Proposta di direttiva volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne 20 aprile 2021 |
Indice |
|Finalità/Motivazione|Contesto di riferimento|Contenuto|Esame presso altri Parlamenti nazionali| |
Finalità/Motivazione
Sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul
divario retributivo di genere (
gender pay gap) nell'UE in base al quale le
donne guadagnano in media il
14,1% in meno all'ora
rispetto agli uomini (dato Eurostat per il 2019).
Il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il
divario retributivo complessivo di genere (v.
infra), determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il
divario retributivo pensionistico (
gender pension gap), che è addirittura pari al
29% nell'
UE (dato Eurostat per il 2019).
La Commissione europea, che aveva preannunciato l'adozione di misure vincolanti sulla trasparenza retributiva nella
Strategia per la parità di genere 2020-2025, ha presentato il 4 marzo 2021 una proposta di direttiva volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso:
1) una maggiore trasparenza retributiva/salariale per i lavoratori e i datori di lavoro, in particolare al fine di prevedere che:
2)
un migliore accesso alla giustizia per le vittime di discriminazioni retributive, in particolare al fine di prevedere che:
La proposta, che si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato e a tutti i lavoratori, non impedisce ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso chi svolge lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere (considerando 10).
Il 30 gennaio 2020 il Parlamento europeo ha adottato una
risoluzione con cui ha chiesto alla Commissione europea di presentare disposizioni vincolanti sulla trasparenza delle retribuzioni e sul divario retributivo tra i generi, da applicare sia al settore pubblico che a quello privato, nonché degli obiettivi chiari e un monitoraggio più efficace dei progressi compiuti, mentre il 2 dicembre 2020 il Consiglio dell'UE ha approvato le
conclusioni dal titolo "Affrontare il problema del divario retributivo di genere: Valorizzazione e ripartizione del lavoro retribuito e del lavoro assistenziale non retribuito", con le quali, tra l'altro, ha invitato la Commissione a intensificare gli sforzi per ridurre il divario retributivo di genere e il divario di genere nell'assistenza, e gli Stati membri a sviluppare e definire maggiormente un quadro, compresi eventuali accordi collettivi, per la condivisione, in modo equo, del lavoro retribuito e del lavoro assistenziale non retribuito tra donne e uomini.
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Contesto di riferimento |
Quadro giuridico dell'UE
L'obbligo di garantire la parità delle retribuzioni è sancito dall'
articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che
vieta la discriminazione basata sul sesso in materia di remunerazione per uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, e dalla
direttiva 2006/54/CE, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
L'articolo 4 di tale direttiva stabilisce che, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre
eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni. In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e per quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni fondate sul sesso.
Nell'
ordinamento italiano la direttiva 2006/54/CE è stata attuata mediante il
decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, che ha apportato modifiche al
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198).
La relazione del Governo, trasmessa alle Camere ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge n. 234 del 2012, segnala che il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna necessita di essere allineato alle disposizioni della direttiva, in particolare per quanto riguarda i contenuti e le tempistiche di presentazione dei Piani triennali di azioni positive (da parte delle pubbliche amministrazioni) e dei Rapporti biennali da parte delle aziende (artt. 46 e 48 del Codice) e la struttura, i compiti e le risorse (umane e finanziarie) degli organismi di parità (vedi infra all'interno del capitolo concernente il contenuto della proposta di direttiva).
Nel marzo 2014 è stata altresì adottata la
raccomandazione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza, la quale fornisce agli Stati membri orientamenti che li aiutino a garantire un'applicazione migliore e più efficace del principio della parità retributiva, per contrastare le discriminazioni salariali e contribuire a colmare il persistente divario retributivo tra i sessi, ponendo l'accento sulle misure atte a migliorare la trasparenza salariale, senza tuttavia limitarsi esclusivamente a questo aspetto.
Si ricorda inoltre che
l'articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea stabilisce che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, anche in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione, e che il
Pilastro europeo dei diritti sociali include tra i suoi principi la parità di trattamento tra donne e uomini e il diritto alla parità di retribuzione per un lavoro di pari valore.
La legge di bilancio 2021 (art. 1, c. 276, L. 178/2020) ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il
Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, con una dotazione di 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2022, per interventi finalizzati al sostegno e al riconoscimento del valore sociale ed economico della parità salariale di genere e delle pari opportunità sui luoghi di lavoro.
Si segnala inoltre che è
all'esame della XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati il
Testo unificato AC 522 che reca disposizioni volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi, prevedendo in particolare:
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Fattori che contribuiscono al divario retributivo di genere
Tra le
cause specifiche del divario retributivo rilevano (secondo i
dati della Commissione europea e i
dati del Parlamento europeo):
A giudizio della Commissione europea, inoltre, che ha condotto un'approfondita
valutazione d'impatto (che ha fatto seguito a una valutazione del 2020 del quadro giuridico sulla parità retributiva e a un ciclo di consultazioni pubbliche e indagini mirate, i cui risultati sono riportati nella citata valutazione d'impatto):
Secondo le
valutazioni condotte dal Parlamento europeo, una riduzione di un punto percentuale del divario retributivo di genere comporterebbe un aumento del PIL dello 0,1%.
