| Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
|
|---|---|
| Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
| Titolo: | Pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare |
| Serie: | Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE Numero: 7 |
| Data: | 09/07/2018 |
| Organi della Camera: | X Attività produttive, XIII Agricoltura, XIV Unione Europea |

Pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare
Dossier n° 7 -
9 luglio 2018

Finalità/Motivazioni
Il 12 aprile 2018 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva
(COM(2018)173) volta a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare.
Le pratiche commerciali sleali possono essere definite, in termini generali, come pratiche che si discostano ampiamente dalla buona condotta commerciale, sono in contrasto con la buona fede e la correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla controparte.
Le principali misure proposte prevedono:
l'introduzione di un livello minimo di tutela comune a tutta l'UE comprendente un elenco di pratiche commerciali sleali vietate e un elenco di pratiche che saranno autorizzate solo se concordate in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura;
- Le pratiche commerciali sleali vietate sono: i pagamenti tardivi per i prodotti alimentari deperibili; la
cancellazione degli ordini all'ultimo minuto; le modifiche unilaterali o retroattive ai contratti; l'obbligo imposto al fornitore di pagare per gli sprechi.
- Le pratiche autorizzate solo se soggette a un accordo iniziale tra le parti chiaro e privo di ambiguità sono: l'acquirente restituisce a un fornitore i prodotti alimentari invenduti; l'acquirente impone al fornitore un pagamento per garantire o mantenere un accordo di fornitura relativo a prodotti alimentari; il fornitore è tenuto a sostenere i costi legati alla promozione o al marketing dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente.
l'obbligo per gli Stati membri di designare un'autorità pubblica di contrasto, incaricata di far rispettare i divieti di pratiche commerciali sleali a livello nazionale, che possa svolgere indagini, sia su richiesta che di propria iniziativa, comminare sanzioni e pubblicare le proprie decisioni nonché i nomi dei trasgressori;
la cooperazione e la reciproca assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera tra le autorità nazionali di contrasto;
la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare norme più rigorose rispetto a quelle comuni previste dalla proposta in oggetto, a condizione che siano compatibili con quelle relative al mercato interno.
La Commissione europea, dopo aver condotto un ampio processo di consultazione delle parti
interessate, servito anche per portare a termine una dettagliata valutazione d'impatto, ha individuato due problematiche principali:
gli operatori più piccoli della filiera alimentare , quali agricoltori e piccole e medie imprese, sono più soggetti a pratiche commerciali sleali a causa del loro scarso potere contrattuale rispetto ai grandi operatori (ad esempio, catene commerciali e grande distribuzione);
solo 20 Stati membri (tra cui l'Italia) hanno adottato norme specifiche - in alcuni casi estremamente divergenti tra loro - di tutela contro le pratiche commerciali sleali e non esistono disposizioni comuni dell'UE che prevedano un livello minimo di tutela europeo e che avvicinino o armonizzino le misure adottate a livello nazionale.
La proposta intende tutelare tutti i soggetti che fanno parte della filiera alimentare, purché di piccole e medie dimensioni (dai produttori agricoli, comprese le relative organizzazioni di produttori, come le cooperative, alle altre piccole e medie imprese fornitrici della filiera, come venditori al dettaglio, trasformatori di prodotti alimentari, grossisti) e limitare il comportamento degli acquirenti che non sono piccole e medie imprese.
Per quanto riguarda i prodotti, la proposta concerne i "prodotti alimentari", ossia i prodotti agricoli ad uso alimentare elencati nell'allegato I del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), inclusi quelli della pesca e dell'acquacoltura, nonché i prodotti agricoli trasformati ad uso alimentare (che non rientrano nel citato allegato I) e commercializzati lungo tutta la filiera alimentare.
La proposta tiene anche conto del fatto che le pratiche commerciali sleali non sono sempre stabilite in un contratto scritto e possono verificarsi, in linea di principio, in qualsiasi fase dell'operazione commerciale tra l'acquirente e il fornitore della filiera alimentare, anche a posteriori dopo la conclusione di un contratto.
Infine, la proposta di direttiva integra, senza sostituirlo, il codice di condotta volontario del settore privato Supply Chain Initiative (SCI – Iniziativa della catena di approvvigionamento) che ha l'obiettivo di migliorare l'equità nelle relazioni commerciali lungo la filiera.
