finanziarie relative agli approcci alternativi il Ministro della salute ha inviato alle Camere una  relazione  sullo  stato delle procedure  di  sperimentazione  sugli  animali  autorizzate per le ricerche sulle sostanze d'abuso, anche rispetto alle possibilità di adozione dei suddetti approcci alternativi e sostitutivi della sperimentazione animale[30].

Sul tema oggetto della disposizione in commento la citata relazione interviene sottolineando che “attualmente, pensare di sostituire in toto il modello animale con quello non animale, perché il primo ha un limitato valore traslazionale, sarebbe non solo utopistico, ma, al momento, anche non scientificamente valido" e precisa nelle conclusioni che "qualora il divieto fosse mantenuto, oltre a dover rispondere all'Ue per l'inevitabile prosieguo della procedura di infrazione, assisteremo a una limitazione sul territorio italiano dello studio e della ricerca, riconosciuti in tutto il territorio UE".    

 

Il recepimento della direttiva europea sulla protezione degli animali da laboratorio (direttiva 2010/63/UE) ha suscitato un amplissimo e acceso dibattito nell'opinione pubblica, all'interno della comunità scientifica e in seno alle Commissioni parlamentari, chiamate ad esprimere un parere sul testo proposto dal Governo.

Il 4 dicembre 2013 il Governo ha trasmesso alle Camere lo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (Atto del Governo n. 50). L'intervento regolatorio, come la stessa direttiva, ha inteso garantire un più alto livello di tutela grazie alla fissazione di requisiti e condizioni puntuali per lo svolgimento delle attività di allevamento, fornitura e utilizzazione degli animali, con l'ottica di ridurne progressivamente l'utilizzo fino ad arrivare alla completa sostituzione degli animali con pratiche e metodi alternativi[31]. Sono state registrate prese di posizione contrastanti, sia a livello politico che istituzionale, che hanno inizialmente rallentato il processo di recepimento della direttiva, fissato al 1° gennaio 2013, con il conseguente avvio di una procedura di infrazione (n. 2016/2013) da parte della Commissione UE nei confronti dell'Italia per recepimento in difformità della predetta direttiva e violazione del diritto dell'Unione, a causa di condizioni eccessivamente restrittive delle sperimentazioni stesse rispetto a quelle esistenti in altri Stati membri. L'articolo 2 della direttiva 2010/63/UE, infatti, non consente di introdurre nella disciplina nazionale misure più rigorose di quelle previste dalla stessa direttiva.

Il 24 gennaio 2014 il Comitato Nazionale di Bioetica ha fornito il proprio contributo al dibattito sulla sperimentazione animale. Il Comitato, raccomandando il recepimento della richiamata direttiva europea, ha sottolineato alcuni aspetti bioeticamente discutibili della normativa italiana proposta (divieto di xenotrapianti, sperimentazione di sostanze d'abuso, allevamento di cani, gatti e primati), auspicando la semplificazione dell'assetto regolatorio nazionale e sollecitando la creatività dei ricercatori finalizzata anche ad attenuare l'impatto delle sperimentazioni sugli esseri senzienti. Tali osservazioni sono state in parte riprese dalle Commissioni competenti nei loro pareri[32].

In proposito, come sottolineato dal rappresentante del Governo nella seduta del 5 febbraio 2014 presso la Commissione XII della Camera, lo schema di decreto ha cercato di raggiungere il punto di equilibrio e di mediazione necessario fra posizioni tra loro molto distanti.

Si segnala che la procedura d'infrazione risulta ancora aperta ed in fase di parere motivato, inviato dalla Commissione il 15/2/2017 con una nota che sottolinea l'invito all'Italia a conformare pienamente la sua legislazione per garantire "che il livello di benessere degli animali resti elevato pur salvaguardando il corretto funzionamento del mercato interno". In sostanza, si è preso atto che l'Italia ha recepito la direttiva nel marzo 2014, ma si invita a risolvere le non conformità già rilevate.

 

 

 


 

 

Articolo 28
(Designazione delle autorità competente per l’esecuzione del regolamento (UE) 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 relativo alla portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno)

 

L’articolo 28 individua nell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni l’autorità competente, responsabile dell'applicazione delle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori, con riferimento all’esecuzione del regolamento (UE) 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo alla portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno, precisando i poteri d’indagine ed esecuzione attribuiti all’Autorità.

 

A questo scopo l’articolo 28 aggiunge un nuovo comma 7-bis all’articolo 1 della legge n. 249 del 1997.

La disposizione in particolare adempie all’obbligo degli Stati membri di designare l’autorità competente ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, relativamente all’esecuzione del regolamento (UE) 2017/1128.

 

L’articolo 5 del regolamento (UE) 2017/2394 prevede infatti che ciascuno Stato membro designi una o più autorità competenti e l'ufficio unico di collegamento responsabili dell'applicazione del regolamento. Le autorità competenti sono designate dai loro Stati membri come responsabili dell'esecuzione delle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori. Tali norme, secondo la definizione fornita all’articolo 3, paragrafo l, punto l) del medesimo regolamento, sono a loro volta identificate nei regolamenti e nelle direttive “recepite nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri, elencati nell'allegato”, tra cui rientra anche (punto 26) il regolamento (UE) n. 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo alla portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno. Il termine da cui decorre l’applicazione del Regolamento è stabilito dall’articolo 42, che indica la data del 17 gennaio 2020.

 

 

La disposizione precisa poi che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni:

·        svolge le relative funzioni, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo l, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394;

 

L’articolo 3, paragrafo 1, n. 6 del regolamento (UE) 2017/2394 contiene la definizione di “autorità competente” ossia “qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale e designata da uno Stato membro come responsabile dell'applicazione delle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori”;

 

·        è titolare con i poteri di indagine ed esecuzione di cui all’articolo 9;

 

Ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (UE) 2017/2394, quanto ai poteri di indagine le autorità competenti dispongono almeno del potere di accesso ai documenti, ai dati o alle informazioni pertinenti relativi a un'infrazione (comma 3, lettera a), il potere di esigere che qualsiasi autorità pubblica, organismo o agenzia del loro Stato membro o qualsiasi persona fisica o giuridica fornisca informazioni, dati o documenti pertinenti al fine di stabilire se si è verificata o si sta verificando un'infrazione e al fine di accertare le caratteristiche di tale infrazione, compreso tracciare i flussi finanziari e dei dati, accertare l'identità delle persone coinvolte in tali flussi, e accertare le informazioni sui conti bancari e la titolarità dei siti web (comma 3, lettera b); il potere di effettuare le necessarie ispezioni in loco, anche accedendo a locali, terreni o mezzi di trasporto utilizzati dall'operatore interessato dall'indagine o di chiedere ad altre autorità pubbliche di effettuarle nonché il potere di sequestrare le informazioni, i dati o i documenti per il periodo necessario e nella misura adeguata all'espletamento dell'ispezione ed il potere di chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale dell'operatore interessato dall'indagine di fornire spiegazioni dei fatti, informazioni, dati o documenti relativi all'oggetto dell'indagine e registrarne le risposte (comma 3, lettera c); il potere di acquistare beni o servizi effettuando acquisti campione, ove necessario in forma anonima, al fine di individuare infrazioni di cui al presente regolamento e raccogliere prove, compreso il potere di ispezionare, osservare, esaminare, smontare o testare beni o servizi (comma 3, lettera d).

Con riferimento ai poteri di esecuzione le autorità competenti sono titolari dei seguenti poteri: a) adottare misure provvisorie volte a evitare il rischio di danno grave degli interessi collettivi dei consumatori; b) cercare di ottenere o di accettare impegni da parte dell'operatore responsabile dell'infrazione a porre fine all'infrazione stessa; c) ricevere impegni riparatori aggiuntivi da parte dell'operatore, su iniziativa di quest'ultimo, a beneficio dei consumatori interessati dalla presunta infrazione o, se del caso, cercare di ottenere che l'operatore si impegni a offrire ai consumatori interessati da tale infrazione rimedi adeguati; d) ove applicabile, informare, con mezzi appropriati, i consumatori che dichiarano di aver subito un danno a seguito di un'infrazione su come chiedere una compensazione conformemente al diritto nazionale; e) obbligare per iscritto l'operatore a cessare le infrazioni; f) far cessare o vietare le infrazioni; g) rimuovere i contenuti o limitare l'accesso all'interfaccia online o imporre la visualizzazione esplicita di un'avvertenza rivolta ai consumatori quando accedono all'interfaccia online; imporre ai prestatori di servizi di hosting di rimuovere, disabilitare o limitare l'accesso a un'interfaccia online o, ove opportuno imporre ai registri o alle autorità di registrazione del dominio di rimuovere un nome di dominio completo e consentire all'autorità competente interessata di registrarlo,

Tali ultimi poteri sono esercitati anche chiedendo a terzi o ad altre autorità pubbliche di attuare le misure sopra indicate e laddove non siano disponibili altri mezzi efficaci per far cessare o vietare l'infrazione e al fine di evitare il rischio di danno grave agli interessi collettivi dei consumatori.

Spetta infine all’Autorità il potere di irrogare sanzioni, come ammende o penalità di mora, per infrazioni e per il mancato rispetto di decisioni, ordinanze, misure provvisorie, impegni dell'operatore o altre misure adottate.

 

·        I poteri sopra descritti sono esercitati conformemente all’articolo 10 del medesimo regolamento;

 

L’articolo 10 del regolamento (UE) 2017/2394 prevede che i poteri di cui all’articolo 9 siano esercitati: direttamente dalle autorità competenti sotto la propria autorità; se del caso, con il ricorso ad altre autorità competenti o ad altre autorità pubbliche; incaricando gli organi designati, ove applicabile, o mediante richiesta agli organi giurisdizionali cui compete la pronuncia della decisione necessaria, eventualmente anche presentando appello qualora la richiesta di pronuncia fosse respinta. L'attuazione e l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 9 è proporzionata e conforme al diritto dell'Unione e al diritto nazionale, comprese le garanzie procedurali applicabili e i principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Le misure di indagine e di esecuzione adottate sono proporzionate alla natura e al danno complessivo, effettivo o potenziale, dell'infrazione delle norme dell'Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori.

 

·        esercita inoltre i poteri previsti dalla presente legge e dall’articolo 2, comma 20, della legge 14 novembre 1995, n. 481.