La Commissione europea (
sintesi della valutazione d'impatto) ha, inoltre, effettuato una stima ipotetica dei potenziali effetti di una riduzione complessiva di 3 punti percentuali del divario retributivo di genere, che potrebbe ottenersi anche grazie alle misure proposte. Tale riduzione comporterebbe una diminuzione del rischio di povertà nell'UE a circa il 14,6% (dal tasso iniziale medio del 16,3%), con sensibili variazioni tra i Paesi e secondo il tipo di nucleo familiare. A sua volta, ciò comporterebbe un aumento generale della retribuzione totale pari al 6,9% e una diminuzione complessiva della disparità di reddito disponibile e di mercato. Il tasso di povertà si ridurrebbe soprattutto per le famiglie monoparentali, l'85% delle quali è rappresentato da donne. Avrebbe inoltre un impatto positivo sui bilanci nazionali: il gettito fiscale derivante dalle imposte dirette e dai contributi sociali aumenterebbero di circa il 7,5%, mentre i trasferimenti sociali (prestazioni in denaro) diminuirebbero di circa lo 0,4%, principalmente a causa di un calo delle prestazioni condizionate al reddito.
Si consideri, infine, che la
crisi pandemica in corso ha
colpito in modo particolare le lavoratrici: le donne, più degli uomini, svolgono lavori interinali, a tempo parziale e precari e sono quindi più soggette alla perdita del posto di lavoro o alla cassa integrazione a seguito della crisi. Le donne, inoltre, si sono fatte carico di una quota consistente di responsabilità di assistenza a seguito della chiusura delle scuole e dei servizi di sostegno
(per approfondimenti sull'impatto della crisi pandemica sulle donne, si veda anche la
Relazione 2021 sulla parità di genere nell'UE
presentata lo scorso 5 marzo dalla Commissione europea).
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Dati più recenti sul divario retributivo di genere
Divario retributivo di genere (gender pay gap - GPG)
Il
divario o differenziale retributivo di genere (
gender pay gap - GPG) è la
differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne, espressa in percentuale della retribuzione oraria lorda media degli uomini. Nell'UE, è definito ufficialmente come "
differenziale retributivo di genere non corretto", in quanto fornisce un quadro generale delle diseguaglianze di genere in termini di paga oraria ma non tiene conto di tutti i fattori che influenzano il differenziale retributivo di genere, come le differenze in termini di istruzione, esperienza sul mercato del lavoro, ore lavorate, tipo di lavoro.
Nei calcoli, inoltre, si tiene conto soltanto delle
aziende (sia pubbliche che private)
con dieci o più dipendenti.
In linea generale, considerando la composizione del tessuto economico e produttivo europeo, la misurazione del divario retributivo non tiene conto della situazione di numerose imprese (si vedano le tabelle nella sezione "contenuto" del dossier con riferimento agli articoli 8 e 9). In Italia, le aziende con meno di 10 dipendenti rappresentano circa il 94% del totale e danno lavoro a circa 6,5 milioni di persone.
In base ai più recenti
dati Eurostat, nel
2019 la
retribuzione oraria lorda delle donne era, in media, nell'
UE, del
14,1%
inferiore a quella degli uomini. Negli Stati membri variava ampiamente: dall'1,3% in Lussemburgo al 21,7% in Estonia.
L'Italia si attestava
al 4,7%.
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Nella maggior parte degli Stati membri si registrato un divario retributivo di genere (in termini assoluti)
più elevato nel settore privato che nel settore pubblico, come può evincersi dal grafico seguente. Il divario retributivo di genere variava nel settore
privato dall'8,9% in Belgio al 22,9% in Germania (in
Italia il
17%) e nel settore
pubblico dal -0,4% in Romania al 19,7% in Lettonia (in
Italia il
3,8%).
Un minore divario retributivo di genere non si traduce in una maggiore parità. In alcuni casi, infatti, come quello italiano, divari retributivi più bassi tendono ad essere collegati, tra l'altro, ad una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e alle specificità del settore pubblico e privato (il primo caratterizzato da una forte presenza femminile).
Secondo
dati Eurostat, il
tasso di occupazione femminile in Italia (calcolato con riferimento alla popolazione attiva e alla fascia d'età 15-64 anni)
nel 2020 era il più basso tra i Paesi UE dopo la Grecia, pari al
52,7%. Per quanto concerne il divario occupazionale di genere, secondo
dati Eurostat,
l'Italia è il Paese UE con il divario occupazionale di genere più ampio, pari al
19,9%.
Secondo la relazione del Governo, a contribuire al dato italiano concorrono, da una parte, l'effetto composizione tra settore pubblico (dove il gender pay gap è molto basso) e settore privato (ove, invece, è sostanzialmente in linea con gli altri Stati membri), e, dall'altra, il tasso di occupazione femminile e le diverse qualifiche professionali. A spiegare tale differenza tra settore pubblico e privato - continua la relazione - è il fatto che nel primo uno dei parametri fondamentali della retribuzione è l'anzianità, fattore sostanzialmente gender neutral; mentre nel privato sono determinanti fattori come straordinari, flessibilità, trasferte, che risultano penalizzanti per le donne, accentuando dunque il differenziale retributivo di genere.
Si può osservare, inoltre, che il divario retributivo è generalmente
molto più basso per i nuovi arrivati
nel mondo del lavoro (giovani) e
tende ad aumentare con l'età a causa delle interruzioni di carriera che le donne possono subire durante la loro vita lavorativa. Tuttavia, tali differenze per fasce di età possono avere andamenti diversi nei vari Paesi. In
Italia, il divario è del 3,6% prima dei 25 anni di età, sale al 4,6% nella fascia 25-34 e 35-44, sale ancora al 6,4% nella fascia 45-54 e aumenta ulteriormente all'8,8% nella fascia 55-64.
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Inoltre, il divario retributivo di genere nelle
attività finanziarie e assicurative è
più elevato rispetto a quello che si registra nell'economia aziendale nel suo complesso. Nel 2019, il divario retributivo nelle attività finanziarie e assicurative variava dal 6,6% in Belgio al 38,3% nella Repubblica Ceca. All'interno dell'economia aziendale nel suo complesso, il divario retributivo di genere più elevato è stato registrato in Estonia (23,2%) e il più basso in Svezia (8,7%). In
Italia, il divario più alto si registrava nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (24,9%) e nelle attività finanziarie e assicurative (22,7%), mentre è più basso nel comparto manifatturiero (14,6%).
