Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
|
---|---|
Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Finanze |
Titolo: | Semplificazione fiscale, sostegno delle attività economiche e delle famiglie e contrasto dell'evasione fiscale |
Riferimenti: | AC N.1074/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 27/1 |
Data: | 08/11/2018 |
Organi della Camera: | VI Finanze |
|
Camera dei deputati |
XVIII LEGISLATURA |
|
|
|
Documentazione per l’esame di |
Semplificazione fiscale, sostegno delle attività economiche e delle famiglie e contrasto dell'evasione fiscale
A.C. 1074 |
Schede di lettura |
|
|
|
|
|
|
n. 27/1 |
|
|
|
8 novembre 2018 |
Servizio responsabile:
|
Servizio Studi – Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it -
|
|
Il presente dossier dà conto delle norme introdotte dal decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, attualmente all’esame del Senato (AS 886), e dal disegno di legge di bilancio 2019, all’esame della Camera (AC 1334), che intervengono sulle disposizioni della proposta di legge in esame. |
|
|
La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte. |
File: FI0050a.docx |
INDICE
Capo I - Misure di semplificazione fiscale
§ Articolo 2 (Modifiche ai termini per la comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute)
§ Articolo 4 (Semplificazioni in materia di versamento unitario)
§ Articolo 6 (Semplificazioni in materia di modelli dichiarativi)
§ Articolo 7 (Semplificazioni per le associazioni sportive dilettantistiche)
§ Articolo 9 (Versamento dell'addizionale comunale all'IRPEF)
§ Articolo 10 (Conoscenza degli atti e semplificazione)
§ Articolo 11 (Introduzione dell'obbligo di invito al contraddittorio endoprocedimentale)
§ Articolo 12 (Bilancio complessivo degli oneri amministrativi)
§ Articolo 14 (Tenuta della contabilità in forma meccanizzata)
§ Articolo 15 (Disposizioni in materia di sanzioni per violazioni tributarie)
§ Articolo 16 (Disposizioni in materia di scarto d’archivio nell’anagrafe tributaria)
§ Articolo 17 (Modifiche al regime della scissione dei pagamenti)
§ Articolo 18 (Disposizioni in materia di trasmissione telematica dei corrispettivi)
Capo II - Interventi per il sostegno delle famiglie e delle attività economiche
§ Articolo 19 (Disposizioni in materia di limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore)
§ Articolo 20 (Limiti di pignorabilità)
§ Articolo 21 (Imposta sul reddito professionale)
§ Articolo 22 (Misure di sostegno economico in favore delle famiglie)
§ Articolo 23 (Redditi fondiari percepiti)
§ Articolo 24 (Regime tributario speciale per i lavoratori impatriati)
§ Articolo 25 (Ambito di applicazione)
§ Articolo 27 (Soggetti beneficiari)
§ Articolo 29 (Ulteriori condizioni)
§ Articolo 30 (Copertura finanziaria)
§ Articolo 33 (Disposizioni finanziarie)
§ Articolo 34 (Disposizioni finali)
Capo V - Disposizioni per il contrasto dell’evasione fiscale
§ Articolo 35 (Reintroduzione della denuncia fiscale per la vendita di alcolici)
§ Articolo 36 (Misure per il contrasto delle indebite compensazioni)
Articolo 1
(Abolizione delle comunicazioni dei dati delle
liquidazioni periodiche dell’imposta sul valore aggiunto)
L’articolo 1 della proposta di legge, nell’ambito delle misure volte alla semplificazione fiscale, abroga l’obbligo delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche IVA, a decorrere dalla data di avvio a regime della fatturazione elettronica tra operatori economici residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato (1° gennaio 2019).
Conseguentemente, l’amministrazione tributaria, avendo a disposizione tutti i dati delle fatture grazie all’introduzione delle fatture elettroniche, non richiederà più l’adempimento della comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA, previsto dall’articolo 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che viene abrogato.
La normativa vigente prevede che i soggetti passivi IVA devono presentare il modello “Comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA” per comunicare i dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche dell’imposta (art. 21-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122). Sono esonerati dalla presentazione della comunicazione i soggetti passivi non obbligati alla presentazione della dichiarazione annuale IVA o all’effettuazione delle liquidazioni periodiche, sempre che, nel corso dell’anno, non vengano meno le condizioni di esonero. L’obbligo di invio della comunicazione non ricorre in assenza di dati da indicare mentre sussiste nell'ipotesi in cui occorra evidenziare il riporto di un credito proveniente dal trimestre precedente.
Il modello di comunicazione deve essere presentato esclusivamente per via telematica, direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (art. 3, commi 2-bis e 3, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Il modello deve essere presentato entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo ad ogni trimestre. La comunicazione relativa al secondo trimestre è presentata entro il 16 settembre e quella relativa all’ultimo trimestre è presentata entro l’ultimo giorno del mese di febbraio. Se il termine di presentazione della comunicazione scade di sabato o in giorni festivi, lo stesso è prorogato al primo giorno feriale successivo.
Per quanto attiene alla fatturazione elettronica, la legge di bilancio 2018 (articolo 1, comma 909, lettera a), numero 3), legge n.205 del 2017) ha stabilito che al fine di razionalizzare il procedimento di fatturazione e registrazione, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, sono emesse esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il Sistema di Interscambio. Nella stessa legge (al comma 916) viene indicata anche la data attualmente prevista per l’entrata a regime delle disposizioni sulla fatturazione elettronica: 1° gennaio 2019.
Si ricorda, infine, che al comma 4, dell’articolo 6, delle Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, legge 27 luglio 2000, n.212, era stato disposto che al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria.
Articolo 2
(Modifiche ai termini per la comunicazione dei dati
delle fatture emesse e ricevute)
L’articolo 2, con effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, prevede che l’adempimento comunicativo dell’invio trimestrale dei dati delle fatture emesse e ricevute (cd. spesometro), previsto dall'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, qui modificato, abbia cadenza annuale, in luogo dell’attuale cadenza trimestrale (comma 1, lettera a)).
Conseguentemente, il comma 1, lettera b) sopprime il secondo periodo del medesimo comma 1 dell’articolo 21, il quale stabilisce che la comunicazione relativa al secondo trimestre è effettuata entro il 16 settembre e quella relativa all'ultimo trimestre entro il mese di febbraio.
I soggetti passivi trasmetteranno telematicamente i dati all'Agenzia delle entrate entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta.
La trasmissione delle comunicazioni dati fatture emesse e ricevute, il cosiddetto nuovo spesometro, è un obbligo introdotto dall’articolo 4 del decreto legge n. 193 del 22 ottobre 2016. L’articolo 1-ter del decreto legge 16 ottobre 2017, n.148, successivamente, ha introdotto semplificazioni dell’adempimento.
Si ricorda che, attualmente, l’emissione, la trasmissione e la conservazione delle singole fatture elettroniche (verso la PA e verso i clienti privati) trova la sua disciplina all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 127 del 2015 che prevede che al fine di razionalizzare il procedimento di fatturazione e registrazione, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, sono emesse esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il Sistema di Interscambio e secondo il formato strutturato messo a disposizione dall’Agenzia delle entrate. Gli operatori economici possono avvalersi, attraverso accordi tra le parti, di intermediari per la trasmissione delle fatture elettroniche al Sistema di Interscambio, ferme restando le responsabilità del soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio. Con decreto ministeriale sono individuati ulteriori formati della fattura elettronica basati su standard o norme riconosciuti nell'ambito dell'Unione europea. Le fatture elettroniche emesse nei confronti dei consumatori finali sono rese disponibili a questi ultimi dai servizi telematici dell'Agenzia delle entrate; una copia della fattura elettronica ovvero in formato analogico sarà messa a disposizione direttamente da chi emette la fattura. E' comunque facoltà dei consumatori rinunciare alla copia elettronica o in formato analogico della fattura. Sono esonerati dalle predette disposizioni i soggetti passivi che rientrano nel cosiddetto regime di vantaggio.
L’articolo 21, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, disciplina nello specifico la comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute che deve essere trasmessa telematicamente dal soggetto IVA all'Agenzia delle entrate entro le scadenze previste (è necessario comunicare anche la rettifica dei dati o l’annullamento dei dati precedentemente trasmessi). Si ricorda che se la comunicazione è inviata entro il termine di scadenza, si ritiene che possa trovare applicazione, anche per la comunicazione dati fatture, la regola che consente, in caso di scarto del file, il rinvio entro i 5 giorni successivi dalla ricezione dell’esito.
Le attuali scadenze previste per la trasmissione dati-fatture e comunicazioni periodiche IVA sono (termine ultimo):
2017 |
I trimestre |
II trimestre |
III trimestre |
IV trimestre |
Invio Dati Fatture |
16 ottobre 2017 |
6 aprile 2018 |
||
Invio Comunicazioni IVA |
12 giugno 2017 |
18 settembre 2017 |
30 novembre 2017 |
28 febbraio 2018 |
2018 (e seguenti) |
I trimestre |
II trimestre |
III trimestre |
IV trimestre |
Invio Dati Fatture |
31 maggio 2018 |
30 settembre 2018 |
30 novembre 2018 |
28 febbraio 2019 |
Invio Comunicazioni IVA |
31 maggio 2018 |
17 settembre 2018 |
30 novembre 2018 |
28 febbraio 2019 |
Si segnala al riguardo che l’articolo 1, comma 916, della legge di bilancio 2018 ha previsto l’abolizione del nuovo spesometro (mediante abrogazione dell’articolo 21 del decreto-legge n. 78/2010 a partire dal 1 gennaio 2019), contestualmente alla introduzione dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica tra privati. La norma proposta, pertanto, potrebbe trovare applicazione solo per le operazioni riferite al periodo d’imposta 2018, per le quali l’adempimento è ancora vigente. In sostanza, la disposizione in esame potrebbe consentire a coloro che non hanno già effettuato, entro settembre 2018, la comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute relative al primo semestre, di effettuare un’unica comunicazione entro il mese di febbraio 2019.
Si ricorda inoltre che il decreto-legge n. 119 del 2018, all’esame del Senato al momento della redazione del presente lavoro, introduce diverse norme in tema di semplificazione degli adempimenti legati alla fatturazione elettronica:
§ per effetto dell'articolo 10, per il primo semestre del periodo d'imposta 2019, non sono applicate le sanzioni previste per l'emissione della fattura elettronica oltre il termine stabilito dalla legge, purché la fattura sia emessa nei termini previsti per la liquidazione di periodo (mensile o trimestrale). Le sanzioni sono applicate in misura ridotta se la fattura, pur emessa tardivamente, partecipa alla liquidazione periodica del mese o trimestre successivo;
§ l'articolo 11 introduce una norma di valenza generale che consente, a decorrere dal 1° luglio 2019, l'emissione delle fatture entro 10 giorni dall'effettuazione delle operazioni;
§ l'articolo 12 modifica i termini di annotazione delle fatture, disponendo che tutte le fatture emesse siano annotate in apposito registro entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni;
§ l'articolo 13 abroga l'obbligo di numerazione progressiva delle fatture nella registrazione degli acquisti.
§
Articolo 3
(Semplificazioni in materia di controlli formali delle
dichiarazioni dei redditi e termine della presentazione
della dichiarazione telematica dei redditi)
L’articolo 3, in attuazione di quanto previsto della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), reca una norma di semplificazione del controllo formale delle dichiarazioni dei redditi e una proroga del termine per la presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta regionale sulle attività produttive.
A tal fine, il comma 1 - inserendo un nuovo comma 3-bis all’articolo 36-ter del D.P.R. 600 del 1973 (decreto IVA) - vieta all’amministrazione finanziaria di chiedere ai contribuenti, in sede di controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, certificazioni e documenti relativi a informazioni disponibili nell’anagrafe tributaria o di dati trasmessi da parte di soggetti terzi in ottemperanza a obblighi dichiarativi, certificativi o comunicativi, come ad esempio i dati acquisiti per la predisposizione della dichiarazione precompilata.
L’articolo 36-ter del D.P.R. 600 del 1973 (decreto IVA) reca la disciplina del controllo formale delle dichiarazioni stabilendo che gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria, procedono, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione, al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta, sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze, tenendo anche conto di specifiche analisi del rischio di evasione e delle capacità operative dei medesimi uffici. In particolare, al comma 3, è previsto che il contribuente o il sostituto d'imposta è invitato, anche telefonicamente o in forma scritta o telematica, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi.
Si segnala che già l’articolo 6, comma 4, della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) prevede che non possono essere richiesti documenti o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione, la quale è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso. Un’analoga norma è contenuta anche all’articolo 7, comma 1, lettera f) del decreto-legge n. 70 del 2011.
Il comma 2 prevede che il termine per la presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta regionale sulle attività produttive dei soggetti indicati nell'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 (persone fisiche, società o associazioni ad esse equiparate), attualmente previsto al 31 ottobre, passi al 31 dicembre. A tal fine è modificato il comma 932 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018).
Attualmente il comma 932 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 fissa al 31 ottobre il termine per la presentazione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta regionale sulle attività produttive dei soggetti indicati nell'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.
Il richiamato D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322 reca le modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto. In particolare all’articolo 2 sono indicati come soggetti tenuti alla dichiarazione: le persone fisiche, le società e le associazioni ad esse equiparate.
Articolo 4
(Semplificazioni in materia di versamento unitario)
L’articolo 4 amplia l’ambito applicativo del modello di pagamento unificato F24, vale a dire il modulo fiscale con il quale è possibile effettuare il pagamento di molte imposte e tributi previsti dal nostro sistema economico, attraverso il ricorso ai relativi codici tributo.
Si ricorda che l’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, disciplina la materia del versamento unitario prevedendo che il versamento unitario e la compensazione riguardano i crediti e i debiti relativi:
a) alle imposte sui redditi, alle relative addizionali e alle ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; per le ritenute di cui al secondo comma del citato art. 3 resta ferma la facoltà di eseguire il versamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato; in tal caso non è ammessa la compensazione;
b) all'imposta sul valore aggiunto dovuta ai sensi degli articoli 27 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quella dovuta dai soggetti di cui all'art. 74;
c) alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto;
d) all'imposta prevista dall'art. 3, comma 143, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
e) ai contributi previdenziali dovuti da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali, comprese le quote associative;
f) ai contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 49, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
g) ai premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dovuti ai sensi del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;
h) agli interessi previsti in caso di pagamento rateale ai sensi dell'art. 20;
h-bis) al saldo per il 1997 dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita con decreto-legge 30 settembre 1992, n. 394, e del contributo al Servizio sanitario nazionale di cui all'art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41;
h-ter) alle altre entrate individuate con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e con i Ministri competenti per settore;
h-quater) al credito d'imposta spettante agli esercenti sale cinematografiche;
h-quinquies) alle somme che i soggetti tenuti alla riscossione dell'incremento all'addizionale comunale debbono riversare all'INPS, ai sensi dell'articolo 6-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7.
In particolare, il comma 1 prevede che con tale modalità siano eseguiti anche i pagamenti dell'imposta sulle successioni e donazioni, dell'imposta di registro, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta catastale e delle tasse ipotecarie, dell'imposta di bollo, dei tributi speciali, dei tributi locali comprese le tariffe per i servizi, sui relativi accessori, interessi e sanzioni, compresi gli oneri e le sanzioni dovuti per l'inosservanza della normativa catastale, nonché alle altre entrate individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri competenti per settore.
Al riguardo si ricorda che il decreto ministeriale 8 novembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 266 del 15 novembre 2011, ha esteso le modalità di versamento tramite il modello F24 anche alle imposte sopra richiamate.
A tal fine, la lettera a) del comma in esame modifica l’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, citato precedentemente, inserendo dopo la lettera h-bis) le nuove lettere da h-bis.1) ad h-bis.6), mentre la lettera b) sostituisce la lettera h-ter).
Con riferimento all’estensione della disciplina anche ai tributi locali, comprese le tariffe per i servizi, si segnala che la disciplina generale prevista per i tributi locali già consente l’utilizzo dei versamenti unitari (art. 2-bis, comma 1, decreto legge n. 193 del 2016). La proposta, pertanto, ha portata innovativa limitatamente alle tariffe per i servizi degli enti locali, ossia le entrate di natura non tributaria.
Il comma 2 indica il termine a partire dal quale le disposizioni del comma 1 acquistano efficacia, ovvero dal primo giorno del sesto mese successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge.
Il comma 3 prevede che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono stabilite le modalità per l’attuazione delle disposizioni della lettera h-bis.5) (tributi locali, comprese le tariffe per i servizi) introdotta dal comma 1 del presente articolo.
Si ricorda che l’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 stabilisce che la Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni.
Lo stesso comma 3 prevede inoltre che con provvedimenti del direttore dell'Agenzia delle entrate, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità operative per l’attuazione delle disposizioni del comma 1.
Attualmente il modello F24 deve essere utilizzato da tutti i contribuenti, titolari e non titolari di partita Iva, per il versamento di tributi, contributi e premi. Il modello è definito “unificato” perché permette al contribuente di effettuare con un’unica operazione il pagamento delle somme dovute, compensando il versamento con eventuali crediti. I contribuenti titolari di partita Iva hanno l’obbligo di utilizzare, anche tramite intermediari (professionisti, associazioni di categoria, Caf, ecc.), modalità telematiche di pagamento.
Si ricorda che con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 17 marzo 2016 era stata prevista un’estensione dell’utilizzo del modello F24 a partire dal 1° aprile 2016 per l’imposta sulle successioni, l’imposta ipotecaria, l’imposta catastale, le tasse ipotecarie, l’imposta di bollo, l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e i tributi speciali, nonché i relativi accessori, interessi e sanzioni, dovuti in relazione alla presentazione della dichiarazione di successione.
