Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Giustizia |
Titolo: | Riforma del Processo civile |
Riferimenti: | AC N.3289/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 277/1 |
Data: | 18/10/2021 |
Organi della Camera: | II Giustizia |
Servizio Studi
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Dossier n. 225/2
Servizio Studi
Dipartimento Giustizia
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Progetti di legge n. 277/1
GI0115a
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CONTENUTO DEL DISEGNO DI LEGGE
Articolo 1, comma 1-3 (Oggetto della delega e procedimento per il suo esercizio)
Articolo 1, comma 4 (Strumenti di risoluzione alternativa delle controversie)
Articolo 1, comma 7 (Processo di cognizione di primo grado davanti al giudice di pace)
Articolo 1, comma 8 (Giudizio di appello)
Articolo 1, comma 9 (Giudizio innanzi alla Corte di Cassazione)
Articolo 1, comma 11 (Procedimenti di impugnazione dei licenziamenti)
Articolo 1, comma 12 (Processo di esecuzione)
Articolo 1, comma 13 (Procedimenti di volontaria giurisdizione)
Articolo 1, comma 15 (Arbitrato)
Articolo 1, comma 16 (Revisione della normativa in materia di consulenti tecnici)
Articolo 1, comma 17 (Disposizioni per l'efficienza dei procedimenti civili)
Articolo 1, commi 18 e 19 (Ufficio per il processo )
Articolo 1, comma 20 (Notificazioni)
Articolo 1, comma 21 (Doveri di collaborazione delle parti e dei terzi)
Articolo 1, comma 22 (Coordinamento con le disposizioni vigenti)
Articolo 1, comma 23 (Procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie)
Articolo 1, comma 26 (Procedimenti in tema di responsabilità genitoriale)
Articolo 1, comma 35 (Modifiche alla disciplina della negoziazione assistita)
Articolo 1, comma 37 (Efficacia commi da 27 a 36)
Articolo 1, commi 38-44 (Disposizioni finanziarie)
Il disegno di legge A.C. 3289, approvato dal Senato lo scorso 21 settembre 2021, prevede una delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie nonché una serie di misure urgenti per la razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie e in materia di esecuzione forzata.
E' opportuno ricordare che al Senato il disegno di legge A.S. 1662 è stato presentato dal Governo Conte II il 9 gennaio 2020, e che, successivamente, con la formazione del Governo Draghi, il Ministro della giustizia Cartabia, nel mese di marzo 2021, ha insediato una Commissione di studio per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti allo stesso alternativi, attraverso la formulazione di puntuali proposte emendative al d.d.l. 1662 (c.d. Commissione Luiso).
Sulla base dei lavori di questa Commissione, il 16 giugno 2021 il Governo ha presentato una serie di emendamenti al testo originario. La Commissione giustizia ha concluso l'esame del provvedimento il 14 settembre 2021.
In Assemblea il Governo ha presentato un maxiemendamento, che ha recepito le modifiche approvate in sede referente, sulla cui approvazione ha posto la questione di fiducia. Per questa ragione il disegno di legge che giunge all’esame della Camera si compone di un unico articolo suddiviso in 44 commi.
Il provvedimento, analogamente alla parallela riforma del processo penale, presenta dunque un duplice contenuto: da una parte delega il Governo alla riforma del processo civile, dettando specifici principi e criteri direttivi, e dall’altra modifica direttamente alcune disposizioni sostanziali e processuali relative ai procedimenti in materia di diritto di famiglia, esecuzione forzata e accertamento dello stato di cittadinanza.
In sintesi, per quanto riguarda la delega al Governo per la riforma del processo civile, il disegno di legge fissa in un anno dall’entrata in vigore della legge il termine per l’esercizio della delega e delinea il procedimento per l’adozione dei decreti legislativi valorizzando il ruolo del parere delle commissioni parlamentari (art. 1, commi 1-3).
Quanto ai principi e criteri direttivi della riforma, il disegno di legge interviene anzitutto sugli istituti di risoluzione alternativa delle controversie (mediazione delle controversie civili e commerciali e negoziazione assistita) con la finalità di incentivarli, adottando un testo unico in materia di procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie, aumentando gli incentivi fiscali, estendendo a tali istituti l’applicabilità del gratuito patrocinio, estendendo l’ambito delle controversie per le quali il previo tentativo di mediazione è condizione di procedibilità, favorendo la partecipazione delle parti a tali procedure, anche con modalità telematiche, disciplinando le attività di istruzione stragiudiziale, potenziando la formazione e l’aggiornamento dei mediatori e la conoscenza di questi strumenti presso i giudici (art. 1, comma 4). Principi e criteri direttivi sono dettati anche per la modifica della disciplina dell'arbitrato, con la finalità di rafforzare le garanzie di indipendenza degli arbitri nonché, in particolare, di disciplinare l’esecutività del lodo straniero e di consentire agli arbitri di adottare misure cautelari (art. 1, comma 15).
Specifici principi e criteri direttivi sono dettati per la riforma del processo di cognizione di primo grado. In merito il disegno di legge prevede:
§ la revisione della disciplina del processo dinanzi al tribunale in composizione monocratica assicurandone la semplicità, la concentrazione, l'effettività della tutela e la ragionevole durata, attraverso la modifica del contenuto dell'atto di citazione e della comparsa di risposta e la valorizzazione delle fasi anteriori alla prima udienza al fine di definire il quadro delle rispettive pretese e dei mezzi di prova richiesti. Inoltre, la riforma dovrà valorizzare la prima udienza di comparizione, incentivando la partecipazione personale delle parti e disponendo che il giudice debba fissare la successiva udienza per l’assunzione delle prove entro 90 giorni; prevedere alcune modifiche riguardanti la fase decisoria, al fine di favorire la riduzione della durata dei procedimenti, imponendo termini temporali perentori acceleratori; ampliare la possibilità per il giudice di conciliare le parti, consentendogli di formulare una proposta fino al momento in cui la causa non viene rimessa in decisione; riformare, ricollocare e rinominare il procedimento sommario di cognizione, estendendone il campo d’applicazione a tutte le controversie nelle quali i fatti in causa siano tutti non controversi, l'istruzione basata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque non presenti profili di complessità; prevedere la possibilità che il giudice pronunci ordinanza provvisoria (di accoglimento o di rigetto) nel giudizio di primo grado in materia di diritti disponibili di competenza del tribunale, quando la domanda dell'attore, ovvero le ragioni del convenuto, risultino manifestamente infondate; disciplinare i rapporti tra collegio e giudice monocratico (art. 1, comma 5);
§ la riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e l’introduzione, anche in quelle ipotesi, di un nuovo regime di preclusioni e di fissazione dell'oggetto della causa, analogo a quello previsto per le controversie di competenza del giudice monocratico (art. 1, comma 6);
§ l’uniformazione del rito davanti al giudice di pace al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e la rideterminazione della competenza del giudice di pace in materia civile (art. 1, comma 7);
§ l’unificazione del rito per l’impugnazione dei licenziamenti (art. 1, comma 11).
Inoltre, con riferimento ai procedimenti di volontaria giurisdizione, il Governo è delegato a ridurre le ipotesi nelle quali nei procedimenti in camera di consiglio il tribunale è chiamato a provvedere in composizione collegiale (art. 1, comma 13) e, con riferimento alle controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri, a conformare la legislazione nazionale alla normativa europea regolando i rapporti in alcune materie di ambito civilistico del diritto internazionale privato (art. 1, comma 14).
Nella riforma delle impugnazioni, il disegno di legge detta principi e criteri direttivi per modificare la disciplina dell’appello, del ricorso in cassazione e della revocazione. In particolare, quanto al giudizio di appello, la delega prevede (art. 1, comma 8):
· il superamento dell’attuale disciplina del c.d. filtro in appello, prevedendo la possibilità di dichiarare manifestamente infondata l'impugnazione che non ha possibilità di essere accolta;
· la modifica della disciplina della provvisoria esecutività delle sentenze appellate, volta a rimettere al giudice la possibilità di sospendere l’esecutività a fronte di una prognosi di fondatezza dell’impugnazione o di gravità e irrimediabilità del pregiudizio derivante dall’esecuzione;
· la reintroduzione della figura del consigliere istruttore, giudice designato dal presidente del collegio e deputato all'espletamento dell'intera fase prodromica alla decisione;
· la limitazione delle ipotesi di rimessione della causa in primo grado ai soli casi di violazione del contraddittorio.
Per quanto riguarda il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, la delega prevede, anzitutto, la riforma del c.d. filtro in Cassazione, con la previsione di un procedimento accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. In particolare, se il giudice (giudice filtro, in luogo della sezione filtro) ravvisa uno dei possibili suddetti esiti, lo comunica alle parti lasciando loro la possibilità di optare per la richiesta di una camera di consiglio ovvero per la rinuncia al ricorso. Quest’ultima possibilità è incentivata escludendo per il soccombente il pagamento del contributo unificato altrimenti dovuto a titolo sanzionatorio. La riforma, inoltre, prevede l’introduzione del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, da parte del giudice di merito, di una questione di diritto (art. 1, comma 9).
Inoltre, viene prevista l’introduzione di una nuova ipotesi di revocazione della sentenza civile quando il contenuto di una sentenza passata in giudicato sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione ovvero a uno dei suoi Protocolli (art. 1, comma 10).
Principi e criteri direttivi sono dettati anche per la riforma di diversi ambiti del processo di esecuzione. In particolare, il disegno di legge (art. 1, comma 12) prevede:
§ la sostituzione dell’iter di rilascio della formula esecutiva con la mera attestazione di conformità della copia al titolo originale;
§ con riguardo al pignoramento, la sospensione dei termini di efficacia dell’atto di precetto che consenta al creditore, munito di titolo esecutivo e di atto di precetto, di predisporre un’istanza, rivolta al presidente del Tribunale, per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare nonché la riduzione dei termini previsti per la sostituzione del custode nominato in sede di pignoramento
§ la riduzione del termine per il deposito della documentazione ipotecaria e catastale;
§ l’accelerazione nella procedura di liberazione dell'immobile quando è occupato sine titulo o da soggetti diversi dal debitore;
§ la riforma dell’istituto della delega delle operazioni di vendita al professionista delegato, al fine di individuare gli adempimenti che il professionista deve espletare e i tempi in cui gli stessi devono essere compiuti e di fornire al giudice dell’esecuzione la possibilità di svolgere l’attività di controllo;
§ l’introduzione di specifiche regole riguardanti la vendita privata nel procedimento di espropriazione immobiliare, prevedendo che il debitore possa essere autorizzato dal giudice dell'esecuzione a vendere direttamente il bene pignorato, per un prezzo non inferiore al suo valore di mercato;
§ l’individuazione dei criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta;
§ l’estensione degli obblighi antiriciclaggio anche agli aggiudicatari e l’introduzione dell’obbligo per il giudice di verificare l'avvenuto rispetto di tali obblighi ai fini dell’emissione del decreto di trasferimento;
§ l’istituzione presso il Ministero della Giustizia della "Banca dati per le aste giudiziali".
Per quanto riguarda le disposizioni generali del codice di procedura civile, il disegno di legge contiene principi e criteri direttivi volti a:
§ modificare la disciplina relativa all’Ufficio per il processo, prevedendone l’istituzione anche presso la Corte di Cassazione e la Procura Generale e modellandone i compiti sulle specificità funzionali e organizzative della Corte stessa (art. 1, comma 18). Per l’attuazione di queste previsioni, inoltre, è autorizzata l’assunzione di 500 unità di personale (III area funzionale, posizione economica F1) con contratto di lavoro a tempo indeterminato (art. 1, comma 19);
§ intervenire sui procedimenti di notifica incentivando il ricorso allo strumento informatico (art. 1, comma 20);
§ rafforzare i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi, prevedendo, in particolare, che il soccombente che sia incorso in responsabilità aggravata possa essere obbligato al pagamento di una sanzione in favore della Cassa delle ammende, e che possano essere previste conseguenze processuali o economiche a fronte dell’ingiustificato rifiuto a consentire ispezioni (art. 1, comma 21);
§ prevedere disposizioni di coordinamento con particolare riferimento all’individuazione dei rimedi preventivi, da esperire per conseguire il rispetto del termine di ragionevole durata del processo, e ai tempi e modi per far valere il difetto di giurisdizione (art. 1, comma 22).
Specifici principi di delega sono dedicati alla riforma dei procedimenti in materia di diritti delle persone e della famiglia e all’istituzione del nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.
In particolare, (art. 1, comma 23) il disegno di legge enuncia i princìpi e criteri direttivi per l’introduzione, nel codice di procedura civile, di un rito unificato applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie, attualmente attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare. In relazione a tale procedimento il Governo dovrà intervenire con riguardo, tra l’altro: ai criteri per l’attribuzione della competenza del giudice, alle norme procedurali in merito allo svolgimento dell'udienza di comparizione delle parti, alle domande riconvenzionali del convenuto, al tentativo obbligatorio di conciliazione alla prima udienza e alla possibilità da parte del giudice relatore di invitare le parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare. Ulteriori principi di delega concernono la razionalizzazione dei tempi delle fasi istruttoria e decisoria, nonché l’adozione di provvedimenti cautelari da parte del giudice relatore in costanza di lite. Specifici principi concernono l’abbreviazione dei termini processuali e la concreta attuazione dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore, in presenza di segnalazioni di comportamenti di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l'altro genitore.
Il Governo dovrà inoltre introdurre specifiche disposizioni relative: all'attività professionale del mediatore familiare; alla nomina di un professionista, dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare e alla regolamentazione della consulenza tecnica psicologica; alla disciplina delle modalità di nomina del curatore speciale del minore; al riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore; alla nomina del tutore del minore, anche d'ufficio, nel corso e all'esito dei procedimenti sulla responsabilità genitoriale.
Specifici criteri organizzativi sono volti a regolamentare l'intervento dei servizi socio-assistenziali e sanitari e delle attività di controllo, monitoraggio, verifica di situazioni in cui sono coinvolti minori. La delega al Governo concerne inoltre la revisione della disciplina nei procedimenti per la tutela e l'affidamento dei minori, con riguardo alle cause di incompatibilità all’assunzione dell'incarico di consulente tecnico d'ufficio nonché allo svolgimento delle funzioni di assistente sociale, nonché alle incompatibilità per i giudici onorari e con riguardo all’introduzione del divieto di affidamento dei minori a talune categorie di persone.
Il Governo dovrà inoltre: introdurre un unico rito con riguardo ai procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio; predisporre un’autonoma regolamentazione per il giudizio di appello per tutti i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie; introdurre la reclamabilità al tribunale dei provvedimenti adottati dal giudice tutelare.
A completamento di questo disegno riformatore, il provvedimento all’esame della Commissione enuncia princìpi e criteri direttivi per l'istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, destinato a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni (acquisendo dunque competenze sia civili che penali) e ad assorbire le competenze civili del tribunale ordinario in materia di stato e capacità delle persone e famiglia. Il tribunale si articolerà in una sezione distrettuale, costituita presso ciascuna sede di corte di appello, e sezioni circondariali, costituite presso ogni sede di tribunale ordinario del distretto. La delega detta disposizioni sull’assegnazione del personale di magistratura (togati e onorari) e amministrativo e prevede che la riforma acquisti efficacia trascorsi due anni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi (art. 1, comma 24).
Le necessarie norme di coordinamento delle disposizioni vigenti con la suddetta riforma e una disciplina transitoria per la rapida trattazione dei procedimenti pendenti ai fini del passaggio alla nuova autorità giudiziaria e ai nuovi riti dovranno essere adottate dal Governo entro il 31 dicembre 2024 (art. 1, comma 25).
Infine, il disegno di delega prevede la riforma dell’articolo 336 del codice civile, che disciplina il procedimento per l’adozione dei provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale, per garantire l’ascolto del minore e la valorizzazione del ruolo del suo curatore speciale (art. 1, comma 26).
L’articolo 1 del disegno di legge, a partire dal comma 27, introduce modifiche alla legislazione vigente destinate ad essere applicate ai procedimenti instaurati a decorrere dal 180° giorno successivo all’entrata in vigore della legge (art. 1, comma 37). Si tratta di interventi sul codice civile e sulle relative disposizioni di attuazione, sul codice di procedura civile e sulle relative disposizioni di attuazione, per le quali il legislatore non utilizza lo strumento della delega al Governo, ma introduce direttamente le modifiche alla legislazione vigente, destinate potenzialmente a divenire efficaci prima dell’esercizio della delega (per il quale il Governo, in base al comma 1, ha a disposizione un anno).
In particolare, alcune di queste previsioni sono finalizzate a introdurre misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie. In merito, il disegno di legge:
§ interviene sull'articolo 403 del codice civile, che disciplina il provvedimento di allontanamento dei minori dall’ambiente familiare, per modificare i presupposti per l’adozione della misura e disciplinare dettagliatamente il procedimento successivo all’intervento della pubblica autorità, che coinvolge il pubblico ministero, il tribunale per i minorenni e – eventualmente – la corte d’appello (art. 1, comma 27);
§ modifica il riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, di cui all’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, concentrando le competenze in ragione della natura dei procedimenti, con conseguente attribuzione al tribunale ordinario della competenza su tutti i procedimenti de potestate quando sia pendente tra le stesse parti un giudizio di separazione e divorzio (art. 1, comma 28);
§ interviene sull'articolo 78 del codice di procedura civile, relativo al curatore speciale, al fine di estendere la possibilità per il giudice di procedere alla nomina del curatore speciale del minore; tale nomina, in alcuni specifici casi, è da considerarsi obbligatoria, pena la nullità degli atti del procedimento (art. 1, comma 30);
§ modifica l’articolo 80 del codice di procedura civile, sempre in tema di curatore speciale del minore, per prevedere che egli debba procedere all’ascolto del minore e che possano essergli attribuiti specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Vengono inoltre disciplinati i presupposti e il procedimento per la revoca del curatore speciale (art. 1, comma 31);
§ modifica la disciplina relativa alla soluzione delle controversie insorte tra genitori, di cui all’articolo 709-ter del codice di procedura civile, per consentire al giudice di disporre, oltre che il risarcimento danni a carico di un genitore nei confronti dell’altro, anche il pagamento di una somma di denaro dovuta per ciascun giorno di inottemperanza da parte del genitore ai provvedimenti del giudice (art. 1, comma 33);
§ interviene sugli articoli 13 e 15 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, al fine di aggiungere, nell'albo dei consulenti tecnici tenuto da ciascun tribunale la categoria dei neuropsichiatri infantili, degli psicologi dell’età evolutiva e degli psicologi giuridici o forensi, individuando le specifiche caratteristiche richieste al professionista per accedere all’albo (art. 1, comma 34);
§ modifica la disciplina della negoziazione assistita per la soluzione consensuale delle controversie in materia di separazione dei coniugi, di cui all’art. 6 del decreto-legge n. 132 del 2014, per estendere l’applicazione di questo istituto anche per la soluzione consensuale delle controversie tra genitori relative all’affidamento e al mantenimento di figli naturali, al mantenimento di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e agli obblighi alimentari (art. 1, comma 35).
Ulteriori novelle al codice di procedura civile introducono misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di esecuzione forzata. In particolare, il disegno di legge interviene sul foro competente per l’espropriazione forzata di crediti, quando debitore sia una pubblica amministrazione (art. 1, comma 29), e sulla procedura di pignoramento nell’espropriazione presso terzi (art. 1, comma 32).
Inoltre, con riferimento alle controversie relative all’accertamento dello stato di cittadinanza italiana, il disegno di legge modifica i criteri di individuazione del foro competente per il giudizio, così da deflazionare l’attuale carico della sezione specializzata istituita presso il tribunale di Roma (art. 1, comma 36).
Infine, gli ultimi commi dell’articolo 1 (commi da 38 a 44) recano le disposizioni finanziarie. Presentano carattere oneroso solo le norme di delega relative agli incentivi fiscali per la mediazione, al giudizio accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili in Corte di cassazione e alle assunzioni di personale amministrativo per l’ufficio del processo. In particolare, a quest’ultimo onere si fa fronte con la riduzione delle autorizzazioni ad assumere personale dell’amministrazione giudiziaria già previste dalla legge di bilancio 2021.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di delega, il Governo dovrà adottare uno o più decreti legislativi di riforma (“riassetto forma e sostanziale”) del processo civile, novellando il codice di rito e le leggi processuali speciali, nel rispetto della garanzia del contraddittorio e dei principi e criteri direttivi previsti dai successivi commi. Obiettivi dichiarati del processo riformatore dovranno essere la semplificazione, la speditezza e la razionalizzazione del processo civile.
La procedura da seguire nell’attuazione della delega è delineata dal comma 2 dell’articolo 1, che prevede che gli schemi di decreto legislativo siano adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale.
Su tali schemi dovrà essere acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si dovranno esprimere entro 60 giorni dalla ricezione degli schemi medesimi; in caso di inutile decorso del termine, i decreti potranno essere emanati anche senza i prescritti pareri.
Al fine di consentire al Governo di tenere in debito conto i pareri parlamentari, se il termine per l’espressione del parere parlamentare dovesse scadere nei 30 giorni antecedenti la scadenza del termine per l’esercizio della delega, quest’ultimo sarebbe prorogato di 60 giorni (c.d. scorrimento del termine per l’esercizio della delega).
Il comma 2 prevede, inoltre, che se il Governo non intenderà conformarsi ai pareri, gli schemi dovranno essere ritrasmessi alle Camere, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni dovranno in tal caso esprimersi entro 20 giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine i decreti legislativi potranno essere comunque emanati.
La medesima procedura dovrà essere seguita qualora, entro due anni dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi di attuazione della delega, il Governo ritenga necessario adottare disposizioni integrative e correttive della riforma (comma 3).
Il comma 4 dell’articolo 1 individua pincipi e criteri direttivi per la modifica degli istituti di risoluzione alternativa delle controversie della mediazione delle controversie civili e commerciali e della negoziazione assistita.
In particolare, il Governo è delegato ad incentivare il ricorso a tali strumenti, adottando un testo unico in materia di procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie, aumentando gli incentivi fiscali, estendendo a tali istituti l’applicabilità del gratuito patrocinio, estendendo l’ambito delle controversie per le quali il previo tentativo di mediazione è condizione di procedibilità, favorendo la partecipazione delle parti a tali procedure, anche con modalità telematiche, disciplinando le attività di istruzione stragiudiziale, potenziando la formazione e l’aggiornamento dei mediatori e la conoscenza di questi strumenti presso i giudici.
La lettera a) individua alcuni principi e criteri direttivi per il riordino e la semplificazione degli incentivi fiscali riconosciuti dall’ordinamento a fronte delle spese sostenute nei procedimenti di stragiudiziali di risoluzione delle controversie. In particolare, il Governo è delegato a:
§ aumentare l'esenzione dall'imposta di registro nei procedimenti di mediazione, rispetto a quanto attualmente previsto dall'art. 17, comma 3, del d. lgs. n. 28 del 2010.
La disposizione attuale stabilisce che il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro; l'imposta è dovuta solo per la parte eccedente. La lettera a) in esame prevede quindi l'incremento di tale soglia per la fruizione del beneficio. Al riguardo, si segnala che la norma di delega non reca la determinazione della nuova soglia per l'esenzione. La relazione tecnica di accompagnamento al maxiemendamento del Governo al Senato chiarisce che la quantificazione dell'onere è basata sull'innalzamento della soglia predetta a 100.000 euro. La nuova soglia qui proposta era stata, peraltro, prospettata dalla relazione della Commissione Luiso.
§ semplificare la procedura per la determinazione del credito d'imposta riconosciuto alle parti in caso di successo della mediazione. Attualmente tale credito di imposta è disciplinato dall'art. 20 del d. lgs. n. 28 del 2010 che lo riconosce per un massimo di 500 euro.
Il citato art. 20 del decreto legislativo n. 28 del 2010 prevede che il Ministro della giustizia, con proprio decreto, determini, entro il 30 aprile di ciascun anno, l'ammontare delle risorse destinate alla copertura delle minori entrate conseguenti al riconoscimento del credito d'imposta (a valere su quota parte del «Fondo unico giustizia»). Il Ministero della giustizia provvede successivamente a versare tali risorse finanziarie ad apposita contabilità speciale dell'Agenzia delle entrate. Con il medesimo decreto del Ministro della giustizia è individuato il credito d'imposta effettivamente spettante in relazione all'importo di ciascuna mediazione, in misura proporzionale alle risorse stanziate e nei limiti delle stesse. Successivamente il Ministero della giustizia comunica all'interessato l'importo del credito d'imposta spettante (entro 30 giorni dal termine indicato per la sua determinazione) e trasmette all'Agenzia delle entrate, in via telematica, l'elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.
§ riconoscere un ulteriore credito di imposta commisurato al compenso dell’avvocato che assiste la parte nella mediazione, nei limiti dei parametri forensi (cfr. decreto del Ministro della giustizia n. 55 del 2014 e successive modificazioni).
§ riconoscere un credito di imposta commisurato al valore del contributo unificato versato dalle parti nel giudizio, quando quest’ultimo sia estinto a seguito di proficuo ricorso alla mediazione.
Si ricorda che il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, è disciplinato dall'art. 9 del testo unico in materia di spese di giustizia (di cui al d.P.R. n. 115 del 2002). L'art. 13 ne fissa gli importi. L'art. 10 stabilisce le esenzioni.
§ estendere il gratuito patrocinio alle procedure di mediazione (di cui al citato decreto legislativo n. 28 del 2010) e di negoziazione assistita (di cui al decreto-legge n. 132 del 2014) e riconoscere un credito di imposta a favore degli organismi di mediazione, commisurato alla parte non esigibile dell’indennità che avrebbe dovuto corrispondere colui che è stato ammesso al gratuito patrocinio;
Il Governo dovrà inoltre riformare le spese di avvio della procedura di mediazione e le indennità spettanti agli organismi di mediazione.
Per quanto concerne la disciplina delle indennità dovute agli organismi di mediazione, l'art. 17, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 2010, demanda ad un decreto ministeriale: la determinazione della misura (massima e minima) delle indennità spettanti agli organismi pubblici di mediazione; i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati; le maggiorazioni dovute (nella misura massima del 25%) in caso di successo della mediazione nonché le riduzioni nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità.
I commi 5 e 5-bis stabiliscono che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda (art. 5, commi 1 e 1-bis del decreto legislativo n. 28) ovvero quando la mediazione è disposta dal giudice (art. 5, comma 2, del medesimo decreto legislativo) all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115 del 2002). Tale articolo 76 (L) reca i requisiti reddituali per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cui è dedicata la Parte Terza del medesimo testo unico, la quale si compone degli articoli da 74 (L) a 145 (L)).
Il comma 5-ter del citato art. 17 stabilisce che nessuna indennità è dovuta in caso di mancato accordo all'esito del primo incontro. Inoltre, il comma 7 stabilisce che l'ammontare dell'indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione degli indici Istat.
Il decreto del Ministro della giustizia n. 180 del 2010, e successive modificazioni, reca i criteri per la determinazione delle indennità (oltre alla disciplina inerente al registro degli organismi di mediazione e all'elenco dei formatori per la mediazione). L'art. 16 del decreto chiarisce che l'indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.
Riguardo alle spese di avvio del procedimento, le parti devono 40 euro per le liti di valore fino a 250.000 euro, 80 euro per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate. L'importo è versato dall'istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L'importo è dovuto anche in caso di mancato accordo. Il decreto reca quindi apposita tabella relativa alle spese di mediazione.
Infine, la lettera a) delega il Governo a monitorare i limiti della spesa previsti per l'attuazione di queste disposizioni al fine di prevedere - al verificarsi di scostamenti dai predetti limiti di spesa- l'incremento del contributo unificato a copertura delle ulteriori spese emerse in sede di monitoraggio.
Una specifica norma di copertura degli oneri connessi all’attuazione dell’art. 1, comma 4, lettera a) del disegno di legge è prevista all’art. 1, comma 39 (v. infra).
La lettera b) delega il Governo ad adottare un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione (TUSC), per raccogliere le disposizioni che disciplinano procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie (escludendo l’istituto dell’arbitrato) armonizzando la normativa.
A partire dalla lettera c) il comma 4 dell’articolo 1 detta una serie di principi e criteri direttivi per la riforma della mediazione.
Si ricorda che la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è contenuta nel decreto legislativo n. 28 del 2010 (come modificato dal decreto-legge n. 69 del 2013) che - in relazione a specifiche controversie – attribuisce alla mediazione un carattere obbligatorio; ciò comporta che il previo esperimento di un tentativo di conciliazione rappresenta una condizione di procedibilità della successiva azione in sede civile.
Le controversie per le quali la mediazione è condizione di procedibilità dell'azione attengono alle seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità nonché contratti assicurativi, bancari e finanziari.
La disciplina della mediazione inoltre si caratterizza:
- per l’obbligatorietà dell’assistenza di un avvocato;
- per una durata che non può essere superiore a 3 mesi.
Il Ministero della giustizia predispone semestralmente relazioni statistiche sull’applicazione della mediazione; le ultime rilevazioni sono relative all'intero anno 2020.
In particolare, la lettera c) delega il Governo a intervenire sul comma 1-bis, dell'art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010 al fine di estendere l’obbligatorietà della mediazione, ai fini della proposizione della domanda in sede civile, alle controversie in materia di contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, d’opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e subfornitura, fatti salvi i casi per i quali la legge già prevede altre procedure obbligatorie di soluzione stragiudiziale delle controversie.
Quando il tentativo di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, le parti dovranno essere necessariamente assistite da un difensore e la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo. In ogni caso, lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.
La disposizione in esame, inoltre, prevede un monitoraggio dell'attuazione della delega che, a distanza di 5 anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo di estensione dell’obbligatorietà della mediazione, conduca ad una valutazione sull'opportunità del mantenimento della mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione civile.
Si ricorda che attualmente il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione, ai fini della procedibilità in sede civile dell’azione, è previsto per talune controversie dalle seguenti fonti legislative diverse, che individuano modalità alternative: l’art. 5 del già richiamato d.lgs. n. 28 del 2010 e la legge n. 24 del 2017, che disciplina la responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.
L'istituto della mediazione obbligatoria è stato stabilizzato, nel nostro ordinamento, dall'art. 11-ter del decreto-legge n. 50 del 2017 (come convertito dalla legge n. 96 del 2017) il quale ha novellato il comma 1-bis del citato art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010.
Riguardo all'obbligatorietà della mediazione era intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012, che aveva dichiarato questo aspetto della disciplina incostituzionale per eccesso di delega, in quanto la legge delega n. 69 del 2009 non aveva introdotto alcun principio o criterio direttivo sul punto dell'obbligatorietà del tentativo di mediazione. È successivamente intervenuto il decreto-legge n. 69 del 2013, che aveva reintrodotto le disposizioni sul carattere obbligatorio della mediazione pur affermandone la natura transitoria e sperimentale (per 4 anni, a partire dal 21 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto). Come detto, il decreto-legge n. 50 ha reso stabile tale disciplina.
In particolare, l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 prevede, al comma 1-bis (e successive modificazioni), che chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità nonché contratti assicurativi, bancari e finanziari, nonché in materia assicurativa, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
I dati statistici forniti dal Ministero della giustizia (e richiamati dalla Commissione Luiso) sulla mediazione obbligatoria nel 2020 mostrano come la mediazione viene avviata, nella grande maggioranza dei casi, solo nelle materie ove la mediazione è obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis: l'87,1% delle mediazioni è stato avviato in tali materie (di queste, il 12,1% demandate dal giudice per improcedibilità). Il 12% delle mediazioni ha riguardato le materie in cui non è previsto il primo incontro come condizione di procedibilità; lo 0,9% delle mediazioni è stato demandato dal giudice. L'accordo è stato raggiunto: nel 28% delle mediazioni obbligatorie; nel 15% delle mediazioni demandate dal giudice per improcedibilità.
La lettera d) stabilisce che in sede di riforma il Governo dovrà individuare la parte tenuta a presentare la domanda di mediazione nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo per i quali la mediazione sia obbligatoria, nonché disciplinare il regime del medesimo decreto ingiuntivo ove la parte obbligata non abbia soddisfatto la condizione di procedibilità.
In merito, si ricorda che la Corte di cassazione, sez. unite civili, nella sentenza n. 19596 del 18 settembre 2020 ha chiarito che «nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo» (estratto dalla massima). Si è espressa conformemente la sezione III della Corte con l'ordinanza n. 159 dell'8 gennaio 2021.
La lettera e) delega il Governo a intervenire sulle procedure di mediazione, al fine di favorire la partecipazione effettiva delle parti e il reale confronto sulla controversia, disciplinando altresì le conseguenze della mancata partecipazione.
Al riguardo, il criterio di delega della lettera f) stabilisce che la possibilità di delegare la partecipazione agli incontri ad altri soggetti venga limitata all'impossibilità di partecipazione personale per giustificati motivi. Tanto per le persone fisiche, quanto per le persone giuridiche e gli enti, il soggetto delegato dovrà essere a conoscenza dei fatti e degli interessi della parte e dovrà essere dotato dei poteri necessari a risolvere la controversia.
La lettera g) interviene sulla responsabilità contabile dei rappresentanti delle pubbliche amministrazioni. La disposizione reca un criterio di delega che prevede l'esclusione (sia con riferimento alla conciliazione in sede di mediazione, sia in sede giudiziale) della responsabilità contabile, ferma restando la responsabilità per dolo o colpa grave «consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti».
Riguardo all'ambito di applicazione, la disposizione fa riferimento alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in materia di pubblico impiego.
Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, qui richiamato, per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300 del 1999 (recante "Riforma dell'organizzazione del Governo").
Si segnala, inoltre, che l'art. 21, comma 2, del decreto-legge n. 76 del 2020 (come convertito dalla legge n. 120 del 2020 e come ulteriormente modificato) limita, con riguardo ai fatti commessi dal 17 luglio 2020 al 30 giugno 2023, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità, ai soli casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente sia stata compiuta con dolo. Questa limitazione di responsabilità - precisa la disposizione - si applica ai danni cagionati dalle sole condotte attive, mentre nel caso di danni cagionati da omissione o inerzia il soggetto agente continuerà a risponderne sia a titolo di dolo, sia di colpa grave.
La lettera h) riguarda le controversie in materia di condominio. A tale riguardo, la norma delegata dovrà prevedere che l'amministratore del condominio sia legittimato ad attivare, aderire, partecipare ai procedimenti di mediazione. In tal caso, l'accordo di conciliazione verbalizzato, ovvero la proposta di conciliazione, sono approvati dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (in prima convocazione dell'assemblea) ovvero la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio (seconda convocazione). Si tratta delle maggioranze previste dall'art. 1136 del codice civile per la validità delle deliberazioni. In caso di mancata approvazione, la proposta di mediazione si intende non approvata ovvero la conciliazione si intende non conclusa.
La lettera i) delega il Governo a prevedere che la relazione dell'esperto intervenuto nella fase di mediazione possa essere prodotta in giudizio e liberamente valutata dal giudice, previo accordo delle parti al momento della nomina dell'esperto stesso. La possibilità, da parte del mediatore, nelle questioni che richiedono specifiche competenze tecniche, di avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali, quando non si può procedere alla nomina di mediatori ausiliari, è prevista dall'art. 28, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 2010.
Come evidenziato dalla Commissione Luiso, tale criterio di delega mira ad evitare duplicazione delle procedure e delle spese.
La lettera l) stabilisce che nell'attuazione della delega si operi una riforma della disciplina inerente alla formazione e all'aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della formazione e prevedendo nuovi criteri per l'accreditamento dei formatori. La riforma dovrà incidere sugli strumenti di formazione sia teorica, sia di carattere pratico.
Nell'attuazione della delega, inoltre, il Governo dovrà prevedere che coloro che non hanno conseguito una laurea nelle discipline giuridiche possano conseguire l'abilitazione all'attività di mediatore previa adeguata formazione di approfondimento in tali materie. Si specifica che tale riforma non dovrà comportare nuovi o ulteriori oneri a carico della finanza pubblica.
In base alla lettera m) il Governo è delegato a potenziare i requisiti di qualità e trasparenza della mediazione intervenendo, tra l'altro, sui criteri per la determinazione dei requisiti di serietà ed efficienza per l'accreditamento degli organismi di mediazione e dei mediatori.
L'attuazione della delega dovrà comportare, in particolare, la modifica dell'art. 16 del d.lgs. n. 28/2010, concernente i requisiti degli organismi di mediazione, il registro dei medesimi organismi e l'elenco dei formatori, e del regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione (cfr. DM n. 180 del 2010, v. supra in relazione alla determinazione delle indennità).
In particolare, la disposizione di delega richiama esplicitamente la revisione della disciplina inerente alla documentazione da produrre per l'iscrizione al registro.
Ai sensi della lettera n) nell'attuare la delega dovranno essere riformati e razionalizzati i criteri posti a base della valutazione dell'idoneità e degli obblighi del responsabile dell'organismo di mediazione, nonché degli obblighi del responsabile scientifico dell'ente di formazione.
Attualmente, ai fini dell'iscrizione al registro dei mediatori, l'art. 6 del citato decreto ministeriale n. 180 del 2010 stabilisce che il richiedente l'iscrizione deve allegare alla domanda di iscrizione l'elenco dei mediatori che si dichiarano disponibili allo svolgimento del servizio. Tale elenco è corredato:
- della dichiarazione di disponibilità, sottoscritta dal mediatore e contenente l'indicazione della sezione del registro alla quale questi chiede di essere iscritto;
- del curriculum sintetico di ciascun mediatore, con indicazione specifica dei seguenti requisiti: requisiti di qualificazione dei mediatori, i quali devono possedere un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale ovvero, in alternativa, devono essere iscritti a un ordine o collegio professionale; il possesso, da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti; (si tratta dei requisiti previsti dall'articolo 4, comma 3, lettere a) e b) del decreto ministeriale);
- dell'attestazione di possesso dei requisiti di onorabilità, in particolare: a. non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; b. non essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; c. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; d. non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento (si tratta dei requisiti di onorabilità elencati dall'articolo 4, comma 3, lettera c) del decreto ministeriale);
- di documentazione idonea a comprovare le conoscenze linguistiche necessarie all'iscrizione nell'elenco dei mediatori esperti nella materia internazionale.
La Commissione Luiso, nel delineare i contenuti della delega in materia di formazione e accreditamento degli organismi di mediazione e controllo, fornisce alcune ulteriori indicazioni. In particolare, secondo la relazione, l'intervento dovrà tenere conto di quanto previsto dall'art. 4 delle direttiva 2008/52/CE (relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale). Tale articolo stabilisce che gli Stati membri incoraggino l’elaborazione ed il rispetto di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della qualità. Inoltre, prosegue il medesimo articolo della direttiva, gli Stati membri sono chiamati ad incoraggiare la formazione iniziale e successiva dei mediatori, allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti.
La Commissione richiama inoltre i parametri forniti dal CEPEJ (Commissione europea del Consiglio d'Europa per l'efficienza della giustizia) in merito ai requisiti della formazione dei mediatori. In seno al CEPEJ ha operato uno specifico gruppo di lavoro dedicato alla mediazione (CEPEJ-GT-MED) negli anni 2006-2007 e nel triennio 2017-2019. In particolare, nel documento "Strumenti per lo sviluppo della mediazione. Garantire l'attuazione delle linee guida CEPEJ sulla mediazione" del maggio 2018, il CEPEJ fornisce alcune indicazioni sui contenuti della formazione di base del mediatore (cfr. p. 27 del documento CEPEJ(2018)7, nella traduzione in italiano). Tali indicazioni riguardano i principi della formazione, gli ambiti trattati dai percorsi formativi, le competenze pratiche, le peculiarità della formazione destinata ai mediatori che operano in ambiti specifici, nonché le modalità di svolgimento della formazione medesima. Per approfondimenti, cfr. la sezione Mediation sul sito del CEPEJ.
Secondo quanto disposto dalla lettera o), in sede di esercizio della delega il Governo dovrà valorizzare e incentivare la mediazione demandata dal giudice, oggi prevista dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010.
Tale disposizione prevede che il giudice, anche in appello, "valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione" con provvedimento adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. In tali casi, l'esperimento della mediazione diviene condizione di procedibilità, anche in sede di appello, come specificato dal comma 2 in questione.
Il potenziamento di tale forma di mediazione si dovrà realizzare attraverso la formazione degli operatori, il monitoraggio delle esperienze, la tracciabilità dei procedimenti nel corso dei quali è demandata la mediazione. Tali misure richiedono la "necessaria" collaborazione tra uffici giudiziari, università (comunque nel rispetto della loro autonomia), avvocatura, organismi di mediazione, enti e associazioni professionali e di categoria. Con le medesime finalità, nell'attuazione della delega in oggetto si dovrà prevedere l'istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati, tenendo in debita considerazione tale formazione e i contenziosi definiti con mediazione ovvero accordi conciliativi, ai fini della valutazione della carriera dei magistrati stessi.
Secondo la relazione della Commissione Luiso, al fine di dare concreta attuazione alla delega, occorre, tra l'altro: perseguire la tracciabilità dei procedimenti interessati mediante il Sistema Informativo Contenzioso Civile Distrettuale (SICID)[1], anche al fine della valutazione di professionalità del giudice; prevedere la possibilità di attivare protocolli con enti territoriali anche sulla base di progetti già realizzati e monitorati.
Come già ricordato, i dati statistici forniti dal Ministero della giustizia (e richiamati dalla citata relazione) sulla mediazione demandata dal giudice per le materie non obbligatorie mostrano che essa si attesta, nel 2020, allo 0,9% del totale delle mediazioni. Nel 22% di tali casi è stato raggiunto l'accordo. Tra le mediazioni demandate dal giudice, quelle per le materie non obbligatorie si attestano tra il 7% e l'8% negli anni 2019-2020; le restanti sono state demandate dal giudice per improcedibilità.