 

L’articolo 2, comma 20, della legge n. 481 del 1995 stabilisce che, per lo svolgimento delle proprie funzioni, ciascuna Autorità: richiede, ai soggetti esercenti il servizio, informazioni e documenti sulle loro attività; effettua controlli in ordine al rispetto degli atti di convenzioni ed eventuali contratti di programma stipulati tra l'amministrazione concedente e il soggetto esercente il servizio, in caso di concessioni e dei regolamenti di servizio; irroga, salvo che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio, alle richieste di informazioni o a quelle connesse all'effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 2.500 e non superiori nel massimo a lire 300 miliardi; in caso di reiterazione delle violazioni ha la facoltà, qualora ciò non comprometta la fruibilità del servizio da parte degli utenti, di sospendere l'attività di impresa fino a 6 mesi ovvero proporre al Ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione; ordina al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo l'obbligo di corrispondere un indennizzo; può adottare, nell'ambito della procedura di conciliazione o di arbitrato, provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell'erogazione del servizio ovvero a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento da parte del soggetto esercente il servizio.

 

La finalità di tali poteri e funzioni assegnate all’Autorità è quella di assicurare l’esecuzione del regolamento (UE) 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo alla portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online nel mercato interno.

 

Il regolamento (UE) 2017/1128 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017 garantisce il diritto degli abbonati a servizi di contenuti online portabili, prestati legittimamente nel loro Stato membro di residenza, ad accedere e a fruire di tali servizi e possano allorché si trovino temporaneamente presenti in uno Stato membro diverso dal loro Stato membro di residenza (art. 1), con le stesse modalità del servizio offerto nello Stato membro di residenza, anche assicurando l'accesso agli stessi contenuti su dispositivi identici per numero e categoria, per lo stesso numero di utenti e con la medesima gamma di funzionalità, senza imporre oneri aggiuntivi (art. 2). Il regolamento disciplina anche gli aspetti relativi alla qualità del servizio portabile (art. 3), la localizzazione del servizio (articolo 4), gli strumenti attraverso i quali il fornitore, alla conclusione o in fase di rinnovo del contratto, può verificare lo Stato membro di residenza effettiva dell'abbonato (articolo 5), la portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online prestati senza esigere il pagamento di un corrispettivo in denaro (articolo 6), il divieto di diposizioni contrattuali in contrasto con i principi contenuti nel regolamento incluse quelle che vietano la portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online o limitano tale portabilità a un periodo di tempo specifico (articolo 7) le modalità di protezione dei dati personali (articolo 8) e l’applicazione delle disposizioni ai contratti in corso alla data di entrata in vigore del regolamento (articolo 9).

 

 


 

Articolo 29
(Designazione delle autorità competenti per l’esecuzione del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e che abroga il regolamento CE n. 2006/2004 e loro poteri minimi)

 

L'articolo 29 novella alcuni articoli del Codice del consumo per tener conto dell'entrata in vigore del Regolamento (UE) 2017/2394 sulla cooperazione tra le autorità nazionali per l’esecuzione della normativa che tutela i consumatori. A tal fine, diverse disposizione dell'atto normativo citato sono modificate onde inserirvi il riferimento aggiornato alla nuova disciplina unionale. Si prevede in particolare che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è designata quale autorità competente responsabile dell’applicazione della direttiva europea concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

Si prevede altresì che il MISE e le altre autorità competenti - individuate secondo le pertinenti disposizioni del regolamento (UE) 2017/2394 - che dispongono di tutti i poteri minimi e li esercitano conformemente a quanto previsto dal medesimo regolamento, conservano gli ulteriori e più ampi poteri loro attribuiti dalla normativa vigente. Con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale, escluse dall’applicazione del regolamento (UE) 2017/2394, le suddette autorità, fermi gli ulteriori e più ampi poteri loro attribuiti dalla normativa vigente, esercitano i medesimi poteri di indagine e di esecuzione previsti dal citato regolamento, con facoltà di avvalersi anche di soggetti appositamente incaricati, che acquisiscono i dati, le notizie e le informazioni secondo le competenze e le modalità stabilite nei rispettivi regolamenti.

Si novella inoltre il Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo per stabilire che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è designata quale autorità competente responsabile dell’applicazione della direttiva europea relativa ai pacchetti e ai servizi turistici collegati. Infine, sono modificate anche le normative nazionali relative alla disciplina sanzionatoria delle violazioni del regolamento (UE) n. 181/2011, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus nonché alla disciplina sanzionatoria delle violazioni del Regolamento (UE) n. 1177/2010, relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne, al fine di inserirvi il riferimento al nuovo Regolamento 2017/2394.

In particolare, il comma 1 novella alcuni articoli del Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005) per tener conto del Regolamento (UE) 2017/2394, applicabile a decorrere dal 17 gennaio 2020.

 

Sintesi del Regolamento (UE) 2017/2394 sulla cooperazione tra le autorità nazionali per l’esecuzione della normativa che tutela i consumatori

 

Il Regolamento 2017/2394 intende proteggere i consumatori da infrazioni transfrontaliere delle norme in materia di tutela dei consumatori modernizzando la cooperazione delle autorità nazionali competenti dei paesi nell’UE, nello Spazio economico europeo (SEE) e nell’Associazione europea di libero scambio (EFTA) tra di loro e con la Commissione europea. Le nuove norme contribuiscono a incrementare la fiducia dei consumatori e delle imprese nel commercio elettronico all’interno dell’UE. Esso abroga e sostituisce il regolamento (CE) n. 2006/2004 a partire dal 17 gennaio 2020.

Il regolamento riguarda le 26 normative dell’UE che tutelano gli interessi dei consumatori elencate nel suo allegato (nel futuro potranno esserne aggiunte di nuove al fine di estendere l’ambito di applicazione del regolamento a nuovi settori legislativi) e si applica nel caso di infrazioni a tali normative.

Queste infrazioni possono essere: infrazioni intra-UE: qualora i consumatori risiedano in un paese dell’UE diverso da quello in cui si è verificata l’infrazione, è stabilito l’operatore responsabile o si rinvengono i pertinenti elementi di prova o beni; infrazioni diffuse: atti od omissioni contrari alle norme dell’UE sulla tutela degli interessi dei consumatori, che arrechino o possano arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori che risiedono in almeno due paesi dell’UE diversi dal paese in cui hanno avuto origine o si sono verificati è stabilito l’operatore responsabile si rinvengono elementi di prova o beni dell’operatore coinvolto; o atti od omissioni contrari alle norme dell’UE sulla tutela degli interessi dei consumatori che arrechino o possano arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori e abbiano caratteristiche comuni, comprese l’identità della pratica illecita l’identità dell’interesse leso e si verifichino contemporaneamente commessi dal medesimo operatore, in almeno 3 paesi dell’UE; infrazione diffusa avente una dimensione unionale: i consumatori interessati risiedono in almeno due terzi dei paesi dell’UE e rappresentano almeno i due terzi della popolazione dell’UE.

L’infrazione può essere un atto o un’omissione e può essere cessata prima che l’esecuzione cominci o sia completata.

Ciascun paese dell’UE deve designare e fornire le risorse per: ufficio unico di collegamento responsabile del coordinamento delle attività di indagine e di esecuzione e di garantire una cooperazione efficace; o più autorità competenti responsabili dell’applicazione del regolamento.

I paesi dell’UE possono inoltre coinvolgere degli organismi designati, se del caso, per raccogliere informazioni riguardanti un’infrazione o per adottare misure di esecuzione, a certe condizioni del regolamento.

Il regolamento elenca i poteri di indagine e di esecuzione minimi delle autorità competenti, compreso il potere di ottenere impegni da parte di un operatore a porre fine all’infrazione o a fornire dei rimedi ai consumatori interessati.

Inoltre, le autorità potranno anche: richiedere informazioni dai registri del dominio e dalle banche al fine di individuare l’identità dell’operatore responsabile; effettuare degli acquisti campioni («mystery shopping») per controllare la discriminazione geografica o le condizioni post-vendita (ad esempio i diritti di recesso); e ordinare la rimozione di contenuti online, se necessario.

Per quanto concerne le infrazioni intra-UE, il regolamento stabilisce la procedura per la richiesta di informazioni e le misure di esecuzione da un paese dell’UE all’altro. Le autorità devono rispondere alle richieste di informazioni entro 30 giorni, salvo diversamente convenuto, e devono applicare le misure di esecuzione appropriate senza indugio e normalmente entro sei mesi. Il regolamento riguarda inoltre le condizioni in base alle quali simili richieste possono essere rifiutate. Qualora vi sia un ragionevole sospetto di infrazione diffusa, le autorità interessate devono informare senza indugio la Commissione, altre autorità competenti e gli uffici di collegamento e avviare un’azione coordinata secondo gli accordi, con un coordinatore designato. La Commissione deve segnalare qualsiasi presunta infrazione di cui sia venuta a conoscenza alle autorità nazionali. Qualora vi sia un sospetto di infrazione a livello dell’UE su larga scala, le autorità nazionali devono condurre le adeguate indagini e avviare un’azione coordinata nel caso in cui da tali indagini emerga che possa verificarsi un’infrazione. Le azioni coordinate intese ad affrontare infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale devono essere sempre coordinate dalla Commissione.

I paesi dell’UE possono rifiutare di partecipare a un’azione coordinata, per esempio nel caso in cui ci siano già dei procedimenti giudiziari o un’indagine abbia rilevato che gli effetti effettivi o potenziali della presunta infrazione sono trascurabili in quel paese.

Il regolamento introduce inoltre un nuovo sistema di segnalazione dei mercati a livello dell’UE, affinché sia possibile rilevare minacce emergenti più rapidamente. Questo nuovo sistema di segnalazione combina il sistema già esistente ai sensi del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori [Regolamento (CE) n. 2006/2004] con uno scambio più ampio di informazioni pertinenti e necessarie. Inoltre, anche determinati organismi esterni (come associazioni dei consumatori e degli operatori, centri europei dei consumatori e organismi designati cui i paesi dell’UE o la Commissione hanno conferito questi poteri) potranno formulare delle segnalazioni («segnalazioni esterne»). In tal modo viene ampliato il ruolo delle parti interessate nell’esecuzione delle norme a tutela dei consumatori. Le autorità possono inoltre decidere di condurre indagini a tappeto* per rilevare infrazioni, ma esse devono essere normalmente coordinate dalla Commissione.