Articolo 5
(Norma di interpretazione autentica in materia di rinnovo
dei contratti di locazione a canone agevolato)
L’articolo 5 reca una norma d’interpretazione autentica dell’articolo 2, comma 5, quarto periodo, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in materia di proroga dei contratti di locazione a canone agevolato: in mancanza della comunicazione per rinuncia del rinnovo del contratto, da inviarsi almeno sei mesi prima della scadenza, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio.
La normativa (legge 9 dicembre 1998, n. 431) prevede che alla prima scadenza del contratto di locazione a canone agevolato, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere ovvero vendere l'immobile, alle condizioni e con le modalità previste all’articolo 3 della legge richiamata che disciplina le locazioni e il rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo.
Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
Articolo 6
(Semplificazioni in materia di modelli dichiarativi)
L’articolo 6 introduce alcune semplificazioni in materia di modelli dichiarativi volte principalmente a evitare duplicazioni di dati e informazioni. Le semplificazioni adottate sono citate in uno specifico allegato alla Nota di aggiornamento al DEF.
In particolare, il comma 1 dispone che, con l’adozione di provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottarsi entro il 31 dicembre di ogni anno, sono apportate semplificazioni ai modelli dichiarativi volte, in particolare, a sopprimere duplicazioni di dati e informazioni già forniti per il periodo d’imposta interessato.
Il comma 2 stabilisce che nel Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell'evasione fiscale e contributiva, allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, sono indicate le misure di semplificazione degli adempimenti tributari annualmente adottate.
L’articolo 10.bis.1 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) prevede che contestualmente alla nota di aggiornamento al DEF, è presentato un Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, distinguendo tra imposte accertate e riscosse nonché tra le diverse tipologie di avvio delle procedure di accertamento, in particolare evidenziando i risultati del recupero di somme dichiarate e non versate e della correzione di errori nella liquidazione sulla base delle dichiarazioni, evidenziando, ove possibile, il recupero di gettito fiscale e contributivo attribuibile alla maggiore propensione all'adempimento da parte dei contribuenti. Il Governo indica, altresì, le strategie per il contrasto dell'evasione fiscale e contributiva, l'aggiornamento e il confronto dei risultati con gli obiettivi.
Ai sensi del comma 2, le maggiori entrate che, sulla base delle risultanze riferite all'anno precedente, possono essere ascritte su base permanente ai risultati dell'attività di contrasto e prevenzione dell'evasione fiscale e contributiva, nonché di miglioramento dell'adempimento spontaneo, al netto di quelle necessarie al mantenimento dell'equilibrio di bilancio e alla riduzione del rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo, sono attribuite al Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Nel Rapporto 2017 tali maggiori entrate sono state valutate in 370 milioni di euro.
Sempre in tema di semplificazione dei modelli dichiarativi, il comma 3 prevede che, nel primo provvedimento adottato dal direttore dell’Agenzia delle entrate sono apportate semplificazioni ai modelli dichiarativi al fine di eliminare l’obbligo per i contribuenti di riportare dati e informazioni relativi a contratti di locazione non necessari ai fini della liquidazione dell’imposta e già in possesso dell’amministrazione finanziaria.
Al medesimo comma si stabilisce che con lo stesso provvedimento direttoriale viene disposta la soppressione del modello dichiarativo 770 e la contestuale integrazione del modello F24 con l’indicazione del codice fiscale del contribuente nei cui riguardi è stata effettuata la ritenuta d’acconto.
Si ricorda che attualmente il modello 770 deve essere utilizzato dai sostituti d’imposta, comprese le Amministrazioni dello Stato, per comunicare in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell’anno precedente, i relativi versamenti e le eventuali compensazioni effettuate nonché il riepilogo dei crediti, nonché gli altri dati contributivi ed assicurativi richiesti. Deve essere inoltre utilizzato dagli intermediari e dagli altri soggetti che intervengono in operazioni fiscalmente rilevanti, tenuti, sulla base di specifiche disposizioni normative, a comunicare i dati relativi alle ritenute operate su dividendi, proventi da partecipazione, redditi di capitale erogati nell’anno precedente od operazioni di natura finanziaria effettuate nello stesso periodo, i relativi versamenti e le eventuali compensazioni operate ed i crediti d’imposta utilizzati. La trasmissione telematica deve essere effettuata entro il 31 luglio.
Articolo 7
(Semplificazioni per le associazioni sportive dilettantistiche)
L’articolo 7 consente di autocertificare alle associazioni sportive dilettantistiche il non superamento della franchigia per i compensi ricevuti.
In particolare, il comma 1, al fine di autocertificare il non superamento della franchigia prevista per le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi, prevede che il percipiente può presentare all’associazione sportiva dilettantistica erogante, al momento del primo pagamento, un’unica dichiarazione, con validità per l’intero anno d’imposta attestante il rispetto della franchigia prevista.
Per premi e compensi, secondo l’attuale disciplina (articolo 67, D.P.R. n. 917 del 1986, Testo unico delle imposte sui redditi) si devono intendere: indennità di trasferta, rimborsi forfetari di spesa, premi e compensi erogati ai direttori artistici e ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione Nazionale per l'Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuti, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche.
All’articolo 69 del medesimo Testo unico delle imposte sui redditi viene anche quantificata la cosiddetta franchigia, che con la legge di bilancio 2018, a partire dal 1 gennaio 2018, è stata aumentata da 7.500 a 10.000 euro: le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a 10.000 euro.
Il comma 2 introduce un meccanismo sanzionatorio in caso di omessa dichiarazione del superamento della franchigia. Se nel corso dell’anno d’imposta interviene il superamento della franchigia, il soggetto che ha presentato la dichiarazione deve comunicarlo tempestivamente all’associazione sportiva, a pena di applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari a cinque volte l’importo eccedente, con un minimo di euro 200.
Al comma 3 viene fatto espresso divieto di applicazione alla suddetta sanzione degli istituti di ravvedimento, definizione agevolata, concorso di violazioni e continuazione. Al comma 4, infine, si prevede che alla contestazione e all’irrogazione della sanzione provveda l’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente in base al domicilio fiscale del contravventore.
Articolo 8
(Semplificazioni in materia di dichiarazioni di intento relative all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto)
L’articolo 8 reca modifiche alla disciplina delle dichiarazioni di intento prevista dal decreto legge 29 dicembre 1983, n. 746, in materia di imposta sul valore aggiunto.
In particolare, il comma 1, lettera a) - modificando l’articolo 1 del predetto decreto-legge n. 746 del 1983 - stabilisce che, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell'imposta risulti da apposita dichiarazione, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, trasmessa per via telematica all'Agenzia medesima. La dichiarazione può riguardare anche più operazioni e gli estremi della dichiarazione devono essere indicati nelle fatture emesse in base ad essa (nuovo comma 1, lettera c)).
Nella normativa vigente la procedura è così disciplinata: l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta deve risultare da apposita dichiarazione, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministro delle finanze, contenente l'indicazione del numero di partita IVA del dichiarante nonché l'indicazione dell'ufficio competente nei suoi confronti, trasmessa telematicamente all'Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica.
La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall'Agenzia delle entrate, sarà consegnata al fornitore o prestatore, ovvero in dogana. L'Agenzia delle entrate mette a disposizione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la banca dati delle dichiarazioni d'intento per dispensare dalla consegna in dogana della copia cartacea delle predette dichiarazioni e delle ricevute di presentazione, prima dell'effettuazione della operazione; la dichiarazione può riguardare anche più operazioni tra le stesse parti. Nella prima ipotesi, il cedente o prestatore riepiloga nella dichiarazione IVA annuale i dati contenuti nelle dichiarazioni d'intento ricevute.
La lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento abroga la norma (comma 2, articolo 1, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746) che richiede che la dichiarazione dalla quale risultava l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta sia redatta in duplice esemplare, progressivamente numerata dal dichiarante e dal fornitore o prestatore, annotata entro i quindici giorni successivi a quello di emissione o ricevimento in apposito registro e conservata, e che gli estremi della dichiarazione siano indicati nelle fatture emesse in base ad essa.
Il comma 2, in merito alle violazioni relative alle esportazioni, interviene sulle sanzioni comminate al cedente o al prestatore che effettuano cessioni o prestazioni senza aver prima riscontrato telematicamente l'avvenuta presentazione all'Agenzia delle entrate della dichiarazione. La sanzione amministrativa è la stessa attualmente prevista per chi effettua operazioni senza addebito d'imposta, in mancanza della dichiarazione d'intento: dal cento al duecento per cento dell'imposta.
Pertanto il cedente o il prestatore che effettua cessioni (anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili) o prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all'esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare beni e servizi senza pagamento dell'imposta, deve riscontrare telematicamente sul sito dell'Agenzia delle entrate l'avvenuta presentazione prima di effettuare le operazioni stesse.
Il comma 3 prevede che con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità operative per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo.
Il comma 4, infine, stabilisce che l’applicazione delle norme di cui ai commi 1 e 2 decorre dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.
Articolo 9
(Versamento dell'addizionale comunale all'IRPEF)
Con l’articolo 9 viene stabilito che il versamento dell’addizionale comunale IRPEF è effettuato dai sostituti d'imposta cumulativamente per tutti i comuni di riferimento.
A tal fine il comma 1 sostituisce il comma 143 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
La normativa vigente (articolo 1, comma 143, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) prevede che a decorrere dall'anno d'imposta 2007, il versamento dell'addizionale comunale all'IRPEF è effettuato direttamente ai comuni di riferimento, attraverso apposito codice tributo assegnato a ciascun comune.
L’articolo 3 del decreto ministeriale del 5 ottobre 2017, modalità di versamento da parte dei soggetti privati, stabilisce attualmente che: 1. Il versamento dell'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche è effettuato dai soggetti privati, in acconto ed a saldo, con il modello di versamento F24 di cui al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, evidenziando quanto dovuto a ciascun comune sulla base del domicilio fiscale dei contribuenti alla data del 1° gennaio dell'anno cui si riferisce l'addizionale stessa. 2. Il versamento di cui al comma precedente è effettuato utilizzando i codici tributo individuati dall'Agenzia delle entrate da associare al codice catastale del comune, desumibile dalla specifica tabella pubblicata sul sito dell'Agenzia delle entrate. 3.L'Agenzia delle entrate attribuisce le somme di competenza a ciascun comune, nei tempi e con le modalità previste dal capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, sono definite le modalità per l’attuazione della norma e la ripartizione giornaliera, da parte dell'Agenzia delle entrate in favore dei comuni, dei versamenti effettuati da contribuenti e sostituti d'imposta a titolo di addizionale comunale all’IRPEF, avendo riguardo anche ai dati contenuti nelle relative dichiarazioni fiscali, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Nel medesimo decreto è stabilito il termine a decorrere dal quale si applicano le modalità di versamento previste.
Articolo 10
(Conoscenza degli atti e semplificazione)
L’articolo 10 impone all’amministrazione finanziaria di diffondere gli strumenti necessari ad assolvere correttamente gli adempimenti richiesti ai contribuenti con congruo anticipo, prima dell’inizio del periodo d'imposta interessato e comunque non oltre sessanta giorni prima del termine concesso al contribuente. Viene inoltre richiamata l’esimente che ricorre in caso di inadempimento non imputabile al contribuente per irregolarità, malfunzionamento, disservizio o ritardo dell’amministrazione finanziaria.
In particolare, il comma 1 modifica l’articolo 6, comma 3, dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000), prevedendo che l'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, secondo le modifiche introdotte, i servizi telematici, la modulistica, la prassi amministrativa nonché ogni altra propria comunicazione siano messi a disposizione del contribuente con idonee modalità di comunicazione e pubblicità, prima dell'inizio del periodo d'imposta interessato e, comunque, almeno sessanta giorni prima del termine assegnato al contribuente per l'adempimento al quale si riferiscono (lettera a)).
L’articolo 5, comma 1, della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), aveva stabilito che l’amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria.
Viene quindi introdotto un nuovo comma 3-bis al predetto articolo 6, il quale - ricalcando sostanzialmente quanto previsto dal comma 3 vigente - prevede che i modelli, le istruzioni ed ogni altra comunicazione devono essere comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria. L’amministrazione finanziaria deve assicurare che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli (comma 1, lettera b)).
Infine con l’introduzione del nuovo comma 3-ter al medesimo articolo 6, viene stabilito che per irregolarità, malfunzionamento, disservizio o ritardo da parte dell’amministrazione finanziaria negli adempimenti previsti ovvero per obiettive condizioni di incertezza sulle modalità operative cui attenersi, al contribuente non sono imputabili le conseguenze sanzionatorie della violazione delle norme che dispongono l’adempimento, ferma restando la punibilità dei comportamenti contrari a buonafede.
Anche quest’ultima disposizione è in attuazione a quanto previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente, legge 27 luglio 2000 n. 212, articolo 10, in merito ai principi di Tutela dell'affidamento e della buona fede negli errori del contribuente, ai sensi del quale:
§ i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede;
§ non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa;
§ le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto.
Articolo 11
(Introduzione dell'obbligo di invito al
contraddittorio endoprocedimentale)
L’articolo 11 stabilisce che prima di emettere qualunque avviso di accertamento nei riguardi dei contribuenti, ad eccezione dei casi di accertamento parziale (articolo 41-bis, DPR n. 600 del 1973 - Accertamento) e in caso di pericolo per la riscossione dell'imposta (articolo 54, quarto comma, DPR n. 633 del 1972 – decreto IVA), l’ufficio procedente dell’Agenzia delle entrate, a pena di nullità dell’atto impositivo, notifica un preventivo invito al contribuente, volto ad avviare un contraddittorio endoprocedimentale.
Si ricorda che l’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, in merito all’accertamento parziale, prevede che gli uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggior ammontare di un reddito parzialmente dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito od il maggior reddito imponibile. Si tratta dei casi in cui gli uffici hanno il possesso di elementi certi, che non necessitano di una specifica valutazione, ovvero di un’attività istruttoria, da cui desumere errori od omissioni di elementi reddituali.
L’articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, decreto IVA, stabilisce che se vi è pericolo per la riscossione dell'imposta l'ufficio può provvedere, prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, all'accertamento delle imposte non versate in tutto o in parte.
Parte della giurisprudenza ha riconosciuto l’immanenza del principio del contraddittorio endoprocedimentale nel nostro ordinamento amministrativo e tributario (articolo 7, legge n. 241 del 1990, principi europei e articoli 5, 6, 7, 10, dello Statuto del contribuente).
La Corte di Cassazione sezioni unite, Sentenza 29 luglio 2013, n. 18184, ad esempio, aveva sottolineato che: il contraddittorio procedimentale è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate).
Si segnala, inoltre, che l’ordinamento vigente già prevede forme di contraddittorio endoprocedimentale, quali quelle attivate mediante inviti a comparire per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, inviti a comparire nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218/1997, richieste di chiarimenti nell’ambito del procedimento di accertamento finalizzato alla contestazione dell’abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis del 27 luglio 2000, n. 212, inviti a comparire nell’ambito del procedimento di determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, per fornire dati e notizie rilevanti e ai fini dell’avvio del procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (art. 38, settimo comma del D.P.R. n. 600/1973).
Il comma 2 specifica che nell’invito, sia nella forma di avviso di avvio del procedimento che di avviso di conclusione della fase istruttoria svolta d’ufficio, devono essere comunque indicate alcune informazioni: i periodi d’imposta ai quali si riferisce l’accertamento, ove si tratti di tributo periodico; gli elementi a disposizione dell’ufficio per la determinazione dei maggiori imponibili; il termine assegnato, non inferiore a quindici e non superiore a quarantacinque giorni, per la produzione di documenti e memorie scritte o per la comparizione presso la sede dell’ufficio al fine dell’instaurazione del contraddittorio orale.
Il comma 3 dispone che il contribuente può partecipare al procedimento instaurato, secondo i termini e le modalità indicati nell’invito, e ha facoltà di esibire ed allegare qualsiasi elemento ritenuto utile ai fini della veritiera e corretta determinazione degli imponibili.
Il comma 4 prevede che le notizie e i dati non addotti né, se puntualmente richiesti nell’invito, gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi all’ufficio dal contribuente medesimo a seguito dell’invito, non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Viene fatta salva la facoltà del contribuente di depositare, allegandoli all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa, gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi, fornendo prova di non aver potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per causa a lui non imputabile.
Il comma 5 stabilisce che decorsi 60 giorni dalla data di notifica dell’invito senza che il contribuente si sia attivato per fornire elementi di valutazione e prova a proprio favore, comparendo presso l’ufficio o depositando documenti o memorie scritte, l'ufficio può concludere l'attività istruttoria ed emettere l'atto impositivo.
Il comma 6 prevede che decorso il termine di cui al comma precedente, l'invito contenente le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti, nonché i motivi che hanno dato luogo alla loro determinazione, produce gli effetti propri dell’avviso di accertamento esecutivo.
Resta salva l’applicazione delle disposizioni in materia di ravvedimento.
Si segnala che in tal modo si priva di ogni effetto il limite posto dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. 472/1997, che consente il ravvedimento “sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza”.
Il comma 7 disciplina le regole procedurali nel caso di avvio della fase del contraddittorio.
