Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato - Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: Analisi degli effetti finanziari delle norme: principi legislativi e criteri metodologici
Serie: Documenti e ricerche di finanza pubblica   Numero:
Data: 18/06/2018
Organi della Camera: V Bilancio

Giugno 2018

Documentazione di inizio legislatura ANALISI DEGLI EFFETTI FINANZIARI DELLE NORME: PRINCIPI LEGISLATIVI
E CRITERI METODOLOGICI
marzo 2018


 

 

 

 

 

 


 

Servizio del Bilancio

Tel. 06 6706 5790 –*  SBilancioCU@senato.itTwitter_logo_blue.png @SR_Bilancio

Documento di base n. 57

 

 

 

 

 

Servizio Bilancio dello Stato

Tel. 06 6760 2174 / 9455 – * bs_segreteria@camera.it

Documenti e ricerche di finanza pubblica n. 1

 

 

 

 

 

Il presente dossier è aggiornato ad aprile 2018.

 

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________

La documentazione dei servizi e degli uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.


 

INDICE

 

PARTE I – EQUILIBRIO DI BILANCIO E COPERTURA DELLE LEGGI 1

L'obbligo costituzionale di equilibrio di bilancio  1

L’obbligo di copertura finanziaria nel nuovo testo dell'articolo 81 della Costituzione  6

PARTE II - LA QUANTIFICAZIONE DEGLI EFFETTI FINANZIARI DELLE NORME LEGISLATIVE  9

La verifica parlamentare degli oneri legislativi 9

La relazione tecnica  10

Il procedimento per la verifica delle quantificazioni 11

La quantificazione riferita ai diversi saldi di finanza pubblica  14

Le clausole di neutralità finanziaria  17

Limiti di spesa e previsioni di spesa  19

Gli scostamenti rispetto alle previsioni: dalle clausole di salvaguardia alla       nuova procedura di compensazione  20

PARTE III – MODALITA’ DI COPERTURA FINANZIARIA DEGLI ONERI LEGISLATIVI 25

Forme ordinarie di copertura  25

L’utilizzo di risorse di conto capitale per finalità di copertura  27

Divieto di utilizzo a fini di copertura di maggiori entrate non previste  29

Coperture atipiche  32

Utilizzo delle risorse del Piano di azione e coesione  32

Coperture a carico di residui passivi 35

Coperture a valere su giacenze di tesoreria  39

Quantificazione e copertura finanziaria nelle deleghe legislative  42

Quantificazione e copertura nella legge di bilancio  45

La nuova struttura della legge di bilancio  45

La relazione tecnica riferita al disegno di legge di bilancio  46

Coerenza del saldo di bilancio con gli obiettivi programmatici 49

 

PARTE IV – CRITERI DI CONTABILIZZAZIONE E QUANTIFICAZIONE      DI VOCI DI ENTRATA   53

Le entrate della p.a. 53

Analisi delle entrate in termini di competenza e cassa  53

Utilizzo di modelli di microsimulazione  56

Previsioni di entrata e modelli comportamentali 57

Trasmissione periodica dei dati IVA  58

Lo split payment 59

La voluntary disclosure  60

Proiezioni di entrata oltre il triennio  61

Imposte sostitutive  61

Detrazioni IRPEF per spese di ristrutturazione  62

Effetti indotti ed effetti di retroazione  63

Casi particolari di classificazione delle entrate  69

I criteri di contabilizzazione delle spese fiscali (tax expenditures) 70

Crediti di imposta  71

Bonus 80 euro  72

Entrate tributarie locali 72

Analisi speciali relative alle entrate  74

Utilizzo entrate strutturali da lotta all’evasione  74

La web tax  75

Entrate contributive: contributi effettivi e contributi figurativi 78

Contributi sociali effettivi 79

Contributi sociali figurativi a carico dei datori di lavoro  80

Entrate da giochi e scommesse  81

Andamento della raccolta e delle entrate  83

Criteri di contabilizzazione  84

Effetti finanziari delle misure di decontribuzione  85

Le Convenzioni internazionali sulle doppie imposizioni e lo scambio di informazioni tra paesi 93

PARTE V – CRITERI DI CONTABILIZZAZIONE E QUANTIFICAZIONE        DI VOCI DI SPESA   99

La spesa per prestazioni sociali 99

La spesa sanitaria: finanziamento e livelli essenziali di assistenza  99

Definizioni dell’aggregato  99

Il fabbisogno sanitario nazionale e le fonti di finanziamento  100

Contabilizzazione degli effetti delle manovre in ambito sanitario  105

Livelli essenziali di assistenza: limiti di spesa e diritti soggettivi 107

La spesa pensionistica  110

Quantificazione e copertura di norme relative all’anticipo dei requisiti pensionistici 111

Interventi di salvaguardia in favore dei cosiddetti “lavoratori esodati”  112

L’anticipo finanziario a garanzia pensionistica (APE) 116

L’APE sociale  116

Estensione dell’istituto “Opzione Donna”  117

Altre prestazioni sociali 119

Livelli essenziali delle prestazioni sociali: limiti di spesa e diritti soggettivi 119

Il reddito di inclusione (ReI) 120

La NASpI 123

La spesa per redditi da lavoro dipendente  130

Contabilizzazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica  130

Il turn over nelle pubbliche amministrazioni: assunzioni "ordinarie" e       assunzioni in "deroga" 133

I rinnovi contrattuali 136

Il ciclo triennale dei rinnovi 136

Effetti finanziari ascritti ai rinnovi contrattuali 139

Il blocco della contrattazione e la tornata contrattuale 2016-2018  142

La spesa per consumi intermedi 144

Contabilizzazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica  144

Dai tagli lineari alla nuova spending review  146

La spesa in conto capitale  152

Contabilizzazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica  152

Investimenti fissi lordi 152

Altre voci di spesa in conto capitale  155

Analisi speciali relative alle spese  158

Garanzie pubbliche e operazioni finanziarie  158

Operazioni di carattere finanziario suscettibili di incidere sul debito pubblico  162

La spesa per la partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace e           di cooperazione  167

La spesa per contratti di partenariato pubblico-privato  170

PARTE VI – REGIME CONTABILE E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE          DI VOCI DI BILANCIO DEGLI ENTI TERRITORIALI 177

Rendicontazione economico-patrimoniale e rispetto dei vincoli di finanza   pubblica  177

Copertura delle norme in materia di spese e di entrate degli enti territoriali 179

Utilizzo dell’avanzo di amministrazione  180

 

Indice approfondimenti

 

 

Sintesi del procedimento di verifica della quantificazione degli oneri e delle coperture finanziarie

13

Il Sistema europeo dei conti (SEC 2010)

15

Sintesi della procedura di compensazione di oneri eccedenti le previsioni di spesa

22

Schema riassuntivo delle forme di copertura previste dalla legge di contabilità e finanza pubblica

26

La nuova disciplina dei residui e delle fasi dell’impegno e del pagamento

36

Rapporto tra legislazione di spesa e stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione

48

L’equilibrio economico-finanziario dei bilanci sanitari regionali

108

Le garanzie sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza - GACS

161

Effetti sui saldi di finanza pubblica di recenti interventi sul sistema bancario

163

 

 

infografiche

 

 

 

Fondo per la riduzione della pressione fiscale

74

Fabbisogno Sanitario Nazionale (anno 2017)

102

Pubblico impiego: modello di contrattazione triennale

 

138

Ciclo della spending review

150



PARTE I – EQUILIBRIO DI BILANCIO E COPERTURA DELLE LEGGI

L'obbligo costituzionale di equilibrio di bilancio

La legge costituzionale n.1 del 2012, come noto, ha previsto all'articolo 81 della Costituzione l'obbligo per lo Stato di assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

La modifica costituzionale trae origine dal trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) che all'articolo 3, paragrafo 2, richiedeva alle parti contraenti di adottare "disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio".

