Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare
Serie: Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE   Numero: 7
Data: 09/07/2018
Organi della Camera: X Attività produttive, XIII Agricoltura, XIV Unione Europea

 

 

Pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare

Dossier 7 -

9 luglio 2018

 

 

 

 

 

 

Finalità/Motivazioni

 

Il    12     aprile     2018     la     Commissione     europea     ha     presentato     una  proposta      di     direttiva

(COM(2018)173) volta a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare.

 

 

Le pratiche commerciali sleali possono essere definite, in termini generali, come pratiche che si discostano ampiamente dalla buona condotta commerciale, sono in contrasto con la buona fede e la correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla controparte.

 

Le principali misure proposte prevedono:

l'introduzione  di un livello  minimo  di tutela comune  a tutta  l'UE  comprendente un elenco  di pratiche commerciali sleali vietate e un elenco di pratiche che saranno autorizzate solo se concordate in termini chiari e univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura;

- Le pratiche commerciali sleali vietate sono: i pagamenti tardivi per i prodotti alimentari deperibili; la

cancellazione  degli  ordini  all'ultimo  minuto;  le  modifiche  unilaterali  o  retroattive ai contratti; l'obbligo imposto al fornitore di pagare per gli sprechi.

-  Le  pratiche autorizzate  solo  se  soggette  a  un accordo iniziale tra  le  parti  chiaro  e  privo  di ambiguità sono: l'acquirente restituisce a un fornitore i prodotti alimentari invenduti; l'acquirente impone al  fornitore  un  pagamento  per  garantire  o  mantenere  un  accordo  di  fornitura  relativo  a prodotti alimentari; il  fornitore è tenuto a sostenere i  costi legati alla promozione  o al marketing dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente.

l'obbligo per gli Stati membri di designare un'autorità pubblica di contrasto, incaricata di far rispettare i divieti di pratiche commerciali  sleali a livello nazionale, che possa svolgere indagini, sia su richiesta che di propria iniziativa, comminare sanzioni e pubblicare le proprie decisioni nonché i nomi dei trasgressori;

la cooperazione e la reciproca assistenza nelle indagini che presentano una dimensione transfrontaliera tra le autorità nazionali di contrasto;


la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare norme più rigorose  rispetto  a quelle comuni previste dalla proposta in oggetto, a condizione che siano compatibili con quelle relative al mercato interno.

La  Commissione  europea,  dopo  aver  condotto  un  ampio  processo  di  consultazione  delle  parti

interessate, servito anche per portare a termine una dettagliata valutazione d'impatto, ha individuato due problematiche principali:

gli operatori più piccoli della filiera alimentare , quali agricoltori e piccole e medie imprese, sono più soggetti a pratiche commerciali sleali a causa del loro scarso potere contrattuale rispetto ai grandi operatori (ad esempio, catene commerciali e grande distribuzione);

solo 20 Stati membri (tra cui l'Italia) hanno adottato norme specifiche - in alcuni casi estremamente divergenti tra loro - di tutela contro le pratiche commerciali sleali e non esistono disposizioni comuni dell'UE che prevedano  un livello  minimo  di tutela  europeo e che avvicinino o armonizzino le misure adottate a livello nazionale.

La proposta intende tutelare tutti i soggetti che fanno parte della filiera alimentare,  purché di piccole e medie dimensioni (dai produttori agricoli, comprese le relative organizzazioni di produttori, come  le  cooperative,  alle  altre  piccole  e  medie  imprese  fornitrici  della  filiera,  come venditori al dettaglio, trasformatori di prodotti alimentari, grossisti) e limitare il comportamento degli acquirenti che non sono piccole e medie imprese.

Per quanto riguarda i prodotti, la proposta concerne i "prodotti alimentari", ossia i prodotti agricoli ad uso alimentare elencati nell'allegato I del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), inclusi  quelli  della  pesca  e  dell'acquacoltura,  nonché  i  prodotti  agricoli  trasformati  ad uso alimentare   (che  non  rientrano  nel  citato  allegato  I)  e commercializzati   lungo  tutta  la  filiera alimentare.

La proposta tiene anche conto del fatto che le pratiche commerciali sleali non sono sempre stabilite in un contratto  scritto  e possono  verificarsi,  in linea di principio, in qualsiasi  fase dell'operazione commerciale  tra  l'acquirente   e  il  fornitore  della  filiera  alimentare,   anche  a  posteriori  dopo la conclusione di un contratto.

Infine,  la  proposta  di  direttiva  integra,  senza  sostituirlo,  il codice  di  condotta  volontario  del settore privato  Supply Chain Initiative (SCI Iniziativa della catena di approvvigionamento) che ha l'obiettivo di migliorare l'equità nelle relazioni commerciali lungo la filiera.