Le autorità possono richiedere direttamente a terzi i dati pertinenti, in conformità alla direttiva 2000/31/CE (sul commercio elettronico) e nel rispetto della legislazione in materia di protezione dei dati [Regolamento (CE) n. 45/2001 sul Garante europeo della protezione dei dati, Regolamento (UE) 2016/679 — regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e direttiva (UE) 2016/680 — Tutela dei dati personali usati dalla polizia e dalle autorità di giustizia penale].

Il regolamento si applica dal 17 gennaio 2020.

Per ulteriori informazioni, si veda Esecuzione coordinata dei diritti dei consumatori.

 

All'articolo 27 (Tutela amministrativa e giurisdizionale) del codice del consumo, si procede alla correzione del rinvio alla disciplina euro-unitaria, sostituendo l'attuale riferimento all'ora abrogato regolamento 2006/2004/CE con quello al nuovo regolamento (UE) 2017/2394 (lettera a), n.1) che novella il comma 1 e lettera a) n. 2) che novella il comma 2)

 

Il co. 1 dell'art. 27 prevede che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato esercita le attribuzioni disciplinate dall'articolo in esame anche quale autorità competente per l'applicazione del regolamento 2006/2004/CE, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori, nei limiti delle disposizioni di legge.

Il co. 2 prevede che l'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti. A tale fine, l'Autorità si avvale dei poteri investigativi ed esecutivi di cui al citato regolamento 2006/2004/CE anche in relazione alle infrazioni non transfrontaliere. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 1 l'Autorità può avvalersi della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per l'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto e dell'imposta sui redditi. L'intervento dell'Autorità è indipendente dalla circostanza che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro Stato membro.

 

All’articolo 37-bis, comma 1 (Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie), del codice del consumo è inserita la specificazione in base alla quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è designata quale autorità competente responsabile dell’applicazione della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. In materia di accertamento e sanzione delle violazioni della medesima direttiva, si applica l'articolo 27 del codice del consumo (lettera b)).

 

Il co. 1 qui novellato dell'art. 37-bis prevede che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sentite le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale d'ufficio o su denuncia, ai soli fini di cui ai commi successivi, dichiara la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, secondo le modalità previste dal regolamento di cui al comma 5. In caso di inottemperanza, a quanto disposto dall'Autorità ai sensi dell'articolo 14, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l'Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 40.000 euro.

 

All’articolo 66, comma 4 (Tutela amministrativa e giurisdizionale), del codice del consumo è corretto il rinvio alla disciplina unionale relativamente all'attribuzione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato delle funzioni di autorità competente «ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, numero 6) del Regolamento (UE) 2017/2394» (lettera c)).

 

La richiamata disposizione del Regolamento definisce l'autorità competente come qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale e designata da uno Stato membro come responsabile dell’applicazione delle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori

 

All’articolo 144-bis, comma 1 (Cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori), del codice del consumo è introdotto il rinvio alla sopra richiamata disposizione del Regolamento 2017/2394 relativa alla nozione di autorità competente (lettera d), n. 1)).

 

Il co. 1 dell'art. 144-bis prevede attualmente che il MISE, salve le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa e di sistemi di pagamento e le competenze delle autorità indipendenti di settore, che continuano a svolgere le funzioni di autorità competente ai sensi dell'articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004, nonché le disposizioni vigenti nelle ulteriori materie per le quali è prevista la competenza di altre autorità nazionali, svolge le funzioni di autorità competente, ai sensi del medesimo articolo 3, lettera c), del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle seguenti materie: garanzia nella vendita dei beni di consumo; credito al consumo; commercio elettronico; contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio.

 

Sempre all’articolo 144-bis, la lettera d) n. 2) sostituisce il comma 2.

La nuova disposizione prevede che il MISE e le altre autorità competenti - secondo la definizione recata dall'articolo 3, paragrafo 1, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394 - che dispongono di tutti i poteri minimi di cui all’articolo 9 e li esercitano conformemente all’articolo 10 del medesimo regolamento, conservano gli ulteriori e più ampi poteri loro attribuiti dalla normativa vigente. Con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale, escluse dall’applicazione del regolamento (UE) 2017/2394, le predette autorità, fermi gli ulteriori e più ampi poteri loro attribuiti dalla normativa vigente, esercitano i medesimi poteri di indagine e di esecuzione di cui all’articolo 9 del citato regolamento in conformità all’articolo 10, con facoltà di avvalersi anche di soggetti appositamente incaricati, che acquisiscono i dati, le notizie e le informazioni secondo le competenze e le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti.

 

Nel testo in vigore, il qui novellato comma 2 dell'articolo 144-bis prevede che il MISE esercita tutti i poteri di cui al citato regolamento (CE) n. 2006/2004, nelle materie di cui al comma 1, anche con riferimento alle infrazioni lesive degli interessi collettivi dei consumatori in ambito nazionale.

L'articolo 9 del regolamento (UE) 2017/2394 prevede che ciascuna autorità competente è dotata dei poteri di indagine e di esecuzione minimi necessari per l’applicazione del regolamento stesso e li esercita conformemente all’articolo 10. In deroga a tale disposizione, gli Stati membri possono decidere di non conferire tutti i poteri a ciascuna autorità competente, a condizione che ciascuno di tali poteri possa essere effettivamente e debitamente esercitato per qualsiasi infrazione di cui al regolamento conformemente all’articolo 10. Le autorità competenti dispongono almeno dei seguenti poteri di indagine: il potere di accesso ai documenti, ai dati o alle informazioni pertinenti relativi a un’infrazione di cui al presente regolamento, in qualsiasi forma o formato e indipendentemente dal loro supporto di conservazione o dal luogo in cui essi sono conservati; il potere di esigere che qualsiasi autorità pubblica, organismo o agenzia del loro Stato membro o qualsiasi persona fisica o giuridica fornisca informazioni, dati o documenti pertinenti in qualsiasi forma o formato e indipendentemente dal loro supporto di conservazione o dal luogo in cui sono conservati, al fine di stabilire se si è verificata o si sta verificando un’infrazione di cui al presente regolamento e al fine di accertare le caratteristiche di tale infrazione, compreso tracciare i flussi finanziari e dei dati, accertare l’identità delle persone coinvolte in tali flussi, e accertare le informazioni sui conti bancari e la titolarità dei siti web; il potere di effettuare le necessarie ispezioni in loco, anche accedendo a locali, terreni o mezzi di trasporto utilizzati dall’operatore interessato dall’indagine nell’ambito della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o chiedere ad altre autorità pubbliche di effettuarle per consultare, selezionare, fare o ottenere copie di informazioni, dati o documenti, a prescindere dal loro supporto di conservazione; il potere di sequestrare le informazioni, i dati o i documenti per il periodo necessario e nella misura adeguata all’espletamento dell’ispezione; il potere di chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale dell’operatore interessato dall’indagine di fornire spiegazioni dei fatti, informazioni, dati o documenti relativi all’oggetto dell’indagine e registrarne le risposte; il potere di acquistare beni o servizi effettuando acquisti campione, ove necessario in forma anonima, al fine di individuare infrazioni di cui al regolamento e raccogliere prove, compreso il potere di ispezionare, osservare, esaminare, smontare o testare beni o servizi.

Le autorità competenti dispongono almeno dei seguenti poteri di esecuzione: il potere di adottare misure provvisorie volte a evitare il rischio di danno grave degli interessi collettivi dei consumatori; il potere di cercare di ottenere o di accettare impegni da parte dell’operatore responsabile dell’infrazione di cui al presente regolamento a porre fine all’infrazione stessa; il potere di ricevere impegni riparatori aggiuntivi da parte dell’operatore, su iniziativa di quest’ultimo, a beneficio dei consumatori interessati dalla presunta infrazione di cui al presente regolamento o, se del caso, cercare di ottenere che l’operatore si impegni a offrire ai consumatori interessati da tale infrazione rimedi adeguati; ove applicabile, il potere di informare, con mezzi appropriati, i consumatori che dichiarano di aver subito un danno a seguito di un’infrazione di cui al presente regolamento su come chiedere una compensazione conformemente al diritto nazionale; il potere di obbligare per iscritto l’operatore a cessare le infrazioni di cui al regolamento; il potere di far cessare o vietare le infrazioni di cui al regolamento; laddove non siano disponibili altri mezzi efficaci per far cessare o vietare l’infrazione di cui al regolamento e al fine di evitare il rischio di danno grave agli interessi collettivi dei consumatori: il potere di rimuovere i contenuti o limitare l’accesso all’interfaccia online o imporre la visualizzazione esplicita di un’avvertenza rivolta ai consumatori quando accedono all’interfaccia online;

il potere di imporre ai prestatori di servizi di hosting di rimuovere, disabilitare o limitare l’accesso a un’interfaccia online; o ove opportuno, il potere di imporre ai registri o alle autorità di registrazione del dominio di rimuovere un nome di dominio completo e consentire all’autorità competente interessata di registrarlo; anche chiedendo a terzi o ad altre autorità pubbliche di attuare tali misure; il potere di irrogare sanzioni, come ammende o penalità di mora, per infrazioni di cui al presente regolamento e per il mancato rispetto di decisioni, ordinanze, misure provvisorie, impegni dell’operatore o altre misure adottate ai sensi del regolamento. Le predette sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive, conformemente alle prescrizioni delle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori. In particolare, si tiene debito conto, se del caso, della natura, gravità e durata dell’infrazione in oggetto.

Il potere di irrogare sanzioni, come ammende o penalità di mora, per infrazioni di cui al presente regolamento si applica a qualsiasi infrazione delle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori, nei casi in cui il pertinente atto giuridico dell’Unione di cui all’allegato prevede delle sanzioni. Questo lascia impregiudicato il potere delle autorità nazionali conformemente al diritto nazionale di irrogare sanzioni, come ammende amministrative o di altra natura, o penalità di mora, nei casi in cui gli atti giuridici dell’Unione elencati nell’allegato non prevedono sanzioni.

Le autorità competenti hanno il potere di avviare indagini o procedimenti di propria iniziativa per far cessare o vietare le infrazioni di cui al regolamento.

Le autorità competenti possono pubblicare le decisioni definitive, gli impegni assunti dagli operatori o le ordinanze adottate ai sensi del presente regolamento, compresa la pubblicazione dell’identità dell’operatore responsabile di un’infrazione di cui al regolamento.

Ove applicabile, le autorità competenti possono consultare le organizzazioni dei consumatori, le associazioni degli operatori, gli organismi designati o le altre persone interessate con riguardo all’efficacia degli impegni proposti per la cessazione dell’infrazione di cui al regolamento.

