Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Giustizia |
Titolo: | Disposizioni in materia di contrasto della contraffazione e del contrabbando, di tracciabilità e di etichettatura, nonché delega al Governo per l'istituzione del marchio '100% Made in Italy' |
Riferimenti: | AC N.1011/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 100 |
Data: | 19/02/2019 |
Organi della Camera: | II Giustizia |
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Camera dei deputati |
XVIII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Disposizioni in materia di contrasto della contraffazione e del contrabbando, di tracciabilità e di etichettatura, nonché delega al Governo per l'istituzione del marchio '100% Made in Italy'
A.C. 1011 |
Schede di lettura
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n. 100 |
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19 febbraio 2019 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi:
Dipartimento Giustizia
( 066760-9559/ 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it
Dipartimento Attività produttive
( 066760-3403 – * st_attprod@camera.it
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File:
GI0052
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INDICE
Contenuto della proposta di legge
§
L’inasprimento delle pene per i reati di contraffazione (artt. 2-13)
§
La repressione del contrabbando di tabacchi (art. 14)
§
L’obbligo di tracciabilità e di etichettatura (art. 15)
§
La campagna d’informazione (art. 17)
L’A.C. 1011, di iniziativa parlamentare, si compone di 17 articoli ed è finalizzato alla prevenzione e al contrasto del fenomeno della contraffazione nonché alla specifica tutela del Made in Italy.
In estrema sintesi la proposta di legge:
· inserisce l’associazione a delinquere finalizzata a commettere un reato di contraffazione o di commercio di prodotti contraffatti aggravato, tra i delitti di competenza della procura distrettuale;
· modifica le disposizioni del codice penale relative alle fattispecie di contraffazione e di frode prevedendo: un generale inasprimento delle pene, tanto detentive quanto pecuniarie; la previsione di aggravanti per i delitti commessi attraverso la rete internet; l’abrogazione della fattispecie di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.) con conseguente inserimento di queste condotte nelle fattispecie comuni di contraffazione e frode (art. 473 e 474 c.p., art. 514 c.p.);
· trasforma in delitto l’illecito amministrativo dell’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia (comma 49-bis dell’art. 4 della legge n. 350 del 2003); elimina la previsione che oggi specifica, per i prodotti alimentari, che per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale; introduce un’aggravante quanto i fatti sono commessi con l’utilizzo del web.
· introduce modifiche ad alcune leggi speciali relative alla repressione del contrabbando di tabacchi prevedendo tra l’altro un inasprimento delle pene previste per il contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-bis), anche in caso di fattispecie aggravata (art. 291-ter) e di fattispecie associativa (art. 291-quater); prevede inoltre una fattispecie di contrabbando aggravata quando i fatti siano commessi « con il supporto del web ovvero tramite supporti tecnologici» ;
· reca norme relative al contenuto obbligatorio delle etichette, specificando le informazioni e le diciture che devono esservi riportate e disponendo che tutti i beni e i prodotti immessi in commercio nel territorio nazionale debbano essere dotati di un sistema di tracciabilità documentale;
· delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo recante un testo unico delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei prodotti nazionali. Tra i principi e criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega vi è anche la previsione dell’istituzione del marchio «100% Made in Italy» da attribuire ai beni e ai prodotti costituiti o derivanti esclusivamente da materie prime di origine italiana e i cui procedimenti di produzione e di lavorazione siano interamente svolti nel territorio nazionale.
L’articolo 1, comma 1, enuncia le finalità perseguite dalla proposta di legge in esame. Ad esse possono essere ricondotti, almeno in parte, i due filoni di intervento in cui si articola la proposta stessa.
Un primo filone comprende le disposizioni del testo volte ad un generale inasprimento delle pene, tanto detentive quanto pecuniarie, per i delitti di contraffazione e di frode nonché alla previsione di aggravanti quando gli stessi siano commessi attraverso la rete internet; tali disposizioni possono essere ricondotte all’espressa finalità della repressione della contraffazione dei prodotti nazionali.
Il secondo filone di intervento comprende le disposizioni relative al contenuto obbligatorio delle etichette, al sistema di tracciabilità dei prodotti, nonché all’istituzione di un marchio “100 % Made in Italy”; tali interventi possono essere ricondotti alle enunciate finalità di tutela della salute dei consumatori attraverso la qualità e la sicurezza dei prodotti immessi in commercio; nonché di tutela dei prodotti costituiti o derivanti esclusivamente da materie prime di origine italiana i cui procedimenti di produzione e lavorazione siano interamente svolti in Italia e siano frutto di produzioni che non abbiano violato i diritti dei lavoratori.
Il comma 2 definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni del provvedimento, disponendo che esse si applichino, in quanto compatibili, ai marchi aziendali collettivi e alle denominazioni, indicazioni ed etichettature previsti dalla normativa nazionale o regionale vigente, destinati all’informazione del consumatore sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti, ai sensi del Codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
Si osserva che la disposizione in esame andrebbe complessivamente valutata alla luce della disciplina europea sulla materia.
La disciplina del marchio è fondata in generale sulle norme del codice civile (artt. 2569-2574) e in via speciale sulle norme del Codice della proprietà industriale D.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005 (artt.7-28). Il Codice del 2005 è stato in più punti modificato dal successivo D.Lgs. n. 131/2010, al fine di un adeguamento della disciplina nazionale alla disciplina europea nel frattempo intervenuta. Si ricorda infatti in proposito che la disciplina vigente sul marchio nazionale è disciplina armonizzata con quella degli altri Stati membri dell’Unione europea in virtù di una serie di Direttive-quadro armonizzazione che si sono succedute nel tempo (adottate ai sensi dell’art. 118 TFUE).
Pertanto, i sistemi nazionali di protezione dei marchi all’interno dei diversi Stati dell’UE sono stati armonizzati dalla Direttiva 89/104/CEE del Consiglio, poi codificata come Direttiva 2008/95/CE. La recente Direttiva (UE) 2015/2436 mira ad un ulteriore e più stringente ravvicinamento delle legislazioni sostanziali e procedurali degli Stati membri in materia di marchi di impresa, muovendosi in sostanziale simmetria con le modifiche adottate con il Regolamento (UE) n. 2424/2015 al marchio d’impresa europeo. A tal fine, la nuova Direttiva abroga, a decorrere dal 15 gennaio 2019, la pregressa Direttiva n. 2008/95/CE.
Il recepimento nell’ordinamento nazionale della Direttiva (UE) 2015/2436 è disposto nell’articolo 3 della legge n. 163/2017 di delegazione europea 2016-2017. Sullo schema di decreto legislativo attuativo della delega in esame, che apporta una serie di modifiche profonde al codice di proprietà industriale, tra le quali quelle relative ai marchi collettivi
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e di garanzia, è stato espresso parere parlamentare favorevole con osservazioni (X Commissione attività produttive, 30 gennaio 2019)
Parallelamente, Regolamento (CE) n. 40/94, codificato nel 2009 come Regolamento (CE) n. 207/2009, poi modificato dal Regolamento (UE) n. 2424/2015, e poi, a seguito di tali modifiche, nuovamente codificato nel “Regolamento Marchi” (UE) n. 2017/1001/UE) ha creato un sistema specifico di protezione del marchio per l'Unione europea, in parallelo alla protezione dei marchi disponibile a livello degli Stati membri in conformità ai rispettivi sistemi nazionali di protezione.
Peraltro, si osservi che la disciplina nazionale sulla protezione dei marchi volti a tutelare l’origine dei prodotti - come meglio si dirà più oltre (cfr. ricostruzione normativa agli artt. 15 e ss. della presente proposta di legge) non può confliggere con gli artt. 34-36 TFUE, i quali, segnatamente, vietano fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
A tale proposito, la direttiva (UE) 2015/1535, adottata il 9 settembre 2015 – che ha abrogato e sostituito la direttiva 98/34/CE - disciplina l’obbligo e la procedura di notifica alla Commissione europea delle regolamentazioni tecniche nazionali prima della loro adozione. Ai sensi di tale normativa, oggetto di vaglio preventivo sono anche i progetti di regole volti a istituire marchi che collegano la qualità di un prodotto alla sua origine.
Peraltro, per ciò che specificamente attiene alle denominazioni di origine, vige una specifica disciplina europea sulle DOP, IGP e STG (Regolamento n. 1151/2012 (UE)) e quella sulla qualità dei prodotti vitivinicoli (Regolamento (UE) n. 1308/2013), nonché una disciplina generale sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori (Reg. n. 1169/2011 (UE)) – che opera, in sostanza, laddove non opera la disciplina specifica dei prodotti DOP, IGP e STG – e costituisce anch'essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto.
Sulla disciplina sopra richiamata si rinvia, più diffusamente, alle schede di lettura di cui agli articoli 15 e seguente della PDL in esame.
Gli articoli da 2 a 13 della proposta di legge intervengono sul codice di procedura penale e sul codice penale in relazione alle fattispecie di contraffazione e di frode.
In particolare, mentre l’articolo 2 estende la competenza della procura distrettuale alle ipotesi aggravate di contraffazione, gli articoli da 3 a 12 prevedono:
§ un generale inasprimento delle pene, tanto detentive quanto pecuniarie;
§ la previsione di aggravanti per i delitti commessi attraverso la rete internet;
§ l’abrogazione della fattispecie di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.) con conseguente inserimento di queste condotte nelle fattispecie comuni di contraffazione e frode (art. 473 e 474 c.p., art. 514 c.p.).
Il bene giuridico che il complesso dei fenomeni rientranti sotto la nozione di contraffazione danneggia è rappresentato dalla “proprietà intellettuale”, risultato dell’inventiva e dell’ingegno imprenditoriale e artistico.
In linea generale, per contraffazione s’intende la riproduzione illecita di un bene e la relativa commercializzazione, in violazione di un diritto di proprietà intellettuale e/o industriale (marchi d’impresa e altri segni distintivi, brevetti per invenzione, modelli di utilità, design industriale).
In questo senso, si pongono in violazione dei diritti di proprietà intellettuale le merci:
• contraffatte in senso stretto, in quanto recanti l’indebita riproduzione di marchi e altri segni distintivi registrati;
• usurpative, vale a dire prodotte senza il consenso del titolare del diritto d’autore o dei diritti connessi, ovvero del titolare dei diritti relativi al disegno o modello, registrato o meno a norma del diritto nazionale, o di una persona da questi validamente autorizzata nel paese di produzione;
• lesive dei diritti relativi a un brevetto, a un certificato protettivo complementare, alla privativa nazionale o comunitaria per ritrovati vegetali, alle denominazioni di origine o alle indicazioni geografiche.
Le condotte di contraffazione riguardano: i prodotti su cui sia stato apposto senza autorizzazione un marchio di fabbrica o di commercio identico ad altro validamente registrato ovvero che non possa essere distinto nei suoi aspetti essenziali da tale marchio di fabbrica o di commercio e che pertanto violi i diritti del titolare del marchio in questione; qualsiasi segno distintivo (compresi logo, etichetta, opuscolo ecc.), anche presentato separatamente, che si trovi nella stessa situazione innanzi descritta; gli imballaggi recanti marchi di merce contraffatta presentati separatamente, che si trovino nella stessa situazione di cui sopra.
Dalla normativa nazionale i diritti di proprietà industriale sono tutelati sia in sede civile, con il Codice della proprietà industriale, che si riferisce sia ai marchi che alle denominazioni d'origine e alle indicazioni di provenienza geografica, e con la legge sul diritto d'autore per le opere dell'intelletto, sia in sede penale, con le fattispecie di reati di contraffazione previsti nel codice penale e nelle leggi speciali a tutela delle alterazioni e usurpazioni dei diritti di proprietà industriale, compreso il settore agroalimentare.
In sede comunitaria la definizione della «contraffazione» è contenuta dal Libro Verde della Commissione COM (98) 569 del 15 ottobre 1998 «Lotta alla contraffazione ed alla pirateria nel mercato interno». Il Libro verde stabilisce che le nozioni di contraffazione e pirateria riguardano tutti i prodotti, i processi e i servizi che sono oggetto o risultato di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, compresi i marchi di fabbrica, i marchi commerciali, i disegni e i modelli industriali, i brevetti di invenzione, modelli di utilità, le indicazioni geografiche), e per quanto riguarda le opere dell'ingegno, i diritti degli autori e i diritti a questi connessi (interpreti, esecutori, produttori di libri, fonogrammi, film, radiodiffusione e banche dati)».
Successivamente l'articolo 2 del Regolamento CE n.?1383/2003 ha precisato che per «merci che violano un diritto di proprietà intellettuale» ai sensi del Regolamento (CE) n.?40/94 del 20 dicembre 1993 sul marchio comunitario o ai sensi di legislazione di Stato membro, si intendono sia le «merci contraffatte», sulle quali è apposto senza autorizzazione un marchio di fabbrica o di commercio identico a quello validamente registrato per gli stessi tipi di merci, non distinguibile da quello legittimo nei suoi aspetti essenziali (alle merci sono equiparati i segni distintivi, quali logo, etichetta, autoadesivo, opuscolo illustrativo o documento di garanzia o gli imballaggi recanti marchi delle merci contraffatte presentati separatamente), sia le «merci usurpative», che «costituiscono o contengono copie fabbricate senza il consenso del titolare del diritto d'autore o del titolare dei diritti relativi al disegno o modello», sia, infine, le merci che ledono i diritti relativi ad un brevetto, ad un certificato protettivo complementare, alla privativa nazionale per ritrovati vegetali, alla denominazione d'origine o alle indicazioni geografiche registrate.
