La nuova legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong e le reazioni della Comunità internazionale 6 luglio 2020 |
Il controllo britannico dell'isola di Hong Kong va fatto risalire alla prima Guerra dell'Oppio alla metà del XIX secolo: successivamente altri trattati sino-britannici e segnatamente la cosiddetta "II Convenzione" di Pechino del 9 giugno 1898, stabilirono un allargamento della zona sotto il controllo di Londra, a ricomprendere la penisola di Kowloon e ulteriori territori in direzione nord, per la durata di 99 anni.
L'intesa tra Cina e Regno Unito, stipulata mediante la firma della Dichiarazione congiunta, permise dopo 156 anni, a partire dal 1° luglio 1997, il ritorno del territorio di Hong Kong sotto il controllo della Cina popolare, a condizione che fosse rispettato il principio "un Paese, due sistemi", ideato principalmente per garantire il mantenimento dell'economia di mercato nel territorio dell'isola fino al 2047, data in cui s'immaginava una piena reintegrazione di Hong Kong nella Cina popolare.
La Dichiarazione congiunta sino-britannica del 19 dicembre 1984La Dichiarazione congiunta del Governo del Regno Unito e del Governo della Repubblica popolare cinese sulla questione di Hong Kong, generalmente conosciuta come Dichiarazione congiunta sino-britannica, sottoscritta il 19 dicembre 1984 dalla prima ministro britannica, Margaret Thatcher, e dal suo omologo cinese, Zhao Zyang, ed entrata in vigore il 25 maggio 1985, venne registrata presso le Nazioni Unite da entrambi i governi nel giugno successivo. La Dichiarazione stabiliva che, a partire dal 1° luglio 1997, la sovranità su Hong Kong sarebbe stata esercitata dalla Repubblica popolare cinese che si impegnava a riconoscerla come "Regione amministrativa speciale" (RAS) dotata di un elevato grado di autonomia, tranne che negli affari esteri e di difesa che restavano di competenza del Governo cinese. In questo modo si dava attuazione al principio "un Paese, due sistemi" che prevedeva uno status specifico per i territori in questione, al fine di garantire una lenta transizione al sistema economico e giuridico dall'ex colonia britannica alla Repubblica popolare cinese, il cui completamento è previsto nel 2047. Alla RAS veniva specificatamente riconosciuto potere legislativo, esecutivo e giudiziario indipendente, compreso quello di emettere sentenze definitive (art. 3). L'art. 5 stabiliva che sarebbe stato garantito il mantenimento dei sistemi sociali ed economici propri della tradizione di Hong Kong e che la legislazione della RAS avrebbe assicurato il rispetto dei diritti e delle libertà civili, mentre le forme di proprietà privata, le successioni e gli investimenti estero sarebbero stati tutelati dalla legge. La Dichiarazione stabiliva inoltre il mantenimento: dello status di porto franco di Hong Kong e di centro finanziario internazionale con libero flusso di capitali; della circolazione e della libera convertibilità del dollaro di Hong Kong. Con la denominazione ufficiale di "Hong Kong, Cina" viene riconosciuto il diritto alla RAS di mantenere e sviluppare proprie relazioni economiche e culturali, nonché concludere accordi con Stati, regioni e organizzazioni internazionali pertinenti. Alla competenza del Governo locale veniva affidato il mantenimento dell'ordine pubblico. La Dichiarazione stabiliva che tali indirizzi politico-legislativi, propri della RAS, sarebbero rimaste invariati per 50 anni. |