La filiera alimentare nell'UE
La filiera alimentare consente la fornitura al pubblico di prodotti alimentari e di bevande per il consumo ed è costituita da una serie di mercati verticalmente connessi in cui operano diversi soggetti: agricoltori, trasformatori, commercianti, rivenditori all'ingrosso e al dettaglio e consumatori. In sintesi, la filiera alimentare si suddivide in due componenti: produttiva (agricoltura e industria alimentare e di trasformazione di materie prime agricole) e distributiva e commerciale (commercio all'ingrosso e al dettaglio e settore della ristorazione).
Secondo i dati della Commissione europea, il numero di attori nella filiera alimentare dell'UE varia notevolmente a ogni livello. Vi sono circa 11 milioni di aziende agricole che forniscono lavoro a circa 22 milioni di persone (a tempo pieno e a tempo parziale) e producono prodotti primari da destinare all'industria della trasformazione agroalimentare, costituita da circa 300mila imprese. I trasformatori alimentari vendono, poi, i loro prodotti attraverso 2,8 milioni di imprese della distribuzione alimentare (commercio all'ingrosso e al dettaglio e settore della ristorazione) per una platea di circa 500 milioni di consumatori. La tabella seguente riporta una rappresentazione degli attori coinvolti nella filiera alimentare dell'UE in base alla loro consistenza numerica:

La maggior parte delle aziende della filiera alimentare è di piccole o medie dimensioni con una concentrazione di PMI molto più alta nei settori della trasformazione alimentare e del commercio al dettaglio rispetto al settore agricolo. Inoltre, se l'agricoltura primaria offre lavoro a circa 22 milioni di persone, la filiera alimentare nel suo complesso impiega circa 44 milioni di persone.
Sebbene l'agricoltura impieghi la maggior parte delle aziende della filiera alimentare, la sua quota di valore aggiunto lordo nell'intera filiera è solamente di circa il 25% ed è in diminuzione (nel 2016 il
4% in meno rispetto al 2014). Il valore aggiunto lordo della filiera alimentare è cresciuto del 2,4% all'anno dal 2008 e ammonta a poco meno del 7% del valore aggiunto lordo totale dell'UE. La figura seguente mostra la distribuzione del valore aggiunto lordo per stadio della filiera alimentare nell'UE.

Secondo quanto riportato dalla Commissione europea, negli ultimi anni si è registrato uno
spostamento del potere di contrattazione, che ha avvantaggiato principalmente il settore del
commercio al dettaglio e alcune imprese transnazionali a scapito dei fornitori, in particolare dei produttori primari.
A giudizio della Commissione europea, a causa del loro scarso potere contrattuale rispetto ai grandi operatori della filiera, gli operatori più piccoli sono, in generale, più soggetti a pratiche commerciali sleali. Ad esempio, i produttori agricoli sono particolarmente vulnerabili a tali pratiche, poiché mancano spesso di un potere contrattuale che corrisponda a quello dei loro partner a valle che acquistano i loro prodotti, in particolare perché le alternative di cui dispongono per far giungere i loro prodotti ai consumatori sono limitate.
Sempre secondo la Commissione europea, le pratiche commerciali sleali possono esercitare pressione sui profitti e i margini degli operatori, portando a una distribuzione inefficiente delle risorse e persino all'uscita dal mercato di operatori altrimenti sani e competitivi. A titolo di esempio, riduzioni unilaterali con effetto retroattivo del quantitativo contrattuale di merci deperibili comportano il mancato guadagno di un operatore che non potrà trovare facilmente uno sbocco alternativo per tali merci; i ritardi di pagamento dei prodotti deperibili dopo che sono stati consegnati e venduti dall'acquirente costituiscono un costo finanziario supplementare per il fornitore; gli eventuali obblighi dei fornitori di riprendere i prodotti non venduti dall'acquirente possono costituire invece un indebito trasferimento del rischio sui fornitori con ripercussioni sulla sicurezza della programmazione e degli investimenti; infine, l'obbligo di contribuire ad attività promozionali generiche all'interno dei punti di vendita dei distributori senza trarne un beneficio adeguato può ridurre indebitamente il margine dei fornitori.
Secondo un recente sondaggio riportato dalla Commissione europea, condotto presso i produttori agricoli e le cooperative agricole, il danno stimato causato dalle pratiche commerciali sleali ammonta a oltre 10 miliardi di euro l'anno. Inoltre, produttori di prodotti alimentari hanno riferito che i costi legati alle pratiche commerciali sleali costituivano lo 0,5% del loro fatturato.