Lo sviluppo del quadro normativo del contrasto alla contraffazione è stato segnato dalla profonda riforma avviata nel 2009 (legge 23 luglio 2009, n. 99, con particolare riguardo agli articoli 15, 16 e 17), che ha rappresentato un punto di svolta in riferimento alla definizione dell’apparato sanzionatorio, agli strumenti per l’aggressione patrimoniale dei profitti conseguiti illecitamente, ai profili penali, processuali ed investigativi, nonché agli interventi punitivi sugli acquirenti finali. La legge n. 99 del 2009 contiene disposizioni penali, sostanziali e processuali, volte alla tutela del comparto industriale contro il fenomeno della contraffazione. Tra le principali novità introdotte dalla legge si segnalano, sotto il profilo sanzionatorio:
• lo sdoppiamento in due fattispecie dell’articolo 473 del codice penale, per punire, rispettivamente con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e da 1 a 4 anni, la contraffazione di marchi e segni distintivi e quella di brevetti, disegni o modelli industriali;
• un’analoga suddivisione in due distinte condotte dell’articolo 474 del codice penale, di cui la prima riferita all’introduzione nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, di prodotti con marchi o segni distintivi contraffatti o alterati e la seconda relativa alla detenzione, vendita e messa in circolazione di analoghe merci;
• l’introduzione, con l’articolo 474-ter del codice penale, di una fattispecie aggravata dei reati di contraffazione, per i casi di commissione delle condotte “in modo sistematico ovvero attraverso l’allestimento di mezzi e attività organizzate”;
• la previsione, ai sensi dell’articolo 517-quater del codice penale, di una specifica sanzione per le condotte di contraffazione o alterazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari, nonché per l’importazione, la detenzione per la vendita, l’offerta in vendita e la messa in circolazione di prodotti agroalimentari con indicazioni geografiche o denominazioni di origine contraffatte;
• l’integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 anche per ipotesi di commissione di reati in materia di contraffazione (articoli 473 e 474 del codice penale) e di usurpazione del made in Italy (articoli 517, 517-ter e 517-quater del codice penale).
Uno degli aspetti più qualificanti della riforma del 2009 è rappresentato dalle novità introdotte in tema di aggressione ai patrimoni illeciti, ai capitali, alle aziende, ai prodotti e ai profitti realizzati dagli operatori dell’ “industria del falso”. Da questo punto di vista, il legislatore è intervenuto su più fronti, introducendo una serie di misure, allo scopo di colpire la stessa ragion d’essere dei traffici di merci contraffatte, vale a dire le ricchezze accumulate, impiegate e reinvestite dagli autori dei reati. In questa prospettiva, con l’introduzione dell’articolo 474-bis del codice penale, è stato anzitutto stabilito che, per le ipotesi previste dagli artt. 473, 474, 517-ter e 517- quater del codice penale è sempre ordinata la confisca, anche per equivalente, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e di quelle che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto.
Secondariamente, il terzo comma dell’articolo 15 della legge n. 99 del 2009 ha inserito nell’elenco dei reati-presupposto per cui si può applicare la “confisca per sproporzione”, prevista dall’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306,74 anche i casi in cui si procede per associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei delitti previsti dagli articoli 473, 474, 517-ter e 517-quater del codice penale
La riforma è intervenuta significativamente anche sul piano processuale e degli strumenti investigativi, sulla scia della considerazione della gravità sociale dei fenomeni di contraffazione su larga scala, che sono molto spesso gestiti o controllati dalla criminalità organizzata. Pertanto l’articolo 15 della legge n. 99 del 2009, novellando l’articolo 51, comma 3- bis, del codice di procedura penale, ha inserito tra i delitti di competenza delle Procure Distrettuali Antimafia anche i casi di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di contraffazione. Altre novità sono state poi introdotte in relazione agli strumenti investigativi utilizzabili dalle Forze di polizia per il contrasto delle condotte della specie, segnatamente la previsione che abilita gli ufficiali di polizia giudiziaria a effettuare operazioni sotto copertura ed eseguire attività di c.d. “consegna controllata” anche per finalità di contrasto alle fattispecie riconducibili agli articoli 473 e 474 del codice penale.
La legge ha poi provveduto a modificare la sanzione amministrativa contemplata a carico degli acquirenti consapevoli di prodotti contraffatti o usurpativi del made in Italy, già prevista dall’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 prevedendo:
• l’eliminazione, dalla lettera della norma, dell’inciso “salvo che il fatto costituisca reato”, che costringeva gli organi di controllo a procedere esclusivamente al deferimento all’Autorità Giudiziaria delle persone sorprese ad acquistare beni di tal genere, per presunte responsabilità penali per il reato d’incauto acquisto previsto dall’articolo 712 c.p.;
• un abbassamento delle soglie minime e massime della pena pecuniaria irrogabile a consumatori finali, rispettivamente da 500 a 100 euro e da 10.000 a 7.000 euro;
• l’irrogazione di una sanzione da 20.000 a 1.000.000 di euro, nonché la confisca amministrativa dei locali di produzione, deposito, detenzione dei materiali contraffatti qualora l’acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall’acquirente finale.
Per quanto riguarda i successivi interventi normativi va segnalata la legge 14 gennaio 2013, n. 9, il cui articolo 14, comma 3, modificando l’articolo 266 del codice processuale penale, ha aggiunto al novero dei reati per i quali può essere richiesto l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche le principali fattispecie in tema di contraffazione.
L’articolo 2 della proposta inserisce l’associazione a delinquere finalizzata a commettere un reato di contraffazione o di commercio di prodotti contraffatti aggravato, ai sensi dell’art. 474-ter del codice penale, tra i delitti di competenza della procura distrettuale.
A tal fine, l’elenco dei reati di competenza «dell’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente» (art. 51, comma 3-bis, c.p.p.), che già comprende l’associazione a delinquere realizzata allo scopo di commettere uno dei reati previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., è integrato dalla previsione dell’art. 474-ter.
Si anticipa sin d’ora che sulla formulazione dell’art. 474-ter c.p. interviene l’art.5 della p.d.l., cui si rinvia.
Gli articoli da 3 a 12 della proposta di legge modificano le disposizioni del codice penale relative alle fattispecie di contraffazione e di frode prevedendo:
§ un generale inasprimento delle pene, tanto detentive quanto pecuniarie;
§ la previsione di aggravanti per i delitti commessi attraverso la rete internet;
§ l’abrogazione della fattispecie di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.) con conseguente inserimento di queste condotte nelle fattispecie comuni di contraffazione e frode (art. 473 e 474 c.p., art. 514 c.p.).
In particolare, l’articolo 3 sostituisce l’art. 473 c.p., relativo al delitto di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni.
L’attuale formulazione dell’art. 473 c.p. è stata introdotta dall’art. 15 della legge n. 99 del 2009, che ha eliminato dal codice la tutela penale delle opere dell’ingegno, cui fanno ora riferimento gli articoli 171 e 171-ter della legge sul diritto d’autore (legge n. 633 del 1941).
L'art. 473 prevede due diversi reati: il primo, relativo alla falsificazione di marchi o segni distintivi dei prodotti industriali (1° co.), il secondo relativo alla falsificazione di brevetti, disegni o modelli industriali (2° co.). Se prima della riforma del 2009 era pacifico che il bene giuridico tutelato fosse la fede pubblica (gli articoli 473 e 474 sono inseriti nel titolo VII del codice penale, relativo ai delitti contro la fede pubblica), attualmente la questione è dibattuta da dottrina e giurisprudenza, che tendono a ricondurre il primo comma alla tutela della proprietà industriale.
I delitti previsti dall'art. 473 sono reati di pericolo concreto, giacché l'integrazione dell'elemento oggettivo richiede la specifica attitudine offensiva della condotta, vale a dire l'effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori.
Il primo comma tutela i marchi registrati, con esclusione di tutti i segni che - pur dotati di efficacia distintiva dell'attività o dei prodotti o dei servizi come il marchio di fatto, ditta, denominazione sociale, ecc. - non sono stati assoggettati alla procedura che conferisce un diritto di esclusiva, normativamente definito. La registrazione del marchio è ritenuta un elemento essenziale (un presupposto) per l'integrazione del reato (C., Sez. II, 26.3.1998; C., Sez. V, 8.5.1995; C., Sez. V, 25.3.1986). Il terzo comma precisa che intanto si accede alla tutela dell’art. 473 in quanto siano state osservate le leggi interne o le convenzioni internazionali, e dunque solo laddove sia esaurito il procedimento amministrativo della registrazione. La invalidità del marchio ne impedisce la tutela penale solo per i fatti successivi alla sua declaratoria (C., Sez. V, 25.3.1986).
Sono sanzionate - come di norma nelle falsità materiali - le varie forme della falsificazione di marchi altrui: contraffazione (riproduzione integrale del marchio in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa), alterazione (la modificazione del segno, ricomprendente anche la imitazione fraudolenta, cioè la riproduzione parziale ma tale da potersi confondere con il marchio originale o con il segno distintivo), nonché l'uso dei marchi falsificati.
La differenza tra illecito civile e penale in caso di imitazione del marchio è costituita essenzialmente dalla natura dolosa di quest'ultimo, la quale esclude rilievo in sede penale a significativa parte della casistica in ambito civile sulle imitazioni confusorie. L'oggetto del dolo è dato dalla consapevolezza di tutti gli elementi costitutivi del reato (dolo generico), ed in particolare in giurisprudenza tradizionalmente si sottolinea la necessità della coscienza e volontà dell'immutatio veri (C., Sez. III, 30.1.1962; C., Sez. III, 20.5.1954). In merito, il primo comma dell’art. 473 c.p. richiede che l'autore del fatto abbia avuto conoscenza dell'esistenza del titolo di proprietà industriale. La giurisprudenza (C., Sez. V, 5.11.2001; C., Sez. V, 6.3.1980) ha precisato che tale consapevolezza non esige la conoscenza positiva della ricorrenza di detto dato formale, essendo sufficiente l'accettazione del rischio che la registrazione sia effettivamente esistente, accettazione desumibile da tutte le circostanze e anche dal comportamento complessivo dell'imputato (C., Sez. V, 5.11.2001).
L'oggetto materiale del reato previsto nell'art. 473, 2° co. - falsificazione di brevetti, disegni o modelli industriali - è individuato nei brevetti per invenzione industriale, che riguardano le invenzioni nuove che implicano una attività inventiva e sono atte ad avere una applicazione industriale (artt. 45 ss. del codice della proprietà industriale), nei brevetti per modelli di utilità, cioè le forme nuove del prodotto industriale, che gli conferiscono una particolare efficacia o comodità d'applicazione o d'impiego (artt. 82 ss. CPI), e nelle registrazioni per modelli e disegni ornamentali, vale a dire i nuovi aspetti dell'intero prodotto o di una sua parte nelle caratteristiche di linee, contorni, colori, forma della struttura superficiale, dei materiali o degli ornamenti (artt. 31 ss. CPI).
La riforma modifica la fattispecie di contraffazione dei marchi, estendendone il campo d’applicazione alla tutela delle indicazioni geografiche o delle denominazioni di origine dei prodotti alimentari, inasprisce le pene e configura un’aggravante per i reati commessi attraverso internet.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 473
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Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni
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Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno, di prodotti industriali e di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari anche tramite il web |
Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.
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Chiunque, potendo conoscere l'esistenza di un titolo di proprietà industriale, contraffà, imita, usurpa, evoca o comunque altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti, o di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione, alterazione, imitazione, usurpazione o evocazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati o indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000. |
Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.
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Soggiace alla pena della reclusione da due a cinque anni e della multa da euro 30.000 a euro 150.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. |
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui ai commi primo e secondo sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
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I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti dell'Unione europea e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale |
In particolare,
§ la rubrica dell’art. 473 è modificata per ricomprendere anche la tutela di denominazioni di origine di prodotti agroalimentari e la possibilità di realizzare il delitto tramite il web. Nella riscrittura della rubrica, la proposta elimina ogni riferimento al reato di cui al secondo comma, relativo alla falsificazione di brevetti, disegni o modelli industriali e omette ogni richiamo al marchio, preferendo il riferimento ai più generici “segni distintivi”;
§ la fattispecie di falsificazione di marchi o segni distintivi dei prodotti industriali (primo comma) è integrata sia dal punto di vista delle condotte, aggiungendo alla contraffazione, all’alterazione e all’uso anche l’imitazione, l’usurpazione e l’evocazione dei marchi, sia dal punto di vista del bene tutelato, inserendo come anticipato la tutela «di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari».
La dottrina ha sempre escluso che fossero ricomprese nella tutela dell'art. 473 le denominazioni di origine e di provenienza, ritenendo che si tratti di figure non aggredibili con la contraffazione o alterazione, vale a dire con il falso materiale, che ha ad oggetto i segni che distinguono e non quelli che attestano una qualità comune. La giurisprudenza, invece, aveva originariamente riconosciuto l’applicabilità dell’art. 473 c.p. anche a tutela delle denominazioni tipiche (C., Sez. V, 16.2.1995). Il problema è stato risolto dalla riforma del 2009 che ha introdotto l’art. 517-quater c.p., costruito peraltro sullo stesso modello della tutela del marchio, per assicurare tutela penale alle denominazioni collettive d'origine protetta. La proposta di legge intende dunque superare la riforma del 2009 riconducendo all’art. 473 c.p., espressamente, anche la tutela delle indicazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
Per quanto riguarda la previsione di condotte di imitazione e usurpazione del marchio, la proposta di legge non innova rispetto all’interpretazione data attualmente dalla giurisprudenza. L'orientamento dominante in giurisprudenza (cfr. Cass., Sez. V, sent. 9 marzo 2005, n. 38068), infatti, intende per contraffazione la riproduzione integrale del marchio in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa e per alterazione la modificazione del segno, ricomprendente anche la imitazione fraudolenta, cioè la riproduzione parziale ma tale da potersi confondere con il marchio originale o con il segno distintivo. Si richiede che ambedue le condotte sfocino nella creazione di una controfigura del marchio autentico, deve cioè sussistere tra i marchi una somiglianza di grado assai elevato, che va dalla identità della pedissequa riproduzione (usurpazione del marchio) alla creazione di un marchio - che pur presenti elementi autonomi - imitante quello originale nel complesso dei suoi elementi essenziali.
§ Le pene previste dall’art. 473 sono inasprite: per la falsificazione di marchi o segni distintivi dei prodotti industriali e delle denominazioni tipiche dei prodotti agroalimentari (primo comma) la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni e della multa da 2.500 a 25.000 euro è sostituita dalla reclusione da 2 a 8 anni con multa da 20.000 a 100.000 euro. Per la falsificazione di brevetti, disegni o modelli industriali (secondo comma), la pena della reclusione da 1 a 4 anni e della multa da 3.500 a 35.000 euro è sostituita con la reclusione da 2 a 5 anni con multa da 30.000 a 150.000 euro.
§ È introdotta una aggravante (pena aumentata di un terzo) quando i delitti sono commessi tramite l’utilizzo del web.
Allo stato attuale l’uso della rete è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come possibile in relazione al reato di cui all’art. 517 ter c.p., che punisce la vendita di prodotti industriali con segni mendaci, più che nella realizzazione dei reati previsti dall’art. 473, che richiede la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo.