La Legge fondamentale di Hong KongLe disposizioni contenute nella Dichiarazione congiunta sono state trasposte nella Legge fondamentale, composta da nove capitoli, 160 articoli e tre allegati, approvata il 4 aprile 1990 ed entrata in vigore il 1° luglio 1997, per dare attuazione a quanto stabilito dall'intesa sino-britannica. In base alla Legge fondamentale, come accennato, viene istituita una RAS nell'ambito della Repubblica popolare cinese, con specifici diritti e libertà riconosciuti ai suoi abitanti, così come livelli di autonomia nel campo dell'esecutivo, del legislativo e del potere giudiziario. Dalle competenze riconosciute alla RAS sono espressamente escluse le materie della politica estera e della difesa. Particolarmente controversa è la portata dell'art. 23 della Legge fondamentale che consente alle autorità della RAS di "proibire le attività di enti o di organizzazioni politiche straniere nella Regione, e [. . .] che enti o organizzazioni politiche della Regione stabiliscano legami con enti o organizzazioni straniere». Già durante un'altra crisi sanitaria, quella della SARS del 2002-2003, un provvedimento mirante all'attuazione di quella disposizione, aveva provocato uno stato d'animo di crescente preoccupazione nella popolazione di Hong Kong: Tung Chee-hwa, il capo esecutivo di allora, aveva tentato di adottare una legge sulla sicurezza nazionale, ma il mezzo milione di cittadini scesi per le strade era riuscito a bloccarla. Dopo Tung, l'articolo 23 era rimasto in sospeso e anche Carrie Lam, l'attuale Capo esecutivo, aveva pubblicamente dichiarato che tale legge avrebbe necessitato del "contesto sociale adeguato" per essere adottata. La Legge fondamentale ha istituito un'assemblea legislativa unicamerale (il Consiglio legislativo) di 70 membri con mandato quadriennale, con competenze sul bilancio, il fisco e la spesa pubblica. Metà dei componenti sono eletti a suffragio universale, con metodo proporzionale, dai cittadini residenti nella RAS, mentre gli altri 35 sono espressione di collegi ed associazione professionali (le cd. Functional Constituencies). In luogo della figura del Governatore vigente sotto il dominio britannico, è stata istituita quella del Capo dell'Esecutivo, nominato da un comitato di 1.200 membri e comunque di orientamento favorevole alle direttive di Pechino. Va ricordato che al momento del ritorno di Hong Kong sotto sovranità cinese nel 1997 la Cina popolare, pur essendo ormai nel pieno del processo di prodigiosa industrializzazione che ne ha caratterizzato gli ultimi decenni, non poteva ancora vantare concentrazioni di potere e di know how finanziari paragonabili a quelli rappresentati da Hong Kong. Dopo l'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio (2001) lo slancio economico cinese registrava un'accelerazione esponenziale, di talché in un tempo sorprendentemente breve numerose regioni della Cina diventavano oltre che sede di industrie avanzate anche piazze finanziarie di tutto rispetto, e tra queste quella di Shenzen, situata proprio in prossimità di Hong Kong. Attualmente pertanto l'alterità economica di Hong Kong rispetto alla Cina risulta grandemente attenuata: la questione centrale, approssimandosi la data del 2047, sembra essere divenuta invece quella dell'assetto politico, con l'emersione in vasti settori dell'opinione pubblica dell'isola di gravi preoccupazioni perché l'integrazione nella Cina popolare, pur incontrando un ambiente economico assai più omogeneo, significherebbe l'integrazione in un sistema politico-istituzionale che sembra rendere problematiche le prospettive di liberalizzazione e di apertura pluralistica. |
La nuova legge sulla sicurezza nazionale nella Regione amministrativa specialeIl 30 giugno 2020 è entrata in vigore la controversa legge sulla sicurezza nazionale per la RAS di Hong Kong: la nuova normativa è stata approvata all'unanimità nel corso della 20a sessione del Comitato permanente della XIII Assemblea nazionale del popolo ed è divenuta pienamente operativa dopo la promulgazione da parte del Consiglio legislativo di Hong Kong. Il testo si articola in sei capitoli costituiti da 66 articoli che prevedono quattro nuove tipologie di reati: secessione, sovversione, terrorismo e collusione con un paese straniero o elementi esterni per mettere in pericolo la sicurezza nazionale. La pena massima per ogni reato è l'ergastolo, sebbene la pena suggerita per alcuni reati minori sia di tre anni di