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Divario retributivo complessivo di genere (gender overall earnings gap - GOEG)
Eurostat ha elaborato anche un altro indicatore sintetico, il
divario retributivo complessivo di genere (
gender overall earnings gap - GOEG), che misura la
differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini tenendo conto dell'
impatto dei tre fattori combinati, vale a dire: (1) la retribuzione oraria media, (2) la media mensile del numero di ore retribuite e (3) il tasso di occupazione, sulla retribuzione media di tutte le donne in età lavorativa - occupate o meno - rispetto agli uomini.
Gli ultimi
dati, che si riferiscono al
2018, mostrano che il divario retributivo complessivo di genere era del
36,7%
nell'UE, con
importanti differenze tra gli Stati membri: dal 20,4% della Lituania al 44,2% di Austria e Paesi Bassi (
Italia al 43%).
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A livello dell'UE, il divario retributivo di genere, il divario orario di genere e il divario occupazionale di genere hanno contribuito rispettivamente in misura pari al 36,1%, 28,9% e al 35% al divario retributivo complessivo di genere. Per
l'Italia tali parametri ammontano rispettivamente al 9,9%, 34,7% e 55,4%, con un contributo prevalente del divario occupazionale di genere come precedentemente rilevato.
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Contenuto
La
proposta di direttiva - che consta di 34 articoli suddivisi in quattro capi - stabilisce
prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, sancito dall'articolo 157 del TFUE, e del divieto di discriminazione fondata sul sesso, di cui all'articolo 4 della direttiva 2006/54/CE, in particolare tramite la trasparenza retributiva e il rafforzamento dei meccanismi di applicazione (
articolo 1).
La Commissione chiarisce di aver
deciso di non modificare o sostituire la direttiva 2006/54/CE dato il suo più ampio ambito di applicazione per combattere la discriminazione basata sul sesso in materia di occupazione e di impiego; a giudizio della Commissione, un capitolo autonomo riguardante la trasparenza retributiva e le relative disposizioni di applicazione non sarebbe adeguato alla struttura esistente di tale direttiva e sarebbe sproporzionato rispetto alle sue disposizioni, che disciplinano altri aspetti della parità di trattamento tra donne e uomini in materia di occupazione e impiego.
La direttiva proposta si basa su un'armonizzazione minima dei sistemi degli Stati membri e consente loro, per un verso, di stabilire standard più elevati qualora decidano di farlo e, per l'altro, di affidare l'attuazione alle parti sociali. Tale approccio rispetta le diverse caratteristiche dei sistemi nazionali di dialogo sociale e di contrattazione collettiva e l'autonomia delle parti sociali.
Ambito di applicazione (
articolo 2): la direttiva si applica ai
datori di lavoro del
settore pubblico e privato (paragrafo 1).
La Commissione (
comunicato stampa) chiarisce che anche le ONG sono incluse nella misura in cui agiscono in qualità di datori di lavoro.
Si applica poi a
tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia (paragrafo 2).
Sono compresi i lavoratori a tempo parziale, i lavoratori a tempo determinato o le persone che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un'agenzia interinale, mentre i lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e gli apprendisti sono coperti dalla proposta a condizione che soddisfino i criteri per determinare lo status di lavoratore stabiliti dalla Corte di giustizia (causa C-66/85 Lawrie-Blum e più recentemente causa C-216/15 Ruhrlandklinik e causa C-658/18 UX contro Governo della Repubblica italiana) (considerando 11).
Definizioni (
articolo 3): l'elenco delle
definizioni comprende sia definizioni mutuate dalla direttiva 2006/54/CE (retribuzione, discriminazione diretta, discriminazione indiretta), sia nuove definizioni specificamente connesse al diritto alla parità retributiva (quali livello retributivo, divario retributivo, retribuzione mediana, divario retributivo mediano, quartile retributivo e categoria di lavoratori).
In merito a queste ultime definizioni e a quella di "retribuzione", la relazione del Governo segnala che esse non si rinvengono attualmente nella legislazione italiana e pertanto occorrerà introdurle.
In particolare, per "
retribuzione" si intende "il salario o stipendio normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore ("componenti complementari o variabili") a motivo dell'impiego di quest'ultimo". Rispetto alla definizione di "retribuzione" già contenuta nella direttiva vigente, la definizione contenuta nella proposta provvede a specificare il riferimento alle componenti della retribuzione.
Essa comprende, quindi, secondo la Commissione, eventuali prestazioni complementari quali bonus, indennità per gli straordinari, servizi di trasporto (comprese le autovetture fornite dal datore di lavoro e le tessere dei mezzi di trasporto), indennità di alloggio, compensazioni per la partecipazione a corsi di formazione, indennità di licenziamento, indennità di malattia previste dalla legge, indennità obbligatorie e pensioni aziendali o professionali. Dovrebbe inoltre includere elementi di remunerazione dovuti per legge o per contratto collettivo (considerando 13).
La Commissione (considerando 14) ricorda che l'articolo 4 della direttiva 2006/54/CE stabilisce che non deve sussistere alcuna discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, in particolare per quanto riguarda la retribuzione.
Per
discriminazione diretta si intende una "situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un'altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga", mentre per
discriminazione indiretta una "situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari".