In particolare:
a) l’ufficio dell’Agenzia delle entrate attesta, mediante la redazione di processi verbali, le deduzioni e i documenti prodotti dal contribuente nonché gli esiti degli incontri svolti in contraddittorio;
b) il subprocedimento termina in ogni caso decorsi novanta giorni dalla data di notifica dell’invito di cui al comma 1, senza possibilità di proroga;
c) durante il periodo previsto dal comma 5 sono sospesi tutti i termini di decadenza per ambedue le parti;
d) se l’ufficio ritiene di disattendere, in tutto o in parte, le ragioni esposte dal contribuente, deve darne giustificazione nella motivazione del successivo avviso di accertamento;
e) è precluso al contribuente il ricorso all’istituto dell’accertamento con adesione.
Articolo 12
(Bilancio complessivo degli oneri amministrativi)
Con l’articolo 12 viene abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2019, la norma (articolo 8, comma 2-septies, della legge 11 novembre 2011, n. 180) che esenta gli atti normativi in materia tributaria, creditizia e di giochi pubblici dal rispetto delle disposizioni contenute nello Statuto delle imprese in materia di nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati.
La disciplina di cui alla legge 11 novembre 2011, n. 180, Statuto delle imprese, prevede all’articolo 8 che, con l’esclusione della materia tributaria, creditizia e dei giochi pubblici, negli atti normativi e nei provvedimenti amministrativi a carattere generale che regolano l'esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l'accesso ai servizi pubblici o la concessione di benefici, non possono essere introdotti nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati senza contestualmente ridurne o eliminarne altri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale.
Con questa disposizione, il legislatore ha inteso accrescere l’attenzione delle amministrazioni in ordine agli effetti dell’attività regolatoria, prevedendo un meccanismo di bilanciamento (cosiddetto “regulatory budget”): non possono essere introdotti nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati senza che siano contestualmente ridotti o eliminati altri oneri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo anno, intendendosi per oneri amministrativi i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.
A tal fine dallo stesso articolo è previsto che entro il 31 gennaio di ogni anno, le amministrazioni statali trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una relazione sul bilancio complessivo degli oneri amministrativi, a carico di cittadini e imprese, introdotti ed eliminati con gli atti normativi approvati nel corso dell'anno precedente.
Articolo 13
(Efficacia delle deliberazioni regolamentari e tariffarie
relative alle entrate tributarie degli enti locali)
L’articolo 13 dispone che l’efficacia di tutte le deliberazioni regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie degli enti locali decorra dalla loro pubblicazione nel sito internet del Ministero dell'economia e delle finanze.
La norma, quindi, vuole introdurre anche per la TARI la stessa disciplina già prevista per i regolamenti e le delibere ai fini dell’IMU e della TASI nonché dell’addizionale comunale IRPEF.
Nell’esercizio della propria autonomia regolamentare, i comuni valutano se procedere all’approvazione di un unico regolamento recante la disciplina dei tre tributi che compongono la IUC - IMU, TASI e TARI - o, invece, all’adozione di atti distinti per ciascuno di tali tributi. Analogamente, in ordine alla determinazione della misura del prelievo, gli enti locali possono optare per l’approvazione di un'unica delibera di fissazione delle aliquote dell’IMU e della TASI e delle tariffe della TARI oppure di atti distinti.
Si ricorda, tuttavia, che per l’IMU e la TASI la pubblicazione sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze costituisce - ai sensi del comma 13-bis dell’articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 e del comma 688 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 - condizione di efficacia dei regolamenti e delle delibere di approvazione delle aliquote. In particolare, tali atti acquistano efficacia per l’anno di riferimento se pubblicati entro il termine del 28 ottobre dell’anno medesimo. In caso di mancata pubblicazione entro detto termine, trovano applicazione i regolamenti e le delibere adottati per l’anno precedente. Non devono, pertanto, essere presi in considerazione, ai fini della determinazione del tributo, i regolamenti e le delibere pubblicati successivamente al 28 ottobre di ciascun anno (fatte salve, ovviamente, le ipotesi di esercizio da parte del comune del potere di autotutela amministrativa volto all'eliminazione di un vizio di legittimità o alla correzione di un errore materiale).
Per la TARI, invece, ai sensi del comma 15 dell’articolo 13 del decreto-legge. n. 201 del 2011, la pubblicazione sostituisce l’avviso in Gazzetta Ufficiale previsto dall’articolo 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997 e svolge una finalità meramente informativa.
Articolo 14
(Tenuta della contabilità in forma meccanizzata)
L’articolo 14 prevede che l’obbligo di stampa cartacea soltanto all’atto del controllo e su richiesta dell'organo procedente, attualmente previsto per i soli registri IVA, sia esteso anche a tutti i registri contabili aggiornati con sistemi elettronici in qualsiasi supporto.
La norma in vigore, comma 4-quater, dell'articolo 7, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, stabilisce, infatti, che la tenuta dei registri delle fatture con sistemi elettronici è, in ogni caso, considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza.
Articolo 15
(Disposizioni in materia di sanzioni per violazioni tributarie)
L’articolo 15 riduce, a specifiche condizioni, l’importo delle sanzioni previste per le violazioni delle norme in tema di fatturazione elettronica (comma 1); disciplina le ipotesi in cui è esclusa l’applicazione delle sanzioni per le violazioni inerenti il reverse charge (comma 2) e modifica (comma 3) la generale clausola di non punibilità per le violazioni tributarie, stabilendo che esse non siano sanzionate ove non incidano sul quantum dovuto, salvo il caso di omessa dichiarazione con imposta a debito.
In particolare, con le disposizioni del comma 1 sono ridotte alla metà del minimo edittale le sanzioni comminate per le infrazioni commesse sino al 31 dicembre 2019 che riguardino l’omessa, errata o tardiva emissione di fatture elettroniche.
Si tratta in particolare delle sanzioni emesse per le violazioni previste dall’articolo 1, comma 6 del D.Lgs. n. 127 del 2015 (provvedimento che, in ottemperanza alla delega della legge n. 23 del 2014, ha disciplinato la fatturazione elettronica).
Si rammenta al riguardo che il richiamato articolo 6 dispone:
§ in caso di emissione di fattura con modalità diverse da quella elettronica, che essa si intenda come non emessa. In tal caso si applicano le sanzioni previste dall'articolo 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ovvero quelle previste per la violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto.
In sintesi, chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini IVA è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all'imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta. La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo. Inoltre, il cessionario o il committente che, nell'esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell'altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell'imposta, con un minimo di euro 250, sempreché non provveda a regolarizzare l'operazione nelle modalità previste dalla legge;
§ nel caso in cui sia omessa la trasmissione all’Agenzia delle entrate dei dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi transfrontalieri, ovvero nel caso tali dati siano incompleti o inesatti, che si applichi la sanzione di cui all'articolo 11, comma 2-quater, del richiamato decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. Essa è pari a 2 euro per ciascuna fattura, comunque entro il limite massimo di euro 1.000 per ciascun trimestre. La sanzione è ridotta alla metà, entro il limite massimo di euro 500, se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza stabilita ai sensi del periodo precedente, ovvero se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati.
Si ricorda al riguardo che il decreto-legge n. 119 del 2018, all’esame del Senato al momento della redazione del presente lavoro, introduce diverse norme in tema di semplificazione degli adempimenti legati alla fatturazione elettronica:
§ per effetto dell'articolo 10, per il primo semestre del periodo d'imposta 2019, non sono applicate le sanzioni previste per l'emissione della fattura elettronica oltre il termine stabilito dalla legge, purché la fattura sia emessa nei termini previsti per la liquidazione di periodo (mensile o trimestrale). Le sanzioni sono applicate in misura ridotta se la fattura, pur emessa tardivamente, partecipa alla liquidazione periodica del mese o trimestre successivo;
§ l'articolo 11 introduce una norma di valenza generale che consente, a decorrere dal 1° luglio 2019, l'emissione delle fatture entro 10 giorni dall'effettuazione delle operazioni;
§ l'articolo 12 modifica i termini di annotazione delle fatture, disponendo che tutte le fatture emesse siano annotate in apposito registro entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni;
§ l'articolo 13 abroga l'obbligo di numerazione progressiva delle fatture nella registrazione degli acquisti.
La fatturazione elettronica
La legge di bilancio 2018 (commi 909, 915-917 e 928) ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2019, l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria (e-fattura) nelle operazioni tra privati (con modifiche alla disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 127 del 2015) e, contestualmente, l’eliminazione delle comunicazioni dei dati delle fatture (spesometro).
Sono previsti alcuni esoneri (ad esempio per coloro che rientrano nel regime forfetario agevolato) e sono dettate le specifiche conseguenze della violazione dell’obbligo di e-fattura (la fattura si considera non emessa e sono previste sanzioni pecuniarie). Si prevede inoltre la trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati relativi alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti in Italia, salvo quelle per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche. La legge di bilancio ha anche introdotto misure premiali per incentivare la tracciabilità dei pagamenti (riduzione dei termini di decadenza per gli accertamenti).
In tale quadro, la legge di bilancio ha anticipato l’obbligo della fatturazione elettronica (comma 917) al 1° luglio 2018 per alcune operazioni e, in particolare, per:
§ prestazioni dei subappaltatori nei confronti dell’appaltatore principale nel quadro di un contratto di appalto di lavori, servizi o forniture stipulato con una pubblica amministrazione;
§ cessioni di benzina o di gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori.
Più in generale, ai sensi del comma 920 – con una modifica all'articolo 22, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, D.P.R. IVA – è introdotto l’obbligo della fatturazione elettronica per gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti IVA.
Successivamente, l’articolo 11-bis del decreto-legge n. 87 del 2018 (cd. decreto dignità), recependo il contenuto del decreto-legge n. 79 del 2018, non convertito, ha rinviato al 1° gennaio 2019 la decorrenza dell’obbligo della fatturazione elettronica per la vendita di carburante a soggetti IVA presso gli impianti stradali di distribuzione, in modo da uniformarlo a quanto previsto dalla normativa generale sulla fatturazione elettronica tra privati.
L'articolo 11 del medesimo provvedimento ha introdotto disposizioni sulla trasmissione dei dati delle fatture emesse e ricevute (c.d. spesometro) da parte dei soggetti passivi IVA; si è stabilito che la comunicazione dei dati relativi al terzo trimestre 2018 non debba essere effettuata entro il mese di novembre 2018 (in applicazione dell'art. 21, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010), bensì entro il 28 febbraio 2019. Qualora si opti per la trasmissione con cadenza semestrale, i termini temporali sono fissati al 30 settembre per il primo semestre e al 28 febbraio dell'anno successivo per il secondo semestre. Viene inoltre eliminato lo spesometro per tutti i produttori agricoli assoggettati a regime IVA agevolato e si esonerano dall’obbligo di annotazione delle fatture nei registri IVA i soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute, ai sensi delle disposizioni in tema di fatturazione elettronica.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 8/E del 30 aprile 2018 ha individuato le prime linee guida per l’entrata in vigore dell’obbligo di e-fattura.
Come anche rilevato da SOGEI nel corso dell’audizione svoltasi il 12 luglio 2018 presso la VI Commissione Finanze della Camera, l’obbligo di fatturazione elettronica tra privati è stato introdotto in Italia in forza di una misura di deroga concessa, il 16 aprile 2018, dal Consiglio UE per il periodo 1° luglio 2018-31 dicembre 2019. Ove l’Italia intenda prorogare tale misura, è tenuta a farne domanda alla Commissione UE corredando l’istanza da una relazione sull’efficacia della misura ai fini del contrasto all’evasione, alle frodi IVA e per semplificare la riscossione delle imposte.
Per ulteriori informazioni sull’incentivazione della fatturazione elettronica nel tempo, si rinvia al tema web dedicato all’IVA.
Il comma 2 intende disapplicare le sanzioni previste per la violazione degli obblighi in tema di reverse charge (inversione contabile), ove l’errata applicazione dell’inversione contabile non abbia comportato un errato o minor versamento dell’imposta da corrispondere secondo le specifiche modalità dell’inversione contabile, di cui all’articolo 17, commi 5 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (D.P.R. IVA).
Reverse charge o inversione contabile
L'inversione contabile, o reverse charge, è un particolare meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, per effetto del quale il destinatario di una cessione di beni o prestazione di servizi, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, è tenuto all'assolvimento dell'imposta in luogo del cedente o prestatore.
In particolare, l’articolo 17, comma 5 del DPR IVA dispone l’applicazione di tale modalità alle cessioni imponibili di oro da investimento, nonché per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati aventi specifiche caratteristiche di purezza; il successivo comma 6 enumera ulteriori ipotesi di applicazione del meccamismo di inversione contabile (tra cui le prestazioni di servizi rese nel settore edile dai subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l'attività di costruzione o ristrutturazione di immobili, ovvero nei confronti dell'appaltatore principale o di un altro subappaltatore; a specifiche cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato; a prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e di completamento relative ad edifici; alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza, a specifiche condizioni; alle cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative; alle cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato; ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra; ai trasferimenti di certificati relativi al gas e all'energia elettrica; alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore).
Il cedente o prestatore a tal fine emette fattura senza addebitare l'imposta ed applica la norma che prevede l'applicazione del regime del reverse charge. Il destinatario della cessione di beni o della prestazione del servizio deve integrare la fattura ricevuta con l'indicazione dell'aliquota propria della operazione messa in essere dal cedente o prestatore del servizio, della relativa imposta e inoltre deve registrare il documento sia nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, che nel registro degli acquisti a tal punto da rendere neutrale l'effetto della imposta.
Per la violazione degli obblighi in tema di reverse charge sono previste specifiche sanzioni all’articolo 6, commi da 9-bis a 9-bis.3, del richiamato D.Lgs. n. 471 del 1997.
Ai sensi del comma 9-bis, l’omissione degli adempimenti connessi all'inversione contabile di cui all’articolo 17, comma 6, del DPR IVA è punita con una sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000 euro Se l'operazione non risulta dalla contabilità, la sanzione amministrativa è elevata a una misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Ai sensi del comma 9-bis.1, in deroga a quanto già esposto, ove vi siano i requisiti prescritti per l'applicazione dell'inversione contabile, se l'imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all'assolvimento dell'imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro, con responsabilità solidale di cedente o prestatore. Viene punito invece il cessionario o il committente quando l'applicazione dell'imposta nel modo ordinario anziché mediante l'inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole.
Ai sensi del comma 9-bis.2, qualora - in assenza dei requisiti prescritti per l'applicazione dell'inversione contabile- l'imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione, il cedente o il prestatore non è tenuto all'assolvimento dell'imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro, con solidarietà del cessionario o committente. Analogamente, il cedente o prestatore viene punito se l'applicazione dell'imposta mediante l'inversione contabile, anziché nel modo ordinario, è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole.
Infine (comma 9-bis.3), se il cessionario o committente applica l'inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell'imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l'imposta eventualmente non detratta. La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro.
Il comma 3 infine modifica la disciplina generale in tema di sanzioni amministrative tributarie, con una novella all’articolo 6, comma 5-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Nella vigente formulazione, il comma 5-bis reca una generale clausola di non punibilità delle violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo.
Con le modifiche in esame si prevede che, fuori dai casi di omessa dichiarazione con imposta a debito, non sono punibili le violazioni che non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo.
Rimane quindi ferma la clausola di non punibilità per le violazioni che non implicano una variazione di base imponibile, imposta e versamenti; tuttavia, nel caso di omessa dichiarazione con imposta a debito, le violazioni sono punibili anche se non incidono sui predetti elementi e, in sostanza, sul quantum dovuto.
Articolo 16
(Disposizioni in materia di scarto d’archivio nell’anagrafe tributaria)
L’articolo 16 reca alcune norme in tema di obsolescenza e archiviazione dei dati presenti in anagrafe tributaria. Sono previste specifiche modalità di aggiornamento dei dati presenti in anagrafe tributaria, con l’eliminazione dei dati obsoleti, ovvero conservati in modo massivo o disaggregato. E’ prevista la possibilità di chiedere, nelle ipotesi di legge, la rimozione dei dati obsoleti oppure conservati in modo massivo o disaggregato.
In particolare, ai sensi del comma 1 si prevede che gli uffici dell’Amministrazione finanziaria provvedano ad aggiornare i dati presenti in anagrafe tributaria, eliminando dai propri archivi:
§ le informazioni obsolete;
§ le informazioni conservate in modo massivo o in modo disaggregato su singoli contribuenti.
Con riferimento all’obsolescenza dei dati, il successivo comma 2 dispone che essa si presume, salva comprovata diversa esigenza, decorsi dieci anni dalla data di inserimento o registrazione in banca dati ovvero di acquisizione dell’informazione o del documento.
Si segnala che le norme in esame – salva la presunzione di cui al comma 2 – non recano una definizione di “informazioni obsolete” ovvero “conservate in modo massivo o disaggregato”. Si valuti l’opportunità di circoscrivere puntualmente tali ipotesi, con eventuale affidamento di tale compito a norme di rango secondario.
Con riferimento alla presunzione di obsolescenza, occorrerebbe chiarire le conseguenze dell’eliminazione dei dati, decorsi i dieci anni previsti dal comma 2; ove fosse richiesto di fornire nuovamente dette informazioni ed esse fossero rimaste invariate, appare opportuno individuare modalità di aggiornamento che evitino aggravi dichiarativi ai contribuenti.
Ai sensi del comma 3, i contribuenti - fatta salva la temporanea ed eccezionale necessità di segretezza istruttoria relativamente a controlli fiscali in corso - possono chiedere l’accesso alle informazioni sulla propria posizione fiscale detenute dall’Amministrazione fiscale e la relativa rimozione nei casi previsti dal presente articolo.