 

La filiera alimentare nell'UE

 

La filiera alimentare consente la fornitura al pubblico di prodotti alimentari e di bevande per il consumo  ed è costituita  da una  serie di mercati  verticalmente  connessi  in cui operano  diversi soggetti: agricoltori,  trasformatori,  commercianti,  rivenditori  all'ingrosso e al dettaglio e consumatori. In  sintesi,  la  filiera  alimentare  si  suddivide  in  due componenti: produttiva  (agricoltura  e industria alimentare  e di trasformazione  di materie prime agricole) e distributiva e commerciale (commercio all'ingrosso e al dettaglio e settore della ristorazione).

Secondo i dati della Commissione europea, il numero di attori nella filiera alimentare dell'UE varia notevolmente  a ogni  livello.  Vi sono circa 11 milioni  di aziende agricole  che  forniscono  lavoro a circa 22 milioni  di persone  (a tempo pieno e a tempo parziale)  e producono  prodotti  primari da destinare all'industria della trasformazione agroalimentare, costituita da circa 300mila imprese. I trasformatori   alimentari   vendono,  poi,  i  loro  prodotti  attraverso  2,8  milioni  di  imprese   della distribuzione alimentare  (commercio  all'ingrosso e al dettaglio e settore della ristorazione) per una platea di circa 500 milioni di consumatori. La tabella seguente riporta una rappresentazione degli attori coinvolti nella filiera alimentare dell'UE in base alla loro consistenza numerica:


 

 

 

La maggior parte delle aziende della filiera alimentare è di piccole o medie dimensioni con una concentrazione  di PMI molto più alta nei settori della trasformazione  alimentare  e del commercio al dettaglio rispetto al settore agricolo. Inoltre, se l'agricoltura  primaria offre lavoro a circa 22 milioni di persone, la filiera alimentare nel suo complesso impiega circa 44 milioni di persone.

Sebbene l'agricoltura impieghi la maggior parte delle aziende della filiera alimentare, la sua quota di valore aggiunto lordo nell'intera filiera è solamente di circa il 25% ed è in diminuzione (nel 2016 il

4% in meno rispetto al 2014). Il valore aggiunto lordo della filiera alimentare  è cresciuto del 2,4% all'anno dal 2008 e ammonta a poco meno del 7% del valore aggiunto lordo totale dell'UE. La figura seguente mostra la distribuzione del valore aggiunto lordo per stadio della filiera alimentare nell'UE.

 

 

 

 

Secondo   quanto  riportato   dalla  Commissione   europea,   negli  ultimi   anni  si  è registrato uno

spostamento  del  potere  di contrattazione,  che  ha  avvantaggiato  principalmente  il  settore del


commercio  al  dettaglio  e  alcune  imprese  transnazionali  a  scapito  dei  fornitori,  in  particolare  dei produttori primari.

A giudizio della Commissione europea, a causa del loro scarso potere contrattuale rispetto ai grandi operatori   della  filiera,   gli  operatori   più  piccoli   sono,  in  generale,  più  soggetti   a  pratiche commerciali  sleali.  Ad  esempio,  i produttori  agricoli  sono  particolarmente  vulnerabili  a  tali pratiche, poiché mancano spesso di un potere contrattuale che corrisponda a quello dei loro partner a valle  che  acquistano  i  loro  prodotti,  in  particolare  perché  le  alternative  di  cui dispongono per far giungere i loro prodotti ai consumatori sono limitate.

Sempre  secondo  la  Commissione  europea,  le  pratiche  commerciali   sleali  possono esercitare pressione  sui  profitti  e  i  margini  degli  operatori,  portando  a una distribuzione  inefficiente  delle risorse e persino all'uscita dal mercato di operatori altrimenti sani e competitivi. A titolo di esempio, riduzioni unilaterali con effetto retroattivo del quantitativo contrattuale di merci deperibili comportano  il  mancato  guadagno  di  un  operatore  che  non  potrà  trovare  facilmente  uno sbocco alternativo  per  tali  merci;  i ritardi  di  pagamento  dei  prodotti  deperibili  dopo  che  sono  stati consegnati e venduti dall'acquirente  costituiscono un costo finanziario supplementare per il fornitore; gli  eventuali obblighi  dei fornitori  di riprendere  i prodotti  non venduti  dall'acquirente  possono costituire  invece  un indebito  trasferimento  del  rischio  sui  fornitori  con  ripercussioni  sulla sicurezza della programmazione  e degli investimenti; infine, l'obbligo di contribuire  ad attività promozionali generiche all'interno dei punti di vendita dei distributori senza trarne un beneficio adeguato può ridurre indebitamente il margine dei fornitori.

Secondo un recente sondaggio  riportato dalla Commissione europea, condotto presso i produttori agricoli e le cooperative agricole, il danno stimato causato dalle pratiche commerciali sleali ammonta a oltre 10 miliardi di euro l'anno. Inoltre, produttori di prodotti alimentari  hanno riferito che i costi legati alle pratiche commerciali sleali costituivano lo 0,5% del loro fatturato.

 

Contesto normativo

 

 

Unione europea

 

A livello dell'Unione non esiste una legislazione volta a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese.