reclusione. L'art. 2 sottolinea il carattere fondamentale delle disposizioni degli articoli 1 e 12 della Legge fondamentale della RAS che definiscono rispettivamente il carattere inalienabile di Hong Kong come parte integrante del territorio della Cina e l'ampio carattere di autonomia riconosciuto alla regione, sotto la responsabilità del Governo cinese. L'articolo 3 assegna al governo della Repubblica popolare cinese la competenza in materia di sicurezza nazionale relative alla RAS, attribuendo alle autorità esecutive, legislative e giudiziarie della Regione il compito di prevenire, reprimere e punire in modo efficace qualsiasi atto o attività che possa costituire una minaccia per la sicurezza nazionale. L'art. 5 riafferma il rispetto principio dello Stato di diritto nelle attività di prevenzione, repressione e nell'imposizione di sanzioni per i reati che compromettono la sicurezza nazionale. Viene istituito (art. 12) un Comitato per la salvaguardia della sicurezza nazionale, sotto il controllo e la responsabilità del Governo centrale del popolo. Il Comitato sarà presieduto dal Capo esecutivo di Hong Kong e formato dal Segretario generale dell'amministrazione, dal Segretario finanziario, dal Segretario per la giustizia, dal Segretario alla polizia, dal Capo del dipartimento per la salvaguardia della sicurezza nazionale della polizia di Hong Kong, dal Direttore dell'immigrazione, dal Commissario per le dogane e le accise, e dal Direttore dell'Ufficio del capo dell'esecutivo: Il Comitato verrà coadiuvato da un Segretario generale, nominato dal Governo centrale, su proposta del Capo esecutivo. Inoltre un Consigliere per la sicurezza nazionale, nominato dal governo centrale del popolo, fornirà consulenza su questioni relative ai compiti e alle funzioni del comitato (art. 15).
Viene altresì istituito un
Dipartimento per la salvaguardia della sicurezza nazionale nell'ambito della forza di polizia di Hong Kong, con compiti di raccolta e analisi dell'i
ntelligence e delle informazioni relative alla sicurezza nazionale; pianificazione, coordinamento e applicazione di misure e operazioni intese a salvaguardare la sicurezza nazionale; indagare sui reati che mettono in pericolo la sicurezza nazionale; effettuare le indagini in materia di contro-interferenza e il riesame della sicurezza nazionale; svolgere i compiti di salvaguardia della sicurezza nazionale assegnati dal Comitato e quanto venga ritenuto necessario (artt. 15 e 16).
Il Capo III, dedicato a reati e sanzioni, definisce figure e circostanze di reato in modo generico. Ai sensi dell'art. 20, commette reato chiunque, con o senza l'uso della forza o la minaccia della forza, al fine di minare l'unità nazionale, partecipi ad atti volti a separare Hong Kong dalla Cina. Le pene previste per i reati di sedizione, sovversione o terrorismo vanno dai tre anni, per i reati minori, sino all'ergastolo. L'art. 35 stabilisce che non potrà candidarsi alle elezioni locali chiunque subisca una condanna per reati che rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale, analogamente legislatori, funzionari governativi e chiunque ricopra cariche pubbliche dovrà immediatamente dimettersi. Particolare rilievo assume l'art. 48 che istituisce nella RAS un Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale alle dipendenze del Governo centrale, composto da soggetti inviati dalle autorità di sicurezza della Repubblica Popolare. L'Ufficio crea una connessione diretta tra il sistema giudiziario della RAS a quello della Cina continentale, poiché i dossier gestiti dall'Ufficio saranno trasmessi alla Procura suprema ed alla Corte suprema popolare.
L'organo si coordinerà con il Comitato e le forze di polizia. Tra i suoi compiti spiccano la raccolta e l'analisi di informazioni d'
intelligence (e la gestione dei casi più complessi di crimini contro la sicurezza nazionale, come quelli che coinvolgono un paese straniero e che riguardano una minaccia imminente.