Si segnala che la possibilità di conoscere la propria posizione fiscale è garantita dai servizi telematici dell’Agenzia delle entrate (cfr. fisconline, dichiarazione precompilata, cassetto fiscale), che consente altresì la modifica dei propri dati. Si valuti pertanto l’opportunità di chiarire la portata applicativa della norma in esame, attesa l’esistenza di tali servizi.
Articolo 17
(Modifiche al regime della scissione dei pagamenti)
L’articolo 17 interviene sul regime della scissione dei pagamenti a fini IVA (split payment), per consentire ai contribuenti che effettuano prestazioni di servizi o cessioni di beni secondo tale specifica modalità di usufruire di un plafond IVA, analogo a quello già previsto dalla legge per gli esportatori abituali, per l’acquisto di beni e di servizi, a specifiche condizioni ed entro limiti stabiliti dalla legge, previa opzione in tal senso.
A tal fine sono introdotti i commi da 2-bis a 2-quater all’articolo 17-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, che disciplina lo split payment. Tale meccanismo opera, in estrema sintesi, per le operazioni svolte nei confronti di pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi ed implica la scissione dei pagamenti a fini IVA, per le operazioni in cui le Amministrazioni pubbliche non sono debitori d’imposta. In tali casi, le PP.AA in sede di pagamento devono versare direttamente all’erario l’IVA che è stata addebitata loro dai fornitori, in luogo di corrisponderla al fornitore contestualmente al pagamento del corrispettivo.
Lo split payment ed il suo ambito applicativo
L’articolo 1, comma 629, lettera b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha introdotto l’articolo 17-ter del D.P.R. n. 633 del 1972 (decreto IVA) che ha stabilito, per le pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi, un meccanismo di scissione dei pagamenti, cd. split payment, da applicarsi alle operazioni per le quali dette amministrazioni non siano debitori d’imposta. In base a questo meccanismo, in relazione agli acquisti di beni e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni, per i quali queste non siano debitori d’imposta (ossia per le operazioni non assoggettate al regime di inversione contabile) devono versare direttamente all’erario l’IVA che è stata addebitata loro dai fornitori, anziché allo stesso fornitore, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta.
Tale disposizione era stata inizialmente resa applicabile alle amministrazioni e dagli enti pubblici destinatari delle norme in materia di IVA a esigibilità differita di cui all’articolo 6, quinto comma, secondo periodo, del citato DPR n. 633 del 1972: lo Stato, gli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, gli enti pubblici territoriali ed i consorzi tra essi costituiti, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli istituti universitari, le aziende sanitarie locali, gli enti ospedalieri, gli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, gli enti pubblici di assistenza e beneficenza e quelli di previdenza. Le disposizioni attuative del nuovo meccanismo sono state inizialmente stabilite dal D.M. 23 gennaio 2015 (successivamente modificato dal D.M. 20 febbraio 2015).
L’Agenzia delle entrate si è pronunciata sul meccanismo con:
§ la circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015 (paragrafi da 8.5 a 8.7);
§ la circolare n. 15/E del 13 aprile 2015;
§ la risoluzione n.75/E del 14 settembre 2016.
Successivamente, con l’articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, il meccanismo dello split payment è stato esteso a tutte le amministrazioni, gli enti ed i soggetti inclusi nel conto consolidato della pubblica amministrazione di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alle seguenti tipologie di soggetti:
a. società controllate dallo Stato, di diritto o di fatto, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, nn. 1) e 2), del codice civile;
b. società controllate di diritto, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, direttamente dagli enti pubblici territoriali;
c. società controllate di diritto, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, direttamente o indirettamente, dai soggetti precedentemente indicati alle lettere a) e b);
d. società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana.
Il decreto-legge n. 50 ha inoltre abrogato l’originario comma 2 dell’articolo 17-ter, che escludeva esplicitamente dall’applicazione dello split payment i compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito (compensi dei professionisti). Dunque tali compensi sono stati assoggettati alla scissione dei pagamenti, ogniqualvolta siano effettuate operazioni nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, come anche esplicitamente chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 27E del 7 novembre 2017. Successivamente, l’articolo 12 del decreto-legge n. 87 del 2018 (cd. decreto dignità) ha previsto l’abolizione dello split payment per i citati compensi dei professionisti.
Dopo il predetto ampliamento, si sono succeduti due decreti di attuazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze rispettivamente del 27 giugno 2017 e 13 luglio 2017 che hanno provveduto a definire i soggetti interessati dal meccanismo in argomento. Si specifica che per individuare le pubbliche amministrazioni e le società coinvolte dai nuovi obblighi devono essere consultati gli appositi elenchi pubblicati sul sito del dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze aggiornati progressivamente e costantemente. L’elenco definitivo, emanato con decreto entro il 15 novembre di ciascun anno, avrà effetti a partire dall’anno successivo. Per le società che ricadono tra le controllate soggette a split payment o se sono inserite nell’indice FTSE MIB in corso d’anno, entro il 30 settembre, la disciplina dello split payment sarà applicabile solo nell'ambito delle operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo.
Da ultimo, l’articolo 3 del decreto-legge n. 148 del 2017 ha esteso ulteriormente (dal 1° gennaio 2018) il meccanismo della scissione dei pagamenti agli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, alle fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, alle società controllate direttamente o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica e a quelle partecipate per una quota non inferiore al 70% da qualsiasi amministrazione pubblica o società assoggettata allo split payment. Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 9 gennaio 2018 sono state dettate le modalità di attuazione del nuovo perimetro applicativo dello split payment, individuate dal predetto decreto-legge n. 148 del 2017.
Il regime speciale della scissione dei pagamenti, che deroga alle previsioni della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio sul sistema comune dell’IVA, è stato autorizzato, su proposta della Commissione europea, dal Consiglio dell’Unione, da ultimo, con decisione di esecuzione (Ue) 2017/784 del 25 aprile 2017, con la quale il Consiglio ha accolto la richiesta di proroga avanzata dall’Italia con una lettera del 16 febbraio 2017.
Gli esportatori abituali
Si ricorda in proposito che l’ordinamento, per evitare di penalizzare dal punto di vista finanziario i contribuenti che effettuano esportazioni e cessioni intracomunitarie piuttosto consistenti rispetto al volume d’affari - i quali, di conseguenza, rischierebbero di rimanere in permanente attesa del rimborso dell’eccedenza d’imposta – prevede una procedura che consente di acquistare beni e/o servizi senza applicazione dell’imposta. L'art. 8, comma 1, lett. c) del DPR n. 633 del 1972 stabilisce infatti la non imponibilità delle cessioni e delle prestazioni di servizi fatte agli esportatori abituali che si avvalgono della facoltà di acquistare o importare beni senza il pagamento dell'imposta.
Il meccanismo previsto nella citata lettera c) consiste nel considerare non imponibili anche le cessioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano compiuto abitualmente cessioni all’esportazione oppure operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione. La sospensione del pagamento, ai sensi del successivo comma 2, è riconosciuta nei limiti delle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente (plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti (plafond mobile), per un ammontare superiore al 10 per cento del complessivo volume d’affari. Tali norme dispongono la non imponibilità delle cessioni effettuate nei confronti dell’esportatore abituale e incidono esclusivamente sulla esecutività del debito IVA, permettendone l’estinzione mediante compensazione con i crediti IVA contratti dall’esportatore durante la sua attività.
Per essere considerato “esportatore abituale” un soggetto è tenuto ad alcuni adempimenti: in particolare, deve presentare all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli una dichiarazione d’intento con la quale dichiara, sotto la propria responsabilità, di avere i requisiti per essere considerato un esportatore abituale; in tal modo rende noto al fornitore la sua volontà di acquistare beni e servizi senza il pagamento dell’IVA.
In particolare, l’introdotto comma 2-bis dispone che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese, da parte di soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, nei confronti degli operatori tenuti all'applicazione del regime dello split payment, sono effettuate senza pagamento dell’imposta, purché i soggetti tenuti ad applicare la scissione di pagamenti presentino dichiarazione scritta, sotto la propria responsabilità, nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi delle operazioni assoggettate a split payment effettuate nel corso dell’anno solare precedente (plafond). In tal modo, essi possono avvalersi di tale ammontare integralmente per gli acquisti di beni o di servizi.
I soggetti che intendono avvalersi della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta devono darne comunicazione scritta al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate entro il 31 gennaio, ovvero oltre tale data, ma anteriormente al momento di effettuazione della prima operazione, indicando l’ammontare dei corrispettivi delle operazioni fatte con le modalità di split payment nell’anno solare precedente. La volontà di avvalersi delle disposizioni in commento ha efficacia fino a revoca espressa, da comunicare con le stesse modalità dell'adesione.
Gli stessi soggetti possono optare, dandone comunicazione entro il 31 gennaio, per la facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell'imposta assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, l’ammontare dei corrispettivi delle esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti.
L’opzione ha effetto per un triennio solare e, qualora non sia revocata, si estende di triennio in triennio.
La revoca deve essere comunicata all’ufficio entro il 31 gennaio successivo a ciascun triennio.
I soggetti che iniziano l’attività o che non hanno comunque effettuato operazioni soggette al regime previsto dall’articolo 17-ter nell’anno solare precedente possono avvalersi, per la durata di un triennio solare, della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta, dandone preventiva comunicazione all’ufficio, assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, l’ammontare dei corrispettivi delle esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti.
Il successivo comma 2-ter reca le condizioni per l’accesso al plafond.
In particolare:
§ l'ammontare dei corrispettivi delle cessioni e prestazioni assoggettate al regime di split payment registrate nell’anno precedente deve essere superiore al dieci per cento del volume d’affari. I contribuenti, ad eccezione di quelli che hanno iniziato l’attività da un periodo inferiore a dodici mesi, hanno facoltà di assumere come ammontare di riferimento, in ciascun mese, quello dei corrispettivi delle esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti, se il relativo ammontare superi la predetta percentuale del volume di affari, come sopra determinato, dello stesso periodo di riferimento;
§ l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta deve risultare da apposita dichiarazione, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, trasmessa telematicamente all’Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica. La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, deve essere consegnata al fornitore o prestatore, prima dell’effettuazione della operazione e può riguardare anche più operazioni tra le stesse parti.
Infine, il comma 2-quater dispone l’applicazione delle norme introdotte agli acquisti di beni e servizi effettuati a partire dal 1° gennaio 2019, con riferimento alle operazioni ricadenti nell’ambito applicativo dello split payment effettuate nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018. Si demandano ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro centoventi giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, le relative norme di attuazione.
Articolo 18
(Disposizioni in materia di trasmissione telematica dei corrispettivi)
L’articolo 18 consente ai soggetti che eseguono la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati dei corrispettivi giornalieri di effettuare l’annotazione nel registro dei corrispettivi con modalità semplificate, da definire con successivo decreto.
Il comma 1 dell’articolo 18 affida a un decreto del MEF, che deve essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, il compito di stabilire tempi e modalità di adempimento degli obblighi di registrazione dei corrispettivi (previsti dall’articolo 24, commi 1 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633), secondo criteri di semplificazione e attenuazione degli oneri di gestione e con il ricorso ad adeguati strumenti tecnologici, con riferimento alle operazioni dei soggetti che eseguono la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, secondo quanto disposto dall’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127.
Il comma 2 demanda ad un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate l’emanazione delle ulteriori disposizioni attuative.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 24, comma primo, del D.P.R. 633 del 1972 i commercianti al minuto e gli altri contribuenti che compiono operazioni assimilate annotano in apposito registro, relativamente alle operazioni effettuate in ciascun giorno, l'ammontare globale dei corrispettivi delle operazioni imponibili e delle relative imposte, distinto secondo l'aliquota applicabile, nonché l'ammontare globale dei corrispettivi delle operazioni per cui è emessa fattura, distintamente per ciascuna tipologia di operazioni ivi indicata. L'annotazione deve essere eseguita, con riferimento al giorno in cui le operazioni sono effettuate, entro il giorno non festivo successivo.
Si tratta dei soggetti che non sono obbligati all’emissione di fattura, ma che possono certificare fiscalmente le operazioni compiute mediante scontrino o ricevuta fiscale.
Il comma 4 del medesimo articolo 24 dispone che i commercianti al minuto, ove tengano il predetto registro in luogo diverso da quello in cui svolgono l'attività di vendita, siano tenuti ad eseguire le annotazioni anche in un registro di prima nota, tenuto e conservato nel luogo o in ciascuno dei luoghi in cui svolgono l'attività di vendita.
L’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127 (in tema di fatturazione elettronica, in ottemperanza alla delega contenuta nella legge n. 23 del 2014), come modificato dall’articolo 17, comma 1, lett. a), del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, rende obbligatoria, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati relativi ai corrispettivi giornalieri per i soggetti che effettuano le operazioni di cui all’articolo 22 del D.P.R. n. 633 del 1972 (decreto IVA).
La nuova formulazione dispone inoltre che la memorizzazione elettronica e la connessa trasmissione dei dati dei corrispettivi sostituiscono gli obblighi di registrazione di cui all'articolo 24, comma 1, del suddetto decreto n. 633 del 1972. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano a decorrere dal 1° luglio 2019 ai soggetti con un volume d’affari superiore ad euro 400.000.
Per il periodo d’imposta 2019 restano valide le opzioni per la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi esercitate entro il 31 dicembre 2018.
Tali modalità sostituiscono inoltre l’assolvimento dell'obbligo di certificazione fiscale dei corrispettivi mediante ricevuta e scontrini, fermo l'obbligo di emissione della fattura su richiesta del cliente. La memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica sono effettuate mediante strumenti tecnologici che garantiscano l'inalterabilità e la sicurezza dei dati, compresi quelli che consentono i pagamenti con carta di debito e di credito.
Dal 1° luglio 2018, la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi sono divenute obbligatorie con riferimento alle cessioni di benzina o di gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori. Dal 1° aprile 2017, la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi sono state rese obbligatorie per i soggetti passivi che effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi tramite distributori automatici.
L’Agenzia delle entrate ha emanato numerosi provvedimenti al riguardo: in particolare, il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 ottobre 2016 n. 182017 (come modificato dal Provvedimento del 1° dicembre 2016, n. 212804), in attuazione delle disposizioni di cui al comma 4 dell’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, ha definito le specifiche tecniche degli strumenti tecnologici attraverso cui operare la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, la modalità? per l’esercizio dell’opzione, l’individuazione delle informazioni da trasmettere, il loro formato e i termini di trasmissione, le regole di approvazione delle componenti hardware e software degli strumenti tecnologici citati atte a garantire la sicurezza (autenticità?, integrità e riservatezza) dei dati memorizzati e trasmessi.
Articolo 19
(Disposizioni in materia di limitazioni all’uso del contante
e dei titoli al portatore)
L’articolo 19 della proposta intende modificare il regime sanzionatorio previsto per le violazioni delle disposizioni antiriciclaggio in materia di assegni. Viene abbassata la misura minima edittale delle sanzioni ivi previste; si introducono una serie di criteri, applicabili obbligatoriamente o discrezionalmente, volti a modulare la sanzione concretamente irrogabile.
In primo luogo, il comma 1 dell’articolo in esame modifica l’articolo 63 delle disposizioni antiriciclaggio (D.Lgs. n. 231 del 2007), che reca il relativo regime sanzionatorio.
In particolare, con le lettere a) e b) sono modificate le sanzioni previste per le violazioni relative all’emissione di assegni.
Nella formulazione vigente, l’articolo 49, comma 5 del decreto legislativo antiriciclaggio richiede che gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro indichino il nome o la ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Inoltre, ai sensi del comma 6, tali assegni emessi all'ordine del traente possono essere girati unicamente per l'incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A. La violazione di tali norme è punita, ai sensi del vigente articolo 63, comma 1, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 50.000 euro.
La lettera a) del comma 1 dell’articolo in commento espunge dall’articolo 63 il riferimento alle violazioni relative agli assegni (ovvero ai commi 5 e 6 dell’articolo 49 sopra illustrati).
Con la lettera b) viene introdotto un regime sanzionatorio meno aspro del vigente. Per le violazioni relative agli assegni si propone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 300 euro (in luogo di 3.000; viene dunque abbassata la misura minima edittale) a 50.000 euro. Si esclude la punibilità per l’emissione di assegni bancari e postali privi della clausola di non trasferibilità portati all’incasso dal beneficiario originario (nuovo comma 1-bis dell’articolo 63).
Il comma 1, lettera c) dell’articolo 19 introduce due nuovi commi all’articolo 63, e in particolare:
§ ai sensi del nuovo comma 7-bis, si chiarisce che nella determinazione delle sanzioni relative alle violazioni della normativa antiriciclaggio si ha riguardo alla gravità della violazione, desunta dall’importo della provvista, dalla condotta dell’agente e dalle sue modalità, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della sua condotta, nonché alla personalità e alle condizioni economiche e sociali dell’agente;
§ ai sensi del nuovo comma 7-ter, ove concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità della sanzione irrogabile e la violazione cui la stessa si riferisce, tenuto conto delle modalità della condotta, della particolare tenuità dell’offesa e del comportamento non abituale dell’agente, la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo.
Si ricorda al riguardo che l’articolo 11 della legge n. 689 del 1981, che reca i principi generali in tema di sanzioni amministrative, detta i criteri per l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie facendo riferimento alla “gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alla sue condizioni economiche”.