Norme specifiche a livello europeo su alcune parti della filiera alimentare sono state introdotte nell'ambito

della politica agricola  comune (PAC), compresa, tra l'altro, la possibilità per gli  Stati  membri di imporre contratti scritti obbligatori tra gli  agricoltori e le imprese di trasformazione o i  distributori con l'eventuale obbligo per i primi acquirenti di offrire agli agricoltori contratti aventi una durata minima. La riforma della PAC e della politica comune della pesca ha rafforzato, inoltre, la posizione nella filiera dei produttori nei confronti degli operatori a valle, in particolare sostenendo la creazione e lo sviluppo delle organizzazioni di produttori. La nuova organizzazione comune di mercato comprende anche elementi volti a ridurre gli squilibri di potere contrattuale tra gli agricoltori e gli altri operatori della filiera alimentare in alcuni settori specifici (latte, olio di oliva, carni bovine, seminativi).

Le norme sulla concorrenza  dell'UE si applicano  nel  caso di abusi di posizione dominante e di pratiche  anticoncorrenziali,  ma la  maggior  parte  delle  pratiche  commerciali  sleali  nella filiera alimentare tra imprese non ricade nell'ambito di applicazione di tali norme poiché la maggioranza degli operatori si trova in una posizione forte ma non dominante.

Inoltre, la direttiva  2011/7/UE  sui ritardi  di pagamento,  pur stabilendo  che  le imprese devono pagare  le fatture  entro  un massimo  di 60 giorni, se non  diversamente  concordato  nel contratto, a condizione,  tuttavia,  che  tale  proroga  non  sia  gravemente  iniqua  per il creditore, non impone  un termine  massimo   di  pagamento   vincolante   nelle  operazioni   commerciali  tra imprese.  La proposta  in oggetto,  al contrario,  mira  a fissare  un termine  massimo  di pagamento  di 30 giorni di calendario  (vincolante e che non può essere prorogato in alcun caso) per le operazioni commerciali tra imprese relative all'acquisto e alla vendita di prodotti alimentari.

 

Normative nazionali

 

A livello nazionale la situazione si presenta molto variegata: la maggior parte degli Stati membri ha affrontato il problema delle pratiche commerciali sleali adottando approcci diversi, per lo più di tipo normativo, mentre alcuni hanno fatto ricorso a iniziative di autoregolamentazione  tra gli operatori di mercato.


La situazione può essere riassunta come segue:

20 Stati membri (tra cui l'Italia) hanno legislazioni specifiche sulle pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra imprese, ma estremamente eterogenee tra loro;

4 Stati membri (Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia) hanno una legislazione molto limitata che in particolare ha esteso ai rapporti tra imprese l'applicazione della normativa dell'UE diretta a tutelare i consumatori;

4 Stati membri (Estonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi) non hanno una legislazione specifica per affrontare le pratiche commerciali sleali nelle relazioni tra imprese.

Inoltre, secondo  la Commissione  europea,  i diversi  approcci  normativi  adottati dagli Stati membri possono creano condizioni  di concorrenza differenti  per gli  operatori  e il coordinamento  tra le autorità di contrasto degli Stati membri è molto scarso.

 

Italia

 

Per   quanto   riguarda   l'Italia,      la    Commissione   europea     ricorda,     in     particolare,                                                        le seguenti

disposizioni legislative:

l'articolo  62  (Disciplina  delle  relazioni  commerciali  in  materia  di  cessione  di  prodotti  agricoli e agroalimentari) del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del

2012, e novellato con il decreto-legge n. 51 del 2015, che fissa gli elementi essenziali del contratto avente ad oggetto la cessione di prodotti agricoli (forma scritta, durata, quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento). La disposizione determina inoltre i principi regolatori di tali contratti (trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni). La norma disciplina inoltre le relazioni commerciali tra gli operatori economici rispetto a tale tipo di contratti vietando in particolare una serie di condotte (imporre direttamente o indirettamente condizioni  ingiustificatamente  gravose,  nonché  condizioni  extracontrattuali  e  retroattive; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti; subordinare la conclusione, l'esecuzione dei  contratti  e  la  continuità  e  regolarità  delle  medesime  relazioni  commerciali  alla  esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che non abbiano alcuna connessione con l'oggetto degli uni e delle altre;  conseguire  indebite  prestazioni  unilaterali,  non  giustificate  dalla  natura  o  dal  contenuto delle relazioni commerciali; adottare ogni ulteriore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento). Infine si fissa il termine di pagamento del corrispettivo entro 30 giorni per le merci deteriorabili e entro

60 per le altre.

l'articolo 4 del DM 19 ottobre 2012, n. 199, recante il Regolamento  di attuazione  del citato articolo 62,  che  chiarisce come  rientrino  nella definizione  di "condotta  commerciale  sleale" anche il mancato rispetto  dei principi di buone prassi  e le pratiche sleali identificate dalla Commissione europea e dai rappresentanti  della filiera agro-alimentare  a livello comunitario nell'ambito del Forum di Alto livello per un migliore funzionamento  della filiera alimentare (High level Forum  for a better  functioning  of the food supply chain),  approvate  in data  29 novembre