In ordine alla formulazione del nuovo terzo comma dell’art. 473 c.p. (e della rubrica) si valuti l’opportunità di sostituire il riferimento al web con quello alla rete internet: tale espressione, infatti, già ricorre all’art. 609-undecies c.p., in relazione al reato di adescamento di minore. In alternativa, si valuti il riferimento ai fatti commessi attraverso strumenti informatici o telematici: è questa l’espressione usata dal codice penale per aggravare i delitti di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quinquies c.p.), istigazione a delinquere (artt. 302 e 414 c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.).
L’articolo 4 sostituisce l’art. 474 c.p., che punisce l’introduzione nello Stato ed il commercio di prodotti con segni falsi.
L’attuale formulazione dell’art. 474 c.p. è frutto dell’art. 15 della legge n. 22 del 2009, che ha distinto in due separati commi la condotta di chi, fuori dai casi di concorso nei reati di contraffazione di cui all'art. 473, introduce nel territorio dello Stato prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati (1° co.) e quella di chi, fuori dai casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nello Stato, detiene per la vendita o mette altrimenti in circolazione i prodotti di cui al primo comma (2° co.). Il 3° co. subordina la punibilità dei suddetti delitti alla condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Il reato di cui all'art. 474 ha il suo presupposto logico nella fattispecie prevista dall'art. 473 e ne rappresenta il naturale sviluppo, secondo un'ottica di tutela della fede pubblica; la falsificazione dei segni distintivi è caratterizzata, infatti, da un iter esecutivo bifasico: il momento dell'apposizione sul prodotto del marchio contraffatto (ipotesi più grave prevista dall'art. 473) e il momento della messa in vendita della merce falsamente contrassegnata (ipotesi meno grave disciplinata dall'art. 474). Nel primo reato la condotta ha per oggetto materiale il contrassegno, nel secondo il prodotto contrassegnato (C., Sez. V, 2.4.1996). Il secondo reato trova applicazione “fuori dei casi di concorso” nella contraffazione.
Tanto per il reato di introduzione nel territorio statale, quanto per quello di commercializzazione, l’art. 474 richiede il dolo specifico del fine di trarre profitto. In caso di detenzione di prodotti con marchi contraffatti è necessario provare la finalità di vendita sulla base dei più disparati elementi indiziari, purché essi siano univocamente conducenti alla conclusione che il possesso sia diretto alla attività del successivo commercio o messa in circolazione del corpo di reato (Cass., Sez. II, sent. 28 settembre 2011, n. 142).
La fattispecie di cui all’art. 474 c.p. non va confusa con il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all’art. 517 c.p.: integra il primo delitto, infatti, la condotta di acquisto per la rivendita al pubblico di beni con marchi o segni distintivi falsificati se vi è sostanziale identità del "logo" riprodotto rispetto a quello originale, in quanto il primo delitto si riferisce a prodotti recanti marchi - e, quindi, segni distintivi delle ditte produttrici - contraffatti, mentre il secondo, posto a tutela dell'ordine economico, punisce la messa in circolazione di prodotti dell'ingegno od opere industriali recanti marchi o segni distintivi atti ad ingannare il compratore su origine, provenienza o qualità della merce (cfr. Cass., Sez. II, sentenza 17 febbraio 2017, n. 27376).
La proposta di legge riconduce ad un unico comma le due distinte fattispecie di introduzione nello Stato di prodotti industriali contraffatti e di commercializzazione degli stessi, prevedendo una unica pena, significativamente più severa rispetto alle attuali. Analogamente a quanto previsto all’art. 473 c.p., anche queste fattispecie sono relative anche alle contraffazioni di indicazioni geografiche o di denominazioni di origine di prodotti agroalimentari. La riforma precisa, inoltre, che la fattispecie di vendita ricorre anche “indipendentemente dall’effettiva immissione in consumo”.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 474
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Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi
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Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi anche tramite il web |
Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall'articolo 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 3.500 a euro 35.000.
Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
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Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall'articolo 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato indipendentemente dall'effettiva immissione in consumo, detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, prodotti con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati ovvero con indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari contraffatte o alterate è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 30.000 a euro 150.000. |
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al primo comma sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
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I delitti previsti dal primo comma sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti dell'Unione europea e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale |
La riforma, inoltre:
§ modifica la rubrica, facendo riferimento anche alle condotte realizzate tramite il web;
§ individua nell’utilizzo del web per realizzare le condotte una specifica aggravante del reato, che comporta l’applicazione di una pena aumentata di un terzo; per l’impiego dell’espressione “utilizzo del web” si vedano le osservazioni già svolte sull’art. 3 della p.d.l.
§ aggiorna il riferimento alla regolamentazione comunitaria con quello alla regolamentazione dell’Unione europea.
La proposta di legge non interviene sull’art. 474-bis c.p., che prevede una ipotesi di confisca obbligatoria e per equivalente in caso di condanna per uno dei delitti previsti dagli articoli 473 e 474 c.p..
L’articolo 5 sostituisce l’art. 474-ter del codice penale, relativo alle circostanze aggravati i delitti di contraffazione di cui agli articoli 473 e 474.
Anch’esso introdotto dalla legge n. 99 del 2009, l’art. 474-ter prevede due circostanze aggravanti indipendenti, applicabili, la prima, ai delitti di cui agli artt. 473 e 474, 1° co., e la seconda, con un minore aggravamento di pena, al reato di cui all'art. 474, 2° co. La circostanza è configurabile nel caso in cui i delitti indicati siano commessi in modo sistematico o attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate.
Poiché i requisiti richiesti per la circostanza in esame possono essere indice dell'esistenza di una associazione per delinquere, la norma attualmente specifica che la circostanza è applicabile nel solo caso in cui non ricorrano gli elementi necessari per configurare l’applicabilità dell’art. 416 c.p., finalizzato alla commissione dei reati di cui agli artt. 473 e 474, 1° co.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 474-ter
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Circostanza aggravante
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Se, fuori dai casi di cui all'articolo 416, i delitti puniti dagli articoli 473 e 474, primo comma, sono commessi in modo sistematico ovvero attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate, la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.000 a euro 50.000.
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Se i delitti puniti dagli articoli 473 e 474 sono commessi in modo sistematico, ovvero attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate, la pena è della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 40.000 a euro 200.000. |
Si applica la pena della reclusione fino a tre anni e della multa fino a euro 30.000 se si tratta dei delitti puniti dall'articolo 474, secondo comma.
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Soppresso. |
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Per i delitti di cui al primo comma non si applicano le disposizioni dell'articolo 69.
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al primo comma sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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La proposta di legge coordina il testo dell’art. 474-ter con le modifiche apportate all’art. 474, che hanno ricondotto a un unico comma le attuali fattispecie di introduzione nello Stato di prodotti industriali contraffatti e di commercializzazione degli stessi. Conseguentemente, anche l’aggravante fa ora riferimento complessivamente ai delitti di cui all’art. 474. Inoltre,
§ elimina la clausola di salvezza dell’art. 416;
§ inasprisce la pena quando i reati sono commessi in modo sistematico, ovvero attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate;
§ esclude che in presenza di questa aggravante il giudice possa calcolare la pena applicando l’art. 69 c.p. sul concorso di circostanze aggravanti e attenuanti;
Si ricorda che ai sensi dell’art. 69, quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti (primo comma). Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tiene conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti (secondo comma). Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze (terzo comma). Questi criteri di calcolo operano anche quando le circostanze si riferiscono alla persona del colpevole, tranne che nei casi di recidiva reiterata (art. 99, quarto comma), di determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile (art. 111) o minore (art. 112), casi nei quali vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti (quarto comma).
Nell’escludere l’applicazione dell’articolo 69, la proposta di legge non chiarisce come il giudice debba calcolare la pena in presenza – oltre che dell’aggravante dell’art. 474-ter – anche di eventuali ulteriori aggravati o attenuanti. Si valuti dunque una diversa formulazione del secondo comma dell’art. 474-ter c.p.
Si ricorda, infatti, che la funzione cardine delle circostanze del reato, aggravanti e attenuanti, e dei criteri di computo della pena in applicazione di dette circostante, è quella di avvicinare il più possibile la valutazione legale al reale disvalore dei fatti concreti, così da meglio commisurare il trattamento sanzionatorio in vista di una maggiore possibile individualizzazione della responsabilità penale.
Se l’intenzione dei proponenti è quella di fare in modo che questa aggravante, non possa essere posta in bilanciamento con eventuali attenuanti, si valuti l’opportunità di introdurre la seguente formulazione: «le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con l’aggravante prevista dal primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante».
Si tratta di una formulazione che fa salva la prevalenza dell’attenuante della minore età, come richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, già attualmente prevista dagli articoli 624-bis (furto in abitazione e furto con strappo) e 628 (rapina).
Il codice penale prevede inoltre disposizioni analoghe, che fanno salva anche l’attenuante dell’art. 114 c.p., agli articoli 270-bis.1 (reati di terrorismo), 280 e 280-bis (attentato per finalità terroristiche e atto di terrorismo con esplosivi), 375 (Frode in processo penale e depistaggio), 416-bis.1 (Circostanze aggravanti e attenuanti per reati connessi ad attività mafiose), 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) e 602-ter (aggravanti dei delitti di tratta).
§ prevede una ulteriore aggravante quando il reato aggravato è commesso tramite l’uso del web.
Si valuti l’opportunità di eliminare il terzo comma dell’art. 474-ter tenuto conto che la proposta di legge già prevede sia per il delitto di cui all’art. 473 (art. 3) che per quello di cui all’art. 474 (art. 4) una specifica aggravante quando i fatti siano commessi tramite l’utilizzo del web.
La riforma non interviene sull’art. 474-quater c.p., che prevede una circostanza attenuante (pena diminuita dalla metà a due terzi) per il colpevole di uno dei fatti previsti dagli articoli 473 e 474 che cooperi con le autorità nell’azione di contrasto dei suddetti delitti, e nella raccolta di elementi utili alle indagini.
L’articolo 6 della proposta di legge sostituisce l’art. 514 del codice penale che punisce le frodi contro le industrie nazionali.
La fattispecie è collocata nel titolo VIII del codice penale, relativo ai delitti contro l’economia; in particolare all’interno del capo II, sui delitti contro l’industria e il commercio e punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 516 chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale. Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474. Questa circostanza aggravante, riferendosi all'ipotesi in cui siano state osservate le disposizioni interne ed internazionali sulla tutela penale della proprietà industriale, consente di limitare l'operatività dell'art. 514, 1° co. ai contrassegni non registrati e, quindi, a distinguere nettamente tale delitto dall'art. 474.
Anche in presenza di episodi reiterati e diffusi di vendite di prodotti con segni contraffatti o alterati la giurisprudenza non ha applicato questa fattispecie, che richiede l’evento del danno all’industria nazionale. Il danno all'industria nazionale, pur potendo riguardare un singolo settore, deve essere comunque di proporzioni consistenti, tali da ingenerare la diminuzione del volume di affari o l'offuscamento del buon nome della produzione interna o di un suo settore, facendo venir meno negli acquirenti l'affidamento sulla originalità dei prodotti (C., Sez. III, 21.5.2013, n. 38906, che ha ritenuto integrasse il delitto di cui all'art. 474 la contraffazione dei marchi di un noto stilista relativi ad un rilevante numero di camicie).
Il delitto è comune (“chiunque”) e la condotta tipica consiste nel porre in vendita o nel mettere altrimenti in circolazione in Italia o anche all'estero (cfr. C., Sez. III, 21.5.2013, n. 38906; C., Sez. V, 9.11.1993) prodotti industriali con nomi, marchi, segni distintivi contraffatti o alterati.
Nei tratti essenziali la condotta coincide con il delitto di cui all'art. 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi); le principali differenze riguardano l'oggetto materiale del reato, limitato, nella disposizione in esame, ai soli prodotti industriali, con marchi non registrati o non validamente registrati, e non alle opere dell'ingegno.
La proposta allarga il campo d’applicazione della fattispecie penale alle frodi relative alle denominazioni di origine o alle indicazioni geografiche e conseguentemente aggiunge al riferimento alle industrie nazionali quello alle imprese nazionali.
Laddove si ritenga essenziale questa precisazione, si valuti l’opportunità di omogeneizzare la rubrica con il contenuto dell’articolo prevedendo anche al primo comma il nocumento, oltre che all’industria nazionale, anche alle imprese nazionali.
La proposta di legge, inoltre:
§ mantenendo ferma l’attuale pena detentiva (reclusione da 1 a 5 anni), aumenta la pena pecuniaria (la multa attuale “non inferiore a 516 euro” è portata da un minimo di 2.000 a un massimo di 20.000 euro);
§ prevede un’aggravante (pena aumentata di un terzo) se i fatti sono commessi tramite l’utilizzo del web.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 514
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Frodi contro le industrie nazionali
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Frodi contro le industrie e le imprese nazionali anche tramite il web
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Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 516.
Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.
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Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione sui mercati nazionali o esteri, prodotti con nomi, marchi o segni distintivi, denominazioni di origine o indicazioni geografiche contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.000 a euro 20.000. Se per i marchi e segni distintivi, le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474. |
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al primo comma sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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La proposta di legge non pare affrontare il nodo centrale che anche attualmente rende questa disposizione sostanzialmente inapplicabile, ovvero il problema di provare il nocumento all’industria nazionale.
L’articolo 7 del provvedimento in esame interviene sull’art. 515 c.p., relativo al delitto di frode nell’esercizio del commercio.
Attualmente l’art. 515 c.p. punisce con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065 chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103.
La norma, pur operando in un rapporto bilaterale, non fa riferimento agli interessi patrimoniali delle parti, ma piuttosto alla buona fede negli scambi commerciali, a tutela sia del pubblico dei consumatori, sia dei produttori e commercianti.
Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente che l'agente abbia consapevolezza e coscienza di consegnare cosa diversa da quella pattuita (cfr. Cass., Sez. III, sentenza 25 ottobre 2017, n. 13998, che ha ritenuto sufficiente a provare il dolo la circostanza che l'agente avesse modificato la denominazione del prodotto in vendita).
L'art. 515 è tra le norme penali più applicate del nostro codice, e tra le ragioni di siffatta effettività si annovera la facilità d'accertamento della responsabilità rispetto alla fattispecie contigua della truffa, che richiede complesse indagini psicologiche sul dolo dell'agente e sulle modalità strutturali del fatto.