Considerato che la discriminazione retributiva basata sul genere può comportare un'intersezione di vari assi di discriminazione, ai sensi della direttiva comprende:
Stesso lavoro e lavoro di pari valore (
articolo 4): i datori di lavoro devono disporre di strutture retributive che assicurino che le donne e gli uomini godano di parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (paragrafo 1).
Devono altresì assicurare lo sviluppo di
strumenti o metodologie (che possono includere sistemi di valutazione e classificazione professionale neutri sotto il profilo del genere) volti a
valutare e confrontare, in relazione al valore del lavoro, se i lavoratori si trovano in una
situazione analoga, sulla base di
criteri oggettivi che includono i requisiti professionali e in materia di istruzione e formazione, le competenze, l'impegno e le responsabilità, il lavoro svolto e la natura dei compiti assegnati, mentre
non includono criteri basati, direttamente o indirettamente, sul
sesso dei lavoratori, né si basano su tali criteri (paragrafi 2 e 3).
Sul punto la Commissione chiarisce che la proposta integra i principali orientamenti e criteri oggettivi della Corte di giustizia per valutare cosa debba essere considerato "lavoro di pari valore" (causa C-400/93,
Royal Copenhagen; causa C-309/97,
Angestelltenbetriebsrat der Wiener Gebietskrankenkasse; causa C-381/99,
Brunnhofer; causa C-427/11,
Margaret Kenny e a./Minister for Justice, Equality and Law Reform e a.). In linea con la giurisprudenza della Corte, infatti, i posti di lavoro dovrebbero essere confrontati alla luce di criteri oggettivi e neutri dal punto di vista del genere, quali l'istruzione, i requisiti professionali e di formazione, le competenze, l'impegno e le responsabilità, il lavoro svolto e la natura delle mansioni da svolgere (considerando 15).
Il
paragrafo 4 integra poi due precisazioni stabilite nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE (Causa C-320/00 Lawrence e Causa 129/79 Macarthys): al fine di stabilire se i lavoratori si trovino in una situazione analoga, il raffronto non è necessariamente limitato alle situazioni in cui uomini e donne lavorano per lo stesso datore di lavoro, ma
i lavoratori possono trovarsi in una situazione analoga anche quando non lavorano per lo stesso datore di lavoro se le differenze rilevate nelle condizioni retributive possono essere ricondotte ad un'unica fonte che stabilisce le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione (ad esempio, derivanti dalle disposizioni di legge o da contratti salariali collettivi applicabili a diverse imprese, o quando le condizioni di lavoro sono stabilite centralmente per più organizzazioni o imprese all'interno di una holding o di un conglomerato ); inoltre, il
confronto non si limita a situazioni nelle quali i lavoratori di riferimento svolgano simultaneamente mansioni uguali alla parte ricorrente. Nel caso in cui non esista un lavoratore di riferimento reale, dovrebbe essere poi consentito un confronto con un lavoratore di riferimento ipotetico o l'utilizzo di altre prove (statistiche o altre informazioni disponibili) che consentano di presumere eventuali discriminazioni.
Infine, il paragrafo 5 stabilisce che qualora si utilizzi un sistema di valutazione e classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e per quelli di sesso femminile.
La relazione del Governo segnala che potrebbe essere necessario un intervento sull'articolo 28 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna per allinearne i contenuti alle disposizioni della direttiva. In esso mancherebbe, infatti, ogni riferimento ai criteri di valutazione, come pure agli strumenti per assicurare lo sviluppo di metodologie idonee ad evitare discriminazione. Si tratterebbe di un compito nuovo e che richiederebbe l'acquisizione di nuove professionalità a supporto degli organismi di parità (ove siano questi gli organismi ai quali si intende affidare questa funzione); in alternativa, sostiene la relazione, si potrebbero coinvolgere le parti sociali per l'attuazione di tale disposizione.
La relazione del Governo sostiene altresì che l'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva potrebbe determinare un'incertezza interpretativa ed applicativa, in particolare per il concetto di lavoratore comparabile ipotetico.
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Trasparenza retributiva
Trasparenza retributiva prima dell'assunzione:
l'articolo 5 introduce norme minime in materia di trasparenza retributiva prima dell'assunzione che attualmente non esistono a livello dell'UE.
I
candidati ad un posto di lavoro hanno il diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro informazioni sul livello retributivo iniziale o sulla relativa fascia da attribuire per una specifica posizione o mansione (sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere). Tali informazioni possono essere fornite nell'avviso di posto vacante o in altro modo prima del colloquio di lavoro senza che il candidato debba richiederlo (ad esempio nell'invito al colloquio o direttamente dalle parti sociali).
Inoltre si fa
divieto ai
datori di lavoro di
chiedere ai potenziali lavoratori
informazioni sulla
retribuzione percepita nel precedente rapporto di lavoro.
La relazione del Governo osserva che l'articolo 1 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 (Attuazione della direttiva 91/533/CE concernente l'obbligo del datore di lavoro delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro) dovrebbe essere integrato in quanto prevede l'obbligo informativo solo in fase successiva all'assunzione.
Trasparenza della determinazione delle retribuzioni e dei criteri per l'avanzamento di carriera:
l'articolo 6 dispone che i datori di lavoro rendano accessibile ai lavoratori una descrizione dei criteri neutri sotto il profilo del genere utilizzati per definire la loro retribuzione e il loro avanzamento di carriera.
Diritto di informazione (
articolo 7): i lavoratori hanno il diritto di ricevere le
informazioni necessarie per valutare se sono retribuiti in modo non discriminatorio rispetto ad altri lavoratori della stessa organizzazione che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, e per far valere il loro diritto alla parità retributiva, se necessario.