 

La definizione del contenuto della legge di bilancio, delle norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stati rinviati dal nuovo testo della Costituzione ad una legge da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. In attuazione di tale disposto è stata adottata la legge n. 243 del 2012[1], modificata dalla legge n.164 del 2016 prevalentemente per la parte concernente gli enti territoriali.

Le modifiche alla Costituzione disposte dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, sono state applicate, per espressa previsione dell'articolo 6 della medesima legge, a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, ad eccezione del Capo IV (Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico) e dell’art. 15 (contenuto della legge di bilancio), per i quali è stata prevista l’applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2016.

 

La nozione di equilibrio di bilancio è specificata dalla legge n. 243 del 2012 (articoli 2, 3, 6, 8) come corrispondente all'obiettivo di medio termine, a sua volta definito come il valore del saldo strutturale individuato sulla base dei criteri stabiliti dall'ordinamento dell'Unione europea.

 

Il saldo strutturale è definito come il saldo del conto consolidato corretto per gli effetti del ciclo economico al netto delle misure una tantum e temporanee e, comunque, definito in conformità all'ordinamento dell'Unione europea. A sua volta, per «saldo del conto consolidato» si intende l'indebitamento netto o l'accreditamento netto, come definiti ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi di cui al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, mentre per «conto consolidato» si intende il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche formato dagli aggregati contabili delle entrate e delle spese di tali amministrazioni, classificati in conformità alle modalità stabilite dall'ordinamento dell'Unione europea.

Le nozioni di «fase favorevole e fase avversa del ciclo economico», citate anche dal nuovo testo costituzionale, sono dalla legge n. 243 collegate alle fasi del ciclo economico individuate come tali sulla base dei criteri stabiliti dall'ordinamento dell'Unione europea.

Il concetto di «amministrazioni pubbliche» fa riferimento agli enti individuati con le procedure e gli atti previsti, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, dalla normativa in materia di contabilità e finanza pubblica, articolati nei sottosettori delle amministrazioni centrali, delle amministrazioni locali e degli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale.

L'equilibrio dei bilanci si considera conseguito, secondo l'articolo 3 della legge n. 243, quando il saldo strutturale, calcolato nel primo semestre dell'esercizio successivo a quello al quale si riferisce, risulta almeno pari all'obiettivo di medio termine ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo obiettivo inferiore a quello allo scostamento considerato significativo dall'ordinamento dell'Unione europea e dagli accordi internazionali in materia.

 

La legislazione nazionale di attuazione della Costituzione opera dunque numerosi rinvii all'ordinamento dell'Unione europea. Risulta quindi utile richiamare brevemente le relative norme europee.

In particolare, il Regolamento CE n. 1466/97[2] all'articolo 2-bis della sezione 1-bis prevede che ciascuno Stato membro abbia uno specifico obiettivo a medio termine calcolato sulla base della propria posizione di bilancio. Questi obiettivi di bilancio a medio termine specifici per paese possono divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, offrendo al tempo stesso un margine di sicurezza rispetto al rapporto tra disavanzo pubblico e PIL del 3%. Gli obiettivi di bilancio a medio termine assicurano la sostenibilità delle finanze pubbliche o rapidi progressi verso la sostenibilità consentendo margini di manovra finanziaria, in particolare in relazione alla necessità di investimenti pubblici.

Gli obiettivi di bilancio a medio termine specifici per paese sono indicati in un intervallo compreso tra il -1% del PIL e il pareggio o l'attivo, in termini corretti per il ciclo, al netto delle misure temporanee e una tantum.

L'obiettivo di bilancio a medio termine è riveduto ogni tre anni e può essere ulteriormente riveduto in caso di attuazione di riforme strutturali aventi un notevole impatto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche.

Il trattato "Fiscal Compact" ha ristretto ulteriormente il limite inferiore per considerare il bilancio in equilibrio. Infatti, ai sensi dell'articolo 3 del trattato, il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione deve essere pari all'obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo.

Per una più esaustiva definizione delle regole europee relative al conseguimento dell’obiettivo di medio termine e al percorso di avvicinamento al medesimo, si rinvia al dossier di documentazione di inizio legislatura “Finanza pubblica e regole europee: guida alla lettura e sintesi dei dati principali”[3].

 

Con riferimento allo scostamento considerato significativo dall'ordinamento dell'Unione europea, cui come visto la legge italiana rinvia, l'articolo 10 del regolamento 1466/97 prevede il concetto di deviazione significativa.

La valutazione tendente ad accertare se la deviazione è significativa si basa in particolare sui seguenti criteri:

a) per uno Stato membro che non ha raggiunto l'obiettivo di bilancio a medio termine, nel valutare la modifica del saldo strutturale si accerta se la deviazione corrisponde almeno allo 0,5% del PIL in un singolo anno o almeno allo 0,25% del PIL in media annua per due anni consecutivi;

b) nel valutare l'andamento della spesa al netto di misure discrezionali sul lato delle entrate si accerta se ha un impatto complessivo sul saldo pubblico pari ad almeno lo 0,5% del PIL in un singolo anno o cumulativamente in due anni consecutivi.

La deviazione dell'andamento della spesa non è considerata significativa se lo Stato membro interessato ha superato l'obiettivo di bilancio a medio termine, tenuto conto della possibilità di importanti entrate straordinarie, e i piani di bilancio presentati nel programma di convergenza non compromettono detto obiettivo nel periodo di riferimento del programma.

 

Scostamenti temporanei del saldo strutturale dall'obiettivo programmatico sono consentiti in presenza di eventi eccezionali, definiti dall'articolo 6 della legge 243/2012 come:

a) periodi di grave recessione economica relativi anche all'area dell'euro o all'intera Unione europea;

b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese.

Analogamente, l'articolo 10 del regolamento 1466/97 prevede che la deviazione può non essere considerata significativa qualora sia determinata da un evento inconsueto che non sia soggetto al controllo dello Stato membro interessato e che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale dello Stato membro o in caso di grave recessione economica della zona euro o dell'intera Unione, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa.

 

Nel caso di eventi eccezionali, l'articolo 6 della legge n. 243 del 2012 prevede tuttavia una specifica procedura. Infatti, il Governo, qualora, al fine di fronteggiare gli eventi eccezionali, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi.

La deliberazione con la quale ciascuna Camera autorizza lo scostamento e approva il piano di rientro è adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Le risorse eventualmente reperite sul mercato al fine di fronteggiare gli eventi eccezionali possono essere utilizzate esclusivamente per le finalità indicate nella richiesta alle Camere.

Il piano di rientro è attuato a decorrere dall'esercizio successivo a quelli per i quali è autorizzato lo scostamento, tenendo conto dell'andamento del ciclo economico. Il piano di rientro può essere aggiornato con una nuova autorizzazione a maggioranza assoluta dei componenti da parte di ciascuna Camera al verificarsi di ulteriori eventi eccezionali ovvero qualora, in relazione all'andamento del ciclo economico, il Governo intenda apportarvi modifiche.

Nella scorsa legislatura in effetti, il Governo ha fatto ripetutamente ricorso alla menzionata procedura autorizzatoria.