La lettera p) delega il Governo a prevedere che le procedure di mediazione e di negoziazione assistita possano, previo accordo delle parti, essere svolte anche con modalità telematica e collegamenti da remoto.
Le successive lettere dell’art. 1 comma 4 del disegno di legge attengono alla riforma delle procedure di negoziazione assistita.
La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è disciplinata dall’art. 2 del decreto-legge n. 132 del 2014. In particolare, il provvedimento ha richiesto che, all'atto del conferimento dell'incarico l'avvocato debba informare il cliente della possibilità di ricorrere a tale strumento. La convenzione – che consiste in un accordo tra le parti finalizzato a risolvere in via amichevole la controversia - non incontra limiti di materia esclusi i diritti indisponibili e i contenziosi di lavoro. In relazione al suo concreto contenuto, la convenzione - redatta in forma scritta a pena di nullità - deve indicare sia l'oggetto della controversia che il termine concordato dalle parti per la conclusione della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a 3 mesi (fatto salvo un possibile rinnovo di 30 giorni).
L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità dell'azione civile in specifiche materie. Viene, quindi, previsto in tali ipotesi che colui che agisce in giudizio deve preventivamente invitare il convenuto alla stipula della convenzione di negoziazione. Ciò vale:
· per le domande giudiziali relative a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti;
· per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a 50 mila euro.
Lo stesso provvedimento (art. 6) ha anche disciplinato una particolare forma di negoziazione assistita finalizzata alla soluzione consensuale stragiudiziale delle controversie in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio (v. infra).
Per rendere maggiormente appetibile l'istituto della negoziazione assistita il legislatore ha previsto incentivi fiscali sotto forma di un credito di imposta per coloro che se ne avvalgono (cfr. art. 1, comma 618, della legge di stabilità 2016 e DM Giustizia 23 dicembre 2015).
In particolare, la lettera q) prevede che il Governo debba consentire la negoziazione assistita anche per le controversie individuali di lavoro (di cui all’art. 409 c.p.c.), senza che la stessa costituisca una condizione di procedibilità. In tali casi, le parti dovranno essere assistite dal proprio avvocato e, ove lo ritengano, anche dai consulenti del lavoro.
La disposizione di delega fa salve le ulteriori modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva (ex art. 412-ter c.p.c.): la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita è quindi aggiunta alle modalità già previste per la risoluzione stragiudiziale.
La norma delegata dovrà, inoltre, assicurare al relativo accordo il regime di stabilità previsto dall’art. 2113, quarto comma, del codice civile, a norma del quale non sono dichiarate invalide le rinunzie e le transazioni effettuate in sede di negoziazione assistita relative a diritti indisponibili del lavoratore.
In attuazione della delega, inoltre, il Governo dovrà semplificare la procedura di negoziazione assistita, anche prevedendo l’utilizzazione di un modello di convenzione elaborato dal Consiglio nazionale forense, salva la possibilità per le parti di utilizzare un modello diverso (lettera r)).
Si ricorda che il CNF ha già predisposto dei fac-simile di convenzione che vengono usualmente utilizzati dai professionisti.
In base alle lettere s) e t), nell’ambito della negoziazione assistita il Governo dovrà inoltre consentire una attività di istruzione stragiudiziale, disciplinandone le garanzie, l’utilizzabilità del materiale acquisito, i compensi ulteriori per gli avvocati e le sanzioni per la violazione delle suddette norme.
La relazione illustrativa dell’originario disegno di legge sostiene che lo scopo dell’anticipazione dell’istruzione probatoria è di consentire alle parti di valutare meglio l’alea del giudizio incoraggiando dunque soluzioni transattive.
La lettera s), in particolare, mira a consentire nell’ambito della negoziazione assistita l’acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti l’oggetto della controversia ed a consentire la richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente. Tali possibilità dovranno essere previste nella misura in cui le parti, all’interno della convenzione di negoziazione assistita, lo consentano, nel rispetto del principio del contraddittorio, e purché si tratti di negoziazione assistita un avvocato per ciascuna parte.
La disposizione richiama l’art. 2735 c.c. sulla confessione stragiudiziale, in base al quale la stessa, fatta alla parte o a chi la rappresenta, ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale. Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento è liberamente apprezzata dal giudice. La confessione stragiudiziale non può provarsi per testimoni, se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge.
Inoltre, in base alla lettera t), nella disciplina dell’istruzione stragiudiziale il Governo dovrà in particolare:
§ disciplinare la verbalizzazione delle dichiarazioni delle parti e dei terzi, prevedendo idonee garanzie e misure volte ad anticipare l’intervento del giudice al fine della loro acquisizione, quando le parti e i terzi non intendano rendere dichiarazioni (n. 1);
§ introdurre sanzioni penali per chi rende in questa fase dichiarazioni false e conseguenze processuali per la parte che si sottrae all’interrogatorio; in quest’ultimo caso, in particolare, la riforma dovrà consentire al giudice di tenere conto della condotta della parte in sede di condanna al pagamento delle spese di giudizio e di valutazione della responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (n. 2);
La norma di delega richiama inoltre l’art. 642, secondo comma del codice di rito civile, prevedendo che il giudice possa tener conto della condotta della parte che si sottrae all’interrogatorio nell’ambito della istruttoria stragiudiziale anche ai fini dell’esecuzione provvisoria. La disposizione richiamata, peraltro, prevede la concessione dell’esecuzione provvisoria «anche se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere; il giudice può imporre al ricorrente una cauzione». Si valuti l’opportunità di chiarire il significato del rinvio a quanto previsto dall’art. 642, secondo comma, c.p.c. nell’ambito della disciplina delle conseguenze processuali della sottrazione all’interrogatorio.
§ disciplinare l’utilizzabilità delle prove raccolte nel corso dell'attività di istruzione stragiudiziale nell’eventuale successivo giudizio civile che verta sugli stessi fatti, consentendo comunque al giudice di disporre la rinnovazione delle prove (n. 3);
§ prevedere che gli eventuali abusi commessi dall’avvocato durante l’acquisizione delle dichiarazioni in fase stragiudiziale siano considerati, indipendentemente da ogni altra responsabilità, gravi illeciti disciplinari (n. 4).
Infine, la lettera u) detta principi e criteri direttivi per riformare le procedure di negoziazione assistita volte alla soluzione delle controversie in materia di separazione dei coniugi e disciplinate oggi dall’art. 6 del decreto-legge n. 132 del 2014 (disposizione sulla quale interviene, con una modifica destinata a entrare in vigore trascorsi 180 giorni dall’approvazione della legge in esame, l’art. 1, comma 35, cui si rinvia).
Si ricorda che, l’art. 6 del decreto-legge n. 132 del 2014 (come convertito dalla legge n. 162 del 2014) regola una particolare forma di negoziazione assistita, finalizzata specificamente alla soluzione consensuale stragiudiziale delle controversie in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio ovvero di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (comma 1). Il ricorso a tale istituto è consentito anche in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. In tal caso il pubblico ministero presso il tribunale competente, cui l'accordo deve essere trasmesso entro 10 giorni, autorizza l'accordo raggiunto in quanto rispondente all'interesse dei figli. Analogo passaggio giudiziale è innestato nel procedimento di negoziazione fuori dei casi indicati (ovvero in assenza di figli minori, ecc). Anche qui si è prevista la necessità di trasmissione dell'accordo al pubblico ministero presso il tribunale competente per un controllo di regolarità; spetta allo stesso PM il rilascio del nullaosta all'accordo (comma 2). La convenzione, obbligatoriamente assistita da un avvocato per parte, è pienamente sostitutiva e produce gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti (comma 3). Spetta agli avvocati delle parti (pena sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro, ai sensi del comma 4) trasmettere copia autentica dell'accordo all'ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto.
In merito, il disegno di legge delega il Governo a:
§ prevedere che gli accordi raggiunti con questa negoziazione assistita possano determinare anche trasferimenti immobiliari con effetti obbligatori;
La Commissione Luiso ha proposto questo intervento ricordando che attualmente la possibilità che l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita in materia familiare sia considerato titolo idoneo per la trascrizione ai sensi dell’articolo 2657 c.c. è controversa nella giurisprudenza di merito. Per la Commissione, «la necessità di stimolare il ricorso ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie in un ambito come quello della composizione dei conflitti familiari impone di superare tali dubbi intervenendo direttamente sulla norma primaria, con l’espressa previsione di possibilità di trascrizione dell’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita. Deve, infatti, rilevarsi come spesso le controversie familiari possano definirsi proprio grazie a trasferimenti immobiliari tra i coniugi o a favore dei figli, ricercando le parti, coinvolte nel conflitto, una composizione definitiva di ogni aspetto patrimoniale. Demandare tale possibilità all’accordo di negoziazione assistita potrebbe avere un effetto di rilevante incentivo al ricorso allo strumento. La regolarità dei trasferimenti immobiliari potrà essere assicurata sia dalla presenza di un avvocato per ciascuna parte, sia dalla rigorosa disciplina dettata per la validità degli atti di trasferimento immobiliare».
§ prevedere che il giudizio di congruità della c.d. una tantum divorzile, prevista dall'art. 5, comma 8, della legge sul divorzio (l. n. 898 del 1970), sia effettuato dagli avvocati che assistono le parti nella negoziazione, con la certificazione dell'accordo raggiunto e non necessariamente dal tribunale;
L’art. 5, co. 8 della legge n. 898/70 stabilisce che, su accordo delle parti, la corresponsione dell'assegno dovuto dal coniuge - quantificato nella sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio - può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
Anche in questo caso la Commissione Luiso motiva questo intervento, che rimette ai difensori che assistono le parti nella negoziazione assistita il giudizio di congruità demandato dalla legge sul divorzio al giudice, con la necessità di agevolare le modalità di soluzioni alternative delle controversie ritenendo sufficiente la tutela garantita alle parti dalla presenza di due legali, che tutelano ciascuno degli ex coniugi.
§ adeguare le disposizioni vigenti in merito alle modalità di trasmissione dell’accordo;
§ prevedere la conservazione degli accordi di negoziazione assistita (muniti di nulla osta e di autorizzazione) presso i Consigli dell'Ordine degli avvocati che dovranno rilasciare copia autentica alle parti, ai difensori che hanno sottoscritto l'accordo nonché ai terzi interessati al contenuto patrimoniale degli accordi stessi.
Si tratta dei Consigli dell’Ordine già richiamati dall’art. 11 del decreto-legge n. 132 del 2014, che detta disposizioni in materia di raccolta dei dati concernenti le procedure di negoziazione assistita. In base a tale previsione spetta al Consiglio dell'ordine forense territoriale fungere da centro di raccolta delle copie degli accordi raggiunti mediante la procedura di negoziazione assistita; è, invece, affidato al CNF il compito di monitoraggio delle procedure e di trasmissione dei dati al Ministero della giustizia. In capo allo stesso Ministero sono stabiliti obblighi di relazione annuale alle Camere sullo stato di attuazione della disciplina in oggetto.
§ applicare la sanzione amministrativa già prevista dall’art. 6 del D.L. 132/2014 (somma da 2.000 a 10.000 euro) per gli avvocati che omettono di trasmettere copia autentica dell'accordo all'ufficiale di stato civile, agli avvocati che violino gli obblighi di trasmissione degli originali al Consiglio dell'Ordine.
Si segnala che alcune modifiche immediatamente precettive alla disciplina sulla negoziazione assistita nei procedimenti dei coniugi sono dettate dall’articolo 1, comma 35 (vedi infra).
La relazione della Commissione Luiso chiarisce che con l’intervento normativo in oggetto si vuole colmare una lacuna rilevata all’indomani della entrata in vigore della disciplina sulla negoziazione assistita in materia familiare, prevedendo la conservazione degli originali degli accordi a cura dei Consigli dell’ordine degli avvocati del luogo in cui è iscritto il difensore che ha sottoscritto l’accordo di negoziazione assistita in materia familiare. L’esigenza è avvertita per l’importanza della materia e per la necessità che rimanga un archivio degli originali di accordi equiparati dall’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, a quelli giudiziali. A tal fine appare opportuno prevedere una modifica dell’articolo 11 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, che già prevede una raccolta degli accordi in esame da parte dei Consigli dell’ordine degli avvocati a fini meramente statistici. La creazione di un archivio permetterà alle parti, ai difensori che hanno sottoscritto l’accordo ed a tutti i soggetti interessati alle disposizioni patrimoniali dell’accordo (disposizione necessaria stante la possibilità di disporre trasferimenti immobiliari all’esito dell’accordo stesso), di ricevere copia degli atti. Per rendere cogente l’obbligo di trasmissione degli originali degli accordi ai competenti Consigli dell’ordine degli avvocati è previsto che, in mancanza di ottemperanza all’obbligo di trasmissione, sia irrogata una sanzione a carico del difensore, analoga a quella già prevista dall’articolo 6 per la mancata ottemperanza all’obbligo di disporre la trasmissione degli atti al Comune competente per la trascrizione dei provvedimenti di separazione e divorzio.
Il comma 5 dell’art. 1 contiene i princìpi per la revisione della disciplina del processo di cognizione di primo grado dinanzi al tribunale in composizione monocratica. In sintesi, il Governo, nell’attuazione della delega, dovrà:
§ assicurare la semplicità, la concentrazione e l'effettività della tutela e la ragionevole durata del processo;
§ modificare alcune disposizioni inerenti al contenuto dell'atto di citazione e della comparsa di risposta e valorizzare le fasi anteriori alla prima udienza al fine di definire il quadro delle rispettive pretese e dei mezzi di prova richiesti;
§ valorizzare la prima udienza di comparizione, incentivando la partecipazione personale delle parti e disponendo che il giudice debba fissare la successiva udienza per l’assunzione delle prove entro 90 giorni;
§ prevedere alcune modifiche riguardanti la fase decisoria, al fine di favorire la riduzione della durata dei procedimenti, imponendo termini temporali perentori acceleratori;
§ ampliare la possibilità per il giudice di conciliare le parti, consentendogli di formulare una proposta fino al momento in cui la causa non viene rimessa in decisione;
§ riformare, ricollocare e rinominare il procedimento sommario di cognizione, estendendone il campo d’applicazione a tutte le controversie nelle quali i fatti in causa siano tutti non controversi, l'istruzione basata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque non presenti profili di complessità;
§ prevedere la possibilità che il giudice pronunci ordinanza provvisoria (di accoglimento o di rigetto) nel giudizio di primo grado in materia di diritti disponibili di competenza del tribunale, quando la domanda dell'attore, ovvero le ragioni del convenuto, risultino manifestamente infondate;
§ disciplinare i rapporti tra collegio e giudice monocratico.
Più nel dettaglio, la lettera a) individua gli obiettivi generali della riforma, ossia da un lato l'effettività della tutela e dall’altro la semplicità del procedimento e la ragionevole durata del processo.
Le lettere b), c) e d) riguardano i contenuti dell'atto di citazione.
L’atto di citazione (art. 163 c.p.c) è l’atto introduttivo con cui si propone la domanda giudiziale nel processo di cognizione di primo grado e negli altri casi previsti dalla legge. Il terzo comma dell'art 163 ne stabilisce i contenuti (indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; dati dell’attore, del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono; oggetto della domanda; esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; dati dell’avvocato; indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; invito al convenuto a costituirsi nel termine di 20 giorni prima dell'udienza (ovvero di 10 giorni prima in caso di abbreviazione dei termini), e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato.
L'atto di citazione è consegnato dalla parte o dal procuratore all'ufficiale giudiziario, che lo notifica.
Ai sensi della lettera b) la riforma dovrà prevedere che i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda giudiziale (di cui all'art. 163 c.p.c, terzo comma, n. 4) siano esposti in modo chiaro e specifico.
Ai sensi della lettera c) si dovrà prevedere che nell'atto di citazione siano specificati i mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e i documenti che l'attore offre in comunicazione (come stabilito dall'art. 163 c.p.c, terzo comma, n. 5). Tale principio appare meramente riproduttivo della normativa vigente. Si valuti l’opportunità di una modifica o di una soppressione.
Inoltre, in base alla lettera d) il Governo dovrà prevedere che l'atto di citazione contenga l'avvertimento circa l'obbligatorietà della difesa tecnica mediante avvocato, in tutti i giudizi davanti al tribunale, specificando le eccezioni a avvertendo della possibilità di accedere al gratuito patrocinio ove ricorrano i presupposti.
La disposizione in parola specifica che tali avvertimenti sono posti in aggiunta ai requisiti di cui al n. 7 dell'articolo 163 c.p.c. (ove si specifica che l'atto di citazione indichi il giorno dell'udienza di comparizione e contenga l'invito al convenuto a costituirsi nel termine entro i termini ivi previsti, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato, con l'avvertimento delle conseguenze in caso di costituzione oltre i termini prescritti), fatta salva la possibilità della difesa personale riconosciuta alla parte, ex art. 86 c.p.c. (espressamente richiamato dalla disposizione in esame) nei casi in cui la parte medesima (o la persona che la rappresenta o assiste) può esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito.
La difesa mediante avvocato è disciplinata dagli articoli 82 e seguenti c.p.c. esplicitamente richiamati dalla disposizione in esame. Si rammenta qui solamente che l'art. 82 c.p.c. prevede, in via generale, che davanti al tribunale e alla corte d'appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente; davanti alla Corte di cassazione col ministero di un avvocato iscritto nell'apposito albo. Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non ecceda 1.100 euro, fatta salva la possibilità che il giudice di pace decida altrimenti con decreto, apprezzate natura ed entità della causa.
La lettera e) contiene principi e criteri direttivi per la modifica di alcuni adempimenti posti in capo al convenuto nella comparsa di risposta di cui all'art. 167 c.p.c., stabilendo che il convenuto dovrà:
§ proporre tutte le sue difese e prendere posizione, in modo chiaro e preciso sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda giudiziale;
§ specificare i mezzi di prova dei quali intende valersi e i documenti che sono offerti in comunicazione; rimane fermo quanto stabilito dall'art. 167, secondo comma, primo periodo, del codice di procedura civile in base al quale, a pena di decadenza, il convenuto deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio.
Si ricorda che l'art. 167 c.p.c. (rubricato "comparsa di risposta") prevede che il convenuto debba proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l'oggetto o il titolo della domanda riconvezionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e sono salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione.
Si valuti l’opportunità di specificare quali siano i contenuti innovativi che dovrà avere la riforma rispetto alla normativa vigente.
La lettera f) delega il Governo a disciplinare la fase anteriore alla prima udienza al fine di consentire ad attore e convenuto di meglio precisare le proprie posizioni e specificare le proprie richieste in funzione del contenuto dei reciproci atti, di citazione e di risposta.
In particolare, all'attore dovrà essere data la possibilità di:
§ proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto, stabilendo a tal fine un termine congruo prima dell'udienza di comparizione;
§ chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto[2];
§ precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate e, a pena di decadenza, indicare i nuovi mezzi di prova e le produzioni documentali.
Parallelamente, in un successivo termine, comunque anteriore all'udienza di comparizione, anche il convenuto potrà avere la possibilità di modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate e, a pena di decadenza, di indicare i mezzi di prova ad effettuare le produzioni documentali. Inoltre, entro un ulteriore termine prima dell'udienza di comparizione, si dovrà prevedere che le parti possano replicare alle domande ed eccezioni formulate nelle memorie integrativa e indicare la prova contraria.
Si tratta di adempimenti da disciplinare come facoltativi e che dunque non determineranno alcuna decadenza.
Al riguardo, la lettera g) specifica che la norma di attuazione della delega debba determinare i termini per le memorie di cui alla lettera f) in modo tale da permettere la celere trattazione del processo. Dovrà comunque essere garantito il principio del contradditorio e il più ampio esercizio del diritto di difesa. A tal fine si dovrà prevedere la possibilità di ampliare, se del caso, i seguenti termini:
§ il termine a comparire previsto dall'art. 163-bis c.p.c.
§ il termine per la costituzione del convenuto previsto dall'art. 166 c.p.c.
Riguardo ai termini per comparire, l'art. 163 c.p.c. stabilisce che tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia; di 150 giorni se si trova all'estero. La norma prevede la possibilità di decidere (da parte del presidente del tribunale) termini ridotti fino alla metà nelle cause che richiedono pronta spedizione. Il convenuto, costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest'ultimo termine, l'udienza per la comparizione delle parti sia fissata con congruo anticipo su quella indicata dall'attore. Il presidente provvede con decreto.
In materia di costituzione del convenuto, l'art. 166 c.p.c. stabilisce che lo stesso debba costituirsi almeno 20 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, o almeno 10 giorni prima nel caso di abbreviazione di termini (ai sensi dell'art. 163-bis, v. supra) ovvero almeno 20 giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'art. 168-bis quinto comma (concernente la possibilità di differire, con decreto del giudice istruttore, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni). A tal fine il convenuto deposita in cancelleria il proprio fascicolo, corredato con la prescritta documentazione.
In conseguenza delle modifiche al codice di rito introdotte in attuazione dei principi e criteri direttivi precedenti, il legislatore delegato dovrà anche adeguare la disciplina:
§ della chiamata in causa del terzo e dell'intervento volontario (lettera h);
§ della trattazione della causa (lettera i).
In particolare, per quanto riguarda la trattazione, la lettera i) specifica che il governo dovrà prevedere:
§ che le parti debbano comparire all’udienza personalmente, ai fini del tentativo di conciliazione (art. 185 c.p.c.) prevedendo che la mancata comparizione personale senza giustificati motivi sia valutabile dal giudice ai fini dell'art. 116, secondo comma, c.p.c. (n. 1);
Ai sensi del richiamato art. 116, secondo comma, il giudice può desumere argomenti di prova dal contegno delle parti, oltre che dalle loro risposte e dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni ordinate dal giudice medesimo.
§ che il giudice provveda sulle richieste istruttorie all'esito dell'udienza, predisponendo il calendario del processo e disponendo che l'udienza per l'assunzione delle prove sia fissata entro 90 giorni (n. 2).
Si ricorda che la Commissione Luiso ha individuato nella valorizzazione della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa, tramite la riforma degli atti introduttivi, uno dei temi di maggior interesse della delega in esame. Secondo quanto rappresentato dalla relazione della Commissione, infatti, al momento di tale udienza spesso non sono definiti i termini della controversia. Conseguentemente, detta udienza si risolve, nella maggior parte dei casi, in una mera concessione dei termini perentori per il deposito di memorie, domande, eccezioni ed indicazioni di prove contrarie (di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c.) accompagnata dal rinvio della causa ad una udienza di ammissione dei mezzi di prova. Tale udienza, prosegue la relazione, è spesso fissata a distanza anche di diversi mesi. Tale situazione disincentiva le parti ad una effettiva ed informata partecipazione all’udienza ed il giudice ad un attento studio preliminare dei fascicoli. Peraltro, in mancanza di elementi definitori della causa, risulta più difficile la formulazione di proposte conciliative da parte del giudice (che possono essere formulate alla prima udienza ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c.). A tale riguardo, v. infra lett. m).
La modifica proposta mira quindi alla responsabilizzazione delle parti e a una riduzione dei tempi della causa in quanto si potrà evitare la fase della concessione degli ulteriori termini alla prima udienza, previsti dall'art. 183, sesto comma.
La lettera l) detta principi e criteri direttivi per la riforma della fase decisoria, susseguente all'esaurimento della trattazione e all’istruzione della causa.
Anzitutto, in caso di discussione orale disposta ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la riforma dovrà prevedere che il giudice possa riservare il deposito della sentenza entro un termine non superiore a 30 giorni dall'udienza di discussione (n. 1).
L'art. 281-sexies prevede che il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Negli altri casi, la riforma dovrà prevedere che il giudice fissi l'udienza di rimessione della causa, disponendo i seguenti termini temporali perentori (n. 2):
§ fino a 60 giorni prima dell'udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni;
§ fino a 30 giorni prima dell'udienza per il deposito delle comparse conclusionali, salvo rinuncia espressa delle parti;
§ fino a 15 giorni prima dell'udienza per il deposito delle memorie di replica, salvo rinuncia espressa delle parti.
Si dovrà inoltre prevedere il deposito della sentenza nel termine dei successivi 30 giorni (nei casi di tribunale in composizione monocratica) ovvero 60 giorni (nei casi di tribunale in composizione collegiale).
Si ricorda che nel procedimento ordinario la decisione della causa può essere presa a seguito di trattazione scritta, mista ovvero orale (art. 281-quinquies e 281-sexies) In particolare:
- fatte precisare le conclusioni, il giudice dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica nei termini fissati dall’art. 190, ossia 60 giorni (riducibile a 20) per il deposito delle prime e successivi 20 giorni per il deposito delle seconde. La sentenza va depositata entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica (trattazione scritta);
- su richiesta delle parti, il giudice disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, fissa l’udienza di discussione orale non oltre il termine di 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse. La sentenza deve essere depositata entro 30 giorni decorrenti dall’udienza di discussione (trattazione mista);
- il giudice fatte precisare le conclusioni, ordina la discussione orale alla stessa udienza e pronuncia sentenza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Le parti hanno tuttavia la possibilità di chiedere al giudice di sposare la discussione orale ad un’udienza successiva (trattazione orale).
La Commissione Luiso rileva che la modifica proposta mira alla semplificazione della disciplina che regola la fase decisoria, rendendo omogenea la procedura seguita dal giudice in composizione monocratica e in composizione collegiale. Si intende inoltre favorire la riduzione della durata dei procedimenti, imponendo termini temporali perentori acceleratori. Inoltre, prosegue la relazione, la possibilità da parte del giudice monocratico di depositare la sentenza entro i successivi trenta giorni (nei casi di discussione orale della causa con pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo e della succinta motivazione) ha la finalità di promuovere la medesima discussione orale anche per quella parte del contenzioso più complesso, con ulteriore compressione, secondo quanto rappresentato dalla relazione della Commissione, dei tempi processuali.
Il principio di delega di cui alla lettera m) prevede una modifica all'art. 185-bis c.p.c. al fine di consentire al giudice di formulare una proposta di conciliazione fino al momento in cui la causa non viene rimessa in decisione, laddove la disciplina vigente limita tale possibilità alla fase istruttoria.
L'art. 185-bis c.p.c. prevede, infatti. che il giudice possa formulare una proposta di conciliazione alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.
Il criterio di delega di cui alla lettera n) è volto a riformare, ricollocare e rinominare il procedimento sommario di cognizione.
Il procedimento sommario di cognizione è stato introdotto nel codice di procedura civile dall’art. 51 della legge n. 69 del 2009, che l’ha collocato in un nuovo Capo III-bis (composto dagli artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater), tra i procedimenti sommari del Titolo I del Libro quarto. La disciplina è stata oggetto della novella legislativa, ad opera del d.lgs. n. 150/2011, che ha introdotto l'obbligatorietà del procedimento sommario per alcune controversie, nonché del d.l. n. 132/2014 che ha previsto la "conversione" d'ufficio dal rito ordinario a quello sommario, sulla base della valutazione della complessità della lite e dell'istruzione probatoria, da parte del giudice.
Si tratta di un procedimento sommario a carattere generale, che si adatta ad ogni forma di tutela giurisdizionale e a tutte le domande (di condanna, di accertamento, costitutive), il cui ambito applicativo, delineato dall'art. 702-bis, I comma, c.p.c., è limitato alle cause attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica[3].
La scelta tra l'instaurazione del procedimento ordinario o sommario spetta all'attore, il quale, può chiedere l'applicazione del nuovo rito depositando il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. in luogo dell'ordinario atto di citazione, innanzi al tribunale monocratico di competenza.
Nell’udienza di comparizione delle parti, il giudice valuta preliminarmente la propria competenza. Superato positivamente il vaglio sulla competenza, il giudice deve verificare se la causa (sia per quanto riguarda la domanda principale sia per quanto riguarda la domanda riconvenzionale) rientri tra quelle indicate nell'art. 702-bis c.p.c. (e, quindi, se si tratta di causa di competenza del tribunale in composizione monocratica), altrimenti deve dichiarare la domanda (principale o riconvenzionale) inammissibile, con ordinanza non impugnabile, la quale, dunque, blocca il giudizio senza possibilità di mutamenti del rito o di translatio nelle forme ordinarie (art. 702-ter, II comma, c.p.c.).
Se il giudice ritiene che la controversia possa essere trattata con il rito sommario, dopo aver sentito le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, alla prima udienza, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande. L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce immediatamente titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione; con essa, il giudice si pronuncia, altresì, sulle spese di lite. Per il procedimento sommario è prevista poi una specifica disciplina sull’appello.
In sede di attuazione della delega, il Governo dovrà:
§ rinominare il rito "procedimento semplificato di cognizione" e collocarlo nel Libro II del codice di procedura civile (Del processo di cognizione);
§ estendere il campo d’applicazione del rito anche ai procedimenti di competenza del tribunale in composizione collegiale in presenza dei seguenti presupposti: quando i fatti in causa siano tutti non controversi; quando l'istruzione della causa sia basata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque non presenti profili di complessità;
§ riformare il rito prevedendo tempi certi, ridotti rispetto al rito ordinario, nel rispetto del contraddittorio tra le parti e prevedendo che il rito si concluda con sentenza.
Le lettere o) e p) riguardano il giudizio di primo grado in materia di diritti disponibili e prevedono che il Governo debba esercitare la delega prevedendo che il giudice possa pronunciare le seguenti ordinanze provvisorie:
§ di accoglimento della domanda, quando, previa istanza di parte, i fatti costitutivi siano provati e le difese del convenuto appaiano manifestatamente infondate. L’ordinanza provvisoria dovrà essere provvisoriamente esecutiva (lettera o);
§ di rigetto della domanda, quando la stessa sia manifestatamente infondata, ovvero sia priva di taluni requisiti necessari nell'atto di citazione (di cui all’art. 163 c.p.c., III comma, numeri 3) e 4) v. sopra) (lettera p).
Le citate ordinanze provvisorie sono reclamabili (ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.), non acquistano efficacia di giudicato (ai sensi dell'art. 2909 c.c.) e non possono essere prodotte in altri giudizi.
In caso di accoglimento del reclamo, il procedimento di merito dovrà proseguire dinanzi a magistrato diverso.
Riguardo alla disciplina del reclamo contro i provvedimenti cautelari, l'art. 669-terdecies c.p.c. prevede che esso deve essere proposto nel termine perentorio di 15 giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla notificazione se è anteriore. La competenza della decisione sul reclamo spetta sempre ad un organo collegiale e si applica la disciplina relativa ai procedimenti in camera di consiglio (articoli 737 e 738 c.p.c.). Il collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre venti giorni dal deposito del ricorso, ordinanza non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento cautelare. Tuttavia la norma stabilisce che il presidente del tribunale o della Corte investiti dal reclamo possa sospenderne l'esecuzione, quando, per motivi sopravvenuti, il provvedimento arrechi grave danno.
La lettera q) delega il Governo a coordinare la disciplina dei commi quarto, quinto e sesto dell’art. 164 c.p.c., in tema di nullità della citazione, con l’ordinanza provvisoria di rigetto della domanda, prevista dalla precedente lettera p), e relativa al difetto di uno dei requisiti della citazione.
La lettera r) stabilisce che nell'attuazione della delega si debba estendere l'applicabilità della procedura di convalida, di licenza per scadenza del contratto e di sfratto per morosità anche ai contratti di comodato di beni immobili e di affitto d'azienda.
Con i principi e criteri direttivi della lettera s), il disegno di legge interviene sulla disciplina dei rapporti tra collegio e giudice monocratico, prevedendo che:
§ se il collegio ritiene che una causa, rimessa davanti a sé per la decisione, debba in realtà essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, debba rimettere la causa al giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile, affinché decida quale giudice monocratico, senza fissare ulteriori udienze;
La disciplina vigente contenuta nel codice di procedura civile già regolamenta i rapporti i rapporti tra giudice istruttore in funzione di giudice monocratico e collegio, prevedendo rimedi per sanare eventuali errori di attribuzione delle controversie. In particolare, l’art. 281-septies c.p.c. disciplina la rimessione della causa al giudice monocratico, stabilendo che il collegio, quando rileva che una causa, rimessa davanti a lui per la decisione, deve essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, rimette la causa davanti al giudice istruttore con ordinanza non impugnabile perché provveda, quale giudice monocratico, a norma degli articoli 281-quater, 281-quinquies e 281-sexies.
§ se, viceversa, il giudice monocratico ritiene che una causa, già riservata davanti a sé per la decisione, debba in realtà essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, debba rimettere la causa al collegio, senza fissare ulteriori udienze, con ordinanza comunicata alle parti; è rimesso alle parti, entro 10 giorni dalla comunicazione, valutare se chiedere o meno di discutere nuovamente la causa dinanzi al collegio, ferme comunque le conclusioni precisate e gli atti difensivi già depositati in vista della discussione dinanzi al giudice monocratico (non sarà quindi più obbligatoria la ripetizione delle attività già svolte).
Secondo quando previsto dall’art. 281-octies c.p.c., la rimessione della causa al tribunale in composizione collegiale è disposta dal giudice monocratico quando questi rileva che una causa riservata per la decisione davanti a sé deve essere decisa dal collegio. In tali casi il giudice (a norma degli articoli 187, 188 e 189) dopo aver eventualmente espletato dinanzi a sé l’attività istruttoria ritenuta necessaria, rimette le parti al collegio per la decisione, previo invito alle parti alla precisazione delle conclusioni da sottoporre al collegio (art. 281 octies).
Inoltre, il Governo dovrà prevedere:
§ la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda in caso di mutamento del rito; il giudice fissa alle parti un termine perentorio per l'eventuale integrazione degli atti introduttivi;
Con riferimento agli effetti sostanziali e processuali della domanda che, in caso di mutamento del rito si producono secondo le norme applicate prima del mutamento, la disposizione mutua il disposto dell'articolo 4, comma 5, del d. lgs. n. 150 del 2011. La Relazione illustrativa dell’originario disegno di legge sottolinea sul punto la volontà di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento e dunque di riaffermare la regola secondo la quale gli effetti della domanda si producono facendo riferimento alla forma e quindi anche alla data dell'atto (sia pur erroneamente) in concreto prescelto e non a quella che l'atto avrebbe dovuto avere, e che assuma a seguito della conversione del rito, come chiarito anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 45 del 2018).
§ la prevalenza del rito collegiale in caso di cause connesse oggetto di riunione; restando ferme le decadenze e le preclusioni già maturate in ciascun procedimento prima della riunione.
Con riguardo alla connessione tra cause che debbono essere decise dal tribunale in composizione collegiale e cause che debbono essere decise dal tribunale in composizione monocratica, l’art. 281-nonies prevede che il giudice istruttore ne ordini la riunione e, all'esito dell'istruttoria, le rimetta, a norma dell'articolo 189, al collegio, il quale pronuncia su tutte le domande, a meno che disponga la separazione.
Infine, con la lettera t), il Governo è delegato a modificare, in conformità ai criteri di cui al comma in commento, le connesse disposizioni del codice di procedure civile.
Il comma 6 dell’articolo 1 stabilisce che, nella riforma del processo di cognizione di primo grado dinanzi al collegio, il Governo dovrà intervenire al fine di ridurre il numero di procedimenti sottratti al giudice monocratico e definire un nuovo regime di preclusioni e di fissazione dell'oggetto della causa, analogo a quello previsto per le controversie di competenza del giudice monocratico.
In particolare, il Governo dovrà prevedere:
· la riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale in considerazione dell'oggettiva complessità giuridica e della rilevanza economico-sociale delle controversie (lettera a));
Ai sensi dell’art. 50-bis c.p.c., il tribunale giudica in composizione collegiale:
- nelle cause nelle quali è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimenti disposto;
- nelle cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti di cui alla legge fallimentare, e alle altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa;
- nelle cause devolute alle sezioni specializzate (si veda però la deroga di cui all’art. 3, comma 4, del D.L. 17/02/2017, n. 13 relativa ai procedimenti in materia di protezione internazionale);
- nelle cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo;
- nelle cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché nelle cause di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi;
- nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima;
- nelle cause per risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati (legge 13 aprile 1988, n. 117);
- nelle cause relative alle azioni di classe di cui all'articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206[4].
Il tribunale giudica altresì in composizione collegiale nei procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli articoli 737 c.p.c. e seguenti, salvo che sia altrimenti disposto
Si ricorda peraltro che la Corte costituzionale ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore la valutazione della opportunità di differenziare in una determinata materia la composizione dell'organo giurisdizionale (monocratico o collegiale), con il generale limite della non palese arbitrarietà e irragionevolezza (C. Cost. 24.10.2001, n. 343; C. Cost. 23.6.2000, n. 240).
· un regime di preclusioni e di fissazione dell'oggetto della causa, che presenti analogie con quanto previsto per il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (lettera b)) (v. sopra, la scheda relativa al comma 5).
Il comma 7 dell’articolo 1 individua principi e criteri direttivi per la riforma del processo dinanzi al giudice di pace.
Il procedimento dinanzi al giudice di pace, improntato a principi di semplificazione delle forme e celerità tanto della fase istruttoria quanto della fase decisoria, ha natura speciale rispetto al rito ordinario davanti al tribunale; la stessa Corte costituzionale ha affermato che il legislatore, «nel delineare il procedimento innanzi al giudice di pace, ha dettato una disciplina autonoma e del tutto peculiare, in ragione della diversità ontologica di tale rito rispetto a quello ordinario» (sentenza n. 154 del 1996).
La disciplina del procedimento davanti al giudice di pace è contenuta nel Titolo II del Libro II del codice di procedura civile. Il Capo I si apre con l’art. 311 che opera un rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica limitatamente a quanto non direttamente regolato dal titolo II o da altre espresse disposizioni e solo ove tali norme siano applicabili.
Le principali differenze tra il procedimento dinanzi al giudice di pace e quello dinanzi al tribunale in composizione monocratica sono:
- la domanda introduttiva può essere proposta anche verbalmente: di essa il giudice di pace fa redigere processo verbale che, a cura dell’attore è notificato con citazione a comparire ad udienza fissa (art. 316);
- la costituzione delle parti può essere effettuata anche in prima udienza presentando al giudice la citazione con la relazione della notificazione e, quando occorre, la procura (art. 319);
- qualora non riesca il tentativo di conciliazione di cui all’art. 320 c.p.c. (v. di seguito sub lett. b), il giudice invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa ed infine deposita la sentenza in cancelleria entro quindici giorni dalla discussione della causa;
- nel caso in cui si sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti nella prima udienza, il giudice fissa per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova (art. 320, comma 4);
- quando ritiene la causa matura per la decisione, il giudice di pace invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa, e nel termine di 15 giorni dalla discussione, deposita la sentenza in cancelleria (art. 321).
In particolare, alla lettera a) si dispone che il processo davanti al giudice di pace venga uniformato al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (anch’esso oggetto di riforma da parte del comma 5 dell’art. 1, al quale si rimanda).
Inoltre, la lettera b) stabilisce che la riforma dovrà provvedere alla rideterminazione della competenza del giudice di pace in materia civile, anche attraverso la modifica dell'art. 27 del decreto legislativo n. 116 del 2017 in vigore dal 31 ottobre 2025 (concernenti, rispettivamente, l'ampliamento della competenza del giudice di pace in materia civile e in materia tavolare).
Si ricorda che l'articolo 27 del decreto legislativo n. 116 del 2017 reca modifiche a vari articoli del codice di procedura civile, al fine di ampliare la competenza del giudice di pace, sia innalzando le soglie di valore delle cause, sia incidendo sulla disciplina inerente alle materie.
In relazione al valore della causa, l'articolo 27 attribuisce al giudice onorario di pace le controversie:
- relative a beni mobili di valore non superiore a 30.000 euro (art. 7, primo comma, c.p.c.);
- di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, in cui il valore della controversia non supera i 50.000 euro (art. 7, secondo comma, c.p.c.).
È competente qualunque ne sia il valore in relazione alle seguenti materie (art. 7, nuovo terzo comma c.p.c.):
- per le cause relative ad apposizione di termini;
- per le cause in materia di condominio negli edifici, come definite ai sensi dell'articolo 71-quater delle disposizioni per l'attuazione del codice civile;
- per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità;
- per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali;
- per le cause nelle materie di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, Sezione VI del codice civile, fatta eccezione per quella delle distanze nelle costruzioni;
- per le cause relative alle materie di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, Sezione VII del codice civile, fatta eccezione per quella delle distanze di cui agli articoli 905, 906 e 907 del medesimo codice;
- per le cause in materia di stillicidio e di acque di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, sezioni VIII e IX del codice civile;
- per le cause in materia di occupazione e di invenzione di cui al libro terzo, titolo II, Capo III, sezione I del codice civile;
- per le cause in materia di specificazione, unione e commistione di cui al libro terzo, titolo II, Capo III, sezione II del codice civile;
- per le cause in materia di enfiteusi di cui al libro terzo, titolo IV del codice civile;
per le cause in materia di esercizio delle servitù prediali;
- per le cause di impugnazione del regolamento e delle deliberazioni di cui agli articoli 1107 e 1109 del codice civile;
- per le cause in materia di diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa, di cui al libro terzo, titolo VIII, Capo II, Sezione I del codice civile.
Sono, inoltre, attratte alla competenza del giudice onorario di pace, purché nel limite di valore di 30.000 euro, i procedimenti nelle seguenti materie (art. 7, nuovo quarto comma c.p.c.):
- usucapione di beni immobili e di diritti reali immobiliari;
- riordino della proprietà rurale (v. Libro terzo, titolo II, capo II, sez. II del codice civile);
- accessioni;
- superficie.