Contesto normativo
Unione europea
A livello dell'Unione non esiste una legislazione volta a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese.
Norme specifiche a livello europeo su alcune parti della filiera alimentare sono state introdotte nell'ambito
della politica agricola comune (PAC), compresa, tra l'altro, la possibilità per gli Stati membri di imporre contratti scritti obbligatori tra gli agricoltori e le imprese di trasformazione o i distributori con l'eventuale obbligo per i primi acquirenti di offrire agli agricoltori contratti aventi una durata minima. La riforma della PAC e della politica comune della pesca ha rafforzato, inoltre, la posizione nella filiera dei produttori nei confronti degli operatori a valle, in particolare sostenendo la creazione e lo sviluppo delle organizzazioni di produttori. La nuova organizzazione comune di mercato comprende anche elementi volti a ridurre gli squilibri di potere contrattuale tra gli agricoltori e gli altri operatori della filiera alimentare in alcuni settori specifici (latte, olio di oliva, carni bovine, seminativi).
Le norme sulla concorrenza dell'UE si applicano nel caso di abusi di posizione dominante e di pratiche anticoncorrenziali, ma la maggior parte delle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese non ricade nell'ambito di applicazione di tali norme poiché la maggioranza degli operatori si trova in una posizione forte ma non dominante.
Inoltre, la direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento, pur stabilendo che le imprese devono pagare le fatture entro un massimo di 60 giorni, se non diversamente concordato nel contratto, a condizione, tuttavia, che tale proroga non sia gravemente iniqua per il creditore, non impone un termine massimo di pagamento vincolante nelle operazioni commerciali tra imprese. La proposta in oggetto, al contrario, mira a fissare un termine massimo di pagamento di 30 giorni di calendario (vincolante e che non può essere prorogato in alcun caso) per le operazioni commerciali tra imprese relative all'acquisto e alla vendita di prodotti alimentari.
Normative nazionali
A livello nazionale la situazione si presenta molto variegata: la maggior parte degli Stati membri ha affrontato il problema delle pratiche commerciali sleali adottando approcci diversi, per lo più di tipo normativo, mentre alcuni hanno fatto ricorso a iniziative di autoregolamentazione tra gli operatori di mercato.
La situazione può essere riassunta come segue:
20 Stati membri (tra cui l'Italia) hanno legislazioni specifiche sulle pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra imprese, ma estremamente eterogenee tra loro;
4 Stati membri (Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia) hanno una legislazione molto limitata che in particolare ha esteso ai rapporti tra imprese l'applicazione della normativa dell'UE diretta a tutelare i consumatori;
4 Stati membri (Estonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi) non hanno una legislazione specifica per affrontare le pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra imprese.
Inoltre, secondo la Commissione europea, i diversi approcci normativi adottati dagli Stati membri possono creano condizioni di concorrenza differenti per gli operatori e il coordinamento tra le autorità di contrasto degli Stati membri è molto scarso.
Italia
Per quanto riguarda l'Italia, la Commissione europea ricorda, in particolare, le seguenti
disposizioni legislative:
l'articolo 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del
2012, e novellato con il decreto-legge n. 51 del 2015, che fissa gli elementi essenziali del contratto avente ad oggetto la cessione di prodotti agricoli (forma scritta, durata, quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento). La disposizione determina inoltre i principi regolatori di tali contratti (trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni). La norma disciplina inoltre le relazioni commerciali tra gli operatori economici rispetto a tale tipo di contratti vietando in particolare una serie di condotte (imporre direttamente o indirettamente condizioni ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti; subordinare la conclusione, l'esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali alla esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che non abbiano alcuna connessione con l'oggetto degli uni e delle altre; conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali; adottare ogni ulteriore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento). Infine si fissa il termine di pagamento del corrispettivo entro 30 giorni per le merci deteriorabili e entro
60 per le altre.