 

Nel 2014, la procedura fu attivata in concomitanza con la presentazione della Nota di aggiornamento del DEF a causa del "sostanziale deterioramento delle previsioni di crescita per l’anno in corso e per gli anni successivi, che si configura come un evento eccezionale"[4].

Nel 2015 il piano di rientro fu aggiornato in concomitanza con la presentazione della Nota di aggiornamento del DEF[5] in cui il Governo annunciò di voler utilizzare pienamente i margini di flessibilità del Patto di Stabilità e Crescita in coerenza con la Comunicazione della Commissione in materia[6]. La richiesta di modifica del piano di rientro era motivata anche da fattori macroeconomici quali il livello molto basso e inferiore alle attese dell'inflazione, i rischi di una minore crescita del commercio internazionale, le implicazioni di tipo finanziario dell'ondata di migrazione proveniente dall'Africa e Medio Oriente.

Nel 2016 fu necessario ricorrere tre volte alla procedura speciale, la prima volta in occasione della presentazione del DEF, la seconda volta in concomitanza con la presentazione della Nota di aggiornamento del DEF, la terza volta nel mese di dicembre.

Con la prima relazione[7]  il governo chiese un aggiornamento del piano di rientro già autorizzato alla luce del quadro economico e della "necessità di tener conto delle ripercussioni ancora in atto di un periodo di recessione così intenso e protratto nel tempo".

Con la seconda relazione[8] il Governo proseguì ad aggiornare il piano di rientro alla luce del "protrarsi di condizioni cicliche avverse anche nel prossimo anno" e della ricorrenza di due eventi eccezionali: "i) il sisma del 24 agosto che, terzo evento di rilevante intensità negli ultimi anni, attesta l'esigenza di por mano a un piano organico di messa in sicurezza del territorio nazionale oltre che di ricostruzione, ii) l'intensità del fenomeno migratorio e la necessità di impostare una politica di ampio respiro nella gestione dell'immigrazione".

Con la terza relazione[9] il nuovo governo annunciò l'intenzione di modificare gli obiettivi programmatici fino a un importo massimo di 20 miliardi di euro per l'anno 2017 per intervenire al fine di assicurare un adeguato livello di liquidità e un rafforzamento patrimoniale al sistema bancario.

Nel 2017, in concomitanza con la presentazione della Nota di aggiornamento al DEF, il piano di rientro è stato ancora aggiornato dal Governo in quanto "un'eccessiva restrizione fiscale metterebbe a rischio la ripresa economica e la coesione sociale"[10].

 

Si segnala infine che, in caso di deviazione significativa, l’art. 8 della legge n. 243 del 2012 prevede l’attivazione di un meccanismo di correzione. Infatti, il Governo, qualora stimi che lo scostamento si rifletta sui risultati previsti per gli anni compresi nel periodo di programmazione, ne evidenzia l'entità e le cause e indica contestualmente misure tali da assicurare, almeno a decorrere dall'esercizio finanziario successivo a quello in cui è stato accertato lo scostamento, il conseguimento dell'obiettivo programmatico strutturale.

Un'altra novità del nuovo testo costituzionale investe la natura della legge di bilancio.

Su tale argomento si rinvia al successivo paragrafo di approfondimento "La nuova struttura della legge di bilancio".

L’obbligo di copertura finanziaria nel nuovo testo dell'articolo 81 della Costituzione

Una specifica considerazione riguarda il rapporto tra la regola di copertura finanziaria e il principio di equilibrio di bilancio, enunciato dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, che, come detto, ha modificato anche l’art. 81 Cost.

Nell’esperienza applicativa della precedente versione del medesimo art. 81, è prevalso l’orientamento secondo il quale l’obbligo di copertura finanziaria non implichi necessariamente un vincolo di pareggio riferito all’intero bilancio pubblico.

Il requisito della copertura finanziaria rispondeva infatti all’esigenza di accertare la complessiva neutralità rispetto al saldo di bilancio (positivo, negativo o in pareggio) delle norme introdotte nel corso dell’esercizio finanziario, ferma restando la discrezionalità nell’impostazione della politica complessiva di bilancio, mediante gli strumenti programmatici e legislativi a ciò deputati.

La riforma dell’art. 81 Cost. - e la relativa disciplina applicativa di cui alla legge n. 1 del 2012 e alla legge n. 243 del 2012 - dopo aver introdotto espressamente un obbligo complessivo di “equilibrio dei bilanci”, ha ribadito la necessità del rispetto del vincolo di copertura, da verificare con riferimento a ciascuna legge di spesa. La regola della copertura finanziaria ex ante continua quindi a costituire un presidio a tutela dei saldi e a garanzia della coerenza delle leggi approvate in corso di esercizio con gli strumenti che definiscono l’orizzonte programmatico pluriennale.

Non appare di conseguenza modificato lo schema concettuale di riferimento precedentemente seguito per la valutazione dei nuovi oneri e per la verifica della congruità dei mezzi finanziari predisposti per farvi fronte.

 

L’art. 81, terzo comma, nel testo novellato dalla citata legge costituzionale n. 1 del 2012, stabilisce infatti che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri "provvede" (non più "indica" come era previsto al 4° comma del testo originario dell'art. 81 Cost.) ai mezzi per farvi fronte.

Il principio dell’obbligo di copertura viene pertanto confermato come un preciso vincolo al legislatore, che opera per ogni nuova legge e che si traduce nell'obbligo di predisporre, all'atto dell'approvazione dalle nuove norme, anche i mezzi per fronteggiarne gli oneri che ne derivano.

Un'ulteriore modifica al testo costituzionale consiste nell'eliminazione del termine "altra" per cui mentre il testo previgente prescriveva l'obbligo di copertura per "ogni altra legge" con ciò escludendolo per la legge di bilancio, il testo ora vigente fa riferimento a "ogni legge" non sottraendo così neanche la legge di bilancio all'obbligo della copertura finanziaria.

 

Tuttavia, con particolare riferimento alla legge di bilancio ed ai suoi effetti sul saldo del conto consolidato della p.a. (indebitamento netto), va in primo luogo ricordato che il rispetto dell’obbligo di equilibrio di bilancio – come già segnalato – va verificato in conformità alle regole europee che impongono a ciascuno Stato di raggiungere e mantenere il proprio obiettivo a medio termine (OMT) oppure attuare un percorso di avvicinamento verso tale obiettivo. È quindi ammesso un deficit annuo (con conseguente ricorso all’indebitamento) in misura compatibile con il percorso di aggiustamento verso l’OMT, programmato da ciascuno Stato nel quadro delle procedure di sorveglianza europee e del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita.

Inoltre, in via generale, l’obiettivo di medio termine è definito in termini strutturali e soggetto alla disciplina derogatoria dei cosiddetti “eventi eccezionali” prima illustrata: pertanto il ricorso all'indebitamento è consentito anche al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali e nella misura riconducibile a tali eventi.

Dunque entro tali limiti, la legge di bilancio può essere coperta tramite nuovo indebitamento, mentre al di fuori di tali casi sono consentite solo le operazioni di contrazione di debito pubblico limitatamente a quanto necessario per rinnovare i titoli in scadenza.

Con specifico riferimento poi al saldo del bilancio dello Stato, la legge n. 243 del 2012 ha precisato inoltre che l'equilibrio del bilancio dello Stato corrisponde ad un valore del saldo netto da finanziare o da impiegare coerente con gli obiettivi programmatici previsti nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio (DEF e NADEF).