Il medesimo art. 27 introduce nel codice di procedura civile un nuovo art. 15-bis che estende la competenza del giudice onorario di pace all’esecuzione forzata mobiliare. Tale regola generale trova, tuttavia, eccezione quando il bene mobile è oggetto della misura esecutiva insieme all’immobile in cui si trova; in tal caso la competenza è attratta dal tribunale. Rimane infatti di competenza del tribunale l’esecuzione forzata di immobili. Analoga competenza del tribunale riguarda l’esecuzione di crediti, di obblighi di fare e di non fare nonché per la consegna e il rilascio di cose.
Infine, l'art. 27 prevede la modifica dell’art. 17 della L. 108 del 1996, per stabilire la competenza del giudice onorario di pace per l’adozione del decreto di riabilitazione del debitore protestato (o per il relativo diniego); attualmente la competenza appartiene al presidente del tribunale. Conseguentemente, si prevede la novella dell’art. 13 del d. lgs 150 del 2011, per affermare la competenza del tribunale (anziché, come ora, della corte d’appello) sull’impugnazione dei provvedimenti sia di concessione che di diniego della citata riabilitazione.
L’art. 1, comma 8, individua principi e criteri direttivi per la riforma del giudizio di appello, finalizzati a scoraggiare impugnazioni pretestuose ed a semplificare le procedure, improntandole a criteri di maggiore celerità ed efficienza. In particolare, la riforma dovrà caratterizzarsi:
§ per il superamento dell’attuale disciplina del c.d. filtro in appello, prevedendo la possibilità di dichiarare manifestamente infondata l'impugnazione che non ha possibilità di essere accolta;
§ per la modifica della disciplina della provvisoria esecutività delle sentenze appellate, volta a rimettere al giudice la possibilità di sospendere l’esecutività a fronte di una prognosi di fondatezza dell’impugnazione o di gravità e irrimediabilità del pregiudizio derivante dall’esecuzione;
§ per la reintroduzione della figura del consigliere istruttore, giudice designato dal presidente del collegio e deputato all'espletamento dell'intera fase prodromica alla decisione;
§ per la limitazione delle ipotesi di rimessione della causa in primo grado ai soli casi di violazione del contraddittorio.
Disciplinato dagli art. 339 e seguenti del codice di procedura civile, l’appello è il mezzo di impugnazione ordinario delle sentenze pronunciate in primo grado, a eccezione di quelle dichiarate inappellabili tanto dalla legge quanto in virtù dell’accordo delle parti. Con la sua proposizione si ha il riesame totale della controversia.
L’appello si propone mediante atto di citazione indirizzato alla corte di appello o al tribunale, a seconda che sia rispettivamente proposto contro una sentenza del tribunale o del giudice di pace.
Il giudice d’appello viene reinvestito del potere di decidere sullo stesso oggetto litigioso sul quale ha già deciso il giudice di primo grado, subordinatamente peraltro all’iniziativa delle parti. I limiti della devoluzione del materiale di causa, dal primo al secondo grado di giudizio, sono così segnati sia dall’iniziativa dell’appellante, attraverso la esposizione dei motivi specifici della impugnazione (appello principale), sia dalle scelte dell’appellato, che in caso di soccombenza reciproca può a sua volta impugnare la sentenza con appello incidentale. Resta fermo, infine, che le eccezioni e le domande non accolte, se non siano espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate. Problema inverso è quello relativo alla possibilità di introdurre in appello questioni che non sono state dedotte in primo grado. Non vi possono essere proposte domande nuove né eccezioni nuove, salvo che non siano rilevabili anche d’ufficio. Restano nondimeno proponibili quelle domande le quali costituiscono uno svolgimento logico o cronologico di domande già proposte. In tema di nuove prove vigono analoghe restrizioni: al divieto di proporle sfuggono unicamente il giuramento decisorio nonché le prove che la parte interessata dimostri non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa a essa non imputabile.
La proposizione dell’appello non comporta di per sé la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, che può invece essere richiesta al giudice di appello con apposita istanza insieme con la impugnazione principale o con quella incidentale.
Normalmente il giudizio di appello si conclude con una pronunzia che è destinata a sostituirsi a quella assunta in primo grado nella regolamentazione della situazione controversa. Soltanto in alcuni casi di speciale gravità esso si conclude con una pronuncia che si limita a eliminare la sentenza impugnata e a rimettere la causa al giudice di primo grado.
Nel procedimento di appello si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale. Se sia impugnata una sentenza del giudice di pace, e sia quindi competente per l’appello il tribunale, la trattazione e decisione della causa è monocratica. Viceversa la trattazione dell’appello è integralmente collegiale davanti alla corte di appello, in ipotesi di impugnazione della sentenza del tribunale.
Nell'attuazione della delega, in base alla lettera a) il Governo dovrà prevedere che i termini per le impugnazioni (art. 325, c.p.c.) decorrano, anche per la parte che procede alla notifica, dal momento in cui la sentenza è notificata.
L'art. 325 c.p.c. prevede che il termine per proporre l'appello (nonché la revocazione e l'opposizione di terzo, anche contro la sentenza delle corti di appello) è di 30 giorni. Il successivo art. 326 stabilisce che i termini stabiliti nell'articolo 325 sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza. Il medesimo art. 326 indica alcune eccezioni a questa regola (ad esempio, dolo delle parti ovvero dolo del giudice, accertata falsità delle prove, reperimento di documenti decisivi ecc). Un termine più lungo per l'impugnazione, pari a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notificazione, è previsto dall'art. 327.
Il principio e criterio direttivo della lettera b) impone che l'impugnazione incidentale presentata tardivamente perda efficacia anche quando l'impugnazione principale sia dichiarata improcedibile, non solo quando la medesima sia dichiarata inammissibile.
L'art. 333 c.p.c. stabilisce che le parti destinatarie delle notifiche devono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo. Ai sensi del successivo art. 334, le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia.
In base alla lettera c), il legislatore delegato dovrà prevedere che siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico, nell'atto di citazione, le indicazioni prescritte a pena di inammissibilità per gli atti introduttivi dell'appello, di cui agli articoli 342 e 434 del codice di procedura civile.
L'art. 342 c.p.c. disciplina la forma dell'appello. In particolare, esso stabilisce che l'appello si propone con citazione. Trova quindi applicazione l'art. 163 c.p.c. che stabilisce i contenuti necessari dell'atto di citazione.
Inoltre l'appello deve essere motivato. La motivazione (primo comma, n. 2) deve, tra l'altro, contenere «1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata».
L'art. 434 c.p.c. disciplina il deposito del ricorso in appello nel rito del lavoro. Si applica l'art. 414 quanto ai contenuti. Anche in questo caso di prevede che l'appello sia motivato e la motivazione debba contenere indicazioni analoghe a quelle previste dall'art. 342 c.p.c. sopra ricordato.
Si segnala che il testo originario del disegno di legge individuava nel ricorso l’atto introduttivo del giudizio di appello, sostituendolo all’atto di citazione, analogamente a quanto era previsto, sempre nel testo originario, per l’instaurazione del giudizio in primo grado. In merito, la Commissione Luiso ha indicato nel mantenimento della forma della citazione uno dei principi qualificanti della riforma dell'appello qui in esame (analogamente del giudizio in primo grado).
La lettera d) delega il Governo a individuare la forma da utilizzare per la dichiarazione di improcedibilità dell'appello quando l'appellante non si costituisce in termini o quando non compare (art. 348 c.p.c.); si dovrà altresì disciplinare il relativo regime di controllo.
L'art. 348 c.p.c. stabilisce che l'appello è dichiarato improcedibile, anche d'ufficio, quando, come accennato, l'appellante non si costituisce in termini e quando, dopo non essere comparso alla prima udienza, non compare neanche alla seconda udienza, dopo che il collegio rinvia la causa con ordinanza non impugnabile.
A tale riguardo si segnala che la Commissione Luiso ha prospettato una modifica al citato art. 348 c.c. individuando nell'ordinanza non impugnabile la forma della dichiarazione di improcedibilità.
In base alla lettera e) il Governo è delegato a superare l’attuale disciplina del c.d. filtro in appello, di cui agli articoli 348-bis (Inammissibilità dell’appello) e 348-ter (Pronuncia sull’inammissibilità) del codice di procedura civile prevedendo la possibilità, al di fuori delle ipotesi di improcedibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 c.p.c. (v. supra), di dichiarare manifestamente infondata l'impugnazione che non ha possibilità di essere accolta.
La manifesta infondatezza dovrà essere dichiarata con sentenza succintamente motivata, anche mediante rinvio a precedenti conformi, a seguito di trattazione orale.
Si ricorda che tali articoli 348-bis e 348-ter sono stati inseriti nel codice di rito dal decreto-legge n. 83 del 2012.
Il filtro in appello è un meccanismo processuale che ha la finalità, attraverso un sistema decisorio semplificato, di deflazionare il contenzioso che grava sulle Corti di appello dichiarando l’inammissibilità delle impugnazioni che risultano prima facie infondate.
L’art. 348-bis stabilisce che, fuori dai casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente «quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta». La norma non si applica:
- quando l’appello è proposto in relazione a una delle cause che prevedono l’intervento obbligatorio del PM (ex art. 70 c.p.c.);
- quando l’appello riguarda l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702-quater c.p.c.
L’art. 348-ter dispone che, all’udienza di trattazione (art. 350 c.p.c.), il giudice, prima di procedere alla trattazione e sentite le parti, dichiari inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348-bis, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi.
Se oltre all’appello principale è proposto anche appello incidentale, l’inammissibilità potrà essere dichiarata purché entrambe le impugnazioni non abbiano una ragionevole probabilità di essere accolte.
Quando è pronunciata inammissibilità dell’appello, il provvedimento di primo grado può essere impugnato attraverso il ricorso per cassazione.
La decisione a seguito di trattazione orale è disciplinata dall’art. 281-sexies del codice di rito: il giudice può definire il giudizio all’esito della discussione orale e mediante immediata lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Si segnala, infine, che il testo originario del disegno di legge annoverava, tra i principi e criteri di delega, l'abrogazione del "filtro in appello".
Il Governo è inoltre delegato a riformare la disciplina della provvisoria esecutività delle sentenze appellate. Specifici principi e criteri direttivi sono dettati dalle lettere f), i) ed m).
Si ricorda che fino al 1990 l’appello produceva un effetto sospensivo, in forza del quale l’esecuzione delle sentenze appellate rimaneva sospesa per effetto della proposizione dell’appello. Con la riforma attuata dalla legge n. 353 del 1990 si è affermato il principio opposto, secondo il quale l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto della impugnazione di essa.
Attualmente, l’art. 283 c.p.c. attribuisce al giudice di appello il potere di sospensione (totale o parziale) dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, con la facoltà di imporre all’istante una cauzione.
Inoltre, il secondo comma dell’art. 283 c.p.c. stabilisce che, qualora l’istanza di sospensione sia inammissibile o manifestamente infondata, il giudice con ordinanza non impugnabile può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore a 250 euro e non superiore a 10.000 euro. L’ordinanza con la quale viene inflitta la sanzione è tuttavia revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.
L’ordinanza con la quale il giudice di appello decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva non è impugnabile.
In base alla lettera f), la riforma dovrà confermare la regola dell’esecutività del provvedimento impugnato consentendo però al giudice di sospendere l’efficacia esecutiva e l’esecuzione della sentenza in presenza di uno dei seguenti presupposti (n. 1):
§ se egli riterrà – “sulla base di un giudizio prognostico” – che l’impugnazione sia manifestamente fondata ovvero
§ se egli riterrà che dall’esecuzione della sentenza possano derivare gravi e irreparabili pregiudizi. La delega specifica che, in relazione alle condanne al pagamento di una somma di denaro, il grave pregiudizio può consistere anche nella possibile insolvenza di una delle parti.
La richiesta di sospendere l’esecuzione della sentenza di primo grado può essere presentata anche più volte nel corso del giudizio d’appello purché il ricorrente indichi – a pena di inammissibilità – gli specifici elementi sopravvenuti rispetto alla precedente richiesta (n. 2).
Il legislatore delegato dovrà inoltre confermare la previsione in base alla quale a fronte di una istanza di sospensione giudicata manifestamente inammissibile o infondata, il giudice può condannare la parte che l’ha proposta al pagamento alla Cassa delle ammende di una somma tra 250 e 10.000 euro. L’ordinanza sarà revocabile con la sentenza che definisce il giudizio (n. 3).
Inoltre, per quanto attiene alla trattazione del procedimento sull'esecuzione provvisoria, la lettera i) delega il Governo a prevedere che il presidente del collegio designi un consigliere istruttore (v. infra) e ordini la comparizione delle parti innanzi al medesimo consigliere istruttore. Quest'ultimo, sentire le parti, riferirà al collegio ai fini dell'adozione dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria.
Rimane fermo quanto previsto dall'art. 351, III comma, secondo periodo, c.p.c., ai sensi del quale il presidente del collegio può disporre provvisoriamente (con il decreto nel quale ordina la comparizione delle parti) l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza. In tal caso, nell'udienza in camera di consiglio il collegio conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile.
Infine, in una ottica di semplificazione, ai sensi della lettera m), il Governo dovrà introdurre la possibilità che, all'esito dell'udienza per la decisione sull'istanza con la quale la parte chiede la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata (di cui all'art. 283 c.p.c.), il collegio possa procedere ai sensi dell'art. 281-sexies e dunque possa ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza successiva, assegnando, ove richiesto, un termine per la presentazione di note scritte. In esito alla udienza di discussione il giudice potrà pronunciare sentenza.
In sede di riforma del giudizio di appello il Governo dovrà inoltre intervenire sul procedimento di correzione delle sentenze contro le quali non sia stato proposto appello e delle ordinanze non revocabili, modificando gli artt. 287 e 288 c.p.c.
L’art. 287 c.p.c. prevede che le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello e le ordinanze non revocabili possano essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo.
Il successivo art. 288 c.p.c. delinea il procedimento per la correzione prevedendo che:
- se tutte le parti concordano nel chiedere la stessa correzione, il giudice provvede con decreto;
- se la correzione è chiesta da una delle parti, il giudice, con decreto da notificarsi insieme col ricorso, fissa l'udienza nella quale le parti debbono comparire davanti a lui. Sull'istanza il giudice provvede con ordinanza, che deve essere annotata sull'originale del provvedimento.
La disposizione inoltre prevede che le sentenze possano essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione.
In particolare, in sede di riforma il Governo dovrà prevedere:
§ che si possa rinunciare alla partecipazione all'udienza fissata nell'ambito del procedimento di correzione delle sentenze e delle ordinanze (di cui all'art. 287 c.p.c. che dovrà essere quindi novellato). Qualora le parti intendano presentare richiesta congiunta, questa dovrà essere depositata almeno cinque giorni prima dell'udienza fissata; in caso di richiesta non congiunta, si dovrà prevedere la possibilità che il giudice inviti la parte resistente a depositare note scritte, senza fissazione di apposita udienza (lettera g));
§ che si possa esperire - entro un anno dalla pubblicazione del provvedimento - il procedimento di correzione nei casi di contestazione dell'attribuzione o quantificazione delle spese di lite liquidate con un provvedimento già passato in giudicato, prevedendo altresì che tale procedimento non sia più esperibile decorso un anno dalla pubblicazione del provvedimento (lettera h).
La riforma del giudizio di appello dovrà inoltre ripristinare la figura del consigliere istruttore, giudice designato dal presidente del collegio e deputato all'espletamento dell'intera fase prodromica alla decisione, al quale dovranno essere attribuiti rilevanti poteri.
Si ricorda che la disposizione relativa alla nomina del consigliere istruttore - art. 349 c.p.c. – è stata abrogata dalla riforma del 1990 (legge n. 353 del 1990[5]).
Oltre ai poteri relativi alla trattazione de procedimento sull’esecuzione provvisoria (v. sopra, lettera i), più in generale, in base alla lettera l), il Governo dovrà prevedere che la trattazione del giudizio d’appello si svolga davanti al consigliere istruttore, al quale dovranno essere attribuiti i seguenti poteri:
§ dichiarare la contumacia dell'appellato;
§ procedere alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza
§ procedere al tentativo di conciliazione
§ ammettere i mezzi di prova
§ procedere all'assunzione dei mezzi istruttori e
§ fissare udienza davanti al collegio anche ai sensi del già citato art. 281-sexies c.p.c.
Si specifica che il collegio ha comunque il potere di impartire provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa e di disporre, anche d'ufficio, la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova.
In base alla lettera n) la riforma dovrà inoltre prevedere che il consigliere istruttore possa assegnare alle parti i seguenti termini perentori, salvo rinuncia espressa delle parti stesse:
§ di 60 giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni,
§ fino a 30 giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali
§ fino a 15 giorni prima dell’udienza per il deposito delle memorie di replica.
Il consigliere istruttore potrà dunque fissare l'udienza davanti a sé per la rimessione della decisione con riserva di riferire al collegio. La sentenza dovrà essere depositata entro i successivi 60 giorni.
Nella Relazione tecnica di accompagnamento del maxiemendamento al Senato il Governo ha evidenziato il positivo effetto derivante dal coinvolgimento di un 'unica risorsa umana, quella del consigliere istruttore per il disbrigo di molti adempimenti attualmente devoluti all'intero collegio, circostanza che consente agli altri magistrati di occuparsi di altre controversie e di deflazionare i ruoli e i carichi di lavoro.
Infine, la lettera o) delega il Governo a riformulare gli articoli 353 e 354 c.p.c., concernenti le ipotesi di rimessione della causa in primo grado - rispettivamente per motivi di giurisdizione ovvero per altri motivi - limitandola ai casi di violazione del contraddittorio.
L'art. 353 c.p.c. stabilisce che il giudice d'appello, "se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice. Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza. Se contro la sentenza d'appello è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto". Ai sensi dell'art. 354 c.p.c., fuori dei casi previsti nell'articolo 353, "il giudice di appello non può rimettere la causa al primo giudice, tranne che dichiari nulla la notificazione della citazione introduttiva, oppure riconosca che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte, ovvero dichiari la nullità della sentenza di primo grado a norma dell'articolo 161 secondo comma. Il giudice d'appello rimette la causa al primo giudice anche nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sulla estinzione del processo a norma e nelle forme dell'articolo 308. Nei casi di rimessione al primo giudice previsti nei commi precedenti, si applicano le disposizioni dell'articolo 353. Se il giudice d'appello dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, ne ordina, in quanto possibile, la rinnovazione a norma dell'articolo 356".
L'articolo 1, comma 9, reca principi e criteri di delega concernenti il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, che prevedono, anzitutto, la riforma del c.d. filtro in Cassazione, con la previsione di un procedimento accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. In particolare, se il giudice (giudice filtro, in luogo della sezione filtro) ravvisa uno dei possibili suddetti esiti, lo comunica alle parti lasciando loro la possibilità di optare per la richiesta di una camera di consiglio ovvero per la rinuncia al ricorso. Quest’ultima possibilità è incentivata escludendo per il soccombente il pagamento del contributo unificato altrimenti dovuto a titolo sanzionatorio. La riforma inoltre prevede l’introduzione del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, da parte del giudice di merito, di una questione di diritto:
In particolare, ai sensi della lettera a), il Governo dovrà prevedere che il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione.
Secondo quanto rappresentato dalla Commissione Luiso, il principio di chiarezza e sinteticità degli atti merita di essere introdotto "con una disposizione ad hoc, in considerazione non solo della centralità del ruolo della Corte di cassazione nell’ordinamento, al vertice del sistema delle impugnazioni, ma anche per le caratteristiche peculiari rivestite dalla traduzione di quel principio nel giudizio di legittimità".
La lettera b) dispone che nell'esercizio della delega si dovrà procedere ad uniformare i procedimenti camerali relativi all'inammissibilità e alla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso (c.d. procedimento filtro, dinanzi all'apposita sezione civile della Corte, di cui all’art. 380-bis c.p.c.) e il procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice (di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c.).
Si ricorda che l'art. 380-bis c.p.c. rimette al presidente, in sede di fissazione dell'adunanza, l'indicazione di eventuali "ipotesi filtro". Se la camera di consiglio della sezione filtro non ritiene che ricorrano le ipotesi di inammissibilità o manifesta infondatezza/fondatezza, rimette la causa alla pubblica udienza di una sezione semplice.
In base all'art. 380-bis.1 c.p.c., il pubblico ministero e le parti dovranno ricevere comunicazione della fissazione della camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice almeno 40 giorni prima; il pubblico ministero potrà depositare le sue conclusioni scritte non oltre 20 giorni prima della camera di consiglio; le parti non oltre 10 giorni prima dell'adunanza. La corte giudicherà sulla base delle carte depositate, senza intervento del pubblico ministero o delle parti.
In particolare, la riforma dovrà incidere sul filtro in Cassazione prevedendo:
§ la soppressione della sezione prevista dall'art. 376 c.p.c. e l'attribuzione della relativa competenza alle sezioni semplici. Il richiamato art. 376 stabilisce che il primo presidente (tranne quando ricorrono le condizioni per la pronuncia a sezioni unite previste dall'art. 374 c.p.c.) assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio. Se il ricorso supera il filtro preliminare di inammissibilità/infondatezza, il presidente rimette gli atti alla sezione semplice, omettendo ogni formalità. A seguito della soppressione di tali disposizioni, quindi, il primo presidente assegnerebbe i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice;
§ la soppressione del procedimento per la decisione in camera di consiglio sull'inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, di cui all'art. 380-bis.
Con il principio di delega di cui alla lettera c) si prevede l’estensione della pronuncia in camera di consiglio all'ipotesi in cui la Corte riconosca di dover dichiarare l'improcedibilità del ricorso.
La disposizione di cui alla lettera d) mira ad intervenire sulla fase decisoria del procedimento in camera di consiglio, disciplinata dagli articoli 380-bis.1 e 380-ter del codice di rito. Al fine di rendere più spedita tale fase, nell'attuazione della delega si dovrà prevedere la possibilità di depositare immediatamente in cancelleria l'ordinanza, succintamente motivata, al termine della camera di consiglio. Si dovrà comunque riservare al collegio la possibilità di procedere alla redazione e alla pubblicazione della medesima ordinanza entro sessanta giorni dalla deliberazione.
Il principio di delega di cui alla lettera e) mira ad introdurre, nell'attuazione della delega, un procedimento accelerato (rispetto alla sede camerale prevista ordinariamente) per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati.
In particolare, il Governo dovrà prevedere che il giudice della Corte formuli una proposta di definizione del ricorso (n. 1), che dovrà essere comunicata agli avvocati delle parti (n. 2) e che dovrà contenere l'indicazione sommaria delle ragioni poste a base di tale proposta.
Qualora nessuna delle parti chiederà la fissazione della camera di consiglio nel termine di 20 giorni dalla comunicazione, il ricorso si intenderà rinunciato. A seguito di tale rinuncia, il giudice pronuncerà decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero, in favore della parte soccombente che non presenta la richiesta di fissazione della camera di consiglio, dal pagamento del contributo previsto dall'articolo 13, comma 1-quater, del testo unico in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115 del 2002).
Tale comma 1-quater stabilisce che la parte che ha proposto un'impugnazione, anche incidentale, che risulti respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti per tale pagamento; l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso provvedimento.
Ai sensi della lettera f), nell’esercizio della delega il Governo dovrà prevedere che la Corte proceda in udienza pubblica quando la questione di diritto sottopostale è di particolare rilevanza. In tale ipotesi occorrerà:
§ fissare il termine massimo di 40 giorni prima dell'udienza per la comunicazione della data della stessa udienza al pubblico ministero e agli avvocati;
§ introdurre la facoltà per il pubblico ministero di depositare una memoria non oltre 15 giorni prima dell'udienza.
Si ricorda che l'art. 375 stabilisce che la Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, salvo i casi ivi previsti e salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto. Si prevede, inoltre, che si svolga la pubblica udienza quando il ricorso sia stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'articolo 376, ci cui, come detto, la delega prospetta la soppressione.
Il principio e criterio direttivo della lettera g) demanda al Governo di disciplinare il rinvio pregiudiziale di una questione di diritto alla Corte di Cassazione.
In particolare, la riforma dovrà prevedere la possibilità per il giudice di merito di sottoporre, con ordinanza, alla Corte di cassazione la risoluzione di un quesito inerente a una questione di diritto, sulla quale il medesimo giudice ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti. Ciò in presenza dei seguenti presupposti (n. 1):
§ la questione è esclusivamente di diritto, riveste una particolare importanza e non è stata ancora affrontata dalla Cassazione;
§ la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
§ la questione può ricorrere in numerose controversie.
Ricevuta l’ordinanza del giudice di merito, il primo presidente della Cassazione potrà:
- dichiarare, entro 90 giorni, inammissibile la richiesta perché carente dei richiesti presupposti (n. 2);
- assegnare la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice competente (n. 3). In tal caso, la Cassazione decide enunciando il principio di diritto con un procedimento da svolgersi mediante pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti di depositare brevi memorie entro un termine assegnato dalla Corte stessa (n. 4).
Il rinvio pregiudiziale in cassazione sospende il giudizio di merito nel quale è sorta la questione (n. 5).
Il provvedimento con il quale la Cassazione decide della questione di diritto è vincolante nel giudizio a quo e, anche se il procedimento stesso si estingue, conserva tale effetto nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della medesima domanda nei confronti delle medesime parti.
Il comma 10 dell’articolo 1 delega il Governo a disciplinare la possibilità di esperire il rimedio della revocazione quando il contenuto di una sentenza passata in giudicato sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione ovvero a uno dei suoi Protocolli.
Si ricorda che nel sistema delineato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, le sentenze della Corte europea sono vincolanti per gli Stati e tuttavia non spetta alla Corte europea indicare le misure per dare loro esecuzione. Corollario della natura dichiarativa delle sentenze della Corte europea è il margine di apprezzamento rimesso agli Stati nella scelta dei mezzi e dei modi per dare esecuzione alla decisione CEDU; fatta salva tale discrezionalità, sugli Stati grava l’obbligo, anzitutto, di porre fine alla violazione e, ove possibile, di porre il ricorrente nella situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione non si fosse verificata (restitutio in integrum). Laddove la violazione abbia inciso sul diritto al giusto processo si pone la questione di stabilire se lo Stato debba revocare la sentenza definitiva che abbia concluso il processo dichiarato iniquo.
Sulla base di queste premesse, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 123 del 2017 ha dichiarato che nelle materie diverse da quella penale, dalla giurisprudenza CEDU non emerge, allo stato, l'esistenza di un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo su richiesta dei soggetti che hanno adito vittoriosamente la Corte EDU, allorquando ciò sia necessario per conformarsi alla sentenza definitiva di quest'ultima. Infatti, per i processi diversi da quelli penali e, in particolare, per quelli amministrativi, la Corte di Strasburgo si è limitata a incoraggiare l'introduzione della predetta misura, rimettendo, tuttavia, la relativa decisione agli Stati contraenti, e ciò in considerazione dell'esigenza - che differenzia i processi civili e amministrativi da quelli penali (oltre al fatto che nei primi non è gioco la libertà personale) - di tutelare i soggetti, diversi dal ricorrente a Strasburgo e dallo Stato, che, pur avendo preso parte al giudizio interno, non sono parti necessarie del giudizio convenzionale, e di rispettare nei loro confronti la certezza del diritto garantita dalla res iudicata. La delicata ponderazione, alla luce dell'art. 24 Cost., fra il diritto di azione degli interessati e il diritto di difesa dei terzi - necessaria nel nostro ordinamento per consentire la riapertura del processo non penale, con il conseguente travolgimento del giudicato interno - spetta in via prioritaria al legislatore, la cui opera sarebbe certamente resa più agevole da una sistematica apertura del processo convenzionale ai terzi, per mutamento delle fonti convenzionali o in forza di una loro interpretazione adeguatrice da parte della stessa Corte EDU.
Analogamente la Corte si è pronunciata con la sentenza n. 93 del 2018, rinnovando l’auspicio sia a un sistematico coinvolgimento dei terzi nel processo convenzionale, sia a un intervento del legislatore che permetta di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi[6].
In particolare, in base alla lettera a), il legislatore delegato dovrà prevedere che, a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che dichiari una sentenza (sulla quale si sia formato il giudicato) contraria alla Convenzione europea dei diritti oppure ad uno dei suoi Protocolli, sia ammessa l'impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. La disposizione specifica che si deve comunque evitare la duplicazione di ristori e che il rimedio dovrà essere esperibile ove non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela risarcitoria, per equivalente.
Si ricorda che l'art. 395 c.p.c. stabilisce che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione, nei casi ivi previsti[7]. L'art. 396 c.p.c. disciplina i casi in cui la sentenza è impugnabile per revocazione anche quando sia scaduto il termine per l'appello. La revocazione è proponibile dal pubblico ministero quando la sentenza è stata pronunciata senza che il medesimo pubblico ministero sia stato sentito oppure quando la sentenza sia l'effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge (art. 397 c.p.c.).
La revocazione si propone, davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, mediante citazione, da depositare entro venti giorni dalla notificazione, sottoscritta da un difensore munito di procura speciale, corredata dalla copia autentica della sentenza impugnata. La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento. Il giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, può sospendere l'uno o l'altro fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta (articoli 398 e 399). Davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al medesimo giudice, salvo le deroghe espressamente previste (art. 400). L'articolo 401 stabilisce che il giudice della revocazione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell'atto di citazione, l'ordinanza di sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'articolo 373 c.p.c.
Riguardo alla decisione, il giudice con la sentenza di revocazione decide il merito della causa e dispone l'eventuale restituzione di ciò che sia stato conseguito con la sentenza revocata. Il giudice rimette con ordinanza le parti davanti all'istruttore, ove ritenga di dover disporre nuovi mezzi istruttori.
Riguardo all'impugnazione, l'art. 403 prevede che contro la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione, ad eccezione dell'impugnazione per revocazione.
Nell'ambito del procedimento di revocazione si dovrà prevedere che:
§ i diritti acquistati dai terzi in buona fede, che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla CEDU, siano fatti salvi (lettera b));
§ la legittimazione attiva a promuovere l'azione di revocazione spetti alle parti del processo svoltosi innanzi alla CEDU (nonché ai loro eredi o aventi causa) e al pubblico ministero (lettera c));
§ l’impugnazione debba essere presentata entro massimo 90 giorni dalla comunicazione o, in mancanza della comunicazione, dalla pubblicazione della sentenza della CEDU (lettera d)).
Inoltre, ai sensi della lettera e), la riforma dovrà porre in capo all'Agente del Governo l'obbligo di comunicare la pendenza del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo a tutte le parti del procedimento che ha dato luogo alla sentenza sottoposta all’esame della Corte europea e al pubblico ministero. In tal modo si intende consentire loro di fornire elementi informativi o, nei limiti consentiti dal regolamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, di richiedere di essere autorizzati all'intervento.
Si ricorda che in base all’art. 15 del decreto-legge n. 113 del 2018, le funzioni di agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sono svolte dall'Avvocato generale dello Stato, che può delegare un avvocato dello Stato.
L’agente del Governo assicura la difesa scritta e orale del Governo, cura i rapporti tra la Corte e le Autorità nazionali di volta in volta interessate e coordina le attività processuali necessarie, redigendo, in una delle due lingue ufficiali della Corte europea (inglese e francese) memorie in difesa dello Stato.
Dopo ogni sentenza della Corte, recante la constatazione di una violazione della Convenzione a carico dell’Italia, l’Agente segue, questa volta in qualità di esperto giuridico della Rappresentanza Permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa, la fase di esecuzione degli obblighi scaturenti dalla decisione (ai sensi degli articoli 41 e 46 della Convenzione stessa).
La lettera f) delega il Governo ad operare gli adattamenti necessari alla legislazione vigente a seguito dell'adozione delle norme attuative dei criteri di delega in esame.
L'articolo 1, comma 11, reca i princìpi e criteri direttivi per la riforma del rito del lavoro, con particolare riferimento alle controversie sui licenziamenti.
In particolare, il disegno di legge delega il Governo ad unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, adottando le opportune norme transitorie.
Il tema dell’unificazione dei procedimenti si pone perché, per alcuni rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015 si applica alla controversia sui licenziamenti il c.d. Rito Fornero, previsto dall’art. 1, commi da 47 a 66, della L. 28 giugno 2012, n. 92. In sintesi, il "rito Fornero" prevede una prima fase istruttoria, al termine della quale il giudice emette un'ordinanza, immediatamente esecutiva, di accoglimento o di rigetto della domanda, con successiva eventuale opposizione contro l’ordinanza medesima. L'efficacia esecutiva di quest'ultima non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisca il giudizio eventualmente instaurato con l'opposizione.
Per i rapporti di lavoro instaurati successivamente[8], invece, in caso di licenziamento trova applicazione la disciplina processuale generale relativa alle controversie in materia di lavoro.
Nell’esercizio della delega il Governo dovrà prevedere:
§ che la trattazione delle cause di licenziamento, in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, sia prioritaria (lettera a);
§ che le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche se contestuali alla cessazione del rapporto associativo, debbano essere introdotte con ricorso, applicandosi il rito del lavoro di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c. (lettera b).
Con riguardo alle modifiche ai procedimenti per le controversie in materia di lavoro nella relazione conclusiva dei lavori della Commissione Luiso si sottolinea che «la delega è finalizzata al superamento dell’attuale previsione di un duplice rito nella materia dei licenziamenti del lavoratore dipendente: il primo, disciplinato dall’articolo 1, commi 48 ss., della legge 12 giugno 2012, n. 92, per i lavoratori assunti fino al 7 marzo 2015; il secondo, ossia il riso del lavoro, di cui agli articoli 409 ss. c.p.c., per i lavoratori assunti dopo quella data. Con il principio di delega in oggetto si stabilisce che il solo rito applicabile per queste controversie sia il processo del lavoro, con la previsione, tuttavia, di una corsia preferenziale. Ciò contribuirà, da un lato, a semplificare ed a chiarire il quadro normativo della disciplina processuale nella materia dei licenziamenti, superando la scelta attuale – peraltro di dubbia compatibilità con il principio di ragionevolezza – di prevedere discipline processuali molto diverse fra loro sulla base del solo elemento formale dell’assunzione del lavoratore interessato dal licenziamento avvenuta in date differenti; dall’altro lato, a superare le difficoltà interpretative e applicative che ha fatto emergere l’articolo 1, commi 48 ss., della legge 12 giugno 2012, n. 92, fin dalla sua introduzione, con inevitabili ricadute per i rapporti fra datore di lavoro e lavoratore.
D’altro canto, la previsione di un unico rito per le controversie in materia di licenziamenti determinerà anche il superamento delle difficoltà a trattare unitariamente le controversie che riguardino lavoratori assunti in tempi diversi, con inevitabili ricadute sia sull’economia processuale, sia sulle possibilità di successo delle eventuali proposte conciliative.
Per il resto la delega è diretta a rimediare ad altrettante situazioni d’incertezza interpretativa e applicativa che permangono nei casi in cui i licenziamenti vengano impugnati per motivi di discriminazione o da parte del lavoratore che sia anche socio della cooperativa.».
Inoltre, in base alla lettera c), per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori, la riforma dovrà consentire che le azioni di nullità siano proposte ricorrendo, alternativamente, al rito del lavoro di cui all’art. 414 c.p.c., ovvero ai riti speciali previsti:
§ dall’art. 38 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. n. 198 del 2006);
Il procedimento contro le discriminazioni disciplinato dall'art. 38 Codice delle pari opportunità costituisce uno strumento di tutela processuale versatile in risposta alle discriminazioni dirette o indirette, cui possono fare ricorso non soltanto le persone discriminate, ma anche, per loro delega, le organizzazioni sindacali, le associazioni rappresentative dell'interesse leso e, infine, il Consigliere o la Consigliera di Parità territorialmente competenti. Per promuovere e tutelare la parità di trattamento tra uomo e donna, l'art. 37, comma 1, Codice delle pari opportunità, riconosce, inoltre, la legittimazione processuale al Consigliere o alla Consigliera di Parità nel caso di discriminazioni collettive, qualora vi siano atti, patti o comportamenti discriminatori rivolti alle lavoratrici o ai lavoratori non individuabili in modo immediato e diretto.
La competenza è attribuita al tribunale in funzione di giudice del lavoro che, nei due giorni successivi alla presentazione del ricorso, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la violazione, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato nel merito.
Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
Nel giudizio antidiscriminatorio per motivi di genere, è opportuno ricordare che l'art. 40 del Codice delle pari opportunità sull'onere della prova prevede che "quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione".
§ dall’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011[9].
In base al Capo III del decreto legislativo n. 150 del 2011 sono ricondotte al rito sommario di cognizione le cause in materia di discriminazione (articolo 28). È competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio e nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente.
Anche questo rito prevede l’inversione dell’onere della prova: quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata.
Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l'ente collettivo ricorrente.
Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
Resta inteso che la proposizione dell’azione nell’una o nelle altre forme, preclude la possibilità di agire successivamente con un rito diverso.
L’articolo 1, comma 12, reca i principi e criteri direttivi per la riforma del processo di esecuzione. La delega al Governo interessa diversi ambiti di tale processo ed in particolare:
§ la sostituzione dell’iter di rilascio della formula esecutiva con la mera attestazione di conformità della copia al titolo originale;
§ con riguardo al pignoramento, la sospensione dei termini di efficacia dell’atto di precetto che consenta al creditore, munito di titolo esecutivo e di atto di precetto, di predisporre un’istanza, rivolta al presidente del Tribunale, per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare nonché la riduzione dei termini previsti per la sostituzione del custode nominato in sede di pignoramento
§ la riduzione del termine per il deposito della documentazione ipotecaria e catastale;
§ l’accelerazione nella procedura di liberazione dell'immobile quando è occupato sine titulo o da soggetti diversi dal debitore;
§ la riforma dell’istituto della delega delle operazioni di vendita al professionista delegato, al fine di individuare gli adempimenti che il professionista deve espletare e i tempi in cui gli stessi devono essere compiuti e di fornire al giudice dell’esecuzione la possibilità di svolgere l’attività di controllo;
§ l’introduzione di specifiche regole riguardanti la vendita privata nel procedimento di espropriazione immobiliare, prevedendo che il debitore possa essere autorizzato dal giudice dell'esecuzione a vendere direttamente il bene pignorato, per un prezzo non inferiore al suo valore di mercato;
§ l’individuazione dei criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta;
§ l’estensione degli obblighi antiriciclaggio anche agli aggiudicatari e l’introduzione dell’obbligo per il giudice di verificare l'avvenuto rispetto di tali obblighi ai fini dell’emissione del decreto di trasferimento;
§ l’istituzione presso il Ministero della Giustizia della "Banca dati per le aste giudiziali".
In particolare, la lettera a) prevede che, per valere come titoli per l'esecuzione forzata, le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, debbano essere prodotti in copia attestata conforme all'originale, con conseguente abrogazione delle disposizioni del codice di rito civile e di altre leggi che si riferiscono alla formula esecutiva e alla spedizione in forma esecutiva.
In relazione alla necessità di abrogare le disposizioni che si riferiscono alla formula esecutiva la Commissione Luiso rileva: «Già da molto tempo la dottrina sottolinea che la formula esecutiva è un requisito formale la cui utilità è scarsamente comprensibile […].
Nella giurisprudenza di legittimità l’articolo 475 c.p.c. è sempre stato interpretato in modo tale da escludere che la formula esecutiva costituisca elemento indefettibile per un titolo esecutivo, la cui identificazione avviene in base ad un approccio sostanziale fondato sulla sussistenza dei requisiti ex articolo 474 c.p.c. (già Cass., sent. n. 2830/1963, confermata nei decenni successivi, affermava che l’irregolarità della formula o la sua omissione devono essere denunciati con l’opposizione ex articolo 617 c.p.c.).
Da ultimo, la Corte di legittimità ha statuito, ulteriormente indebolendo la rilevanza della formula esecutiva, che “[l]’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo, che deve essere denunciata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617, comma 1, c.p.c., senza che la proposizione dell’opposizione determini l’automatica sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c.; tuttavia, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e dell’interesse ad agire, il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell’opposizione, a dedurre l’irregolarità formale in sé considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato” (Cass., sent. n. 3967/2019, Rv. 652822-01).
La disciplina legislativa sopravvenuta – riguardo all’iscrizione a ruolo dei processi di espropriazione mediante il deposito di una copia (formata dallo stesso difensore del creditore) del titolo rilasciato in forma esecutiva – rende vieppiù superflua la normativa codicistica che, nell’intento di evitare la formazione di vari duplicati del titolo e di arginare eventuali abusi (i quali possono essere azionati con altri strumenti; cfr., ad esempio, Cass., sent. n. 7409/2021), dispone stringenti obblighi formali per il pubblico ufficiale deputato all’apposizione della formula.
L’eliminazione della formula esecutiva (rectius, la possibilità di agire in executivis sulla scorta di una copia attestata conforme all’originale del titolo esecutivo) consentirebbe di eliminare adempimenti inutili per il personale amministrativo degli uffici giudiziari, per i notai (o per i conservatori degli archivi notarili) e anche per i legali (evitando l’incombente di dover richiedere l’apposizione della formula esecutiva e il rilascio della copia esecutiva, ben potendo gli stessi estrarre copia dei provvedimenti giudiziali dal PCT anche attestandone la conformità ai rispettivi originali)».