Articolo 20
(Limiti di pignorabilità)
L’articolo 20 della proposta intende estendere la disciplina dei limiti di pignorabilità degli emolumenti, attualmente prevista per i compensi derivanti da rapporto di lavoro o di impiego, anche ai proventi derivanti dall’esercizio di impresa, arte o professione delle persone fisiche. Sono di conseguenza modificate sia le norme tributarie, sia la disciplina generale sui limiti di pignorabilità previsti dal codice di procedura civile.
A tal fine il comma 1 dell’articolo 20 inserisce due nuovi commi all’articolo 72-ter del D.P.R. n. 602 del 1973.
Si ricorda che, ai sensi della disciplina vigente, si consente di pignorare le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, da parte dell'agente della riscossione, in misura pari ad un decimo per importi fino a 2.500 euro e in misura pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro.
Resta ferma la misura di un quinto dello stipendio (articolo 545, quarto comma, del codice di procedura civile) se le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro.
Nel caso di accredito delle predette somme sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo. Al fine di applicare la predetta disciplina l'Agenzia delle entrate acquisisce le informazioni relative ai rapporti di lavoro o di impiego, accedendo direttamente, in via telematica, alle specifiche banche dati INPS.
Il nuovo comma 2-quater dell’articolo 72-ter stabilisce che le somme ed i crediti dovuti a qualsiasi titolo per l’attività svolta dalla persona fisica nell’esercizio della propria impresa, arte o professione, possono essere pignorate dall’agente della riscossione in misura pari ad un sesto del reddito complessivo dichiarato nel periodo d’imposta precedente.
Il comma 2-quinquies esclude il predetto limite di pignorabilità se, avuto riguardo ai tre esercizi antecedenti alla data in cui è sorto il credito affidato all’agente della riscossione:
a) per l’attività di impresa, siano posseduti congiuntamente i requisiti dimensionali richiesti per la disapplicazione delle norme sul fallimento e sul concordato preventivo (previsti dall’art. 1, co. 2, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267: un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad trecentomila euro; realizzazione di ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro; ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a cinquecentomila euro); per quanto riguarda l'attività artistica o professionale, si possiedano congiuntamente i requisiti relativi all’ammontare dei ricavi, ma con riferimento ai compensi lordi, e il requisito relativo all’ammontare dei debiti;
b) il debitore non abbia percepito redditi di altra natura, in misura complessivamente prevalente rispetto al reddito derivante dall’esercizio dell’impresa, arte o professione.
Al riguardo si segnala che occorrerebbe precisare quando ricorre il carattere di “prevalenza” degli altri redditi percepiti, ovvero demandarne l’individuazione ad un provvedimento di rango secondario.
Il comma 2 dell’articolo in esame apporta alcune modifiche, di analogo tenore, all’articolo 545 del codice di procedura civile.
Con la lettera a) si modifica il comma terzo dell’articolo 545 c.p.c., al fine di inserire le somme ed i crediti dovuti a qualsiasi titolo per l’attività svolta dalla persona fisica nell’esercizio della propria impresa, arte o professione tra quelle a cui si applica il limite di pignorabilità per crediti alimentari (nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato).
La lettera b) aggiunge un periodo alla fine del comma quinto, ai sensi del quale il quinto pignorabile di somme e crediti, dovuti a qualsiasi titolo per l’attività svolta dalla persona fisica nell’esercizio della propria impresa, arte o professione, è computato in riferimento al reddito complessivo dichiarato nell’esercizio precedente.
Con le modifiche (lettera c)) al comma ottavo dell’articolo 545 c.p.c., le somme ed i crediti dovuti per l’attività svolta dalla persona fisica nell’esercizio della propria impresa, arte o professione vengono annoverate tra quelle per cui vigono i limiti di pignorabilità nel caso di accredito su conto corrente bancario.
Di conseguenza, anche per queste somme, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, la pignorabilità avviene nei limiti dell'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, se l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dall’articolo 545 medesimo, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
La lettera d) aggiunge un nuovo comma (decimo) all’articolo 545, con una disposizione di coordinamento rispetto alla previsione introdotta al comma 1 con riferimento agli obblighi tributari. In particolare, le disposizioni prevedono che i limiti di pignorabilità di cui all’articolo 545 c.p.c. si disapplichino qualora, avuto riguardo ai tre esercizi antecedenti alla data in cui è sorto il credito da escutere:
a) per l’attività di impresa, siano posseduti congiuntamente i requisiti dimensionali richiesti per la disapplicazione delle norme su fallimento e concordato preventivo (previsti dall’art. 1, co. 2, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267: un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad trecentomila euro; realizzazione di ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro; ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a cinquecentomila euro); per quanto riguarda l'attività artistica o professionale, si possiedano congiuntamente i requisiti relativi all’ammontare dei ricavi, ma con riferimento ai compensi lordi, e il requisito relativo all’ammontare dei debiti;
b) il debitore non abbia percepito redditi di altra natura, in misura complessivamente prevalente rispetto al reddito derivante dall’esercizio dell’impresa, arte o professione.
Con riferimento alla lettera b) si veda l’osservazione formulata al comma 1, relativa alla precisazione del requisito della prevalenza.
Il comma 3 dell’articolo 20 in esame modifica conseguentemente il successivo articolo 546 del codice di procedura civile, che riguarda gli obblighi del terzo nel caso in cui il pignoramento sia effettuato presso tale soggetto.
Con una prima modifica (lettera a)) si estendono i vigenti obblighi del terzo anche ai casi di pignoramento di somme dovute a titolo di emolumento da impresa individuale, arte o professione.
Ai sensi dell’articolo 546 c.p.c., nel caso di pignoramento di beni presso terzi, questi ultimi sono soggetti - relativamente alle cose e alle somme dovute e nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà - agli obblighi che la legge impone al custode.
Per effetto delle norme in esame, dunque, ove gli emolumenti da impresa, arte o professione siano accreditati su conto bancario, gli obblighi del terzo pignorato non operano se l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell'assegno sociale; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall'articolo 545 e dalle speciali disposizioni di legge.
Analogamente a quanto disposto dai commi precedenti (lettera b) del comma 3), mediante l’introduzione di un nuovo comma all’articolo 546, si dispone l’esclusione del limite di pignorabilità in presenza di specifici requisiti dimensionali dell’impresa e di prevalenza dei redditi percepiti da altre fonti.
Articolo 21
(Imposta sul reddito professionale)
L’articolo 21 introduce una specifica forma di tassazione del reddito di lavoro autonomo, denominata imposta sul reddito professionale, sul modello dell’IRI – Imposta sul reddito d’impresa (valevole per le imprese individuali e le piccole società).
L’opzione per l’applicazione dell’imposta si effettua in sede di dichiarazione dei redditi, ha durata di cinque periodi di imposta ed è rinnovabile. In tale ipotesi, su detti redditi opera una tassazione separata, con aliquota unica pari a quella IRES (24 per cento).
L’IRI
La legge di bilancio 2018 (comma 1063) ha fissato al 1° gennaio 2018l'operatività dell'imposta sul reddito d'impresa (IRI), introdotta e disciplinata dalla legge di bilancio 2017 (commi 547-548).
I destinatari di tale forma di tassazione sono:
§ le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria, anche per opzione;
§ le piccole società di capitali (articolo 116 del TUIR), ovvero
§ le società a responsabilità limitata con un numero di soci non superiore a 10, o a 20 nel caso di società cooperativa, con ricavi annui non superiori a quelli previsti per l'applicazione degli studi di settore (5.164.569 euro).
Tali soggetti possono esercitare la relativa opzione (per cinque periodi d'imposta e rinnovabile), che comporta l'applicazione di un'aliquota del 24 per cento sugli utili trattenuti presso l'impresa. Il reddito d'impresa da assoggettare ad aliquota proporzionale è determinato secondo le ordinarie regole di determinazione previste dal capo VI del TUIR, con la possibilità di dedurre dallo stesso le somme che l'imprenditore (o i soci della società di persone) prelevano a carico dell'utile o delle riserve di utili. Questi prelievi deducibili possono essere effettuati nei limiti del reddito assoggettato a tassazione sostitutiva negli anni passati, al netto delle perdite residue. Le eventuali perdite d'impresa conseguite in regime IRI possono essere riportate in avanti, senza limiti temporali, per essere utilizzate in compensazione dei redditi dei periodi di imposta successivi e per l'intero importo che trova capienza in ciascuno di essi.
Scopo delle norme è incentivare il reinvestimento degli utili all'interno delle piccole e medie imprese. Il decreto-legge n. 50 del 2017 (articolo 58) ha precisato il trattamento tributario spettante alle somme prelevate da riserve IRI in caso di fuoriuscita dal regime (anche a seguito della cessazione dell'attività).
Le norme in commento introducono un nuovo articolo 53-bis nel TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. n. 917 del 1986).
Il comma 1 dell’articolo 53-bis esclude il reddito di lavoro autonomo, determinato ai sensi del TUIR, dalla formazione del reddito complessivo e lo assoggetta a tassazione separata con l’aliquota IRES al 24 per cento, analogamente a quanto è previsto in materia di IRI per i redditi d’impresa.
I commi 2 e 3 recano le modalità di computo della base imponibile della nuova imposta.
Ai sensi del comma 2, sono ammesse in deduzione le somme prelevate a favore del lavoratore autonomo, a carico dei compensi percepiti ed al netto delle spese sostenute e deducibili, nei limiti del reddito del periodo d'imposta e dei periodi d'imposta precedenti assoggettati a tassazione separata, al netto delle perdite residue computabili in diminuzione dei redditi dei periodi d'imposta successivi.
Ai sensi del comma 3, tali somme prelevate, nei limiti del reddito dell'esercizio e dei periodi d'imposta precedenti assoggettati a tassazione separata e non ancora prelevati, costituiscono reddito di lavoro autonomo di artisti e professionisti a fini IRPEF (ai sensi degli articoli 53 e 54 TUIR), concorrendo integralmente a formare il reddito complessivo dell’artista o professionista.
In deroga alle regole generali sul computo delle perdite (articolo 8, comma 1 TUIR), quelle maturate nei periodi d’imposta di applicazione delle disposizioni della nuova imposta sono computate in diminuzione del reddito conseguito nei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza in essi (comma 4).
Il comma 5 dell’articolo 53-bis disciplina le modalità di esercizio dell’opzione, applicabili ai lavoratori autonomi in contabilità ordinaria. L’opzione ha durata pari a cinque periodi d'imposta, è rinnovabile e deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi, con effetto dal periodo d'imposta cui è riferita la dichiarazione.
Il comma 6 consente l’applicazione dell’imposta anche alle associazioni senza personalità giuridica fra persone fisiche, per l’esercizio in forma associata di arti e professioni. In tal caso si esclude l’applicazione delle ordinarie regole di determinazione del reddito a fini IRPEF (ai sensi dell’articolo 5 TUIR) limitatamente all'imputazione e alla tassazione del reddito, indipendentemente dalla sua percezione.
Si valuti l’opportunità di demandare ad una norma di rango secondario l’individuazione delle modalità di esercizio dell’opzione nell’ipotesi di esercizio associato di arti e professioni.
Con il comma 7 si statuisce la decorrenza della nuova disciplina, fissata al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019.
Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni in esame (comma 8) i cd. minimi, ossia il contribuenti assoggettati al regime forfetario (disciplinato dalla legge di stabilità 2015, della legge 23 dicembre 2014, n. 190).
Il comma 9 affida ad uno o più regolamenti, adottati con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il compito di stabilire le modalità tecniche per l'attuazione del presente articolo.
Il comma 10 provvede alla copertura finanziaria della disciplina in esame, i cui oneri sono quantificati in 500 milioni di euro annui a decorrere dal 2019.
Ad essi si provvede mediante la corrispondente riduzione delle cd. tax expenditures: più in dettaglio, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all’elenco contenuto nel rapporto annuale sulle spese fiscali (di cui articolo 21, comma 11-bis, della legge di contabilità generale, legge n. 196 del 2009) allegato allo stato di previsione delle entrate del bilancio dello Stato, che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificati o superati alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, sono modificati, soppressi o ridotti, con l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente, a decorrere dall'anno successivo all’entrata in vigore della disposizione in esame.
Ove la riduzione, operata con le predette modalità, non sia suscettibile di diretta e immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l'attuazione del taglio delle cd. tax expenditures, con riferimento ai singoli regimi interessati.
Si ricorda che il disegno di legge di bilancio 2019 (A.C. 1334), all’articolo 4, estende il regime forfettario introdotto dalla legge di stabilità 2015, cui si applica un’imposta sostitutiva unica con aliquota del 15 per cento, ai contribuenti che hanno conseguito nell’anno precedente ricavi, ovvero percepito compensi, fino a un massimo di 65.000 euro e ne semplifica le condizioni di accesso. L’articolo 6 introduce un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, con aliquota al 20 per cento, per gli imprenditori individuali, gli artisti e i professionisti con ricavi fino a 100.000 euro che non ricadono nel regime forfettario.
Conseguentemente l’articolo 82 del medesimo DDL abroga, a decorrere dal 1° gennaio 2018, l’IRI - imposta sul reddito d’impresa.
Articolo 22
(Misure di sostegno economico in favore delle famiglie)
L’articolo 22 modifica la disciplina relativa all’assegno di natalità (meglio conosciuto come bonus bebé). Il beneficio viene esteso per un ulteriore triennio, dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021, e rimodulato con l’introduzione di due nuove soglie ISEE a cui corrispondono due nuove misure, con la finalità di introdurre maggiore gradualità nell’ammontare dell’assegno.
Il comma 1, lettera a), estende per un triennio, dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021, la disciplina relativa all’assegno di natalità (meglio conosciuto come bonus bebé), introdotta dall’art. 1, comma 125, della legge di stabilità 2015 (legge 190/2014).
Attualmente, il beneficio si articola in un assegno annuo, erogato per ogni figlio nato od adottato nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017. L’assegno è corrisposto fino al terzo anno di età del minore.
Successivamente, la legge di bilancio 2018 (art. 1, commi 248-249 della legge 205/2017) ha disposto la proroga per il 2018 dell’assegno di natalità per ogni figlio nato od adottato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2018 (comma 248), ma, con riferimento a tali soggetti, esclusivamente fino al compimento del primo anno di età ovvero del primo anno di ingresso nel nucleo familiare (e non per i primi tre anni).
L’intervento legislativo è attuato intervenendo sull’art. 1, comma 125, della stabilità 2015.
Sarebbe opportuno chiarire, con riguardo alla sostituzione dei termini temporali contenuti nel corpo dell’art. 1, comma 125, della stabilità 2015, se il beneficio triennale per i nati o adottati nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 resti comunque in vigore.
Il comma 1, lettera b), introduce due nuove misure riferite a due nuove soglie ISEE. Attualmente, la misura dell’assegno dipende dalla condizione economica della famiglia del genitore richiedente come attestata dall'ISEE: con ISEE non superiore a 25.000 euro la misura è pari a 960 euro annui, mentre con ISEE non superiore ai 7.000 euro la misura è raddoppiata a 1.920 euro. Con la finalità di introdurre maggiore gradualità nell’ammontare dell’assegno, accanto a tali misure, vengono introdotte due nuove soglie ISEE a cui corrispondono due nuove misure. Più precisamente:
§ per un valore dell’ISEE pari a 13.000 euro annui, corrisponde un importo dell’assegno pari a 1.560 euro annui;
§ per un valore dell’ISEE pari a 19.000 euro annui, corrisponde un importo dell’assegno pari a 1.200 euro annui.
Come detto, restano le due soglie ISEE attuali a cui corrispondono due diverse misure (con ISEE minorenni compreso tra 7.000 euro e 25.000 euro annui la misura è di 960 euro; con ISEE minorenni inferiore ai 7.000 euro la misura è di 1.920 euro).
Come specificato dalla Circolare INPS n. 50 del 19 marzo 2018, “dal 1° gennaio 2018, l’assegno di natalità trova la sua disciplina in due distinte leggi: la legge n. 205/2017, relativa agli eventi che si verificheranno nel corso del 2018, che prevede un assegno di durata massima annuale, e la legge n. 190/2014, entrata in vigore il 1° gennaio 2015, riferita agli eventi verificatisi nel triennio 2015-2017, che prevede un assegno di durata massima triennale e, proprio per tale specifico motivo, ancora in corso di applicazione”.
Attualmente, in presenza dei requisiti richiesti, l'assegno – che non concorre alla formazione del reddito complessivo – è corrisposto dall'INPS, su domanda del genitore, con cadenza mensile, per un importo pari a 80 euro se la misura annua dell'assegno è di 960 euro ovvero per un importo pari a 160 euro se la misura annua dell'assegno è di 1.920 euro.
L’INPS provvede anche al monitoraggio dei maggiori oneri derivanti dall'erogazione del beneficio. Nei casi in cui si verifichino, o siano in procinto di verificarsi, scostamenti rispetto alle previsioni di spesa, si provvede, con decreto interministeriale, a rideterminare l'importo annuo dell'assegno e i valori dell'ISEE (art. 1, comma 127, legge 190/2014).
Il comma 2 della norma in esame sostituisce l’art. 1, comma 128, della legge 190/2014 recante la copertura finanziaria (fino al 2020) dell’assegno di natalità per gli eventi (nascite od adozioni) verificatesi tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, con beneficio di durata massima triennale.
Il comma, come novellato, valuta l’onere derivante dalla applicazione della misura nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 31 dicembre 2021 come segue:
§ 337 milioni di euro per l’anno 2019;
§ 337 milioni di euro per l’anno 2020;
§ 202 milioni di euro per l’anno 2021;
§ 67 milioni di euro per l’anno 2022.