l'articolo 4 del DM 19 ottobre 2012, n. 199, recante il Regolamento di attuazione del citato articolo 62, che chiarisce come rientrino nella definizione di "condotta commerciale sleale" anche il mancato rispetto dei principi di buone prassi e le pratiche sleali identificate dalla Commissione europea e dai rappresentanti della filiera agro-alimentare a livello comunitario nell'ambito del Forum di Alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare (High level Forum for a better functioning of the food supply chain), approvate in data 29 novembre
2011. Si chiarisce inoltre che ai sensi dell'articolo 62 è vietato qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. Da ultimo si dispone che configura, altresì, una pratica commerciale sleale la previsione nel contratto di una clausola che obbligatoriamente imponga al venditore, successivamente alla consegna dei prodotti, un termine minimo prima di poter emettere la fattura;
l'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, che detta norme specifiche per il rispetto di corrette relazioni commerciali in materia di cessione di latte crudo prevedendo una durata contrattuale minima pari a 12 mesi e un criterio di calcolo per il riferimento ai costi medi di produzione, richiamati anche dal citato articolo 4 del DM n. 199 del 2012 quale parametro per la valutazione della corretta determinazione del prezzo.
Supply Chain Initiative
La Supply Chain Initiative (SCI) è un'iniziativa volontaria del settore privato che mira a sensibilizzare in merito alle pratiche commerciali sleali e a promuovere la correttezza dei comportamenti commerciali. La SCI è gestita da un gruppo direttivo che rappresenta i dettaglianti e i fornitori nella filiera alimentare e recentemente è stato anche nominato un presidente indipendente.
Essa offre anche un forum per la risoluzione rapida e non contenziosa delle controversie. Tuttavia, la partecipazione alla SCI è su base volontaria ed essa non copre al momento tutti gli
operatori della filiera alimentare. Ad esempio, i rappresentanti degli agricoltori hanno deciso di non aderire alla SCI poiché, a loro parere, essa non garantisce un livello sufficiente di riservatezza per le parti che denunciano pratiche sleali e non prevede indagini indipendenti né sanzioni.
La SCI non è in grado di imporre sanzioni e le decisioni non sono pubblicate (nessun effetto deterrente) e le controversie individuali non sono trattate in modo da garantire la riservatezza delle denunce, neanche nelle fasi iniziali del procedimento. La SCI non ha, inoltre, la possibilità di condurre indagini di propria iniziativa.
Processo di consultazione e valutazione d'impatto
Il processo di consultazione delle parti interessate si è svolto tra il 17 luglio e il 6 dicembre
2017 mediante consultazioni sulla valutazione d'impatto iniziale, una consultazione pubblica, consultazioni mirate con i portatori di interessi della filiera alimentare (imprese della filiera alimentare e organizzazioni di consumatori), una consultazione con gli Stati membri, un seminario accademico sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare (organizzato dal Centro comune di ricerca), riunioni ad hoc con i portatori di interessi della filiera alimentare e scambi con i gruppi di dialogo con la società civile.
L'obiettivo principale è stato quello di raccogliere elementi su cui basare la relazione sulla valutazione d'impatto finale.
La valutazione d'impatto iniziale: ha totalizzato 66 contributi provenienti da diversi soggetti così composti: 33% agricoltori o organizzazioni agricole, 17% autorità degli Stati membri, 15% organizzazioni non governative (ONG), 11% trasformatori e relative organizzazioni, 8% rivenditori al dettaglio e relative organizzazioni, 17% altri partecipanti (mondo accademico, sindacati, partecipanti anonimi). Tra l'altro, è emerso che:
per il 91% dei partecipanti nella filiera alimentare esistono pratiche commerciali sleali;
per il 71% dei partecipanti l'UE dovrebbe intervenire (dal 64% degli "altri" al 90% delle ONG; agricoltori 82%, Stati membri 73%, trasformatori 71%), mentre il 100% dei rivenditori al dettaglio ritiene che l'UE non debba intervenire;
per il 62% dei partecipanti dovrebbe esistere la possibilità di sporgere denunce anonime e per il 92% dovrebbero esistere sanzioni contro chi attua le pratiche commerciali sleali.