 

L'articolo 10 prevede che i poteri descritti dall’articolo 9 sono esercitati: direttamente dalle autorità competenti sotto la propria autorità; se del caso, con il ricorso ad altre autorità competenti o ad altre autorità pubbliche; incaricando gli organi designati, ove applicabile; o mediante richiesta agli organi giurisdizionali cui compete la pronuncia della decisione necessaria, eventualmente anche presentando appello qualora la richiesta di pronuncia fosse respinta.

L’attuazione e l’esercizio dei poteri di cui all’articolo 9 in applicazione del regolamento è proporzionata e conforme al diritto dell’Unione e al diritto nazionale, comprese le garanzie procedurali applicabili e i principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Le misure di indagine e di esecuzione adottate in applicazione del regolamento sono proporzionate alla natura e al danno complessivo, effettivo o potenziale, dell’infrazione delle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori.

 

All’articolo 144-bis, commi 4 e 9, del codice del consumo, la lettera d) n. 3) sostituisce il rinvio alla normativa unionale mediante l'introduzione del riferimento al regolamento (UE) 2017/2394.

 

Il co. 4 dell'articolo 144-bis prevede che ferme restando la disciplina sanzionatoria in materia di indicazione dei prezzi di cui all'articolo 17 del codice del consumo e le disposizioni di cui all'articolo 22, comma 3, del D.Lgs. n. 114/1998 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio), ai fini dell'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 il MISE, per lo svolgimento delle funzioni di cui al comma 1, può avvalersi, in particolare, dei comuni.

Il co. 9 prevede che il MISE designa l'ufficio unico di collegamento responsabile dell'applicazione del citato regolamento (CE) n. 2006/2004.

 

All’articolo 144-bis, comma 8, del codice del consumo, la lettera d) n. 4) corregge il riferimento alla normativa unionale, mediante rinvio all’articolo 3, numero 6), e agli articoli 5, 9 e 10, del regolamento (UE) 2017/2394 in luogo dell'attuale richiamo agli articoli 3, lettera c), e 4, del regolamento (CE) n. 2006/2004.

 

Il co. 8 dell’articolo 144-bis prevede nel testo vigente che ai sensi degli articoli 3, lettera c)[33], e 4[34], del regolamento (CE) n. 2006/2004, in materia di pratiche commerciali scorrette di cui alla parte II, titolo III, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, in relazione alle funzioni di autorità competente attribuite all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per i profili sanzionatori, nell'ambito delle proprie competenze, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede ai sensi dell'articolo 27.

L'art. 5 del regolamento 2017/2394 prevede che ciascuno Stato membro designa una o più autorità competenti e l’ufficio unico di collegamento responsabili dell’applicazione del regolamento. Le autorità competenti adempiono ai propri obblighi a norma del regolamento su loro iniziativa e come se agissero per conto dei consumatori del proprio Stato membro. All’interno di ciascuno Stato membro l’ufficio unico di collegamento ha il compito di coordinare le attività di indagine e di esecuzione delle autorità competenti, delle altre autorità pubbliche di cui all’articolo 6 e, se del caso, degli organismi designati, relativamente alle infrazioni di cui al regolamento. Gli Stati membri assicurano che le autorità competenti e gli uffici unici di collegamento dispongano delle risorse necessarie per attuare il regolamento, tra cui sufficienti risorse di bilancio e di altro genere, competenze, procedure e altre disposizioni. Qualora nel loro territorio vi siano più autorità competenti, gli Stati membri garantiscono che le rispettive funzioni di tali autorità competenti siano chiaramente definite e che operino in stretta collaborazione per garantire l’efficace espletamento di tali funzioni.

 

La novella all’articolo 144-bis, comma 9-bis, secondo periodo, del codice del consumo, precisa che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è designata autorità competente ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/2394 (lettera d) n. 5)).

 

Nell'attuale formulazione, il co. 9-bis, secondo periodo, dell'art. 144-bis prevede che in relazione al regolamento (UE) 2018/302, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato svolge le funzioni di autorità competente ai sensi dell'articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori.

L’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/2394 prevede che ciascuno Stato membro designa una o più autorità competenti e l'ufficio unico di collegamento responsabili dell'applicazione del regolamento.

 

Il comma 2 introduce il nuovo comma 1-bis nell’articolo 51-octies (Applicazione delle sanzioni amministrative) dell’Allegato 1 al Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo (D.Lgs. n. 79/2011).

Il nuovo comma 1-bis prevede che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è designata, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/2394, quale autorità competente responsabile dell’applicazione della direttiva (UE) n. 2015/2302, relativa ai pacchetti e ai servizi turistici collegati che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE. In materia di accertamento e sanzione delle violazioni della medesima direttiva 2015/2302, si applica l'articolo 27 del codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005).

 

Nella formulazione vigente, l'art. 51-octies qui novellato prevede che fermo restando quanto previsto agli articoli 51-septies, comma 1, e 51-novies, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, accerta le violazioni delle disposizioni di cui all'articolo 51-septies, ne inibisce la continuazione e ne elimina gli effetti, avvalendosi a tal fine degli strumenti, anche sanzionatori, previsti dal codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005).

 

I commi 3 e 4 sostituiscono il riferimento al regolamento (CE) 2006/2004 con quello al regolamento (UE) 2017/2394, rispettivamente, all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 169/2014 (Disciplina sanzionatoria delle violazioni delle disposizioni del regolamento (UE) n. 181/2011, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus) e all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 129/2015 (Disciplina sanzionatoria delle violazioni delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 1177/2010, che modifica il Regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne).

 

L’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 169/2014 prevede attualmente che l'Autorità di regolazione dei trasporti è altresì responsabile dell'applicazione del regolamento (CE) 2006/2004, relativamente alla materia disciplinata dal regolamento.

L'articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 129/2015 prevede che l'Autorità di regolazione dei trasporti è altresì responsabile dell'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004, relativamente alla materia disciplinata dal regolamento.

 

 


 


 

 

Articolo 30
(Disposizioni sulla metodologia di calcolo da utilizzare per la determinazione di energia prodotta dai biocarburanti e dai bioliquidi. Procedura d'infrazione 2019/2095)

 

L'articolo 30 novella il decreto di recepimento della direttiva sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, specificando che i criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi, ai fini anche della verifica del loro rispetto, sono quelli previsti dal decreto di recepimento della direttiva relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel. L'articolo in esame modifica altresì i criteri di calcolo della quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto. Il relativo obiettivo prevede che la quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto dovrà essere nel 2020 pari almeno al 10 per cento del consumo finale di energia nel settore dei trasporti nel medesimo anno. Per il calcolo del numeratore, ossia della quantità di energia da fonti rinnovabili consumata nel trasporto ai fini del suddetto obiettivo, sono presi in considerazione tutti i tipi di energia da fonti rinnovabili consumati in tutte le forme di trasporto. La modifica puntualizza che i biocarburanti e i bioliquidi che non soddisfano i criteri di sostenibilità, con le modalità, i limiti e le decorrenze fissate dal c.d. decreto rinnovabili non sono presi in considerazione. Inoltre, per il calcolo dei biocarburanti nel numeratore, la quota di energia da biocarburanti prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose e da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici non è superiore al 7% del consumo finale di energia nei trasporti nel 2020. L'ulteriore modifica concernente tale specifico profilo precisa che non sono conteggiati, ai fini del limite fissato, i biocarburanti sostenibili prodotti a partire da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici, diverse dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose, a condizione che sia dimostrato che tali colture sono state coltivate su terreni pesantemente degradati, compresi i terreni precedentemente utilizzati per scopi agricoli, oppure su terreni fortemente contaminati. L'articolo abroga infine la disposizione che sancisce l'esclusione dei biocarburanti sostenibili provenienti da colture agricole di secondo raccolto dal conteggio ai fini del suddetto limite.

 

Il comma 1 novella il D.Lgs. n. 28/2011[35] (decreto rinnovabili).

La lettera a) sostituisce, all’articolo 38, comma 1 (Criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi), il riferimento ai criteri di sostenibilità "di cui al provvedimento di attuazione della direttiva 2009/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009" con quello ai criteri di sostenibilità "di cui al D.Lgs. n. 66/2005" (Decreto carburanti)[36] ().

 

L'art. 38 del D.Lgs. n. 28/2011 prevede che, fatto salvo quanto previsto al comma 2, a decorrere dal 1° gennaio 2012 i biocarburanti utilizzati nei trasporti e i bioliquidi utilizzati per la produzione di energia elettrica, termica o per il raffrescamento possono essere computati per il raggiungimento degli obiettivi nazionali e possono accedere agli strumenti di sostegno, ivi inclusi i meccanismi basati sull'obbligo di rispetto di quote minime, solo se rispettano i criteri di sostenibilità di cui al provvedimento di attuazione della direttiva 2009/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009. Per il calcolo delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei biocarburanti e dei bioliquidi si applica quanto previsto dallo stesso provvedimento attuativo (co. 1). In applicazione delle disposizioni del comma 1 del presente articolo, ai fini del calcolo richiamato al punto 19 dell'allegato V della direttiva 2009/28/CE si fa riferimento ai valori dei carburanti fossili ivi richiamati (co. 2).

 

La lettera b) sostituisce, all’articolo 39, comma 1 (Verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti e per i bioliquidi), il riferimento alle disposizioni "di cui al provvedimento di attuazione della direttiva 2009/30/CE" con quello alle disposizioni "di cui al D.Lgs. n. 66/2005".

 

L'art. 39 del D.Lgs. 28/2011, prevede che ai fini della verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità dei biocarburanti, si applicano le disposizioni di cui al provvedimento di attuazione della direttiva 2009/30/CE, ivi incluse le sanzioni (co. 1). Le disposizioni richiamate al comma 1 si applicano anche per la verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità dei bioliquidi (co. 2).

 

La lettera c) novella in più parti l'allegato 1, parte 2, punto 1, recante «Calcolo della quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto».

Il punto 1 contiene le disposizioni applicabili ai fini del raggiungimento dell'obiettivo (previsto dall'art. 3, co. 2, del D.Lgs. 28/2011) per cui la quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto dovrà essere nel 2020 pari almeno al 10 per cento del consumo finale di energia nel settore dei trasporti nel medesimo anno.

La lettera c) n. 1) novella la lettera b).