L'art. 60 prevede che gli atti compiuti in servizio dall'Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale del Governo centrale nel territorio di Hong Kong e il relativo personale non siano soggetti alla giurisdizione della RAS. Inoltre gli agenti e i veicoli utilizzati nello svolgimento del servizio non sono soggetti a controllo da parte delle forze dell'ordine locale. Le autorità cinesi hanno dato attuazione immediatamente alla nuova normativa nominando il 2 luglio scorso Chen Guoji segretario generale del Comitato per la salvaguardia della sicurezza nazionale della RAS, su indicazione della governatrice dell'isola, Carrie Lam, il 2 luglio. Chen ha diretto dal 2011 l'Ufficio immigrazione di Hong Kong ed è noto per avere forti legami con il Governo di Pechino. La Commissione di cui Chen sarà segretario generale sarà presieduta da Carrie Lam e avrà al suo interno un membro nominato dallo stesso governo centrale della RPC che avrà funzioni di consulenza. Il compito della nuova istituzione sarà quello di formulare leggi sulla sicurezza nazionale e di potenziare lo sviluppo del sistema giudiziario e dei meccanismi di attuazione della legge ad Hong Kong. Nell'isola le frange più attive della fazione pro-democrazia temono di incappare presto nella rete securitaria del governo centrale che ha avviato una serie di arresti di massa di oppositori e di manifestanti contro la nuova ondata repressiva legata all'entrata in vigore della nuova normativa. Il partito Demosistō, a favore dell'autodeterminazione, si è sciolto poco dopo che il suo fondatore Joshua Wong lo ha lasciato promettendo però di continuare l'attività politica. Anche le organizzazioni Hong Kong National Front e Studentlocalism hanno annunciato la fine delle loro operazioni nella città e il loro trasferimento all'estero. |
Le principali reazioni internazionali all'approvazione della nuova normativaIl 28 giugno i governi di Stati Uniti, Australia, Canada e Regno Unito, in una dichiarazione congiunta, hanno espresso "preoccupazione" per la decisione assunta dalla Cina popolare, sottolineando che la nuova legge è in contrasto con gli obblighi internazionali assunti da Pechino, in base ai princìpi della Dichiarazione congiunta sino-britannica legalmente vincolante e riconosciuta dalle Nazioni Unite. La dichiarazione denuncia la violazione della legalità internazionale da parte di Pechino, ma sottolinea che "la Comunità internazionale ha un significativo e duraturo interesse alla prosperità e alla stabilità di Hong Kong". La nuova legge mina alla base il più volte richiamato principio "un paese, due sistemi", aumentando la possibilità di reprimere l'opposizione politica e mettendo a rischio gli impegni esistenti a tutela dei diritti delle persone di Hong Kong, compresi quelli sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 1966 e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali dello stesso anno. Il 7 giugno il Premier inglese, Boris Johnson, con un editoriale pubblicato sul Times e sul South China Morning Post ha proposto ai cittadini di Hong Kong, titolari di passaporti del tipo "British National Overseas" (BNO) che ne facciano richiesta di trasferirsi nel Regno Unito, se la Cina dovesse proseguire con l'imposizione della legge sulla sicurezza nazionale.
Il passaporto BNO è un documento di viaggio che garantisce ai suoi titolari l'ingresso senza visto nel Regno Unito per 6 mesi; il documento, tuttavia, non comporta immediati diritti di cittadinanza e non consente automaticamente la possibilità di residenza o di lavoro. La proposta del governo del Regno Unito consentirebbe a qualsiasi detentore di questi passaporti di venire nel Regno Unito per un periodo rinnovabile di 12 mesi e di ricevere ulteriori diritti di immigrazione, incluso il diritto al lavoro, che potrebbe metterli sulla strada della cittadinanza. Il consolato britannico di Hong Kong stima che
2,9 milioni di persone abbiano diritto a un passaporto BNO, il che significa che quasi il 40% dei 7.45 milioni di abitanti della città potrebbe richiedere il documento. Al momento, circa 350.000 cittadini britannico detengono passaporti BNO. Dopo l'approvazione definitiva della legge, il 1° luglio Londra ha riconfermato l'offerta estendendola anche a quanti sono alle dipendenze di cittadini titolari di passaporto BNO.