Nello specifico, i lavoratori hanno il diritto di chiedere al datore di lavoro informazioni (anche tramite i loro rappresentanti o tramite un organismo per la parità) sul livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso e categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Inoltre, il
datore di lavoro è tenuto a
informare annualmente tutti i lavoratori del loro diritto a ricevere tali informazioni e a fornire le informazioni richieste entro un periodo di tempo ragionevole e in formati accessibili ai lavoratori con disabilità su loro richiesta.
Secondo la relazione del Governo, prevedere che le informazioni siano fornite a richiesta del lavoratore rischia di esporre il lavoratore a possibili ritorsioni da parte del datore di lavoro e, pertanto, il diritto dovrebbe essere mantenuto in capo ai rappresentanti dei lavoratori come comunque previsto dal paragrafo 4 dell'articolo 7.
I lavoratori possono divulgare le informazioni sulle retribuzioni ai fini dell'applicazione del principio della parità salariale, ma i datori di lavoro possono chiedere che l'uso delle informazioni ottenute sia limitato alla difesa del diritto alla parità retributiva.
Informazioni sul divario retributivo di genere (
articolo 8): i
datori di lavoro
con almeno 250 lavoratori devono fornire
informazioni (la cui esattezza è confermata dalla dirigenza del datore di lavoro) concernenti:
Le predette informazioni sono
pubblicate annualmente dal datore di lavoro sul proprio sito
web in modo facilmente accessibile, o rese altrimenti pubblicamente disponibili (le informazioni dei quattro anni precedenti, se disponibili, sono accessibili su richiesta), e
comunicate anche all'
organismo di monitoraggio designato a norma dell'articolo 26
.
Le informazioni concernenti il divario retributivo tra lavoratori di sesso femminile e lavoratori di sesso maschile
per categorie di lavoratori, ripartito in base allo stipendio normale di base e alle componenti complementari o variabili, sono fornite a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti, nonché al citato organismo di monitoraggio, e trasmesse all'ispettorato del lavoro e all'organismo per la parità su loro richiesta.
La relazione del Governo segnala che rispetto alla disposizione vigente nell'ordinamento nazionale (articolo 46 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) quella della proposta di direttiva, per un verso, ha un ambito di applicazione ridotto (250 dipendenti, rispetto ai 100 dell'art. 46) e non comporta quindi oneri di allineamento. Per altri aspetti, però, le informazioni richieste sono più approfondite sul versante delle retribuzioni: di conseguenza, l'art. 46 andrebbe modificato per conformarlo alle previsioni europee (almeno per i datori di lavoro con più di 250 dipendenti). Per quanto concerne, invece, il settore pubblico - continua la relazione -, andrebbe modificato l'art. 48 del Codice, non contemplando attualmente tutti gli elementi che sono richiesti dalla direttiva. In merito la relazione segnala altresì che si avrebbe un impatto rilevante sulle amministrazioni pubbliche che al momento non rilevano tutti i dati richiesti dalla direttiva ed a tale scopo dovrebbero essere dotate delle professionalità necessarie (statistico-economiche) per far fronte alla richiesta della direttiva, che comunque interesserebbe soltanto le realtà con più di 250 dipendenti (mentre attualmente i piani di azione positiva sono obbligatori anche per i comuni e per gli enti di piccole dimensioni). Non appare tuttavia necessaria - conclude la relazione - l'eliminazione dell'obbligo di presentazione del piano per gli enti minori, in virtù della clausola di non regresso (art. 24 della proposta di direttiva).
La relazione del Governo osserva che va allineata la tempistica attualmente prevista dagli articoli 46-48 del Codice sia per i Piani di azione positiva del settore pubblico (triennale con aggiornamento annuale) e per i Rapporti del settore privato (biennali). Ciò implica un importante onere aggiuntivo rispetto alle attività ordinariamente svolte dalle Consigliere di parità, che saranno tenute ad effettuare le relative analisi ogni anno.
Gli
Stati membri possono decidere di
redigere essi stessi - e renderle pubbliche – talune informazioni sulla base di dati amministrativi quali, ad esempio, i dati forniti dai datori di lavoro alle autorità fiscali o di sicurezza.
Tale possibilità, chiarisce la Commissione europea, è stata introdotta al fine di ridurre l'onere gravante sui datori di lavoro.
La relazione del Governo osserva che l'opzione prevista da questa disposizione consentirebbe di ridurre gli oneri informativi sui datori di lavoro; tuttavia, occorrerebbe potenziare i compiti, le strutture e le risorse proprie delle autorità preposte (potrebbe trattarsi degli organismi di parità) e, di conseguenza, intervenire su altri aspetti del Codice, provvedendo ad un generale riordino di tali organismi.
In materia di organismi di parità, in recepimento di direttive comunitarie, il legislatore ha previsto (art. 21, L. 183/2010) che le pubbliche amministrazioni costituiscano al proprio interno il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG), che ha assunto tutte le funzioni che la legge e i contratti collettivi previgenti attribuivano ai Comitati per le pari opportunità e ai Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing.
Nell'ambito dell'amministrazione di appartenenza, il CUG esercita prevalentemente compiti propositivi, consultivi e di verifica sui risultati delle attività intraprese e opera in collaborazione con la consigliera o il consigliere nazionale di parità. (art. 57, co. 01-05).
La
direttiva del 4 marzo 2011 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e per l'Innovazione e del Ministro per le pari opportunità, contiene una serie di indicazioni riguardanti composizione, funzioni e metodologie di lavoro dei Comitati. Ulteriori indicazioni sono state fornite dalla
direttiva n. 2 del 26 giugno 2019 al fine di rafforzare il ruolo dei CUG all'interno delle amministrazioni.
