Libano 2 aprile 2019 |
Indice |
| La cornice istituzionale|Il quadro politico|La questione dei rifugiati| |
La cornice istituzionale
Il Libano è una Repubblica indipendente dal 1943. La Costituzione è del 1926, ma è stata profondamente modificata nel 1943 e nel 1989 (a seguito degli accordi di Ta'if che hanno posto fine alla guerra civile). Il Libano può essere definito una Repubblica semipresidenziale perché il Presidente della Repubblica, per quanto non eletto direttamente dal corpo elettorale, condivide il potere esecutivo con il Primo Ministro, partecipando alle sedute del Consiglio dei ministri, nominando e revocando il Primo Ministro. L'elemento più importante del sistema politico libanese è il confessionalismo, ossia un assetto istituzionale in cui l'appartenenza religiosa di ogni singolo cittadino diventa il principio ordinatore della rappresentanza politica (parlamento e governo) e il cardine del sistema giuridico. Anche gli incarichi amministrativi sono suddivisi tra le differenti confessioni religiose secondo un meccanismo predeterminato di quote riservate, che sono attribuite a ciascun gruppo in funzione del suo peso demografico e sociale. In base a una convenzione costituzionale risalente al "patto nazionale" (al-mīthāq al-watanī) del 1943, le più alte cariche dello Stato sono assegnate ai tre gruppi principali: il Presidente della Repubblica è maronita, il Primo Ministro è sunnita, mentre il Presidente del Parlamento è sciita. Gli accordi di Tāif del 1989 non hanno modificato questo sistema, ma si sono limitati a riequilibrare i rapporti di forza tra le confessioni maggiori, facendo in modo che il numero di deputati musulmani fosse pari al numero di deputati cristiani, e aumentando i poteri e le prerogative del Primo Ministro a scapito del Presidente della Repubblica. Gli accordi di Ta'if prevedevano l'eventuale eliminazione del sistema confessionale a favore dell'esperienza e la competenza ma poco è stato fatto in questo senso. Una rilevante eccezione, tuttavia, sono le forze armate libanesi che hanno significativamente ridotto il ruolo del confessionalismo nella nomina e promozione degli ufficiali. Il Presidente della Repubblica (cristiano maronita) è eletto dall'Assemblea Nazionale ed il suo mandato dura sei anni, non rinnovabili consecutivamente. Il Presidente è Capo dello Stato e delle Forze armate; è Presidente del Consiglio Superiore di difesa. Nomina il Presidente del Consiglio, previa consultazione del Presidente dell'Assemblea Nazionale, sulla base di consultazioni parlamentari obbligatorie, dei cui risultati lo informa ufficialmente. Il Presidente della Repubblica può revocare il Presidente del Consiglio. Promulga il decreto di nomina del Presidente del Consiglio e – in accordo con questi – il decreto di formazione del Governo, nonché i decreti che accettano le dimissioni dei Ministri o che dispongono la loro revoca. Presiede il Consiglio dei ministri quando lo desidera, ma non ha potere di voto. Ha la facoltà, di concerto con il Presidente del Consiglio ed il Governo, di negoziare trattati internazionali. Se tali trattati interessano le finanze statali, il commercio, ed hanno durata pluriennale, devono essere necessariamente approvati dall'Assemblea nazionale. Il Presidente ha inoltre la facoltà di sciogliere l'Assemblea nazionale, e può rinviare una legge all'Assemblea nazionale affinché la riesamini. Entrambe le prerogative devono essere esercitate in consultazione con il Governo. Il Presidente può essere infine sottoposto a procedimento di accusa per violazione della Costituzione ed alto tradimento. La decisione di impeachment deve essere approvata da due terzi dei membri dell'Assemblea nazionale. In caso di approvazione, il Presidente è giudicato dal Consiglio supremo per il giudizio di Presidenti e Ministri. Il 31 ottobre 2016, dopo oltre due anni di stallo, è stato eletto a Presidente della Repubblica l'ex generale ed ex Primo Ministro, Michel Aoun, finiva lo stallo istituzionale. L'elezione di Aoun,sostenuto da Hezbollah (Coalizione 8 marzo) e da Geagea (leader maronita del 14 marzo), è stata resa possibile da un accordo di vasta portata tra le varie fazioni politiche libanesi, con l'avallo delle due potenze regionali dell'Arabia saudita e dell'Iran.