Il nuovo testo dell'articolo 81 della Costituzione si innesta su di un quadro normativo che ha subito, negli ultimi anni, importanti innovazioni. In particolare, la legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 è stata rivista da ultimo dalla legge n. 163 del 2016 e dai decreti legislativi n. 90 e 93 del 2016 e la revisione ha interessato anche le norme sulla copertura delle leggi. Nei capitoli successivi sì dà conto dell’attuale quadro normativo nel quale va inquadrata l’attività istituzionale preordinata al rispetto del vincolo costituzionale di copertura finanziaria delle leggi.



 

PARTE II - LA QUANTIFICAZIONE DEGLI EFFETTI FINANZIARI DELLE NORME LEGISLATIVE

La verifica parlamentare degli oneri legislativi

L’articolo 81 della Costituzione[11] , come già evidenziato, pone, al terzo comma, un vincolo di copertura finanziaria delle nuove leggi di spesa: è previsto, infatti, che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba provvedere ai mezzi per farvi fronte.

Pertanto, per effetto della regola di copertura, ogni norma che comporti una nuova o maggiore spesa o una riduzione di entrate (ossia degli oneri) deve essere corredata di una clausola finanziaria che identifichi i mezzi per compensare i relativi effetti onerosi, attraverso riduzioni di altri programmi di spesa o incrementi discrezionali delle entrate.

Il rispetto del vincolo costituzionale implica che l’onere derivante dalle norme introdotte nell’ordinamento – inteso sia come incremento di spesa sia come riduzione di entrate – sia correttamente quantificato affinché possano essere individuati i mezzi finanziari idonei a compensare gli effetti che le norme medesime sono suscettibili di determinare sui bilanci pubblici.

Tale coerenza va accertata, oltre che sul piano quantitativo, anche sotto il profilo temporale, per assicurare la necessaria sincronia tra il determinarsi degli effetti onerosi e l’acquisizione delle risorse con le quali farvi fronte.

 

Più specificamente, sulla base della più recente prassi applicativa della regola costituzionale, gli oneri ed i relativi mezzi di copertura devono essere oggetto di contestuale considerazione nel momento della elaborazione ed approvazione delle nuove norme. La corrispondenza tra i medesimi deve essere quindi verificata:

in termini quantitativi, dovendo l’ammontare degli oneri essere equivalente a quello dei mezzi di copertura;

in termini qualitativi, essendo posto un divieto generale di compensare maggiori oneri di parte corrente con risorse di conto capitale;

in termini temporali, in quanto l’equivalenza tra oneri e relativi mezzi di copertura deve sussistere con riferimento a ciascun esercizio finanziario e, in linea di principio, per un periodo corrispondente alla durata dell’onere medesimo. Di fatto, in sede di valutazione ex ante del rispetto del vincolo di copertura, il periodo preso in considerazione nel quadro del procedimento di quantificazione varia a seconda della tipologia di onere oggetto di quantificazione.

 

La regola di copertura trova applicazione nella fase dell’approvazione di nuove norme onerose: perciò i suoi effetti si limitano al perseguimento del cosiddetto “pareggio a margine”, ossia alla neutralizzazione degli effetti onerosi delle disposizioni via via introdotte nell’ordinamento. In tal senso, come evidenziato nella Parte I del presente dossier, tale regola differisce da quella dell’“equilibrio di bilancio” (art. 81, primo comma) riferita al complesso delle voci di spesa ed entrata del bilancio.

La relazione tecnica

In attuazione del disposto dell’art. 81 Cost., la legge n. 196 del 2009 disciplina gli strumenti e le modalità preordinati alla corretta determinazione degli oneri e dei relativi mezzi di copertura: quantificazione e copertura dell’onere sono affidati ad analisi da svolgere all’interno di uno specifico procedimento i cui esiti sono suscettibili di verifica tecnica in sede parlamentare.

Il procedimento di quantificazione è essenzialmente incentrato sulla relazione tecnica, ossia su un documento, predisposto dal Governo e sottoposto a verifica da parte dei competenti organi parlamentari, con il quale si dà conto degli oneri e delle coperture e, più in generale, dell’impatto sulla finanza pubblica delle nuove normative oggetto di esame parlamentare.

La relazione tecnica non può tuttavia limitarsi ad indicare i risultati dell’attività di quantificazione svolta in sede governativa, ma deve fornire anche i dati ed i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni altro elemento utile per consentire una verifica tecnica delle quantificazioni, da svolgere in sede parlamentare.

 

L’obbligo di presentazione di una relazione tecnica a corredo dei disegni di legge del Governo, degli schemi di decreto legislativo e degli emendamenti di iniziativa governativa che comportino "conseguenze finanziarie" è stato introdotto dalla legge n. 362/1988 di modifica della normativa in materia di contabilità e finanza pubblica (art. 11-ter, della legge n. 468/1978). La stessa legge ha previsto la facoltà per le Commissioni parlamentari di richiedere al Governo la relazione tecnica anche sulle proposte di legge di iniziativa parlamentare.

L’articolo 17 della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) ha innovato la disciplina in materia, definendo in modo puntuale i presupposti, le modalità ed i termini per la predisposizione delle relazioni tecniche nonché il contenuto delle stesse. Le principali innovazioni consistono: nell’individuazione di precisi termini e modalità di trasmissione delle relazioni tecniche al Parlamento e nell’obbligo per il Governo di indicare le ragioni di eventuali ritardi. I regolamenti parlamentari potranno individuare ulteriori ipotesi di obbligatorietà della trasmissione della relazione tecnica (comma 5);

 - nell’obbligo di trasmissione dei dati in formato telematico (comma 5);

 - nell’obbligo di aggiornamento della relazione al momento del passaggio di un progetto di legge da un ramo all’altro del Parlamento (comma 8);

- nell’obbligo di allegare alla relazione un prospetto riepilogativo degli effetti di ciascuna disposizione sui diversi saldi di finanza pubblica (comma 3).

 

La normativa in materia di contabilità pubblica ha individuato un contenuto necessario delle relazioni tecniche, disponendo che le stesse debbano indicare i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni altro elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare: ciò con l’intento di rendere possibile, nell’ambito del procedimento legislativo, la ricostruzione esaustiva del procedimento di quantificazione e la sottoposizione ad un vaglio di coerenza e di attendibilità dei dati e delle ipotesi sui quali esso si fonda.

Il legislatore ha tuttavia optato per un modello flessibile, che presuppone, accanto ad una comune struttura di base, contenuti differenziati in ragione della natura e delle finalità delle norme oggetto di esame.

 

La normativa infatti individua contenuti specifici che le relazioni tecniche devono presentare a seconda della tipologia di onere oggetto di stima. In particolare, per le disposizioni legislative in materia di pubblico impiego, la relazione deve riportare i dati sul numero dei destinatari, sul costo unitario, sugli automatismi diretti e indiretti che ne conseguono fino alla loro completa attuazione, nonché sulle loro correlazioni con lo stato giuridico ed economico di categorie o fasce di dipendenti pubblici omologabili. Per il comparto scuola sono indicate anche le ipotesi demografiche e di flussi migratori assunte per l'elaborazione delle previsioni della popolazione scolastica, nonché ogni altro elemento utile per la verifica delle quantificazioni. Per le disposizioni corredate di clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica dovrà riportare i dati e gli elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, anche attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti e delle somme già stanziate in bilancio, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime.