2011.  Si chiarisce  inoltre che  ai sensi  dell'articolo  62 è vietato qualsiasi  comportamento  del contraente  che,  abusando  della  propria  maggior  forza commerciale,  imponga condizioni contrattuali  ingiustificatamente  gravose.  Da  ultimo  si  dispone  che  configura,  altresì, una pratica  commerciale  sleale  la  previsione  nel  contratto  di  una  clausola  che obbligatoriamente imponga al venditore, successivamente  alla consegna  dei prodotti, un termine minimo prima di poter emettere la fattura;

l'articolo  2, comma 2, del decreto-legge  n. 51 del 2015,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015, che detta norme specifiche per il rispetto di corrette relazioni commerciali in materia di cessione di latte crudo prevedendo una durata contrattuale minima pari a 12 mesi e un criterio di calcolo per il riferimento ai costi medi di produzione,  richiamati anche dal citato articolo    del   DM   n.   199   del   2012   quale   parametro   per   la   valutazione   della corretta determinazione del prezzo.

 

 

 

Supply Chain Initiative

 

La Supply Chain Initiative (SCI) è un'iniziativa volontaria del settore privato che mira a sensibilizzare   in   merito   alle   pratiche   commerciali   sleali     promuovere   la   correttezza  dei comportamenti commerciali. La SCI è gestita da un gruppo direttivo che rappresenta i dettaglianti e i fornitori nella filiera alimentare  e recentemente è stato anche nominato un presidente indipendente.


Essa offre anche un forum per la risoluzione rapida e non contenziosa delle controversie. Tuttavia, la partecipazione alla SCI è su base volontaria ed essa non copre al momento tutti gli

operatori  della filiera alimentare.  Ad esempio, i rappresentanti  degli  agricoltori  hanno deciso di non aderire alla SCI poiché, a loro parere, essa non garantisce un livello sufficiente di riservatezza per le parti che denunciano pratiche sleali e non prevede indagini indipendenti sanzioni.

La SCI non è in grado di imporre sanzioni e le decisioni non sono pubblicate  (nessun effetto deterrente) e le controversie  individuali  non sono trattate in modo da garantire la riservatezza delle denunce, neanche nelle fasi iniziali del procedimento. La SCI non ha, inoltre, la possibilità di condurre indagini di propria iniziativa.

 

Processo di consultazione e valutazione d'impatto

 

Il processo di consultazione  delle parti interessate  si è svolto tra il 17 luglio e il 6 dicembre

2017   mediante   consultazioni   sulla   valutazione   d'impatto   iniziale,   una   consultazione  pubblica, consultazioni mirate con i portatori di interessi della filiera alimentare (imprese della filiera alimentare e organizzazioni  di consumatori),  una  consultazione  con  gli  Stati  membri,  un seminario  accademico sulle pratiche  commerciali  sleali  nella filiera alimentare  (organizzato  dal Centro comune di ricerca), riunioni ad hoc con i portatori di interessi della filiera alimentare e scambi con i gruppi di dialogo con la società civile.

L'obiettivo principale è stato quello di raccogliere elementi su cui basare la relazione sulla valutazione d'impatto finale.

La valutazione d'impatto iniziale: ha totalizzato 66 contributi  provenienti da diversi soggetti così composti:   33%   agricoltori    organizzazioni   agricole,   17%   autorità   degli   Stati   membri,  15% organizzazioni non governative (ONG), 11% trasformatori  e relative organizzazioni, 8% rivenditori al dettaglio e relative organizzazioni,  17% altri partecipanti (mondo accademico, sindacati, partecipanti anonimi). Tra l'altro, è emerso che:

per il 91% dei partecipanti nella filiera alimentare esistono pratiche commerciali sleali;

per il 71% dei partecipanti l'UE dovrebbe intervenire (dal 64% degli "altri" al 90% delle ONG; agricoltori   82%,  Stati  membri  73%,  trasformatori   71%),  mentre  il 100%  dei  rivenditori  al dettaglio ritiene che l'UE non debba intervenire;

per il 62% dei partecipanti dovrebbe esistere la possibilità  di sporgere denunce anonime e per il 92% dovrebbero esistere sanzioni contro chi attua le pratiche commerciali sleali.