Per effetto di tale modifica, si prevede che per il calcolo del numeratore, ossia della quantità di energia da fonti rinnovabili consumata nel trasporto ai fini del suddetto obiettivo, sono presi in considerazione tutti i tipi di energia da fonti rinnovabili consumati in tutte le forme di trasporto; la lettera b) in questione si applica fatto salvo quanto previsto dalla successiva lettera c-bis) e dalla parte 1, punto 2, primo periodo, dell'allegato 1 in questione[37]

 

La lettera c), n. 2), punto 2.1) sostituisce la lettera b) alla lettera c-bis).

La lettera c-bis) in questione prevede che per il calcolo dei biocarburanti nel numeratore, la quota di energia da biocarburanti prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose e da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici non è superiore al 7% del consumo finale di energia nei trasporti nel 2020.

La nuova formulazione della lettera b) qui novellata prevede che non sono conteggiati ai fini del limite fissato i biocarburanti sostenibili prodotti a partire da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici, diverse dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose, a condizione che sia dimostrato che tali colture sono state coltivate su terreni pesantemente degradati, compresi i terreni precedentemente utilizzati per scopi agricoli, oppure su terreni fortemente contaminati

 

Nella formulazione in vigore, la lettera b) fa riferimento ai biocarburanti sostenibili prodotti da colture principali coltivate su superfici agricole soprattutto a fini energetici, queste ultime qualora dimostrino di essere state coltivate su terreni pesantemente degradati, compresi i terreni precedentemente utilizzati per scopi agricoli, oppure su terreni fortemente contaminati.

 

La lettera c), n. 2), punto 2.2) abroga la lettera c) della lettera c-bis).

L'abrogazione fa venir meno l'esclusione dei biocarburanti sostenibili provenienti da colture agricole di secondo raccolto dal conteggio ai fini del limite fissato dalla lettera c-bis).

 

La RI al disegno di legge rileva al riguardo che la soppressione di detta lettera c) (recante “i biocarburanti sostenibili provenienti da colture agricole di secondo raccolto”), viene effettuata al fine di eliminare un problema di conformità rispetto all’articolo 3, paragrafo 4, lettera d) della direttiva 2009/28/CE. Da un dialogo con i funzionari della Commissione europea è emerso, infatti, che il contenuto della lettera c) in questione conterrebbe delle eccezioni alla regola di calcolo del limite del 7% che la disposizione italiana amplierebbe indebitamente a colture (quelle di secondo raccolto) che il legislatore europeo non ha ritenuto opportuno inserire. In considerazione del fatto che è emerso tale problema di non conformità, si è ritenuto opportuno rimuovere, fin da subito, tale problema per prevenire l’apertura di una nuova procedura di infrazione sulla stessa materia.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame sostituisce la rubrica dell’articolo 10 (Modifiche all'allegato V-bis al decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 66, in attuazione dell'allegato I della direttiva (UE) 2015/1513) del D.Lgs. n. 51/2017[38].

La nuova rubrica specifica che le modifiche apportate dall'articolo 10 in questione all’allegato V-bis al decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 66, dànno attuazione anche all'allegato II della direttiva (UE) 2015/1513.

 

La RI osserva, in relazione al mancato recepimento dell’allegato II della direttiva (UE) 2015/1513, relativo all’Allegato VIII, che tale modifica è stata recepita attraverso l’articolo 10 del decreto legislativo n. 51/2017, che ha modificato l’Allegato V-bis del decreto legislativo n. 66/2005 in attuazione dell’Allegato II della direttiva (UE) 2015/1513, in combinato disposto con l’articolo 38 del decreto legislativo n. 28/2011.

Tuttavia, a seguito di una più approfondita analisi, si ritiene utile procedere ad un’ulteriore miglioramento delle disposizioni nazionali di recepimento attraverso una modifica che conferisca maggiore chiarezza applicativa al rinvio normativo operato agli articoli 38 e 39 del decreto legislativo n. 28/2011 al decreto di recepimento della direttiva 2009/30/CE, modificata dalla direttiva (UE) 2015/1513.

A seguito di interlocuzioni informali con i Servizi della Commissione europea è, infatti, emerso che il riferimento automatico inserito non consentirebbe di recepire correttamente le disposizioni legislative.

 

La procedura d'infrazione 2019/2095

 

Le disposizioni sopra descritte sono volte ad ottemperare l’impegno assunto dal Governo per l’archiviazione della procedura di infrazione n. 2019/2095, già avvenuta il 27 novembre 2019.

La procedura è stata aperta dalla Commissione europea in data 25 luglio 2019 per non corretto recepimento di alcune disposizioni della direttiva (UE) 2015/1513 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 settembre 2015 che modifica la direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, e la direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

In particolare, la Commissione europea ha rappresentato il non corretto recepimento delle seguenti modifiche alla direttiva 2009/28/CE, introdotte dall’articolo 2 della direttiva (UE) 2015/1513:

a) articolo 3, paragrafo 4, lettera d) della direttiva 2009/28/CE: la Commissione ha rilevato una criticità con riferimento al terzo comma dell’articolo 3, paragrafo 4, lettera d) della direttiva 2009/28/CE (modifica introdotta dall’articolo 2, punto 2, lettera b) della direttiva (UE) 2015/1513): “Sebbene l’Italia si sia avvalsa della facoltà prevista all’articolo 3, paragrafo 4, lettera d), terzo comma, la misura nazionale di recepimento non esclude “cereali e (…) altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose”;

b) allegato V, parte C, punto 7 della direttiva 2009/28/CE (modifica introdotta dall’allegato II della direttiva (UE) 2015/1513): la Commissione ha ritenuto che l’Italia non abbia dato recepimento all’allegato V, parte C, punto 7 della direttiva 2009/28/CE (modifica introdotta dall’allegato II della direttiva (UE) 2015/1513);

c) modifica dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2009/28/CE (modifica introdotta dall’articolo 2, punto 5, lettera a), della direttiva (UE) 2015/1513): la Commissione ha rilevato che “le misure nazionali sembrano recepire solo la modifica dell’articolo 7-ter, paragrafo 2, della direttiva 98/70/CE (modifica introdotta dall’articolo 1, punto 3, lettera a), della direttiva (UE) 2015/1513);

d) aggiunta dell’allegato VIII alla direttiva 2009/28/CE (modifica introdotta dall’allegato II della direttiva (UE) 2015/1513): la Commissione ha ritenuto che l’allegato non sia stato recepito nel nostro ordinamento.

In data 26 settembre 2019 è stata inviata la risposta del Governo italiano con l’impegno di introdurre le modifiche normative ritenute necessarie nella legge europea 2019.

La direttiva (UE) 2015/1513 ha, infatti modificato sia la direttiva 98/70/CE (relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel) che la direttiva 2009/28/CE (sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili).

In ordine al rilievo sub a), la Commissione europea ha rilevato una criticità nella misura nazionale di attuazione che non ha escluso, ai fini del calcolo della quota di energia da biocarburanti prodotti a partire da colture su superfici agricole a fini energetici, le colture diverse da cereali e altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose, nell’esercizio dell’opzione prevista all’articolo 3, paragrafo 4, lettera d), terzo comma della direttiva.

La Commissione europea ha evidenziato, da parte italiana, una completa esclusione dal limite del 7% dei biocarburanti sostenibili prodotti da colture effettuate su terreni degradati mentre, nella interpretazione della Commissione europea, tale esclusione andava fatta solo per quei biocarburanti prodotti a partire da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici diverse dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose.


 

Articolo 31
(Modifiche all’articolo 2 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, concernente il Comitato interministeriale per gli affari europei)

 

L’articolo 31 novella l’articolo 2 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, incrementando da 20 a 28 unità il contingente massimo di personale di cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee, può avvalersi ai fini del funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE) e modificando la composizione del personale delle regioni o delle province autonome di cui il Dipartimento medesimo può avvalersi.

 

La relazione illustrativa del disegno di legge motiva l’intervento in ragione dell'obiettivo di “garantire una più efficace gestione delle funzioni di supporto della segreteria CIAE alle attività del Comitato Interministeriale affari europei e del Comitato tecnico di valutazione, al fine della definizione della posizione italiana nella fase di formazione degli atti normativi dell'Unione Europea. Un maggior numero di risorse umane dedicate consente, infatti, una costante e più incisiva azione di coordinamento delle amministrazioni competenti per settore nella fase di predisposizione della normativa dell'Unione Europea”.

 

Si ricorda che la legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, all’articolo 2 detta disposizioni relative alla composizione e al funzionamento del Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE) - organo già disciplinato dalla legge 11 del 2005, così ridenominato a seguito all'entrata in vigore del trattato di Lisbona -, al quale spetta concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti dell'Unione europea, nonché consentire il puntuale adempimento dei compiti previsti dalla legge n. 234, tenuto conto degli indirizzi espressi dalle Camere.

Il Comitato, che opera presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, è convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, dal Ministro per gli affari europei, garantisce adeguata pubblicità ai propri lavori (co. 4).  Il D.P.R. 26 giugno 2015, n. 118 reca il Regolamento per il funzionamento del CIAE, che dispone di personale di supporto e di un ufficio di Segreteria presso il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio.

 

In particolare, l’articolo 30 apporta le seguenti modificazioni all’articolo 2 della legge 24 dicembre 2012, n. 234:

 

a)    modifica il comma 7, aumentando da 20 a 28 unità il contingente massimo di personale di cui il CIAE può avvalersi ai fini del suo funzionamento. Più in dettaglio, si prevede che, ai fini del funzionamento del Comitato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee possa avvalersi, entro un contingente massimo di 28 unità, di personale, di cui 24 appartenenti alla terza area o qualifiche equiparate e quattro appartenenti alla seconda area o qualifiche equiparate, in posizione di comando, proveniente da altre amministrazioni.

La norma, nel testo vigente, prevede che il Dipartimento per le politiche europee possa avvalersi, entro un contingente massimo di 20 unità, di personale appartenente alla terza area o qualifiche equiparate, in posizione di comando, proveniente da altre amministrazioni.

 

Rimane invariata la disposizione che prevede che al suddetto personale in posizione di comando, proveniente da altre amministrazioni, si applica la disposizione di cui all'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, recante misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo, che prevede che, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.

 

b)     novella il comma 8, modificando la composizione del contingente massimo di unità di personale delle regioni o delle province autonome di cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee può avvalersi.