Il ministro degli esteri ombra del Governo britannico, Lisa Nandy, nell'esprimere profonda preoccupazione per la situazione di Hong Kong, ha dichiarato di condividere la posizione del governo, ha mostrato apprezzamento per la decisione di estendere i passaporti, chiedendo altresì vengano predisposte rapidamente le necessarie misure legislative. La nuova normativa ha rafforzato l'opposizione di Taiwan all'unificazione con la Cina continentale: il governo di Tsai Ing-wen Taiwan ha deciso di fornire la "necessaria assistenza" agli abitanti di Hong Kong, offrendo rifugio a un crescente numero di attivisti pro-democrazia di Hong Kong, intenzionati a sottrarsi all'arresto delle autorità dopo le violente proteste anti-governative verificatesi per mesi nella RAS. Negli Stati Uniti, il 25 giugno, il Senato ha approvato all'unanimità un disegno di legge, noto come Hong Kong Autonomy Act, con il quale gli USA potrebbero imporre sanzioni e congelare i beni di funzionari cinesi colpevoli di azioni oppressive contro Hong Kong e sanzionare anche le istituzioni finanziarie straniere che procedano consapevolmente a transazioni di rilievo con tali individui. In questo modo verrebbe modificato lo status dell'isola a cui, sulla base dello US-Hong Kong Policy Act del 1992, veniva accordato un trattamento più favorevole rispetto alla Repubblica popolare cinese. Il provvedimento è attualmente all'esame della Camera bassa. Il 30 giugno la Camera dei rappresentanti ha approvato all'unanimità un provvedimento che prevede l'imposizione di sanzioni alle banche cinesi in affari con funzionari di Pechino responsabili dell'attuazione della nuova legge sulla sicurezza di Hong Kong. Il disegno di legge passa ora al vaglio del Senato federale, che il 25 giugno ne aveva approvato uno simile. Il 30 giugno il segretario al commercio, Wilbur Ross, ha annunciato il blocco con effetto immediato delle esportazioni condizionate di sistemi per la difesa e prodotti cosiddetti "dual use", con potenziali applicazioni militari. Il 1° luglio un gruppo di parlamentari statunitensi di entrambi gli schieramenti ha presentato un progetto di legge volto a concedere il diritto d'asilo ai residenti di Hong Kong che si trovassero a rischio di persecuzione politica da parte della Cina. L'iniziativa legislativa, denominata Hong Kong Safe Harbor Act, è stato presentato contemporaneamente presso entrambe le Camere del Congresso, in risposta all'entrata in vigore nell'ex colonia britannica della nuova legge sulla sicurezza voluta da Pechino per limitare i margini del dissenso in quel territorio. Se approvato, il disegno di legge allo studio del Congresso garantirà lo status di rifugiato politico agli attivisti di Hong Kong che abbiano "protestato pacificamente contro il sistema giudiziario cinese corrotto, ed abbiano fondati timori di persecuzione". Il testo del disegno di legge non pone alcun limite al numero di honkonesi che potranno richiedere asilo. Il Governo canadese ha sospeso l'accordo di estradizione in vigore con Hong Kong in risposta all'imposizione della legge sulla sicurezza nazionale che criminalizza ogni forma di dissenso. Lo ha reso il ministro degli Affari esteri, Francois-Philippe Champagne, in una nota, esprimendo "seria preoccupazione" per l'approvazione della legge e per il suo testo. "Questo processo dimostra il mancato riguardo verso la Legge fondamentale di Hong Kong e l'alto grado di autonomia promessa alla regione speciale nel quadro del principio ‘un Paese, due sistemi'". Il capo della diplomazia canadese ha anche annunciato che Ottawa annullerà i trattamenti speciali riservati alle esportazioni verso Hong Kong, che d'ora in avanti saranno soggette alle stesse condizioni di quelle verso la Cina continentale. Inoltre, il premier canadese Justin Trudeau ha dichiarato alla stampa che d'ora in poi il governo vieterà l'esportazione di prodotti sensibili dal punto di vista militare verso Hong Kong. Il ministro nipponico della Difesa, Taro Kono, il 30 giugno, ha dichiarato che l'approvazione della controversa legge sulla sicurezza di Hong Kong da parte di Pechino avrà "ricadute significative" sul progetto di una visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Tokyo, già rimandata lo scorso aprile a causa della pandemia da Covid-19. Kono ha dichiarato che