La consultazione pubblica aperta: si è tenuta dal 25 agosto al 17 novembre 2017 e ha ottenuto in totale 1.432 risposte (il 56% da privati e il 44% da organizzazioni). Tra l'altro, è emerso che:

il 90% dei partecipanti è d'accordo  o parzialmente d'accordo  sul fatto che alcune pratiche nella filiera alimentare  possono essere considerate  pratiche commerciali sleali. In linea di massima, il risultato è simile per tutte le parti interessate, ad eccezione del settore della vendita al dettaglio  (sull'esistenza  delle  pratiche  commerciali  sleali  nella  filiera  alimentare  si dichiara d'accordo o parzialmente d'accordo il 12% e non d'accordo o parzialmente in disaccordo l'88%);

la pratica sleale più citata concerne le modifiche unilaterali e retroattive ai contratti (relative a volumi,  standard  qualitativi,  prezzi),  seguita,  in ordine (per citare solo le più segnalate)  da: annullamenti all'ultimo minuto di ordini relativi a prodotti deperibili, termini di pagamento superiori ai  30  giorni  per  prodotti  deperibili,  termini  di  pagamento  superiori  ai  30  giorni  per prodotti agroalimentari  in  generale,  imposizione  di  contributi  per  spese  promozionali  o di marketing, risoluzione unilaterale di un rapporto commerciale senza alcuna giustificazione oggettiva, richiesta di  pagamenti   anticipati   per  garantire   o  conservare   i  contratti ("hello  money"),   obbligo  di risarcimento per prodotti scartati o non venduti;

il 95%  dei  partecipanti  ha  risposto  di  essere d'accordo  o  parzialmente  d'accordo  circa  la necessità di un intervento per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare. In particolare, l'87% ritiene che dovrebbe intervenire l'UE (in combinazione  con gli Stati membri (58%);  da  sola  (29%)),  l'8%  esclusivamente  gli  Stati  membri  e  il  4%  indica  che l'intervento dovrebbe concretizzarsi per mezzo di iniziative volontarie (si tratta per il 54% di organizzazioni di vendita al dettaglio);

il 92% dei partecipanti si è detto d'accordo o parzialmente d'accordo circa la necessità che vi siano norme minime  per  l'applicazione  delle  disposizioni  sulle  pratiche  commerciali  sleali. A favore di tali norme minime si è dichiarato  dal 20% delle organizzazioni di vendita al dettaglio al

100%  delle organizzazioni  della società  civile  (96%  delle organizzazioni  del  settore agricolo; è


d'accordo o parzialmente d'accordo l'87% delle organizzazioni agroalimentari).

Questionario mirato rivolto alle imprese: sono pervenute 122 risposte tra il 6 novembre e il 10 dicembre 2017. In termini di dimensioni, il 70% dei partecipanti era composto  da PMI e un'elevata percentuale delle risposte è pervenuta dal Belgio, dalla Francia, dall'Italia, dalla Spagna e dal Regno Unito. Tra l'altro, è emerso che:

il  54%  delle  imprese  acquirenti  e  l'89%  dei  fornitori  hanno  dichiarato  che  nelle operazioni commerciali i pagamenti tardivi sono una realtà;

tra  il  14%  e  il  30%  delle  imprese  acquirenti  hanno  dichiarato  di  aver  imposto altre pratiche commerciali sleali nelle operazioni commerciali;

il 60%  dei  fornitori  ha affermato  che  i costi delle pratiche commerciali sleali rappresentano più dello 0,5% del fatturato annuo della loro attività commerciale.

Infine, come accennato  in precedenza, il processo di consultazione si è avvalso dei risultati di un questionario  mirato  rivolto  alle  organizzazioni  di consumatori  (in  particolare,  secondo i partecipanti, l'introduzione di disposizioni legislative in materia di pratiche commerciali sleali non provocherebbe  l'aumento dei prezzi al consumo ma rafforzerebbe  la fiducia nella filiera alimentare e gioverebbe agli investimenti), di un questionario rivolto alle autorità pubbliche degli Stati membri (rimasto ufficialmente aperto tra il 2 ottobre e il 3 novembre 2017), di un Seminario accademico del Centro Comune di Ricerca sulle PCS nella filiera alimentare  (si è tenuto a Bruxelles il 17 e 18 luglio 2017 e vi hanno partecipato esperti internazionali), di riunioni ad hoc con le parti interessate della filiera alimentare e di gruppi di dialogo con la società civile.

Al  termine  del  processo  di  consultazione,  la  Commissione  europea  ha pubblicato (solamente in lingua  inglese)  una  valutazione  d'impatto  finale (SWD(2018)92)  che  accompagna  la  proposta di direttiva in oggetto. Sono stati valutati quattro pacchetti di opzioni - che avevano in comune una proposta  di un'armonizzazione  parziale  delle norme  sulle pratiche  commerciali  sleali  a livello UE - riportati nella tabella seguente:

 

 

 

 

Le opzioni erano suddivise per livello di armonizzazione, portata dei divieti relativi alle pratiche commerciali    sleali,   inclusione   dei   prodotti inclusione   degli   operatori applicazione    e


coordinamento tra gli Stati membri.