In particolare, si prevede che, nei limiti di un contingente massimo di sei unità, che rimane complessivamente invariato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche europee possa avvalersi di personale delle regioni o delle province autonome, di cui tre unità appartenenti alla terza area o qualifiche equiparate e tre unità appartenenti alla seconda area o qualifiche equiparate,” designato dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, secondo criteri da definire d'intesa con il Presidente del Consiglio dei Ministri o con il Ministro per gli affari europei. La norma, nel testo vigente, prevede invece che il medesimo personale sia interamente appartenente alla terza area o qualifiche equiparate.


 

Articolo 32
(Modifica all’articolo 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, concernente il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’Unione europea)

 

L’articolo 32 novella l’articolo 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell'Unione europea, consentendo al Ministro dell’economia e delle finanze – con uno o più decreti, da adottare di concerto con i Ministri competenti per materia, previa intesa con la Conferenza unificata per le materie di competenza delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali – di definire i criteri e le procedure riguardanti i procedimenti istruttori propedeutici all’esercizio dell’azione di rivalsa.

 

L’articolo 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, al comma 1, prevede innanzitutto che, al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli 258 e seguenti del TFUE o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell'Unione europea. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 260 del TFUE.

Il comma 2 prevede il potere sostitutivo dello Stato nei confronti dei soggetti che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa dell'Unione europea o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea.

Il comma 3 dispone il diritto dello Stato di rivalersi nei confronti dei medesimi soggetti sopra citati indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri fondi aventi finalità strutturali.

Il comma 4 prevede il diritto dello Stato di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi derivanti dalla normativa europea degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 260, paragrafi 2 e 3, del TFUE.

 

In particolare, la disposizione in commento, aggiungendo un ulteriore periodo al comma 6 dell’articolo 43 della legge n. 234 del 2012, consente al Ministro dell’economia e delle finanze di definire i criteri e le procedure riguardanti i procedimenti istruttori propedeutici all’esercizio dell’azione di rivalsa.

Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato che trattasi di più procedimenti istruttori e che tali criteri e procedure potranno essere definiti con uno più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze (nella versione iniziale del testo si faceva invece riferimento a un solo decreto riguardante il procedimento istruttorio), da adottare di concerto con i Ministri competenti per materia, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 per le materie di competenza delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali.

 

Si rammenta che l’articolo 43, comma 6, dispone che la misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa - comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo derivanti dalla violazione del diritto europeo - sia stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. Tale decreto costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entità del credito dello Stato, nonché l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato.

Si precisa, inoltre, che qualora l'obbligato sia un ente territoriale, i suddetti decreti ministeriali, ai sensi dell’articolo 43, comma 7, della legge n. 234 del 2012, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. L’intesa deve essere perfezionata entro quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad oggetto la determinazione dell'entità del credito dello Stato e l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell'intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, con provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze, che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati.

 

A livello più generale, si rammenta che la Corte Costituzionale, pronunciatasi in ordine alla legittimità costituzionale dell'istituto dell'azione di rivalsa, ha evidenziato che essa deve essere applicata alla luce del principio di imputabilità, in assenza di automatismi che escludano l'applicazione di tale principio (sentenza n. 219/2016).

La relazione illustrativa del disegno di legge sottolinea come il citato articolo 43 della legge 234/2012 contribuisca a dare effettività ai principi di cui agli articoli 117 (coordinamento della finanza pubblica) e 119 della Costituzione (concernente l’obbligo di concorrere all'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea), in quanto è finalizzato a far ricadere gli oneri finanziari derivanti dalle sentenze della Corte di  giustizia dell'Unione europea o dalle Decisioni delle Istituzioni dell'UE sulle Amministrazioni centrali, regionali e locali responsabili degli stessi.

Inoltre, si rileva come alla luce del rilevante contenzioso dinanzi all'autorità giudiziaria finora maturato, sia emersa la necessità di integrare l'istruttoria propedeutica all'esercizio dell'azione di rivalsa con elementi di merito di cui esclusivamente i Ministeri competenti sono in possesso, per le materie di volta in volta oggetto delle sentenze di condanna emanate dalla Corte di Giustizia dell'UE. Le singole amministrazioni curano del resto,  di norma in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche europee presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche la fase amministrativa e giurisdizionale delle procedure di infrazione che determinano l'applicazione di sanzioni ai sensi dell'articolo 260 TFUE e anche nel caso delle regolazioni finanziarie relative al FEAGA-FEASR o dei Fondi strutturali, la fase di contenzioso amministrativo e/o giudiziario connessa all'applicazione di dette regolazioni è svolta dalle Amministrazioni competenti per settore. Pertanto, conclude la relazione illustrativa, le Amministrazioni sono in grado di svolgere l'istruttoria necessaria a fornire al Ministero dell'economia e delle finanze gli elementi di merito necessari per definire, in ossequio al principio di imputabilità richiamato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 219/2016, l'importo da addebitare ai bilanci degli enti centrali, regionali e locali responsabili ai sensi dall'articolo 43, comma 6, stabilendo altresì le modalità di recupero ed eventuali rateizzazioni degli importi da recuperare.

 


 

Articolo 33
(Rafforzamento delle strutture del Ministero dell’economia e delle finanze preposte alle attività di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi dell’Unione europea per il periodo di programmazione 2021/2027)

 

L’articolo 33 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad assumere a tempo indeterminato fino a 50 unità di personale per rafforzare le strutture della Ragioneria generale dello Stato ai fini delle attività di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi cofinanziati dall’Unione europea per il periodo di programmazione 2021/2027.

 

Il comma 1, in particolare, prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato un contingente di personale nel numero massimo di 50 unità da inquadrare nel livello iniziale della terza area, con corrispondente incremento della dotazione organica, attraverso l’indizione di appositi concorsi pubblici, al fine di rafforzare le strutture preposte all’attività di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi cofinanziati dall’Unione europea per il periodo di programmazione 2021/2027, nonché a quella di adeguamento dell’ordinamento interno alla normativa europea. Si prevede che la selezione pubblica possa avvenire anche attraverso la Commissione per l'attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (art. 35, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

Con riferimento alle procedure per il reclutamento del personale della PA, negli anni più recenti la normativa ha teso all'aggregazione delle procedure concorsuali e allo svolgimento dei concorsi unici, anche al fine di consentire una programmazione complessiva degli accessi alla pubblica amministrazione coerente con le politiche di contenimento delle assunzioni e delle spese di personale. L’art. 4, co. 3-quinquies, D.L. 101/2013 impone alle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, alle agenzie e agli enti pubblici non economici, a decorrere dal 1° gennaio 2014, di svolgere concorsi pubblici unici per il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni (con esclusione, pertanto, di regioni ed enti locali).

I concorsi unici sono organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica, che si avvale a tal fine della Commissione per l'attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (c.d. Commissione RIPAM), nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzioni a tempo indeterminato.

Tale Commissione è nominata con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione ed è composta dal Capo del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, che la presiede, dall'Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze e dal Capo del Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie del Ministero dell'interno, o loro delegati. La Commissione: a) approva i bandi di concorso per il reclutamento di personale a tempo indeterminato; b) indìce i bandi di concorso e nomina le commissioni esaminatrici; c) valida le graduatorie finali di merito delle procedure concorsuali trasmesse dalle commissioni esaminatrici; d) assegna i vincitori e gli idonei delle procedure concorsuali alle amministrazioni pubbliche interessate; e) adotta ogni ulteriore eventuale atto connesso alle procedure concorsuali, fatte salve le competenze proprie delle commissioni esaminatrici. A tali fini, la Commissione RIPAM si avvale di personale messo a disposizione dall'Associazione Formez PA (art. 35, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001).

Le amministrazioni pubbliche, nel rispetto del regime delle assunzioni a tempo indeterminato previsto dalla normativa vigente, possono assumere personale solo attingendo alle nuove graduatorie di concorso predisposte presso il Dipartimento della funzione pubblica, fino al loro esaurimento, provvedendo a programmare le quote annuali di assunzioni e possono essere autorizzate a svolgere direttamente i concorsi pubblici solo per specifiche professionalità. Per lo svolgimento delle procedure, il bando di concorso può fissare un contributo di ammissione ai concorsi per ciascun candidato in misura non superiore a 10 euro.

 

Si ricorda altresì che il decreto-legge n. 34 del 2020 (c.d. decreto rilancio) contiene due norme che autorizzano il Ministero a potenziare le proprie strutture:

·      l’articolo 2, comma 13-bis, autorizza il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ad avvalersi, nel limite complessivo di spesa di 100.000 euro per il 2019 e 200.000 euro a decorrere dal 2020, di esperti individuati all’esito di una selezione comparativa mediante avviso pubblico tra persone di comprovata esperienza ed elevata professionalità, in vista del monitoraggio delle clausole di flessibilità nell’ambito delle regole del Patto di stabilità e crescita europeo, anche con riferimento alle opere necessarie a perseguire il riordino della rete ospedaliera in relazione all’emergenza Covid-19 realizzate mediante il ricorso al partenariato pubblico-privato;

·      l’articolo 262 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad avviare le procedure di reclutamento di 56 unità di personale non dirigenziale da inquadrare nel profilo della terza area (F3), in relazione alle specifiche esigenze connesse alla Presidenza italiana del G20 e allo sviluppo, sperimentazione e messa a regime dei sistemi informativi e delle nuove funzionalità strumentali all'attuazione della riforma del bilancio dello Stato. Le procedure di reclutamento (già autorizzate dall’articolo 19, comma 1, del decreto-legge n. 22 del 2019) si svolgono mediante concorsi per titoli ed esame orale per l’accesso ai quali è richiesto il possesso, oltre che del titolo di studio previsto per il profilo professionale di inquadramento e la conoscenza della lingua inglese, anche del dottorato di ricerca ovvero del master di secondo livello.

 

Il comma 2 provvede alla relativa copertura degli oneri, quantificati in 2.205.000 euro annui a decorrere dal 2021, mediante corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea (art. 41-bis, della legge n. 234 del 2012).

L’onere individuale lordo per ciascuna unità di personale ammonta a 44.089,15 euro.

 

La relazione illustrativa afferma che per poter pienamente cogliere le opportunità offerte dai finanziamenti europei e creare le condizioni perché gli stessi abbiano un effettivo impatto sulla situazione economica e sociale del Paese, è necessario, a livello nazionale, l'attivazione immediata di azioni di rafforzamento delle strutture e degli strumenti di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi da finanziare con il sostegno dei fondi UE 2021/2027, volti ad assicurare un presidio costante, tra l'altro, sugli aspetti afferenti l'applicazione da parte delle Autorità di Audit UE del codice degli appalti, delle procedure inerenti la gestione e il controllo degli strumenti finanziari e il campionamento delle operazioni. Ciò al fine di assicurare il rispetto della normativa dell’Unione, superare le carenze in grado di pregiudicare l'efficace utilizzo dei fondi nonché garantire il corretto recepimento nel nostro ordinamento della normativa europea.