La consultazione pubblica aperta: si è tenuta dal 25 agosto al 17 novembre 2017 e ha ottenuto in totale 1.432 risposte (il 56% da privati e il 44% da organizzazioni). Tra l'altro, è emerso che:
il 90% dei partecipanti è d'accordo o parzialmente d'accordo sul fatto che alcune pratiche nella filiera alimentare possono essere considerate pratiche commerciali sleali. In linea di massima, il risultato è simile per tutte le parti interessate, ad eccezione del settore della vendita al dettaglio (sull'esistenza delle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare si dichiara d'accordo o parzialmente d'accordo il 12% e non d'accordo o parzialmente in disaccordo l'88%);
la pratica sleale più citata concerne le modifiche unilaterali e retroattive ai contratti (relative a volumi, standard qualitativi, prezzi), seguita, in ordine (per citare solo le più segnalate) da: annullamenti all'ultimo minuto di ordini relativi a prodotti deperibili, termini di pagamento superiori ai 30 giorni per prodotti deperibili, termini di pagamento superiori ai 30 giorni per prodotti agroalimentari in generale, imposizione di contributi per spese promozionali o di marketing, risoluzione unilaterale di un rapporto commerciale senza alcuna giustificazione oggettiva, richiesta di pagamenti anticipati per garantire o conservare i contratti ("hello money"), obbligo di risarcimento per prodotti scartati o non venduti;
il 95% dei partecipanti ha risposto di essere d'accordo o parzialmente d'accordo circa la necessità di un intervento per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare. In particolare, l'87% ritiene che dovrebbe intervenire l'UE (in combinazione con gli Stati membri (58%); da sola (29%)), l'8% esclusivamente gli Stati membri e il 4% indica che l'intervento dovrebbe concretizzarsi per mezzo di iniziative volontarie (si tratta per il 54% di organizzazioni di vendita al dettaglio);
il 92% dei partecipanti si è detto d'accordo o parzialmente d'accordo circa la necessità che vi siano norme minime per l'applicazione delle disposizioni sulle pratiche commerciali sleali. A favore di tali norme minime si è dichiarato dal 20% delle organizzazioni di vendita al dettaglio al
100% delle organizzazioni della società civile (96% delle organizzazioni del settore agricolo; è
d'accordo o parzialmente d'accordo l'87% delle organizzazioni agroalimentari).
Questionario mirato rivolto alle imprese: sono pervenute 122 risposte tra il 6 novembre e il 10 dicembre 2017. In termini di dimensioni, il 70% dei partecipanti era composto da PMI e un'elevata percentuale delle risposte è pervenuta dal Belgio, dalla Francia, dall'Italia, dalla Spagna e dal Regno Unito. Tra l'altro, è emerso che:
il 54% delle imprese acquirenti e l'89% dei fornitori hanno dichiarato che nelle operazioni commerciali i pagamenti tardivi sono una realtà;
tra il 14% e il 30% delle imprese acquirenti hanno dichiarato di aver imposto altre pratiche commerciali sleali nelle operazioni commerciali;
il 60% dei fornitori ha affermato che i costi delle pratiche commerciali sleali rappresentano più dello 0,5% del fatturato annuo della loro attività commerciale.
Infine, come accennato in precedenza, il processo di consultazione si è avvalso dei risultati di un questionario mirato rivolto alle organizzazioni di consumatori (in particolare, secondo i partecipanti, l'introduzione di disposizioni legislative in materia di pratiche commerciali sleali non provocherebbe l'aumento dei prezzi al consumo ma rafforzerebbe la fiducia nella filiera alimentare e gioverebbe agli investimenti), di un questionario rivolto alle autorità pubbliche degli Stati membri (rimasto ufficialmente aperto tra il 2 ottobre e il 3 novembre 2017), di un Seminario accademico del Centro Comune di Ricerca sulle PCS nella filiera alimentare (si è tenuto a Bruxelles il 17 e 18 luglio 2017 e vi hanno partecipato esperti internazionali), di riunioni ad hoc con le parti interessate della filiera alimentare e di gruppi di dialogo con la società civile.
Al termine del processo di consultazione, la Commissione europea ha pubblicato (solamente in lingua inglese) una valutazione d'impatto finale (SWD(2018)92) che accompagna la proposta di direttiva in oggetto. Sono stati valutati quattro pacchetti di opzioni - che avevano in comune una proposta di un'armonizzazione parziale delle norme sulle pratiche commerciali sleali a livello UE - riportati nella tabella seguente:

Le opzioni erano suddivise per livello di armonizzazione, portata dei divieti relativi alle pratiche commerciali sleali, inclusione dei prodotti, inclusione degli operatori, applicazione e
coordinamento tra gli Stati membri.