Il Capo del Governo è il Presidente del Consiglio dei Ministri (musulmano sunnita), responsabile dell'esecuzione della politica generale delineata dal Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio:
I Ministri sono responsabili del proprio operato dinanzi all'Assemblea nazionale. Il Governo deve essere composto per metà da esponenti musulmani e per l'altra metà da esponenti cristiani.
Il potere legislativo spetta all'Assemblea nazionale (Majlis al-Nuwab), composta di 128 parlamentari, eletti per quattro anni. I parlamentari, secondo un complesso meccanismo elettorale, che risponde a criteri geografici e religiosi, sono divisi equamente tra cristiani e musulmani. Ai musulmani sciiti spetta la carica di Presidente dell'Assemblea nazionale. Si ricorda, infatti, che i seggi vengono ripartiti su base confessionale, con una rappresentanza di 64 seggi per parte tra cristiani e musulmani. Ogni confessione ha un numero di posti in Parlamento che sono predeterminati: in tal modo ai cristiani maroniti sono destinati 34 seggi; ai sunniti ed agli sciiti 27 seggi; ai greco-ortodossi 14 seggi; ai drusi ed ai greco-cattolici 8 seggi ognuno; agli armeni ortodossi 5 seggi; agli alawiti 2 seggi ed alle altre comunità cristiane 3 seggi. Tuttavia sono frequenti i cambiamenti nella composizione dei due blocchi maggiori (filo sciita e filo sunnita) che provoca cambiamenti negli equilibri nazionali, aggravato dalle influenze esterne. Il 15 giugno 2017 è stata approvata una nuova legge elettorale, che modifica la precedente, risalente al 1960 ed emendata nel 2008, e introduce un sistema proporzionale – al posto del maggioritario - con un'alta soglia di sbarramento pari al 10%, ed un meccanismo di quozienti elettorali. L'accordo, che ha permesso l'approvazione della legge, ha visto convergere i voti degli sciiti di Hezbollah e della formazione politica Amal, e i voti dei sunniti del Partito "Futuro" (la formazione politica del premier Saad Hariri) e dei due maggiori Partiti cristiani maroniti, il Movimento patriottico libero – fondato dal presidente Aoun – e le Forze libanesi di Samir Geagea. Il sistema prevede 15 collegi elettorali relativamente omogenei dal punto di vista confessionale, con la comparsa, là dove possibile, di maggioranze elettorali omogenee a livello comunitario: cristiani (nel rispetto della variabile delle denominazioni diverse fra cui cattolici, ortodossi e protestanti), musulmani sunniti, musulmani sciiti e drusi. A ogni gruppo religioso è stata riservata una quota di seggi parlamentari in base alla propria consistenza numerica. La legge ha anche stabilito l'estensione del mandato parlamentare di ulteriori 11 mesi. La nuova legge elettorale, sebbene introduca rilevanti cambiamenti, secondo gli analisti non può essere definitiva e non ottempera agli obblighi degli accordi di Ta'if, che prevedono l'abolizione del confessionalismo politico che rappresenta il vero nodo delle istituzioni. |
Il quadro politicoIl 6 maggio 2018, dopo quasi un decennio, i libanesi sono tornati alle urne per rinnovare il Parlamento, rilanciando il processo democratico. L'esito delle elezioni ha confermato i sondaggi che prevedevano il successo del Partito Hezbollah, che ha ottenuto una rappresentanza di 14 deputati, e la sconfitta del primo ministro Saad Hariri , e del suo movimento "Futuro". Complessivamente il blocco tra Hezbollah e dei suoi alleati ha ottenuto 26 seggi dei 27 riservati agli sciiti, il cui peso potrà incidere significativamente nelle scelte strategiche del Paese. Il movimento "Futuro", anche a causa dei contrasti interni tra le forze sunnite, alcune delle quali hanno aderito a Hezbollah, ha subito una netta sconfitta perdendo un terzo dei seggi conquistati nelle precedenti elezioni (da 33 a 21 deputati). Il Movimento patriottico libero - FPM (chiamato anche Partito aounista), guidato dal genero del Presidente Aoun, Gebral Bassil, è emerso come il più grande blocco con 29 deputati, tra cui 18 membri del partito e 6 indipendenti e 5 alleati. La base elettorale del partito è costituita in gran parte dalla comunità cristiana, cui si somma anche un gruppo di musulmani sciiti. Netta affermazione del partito cristiano di destra,non alleato di Aoun e nemico di Hezbollah, "Forze libanesi" guidato da Samir Geagea,che ha ottenuto 15 seggi (nella precedente legislatura ne aveva 8). Il Partito socialista progressista di Walid Jumblatt guadagna due seggi, arrivando a 9 deputati.