 

 

Il Quadro finanziario pluriennale dell’UE 2021-2027 e Next Generation EU

 

Si ricorda, brevemente, che il regolamento (UE, Euratom) 2020/2093, che stabilisce il Quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027, e il regolamento (UE) 2020/2094, che istituisce uno strumento dell’UE per la ripresa (Next Generation EU), sono stati adottati dalle Istituzioni europee al termine di un negoziato particolarmente lungo e complesso, iniziato nel maggio 2018 e radicalmente mutato in seguito allo scoppio della crisi pandemica.

Il nuovo bilancio, rafforzato da Next Generation EU, intende in modo particolare fornire all'UE i mezzi necessari per far fronte alle conseguenze della crisi COVID-19 e, allo stesso tempo, trasformare l'Unione attraverso le sue principali politiche, in particolare il Green Deal europeo (almeno il 30% della spesa complessiva sarà destinata all'azione per il clima) e la trasformazione digitale.

 

Nello specifico, il bilancio pluriennale dell’UE 2021-2027 prevede risorse pari a 1074,3 miliardi di euro (a prezzi 2018) in termini di impegni, che aumenteranno gradualmente a 1.085,3 miliardi di euro grazie a 11 miliardi di euro aggiuntivi che saranno prelevati principalmente da importi corrispondenti a multe per la concorrenza (che le aziende devono pagare quando non rispettano le regole dell'UE); tali risorse saranno poi integrate dai 750 miliardi euro di Next Generation EU (390 miliardi sovvenzioni e 360 miliardi prestiti) che la Commissione europea potrà reperire, per conto dell’Unione, sui mercati dei capitali.

Il totale complessivo sarà quindi pari a 1.835,3 miliardi di euro.

Il più importante strumento previsto nell'ambito di Next Generation EU è il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility - regolamento (UE) 2021/241) che, con una dotazione finanziaria di 672,5 miliardi di euro (312,5 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti), ha l'obiettivo di sostenere gli investimenti e le riforme degli Stati membri nell'ambito del Semestre europeo.

Per ottenere le risorse loro assegnate, gli Stati membri dovranno predisporre dei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR), in cui sarà definito il loro programma di riforme e investimenti, compresi target intermedi e finali e costi stimati, che saranno valutati dalla Commissione europea e approvati dal Consiglio dell’UE.

 

 


 

Articolo 34
(Disposizioni relative al versamento delle risorse proprie dell’Unione europea. Anticipazione del Fondo di Rotazione e reintegro sui capitoli di bilancio dello Stato)

 

L’articolo 34 reca disposizioni volte ad assicurare il tempestivo versamento all'Unione europea dei contributi a carico dell'Italia per il finanziamento del Bilancio generale dell'Unione europea.

A tal fine, il comma 1 autorizza il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, previsto dall’articolo 5, della legge n. 183/1987 (c.d. Fondo IGRUE), ad anticipare le risorse occorrenti a garantire il tempestivo pagamento dei suddetti contributi a valere sulle proprie disponibilità.

Al reintegro di tali anticipazioni si provvede a valere sugli stanziamenti dei corrispondenti capitoli di bilancio dello Stato iscritti nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie - istituito dall’articolo 5 della legge n.183 del 1987 presso il Ministero dell'economia e delle finanze e gestito dalla Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale rapporti con l'Unione europea (IGRUE) con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio - è destinato a garantire il coordinamento degli interventi previsti dalla normativa comunitaria con quelli degli altri strumenti nazionali di agevolazione, e la centralizzazione dei flussi finanziari provenienti dall’Unione europea destinati all'attuazione delle politiche strutturali. Il Fondo di rotazione si avvale, per il suo funzionamento, di due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria generale dello Stato, nei quali vengono versate, rispettivamente, le risorse provenienti dal bilancio comunitario a favore dell'Italia e le risorse del cofinanziamento nazionale degli interventi provenienti dal bilancio dello Stato e da altre fonti residue. Le risorse del Fondo, annualmente determinate con la legge di bilancio, sono iscritte nel bilancio dello Stato sul cap. 7493/Economia, Missione "L'Italia in Europa e nel mondo", programma "Partecipazione italiana alle politiche di bilancio in ambito UE".

 

La relazione illustrativa specifica che tali disposizioni sono finalizzate ad evitare il rischio dell'applicazione d'interessi di mora in caso di ritardato pagamento.

Al riguardo, la relazione illustrativa sottolinea che la scadenza di pagamento dei suddetti contributi è prevista per il primo giorno feriale di ogni anno.

Tale circostanza comporterebbe dei rischi in quanto le ordinarie procedure di spesa di fine anno consentono solo un limitato spazio temporale per rispettare sia le esigenze di chiusura della contabilità sia quelle di riapertura del nuovo anno. In sostanza – si spiega nella relazione - è possibile predisporre il pagamento all'Unione europea con le ordinarie procedure di spesa per il nuovo anno soltanto dopo che la contabilità dell'anno precedente è stata chiusa, generalmente a ridosso delle festività natalizie, e dunque soltanto nei pochi giorni feriali a disposizione tra le festività natalizie e le festività di fine anno.

La relazione sottolinea altresì che la disposizione in esame, che autorizza il Fondo di rotazione ad anticipare le risorse, può altresì risultare funzionale nel caso in cui, a fine anno, dovesse emergere una eventuale possibile mancanza di disponibilità sui capitoli del bilancio dello Stato sui quali sono iscritte le risorse nazionali stanziate per coprire le richieste di il pagamento da parte della Commissione europea.

 

 


 

Articolo 35
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

L’articolo 35 reca una clausola di invarianza finanziaria per tutte le disposizioni del disegno di legge in esame, ad eccezione degli articoli 1, 2 e 33. Tale clausola stabilisce che dall'attuazione della legge non debbano derivare conseguenze finanziarie e che le amministrazioni e le Autorità interessate provvedono, dunque, ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Si ricorda al riguardo che l'articolo 17, comma 6-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di contabilità e di finanza pubblica, prescrive che per le disposizioni corredate da siffatte clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica riporti la valutazione degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione. In ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria.

 

Tale clausola non si applica agli articoli che, invece, comportano oneri per la finanza pubblica. Essi sono specificamente indicati nell’articolo 1 (Attuazione della direttiva 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori – Caso Ares (2019) 1602365), nell’articolo 2 (Disposizioni relative alle prestazioni sociali accessibili ai cittadini di Paesi terzi titolari di alcune categorie di permessi di soggiorno per lavoro, studio e ricerca – Procedura d’infrazione 2019/2100) e all’articolo 33 (Rafforzamento delle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze preposte alle attività di gestione, monitoraggio e controllo degli interventi UE per il periodo di programmazione 2021/2027).

Per la quantificazione e i mezzi di copertura degli oneri derivanti dai suddetti articoli 1, 2 e 33 ? di cui si è precisata l'esclusione dalla presente clausola di invarianza finanziaria ? si rinvia alla relativa scheda di lettura.


 

 



[1]     La Premessa alla Direttiva 2014/54/UE prevede che, “al fine di garantire la corretta applicazione delle norme sostanziali dell'Unione relative alla libera circolazione dei lavoratori e di controllare la conformità a tali norme, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per tutelare i lavoratori dell'Unione e i loro familiari che esercitano il proprio diritto alla libera circolazione contro le discriminazioni fondate sulla nazionalità e contro le restrizioni o gli ostacoli ingiustificati all'esercizio del suddetto diritto”. A tale scopo è opportuno prevedere disposizioni specifiche per l'effettiva attuazione di tale libertà fondamentale che dovrebbe essere assicurata tenendo conto del principio di parità tra uomini e donne e del divieto di qualsiasi forma di discriminazione dei lavoratori dell'Unione e dei loro familiari sancito dall'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

[2]     La Premessa alla Direttiva 2000/78/CE, rappresenta, tra l’altro, che, il principio della parità di trattamento tra uomini e donne è ormai consolidato da un consistente corpus di norme comunitarie, in particolare dalla direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.  Nell'attuazione del principio della parità di trattamento, la Comunità deve mirare, conformemente all'articolo 3, paragrafo 2, del trattato CE, ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne, soprattutto in quanto le donne sono spesso vittime di numerose discriminazioni.

[3]     Riguardo a quest'ultima limitazione, si ricorda che la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 21 giugno 2017 (causa C?449/16) ha affermato che il citato articolo 12 della direttiva 2011/98/UE osta ad una norma nazionale che, per i cittadini di uno Stato non membro dell'Unione europea, aventi titolo per lavorare nello Stato membro in oggetto, escluda il godimento "di una prestazione come l’assegno a favore dei nuclei familiari con almeno tre figli minori". Riguardo all'ambito dei soggetti individuati dal suddetto articolo 12, cfr., più in particolare, infra.

[4]     Cfr. anche l'articolo 13, commi 3 e 4, del regolamento di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159.

[5]     Cfr. infra.

[6]     Più in dettaglio, sempre con riferimento ai figli nati o adottati nel corso del 2020, l'importo complessivo dell'assegno in esame (importo che viene poi suddiviso in quote mensili costanti) è pari a: a) 1.920 euro qualora il valore dell'ISEE non superi i 7.000 euro annui; b) 1.440 euro qualora il valore dell'ISEE sia superiore alla suddetta soglia e non superiore a 40.000 euro; c) 960 euro qualora il valore dell'ISEE sia superiore a 40.000 euro; d) in caso di figlio successivo al primo, l'importo dell'assegno di cui alle lettere a), b) e c) è aumentato del 20 per cento.

[7]     Cfr., in merito, anche supra, in nota.

[8]     La direttiva 2005/36/CE1 fissa le regole secondo cui uno Stato membro, che sul proprio territorio subordina l'accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce le qualifiche professionali acquisite in uno o più altri Stati membri e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione e di avere accesso alla medesima.

[9]     Il regolamento definisce la disciplina delle procedure per l'affidamento e la gestione dei contratti da eseguire all'estero tenuto conto dei principi fondamentali del codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e delle procedure applicate dall'Unione europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte.