Il  pacchetto  1  perseguiva   un'armonizzazione   parziale   mediante   la  regolamentazione   e una

proibizione delle pratiche commerciali sleali basata sui principi. In alternativa, i pacchetti 2, 3 e

4  prevedevano  una  lista  specifica  di  pratiche  commerciali   sleali  vietate.  Le  norme  erano da applicarsi ai prodotti agricoli e trasformati (pacchetti 1, 2 e 3) o soltanto ai prodotti agricoli (pacchetto

4) e tali da proteggere tutti gli operatori della catena di approvvigionamento alimentare (pacchetti 1 e

2)  o  solamente  un  gruppo  selezionato  (pacchetti  3  e 4). Il pacchetto  4  prevedeva  un intervento dell'UE attraverso una raccomandazione, mentre il pacchetto 1 con un regolamento e i pacchetti 2 e 3 mediante una direttiva.  I pacchetti  1, 2 e 3 prevedevano  maggiori  poteri di esecuzione per le competenti autorità degli Stati membri rispetto al pacchetto 4. Infine, i pacchetti 1, 2 e 3 includevano un sistema di coordinamento  tra gli Stati membri e la Commissione europea, mentre il pacchetto 4 solamente  una discussione all'interno del Forum ad alto livello sul miglior funzionamento della filiera alimentare.

La Commissione  europea ha scelto le opzioni del pacchetto 3 che prevede: l'armonizzazione parziale  delle  norme  sulle  pratiche  commerciali   sleali  attraverso  lo  strumento  della  direttiva, l'inclusione   dei  prodotti   agricoli   e  trasformati la  tutela   delle   PMI norme   minime   per l'applicazione e un meccanismo di coordinamento a livello dell'UE.

 

Contenuto

 

La proposta di direttiva si compone di 14 articoli.

L'articolo 1 stabilisce l'oggetto della direttiva: definire un elenco minimo di pratiche commerciali sleali  vietate  tra  acquirenti  e  fornitori lungo  la  filiera  alimentare   e  stabilire  norme  minime concernenti  l'applicazione  di  tali  divieti e  disposizioni  per  il  coordinamento  tra  le  autorità di contrasto.  Inoltre, stabilisce  che  la direttiva  si applichi:  a determinate  pratiche  commerciali  sleali attuate da un fornitore che è una piccola e media impresa nel vendere prodotti alimentari  ad un acquirente che non è una piccola e media impresa; ai contratti di fornitura conclusi dopo la data di applicabilità delle disposizioni di recepimento stabilite all'articolo 12.

L'articolo 2 reca le definizioni di acquirente, fornitore, piccola e media impresa, prodotti alimentari e prodotti alimentari deperibili.

Acquirente: qualsiasi persona fisica o giuridica stabilita nell'Unione che acquista prodotti alimentari nel quadro di un'operazione commerciale. Il termine "acquirente" può includere un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche;

fornitore: qualsiasi produttore agricolo o persona fisica o giuridica, indipendentemente dal suo luogo di stabilimento, che vende prodotti alimentari. Il termine "fornitore" può includere un gruppo di tali produttori agricoli o di tali persone fisiche e giuridiche, comprese le organizzazioni di produttori e le associazioni di organizzazioni di produttori;

PMI: un'impresa ai sensi della definizione di microimpresa, piccola impresa o media impresa di cui all'allegato della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione;

prodotti alimentari: i prodotti elencati nell'allegato I del trattato destinati all'alimentazione e i prodotti non elencati in tale allegato, ma trasformati a partire da tali prodotti per essere destinati all'alimentazione; prodotti alimentari deperibili:  i  prodotti  alimentari  che  diventano  inadatti  al  consumo  umano se non immagazzinati, trattati, imballati o altrimenti conservati onde evitare che diventino inadatti a tale tipo di consumo.

In particolare, si segnala che mentre l'acquirente deve essere stabilito nell'UE, il luogo di stabilimento del fornitore può essere anche al di fuori dell'UE. Ciò, a giudizio della Commissione europea, permette anche ai fornitori stabiliti al di fuori dell'UE di poter contare su un livello minimo di tutela  dell'Unione,  onde  evitare  effetti  indesiderati  di  distorsione  derivante  dalla tutela dei fornitori nell'Unione.

L'articolo 3 (divieto di pratiche commerciali  sleali) suddivide  le pratiche  commerciali  sleali tra quelle   non   soggette   alla  discrezione   contrattuale   delle  parti   e  quelle   subordinate  alla libertà contrattuale  delle parti. Infatti, il primo paragrafo  stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché le seguenti pratiche commerciali siano vietate:

pagamento dopo oltre 30 giorni quando la fornitura concerne prodotti deperibili;

Tale divieto lascia impregiudicate le conseguenze dei ritardi di pagamento e i mezzi di ricorso di cui alla direttiva (precedentemente citata) 2011/7/UE.

annullamento,   da  parte  dell'acquirente,   di  ordini  di  prodotti  alimentari   deperibili  con breve preavviso;


modifica,  da  parte  dell'acquirente,  unilateralmente  e  retroattivamente  delle condizioni dell'accordo di fornitura;

pagamento, a carico del fornitore, per gli sprechi di prodotti alimentari che si verificano presso i locali dell'acquirente senza che vi sia negligenza o colpa del fornitore.