Ai sensi della successiva lettera b), il Governo deve prevedere che se il creditore presenta l'istanza per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare ex articolo 492-bis c.p.c, il termine di cui all'articolo 481, primo comma, c.p.c (per il quale il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l'esecuzione), rimane sospeso e riprende a decorrere dalla conclusione delle operazioni previste dal comma 2, dell'articolo 492-bis (ai sensi del quale l'ufficiale giudiziario può accedere, mediante collegamento telematico diretto, alle banche dati delle pubbliche amministrazioni al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione).
L'articolo 492-bis c.p.c. disciplina la possibilità per il creditore procedente, dietro espressa autorizzazione del presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, ovvero di un giudice da costui delegato, di richiedere in caso di incapienza del debitore, la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.
Con riguardo alle modalità si prevede che l'istanza non è solo a richiesta del creditore procedente, ma del creditore tout court, con ciò di fatto prevedendo tale possibilità anche a chi non abbia iniziato la procedura esecutiva. In ragione delle possibilità di iniziare le ricerche prima del primo atto di esecuzione, ossia del pignoramento, si prevede inoltre che la citata istanza non possa essere proposta prima che sia decorso il termine di cui all'articolo 482(questo articolo prevede che occorre assegnare con il precetto al debitore un termine per adempiere, solo decorso il quale può procedersi all'esecuzione minacciata). Se vi è pericolo nel ritardo, il presidente del tribunale autorizza la ricerca telematica dei beni da pignorare prima della notificazione del precetto. Ai sensi del comma 2 richiamato dalla disposizione in commento, grazie a tale autorizzazione, l'ufficiale giudiziario può accedere, mediante collegamento telematico diretto, alle banche dati delle pubbliche amministrazioni o che le stesse possono consultare, inclusi l'anagrafe tributaria e le banche dati degli enti previdenziali, al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro committenti.) La diposizione precisa inoltre che l'ufficiale giudiziario procede a pignoramento munito del titolo esecutivo e del precetto, anche acquisendone copia dal fascicolo informatico. Tale precisazione consente di velocizzare a procedura, in caso di esito positivo delle indagini, oltre a porsi in linea con l'evoluzione in chiave telematica del sistema delle esecuzioni forzate. In caso di pericolo nel ritardo, è poi previsto che il precetto è consegnato o trasmesso all'ufficiale giudiziario addirittura prima che si proceda al pignoramento.
Inoltre, in base alla lettera c), nell’esercizio della delega il Governo è chiamato ad intervenire sul termine per il deposito della documentazione ipotecaria e catastale ex articolo 567, comma 2, c.p.c., attualmente fissato in 60 giorni dal deposito del ricorso.
Ai sensi del secondo comma dell'articolo 567 c.p.c. il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso l'estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.
Al riguardo il Governo dovrà ridurre il suddetto termine facendo sì che esso coincida “con quello previsto dal combinato disposto degli articoli 497 e 501 c.p.c”. Dalla formulazione letterale della disposizione si deduce che il Governo dovrà modificare il termine per il deposito della documentazione ipotecaria e catastale, fissandolo nel massimo in 45 giorni (in conseguenza del richiamo dell’articolo 497 c.p.c., per il quale il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi quarantacinque giorni senza che sia stata chiesta l'assegnazione o la vendita), e prevedendo altresì un termine minimo di 10 giorni (in conseguenza del richiamo dell’art. 501 c.p.c. per il quale l'istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati non può essere proposta se non decorsi dieci giorni dal pignoramento, tranne che per le cose deteriorabili, delle quali può essere disposta l'assegnazione o la vendita immediata).
Il Governo dovrà inoltre prevedere la possibilità che il predetto termine sia prorogato di ulteriori 45 giorni, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 567.
In base al terzo comma dell'art. 567 c.p.c il termine dei sessanta giorni dal deposito può essere prorogato una sola volta su istanza dei creditori o dell'esecutato, per giusti motivi e per una durata non superiore ad ulteriori sessanta giorni. Un termine di sessanta giorni è inoltre assegnato al creditore dal giudice, quando lo stesso ritiene che la documentazione da questi depositata debba essere completata. Se la proroga non è richiesta o non è concessa, oppure se la documentazione non è integrata nel termine assegnato ai sensi di quanto previsto nel periodo precedente, il giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio, dichiara l'inefficacia del pignoramento relativamente all'immobile per il quale non è stata depositata la prescritta documentazione. L'inefficacia è dichiarata con ordinanza, sentite le parti. Il giudice, con l'ordinanza, dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Il giudice dichiara altresì l'estinzione del processo esecutivo se non vi sono altri beni pignorati.
Relativamente alle modifiche all'articolo 567 c.p.c. la Commissione Luiso rileva «Al fine di contenere la durata del processo di esecuzione immobiliare si propone di eliminare il termine – attualmente di 60 giorni, con decorrenza dall’istanza di vendita – per il deposito della documentazione ipotecaria e catastale ex articolo 567, comma 2, c.p.c., disponendo che anche tale documentazione debba essere depositata entro 45 giorni dal pignoramento. La modifica proposta non rende più gravosa l’attività dei creditori, i quali sono consapevoli dell’esigenza di produrre la documentazione volta a fornire al giudice dell’esecuzione la prova della titolarità del bene staggito in capo all’esecutato (Cass., sent. nn. 11638/2014 e 15597/2019) sin dall’inizio del processo; inoltre, l’ampio ricorso, nella prassi giudiziaria, alla certificazione notarile sostitutiva (spesso formata con consultazione telematica dei pubblici registri) non giustifica più un lungo lasso temporale per reperire le certificazioni rilasciate dai pubblici uffici, ferma restando, peraltro, la possibilità di prorogare il termine – per un identico periodo di 45 giorni – negli stessi casi già previsti dall’articolo 567, comma 3, c.p.c.»
Con riguardo alla disciplina della conservazione dei beni, mobili ed immobili, oggetto della procedura, il Governo è delegato a prevedere:
§ la collaborazione del custode con l'esperto nominato ai sensi dell’articolo 569 c.p.c al controllo della completezza della documentazione ipotecaria e catastale (lettera d);
§ la riduzione dei termini previsti per la sostituzione del custode nominato in sede di pignoramento: il giudice dell'esecuzione dovrà provvedere alla sostituzione del debitore nella custodia, nominando il custode giudiziario entro 15 giorni dal deposito della documentazione ipotecaria e catastale - contemporaneamente alla nomina dell'esperto di cui all'articolo 569 c.p.c - salvo che la custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o amministrazione del bene ovvero per la vendita (lettera e).
L'articolo 559 c.p.c. disciplina la custodia dell'immobile pignorato, prevedendo che il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, comprese le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso. Su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, può tuttavia nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore.
Con specifico riguardo alla disciplina della custodia, la relazione della Commissione Luiso osserva «La sostituzione del debitore nella custodia assegnatagli ex lege (articolo 559, comma 1, c.p.c.) può essere disposta: a) su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, b) quando l’immobile non sia occupato dal debitore, c) in caso di inosservanza degli obblighi incombenti sul custode. La stessa deve, invece, essere disposta – se custode dei beni pignorati è (ancora) il debitore e salvo che per la particolare natura degli stessi la sostituzione non abbia alcuna utilità – al più tardi nel momento in cui il giudice pronuncia l’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni. La prassi della nomina anticipata del custode (coeva alla designazione dell’esperto stimatore) è largamente diffusa negli uffici giudiziari ed è stata annoverata tra le “Buone prassi” (individuate dal CSM con propria delibera del 2017), perché essa consente di acquisire informazioni da soggetto qualificato già nella fase anteriore alla messa in vendita del cespite, nonché di assicurare alla procedura i frutti (naturali e civili) che sono oggetto di pignoramento ex articolo 2912 c.c. Solo in via residuale, quando nessuna delle funzioni custodiali appaia utile per la procedura, di si deve prevedere che il giudice possa soprassedere alla designazione di un custode professionale».
In base alla lettera f), il legislatore delegato dovrà altresì prevedere che il giudice dell'esecuzione:
§ ordini la liberazione dell'immobile pignorato non abitato dall'esecutato e dal suo nucleo familiare ovvero occupato da soggetto privo di titolo opponibile alla procedura, al più tardi nel momento in cui pronuncia l'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni;
§ ordini la liberazione dell'immobile abitato dall'esecutato convivente col nucleo familiare al momento in cui pronuncia il decreto di trasferimento, ferma restando comunque la possibilità di disporre anticipatamente la liberazione nei casi di impedimento alle attività degli ausiliari del giudice, di ostacolo del diritto di visita di potenziali acquirenti, di omessa manutenzione del cespite in uno stato di buona conservazione o di violazione degli altri obblighi che la legge pone a carico dell'esecutato o degli occupanti.
In proposito la relazione della Commissione Luiso osserva come si tratti di una «proposta di modifica volta ad ottenere la liberazione anticipata degli immobili occupati sine titulo o da soggetti diversi dal debitore convivente col nucleo familiare, conformemente a quanto già ritenuto, sulla base del previgente articolo 560 c.p.c., dalle “Buone prassi” (delibera CSM 2017). Una maggiore tutela è data all’esecutato che abiti l’immobile staggito con la propria famiglia, prevedendo che la liberazione possa essere disposta soltanto in esito all’aggiudicazione del bene, sempre che l’esecutato non ostacoli lo svolgimento della procedura o non arrechi danni all’immobile o pregiudizio agli interessi del futuro aggiudicatario».
Nell’esercizio della delega inoltre il Governo dovrà prevedere che:
§ la relazione di stima e gli avvisi di vendita siano redatti secondo schemi standardizzati (lettera g);
§ il custode attui il provvedimento di liberazione dell'immobile pignorato secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti c.p.c. (quindi senza notifica dell'atto di consegna e rilascio dell'immobile) successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, a meno che non venga esentato dallo stesso aggiudicatario o assegnatario del bene., successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario se questi non lo esentano (lettera h);
Le lettere i), l) e m) riformano l'istituto della delega delle operazioni di vendita al professionista, al fine di individuare gli adempimenti che il professionista deve espletare e i tempi in cui gli stessi devono essere compiuti sia per fornire al giudice dell’esecuzione la possibilità di vigilare e svolgere un’attività di controllo sugli atti delegati al professionista.
In particolare, il Governo dovrà prevedere una durata annuale per la delega delle operazioni di vendita nell'espropriazione immobiliare, con incarico rinnovabile da parte del giudice dell'esecuzione, e che in tale periodo il professionista delegato svolga almeno tre esperimenti di vendita con l'obbligo di una tempestiva relazione al giudice sull’esito di ciascuno di essi; nonché prevedere che il giudice dell’esecuzione eserciti una diligente vigilanza sull'esecuzione delle attività delegate e sul rispetto dei tempi per quelle stabiliti con l'obbligo di provvedere immediatamente alla sostituzione del professionista in caso di mancato o tardivo adempimento (lettera i).
In sede di esercizio della delega dovrà inoltre essere previsto un termine di venti giorni per la proposizione del reclamo al giudice dell'esecuzione avverso l'atto del professionista delegato ai sensi dell'articolo 591-ter c.p.c e che l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione decide il reclamo possa essere impugnata con l'opposizione di cui all'articolo 617 dello stesso codice (lettera l).
Con riguardo alle modifiche al reclamo la Commissione Luiso rileva «La proposta modifica è volta a rafforzare la stabilità del decreto di trasferimento. Infatti, in base al vigente articolo 591-ter c.p.c. (così come interpretato da Cass., sent. n. 12238/2019), il reclamo avverso l’atto del delegato (i cui atti non sono suscettibili di opposizione ex articolo 617 c.p.c.) non costituisce un mezzo di impugnazione da esperire entro un certo lasso di tempo, decorso il quale l’atto si stabilizza; al contrario, eventuali vizi nell’attività del delegato possono essere fatti valere proponendo opposizione avverso l’atto esecutivo conclusivo della fase liquidativa e, cioè, avverso il decreto di trasferimento. Ciò determina una nociva instabilità del provvedimento traslativo della proprietà del cespite staggito, la quale può essere eliminata stabilendo un termine entro il quale dolersi degli atti del delegato (e decorso il quale eventuali vizi antecedenti non potrebbero più essere denunciati) innanzi al giudice dell’esecuzione, la cui ordinanza potrebbe essere impugnata entro il termine decadenziale ex articolo 617 c.p.c., evitando qualsivoglia ripercussione dei vizi sul decreto ex articolo 586 c.p.c.».
Il professionista delegato dovrà procedere alla predisposizione del progetto di distribuzione del ricavato in base alle preventive istruzioni del giudice dell'esecuzione, sottoponendolo alle parti e convocandole innanzi a sé per l'audizione, nel rispetto del termine di cui all'articolo 596 c.p.c.; nell’ipotesi prevista dall'articolo 597 c.p.c. o qualora non siano avanzate contestazioni al progetto, il Governo dovrà prevedere che: il professionista lo dichiari esecutivo e provveda entro sette giorni al pagamento delle singole quote agli aventi diritto secondo le istruzioni del giudice dell'esecuzione; in caso di contestazioni il professionista rimetta le parti innanzi al giudice dell'esecuzione (lettera m).
La lettera n) individua principi e criteri direttivi in tema di vendita privata nel procedimento di espropriazione immobiliare
Nella Relazione tecnica allegata all’emendamento n.1.9000 presentato dal Governo nel corso dell’esame in Senato, si sottolinea che “gli interventi inseriti sono tesi ad ottenere la velocizzazione dell'iter della procedura esecutiva e il contenimento dei costi, mediante la collaborazione fattiva del debitore, che può attivarsi sia nella ricerca di un acquirente, sia consentendo l'accelerazione delle varie operazioni di vendita con conseguente definizione più rapida del procedimento, con il risultato positivo per lo stesso debitore di evitare il deprezzamento del bene, rischio che si corre, talvolta, per effetto del susseguirsi automatico dei ribassi”.
In particolare, il Governo è chiamato a prevedere che il debitore, con istanza depositata - non oltre dieci giorni prima dell'udienza per l'autorizzazione alla vendita prevista dall'articolo 569, primo comma, c.p.c. - possa essere autorizzato dal giudice dell’esecuzione a vendere direttamente il bene pignorato, per un prezzo non inferiore al prezzo base indicato nella perizia di stima, prevedendo che all'istanza del debitore sia sempre allegata l'offerta di acquisto irrevocabile per centoventi giorni e che, a garanzia della serietà dell'offerta, sia prestata cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo proposto (n.1). Tale istanza può essere formulata per una sola volta a pena di inammissibilità (n. 6).
Il legislatore delegato dovrà poi prevedere che il giudice dell'esecuzione:
§ disponga con decreto, verificata l'ammissibilità dell'istanza, che l'esecutato rilasci l'immobile nella disponibilità del custode entro 30 giorni a pena di decadenza, salvo che il bene sia occupato con titolo opponibile alla procedura;
§ provveda affinché sia data entro 15 giorni, pubblicità dell'offerta pervenuta rendendo noto che entro 60 giorni possono essere formulate ulteriori offerte di acquisto, garantite da cauzione in misura non inferiore al decimo del prezzo proposto, il quale non può essere inferiore a quello dell'offerta già presentata a corredo dell'istanza dell'esecutato;
§ convochi il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti ad un’udienza da fissare entro novanta giorni per la deliberazione sull'offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti (n. 2);
§ stabilisca, con il provvedimento con il quale aggiudica l'immobile al miglior offerente, le modalità del pagamento del prezzo, da versare entro novanta giorni, a pena di decadenza ai sensi dell'articolo 587 c.p.c (n. 3);
L'aggiudicatario del bene assoggettato ad espropriazione immobiliare è tenuto a versare il c.d. saldo del prezzo nel termine rispettivamente fissato dal giudice dell'esecuzione, per l'ipotesi della vendita senza incanto nel decreto di aggiudicazione ex art. 574 c.p.c., ovvero, nella vendita con incanto, nell'ordinanza che la dispone ex art. 576 c.p.c. L'inosservanza di tale termine comporta, ai sensi dell'art. 587 c.p.c., la decadenza dell'aggiudicatario dal diritto all'acquisto del bene staggito. Giova precisare sin da subito che la sanzione processuale - pur se collocata all'interno del sistema delle norme regolanti la fattispecie della vendita con incanto - trova applicazione anche in relazione vendita senza incanto, ciò in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'ult. co. dell'art. 574 c.p.c.
Le ipotesi che conducono alla decadenza dell'aggiudicatario sono in sostanza le seguenti: il mancato deposito del prezzo di aggiudicazione nel termine stabilito; in caso di concessione di dilazione, l'omesso versamento anche di una sola rata entro dieci giorni dalla scadenza del termine.
§ il giudice dell'esecuzione possa delegare uno dei professionisti iscritti nell'elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita di cui all'articolo 179-ter disp.att.c.p.c. alla deliberazione sulle offerte e allo svolgimento della gara, alla riscossione del prezzo nonché alle operazioni di distribuzione del ricavato e che, una volta riscosso interamente il prezzo, ordina la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie ai sensi dell'articolo 586 c.p.c (n. 4);
§ se nel termine assegnato il prezzo non sia stato versato, il giudice provveda ai sensi degli articoli 587 e 569 c.p.c (vedi sopra) (n.5).
Il legislatore delegato è tenuto, inoltre, a prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'articolo 614-bis c.p.c; prevedendo altresì l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento (lettera o).
L'articolo 614-bis c.p.c., introdotto dalla legge n.69 del 2009, reca la disciplina delle misure di coercizione indiretta. Trattasi di un rimedio che ricalca l'istituto - di origine francese (con funzione indennitaria a beneficio del creditore) ed invalsa anche nell'ordinamento tedesco (come sanzione, in favore del fisco) - dell'astreinte, ossia la previsione una sorta di penale per l'inadempimento totale o per il ritardato adempimento a fronte di una pronuncia di condanna, così come per la reiterazione di violazioni successive a fronte di un'inibitoria che abbia imposto la cessazione di un determinato comportamento. L'art. 614 bis c.p.c. consente al Giudice di fissare, con il provvedimento di condanna, su istanza di parte e salva la ipotesi in cui la misura appaia manifestamente iniqua, una misura di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nella esecuzione del provvedimento medesimo.
Il Governo dovrà prevedere altresì che nelle operazioni di vendita dei beni immobili compiute nelle procedure esecutive individuali e concorsuali, gli obblighi antiriciclaggio previsti dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione) a carico del cliente si applichino anche agli aggiudicatari e che il giudice emetta il decreto di trasferimento soltanto dopo avere verificato l'avvenuto rispetto di tali obblighi (lettera p).
Da ultimo, la lettera q) delega il Governo ad istituire presso il Ministero della Giustizia la "Banca dati per le aste giudiziali" contenente i dati identificativi degli offerenti, i dati identificativi del conto bancario o postale utilizzato per versare la cauzione e il prezzo di aggiudicazione, le relazioni di stima. I dati identificativi degli offerenti, del conto e dell'intestatario dovranno essere messi a disposizione, su richiesta, dell'autorità giudiziaria, civile e penale.
L'articolo 1, comma 13, reca i principi e criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega per la riforma dei procedimenti in camera di consiglio.
Con procedimenti in camera di consiglio ci si riferisce a quei provvedimenti normalmente denominati di volontaria giurisdizione. I procedimenti in camera di consiglio sono disciplinati dagli articoli 737 e ss. del codice di procedura civile (vedi infra).
Nell’esercizio della delega, il Governo deve procedere alla revisione delle ipotesi in cui, in tali procedimenti, il tribunale è chiamato a provvedere in composizione collegiale. In particolare le ipotesi di collegialità dovranno essere limitate:
§ ai casi in cui è prevista la partecipazione del pubblico ministero;
§ ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni.
Nel dare attuazione al principio di delega il Governo è chiamato inoltre ad operare anche i conseguenti adattamenti delle disposizioni di cui al Capo VI del Titolo II del Libro IV c.p.c, recante le disposizioni comuni dei procedimenti in materia di famiglia, e a prevedere il rimedio del reclamo al tribunale in composizione collegiale (lettera a).
Ancora il Governo nell'esercizio della delega è chiamato a prevedere interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai e ad ulteriori professionisti dotati di specifiche competenze, alcune delle funzioni amministrative nella volontaria giurisdizione attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, individuando altresì gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni (lettera b).
Si ricorda che la Corte Costituzionale (sentenze n. 68 del 1991 e n. 340 del 2007), ha più volte sottolineato che per quanta ampiezza possa riconoscersi al generico rinvio alla stessa discrezionalità del Governo “il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata quale è, per definizione, la legislazione su delega”.
Con riguardo al principio di delega in esame si valuti pertanto l'opportunità di meglio precisarne la portata, specificando quali "funzioni amministrative" possano essere trasferite e quali siano "gli ulteriori professionisti" ai quali tali funzioni possono essere attribuite.
La Commissione Luiso ha affermato che «Nell’ambito della revisione delle disposizioni in materia di procedimenti civili e minorili appare opportuno dettare un criterio di delega per rimettere al legislatore delegato una completa analisi dei procedimenti di volontaria giurisdizione, attribuiti alla competenza del tribunale ordinario e per i minorenni, prevedendo che quelli privi di collegamento con l’esercizio di attività giurisdizionale possano essere trasferiti alle amministrazioni interessate ovvero ai notai, che nella loro qualità di pubblici ufficiali potranno assicurare piena tutela degli interessi.
La misura avrà sicuro effetto deflattivo del numero di procedimenti pendenti, analogamente a quanto già accaduto con altre disposizioni adottate nel passato (cfr. per tutte la legge 24 novembre 2000, n. 340, che ha delegato al notaio il controllo omologatorio e la responsabilità dell’iscrizione degli atti societari nel Registro delle Imprese).
Nella materia della volontaria giurisdizione, in numerosi procedimenti sono attribuiti al giudice compiti di controllo ovvero gestione di interessi che potrebbero essere svolti dalla Pubblica Amministrazione o da pubblici ufficiali, in quanto l’eventuale vaglio giurisdizionale per la tutela dei diritti, eventualmente incisi, sarebbe comunque assicurato nella fase successiva all’adozione del provvedimento, con apposito ricorso giurisdizionale, che sarebbe pertanto solo eventuale.
A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, potrebbero essere attribuite ai notai funzioni commesse alla gestione della eredità giacente (per esempio la nomina di tutore, protutore), ovvero le autorizzazioni ad negotia o a stare in giudizio. Potrebbero essere altresì devolute alcune delle funzioni oggi attribuite al giudice tutelare, quando prive di contenute decisorio.
Alle competenti amministrazioni potrebbero essere devoluti molti dei controlli oggi attribuiti al giudice, per esempio sulla iscrizione, integrazione o correzione degli atti dello stato civile.
L’effetto deflattivo sarebbe sicuramente rilevante, senza compromissione della tutela degli utenti attribuita ad amministrazioni specializzate ovvero ai notai, che svolgerebbero funzioni di pubblici ufficiali, quali essi sono».
Fra i procedimenti in materia di giurisdizione volontaria è opportuno ricordare quelli previsti per la vendita e gli altri atti di disposizione dei beni dei minori, degli interdetti e degli inabilitati (articoli 732-734 c.p.p.); quelli relativi all'apertura della successione (articoli 747 e ss. c.p.c.). Ai sensi dell'articolo 185 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, le norme sul procedimento in camera di consiglio si applichino all'udienza di comparizione davanti al giudice dell'esecuzione fissata sulle opposizioni all'esecuzione di terzo e agli atti esecutivi. Le disposizioni sul rito camerale si applicano, poi, anche ai procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori e in materia di ablazione o limitazione della potestà genitoriale (art. 336 c.c.). Da ultimo il rito camerale è previsto per le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale ai sensi dell'articolo 35-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008.
L'articolo 742-bis del codice di procedura civile precisa che le suddette disposizioni codicistiche si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorché non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone. Fra questi è opportuno ricordare in particolare i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dal codice civile in materia societaria quali:
- gli artt. 2189 e 2192 c.c., in tema di iscrizione delle società commerciali nel registro delle imprese e di reclamo avverso il decreto del giudice presso tale registro con il quale l'iscrizione viene rifiutata;
- l'art. 2400 c.c., in tema di nomina e cessazione dalla carica del collegio sindacale;
- l'art. 2409 c.c., norma la quale, unitamente all'art. 103 disp. att. c.c., regola il procedimento scaturito dalla denunzia al tribunale, da parte dei soggetti a ciò legittimati, del sospetto di gravi irregolarità commesse dagli amministratori, in violazione dei loro doveri, nella gestione, tali da poter arrecare danno alla società o a una o più società controllate;
- l'art. 2436 c.c., in relazione al deposito, iscrizione e pubblicazione delle modificazioni dello statuto; e
- l'art. 2446 c.c., in tema di riduzione del capitale sociale di oltre un terzo a causa di perdite.
Le norme generali che disciplinano i procedimenti in camera di consiglio sono:
- l'atto introduttivo ha la forma del ricorso, presentato al giudice competente;
- la decisione è adottata senza contraddittorio, in camera di consiglio con decreto motivato;
- il decreto è reclamabile al giudice superiore, sia dalle parti, sia dal PM. Questo deve essere proposto nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del decreto se è dato in confronto di una sola parte o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti;
- il decreto diviene efficace decorso il suddetto termine perentorio; se vi è urgenza il giudice può disporne l'efficacia immediata;
- i decreti sono modificabili e revocabili in ogni tempo, salvi i diritti dei terzi acquistati in buona fede.
L'articolo 1, comma 14, prevede che nell’esercizio della delega, il Governo, provvedendo alla revisione dei procedimenti in camera di consiglio e alle modifiche del procedimento sommario di cognizione di primo grado, debba tenere conto di ulteriori specifici principi e criteri direttivi concernenti il riordino della disciplina relativa alle controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri, al fine di conformare la legislazione nazionale alla normativa europea ed inserendo nel quadro normativo nazionale disposizioni che regolino i rapporti in alcune materie di ambito civilistico del diritto internazionale privato.
In primo luogo, la lettera a) dispone che il Governo modifichi l'articolo 30 del decreto legislativo n. 150 del 2011, il quale stabilisce che le controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria sono regolate dal rito sommario di cognizione.
L’articolo 30 del decreto legislativo n. 150 del 2011 prevede che le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria (di cui all'articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218), sono regolate dal rito sommario di cognizione ed è competente la corte di appello del luogo di attuazione del provvedimento.
Il Governo dovrà specificare che si svolgono in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera e quelli volti ad ottenere in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera ai sensi degli atti indicati di seguito:
· regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000;
· regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari;
· regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi;
· regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate;
· regolamento (UE) 650/2012 del Parlamento europeo de del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo.
Secondo quanto specificato nella Relazione tecnica allegata al maxiemendamento presentato dal Governo in Senato “le criticità del sistema del diritto internazionale privato sono emerse a seguito della non lineare applicazione della legge 31 maggio 1995, n. 218 con problematiche in tema di riconoscimento di una sentenza straniera o di un provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero l'accertamento dei requisiti del riconoscimento ai fini della successiva azione esecutiva” A tal fine, pertanto, la Relazione specifica che l'intervento trova il suo fondamento nella necessità di definire le scelte processuali da attuare nell'ambito dei procedimenti di cui a specifici regolamenti europei, tenendo conto delle peculiarità delle varie fasi delle stesse procedure europee. La Relazione specifica inoltre che “Per questi motivi, si è prescelto secondo i casi di optare o per il rito ordinario di cognizione o per quello sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile o con altro rito ordinario semplificato, conformandoli alla normativa internazionale. In assenza di indicazioni da parte del legislatore europeo, viene proposta per tutti gli interventi di cui sopra, la clausola di salvaguardia di livello generale, la quale stabilisce che il giudice provvede con decreto motivato, avverso il quale può essere promosso ricorso nelle forme del rito sommario di cognizione, o con altro rito ordinario semplificato”.
Con riguardo ai procedimenti suddetti, il Governo dovrà prevedere che il giudice provveda con decreto motivato, avverso il quale può essere promosso ricorso (lettera b);
Nell’attuazione della delega il Governo dovrà altresì prevedere che siano trattati con il rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e ss. c.p.c., o con altro rito ordinario semplificato:
· i ricorsi avverso le decisioni rese nei procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera e quelli volti ad ottenere in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera nonché i giudizi sulle domande di diniego del riconoscimento promosse ai sensi degli atti europei sopra elencati (lettera c).
· le domande di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione previste dal regolamento (UE) n. 606/2013 relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile (lettera d);
· i procedimenti di diniego del riconoscimento o dell'esecuzione e di accertamento dell'assenza di motivi di diniego del riconoscimento previsti dai seguenti atti (lettera e) :
o regolamento (UE) 1215/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale;
o regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del consiglio del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza (rifusione);
o regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori.
Nell’esercizio della delega il Governo dovrà inoltre prevedere, con riguardo ai ricorsi di cui agli atti normativi indicati nelle lettere a), c) e e):
· che gli stessi siano promossi innanzi alla corte d'appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti da tali atti normativi (lettera f.);
· che le decisioni della corte d'appello rese su tali ricorsi siano impugnabili innanzi alla corte di Cassazione (lettera g);
Infine il Governo è delegato ad estendere, con gli opportuni adattamenti, i criteri individuati nel comma in esame, ai procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera, o in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera, o il diniego di tale riconoscimento, allorché l'efficacia di tali decisioni si fondi su una convenzione internazionale (lettera h).
L'articolo 1, comma 15, reca principi e criteri direttivi per la modifica della disciplina concernente l'arbitrato, volti a rafforzare le garanzie di indipendenza degli arbitri nonché, tra l’altro, a disciplinare l’esecutività del lodo straniero e a consentire agli arbitri di adottare misure cautelari.
In particolare, la lettera a), prevede che le innovazioni in materia di arbitrato dovranno rafforzare le garanzie di indipendenza ed imparzialità dell'arbitro reintroducendo la facoltà di ricusazione per gravi ragioni di convenienza, nonché prevedendo l'obbligo di rilasciare, al momento dell'accettazione della nomina, una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini delle sopra richiamate garanzie, prevedendo l'invalidità della accettazione nel caso di omessa dichiarazione, nonché in particolare la decadenza nel momento in cui, al momento dell'accettazione della nomina, l'arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che possano costituire motivi di ricusazione (art. 815 c.p.c.).
L'art. 813-bis del codice di procedura civile reca disciplina sulla decadenza dell'arbitro. Vi si prevede che l'arbitro che omette o ritarda di compiere un atto relativo alle sue funzioni, può essere sostituito d'accordo tra le parti o dal terzo a ciò incaricato dalla convenzione d'arbitrato. In caso di mancanza, il presidente del tribunale provvede con ordinanza non impugnabile a dichiarare la decadenza dell'arbitro e la sua sostituzione, ove sia accertata l'omissione o il ritardo.
La ricusazione degli arbitri è disciplinata dall'art. 815 c.p.c. recante il seguente elenco di circostanze:
- l'arbitro non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
- egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
- egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
- egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
- è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;
- ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.
Si ricorda, per completezza, che la disciplina relativa alla convenzione d'arbitrato è dettata dal codice di procedura civile al capo I del titolo VIII del libro IV, comprendente gli articoli da 806 a 808-quinquies. A seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40/2006, è stato introdotto il termine di "convenzione d'arbitrato". Gli articoli 808-quater e 808-quinquies disciplinano, rispettivamente, l'interpretazione della convenzione e la sua efficacia.
Ai sensi della lettera b), il Governo dovrà dettare specifica disciplina concernente l'efficacia esecutiva del decreto del presidente della corte d'appello, con contenuto di condanna, dichiarante l'efficacia del lodo straniero. La disposizione mira a dirimere alcuni dubbi interpretativi sorti in materia, concernenti l'immediata esecutività del lodo straniero a seguito dell'ordinanza.
Si segnala che l'art. 839, quarto comma, del codice di procedura civile stabilisce che il Presidente della corte d'appello dichiara con decreto l'efficacia del lodo straniero nella Repubblica, dopo aver accertato la regolarità formale del lodo. Non può essere dichiarata l'efficacia quando: la controversia può formare oggetto di compromesso secondo la legge italiana; il lodo contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico. La norma, quindi, nulla dice riguardo all'esecutività del lodo a seguito della pronuncia del presidente della corte d'appello. In assenza della specifica previsione normativa, occorre quindi chiarire se il lodo sia immediatamente esecutivo, ovvero se occorra la sentenza di rigetto dell’opposizione (ove proposta) o, in alternativa, l’inutile decorso del termine per proporla. In caso di mancata opposizione o mancata attività dell'opponente, trova applicazione l’art. 647 del codice di procedura civile, in quanto l'art. 840 del medesimo codice stabilisce (al secondo comma) che in caso di opposizione si applichi la disciplina di cui agli articoli 645 e seguenti in quanto applicabili. Secondo il citato art. 647, il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza anche verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo. Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, il giudice deve ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del decreto.
Inoltre, in sede di esercizio della delega il Governo dovrà prevedere l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convezione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge. Deve essere mantenuto in capo al giudice ordinario il potere cautelare nelle sole ipotesi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri. Devono essere inoltre disciplinati il reclamo cautelare avanti al giudice ordinario per i motivi di cui all'art. 829, comma 1, c.p.c. e per contrarietà all'ordine pubblico; nonché le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario (lettera c).
Ancora il Governo dovrà:
§ prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile (lettera d);
§ ridurre a sei mesi il termine di cui all'articolo 828, secondo comma, c.p.c, per la proposizione dell'impugnazione per nullità del lodo rituale, equiparandolo al termine di cui all'articolo 327, primo comma, c.p.c. (lettera e);
§ disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale (lettera g);
In proposito è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 223 del 19 luglio 2013 ha dichiarato la incostituzionalità “dell’art. 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile (in tema di riassunzione della causa)”.
§ prevedere che, in tutti i casi, le nomine degli arbitri da parte dell'autorità giudiziaria siano improntate a criteri che assicurino trasparenza, rotazione ed efficienza (lettera h);
In una prospettiva di risistemazione organica della materia e di semplificazione del quadro normativo di riferimento, ai sensi della lettera f) si prevede di riordinare e ricollocare all'interno del codice di procedura civile, delle norme relative all'arbitrato societario e la conseguente abrogazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia); prevedendo altresì la reclamabilità dell'ordinanza di cui all'art. 35, comma 5, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 che decide sulla richiesta di sospensione della delibera.
L'articolo 35 del d.lgs. n. 5 del 2003 reca la disciplina inderogabile del procedimento arbitrale. La domanda di arbitrato proposta dalla società o in suo confronto è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci. Nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria nonché l'intervento di altri soci è ammesso fino alla prima udienza di trattazione. Nel procedimento arbitrale è espressamente esclusa l'applicazione dell'art. 819, primo comma c.p.c. in materia di questioni pregiudiziali di merito tuttavia il lodo è sempre impugnabile, anche in deroga a quanto previsto per l'arbitrato internazionale. Le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società. Il comma 5 dell'articolo prevede che la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'efficacia della delibera. Tale comma quindi afferma la competenza generale del giudice statuale a largire provvedimenti cautelari e ciò anche in caso di arbitrato libero; tuttavia di seguito si prevede il potere degli arbitri a disporre la sospensione dell'efficacia della delibera ove si controverta sulla validità di delibere assembleari. I dispositivi dell'ordinanza di sospensione e del lodo che decide sull'impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.
Con riguardo alla riforma dell'arbitrato nella relazione predisposta dalla Commissione Luiso si osserva come l'intervento modificativo riguardi la «disciplina dell’arbitrato rituale, che, pur essendo stata oggetto di una organica riforma mediante il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ha in questi ultimi quindici anni evidenziato ancora alcune lacune e necessità di integrazioni, anche ad esito del percorso compiuto dalle nostre Supreme Corti (si fa in particolare riferimento alle fondamentali pronunce Cass. SS.UU, ord. n. 24153/2013, e Corte cost., sent. n. 223/2013) che hanno sottolineato il ruolo e la natura di equivalente giurisdizionale che l’arbitrato rituale riveste. In questa prospettiva, l’obiettivo perseguito è quello di una generale valorizzazione dell’istituto arbitrale e di un potenziamento delle sue specifiche prerogative, anche al fine di deflazionare il contezioso giurisdizionale.
A tale scopo si ritiene in primo luogo indispensabile un rafforzamento della garanzia dell’imparzialità del giudice arbitrale, anche tenuto conto delle specificità riconnesse alla nomina degli arbitri che, fatte salve alcune eccezioni come quelle dell’arbitrato societario o dell’arbitrato multiparti, nonché le ipotesi (tendenzialmente sussidiarie) di nomina per via giudiziaria, è di regola attribuita direttamente alle parti. A questo proposito, dunque, si rende necessario improntare il sistema a una maggiore trasparenza, prevedendo in capo agli arbitri designati un generale obbligo di rivelazione di tutte le circostanze di fatto (quali, in via esemplificativa, la presenza di eventuali legami o relazioni con le parti o i loro difensori) che potrebbero minare la garanzia dell’imparzialità anche soltanto nella percezione delle parti stesse. Si tratta in sostanza del c.d. duty of disclosure previsto a livello normativo da altri ordinamenti e già inserito nella concreta esperienza applicativa in alcuni regolamenti adottati da organismi o enti che hanno sviluppato una solida esperienza nella amministrazione dei procedimenti arbitrali. La suddetta proposta non soltanto risponde a una esigenza di sistema ricollegata al rispetto e rafforzamento dei valori di terzietà e imparzialità che devono essere propri anche della giustizia arbitrale, ma si propone altresì di rinsaldare la fiducia nell’istituto in capo ai potenziali fruitori e a coloro che vi si intendono rivolgere.
Una seconda proposta di intervento è quella di riconoscere agli arbitri rituali, in presenza di specifiche condizioni, il potere di emanare provvedimenti cautelari, così attribuendo il dovuto rilievo alla linea di apertura che già era stata impressa con l’ultima riforma dell’arbitrato e la correlata modifica dell’articolo 818 c.p.c., ma che sino ad oggi era nell’ordinamento di fatto limitata al solo arbitrato societario e al potere per gli arbitri, in tale sede previsto, di disporre la sospensione cautelare delle delibere assembleari. La proposta tiene conto dei rilievi critici che dal punto di vista dogmatico sono stati mossi al generale divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari, risponde alla ormai pacificamente riconosciuta funzione di indispensabile complemento e completamento della tutela cautelare nell’ambito della tutela giurisdizionale e per realizzare il principio di effettività di quest’ultima (cfr. ad esempio in ambito eurounitario la sentenza della Corte di Giustizia del 19 giugno 1990, C-213/89, Factortame Ltd.), e da ultimo intende allineare la disciplina italiana dell’arbitrato a quanto previsto negli ordinamenti europei, che da tempo riconoscono in capo agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari. Sotto questo profilo, dunque, la proposta rende maggiormente attrattivo lo strumento arbitrale anche per soggetti e investitori stranieri. In concreto il riconoscimento dei poteri cautelari al giudice privato viene delimitato alle sole ipotesi di previa espressa volontà delle parti, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, così rimettendo tale prerogativa alla libera e consapevole scelta dei compromittenti. A ulteriore completamento e garanzia della disciplina si prevede, in primo luogo, che resta fermo il potere cautelare del giudice ordinario anteriormente all’accettazione della nomina da parte degli arbitri e, in secondo luogo, che il controllo sull’esercizio del potere cautelare da parte degli arbitri, sub specie dell’istituto del reclamo, resta attribuito al giudice ordinario (per le ipotesi di vizi di cui all’articolo 829, comma 1, c.p.c., oltre che per contrarietà all’ordine pubblico). Il giudice ordinario mantiene altresì la competenza per l’eventuale fase di attuazione della misura.
Ulteriori interventi sono volti a razionalizzare la disciplina dell’arbitrato rituale. A tale scopo si prevede in modo esplicito l’esecutività del decreto con il quale il presidente della corte di appello dichiara l’efficacia del lodo straniero avente contenuto di condanna, al fine di risolvere i contrasti interpretativi sorti sul tema; si attribuisce alle parti, nel caso di decisione secondo diritto, il potere di individuare e scegliere la legge applicabile al merito della controversia; e, da ultimo, si riduce a sei mesi il termine cosiddetto “lungo” (in mancanza di notificazione del lodo arbitrale) per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo, allineandolo al regime previsto per la sentenza civile dall’articolo 327, comma 1, c.p.c. in una prospettiva di maggiore uniformazione del regime temporale di impugnazione avverso due tipologie di provvedimenti equivalenti.
Ancora, in una prospettiva di risistemazione organica della materia e di semplificazione del quadro normativo di riferimento, si prevede di riordinare e ricollocare all’interno del codice di procedura civile, agli articoli 833 ss. c.p.c. abrogati dalla citata riforma attuata con decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, la disciplina contenuta nelle norme relative all’arbitrato societario di cui agli articoli 34, 35, 36 e 37, decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, con conseguente abrogazione di quest’ultima normativa. Il tutto prevedendo altresì la reclamabilità dell’ordinanza emanata dagli arbitri che provvede sulla richiesta di sospensione della delibera assembleare.
Infine, anche per dare attuazione a quanto stabilito dalla Corte costituzionale, sentenza 19 luglio 2013, n. 223, si prevede di disciplinare la translatio iudicii tra giudizio ordinario e arbitrato e nella corrispondente speculare ipotesi».
L'articolo 1, comma 16, reca principi e criteri direttivi per la revisione della normativa in materia di consulenti tecnici.
La disciplina del consulente tecnico, nell’ambito del processo civile, è contenuta negli articoli da 61 a 64 e negli articoli da 191 a 201 c.p.c, nonché negli articoli da 13 a 23 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
Secondo quanto disposto dagli art. 61-64 c.p.c. il consulente tecnico d’ufficio (C.T.U) è l'ausiliario del quale il giudice si serve quando la sua attività si svolge in un campo nel quale si richiedono particolari cognizioni tecniche e non giuridiche. La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.
Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 ss c.p.c. Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione. Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del Codice penale relative ai periti. In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con la ammenda fino a euro 10.329.
Il Governo, nell'esercizio della delega, dovrà modificare la normativa in materia di consulenti tecnici rivedendo, in primo luogo il percorso di iscrizione dei consulenti presso i tribunali, favorendo l'accesso alla professione anche ai più giovani (lettera a).
L’art. 13 disp.att.c.p.c. dispone che presso ogni tribunale sia istituito un albo dei consulenti tecnici. L’albo dei CTU è diviso in categorie e vi sono sempre comprese la categoria medico-chirurgica, industriale, commerciale, agricola, bancaria, assicurativa.
L'albo è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica e da un professionista iscritto nell'albo professionale, designato dal consiglio dell'ordine, o dal collegio della categoria, cui appartiene il richiedente l'iscrizione nell'albo dei consulenti tecnici (art. 14 disp.att.c.p.c.).
Con specifico riguardo all’iscrizione nell’Albo, l’art. 15 disp.att.c.p.c. prevede che possano ottenere l'iscrizione nell'albo coloro che sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia, sono di condotta morale specchiata e sono iscritti nelle rispettive associazioni professionali. Nessuno può essere iscritto in più di un albo.
Sulle domande di iscrizione decide il predetto comitato di cui all’art. 14 disp. att. c.p.c. e contro il provvedimento del comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione, al medesimo comitato.
L’art. 16 disp. att. c.p.c. prevede che coloro che aspirano all'iscrizione nell'albo debbono farne domanda al presidente del tribunale e che la domanda sia corredata dai seguenti documenti: estratto dell'atto di nascita; certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione; certificato di residenza nella circoscrizione del tribunale; certificato di iscrizione all'associazione professionale; i titoli e i documenti che l'aspirante crede di esibire per dimostrare la sua speciale capacità tecnica.
L'albo è permanente. Ogni quattro anni il comitato deve provvedere alla revisione dell'albo per eliminare i consulenti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti nell'articolo o è sorto un impedimento a esercitare l'ufficio.
Il Governo dovrà altresì distinguere le varie figure professionali, caratterizzate da percorsi formativi differenti anche per il tramite dell'unificazione o aggiornamento degli elenchi, favorendo la formazione di associazioni nazionali di riferimento (lettera b), prevedendo la creazione di un albo nazionale unico, dove magistrati e avvocati possano accedere per ricercare le figure professionali più adeguate al singolo caso (lettera c) e favorendo la mobilità dei professionisti tra le diverse corti di appello, anche attraverso l'esclusione degli obblighi di cancellazione da un distretto all'altro (lettera d).
Si ricorda che l’art. 22 disp.att.c.p.c. dispone che tutti i giudici che hanno sede nella circoscrizione del tribunale debbono affidare normalmente le funzioni di consulente tecnico agli iscritti nell'albo del tribunale medesimo e che il giudice istruttore che conferisce un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, deve sentire il presidente e indicare nel provvedimento i motivi della scelta.
Le funzioni di consulente presso la corte d'appello sono normalmente affidate agli iscritti negli albi dei tribunali del distretto. Se l'incarico è conferito ad iscritti in altri albi o a persone non iscritte in alcun albo, deve essere sentito il primo presidente e debbono essere indicati nel provvedimento i motivi della scelta.
Al fine di assicurare una adeguata formazione dei consulenti il Governo dovrà prevedere la formazione continua dei consulenti tecnici e periti (lettera e).
Inoltre, in sede di esercizio della delega, dovranno essere assicurate adeguate tutele alle situazioni di salute, gravidanza o contingenti che si possono verificare nel corso dell'anno lavorativo prevedendo la possibilità di richiesta di sospensione volontaria come prevista in altri ambiti lavorativi (lettera f).
Infine il Governo dovrà istituire presso le corti d'appello una commissione di verifica deputata al controllo della regolarità delle nomine ai cui componenti non spettino compensi, rimborsi o altri emolumenti (lettera g).
L'articolo 1, comma 17, reca principi e criteri direttivi per la modifica di disposizioni relative a tutti i procedimenti civili al fine di renderli più celeri ed efficienti. Al riguardo il Governo è delegato ad intervenire in merito: al deposito degli atti e documenti con modalità telematiche; alla forma dei provvedimenti del giudice e degli atti del processo; alla non sanzionabilità sotto il profilo della validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell’atto quando la trasmissione dello stesso abbia comunque raggiunto il proprio scopo; al versamento del contributo unificato con modalità telematiche; alla la revisione della disciplina delle attestazioni di conformità. Specifiche disposizioni concernono inoltre il riordino e l'implementazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico e, in particolare, in tema di udienze da remoto e a trattazione scritta, nonché di efficacia di provvedimenti emessi in via cautelare.
La lettera a), stabilisce che il deposito dei documenti o degli atti delle parti assistite da difensore, dinanzi al giudice competente per ogni tipo, fase e grado di giudizio, compreso quello di legittimità, dovrà avvenire esclusivamente con modalità telematiche o con altri mezzi tecnologici. Il capo dell'ufficio può autorizzare eccezioni a tali modalità solo in caso di malfunzionamenti del dominio giustizia ovvero in situazioni di urgenza, assicurando comunque la tempestiva ed adeguata comunicazione agli interessati della riattivazione delle procedure telematiche. La disposizione dovrà applicarsi ai procedimenti civili davanti al giudice di pace, al tribunale, alle corti di appello e alla Corte di cassazione.
Ai sensi dell'art. 2 del decreto del Ministro della giustizia n. 44/2011 ("Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione"), per "dominio giustizia" deve intendersi l'insieme delle risorse hardware e software, mediante il quale il Ministero della giustizia tratta in via informatica e telematica qualsiasi tipo di attività, di dato, di servizio, di comunicazione e di procedura.
La lettera b) specifica che il deposito telematico degli atti e dei documenti di parte possa avvenire anche con mezzi diversi dalla PEC - posta elettronica certificata nel rispetto delle norme (anche regolamentari) inerenti la sottoscrizione, trasmissione e ricezione di documenti telematici. Qualora si opti per modalità diversa dalla PEC, ai sensi della lettera c) si dovrà considerare avvenuto il deposito del documento o dell'atto al momento della generazione di un messaggio di conferma dell'avvenuta trasmissione.
L'art. 16-bis del D.L. n. 179/2012 prevede (a decorrere dal 30 giugno 2014) che nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite sia espletato esclusivamente con modalità telematiche. Procedono allo stesso modo i soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria (ad es. consulenti tecnici d'ufficio). Si applica la normativa (anche di natura regolamentare) concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. I dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente hanno invece la facoltà (non obbligo) di effettuare il deposito telematico in oggetto. Con riferimento ai medesimi procedimenti e, a decorrere dal 30 giugno 2015, innanzi alle corti di appello è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli sopra ricordati e dei documenti che si offrono in comunicazione, da parte del difensore o del dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente. In tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità.
Il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia (art. 16-bis, comma 7).
La lettera d) stabilisce che, nell’esercizio della delega, si dovrà prevedere che i provvedimenti del giudice e gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate, possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto del principio di chiarezza e semplicità. Si prevede inoltre che venga assicurata la strutturazione di campi necessari all'inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto di criteri e limiti stabiliti con decreto del Ministro della giustizia sentiti il CSM e il CNF.
La lettera e) stabilisce che non dovranno essere previste sanzioni sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma, sui limiti e sullo schema informatico dell'atto quando la trasmissione dello stesso abbia comunque raggiunto il proprio scopo. La violazione delle specifiche tecniche o dei criteri e limiti redazionali si potrà invece tenere conto nella disciplina delle spese.
La lettera f) riguarda il versamento del contributo unificato.
La disciplina del contributo unificato è contenuta del testo unico in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. n. 115/2002, art. 9. Gli importi (dovuti per l'iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario) sono fissati dall'art. 13, mentre alcune esenzioni sono previste dall'art. 10.
In particolare, si dovrà prevedere che il contributo possa essere pagato (lettera f), numero 1):
§ con modalità telematiche, attraverso la piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, messa a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di assicurare l'autenticazione dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento (art. 5, comma 2, Codice dell'amministrazione digitale - CAD, di cui al d.lgs. n. 82 del 2005);
§ con strumenti di pagamento elettronico (carte di credito, debito, prepagate o altri mezzi di pagamento con moneta elettronica), come previsto dal D.L. n. 24 de 2009, art. 4, comma 9 (recante misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia);
§ tramite conto corrente postale intestato alla tesoreria dello Stato;
§ mediante pagamento presso rivendita di generi di monopolio e valori bollati, il quale rilascia, con modalità telematiche, apposito contrassegno, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 642/1972, recante "Disciplina dell'imposta di bollo";
§ mediante bonifico, con strumento di pagamento non telematico, come previsto dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 293 del 2006, il quale disciplina le modalità di versamento mediante (tra l'altro) bonifico bancario o postale.
La medesima lettera f), numero 2), demanda ai decreti di attuazione della delega la disciplina inerente i mezzi attraverso i quali si dovrà provare l'avvenuto versamento.
Ai sensi del numero 3) si dovrà prevedere per i procedimenti dinanzi al giudice ordinario, l'obbligo di pagamento del contributo unificato esclusivamente con sistemi telematici quando il deposito dei documenti è stato effettuato con modalità telematiche. La disposizione fa riferimento agli obblighi previsti dall'art 14 del testo unico sulle spese di giustizia (d.P.R. n. 115/2002).
L'art. 14 del t.u. spese di giustizia pone il pagamento (contestuale) del contributo unificato in capo:
§ alla parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione o la vendita dei beni pignorati; in caso di modifica della domanda o proposta di domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa, cui consegue l'aumento del valore della causa, si deve procedere al contestuale pagamento integrativo.
§ alle altre parti, quando modificano la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in causa o svolgono intervento autonomo;
§ alla parte (creditore) che fa istanza (al presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede) di ricerca telematica di beni da pignorare, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (art. 492-bis, primo comma, del codice di procedura civile).
Si dovrà prevedere unicamente l'utilizzo di sistemi telematici per il pagamento del contributo unificato nella procedura di liquidazione giudiziale (lettera f), numero 4)).
Ai sensi del numero 5, il versamento effettuato con modalità diverse da quelle previste in sede di attuazione della delega non libera le parti dagli obblighi previsti dall'art. 14 del t.u. sulle spese di giustizia (v. sopra).
Infine, il numero 6 prospetta la revisione della disciplina concernente il pagamento delle spettanze degli ufficiali giudiziari relative a notifiche a richiesta di parte (art. 197, t.u. sulle spese di giustizia), prevedendo il pagamento con sistemi telematici di tali spettanze.
Si ricorda che l'art. 197 richiamato stabilisce che la parte richiedente la notificazione versi all'ufficiale giudiziario i diritti e le spese di spedizione o l'indennità di trasferta. Le spese eventualmente necessarie per l'invio di posta raccomandata - nei casi previsti dal codice di procedura civile - sono anticipate dall'ufficiale giudiziario e rimborsate dalla parte. Per le spese degli atti esecutivi e quando sia impossibile o difficile determinare con esattezza le somme dovute, la parte versa una congrua somma a favore degli ufficiali giudiziari. L'eventuale somma residua, se non richiesta dalla parte entro un mese dal compimento dell'ultimo atto richiesto, è devoluta, con versamento allo Stato da parte dell'ufficiale giudiziario, entro un mese.
La lettera g) prevede che talune disposizioni relative alle modalità di attestazione di conformità, previste dal D.L. n. 179/2012, siano consentite per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario, o dallo stesso ricevuti.
In particolare, l'art. 16-bis, comma 9-bis, del citato D.L. n. 179/2012, prevede che le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché di provvedimenti di quest’ultimo - presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti civili indicati nel medesimo articolo 16-bis (procedimenti contenziosi o di volontaria giurisdizione, processi esecutivi del libro III del codice di procedura civile, procedure concorsuali, procedimenti d’ingiunzione) o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche – equivalgano all’originale, anche se privi della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all'originale.
Inoltre, il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore e il commissario giudiziale:
§ possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di tali atti e provvedimenti e attestarne la conformità all’originale. Le copie in tal caso equivalgono all’originale (medesimo comma 9-bis);
§ quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia al predetto atto. La copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento (art. 16-decies del D.L. n. 179/2012).
Ulteriore disposizione del comma 9-bis dell'art. 16-bis stabilisce che qualsiasi copia informatica di un documento deve assicurare che il duplicato così ottenuto contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine, sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso. Infine, il comma in questione stabilisce che le nuove disposizioni non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice.
L'art. 16-undecies prescrive alcune regole sull'apposizione dell'attestazione su copie analogiche (in calce o a margine della copia o su foglio separato, che sia però congiunto materialmente alla medesima) ovvero informatica (nel medesimo documento informatico oppure su un documento informatico separato secondo le modalità stabilite dalle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia). Se la copia informatica è destinata alla notifica, l'attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione.
Il Governo è inoltre chiamato ad adottare misure di riordino e implementazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico (lettera h);
Per processo civile telematico (PCT) s’intende il complesso insieme di servizi informatici predisposto dalla riforma della cd. ‘giustizia digitale’ per la gestione delle attività di cancelleria, di deposito e notifica degli atti nei procedimenti giudiziari civili, e rappresenta la sintesi tra le innovazioni tecnologiche in campo informatico e comunicativo, la preesistente struttura organizzativa dell’ordinamento giudiziario e le norme processuali disciplinanti la materia. Il processo civile telematico è in primo luogo disciplinato dal Decreto Legge n. 179 del 18 ottobre 2012, il quale stabilisce, agli articoli da 6 a 6-undecies. Questa normativa di carattere generale è stata ampiamente integrata dal decreto legge n. 83 del 27 giugno 2015, che, agli artt. 19, 20 e 20-bis, ne ha esteso l’ambito di applicazione alla materia fallimentare, introducendo analoghi sviluppi d’informatizzazione delle funzionalità tipiche del processo amministrativo e del processo contabile. Con riguardo alle fonti di rango secondario, occorre richiamare il Decreto Ministeriale n. 44 del 21 febbraio 2011, “regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione”, che disciplina:
Detto decreto, all’art. 34 prevede altresì l’emanazione delle specifiche tecniche ad opera della Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati (DGSIA) del Ministero della Giustizia, confluite nei relativi provvedimenti del 16 aprile 2014 e del 28 dicembre 2015, entrambi pubblicati sul Portale dei Servizi Telematici.
Occorre, infine, ricordare gli assetti normativi di alcuni specifici settori della giustizia digitale:
Dal marzo dello scorso anno sono state altresì introdotte nell’ordinamento italiano numerose disposizioni di carattere emergenziale, atte a consentire la prosecuzione e lo svolgimento delle attività giudiziarie in costanza della pandemia di COVID-19.
In sede di esercizio della delega il Governo dovrà anche modificare l'articolo 22 disp. att. c.p.c. prevedendo che le funzioni di consulente presso le sezioni specializzate dei tribunali con competenza distrettuale possano essere affidate ai consulenti iscritti negli albi dei tribunali del distretto (lettera i).
Ai sensi dell'art. 22 disp.att.c.p.c. tutti i giudici che hanno sede nella circoscrizione del tribunale debbono affidare normalmente le funzioni di consulente tecnico agli iscritti nell'albo del tribunale medesimo. Il giudice istruttore che conferisce un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, deve sentire il presidente e indicare nel provvedimento i motivi della scelta.
Le funzioni di consulente presso la corte d'appello sono normalmente affidate agli iscritti negli albi dei tribunali del distretto. Se l'incarico è conferito ad iscritti in altri albi o a persone non iscritte in alcun albo, deve essere sentito il primo presidente e debbono essere indicati nel provvedimento i motivi della scelta.
Si valuti l’opportunità di coordinare tale previsione con quanto previsto al comma 16 (vedi sopra) nel quale sono dettati i principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina sui consulenti tecnici.
Il Governo è chiamato, poi, a prevedere che il giudice, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal PM e dagli ausiliari del giudice si svolgano con collegamenti audiovisivi a distanza, individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (lettera l).
Si ricorda che l'art. 23 del decreto-legge n. 137 del 2020 ha introdotto disposizioni volte a regolare lo svolgimento dei procedimenti giurisdizionali, sia nel settore penale che nel settore civile. Tali misure, in base all'articolo 7 del decreto-legge n. 105 del 2021, sono efficaci fino al 31 dicembre 2021. Le disposizioni che interessano tutti i procedimenti, sia civili che penali concernono:
· la partecipazione a qualsiasi udienza mediante videoconferenza o collegamenti da remoto di detenuti, internati, persone in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate;
· con riferimento alle udienze da remoto, la possibilità per il giudice di partecipare all'udienza anche collegandosi da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario;
· la possibilità di assumere mediante collegamenti da remoto le deliberazioni collegiali in camera di consiglio.
In sede di attuazione della delega il Governo dovrà inoltre prevedere:
· che, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, il giudice può, o deve in caso di richiesta congiunta delle parti, disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal PM e dagli ausiliari del giudice siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni da effettuarsi entro il termine perentorio stabilito dal giudice (lettera m);
· che il giudice, in luogo dell'udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d'ufficio, può disporre il deposito telematico di una dichiarazione sottoscritta con firma digitale recante il giuramento di cui all'articolo 191 del c.p.c.(lettera n);
· che nei procedimenti di separazione consensuale e di istanza congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio le parti possono formulare rinuncia alla partecipazione all'udienza, confermando nelle conclusioni del ricorso la volontà di non volersi riconciliare con l'altra parte, purché offrano una descrizione riassuntiva delle disponibilità reddituali e patrimoniali relative al triennio antecedente e depositino la relativa documentazione (lettera o);
· che nei procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno le udienze per l'esame dell'interdicendo, dell'inabilitando o della persona per la quale sia richiesta la nomina di amministratore di sostegno sia di regola prevista la comparizione personale del soggetto destinatario della misura di protezione, con facoltà per il giudice - nelle ipotesi in cui la comparizione personale potrebbe arrecare grave pregiudizio per il soggetto destinatario della misura - di disporre l'udienza con modalità di collegamento da remoto mediante collegamenti audiovisivi a distanza, individuati e regolati con provvedimento del Ministero della giustizia (lettera p);
· che il provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni, società, ovvero condominio non perde efficacia in caso di estinzione del giudizio, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa e che i provvedimenti di sospensione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale di cui all'art. 1137 c.c. (che disciplina l'impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea) non perdono efficacia ove non sia successivamente instaurato il giudizio di merito (lettera q);
· che la dichiarazione di inefficacia di cui all'art. 669-novies c.p.c. (che disciplina le ipotesi di inefficacia dei provvedimenti cautelari) assume anche in caso di contestazioni la forma dell'ordinanza (lettera r).
Il comma 18 reca principi e criteri per la modifica della disciplina relativa all’Ufficio per il processo, prevedendo altresì l’istituzione di tale ufficio anche presso la Corte di Cassazione e la Procura Generale e modellandone i compiti sulle specificità funzionali e organizzative della Corte stessa. In termini analoghi l’Ufficio viene istituito anche presso la Procura generale della Corte di cassazione, e viene denominato “Ufficio spoglio, analisi e documentazione”.
Per l’attuazione di tali previsioni, il comma 19 autorizza l’assunzione di un contingente di 500 unità di personale (III area funzionale, posizione economica F1) con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Più in particolare, il disegno di legge delega il Governo ad apportare modifiche alla disciplina dell'ufficio per il processo istituito presso i tribunali e le corti d'appello, integrando anche le disposizioni dell'art. 16-octies del decreto-legge n. 179 del 2012 e quelle di cui al decreto legislativo n. 116 del 2017.
Si ricorda che l’Ufficio per il Processo è stato istituito dal decreto legge 90/2014, che ha inserito l’articolo 16-octies nel decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179. In tale disposizione si prevede espressamente la creazione di strutture organizzative denominate “Ufficio per il Processo”, “al fine di garantire la ragionevole durata del processo”, nonché allo scopo di assicurare “un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Il terzo compito affidato dal legislatore all’Ufficio per il processo si ritrova nell’art. 7 del D.M. 1/10/2015, che affida a tale struttura organizzativa la realizzazione della Banca dati della giurisprudenza di merito.
L'ufficio per il processo (art. 16-octies del d.lgs n. 179 del 2012) è una struttura organizzativa attualmente composta:
• da personale di cancelleria
• dai giovani laureati o laureandi, scelti tra i più meritevoli, che svolgono presso detti uffici il tirocinio formativo di 18 mesi (ex art. 73 del D.L. 69/2013) ovvero la formazione professionale nel primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense (ex art. 37, D.L. 98/2011);
• per le sole corti d'appello, anche dai giudici ausiliari già previsti per lo smaltimento dell'arretrato civile (ex art. 62, D.L. 69/2013); dell'ufficio del processo presso i tribunali sono chiamati a far parte anche i GOT (giudici onorari di tribunale), previsti dall'art. 42-ter dell'ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941). Le disposizioni attuative dell'ufficio del processo sono di competenza del Ministero della giustizia e del CSM.
Con il DM giustizia del 1° ottobre 2015 sono state dettate le misure organizzative necessarie per il funzionamento dell'ufficio per il processo; con la delibera del 24 luglio 2019 il CSM ha approvato la risoluzione sui tirocini formativi presso gli uffici giudiziari. In precedenza, con la delibera del 18 luglio 2018, il CSM aveva reso obbligatoria l'istituzione degli UPP.
Secondo quanto riportato nella Relazione tecnica allegata al maxiemendamento presentato in Senato, allo stato attuale, risultano già istituiti, ai sensi dell'articolo 16-octies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, 11. 221, avvalendosi delle risorse ordinarie, numerosi Uffici per il processo sul territorio nazionale, in particolare: presso 22 corti di appello (8 delle quali con più di un UPP); presso 106 tribunali ordinari (51 dei quali con più di un UPP); presso 5 tribunali per i minorenni.
Il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) inserisce tra gli obiettivi prioritari, nel settore della giustizia, al fine di ridurre la durata dei giudizi, quello di portare a piena attuazione l'Ufficio del processo, stanziando allo scopo 2.342,1 milioni di euro. L'obiettivo principale dell'intervento è offrire un concreto ausilio alla giurisdizione, così da poter determinare un rapido miglioramento della performance degli uffici giudiziari per sostenere il sistema nell'obiettivo dell'abbattimento dell'arretrato e ridurre la durata dei procedimenti civili e penali. Il Governo, nel PNRR, prevede di realizzare l'obiettivo, in primo luogo, attraverso il potenziamento dello staff del magistrato con professionalità in grado di collaborare in tutte le attività collaterali al giudicare (ricerca, studio, monitoraggio, gestione del ruolo, preparazione di bozze di provvedimenti). A tal fine, per quanto riguarda la giustizia ordinaria, viene finanziato con 2.300 milioni di euro (Investimento M1-C1-I.3.1) un piano straordinario di assunzioni a tempo determinato per supportare i giudici nell'evasione delle pratiche procedurali pendenti e garantire le necessarie competenze tecniche richieste per affrontare la trasformazione tecnologica e digitale. Con il decreto-legge n. 80 del 2021 sono state quindi disciplinate le procedure per il reclutamento, in attuazione del PNRR, di personale a tempo determinato da destinare all'ufficio del processo. Per i concorsi già banditi dal Ministero della giustizia si rinvia alla specifica sezione del sito ministeriale.
Nell'esercizio della delega il Governo deve prevedere che:
§ l'ufficio per il processo, sotto la direzione e il coordinamento di uno o più magistrati dell'ufficio, sia organizzato individuando i requisiti professionali del personale da assegnare a tale struttura facendo riferimento alle figure già previste dalla legge, nonché ad ulteriori professionalità da individuarsi, in relazione alla specializzazione degli uffici, sulla base di progetti tabellari o convenzioni con enti ed istituzioni esterne, demandati ai dirigenti degli uffici giudiziari (lettera a);
§ all’ufficio per il processo debbano essere attribuiti, previa formazione degli addetti alla struttura: compiti di supporto ai magistrati, comprendenti, tra le altre, le attività preparatorie per l'esercizio della funzione giurisdizionale quali lo studio dei fascicoli, l'approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, la selezione dei presupposti di mediabilità della lite, la predisposizione di bozze di provvedimenti, il supporto nella verbalizzazione, la cooperazione per l'attuazione dei progetti organizzativi finalizzati a incrementare la capacità produttiva dell'ufficio, ad abbattere l'arretrato e a prevenirne la formazione; compiti di supporto per l'ottimale utilizzo degli strumenti informatici; compiti di coordinamento tra l'attività del magistrato e l'attività del cancelliere; compiti di catalogazione, archiviazione e messa a disposizione di precedenti giurisprudenziali; compiti di analisi e preparazione dei dati sui flussi di lavoro (lettera b);
§ presso la Corte di cassazione siano istituite una o più strutture organizzative denominate "Ufficio per il processo presso la Corte di cassazione". Il legislatore delegato dovrà altresì: individuare i requisiti professionali del personale da assegnare a tale struttura organizzativa, anche diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dall'articolo 16-octies, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, (vedi supra) in coerenza con la specificità delle funzioni della Corte di legittimità; prevedere che ad esso siano attribuiti compiti di assistenza per l'analisi delle pendenze e dei flussi delle sopravvenienze; di supporto ai magistrati, comprendenti, tra l'altro, la compilazione della scheda del ricorso, corredata delle informazioni pertinenti quali la materia, la sintesi dei motivi e l'esistenza di precedenti specifici, lo svolgimento dei compiti necessari per l'organizzazione delle udienze e delle camere di consiglio, anche con l'individuazione di tematiche seriali, lo svolgimento di attività preparatorie relative ai provvedimenti giurisdizionali, quali ricerche di giurisprudenza, di legislazione, di dottrina e di documentazione; ciò al fine di contribuire alla complessiva gestione dei ricorsi e relativi provvedimenti giudiziali; di supporto per l'ottimale utilizzo degli strumenti informatici; di raccolta di materiale e documentazione anche per le attività necessarie per l'inaugurazione dell'anno giudiziario (lettera c);
§ sia istituita, presso la Procura generale della Corte di Cassazione, una o più strutture organizzative denominate "Ufficio spoglio, analisi e documentazione". Anche in questo caso il Governo dovrà in attuazione della delega: individuare i requisiti professionali del personale da assegnare a tale struttura, anche diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dall'articolo 16-octies, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, in coerenza con la specificità delle attribuzioni della Procura generale in materia di intervento dinanzi alla Corte di Cassazione; prevedere che alla predetta struttura organizzativa, sotto la supervisione e gli indirizzi degli Avvocati generali e dei magistrati dell'ufficio, previa formazione degli addetti alla struttura, siano attribuiti compiti: di assistenza per l'analisi preliminare dei procedimenti che pervengono per l'intervento, per la formulazione delle conclusioni e per il deposito delle memorie dinanzi alle Sezioni unite e alle Sezioni semplici della Corte; di supporto ai magistrati comprendenti, tra l'altro, l'attività di ricerca e analisi su precedenti, orientamenti e prassi degli Uffici giudiziari di merito che formano oggetto dei ricorsi e di individuazione delle questioni che possono formare oggetto del procedimento per l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge previsto dall'articolo 363 c.p.c.; di supporto per l'ottimale utilizzo degli strumenti informatici; di raccolta di materiale e documentazione per la predisposizione dell'intervento del Procuratore in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (lettera d).
Con riguardo alla disposizione in esame è opportuno segnalare che una analoga delega per l’Ufficio del processo penale, è prevista dall’articolo 1, commi da 26 a 28, della legge n. 134 del 2021 (Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari).
In relazione alla necessità di introdurre una norma specifica sull’Ufficio del processo all’interno del disegno di legge delega sulla riforma del processo civile la Commissione Luiso rileva che la stessa nasce dall’obiettivo, per un verso, di implementare gli strumenti di ausilio al giudice nell’esercizio della sua attività giurisdizionale e, per altro verso, di organizzare al meglio e secondo criteri di maggiore razionalità le risorse “complementari” agli uffici giudiziari, perseguendo anche la finalità di valorizzare e stabilizzare l’esperienza che maturerà con le risorse assunte a tempo determinato con i fondi assegnati all’Italia nell’ambito del Piano per la ripresa dell’Europa (c.d. “Recovery plan”).
La Commissione sottolinea come le ultime circolari del CSM abbiano reso obbligatoria la costituzione degli uffici per il processo in ogni realtà giudiziaria, ma solo per i tribunali.
Da più parti, tuttavia, è stata segnalata l’esigenza che tale struttura venga costituita sia presso le corti d’appello sia presso la Corte di cassazione.
Secondo la Commissione l’ufficio per il processo deve essere costituito quale struttura di staff dell’ufficio giudiziario o delle sue sezioni, con compiti ed obiettivi specifici, avendo cura di impiegare le risorse ivi assegnate per ridurre sensibilmente l’arretrato, definire più rapidamente i procedimenti, nonché velocizzare la risposta di giustizia.
Deve, pertanto, essere valorizzata l’assegnazione dello staff attribuendo al presidente di sezione o a un magistrato da questi delegato compiti di coordinamento delle attività dei singoli componenti dell’UPP, che potranno così coadiuvare il giudice o il consigliere istruttore nell’espletamento delle sue molteplici attività, anche complementari rispetto a quelle propriamente connesse alla giurisdizione.
La Commissione propone inoltre di affrontare il problema della introduzione di una struttura di supporto alla Corte di cassazione per la schedatura dei ricorsi e per l’espletamento di una serie di verifiche preliminari alla decisione, tanto in ordine al ricorso, alla sua tempestività ed alla focalizzazione del suo contenuto, quanto in ordine alla verifica dello stato della giurisprudenza della Corte sui temi proposti con il ricorso.
La finalità che tale innovazione organizzativa intende perseguire è quella di contribuire alla riduzione dei tempi di durata del processo e all’abbattimento delle pendenze, anche attraverso l’innovazione di modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle risorse tecnologiche e telematiche.
Nell’ambito del perseguimento del medesimo obiettivo, la Commissione propone l’istituzione dell’ufficio spoglio, analisi e documentazione della Procura generale presso la Corte di cassazione, con il compito di prestare assistenza in relazione alle attribuzioni della Procura generale relative all’intervento nei giudizi dinanzi alla Corte di cassazione.
Con riferimento alle professionalità necessarie per lo svolgimento dei compiti previsti dalle disposizioni in esame, che si aggiungono alle figure già contemplate dalla legislazione vigente (magistrati onorari, tirocinanti ex art. 73 del DL. 69/2013, ecc.) al comma 19 si prevede una specifica disposizione che autorizza il Ministero della giustizia, a decorrere dal 1 gennaio 2023, all'assunzione con contratti di lavoro a tempo indeterminato, di 500 unità di personale della III Area, Fascia economica F1, da adibire all'Ufficio del processo.
In relazione agli oneri conseguenti a tale disposizione, quantificati in 23,4 milioni di euro, a decorrere dal 2023, si provvede in base al comma 41.
Il comma 41 prevede la corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista per le assunzioni di personale amministrativo presso l’amministrazione giudiziaria dall’art. 1, comma 860, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020). Si tratta, in particolare, di ridurre il contingente di personale da assumere previsto dalla legge di bilancio del 2021 nei seguenti termini:
Tipologia personale |
Legge di bilancio 2021 |
A.C. 3289 |
unità da impiegare nell'Area II, posizione economica F1 |
1.500 |
1.205 |
unità da impiegare nell'Area II, posizione economica F2 |
1.200 |
961 |
unità da impiegare nell'Area III, posizione economica F1 |
300 |
244 |
Totale |
3.000 |
2.410 |
L'articolo 1, comma 20, reca principi e criteri direttivi per la modifica di disposizioni relative ai procedimenti notificatori incentivando il ricorso allo strumento informatico.
Finalità dell'intervento riformatore è- come precisa la relazione illustrativa dell'originario disegno di legge - di semplificare e accelerare il procedimento notificatorio, valorizzando il principio di responsabilità, che impone ai soggetti obbligati a munirsi di un domicilio digitale, o che abbiano eletto un domicilio digitale, di verificarne costantemente il buon funzionamento e di consultarlo con regolarità e incentivando l'utilizzazione di strumenti informatici e delle tecnologie più avanzate.
La lettera a), stabilisce che nell'attuazione della delega si dovrà prevedere che gli atti in materia civile e stragiudiziale siano notificati esclusivamente per mezzo di posta elettronica certificata - PEC dall'avvocato quando il destinatario della notificazione:
§ sia un soggetto obbligato a munirsi di PEC ai sensi di legge;
§ ha eletto domicilio digitale ed è iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali, secondo le disposizioni previste dal codice dell'amministrazione digitale (CAD) di cui al d.lgs. n. 82/2005.
La notificazione avviene comunque nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
L'identità e il domicilio digitale sono disciplinati dall'art. 3-bis del CAD. Vi si prevede (comma 1-bis) che chiunque ha facoltà di eleggere il proprio domicilio digitale da iscrivere nell'apposito elenco previsto dall'articolo 6-quater del CAD medesimo, il quale istituisce tale elenco ove sono riportati i domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese.
Riguardo al tema della notificazione tramite PEC, l'art. 3-bis della legge n. 53/1994 stabilisce che la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo PEC del notificante risultante da pubblici elenchi. Quando l'atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l'avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell'atto formato su supporto analogico, attestandone la conformità (si veda, in merito alle attestazioni di conformità, la scheda sull'art. 12, comma 1, lett. g) del disegno di legge). La notifica si esegue allegando l'atto al messaggio PEC.
Si ricorda, infine, che la legge n. 53/1994 riconosce agli avvocati la possibilità di effettuare la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali mediante servizio postale o PEC (art. 1) o direttamente ad altro avvocato che abbia la qualifica di domiciliatario di una parte (art. 4). La nullità della notificazione effettuata dal difensore è disciplinata dall'art. 11 della medesima legge.
Ai sensi della lettera b), si dovrà stabilire che qualora la notificazione via PEC non sia andata a buon fine per motivi dipendenti dal destinatario, l'avvocato provvede a notificare gli atti solamente mediante inserimento nell'area web riservata (art. 359 del d.lgs. n. 14/2019, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza). In tal caso la notificazione si deve intendere eseguita il decimo giorno successivo all'inserimento. La notificazione potrà avvenire con le modalità ordinarie solo quando non sia possibile o non sia possibile effettuarla via PEC per cause indipendenti dal destinatario.
Inoltre (lettera c)), dovrà essere vietata la notificazione da parte dell'ufficiale giudiziario nei casi previsti dalla disciplina in esame, salvo quando l'avvocato dichiari che la notifica via PEC non sia possibile, quando non possa essere effettuata per cause indipendenti dal destinatario e quando il destinatario sia sprovvisto di PEC.
Infine, la lettera d) dispone che vengano emanate disposizioni per la semplificazione del procedimento di notifica da parte dell'ufficiale giudiziario, anche al fine di favorire l'uso di strumenti informatici e telematici.
Il comma 21 dell’articolo 1 reca principi e criteri direttivi per la modifica del codice di procedura civile al fine di rafforzare i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi.
In particolare, la lettera a), prevede che l'Amministrazione della giustizia debba essere riconosciuta come soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata della parte soccombente, la quale sarà tenuta a pagare una somma a titolo di sanzione in favore della Cassa delle ammende.
Si ricorda che l'art. 96, primo comma, del codice di procedura civile prevede che se la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida anche d'ufficio nella sentenza.
La disposizione, al secondo comma, stabilisce che se il giudice accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata, condanna al risarcimento dei danni l'attore o il credito procedente che ha agito senza la normale prudenza.
In ogni caso quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91 c.p.c. il giudice anche d'ufficio può condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata (art. 96 comma terzo c.p.c.) quale sanzione per il comportamento illegittimo e ristoro del torto complessivamente subito da chi esce vittorioso per il solo fatto di essere dovuto an-dare in giudizio.
La lettera b) stabilisce che si dovranno prevedere conseguenze processuali e sanzioni pecuniarie nei seguenti casi:
§ rifiuto non giustificato di consentire l’ispezione di persone o cose, che sia stata ordinata dal giudice, alle parti o a terzi, per conoscere i fatti della causa, ai sensi dell'art. 118 c.p.c.;
L'ispezione è l'attività istruttoria del giudice diretta ad esaminare una cosa o un luogo, allo scopo di acquisire piena conoscenza delle sue caratteristiche.
L'art. 118 c.p.c. stabilisce che il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso, le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte e per il terzo e senza costringerli a violare un segreto professionale o d'ufficio. Il codice prevede peraltro che se l'ispezione è ordinata sulla persona di una delle parti o su cosa in suo possesso e la parte rifiuta di eseguire l'ordine, il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti di prova. Se rifiuta il terzo il giudice lo condanna ad una pena pecuniaria da euro 250 a euro 1.500.
§ rifiuto o inadempimento non giustificato dell’ordine di esibire in giudizio un documento o un’altra cosa, impartito dal giudice ad una parte o a terzi, su istanza di parte, ai sensi dell'art. 210 c.p.c.
Si ricorda che - ai sensi dell'art. 211 c.p.c. - quando l'esibizione è ordinata ad un terzo, il giudice istruttore deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo, e prima di ordinare l'esibizione può disporre che il terzo sia citato in giudizio, assegnando alla parte istante un termine per provvedervi. Il terzo può sempre fare opposizione contro l'ordinanza di esibizione, intervenendo nel giudizio prima della scadenza del termine assegnatogli.
Infine, la lettera c) prevede che in sede di attuazione della delega debba essere fissato un termine, non superiore a 60 giorni, entro il quale la pubblica amministrazione debba trasmettere le informazioni relative ad atti e documenti dell'amministrazione medesima, che le siano stati richiesti ai fini dell’acquisizione processuale. Entro il medesimo termine la p.a. potrò anche, eventualmente, comunicare le ragioni del diniego. Tali informazioni possono essere richieste dal giudice ai sensi dell'art. 213 c.p.c.
Il comma 22 dell’articolo 1 prevede disposizioni di coordinamento con particolare riferimento all’individuazione dei rimedi preventivi, da esperire per conseguire il rispetto del termine di ragionevole durata del processo, e ai tempi e modi per far valere il difetto di giurisdizione.
In primo luogo, la lettera a) delega il Governo a operare un coordinamento della riforma con la legislazione vigente, eventualmente intervenendo sulla sistematica dei codici vigenti, anche in relazione a disposizioni che non sono direttamente oggetto dei principi e criteri di delega. La disposizione, inoltre, menziona esplicitamente le esigenze di coordinamento del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, di cui al R.D. n. 1775/1933, che contiene ancora riferimenti al codice di procedura civile del 1865.
La lettera b) delega il Governo a intervenire sulla c.d. Legge Pinto (legge n. 89 del 2001[10]), individuando nuovi rimedi preventivi, coerenti con la riforma.
Si ricorda che in base all’art. 1-bis della legge (Rimedi all'irragionevole durata del processo), la parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione del termine di ragionevole durata del processo e che chi, pur avendo esperito tali rimedi preventivi, ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione.
I rimedi preventivi sono disciplinati dall’art. 1-ter della legge n. 89/2001 che, per i processi civili (comma 1), individua come rimedio preventivo l'introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile. Costituisce altresì rimedio preventivo formulare richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario a norma dell'articolo 183-bis c.p.c., entro l'udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata. Nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale (art. 281-sexies c.p.c.), almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata.
Quanto al giudizio di primo grado, dovrà essere sostituita l’introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione, privilegiando invece l’esperimento di procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie con particolare riferimento a:
§ la stipulazione di una convenzione di negoziazione assistita ovvero
§ la partecipazione personale al procedimento di mediazione anche successivamente al primo incontro ovvero
§ la partecipazione attiva ad altri procedimenti di conciliazione e mediazione previsti da disposizioni speciali.
In relazione al giudizio d’appello dovrà invece essere prevista la proposizione dell’istanza di decisione in udienza, all’esito di discussione orale, preceduta dalla precisazione delle conclusioni nel corso della medesima udienza, senza scambio di comparse conclusionali.
La lettera c) delega il Governo a prevede, nell’ambito degli interventi di coordinamento, una razionalizzazione delle modalità con cui può essere sollevata l'eccezione del difetto di giurisdizione.
In generale, si ricorda che la giurisdizione costituisce un presupposto processuale, la cui mancanza impedisce al giudice di decidere il merito della lite, dovendo egli chiudere il processo in rito per la presenza del vizio di carenza del potere giurisdizionale. In particolare, si ha difetto relativo di giurisdizione in materia civile quando essa spetta a un giudice speciale, quale il TAR, la Corte dei conti. Si ha invece difetto di giurisdizione assoluto quando la materia oggetto della lite appartiene alle funzioni esclusive della pubblica amministrazione, giacché in questo caso nessun giudice ha il potere di giudicare la controversia. Infine, la giurisdizione del giudice ordinario e di tutti i giudici italiani viene a mancare quando il convenuto non è residente o domiciliato in Italia, salve alcune eccezioni (l. n. 218/1995). Il difetto di giurisdizione è rilevabile su istanza di parte o d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, quando si pone nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali (art. 37 c.p.c.). Quando la giurisdizione appartiene ai giudici stranieri: se il convenuto è contumace, il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio; mentre se il convenuto compare deve eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. Le questioni di giurisdizione possono essere decise dalla Corte di cassazione anche in via preventiva, attraverso il regolamento di giurisdizione, di cui all’art. 41 c.p.c.