Per quanto riguarda il rapporto tra questa e altre fattispecie, la giurisprudenza ha affermato che mentre la disposizione codicistica è posta a presidio della regolarità dei rapporti commerciali, le leggi in materia di alimenti proteggono la garanzia della qualità dei prodotti (Cass., Sez. III, 3.12.1997; C. 25.10.1989). In caso di violazione di norme a presidio della qualità degli alimenti, la giurisprudenza ha ravvisato dunque un concorso di reati: ciò anche nel caso di commercio come prodotti "d.o.p." (es. grana padano) di alimenti privi delle necessarie caratteristiche (Cass., Sez. III, sent. 21 gennaio 2014, n. 2617; Cass., Sez. III, sentenza 12 febbraio 2009; Cass., Sez. III, sentenza 22 aprile 1999) o di violazione delle norme in tema di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari (Cass., Sez. III, sentenza 8 novembre 2007; Cass., Sez. III, sent. 8 marzo 2001).
Per la giurisprudenza, inoltre, integra il reato di frode nell'esercizio del commercio - e non quello di cui all'art. 474 - l'apposizione di una falsa marcatura CE su beni posti in commercio che ne siano privi (C., Sez. V, 26.10.2012-31.1.2013, n. 5068) o la consegna di merce (nella specie, occhiali da sole) recante la marcatura CE (indicativa della locuzione "China Export") apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE (Comunità Europea) (Cass., Sez. III, sent. 18 settembre 2014, n. 45916).
Rispetto alla normativa vigente la riforma:
§ inasprisce le pene prevedendo la reclusione fino a cinque anni in alternativa alla multa fino a euro 20.000, mentre attualmente la reclusione è fino a 2 anni in alternativa alla multa fino a 2.065 euro;
§ prevede un’aggravante (pena aumentata di un terzo) se i fatti sono commessi tramite l’utilizzo del web;
§ elimina l’aggravante in caso di frode nell’esercizio del commercio di oggetti preziosi.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 515
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Frode nell'esercizio del commercio
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Frode nell'esercizio del commercio anche tramite il web
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Chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065.
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Chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a cinque anni o con la multa fino a euro 20.000. |
Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103.
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al primo comma sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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L’articolo 8 della proposta di legge sostituisce l’art. 517 c.p., sulla vendita di prodotti industriali con segni mendaci che attualmente punisce con la reclusione fino a 2 anni e con la multa fino a 20.000 euro chiunque pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione, opere dell'ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto.
L’art. 517 c.p. è norma di chiusura delle varie disposizioni a tutela dell’industria, del commercio e dei marchi, non a caso la disposizione prevede la clausola di sussidiarietà («... se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge...»), con la quale viene delimitato a priori l'ambito applicativo del delitto. Mentre la contraffazione ed alterazione dei marchi e segni distintivi è sanzionata dagli artt. 473 ss., il reato dell’art. 517 colpisce condotte tipiche di falso ideologico: il delitto ha per oggetto la tutela dell'ordine economico e dei consumatori e richiede la semplice imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purché sia idonea a trarre in inganno l'acquirente sull'origine, qualità o provenienza del prodotto da un determinato produttore (Cass., Sez. II, sent. 24 marzo 2015, n. 20600).
Il reato è comune e la condotta incriminata consiste nel porre in vendita o altrimenti in circolazione opere dell'ingegno (manifestazioni creative dell'intelletto umano) e prodotti industriali (tanto beni fabbricati su larga scala quanto beni di produzione artigianale) in modo da creare una potenziale insidia nel meccanismo di scelta dei consumatori, provocando un'artificiosa equivocità dei segni distintivi circa l'origine la provenienza e la qualità del prodotto. I segni distintivi non devono essere né contraffatti né alterati, altrimenti verseremmo nell'ipotesi di cui all'art. 474. Ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo dell'art. 517 occorre che i marchi (seppur non registrati) ed i segni distintivi (magari preadottati da altro imprenditore) siano imitati in modo da creare confusione sul consumatore di media diligenza. Si tratta di un reato di pericolo: tra i connotati tipizzanti è, infatti, contemplata soltanto l'attitudine ingannatoria dei segni apposti sul prodotto (o sull'opera), e non il verificarsi né di un effettivo inganno del compratore né, a fortiori, di un danno. Il reato punibile a titolo di dolo generico, è pertanto sufficiente la consapevolezza e la volontà dell'esposizione in vendita o della messa in circolazione di prodotti con segni mendaci.
Il mendacio può riguardare la provenienza del prodotto: è prototipico il caso dell'utilizzo di un marchio genuino per contraddistinguere un bene di diversa origine (c.d. delit de replissage) o anche l'apposizione di un marchio (o segno) su un prodotto in tutto o in parte fatto fabbricare da altri (C., Sez. III, 11.12.1984). Il falso sulla provenienza geografica si verifica nel caso di utilizzazione mendace di una provenienza geografica, cui la generalità dei consumatori associa un particolare pregio nelle qualità del prodotto. Il mendacio sulle qualità riguarda la composizione della merce, l'indicazione dei componenti o delle loro percentuali in modo difforme dal vero.
La clausola di riserva circoscrive in ristretti limiti l'efficacia della norma.
Il rapporto con l'art. 515 (Frode in commercio) è risolto dalla prevalente dottrina riconoscendo carattere sussidiario al delitto in esame.
Quanto al rapporto con i delitti di contraffazione, la giurisprudenza rileva che per la sussistenza dei reati di cui agli artt. 473 o 474 occorra la riproduzione integrale del segno distintivo (contraffazione) o la sua imitazione fraudolenta o falsificazione parziale, in modo che possa confondersi con quello originario (alterazione), mentre per la configurabilità del reato in commento è sufficiente l'imitazione idonea a trarre in inganno (Cass., Sez. II, 17.2.2017, n. 27376; Cass., Sez. V, 23.1.2009).
La riforma, rispetto al quadro normativo vigente:
§ specifica che la fattispecie di applica anche quando la vendita avviene su mercati internazionali;
§ prevede l’aggravante in caso di fatti commessi tramite l’utilizzo del web.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 517
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Vendita di prodotti industriali con segni mendaci
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Vendita di prodotti industriali con segni mendaci anche tramite il web
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Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro.
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Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, anche nei mercati nazionali e internazionali, opere dell'ingegno o prodotti con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20.000 euro. |
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al primo comma sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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La proposta di legge, nel modificare gli articoli 515 e 517 c.p., non integra il contenuto delle fattispecie con riferimento alle frodi relative ai prodotti agroalimentari. Coerentemente con questa scelta, non viene modificato l’art. 517-bis c.p. che aggrava i suddetti delitti «se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o le cui caratteristiche sono protetti dalle norme vigenti».
L’articolo 9 della proposta di legge sostituisce l’art. 517-ter del codice penale, in tema di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale.
Si tratta della fattispecie, introdotta dalla legge n. 99 del 2009, che punisce con la reclusione fino a 2 anni e con la multa fino a 20.000 euro:
§ chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso (primo comma). Questa fattispecie trova applicazione a meno che non ricorrano i più gravi reati previsti dagli articoli 473 e 474 c.p. Il delitto è punito a querela della persona offesa;
§ chiunque, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso (secondo comma).
Questi delitti sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
La norma è volta ad estendere la tutela penale dei diritti di proprietà industriale ai fatti di fabbricazione o commercio di beni con usurpazione del titolo di proprietà industriale, non riconducibili nelle fattispecie di cui agli artt. 473 e 474, perché non aventi ad oggetto cose con i segni distintivi contraffatti o alterati.
Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice va individuato nel diritto allo sfruttamento del titolo di proprietà industriale; ciò vale ulteriormente a distinguere la norma dai reati di cui agli artt. 515 ss., nonché di cui agli artt. 473 e 474, tutti caratterizzati dalla tutela degli interessi della generalità dei consumatori, mentre il reato previsto dall'art. 517 ter tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale e ricorre sia nell'ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell'ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti "originali" da parte di chi non ne è titolare (Cass., Sez. III, sent. 30 novembre 2016, n. 14812). La persona offesa del reato può pertanto essere individuata nel titolare del diritto di proprietà industriale sul bene: di qui la procedibilità a querela.
Il delitto di cui all'art. 517 ter, 1° co. è punito a titolo di dolo generico. La norma, ugualmente a quanto previsto nella nuova formulazione dell'art. 473, contiene un inciso, ai sensi del quale l'autore del fatto deve aver potuto conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale. Il delitto di cui all'art. 517 ter, 2° co., è invece punito a titolo di dolo specifico, essendo richiesto che il soggetto abbia agito al fine di trarre profitto dalla introduzione nello Stato o dalla messa in circolazione del bene.
Rispetto alla fattispecie vigente, la riforma:
§ prevede che entrambe le fattispecie, del primo e secondo comma, siano procedibili d’ufficio. Viene infatti soppressa la procedibilità a querela per il reato di fabbricazione di beni con usurpazione di titoli di proprietà industriale di cui al primo comma;
§ inasprisce le pene: la reclusione fino a 2 anni diviene reclusione fino a 6 anni mentre la multa fino a 20.000 euro viene innalzata fino a 40.000 euro;
§ prevede l’aggravante in caso di fatti commessi tramite l’utilizzo del web.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 517-ter
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Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale
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Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale anche tramite l'utilizzo del web
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Salva l'applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
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Salva l'applicazione degli articoli 473 e 474, chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito con la reclusione fino a sei anni e con la multa fino a euro 40.000. |
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma.
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Identico. |
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La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui ai commi primo e secondo sono commessi tramite l'utilizzo del web.
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Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
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Identico. |
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
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I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti dell'Unione europea e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale. |
L’articolo 10 della proposta sostituisce l’art. 517-quinquies del codice penale, che prevede una attenuante ad effetto speciale per i delitti di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter) e di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater). Il codice prevede infatti una diminuzione delle pene dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente le autorità nell'azione di contrasto dei delitti e nelle indagini.
La circostanza, il cui contenuto è identico a quello dell'art. 474-quater – non modificato dalla p.d.l. - è diretta a incentivare, con l'attenuazione della pena, tutte quelle condotte che possono favorire la scoperta e la repressione dei reati di cui agli artt. 517-ter, 517-quater.
L'attenuante è configurabile nei confronti di chi si adoperi per aiutare concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nell'azione di contrasto dei delitti di cui agli artt. 517 ter, 517 quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione e la cattura dei concorrenti negli stessi ovvero nella individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti. Ai fini del riconoscimento dell'attenuante, sono irrilevanti i motivi per i quali il colpevole abbia deciso di collaborare con l'autorità.
La proposta coordina il testo dell’attenuante con l’abrogazione dell’art. 517-quater (v. infra, art. 11 p.d.l.) e elimina dalle modalità della cooperazione con le autorità la “cattura dei concorrenti” nei reati.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 517-quinquies
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Circostanza attenuante
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Le pene previste dagli articoli 517-ter e 517-quater sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nell'azione di contrasto dei delitti di cui ai predetti articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.
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Le pene previste dall'articolo 517-ter sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nell'azione di contrasto del delitto di cui al predetto articolo 517-ter nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti. |
L’articolo 11 detta alcune disposizioni di coordinamento relative al contrasto penale della contraffazione
In particolare, i commi da 1 a 3 intervengono sulle modalità operative del sequestro di prodotti, laddove si proceda per uno dei seguenti reati (come modificati dalla p.d.l.):
§ contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno, di prodotti industriali e di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari anche tramite il web (art. 473 c.p.), anche aggravato (art. 474-ter c.p.);
§ introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi anche tramite il web (art. 474 c.p.), anche aggravato (art. 474-ter c.p.);
§ vendita di prodotti industriali con segni mendaci anche tramite il web (art. 517 c.p.);
§ importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione o commercializzazione o commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine (art. 4, comma 49, legge n. 350 del 2003).
In base alla riforma, quando procede al sequestro la polizia giudiziaria può catalogare e quantificare la merce in forma semplificata, se il pubblico ministero non dispone diversamente (comma 1), eventualmente procedendo all’individuazione delle singole categorie di prodotti oggetto del sequestro e alla loro quantificazione a peso (comma 2). Gli indagati possono richiedere al P.M. che si proceda invece con le forme ordinarie e quest’ultimo può disporre in tal senso con decreto motivato (comma 3).
Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire, al comma 3, se il PM abbia la possibilità di negare alla parte che la richieda la catalogazione puntuale.
Il comma 4 dell’articolo 11 abroga l’articolo 517-quater del codice penale che punisce la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. Come detto, infatti, la riforma inserisce questa fattispecie nelle disposizioni relative in generale alla contraffazione (artt. 473 e 474 c.p.) e alla frode (art. 514 c.p.).
La disposizione abrogata, introdotta dalla legge n. 99 del 2009, punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000 chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari (primo comma).
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i suddetti prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte (secondo comma).
La disposizione, inoltre, richiama l’applicazione degli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma del codice penale (terzo comma) e condiziona la punibilità all’osservanza delle norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (quarto comma).
Il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è generalmente individuato nella tutela della generalità dei consumatori da condotte che presentano una spiccata attitudine ingannatoria circa la provenienza di prodotti agroalimentari particolarmente qualificati, perché sottoposti a una specifica disciplina e tutela in ordine alla indicazione della loro origine geografica. Peraltro, una recente sentenza ha affermato che il delitto non richiede che le indicazioni fallaci siano idonee ad ingannare il pubblico dei consumatori, essendo finalizzato a proteggere l'interesse dei produttori titolati ad utilizzare le predette indicazioni o denominazioni, né esige che l'origine del prodotto sia tutelata attraverso la registrazione di un marchio collettivo (Cass., Sez. III, sent. 23 marzo 2016, n. 28354).
Quanto all'oggetto del reato, occorre fare riferimento alle indicazioni fornite dall'art. 2, reg. CE n. 510/2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari, ai sensi del quale per "denominazione d'origine" si deve intendere il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese; la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata; mentre, per "indicazione geografica" si deve intendere il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata.
L'eventuale contraffazione di un marchio collettivo può comportare il concorso, attesa la mancata previsione di clausole di riserva, tra il delitto di cui all'art. 517 quater e quelli di cui agli artt. 473 o 474 (C., Sez. III, 23.3.2016, n. 28354).
L’articolo 12 della proposta di legge interviene sull’art. 712 del codice penale, che punisce a titolo di contravvenzione l’acquisto di cose di sospetta provenienza.
La riforma interviene sulla pena pecuniaria dell’ammenda per innalzarla dall’attuale misura minima di 20 euro, a 100 euro.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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Codice penale
Art. 712
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Acquisto di cose di sospetta provenienza
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Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 10
[2]
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Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 100. |
Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.