L’art. 17 della legge n. 196/2009 ha disposto infatti che le relazioni tecniche presentate a corredo dei disegni di legge governativi debbano specificare, per la spesa corrente e per le minori entrate, gli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, la modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e l'onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti. Per le disposizioni legislative in materia pensionistica e di pubblico impiego, la relazione deve recare un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all'andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari e al comparto di riferimento.

Il procedimento per la verifica delle quantificazioni

La relazione tecnica, fin dalla sua introduzione nell’ordinamento, è stata configurata come lo strumento mediante il quale il Governo:

·       individua gli effetti finanziari delle normative proposte e fornisce una stima, il più possibile attendibile, degli oneri da esse derivanti e dei mezzi di copertura previsti;

·       rende espliciti - e, pertanto, verificabili nell’ambito del procedimento di approvazione delle leggi - tutti gli elementi, le valutazioni nonché la sequenza dei passaggi di tipo logico-matematico, attraverso i quali si è pervenuti alla definizione delle medesime stime.

Come già evidenziato, partecipano al procedimento di quantificazione i vari portatori dell’interesse finanziario ossia, principalmente: le Amministrazioni di settore, che predispongono le relazioni tecniche, ed il Ministero dell’economia e delle finanze, che effettua una prima verifica delle stesse, che precede la presentazione alle Camere (fase governativa); le Commissioni di merito e, in particolare, la Commissione Bilancio, che esamina e verifica la congruità delle relazioni tecniche e delle stime in esse riportate (fase parlamentare).

La verifica delle quantificazioni in sede parlamentare assume una specifica evidenza nel quadro dell’attività consultiva svolta dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, che si inserisce nell’ambito del procedimento legislativo: essa è infatti propedeutica alla formulazione dei pareri che le due Commissioni sono chiamate ad esprimere in merito agli effetti finanziari delle iniziative legislative oggetto di esame presso i due rami del Parlamento. In questa sede, le quantificazioni operate dalla relazione tecnica sono sottoposte a verifica al fine di valutarne la coerenza sul piano del procedimento logico-matematico, dell’attendibilità delle ipotesi e della validità dei metodi adottati, dell’affidabilità dei dati utilizzati, della rispondenza delle stime al contenuto delle norme. Per tali attività gli organi parlamentari si avvalgono del supporto e dell’istruttoria tecnica dei competenti uffici della Camera e del Senato.

Gli esiti delle analisi tecniche svolte da tali strutture sono posti a disposizione degli organi parlamentari e possono diventare il presupposto per la richiesta ai rappresentanti del Governo di dati ed elementi ulteriori, di un’integrazione della relazione tecnica ovvero di approfondimenti o maggiori chiarimenti su singoli profili.

Gli elementi richiesti sono generalmente forniti, nel corso delle sedute delle Commissioni competenti, dal rappresentante del Governo che, a sua volta, si avvale dell’attività svolta dai competenti uffici governativi (uffici dell’amministrazione avente competenza nella specifica materia trattata dall’iniziativa legislativa, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, ecc.).

Sulla base dell’istruttoria tecnica svolta e degli ulteriori elementi raccolti, la Commissione Bilancio matura il proprio orientamento sui profili finanziari dei provvedimenti sottoposti al suo esame ed un giudizio in merito alla conformità dei provvedimenti al vincolo costituzionale di copertura: tale giudizio si esprime in un parere, adottato mediante una votazione. Gli effetti dei pareri espressi dalla Commissione Bilancio sono disciplinati dai regolamenti parlamentari e variano a seconda della procedura (sede referente, legislativa o redigente) di esame dei provvedimenti.

 

Il parere può essere favorevole e, quindi, confermare le quantificazioni operate dalla relazione tecnica, oppure può essere contrario in quanto considera non fondate le stime riportate oppure non adeguate o non disponibili le risorse utilizzate a copertura. I casi più frequenti sono tuttavia quelli in cui la Commissione esprime un parere favorevole, corredandolo di osservazioni ovvero di condizioni. Particolari effetti sul piano procedurale sono poi ascritti dai Regolamenti parlamentari alle condizioni motivate con riferimento all’osservanza della regola di copertura di cui all’art. 81 della Costituzione.

Per quanto attiene ai contenuti, le condizioni poste con il parere approvato dalla Commissione possono anche indicare la necessità di una rideterminazione delle stime originarie riportate nella relazione tecnica, alla luce di eventuali errori o di una inidoneità dei dati e delle ipotesi utilizzati ai fini della stima, individuati nel corso della verifica tecnica svolta in sede parlamentare. In tali casi il parere opera una revisione delle quantificazioni e, quindi, una riformulazione delle clausole di copertura finanziaria contenute nei progetti di legge.

 

Per le proposte di legge di iniziativa parlamentare (o popolare) sprovviste di relazione tecnica, la Commissione parlamentare competente per la materia trattata o la Commissione Bilancio, qualora ne ravvisino la necessità, possono richiedere al Governo la predisposizione di una relazione tecnica. Ove non ricorra tale ipotesi, la Commissione Bilancio può procedere all’espressione di un parere sui profili finanziari dell’iniziativa sulla base di un autonomo esame, svolto con il supporto delle analisi delle strutture amministrative competenti, e degli elementi ulteriori forniti dal rappresentante del Governo.

Va precisato che la verifica delle quantificazioni si esplica, secondo un procedimento che ricalca sostanzialmente lo schema illustrato, anche sugli schemi di atti normativi del Governo trasmessi alle Camere per il parere parlamentare, che, qualora implichino entrate o spese, sono sottoposti all’esame della Commissione Bilancio, chiamata ad esprimersi sulle conseguenze finanziarie di tali provvedimenti.

 

Sintesi del procedimento di verifica della quantificazione degli oneri

e delle coperture finanziarie

 

In sintesi, il procedimento di verifica delle quantificazioni può essere così rappresentato:

•     predisposizione da parte dei competenti Ministeri di una relazione tecnica a corredo di un’iniziativa legislativa o di un emendamento governativi o, su richiesta delle Commissioni parlamentari competenti, a corredo di una proposta legislativa di iniziativa parlamentare;

•     prima verifica di coerenza delle quantificazioni e di conformità della relazione tecnica alla normativa contabile da parte Ministero dell’economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), che appone un visto, con il quale si attesta che la relazione tecnica è stata verificata positivamente ovvero negativamente: la verifica negativa può riguardare i profili di copertura e/o di quantificazione degli effetti finanziari del provvedimento, cui la relazione tecnica si riferisce;

•     trasmissione della relazione tecnica al Parlamento, in allegato all’iniziativa legislativa o all’emendamento del Governo ovvero in risposta alla richiesta formulata da una Commissione parlamentare con riferimento ad iniziative legislative parlamentari. La relazione è aggiornata nel passaggio da un ramo all’altro del Parlamento o su richiesta degli organi parlamentari;

•     esame della relazione tecnica e del testo normativo cui la stessa si riferisce da parte della Commissione competente nella specifica materia su cui verte l’iniziativa o da parte della V Commissione (Bilancio);

•     elaborazione di un testo e trasmissione dello stesso alla Commissione Bilancio per l’espressione del parere prescritto dal regolamento;

•     esame del testo e della relazione tecnica da parte della Commissione Bilancio, previa istruttoria tecnica degli uffici competenti;

•     eventuale richiesta da parte della medesima Commissione, sulla base delle risultanze dell’istruttoria, di un’integrazione della relazione tecnica ovvero di ulteriori elementi e chiarimenti;

•     espressione del parere da parte della Commissione Bilancio;

•     esame ed eventuale recepimento del parere da parte della Commissione destinataria o dell’Assemblea, secondo le modalità e con gli effetti previsti dai regolamenti parlamentari.