In particolare, il Governo dovrà prevedere:
§ la rilevabilità d'ufficio durante il primo grado di giudizio;
§ che nei gradi successivi tale eccezione debba costituire espresso motivo di impugnazione (n. 1);
§ che non possa eccepire il difetto di giurisdizione in sede di gravame l’attore che ha promosso il giudizio di primo grado (n. 2).
L'articolo 1, comma 23, enuncia i princìpi e criteri direttivi cui il Governo è tenuto a conformarsi, nell'esercizio della delega, per l’introduzione nel codice di procedura civile, di un rito unificato applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie, attualmente attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare. Il Governo dovrà inoltre introdurre specifiche disposizioni relative: all'attività professionale del mediatore familiare; alla nomina di un professionista, dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare e alla regolamentazione della consulenza tecnica psicologica; alla disciplina delle modalità di nomina del curatore speciale del minore; al riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore; alla nomina del tutore del minore, anche d’ufficio, nel corso e all'esito dei procedimenti sulla responsabilità genitoriale. Specifici criteri organizzativi sono volti a regolamentare l'intervento dei servizi socio-assistenziali e sanitari e delle attività di controllo, monitoraggio, verifica di situazioni in cui sono coinvolti minori. La delega al Governo concerne inoltre la revisione della disciplina nei procedimenti per la tutela e l'affidamento dei minori, con riguardo alle cause di incompatibilità all’assunzione dell'incarico di consulente tecnico d'ufficio nonché allo svolgimento delle funzioni di assistente sociale, nonché alle incompatibilità per i giudici onorari e con riguardo all’introduzione del divieto di affidamento dei minori a talune categorie di persone. Il Governo dovrà inoltre: introdurre un unico rito con riguardo ai procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio; predisporre un’autonoma regolamentazione per il giudizio di appello per tutti i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie; introdurre la reclamabilità al tribunale dei provvedimenti adottati dal giudice tutelare.
In particolare, con la lettera a), si prevede l'inserimento, nel Libro secondo del codice di procedura civile, di un Titolo IV-bis, rubricato "Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie", recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare.
Dal rito unificato sono esclusi: i procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità; i procedimenti di adozione di minori di età; i procedimenti attribuiti alla competenza delle Sezioni istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46 (il cui Capo I reca "Istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'unione europea").
Contestualmente all'introduzione del nuovo Titolo, il legislatore delegato è tenuto a provvedere all'abrogazione, riordino, coordinamento, modifica e integrazione delle disposizioni vigenti.
La Commissione Luiso ha sottolineato come i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie, tra i quali devono essere compresi i giudizi per l’attribuzione o la rimozione di stato delle persone, siano caratterizzati da elevata frammentazione e da discipline diversificate. La presenza di riti diversi, in materie analoghe, non garantisce né la parità di trattamento per vicende sostanzialmente sovrapponibili (si pensi ai diversi riti applicabili per la disciplina dell’affidamento e del mantenimento dei figli a seconda che siano nati nel matrimonio o al di fuori del vincolo coniugale), né la creazione di orientamenti interpretativi uniformi, non favoriti dalla richiamata frammentazione.
All’esito dell’approvazione della legga delega 10 dicembre 2012, n. 219, e del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che hanno realizzato l’attesa unificazione dello stato di figlio, da più parti, nella dottrina e nella giurisprudenza, si è evidenziata la perdurante discriminazione, in ambito processuale, a causa della mancata creazione di un modello di rito unitario. In applicazione della normativa vigente, per disciplinare le modalità di affidamento e mantenimento dei figli nati nel matrimonio, si applicano le norme processuali che disciplinano la separazione o il divorzio, mentre per analoghe domande, se relative a figli nati fuori del matrimonio, si applica il rito camerale.
La Commissione ribadisce dunque la necessità di un intervento normativo volto alla creazione di un unico rito, per tutti i procedimenti relativi alle persone, ai minorenni ed alle famiglie.
La lettera b) prevede che il Governo introduca, con riguardo ai procedimenti di cui alla lettera a), alcune misure relative alla protezione delle categorie più vulnerabili, specificando che - in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere - siano assicurate:
· su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di protezione di cui all'articolo 342-bis del codice civile (recante "Ordini di protezione contro gli abusi familiari");
L’art. 342-bis c.c. dispone che quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter c.c. Con il suddetto decreto, ai sensi dell’art. 342-ter c.c. il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.
Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante. Con il medesimo decreto il giudice stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.
· le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti;
· l'abbreviazione dei termini processuali nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria.
Il legislatore delegato è tenuto altresì a disciplinare l'ipotesi di rifiuto, da parte di un figlio minore, di incontrare uno o entrambi i genitori: in tali casi il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, dovrà accertare con urgenza le cause del rifiuto e assumere i provvedimenti nel superiore interesse del minore, tenendo conto - nella determinazione dell'affidamento dei figli e degli incontri con i figli - di eventuali episodi di violenza. In ogni caso, viene garantito che gli eventuali incontri tra i genitori e il figlio siano, se necessario, accompagnati dai servizi sociali e non compromettano la sicurezza della vittima.
Specifiche previsioni concernono l’ipotesi in cui il giudice ritenga di avvalersi dell'ausilio di un consulente. In tali ipotesi:
· il giudice procede alla nomina del consulente con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere.
· il consulente eventualmente nominato si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità agli stessi estranei.
Dovrà essere introdotta espressamente la previsione sulla base della quale i provvedimenti di cui agli articoli 342-bis e seguenti del codice civile già richiamati possono essere richiesti ed emessi anche dal Tribunale per i minorenni e quando la convivenza è già cessata.
Si segnala che i commi 24 e 25 dell’articolo 1 del disegno di legge in esame dettano princìpi e criteri direttivi per l'istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, destinato a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni e ad assorbire le competenze civili del tribunale ordinario in materia di stato e capacità delle persone e famiglia (vedi infra).
La lettera c) specifica che in sede di esercizio della delega il Governo dovrà prevedere la competenza del tribunale in composizione collegiale, con facoltà di delega, in ordine alla trattazione e all'istruzione, al giudice relatore. Con riguardo al tribunale per i minorenni, è previsto che siano tenute dal giudice relatore - con sua facoltà di delegare specifici adempimenti ai giudici onorari - la prima udienza nonché le udienze all'esito delle quali debbano essere adottati provvedimenti decisori, anche provvisori. Dovrà essere esclusa la facoltà di delegare l'ascolto dei minorenni, l'assunzione delle testimonianze e tutti gli atti riservati al giudice togato.
La Commissione Luiso ha sottolineato l’opportunità di attribuire il nuovo procedimento alla competenza collegiale, in considerazione della delicatezza degli interessi sottesi, con espressa previsione della delega al giudice relatore non solo per la trattazione e per l’istruzione ma anche per l’adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti e per l’ammissione dei mezzi di prova. Ciò renderà più rapida la trattazione di tutti quei giudizi oggi trattati con il rito camerale, in applicazione del quale ogni provvedimento decisorio deve essere adottato dal collegio. La possibilità che i provvedimenti provvisori siano demandati al relatore non comprimerà le tutele, stante la previsione della generale reclamabilità al collegio di tali provvedimenti, misura oggi non prevista
La lettera d) prevede che il Governo proceda al riordino dei criteri di competenza territoriale, disponendo che costituisca criterio di competenza prevalente quello della residenza abituale del minore, da individuare nel luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento. E' altresì prevista la necessità del consenso di entrambi i genitori, ovvero, in difetto, del giudice ai fini del cambio di residenza nonché per la scelta dell'istituto scolastico anche prima della separazione dei genitori.
La Commissione Luiso ha sottolineato l’opportunità che la residenza abituale del minore sia previsto quale criterio di competenza prevalente in tutti i procedimenti c.d. de potestate e in quelli nei quali siano formulate domande di affidamento dei minori. Il principio è dettato per uniformare la normativa nazionale a quella internazionale vigente in materia (cfr. il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori conclusa a L’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101), che privilegia il criterio della prossimità al minore nell’attribuzione della competenza a decidere con riferimento alla materia in esame. Anche la Suprema Corte in recenti pronunce ha espressamente richiamato il principio della residenza abituale del minore come criterio principe nella individuazione del giudice competente (cfr., da ultimo, Cass., ord. 20 luglio 2020, n. 15421).
La lettera e) prevede l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 70 c.p.c., fermo restando il potere del pubblico ministero stesso - nei procedimenti di cui agli articoli 330 (decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli), 332 (reintegrazione nella responsabilità genitoriale), 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli), 334 (rimozione dall'amministrazione), 335 (riammissione nell'esercizio dell'amministrazione) del codice civile nonché nei procedimenti di affidamento e di adozione disciplinati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 - di proporre la relativa azione.
L'art. 70 del codice di procedura civile dispone che il pubblico ministero intervenga, a pena di nullità rilevabile d'ufficio: nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi; nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone; negli altri casi previsti dalla legge. L'obbligo di intervento è altresì previsto nelle cause davanti alla Corte di cassazione quando stabilito dalla legge.
La lettera f) detta norme procedurali sullo svolgimento dell'udienza di comparizione delle parti, prevedendo l’introduzione del giudizio con ricorso, e precisando che le indicazioni contenute nell'atto introduttivo del giudizio riguardo alla prole devono riguardare anche i figli maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti o che siano portatori di handicap grave. La disposizione di delega elenca il contenuto necessario del ricorso, il quale dovrà essere accompagnato altresì dal deposito di un “piano genitoriale” che descriva gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute.
Con riguardo al contenuto del ricorso la delega fa riferimento: all'indicazione del giudice, le generalità e la residenza abituale del ricorrente, del resistente e dei figli comuni della coppia, minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai quali il procedimento si riferisce; alla determinazione dell'oggetto della domanda; all'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; all'indicazione, a pena di decadenza per le sole domande aventi ad oggetto diritti disponibili, dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente intende avvalersi; l'indicazione di procedimenti penali in cui una delle parti o il minorenne sia persona offesa.
E' inoltre previsto che il ricorso sia accompagnato: dal deposito di copia dei provvedimenti eventualmente già adottati all'esito di uno dei procedimenti di cui alla lettera a); nelle ipotesi di domande di natura economica relative ai minorenni, ovvero maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti, ovvero affetti da disabilità, dal deposito di copia delle denunce dei redditi nonché della documentazione attestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie delle parti degli ultimi tre anni, disponendo le sanzioni per il mancato deposito della documentazione senza giustificato motivo ovvero per il deposito di documentazione inesatta o incompleta.
Si dispone inoltre che, a seguito del deposito del ricorso, venga fissata, con decreto, la data dell'udienza di comparizione delle parti davanti al giudice relatore - da tenere entro 90 giorni dal deposito del ricorso - con indicazione del termine per la notificazione del ricorso e del decreto nonché del termine per la costituzione della parte convenuta. Il capo dell'ufficio giudiziario è tenuto a vigilare sul rispetto del termine di fissazione dell'udienza di comparizione e ne tiene conto nella formulazione dei rapporti per la valutazione di professionalità.
Il governo dovrà prevedere che il giudice relatore possa assumere provvedimenti d'urgenza nell'interesse delle parti e dei minori prima dell'instaurazione del contraddittorio, qualora esso possa pregiudicare l'attuazione del provvedimento ovvero in presenza di pregiudizio imminente e irreparabile, fissando l'udienza di comparizione delle parti per la conferma, modifica o revoca di tali provvedimenti entro i successivi 15 giorni.
Con il decreto di fissazione della prima udienza il giudice sarà tenuto a informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare, con esclusione dei casi in cui una delle parti sia stata destinataria di condanna anche non definitiva o di emissione dei provvedimenti cautelari civili o penali per fatti di reato previsti dagli articoli 33 e seguenti della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 e ratificata dalla legge n. 77 del 2013.
Gli articoli da 33 a 41 della Convenzione di Istanbul concernono, nell'ordine, i seguenti reati: violenza psicologica; atti persecutori (stalking); violenza fisica; violenza sessuale, compreso lo stupro; matrimonio forzato; mutilazioni genitali femminili; aborto forzato e sterilizzazione forzata; molestie sessuali; favoreggiamento o complicità o tentativo.
La lettera g) contiene la previsione in base alla quale, in assenza di limitazioni o provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale, nell'adottare i provvedimenti relativi all’affido dei figli minori, il giudice debba indicare quali sono le informazioni che ciascun genitore deve obbligatoriamente comunicare all’altro.
La lettera h) è diretta a stabilire le regole inerenti la costituzione in giudizio della
parte convenuta, con la previsione delle domande riconvenzionali e delle eccezioni processuali non rilevabili d'ufficio e inserimento delle contestazioni specifiche sui fatti esposti dal ricorrente. In ordine alla documentazione che deve essere depositata unitamente alla comparsa di costituzione si applica quanto previsto dalla lettera f) per la documentazione da depositare unitamente al ricorso introduttivo, nonché le relative sanzioni per il mancato deposito della documentazione senza giustificato motivo ovvero per il deposito di documentazione inesatta o incompleta.
Con le lettere i), l) ed m) sono dettate ulteriori norme procedurali riguardanti le domande riconvenzionali del convenuto, l'obbligo del tentativo obbligatorio di conciliazione che deve espletarsi alla prima udienza e la possibilità da parte del giudice relatore di invitare le parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare, eccettuate le fattispecie in cui vi siano clementi collegati a violenze di genere o domestiche.
In particolare, con la lettera i) , si disciplinano le difese del ricorrente in caso di domande riconvenzionali del convenuto, per consentire alle parti di modificare o proporre nuove istanze istruttorie in corso di causa, che possono riguardare l'affidamento e il mantenimento dei i figli anche maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti o che siano portatori di handicap grave, nonché la possibilità di introdurre domande nuove relative al mantenimento delle parti e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nelle sole ipotesi di fatti sopravvenuti ovvero di nuovi accertamenti istruttori.
La lettera l) specifica che la prima udienza debba svolgersi attraverso la comparizione obbligatoria delle parti per essere sentite, anche separatamente, e per il tentativo di conciliazione, disponendo sanzioni per la mancata comparizione senza giustificato motivo e prevedendo in ogni caso: la data di decorrenza dei provvedimenti a contenuto economico, con facoltà di farli retroagire alla data della domanda o comunque della prima udienza; che il verbale di conciliazione costituisca titolo esecutivo e titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. In caso di mancata comparizione del convenuto senza giustificato motivo, il giudice dovrà adottare comunque i provvedimenti provvisori e urgenti all'esito della prima udienza, determinando la data di decorrenza dei provvedimenti di natura economica anche a far data dalla domanda.
E’esclusa, nello svolgimento della prima udienza, la necessaria comparizione personale delle parti per il tentativo di conciliazione qualora siano allegate o segnalate violenze di genere o domestiche. È previsto che il giudice possa formulare una proposta di definizione motivata anche tenendo conto di tutte le circostanze e delle risultanze istruttorie acquisite.
La mancata comparizione senza giustificato motivo dovrà essere valutata ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, c.p.c. (nel quale si dispone che il giudice possa desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo), e potrà altresì essere tenuta in considerazione ai fini delle spese di lite.
In base alla lettera m) il Governo dovrà pervedere che, qualora il tentativo di conciliazione non riesca, il presidente, anche d'ufficio, sentiti le parti ed i rispettivi difensori, assuma con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputi opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi. Il tentativo di conciliazione non può essere esperito nei casi in cui sia allegata qualsiasi forma di violenza prevista dalla citata Convenzione di Istanbul, ratificata dalla legge 27 giugno 2013, n. 77. In tali casi la comparizione personale delle parti dovrà avvenire in orari differiti.
L’intervento alla lettera n) prevede che il giudice relatore possa – salvo che nelle ipotesi in cui siano allegate violenze di genere o domestiche – invitare le parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare e che, qualora una delle parti (o entrambe) rifiutino di intraprendere tale tentativo, lo stesso giudice adotti provvedimenti ritenuti urgenti, sebbene di efficacia temporanea.
Si ricorda che l’articolo 48 della Convenzione di Istanbul contiene un espresso divieto al ricorso alla mediazione quando un partner del rapporto abbia agito violenza nei confronti dell’altro.
L'inserimento della lettera o) interviene sulla disciplina dell'attività professionale del mediatore familiare, sulla formazione e sulle regole deontologiche e sulle tariffe applicabili disponendo che la stessa sia regolata secondo quanto previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n. 4, recante "Disposizioni in materia di professioni non organizzate".
Con la lettera p) si prevede di istituire presso ciascun tribunale l'elenco dei mediatori familiari, iscritti presso le associazioni del settore ai sensi della legge n. 4 del 2013[11], i cui compensi, in caso di nomina nell'ambito del procedimento interessato, verranno posti a carico delle parti che hanno richiesto o accettato tale intervento. In particolare, è previsto che i mediatori familiari siano professionisti dotati di adeguata formazione e specifiche competenze, quali la competenza in discipline giuridiche nel diritto di famiglia e di tutela dei minori e delle violenze domestica e di genere.
La lettera q) detta principi di speditezza processuale, contingentando i tempi delle fasi istruttoria e decisoria, nel caso in cui - fallito il tentativo di conciliazione - la causa sia matura per la decisione. In particolare il Governo dovrà prevedere che alla prima udienza, in mancanza di conciliazione tra le parti, il giudice, qualora la causa sia matura per la decisione, inviti le parti alla discussione pronunciando sentenza definitiva ovvero parziale nell’ipotesi in cui possa essere decisa la sola domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento debba continuare per la definizione delle ulteriori domande.
Le lettere r), t), u) e z) dettano principi e criteri concernenti l’adozione di provvedimenti cautelari, temporanei e urgenti da parte del giudice relatore in costanza di lite, qualora vi sia necessità di adottare anche d'ufficio misure necessarie a tutela degli interessi delle parti e dei minori.
In particolare, in base alla lettera r), il Governo dovrà prevedere che, qualora il processo debba continuare, il giudice relatore, nel contraddittorio tra le parti:
· adotti i provvedimenti temporanei e urgenti, nei limiti delle domande delle parti, per le domande riguardanti le parti e i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e, anche d'ufficio, per le domande riguardanti i figli minorenni oppure maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992. Tali provvedimenti costituiscono titolo esecutivo e titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Il legislatore delegato è tenuto a disciplinare il regime della reclamabilità avverso tali provvedimenti dinanzi al giudice che deciderà in composizione collegiale;
· ammetta le prove o adotti gli altri provvedimenti istruttori, fissando l'udienza per la prosecuzione del giudizio.
E’ altresì previsto che, nell'adottare i provvedimenti temporanei e urgenti, il giudice possa formulare una proposta di piano genitoriale, nella quale è illustrata la complessiva situazione di vita del minore e le sue esigenze dal punto di vista dell'affidamento e dei tempi di frequentazione con i genitori, nonché del suo mantenimento, istruzione, educazione e assistenza morale, nel rispetto dei principi previsti dall'articolo 337-ter del codice civile (recante disciplina dei provvedimenti riguardo ai figli nel contesto della disciplina dell'esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, di cui al capo II del libro primo, titolo IX, del codice civile). Nel piano genitoriale devono essere individuati i punti sui quali vi sia l'accordo dei genitori. Il mancato rispetto delle condizioni previste nel piano genitoriale costituisce comportamento sanzionabile ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. (il quale disciplina la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento, nonché i provvedimenti assunti dal giudice in caso di inadempienze o violazioni).
Con la lettera s) si prevede che il giudice disponga in ogni caso la videoregistrazione dell'audizione del minore per limitare l'impatto che lo stesso possa avere con gli uffici giudiziari.
La lettera t) riafferma il principio generale secondo il quale nell’adottare i provvedimenti d'ufficio, il giudice non può delegare l'ascolto del minorenne, anche infradodicenne, ove capace di esprimere la propria volontà, fatti salvi i casi in cui questi sia impossibilitato. Il Governo, in particolare, dovrà prevedere che il giudice possa:
· adottare, d'ufficio e anche in assenza di istanze, provvedimenti relativi ai minori, comunque salvaguardando il contraddittorio tra le parti a pena di nullità del provvedimento;
· disporre d'ufficio mezzi di prova a tutela dei minori, nonché delle vittime di violenze, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, sempre garantendo il contraddittorio e il diritto alla prova contraria. In tale contesto, il legislatore delegato provvede a disciplinare i poteri istruttori officiosi di indagine patrimoniale.
La lettera u) detta i principi e criteri concernenti l’adozione da parte del giudice dei provvedimenti temporanei e urgenti, prevedendo che gli stessi:
· rechino le modalità e i termini di prosecuzione del giudizio;
· possano essere modificati o revocati dal giudice, anche relatore, nel corso del giudizio, in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori;
· mantengano la loro efficacia in caso di estinzione del processo.
Dovranno altresì essere disciplinate le forme di controllo dei provvedimenti emessi nel corso del giudizio.
La disposizione introdotta con la lettera v) è volta a prevedere una modifica dell’articolo 178 c.p.c. (in materia di controllo del collegio sulle ordinanze). Al riguardo, il Governo dovrà inserire nella predetta disposizione, la previsione sulla base della quale - una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie (vedi infra, comma 24) - l'ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli sia impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di 20 giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica. Il collegio decide in camera di consiglio entro 30 giorni dal deposito del reclamo.
L’art. 178 c.p.c. dispone che le parti, senza bisogno di mezzi d'impugnazione, possono proporre al collegio, quando la causa è rimessa a questo, tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile. L'ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione di giudice unico, quando dichiara l'estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio.
Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di 10 giorni, decorrente dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza, o altrimenti decorrente dalla comunicazione dell'ordinanza medesima.
Il reclamo è presentato con semplice dichiarazione nel verbale d'udienza, o con ricorso al giudice istruttore. Se il reclamo è presentato in udienza, il giudice assegna nella stessa udienza, ove le parti lo richiedano, il termine per la comunicazione di una memoria, e quello successivo per la comunicazione di una replica. Se il reclamo è proposto con ricorso, questo è comunicato a mezzo della cancelleria alle altre parti, insieme con decreto, in calce, del giudice istruttore, che assegna un termine per la comunicazione dell'eventuale memoria di risposta. Scaduti tali termini, il collegio provvede entro i 15 giorni successivi.
In relazione alla fase decisoria, la lettera z) delega il Governo a prevedere che:
· il giudice relatore, esaurita l'istruzione, fissi davanti a sé l'udienza di rimessione della causa in decisione con assegnazione dei termini per gli scritti difensivi finali;
· all'udienza la causa venga posta in decisione dal giudice relatore che si riserverà di riferire al collegio;
· la sentenza venga depositata nel termine di 60 giorni.
La lettera aa) prevede che, in presenza di allegazioni o segnalazioni di comportamenti di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l'altro genitore e la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, siano assicurate l'abbreviazione dei termini processuali e la concreta attuazione dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore.
Con le lettere bb) e cc) sono individuate misure di contingentamento delle procedure di separazione personale e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo anche la possibilità di riunione delle procedure e la possibilità delle parti di concludere un accordo sulla legge applicabile.
In particolare, in base alla lettera bb), il Governo dovrà prevedere che nel processo di separazione, tanto il ricorrente quanto il convenuto abbiano facoltà di proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e che tale domanda sia procedibile solo all'esito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione, fermo il rispetto del termine previsto dall'art. 3 della legge n. 898 del 1970; inoltre, che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto queste domande qualora pendenti tra le stesse parti dinanzi al medesimo tribunale. E' assicurata in entrambi i casi l'autonomia dei diversi capi della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti.
La lettera cc) prevede che, nei procedimenti di separazione personale e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, le parti possano, sino alla prima udienza di comparizione, concludere un accordo sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio ai sensi degli articoli 8 (relativo alla legge applicabile in mancanza di scelta ad opera delle parti) e 9 (in materia di conversione della separazione personale in divorzio) del regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010.
La Commissione Luiso ha sottolineato l’opportunità di superare il dubbio ermeneutico emerso in merito all’applicazione degli articoli 8 e 9 del Regolamento (UE) n.1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio ed alla separazione personale. Tali norme prevedono la possibilità che le parti, nel corso di procedimenti di separazione personale o di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, in presenza di elementi di estraneità, possano, sino alla conclusione del procedimento, sottoscrivere un accordo per scegliere la legge applicabile tra quelle individuate negli articoli richiamati. E’ discussa la possibilità di compiere questa scelta nel corso del giudizio e, secondo la Commissione, l’introduzione di un’espressa disposizione che disciplinerà questa possibilità sarà di ausilio a fugare ogni dubbio in merito.
Specifiche disposizioni (lettera dd) dovranno essere adottate per:
· la disciplina delle modalità di nomina anche d'ufficio, e dei poteri del curatore speciale del minore;
· il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento;
· la predisposizione di autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica, anche prevedendo l'inserimento nell'albo dei consulenti tecnici d'ufficio di indicazioni relative alle specifiche competenze;
· la possibilità di nomina di tutore del minore, anche d'ufficio, nel corso e all'esito dei procedimenti di cui alla lettera a), e in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330
· (in materia di decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli) e 333 (in materia di condotta del genitore pregiudizievole ai figli) del codice civile.
La lettera ee) delega al Governo di prevedere la facoltà per il giudice, anche relatore, su richiesta concorde di entrambe le parti, di nominare un professionista, scelto tra quelli iscritti nell'albo dei consulenti tecnici d'ufficio (CTU), ovvero anche al di fuori dell’albo in presenza di concorde richiesta delle parti, dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare conflitti tra le parti e per fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni tra genitori e figli.
Con la lettera ff) sono dettati criteri organizzativi per regolamentare l'intervento dei servizi socio-assistenziali e sanitari e delle attività di controllo, monitoraggio, verifica di situazioni in cui sono coinvolti minori, già espletate a legislazione vigente, con lo scopo di indirizzarle per progetti finalizzati al reinserimento del minore nella società o alla tutela dei soggetti fragili. Infatti, nelle relazioni di tali organi, viene previsto, ai fini di monitoraggio, controllo o accertamento delle predette situazioni, sia dato risalto all'elemento oggettivo dei fatti accertati, tenendo distinti i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e le valutazioni formulate dagli operatori, con diritto delle parti e dei loro difensori di avere visione di ogni relazione e accertamento compiuto dai responsabili del servizio socio-assistenziale o sanitario.
In ordine all'intervento del servizio socio-assistenziale o sanitario, è previsto che - fermo restando il principio generale dell'interesse del minore a mantenere relazioni significative con i genitori - tale intervento, nelle ipotesi di violenze di genere e domestiche, sia disposto solo in quanto specificamente diretto alla protezione della vittima e del minore e sia adeguatamente motivato. Il legislatore delegato provvede altresì a disciplinare presupposti e limiti dell'affidamento dei minorenni al servizio sociale.
Sono introdotte inoltre disposizioni per individuare modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, disponendo che queste siano determinate dal giudice in apposita udienza in contraddittorio con le parti, salvo che sussista il concreto e attuale pericolo, desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l'attuazione del provvedimento. In caso di mancato accordo, l'esecuzione deve avvenire sotto il controllo del giudice, anche con provvedimenti assunti nell'immediatezza. Nell'esecuzione è sempre salvaguardato il preminente interesse alla salute psicofisica del minorenne. L'uso della forza pubblica, sostenuto da adeguata e specifica motivazione, e limitato ai soli casi in cui sia assolutamente indispensabile, è posto in essere per il tramite di personale specializzato.
La lettera gg) delega al Governo la revisione della disciplina nei procedimenti per la tutela e l'affidamento dei minori previsti dal codice civile e dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
· prevedere cause di incompatibilità all’assunzione dell'incarico di consulente tecnico d'ufficio nonché allo svolgimento delle funzioni di assistente sociale, nei procedimenti che riguardano l'affidamento dei minori, per coloro che: rivestono cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti minori; partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture; prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito; fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono; il cui coniuge, parte dell'unione civile, convivente, parente o affine entro il quarto grado svolge le medesime funzioni presso le citate strutture o comunità. Il legislatore delegato è inoltre tenuto ad apportare modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, relativo alla istituzione e al funzionamento del tribunale per i minorenni, al fine di adeguare le ipotesi di incompatibilità ivi previste per i giudici onorari a quelle previste dalle disposizioni in commento;
· introdurre il divieto di affidamento dei minori a talune categorie di persone: persone che sono parenti o affini entro il quarto grado del giudice che ha disposto il collocamento; il consulente tecnico d'ufficio o coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento; introdurre, inoltre, il divieto di collocamento dei minori presso strutture o comunità pubbliche o private nelle quali rivestano cariche rappresentative o partecipino alla gestione complessiva o prestino a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o facciano parte degli organi sociali di società che le gestiscono persone che sono parenti o affini entro il quarto grado, convivente, parte dell'unione civile o coniuge del giudice che ha disposto il collocamento, del consulente tecnico d'ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento.
La lettera hh) prevede l'introduzione, nell’esercizio della delega da parte del Governo, di un unico rito per i procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, modellato sul procedimento previsto dall'articolo 711 del codice di procedura civile (in materia di separazione consensuale), disponendo che nel ricorso debba essere contenuta l'indicazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e degli oneri a carico delle parti.
Il Governo dovrà prevedere la possibilità che l'udienza per il tentativo di conciliazione delle parti si svolga con modalità di scambio di note scritte e che le parti possano a tal fine rilasciare dichiarazione contenente la volontà di non riconciliarsi.
L'introduzione di un unico rito dovrà altresì essere prevista per i procedimenti relativi: alla modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell'articolo 711 del codice di procedura civile; alla revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 898 del 1970; alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati.
Tale rito dovrà essere strutturato mediante presentazione di istanza congiunta e successiva decisione da parte del tribunale, prevedendo la fissazione dell'udienza di comparizione personale delle parti nei soli casi di richiesta congiunta delle parti ovvero nelle ipotesi in cui il tribunale ravvisi la necessità di approfondimenti in merito alle condizioni proposte dalle parti.
La lettera ii) delega il Governo a riordinare la disciplina di cui agli articoli 145 (intervento del giudice in caso di disaccordo tra i coniugi) e 316 (responsabilità genitoriale) del codice civile, attribuendo la relativa competenza al giudice anche su richiesta di una sola parte e prevedendo la possibilità di ordinare al coniuge inadempiente al dovere di contribuire ai bisogni della famiglia, previsto dall’articolo 143 del codice civile, di versare una quota dei propri redditi in favore dell’altro.
Si ricorda che l’art. 145, secondo comma, c.c. prevede che in caso di disaccordo dei coniugi, ove non sia possibile una soluzione concordata e il disaccordo concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi, adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia.
L’art. 316 c.c. , che disciplina la responsabilità genitoriale, prevede (secondo comma) che, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori possa ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritenga più idonei. Il giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio.
È altresì disposto che il relativo provvedimento possa valere in via esecutiva diretta contro il terzo in analogia a quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 898 del 1970 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio).
L’art. 8 della legge n. 898 del 1970 prevede (terzo comma) che il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, dopo la costituzione in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente. Ove il terzo cui sia stato notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento.
La lettera ll) delega il Governo a procedere al riordino della disciplina di cui:
· all'articolo 156 del codice civile, che disciplina gli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi;
L’art. 156 c.c. prevede che il giudice, pronunziando la separazione, stabilisca a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato. Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi previsti.
La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'articolo 2818.
In caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.
· all'articolo 8 della legge n. 898 del 1970 (legge sul divorzio), relativo alla garanzia da prestare in ordine all'adempimento degli obblighi di corresponsione dell'assegno e di mantenimento ed educazione dei figli (di cui, rispettivamente, agli artt. 5 e 6 della medesima legge n. 898);
L’art. 8, comma 1, della legge n. 898 del 1970 dispone che il Tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6.
· all'articolo 3 della legge 1° dicembre 2012, n. 219, avente ad oggetto la garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento;
· all'articolo 316-bis del codice civile, che disciplina il concorso nel mantenimento dei figli da parte degli altri ascendenti quando i genitori non hanno mezzi sufficienti.
Il riordino delle norme richiamate prevede l'introduzione di un unico modello processuale strutturato in analogia a quello previsto dall'articolo 8 della legge n. 898 del 1970, e deve tenere conto dell’assenza di limiti prevista dall'articolo 156 del codice civile per adottare le garanzie a tutela dell'adempimento delle obbligazioni a carico dell'onerato e per il sequestro.
La Commissione Luiso sottolinea l’opportunità dell’introduzione di un unico procedimento che richiami quanto previsto dall’articolo 8 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, relativamente agli aspetti procedurali e quanto previsto dall’articolo 156 codice civile relativamente alla assenza di limiti per l’adempimento delle obbligazioni a carico dell’onerato e per il sequestro. Il richiamo dell’articolo 8 della legge divorzio, secondo la commissione, permetterà di azzerare il numero di procedimenti aventi ad oggetto l’ordine diretto al terzo debitore dell’obbligato al pagamento dell’obbligazione alimentare, in quanto tale norma prevede che sia direttamente la parte beneficiaria della prestazione a potersi rivolgere al terzo creditore dell’obbligato. Il riferimento all’articolo 156 c.c. quanto ai limiti di queste misure consentirà di assicurare massima garanzia al creditore dell’obbligazione alimentare, prevedendo la possibilità di compiere esecuzioni o di richiedere sequestri o pignoramenti fino alla concorrenza del credito vantato. La Commissione ritiene la disposizione necessaria in quanto, frequentemente, nei procedimenti di famiglia la parte obbligata occulta disponibilità patrimoniali (con intestazioni fittizie o trasferimenti immobiliari a terzi soggetti); la presenza di limiti (quali quelli indicati nell’articolo 8 della legge divorzio) può svuotare le garanzie a tutela del creditore alimentare, vanificando il titolo emesso all’esito del procedimento di cognizione, anche quando nello stesso l’entità del contributo posto a carico dell’obbligato sia stato determinato proprio sulla base di presunzioni che abbiano evidenziato disponibilità reddituali e patrimoniali più elevate di quelle formalmente disponibili e dichiarate.
La lettera mm) prevede il riordino della disciplina di cui all'articolo 709-ter c.p.c.- relativo alla soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento - con possibilità di adottare anche d'ufficio, previa instaurazione del contraddittorio, le misure di coercizione indiretta di cui all'articolo 614-bis c.p.c. in caso di inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori.
Si ricorda che l’art. 709 ter c.p.c. prevede che per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. La disposizione prevede che a seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: ammonire il genitore inadempiente; disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro; condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.
Con riguardo alle misure di coercizione indiretta di cui all’art. 614-bis c.p.c. si ricorda che tale disposizione prevede che con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Il giudice determina l'ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.
La lettera nn) delega al governo la predisposizione di un’autonoma regolamentazione per il giudizio di appello, per tutti i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie. di cui alla lettera a).
Si valuti l’opportunità di specificare maggiormente i principi e criteri cui il Governo dovrà attenersi nell’esercizio della delega relativa all’”autonoma regolamentazione dei giudizi di appello” per i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie.
Al riguardo, si segnala che la Commissione Luiso aveva individuato puntuali criteri di delega per la disciplina del giudizio di appello, dettando principi per assicurare una precisa scansione procedurale delle fasi del gravame. I criteri di delega proposti dettavano disposizioni processuali idonee a creare un procedimento d’appello uniforme per tutti i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie prevedendo che il giudizio:
1) sia introdotto con ricorso davanti alla corte d’appello nel cui distretto ha sede il tribunale di primo grado;
2) sia fissata l’udienza, nel rispetto dei termini minimi a difesa di cui all’articolo 163-bis del codice di procedura civile, ridotti della metà, stabilendo il termine per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza;
3) siano stabiliti termini per la costituzione delle parti, anche questi ridotti rispetto a quelli previsti per l’appello ordinario, per garantire maggiore celerità nella definizione del giudizio;
4) sia attribuita la possibilità al presidente, al momento della fissazione dell’udienza e della nomina del consigliere relatore, di acquisire d’ufficio tutte le relazioni aggiornate dei servizi sociali eventualmente incaricati;
5) non siano applicabili le preclusioni istruttorie di cui all’articolo 345 del codice di procedura civile, riproducendo anche per il giudizio di appello quanto previsto per il rito unificato di primo grado;
6) siano pronunciabili provvedimenti provvisori urgenti;
7) sia prevista la possibilità, al momento della fissazione dell’udienza di rimessione della causa in decisione, di assegnare su richiesta delle parti termini anteriori alla data dell’udienza per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica;
7) sia deciso con sentenza in camera di consiglio, anche ai sensi dell’articolo 281-sexies del codice di procedura civile;
8) sia applicabile, per quanto non diversamente previsto, la disciplina dell’appello ordinario.
La lettera oo), infine, prevede che il Governo introduca la reclamabilità al tribunale dei provvedimenti adottati dal giudice tutelare, anche quelli emessi ai sensi dell'articolo 720-bis del codice di procedura civile in materia di amministrazione di sostegno. Il tribunale è tenuto a decidere in composizione monocratica per quelli aventi contenuto patrimoniale gestorio, ovvero in composizione collegiale in tutti gli altri casi; non può far parte del collegio il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato.
Il comma 24 enuncia princìpi e criteri direttivi per l'istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, destinato a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni (acquisendo dunque competenze sia civili che penali) e ad assorbire le competenze civili del tribunale ordinario in materia di stato e capacità delle persone e famiglia. Il tribunale si articolerà in una sezione distrettuale, costituita presso ciascuna sede di corte di appello, e sezioni circondariali, costituite presso ogni sede di tribunale ordinario del distretto. La delega detta disposizioni sull’assegnazione del personale di magistratura (togati e onorari) e amministrativo e prevede che la riforma acquisti efficacia trascorsi due anni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi.
Il successivo comma 25 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2024, le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni vigenti con la suddetta riforma e ad introdurre una disciplina transitoria per la rapida trattazione dei procedimenti pendenti ai fini del passaggio alla nuova autorità giudiziaria e ai nuovi riti.
La Relazione della Commissione Luiso afferma che l’intervento legislativo proposto risponde all’esigenza unitariamente avvertita di unificare le competenze in materia procedimenti relativi a persone, minori e famiglie. «La modifica ordinamentale proposta avrà positivi effetti sul numero di procedimenti. La concentrazione delle competenze in un’unica autorità giudiziaria ridurrà il numero complessivo dei procedimenti civili pendenti, che secondo le disposizioni vigenti sono spesso instaurati sia dinanzi al tribunale per i minorenni sia dinanzi al tribunale ordinario (il riferimento è in particolare ai giudizi ex articoli 330 ss c.c.). Inoltre, la creazione di un unico tribunale altamente specializzato, con sezione distrettuale e più sezioni circondariali, permetterà l’adozione di orientamenti interpretativi uniformi nell’intero distretto, assicurando maggiore prevedibilità delle decisioni, con certa riduzione del contenzioso, potendo la prevedibilità dell’esito dei procedimenti (in particolari di quelli che non presentano particolari difficoltà) stimolare le parti a raggiungere accordi all’esito della crisi della relazione familiare, da concludere anche al di fuori delle aule giudiziarie, con certo incremento del ricorso alle convenzioni di negoziazione assistita in materia familiare».
In particolare, in base al comma 24, il Governo dovrà istituire il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie che sostituirà il tribunale per i minorenni e assorbirà le competenze attualmente riconosciute al tribunale ordinario in materia di stato e capacità delle persone e famiglia.
La Commissione Luiso evidenzia come la denominazione del costituendo tribunale specializzato cerca di riassumerne le competenze. Il nuovo ufficio giudiziario verrà denominato “tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie” in quanto concentrerà le competenze in materia di persone (oggi prevalentemente attribuite al giudice tutelare presente presso i tribunali ordinari), di minori e di famiglie, termine volutamente indicato al plurale, per dare evidenza alla molteplicità di modelli familiari presenti nell’attuale contesto sociale.
Dal punto di vista della struttura e dell’articolazione territoriale del tribunale, il disegno di legge prevede (lettera a):
§ una sezione distrettuale, costituita presso ciascuna sede di corte di appello o di sezione di corte d'appello;
§ sezioni circondariali, costituite presso ogni sede di tribunale ordinario del distretto.
Si ricorda che una disposizione di delega dal contenuto simile era contenuta nella scorsa legislatura nell’A.S. 2284 (già approvato dalla Camera), Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile (cfr. in particolare art. 1, co. 1, lett. b). Tale disegno di legge prevedeva l’istituzione di sezioni circondariali e distrettuali specializzate per la persona, la famiglia e i minori.
Alle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, costituite presso ogni sede di tribunale ordinario, il Governo dovrà attribuire la competenza sulle seguenti questioni civili (lettera c):
§ sui procedimenti che l’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile assegna alla competenza del tribunale per i minorenni;
Si anticipa che l’art. 38 disp. att. c.c. è oggetto di una specifica modifica ad opera dell’art. 1, comma 28, del ddl (v. infra). Alla luce di questo intervento, il disegno di legge conferma la normativa vigente che attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti previsti dagli articoli 84, 90, 251, 317-bis, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ultimo comma, del codice civile, purché non sia istaurato (già pendente o instaurato successivamente) dinanzi al tribunale ordinario un giudizio di separazione o di scioglimento del matrimonio. In quel caso infatti la competenza si sposta presso il tribunale ordinario. L’art. 38 novellato, inoltre, attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti di cui all’art. 250, ultimo comma, c.c. in tema di autorizzazione al riconoscimento del minore nato da genitore che non abbia compiuto il sedicesimo anno di età e la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale, di cui all’art. 709-ter c.p.c., quando è instaurato (già pendente o instaurato successivamente) dinanzi al tribunale per i minorenni un procedimento de potestate (in questo caso, dunque, è il tribunale ordinario a doversi spogliare della competenza).