Per quanto riguarda le risorse stanziate per la misura attualmente applicata, la legge di stabilità 2015 (art. 1, comma 128 della legge 190/2014) ha previsto, per gli eventi (nascite od adozioni) verificatesi tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, le seguenti coperture: 202 milioni di euro per il 2015; 607 milioni per il 2016; 1.012 milioni per il 2017; 1.012 milioni per il 2018; 607 milioni per il 2019; 202 milioni per il 2020.
La legge di bilancio 2018 (art. 1, comma 249 della legge 205/2017) ha invece previsto, per gli eventi verificatesi tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018 quale limite di spesa: 185 milioni di euro per il 2018; 218 milioni di euro per l'anno 2019.
Sarebbe opportuno chiarire, con riguardo alla sostituzione dell’art. 1, comma 128, della stabilità 2015, recante la copertura finanziaria dell’assegno di natalità per i nati o adottati nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, se tali risorse dopo la sostituzione, siano da considerarsi ancora disponibili per l’erogazione del beneficio già riferito ai nati/adottati nel triennio 2015-2017.
Il comma 3 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle modifiche alla disciplina relativa all’assegno di natalità sopra illustrate, cui si provvede mediante la corrispondente riduzione delle cd. tax expenditures, al fine di assicurare maggiori entrate pari a 337 milioni di euro per l’anno 2019, 337 milioni di euro per l’anno 2020, 202 milioni di euro per l’anno 2021 e 67 milioni di euro per l’anno 2022, necessarie alla copertura degli oneri derivanti dal presente articolo.
Più in dettaglio, il comma prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all’elenco contenuto nel rapporto annuale sulle spese fiscali (di cui articolo 21, comma 11-bis, della legge di contabilità generale, legge n. 196 del 2009) allegato allo stato di previsione delle entrate del bilancio dello Stato, che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificati o superati alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, sono modificati, soppressi o ridotti, con l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente.
Ove la riduzione, operata con le predette modalità, non sia suscettibile di diretta e immediata applicazione, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità tecniche per l'attuazione del taglio delle cd. tax expenditures, con riferimento ai singoli regimi interessati.
Articolo 23
(Redditi fondiari percepiti)
L’articolo 23 modifica il Testo Unico delle Imposte sui redditi – TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986) in tema di tassazione dei redditi derivanti da locazione di immobili ad uso abitativo, al fine di sancirne la loro generale esenzione fiscale, ove non siano percepiti effettivamente dal locatore.
L’articolo 26 del TUIR reca le regole generale sul computo a fini fiscali dei redditi fondiari. Con particolare riferimento ai redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, le norme vigenti stabiliscono che, se essi non vengono percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.
Le norme in commento espungono dalla disposizione dell’articolo 26 il riferimento alla conclusione del procedimento di convalida di sfratto per morosità. Dunque, per effetto delle modifiche proposte, si dispone la generale non imponibilità dei redditi di locazione non effettivamente percepiti dal locatore, senza dover attendere la conclusione del predetto procedimento.
Articolo 24
(Regime tributario speciale per i lavoratori impatriati)
L’articolo 24 modifica le agevolazioni in favore dei lavoratori impatriati, al fine di ampliarne l’ambito applicativo: con le modifiche in commento sono ricompresi nel regime di favore anche i percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e sono semplificate le condizioni richieste per l’accesso all’agevolazione.
Il regime dei lavoratori impatriati
L’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 (modificato dalla legge di stabilità 2016, dalla legge di bilancio 2017, dal decreto-legge n. 244 del 2016, dal decreto-legge n. 50 del 2017 e dal decreto-legge n. 148 del 2017) ha inteso disciplinare compiutamente la materia del rientro dei lavoratori all’estero, in particolare concedendo una agevolazione fiscale temporanea ai lavoratori che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti e impegnandosi a permanere in Italia per almeno due anni, trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato.
Per questi soggetti il reddito di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotto concorre alla formazione del reddito complessivo IRPEF nella misura del cinquanta per cento del proprio ammontare. Per i lavoratori dipendenti, si richiede che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano, deve essere svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa. Detti lavoratori devono inoltre rivestire ruoli direttivi ovvero essere in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Per i lavoratori autonomi non si richiede la presenza di un rapporto di lavoro con un’impresa residente, né lo svolgimento di ruoli direttivi o il possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi. Per i lavoratori autonomi essa si applica dal 1° gennaio 2017.
L’agevolazione si estende anche ai cittadini di Stati, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un titolo di laurea, che hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi, ovvero che hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
L’articolo 16, al comma 4, prevede che i lavoratori rientrati in Italia col beneficio della parziale detassazione IRPEF disposta della legge 30 dicembre 2010, n. 238, ove trasferiti entro il 31 dicembre 2015, applicano per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo il regime disposto dalla legge n. 238/2010, nei limiti e alle condizioni indicati dalla legge stessa.
Si ricorda che l’agevolazione della legge n. 238/2010 consiste nella parziale detassazione IRPEF dei redditi di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa; tali redditi concorrono alla base imponibile nella misura, rispettivamente, del 20 per cento per le lavoratrici e del 30 per cento per i lavoratori (con detassazione rispettivamente dell’ottanta e del settanta per cento).
In alternativa, essi possono optare per il regime previsto dall’illustrato articolo 16 del D.Lgs. 147/2015. La circolare 23 maggio 2017 dell’Agenzia delle Entrate (cap. 3.5), in merito all’articolo 16, comma 4, ha chiarito che coloro che optano per il regime previsto dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 beneficiano della parziale imponibilità del reddito derivante da lavoro dipendente, da attività di lavoro autonomo o d’impresa, per cinque periodi d’imposta, quindi a partire dal 2016 e fino al 2020. Sul punto è intervenuto l’articolo 8-bis, comma 1 del decreto-legge n. 148 del 2017; esso ha precisato che l’esercizio dell’opzione di cui al comma 4 ha effetto limitatamente al triennio 2017-2020 e non anche per il periodo d’imposta 2016, nel quale si applica la precedente disciplina di cui alla menzionata legge n. 238 del 2010.
Si rammenta inoltre che la legge di bilancio 2017 ha chiarito che l’innalzamento al cinquanta per cento della quota di reddito esente da IRPEF si applica, per i periodi d’imposta dal 2017 al 2020, anche ai lavoratori dipendenti che, nell’anno 2016, hanno trasferito la residenza nel territorio dello Stato (ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986) e ai soggetti che, nel medesimo anno 2016, hanno esercitato la predetta opzione di cui al comma 4 dell’articolo 16.
Il comma 7-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, con una norma di interpretazione autentica, ha chiarito che i soggetti che si sono trasferiti in Italia entro il 31 dicembre 2015 (per utilizzare i benefici fiscali previsti dalla legge n. 238 del 2010) e che hanno successivamente optato per il regime agevolativo previsto per i lavoratori rimpatriati (ai sensi del D.Lgs. n. 147 del 2015) decadono dal beneficio fiscale nel caso in cui la residenza in Italia non sia mantenuta per almeno due anni. In tal caso si provvede al recupero dei benefici fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi.
Le norme in commento (comma 1, lettera a) dell’articolo 24), in primo luogo, sostituiscono integralmente il comma 1 del richiamato articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015.
Con le modifiche in esame vengono ricompresi nell’agevolazione anche i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
Sono inoltre modificate le condizioni alle quali si applica il regime di favore: per effetto delle norme in commento, è sufficiente che i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento e che si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni, e che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano. In sostanza, vengono dunque eliminate per tutti i lavoratori impatriati che godono dell’agevolazione le seguenti due condizioni:
§ che l’attività lavorativa sia svolta presso un'impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa;
§ che i lavoratori rivestano ruoli direttivi, ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Con finalità di coordinamento, la proposta (comma 1, lettera b)) elimina anche il comma 1-bis dell’articolo 16, il quale, nella formulazione vigente, disapplica ai lavoratori autonomi le due condizioni eliminate dalla lettera a)).
Al riguardo si segnala che l’Agenzia delle entrate in via interpretativa (cfr. da ultimo la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017) ha introdotto la possibilità di applicare il regime agevolativo anche ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
La medesima circolare dell’Agenzia precisa inoltre che è ammesso al beneficio, oltre al lavoratore che si trasferisce in Italia per essere assunto da un’impresa italiana, anche il lavoratore che si trasferisce in Italia per prestare la propria attività presso una stabile organizzazione di una impresa estera della quale è già dipendente, nonché il lavoratore distaccato in Italia in forza di un rapporto di lavoro instaurato all’estero con una società collegata alla società italiana sulla base dei rapporti previsti dalla norma.
Articolo 25
(Ambito di applicazione)
Il Capo III della proposta di legge, composto dagli articoli da 25 a 30, introduce un’agevolazione volta a promuovere l’economia locale attraverso la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi. L’agevolazione consiste nell’erogazione di un contributo pari ai tributi comunali pagati dall’esercente nel corso dell’anno e viene corrisposta per l'anno nel quale avviene l'apertura o l'ampliamento dell’esercizio commerciale e per i tre anni successivi, per un totale di quattro anni.
In particolare, l’articolo 25 delimita il perimetro applicativo delle attività che possono usufruire delle agevolazioni così introdotte. Le agevolazioni, secondo quanto dispongono i commi 1 e 2, sono concesse in favore dei soggetti esercenti attività imprenditoriali nei seguenti settori: artigianato, turismo, fornitura di servizi destinati alla tutela ambientale, alla fruizione di beni culturali e al tempo libero, commercio al dettaglio, compresa la somministrazione di alimenti e di bevande al pubblico.
La disciplina di favore opera nei confronti dei predetti soggetti, ove procedano all’ampliamento di esercizi commerciali già esistenti o alla riapertura di esercizi chiusi da almeno sei mesi, siti nei territori dei comuni con popolazione fino a 20 mila abitanti.
Riguardo alla formulazione dei commi 1 e 2, si osserva che tali commi, da un lato, ammettono alle agevolazioni di cui presente capo sia soggetti esercenti attività commerciali, sia soggetti esercenti attività di fornitura di servizi, dall’altro invece riconoscono l’agevolazione solo a coloro che procedono all’ampliamento o all’apertura di esercizi commerciali. In questi termini anche prevede l’articolo 27, comma 1 della PDL. Sarebbe opportuno un chiarimento al riguardo.
Con riferimento all’esercizio dell'attività di vendita al dettaglio sulle aree private in sede fissa, si ricorda che il D.Lgs. n. 114/1998, all’articolo 6 (rubricato programmazione della rete distributiva), ha demandato alle regioni la definizione degli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali, al fine del perseguimento di una serie di obiettivi, indicati nello stesso articolo 6, comma 1, tra i quali valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del commercio (lettera c)); salvaguardare e riqualificare i centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale (lettera d)); salvaguardare e riqualificare la rete distributiva nelle zone di montagna, rurali ed insulari anche attraverso la creazione di servizi commerciali polifunzionali e al fine di favorire il mantenimento e la ricostituzione del tessuto commerciale (lettera e)); favorire gli insediamenti commerciali destinati al recupero delle piccole e medie imprese già operanti sul territorio interessato, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali reali e con facoltà di prevedere a tale fine forme di incentivazione (lettera f)); assicurare, avvalendosi dei comuni e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, un sistema coordinato di monitoraggio riferito all'entità ed all'efficienza della rete distributiva (lettera g)). Alle regioni, è stato dunque demandato il compito di fissare i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale, affinché gli strumenti urbanistici comunali individuino: a) le aree da destinare agli insediamenti commerciali ed, in particolare, quelle nelle quali consentire gli insediamenti di medie e grandi strutture di vendita al dettaglio; b) i limiti ai quali sono sottoposti gli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali; c) i vincoli di natura urbanistica ed in particolare quelli inerenti la disponibilità di spazi pubblici o di uso pubblico e le quantità minime di spazi per parcheggi, relativi alle diverse strutture di vendita.
Le regioni, nel definire gli indirizzi generali - con il parere obbligatorio delle rappresentanze locali e con la consultazione delle organizzazioni dei consumatori e delle imprese del commercio - devono tener conto, tra l’altro, di una serie di caratteristiche degli ambiti territoriali di riferimento, tra cui i centri di minore consistenza demografica.
I comuni sono stati vincolati ad adeguare gli strumenti urbanistici generali e attuativi e i regolamenti di polizia locale alle disposizioni di cui al presente articolo. In caso di inerzia da parte del comune, le regioni provvedono in via sostitutiva adottando le norme necessarie, che restano in vigore fino alla emanazione delle norme comunali.
Il comma 3 dell’articolo 25 esclude dall’agevolazione le seguenti attività:
§ attività di compro oro, definita ai sensi del D.Lgs. n. 92/2017. Il citato decreto legislativo ha introdotto una disciplina antiriciclaggio ad hoc per il settore dei compro oro. In particolare, le operazioni di compro oro consistono nella compravendita, all'ingrosso o al dettaglio, ovvero nella permuta di oggetti preziosi usati. Le norme hanno istituito un apposito registro degli operatori in tale attività, che hanno specifici obblighi di identificazione della clientela. Per le transazioni compiute dai compro oro si applica uno specifico regime di tracciabilità;
§ attività di vendita di articoli sessuali (sex shop);
§ sale scommesse, o che detengono al loro interno apparecchi di intrattenimento di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del T.U.L.P.S (R.D. 773/1931). Si tratta degli apparecchi idonei per il gioco lecito, vale a dire quelli dotati di attestato di conformità rilasciato dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, slot machine, e quelli facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa, videolottery.
I successivi commi 4 e 5 escludono dalle agevolazioni:
§ i subentri, a qualunque titolo, in attività già in esistenti precedentemente interrotte (comma 4) e
§ le aperture di nuove attività e le riaperture, conseguenti a cessione di un’attività preesistente, da parte del medesimo soggetto che la esercitava in precedenza, o comunque di un soggetto, anche costituito in forma societaria che sia ad esso direttamente e/o indirettamente riconducibile (comma 5).
Quanto alla formulazione del comma 4, si osserva che non appare chiaro se l’esclusione ivi prevista intenda fare riferimento ad una modifica del soggetto titolare dell’attività.
Con riferimento alla formulazione del comma 5, non appare chiaro se l’esclusione ivi prevista intenda fare riferimento all’ipotesi in cui lo stesso soggetto (o un soggetto a questo riconducibile) proceda ad una cessione e poi ad una riapertura. Nel caso sarebbe opportuno esplicitarne la ratio.
Ai sensi del comma 6, le disposizioni del Capo III in esame si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2019.
L’articolo 26 della proposta di legge individua le misure agevolative volte a favorire la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi, disciplinate dal Capo III della proposta in esame.
In particolare l’articolo chiarisce, al comma 1, che le agevolazioni consistono nell’erogazione di contributi per l'anno nel quale avviene l'apertura o l'ampliamento degli esercizi oggetto dei benefici (individuati dall'articolo 25) e per i tre anni successivi.
Il successivo comma 2 chiarisce la misura del contributo, che è rapportata alla somma dei tributi comunali dovuti dall’esercente e regolarmente pagati nell’anno precedente a quello nel quale è presentata la richiesta di concessione, fino al 100 per cento dell’importo, secondo quanto stabilito dal successivo articolo 28.
Nell’ambito del bilancio comunale è prevista l’istituzione di un apposito Fondo da destinare alla concessione dei contributi di cui all’articolo in commento, con oneri a carico del bilancio dello Stato.
A tal fine, nello stato di previsione del Ministero dell’interno è istituito un Fondo, con una dotazione annuale pari a 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019, al cui riparto tra i comuni beneficiari si provvede con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato–Citta e autonomie locali, di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
Si osserva che diversi comuni, con il fine di incentivare l’insediamento di nuove attività produttive e promuovere in particolare il rilancio dei propri centri storici, hanno previsto la concessione di agevolazioni a favore di imprese esercenti le attività indicate dalla proposta di legge. Tali agevolazioni, in vari casi, consistono – come peraltro prevede anche la proposta di legge in esame – nella esenzione totale o parziale, per i primi anni dall’inizio dell’attività, delle imposte sugli immobili utilizzati direttamente ovvero anche indirettamente per l’esercizio dell’attività d’impresa e/o dall’imposta comunale sulla pubblicità. Si richiama, in proposito, e a titolo esemplificativo e non esaustivo, il Regolamento per la promozione ed incentivazione delle attività imprenditoriali del Comune di Sassari (delibera Cons. Com. n. 61/2011, come modificata con succ. delib. Comunali Delib. n. 9/2014, n. 17/2015 e n. 20/2015), nonché il Regolamento per la concessione di benefici a nuove attività che si insediano nel centro storico del Comune di Siena (approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 241/2015), nonché il Regolamento per la concessione di benefici a nuove attività che si insediano nel centri storici del Comune di Spoleto adottato dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 15 del 10 aprile 2014).
Ai sensi del comma 4, i contributi sono erogati a decorrere dalla data di effettivo inizio dell’attività dell’esercizio, attestata dalle comunicazioni previste dalla normativa vigente.
Con riferimento alla formulazione contenuta nel comma 4, sarebbe opportuno precisare se i contributi siano erogati a decorrere dalla data di effettivo inizio dell’attività o dell’esercizio. Si rinvia alle osservazioni sulla formulazione del testo relative ai commi 1 e 2 dell’articolo 25.
Articolo 27
(Soggetti beneficiari)
L’articolo 27 individua i soggetti che possono beneficiare delle agevolazioni volte a favorire la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi, oggetto del Capo III della proposta in esame.