il provvedimento, promulgato dal Consiglio legislativo di Hong Kong costituisce un "tentativo unilaterale di mutare lo status quo" nelle norme che hanno regolato sinora la convivenza tra l'ex colonia britannica e la Cina continentale. Il Ministro giapponese ha accusato Pechino di aver violato la promessa al mondo di tutelare l'autonomia dell'isola a seguito del suo ricongiungimento alla Cina, nel 1997. Le dichiarazioni di Kono, che prima assumere la guida del dicastero della Difesa è stato a capo della diplomazia giapponese, paiono allontanare ulteriormente le prospettive di un rilancio delle relazioni bilaterali tra Tokyo e Pechino, che sarebbe dovuto avvenire con la firma di una dichiarazione congiunta proprio in occasione della visita di Xi. Il 28 maggio, si è svolta presso il Bundestag una discussione sulla legge di sicurezza varata per Hong Kong. Nel dibattito si è registrato una sostanziale convergenza tra le forze politiche nel valutare la nuova legge sulla sicurezza una violazione del diritto internazionale, mentre sulle misure da prendere nei confronti della Cina le posizioni sono risultate più diversificate. In particolare la liberale Gyde Jensen (FPD), ha criticato il ministro degli Affari esteri, Haiko Maas, per non aver espresso una chiara posizione al riguardo, limitandosi ad un blando tweet in difesa dell'autonomia di Hong Kong, chiedendo l'adozione di sanzione nei confronti dei funzionari del Partito comunista cinese e la sospensione del Vertice Unione europea–Cina, programmato a Lipsia nel mese di settembre. Il Presidente della Commissione esteri, Norbert Röttenger (CDU), dopo aver definito "sbagliate" le richieste della Jensen, ha affermato che il vertice deve svolgersi, con gli obiettivi che l'Unione europea si è data, se infatti in risposta a provvedimenti ingiusti la Cina sperimentasse soltanto il silenzio e l'interruzione dei rapporti, non si farebbe altro che incoraggiarne l'azione, mentre occorre un'azione opposta, discutere e porre con chiarezza dei limiti. Il ministro degli esteri, Maas, in una recente intervista ha dichiarato che la situazione è preoccupante e che occorre che l'Unione europea assuma una posizione forte, prevedendo anche contromisure nei confronti della Cina. Il 3 luglio, la cancelliera Angela Merkel, in occasione di un discorso al Bundesrat, ha espresso preoccupazione sulla situazione di Hong Kong e sul fatto che la sua autonomia possa essere erosa dalle nuove disposizioni. Per questo durante il semestre tedesco di Presidenza dell'UE, intende affrontare con la Cina il tema dello Stato di diritto, dei diritti umani e di Hong Kong. Inoltre la Cancelliera ha confermato l'intenzione di sottoscrivere un accordo commerciale con Pechino e che solo parlando ad una sola voce, i 27 paesi membri dell'UE avranno abbastanza peso da raggiungere un accordo ambizioso con la Cina. Sulla questione della concessione dell'asilo politico ai cittadini di Hong Kong, Merkel ha dichiarato che Berlino non prevede misure specifiche per consentire ai cittadini di Hong Kong interessati dalla nuova legge sulla sicurezza nazionale di trasferirsi, poiché il diritto di asilo in Germania è a disposizione di chiunque nel mondo. Il 19 giugno il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla nuova legge affermando l'esigenza che l'UE difenda l'elevato grado di autonomia di Hong Kong nella sancito dalla Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984 e dalla Legge fondamentale del 1990, deplorando al contempo l'adozione di una normativa da parte delle autorità cinesi che rappresenta un attacco globale all'autonomia dell'isola. Il Parlamento europeo sottolinea che l'introduzione della prevista legislazione in materia di sicurezza nazionale sarebbe considerata una violazione degli impegni e degli obblighi assunti dalla Repubblica popolare cinese nell'ambito del diritto internazionale e sottolinea che l'introduzione della prevista legislazione in materia di sicurezza nazionale sarebbe considerata una violazione degli impegni e degli obblighi assunti dalla Repubblica popolare cinese nell'ambito del diritto internazionale. L'Unione europea, principale mercato di esportazione della Cina, deve per questo sfruttare la propria influenza economica per contrastare con mezzi economici la repressione dei diritti