§ sui procedimenti di cui all’art. 403 del codice civile in tema di intervento della pubblica autorità a favore dei minori (l’art. 403 c.c. è oggetto di una specifica modifica ad opera dell’art. 1, comma 27 del ddl);
§ sui procedimenti di cui al titolo I della legge n. 184 del 1983 (Diritto del minore ad una famiglia), relativo ai “principi generali” della legge stessa e composto dal solo articolo 1 nel quale si afferma il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia. Si valuti l’esigenza di specificare quali siano i procedimenti attribuiti alla competenza della sezione circondariale in base al titolo I, posto che le restanti parti della legge stessa e, ad esempio, le procedure di adozione di cui al titolo II sono attribuite alla competenza della sezione distrettuale (v. infra);
§ sui procedimenti di affidamento dei minori, di cui al titolo I-bis della legge n. 184 del 1983;
§ sui procedimenti civili attualmente attribuiti alla competenza del tribunale ordinario nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, con le sole eccezioni delle cause aventi ad oggetto la cittadinanza, l'immigrazione e il riconoscimento della protezione internazionale (che restano di competenza del tribunale ordinario);
§ sulle cause riguardanti la famiglia, l'unione civile, le convivenze, i minori;
§ sui procedimenti di competenza del giudice tutelare;
§ sui procedimenti aventi ad oggetto il risarcimento del danno endo-familiare.
Con l'espressione "danni endofamiliari" si intendono tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, che derivano dai comportamenti e dalle condotte di un proprio familiare, volontariamente lesive della dignità o di un altro diritto fondamentale della persona, tutelato dalla Costituzione, quale ad esempio il diritto alla salute o il diritto a svolgere il proprio ruolo di genitore o il diritto del bambino alla bigenitorialità. Il danno endofamiliare comprende inoltre tutti quegli illeciti che coinvolgono il rapporto tra genitori e figli, con particolare riferimento alla violazione delle regole sulla bigenitorialità, da cui nasce il fenomeno della privazione genitoriale. Per una articolata ricostruzione dell'illecito endofamiliare e della sua risarcibilità a livello giurisprudenziale si veda, fra le altre, Cass., III sez., ordinanza18 novembre 2019 - 10 giugno 2020, n. 11097.
In base alla lettera n), nei procedimenti civili di sua competenza la sezione circondariale giudica in composizione monocratica.
Alla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, costituita presso ciascuna sede di corte di appello o di sezione di corte d'appello, dovranno essere attribuite, in base alla lettera b), le seguenti competenze:
§ le competenze penali del tribunale per i minorenni. In questo settore, in base alla lettera l), la sezione dovrà giudicare in composizione monocratica o collegiale secondo le disposizioni vigenti che disciplinano la materia;
§ le competenze di sorveglianza del tribunale per i minorenni. In questo settore, in base alla lettera m), la sezione dovrà giudicare in composizione monocratica o collegiale secondo le disposizioni vigenti che disciplinano la materia;
§ le competenze civili del tribunale per i minorenni che il legislatore delegato non abbia attribuito espressamente alle sezioni circondariali (v. sopra, lettera c). In questi procedimenti, in base alla lettera n) la sezione distrettuale giudica in composizione collegiale. Un collegio particolare, composto da 2 magistrati togati e da 2 magistrati onorari, è previsto quando la sezione distrettuale si occupa dei procedimenti di adozione, adozione internazionale ed adozione in casi particolari (titoli II, III e IV della legge n. 184 del 1983).
La Commissione Luiso rileva che il modello organizzativo prescelto si articola nella creazione di un unico tribunale che verrà realizzato in ogni sede di corte di appello e di sezione di corte di appello, con una distribuzione territoriale sostanzialmente sovrapponibile rispetto a quella degli attuali tribunali per i minorenni. L’unico tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie avrà un’articolazione distrettuale alla quale saranno attribuite tutte le competenze per i procedimenti penali minorili e per la sorveglianza, nonché le attribuzioni civili che maggiormente necessitano di gestione centralizzata (si pensi ai procedimenti di adozione, a quelli di sottrazione internazionale di minori o alla materia dei minori stranieri non accompagnati) e tante articolazioni circondariali corrispondenti alle sedi, in cui in ciascun distretto di corte di appello sono presenti i tribunali ordinari. Le sezioni circondariali saranno competenti per i procedimenti civili che maggiormente richiedono prossimità con l’utenza, quali i giudizi c.d. de potestate di cui agli articoli 330 e 333 c.c. (competenza attualmente distribuita tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario), di separazione, di divorzio (sia tra i coniugi sia tra le parti dell’unione civile), di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, per la determinazioni degli alimenti, ma anche tutti i procedimenti di accertamento dello stato e della capacità delle persone (con esclusione delle cause aventi ad oggetto l’accertamento della cittadinanza per le quali resteranno applicabili le vigenti disposizioni) e per la tutela degli adulti vulnerabili (competenze ora attribuite, in prevalenza, al giudice tutelare).
Così delineate le rispettive competenze di sezione circondariale e sezione distrettuale, le lettere o), p) e q) disciplinano il sistema delle impugnazioni prevedendo:
§ che ogni provvedimento che definisce il giudizio adottato dal giudice (monocratico) della sezione circondariale sia impugnabile dinanzi alla sezione distrettuale, che giudicherà in composizione collegiale (del collegio non potrà far parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato);
La Commissione Luiso ritiene che l’attribuzione alla costituenda sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie del ruolo di giudice di secondo grado, competente per le impugnazioni avverso i provvedimenti conclusivi del giudizio di primo grado, emessi dalle sezioni circondariali, avrà un notevole effetto deflattivo sui procedimenti iscritti nelle corti di appello, le cui sezioni specializzate in materia di famiglia e minori vedranno ridotto il carico di lavoro in maniera rilevante. Dato atto dell’elevato numero di procedimenti pendenti dinanzi la corte di appello, la modifica proposta porterà a liberare risorse per affrontare la definizione dell’arretrato pendente.
§ che ogni provvedimento che definisce il giudizio adottato, in qualità di giudice di prima istanza, dalla sezione distrettuale sia impugnabile dinanzi alla Corte di appello, Sezione per i minorenni;
§ che ogni provvedimento che definisce il giudizio in secondo grado sia ricorribile per Cassazione;
§ che ogni provvedimento provvisorio in tema di responsabilità genitoriale, emesso ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile dalla sezione circondariale del c.d. tribunale della famiglia, possa essere oggetto di reclamo alla sezione distrettuale e successivamente possa essere oggetto di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.[12];
§ che ogni provvedimento provvisorio adottato in materia civile dalle sezioni circondariali possa essere reclamato dinanzi alla sezione distrettuale e che ogni provvedimento provvisorio adottato dalla sezione distrettuale sia reclamabile in Corte di appello, sezione per i minorenni. Tali disposizioni non si applicano ai procedimenti in materia di sottrazione internazionale di minori, ai sensi della legge n. 64 del 1994[13].
La Commissione Luiso evidenzia che la presenza di una sezione distrettuale e di più sezioni circondariali nell’ambito dello stesso tribunale permetterà di superare un limite, presente nell’attuale disciplina della materia, derivante dalla mancata previsione della reclamabilità di gran parte dei provvedimenti provvisori emessi nel corso dei giudizi. Come noto, solo le ordinanze presidenziali emesse nei procedimenti di separazione e divorzio e i provvedimenti c.d. de potestate (ex articoli 330 ss. c.c.) sono allo stato reclamabili, mentre non lo sono, salve sporadiche eccezioni, quelli adottati nel corso della fase istruttoria dei procedimenti di separazione e divorzio e la maggioranza dei provvedimenti provvisori adottati nell’ambito dei giudizi camerali contenziosi (si pensi ai provvedimenti provvisori per l’affidamento e il mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio). È di immediata evidenza il rilevante impatto che provvedimenti di tale natura possono provocare, soprattutto quando riferiti alla disciplina dell’affidamento dei minori, persone in crescita, per le quali il trascorrere del tempo ha una rilevanza fondamentale nello sviluppo.
Le lettere r) ed s) disciplinano il rito applicabile dinanzi alle sezioni distrettuali e circondariali del c.d. tribunale della famiglia rinviando in parte a quanto previsto dal precedente comma 23 (v. sopra).
Per i procedimenti di cui alla lettera a) del comma 23 si applicherà il nuovo rito che il Governo dovrà disciplinare al titolo IV-bis del codice di procedura civile (Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie), con le limitate eccezioni previste dalle lettere n) – circa la composizione monocratica o collegiale della sezione – o) e q) – circa il regime delle impugnazioni.
Per i procedimenti ai quali non si applica il nuovo rito (e dunque: i procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità; i procedimenti di adozione di minori di età; i procedimenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'unione europea), continueranno ad applicarsi le attuali disposizioni processuali civili.
Le lettere t), u) e v) riguardano la riorganizzazione delle procure della Repubblica e prevedono:
§ l'istituzione dell'ufficio della procura della Repubblica presso il Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, trasferendo allo stesso le funzioni dell'ufficio della procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e le funzioni civili di competenza dell'ufficio della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario (nelle materie che vengono attribuite alla competenza del nuovo tribunale);
§ la possibilità di svolgere le funzioni di pubblico ministero, sia presso le sezioni distrettuali sia presso le sezioni circondariali, anche con l'utilizzo di modalità di collegamento da remoto;
§ la determinazione dell'anzianità di servizio necessaria per svolgere le funzioni di procuratore della Repubblica presso il Tribunale delle persone, dei minorenni e delle famiglie.
Numerosi principi e criteri di delega sono relativi alla costituzione dei nuovi uffici giudiziari, con riferimento al personale di magistratura e amministrativo.
Anzitutto, in base alla lettera a), l’istituzione del nuovo Tribunale dovrà essere effettuata nell'ambito delle attuali dotazioni organiche del personale di magistratura, del personale amministrativo, dirigenziale e non dirigenziale, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Inoltre, con particolare riferimento ai magistrati togati, il Governo nell’esercizio della delega dovrà:
§ determinare l'anzianità di servizio necessaria per svolgere le funzioni di presidente della sezione distrettuale e la minore anzianità di servizio necessaria per svolgere quelle di presidente della sezione circondariale (lettera d) e le competenze rispettive dei due presidenti (lettera e);
§ prevedere che possano essere assegnati alle sezioni distrettuali e circondariali del c.d. tribunale della famiglia solo magistrati dotati di specifiche competenze nelle materie di competenza del tribunale; determinare l’anzianità di servizio richiesta per l’assegnazione e escludere per questi magistrati l’applicazione del limite dell'assegnazione decennale nella funzione (lettera f);
Si ricorda che l’art. 19 del d.lgs. n. 160 del 2006 stabilisce che i magistrati che esercitano funzioni di primo e secondo grado possono rimanere in servizio presso lo stesso ufficio svolgendo le medesime funzioni o, comunque, nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell'ambito delle stesse funzioni, per un periodo stabilito dal Consiglio superiore della magistratura con proprio regolamento tra un minimo di cinque e un massimo di dieci anni a seconda delle differenti funzioni. Il regolamento in materia di permanenza nell’incarico nello stesso ufficio, approvato dal CSM con delibera plenaria del 13 marzo 2008 prevede il termine massimo “di permanenza di dieci anni nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro”.
§ prevedere che i magistrati siano assegnati in via esclusiva al c.d. tribunale della famiglia e consentire - anche per singoli procedimenti individuati preventivamente nei provvedimenti tabellari del presidente della sezione distrettuale – che i magistrati assegnati alle sezioni circondariali o distrettuale possano essere applicati, rispettivamente, alla sezione distrettuale o alle sezioni circondariali, potendo tenere udienza da remoto, anche in luogo diverso dall’ufficio, o attraverso lo scambio di note scritte (lettera g).
Per quanto riguarda i magistrati onorari, in base alla lettera h) il Governo dovrà prevedere il transito degli attuali magistrati assegnati al tribunale per i minorenni all’ufficio del processo del tribunale ordinario «per le funzioni da svolgere nell’ambito delle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».
Per quanto il comma 24 dell’articolo 1 preveda l’istituzione di un tribunale, dalla formulazione degli specifici criteri di delega (e segnatamente dalla lettera h) si ricava come l’intento sia quello di creare sezioni specializzate del tribunale ordinario, con sede circondariale e distrettuale.
La lettera i) prevede a tal fine che il Governo debba disciplinare la struttura, la composizione e le attribuzioni dell'ufficio per il processo, delineate su quelle previste per l'ufficio per il processo costituito presso i tribunali ordinari, prevedendo la possibilità di demandare ai giudici onorari che saranno assegnati all’ufficio, oltre alle funzioni previste per l'ufficio del processo presso il tribunale ordinario, funzioni di conciliazione, di informazione sulla mediazione familiare, di ascolto del minore e di sostegno ai minorenni e alle parti, con attribuzione di specifici compiti puntualmente delegati dal magistrato togato assegnatario del procedimento.
L’assegnazione di personale amministrativo è oggetto della lettera aa) del comma 24, in base alla quale:
§ il personale di cancelleria e le dotazioni materiali assegnate al Tribunale per i minorenni dovranno essere assegnati alla sezione distrettuale del c.d. Tribunale della famiglia;
§ il personale di cancelleria e le dotazioni materiali assegnate in ciascun tribunale allo svolgimento delle funzioni amministrative connesse alle materie trasferite alle nuove sezioni circondariali dovranno essere assegnati alle sezioni circondariali.
Inoltre, in base alla lettera bb), il Governo dovrà provvedere all’informatizzazione delle nuove sezioni e dei nuovi uffici di procura, «con l'introduzione della consolle del magistrato e del pubblico ministero per tutti i procedimenti civili di competenza dell'istituendo tribunale».
La Relazione tecnica di accompagnamento del maxiemendamento al Senato ha chiarito che la consolle del magistrato è strumento informatico già fornito al personale di magistratura e che le necessarie integrazioni dei sistemi connessi all'informatizzazione e alla digitalizzazione delle procedure potranno essere realizzate nell'ambito delle risorse finanziarie già destinate al potenziamento e allo sviluppo del processo telematico già in atto.
In merito, la Commissione Luiso ha affermato che la c.d. consolle del magistrato è un applicativo del quale sono attualmente dotati gli uffici del tribunale ordinario e delle Procure ordinarie ma non gli uffici minorili.
Disposizioni transitorie, relative alla prima costituzione dei nuovi uffici giudiziari sono dettate dalla lettera z) del comma 24, in base alla quale:
§ entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi un decreto del ministro della Giustizia, sentito il CSM, deve determinare le piante organiche dei magistrati addetti alle sezioni distrettuali e circondariali e alle procure della Repubblica presso i tribunali delle persone, dei minorenni e delle famiglie;
§ i magistrati con funzione di presidente di tribunale per i minorenni devono essere assegnati quali presidenti delle sezioni distrettuali dei tribunali delle persone, dei minorenni e delle famiglie;
§ i presidenti di sezione presso i tribunali ordinari, assegnati anche in via non esclusiva alle materie attribuite alla competenza delle nuove sezioni circondariali, devono essere nominati, previa domanda, presidenti delle sezioni circondariali. In caso di richieste superiori al numero di posti disponibili, nell’esercizio della delega dovranno essere individuati criteri di selezione che privilegino i magistrati con maggiore esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale;
§ i procuratori della Repubblica della procura della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni devono essere assegnati quali procuratori della Repubblica della procura della Repubblica presso i tribunali delle persone, dei minorenni e delle famiglie;
§ le assegnazioni effettuate in base alla norma transitoria sono valide fino alla scadenza del termine fissato per l'assegnazione delle funzioni dirigenziali e semi-dirigenziali, computando in tale periodo quello già svolto nella precedente funzione;
§ i magistrati già assegnati ai tribunali per i minorenni e, in via anche non esclusiva, alle sezioni di Corte di appello per i minorenni sono assegnati alle sezioni distrettuali;
§ i magistrati assegnati nei tribunali ordinari, in via anche non esclusiva, alle materie di competenza delle sezioni circondariali sono assegnati alle stesse, previa domanda. Anche in questo caso dovranno essere disciplinati criteri di selezione in caso di richieste superiori al numero di posti disponibili, privilegiando l’esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale;
§ i magistrati assegnati alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni sono assegnati alla procura della Repubblica presso il costituendo tribunale.
La relazione tecnica di accompagnamento del maxiemendamento al Senato segnala che le modifiche previste dal comma 24 realizzano obiettivi di razionalizzazione dell'organizzazione delle attuali autorità giudiziarie, e delle relative strutture territoriali, che operano su ambiti contigui nei settori della tutela delle persone, della famiglia e dei minori, definendo procedure comuni, semplificazione ed efficientamento delle azioni giudiziarie e dei riti attualmente previsti.
La Relazione evidenzia, al riguardo, che l'istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, composto dalla sezione distrettuale e dalle sezioni circondariali, potrà avvenire nell'ambito di un progetto riorganizzativo delle strutture e degli uffici, nonché di riallocazione e redistribuzione delle risorse umane e strumentali presenti presso le attuali articolazioni dell'amministrazione giudiziaria, avvalendosi delle attuali dotazioni di personale di magistratura, anche onoraria, e amministrativo già in servizio, e delle dotazioni informatiche e materiali già esistenti sul territorio nazionale.
In particolare si evidenzia che le sezioni distrettuali del Tribunale per le persone, per i minorenni e per la famiglia, da istituire presso ciascuna sede di corte di appello o di sezione distaccata di corte di appello, coincideranno con le attuali 29 sedi dei tribunali per i minorenni, presso cui già operano le relative procure della repubblica, mentre le sezioni circondariali del Tribunale per le persone, per i minorenni e per la famiglia potranno essere costituite presso ogni sede di tribunale ordinario, nell'ambito delle strutture già esistenti e dove già risulta operante l 'ufficio per il processo. La Relazione rappresenta, a tale proposito, che presso i Tribunali per i minorenni delle sedi distrettuali di maggiore rilevanza risulta già presente la struttura dell'ufficio per il processo senza che sia necessario creare presso quelle sedi distrettuali dell'istituenda tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie alcuna nuova struttura, che "de plano" ingloberà le competenze e le risorse (umane e strumentali) attualmente proprie del tribunale minorile, mentre le rimanenti sedi del Tribunale di nuova istituzione, potranno assorbire il personale e le risorse strumentali delle vigenti strutture del tribunale per i minorenni nonché il personale e le strutture dei tribunali civili ordinari che attualmente si occupano delle competenze che saranno proprie del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, con conseguente trasferimento "ad hoc" presso le nuove strutture.
Infine, la lettera cc) prevede che questa parte della riforma del processo civile acquisti efficacia trascorsi due anni dalla pubblicazione in Gazzetta dei decreti legislativi attuativi.
Il comma 25 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2024, le norme necessarie al coordinamento delle disposizioni vigenti con la suddetta riforma e ad introdurre una disciplina transitoria per la rapida trattazione dei procedimenti pendenti ai fini del passaggio alla nuova autorità giudiziaria e ai nuovi riti.
Il comma 26 dell’articolo 1 contiene principi e criteri direttivi per la riforma dell’articolo 336 del codice civile, che disciplina il procedimento per l’adozione dei provvedimenti in tema di responsabilità genitoriale, volti a garantire l’ascolto del minore e la valorizzazione del ruolo del suo curatore speciale.
L’articolo 336 c.c. disciplina il procedimento per l’adozione dei provvedimenti indicati dagli articoli 330 (Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli), 332 (Reintegrazione nella responsabilità genitoriale), 333 (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli), 334 (Rimozione dall'amministrazione) e 335 (Riammissione nell'esercizio dell'amministrazione) del codice civile.
La disposizione prevede, al primo comma, che tali provvedimenti possano essere adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.
In base al secondo comma il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito.
In caso di urgente necessità, in base al terzo comma, il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio.
Nel corso del procedimento i genitori e il minore devono essere assistiti da un difensore.
In particolare, nell’ambito della delega relativa al processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale collegiale, il Governo dovrà modificare l’art. 336 c.c. prevedendo che la legittimazione a richiedere i provvedimenti di cui agli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 c.c. competa, oltre che ai soggetti già previsti dal vigente primo comma, anche al curatore speciale del minore, qualora già nominato. Sul ruolo del curatore speciale del minore si vedano anche, infra, i commi 30 e 31.
Inoltre, il Governo dovrà prevedere che il tribunale:
§ sin dall'avvio del procedimento, nomini il curatore speciale del minore, nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento;
§ allorquando adotta provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, fissi contestualmente l'udienza di comparizione delle parti, del curatore del minore se nominato e del pubblico ministero entro un termine perentorio;
§ nell’udienza di comparizione, proceda all'ascolto del minore, direttamente e, ove ritenuto necessario, con l'ausilio di un esperto e, all'esito dell'udienza, confermi, modifichi o revochi i provvedimenti temporanei già emanati.
Si segnala che l’obbligo di ascolto del minore, con l’eventuale ausilio di un esperto, è già previsto dall’art. 336-bis del codice civile.
Si ricorda che attualmente l’art. 336-bis (Ascolto del minore) del codice civile prevede che il minore che abbia compiuto 12 anni (e anche di età inferiore ove capace di discernimento) debba essere ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato.
L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento.
Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.
La Commissione Luiso nella sua relazione ha sostenuto «l’immediata urgenza» della novella dell’articolo 336 del codice civile, che disciplina i procedimenti per l’adozione del provvedimento di sospensione o revoca della responsabilità genitoriale di cui agli articoli 330 e 333 c.c., prevedendo espressamente la possibilità di adottare, anche d’ufficio, tali misure rafforzando le garanzie processuali a tutela del minore.
Nella Relazione della Commissione viene espressamente prevista la possibilità che il curatore del minore, qualora già nominato, sia legittimato a proporre la domanda, sia con ricorso autonomo (con competenza del tribunale per i minorenni) sia nel corso dei giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, qualora emergano condotte pregiudizievoli in danno del minore (con competenza del tribunale ordinario). Inoltre, in caso di ricorso proposto da altri legittimati e di assenza di previa nomina del curatore speciale, dando attuazione a recenti pronunce della Suprema Corte (cfr., da ultimo, l’ordinanza n. 1471/2021), la Commissione prevede la necessaria nomina, a pena di nullità del procedimento, di un curatore speciale del minore, da considerare parte nei procedimenti de potestate. E’, ancora, previsto che in caso di provvedimenti adottati d’urgenza ex officio, il giudice che abbia adottato il provvedimento inaudita altera parte debba fissare con lo stesso decreto l’udienza di comparizione delle parti e del curatore del minore entro un termine perentorio non superiore a quindici giorni, confermando, modificando o revocando i provvedimenti adottati all’esito dell’udienza tenuta nel pieno contraddittorio, ciò al fine di evitare che provvedimenti così incidenti nei diritti fondamentali possano conservare effetti senza limiti di tempo senza la necessaria instaurazione del contraddittorio.
I commi 27, 28, 30, 31, 33 e 34 dell’articolo 1 introducono modifiche alla legislazione vigente destinate ad essere applicate ai procedimenti instaurati a decorrere dal 180° giorno successivo all’entrata in vigore della legge.
Si tratta di novelle al codice civile e alle relative disposizioni di attuazione, al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, finalizzate a introdurre misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie. Per queste disposizioni, dunque, il legislatore non utilizza lo strumento della delega al Governo, ma introduce direttamente le modifiche alla legislazione vigente, destinate potenzialmente a divenire efficaci prima dell’esercizio della delega (per il quale il Governo, in base al comma 1, ha a disposizione un anno).
Questa impostazione è stata suggerita dalla Commissione Luiso che, consapevole della situazione caotica relativa alle controversie in materia di persone e famiglia, nonché della mancata sussistenza in sede processuale di quell’uguaglianza dei figli realizzata invece sul piano sostanziale, ha proposto interventi immediati che hanno ad oggetto la razionalizzazione del riparto delle competenze fra tribunale ordinario e tribunale per i minori, incidendo sull’articolo 38 disp. att. c.c., nonché l’istituzione di un controllo giurisdizionale, attualmente assente, sui provvedimenti amministrativi di cui all’articolo 403 c.c.
In particolare, il disegno di legge:
§ interviene sull'articolo 403 del codice civile, che disciplina il provvedimento di allontanamento dei minori dall’ambiente familiare, per modificare i presupposti per l’adozione della misura e disciplinare dettagliatamente il procedimento successivo all’intervento della pubblica autorità, che coinvolge il pubblico ministero, il tribunale per i minorenni e – eventualmente – la corte d’appello (comma 27);
§ modifica il riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, di cui all’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, concentrando le competenze in ragione della natura dei procedimenti, con conseguente attribuzione al tribunale ordinario della competenza su tutti i procedimenti de potestate quando sia pendente tra le stesse parti un giudizio di separazione e divorzio (comma 28);
§ interviene sull'articolo 78 del codice di procedura civile, relativo al curatore speciale, al fine di estendere la possibilità per il giudice di procedere alla nomina del curatore speciale del minore; tale nomina, in alcuni specifici casi, è da considerarsi obbligatoria, pena la nullità degli atti del procedimento (comma 30);
§ modifica l’articolo 80 del codice di procedura civile, sempre in tema di curatore speciale del minore, per prevedere che egli debba procedere all’ascolto del minore e che possano essergli attribuiti specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Vengono inoltre disciplinati i presupposti e il procedimento per la revoca del curatore speciale (comma 31);
§ modifica la disciplina relativa alla soluzione delle controversie insorte tra genitori, di cui all’articolo 709-ter del codice di procedura civile, per consentire al giudice di disporre, oltre che il risarcimento danni a carico di un genitore nei confronti dell’altro, anche il pagamento di una somma di denaro dovuta per ciascun giorno di inottemperanza da parte del genitore ai provvedimenti del giudice (comma 33);
§ interviene sugli articoli 13 e 15 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, al fine di aggiungere, nell'albo dei consulenti tecnici tenuto da ciascun tribunale la categoria dei neuropsichiatri infantili, degli psicologi dell’età evolutiva e degli psicologi giuridici o forensi, individuando le specifiche caratteristiche richieste al professionista per accedere all’albo (comma 34).
Più in dettaglio, il comma 27 interviene sull'articolo 403 del codice civile, che disciplina il provvedimento di allontanamento dei minori dall’ambiente familiare, per modificare i presupposti per l’adozione della misura e disciplinare dettagliatamente il procedimento successivo all’intervento della pubblica autorità.
Con riguardo all'allontanamento del minore dalla propria famiglia, come è noto la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, prevede all'articolo 20 che ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato, in conformità con la propria legislazione nazionale.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), all'articolo 8, sancisce il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza e che non possa esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Va inoltre ricordata la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il cui articolo 7 sancisce il diritto di ogni individuo al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni. L'articolo 24 della medesima Carta, riconoscendo il diritto dei bambini "alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere", stabilisce altresì che essi possano esprimere liberamente la propria opinione e che questa venga presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. Si prevede inoltre il principio secondo cui «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».
L'art. 403 c.c., rubricato "Intervento della pubblica autorità a favore dei minori", dovrebbe avere nel nostro ordinamento una applicazione residuale. Ad esso si ricorre, infatti, quando - a fronte di una grave difficoltà per il minore, che ne richiede l'allontanamento da un pericolo imminente - non sia già intervenuta l'autorità giudiziaria in applicazione degli articoli 330 (Decadenza dalla responsabilità genitoriale) o 333 (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli) del codice civile. Se dunque l'autorità giudiziaria non è ancora intervenuta e della situazione di pericolo in cui versa il minore viene a conoscenza chiunque altro, qualsiasi pubblica autorità può immediatamente intervenire per allontanare il minore dal pericolo. In altri termini, la norma assicura la protezione dei minori anche quando un tempestivo provvedimento del giudice non sia possibile: trovando applicazione solo nelle ipotesi di urgente necessità, si conciliano le esigenze di non lasciare privi di protezione i minori che ne abbiano bisogno, con il principio secondo cui il compito di provvedervi spetti, di regola, ad un organo giudiziario.
La norma trova applicazione in tre possibili situazioni relative al minore:
· quando sia moralmente o materialmente abbandonato,
· quando sia allevato in locali insalubri o pericolosi,
· quando sia allevato da persone incapaci - per negligenza, immoralità, ignoranza o altri motivi - di provvedere alla sua educazione.
Altro presupposto, seppur implicito, è l'urgente necessità di provvedere: il collocamento costituisce un provvedimento provvisorio, destinato ad avere effetto soltanto finché la competente autorità emetta quello definitivo. L'intervento di un'autorità diversa dal giudice, quindi, è consentita solo quando vi sia il pericolo che il giudice non possa provvedere tempestivamente: l'urgenza giustifica la concorrente competenza di più organi, accrescendo la probabilità che almeno uno di essi provveda in modo tempestivo.
La pubblica autorità alla quale fa riferimento l'art. 403 finisce, oggi, sostanzialmente per coincidere con i servizi sociali locali, ma non è escluso che possano provvedere anche altri, come ad esempio le autorità di pubblica sicurezza.
Qualunque sia l'autorità che provvede, dovrà evidentemente poi rivolgersi comunque ai servizi sociali (un tempo agli organi di protezione dell'infanzia, cui fa ancora riferimento il testo della disposizione) per ottenere l'indicazione di persone o istituti idonei ad accogliere il minore e, di regola, incaricarli dell'esecuzione del provvedimento: su tali provvedimenti, e sulle condizioni del minore collocato, autorità e servizi sociali hanno l'obbligo di riferire al più presto al Tribunale per i minorenni. L'art. 9, comma 1, della legge sulle adozioni (legge n. 184 del 1983) prevede infatti che «Chiunque ha facoltà di segnalare all'autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio».
Venuto così a conoscenza del provvedimento provvisorio, il Tribunale per i minorenni provvederà in modo definitivo pronunciando ai sensi degli articoli 330, 333 e 336 del codice civile, ovvero degli articoli 4 (procedimento di affidamento familiare) e 10 (procedimento per dichiarare lo stato di abbandono del minore), della legge sulle adozioni, sempre che - cessata la situazione di pericolo - il minore non debba essere semplicemente ricondotto dai genitori.
In particolare, per quanto riguarda i presupposti per l’intervento della pubblica autorità, con la modifica del primo comma dell’art. 403 c.c. il disegno di legge lo identifica nelle seguenti circostanze;
§ il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell'ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica;
§ emergenza di provvedere.
Con l’inserimento di sette ulteriori commi, viene disciplinata la procedura che fa seguito al provvedimento con il quale l’autorità pubblica allontana il minore da uno od entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale. La procedura coinvolge 4 distinti soggetti: la pubblica autorità che è intervenuta d’urgenza, il pubblico ministero, il tribunale per i minorenni e – eventualmente – la corte d’appello.
Anzitutto, la pubblica autorità deve:
§ dare immediato avviso orale del provvedimento di allontanamento al pubblico ministero presso il tribunale dei minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale;
§ dopo aver collocato il minore in sicurezza, trasmettere entro 24 ore al pubblico ministero il provvedimento di allontanamento corredato da ogni documentazione utile e da una sintetica relazione che descrive i motivi dell'intervento a tutela del minore (secondo comma).
A sua volta, il pubblico ministero ha a disposizione 72 ore, durante le quali può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti, per decidere se revocare il collocamento disposto dall’autorità o richiedere la convalida della misura con ricorso al tribunale per i minorenni, eventualmente formulando anche richieste ai sensi degli articoli 330 e seguenti del codice civile (terzo comma).
L’articolo 330 c.c. prevede che il giudice possa pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
L’art. 332 c.c. prevede che il giudice possa reintegrare nella responsabilità genitoriale il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.
L’art. 333 c.c. prevede che quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice secondo le circostanze, possa adottare i provvedimenti convenienti e possa anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
Il tribunale per i minorenni, ricevuto il ricorso, ha 48 ore per emettere un decreto del presidente attraverso il quale:
- convalidare il provvedimento;
- nominare un curatore speciale del minore;
- nominare il giudice relatore;
- fissare l’udienza di comparizione dinanzi al relatore (entro 15 giorni).
Il decreto viene immediatamente comunicato al pubblico ministero e all'autorità che ha adottato il provvedimento nonché notificato, entro 48 ore, unitamente al ricorso, agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale (quarto comma).
All’udienza di comparizione, il giudice relatore interroga liberamente le parti, può assumere informazioni, procede all’ascolto del minore (eventualmente con l’ausilio di un esperto).
Entro 15 giorni dall’udienza, il tribunale per i minorenni, in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica o revoca il decreto di convalida e adotta ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore (quinto comma).
Il decreto è immediatamente comunicato alle parti (pubblico ministero, esercenti la responsabilità genitoriale e curatore speciale) che hanno 10 giorni di tempo per proporre reclamo alla corte d’appello, che si deve pronunciare entro 60 giorni (sesto comma).
Il reclamo deve essere proposto a norma dell’art. 739 c.p.c., che prevede che la Corte d’appello pronunci in camera di consiglio e che avverso il decreto della Corte d’appello non sia esperibile ulteriore reclamo.
In ogni passaggio, il mancato rispetto dei termini comporta la perdita di efficacia del provvedimento di allontanamento emesso dalla pubblica autorità e la necessità che il tribunale per i minorenni adotti i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore (settimo comma).
Infine, se il minore allontanato dall’ambiente familiare è collocato in una comunità familiare, la disposizione rinvia alle norme in tema di affidamento familiare. Il nuovo ottavo comma dell’art. 403 c.c. specifica, comunque, che il collocamento in una comunità familiare deve essere considerato come una ipotesi residuale, alla quale ricorrere solo se non sono disponibili soluzioni alternative.
Si ricorda che sono in corso di esame in Commissione Giustizia alcune proposte di legge che prevedono modifiche alla disciplina codicistica relativa ai presupposti e ai procedimenti da seguire per la dichiarazione di decadenza e per la limitazione della responsabilità genitoriale, e sulla disciplina dell’affidamento dei minori di cui alla legge n. 184 del 1983 (C. 2102, C. 2264, C. 2796, C. 2897, C. 2937, v. Dossier del Servizio studi n. 190/1 del 5 maggio 2021). Inoltre, si segnala che la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha svolto, nel corso della XVII legislatura, un'indagine conoscitiva sui minori "fuori famiglia". Per gli profili relativi ai numeri e alle caratteristiche delle strutture di accoglienza presenti nel nostro Paese, al numero di minori che vi transitano, nonché per elementi di conoscenza concernenti il sistema dei controlli, dei finanziamenti delle comunità familiari, si rinvia dunque al Documento conclusivo dell'indagine.
Il comma 28 interviene sull'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che disciplina il riparto di competenze tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario nei procedimenti a tutela dei minori.
La normativa vigente è ben riassunta dalla relazione della Commissione Luiso che osserva "In attesa del riordino e dell’unificazione dei riti in materia familiare, appare di immediata urgenza la riforma dell’articolo 38, disposizioni di attuazione del codice civile […] Tradizionalmente i procedimenti c.d. de potestate disciplinati dagli articoli 330 ss. c.c. erano di competenza del tribunale per i minorenni. Con la riforma della filiazione, realizzata con la legge 10 dicembre 2012, n. 219, è stato novellato l’articolo 38 disp. att. c.c., attribuendo al tribunale ordinario numerose competenze prima attribuite ai tribunali specializzati. La competenza per i procedimenti de potestate (articoli 330 ss. c.c.) è rimasta al tribunale per i minorenni, salva la precisazione contenuta nel primo comma dell’articolo 38 disp att. c.c.: “[p]er i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario”. L’attuale situazione genera concrete e a volte insuperabili difficoltà applicative, con duplicazioni di giudizi e rischio di giudicati contrastanti. Deve, inoltre, rilevarsi come il tribunale ordinario successivamente investito di una domanda di affidamento non possa spogliarsi della competenza in favore del tribunale specializzato preventivamente adito di un giudizio de potestate tra le stesse parti, essendo la domanda formulata dinanzi al giudice ordinario più ampia e dovendo comunque essere emessa una decisione su altre domande connesse, in primo luogo sulla domanda di affidamento. Si comprende, pertanto, come l’esigenza di concentrazione delle tutele, che trova la sua ratio sia nella necessità di evitare ai minori e alle parti plurimi accertamenti posti in essere da diverse autorità giudiziarie, sia nella necessità di evitare il rischio di giudicati contrastanti, imponga di concentrare i procedimenti che abbiano ad oggetto domande comunque attinenti la responsabilità genitoriale in capo ad un’unica autorità giudiziaria.
Per far fronte alle evidenziate criticità il disegno di legge:
§ conferma la normativa vigente che attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti (espressione che sostituisce l’attuale “provvedimenti”) previsti dagli articoli 84, 90, 251, 317-bis, 330, 332, 333, 334, 335, 371, ultimo comma, del codice civile;
§ attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti di cui all’art. 250, ultimo comma, c.c. in tema di autorizzazione al riconoscimento del minore nato da genitore che non abbia compiuto il sedicesimo anno di età;
La Commissione Luiso specifica che tali procedimenti si sovrappongono a quelli che il tribunale per i minorenni deve instaurare d’ufficio secondo quanto previsto dalla legge sulle adozioni in presenza di minori non riconosciuti alla nascita. Appare pertanto necessario concentrare le tutele su un’unica autorità giudiziaria per evitare giudicati contraddittori e sovrapposizione di accertamenti.
§ attribuisce alla competenza del tribunale ordinario, che la sottrae al tribunale per i minorenni, tutti i procedimenti c.d. de potestate di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile, quando è istaurato (già pendente o instaurato successivamente) dinanzi al tribunale ordinario un giudizio di separazione o di scioglimento del matrimonio, ovvero giudizio per il riconoscimento del figlio naturale (art. 250, quarto comma e art. 268 c.c.), un giudizio per la ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità (art. 277, secondo comma, c.c.), un procedimento per l’esercizio della responsabilità genitoriale (art. 316 c.c.).
In sostanza, dunque, la circostanza che uno dei suddetti procedimenti sia pendente (o anche sia successivamente instaurato, anche su ricorso del PM) dinanzi al tribunale ordinario, determina l’attrazione alla competenza del tribunale ordinario anche degli eventuali procedimenti di cui agli articoli 330 e seguenti del codice. Rispetto alla normativa vigente, che prevede questa conseguenza solo per il procedimento di cui all’art. 333 (condotta pregiudizievole ai figli), il disegno di legge aggiunge tutti gli altri procedimenti de potestate e estende l’applicazione della regola ben oltre le controversie di separazione e divorzio;
La Commissione Luiso così spiega questa soluzione: «La scelta della autorità giudiziaria in capo alla quale concentrare le competenze è imposta dalla natura dei procedimenti: i giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e loro modifiche, hanno ad oggetto nella quasi totalità dei casi anche altre domande (attinenti lo status ovvero il mantenimento dei figli) che devono comunque essere decise; al contrario, le domande ex articoli 330 ss. non vengono proposte con domande accessorie. Una razionale distribuzione delle risorse impone, pertanto, la concentrazione dei giudizi in capo al tribunale ordinario che in tal modo potrà decidere ogni aspetto relativo alle vicende familiari, con un unico giudizio. Si propone, pertanto, di novellare l’articolo 38 disp. att. c.c. mantenendo al tribunale per i minorenni la competenza per le domande de potestate, ma disponendo che in caso di contemporanea pendenza di giudizi separativi, divorzili o ex articolo 316 c.c. (nonché di ogni procedimento che preveda l’adozione di provvedimenti per la disciplina dell’affidamento dei figli, quali quelli previsti dagli articoli 250, quarto comma, 268 e 277, secondo comma), il tribunale per i minorenni debba, sia se preventivamente, sia se successivamente adito, ed anche qualora il procedimento de potestate sia stato instaurato su ricorso del pubblico ministero minorile, spogliarsi del procedimento trasmettendo gli atti al tribunale ordinario.
§ attribuisce alla competenza del tribunale per i minorenni, che la sottrae al tribunale ordinario, la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale, di cui all’art. 709-ter c.p.c., quando è instaurato (già pendente o instaurato successivamente) dinanzi al tribunale per i minorenni un procedimento de potestate. In questo caso, dunque, è il tribunale ordinario a doversi spogliare della competenza (sull’art. 709-ter c.p.c. interviene il comma 33, v. infra);
§ disciplina la procedura da seguire quando un ufficio giudiziario (tribunale per i minorenni o ordinario, a seconda dei diversi casi) debba spogliarsi della competenza a vantaggio di un altro, prevedendo che entro 15 giorni il giudice debba adottare gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmettere gli atti al tribunale competente, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continuerà. I provvedimenti adottati dal tribunale (per i minorenni o ordinario, a seconda dei casi) conserveranno la loro efficacia fino a quando non saranno confermati, modificati o revocati dal tribunale competente (art. 38, primo e secondo comma).
La relazione della Commissione Luiso chiarisce che la trasmissione diretta degli atti tra autorità giudiziarie viene disposta, aderendo a consolidato orientamento dei giudici di legittimità (cfr., per tutte, Cass., sent. nn. 7160/2016 e 2877/2005) e di merito.
Nel disciplinare la riassunzione del procedimento dinanzi al tribunale ordinario occorre scongiurare vuoti di tutela incompatibili con la protezione dei minori, che si realizzerebbero con il richiamo della ordinaria disciplina prevista per la dichiarazione di incompetenza, ai sensi della quale è rimesso alla parte più diligente l’onere della riassunzione. Questa opzione potrebbe impedire al tribunale ordinario di avere conoscenza di elementi previamente acquisiti dal tribunale specializzato ed indispensabili per la decisione sulle domande proposte, oltre a poter favorire condotte dei genitori, nei casi in cui fossero entrambi sottoposti a valutazione sulle capacità genitoriali, finalizzate a scongiurare l’adozione di provvedimento limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale.