I beneficiari, ai sensi del comma 1, sono gli esercenti, in possesso delle abilitazioni e delle autorizzazioni richieste per lo svolgimento delle attività nei settori elencati al comma 2 dell’articolo 25 - e, segnatamente, artigianato, turismo, fornitura di servizi destinati alla tutela ambientale, alla fruizione di beni culturali e al tempo libero, commercio al dettaglio, compresa la somministrazione di alimenti e di bevande al pubblico - i quali procedono all’ampliamento degli esercizi già esistenti o alla riapertura di esercizi chiusi da almeno sei mesi.
Si ricorda al riguardo che ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. a) del D.L. n. 223/2006, le attività commerciali (come individuate dal D.Lgs. n. 114/1998), non sono soggette ad iscrizione a registri abilitanti ovvero al possesso di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio di attività commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle bevande.
Il comma 2 dispone che - per gli esercizi il cui ampliamento comporta la riapertura di ingressi o di vetrine su strada pubblica chiusi da almeno sei mesi nell’anno per cui è chiesta l’agevolazione - il contributo è concesso per la sola parte relativa all’ampliamento medesimo.
L’articolo 28 disciplina le procedure per il riconoscimento dei benefici concessi dal Capo III della proposta in esame, volti a favorire la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi.
I soggetti che intendono usufruire delle agevolazioni devono presentare al Comune di residenza, a partire dal 1° gennaio ed entro il 28 febbraio di ogni anno, richiesta redatta su un apposito modello, nonché dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante il possesso dei requisiti prescritti (comma 1).
Il Comune, dopo aver effettuato i controlli sulla dichiarazione, determina la misura del contributo spettante, previo riscontro del regolare avvio e mantenimento dell’attività. I contributi sono concessi nell’ordine delle richieste presentate, fino all’esaurimento delle risorse iscritte nel bilancio comunale (comma 2).
L’importo di ciascun contributo è determinato dal responsabile dell’ufficio comunale competente per i tributi, in misura proporzionale al numero di mesi di apertura dell’esercizio nel quadriennio considerato, che non può comunque essere in ogni caso inferiori a sei mesi (comma 3).
Articolo 29
(Ulteriori condizioni)
L’articolo 29, con riferimento ai benefici concessi dal Capo in esame, volti a favorire la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi, richiama la disciplina sugli aiuti di Stato cd. “de minimis”, di cui al Regolamento (UE) n. 1407/2013, disponendo che, per poter usufruire delle misure agevolative, è necessario che non siano superati i limiti ivi previsti per gli aiuti a ciascuna impresa.
Ai sensi dell’articolo 29, infine, i contributi non sono cumulabili con altre agevolazioni previste dal provvedimento di legge in esame o da normative statali, regionali o delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Per ciò che concerne la disciplina sugli aiuti di Stato, l'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare alla Commissione europea i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica.
Fanno poi eccezione all'obbligo di notifica alla Commissione UE, oltre alle specifiche categorie di aiuti esentati dalla stessa sulla base dei regolamenti di esenzione, gli aiuti di piccola entità, definiti dalla UE "de minimis", che si presume non incidano sulla concorrenza in modo significativo. Per gli aiuti cd. de minimis, si richiama il Regolamento (UE) n. 1407/2013 che è applicabile alle imprese operanti in tutti i settori, salvo specifiche eccezioni, tra cui la produzione di prodotti agricoli. Il massimale previsto da tale regolamento non ha subito variazioni rispetto al precedente regolamento n. 1698/2006, ed è stato confermato entro il limite di 200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari.
Si ricorda che il regolamento «de minimis» in questione si applica a tutti gli aiuti «de minimis» per i quali è possibile calcolare con precisione l’equivalente sovvenzione lordo ex ante, senza che sia necessario effettuare una valutazione dei rischi («aiuti trasparenti»). Ciò vale, ad esempio, per le sovvenzioni, i contributi in conto interessi e le esenzioni fiscali limitate o altri strumenti che prevedano un limite in grado di garantire che il massimale pertinente non sia superato.
L’introduzione di un limite significa che, finché non si conosce l’importo preciso dell’aiuto, lo Stato membro deve supporre che l’aiuto sia pari al limite onde evitare che l’insieme delle misure di aiuto superi il massimale fissato nel regolamento (cfr. considerando n. 14 Reg. UE n. 1407/2013).
Si ricorda inoltre che, al fine di verificare che le agevolazioni pubbliche siano concesse nel rispetto delle disposizioni previste dalla normativa europea, specie al fine di evitare il cumulo dei benefici e, nel caso degli aiuti de minimis, il superamento del massimale di aiuto concedibile imposto dall’Unione europea, è stato istituito il “Registro Nazionale degli Aiuti- (RNA)”.
Il Registro Nazionale degli aiuti di Stato è operativo - presso la Direzione Generale per gli Incentivi alle imprese del Ministero dello Sviluppo Economico (DGIAI) - a partire dal 12 agosto 2017 a seguito della pubblicazione il 28 luglio 2017 del Regolamento n. 115 del 31 maggio 2017 e del Decreto del Direttore generale per gli incentivi alle imprese che ne disciplinano il funzionamento.
Il Registro consente alle amministrazioni pubbliche titolari di misure di aiuto in favore delle imprese e ai soggetti, anche di natura privata, incaricati della gestione di tali aiuti, di effettuare i controlli amministrativi nella fase di concessione attraverso il rilascio di specifiche “visure” che recano l’elencazione dei benefici di cui il destinatario dell’aiuto abbia già goduto negli ultimi esercizi in qualunque settore.
Dall’entrata in funzione del Registro ciascun provvedimento che dispone la concessione di aiuti a favore di un’impresa, per avere efficacia, dovrà riportare codici identificativi rilasciati dal Registro.
Articolo 30
(Copertura finanziaria)
L’articolo 30 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dal Capo III, che prevede la concessione di agevolazioni da parte dei comuni in favore dei soggetti esercenti determinate attività imprenditoriali che procedono alla riapertura e all’ampliamento di esercizi commerciali.
Gli oneri in questione, pari a 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019, discendono, in particolare, dall’articolo 26, comma 3, che prevede l’istituzione, nel bilancio dello Stato, di un Fondo da ripartire, con una dotazione annuale di 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019 destinato ai comuni che concedono le suddette agevolazioni.
Ai fini della copertura finanziaria di tali oneri, si provvede con le maggiori entrate derivanti dall’incremento della percentuale del prelievo erariale unico – da definire con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli - sugli apparecchi idonei per il gioco lecito previsti dall’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, che viene a tal fine rideterminata nella misura necessaria ad assicurare maggiori entrate pari a 100 milioni di euro annui a decorre dall’anno 2019.
Si ricorda che l’articolo 9, comma 6 del decreto-legge “dignità” (n. 87 del 2018) ha modificato da ultimo la misura del prelievo erariale unico (PREU) sugli apparecchi idonei per il gioco lecito. Esso è stato rideterminato nelle seguenti percentuali:
§ 19,25 e 6,25 per cento dell’ammontare delle somme giocate, dal 1° settembre 2018 al 30 aprile 2019;
§ 19,6 e 6,65 per cento dell’ammontare delle somme giocate, dal 1° maggio 2019;
§ 19,68 e 6,68 per cento dell’ammontare delle somme giocate, dal 1° gennaio 2020;
§ 19,75 e 6,75 per cento dell’ammontare delle somme giocate, dal 1° gennaio 2021;
§ 19,6 e 6,6 per cento dell’ammontare delle somme giocate, a decorrere dal 1° gennaio 2023.
L’articolo 31 modifica il regime IVA applicabile ai prodotti per l’infanzia e la disabilità, che vengono assoggettati ad aliquota agevolata al 5 per cento.
Aliquote IVA
A decorrere dal 1° ottobre 2013, l'aliquota ordinaria IVA è stata rideterminata nella misura del 22 per cento (legge di bilancio 2013). L'ordinamento prevede inoltre due aliquote ridotte: una aliquota al 10 per cento e una al 5 per cento, quest'ultima istituita con la legge di stabilità 2016 (commi 960-963). Resta in vigore fino all'introduzione del regime definitivo previsto dalla direttiva IVA, infine, l'aliquota super–ridotta al 4 per cento, a condizione che l'aliquota fosse in vigore al 1° gennaio 1991 e che la sua applicazione risponda a ben definite ragioni di interesse sociale (articolo 110, direttiva IVA).
Per scongiurare le riduzioni di agevolazioni e detrazioni previste da manovre precedenti, la legge di stabilità 2015 ha introdotto una clausola di salvaguardia a tutela dei saldi di finanza pubblica, volta ad incrementare le aliquote IVA ordinaria e ridotta rispettivamente di 3,5 e 3 punti percentuali e le accise su benzina e gasolio in misura tale da determinare maggiori entrate non inferiori a 700 milioni di euro. I predetti aumenti IVA erano in origine previsti a partire dall'anno 2016. Tali aumenti sono stati posticipati nel tempo. Da ultimo, la manovra 2018 ha rinviato gli aumenti IVA al 2019 e quelli accise al 2020.
Tra gli interventi in materia di aliquote IVA si ricorda l'introduzione dell'aliquota del 5 per cento per le prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative sociali e loro consorzi (legge di stabilità 2016).
In dettaglio, il comma 1, lettera a) introduce i numeri da 1-quater) a 1-novies) alla Tabella A, parte II-bis, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972 (recante la disciplina generale dell’IVA), che elenca i beni e servizi assoggettati ad aliquota agevolata al 5 per cento.
Si propone quindi di assoggettare all’aliquota del 5 per cento le cessioni dei seguenti beni:
§ numero 1-quater): pannolini usa e getta, pannolini riciclabili, tettarelle per biberon, biberon, latte in polvere e artificiale, latte speciale o vegetale per soggetti allergici o intolleranti, preparazioni per l’alimentazione dei bambini, preparazioni alimentari composte, anche a base di frutta, omogeneizzate, prodotti per l'igiene neonatale e per soggetti allergici e intolleranti, apparecchi e prodotti per sterilizzare i contenitori del cibo;
§ numero 1-quinquies): ausili e attrezzature, indumenti e calzature, strumenti e accessori per autoveicoli, inclusi sistemi di ritenuta per bambini su autoveicoli e dispositivi accessori per prevenire l’abbandono dei bambini negli autoveicoli, seggioloni, girelli, fasciatoi, box e prodotti simili;
§ (numero 1-sexies) beni per l’educazione e lo sviluppo cognitivo, fra cui i giochi, destinati a bambini non autosufficienti o disabili;
§ (numero 1-septies) prodotti necessari all’assistenza e alla cura della persona in condizioni di non autosufficienza, sia presso il suo domicilio sia presso una struttura sanitaria o socio-sanitaria accreditata (di cui all’articolo 30, commi 1, lettera b) e 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017), quali preparati per nutrizione e idratazione, presìdi per incontinenza, ausili di vario tipo, cannule tracheali e accessori (valvole di fonazione, fasce di fissaggio, medicazioni per tracheostomi), dispositivi per ossigenoterapia (compresi occhialini e mascherine), medicazioni specialistiche, cateteri venosi centrali a permanenza, aghi di qualsiasi tipologia, siringhe, dispositivi per il fissaggio di cateteri venosi centrali, sonde per nutrizione enterale, deflussori e pompe per nutrizione enterale, deflussori e pompe infusionali, sistemi elastomerici, sonde gastrostomiche, cateteri (compresi cateteri vescicali a permanenza), sacche di raccolta dell’urina, guanti (compresi dispositivi di protezione individuale), deflussori, medicazioni generali, garze e materiale monouso sanitario e non sanitario (manopole non saponate e saponate);
§ (numero 1-octies) attrezzature e dispositivi per trattamenti di lungo-assistenza, recupero e mantenimento funzionale, sia presso il domicilio sia presso una struttura sanitaria o socio-sanitaria accreditata, compresi letti attrezzati e materassi antidecubito;
§ (numero 1-nonies) servizi necessari di cura e protezione, compresi i servizi di assistenza, igiene e sanificazione, anche presso il domicilio.
La lettera b) del comma 1 sostituisce i numeri 65 e 78 della Tabella A, parte III del D.P.R. IVA, che reca l’elenco dei beni e dei servizi assoggettati ad aliquota ridotta del 10 per cento.
In particolare, per finalità di coordinamento con quanto disposto dalla lettera a), si espungono dal novero dei beni sottoposti ad aliquota del 10 per cento (modifiche al n. 65) le preparazioni per l'alimentazione dei fanciulli e le preparazioni alimentari composte omogeneizzate (modifiche al n. 78), in quanto le norme in esame assoggettano le cessioni di detti prodotti ad aliquota IVA del 5 per cento.
Il comma 2 dell’articolo in esame affida a un decreto del Ministro della salute, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la famiglia e le disabilità, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge l’individuazione, nei limiti delle risorse destinate a copertura finanziaria del provvedimento, di eventuali ulteriori fattispecie di ausili e di attrezzature essenziali all’alimentazione, all’assistenza e alla cura dei bambini fino a 3 anni, dei disabili, degli anziani e in generale delle persone non autosufficienti ai quali si applica l’aliquota IVA del 5 per cento. Il decreto ministeriale inoltre opera il necessario coordinamento normativo tra le disposizioni di cui al presente articolo e le agevolazioni vigenti in materia.
L’articolo 32 impegna le strutture socio sanitarie, erogatrici di “trattamenti di lungoassistenza” alle persone non autosufficienti, ad applicare una riduzione della retta a carico degli utenti. La riduzione è effettuata in misura corrispondente al risparmio, per le predette strutture, derivante dalla riduzione dell’IVA sui prodotti destinati all’infanzia ed alla disabilità, disposto all’articolo 31 del provvedimento in esame. Le regioni, nell’assolvimento degli obblighi derivanti dall’erogazione dei LEA relativi all’assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti, sono inoltre tenute a verificare, mediante controllo da parte dei nuclei operativi, la effettiva riduzione delle rette a carico degli utenti.
L’articolo in commento, al comma 1, stabilisce, a decorrere dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al successivo articolo 33, che le strutture accreditate per l’assistenza socio sanitaria alle persone non autosufficienti applichino una riduzione delle rette praticate a carico degli utenti, pari al risparmio conseguito dalle medesime strutture dall’applicazione delle agevolazioni previste dall’articolo 31 del provvedimento in esame.
Il richiamato articolo 31 (alla cui scheda si rinvia) modifica il regime IVA applicabile ai prodotti per l’infanzia e la disabilità, che vengono assoggettati ad aliquota agevolata al 5 per cento.
L’articolo 33 del provvedimento reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dal Capo IV istituendo inoltre, a decorrere dall’anno 2019, un Fondo per la riduzione della pressione fiscale per i beni e i servizi essenziali per i bambini e le persone disabili o non autosufficienti.
Si rileva, con riguardo alla riduzione delle rette, che non viene fissata una misura percentuale minima né vengono indicati i parametri rispetto ai quali deve essere quantificato il risparmio conseguito.
Le strutture, pubbliche o private, di tipo sociosanitario, che forniscono assistenza e cure mediche di lungo periodo a persone in condizione di disabilità o di non autosufficienza con elevata necessità di tutela sanitaria (nella maggior parte dei casi Residenze sanitarie assistite – RSA), sono finanziate dal Servizio sanitario nazionale, attraverso i sistemi sanitari regionali, per la quota di assistenza di natura strettamente sanitaria.
Più precisamente, l’articolo 30 del DPCM 12 gennaio 2017 di aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (c.d. Nuovi LEA) recante Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), dedicato all’assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti, ha confermato quanto precedentemente stabilito circa la ripartizione delle rette di ricovero degli assistiti. Come specificato dall’articolo 30 dei Nuovi Lea, i “trattamenti estensivi” di cura e recupero funzionale per persone non autosufficienti possono richiedere, pur non presentando particolari criticità e sintomi complessi, elevata tutela sanitaria con continuità assistenziale e presenza infermieristica sulle 24 ore. Si tratta in questo caso di prestazioni professionali analoghe a quelle previste per le cure domiciliari, con durata del trattamento di norma fino a 60 giorni, con quote totalmente a carico del SSN. Esistono poi “trattamenti di lungoassistenza”, recupero e mantenimento funzionale per persone non autosufficienti, ivi compresi interventi di sollievo, costituiti da prestazioni professionali analoghe a quelle previste per i trattamenti estensivi, con garanzia di continuità assistenziale e con l’aggiunta di attività di socializzazione ed animazione. Questi ultimi, definiti dal decreto 12 gennaio 2017 “trattamenti di lungoassistenza”, sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 50 per cento della tariffa giornaliera. In questi ultimi casi, la retta di ricovero è quindi composta per il 50% da una quota sanitaria a carico del Sistema sanitario regionale erogata tramite la Asl di appartenenza e da una quota sociale o alberghiera (l'altro 50%) a carico dell’utente e della famiglia (o in casi di indigenza economica, a carico del Comune di residenza dell’anziano prima dell’ingresso in struttura) che rappresenta il corrispettivo delle prestazioni di natura non prettamente sanitaria (quali vitto, alloggio, costo del personale socio-educativo, etc.). La “quota sociale” a carico dell’utente e delle famiglie, è definita liberamente dai gestori delle RSA, non esistendo ad oggi valori di riferimento definiti per legge.
Per permettere di individuare le due quote che compongono la retta, i gestori delle strutture rilasciano annualmente una dichiarazione che attesta i costi sostenuti dagli ospiti rispetto alle due singole voci.