Sulla base delle informazioni fornite, i lavoratori e i loro rappresentanti, gli ispettorati del lavoro e gli organismi per la parità hanno il diritto di
chiedere al datore di lavoro chiarimenti e dettagli in merito a dette informazioni, comprese spiegazioni su eventuali disparità retributive di genere. Il datore di lavoro è tenuto a rispondere a tali richieste entro un termine ragionevole fornendo una risposta motivata. Qualora le
disparità retributive di genere non siano giustificate da fattori oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, il
datore di lavoro è tenuto a porre rimedio alla situazione in stretta collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, l'ispettorato del lavoro e/o l'organismo per la parità.
Valutazione congiunta delle retribuzioni (
articolo 9): se dalle informazioni sulle retribuzioni comunicate a norma dell'articolo 8 emerge una
disparità della retribuzione media tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile nell'organizzazione
pari ad almeno il 5% in una qualsiasi categoria di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore,
non giustificata da fattori oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, il
datore di lavoro interessato deve effettuare una
valutazione congiunta delle retribuzioni (che deve essere messa a disposizione dei lavoratori, dei rappresentanti dei lavoratori, dell'organismo di monitoraggio designato a norma dell'articolo 26, dell'organismo per la parità e dell'ispettorato del lavoro) che comprenda, tra l'altro, l'individuazione delle eventuali differenze nei livelli retributivi tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile in ciascuna categoria di lavoratori, le ragioni di tali differenze e, se del caso, giustificazioni oggettive, neutre sotto il profilo del genere, stabilite congiuntamente dai rappresentanti dei lavoratori e dal datore di lavoro.
Qualora dalla valutazione congiunta delle retribuzioni emergano differenze di retribuzione media per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile, che
non possono essere giustificate da criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, il
datore di lavoro deve
porre rimedio alla situazione, in stretta collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, l'ispettorato del lavoro e/o l'organismo per la parità. Tali azioni comprendono l'istituzione di un
sistema di valutazione e classificazione professionale neutro sotto il profilo del genere per garantire l'esclusione di qualsiasi discriminazione retributiva diretta o indiretta basata sul sesso.
La relazione del Governo osserva che il meccanismo di valutazione congiunta ricorda il Piano di rimozione delle discriminazioni di cui all'articolo 37 del Codice per le pari opportunità tra uomo e donna, che andrebbe, tuttavia, adattato alla nuova previsione della proposta di direttiva.
In sostanza, il combinato disposto degli articoli 8 e 9 configura una serie obblighi concernenti la rendicontazione e la valutazione delle retribuzioni applicabili solo alle aziende con almeno 250 dipendenti.
Secondo la Commissione, per tenere conto dell'attuale difficile situazione le misure devono essere adattate ai datori di lavoro, in funzione delle dimensioni, tenendo conto del numero di dipendenti. Le misure sono pertanto concepite in modo da ridurre al minimo i costi e gli oneri per i datori di lavoro, con particolare attenzione alle microimprese e alle piccole imprese.
La maggior parte dei datori di lavoro - sottolinea la Commissione nella citata
sintesi della valutazione d'impatto - deve soltanto comunicare informazioni su richiesta del lavoratore: il costo stimato della risposta a una richiesta individuale di informazioni sulle retribuzioni è di circa 20 euro, mentre la comunicazione di informazioni sulla retribuzione prima dell'assunzione non comporta costi.
Invece, i
datori di lavoro con un più di 250 dipendenti dovranno essere più proattivi, pubblicare determinate informazioni sulle differenze retributive per genere e fornire informazioni più dettagliate ai loro lavoratori. Per loro, secondo le stime della Commissione, la
comunicazione obbligatoria delle differenze retributive medie di genere per categoria di lavoratori avrebbe un costo compreso
tra 379 e 890 euro e l'ulteriore valutazione (da effettuare nel caso in cui dalle informazioni comunicate sulle retribuzioni emerga la presenza di un divario retributivo statisticamente significativo) un costo compreso
tra 1.180 e 1.724 euro per datore di lavoro (che dovrebbero diminuire in eventuali esercizi successivi).
Di seguito due tabelle pubblicate nella valutazione di impatto (
Fonte Commissione europea), che riportano il numero delle imprese per Stato membro in base alla loro grandezza e al numero di persone impiegate. Per quanto riguarda
l'Italia, le aziende con più di 250 dipendenti rappresentano lo 0,1% del totale, anche se occupano il 21% dei lavoratori.
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Protezione dei dati (
articolo 10): il potenziale trattamento e/o la divulgazione dei dati personali ai sensi delle misure di trasparenza retributiva devono avvenire in conformità al regolamento (UE) 2016/679 (GDPR). I dati personali raccolti dai datori di lavoro a norma degli articoli 7, 8 o 9 non possono essere utilizzati per scopi diversi dall'attuazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Sono aggiunte garanzie specifiche per
impedire la divulgazione diretta o indiretta di
informazioni di un
collega di lavoro identificabile, nel senso che gli Stati membri possono decidere che solo i rappresentanti dei lavoratori o l'organismo per la parità abbiano accesso a tali informazioni.
Dialogo sociale (
articolo 11): fatta salva l'autonomia delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, gli Stati membri devono provvedere affinché i diritti e gli obblighi derivanti dalla direttiva siano
discussi con le parti sociali. Peraltro, gli Stati membri possono
affidare alle parti sociali l'attuazione della direttiva, laddove le parti sociali lo richiedano congiuntamente, a condizione che i risultati perseguiti dalla direttiva siano sempre garantiti (
articolo 30).
Anche la direttiva 2006/54/CE contiene una disposizione (articolo 33) che permette agli Stati membri di affidare alle parti sociali il compito di introdurre mediante accordo le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva.
La citata relazione del Governo suggerisce, sul punto, un confronto preventivo con le parti sociali.