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Identico. |
L’articolo 13 interviene sull’art. 4 della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004), per modificare il comma 49-bis che punisce a titolo di illecito amministrativo (sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000) l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia.
La riforma trasforma l’illecito amministrativo in delitto, prevedendo l’applicazione delle pene previste dagli articoli 473 e 474 c.p. al titolare o al licenziatario che usa un marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che lo stesso sia accompagnato da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto.
La proposta, inoltre:
§ elimina la previsione che oggi specifica, per i prodotti alimentari, che per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale;
§ introduce un’aggravante quando i fatti sono commessi con l’utilizzo del web.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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L. 24 dicembre 2003, n. 350 |
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Art. 4
(Finanziamento agli investimenti)
(omissis)
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49. L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura «made in Italy».
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49. Identico. |
49-bis. Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
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49-bis. Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa dell'Unione europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o sulla provenienza estera o comunque sufficienti a evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto. Il contravventore è punito ai sensi degli articoli 473 e 474 del codice penale. La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al presente comma sono commessi tramite l'utilizzo del web. |
49-ter. E' sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell'illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore.
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49-ter. Identico. |
49-quater. Le Camere di commercio industria artigianato ed agricoltura territorialmente competenti ricevono il rapporto di cui all'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ai fini dell'irrogazione delle sanzioni pecuniarie amministrative di cui al precedente comma 49-bis.
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49-quater. Identico. |
49-quater. Fatto salvo quanto disposto dal comma 49-ter e fatte salve le sanzioni di cui all'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, la fallace indicazione nell'uso del marchio, di cui al comma 49-bis, è punita, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini, ai sensi dell'articolo 517 del codice penale.
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49-quater. Identico. |
Si valuti l’opportunità di intervenire per coordinamento anche sul comma 49-quater, avendo eliminato la sanzione amministrativa pecuniaria.
L’articolo 14 della proposta di legge introduce modifiche ad alcune leggi speciali relative alla repressione del contrabbando di tabacchi.
In particolare, il comma 1 modifica il TU doganale (DPR n. 43 del 1973), prevedendo:
§ un inasprimento delle pene previste per il contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-bis), anche in caso di fattispecie aggravata (art. 291-ter) e di fattispecie associativa (art. 291-quater);
§ una fattispecie di contrabbando aggravata quando i fatti siano commessi « con il supporto del web ovvero tramite supporti tecnologici» (art. 291-ter). Si valuti l’esigenza di una riformulazione dell’aggravante che faccia eventualmente riferimento a fatti commessi attraverso strumenti informatici o telematici;
§
l’applicazione della disciplina del c.d. codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011) alle ipotesi di sequestro e confisca di beni mobili, anche registrati, e beni immobili nell’ambito di operazioni anticontrabbando. Si valuti l’esigenza di fare riferimento, anziché alle disposizioni vigenti in materia di beni sequestrati o confiscati alla mafia, direttamente al d.lgs. n. 159 del 2011, ricordando che le disposizioni antimafia attengono a misure di prevenzione e non a sequestro e confisca penale. Si valuti inoltre l’opportunità di sostituire il riferimento all’attribuzione dei beni immobili al patrimonio dello Stato, con il richiamo dell’istituto della confisca.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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D.P.R. 23/01/1973, n. 43
Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.
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Art. 291-bis
(Contrabbando di tabacchi lavorati esteri)
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Chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali è punito con la multa di euro 5 (lire diecimila) per ogni grammo convenzionale di prodotto, come definito dall'articolo 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76, e con la reclusione da due a cinque anni.
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Chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali è punito con la multa di euro 5.000 per ogni grammo convenzionale di prodotto, come definito dall'articolo 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76, e con la reclusione da tre a sei anni.
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I fatti previsti dal comma 1, quando hanno ad oggetto un quantitativo di tabacco lavorato estero fino a dieci chilogrammi convenzionali, sono puniti con la multa di euro 5 (lire diecimila) per ogni grammo convenzionale di prodotto e comunque in misura non inferiore a euro 516 (lire 1 milione).
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I fatti previsti dal comma 1, quando hanno ad oggetto un quantitativo di tabacco lavorato estero fino a dieci chilogrammi convenzionali, sono puniti con la multa di euro 5.000 per ogni grammo convenzionale di prodotto e comunque in misura non inferiore a euro 500.000.
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Art. 291-ter
(Circostanze aggravanti del delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri)
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Se i fatti previsti dall'articolo 291-bis sono commessi adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato, la pena è aumentata.
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Identico. |
Nelle ipotesi previste dall'articolo 291-bis, si applica la multa di euro 25 (lire cinquantamila) per ogni grammo convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni, quando:
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Nelle ipotesi previste dall'articolo 291-bis, si applica la multa di euro 300.000 per ogni grammo convenzionale di prodotto e la reclusione da dieci a quindici anni, quando: |
a) nel commettere il reato o nei comportamenti diretti ad assicurare il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunità del reato, il colpevole faccia uso delle armi o si accerti averle possedute nell'esecuzione del reato;
b) nel commettere il reato o immediatamente dopo l'autore è sorpreso insieme a due o più persone in condizioni tali da frapporre ostacolo agli organi di polizia;
c) il fatto è connesso con altro reato contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione;
d) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato mezzi di trasporto, che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche idonee ad ostacolare l'intervento degli organi di polizia ovvero a provocare pericolo per la pubblica incolumità;
e) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato società di persone o di capitali ovvero si è avvalso di disponibilità finanziarie in qualsiasi modo costituite in Stati che non hanno ratificato la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 9 agosto 1993, n. 328, e che comunque non hanno stipulato e ratificato convenzioni di assistenza giudiziaria con l'Italia aventi ad oggetto il delitto di contrabbando.
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a) identica;
b) identica; c) identica; d) identica; e) identica; e-bis) il fatto è stato commesso con il supporto del web ovvero tramite supporti tecnologici. |
La circostanza attenuante prevista dall'articolo 62-bis del codice penale, se concorre con le circostanze aggravanti di cui alle lettere a) e d) del comma 2 del presente articolo, non può essere ritenuta equivalente o prevalente rispetto a esse e la diminuzione di pena si opera sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
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Identico. |
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Art. 291-quater
(Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri)
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Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall'articolo 291-bis, coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a otto anni.
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Identico. |
Chi partecipa all'associazione è punito con la reclusione da un anno a sei anni.
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Chi partecipa all'associazione è punito con la reclusione da un anno a sei anni.
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La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
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La pena è aumentata se il numero degli associati è di sei o più.
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Se l'associazione è armata ovvero se ricorrono le circostanze previste dalle lettere d) od e) del comma 2 dell'articolo 291-ter, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal comma 1 del presente articolo, e da quattro a dieci anni nei casi previsti dal comma 2. L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
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Se l'associazione è armata ovvero se ricorrono le circostanze previste dalle lettere d) od e) del comma 2 dell'articolo 291-ter, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni nei casi previsti dal comma 1 del presente articolo, e da otto a quindici anni nei casi previsti dal comma 2. L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
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Le pene previste dagli articoli 291-bis, 291-ter e dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà nei confronti dell'imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori del reato o per la individuazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
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Art. 301-bis
(Destinazione di beni sequestrati o confiscati a seguito di operazioni anticontrabbando)
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I beni mobili compresi quelli iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando, sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia, ovvero possono essere affidati ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.
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I beni mobili compresi quelli iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando, sono soggetti alle disposizioni vigenti in materia di beni sequestrati o confiscati alla mafia.
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Gli oneri relativi alla gestione dei beni e all'assicurazione obbligatoria dei veicoli, dei natanti e degli aeromobili sono a carico dell'ufficio o comando usuario.
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Identico. |
Nel caso in cui non vi sia alcuna istanza di affidamento in custodia giudiziale ai sensi del comma 1, i beni sequestrati sono ceduti ai fini della loro distruzione, sulla base di apposite convenzioni. In caso di distruzione, la cancellazione dei veicoli dai pubblici registri è eseguita in esenzione da qualsiasi tributo o diritto, su richiesta dell'Amministrazione finanziaria. L'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato e il ricevitore capo della dogana, competenti per territorio, possono stipulare convenzioni per la distruzione, in deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato, direttamente con una o più ditte del settore.
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Identico. |
L'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato o il ricevitore capo della dogana, prima di procedere all'affidamento in custodia giudiziale o alla distruzione dei beni mobili di cui ai commi 1 e 3, devono chiedere preventiva autorizzazione all'organo dell'autorità giudiziaria competente per il procedimento, che provvede entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta.
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Identico. |
Nel caso di dissequestro dei beni di cui al comma 1, per i quali si sia proceduto alla distruzione, all'avente diritto è corrisposta una indennità sulla base delle quotazioni di mercato espresse in pubblicazioni specializzate, tenuto conto dello stato del bene al momento del sequestro.
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Identico. |
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5-bis. I beni immobili sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria anticontrabbando sono attribuiti al patrimonio dello Stato.
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I beni mobili di cui al comma 1, acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono assegnati, a richiesta, agli organi o enti che ne hanno avuto l'uso. Qualora tali enti od organi non presentino richiesta di assegnazione i beni sono distrutti ai sensi del comma 3.
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Identico. |
Sono abrogati i commi 5, 6 e 7 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 novembre 1990, n. 375.
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Identico. |
Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono dettate le disposizioni di attuazione del presente articolo.
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Identico. |
Il comma 2 modifica la legge n. 92 del 2001, relativa alla repressione del contrabbando di tabacchi lavorati, con particolare riferimento alla possibilità di estinguere il reato di contrabbando avente ad oggetto un quantitativo di tabacco inferiore a 10 Kg, con il pagamento di una somma pari a un decimo della multa (minimo 258 euro). La proposta, intervenendo sull’articolo 2 della legge, dimezza i termini per il versamento della suddetta somma.
Inoltre, intervenendo sull’articolo 3, relativo alla custodia di tabacchi lavorati sequestrati, il provvedimento prevede che prima di procedere alla distruzione del tabacco lavorato sequestrato, l’autorità giudiziaria proceda al prelievo di uno o più campioni coadiuvata, se necessario, «dai produttori nazionali ed esteri che dispongono di laboratori con i quali ricercano tutte le informazioni utili per le indagini».
Si valuti l’opportunità della novella dell’art. 3 in relazione alla terzietà dei produttori di tabacco, possibili parti lese dal reato di contrabbando. Si valuti inoltre l’esigenza di specifica a quale titolo i produttori dovrebbero mettere a disposizione i propri laboratori.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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L. 19 marzo 2001, n. 92
Modifiche alla normativa concernente la repressione del contrabbando di tabacchi lavorati.
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Art. 2
Estinzione dei reati di contrabbando di tabacchi lavorati
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1. Per i reati di contrabbando aventi ad oggetto quantitativi di tabacchi lavorati non superiori a 10 chilogrammi convenzionali, punibili con la sola pena della multa, il trasgressore può estinguere il reato effettuando il pagamento di una somma pari ad un decimo della multa applicabile, con un minimo di lire cinquecentomila.
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Identico.
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2. Della facoltà di avvalersi della definizione in via amministrativa viene dato avviso al trasgressore con la notifica del primo atto di polizia giudiziaria redatto per l'accertamento del reato.
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Identico.
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3. Il versamento della somma di cui al comma 1 deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica di cui al comma 2, presso l'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato, ovvero presso il ricevitore capo della dogana competente per territorio, a seconda che l'accertamento venga effettuato al di fuori o all'interno degli spazi doganali. Ove il pagamento non sia effettuato direttamente, il trasgressore provvederà ad inviare copia della ricevuta dell'avvenuto pagamento all'ufficio competente entro i dieci giorni successivi al termine ultimo per il versamento, che è di sessanta giorni. Fino alla scadenza dei termini di cui al presente comma, il procedimento penale rimane sospeso.
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3. Il versamento della somma di cui al comma 1 deve essere effettuato entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2, presso l'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato, ovvero presso il ricevitore capo della dogana competente per territorio, a seconda che l'accertamento venga effettuato al di fuori o all'interno degli spazi doganali. Ove il pagamento non sia effettuato direttamente, il trasgressore provvederà ad inviare copia della ricevuta dell'avvenuto pagamento all'ufficio competente entro i dieci giorni successivi al termine ultimo per il versamento, che è di trenta giorni. Fino alla scadenza dei termini di cui al presente comma, il procedimento penale rimane sospeso.
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4. Il pagamento della somma di cui al comma 1 estingue il reato. Resta salvo l'obbligo del pagamento dei diritti doganali dovuti ai sensi dell'articolo 338 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni.
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Identico.
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5. Il processo verbale, se riguarda violazioni per le quali può avere luogo la definizione in via amministrativa, è trasmesso, a cura dell'organo verbalizzante, oltre che all'autorità giudiziaria competente, all'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato o al ricevitore capo della dogana, competenti alla gestione del contesto.
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Identico.
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6. L'ufficio dell'Amministrazione finanziaria competente per la gestione del contesto, qualora il trasgressore non si avvalga della definizione in via amministrativa, invia il processo verbale all'autorità giudiziaria competente, secondo le norme del codice di procedura penale.
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Identico.
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7. Nei casi di contrabbando di tabacchi lavorati è disposta sempre la confisca amministrativa dei prodotti con provvedimento dell'ufficio competente alla definizione del contesto.
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Identico.
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8. Sono abrogati gli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 9 novembre 1990, n. 375.
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Identico.
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Art. 3
Custodia di tabacchi lavorati sequestrati
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1. Salvo il compimento delle operazioni previste dall'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 30 dicembre 1991, n. 417, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1992, n. 66, come sostituito dall'articolo 7 della presente legge, quando il decreto di sequestro o di convalida del sequestro di tabacchi lavorati emesso dall'autorità giudiziaria non è più assoggettabile a riesame, l'autorità giudiziaria ordina la distruzione del tabacco lavorato sequestrato e dispone il prelievo di uno o più campioni, determinandone l'entità, con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 del codice di procedura penale. La competente autorità giudiziaria può autorizzare la consegna di un campione ai produttori nazionali ed esteri.