Il pacchetto 1 perseguiva un'armonizzazione parziale mediante la regolamentazione e una
proibizione delle pratiche commerciali sleali basata sui principi. In alternativa, i pacchetti 2, 3 e
4 prevedevano una lista specifica di pratiche commerciali sleali vietate. Le norme erano da applicarsi ai prodotti agricoli e trasformati (pacchetti 1, 2 e 3) o soltanto ai prodotti agricoli (pacchetto
4) e tali da proteggere tutti gli operatori della catena di approvvigionamento alimentare (pacchetti 1 e
2) o solamente un gruppo selezionato (pacchetti 3 e 4). Il pacchetto 4 prevedeva un intervento dell'UE attraverso una raccomandazione, mentre il pacchetto 1 con un regolamento e i pacchetti 2 e 3 mediante una direttiva. I pacchetti 1, 2 e 3 prevedevano maggiori poteri di esecuzione per le competenti autorità degli Stati membri rispetto al pacchetto 4. Infine, i pacchetti 1, 2 e 3 includevano un sistema di coordinamento tra gli Stati membri e la Commissione europea, mentre il pacchetto 4 solamente una discussione all'interno del Forum ad alto livello sul miglior funzionamento della filiera alimentare.
La Commissione europea ha scelto le opzioni del pacchetto 3 che prevede: l'armonizzazione parziale delle norme sulle pratiche commerciali sleali attraverso lo strumento della direttiva, l'inclusione dei prodotti agricoli e trasformati, la tutela delle PMI, norme minime per l'applicazione e un meccanismo di coordinamento a livello dell'UE.
Contenuto
La proposta di direttiva si compone di 14 articoli.
L'articolo 1 stabilisce l'oggetto della direttiva: definire un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate tra acquirenti e fornitori lungo la filiera alimentare e stabilire norme minime concernenti l'applicazione di tali divieti e disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto. Inoltre, stabilisce che la direttiva si applichi: a determinate pratiche commerciali sleali attuate da un fornitore che è una piccola e media impresa nel vendere prodotti alimentari ad un acquirente che non è una piccola e media impresa; ai contratti di fornitura conclusi dopo la data di applicabilità delle disposizioni di recepimento stabilite all'articolo 12.
L'articolo 2 reca le definizioni di acquirente, fornitore, piccola e media impresa, prodotti alimentari e prodotti alimentari deperibili.
Acquirente: qualsiasi persona fisica o giuridica stabilita nell'Unione che acquista prodotti alimentari nel quadro di un'operazione commerciale. Il termine "acquirente" può includere un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche;
fornitore: qualsiasi produttore agricolo o persona fisica o giuridica, indipendentemente dal suo luogo di stabilimento, che vende prodotti alimentari. Il termine "fornitore" può includere un gruppo di tali produttori agricoli o di tali persone fisiche e giuridiche, comprese le organizzazioni di produttori e le associazioni di organizzazioni di produttori;
PMI: un'impresa ai sensi della definizione di microimpresa, piccola impresa o media impresa di cui all'allegato della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione;
![]()
prodotti alimentari: i prodotti elencati nell'allegato I del trattato destinati all'alimentazione e i prodotti non elencati in tale allegato, ma trasformati a partire da tali prodotti per essere destinati all'alimentazione; prodotti alimentari deperibili: i prodotti alimentari che diventano inadatti al consumo umano se non immagazzinati, trattati, imballati o altrimenti conservati onde evitare che diventino inadatti a tale tipo di consumo.
In particolare, si segnala che mentre l'acquirente deve essere stabilito nell'UE, il luogo di stabilimento del fornitore può essere anche al di fuori dell'UE. Ciò, a giudizio della Commissione europea, permette anche ai fornitori stabiliti al di fuori dell'UE di poter contare su un livello minimo di tutela dell'Unione, onde evitare effetti indesiderati di distorsione derivante dalla tutela dei fornitori nell'Unione.
L'articolo 3 (divieto di pratiche commerciali sleali) suddivide le pratiche commerciali sleali tra quelle non soggette alla discrezione contrattuale delle parti e quelle subordinate alla libertà contrattuale delle parti. Infatti, il primo paragrafo stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le seguenti pratiche commerciali siano vietate:
pagamento dopo oltre 30 giorni quando la fornitura concerne prodotti deperibili;
Tale divieto lascia impregiudicate le conseguenze dei ritardi di pagamento e i mezzi di ricorso di cui alla direttiva (precedentemente citata) 2011/7/UE.
annullamento, da parte dell'acquirente, di ordini di prodotti alimentari deperibili con breve preavviso;
modifica, da parte dell'acquirente, unilateralmente e retroattivamente delle condizioni dell'accordo di fornitura;
pagamento, a carico del fornitore, per gli sprechi di prodotti alimentari che si verificano presso i locali dell'acquirente senza che vi sia negligenza o colpa del fornitore.