La quantificazione riferita ai diversi saldi di finanza pubblica

A seguito di una evoluzione nella formazione delle relazioni tecniche, che ha visto progressivi mutamenti nella prassi e nelle disposizioni applicative, la legge n. 196/2009, all’art. 17, commi 3 e 4, ha infine stabilito l’obbligo di allegare alle relazioni tecniche riferite ad iniziative legislative un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari di ciascuna disposizione contenuta nel testo legislativo di riferimento. Tali effetti vanno indicati sia con riguardo al saldo netto da finanziare (riferito esclusivamente al bilancio dello Stato) sia con riguardo al fabbisogno e all’indebitamento netto che fanno riferimento, rispettivamente, il conto consolidato di cassa e il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche.

Le relazioni tecniche devono dunque dar conto degli impatti prodotti dalle nuove norme non solo sul bilancio dello Stato e sul relativo saldo (saldo netto da finanziare), ma anche sul comparto (più ampio) delle amministrazioni pubbliche, esponendo gli effetti attesi sui saldi rilevanti ai fini del rispetto dei vincoli europei (l’indebitamento netto della p.a. e, per i riflessi sul debito pubblico, il fabbisogno di cassa).

Oltre che per il comparto di riferimento, i tre saldi di finanza pubblica si distinguono anche per i criteri di contabilizzazione: le quantificazioni degli effetti delle norme sul saldo netto da finanziare fanno in genere riferimento al criterio della competenza giuridica; per il fabbisogno si fa riferimento al criterio di cassa, mentre per l’indebitamento netto la quantificazione utilizza criteri che approssimano quello della competenza economica, secondo principi e convenzioni contabili utilizzati nell’ambito del sistema dei conti europeo (c.d. SEC 2010), impiegato per rendere omogenei e confrontabili i dati ed i risultati di finanza pubblica dei vari Paesi membri dell’Unione europea.

Per quanto attiene al SEC 2010, si rinvia all’apposito approfondimento, riportato di seguito nel presente paragrafo, mentre per la distinzione fra i tre saldi rilevanti risulta tuttora utilizzabile un’apposita pubblicazione del 2008 della Ragioneria generale dello Stato.[12]

 

In passato, la prassi parlamentare era orientata nel senso di verificare il rispetto dell’obbligo di copertura relativamente ai soli effetti prodotti dalle nuove norme sul bilancio dello Stato e sul relativo saldo (saldo netto da finanziare). Nel corso del tempo, in considerazione degli obblighi di conformità alla disciplina europea di bilancio e al Patto di stabilità e crescita, le relazioni tecniche hanno esposto, soprattutto in occasione dell’esame parlamentare delle leggi finanziarie (poi denominate leggi di stabilità e ora confluite nella legge di bilancio) e, più in generale, delle manovre di finanza pubblica, anche l’impatto delle disposizioni sui saldi rilevanti ai fini del rispetto dei vincoli europei (l’indebitamento netto della p.a. e, per i riflessi sul debito pubblico, il fabbisogno di cassa del settore statale). Ciò ha reso possibile un controllo non limitato alla verifica della neutralità dell’impatto delle nuove normative sul bilancio dello Stato (“copertura finanziaria” nell’accezione tradizionale) in senso stretto, ma esteso anche alla valutazione dell’equilibrio finanziario (“compensazione”) rispetto agli effetti prodotti sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto.

 

Il Sistema europeo dei conti (SEC 2010)

 

L’esigenza di uniformare, nel quadro della disciplina di bilancio UE, i criteri di contabilità nazionale impiegati dai vari Stati membri ha trovato applicazione nell’adozione di un apposito “sistema europeo dei conti” (SEC) che, dopo una prima versione del 1995 (SEC 95) è stato aggiornato con la versione, tuttora vigente, del 2010 (SEC 2010, appunto, o in inglese ESA 2010, ossia European System of Accounts).

Istituzionalmente, il SEC 2010 è disciplinato in un Regolamento UE del 2013[13], in quanto tale vincolante per tutti gli Stati membri ed applicabile dal 1° settembre 2014, salva la possibilità che la Commissione europea conceda a taluni Stati eventuali deroghe parziali e temporanee per consentire l’adeguamento dei loro sistemi statistici[14].

In caso di dubbi circa la corretta applicazione del SEC 2010, uno Stato membro può chiedere chiarimenti ad Eurostat (l’Ufficio statistico europeo, che costituisce una Direzione generale della Commissione), il quale rende noto il suo parere non solo allo Stato membro interessato, ma anche a tutti gli altri Stati membri. La raccolta dei pareri è disponibile sul sito Eurostat[15]. Un’altra fonte interpretativa del SEC 2010 è il Manual on Government Deficit and Debt – Implementation of ESA 2010, disponibile[16] in lingua inglese e aggiornato all’edizione del 2016. Il manuale, elaborato dallo stesso Eurostat, offre indicazioni sul modo corretto di risolvere questioni statistiche riguardanti la finanza pubblica in ambito UE, anche mediante esempi basati su casi concreti, e, quale complemento al citato Regolamento sul SEC 2010, fornisce spiegazioni e chiarimenti per illustrare la logica soggiacente a taluni istituti.

Ulteriori chiarimenti interpretativi possono, infine, essere forniti dal Comitato delle statistiche monetarie, finanziarie e della bilancia dei pagamenti. Il Comitato (composto da rappresentanti della Commissione europea, della BCE e delle principali istituzioni statistiche di ciascuno Stato membro) può infatti, emettere pareri di propria iniziativa su ogni questione inerente alle statistiche d'interesse comune per la Commissione, le autorità statistiche nazionali, la BCE e le banche centrali nazionali. I pareri sono pubblicati[17] per renderli noti a tutte le parti interessate[18].

Il SEC è basato sul criterio della competenza economica (accrual), secondo il quale le operazioni economiche sono registrate al momento della creazione, della trasformazione o della scomparsa di un valore economico o nel momento in cui crediti e obbligazioni insorgono, sono trasformati o vengono estinti. Così, ad esempio, la vendita è contabilizzata nel momento in cui il bene è trasferito da un proprietario all’altro ed entra nella disponibilità del nuovo proprietario e non necessariamente quando viene effettuato il relativo pagamento; gli interessi sono registrati nell’esercizio contabile in cui maturano, a prescindere dal fatto che essi vengano corrisposti in tale medesimo esercizio. Il criterio di competenza si distingue, dunque, sia da quello di “competenza giuridica” che da quello “di cassa”.

Ai fini della disciplina di bilancio UE, il SEC considera non solo lo Stato centrale, bensì il settore delle amministrazioni pubbliche (general government), anche denominato “Settore S13”, che include: le amministrazioni centrali (esclusi gli enti di previdenza e assistenza sociale), le amministrazioni locali e gli enti di previdenza e assistenza sociale.

L’inclusione di un’unità istituzionale nel Settore S13 - o la sua esclusione dallo stesso - ha riflessi sulle finanze pubbliche, che devono essere valutati di caso in caso, applicando i criteri definiti nel quadro del sistema contabile europeo. L’appartenenza di un’unità al settore delle pubbliche amministrazioni comporta che i conti della stessa saranno computati nelle statistiche sul deficit e sul debito pubblico riferiti all’Italia. È infatti con riferimento al predetto settore che viene compilato il conto economico consolidato che costituisce il riferimento per gli aggregati trasmessi alla Commissione europea. Da qui l’importanza di definire ed aggiornare un elenco certo ed affidabile delle amministrazioni pubbliche. In Italia tale compito è svolto dall’Istat, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009. L’Istat elabora sia un elenco sintetico, pubblicato annualmente nella Gazzetta Ufficiale, sia una lista esaustiva che individua nominativamente le singole amministrazioni: tali liste, consultabili sul sito Istat[19], sono comunemente indicate come “elenco Istat delle pubbliche amministrazioni” o, più sinteticamente, “elenco Istat”.