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1. Salvo il compimento delle operazioni previste dall'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 30 dicembre 1991, n. 417, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1992, n. 66, come sostituito dall'articolo 7 della presente legge, quando il decreto di sequestro o di convalida del sequestro di tabacchi lavorati emesso dall'autorità giudiziaria non è più assoggettabile a riesame, l'autorità giudiziaria ordina la distruzione del tabacco lavorato sequestrato e dispone il prelievo di uno o più campioni, determinandone l'entità coadiuvato, se necessario, dai produttori nazionali ed esteri che dispongono di laboratori con i quali ricercano tutte le informazioni utili per le indagini, con l'osservanza delle formalità di cui all'articolo 364 del codice di procedura penale. La competente autorità giudiziaria può autorizzare la consegna di un campione ai produttori nazionali ed esteri. |
1-bis. Al fine del contenimento dei costi necessari al mantenimento dei reperti, l'amministrazione competente alla custodia dei tabacchi lavorati, decorso un anno dal momento del sequestro, procede alla distruzione dei prodotti, previa campionatura da effettuare secondo modalità definite con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente norma.
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Identico.
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2. Sono abrogate le disposizioni di cui all'articolo 47-bis del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85.
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Identico.
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Il comma 3 dell’articolo 14 contiene un refuso. La disposizione così come scritta è infatti irriferibile, intervenendo sull’art. 337, primo comma, del codice penale, relativo al reato di resistenza a un pubblico ufficiale prevedendo novelle che non trovano corrispondenza nei limiti di pena indicati dallo stesso articolo [3] .
Presumibilmente, i proponenti intendevano novellare, invece, l’art. 337-bis del codice, relativo ad occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto, aumentando le pene ivi previste.
Si tratta della disposizione, introdotta dalla legge n. 92 del 2001, che punisce attualmente con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 10.329 chiunque occulti o custodisca mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l'incolumità fisica degli operatori di polizia. La stessa pena si applica a chiunque altera mezzi di trasporto operando modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l'incolumità fisica degli operatori di polizia. Se il colpevole è titolare di concessione o autorizzazione o licenza o di altro titolo abilitante l'attività, alla condanna consegue la revoca del titolo che legittima la medesima attività.
Il comma 4 modifica l’art. 6 del decreto-legge n. 417 del 1991, in tema di cooperazione tra amministrazione finanziaria e produttori di tabacchi lavorati, per prevedere, con riferimento a sequestri tabacchi di contrabbando che l'autorità giudiziaria possa disporre il prelievo di uno o più campioni da consegnare ai produttori nazionali ed esteri che dispongono di laboratori i quali ricercano tutte le informazioni utili per le indagini. Valgono anche per questa novella le considerazioni svolte in relazione al comma 2.
La riforma, inoltre, concede ai produttori 40 giorni, in luogo degli attuali 15, per classificare i prodotti sequestrati in base alle specifiche tecniche degli stessi ed agli impianti di produzione, al fine di stabilire la data e il luogo di produzione, il Paese di origine delle spedizioni, il mercato finale di destinazione dichiarato, il primo acquirente, nonché ogni altra utile informazione sulla cessione dei prodotti, sulle modalità di vendita e di pagamento e su eventuali soggetti intermediari.
Il comma 5 individua in sei mesi dall’entrata in vigore della riforma il termine entro il quale i produttori di tabacco devono definire il sistema di identificazione dei tabacchi che consenta di accertare le suddette informazioni.
In merito alle modifiche relative all’art. 6 del decreto-legge n. 417 del 1991, si ricorda che tale disposizione è oggetto di abrogazione da parte dell’art. 1 del decreto legislativo n. 188 del 2014 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell'articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), a decorrere dall’emanazione di un regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, che detti disposizioni in materia di rintracciabilità dei tabacchi lavorati. In tema è poi intervenuto anche il decreto legislativo n. 6 del 2016 [4] che, all’art. 16, detta disposizioni sulla tracciabilità di prodotti del tabacco.
Si valuti l’opportunità di coordinare le modifiche proposte con tale disciplina.
Normativa vigente
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A.C. 1011
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D.L. 30 dicembre 1991, n. 417
Disposizioni concernenti criteri di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, delle tasse per i contratti di trasferimento di titoli o valori e altre disposizioni tributarie urgenti
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Art. 6
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1. Al fine di combattere il contrabbando dei tabacchi lavorati nel territorio nazionale e le collegate organizzazioni criminali anche internazionali, l'Amministrazione finanziaria e i produttori di tabacchi lavorati che abbiano stipulato contratti con l'Amministrazione finanziaria per l'importazione, la produzione, la distribuzione o la vendita dei loro prodotti nel territorio dello Stato, ovvero facciano ricorso ai depositi di cui all'articolo 1 della legge 10 dicembre 1975, n. 724, anche in caso di cessione della utilizzazione di marchi, devono vigilare sulla effettiva immissione al consumo della merce nel Paese dichiarato come destinatario finale. A tale fine i produttori devono adottare un sistema di identificazione dei prodotti che consenta di individuare, relativamente ai tabacchi lavorati introdotti di contrabbando nel territorio dello Stato fin dal pacchetto di sigarette, la data, il luogo di produzione, il macchinario, il turno di produzione, il Paese di origine delle spedizioni, il mercato finale di destinazione, nonché il primo acquirente dei prodotti. I produttori devono comunicare tali sistemi di identificazione all'Amministrazione finanziaria entro trenta giorni dalla definizione o modifica degli stessi.
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1. Identico. |
2. Per attuare le finalità di cui al comma 1, la contabilizzazione e l'ispezione di tabacchi lavorati introdotti di contrabbando nel territorio dello Stato, di produzione nazionale o estera sottoposti a sequestro, sono disciplinate secondo le seguenti modalità:
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2. Identico: |
a) per ogni sequestro da 2.000 chilogrammi o più, i prodotti sono contabilizzati, entro trenta giorni dalla data del sequestro, per marca e tipo di prodotto, codice di identificazione, quantità e luogo del sequestro e ogni altra informazione o documentazione disponibile, ritenuta utile per identificare il primo acquirente;
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a) identica; |
b) le informazioni di cui alla lettera a) sono comunicate ai produttori interessati entro quindici giorni dalla avvenuta operazione di contabilizzazione;
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b) identica; |
c) con riferimento a sequestri pari o superiori a 2.000 chilogrammi, i produttori nazionali o esteri, entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione di cui alla lettera b), devono provvedere ad una ispezione della merce sequestrata. Con riferimento a sequestri individuali inferiori a 2.000 chilogrammi, questi saranno aggregati e quando l'ammontare aggregato sarà uguale o superiore a 50.000 chilogrammi, verrà effettuata una ispezione entro sessanta giorni dalla data di ricevimento dell'inventario e, in ogni caso, ogni sei mesi;
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c) con riferimento a sequestri pari o superiori a 2.000 chilogrammi, i produttori nazionali o esteri, entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione di cui alla lettera b), devono provvedere ad una ispezione della merce sequestrata. Con riferimento a sequestri individuali inferiori a 2.000 chilogrammi, questi saranno aggregati e quando l'ammontare aggregato sarà uguale o superiore a 50.000 chilogrammi, verrà effettuata una ispezione entro sessanta giorni dalla data di ricevimento dell'inventario e, in ogni caso, ogni sei mesi; l'autorità giudiziaria può disporre il prelievo di uno o più campioni da consegnare ai produttori nazionali ed esteri che dispongono di laboratori i quali ricercano tutte le informazioni utili per le indagini; |
d) lo scopo delle ispezioni di cui alla lettera c) è di classificare ulteriormente i prodotti in base alle specifiche tecniche degli stessi ed agli impianti di produzione, al fine di stabilire la data e il luogo di produzione, il Paese di origine delle spedizioni, il mercato finale di destinazione dichiarato, il primo acquirente, nonché ogni altra utile informazione sulla cessione dei prodotti, sulle modalità di vendita e di pagamento e su eventuali soggetti intermediari. Scopo dell'ispezione è anche stabilire se i prodotti sono contraffatti o fabbricati con l'utilizzo illegittimo dei marchi;
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d) identica; |
e) le informazioni di cui alla lettera d) devono essere comunicate dai produttori all'Amministrazione finanziaria entro quindici giorni dall'ispezione della merce sequestrata.
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e) le informazioni di cui alla lettera d) devono essere comunicate dai produttori all'Amministrazione finanziaria quaranta giorni dall'ispezione della merce sequestrata. |
3. Il Ministero delle finanze predispone, di intesa con i produttori, un rapporto semestrale in cui sono raccolte tutte le informazioni di cui alle lettere b), c) e d) del comma 2.
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3. Identico. |
4. In base ai rapporti di cui al comma 3, il Ministero delle finanze ed i produttori nazionali ed esteri devono studiare, di volta in volta, le azioni più efficaci per l'eliminazione del contrabbando di tabacchi lavorati introdotti nel territorio dello Stato.
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4. Identico. |
5. Qualora i produttori nazionali ed esteri non abbiano applicato gli appositi sistemi di identificazione dei prodotti di cui al comma 1, ovvero abbiano violato gli obblighi di cui al comma 2, lettere c) ed e), l'Amministrazione finanziaria, entro quindici giorni dalla notizia, dà comunicazione ai produttori della rilevata violazione.
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5. Identico. |
6. I produttori che commettono le violazioni di cui al comma 5 sono puniti con la sanzione amministrativa da lire trecento milioni a lire un miliardo. L'Amministrazione finanziaria ha facoltà di aumentare quest'ultimo importo da due a cinque volte, quando l'autorità demandata all'applicazione della sanzione ha motivo di ritenere che, in considerazione della capacità patrimoniale e del volume d'affari del produttore, la misura massima risulti inefficace.
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6. Identico. |
Il comma 6 modifica la legge n. 50 del 1994, per inasprire la sanzione accessoria della sospensione della patente a carico di colui che sia colto in flagranza di un reato di contrabbando (art. 291-bis TU dogane).
L’attuale sospensione da uno a cinque mesi diviene sospensione dei documenti di guida da uno a cinque anni. Se, al momento della commissione del reato non è possibile procedere al ritiro dei documenti di guida, la sospensione è disposta per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a sette (attualmente, da 1 a 2 anni).
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L. 18 gennaio 1994, n. 50
Modifiche alla disciplina concernente la repressione del contrabbando dei tabacchi lavorati.
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Art. 3
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1. Nei confronti dei soggetti sorpresi alla guida di mezzi terrestri o navali in flagranza del reato di cui all'articolo 291-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni, la competente autorità dispone la sospensione dei documenti di guida relativi agli stessi mezzi per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a cinque mesi.
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1. Nei confronti dei soggetti sorpresi alla guida di mezzi terrestri o navali in flagranza del reato di cui all'articolo 291-bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni, la competente autorità dispone la sospensione dei documenti di guida relativi agli stessi mezzi per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a cinque anni.
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2. Ove al momento della commissione del reato di cui al comma 1 non sia possibile procedere al ritiro dei documenti di guida, la sospensione è disposta per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a due anni.
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2. Ove al momento della commissione del reato di cui al comma 1 non sia possibile procedere al ritiro dei documenti di guida, la sospensione è disposta per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a sette anni.
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3. Qualora i soggetti denunciati siano condannati con sentenza passata in giudicato, i documenti di guida sono revocati in via definitiva.
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3. Identico. |
L’obbligo di tracciabilità e di etichettatura
(art. 15)
L’articolo 15 reca norme relative al contenuto obbligatorio delle etichette, specificando le informazioni e le diciture che devono esservi riportate.
Il comma 1, in particolare, dispone che tutti i beni e i prodotti immessi in commercio nel territorio nazionale debbano essere dotati di un sistema di tracciabilità documentale, tramite l’inserimento di un codice di risposta rapida (QR) nelle etichette.
Tale sistema è finalizzato a consentire al consumatore e alle autorità competenti di conoscere, in modo chiaro e trasparente:
- il luogo di origine dei componenti o degli ingredienti dei beni o prodotti;
- il luogo e le varie fasi di produzione e di lavorazione dei prodotti stessi;
- l’intera filiera del percorso, fino ai luoghi di vendita.
Il comma 2 specifica la dicitura che deve essere riportata nelle etichette dei beni e dei prodotti immessi in commercio nel territorio nazionale, in aggiunta al codice di risposta rapida prima descritto: “Questo bene è stato prodotto e lavorato senza ricorrere al lavoro minorile e nel pieno rispetto dei diritti umani e dei lavoratori”.
Con riferimento ai beni e ai prodotti i cui componenti e ingredienti siano originari di Stati non membri dell’Unione europea, ovvero le cui fasi di produzione e di lavorazione siano avvenute in tali Stati, il comma 3 dispone che le etichette di tali beni e prodotti debbano riportare, in aggiunta al codice di risposta rapida descritto al comma 1 e alla dicitura di cui al comma 2, la dicitura: “Bene prodotto in uno Stato non membro dell’Unione europea”.
I commi da 4 a 6 dispongono in materia sanzioni derivanti dalla violazione delle norme di cui ai commi da 1 a 3.
Più in dettaglio, tali norme prevedono l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 474-ter del codice penale, come sostituito dall’art. 5 della proposta di legge in commento (v. supra) sia nel caso di immissione in commercio nel territorio nazionale di beni o prodotti privi del codice di risposta rapida di cui al comma 1 (QR) (comma 4), sia nel caso di immissione in commercio nel territorio nazionale di beni o prodotti privi della dicitura di cui al comma 2 “Questo bene è stato prodotto e lavorato senza ricorrere al lavoro minorile e nel pieno rispetto dei diritti umani e dei lavoratori” (comma 5), sia nel caso di immissione in commercio nel territorio nazionale di beni o prodotti privi della dicitura di cui al comma 3 “Bene prodotto in uno Stato non membro dell’Unione europea” (comma 6).
In ordine alla formulazione del testo, si valuti l’opportunità di specificare che il richiamo all’art. 474-ter c.p. è da riferirsi alle pene ivi previste e non alla fattispecie penale; l’art. 474-ter, infatti, prevede l’aggravante dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 quando commessi in modo sistematico o attraverso attività organizzate.
Il comma 7 demanda a un regolamento, da adottare con decreto del Ministro dello sviluppo economico entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento, il compito di stabilire le modalità di attuazione di quanto previsto dal comma 1.
Il comma 8 pone la titolarità dei controlli sulla veridicità del sistema di tracciabilità documentale e delle diciture descritte in capo al Corpo della guardia di finanza, che, a tale scopo, può avvalersi della collaborazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e delle associazioni di categoria degli imprenditori.