A tali fine, viene inserita nella norma una disposizione analoga a quella presente nell’articolo 189 disp. att. c.p.c., per garantire ultrattività ai provvedimenti eventualmente emessi dal tribunale specializzato fino all’adozione di provvedimenti emessi dal tribunale ordinario che abbia ricevuto la trasmissione degli atti.
Il comma 29 interviene in tema di procedure esecutive e verrà trattato successivamente (v. infra).
I commi 30 e 31 apportano modifiche al codice di procedura civile in tema di nomina e poteri del curatore speciale del minore (sul quale v. anche, sopra, il comma 26).
Il tema della nomina e dei poteri del curatore speciale del minore è stato ampiamente affrontato dalla Commissione Luiso, che ha ritenuto che «In attesa del riordino e dell’unificazione dei riti in materia familiare, appaiono urgenti alcune modifiche dei poteri del curatore speciale del minore al fine di recepire e diffondere nell’intero territorio nazionale alcune indicazioni provenienti dal diritto vivente.
Oramai da tempo e in maniera assolutamente cristallizzata la Corte di cassazione ha affermato che, nei c.d. giudizi de potestate, la posizione del figlio risulta sempre contrapposta a quella di entrambi i genitori, anche quando il provvedimento venga richiesto nei confronti di uno solo di essi, dal momento che non può - in siffatta ipotesi - stabilirsi ex ante la coincidenza e l’omogeneità dell’interesse del minore con quello dell’altro genitore, posto che quest’ultimo ben potrebbe presentare il ricorso o aderire a quello presentato da uno degli altri soggetti legittimati per scopi meramente personali o, per contro, chiederne la reiezione, se contrario ai propri interessi, non necessariamente coincidenti con quelli del minore (cfr., ex plurimis, Cass., sent. nn. 7478/2014 e, in ultimo, 1471/2021).
Tuttavia, si è anche osservato che l’articolo 336 c.c., comma 4, che prevede la nomina di un difensore del minore, si applica soltanto ai provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale ove può porsi un concreto profilo di conflitto di interessi tra genitori e minore e “non anche alle controversie relative al regime di affidamento e di visita del minore, figlio di una coppia che ha deciso di cessare la propria comunione di vita. In tali controversie, invero, la partecipazione del minore si esprime, ove ne ricorrano le condizioni di legge e nel perseguimento del suo superiore interesse, mediante l’ascolto dello stesso, che integra un adempimento già previsto dall’articolo 155-sexies c.c., divenuto necessario ai sensi dell’articolo 315-bis c.c., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, in attuazione dell’articolo 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (Cass., sent. n. 7478/2014, cit.).
In particolare, il comma 30 interviene sull'articolo 78 del codice di procedura civile, relativo al curatore speciale, al fine di estendere la possibilità per il giudice di procedere alla nomina del curatore speciale del minore; tale nomina, in alcuni specifici casi, è da considerarsi obbligatoria, pena la nullità degli atti del procedimento.
Si ricorda che secondo quanto stabilito nell'art. 78, primo comma, c.p.c., per poter procedere alla nomina di un curatore speciale all'incapace, alla persona giuridica od all'associazione non riconosciuta deve sussistere una situazione d'urgenza determinatasi in seguito al venir meno della persona cui spetta la rappresentanza o l'assistenza in via ordinaria. La nomina del curatore speciale ha durata temporanea fino al momento in cui non subentri colui al quale spetta la rappresentanza e l'assistenza o, comunque, fino a quando non venga meno la situazione contingente che ha reso necessaria la sua nomina. Il secondo comma dell’art. 78 c.p.c. prevede invece la nomina di un curatore speciale in caso di conflitto di interessi fra rappresentante e rappresentato.
In particolare, introducendo un terzo comma dell’art. 78 c.p.c., il disegno di legge prevede per il giudice l’obbligo di procedere alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento nei seguenti casi:
§ quando il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale, da entrambi i genitori o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell'altro;
§ quando è adottato un provvedimento di allontanamento del minore dall’ambiente familiare, ai sensi dell’art. 403 c.c. (v. sopra, comma 27) o di affidamento temporaneo del minore ai sensi dell’art. 2 della legge n. 184 del 1983;
Si ricorda che l’art. 2, comma 1, della c.d. legge sulle adozioni prevede che «Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno».
§ quando dai fatti emersi nel procedimento emerga una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;
§ quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto 14 anni.
Con l’inserimento del quarto comma dell’art. 78 c.p.c. il disegno di legge introduce una ulteriore facoltà di nomina del curatore speciale del minore, per l’ipotesi in cui al giudice i genitori appaiano, per gravi ragioni, temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore; in questo caso il provvedimento di nomina del curatore deve essere succintamente motivato.
La Commissione Luiso ha evidenziato come esistano tutta una serie di casi gravi, di elevatissima conflittualità tra i genitori, che assume riflessi di forte pregiudizio del minore al punto da minare lo stesso suo sviluppo psico-fisico e, in alcuni casi più gravi, anche la sua salute, che però non necessariamente sfociano nell’avvio di un procedimento de potestate, integrando solo una sostanziale ma graduale recisione del vincolo genitoriale nei confronti di un solo genitore ovvero neutralizzando, nella pratica, ogni provvedimento adottato dal giudice. In questi casi, il giudice del merito è tenuto a verificare in concreto l’esistenza potenziale di una situazione d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quello preminente del minore rappresentato e, sebbene non prevista normativamente, la figura del curatore speciale dei minori si rende, invero, necessaria quando i genitori siano (magari anche temporaneamente) inadeguati a tutelare la posizione del figlio in un processo in cui vengano discussi i suoi diritti, o sussista un conflitto di interessi tra il medesimo ed i genitori (cfr. Cass., sent. n. 11554/2018).
Indi, si impone la necessità di inserire nelle norme generali in materia di nomina di un curatore speciale, una disposizione che consenta al giudice di vagliare la possibilità, in tutti questi casi gravi non necessariamente configuranti un procedimento de potestate che però pongono i genitori in concreto in una situazione di conflitto di interessi con il figlio, di ricorrere alla figura del curatore speciale per consentire al minore di divenire parte processuale e come tale portatore dei propri interessi.
Il comma 31 interviene sull'articolo 80 del codice di procedura civile, che disciplina il provvedimento di nomina del curatore speciale.
In base all’art. 80 c.p.c., l’istanza per la nomina del curatore speciale si propone al giudice di pace o al presidente dell'ufficio giudiziario davanti al quale si intende proporre la causa (primo comma). Il giudice, assunte le opportune informazioni e sentite possibilmente le persone interessate, provvede con decreto che è comunicato al PM affinché provochi, quando occorre, i provvedimenti per la costituzione della normale rappresentanza o assistenza dell'incapace, della persona giuridica o dell'associazione non riconosciuta.
Rispetto alla formulazione vigente, il disegno di legge:
§ specifica che se l’esigenza di nominare il curatore speciale sorge nel corso di un procedimento, anche di natura cautelare, alla nomina provvede, d'ufficio, il giudice che procede (ulteriore periodo nel primo comma);
§ aggiunge (con l’inserimento di un terzo comma) che in caso di nomina del curatore speciale del minore, con il provvedimento di nomina o con un atto successivo (non impugnabile), il giudice può attribuire al curatore specifici poteri di rappresentanza sostanziale;
§ pone in capo al curatore speciale del minore l’obbligo di procedere all’ascolto del minore;
§ disciplina la revoca del curatore speciale del minore prevedendo che la richiesta possa provenire dal minore che abbia compiuto 14 anni, dai genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, dal tutore o dal PM. La richiesta deve essere motivata e rivolta al presidente del tribunale o al giudice che procede, che decide con decreto non impugnabile. Le motivazioni della revoca possono essere sia gravi inadempienze del curatore che il venir meno dei presupposti per la nomina.
È la Relazione della Commissione Luiso ad offrire una spiegazione delle modifiche all’art. 80 c.p.c.: «L’inquadramento sistematico del curatore speciale nell’ambito della disciplina processuale (articoli 78 ss. c.p.c.), fa sorgere dubbi in merito alla possibilità di attribuire al curatore del minore, nominato nel corso di tali procedimenti, non solo poteri di rappresentanza processuale, ma anche poteri di rappresentanza sostanziale, per consentire al giudice procedente interventi puntuali e di immediata realizzazione (si pensi a contrasti tra i genitori in merito all’esecuzione di scelte fondamentali quali, per esempio, l’iscrizione scolastica o trattamenti medici, quando tali scelte siano state operate dal giudice, ai sensi dell’articolo 337-ter, comma 4, nei non infrequenti casi nei quali a causa del conflitto nessuno dei genitori si attivi per dare attuazione alle scelta operata dal giudice procedente). In numerosi tribunali di merito l’attribuzione di puntuali poteri di rappresentanza sostanziale al curatore del minore è stata di notevole ausilio per la risoluzione di gravi confitti. Si propone quindi di prevedere normativamente tale possibilità, disponendo espressamente che il giudice possa attribuire al curatore anche poteri di rappresentanza sostanziale del minore, che dovranno comunque essere puntualmente individuati.
In questi casi, la figura del curatore speciale del minore potrà essere dotata di “specifici” poteri di rappresentanza sostanziale conferiti in maniera puntuale dal giudice, tali da consentirgli di operare anche al di fuori del processo ogniqualvolta è necessario rappresentare il minore all’esterno, per esempio con autorità sanitarie o scolastiche, modificando all’uopo la previsione dell’articolo 80 c.p.c.
Appare, altresì, opportuno puntualizzare il dovere del curatore del minore di procedere all’ascolto dello stesso secondo le regole generali che vengono richiamate, ciò per superare diversi orientamenti rilevati nei giudizi di merito.
La mancanza di un espresso procedimento per la revoca del curatore del minore impone di colmare tale lacuna individuando nel presidente del tribunale il giudice competente a decidere in merito e attribuendo la legittimazione attiva per la proposizione dell’istanza a ciascuno dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, al rappresentante legale del minore, al pubblico ministero ed allo stesso minore.
Il comma 32 interviene sull'articolo 543 del codice di procedura civile, in materia di forma del pignoramento nell’espropriazione presso terzi (si veda infra la scheda relativa all’articolo 1, commi 29 e 32 - Misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di esecuzione forzata).
Il comma 33 modifica l'articolo 709-ter del codice di procedura civile, che disciplina la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento, al fine di prevedere - al n. 3 del secondo comma - che il giudice, nel disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro, possa individuare anche la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis del codice di procedura civile.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. (Misure di coercizione indiretta), con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.
Il comma 34 interviene sugli articoli 13 e 15 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, al fine di aggiungere, nell'albo dei consulenti tecnici tenuto da ciascun tribunale la categoria dei neuropsichiatri infantili, degli psicologi dell’età evolutiva e degli psicologi giuridici o forensi (lettera a), che novella l’art. 13).
Tali categorie – individuate dal n. 7 - si aggiungono a quelle, già previste dal terzo comma dell’art. 13, medico-chirurgica (n. 1), industriale (n. 2), commerciale (n. 3), agricola (n. 4), bancaria (n. 5) e assicurativa (n. 6).
La disposizione, inoltre, definisce i requisiti di competenza tecnica necessari per poter essere iscritti nell’albo dei consulenti di tribunali all’interno delle suddette categorie (lettera b) che novella l’art. 15). In particolare, il disegno di legge richiede che il professionista possieda almeno dei seguenti requisiti:
1. comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti di minori;
2. possesso di adeguati titoli di specializzazione o approfondimento post-universitari in psichiatria, psicoterapia, psicologia dell’età evolutiva o psicologia giuridica o forense, in aggiunta alla iscrizione, da almeno cinque anni, nei rispettivi albi professionali;
3. aver svolto, per almeno cinque anni, attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private.
Si tratta di requisiti specifici che varranno solo per la nuova categoria n. 7. Per tutte le altre sei categorie, infatti, l’art. 15 si limita a richiedere per l’iscrizione all’albo “speciale competenza tecnica”, una condotta morale specchiata e l’iscrizione nelle rispettive associazioni professionali.
Normativa vigente |
A.C. 3289 |
Codice civile Libro I - Delle persone e della famiglia Titolo XI - Dell'affiliazione e dell'affidamento |
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Art. 403 Intervento della pubblica autorità a favore dei minori |
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Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione. |
Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica e vi è dunque emergenza di provvedere, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione. |
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La pubblica autorità che ha adottato il provvedimento emesso ai sensi del primo comma ne dà immediato avviso orale al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale; entro le ventiquattro ore successive al collocamento del minore in sicurezza, con l'allontanamento da uno o da entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, trasmette al pubblico ministero il provvedimento corredato di ogni documentazione utile e di sintetica relazione che descrive i motivi dell'intervento a tutela del minore. |
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Il pubblico ministero, entro le successive settantadue ore, se non dispone la revoca del collocamento, chiede al tribunale per i minorenni la convalida del provvedimento; a tal fine può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti. Con il medesimo ricorso il pubblico ministero può formulare richieste ai sensi degli articoli 330 e seguenti. |
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Entro le successive quarantotto ore il tribunale per i minorenni, con decreto del presidente o del giudice da lui delegato, provvede sulla richiesta di convalida del provvedimento, nomina il curatore speciale del minore e il giudice relatore e fissa l'udienza di comparizione delle parti innanzi a questo entro il termine di quindici giorni. Il decreto è immediatamente comunicato al pubblico ministero e all'autorità che ha adottato il provvedimento a cura della cancelleria. Il ricorso e il decreto sono notificati entro quarantotto ore agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale a cura del pubblico ministero che a tal fine può avvalersi della polizia giudiziaria. |
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All'udienza il giudice relatore interroga liberamente le parti e può assumere informazioni; procede inoltre all'ascolto del minore direttamente e, ove ritenuto necessario, con l'ausilio di un esperto. Entro i quindici giorni successivi il tribunale per i minorenni, in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica o revoca il decreto di convalida, può adottare provvedimenti nell'interesse del minore e qualora siano state proposte istanze ai sensi degli articoli 330 e seguenti dà le disposizioni per l'ulteriore corso del procedimento. Il decreto è immediatamente comunicato alle parti a cura della cancelleria. |
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Entro il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto il pubblico ministero, gli esercenti la responsabilità genitoriale e il curatore speciale possono proporre reclamo alla corte d'appello ai sensi dell'articolo 739 del codice di procedura civile. La corte d'appello provvede entro sessanta giorni dal deposito del reclamo. |
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Il provvedimento emesso dalla pubblica autorità perde efficacia se la trasmissione degli atti da parte della pubblica autorità, la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero e i decreti del tribunale per i minorenni non intervengono entro i termini previsti. In questo caso il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore. |
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Qualora il minore sia collocato in comunità di tipo familiare, quale ipotesi residuale da applicare in ragione dell'accertata esclusione di possibili soluzioni alternative, si applicano le norme in tema di affidamento familiare. |
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Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie |
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Art. 38 |
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Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile. |
Sono di competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti previsti dagli articoli 84, 90, 250, ultimo comma, 251, 317-bis, ultimo comma, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Sono di competenza del tribunale ordinario i procedimenti previsti dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile, anche se instaurati su ricorso del pubblico ministero, quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, giudizio di separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero giudizio ai sensi degli articoli 250, quarto comma, 268, 277, secondo comma, e 316 del codice civile, dell'articolo 710 del codice di procedura civile e dell'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898. In questi casi il tribunale per i minorenni, d'ufficio o su richiesta di parte, senza indugio e comunque entro il termine di quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale ordinario, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale per i minorenni conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale ordinario. Il pubblico ministero della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, nei casi di trasmissione degli atti dal tribunale per i minorenni al tribunale ordinario, provvede alla trasmissione dei propri atti al pubblico ministero della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario. |
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Il tribunale per i minorenni è competente per il ricorso previsto dall'articolo 709-ter del codice di procedura civile quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, un procedimento previsto dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile. Nei casi in cui è già pendente o viene instaurato autonomo procedimento previsto dall'articolo 709-ter del codice di procedura civile davanti al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a richiesta di parte, senza indugio e comunque non oltre quindici giorni dalla richiesta, adotta tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua. I provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni». |
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. |
Identico. |
Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni. |
Identico. |
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Codice di procedura civile Libro I - Disposizioni generali Titolo III - Delle parti e dei difensori Capo I - Delle parti |
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Art. 78 Curatore speciale |
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Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, e vi sono ragioni d'urgenza, può essere nominato all'incapace, alla persona giuridica o all'associazione non riconosciuta un curatore speciale che li rappresenti o assista finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza. |
Identico. |
Si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto d'interessi col rappresentante. |
Identico. |
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Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d'ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento: 1) con riguardo ai casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell'altro; 2) in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell'articolo 403 del codice civile o di affidamento del minore ai sensi degli articoli 2 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184; 3) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori; 4) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni. |
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In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore; il provvedimento di nomina del curatore deve essere succintamente motivato. |
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Art. 80 Provvedimento di nomina del curatore speciale |
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L'istanza per la nomina del curatore speciale si propone al giudice di pace o al presidente dell'ufficio giudiziario davanti al quale si intende proporre la causa. |
L'istanza per la nomina del curatore speciale si propone al giudice di pace o al presidente dell'ufficio giudiziario davanti al quale si intende proporre la causa. Se la necessità di nominare un curatore speciale sorge nel corso di un procedimento, anche di natura cautelare, alla nomina provvede, d'ufficio, il giudice che procede. |
Il giudice, assunte le opportune informazioni e sentite possibilmente le persone interessate, provvede con decreto. Questo è comunicato al pubblico ministero affinché provochi, quando occorre, i provvedimenti per la costituzione della normale rappresentanza o assistenza dell'incapace, della persona giuridica o dell'associazione non riconosciuta. |
Identico. |
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Al curatore speciale del minore il giudice può attribuire nel provvedimento di nomina, ovvero con provvedimento non impugnabile adottato nel corso del giudizio, specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Il curatore speciale del minore procede al suo ascolto. Il minore che abbia compiuto quattordici anni, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, il tutore o il pubblico ministero possono chiedere con istanza motivata al presidente del tribunale o al giudice che procede, che decide con decreto non impugnabile, la revoca del curatore per gravi inadempienze o perché mancano o sono venuti meno i presupposti per la sua nomina. |
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Libro IV - Dei procedimenti speciali Titolo II - Dei procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone Capo I - Della separazione personale dei coniugi |
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Art. 709-ter Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni |
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Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. |
Identico. |
A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: |
Identico: |
1) ammonire il genitore inadempiente; |
1) identico; |
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; |
2) identico; |
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro; |
3) disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis; |
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende. |
4) identico. |
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari. |
Identico. |
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Disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie |
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Titolo II - Degli esperti e degli ausiliari del giudice Capo II - Dei consulenti tecnici del giudice Sezione I - Dei consulenti tecnici nei procedimenti ordinari |
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Art. 13 Albo dei consulenti tecnici |
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Presso ogni tribunale è istituito un albo dei consulenti tecnici. |
Identico. |
L'albo è diviso in categorie. |
Identico. |
Debbono essere sempre comprese nell'albo le categorie: 1. medico-chirurgica; 2. industriale; 3. commerciale; 4. agricola; 5. bancaria; 6. assicurativa. |
Debbono essere sempre comprese nell'albo le categorie: 1. medico-chirurgica; 2. industriale; 3. commerciale; 4. agricola; 5. bancaria; 6. Assicurativa; 7) della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell'età evolutiva e della psicologia giuridica o forense. |
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Art. 15 Iscrizione nell’albo |
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Possono ottenere l'iscrizione nell'albo coloro che sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia, sono di condotta morale specchiata e sono iscritti nelle rispettive associazioni professionali. |
Identico. |
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Con riferimento alla categoria di cui all'articolo 13, terzo comma, numero 7), la speciale competenza tecnica sussiste qualora ricorrano, alternativamente o congiuntamente, i seguenti requisiti: 1) comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti di minori; 2) possesso di adeguati titoli di specializzazione o approfondimento post-universitari in psichiatria, psicoterapia, psicologia dell'età evolutiva o psicologia giuridica o forense, purché iscritti da almeno cinque anni nei rispettivi albi professionali; 3) aver svolto per almeno cinque anni attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private. |
Nessuno può essere iscritto in più di un albo. |
Identico. |
Sulle domande di iscrizione decide il comitato indicato nell'articolo precedente. |
Identico. |
Contro il provvedimento del comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione, al comitato. |
Identico. |
I commi 29 e 32 dell’articolo 1 modificano alcune previsioni del codice di procedura civile al fine di introdurre misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di esecuzione forzata. In particolare, il disegno di legge interviene sul foro competente per l’espropriazione forzata di crediti, quando debitore sia una pubblica amministrazione, e sulla procedura di pignoramento nell’espropriazione presso terzi.
Anche queste disposizione saranno applicate ai procedimenti instaurati a decorrere dal 180° giorno successivo all’entrata in vigore della legge (come specificato dal comma 37) e dunque, potenzialmente, prima dell’attuazione della complessiva delega per la riforma del codice di rito.
Più in dettaglio, il comma 29 modifica l'articolo 26-bis del codice di procedura civile, che disciplina il foro relativo all'espropriazione forzata di crediti, prevedendo che quando debitrice è una pubblica amministrazione sia competente il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
Il comma 32 interviene sull'articolo 543 del codice di procedura civile, in materia di forma del pignoramento nell’espropriazione presso terzi, al fine di prevedere che il creditore, entro la data dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di pignoramento, debba (nuovo quinto comma):
§ notificare al debitore e al terzo l'avviso di avvenuta iscrizione a ruolo, con indicazione del numero di ruolo della procedura;
§ depositare l'avviso notificato nel fascicolo dell'esecuzione;
Entrambi gli adempimenti sono richiesti a pena di inefficacia del pignoramento. Se il pignoramento è eseguito nei confronti di più terzi, l'inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non è notificato o depositato l'avviso. In ogni caso, se la notifica dell'avviso non è effettuata, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell'udienza indicata nell'atto di pignoramento.
Come chiarito dalla Commissione Luiso, che sul punto aveva costruito uno specifico principio di delega, l’obiettivo è prevedere che anche dell’avvenuta iscrizione a ruolo – e, dunque, della permanenza del vincolo di pignoramento – sia reso edotto il terzo pignorato, stabilendo altresì che l’inottemperanza all’obbligo di avviso del terzo comporti il venir meno degli obblighi ex articolo 546 c.p.c. in capo a quest’ultimo a far data dall’udienza indicata nell’atto di pignoramento.
Tale previsione permetterebbe al terzo, destinatario dell’atto di pignoramento e, quindi, a conoscenza della data fissata per l’udienza, di essere puntualmente edotto circa la corretta prosecuzione del procedimento.
Normativa vigente |
A.C. 3289 |
Codice di procedura civile Libro I - Disposizioni generali Titolo I - Degli organi giudiziari Capo I - Del giudice Sezione III - Della competenza per territorio |
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Art. 26-bis Foro relativo all'espropriazione forzata di crediti |
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Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall'articolo 413, quinto comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. |
Quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall'articolo 413, quinto comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. |
Fuori dei casi di cui al primo comma, per l'espropriazione forzata di crediti è competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. |
Identico. |
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Libro III - Del processo di esecuzione Titolo II - Dell'espropriazione forzata Capo III - Dell'espropriazione presso terzi Sezione I - Del pignoramento e dell'intervento |
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Art. 543 Forma del pignoramento |
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Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti. |
Identico. |
L'atto deve contenere, oltre all'ingiunzione al debitore di cui all'articolo 492: 1. l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; 2. l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine di giudice; 3. la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente nonché l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente; 4. la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l'invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all'articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata; con l'avvertimento al terzo che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un'apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione. |
Identico. |
Nell'indicare l'udienza di comparizione si deve rispettare il termine previsto nell'articolo 501. |
Identico. |
Eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l'originale dell'atto di citazione. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna. La conformità di tali copie è attestata dall'avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell'esecuzione. Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al secondo periodo sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore. |
Identico. |
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Il creditore, entro la data dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di pignoramento, notifica al debitore e al terzo l'avviso di avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura e deposita l'avviso notificato nel fascicolo dell'esecuzione. La mancata notifica dell'avviso o il suo mancato deposito nel fascicolo dell'esecuzione determina l'inefficacia del pignoramento. |
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Qualora il pignoramento sia eseguito nei confronti di più terzi, l'inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non è notificato o depositato l'avviso. In ogni caso, ove la notifica dell'avviso di cui al presente comma non sia effettuata, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell'udienza indicata nell'atto di pignoramento. |
Quando procede a norma dell'articolo 492-bis, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni di cui al quarto comma. Decorso il termine di cui all'articolo 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere l'assegnazione o la vendita delle cose mobili o l'assegnazione dei crediti. Sull'istanza di cui al periodo precedente il giudice fissa l'udienza per l'audizione del creditore e del debitore e provvede a norma degli articoli 552 o 553. Il decreto con cui viene fissata l'udienza di cui al periodo precedente è notificato a cura del creditore procedente e deve contenere l'invito e l'avvertimento al terzo di cui al numero 4) del secondo comma (6). |
Identico. |
Il comma 35 introduce modifiche alla disciplina della negoziazione assistita per la soluzione consensuale delle controversie in materia di separazione dei coniugi, di cui all’art. 6 del decreto-legge n. 132 del 2014, per estendere l’applicazione di questo istituto anche per la soluzione consensuale delle controversie tra genitori relative all’affidamento e al mantenimento di figli naturali, al mantenimento di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e agli obblighi alimentari.
Si ricorda che, l’art. 6 del decreto-legge n. 132 del 2014 (come convertito dalla legge n. 162 del 2014) regola una particolare forma di negoziazione assistita, finalizzata specificamente alla soluzione consensuale stragiudiziale delle controversie in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio ovvero di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (comma 1). Il ricorso a tale istituto è consentito anche in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. In tal caso il pubblico ministero presso il tribunale competente, cui l'accordo deve essere trasmesso entro 10 giorni, autorizza l'accordo raggiunto in quanto rispondente all'interesse dei figli. Analogo passaggio giudiziale è innestato nel procedimento di negoziazione fuori dei casi indicati (ovvero in assenza di figli minori, ecc). Anche qui si è prevista la necessità di trasmissione dell'accordo al pubblico ministero presso il tribunale competente per un controllo di regolarità; spetta allo stesso PM il rilascio del nullaosta all'accordo (comma 2). La convenzione, obbligatoriamente assistita da un avvocato per parte, è pienamente sostitutiva e produce gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti (comma 3). Spetta agli avvocati delle parti (pena sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro, ai sensi del comma 4) trasmettere copia autentica dell'accordo all'ufficiale di stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto.
In particolare, il il disegno di legge estende l'applicazione della convenzione di negoziazione assistita per la soluzione consensuale delle controversie in materia di separazione dei coniugi anche ai procedimenti volti a disciplinare:
§ le modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio e la modifica delle condizioni eventualmente già determinate;
§ le modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e la modifica delle condizioni eventualmente già determinate;
§ l’assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e la modifica dell’assegno eventualmente già determinato;
§ gli alimenti dovuti ai sensi dell’art. 433 c.c. e la modifica degli alimenti eventualmente già definiti.
A tal fine, come si evince dal confronto tra la normativa vigente e le modifiche proposte (v. infra), il disegno di legge modifica la rubrica dell’art. 6 del decreto-legge n. 132 del 2014 (lettera a); introduce un nuovo comma 1-bis (lettera b) e, conseguentemente, coordina il contenuto del comma 3 (lettera c).
Come previsto dal successivo comma 37, le novelle all’articolo 6 del DL 132/2014 saranno applicate ai procedimenti instaurati a decorrere dal 180° giorno successivo all’entrata in vigore della legge e dunque diverranno potenzialmente efficaci prima dell’esercizio della delega (per il quale il Governo, in base al comma 1, ha a disposizione un anno). Si ricorda, infatti, che principi e criteri direttivi per la riforma dell’istituto della negoziazione assistita sono contenuti nell’art. 1, comma 4 del d.d.l. in commento (v. sopra).
Si tratta di modifiche auspicate dalla Commissione Luiso la quale, diversamente dalla soluzione accolta dal disegno di legge in commento, le aveva inserite all’interno dei principi di delega e non come novelle dirette alla normativa vigente. La Commissione aveva peraltro evidenziato come la mancata previsione dell’art. 6 dei procedimenti che disciplinano le modalità di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio rappresentasse una «grave lacuna» che, «oltre a generare una non giustificata discriminazione in danno dei genitori non coniugati, esclusi dall’accesso alla negoziazione assistita, impedisce di ricorrere a tale modalità alternativa di soluzione delle controversie per un rilevante numero di casi. Appare, pertanto, opportuno estendere la negoziazione assistita sia ai procedimenti per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio sia ai procedimenti per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, nati da genitori non coniugati, nonché alle eventuali modifiche di condizioni già determinate. Appare altresì opportuno prevedere l’estensione della disciplina, in un’ottica di favore e di impulso allo sviluppo dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie, ai procedimenti relativi alla determinazione delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni economicamente non autosufficienti, quando siano gli stessi figli a formulare istanza nei confronti dei genitori, ed alla disciplina della determinazione degli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti del codice civile».
Normativa vigente |
A.C. 3289 |
Decreto-legge n. 132 del 2014 Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile |
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Articolo 6 |
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Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio |
Convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di alimenti |
1. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all'articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. |
1. Identico. |
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1-bis. La convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra i genitori al fine di raggiungere una soluzione consensuale per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate. Può altresì essere conclusa tra le parti per raggiungere una soluzione consensuale per la determinazione dell'assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e per la determinazione degli alimenti, ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, e per la modifica di tali determinazioni. |
2. In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l'accordo non risponde all'interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All'accordo autorizzato si applica il comma 3. |
2. Identico. |
3. L'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell'accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5. |
3. L'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui ai commi 1 e 1-bis, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di affidamento e di mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché i procedimenti per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e per la modifica delle condizioni già determinate, per la determinazione degli alimenti e per la loro modifica. Nell'accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5. |
4. All'avvocato che vìola l'obbligo di cui al comma 3, terzo periodo, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 ad euro 10.000. Alla irrogazione della sanzione di cui al periodo che precede è competente il Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall'articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396. (20) |
4. Identico. |
5. (omissis) |
5. Identico. |
L’articolo 1, comma 36, riguarda le controversie relative all’accertamento dello stato di cittadinanza italiana ed è volto a modificare i criteri di individuazione del foro competente per il giudizio, così da deflazionare l’attuale carico del tribunale di Roma.
Si ricorda che, in base al decreto-legge n. 13 del 2017, per le controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia e dello stato di cittadinanza italiana sono competenti le sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'unione europea, istituite presso i tribunali distrettuali (tribunali del luogo nel quale hanno sede le corti d'appello).
In particolare, l’art. 4 del citato decreto attribuisce territorialmente la competenza per tali controversie alla “sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato”; di fatto ciò determina la competenza della sezione specializzata istituita presso il tribunale di Roma.
In particolare, modificando l'articolo 4, comma 5, del decreto-legge n. 13 del 2017, il disegno di legge prevede che, quando l'attore risiede all'estero, le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana siano assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre, o dell'avo cittadini italiani, che si assume abbiano trasmesso il diritto di cittadinanza del cui riconoscimento si tratta.
La finalità, come chiarito dalla relazione tecnica di accompagnamento del maxiemendamento in Senato, è razionalizzare la distribuzione dei carichi di lavoro posto che - in applicazione del criterio generale previsto dall'articolo 25 del codice di procedura civile - il contenzioso in materia di diritto di cittadinanza "iure sanguinis", divenuto negli anni numericamente significativo, si concentra attualmente presso la sola sezione specializzata costituita presso il Tribunale di Roma, con inevitabile rallentamento della trattazione delle controversie in materia di protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea.
Normativa vigente |
A.C. 3289 |
Decreto-legge n. 13 del 2017 Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale. |
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Art. 4 Competenza territoriale delle sezioni |
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1. Le controversie e i procedimenti di cui all'articolo 3, comma 1, sono assegnati alle sezioni specializzate di cui all'articolo 1. È competente territorialmente la sezione specializzata nella cui circoscrizione ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato. |
1. Identico. |
2. Per l'assegnazione delle controversie di cui all'articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, l'autorità di cui al comma 1 è costituita dalla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale o dalla sezione che ha pronunciato il provvedimento impugnato ovvero il provvedimento del quale è stata dichiarata la revoca o la cessazione. |
2. Identico. |
2-bis. Per l'assegnazione delle controversie di cui all'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, l'autorità di cui al comma 1 è costituita dall'articolazione dell'Unità Dublino operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno nonché presso le prefetture-uffici territoriali del Governo che ha adottato il provvedimento impugnato. |
2-bis. Identico. |
3. Nel caso di ricorrenti presenti in una struttura di accoglienza governativa o in una struttura del sistema di protezione di cui all'articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, ovvero trattenuti in un centro di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica il criterio previsto dal comma 1, avendo riguardo al luogo in cui la struttura o il centro ha sede. |
3. Identico. |
4. Per l'assegnazione dei procedimenti di cui all'articolo 14, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, si applica il criterio di cui al comma 1, avendo riguardo al luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento soggetto a convalida. |
4. Identico. |
5. Le controversie di cui all'articolo 3, comma 2, sono assegnate secondo il criterio previsto dal comma 1, avendo riguardo al luogo in cui l'attore ha la dimora. |
5. Le controversie di cui all'articolo 3, comma 2, sono assegnate secondo il criterio previsto dal comma 1, avendo riguardo al luogo in cui l'attore ha la dimora. Quando l'attore risiede all'estero le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o dell'avo cittadini italiani. |
Il comma 37 dell’articolo 1 prevede che le disposizioni dei commi da 27 a 36, che novellano i procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie (commi 27, 28, 30, 31, 33, 34 e 35), di esecuzione forzata (commi 29 e 32) e di stato di cittadinanza (comma 36), si applichino ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge.
Per l’attuazione della riforma complessiva, il comma 1 individua, invece, il termine di un anno dall’entrata in vigore della legge.
Le novelle introdotte dal provvedimento, dunque, sono potenzialmente destinate a trovare applicazione prima dell’esercizio della delega, che potrà a sua volta intervenire sul medesimo ambito di applicazione (in particolare in materia di procedimenti relativi ai diritti delle persone e delle famiglie).
Gli ultimi commi dell’articolo 1 recano le disposizioni finanziarie.
In particolare, il comma 38 contiene la clausola di invarianza, destinata ad operare in relazione alle modifiche della normativa vigente e alla maggior parte dei principi di delega e dei conseguenti decreti legislativi di riforma.
Le uniche previsioni onerose, per le quali viene individuata specifica copertura sono le seguenti:
§ art. 1, comma 4, lettera a), in tema di incentivi fiscali per quanti facciano ricorso alle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie (v. sopra). L’onere, stimato in 4,4 milioni di euro per il 2022 e 60,6 milioni di euro a decorrere dal 2023, è coperto dall’art. 1 comma 39.
Il comma 39 prevede la seguente copertura:
- quanto a 4,4 milioni per il 2022 e a 15 milioni annui dal 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economia. Si ricorda che il Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282/2004, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (capitolo 3075);
- quanto a 15 milioni annui dal 2023 mediante corrispondete riduzione del Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili. Si tratta del Fondo istituito dall'articolo 1, comma 200, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (capitolo 3076), per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione. La norma ne prevede la ripartizione annuale con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze;
- quanto a 30,6 milioni annui dal 2023 mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia. Si tratta degli accantonamenti di parte corrente (determinati dalla tabella A della legge di bilancio per ciascun Dicastero) con i quali si determinano le disponibilità per la copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi che si prevede possano essere approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale. Il Fondo speciale di parte corrente è iscritto, ai fini del bilancio triennale, nell'ambito del Programma "Fondi di riserva e speciali" della Missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze
§ art. 1, comma 9, lett. e), in tema di giudizio accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili in Corte di cassazione (v. sopra). L’onere è stimato in 587 mila euro per l’anno 2022 e in 1,2 milioni di euro a decorrere dal 2023 e la copertura è individuata dall’art. 1, comma 40.
In particolare, in base al comma 40, a tali oneri si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia (v. supra).
§ art. 1, comma 19, in tema di assunzioni di personale amministrativo per l’ufficio del processo (v. sopra). All’onere di 23,4 milioni di euro, a decorrere dal 2023, si provvede in base al comma 41.
Il comma 41 prevede la corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista per le assunzioni di personale amministrativo presso l’amministrazione giudiziaria dall’art. 1, comma 860, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020). Si tratta, in particolare, di ridurre il contingente di personale da assumere previsto dalla legge di bilancio del 2021 nei seguenti termini
Tipologia personale |
Legge di bilancio 2021 |
A.C. 3289 |
unità da impiegare nell'Area II, posizione economica F1 |
1.500 |
1.205 |
unità da impiegare nell'Area II, posizione economica F2 |
1.200 |
961 |
unità da impiegare nell'Area III, posizione economica F1 |
300 |
244 |
Totale |
3.000 |
2.410 |
Si ricorda che il comma 19 dell’art. 1 prevede l’assunzione a tempo indeterminato di 500 unità di personale da inquadrare nella III area funzionale, posizione economica F1.
In base al comma 42, il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato, con proprio decreto, ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 43 dispone inoltre che i decreti legislativi dovranno essere corredati dalla relazione tecnica che ne attesti la neutralità finanziaria oppure che dia conto dei nuovi o maggiori oneri e dei relativi mezzi di copertura.
Qualora i decreti legislativi comportino nuovi o maggiori oneri non compensabili al proprio interno, in base al comma 44 gli stessi potranno essere emanati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore delle disposizioni recanti i relativi mezzi di copertura (ex art. 17, comma 2, della legge n. 196/2009).
L'art. 17, comma 2, della legge di contabilità stabilisce che la legge delega individui i mezzi finanziari per far fronte agli oneri derivanti dai decreti legislativi di attuazione. Qualora non sia possibile determinare tale quantificazione, essa è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi ed in caso di nuovi o maggiori oneri gli stessi decreti sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
[1] Che comprende, per la giustizia civile, affari contenziosi, controversie in materia di lavoro e previdenza, procedimenti speciali e sommari e volontaria giurisdizione e si distingue dal SIECIC (procedure esecutive e concorsuali). Cfr. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_9_13.page#.
[2] Riguardo alla chiamata di un terzo, la disposizione richiama gli articoli:
- 106 c.p.c., il quale attribuisce a ciascuna parte la possibilità di chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita;
- 269, terzo comma, c.p.c. concernente la chiamata del terzo a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, previa l'autorizzazione del giudice istruttore nella prima udienza, il quale, se concede l'autorizzazione, fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo; la citazione è notificata al terzo a cura dell'attore entro il termine perentorio stabilito dal giudice.
[3] Sono, quindi, escluse dal campo di applicazione del rito sommario: le cause assoggettate alla competenza del tribunale collegiale, individuate nell'art. 50-bis c.p.c., che provvede secondo la giurisprudenza ad un'elencazione tassativa; le cause di competenza del Giudice di Pace; le cause attribuite in unico grado alla corte d'appello; le cause attribuite in grado di appello al tribunale in composizione monocratica.
[4] Si ricorda che la legge n. 31 del 2019 in materia di azione di classe, ha disposto l’abrogazione dell’art. 140-bis dal 20 ottobre 2020; le cause relative alle azioni di classe – art. 840-ter e ss.c.p.c. saranno comunque attribuite alle sezioni specializzate in materia di impresa e dunque al tribunale in composizione collegiale.
[5] L. 26 novembre 1990, n. 353, Provvedimenti urgenti per il processo civile.
[6] Per una analisi di diritto comparato su “Gli effetti delle sentenze di condanna della corte europea sulle sentenze dei giudici nazionali passate in giudicato”, si veda il dossier di documentazione della Corte costituzionale del settembre 2017 curato da P. Passaglia.
[7] In sintesi: dolo di una delle parti in danno dell'altra; riconoscimento o comunque dichiarazione di falsità delle prove, ovvero produzione di documenti decisivi, dopo la sentenza; errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; sentenza contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; la sentenza effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
[8] I rapporti di lavoro a tempo indeterminato instaurati a decorrere dal 7 marzo 2015 sono esclusi dall’applicazione del Rito Fornero ai sensi dell'articolo 11 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Nella fattispecie suddetta di esclusione rientrano anche (ai sensi dell'articolo 1, commi 2 e 3, del citato D.Lgs. n. 23): i rapporti a tempo indeterminato derivanti dalla trasformazione di precedenti rapporti di lavoro a termine, qualora la trasformazione sia successiva al 6 marzo 2015; i casi in cui i limiti minimi dimensionali di cui al citato articolo 18 della L. n. 300 vengano raggiunti solo in seguito ad assunzioni a tempo indeterminato successive al 6 marzo 2015.
[9] D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
[10] L. 24 marzo 2001, n. 89, Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile.
[11] L. 14 gennaio 2013, n. 4 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate).
[12] Si tratta infatti di provvedimenti idonei a produrre effetti pregiudizievoli per i minori, incidendo su diritti personalissimi e di primario rango costituzionale; il legislatore codifica sul punto un orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass., sent. nn. 28099/2018 e 10777/2019).
[13] L. 15 gennaio 1994, n. 64, Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, aperta alla firma a Lussemburgo il 20 maggio 1980, e della convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980; norme di attuazione delle predette convenzioni, nonché della convenzione in materia di protezione dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 5 ottobre 1961, e della convenzione in materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 28 maggio 1970.