Considerando, dunque, il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, in base ai criteri di contabilità del SEC 2010, e tenuto conto delle operazioni in entrata (per es.: le tasse) e in uscita (per es.: le prestazioni sociali) riferite a ciascun anno (esercizio finanziario), risulta per differenza un saldo che può essere positivo (accreditamento netto) o negativo (indebitamento netto): l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, per quanto fin qui detto, costituisce il deficit, o disavanzo pubblico, da prendere in considerazione ai fini della disciplina di bilancio UE (art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e Protocollo n. 12).

Le clausole di neutralità finanziaria

Le Commissioni Bilancio sono frequentemente chiamate ad esaminare norme che si presentano sprovviste di risorse finanziarie: è il caso, ad esempio, delle disposizioni che incidono marginalmente sull’organizzazione e sugli adempimenti delle pubbliche amministrazioni. La necessità di impedire che tali norme possano determinare nel corso della loro applicazione oneri non coperti ha richiesto l’introduzione delle c.d. clausole di non onerosità (che possono essere presenti nel testo originario dei provvedimenti o possono essere proposte nei pareri della V Commissione).

La clausola di neutralità (o “clausola di invarianza” o “clausola di non onerosità”) statuisce che dall’attuazione di una disposizione (sia essa un’intera legge oppure una o più delle sue partizioni interne quali articoli, commi, capi…) non debbano derivare conseguenze finanziarie.

 

La tipica formulazione, ormai invalsa nell’uso dopo l’impiego di talune varianti, è la seguente: “Dall’attuazione della presente legge [o del presente articolo oppure decreto] non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica [talvolta: “per il bilancio dello Stato”]. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dalla presente legge [o dal presente articolo oppure decreto] con l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.” Tale formulazione può essere richiesta dalla V Commissione, in sede consultiva, anche in termini di condizione ex art. 81, qualora sia necessario esplicitare che la normativa oggetto del parere deve essere applicata senza nuovi oneri.

 

In alcuni casi, le proposte normative non comportano oneri diretti e, in quanto tali, non sono corredate di disposizioni finanziarie e di copertura. Tuttavia dalla loro applicazione potrebbero discendere oneri per fattori quali, ad esempio, i costi organizzativi sostenuti da amministrazioni pubbliche per l’adeguamento alla normativa proposta. In tali casi l’apposizione della clausola di neutralità è finalizzata ad assicurare che la nuova normativa non comporti oneri di alcun tipo: in tal senso va letta la puntualizzazione, tipicamente presente, che fa riferimento all’invarianza di risorse.

Nel ciclo della quantificazione, la presenza di una clausola di invarianza richiede anch’essa una puntuale verifica parlamentare: tale clausola, infatti, garantisce la neutralità finanziaria della disposizione a condizione che essa sia in concreto praticabile, secondo una valutazione che la Commissione Bilancio rende caso per caso in relazione alle norme sottoposte al suo esame. Ove, infatti, i nuovi compiti affidati alle amministrazioni pubbliche non possano, in concreto, essere svolti ad invarianza di risorse, la norma istitutiva comporterebbe la creazione di oneri occulti, in contrasto con i principi costituzionali della copertura degli oneri con possibili effetti anche sull’equilibrio dei bilanci.

Conseguentemente, secondo la legge di contabilità pubblica, per le disposizioni corredate di clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica deve riportare la valutazione degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione. In ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria (art. 17, comma 6-bis).

Questa previsione è stata inserita dalla legge di riforma del 2016 tenendo conto degli elementi emersi nel corso delle verifiche parlamentari delle quantificazioni e delle osservazioni della Corte dei conti in sede di relazioni quadrimestrali sulle quantificazioni e sulle coperture.

 

Anche la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità di talune leggi per violazione dell’articolo 81, si è occupata specificamente delle clausole di invarianza.

 

In alcuni casi, la Corte ha censurato leggi che prevedevano una clausola di invarianza ma, al contempo, contraddittoriamente introducevano nuovi oneri a carico dell'amministrazione (si vedano, ad esempio, le sentenze n. 307 e n. 212 del 2013). In particolare, allorché sono stati disposti interventi inevitabilmente onerosi, senza che né nella legge né altrove si fosse data alcuna spiegazione in merito alle spese e alla loro copertura, la Corte è stata dell'avviso che la previsione dell'assenza di oneri aggiuntivi costituisse “una mera clausola di stile, priva di sostanza” (sentenza n. 18 del 2013). In altri casi, la Corte ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate avendo ritenuto, espressamente o implicitamente, che la clausola di invarianza non fosse “implausibile” (per es. sentenze n. 5 del 2018, n. 15 del 2014, n. 237 del 2013).

 

Sull’impiego delle clausole di invarianza nelle leggi di delegazione legislativa si rinvia all’apposito paragrafo relativo alla quantificazione e copertura delle deleghe legislative.

Limiti di spesa e previsioni di spesa

Ai sensi dell’art. 17, comma 1, della legge n. 196/2009, nell’ambito della quantificazione degli oneri la spesa indicata dalla norma (per ciascun esercizio finanziario e per ciascun intervento) può essere intesa come limite massimo di spesa (o “tetto di spesa”[20]) o come previsione di spesa.

 

La distinzione fra le due categorie di oneri è stata introdotta per la prima volta dal D.L. n. 194/2002 (legge n. 246/2002), con formulazione del tutto analoga a quella vigente.

Nelle disposizioni finanziarie che corredano leggi onerose è invalso l’uso, ormai consolidato, di indicare i limiti massimi di spesa con diciture quali: “all’onere … pari a … si provvede mediante…”, e di indicare invece le previsioni di spesa con diciture quali: “all’onere … valutato in … si provvede mediante…”.

 

Per entrambe le tipologie di norme di spesa il legislatore ha individuato meccanismi volti a conservare nel tempo la coerenza tra onere e copertura finanziaria, al fine di evitare andamenti non previsti della spesa.

Più in particolare, per le norme configurate come limiti di spesa è previsto (art. 17, commi 10 e 11, legge n. 196/2009) che le stesse esplichino i propri effetti entro i limiti della spesa autorizzata (autorizzazione di spesa) e che perdano efficacia in caso di accertato superamento delle risorse autorizzate. Sono quindi stabilite procedure che, con notevole grado di automaticità, consentono, nella predetta ipotesi, la disapplicazione in via amministrativa delle norme medesime.

In altri casi, allorquando la norma sia suscettibile di configurare, in capo ai beneficiari, veri e propri diritti soggettivi incondizionati e, quindi, il meccanismo della mera cessazione dell’efficacia delle norme non possa trovare applicazione, la norma finanziaria va formulata come previsione di spesa e, in tal caso, sono apprestati appositi meccanismi per la compensazione di eventuali effetti che eccedano le previsioni stesse (art. 17, commi da 12 a 13, legge n. 196/2009).

Per effetto della legge n. 163 del 2016, di modifica della legge n. 196/2009, il vigente meccanismo di compensazione ha sostituito le clausole “di salvaguardia”, precedentemente previste per porre rimedio in caso di scostamenti nelle previsioni di spesa: sul punto si rinvia al successivo paragrafo.