umani da parte della Cina. Il PE ritiene che nel quadro della difesa dei diritti umani, dovrebbero essere imposte sanzioni ai leader che si siano responsabili della repressione ai danni di Hong Kong e dei suoi cittadini, nonché di gravi violazioni dei diritti umani e che tali sanzioni dovrebbero essere discusse e, ove possibile, coordinate con partner democratici quali l'Australia, il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud. Infine i parlamentari europei invitano l'Unione a prendere in considerazione la possibilità di presentare un ricorso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia per inadempienza degli impegni internazionali sottoscritti. Il 1° luglio, l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'UE, Joseph Borrell, con una dichiarazione, ha riaffermato l'impegno dell'Unione europea alla salvaguardia della stabilità e della prosperità di Hong Kong nell'ambito del principio "un Paese, due sistemi" e del pieno mantenimento dell'elevato grado di autonomia di Hong Kong, conformemente alla Legge fondamentale del paese e agli impegni internazionali assunti dalla Cina. La Dichiarazione precisa che sussistono preoccupazioni in merito alla conformità della nuova legge alla Legge fondamentale di Hong Kong e agli impegni internazionali assunti dalla Cina. L'Unione europea esorta la Cina a evitare qualsiasi atto che pregiudichi l'autonomia di Hong Kong in ambito giuridico, anche in termini di diritti umani. Lo stesso giorno, presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, Cuba ha presentato una dichiarazione congiunta, sostenuta da 53 Stati, che qualifica la nuova normativa come un'espressione legittima della sovranità cinese sull'isola, che non viola i diritti umani e come tale non può essere oggetto di discussione presso quell'organismo. Un'altra dichiarazione, di contenuto opposto, presentata dal rappresentante britannico a nome di 25 paesi (tra i quali 15 Stati membri dell'UE, Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia e Svezia) ha chiesto ai Governi cinesi e di Hong Kong di riconsiderare l'imposizione di questa normativa e d'impegnare il popolo, le istituzioni ed il potere giudiziario della RAS nel prevenire ulteriori erosioni di quei diritti e di quelle libertà di cui il popolo di Hong Kong ha goduto per molti anni. |
L'attività parlamentareL'attenzione del Parlamento italiano per le vicende istituzionali e sociali di Hong Kong è precipua della corrente Legislatura: la prima occasione si verificava quando la Commissione Affari esteri della Camera dei deputati, nella seduta dell'8 ottobre 2019, svolgeva l'interrogazione 5-02819 del deputato Lupi, concernente l'attuazione della risoluzione del Parlamento europeo, del precedente 18 luglio, sulla situazione a Hong Kong.
La risposta del Governo evidenziava come l'Italia, sia a livello bilaterale con le autorità di Hong Kong, che nell'ambito del coordinamento con gli altri Stati membri dell'UE e con le stesse istituzioni europee, abbia continuato a ribadire l'invito alla moderazione e all'instaurazione di un processo di dialogo inclusivo e credibile che conducesse al mantenimento delle libertà fondamentali e dell'elevato grado di autonomia della RAS. L'Italia sosteneva inoltre fortemente la dichiarazione finale adottata al Vertice G7 di Biarritz di fine agosto, in cui si ribadiva l'importanza della dichiarazione sino-britannica del 1984 su Hong Kong – presupporto del ritorno alla Cina del 1997 - e si esortava ad evitare le violenze.
La Commissione Affari esteri, nella seduta del 19 novembre 2019, tornava ad occuparsi della situazione a Hong Kong, durante lo svolgimento di due interrogazioni di analogo argomento presentate dai deputati Formentini e Quartapelle Procopio.
La risposta del Governo sottolineava la preoccupazione dell'Italia per il perdurare e l'acuirsi delle gravi tensioni nel territorio della RAS: per il nostro Paese in nessun caso risultava accettabile il ricorso alla violenza, e a tale proposito si richiamavano le autorità di Hong Kong a reazioni proporzionate nella gestione dei disordini di piazza. Auspicando l'impegno delle parti in conflitto ad impegnarsi per disinnescare le gravi tensioni correnti, l'Italia si augurava altresì un regolare svolgimento delle imminenti elezioni amministrative del 24 novembre.