Il  secondo  paragrafo  stabilisce  che  gli  Stati  membri  devono  provvedere  affinché  le seguenti pratiche commerciali  siano vietate, se non concordate in termini chiari ed univoci al momento della conclusione dell'accordo di fornitura:

restituzione, da parte dell'acquirente, al fornitore prodotti alimentari rimasti invenduti; imposizione di un pagamento  a carico del fornitore come condizione per l'immagazzinamento, l'esposizione o l'inserimento in listino dei prodotti alimentari di quest'ultimo;

pagamento, a carico del fornitore, dei costi di promozione dei prodotti alimentari venduti dall'acquirente;

pagamento,  a  carico  del  fornitore,  dei costi  di  commercializzazione  dei  prodotti  alimentari sostenuti dall'acquirente.

L'acquirente dovrà presentare al fornitore, se richiesta, una stima dei suddetti pagamenti. Nel caso di  attività   di  commercializzazione   e  immagazzinamento,   esposizione   o  inserimento   in  listino, l'acquirente deve altresì presentare, se richiesta, una stima dei costi.

L'articolo 4 impone agli Stati membri di designare un'autorità pubblica incaricata di far rispettare i divieti di pratiche commerciali sleali a livello nazionale.

Si segnala, al riguardo, che in Italia l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha tra i suoi compiti  quello  della vigilanza  sui  rapporti contrattuali  nella filiera agro-alimentare, ai sensi del richiamato articolo 62 del DL n. 1 del 2012.

L'articolo 5 (denunce e riservatezza) stabilisce che:

un fornitore può presentare una denuncia  all'autorità  di contrasto  dello Stato  membro in cui è stabilito l'acquirente sospettato di avere attuato una pratica commerciale vietata;

anche le organizzazioni di produttori o le associazioni di organizzazioni di produttori hanno il diritto di presentare una denuncia;

Ciò, secondo la Commissione europea, può servire  a tutelare l'identità del singolo o dei singoli

membri dell'organizzazione che si ritengano vittime di una pratica commerciale vietata.

l'autorità  di contrasto deve garantire  la riservatezza  dell'identità  del denunciante,  se da lui appositamente  richiesto,  e di qualunque  altra informazione la cui divulgazione sia da lui ritenuta lesiva dei suoi interessi;

se  l'autorità  di  contrasto  ritiene  che  non  vi  siano  ragioni  sufficienti  per  agire  a seguito della denuncia, informa il denunciante dei motivi della sua decisione.

L'articolo 6 disciplina i poteri che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare alle autorità di contrasto:

avviare indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia;

chiedere agli acquirenti e ai fornitori di fornire tutte le informazioni necessarie al fine di effettuare indagini;

adottare  una  decisione  che  constati  la  violazione  dei  divieti  di  pratiche  commerciali  sleali e imporre all'acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata;

L'autorità  può  astenersi  dall'adottare  una  siffatta  decisione  qualora,  con  essa,  si  corra  il rischio di

rivelare  l'identità  del  denunciante  o  qualsiasi  altra  informazione  la  cui  divulgazione,  secondo  il denunciante stesso, sarebbe lesiva dei suoi interessi, a condizione che egli abbia specificato quali sono tali informazioni.

imporre una sanzione (efficace, proporzionata e dissuasiva e che tenga conto della natura, della durata e della gravità della violazione pecuniaria) all'autore della violazione;

pubblicare le decisioni che constatano violazioni o impongono sanzioni;

informare gli acquirenti e i fornitori in merito alle sue attività, mediante relazioni annuali che, tra l'altro, indichino il numero delle denunce ricevute, descrivano le indagini avviate e concluse e, per ogni indagine, illustrino sommariamente il caso e l'esito dell'indagine.

L'articolo 7 (cooperazione tra le autorità di contrasto) stabilisce che gli Stati membri provvedano affinché le autorità di contrasto cooperino efficacemente tra loro e si prestino reciprocamente assistenza nelle indagini che presentano  una dimensione transfrontaliera.  Inoltre, prevede delle riunioni annuali,  agevolate  dalla Commissione  europea,  tra le autorità,  anche per discutere delle migliori pratiche attuate, e l'istituzione e la gestione da parte della Commissione europea di un sito web per lo scambio di informazioni con le autorità di contrasto, in particolare per quanto riguarda le


riunioni annuali.

L'articolo 8 (norme nazionali) precisa che gli Stati membri possono prevedere ulteriori norme volte  a  combattere  le  pratiche  commerciali  sleali  che  vadano  al  di   del livello minimo garantito dall'Unione, a condizione che esse siano compatibili con quelle relative al mercato interno.