Nell’assolvimento degli obblighi di cui art. 30 del D.P.C.M. 12 gennaio 2017 di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), il comma 2 impegna le regioni, a:
§ regolare la messa a contratto degli erogatori dei trattamenti a carico del Servizio Sanitario Nazionale per una quota pari al 50 per cento della tariffa giornaliera;
Al riguardo si rileva che la normativa vigente, come sopra illustrato, già prevede che la tariffazione giornaliera dei trattamenti di lungoassistenza sia per il 50% a carico del Ssn e per l’altro 50% a carico dell’utente (o del Comune nei casi di indigenza).
Si ricorda che, per l'erogazione di prestazioni sanitarie per il Servizio sanitario nazionale è necessario l’accreditamento istituzionale che, ai sensi dell'art. 8-quater del D.Lgs. 502/1992, e delle disposizioni emanate in materia dalle singole Regioni, può essere conseguito dalle strutture solo se in possesso di determinati requisiti. Il DPCM. 22 dicembre 1989 (atto di indirizzo e coordinamento per la realizzazione di strutture sanitarie residenziali per anziani) – successivamente sostituito dal D.P.R. 14 gennaio 1997 (atto di indirizzo e coordinamento in materia di requisiti strutturali tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie) - fornisce gli indirizzi generali per l’autorizzazione delle attività sanitarie.
Solo con l'accreditamento (che ha sostituito le precedenti convenzioni) possono essere erogate prestazioni sanitarie in favore del servizio sanitario pubblico. Il riconoscimento dell'accreditamento alle strutture sanitarie private è comunque subordinato all'esito di attività quali la ricognizione del fabbisogno assistenziale e la programmazione sanitaria regionale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2117 del 15 aprile 2013). Infatti, ai sensi dell'art. 8-ter del D.Lgs. 502/1992, la realizzazione di strutture per l'esercizio di attività sanitarie e socio sanitarie è condizionata ad una verifica di compatibilità da parte della Regione che rilascia l'autorizzazione all'esercizio in "rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture". La misura quantitativa delle prestazioni sanitarie erogabili e la loro remunerazione è poi oggetto degli accordi contrattuali che le strutture private sottoscrivono con le Aziende sanitarie ai sensi dell'articolo 8-quinquies del D.Lgs. 502/1992.
§ verificare, mediante controllo da parte dei nuclei operativi, che gli stessi erogatori assolvano all’obbligo relativo all’applicazione di una riduzione delle rette praticate a carico dell’utente (obbligo di cui al comma 1).
Ai sensi degli artt. 2 e 8 del D.Lgs. 502/92 spetta alla regione disciplinare le modalità di vigilanza e controllo delle aziende sanitarie. In particolare l’art. 2, comma 2, affida alla regione la determinazione delle attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle aziende sanitarie, anche in relazione al controllo di gestione ed alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie. Nel corso degli anni, le regioni si sono diversamente organizzate per la creazioni di nuclei, con funzioni ispettive, per l’attività di controllo dell’appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni da parte delle strutture pubbliche e private accreditate convenzionate. I nuclei operativi di controllo sono nella pluralità dei casi conosciuti come NOC.
Con riguardo ai “nuclei operativi”, si rileva che potrebbe essere utilizzata l’espressione “nuclei operativi di controllo” in uso nella maggior parte delle regioni.
Articolo 33
(Disposizioni finanziarie)
L’articolo 33 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dal Capo IV, che prevede la riduzione dell’aliquota dell’IVA relativa ai beni e servizi essenziali per i bambini e le persone disabili o non autosufficienti.
Gli oneri in questione sono quantificati dal comma 1 in 500 milioni di euro a decorrere dal 2019.
Ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione delle dotazioni di parte corrente di competenza e di cassa relative, nella missione «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti», al programma 5.1 «Flussi migratori, interventi per lo sviluppo della coesione sociale, garanzia dei diritti, rapporti con le confessioni religiose» dello stato di previsione del Ministero dell’interno, allo scopo utilizzando in via prioritaria l’accantonamento relativo al Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo.
Si ricorda che nel bilancio per il 2018-2020, il suindicato Programma 5.1 dello stato di previsione del Ministero dell’Interno presenta una dotazione finanziaria complessiva pari a 2.471,6 milioni di euro per il 2019 e a 2.360,7 milioni per il 2020. In tale ambito, il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, iscritto al capitolo 2352/Interno, presenta uno stanziamento pari a 393,3 milioni di euro per il 2019 e a 389,3 per il 2020.
In merito alla formulazione del comma 1 in esame, si segnala l’opportunità di sostituire il riferimento all’accantonamento con quello alle “somme stanziate” sul Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell’asilo, iscritto nell’ambito del Programma 5.1 del Ministero dell’interno, sul cap. 2352.
Il comma 2 prevede l‘istituzione, a decorrere dall’anno 2019, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze del Fondo per la riduzione della pressione fiscale per i beni e i servizi essenziali per i bambini e le persone disabili o non autosufficienti, la cui dotazione è costituita dalle risorse provenienti dalla razionalizzazione dei servizi di accoglienza, come accertate annualmente con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il 31 gennaio di ciascun anno.
Il comma 3 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 34
(Disposizioni finali)
L’articolo 34 stabilisce che l’entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente capo è subordinata al rilascio dell’autorizzazione da parte della Commissione dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al fine della verifica della compatibilità delle citate disposizioni con la disciplina europea in materia di concorrenza.
Ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) i progetti nazionali diretti a istituire o modificare aiuti sono comunicati alla Commissione europea in tempo utile perché essa presenti le sue osservazioni.
Se la Commissione ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno, essa avvia la procedura prevista dal paragrafo 2 dello stesso articolo 108: qualora la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato.
Lo Stato membro non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale.
Si ricorda che a norma dell’articolo 107 del TFUE, salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
Infine, sempre l’articolo 107, paragrafo 2, lettera a), stabilisce che sono compatibili con il mercato interno: gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti.
Articolo 35
(Reintroduzione della denuncia fiscale per la vendita di alcolici)
L’articolo 35 reintroduce l’obbligo di denuncia fiscale per la vendita di alcolici negli esercizi pubblici, negli esercizi di intrattenimento pubblico, negli esercizi ricettivi e nei rifugi alpini, adempimento che era stato eliminato dalla legge sulla concorrenza (legge n. 124 del 2017).
Viene in particolare modificato l’articolo 29 del Testo Unico Accise – TUA (D.Lgs. n. 504 del 1995), il quale obbliga gli esercenti impianti di trasformazione, di condizionamento e di deposito di alcol e di bevande alcoliche assoggettati ad accisa all’obbligo di denuncia al competente Ufficio dell'Agenzia delle dogane.
Nella formulazione vigente (articolo 29, comma 2, su cui intervengono le norme in esame) sono soggetti alla denuncia anche gli esercizi di vendita, ad esclusione degli esercizi pubblici, degli esercizi di intrattenimento pubblico, degli esercizi ricettivi e dei rifugi alpini, ed i depositi di alcol denaturato aventi specifiche caratteristiche.
Con le modifiche in esame si reintroduce l’obbligo di denuncia fiscale per gli esercizi pubblici, gli esercizi di intrattenimento pubblico, negli esercizi ricettivi e per i rifugi alpini; come anticipato, detto adempimento era stato eliminato dalla legge n. 124 del 2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza).
La disciplina relativa agli esercizi pubblici è recata dal Capo II del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al Regio decreto n. 773/1931, e successive modificazioni. In particolare, l’art. 86 del citato Testo unico subordina alla licenza del questore gli alberghi, le locande, le pensioni, le trattorie, le osterie, i caffè o gli altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, nonché le sale pubbliche per biliardi o altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, ovvero locali di stallaggio e simili. La norma prevede inoltre che per la somministrazione di bevande alcooliche presso enti collettivi o circoli privati di qualunque specie, anche se la vendita o il consumo siano limitati ai soli soci, è necessaria la comunicazione al questore e si applicano i medesimi poteri di controllo degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza previsti per le attività di cui al primo comma. Con particolare riferimento agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, si segnala che essi sono disciplinati dalla L. n. 287/1991, così come modificata dal D.Lgs. n. 59/2010 e successive modificazioni. In particolare, l’art. 1, comma 1, identifica la somministrazione come la vendita per il consumo sul posto, che si esplicita in tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati. L’art. 5 della L. n. 287/1991 enumera poi tra le tipologie di tali esercizi pubblici: a) gli esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari); b) gli esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari); c) gli esercizi di cui alle lettere a) e b), in cui la somministrazione di alimenti e di bevande viene effettuata congiuntamente ad attività di trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari; d) gli esercizi di cui alla lettera b), nei quali è esclusa la somministrazione di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione.
In proposito, si ricorda che il D.L. n. 14/2017, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, ha introdotto alcune modifiche al citato Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. In particolare, tali norme sono contenute:
§ nell’art. 8, in relazione al potere del sindaco di adottare ordinanze in materia di sicurezza, di natura contingibile o non contingibile, con particolare riferimento agli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche;
§ nell’art. 12, relativamente alla facoltà del questore di disporre la sospensione dell’attività dei pubblici esercizi, nelle ipotesi di reiterata inosservanza delle ordinanze emanate ai sensi dell'articolo 50, commi 5 e 7, del TUEL, in materia di orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche. L’art. 100 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali affida infatti al questore il potere di sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini;
§ nell’art. 12-bis, in relazione al potere del questore di sospendere la licenza di un esercizio per tumulti o gravi disordini.
Si ricorda inoltre che i requisiti per l'esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all'alimentazione umana, di un'attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, sono stati individuati dall'art. 71, co. 6, del D.Lgs. n. 59/2010, come modificato dall'art. 8 del D.Lgs. n. 147/2012.
Anche gli esercizi di intrattenimento pubblico sono assoggettati dall’art. 68 del TULPS alla licenza del questore.
Con riferimento, invece, agli esercizi ricettivi, si ricorda che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, sulla normativa statale in materia di turismo è stata fatta un'operazione di codifica nel Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo (D.Lgs. 79/2011), il quale reca la disciplina quadro del settore provvedendo al riordino, al coordinamento e all'integrazione delle disposizioni legislative statali vigenti, nel rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea e delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali. Esso ha abrogato (art. 3) la vecchia legge-quadro sul turismo del 2001, ma alcune delle norme di questa legge vi sono confluite, senza o con minime modifiche. La Corte Costituzionale (con sentenza n. 80/2012) ha dichiarato l'illegittimità di numerose disposizioni contenute nel citato Codice, tra le quali quelle che provvedevano alla classificazione delle strutture ricettive (articolo 8), in quanto volte all'accentramento da parte dello Stato di funzioni invece rientranti nella competenza legislativa residuale delle Regioni. Rimane comunque in vigore la normativa quadro contenuta nel D.P.C.M. 21 ottobre 2008 – adottato ai sensi dell’art. 2, comma 193, lett. a) della legge n. 244/2007 con intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano che reca la definizione delle tipologie dei servizi forniti dalle imprese turistiche nell'ambito dell'armonizzazione della classificazione alberghiera”.
Con riferimento, infine, ai rifugi alpini, si rileva che la relativa normativa, dapprima contenuta nel Testo organico delle norme sulla disciplina dei rifugi alpini (D.P.R. 918/1957), è stata superata dalla legge quadro sul turismo (L. 217/1983, poi abrogata), che classificava i rifugi come “locali idonei ad offrire ospitalità in zone montane di alta quota, fuori dai centri abitati”. Non sussistendo, allo stato, una normativa che disciplini a livello unitario la materia dei rifugi, le regioni, alle quali è stata demandata la determinazione dei criteri per la classificazione delle strutture, non hanno provveduto in maniera uniforme alla definizione relativa. La localizzazione in zone di montagna di alta quota rappresenta la caratteristica comune presente nelle definizioni contenute nella legislazione regionale sui rifugi alpini.
Articolo 36
(Misure per il contrasto delle indebite compensazioni)
L’articolo 36 inasprisce il trattamento sanzionatorio previsto per l‘ipotesi di utilizzo indebito di compensazioni fiscali o di crediti inesistenti.
Viene in particolare aggiunto il nuovo comma 2-quater all’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, riguardante i versamenti unitari.
Si ricorda che la legge già reca le conseguenze sanzionatorie per l’ipotesi di:
§ utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti;
§ utilizzo in compensazione di crediti in tutto o in parte inesistenti.
Tali disposizioni sono contenute nell’articolo 13, commi 4 e 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997.
L’articolo 13 del richiamato D.Lgs. n. 471 del 1997 al comma 4 stabilisce infatti che, nel caso di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l'applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato.
Ove vi sia utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute (comma 5), è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. E’ esclusa in tal caso la definizione agevolata che la legge consente di effettuare entro il termine previsto per la proposizione del ricorso e quella prevista le sanzioni collegate (articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472). Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli sulle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA.
Sulle sanzioni per crediti inesistenti l’Agenzia delle Entrate si è espressa con risoluzione n. 36/E dell’8 maggio 2018.
L’Agenzia al riguardo ha ritenuto opportuno ricordare che in precedenza l’articolo 27, commi da 16 a 20, per contrastare il fenomeno dell’evasione da riscossione mediante indebite compensazioni, aveva introdotto specifiche misure in materia di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti. Esse intendevano colpire le ipotesi in cui, dai riscontri sui dati contenuti nei modelli di pagamento unificato relativi alle compensazioni esposte, vi fossero crediti d’imposta non esposti, come obbligatoriamente previsto, nelle dichiarazioni presentate, nonché relativi a periodi di formazione per i quali le dichiarazioni risultavano omesse, o nei quali l’attività economica esercitata dai contribuenti risultava essere cessata.
La sanzione applicabile in tali ipotesi era fissata nella misura compresa tra il 100 e il 200 per cento dell’importo dei crediti utilizzati, salva l’applicazione della misura del 200 per cento quando il credito inesistente fosse stato utilizzato per un ammontare superiore a cinquantamila euro per anno solare. Le condotte sanzionate erano quelle connotate da aspetti fraudolenti in quanto, solo a seguito di specifici riscontri di coerenza contabile tra quanto analiticamente indicato nei modelli di versamento (relativamente ai crediti utilizzati in compensazione) e le dichiarazioni (in molti casi omesse) emergeva l’inesistenza dei crediti stessi, non essendo, nella maggior parte dei casi, riscontrabili partendo dal controllo delle sole dichiarazioni fiscali.
La sanzione introdotta all’articolo 27 del decreto legge n. 185 del 2008 era, pertanto, diretta a colpire condotte fraudolente, idonee a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria, in quanto rilevabili solamente a seguito di un controllo del modello di versamento, nel presupposto che la condotta illecita si fosse realizzata mediante artifici o raggiri capaci di trarre in inganno, con la consapevolezza di tale idoneità (c.d. scientia fraudis).
L’insidiosità di tali condotte, non emergenti dalle dichiarazioni presentate o dal raffronto con i relativi modelli di versamento, aveva indotto il legislatore del 2008 a prevedere un più ampio termine per il controllo ed una decorrenza del suddetto termine legata non alla data di presentazione della dichiarazione (o da quella in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nel caso di dichiarazione omessa), ma alla data di effettuazione dell’illegittima compensazione.
Sul punto è poi intervenuto il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo in ottemperanza alla delega fiscale (legge n. 23 del 2014). Esso ha introdotto all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 una definizione normativa di “credito inesistente” - da cui, a contrario, far derivare la definizione di credito non spettante - e uno specifico regime sanzionatorio nell’ambito della disposizione dedicata agli omessi versamenti, abrogando il citato articolo 27, comma 18, del decreto legge n. 185 del 2008.
Di conseguenza, si definisce inesistente il credito in relazione al quale:
§ manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo;
§ e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati sulle dichiarazioni.
Con la riforma il legislatore del 2015 ha dunque distinto tra credito esistente, per cui il presupposto costitutivo esiste, ma viene utilizzato in compensazione in misura maggiore rispetto a quella spettante (comma 4 articolo 13) e credito inesistente (articolo 13, comma 5), per il quale manca il presupposto che lo avrebbe fatto sorgere.
Per effetto delle norme introdotte, ferma restando la disciplina prevista generale di cui al citato articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 47 (ai commi 4 e 5) e fatta salva l’applicazione di disposizioni speciali, ove si utilizzi un’eccedenza o un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti, ovvero nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, anche in parte (come ulteriormente specificano le norme in esame), alle sanzioni già previste dalla legge si aggiunge un’ulteriore conseguenza: il pagamento delle somme dovute si considera non effettuato.
Dal tenore della norma sembra dunque evincersi che, alle sanzioni già previste ex lege, con le modifiche apportate si aggiunge anche quella prevista per omesso versamento che l’articolo 13, comma 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997 fissa nel trenta per cento di ogni importo non versato.
Si ricorda peraltro che l’articolo 37, comma 49–ter, del decreto legge n. 223/2006, introdotto dalla legge n. 205/2007 (legge di bilancio per il 2018) dispone che l’Agenzia delle entrate ha facoltà di sospendere, per un periodo di trenta giorni, l’esecuzione delle deleghe di pagamento (mod. F24) di cui agli artt. 17 e ss. del D.Lgs. n. 241/97 contenenti compensazioni, per verificare la presenza di eventuali profili di rischio. Se all’esito del controllo il credito risulta correttamente utilizzato (ovvero decorsi i trenta giorni) la delega è eseguita e le compensazioni e i versamenti sono considerati effettuati; diversamente, la delega di pagamento non è eseguita e i versamenti e le compensazioni si considerano non effettuati. Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 195385/2018 dello scorso 28 agosto sono stati individuati i criteri e le modalità tecniche per la sospensione delle deleghe di pagamento.