Ancora la Commissione Affari esteri della Camera, il 3 dicembre 2019, discuteva due progetti di risoluzione sulla situazione in atto a Hong Kong presentati dai deputati Delmastro Delle Vedove e Lupi.Il dibattito parlamentare sfociava nell'approvazione della risoluzione conclusiva 8-00054 che impegna impegna il Governo – sulla scorta di quanto già discusso nella seduta dell'8 ottobre 2019 – ad assumere le iniziative necessarie per conformarsi alla risoluzione del Parlamento europeo del 18 luglio 2019; a sostenere una iniziativa dell'Unione europea per chiedere l'avvio da parte delle sutorità di Hong Kong di una immediata indagine per verificare le ragioni alla base delle proteste e le violazioni del diritto nell'impiego della forza; a ribadire alle sutorità cinesi che la tutela delle libertà di espressione e i diritti personali, nel pieno rispetto delle autonomie dei singoli paesi, sono un principio essenziale per la conduzione della politica estera italiana All'inizio del 2020, l'Assemblea, nelle sedute dell'8 e del 9 gennaio discuteva e votava le mozioni Formentini ed altri n. 1-00248, Lollobrigida ed altri n. 1-00307, Cabras, Quartapelle Procopio, Migliore, Palazzotto ed altri n. 1-00308 e Orsini ed altri n. 1-00311, concernenti iniziative in sede internazionale volte al rispetto dell'autonomia riconosciuta ad Hong Kong, alla luce delle manifestazioni in corso negli ultimi mesi. Il dispositivo dell'unica mozione approvata, la n. 1-00308, impegna il Governo: - ad assumere le iniziative necessarie per conformarsi alla risoluzione del Parlamento europeo del 18 luglio 2019; - a continuare a sostenere l'iniziativa dell'Unione europea per l'avvio, da parte delle autorità di Hong Kong, di un'indagine conoscitiva sulle ragioni alla base delle proteste e di un'inchiesta sulle violenze e sulle violazioni del diritto nell'impiego dell'uso della forza; - a sostenere una iniziativa dell'Unione europea per un celere e imparziale esame, da parte delle competenti autorità di Hong Kong e sulla base della legislazione locale vigente, delle richieste di rilascio dei manifestanti arrestati durante le proteste, nonché per verificare le ragioni del diniego all'espatrio di Joshua Wong, chiedendo parimenti spiegazioni all'Ambasciata cinese; - a ribadire alle autorità cinesi che la tutela delle libertà di espressione e i diritti personali, nel pieno rispetto delle autonomie dei singoli Paesi, sono un principio essenziale per la conduzione della politica estera italiana. Il 28 maggio 2020, presso la III Commissione della Camera, venivano svolte due interrogazioni, presentate rispettivamente dai deputati Andrea Romano e Formentini, sull'iniziativa cinese per una legge sulla sicurezza nazionale ad Hong Kong.
Nella risposta il Governo rappresentava come, subito dopo l'annuncio da parte cinese dell'avvio della discussione della legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong, l'Italia, insieme con gli altri Stati Membri dell'Unione europea, ha attivamente lavorato a una dichiarazione dell'Alto Rappresentante per la politica estera Borrell: in tale documento si ribadisce la netta preferenza europea per una soluzione attraverso un dibattito democratico inclusivo che preveda la consultazione di tutte le parti e il rispetto dei diritti e delle libertà assicurate a Hong Kong, nel quadro dell'autonomia della RAS. Quanto alle ipotesi sanzionatorie nei confronti di Pechino il Governo ribadiva l'assoluta necessità di discutere tale materia esclusivamente nell'ambito europeo, tanto per i vincoli giuridici del nostro Paese nei confronti dell'Unione, quanto per l'efficacia incomparabilmente maggiore di decisioni di respiro europeo
La III Commissione si soffermava una volta di più sulla situazione di Hong Kong l'11 giugno 2020 nel dibattito generato dalla presentazione dell'interrogazione a risposta immediata 5-04150 del deputato Lupi, riguardante le iniziative del Governo italiano in sede europea e internazionale a sostegno dell'autonomia di Hong Kong e di eventuali sanzioni nei confronti della Cina.
La risposta del Governo richiamava la reazione del Ministro degli Affari esteri ai progetti cinesi di una nuova normativa sulla sicurezza ad Hong Kong, contribuendo nel Consiglio Affari esteri UE a dare impulso alla Dichiarazione comune del 29 maggio 2020, sulla scorta della quale l'Alto Rappresentante per la politica estera europea Borrell ha definito la decisione cinese non conforme agli impegni internazionali e alla Legge fondamentale, nonché tale da minare l'alto grado di autonomia di Hong Kong.
|