In proposito si ricorda quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del D. Lgs. n. 68/2001, che, nell’elencare le funzioni di polizia economica e finanziaria svolte dal Corpo della Guardia di finanza a tutela del bilancio pubblico, delle regioni, degli enti locali e dell'Unione europea, prevede che ad essa siano demandati i compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia, tra l’altro, di diritti d'autore, know-how, brevetti, marchi ed altri diritti di privativa industriale, relativamente al loro esercizio e sfruttamento economico. Si ricorda inoltre che l’art. 4, comma 56, della L. n. 350/2003, ha consente al Corpo della guardia di finanza, per lo svolgimento dei compiti prima descritti, l'accesso diretto, secondo modalità stabilite di intesa tra il direttore dell'Agenzia delle dogane ed il comandante generale della Guardia di finanza, alla banca dati di cui al comma 54 del medesimo articolo 4, ai sensi del quale, per potenziare la lotta alla contraffazione e per tutelare la specificità dei prodotti, l'Agenzia delle dogane può sottoscrivere con gli operatori, su loro richiesta, convenzioni per la raccolta in una banca dati multimediale dei dati caratteristici idonei a contraddistinguere i prodotti da tutelare, senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato. In attuazione di tale norma, è stato emanato il provvedimento del direttore dell'agenzia delle dogane 28 febbraio 2004, che ha istituito presso l'Agenzia delle dogane tale banca dati multimediale, alimentata dai dati contenuti nelle richieste di tutela presentate, per uno o più prodotti, da parte dei titolari dei diritti di proprietà intellettuale.
L’articolo 15, comma 1, introduce un obbligo di etichettatura e tracciabilità che ha ad oggetto “tutti i beni e i prodotti immessi in commercio nel territorio nazionale”.
La formulazione della norma non ammette eccezioni: l’obbligo appare applicabile non solo ai beni e prodotti che abbiano origine in Stati non appartenenti all’UE, peraltro espressamente menzionati dal comma 3, ma anche a tutti i beni e prodotti originari di Stati membri dell’UE, senza distinzioni per categorie merceologiche.
Si tratta, inoltre, di regolamentazione tecnica nazionale, per la quale la direttiva (UE) 2015/1535 prevede la procedura di notifica ai fini del vaglio preventivo da parte della Commissione europea.
Ciò premesso, appare opportuno un approfondimento dei profili di compatibilità dell’obbligo generale di etichettatura e tracciabilità di “tutti i beni e i prodotti immessi in commercio nel territorio nazionale” con:
a) il principio di libera circolazione delle merci (articoli 34-36 TFUE), con particolare riferimento al divieto di adottare, fra gli Stati membri, “misure di effetto equivalente” alle restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione;
b) la nozione di “origine del prodotto” contenuta nel Codice doganale dell’Unione (Regolamento UE n. 952/2013);
c) le normative europee di settore, che identificano specifici elementi di tracciabilità dei prodotti e stabiliscono differenti modalità di etichettatura, sia in relazione alla ratio dell’intervento normativo (sicurezza generale dei prodotti, tutela dalla pubblicità ingannevole o dalle pratiche commerciali sleali), sia in ragione delle caratteristiche di determinate categorie merceologiche (prodotti agroalimentari, cosmetici, tessili, etc.).
a) Il principio di libera circolazione delle merci.
Gli articoli 34 e 35 del TFUE, segnatamente, vietano fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
L’articolo 36 dispone che rimangono comunque impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito (tra gli Stati membri) giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tali divieti o restrizioni non devono in ogni caso costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
b) La nozione di “origine del prodotto” nel diritto dell’UE.
La nozione di origine è contenuta nel Codice doganale dell’Unione (Regolamento UE n. 952/2013), agli articoli 60 e 61, e si applica non solo per ciò che attiene agli aspetti tariffari con paesi non facenti parte del territorio doganale dell’UE, ma anche alle “altre misure dell’Unione relative all’origine delle merci” (cfr. art. 59, lett. c), del Codice).
L’articolo 60 del Codice doganale, in particolare, considera originarie di un Paese o di un territorio le merci interamente ottenute in tale un unico Paese o territorio.
Inoltre, con riferimento alle merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi o territori, esse sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione (criterio c.d. “sostanzialista”).
c) Le normative europee di settore.
Fatta eccezione - come si dirà - per il settore agroalimentare, le normative europee in materia di commercio non contengono nozioni autonome e settoriali di “origine”. Prevedono, tuttavia, discipline settoriali sulla tracciabilità e l’etichettatura.
Si richiama, al riguardo, la direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti, che, pur prevedendo (articolo 3) che i prodotti immessi sul mercato dell’UE devono essere sicuri e devono recare informazioni che ne consentano la tracciabilità – quali l’identità del fabbricante e un certificato di prodotto – e pur prevedendo obblighi minimi di etichettatura dei prodotti immessi sul mercato interno (art. 5, par. 1, lett. a)), non include disposizioni specifiche relative all’indicazione del luogo di fabbricazione, né contiene una autonoma nozione di “origine”. La direttiva 2006/114/UE sulla tutela dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, così come la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali fra imprese e consumatori, citano fra gli elementi essenziali per definire la scorrettezza di una comunicazione o di una qualsiasi altra pratica commerciale l’effettiva origine del prodotto, ma non ne forniscono una definizione.
Procedendo ad una analisi della disciplina europea dei comparti industriali più significativi per il c.d. “Made in Italy, si giunge alle stesse conclusioni.
In particolare, il Regolamento (UE) 1223/09 sui prodotti cosmetici, all’articolo 19, par. 1, lett. a), prevede l’obbligo di indicare in etichetta il paese d’origine, ma solo se si tratta di “prodotti importati” (provenienti da paesi terzi). Il Regolamento non fornisce indicazioni sul contenuto della nozione di origine.
Nel comparto legno-arredo, i Regolamento (UE) n. 995/2010 prevede un obbligo di tracciabilità e l’indicazione della composizione delle materie prime dei prodotti trasformati (articolo 5), che non è rivolto ai consumatori finali, ma alle autorità competenti.
Nel settore tessile, il Regolamento (UE) 1007/2011 - relativo alle denominazioni delle fibre tessili e all'etichettatura e al contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili - ha demandato alla Commissione la presentazione, entro il 30 settembre 2013, di una relazione sui possibili nuovi obblighi di etichettatura da introdurre a livello UE, nell'intento di fornire ai consumatori informazioni accurate, pertinenti, comprensibili e comparabili sulle caratteristiche dei prodotti tessili. La relazione della Commissione (COM (2013), 656 final) ha demandato la discussione sull’introduzione di un sistema di etichettatura di origine ad una proposta di regolamento generale sulla sicurezza dei prodotti di consumo (destinato ad abrogare la citata direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti) che tenga conto del paese di origine e di altri aspetti relativi alla tracciabilità. La proposta di regolamento è ancora all'esame delle Istituzioni europee.
La normativa nazionale italiana in materia – contenuta nell’articolo 3 della legge n. 8/2013 - è stata valutata dalla Corte di giustizia UE con sentenza 16 luglio 2015, causa C-95/14 non conforme con la predetta normativa europea.
Con la sentenza in questione, la Corte ha osservato che gli articoli 3 e 5 della direttiva 94/11/CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro che vieta, fra l’altro, il commercio degli elementi in cuoio delle calzature provenienti da altri Stati membri o da paesi terzi e che, nel caso trattato, sono già state poste in commercio in un altro Stato membro o nello Stato membro interessato, quando questi prodotti non riportano indicazioni relative al loro paese d’origine
[5]
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Per quanto riguarda il settore agroalimentare, la disciplina europea sulle DOP, IGP e STG (Regolamento n. 1151/2012 (UE)) e quella sulla qualità dei prodotti vitivinicoli (Regolamento (UE) n. 1308/2013) hanno sostanzialmente inteso proteggere l’origine dei prodotti nell’ottica della diversificazione agricola, del valore aggiunto determinato da prodotti di qualità realizzati in zone individuate del territorio e dello sviluppo delle zone rurali, oltre che della tutela dei consumatori da pratiche legate alla contraffazione.
Vi è poi la disciplina generale sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori (Reg. n. 1169/2011 (UE)) – che opera, in sostanza, laddove non opera la disciplina specifica dei prodotti DOP, IGP e STG – e costituisce anch'essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto. In materia vige il principio (art. 9 e art. 26) per cui l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza è obbligatoria solo se la relativa omissione può indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. In tal caso (art. 26, par. 3), se è indicato il luogo di provenienza e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario, deve essere indicato anche l’origine dell’ingrediente primario o che questo non origina dallo stesso Paese o luogo di provenienza dell’alimento.
In attuazione dell’art. 26, par. 3, del Reg.1169/2011 è stato emanato il regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione che disciplina, appunto, l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine dell’ingrediente primario. L’indicazione dovrà fare riferimento, alternativamente:
- alle diciture “zona UE” o “zona non UE”;
- a una regione o qualsiasi altra zona geografica all'interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o
- alla zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato; o
- a uno o più Stati membri o paesi terzi; o
- a una regione o qualsiasi altra zona geografica all'interno di uno Stato membro o di un paese terzo, ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o
- al paese d'origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell'Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali; oppure attraverso una dicitura del seguente tenore:
«(nome dell'ingrediente primario) non proviene/non provengono da (paese d'origine o luogo di provenienza dell'alimento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore.
L’applicazione è rinviata al 1° aprile 2020
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La delega al Governo per l’adozione di un testo unico delle leggi in materia di tutela dei prodotti nazionali e istituzione del marchio «100% Made in Italy». Clausola di salvaguardia
(art. 16)
L’articolo 16, al comma 1, delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo recante un testo unico delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei prodotti nazionali.
Il comma 2 elenca i princìpi e criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega:
a) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;
b) ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;
c) coordinamento del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la razionale applicazione nonché la coerenza logica e sistematica della normativa;
d) previsione dell’istituzione del marchio «100% Made in Italy» da attribuire ai beni e ai prodotti costituiti o derivanti esclusivamente da materie prime di origine italiana e i cui procedimenti di produzione e di lavorazione siano interamente svolti nel territorio nazionale.
Quanto al procedimento di adozione dello schema del decreto legislativo, il comma 3 dispone che esso sia adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico, previo parere del Consiglio di Stato, che si esprime entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Lo schema è successivamente trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari, che si esprimono entro sessanta giorni. Decorso il termine previsto per l’espressione dei pareri parlamentari, il decreto può comunque essere adottato. Qualora il termine per l’espressione dei pareri scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 1, quest’ultimo è prorogato di tre mesi.
Lo schema del decreto legislativo è corredato di una relazione tecnica, che dà conto della neutralità finanziaria, ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti, nonché dei corrispondenti mezzi di copertura (comma 4).
Il Governo ha facoltà, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, di adottare disposizioni integrative o correttive del decreto stesso, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 2 e con la procedura prevista dai commi 3 e 4. 6. La norma fa salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione (comma 5).
Il criterio di delega di cui al comma 2, lettera d), prevede l’istituzione del marchio «100% Made in Italy», da attribuire ai beni e ai prodotti costituiti o derivanti esclusivamente da materie prime di origine italiana e i cui procedimenti di produzione e di lavorazione siano interamente svolti nel territorio nazionale.
Appare opportuno un approfondimento dei profili di compatibilità di tale disposizione con gli articoli 34-36 TFUE, anche alla luce dell’interpretazione datane dalla Commissione UE e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE e della Corte costituzionale.
Si ricorda come il principio di libera circolazione delle merci (art. 34 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), che rappresenta il presupposto essenziale per la creazione di un mercato comune, sia derogabile solo per alcune ragioni di carattere primario.
Gli articoli 34 e 35 del TFUE, segnatamente, vietano fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
L’articolo 36 dispone che rimangono comunque impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito (tra gli Stati membri) giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tali divieti o restrizioni non devono in ogni caso costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
Si ricorda, altresì, come la direttiva (UE) 2015/1535, adottata il 9 settembre 2015 – che ha abrogato e sostituito la direttiva 98/34/CE
[7]
- disciplini l’obbligo e la procedura di notifica alla Commissione europea delle regolamentazioni tecniche nazionali prima della loro adozione. Ai sensi di tale normativa, oggetto di vaglio preventivo sono anche i progetti di regole volti a istituire marchi che collegano la qualità di un prodotto alla sua origine.
La Commissione UE, nella Relazione COM(2017) 788 final sull’applicazione della Direttiva (UE) 2015/1535, richiama la seguente casistica esaminata nel periodo 2014-2015:
Per ciò che concerne la casistica italiana antecedente l’anno 2014, si richiamano le disposizioni contenute nella legge n. 8/2013, sull’indicazione in etichetta dell’origine dei prodotti calzaturieri, della pelle e pelletteria, dichiarate incompatibili con la direttiva 94/11/CE, e con gli artt. 34-36 TFUE.
La Corte di giustizia UE con sentenza 16 luglio 2015, causa C-95/14 ha osservato che gli articoli 3 e 5 della direttiva 94/11/CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro che vieta, fra l’altro, il commercio degli elementi in cuoio delle calzature provenienti da altri Stati membri o da paesi terzi e che, nel caso trattato, sono già state poste in commercio in un altro Stato membro o nello Stato membro interessato, quando questi prodotti non riportano indicazioni relative al loro paese d’origine
[8]
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Per completezza si richiama il caso della Legge cd. Reguzzoni (legge n. 55/2010) sulla commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, che ha dettato una disciplina ad hoc a tutela della produzione italiana nei settori in questione.
Tale legge ha disposto l'impiego dell'indicazione «Made in Italy» esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione, come definite dalla legge stessa, hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e, in particolare, se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se, per le rimanenti fasi, è verificabile la tracciabilità. Ciascun prodotto non avente i requisiti per l’apposizione dell’indicazione Made in Italy deve indicare comunque lo Stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria.
La legge n. 55/2010 fu effettivamente notificata alla Commissione Europea, la quale, con nota della Direzione Generale Impresa e Industria n. 518763 del 28 luglio 2010 manifestò un parere decisamente contrario alla sua compatibilità con il diritto comunitario, attese le restrizioni che avrebbe potuto causare alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci sul territorio europeo. La Commissione, in particolare, ha ritenuto che nessun Paese Membro possa assumere autonomamente modalità tecniche di determinazione dell’origine divergenti rispetto a quelle europee in uso, poiché ciò significherebbe ostacolare la libera circolazione dei prodotti.
La Legge, in vigore nel nostro Paese dal 1° ottobre 2010, ancora oggi risulta inapplicabile, alla luce della mancata approvazione dei relativi decreti attuativi, mai adottati in virtù del giudizio negativo espresso dalle Istituzioni europee.
Si rinvia, infine, alla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
La Suprema Corte, con la sentenza 19 luglio 2012, n. 191, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge regionale n. 9 del 2011 della Regione Lazio, che ha previsto la realizzazione di un apposito elenco, disponibile sul sito istituzionale della Regione, articolato in tre sezioni: “Made in Lazio – tutto Lazio”, “Realizzato nel Lazio” e “Materie prime del Lazio”.
L’illegittimità costituzionale della legge è stata dichiarata dalla Corte sulla base delle seguenti considerazioni: «Le disposizioni degli articoli da 34 a 36 del TFUE – che, nel caso in esame, rendono concretamente operativo il parametro dell’art. 117 Cost. – vietano […] agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative all’importazione ed alla esportazione, e qualsiasi misura di effetto equivalente. Nella giurisprudenza della Corte di giustizia (che conforma quelle disposizioni in termini di diritto vivente, ed alla quale occorre far riferimento ai fini della loro incidenza come norme interposte nello scrutinio di costituzionalità), la “misura di effetto equivalente” (alle vietate restrizioni quantitative) è costantemente intesa in senso ampio e fatta coincidere con “ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari” (Corte di giustizia, sentenze 6 marzo 2003, in causa C-6/2002, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Francese; 5 novembre 2002, in causa C-325/2000, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania; 11 luglio 1974, in causa 8-1974, Dassonville contro Belgio). Orbene la legge della Regione Lazio, mirando a promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, garantendone siffatta origine, produce, quantomeno “indirettamente” o “in potenza”, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci che, anche al legislatore regionale, è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario».
Normativa nazionale a tutela del Made in Italy
La disciplina nazionale adottata a tutela dell’origine italiana dei prodotti, cd. “Made in Italy”, ha, allo stato, carattere prevalentemente sanzionatorio, finalizzato a reprimere gli abusi nella comunicazione ed, in particolare, pratiche commerciali volte ad attribuire anche solo intuitivamente alla merce immessa sul mercato caratteristiche o origini falsamente italiane così da sviare o quantomeno influenzare il consumatore nella sua libertà di scelta (cd. fenomeno del “italian sounding”).
La tutela del “Made in Italy” ha avvio con l’approvazione della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), il cui articolo 4, comma 49, come evidenziato in dottrina
[9]
, interviene nel quadro delle disposizioni penali a tutela dell’economia e del mercato per espandere la copertura sanzionatoria prevista dall’articolo 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci, punita con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro)
[10]
.
L’articolo 4, comma 49 è stato ripetutamente modificato da successivi interventi normativi, l’ultimo dei quali contenuto nell’articolo 16, comma 5, D.L. n. 135/2009. La sua formulazione attuale dispone dunque, che è punita ai sensi dell’articolo 517 c.p., l’importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine.
Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio.
La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura «made in Italy».
Ai sensi del comma 49, costituisce falsa indicazione:
- la stampigliatura «Made in Italy» su prodotti e merci non originari dell'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine;
- anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 49-bis - anch’esso introdotto dal D.L. n. 135/2009 e da ultimo modificato dal D.L. n. 83/2012 - ovvero l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine, senza indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro paese o del luogo di fabbricazione o di produzione, senza altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Ai sensi del comma 49-bis, il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
Sempre ai sensi di tale comma, per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale.
E' sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell'illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore (comma 49-ter, anch’esso introdotto dal D.L. n. 135/2009).
Sono le Camere di commercio industria artigianato ed agricoltura territorialmente competenti ai fini dell'irrogazione delle sanzioni pecuniarie amministrative di cui al comma 49-bis.
Al fine di rafforzare la tutela dei prodotti DOP-IGP il legislatore italiano è intervenuto a più riprese introducendo nel codice penale ulteriori disposizioni ad hoc, quali:
·
l’articolo 517-bis (ai sensi del quale, è aggravante delle pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 c.p., se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti);
·
l’articolo 517-ter (introdotto dalla lettera e) del comma 1 dell'articolo 15 della legge n. 99/2009), il quale, facendo salva la fattispecie di cui all’articolo 473 c.p. (contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni) e quella di cui all’articolo 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) punisce, a querela della persona offesa, la fattispecie della fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000
[11]
;
·
l’articolo 517-quater (introdotto anch’esso dalla lettera e) del comma 1 dell'articolo 15 della legge n. 99/2009), che punisce la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000
[12]
.
Il D.L. n. 135/2009 (c.d. “salva-infrazioni”)
[13]
, oltre ad apportare novelle (sopra citate) alla disciplina contenuta nell’articolo 4 della legge n. 350/2003, ha poi introdotto il delitto di falsa o fallace apposizione del marchio “100 % Made in Italy”, operandone la relativa definizione. In dettaglio, l’articolo 16, rubricato “Made in Italy e prodotti interamente italiani”, al comma 1, ha disposto che si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano. La disposizione ha altresì demandato ad uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per le politiche europee e per la semplificazione normativa, la definizione delle modalità applicative di quanto sopra previsto. I decreti non risultano adottati.
L’articolo 16, al comma 4, introduce il delitto di fallace apposizione del marchio 100% Made in Italy, punendo con le pene previste dall'articolo 517 del codice penale (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), aumentate di un terzo, chiunque faccia uso di un'indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra indicazione che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione. Ai fini dell'applicazione di tale norma, il comma 3 stabilisce che “per uso dell'indicazione di vendita o del marchio si intende la utilizzazione a fini di comunicazione commerciale ovvero l'apposizione degli stessi sul prodotto o sulla confezione di vendita o sulla merce dalla presentazione in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e fino alla vendita al dettaglio”.
Si segnala inoltre che il medesimo articolo 16 ha novellato l’articolo 1 del D.Lgs. n. 297/2004, consentendo la smarchiatura di prodotti già certificati come denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta, previa autorizzazione del Consorzio di tutela ovvero, in mancanza del provvedimento di riconoscimento del Consorzio, dal Ministero delle politiche agricole alimentarie forestali, demandando le modalità applicative della previsione ad un decreto ministeriale (D.M. 21 luglio 2011).
La campagna d’informazione
(art. 17)
L’articolo 17 demanda al Ministero dello sviluppo economico la promozione di una campagna di informazione sulla stampa periodica e quotidiana, sulla rete Internet e sui mezzi radiotelevisivi, finalizzata a diffondere la conoscenza delle disposizioni di cui al provvedimento in commento, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del contrasto della contraffazione dei prodotti nazionali.
L’ordinamento giuridico italiano contempla campagne promozionali volte a tutelare i prodotti italiani da pratiche di contraffazione, nell’ottica di garantire il consumatore e di sostenere l’internazionalizzazione e la penetrazione dei mercati esteri da parte delle imprese manifatturiere italiane.
In particolare, l’articolo 30 del D.L. n. 133/2014, ha previsto l’istituzione di un Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e per l’attrazione degli investimenti, da ultimo rifinanziato con la legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 201 della legge n. 145/2014), i cui obiettivi sono:
· l’ampliamento del numero delle imprese, in particolare piccole e medie, che operano nel mercato globale;
· l’espansione delle quote italiane del commercio internazionale;
· la valorizzazione dell’immagine del Made in Italy nel mondo;
· il sostegno alle iniziative di attrazione degli investimenti esteri in Italia.
A tal fine, il citato art. 30 del D.L. n. 133/2014, nell’indicare le specifiche linee di intervento del Piano in questione (comma 2, lettere da a) a l)), ne ha demandato l’adozione e l’attuazione ad un atto secondario (cfr. D.M. del 20 febbraio 2015).
Tra le linee di intervento, vi è la realizzazione di campagne di promozione strategica nei mercati più rilevanti e di contrasto al fenomeno dell'Italian sounding. Dunque, si tratta di campagne di promozione volte non ad informare circa l’esistenza di un marchio di qualità o di origine italiano da apporre sui prodotti interamente italiani, quanto invece rivolta al consumatore al fine di proteggerne la scelta da pratiche contraffattorie.
[1] L’articolo 7 del Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005) prevede che possano costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese.
L’articolo 13 del citato Codice della proprietà industriale dispone che non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare:
a) quelli che consistono esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio;
b) quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre caratteristiche del prodotto o servizio.
La definizione di marchio collettivo è contenuta nell'art. 2570 del codice civile, ai sensi del quale “i soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per concedere l'uso, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, a produttori o commercianti”.
L’articolo 11 del Codice della proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005) regola il marchio collettivo prevedendo che i soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi e hanno la facoltà di concedere l'uso dei marchi stessi a produttori o commercianti. In deroga a quanto previsto dal citato articolo 13 del CPI, un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l'Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L'avvenuta registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale. I marchi collettivi sono soggetti a tutte le altre disposizioni del citato CPI, in quanto non contrastino con la natura di essi.
Il marchio collettivo è pertanto un segno distintivo che contraddistingue prodotti o servizi di più imprese per la loro specifica provenienza, natura o qualità. Solitamente il marchio collettivo è richiesto da un insieme di consorziati per la produzione di un prodotto o servizio secondo un regolamento specifico, depositato unitamente alla domanda di registrazione del marchio collettivo, che detta i principi secondo i quali tale marchio può essere riconosciuto, nonché i requisiti necessari del prodotto .
Quindi, rispetto al marchio individuale – che contraddistingue la produzione o la commercializzazione di beni e servizi da parte di una determinata azienda rispetto ad altri beni e servizi, la funzione del marchio collettivo è quella di garantire l'origine, la qualità e la natura di un prodotto o di un servizio.
A titolo esemplificativo, marchi collettivi sono i seguenti: “Pura lana vergine” (utilizzato in presenza di un prodotto che segue determinati canoni espressi nel regolamento d’uso del marchio collettivo); “Bancomat” (utilizzabile da più aziende a patto che rispettino il regolamento imposto dal titolare del marchio al momento del deposito); “Grana Padano” (utilizzabile solo da aziende che seguono il disciplinare di produzione).
Si ricorda infine che il Codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, reca norme di armonizzazione e riordino delle normative concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti, anche nei confronti di pratiche commerciali ritenute ingannevoli (artt. 21 e ss).
[2] In base all’art. 26 c.p., come modificato dalla legge n. 94 del 2009, la pena dell'ammenda consiste nel pagamento di una somma non inferiore a 20 euro.
[3]
Art. 337 c.p. (Resistenza e un pubblico ufficiale). Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
[4] Recepimento della direttiva 2014/40/UE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE.
[5] L’articolo 3 della legge n. 8/2013 è stato successivamente abrogato dall’art. 26 della legge europea 2013-bis (L. n. 161/2014) e l’articolo 5 del DDL europea 2018, C.1432, approvato in prima lettura dal Senato e ora all’esame della Camera, all’articolo 5, delega il Governo ad adottare un decreto legislativo che disciplini l’utilizzo dei termini cuoio e pelle e di quelli da essi derivati o sinonimi nel rispetto della legislazione dell’Unione. La medesima legge ha fatto operato la rivivescenza della legge n. 1112/1966, disciplina pregressa alla legge n. 8/2013.
[6] Da tale data sono destinati a perdere efficacia i decreti che hanno reso obbligatoria l’indicazione di origine per:
• il latte e i prodotti lattiero caseari (DM 9 dicembre 2016);
• il grano duro per paste di semola di grano duro e il riso (entrambi: DM 26 luglio 2017, pubblicati, rispettivamente, in GU n. 190 e 191 del 16 agosto 2017);
• e il pomodoro (DM 16 novembre 2017 in GU n.47 del 26 febbraio 2018) limitatamente ai prodotti venduti in ambito nazionale.
L’articolo 3-bis del D.L. n. 135 del 2018 ha apportato talune modifiche all’articolo 4 della legge n.4 del 2011 che già da allora introdusse l’obbligo di indicazione in etichetta dei prodotti agroalimentari dell’origine dei prodotti, specificando che con essa ci si riferisce, per i prodotti alimentari non trasformati, al Paese di produzione dei prodotti e, per i prodotti alimentari trasformati, al luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e al luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione e nella produzione di prodotti.
Tale obbligo non è poi potuto divenire operativo in quanto la Commissione europea ha ritenuto contrastante con l’ordinamento europeo l’obbligo di indicazione in origine per tutti i prodotti agroalimentari ritenendolo contrastante rispetto al principio della libera concorrenza tra le merci che caratterizza il mercato comune europeo.
Con l’articolo 3-bis, si affida ad ISMEA il compito di realizzare appositi studi che siano capaci di provare il nesso diretto tra la qualità di taluni alimenti e la provenienza. Sulla base di queste risultanze, sarà emanato un regolamento con il quale definire i casi in cui l’indicazione del luogo di provenienza è obbligatoria e individuare le categorie specifiche di alimenti per i quali è stabilito l’obbligo dell’indicazione del luogo di provenienza. Viene, comunque, stabilito l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del prodotto quando la sua omissione può indurre in errore il consumatore, in conformità di quanto stabilito dal Reg. 1169/2011.
L’efficacia delle disposizioni in esame viene fatta decorrere trascorsi tre mesi dalla data di notifica alla Commissione europea di cui viene data comunicazione con pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana
[7] La direttiva 98/34/CE era stata via via oggetto di diverse modifiche sostanziali (in particolare al fine di includere i servizi della società dell’informazione ed eliminare norme tecniche dal suo campo di applicazione). Essa è stata pertanto codificata nella Direttiva (UE) 2015/1535 per motivi di chiarezza.
[8] L’articolo 3 della legge n. 8/2013 è stato successivamente abrogato dall’art. 26 della legge europea 2013-bis (L. n. 161/2014) e l’articolo 5 del DDL europea 2018, C.1432, approvato in prima lettura dal Senato e ora all’esame della Camera, all’articolo 5, delega il Governo ad adottare un decreto legislativo che disciplini l’utilizzo dei termini cuoio e pelle e di quelli da essi derivati o sinonimi nel rispetto della legislazione dell’Unione. La medesima legge ha fatto operato la rivivescenza della legge n. 1112/1966, disciplina pregressa alla legge n. 8/2013.
[9] Vito Rubino, cit. pp. 144 e ss.
[10] Tale articolo dispone che “chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro”.
[11] Nel dettaglio, l’articolo 517-ter punisce chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000. L’articolo dispone che alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui sopra. I delitti sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
[12] Ai sensi dell’articolo 517-quater, alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma. I delitti sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
[13] Recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia”.