Il secondo paragrafo stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le seguenti pratiche commerciali siano vietate, se non concordate in termini chiari ed univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura:
![]()
restituzione, da parte dell'acquirente, al fornitore prodotti alimentari rimasti invenduti; imposizione di un pagamento a carico del fornitore come condizione per l'immagazzinamento, l'esposizione o l'inserimento in listino dei prodotti alimentari di quest'ultimo;
pagamento, a carico del fornitore, dei costi di promozione dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente;
pagamento, a carico del fornitore, dei costi di commercializzazione dei prodotti alimentari sostenuti dall'acquirente.
L'acquirente dovrà presentare al fornitore, se richiesta, una stima dei suddetti pagamenti. Nel caso di attività di commercializzazione e immagazzinamento, esposizione o inserimento in listino, l'acquirente deve altresì presentare, se richiesta, una stima dei costi.
L'articolo 4 impone agli Stati membri di designare un'autorità pubblica incaricata di far rispettare i divieti di pratiche commerciali sleali a livello nazionale.
Si segnala, al riguardo, che in Italia l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha tra i suoi compiti quello della vigilanza sui rapporti contrattuali nella filiera agro-alimentare, ai sensi del richiamato articolo 62 del DL n. 1 del 2012.
L'articolo 5 (denunce e riservatezza) stabilisce che:
un fornitore può presentare una denuncia all'autorità di contrasto dello Stato membro in cui è stabilito l'acquirente sospettato di avere attuato una pratica commerciale vietata;
anche le organizzazioni di produttori o le associazioni di organizzazioni di produttori hanno il diritto di presentare una denuncia;
Ciò, secondo la Commissione europea, può servire a tutelare l'identità del singolo o dei singoli
membri dell'organizzazione che si ritengano vittime di una pratica commerciale vietata.
l'autorità di contrasto deve garantire la riservatezza dell'identità del denunciante, se da lui appositamente richiesto, e di qualunque altra informazione la cui divulgazione sia da lui ritenuta lesiva dei suoi interessi;
se l'autorità di contrasto ritiene che non vi siano ragioni sufficienti per agire a seguito della denuncia, informa il denunciante dei motivi della sua decisione.
L'articolo 6 disciplina i poteri che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare alle autorità di contrasto:
avviare indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia;
chiedere agli acquirenti e ai fornitori di fornire tutte le informazioni necessarie al fine di effettuare indagini;
adottare una decisione che constati la violazione dei divieti di pratiche commerciali sleali e imporre all'acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata;
L'autorità può astenersi dall'adottare una siffatta decisione qualora, con essa, si corra il rischio di
rivelare l'identità del denunciante o qualsiasi altra informazione la cui divulgazione, secondo il denunciante stesso, sarebbe lesiva dei suoi interessi, a condizione che egli abbia specificato quali sono tali informazioni.
imporre una sanzione (efficace, proporzionata e dissuasiva e che tenga conto della natura, della durata e della gravità della violazione pecuniaria) all'autore della violazione;
pubblicare le decisioni che constatano violazioni o impongono sanzioni;
informare gli acquirenti e i fornitori in merito alle sue attività, mediante relazioni annuali che, tra l'altro, indichino il numero delle denunce ricevute, descrivano le indagini avviate e concluse e, per ogni indagine, illustrino sommariamente il caso e l'esito dell'indagine.
L'articolo 7 (cooperazione tra le autorità di contrasto) stabilisce che gli Stati membri provvedano affinché le autorità di contrasto cooperino efficacemente tra loro e si prestino reciprocamente assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera. Inoltre, prevede delle riunioni annuali, agevolate dalla Commissione europea, tra le autorità, anche per discutere delle migliori pratiche attuate, e l'istituzione e la gestione da parte della Commissione europea di un sito web per lo scambio di informazioni con le autorità di contrasto, in particolare per quanto riguarda le
riunioni annuali.
L'articolo 8 (norme nazionali) precisa che gli Stati membri possono prevedere ulteriori norme volte a combattere le pratiche commerciali sleali che vadano al di là del livello minimo garantito dall'Unione, a condizione che esse siano compatibili con quelle relative al mercato interno.