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Mezzi di tutela e applicazione
Gli Stati membri devono provvedere affinché:
Trasferimento dell'onere della prova ai datori di lavoro (
articolo 16) - Come già indicato nell'articolo 19 della direttiva 2006/54/CE, nei casi in cui si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione diretta o indiretta,
spetta al convenuto provare l'insussistenza della violazione del principio di parità retributiva dinanzi ad un organo giurisdizionale, o dinanzi ad un altro organo competente (paragrafo 1).
Sulla base della giurisprudenza della Corte (causa Danfoss; causa C-109/88, Handels- og Kontorfunktionærernes Forbund I Danmark contro Dansk Arbejdsgiverforening, che agisce per conto della Danfoss), la direttiva 2006/54/CE ha stabilito disposizioni per garantire che l'onere della prova sia a carico del convenuto quando si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione.
Inoltre, qualora un datore di lavoro non abbia rispettato uno qualsiasi dei diritti o degli obblighi in materia di trasparenza retributiva di cui agli articoli da 5 a 9,
spetta al datore di lavoro dimostrare, in qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo riguardante una discriminazione diretta o indiretta, che non vi è stata discriminazione (paragrafo 2).
Infine, gli Stati membri possono, tra l'altro, introdurre norme probatorie più favorevoli alla parte ricorrente in procedimenti avviati per far valere i diritti o gli obblighi relativi alla parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore; non applicare il paragrafo 1 alle procedure nelle quali l'istruzione dei fatti spetta all'organo giurisdizionale o all'organo competente (paragrafo 3).
Accesso alle prove (
articolo 17): nel corso di un procedimento riguardante un ricorso in materia di discriminazione retributiva di genere, gli organi giurisdizionali nazionali o altre autorità competenti possono ordinare al convenuto di divulgare le prove pertinenti che sono sotto il loro controllo. Inoltre, gli organi giurisdizionali nazionali avranno la facoltà di ordinare la divulgazione delle prove che contengono informazioni riservate ove le ritengano pertinenti al ricorso, adottando al contempo misure efficaci per proteggere tali informazioni.
Termini di prescrizione (
articolo 18): il
termine di prescrizione per la presentazione dei ricorsi in materia di parità retributiva di genere deve essere
almeno di tre anni e non iniziare a decorrere prima che sia cessata la violazione del principio della parità retributiva o qualsiasi violazione dei diritti o degli obblighi derivanti dalla direttiva e che la parte ricorrente sia a conoscenza o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza della violazione. Inoltre un termine di prescrizione deve essere sospeso o interrotto non appena una parte ricorrente intraprenda un'azione presentando un ricorso o sottoponendo la propria rivendicazione all'attenzione del datore di lavoro, dei rappresentanti dei lavoratori, dell'ispettorato del lavoro o dell'organismo per la parità.
Spese legali e giudiziarie (
articolo 19): le parti ricorrenti che vincono un ricorso in materia di discriminazione retributiva hanno il diritto di recuperare dal convenuto, oltre a qualsiasi altro risarcimento, ragionevoli costi e spese legali e peritali. I convenuti che vincono un ricorso in materia di discriminazione retributiva non hanno invece il diritto di recuperare dalla parte ricorrente i costi e le spese legali e peritali, a meno che il ricorso sia stato presentato in malafede, sia palesemente futile o qualora il mancato recupero sia considerato manifestamente irragionevole.
Sanzioni (
articolo 20) - Gli Stati membri devono stabilire (e comunicarle senza indugio alla Commissione, anche in caso di modifica) le
sanzioni applicabili, in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva, che devono essere effettive, proporzionate e dissuasive
Devono altresì applicare
ammende alle violazioni dei diritti e degli obblighi relativi alla parità retributiva per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, fissando un livello minimo che deve tenere conto: della gravità e della durata della violazione; del dolo o della negligenza grave da parte del datore di lavoro; di eventuali altri fattori aggravanti o attenuanti applicabili alle circostanze del caso.
Infine, gli Stati membri devono stabilire sanzioni specifiche in caso di violazioni ripetute dei diritti e degli obblighi relativi alla parità retributiva tra uomini e donne, quali la revoca di benefici pubblici o l'esclusione, per un certo periodo, da qualsiasi riconoscimento di incentivi finanziari.
Parità retributiva negli appalti pubblici o nelle concessioni (
articolo 21): gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che, nell'esecuzione di appalti pubblici o concessioni, gli operatori economici (compresa la catena di subappalto successiva) rispettino gli obblighi relativi alla parità retributiva tra uomini e donne, considerato che gli obblighi in materia di parità retributiva salariale rientrano negli obblighi applicabili in materia di diritto sociale e del lavoro ai sensi della normativa vigente in materia di appalti pubblici e concessioni.
Inoltre, nell'attuazione di tali obblighi, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità che le amministrazioni aggiudicatrici introducano sanzioni e condizioni di risoluzione che garantiscono il rispetto del principio della parità retributiva nell'esecuzione degli appalti pubblici e delle concessioni. Tale disposizione chiarisce inoltre che i motivi di esclusione facoltativi esistenti in base alla normativa vigente su appalti e concessioni possono essere utilizzati per escludere un operatore che viola il principio della parità retributiva.
La relazione del Governo afferma che occorre verificare puntualmente il contenuto del Codice dei contratti pubblici per verificare la piena conformità alle prescrizioni della
direttiva e, se del caso, intervenire a modificare alcune specifiche disposizioni. Non si rinvengono, infatti, norme espresse riferite alla parità di retribuzione, pur in presenza di alcune disposizioni di carattere generale (cfr. art. 30 e 50).