Complessivamente, nell'ambito di un quadro politico estremamente frammentato, emerge che Hezbollah insieme agli alleati sciiti di Amal e al partito cristiano maronita Movimento patriottico libero (MPL) del Presidente Aoun, hanno conquistato circa 70 dei 128 seggi parlamentari. Tali risultati rappresentano un capovolgimento rispetto alle ultime elezioni generali del Libano del 2009, quando i gruppi anti-Hezbollah rappresentavano la maggioranza. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, all'indomani dalle elezioni, ha definito il risultato una «vittoria politica e morale» per «l'asse della resistenza», cioè i movimenti sciiti anti-Israele di tutta la regione. Ha spiegato che con i seggi conquistati dal movimento e dagli alleati sarà «garantita» la protezione del Libano e della «resistenza». L'affluenza alle urne si è attestata intorno al 49%, confermando la sfiducia dei libanesi nella capacità della politica di dare una risposta ai problemi economici e sociali dei cittadini. Alla tornata elettorale hanno partecipato per la prima volta oltre 92.000 cittadini libanesi residenti all'estero. Durante le elezioni, nonostante la massiccia presenza dell'esercito, si sono registrati numerosi incidenti tra elettori di diversi campi politici o religiosi che riflettono la forte divisione tra i libanesi alimentata dal divario socio-economico profondo tra la popolazione. Nella prima riunione della nuova legislatura, tenutasi il 23 maggio, il leader del Movimento Amal, Nabih Berri, è stato rieletto, con 98 voti su 128, per il sesto mandato come Presidente del Parlamento libanese. Il 25 maggio 2018, il Presidente Aoun ha conferito l'incarico di formare il governo al primo ministro uscente Saad Hariri. Sebbene l'incarico ad Hariri avesse ottenuto un amplio sostegno parlamentare, i negoziati per la formazione del governo si sono rivelati estremamente difficoltosi, sia a causa di fattori interni, legati alle dispute sull'attribuzione degli incarichi fra le diverse componenti, sia per fattori esterni, rappresentati dalle preoccupazioni espresse soprattutto da USA, Francia e Arabia Saudita sulla possibile attribuzione di ministeri di peso a esponenti Hezbollah. Il vuoto istituzionale ha aggravato la situazione economica del Paese, mettendo anche a rischio la possibilità di usufruire del sostegno finanziario internazionale pari a 11 miliardi di euro, deciso dalla Conferenza dei Cedri di Parigi del 6 aprile scorso, vincolato alla realizzazione di riforme strutturali interne. La crisi economica libanese, il cui rating sovrano è stato declassato nel gennaio scorso dall'Agenzia Moody's da "B3" a "CAA1", è stato interpretato dagli analisti come un elemento decisivo per obbligare le forze politiche a trovare un compromesso ed uscire dall'impasse. Il 31 gennaio 2019, Saad Hariri ha annunciato la nascita del nuovo governo di unità nazionale. Il 15 febbraio il terzo governo Hariri ha ottenuto la fiducia del Parlamento. Il nuovo governo è formato da 30 ministri, tra cui quattro donne e nove ministri di Stato, ripartiti in parti uguali tra cristiani e musulmani. Per la prima volta una donna, Raya el Hassan, del Partito del Presidente Hariri, è stata nominata al Ministero degli interni. La composizione del gabinetto non riflette appieno il risultato delle elezioni dello scorso 6 maggio, ma è la risultante di un compromesso tra le forze politiche per continuare a beneficiare degli aiuti stranieri, senza rischiare di incorrere