[10]   Le attività finanziate con il programma di spesa “Politica commerciale in ambito internazionale” in questione sono: Contributo alla definizione delle strategie di politica commerciale in sede comunitaria e multilaterale, volte tra l'altro a migliorare l'accesso al mercato estero dei beni, dei servizi e degli investimenti. Gestione Accordi di cooperazione economica bilaterale con i Paesi terzi; Difesa commerciale. Autorizzazioni all'import/export, incluse quelle concernenti i prodotti dual use; embarghi; repressione infrazioni in materia di divieti economici. Gestioni cauzioni in ambito PAC e relativo contenzioso”.

[11]   Le attività finanziate con il programma di spesa “Sostegno all'internazionalizzazione delle imprese e promozione del made in Italy” sono: elaborazione di indirizzi strategici delle politiche di internazionalizzazione e promozione scambi. Rapporti con istituzioni economiche finanziarie internazionali. Finanziamenti per l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane. Realizzazione del Piano straordinario per il Made in Italy. Sostegno e vigilanza di enti e associazioni operanti nel settore della promozione. Coordinamento con Regioni. Collaborazione economica con Paesi terzi. Coordinamento missioni diplomazia commerciale. Sostegno a internazionalizzazione imprese e rapporti con la Società Italiana per le Imprese all'Estero. Studi e analisi sul commercio estero. Coordinamento del sostegno pubblico al credito all'export in ambito internazionale. Attività di supporto alla Commissione permanente del CIPE. Gestione di progetti per l'internazionalizzazione nel quadro della programmazione finanziaria europea e nazionale e a valere su utili di bilancio di SIMEST SPA.

[12]   La spesa di tale programma è in buona parte costituita da contributi agli investimenti nonché da trasferimenti correnti ad amministrazioni pubbliche, in particolare, all'ICE Agenzia. Tra gli obiettivi strategici del Programma rientrano infatti le somme per l'attuazione ed il monitoraggio del Piano straordinario del "Made in Italy" di cui all’art. 30 del D.L. n. 133/2014 – iscritte sul cap. 7482 "Fondo per la promozione del Made in Italy". Nel medesimo programma sono altresì stanziati i finanziamenti per il funzionamento dell'Agenzia - ICE per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane da trasferire all’Ente stesso, e le risorse da destinare alla realizzazione di azioni a sostegno di una campagna promozionale straordinaria a favore del made in Italy ai sensi della legge n. 350/2004 (cap. 7481).

[13]   Si definiscono così i prodotti e le tecnologie che possono essere utilizzati per scopi sia civili sia militari, come l'’uranio che può essere utilizzato sia nella generazione di energia elettrica che nelle armi nucleari.

[14]    Esistono 4 tipologie di autorizzazioni di esportazione:

      1) autorizzazioni generali di esportazione dell’UE (EUGEA), che permettono l’esportazione di taluni prodotti a duplice uso verso alcuni paesi e a determinate condizioni (si veda l’allegato II del regolamento); 2) autorizzazioni generali di esportazione nazionali (NGEA), che possono essere emesse da paesi dell’UE, se sono coerenti con le EUGEA esistenti e non si riferiscono a prodotti di cui all’allegato II del regolamento (ad esempio uranio o agenti patogeni umani e animali, come alcuni virus fra cui Ebola); 3) autorizzazioni globali, che sono rilasciate dalle autorità nazionali per un esportatore e possono coprire più prodotti per più paesi o utenti finali; 4) autorizzazioni individuali, che sono rilasciate dalle autorità nazionali a un esportatore e coprono le esportazioni di uno o più prodotti a duplice uso per un utente finale o destinatario in un paese terzo.

[15]   L'allegato I viene aggiornato ogni anno onde allinearsi alle norme internazionali e agli impegni sottoscritti: il gruppo Australia; il regime di non proliferazione nel settore missilistico; il regime di non proliferazione nel settore nucleare; le intese di Wassenaar per il controllo delle esportazioni di armi convenzionali e di prodotti e tecnologie a duplice uso; la convenzione sulle armi chimiche.

[16]   Nel 2013 la Commissione ha iniziato a pubblicare tali relazioni annuali sul controllo delle esportazioni.

[17]   Inoltre, l'articolo 23-bis del regolamento, introdotto con regolamento (UE) n. 599/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, delega alla Commissione il potere di adottare atti (conformemente all'articolo 290 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea), riguardanti la modifica dell'allegato I del regolamento (CE) n. 428/2009. Il potere di adottare atti delegati è stato conferito alla Commissione per un periodo di cinque anni e si è stabilito che "la Commissione elabora una relazione sulla delega di potere al più tardi nove mesi prima della scadenza del periodo di cinque anni".

[18]   Si rammenta che le competenze dell’autorità, come delineate dal comma 2 dell’articolo 4 del D.Lgs. 221/2017 consistono nel rilascio delle autorizzazioni previste per l’esportazione, il trasferimento, l’intermediazione, l’assistenza tecnica ed il transito di prodotti a duplice uso e di prodotti a duplice uso non listati; delle autorizzazioni per il commercio di merci soggette al regolamento antitortura; delle autorizzazioni per il commercio, diretto o indiretto, di prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali.

[19]   L’UAMA - Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento - istituita nel 2012 - ha il compito di rilasciare le autorizzazioni e le proroghe alle operazioni di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, nonché le autorizzazioni alla prosecuzione delle trattative contrattuali per i Paesi non NATO - UE, garantendo l’applicazione della normativa italiana, integrata da quella europea ed internazionale. È diretta da un funzionario della carriera diplomatica di grado non inferiore a ministro plenipotenziario nominato dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

[20]   Nella previgente formulazione della norma, il comitato consultivo aveva un’analoga composizione ma era presieduto dal direttore generale competente per la politica commerciale internazionale del MISE e un rappresentante del medesimo dicastero svolgeva le funzioni di segretario.

[21] La direttiva sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI (adottata il 22 dicembre 2003), attuata dall'Italia con la legge n. 36 del 2008, contenente disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet.

[22] L. 1 ottobre 2012, n. 172, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme di adeguamento dell'ordinamento interno.

[23]  L. 19 luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

[24]   Secondo la definizione contenuta all’art. 4, punto 18), del Reg. (CEE) n. 2913/92, il dichiarante è la persona che fa la dichiarazione in dogana a nome proprio ovvero la persona in nome della quale è fatta una dichiarazione in dogana.

[25]   Attuazione della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici.

[26]   In base a quanto previsto all'articolo 5, comma 2, lettere d) ed e) del D.Lgs. n. 26 del 2014.

[27]   In base all'articolo 16, comma 1, lettera d) del citato D.Lgs. n. 26 del 2014.

[28]   Rispettivamente: c) considerare la necessità' di sottoporre ad altre sperimentazioni un animale che sia già stato utilizzato in  una  procedura,  fino a quelle in cui l'effettiva gravità delle procedure  precedenti era classificata come «moderata» e quella successiva appartenga allo stesso livello di dolore o  sia  classificata  come  «lieve»  o  «non risveglio», ai sensi dell'articolo 16 della direttiva 2010/63/UE; e f) vietare l'utilizzo di animali per gli esperimenti  bellici,  per gli xenotrapianti e per le ricerche su sostanze d'abuso, negli ambiti sperimentali  e  di  esercitazioni  didattiche  ad  eccezione  della formazione  universitaria  in  medicina   veterinaria   e   dell'alta formazione dei medici e dei veterinari;

[29]   In particolare, vengono introdotte, in difformità della normativa europea in materia, le seguenti disposizioni:

·       divieto degli esperimenti e delle procedure che non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse comportino dolore all'animale, ad eccezione dei casi di sperimentazione di anestetici o di analgesici;

·       divieto di utilizzo di animali per gli esperimenti bellici, per gli xenotrapianti e per le ricerche su sostanze d'abuso, negli ambiti sperimentali e di esercitazioni didattiche prevedendo una deroga per le esercitazioni didattiche nell'ambito della formazione universitaria in medicina veterinaria e dell'alta formazione dei medici e dei veterinari;

·       divieto di allevare, ma non di utilizzare, nel territorio nazionale cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione.

[30] La Relazione è stata presentata il 28 luglio 2020 in ottemperanza all’obbligo previsto al comma 2-bis, del sopra richiamato articolo 42 del D.Lgs. 26/2014, come novellato dall’articolo 25, comma 2-bis del DL. 162/2019 (L. 8/2020) di proroga di alcuni termini legislativi, che ne ha previsto la presentazione entro il termine ordinatorio del 30 giugno 2020.

[31]   Sul punto, si ricorda che, a livello europeo, è stato creato il Laboratorio di riferimento dell'Unione per la convalida di metodi alternativi ai test sugli animali (European Union Reference Laboratory for alternatives to animal - EURL ECVAM), che ha contribuito a definire i principi di base della validazione e le procedure in grado di ridurre, rifinire e rimpiazzare l'uso di animali da laboratorio. La definizione di tali metodi è comunemente conosciuta come il Principio delle 3Rs, dall'inglese Replacement, nel caso l'animale venga completamente sostituito; Reduction, se si riesce ad attuare lo stesso esperimento con un numero inferiore di animali; Refinment, ovvero qualsiasi metodo o approccio che impedisce o riduce l'esistente o potenziale condizione di pena, dolore o qualsiasi condizione avversa all'animale.

[32]   La Commissione Igiene e sanità del Senato ha espresso parere favorevole con osservazioni. La Commissione Affari sociali della Camera ha invece approvato parere contrario. Con il parere approvato, la Commissione ha espresso anche la preoccupazione che l'introduzione di norme più restrittive rispetto a quelle della direttiva possa escludere l'Italia dal circuito dei grandi progetti di ricerca internazionale che prevedono l'uso di animali da laboratorio. Entrambe le Commissioni parlamentari hanno inoltre sottolineato l'inadeguatezza dei fondi previsti per lo sviluppo di metodi alternativi.

[33]   Recante la definizione di autorità competente.

[34]   Disciplinante i poteri e le funzioni delle autorità competenti.

[35]   Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[36]   Recante "Attuazione della direttiva 2003/17/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel".

[37]   La parte 1, punto 2, primo periodo, dell'allegato 1 prevede che i biocarburanti e i bioliquidi che non soddisfano i criteri di sostenibilità, con le modalità, i limiti e le decorrenze fissate dal D.Lgs. 28/2011, non sono presi in considerazione.

[38]   Recante " Attuazione della direttiva (UE) 2015/652 che stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di comunicazione ai sensi della direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel e della direttiva (UE) 2015/1513 che modifica la direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, e la direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili".