Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Finanze
Titolo: Norme per l'attribuzione a soggetti pubblici della proprietà della Banca d'Italia
Riferimenti: AC N.313/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 98
Data: 18/02/2019
Organi della Camera: VI Finanze


+ maggiori informazioni sul dossier
+ maggiori informazioni sugli atti di riferimento

Norme per l'attribuzione a soggetti pubblici della proprietà della Banca d'Italia

18 febbraio 2019
Schede di lettura


Indice

Contenuto|


Contenuto

La proposta di legge in commento intende trasferire, a decorrere dal 1° marzo 2019, al Ministero dell'economia e finanze le quote di capitale della Banca d'Italia detenute da soggetti privati e, comunque, consentire che dette quote circolino solo presso soggetti pubblici. La cessione deve avvenire al valore nominale delle quote.

Viene dunque meno, attraverso l'abrogazione esplicita delle norme del decreto-legge n. 133 del 2013, l'attuale assetto proprietario della Banca d'Italia.

 

In particolare, l'articolo 1 dispone che, a decorrere dal 1° marzo 2019, le quote di proprietà della Banca d'Italia detenute da soggetti privati siano acquisite dal Ministero dell'economia e delle finanze al loro valore nominale, come stabilito dall'articolo 20 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, ovvero in misura pari a 154.937 euro (trecento milioni di lire).

Si segnala preliminarmente che il richiamato articolo 20 è stato abrogato dall'articolo 6 del richiamato decreto-legge n. 133 del 2013, il quale ha altresì rivalutato il capitale, che ora ammonta a 7,5 miliardi di euro, suddivisi in 300.000 quote dal prestabilito valore, ex lege, di 25.000 euro ciascuna.

Non appare chiaro se l'intento della proposta in esame - che all'articolo 2, come si vedrà in seguito, abroga a sua volta l'articolo 6 del decreto-legge n. 133 - sia quello di far rivivere, e in quale misura, tale articolo 20.

L'articolo 20 tra l'altro elencava i soggetti privati a cui potevano essere attribuite le quote di proprietà della Banca d'Italia (Casse di risparmio; istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale; istituti di previdenza; istituti di assicurazione); sembra doversi ritenere che questa parte della norma resti abrogata, in quanto incompatibile con l'intento della proposta.

 Le disposizioni in commento prevedono inoltre che il Ministero dell'economia e delle finanze sia autorizzato a cedere le proprie quote esclusivamente a soggetti pubblici (comma 1).

Si affida a un regolamento, da adottare - entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della proposta - con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato (ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988), il compito di disciplinare le modalità di trasferimento delle quote acquisite dal MEF (comma 2).

 

In proposito, la BCE, nel valutare i riflessi della legge 262/2005 (per la quale si rinvia ai paragrafi successivi) sull'assetto di governo della Banca d'Italia, ebbe modo di osservare (cfr. parere della Banca centrale europea del 6 ottobre 2005), riguardo alla prevista pubblicizzazione dell'Istituto, che, in assenza di indicazioni nelle disposizioni legislative, non era possibile verificare la coerenza della prevista operazione con il divieto di finanziamento monetario, riservandosi eventuali osservazioni in occasione dell'emanazione del regolamento governativo sul trasferimento delle quote. Tale considerazione implicava la necessità di accertare che l'acquisizione delle quote di partecipazione detenute da soggetti privati comportasse un esborso diretto, peraltro da quantificare, da parte dell'erario, non potendo essere posto a carico delle riserve della banca centrale. La BCE, inoltre, osservò che la riforma della proprietà dell'Istituto d'emissione avrebbe dovuto preservare l'indipendenza finanziaria della Banca d'Italia "attualmente garantita dalle disposizioni del suo Statuto riguardanti l'indipendenza del Consiglio superiore e i limiti alla distribuzione degli utili ai partecipanti al capitale".
Nel parere del 2005 e nei successivi del 27 dicembre 2013 e 21 febbraio 2014, la BCE, chiamata a valutare le modifiche alla governance della Banca d'Italia rivenienti dalla Legge 262/2005 e dal decreto-legge 133/2013, ha ritenuto la tradizionale struttura proprietaria con soggetti privati della Banca d'Italia coerente con l'indipendenza e l'autonomia della stessa, in virtù di una governance che attribuisce la competenza sulle delibere aventi rilevanza esterna al Direttorio, preserva le competenze del Governatore quale membro del Consiglio direttivo della BCE, assegna un ruolo di mera amministrazione all'Assemblea dei partecipanti (nomina dei membri del Consiglio superiore, del Collegio sindacale e approvazione del bilancio) e al Consiglio superiore (amministrazione generale, vigilanza sull'andamento della gestione e controllo interno della Banca).

 

La proposta in esame dispone il trasferimento delle quote ex lege, ad un valore nominale sensibilmente inferiore all'attuale.

Sembra tuttavia plausibile ritenere che dalla riduzione forzosa del valore delle quote discenda l'obbligo di indennizzare gli attuali partecipanti secondo i principi generali dell'ordinamento, in quanto tali soggetti privati sono titolari di posizioni giuridiche tutelate ex lege.

In proposito si fa presente che, successivamente alla riforma del 2013, sono state negoziate quote di partecipazione in misura pari al 33% circa del capitale della Banca, nella generalità dei casi al valore fissato ex lege di € 25.000, per un controvalore complessivo delle operazioni pari a 2,5 mld di euro circa.

In particolare, tra i cessionari, figurano 9 enti previdenziali espressione di categorie professionali (quali, ad esempio, Cassa Forense, ENPAM e INARCASSA, rappresentative, rispettivamente, di avvocati, medici e odontoiatri e ingegneri e architetti), che hanno acquistato - nel complesso -47.960 quote, pari al 15,99% del capitale, per un controvalore di poco meno di 1,2 miliardi di euro, nonché 7 fondi pensione che hanno acquistato il 3,29% del capitale, investendo circa 247 milioni di euro; infine, circa il 6% delle quote, per un controvalore di circa € 450 mln è stato acquistato dalle 23 Fondazioni di matrice bancaria entrate nella compagine partecipativa nell'ultimo quinquennio.  

Occorre dunque valutare quali oneri a carico del bilancio dello Stato derivino dalla nazionalizzazione degli assetti proprietari della Banca d'Italia prevista dalle norme in esame.

 

L'articolo 2 abroga gli articoli 4, 5 e 6 del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133.

Si ricorda che il richiamato articolo 4 (comma 1), nel ribadire l'indipendenza dell'Istituto, definisce inoltre la Banca d'Italia quale autorità nazionale competente nel meccanismo di vigilanza unico (di cui all'articolo 6 del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013). Le norme in esame tuttavia non sembrano incidere sull'indipendenza e sulla pubblicità dell'istituto, comunque disposte - tra l'altro - dall'articolo 19 della citata legge n. 262 del 2005, che rimane in vigore.

Sembrerebbe invece opportuno chiarire che l'abrogazione del comma 1 non fa venir meno l'appartenenza dell'Istituto al MVU, meccanismo di vigilanza unico.

Conseguentemente al nuovo assetto proposto, la proposta abroga la disciplina della partecipazione al capitale della Banca d'Italia, di cui ai commi 2-6-bis dell'articolo 4. 

 

L'articolo 5 del decreto-legge 133 del 2013 reca norme sull'Assemblea dei partecipanti al capitale e sul Consiglio Superiore della Banca d'Italia, cui è vietato avere ingerenza nelle materie relative all'esercizio delle funzioni pubbliche attribuite alla Banca d'Italia dalle norme nazionali ed UE, come anche ribadito dallo Statuto. Il comma 2 dell'articolo 5 riguarda la composizione del Consiglio Superiore della Banca d'Italia (costituito dal Governatore e da 13 consiglieri, nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della Banca).

Stante il passaggio in mano pubblica ex lege, previsto dalla proposta in commento, occorrerebbe chiarire in via esplicita se si intende abolire tale organo ovvero se si intende prevederne una diversa composizione.

 

Con riferimento all'articolo 6 del decreto-legge n. 133 del 2013 si ricorda che esso reca in primo luogo una serie di abrogazioni e riformulazioni conseguenti all'assetto patrimoniale e di governance della Banca d'Italia, come ridisegnato dal decreto-legge n. 133 del 2013.  

Al riguardo sembrerebbe opportuno chiarire se, e in che misura, le modifiche in esame comportano la reviviscenza delle disposizioni in precedenza abrogate dal decreto-legge n. 133.

Un secondo gruppo di disposizioni dell'articolo 6 riguarda i principi, le modalità e i criteri che informano lo Statuto della Banca d'Italia, con riferimento agli assetti proprietari.

Stante la riformulazione degli assetti proprietari e di governance previsti dalla proposta, sembra opportuno prevedere – anche demandando tale compito alle norme secondarie di cui all'articolo 1, comma 2 – disposizioni per l'emanazione di un conseguente, diverso Statuto.

L'articolo 6, infine, riguarda le già menzionate modalità di contabilizzazione delle quote nei bilanci dei soggetti partecipanti, nonché il processo di dematerializzazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia.

 

Fermo restando quanto sopra precisato circa il ruolo della Banca d'Italia nell'ambito del Meccanismo Unico di Vigilanza, nelle more dell'emanazione del previsto regolamento, l'abrogazione degli articoli 4,5 e 6 citati, potrebbe privare la Banca d'Italia del Consiglio superiore e dell'Assemblea dei partecipanti, quest'ultima nella sua attuale configurazione e composizione giuridica, rendendo prive di fondamento giuridico le vigenti disposizioni statutarie, con possibili riflessi sul l'operatività ordinaria dell'Istituto. 

 

Banca d'Italia: la collocazione nell'Eurosistema e le fonti che disciplinano l'Istituto

 

L'assetto funzionale e di governance della Banca d'Italia si basa su un complesso di fonti articolate e di diverso livello, frutto di stratificazione nel tempo: la normativa europea in primo luogo, che regola l'attività del Sistema europeo di banche centrali (SEBC); le disposizioni bancarie e finanziarie attinenti ai poteri di vigilanza; le altre norme che disciplinano i rapporti con il Ministero dell'Economia e delle finanze e con le altre autorità; lo Statuto.

Nell'ambito dell'Eurosistema, di cui è parte integrante, la Banca d'Italia concorre alle decisioni di politica monetaria attraverso la partecipazione del Governatore al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) e quella di propri esperti ai Comitati e Gruppi di lavoro dell'Eurosistema, per la relativa istruttoria tecnica.

Questi compiti e funzioni sono svolti ai sensi del Trattato CE (articolo 105, ora articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea - TFUE) e dello Statuto del SEBC (articolo 3). Ai sensi del predetto articolo 127 TFUE, l'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione stessa. Il SEBC agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 119.

I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono: definire e attuare la politica monetaria dell'Unione, svolgere le operazioni sui cambi, detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri, - promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Con il Trattato di Maastricht gli Stati contraenti hanno trasferito all'UE in maniera esclusiva le proprie competenze in materia di politica monetaria (principio di attribuzione ex art. 3 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea - TFUE); in particolare, le competenze afferenti alla detenzione e alla gestione delle riserve valutarie rientrano fra i compiti dell'Eurosistema, come previsto dal citato art.127 del TFUE e dall'art.3 dello Statuto del SEBC.

A livello nazionale, le principali fonti normative che riguardano funzioni e organizzazione dell'Istituto sono: il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario, TUB); il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico finanziario, TUF); il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43 (adeguamento dell'ordinamento nazionale alle disposizioni del Trattato CE in materia di politica monetaria e SEBC); la legge 28 dicembre 2005, n. 262 (disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari); il decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303 (norme di coordinamento del TUB e del TUF con la legge 28 dicembre 2005, n. 262); il DPR 12 dicembre 2006 (approvazione del nuovo Statuto), il decreto-legge n. 133 del 2013 e il DPR 27 dicembre 2013, che ha concluso l'iter di approvazione delle modifiche allo Statuto della Banca d'Italia, introdotte dal citato decreto legge n. 133. Dal ultimo, lo Statuto è stato modificato con decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 2016 ed è in vigore da aprile 2016.

 

Indipendenza della Banca d'Italia

 

 L'indipendenza della Banca d'Italia, la sua natura di istituto di diritto pubblico e di banca centrale della Repubblica italiana derivano dalla sua appartenenza al Sistema Europeo di Banche Centrali e dal suo ruolo di autorità nazionale competente nel Meccanismo di vigilanza unico (di cui all'articolo 6 del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013).

In particolare, l'articolo 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 108 del TCE) garantisce la piena indipendenza della Banca Centrale europea e delle banche centrali nazionali nell'assolvimento delle loro funzioni, rispetto alle altre istituzioni e agli altri organi comunitari e rispetto ai Governi degli Stati membri, mentre l'articolo 131 (ex articolo 109 del TCE) dispone che ciascuno Stato membro assicura che la propria legislazione nazionale, incluso lo statuto della banca centrale nazionale, è compatibile con i trattati e con lo statuto del SEBC e della BCE.

 Tali principi sono ribaditi dall'articolo 4, comma 1 del decreto-legge n. 133 del 2013; la disposizione chiarisce che l'istituto è indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze.

La partecipazione del Governatore della Banca d'Italia al Consiglio direttivo della BCE implica che i compiti e i poteri esercitati in tale ambito siano riservati esclusivamente a tale carica. La governance della Banca si fonda sui principi di autonomia e di indipendenza affermati in sede comunitaria e nell'ordinamento nazionale, così come ribaditi dallo Statuto.

L'indipendenza della Banca, quale Autorità di vigilanza, da interferenze indirette dei partecipanti era già garantita da norme risalenti (articolo 5, comma 1, D.Lgs.C.P.S. n. 691 del 1947, successivamente abrogato dall'art. 6, comma 3, D.L. n. 133 del 2013).

L'organizzazione della Banca d'Italia è stata significativamente modificata dell'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, essenzialmente con riferimento a tre aspetti: l'indipendenza e la trasparenza nelle decisioni della Banca; la struttura di governo interna dell'Istituto; l'assetto proprietario della Banca.

Riguardo alle garanzie d'indipendenza e trasparenza, l'articolo 19 citato, dopo aver riaffermato (comma 1) l'inserimento dell'Istituto nel Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), stabilisce che:

  • le disposizioni normative nazionali, di rango primario e secondario, devono assicurare alla Banca d'Italia e ai componenti dei suoi organi l'indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria;
  • la Banca d'Italia, nell'esercizio delle proprie funzioni, con particolare riferimento a quelle di vigilanza, è tenuta ad operare nel rispetto del principio di trasparenza, inteso come "naturale complemento" dell'indipendenza dell'autorità di vigilanza, imponendo di riferire sulla propria attività al Parlamento e al Governo;
  • gli atti emessi dagli organi della Banca d'Italia devono avere forma scritta e devono essere motivati, ai sensi delle norme vigenti in tema di procedimento amministrativo;
  • deve essere redatto apposito verbale delle riunioni degli organi collegiali, al fine di consentire la trasparenza e la sindacabilità del processo decisionale;
  • il Direttorio ha la competenza ad adottare i provvedimenti aventi rilevanza esterna (in passato rientranti nella competenza del Governatore). Tale disposizione non si applica, comunque, alle decisioni rientranti nelle attribuzioni del SEBC;
  • le deliberazioni del Direttorio sono adottate a maggioranza, in caso di parità dei voti prevalendo il voto del Governatore.

Le predette disposizioni sono state recepite nello Statuto della Banca d'Italia (D.P.R. del 12 dicembre 2006) con riferimento a organi, competenze e procedure. Lo Statuto è stato adeguato anche in ordine alla nomina, al rinnovo del mandato ed alla revoca del Governatore (attuale articolo 18); vi si prevede il principio di collegialità per l'adozione da parte del Direttorio dei provvedimenti aventi rilevanza esterna attinenti alle funzioni istituzionali (attuale articolo 22); è prevista una Relazione illustrativa con cui la Banca riferisce annualmente al Parlamento e al Governo sulla propria attività (articolo 40).

 

Organi della Banca d'Italia

 

Ai sensi del vigente articolo 5 dello Statuto della Banca d'Italia, gli organi centrali dell'Istituto sono:

a) l'Assemblea dei partecipanti;

b) il Consiglio superiore;

c) il Collegio sindacale;

d) il Direttorio;

e) il Governatore;

f) il Direttore generale e i Vice Direttori generali.

L'Assemblea dei partecipanti al capitale, nella sua forma ordinaria e straordinaria, delibera sulle modifiche statutarie e sulle altre materie ad essa assegnate; tuttavia non ha ingerenza nelle materie relative all'esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dal Trattato, dallo Statuto del SEBC e della BCE, dalla normativa dell'Unione europea e dalla legge alla Banca d'Italia o al Governatore per il perseguimento delle finalità istituzionali.

L'articolo 19 dello Statuto, nell'assegnare le funzioni proprie al Consiglio superiore (organo di rappresentanza dei partecipanti, che si compone del Governatore e di 13 consiglieri nominati dall'Assemblea dei partecipanti; si veda l'articolo 5, comma 2 del decreto-legge n. 133 del 2013), e cioè l'amministrazione generale nonché la vigilanza sull'andamento della gestione e il controllo interno della Banca, chiarisce tuttavia che tale organo non ha alcuna ingerenza nelle materie relative all'esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dal Trattato, dallo Statuto del SEBC e della BCE, dalla normativa dell'Unione europea e dalla legge alla Banca d'Italia o al Governatore per il perseguimento delle finalità istituzionali (in coerenza con l'articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 133 del 2013).

Il Direttorio della Banca d'Italia è costituito dal Governatore, dal Direttore generale e da tre Vice Direttori generali. I membri del Direttorio diversi dal Governatore durano in carica sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo. Come anticipato, ad esso spetta la competenza ad assumere i provvedimenti aventi rilevanza esterna relativi all'esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dalla legge alla Banca o al Governatore per il perseguimento delle finalità istituzionali (articolo 22 dello Statuto).

Il mandato del Governatore (ai sensi del citato articolo 19, comma 7 della legge n. 262 del 2005 e dello Statuto) dura sei anni (nell'assetto previgente al 2005 mancava un limite temporale alla sua durata nella carica), con possibilità di rinnovo per una sola volta. Egli è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore.  Tale procedimento si applica anche per la revoca del Governatore, nei casi previsti dall'articolo 14, paragrafo 2, del Protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea, secondo cui il governatore di una banca centrale nazionale può essere sollevato dall'incarico solo se non soddisfa più le condizioni necessarie per l'esercizio delle sue funzioni o se si è reso colpevole di gravi mancanze.

 

Evoluzione nel tempo dell'assetto proprietario della Banca d'Italia

 

Con riferimento all'assetto proprietario della Banca, occorre ricordare che sia il comma 2 del citato articolo 19 della legge n. 262 del 2005 che il citato articolo 4, comma 1 del decreto-legge n. 133 del 2013 hanno confermato la natura della Banca d'Italia quale istituto di diritto pubblico (già affermata dall'articolo 20 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375).

Il legislatore del 1936 aveva in origine stabilito che il capitale della Banca, pari a trecento milioni di lire, fosse rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna interamente versate.

Venne inoltre previsto che le quote di partecipazione al capitale, nominative, potessero appartenere solamente a: casse di risparmio; istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale; istituti di previdenza; istituti di assicurazione.

L'articolo 27 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 ha quindi disciplinato la partecipazione al capitale della Banca d'Italia da parte delle fondazioni bancarie, enti di diritto privato che avevano effettuato il conferimento delle aziende bancarie alle società nate dal processo di trasformazione delle banche pubbliche avviato negli anni 90 del secolo scorso.

A fine 2013, la compagine partecipativa della Banca era composta da 60 partecipanti: 53 banche, 5 assicurazioni e due istituti di previdenza (INPS e INAIL).

Il decreto legge n. 133 del 2013 ha autorizzato (articolo 4, comma 2) la Banca d'Italia ad aumentare il proprio capitale, a titolo gratuito mediante utilizzo delle riserve statutarie, all'importo di 7,5 miliardi di euro; a seguito dell'aumento, il capitale è rappresentato da quote nominative di partecipazione di nuova emissione, di 25.000 euro ciascuna.

La rideterminazione del valore del capitale è stata condotta da un gruppo di esperti, scelti per le caratteristiche di indipendenza, imparzialità di giudizio ed elevata competenza nelle discipline riguardanti la finanza, l'assetto istituzionale dell'Eurosistema e la legislazione italiana e comunitaria. La stima del valore delle quote è stata ispirata a un principio di neutralità distributiva, in modo da lasciarne invariato il valore effettivo in termini finanziari (il cosiddetto valore attuale).

La plusvalenza conseguente alla rivalutazione delle quote di capitale è stata soggetta a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali, pari al 26% (cfr. D.L. 24 aprile 2014, n.66); l'importo versato dalle banche e dagli altri partecipanti per effetto dell'applicazione dell'imposta è stato pari a 1.791 milioni di euro (cfr. Ministero dell'Economia e delle Finanze, "Bollettino delle Entrate, dicembre 2014, p.6).

 

Quanto alla struttura proprietaria, il decreto-legge n. 133 del 2013 ha allargato la platea dei soggetti che possono detenere le quote ai fondi pensione e agli enti previdenziali rappresentativi delle categorie professionali. Alla luce di tale ampliamento, le quote di partecipazione al capitale possono ora essere detenute da:

È stato espressamente abrogato l'art. 10 della L. 262/2005, che aveva affidato (comma 10) a un regolamento governativo il compito di ridefinire l'assetto proprietario della Banca d'Italia e di disciplinare le modalità di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge.

 

L'intervento legislativo ha inoltre previsto che ciascun partecipante non può possedere, direttamente o indirettamente, una quota del capitale superiore al 3 per cento. Per le quote possedute in eccesso non spetta il diritto di voto ed i relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia. I partecipanti al capitale della Banca d'Italia iscrivono le quote nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, ai medesimi valori, ferma restando l'applicazione delle regole di redazione dei bilanci secondo i principi contabili nazionali o internazionali, in ottemperanza alle norme di legge (criteri di redazione dei bilanci di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38).

Conseguentemente alle modifiche sull'assetto proprietario, lo Statuto della Banca d'Italia è stato adeguato con D.P.R. 27 dicembre 2013 e, successivamente con D.P.R. 15 febbraio 2016.

Per maggiori dettagli si rinvia al sito della Banca d'Italia, sezione approfondimenti , Conseguenze per la Banca d'Italia della legge 29 gennaio 2014, n. 5, Natura e proprietà della Banca d'Italia.
Al fine di vigilare sulla partecipazione al capitale, l'articolo 4, comma 6- bis, del decreto-legge n. 133 del 2013 dispone che la Banca d'Italia riferisce annualmente con una relazione alle Camere in merito alle operazioni di partecipazione al proprio capitale in base a quanto stabilito dal presente articolo.

 

In ordine alla ripartizione dell'utile, lo Statuto ante 2013 prevedeva l'attribuzione ai partecipanti al capitale di dividendi al più pari al 10% del capitale stesso, allora fissato in 156.000 euro.

Inoltre l'articolo 40, comma 3 contemplava anche la possibilità di distribuire ai partecipanti un'ulteriore somma a valere sul "fruttato" delle riserve fino al 4 per cento delle riserve medesime, quali risultanti dal bilancio del precedente esercizio.

Di conseguenza, oltre all'importo pari al più al 10% del capitale (una cifra simbolica non superiore nel complesso a 15.600 euro), sarebbe stato possibile assegnare ai quotisti un'ulteriore somma fino al 4 per cento delle riserve statutarie, che a fine 2013 approssimavano i 15 miliardi di euro.

Poiché per effetto sia dell'accantonamento degli utili netti di esercizio a riserva (entro il cennato limite del 40 per cento, come stabilito dallo Statuto sin dal 1948), sia dei frutti degli investimenti delle riserve, le stesse rappresentano un aggregato crescente nel tempo, la disciplina della remunerazione delle quote ante riforma prevedeva de facto il tendenziale aumento nel tempo degli importi potenzialmente distribuibili ai partecipanti, in assenza di un limite massimo.

Tale modalità di calcolo dei diritti economici dei partecipanti si rifletteva anche nel valore di iscrizione delle quote della Banca nei bilanci dei partecipanti, corrispondenti a valori del capitale complessivo compresi tra 156.000 euro e oltre 15 miliardi, importo pari alla totalità delle riserve della Banca d'Italia.

Per quanto riguarda la distribuzione degli utili l'intervento del 2013 ha:

  • confermato l'ordine previsto dallo Statuto, in base al quale allo Stato è destinata la quota che residua dopo avere soddisfatto le esigenze di patrimonializzazione della Banca e dopo l'assegnazione del dividendo ai partecipanti;
  • previsto che ai partecipanti possano essere distribuiti esclusivamente dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale (articolo 4, comma 3) abrogando la norma sulla eventuale distribuzione di somme ulteriori commisurate alle riserve e al loro rendimento. Alla luce della rideterminazione del capitale in 7,5 miliardi di euro, l'ammontare massimo dei dividendi distribuibili è ora fissato in 450 milioni di euro.

 

La riforma del 2013 è stata sottoposta alla valutazione della BCE che ha condiviso la metodologia seguita per l'operazione di aumento di capitale, avvenuta in stretta cooperazione con la Banca d'Italia, a salvaguardia della sua indipendenza.
Quanto all'indipendenza finanziaria, la BCE ha osservato che la Banca d'Italia, oltre a dover essere sempre sufficientemente capitalizzata, deve trovarsi sempre nella condizione di creare e consolidare riserve appropriate e commisurate al livello di rischio emergente dalla natura delle sue attività, incluse le riserve costituite da utili non distribuiti. Sotto tale profilo, la BCE ha espresso favore per il fatto che l'art.6, comma 5 lett. a) del decreto richiede che lo Statuto della Banca d'Italia contenga previsioni atte ad assicurare che la Banca mantenga adeguati presidi contro i rischi, in linea con gli orientamenti del SEBC; ha preso nota che, ai sensi dello Statuto, la riserva ordinaria, se diminuita per perdite, deve essere reintegrata in misura corrispondente al suo precedente ammontare prima di procedere alla distribuzione dell'utile netto; inoltre, ha constatato che, a copertura dei rischi derivanti dalla complessiva operatività della Banca d'Italia, è costituito un fondo per i rischi generali; infine, ha preso nota del meccanismo di approvazione e distribuzione dell'utile netto.

 

Sulla base dei dati forniti dalla Banca d'Italia, alla data dell'8 febbraio 2019 i soggetti che detenevano quote di partecipazione nel capitale della Banca erano 123.

Tra di essi, 91 risultavano nuovi rispetto all'entrata in vigore della relativa legge di riforma (legge 29 gennaio 2014, n. 5, di conversione del decreto-legge n. 133 sopra citato): 6 compagnie di assicurazione, 7 fondi pensione, 9 enti di previdenza, 23 fondazioni di matrice bancaria e 46 banche.

Quattro partecipanti detengono ancora quote in eccesso rispetto al limite del 3 per cento del capitale, per un valore nominale complessivo di circa 2,5 miliardi di euro, su un totale di 7,5 miliardi. Per le quote al di sopra del limite di legge, tali soggetti non possono esercitare il diritto di voto né hanno diritti economici; i dividendi maturati sulle quote posseduto in supero del limite del 3% sono infatti imputati a riserva.

 

Come risulta dal bilancio della Banca d'Italia per il 2017, approvato a fine marzo 2018, l'utile ottenuto nel 2017 è stato pari a 3.895 milioni ed è stato ripartito come segue:

  • ai partecipanti al capitale un dividendo teorico di importo uguale a quello degli ultimi anni: 340 milioni, pari al 4,5 per cento del capitale; tuttavia, in base alla legge e allo Statuto, alle quote eccedenti il 3 per cento del capitale non spettano diritti economici; dunque i corrispondenti dividendi in eccesso, pari a circa 122 milioni, sono stati imputati alla riserva ordinaria e i dividendi effettivamente erogati ai partecipanti sono stati pari a circa 218 milioni di euro;
  • è stato imputato alla riserva ordinaria, a valere sull'utile netto, un importo ulteriore di 150 milioni, che – unitamente ai dividendi trattenuti sulle quote eccedenti – ha determinato un accantonamento a riserva complessivo di risorse di 272 milioni, in linea con quello deliberato nel 2017 (283 milioni);
  • in definitiva, considerando il preesistente accantonamento al fondo rischi generali di 2,9 miliardi e la quota di utile assegnata alla riserva ordinaria, l'importo complessivamente destinato ai fondi patrimoniali della Banca d'Italia ammonta a 3,2 miliardi (somma degli importi destinati a riserva più quelli destinati al fondo rischi generali);
  • la posta speciale, costituita nell'esercizio precedente per stabilizzare i dividendi destinati ai Partecipanti, è stata alimentata per 40 milioni, attestandosi così a 80 milioni;
  • il residuo ammontare dell'utile netto da assegnare allo Stato derivante dall'esercizio 2017 è stato dunque pari a 3.365 milioni (utile totale meno dividendo distribuito, accantonamento complessivo a risorse e posta speciale).

Il Governatore, nell'ultima Relazione del Governatore all'Assemblea ordinaria dei Partecipanti al capitale (29 marzo 2018), ha rilevato che detto importo, in aggiunta a imposte di competenza per 1.563 milioni, ha comportato in sostanza la destinazione allo Stato di circa 4,9 miliardi.

 

Consultazione della BCE

 

Occorre rammentare che l'articolo 127 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (al comma 4) prevede che la Banca centrale europea sia consultata:

  • in merito a qualsiasi proposta di atto dell'Unione che rientri nelle sue competenze,
  • dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze.

Tale obbligo è dettagliato nella Decisione 98/415/UE, adottata in attuazione di tale disposizione, il quale stabilisce: l'obbligo per le autorità degli Stati membri di consultare la BCE su ogni progetto di disposizioni legislative che rientri nelle sue competenze e, in particolare, per quanto riguarda: le questioni monetarie, i mezzi di pagamento, le banche centrali nazionali, la raccolta, la compilazione e la distribuzione delle statistiche monetarie, finanziarie, bancarie e sulla bilancia dei pagamenti, i sistemi di pagamento e di regolamento, e norme applicabili agli istituti finanziari nella misura in cui influenzano la stabilità di tali istituti e dei mercati finanziari (articolo 2, paragrafo 1); l'obbligo per la BCE, non appena riceve un progetto di disposizioni legislative, di comunicare alle autorità nazionali che la consultano se, a suo parere, la proposta rientra nelle sue competenze (articolo 2, paragrafo 3); la possibilità che le autorità nazionali che elaborano un progetto di disposizioni legislative prescrivano alla BCE un termine per la comunicazione del parere, che non può essere inferiore ad un mese dalla data in cui la richiesta di parere viene notificata al presidente della BCE. In casi di estrema urgenza il termine può essere ridotto. In tal caso, l'autorità nazionale che procede alla consultazione deve indicare le ragioni dell'urgenza. La BCE può chiedere a tempo debito una proroga del termine di altre quattro settimane (articolo 3, paragrafi 1, 2 e 3); alla scadenza del termine l'autorità nazionale può non tenere conto della mancanza del parere. Qualora il parere della BCE pervenga dopo il termine fissato, gli Stati membri hanno cura che esso sia reso noto alle autorità che deve adottare il provvedimento (articolo 3, paragrafo 4).

Gli Stati membri sono inoltre tenuti ad adottare le disposizioni necessarie per assicurare l'effettiva applicazione della decisione. In particolare, essi si accertano che la BCE sia consultata in tempo utile affinché l'autorità che elabora il progetto di disposizioni legislative tenga conto del parere della BCE prima di adottare la decisione nel merito; essi verificano anche che il parere ottenuto dalla BCE sia portato a conoscenza dell'autorità che deve approvare il provvedimento, se diversa da quella che ha elaborato la proposta (articolo 4).

A tale proposito si segnala la BCE ha pubblicato una Guida alla consultazione della banca centrale europea da parte delle autorità nazionali sui progetti di disposizioni legislative.   

 

Collegamento con altri provvedimenti in corso d'esame

 

Si ricorda che è attualmente all'esame della VI Commissione Finanze della Camera l'A.C. 1064 il quale, mediante l'interpretazione autentica della vigente normativa valutaria, intende specificare che la Banca d'Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, su cui resta fermo il diritto di proprietà dello Stato italiano.

Si rinvia al dossier di documentazione predisposto per l'esame dell'A.C. 1064 per ulteriori approfondimenti, con particolare riferimento alle questioni relative all'indipendenza della Banca d'Italia ed al suo ruolo entro il SEBC – Sistema europeo di banche centrali.