nelle sanzioni previste dalla legislazione USA contro il terrorismo che avrebbe potuto bloccare i finanziamenti ai dicasteri guidati da Hezbollah, nel caso fossero stati ritenuti responabili o corresponsabili di finanziare attività terroristiche. I ministeri sono stati suddivisi fra tutte lediverse fazioni che sono espressioni delle 19 omponenti religiose presenti nel Paese. In particolare, al Partito del Presidente Aoun sono stati attribuiti dieci dicasteri, tra cui quello degli Esteri (a cui è stato confermato Gebran Bassil), ad Amal tre (tra cui quello delle Finanze), e tre a Hezbollah: Gioventù, Rapporti con il Parlamento e Sanità (a cui è stato nominato il medico indipendente Jamil Jabak). Il Ministero della Salute riveste particolare importanza, sia per l'elevato budget (il 4° in ordine di consistenza) , sia perchè considerato strategico dal Partito di Dio per consolidare i consensi tra le fasce popolari. Il Presidente Aoun ha salutato favorevolmente la nascita del nuovo governo e si è detto sicuro che "ricreerà la fiducia nella Nazione, dopo lo squilibrio vissuto". Messaggi positivi per la formazione dell'esecutivo sono arrivati anche da Mosca, dal Cairo e da Parigi. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha accolto oggi con favore la nascita del nuovo governo in Libano, sottolineando la "volontà di accompagnare il Libano sulla via delle riforme economiche e sociali, in particolare attraverso l'attuazione del programma di investimenti della conferenza Cedre". Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è recato in visita a Beirut lo scorso 7 febbraio, dove ha incontrato il presidente della Repubblica, Aoun, e il primo ministro Hariri. Conte ha ribadito che l'Italia resterà al fianco delle istituzioni libanesi per dare il proprio contributo allo sviluppo e alla stabilità del Paese, che dovrà affrontare importanti sfide, tra cui l'attuazione delle riforme economiche e sociali, oltre al mantenimento della politica di dissociazione dal coinvolgimento nelle crisi regionali. Il 25 e 26 febbraio, l'alta rappresentante dell'Unione europea, Federica Mogherini, ha incontrato, a Beirut, il presidente della Repubblica libanese, Michel Aoun, il primo ministro, Saad Hariri, il presidente del Parlamento, Nabih Berri, il ministro degli affari esteri, Gebran Bassil e il ministro dell'interno, Raya El Hassan. Mogherini ha espresso il sostegno dell'Unione europea al nuovo governo e ha ribadito l'impegno europeo per la stabilizzazione del Paese. L'Alta Rappresentante ha espresso la volontà dell'Unione di continuare ad accompagnare il Libano nell'attuazione del suo programma di riforme e di sostenere il governo e le comunità locali nell'ospitare i rifugiati. A tal fine, l'Unione europea continuerà a impegnarsi per l'unità, la sovranità, la stabilità e l'integrità territoriale del Libano, sostenendo pienamente l'UNIFIL nell'ambito del mantenimento della stabilità al confine meridionale. Tra le sfide più importanti che il nuovo governo è chiamato ad affrontare è rappresentato dallo stato dell'economia libanese, che richiede urgenti riforme. Anche la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno evidenziato questa urgenza. Il Libano è estremamente indebitato, a livello sia pubblico sia privato, come indicato dal fatto che il debito pubblico corrisponde a circa 150% del prodotto interno lordo – il terzo più alto al mondo – mentre il deficit di bilancio ha recentemente superato il 20% del PIL.