L'articolo 9 (relazioni degli Stati membri) stabilisce che, entro il 15 marzo di ogni anno, gli Stati membri trasmettano alla Commissione europea una relazione che contenga, in particolare, tutti i dati pertinenti riguardanti l'applicazione e il rispetto delle norme ai sensi della presente direttiva nello Stato membro  interessato  nel  corso dell'anno  precedente.  Inoltre, prevede  che  la Commissione europea possa  adottare  atti  di  esecuzione  circa  gli  obblighi  di  rendicontazione  degli  Stati  membri  per specificarne determinate modalità e che sia assistita (articolo 10) dal comitato per l'organizzazione comune dei mercati agricoli istituito dall'articolo 229 del regolamento (UE) n. 1308/2013.

L'articolo  11 (valutazione)  prevede  che  la  Commissione  europea  svolga una valutazione  non prima di tre anni dall'applicazione della presente direttiva, presentando una relazione che esponga le principali conclusioni  (gli Stati membri devono fornire tutte le informazioni necessarie), e che rediga una relazione intermedia sullo stato del recepimento e sull'attuazione della direttiva stessa sei mesi dopo la data di recepimento.

L'articolo 12 stabilisce le disposizioni per il recepimento della direttiva (entro sei mesi dall'entrata in vigore,  gli  Stati  membri  adottano  e  pubblicano  le  disposizioni  legislative,  regolamentari e amministrative  necessarie  per  conformarvisi;  gli  Stati  membri  applicano  le suddette disposizioni a decorrere da 12 mesi dall'entrata in vigore della direttiva), l'articolo 13 riguarda la data di entrata in vigore  della  direttiva,  mentre l'articolo  14  stabilisce  che  gli  Stati  membri  sono  i  destinatari della direttiva.

 

Base giuridica

 

Secondo  la Commissione  europea, l'articolo  43 del TFUE,  che  affida al legislatore dell'Unione i poteri giuridici di istituire un'organizzazione comune dei mercati agricoli nell'UE, può servire, in linea di principio,  da  base  giuridica  per  le  misure  riguardanti  le  pratiche  commerciali  sleali  nella filiera alimentare relativamente al commercio di prodotti alimentari che provengono da produttori agricoli.

 

Sussidiarietà

 

Secondo la Commissione europea, la proposta rispetta il principio di sussidiarietà.  Un'azione a livello dell'UE garantirebbe  un quadro minimo comune, migliorerebbe il livello di tutela dalle pratiche commerciali  sleali e ridurrebbe le ripercussioni  lungo la filiera alimentare. Contribuirebbe, inoltre, ad assicurare  un  tenore  di  vita  equo  alla  popolazione  agricola  (articolo  39  del  TFUE) nonché a permettere il coordinamento e lo scambio delle migliori pratiche tra gli Stati membri.

 

Proporzionalità

 

Secondo  la  Commissione  europea,  la proposta  rispetta  il  principio  di proporzionalità  poiché rientrerebbero nel perimetro dell'intervento solo le PMI, le pratiche commerciali sleali più nocive e gli ambiti  in cui  gli  Stati  membri  non  sono in grado  di raggiungere  gli  obiettivi in maniera autonoma. Inoltre, i costi previsti  sarebbero  minimi  e gli  Stati  membri  potranno  mantenere  i propri  regimi ed emanare leggi che vanno oltre il campo di applicazione delle misure proposte.

 

Esame presso le istituzioni dell'UE

 

La proposta è stata assegnata alla Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (AGRI)

del Parlamento europeo.

Il 18 giugno 2018 il relatore Paolo De Castro (S&D) ha presentato la relazione  in Commissione AGRI proponendo  una  serie  di emendamenti  al  testo  proposto  dalla  Commissione  europea. Gli emendamenti  (testo  completo  della  relazione  e  degli  emendamenti  presentati)  tra l'altro intendono includere  nelle norme  europee  tutte  le produzioni,  non  solo alimentari,  ma anche agricole (quali il florovivaismo e la mangimistica), migliorare e ampliare le definizioni delle pratiche commerciali sleali, rafforzare  i  poteri  delle  autorità  di  controllo  nazionali,  fissare  tempistiche  di  reazione  certe alle denunce degli operatori.

La Commissione AGRI ha evidenziato che il Bundesrat tedesco, il Senato rumeno e il Parlamento svedese hanno trasmesso  i pareri motivati in cui si dichiara la mancata conformità della proposta al


principio  di sussidiarietà.

Il termine per  la presentazione degli emendamenti in Commissione AGRI è stato fissato per il13 luglio 2018.

 

Esame presso altri Parlamenti nazionali

 

Sulla  base dei dati forniti dal sito IPEX, l'esame  dell'atto  risulta concluso da parte dei Parlamenti di Germania  (Bundesrat), Repubblica   Ceca  (Camera)   e Spagna e avviato da  parte  dei  Parlamenti di Belgio, Finlandia, Germania  (Bundestag), Lituania, Malta, Olanda, Polonia,  Repubblica  Ceca (Senato), Slovacchia, Svezia e Regno Unito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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