Vittimizzazione e protezione contro trattamenti meno favorevoli (
articolo 22): i lavoratori e i loro rappresentanti non devono essere trattati in modo meno favorevole per il fatto di aver esercitato i loro diritti in materia di parità retributiva tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (paragrafo 1). Inoltre, gli Stati membri devono introdurre, a livello nazionale, misure volte a proteggere i lavoratori, compresi i rappresentanti dei lavoratori, dal licenziamento o da qualsiasi altro trattamento sfavorevole da parte dei datori di lavoro a seguito di un reclamo o di un'azione giudiziaria volta a ottenere il rispetto di qualsiasi diritto o obbligo relativo alla parità retributiva per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (paragrafo 2).
Rapporto con la direttiva 2006/54/CE (
articolo 23): Le misure di applicazione della direttiva proposta si applicano ai procedimenti riguardanti diritti o obblighi connessi al principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore di cui all'articolo 4 della direttiva 2006/54/CE. In sostanza a tali procedimenti si applicherà la nuova disciplina anziché gli articoli 17, 18, 19, 24 e 25 di tale direttiva, che disciplinano i mezzi di tutela, l'onere della prova e l'apparato sanzionatorio per le violazioni concernenti in generale il principio della parità di trattamento.
Disposizioni più favorevoli ai lavoratori (
articolo 24): gli Stati membri possono introdurre o mantenere
disposizioni più favorevoli
ai lavoratori rispetto a quelle stabilite nella direttiva.
Non possono invece
ridurre il livello di protezione in materia di parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (cd. clausola di non regresso).
Organismi per la parità (
articolo 25): fatta salva la competenza degli ispettorati del lavoro o di altri organismi che fanno rispettare i diritti dei lavoratori, comprese le parti sociali, gli
organismi nazionali per la parità, istituiti a norma della direttiva 2006/54/CE, sono
competenti per le questioni che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva.
Inoltre gli Stati membri devono intervenire attivamente per garantire una stretta cooperazione e coordinamento tra gli organismi nazionali per la parità e gli ispettorati del lavoro e per garantire che gli organismi per la parità dispongano di risorse adeguate per svolgere le loro funzioni in relazione al diritto alla parità retributiva. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di assegnare agli organismi per la parità gli importi recuperati a titolo di ammende (v.
supra).
La relazione del Governo afferma che sul piano nazionale va rivisto il meccanismo di finanziamento degli organismi di parità coinvolgendo il livello istituzionale territoriale.
Organismo di monitoraggio (
articolo 26): gli Stati membri designano un organismo incaricato di monitorare e sostenere l'attuazione delle disposizioni giuridiche nazionali di recepimento della direttiva.
La relazione del Governo osserva che le competenze del Comitato di cui all'articolo 10 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna potrebbero essere riviste, anche ridisegnando la composizione dell'organismo, semplificandola, da un lato, e, dall'altro, rafforzandone la componente tecnica attraverso la presenza di ISTAT, INAPP (Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche) e Ministero della Giustizia (per il monitoraggio dei dati sulle cause per discriminazione). In alternativa, questo ruolo potrebbe essere conferito alla Conferenza delle consigliere, di cui all'art. 19 del citato Codice. In ogni caso il tipo di funzioni previsto dalla direttiva presuppone la creazione di un ufficio strutturato, con
competenze specifiche e adeguate risorse umane e finanziarie. Occorre anche, in prospettiva, pensare ad un meccanismo di integrazione con le competenze dell'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), vista la necessità di rilevare le discriminazioni multiple.
Per la promozione delle pari opportunità nel mondo del lavoro, presso il Ministero del lavoro, dal 1991 opera il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici (Comitato nazionale di parità), organo consultivo del Ministro con compiti di studio e di promozione in materia di parità nel settore della formazione professionale e del lavoro (artt. 8 e ss., D.Lgs. n. 198/2006, come modificato da D.Lgs. n. 151 del 2015). Il Comitato promuove nell'ambito della competenza statale, la rimozione delle discriminazioni e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza tra uomo e donna nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252. È presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali o da un Sottosegretario delegato. L'attuale Comitato è stato ricostituito in data 26 luglio 2019.
Contrattazione e azioni collettive (
a
rticolo 27): si chiarisce che la direttiva non pregiudica in alcun modo il diritto di negoziare, concludere ed applicare contratti collettivi e di intraprendere azioni collettive conformemente al diritto o prassi nazionali.
Statistiche (
articolo 28): gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione (Eurostat) dati aggiornati sul divario retributivo di genere ogni anno suddivise per genere, settore economico, orario di lavoro (tempo pieno/tempo parziale), controllo economico (pubblico/privato) ed età.
Diffusione di informazioni (
articolo 29): gli Stati membri devono adottare misure affinché le disposizioni adottate a norma della direttiva, unitamente alle pertinenti disposizioni già in vigore, siano portate a conoscenza delle persone interessate.
Recepimento (
articolo 31): gli Stati membri devono recepire la direttiva
entro due anni dalla sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione fornendo anche una sintesi dei risultati della loro valutazione relativa all'impatto dell'atto di recepimento sulle piccole e medie imprese.
Comunicazione di informazioni e riesame (articolo 32): gli Stati membri devono comunicare alla Commissione tutte le informazioni relative all'applicazione della direttiva entro otto anni dall'entrata in vigore, consentendo alla Commissione di riesaminare l'applicazione della direttiva.
Secondo la relazione del Governo, si potrebbe conferire il compito di predisporre la relazione all'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP).
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Esame presso altri Parlamenti nazionali
Sulla base dei dati forniti dal sito
IPEX, l'esame dell'atto risulta
avviato da parte dei Parlamenti di: Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lituania, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e Ungheria.
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