L'articolo 9 (relazioni degli Stati membri) stabilisce che, entro il 15 marzo di ogni anno, gli Stati membri trasmettano alla Commissione europea una relazione che contenga, in particolare, tutti i dati pertinenti riguardanti l'applicazione e il rispetto delle norme ai sensi della presente direttiva nello Stato membro interessato nel corso dell'anno precedente. Inoltre, prevede che la Commissione europea possa adottare atti di esecuzione circa gli obblighi di rendicontazione degli Stati membri per specificarne determinate modalità e che sia assistita (articolo 10) dal comitato per l'organizzazione comune dei mercati agricoli istituito dall'articolo 229 del regolamento (UE) n. 1308/2013.
L'articolo 11 (valutazione) prevede che la Commissione europea svolga una valutazione non prima di tre anni dall'applicazione della presente direttiva, presentando una relazione che esponga le principali conclusioni (gli Stati membri devono fornire tutte le informazioni necessarie), e che rediga una relazione intermedia sullo stato del recepimento e sull'attuazione della direttiva stessa sei mesi dopo la data di recepimento.
L'articolo 12 stabilisce le disposizioni per il recepimento della direttiva (entro sei mesi dall'entrata in vigore, gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarvisi; gli Stati membri applicano le suddette disposizioni a decorrere da 12 mesi dall'entrata in vigore della direttiva), l'articolo 13 riguarda la data di entrata in vigore della direttiva, mentre l'articolo 14 stabilisce che gli Stati membri sono i destinatari della direttiva.
Base giuridica
Secondo la Commissione europea, l'articolo 43 del TFUE, che affida al legislatore dell'Unione i poteri giuridici di istituire un'organizzazione comune dei mercati agricoli nell'UE, può servire, in linea di principio, da base giuridica per le misure riguardanti le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare relativamente al commercio di prodotti alimentari che provengono da produttori agricoli.
Sussidiarietà
Secondo la Commissione europea, la proposta rispetta il principio di sussidiarietà. Un'azione a livello dell'UE garantirebbe un quadro minimo comune, migliorerebbe il livello di tutela dalle pratiche commerciali sleali e ridurrebbe le ripercussioni lungo la filiera alimentare. Contribuirebbe, inoltre, ad assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola (articolo 39 del TFUE) nonché a permettere il coordinamento e lo scambio delle migliori pratiche tra gli Stati membri.
Proporzionalità
Secondo la Commissione europea, la proposta rispetta il principio di proporzionalità poiché rientrerebbero nel perimetro dell'intervento solo le PMI, le pratiche commerciali sleali più nocive e gli ambiti in cui gli Stati membri non sono in grado di raggiungere gli obiettivi in maniera autonoma. Inoltre, i costi previsti sarebbero minimi e gli Stati membri potranno mantenere i propri regimi ed emanare leggi che vanno oltre il campo di applicazione delle misure proposte.
Esame presso le istituzioni dell'UE
La proposta è stata assegnata alla Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (AGRI)
del Parlamento europeo.
Il 18 giugno 2018 il relatore Paolo De Castro (S&D) ha presentato la relazione in Commissione AGRI proponendo una serie di emendamenti al testo proposto dalla Commissione europea. Gli emendamenti (testo completo della relazione e degli emendamenti presentati) tra l'altro intendono includere nelle norme europee tutte le produzioni, non solo alimentari, ma anche agricole (quali il florovivaismo e la mangimistica), migliorare e ampliare le definizioni delle pratiche commerciali sleali, rafforzare i poteri delle autorità di controllo nazionali, fissare tempistiche di reazione certe alle denunce degli operatori.
La Commissione AGRI ha evidenziato che il Bundesrat tedesco, il Senato rumeno e il Parlamento svedese hanno trasmesso i pareri motivati in cui si dichiara la mancata conformità della proposta al
principio di sussidiarietà.
Il termine per la presentazione degli emendamenti in Commissione AGRI è stato fissato per il13 luglio 2018.
Esame presso altri Parlamenti nazionali
Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l'esame dell'atto risulta concluso da parte dei Parlamenti di Germania (Bundesrat), Repubblica Ceca (Camera) e Spagna e avviato da parte dei Parlamenti di Belgio, Finlandia, Germania (Bundestag), Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca (Senato), Slovacchia, Svezia e Regno Unito.
ES007 Ufficio Rapporti con l'Unione europea cdrue@camera.it - 066760-2145
La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlam entari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità p er la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.l contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.