|
La questione dei rifugiatiDall'inizio del conflitto siriano, nel 2011, circa 600.000 persone sono morte, mentre in 12 milioni sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Ad oggi, il Libano, con una popolazione locale di 5,8 milioni, ospita 1,5 milioni di rifugiati siriani, si tratta del Paese che ha il maggior numero di siriani per densità di popolazione: attualmente, una persona su quattro in Libano è un esule siriano. Ai 1,2 milioni di profughi registrati ufficialmente dall'UNHCR si sommano circa 42.000 rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria, secondo le ultime stime dell'UNRWA. Il 42% della popolazione siriana rifugiata in Libano è composto da bambini e ragazzi in età scolare (dai 3 ai 18 anni). Tra questi, si stima che circa 300.000 bambini siano al momento esclusi dai programmi educativi formali e non-formali. Il perdurare della crisi ha provocato effetti devastanti sulla situazione economica libanese, con una drastica riduzione del PIL, crescita del tasso di disoccupazione e di quello delle persone al di sotto della soglia di povertà e conseguentemente si sono acuite le tensioni tra la popolazione locale e i rifugiati. La questione dei rifugiati ha ricadute anche a livello della sicurezza – per il timore di infiltrazioni jihadiste nei campi profughi siriani e palestinesi – e sul mantenimento del delicato equilibrio confessionale su cui si basa il Paese. A partire dal 2014 una serie di misure adottate dal Governo libanese ha reso sempre più complicato per i rifugiati siriani ottenere un legale permesso di soggiorno, senza il quale è impossibile avere accesso ai servizi pubblici, lavorare regolarmente o semplicemente ricevere un certificato di nascita L'arrivo in massa dei profughi siriani ha aumentato notevolmente la competizione sul mercato del lavoro libanese, soprattutto per quanto riguarda la manodopera non specializzata: in Libano, infatti, i siriani percepiscono uno stipendio medio corrispondente a meno della metà di quello di un libanese, e hanno inoltre occupato una grande fetta dell'economia informale. L'afflusso di massa ha messo a dura prova il Libano, che già prima dell'ondata migratoria aveva serie difficoltà a ripartire equamente le poche risorse disponibili sul territorio. È questo un tema molto caldo in seno alla classe politica libanese: in particolare, i politici sciiti e cristiani citano l'impatto economico negativo dei rifugiati sulla già disastrata economia libanese e sul già traballante sistema infrastrutturale come una delle ragioni per incoraggiare i primi rimpatri dei siriani su base volontaria. Quest'approccio ha causato frizioni sia con i rappresentanti dell'UNHCR, sia in seno allo stesso governo, dove le forze di Hariri, tra le altre, hanno condannato l'irruenza e l'autonomia decisionale del Ministro degli esteri Bassil. Nei primi mesi del 2018, nell'ambito di un piano concordato tra Beirut e Damasco, circa 500 persone profughi hanno lasciato una zona meridionale del Libano per fare ritorno in Siria. Inoltre, molte migliaia di rifugiati avevano già fatto ritorno in Patria in anni recenti su base spontanea e volontaria. Il 1° luglio 2018, Hezbollah ha annunciato che intende predisporre, in coordinazione con il governo di Beirut, un meccanismo di rimpatrio dei rifugiati siriani stanziati in Libano verso le zone controllate dal regime siriano. Secondo i dati dell'UNHCR, 3500 persone sono rientrate volontariamente dal 2018 mentre altre 4800, organizzate in 30 gruppi, sono tornate utilizzando l'accordo stipulato tra il governo di Beirut e quello di Damasco. Tuttavia l'UNHCR sottolinea che al momento non è in grado di organizzare gruppi per il ritorno in Siria perché mancano delle garanzie e sussistono aree nel paese a cui è vietato accedere. |