 

Per quanto attiene ai profili considerati nel quadro dell’attività di verifica delle quantificazioni, si osserva che, in presenza di limiti di spesa, che, in quanto tali, non possono determinare rischi di un onere eccedente la copertura predisposta, occorre comunque verificare se il limite massimo – annuo e complessivo – della spesa autorizzata a carico dei bilanci pubblici sia definito sulla base di una corretta identificazione dei costi connessi alla realizzazione dei singoli interventi, cui sono preordinate le risorse stanziate dalle norme. Ciò al fine di evitare che la norma di spesa approvata determini i presupposti di successive integrazioni e o di rifinanziamenti necessari per il completamento degli interventi.

Va inoltre accertato che l’onere configurato come limite di spesa riguardi effettivamente prestazioni non riconducibili a diritti o a posizioni tutelate con carattere di assolutezza dall’ordinamento, rispetto alle quali i meccanismi automatici di caducazione degli effetti della norma in virtù del superamento della copertura inizialmente prevista potrebbero non costituire un efficace presidio per evitare scostamenti, con conseguenti effetti sul deficit.

Anche per quanto attiene alle previsioni di spesa, resta impregiudicata l’esigenza di un’accurata quantificazione dell’onere e della congruità dei mezzi di copertura apprestati tenuto conto che la previsione di meccanismi generali volti a compensare eventuali effetti che eccedano la spesa stimata non può in alcun caso ritenersi alternativa rispetto al corretto assolvimento in via preventiva dell’obbligo di copertura finanziaria.

Gli scostamenti rispetto alle previsioni: dalle clausole di salvaguardia alla nuova procedura di compensazione

Come già accennato, nel caso di oneri qualificati come previsioni di spesa, qualora gli oneri effettivi risultino superiori a quelli previsti dalla norma, non risulta normalmente praticabile la soluzione del blocco dell’efficacia delle disposizioni in quanto le stesse sono riferite a diritti soggettivi o a prestazioni comunque dovute. Si pone, pertanto, l’esigenza di predisporre specifici meccanismi per fronteggiare il verificarsi di scostamenti rispetto alle previsioni iniziali, ossia per compensare il superamento degli stanziamenti, a salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica.

Nel corso della XVII legislatura, a tale scopo è stato introdotto un nuovo meccanismo generale di compensazione degli scostamenti, in quanto il previgente sistema, delle c.d. “clausole di salvaguardia”, aveva fatto rilevare criticità in fase applicativa. Sul punto appare utile, preliminarmente, sintetizzare la previgente normativa.

 

Come detto, la distinzione tra limiti massimi di spesa e previsioni di spesa, è stata inizialmente introdotta nell’ordinamento dal decreto-legge n. 194 del 2002, che disponeva – per queste ultime – l’obbligo di specifiche clausole di salvaguardia finanziaria. Il decreto non aveva indicato un contenuto tipico della clausola di salvaguardia, ma la prassi applicativa ha fatto registrare l’elaborazione di un modello alquanto standardizzato, in linea di massima riconducibile al seguente schema: a) monitoraggio degli oneri da parte del Ministero dell’economia; b) rinvio alla procedura prevista per l’adozione dei necessari provvedimenti correttivi, consistente nella presentazione di una relazione e di un’apposita iniziativa legislativa e/o nel rinvio alla legge finanziaria per l’adozione di misure correttive; c) in considerazione della specifica tipologia di intervento (diritti soggettivi), possibilità che il Ministro dell’economia attingesse al Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine, in attesa dell’adozione dei necessari provvedimenti correttivi, con trasmissione alle Camere dei decreti di prelievo, corredati da apposite relazioni.

Rimaneva sempre possibile il ricorso alle procedure generali di salvaguardia previste dalla legge n. 468/1978 all’articolo 11-ter, comma 7 (relazione al Parlamento e assunzione da parte del Ministro dell'economia e delle finanze delle “conseguenti iniziative legislative”), e all’articolo 11, comma 3, lettera i-quater) (inserimento nelle leggi finanziarie di misure correttive delle c.d. “eccedenze di spesa”).

La legge n. 196 del 2009 (art. 17, commi 1 e 12), nel confermare l’alternativa tra limite massimo e previsione di spesa e la necessità di apporre, in quest’ultimo caso, una specifica clausola di salvaguardia, ha definito i requisiti di tali clausole, qualificandole espressamente come effettive ed automatiche. Infatti, la clausola doveva assicurare la corrispondenza, anche dal punto di vista temporale, tra l’onere e la relativa copertura finanziaria e doveva essere suscettibile di diretta attivazione, sulla base di meccanismi prefigurati nelle clausole stesse. In questa ottica, le clausole dovevano indicare le misure di riduzione delle spese o di aumento delle entrate da porre in essere nel caso di scostamenti rispetto agli oneri previsti, restando in ogni caso escluso il ricorso ai fondi di riserva. Sulla base di apposito monitoraggio, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro competente in relazione alla materia trattata, avrebbe adottato le misure indicate dalla clausola e avrebbe riferito alle Camere con apposita relazione circa le cause degli scostamenti.

 

Nella prassi applicativa dell’art. 17, comma 12, della legge n. 196 del 2009, in materia di clausole di salvaguardia “effettive ed automatiche”, sono tuttavia emersi profili problematici. Nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle prospettive di riforma degli strumenti e delle procedure di bilancio, svolta dalla V Commissione, si è osservato che: “la rideterminazione dei parametri sottostanti la spesa attraverso provvedimenti di carattere amministrativo suscita non poche perplessità non solo per il rango secondario dello strumento normativo utilizzato, ma anche perché suscettibile di determinare una situazione di oggettiva incertezza in merito alla portata dei benefici concessi per legge, che spesso si sostanziano in veri e propri diritti soggettivi.

 

Tale situazione appare ancora più evidente nell’ipotesi in cui il rinvio ad un successivo provvedimento amministrativo sia effettuato da decreti legislativi attuativi di deleghe che non prevedono tra i propri principi e criteri direttivi la possibilità di un simile rinvio. Altre criticità presentano invece quelle clausole di salvaguardia che individuano, come forma di compensazione finanziaria, stanziamenti rimodulabili risultanti da taluni programmi di spesa. Tali clausole, infatti, appaiono non del tutto coerenti con la programmazione di bilancio, posto che l’ammontare degli stanziamenti utilizzati è definito all’inizio dell’esercizio senza tenere conto della funzione di salvaguardia assegnata agli stanziamenti medesimi dalle nuove iniziative legislative approvate in corso d’anno.”

 

Al fine di superare le difficoltà applicative delle clausole di salvaguardia nonché di stabilire un meccanismo di generale ed immediata applicabilità volto a compensare gli scostamenti rispetto alle previsioni di spesa, senza che la definizione restasse rimessa a ciascuna norma di spesa, l’art. 17 della legge n. 196 del 2009 è stato riformulato dall’art. 3 della legge n. 163 del 2006.

Il nuovo meccanismo di compensazione degli scostamenti rispetto alle previsioni è, in particolare, recato ai commi da 12 a 13 del citato art. 17.

La disciplina prevede, innanzitutto, un monitoraggio del MEF sull’andamento degli oneri qualificati come previsioni di spesa, volto a prevenire eventuali scostamenti rispetto alle previsioni iniziali.

 

Sintesi della procedura di compensazione di oneri eccendenti le previsioni di spesa

 

Qualora stiano per verificarsi tali scostamenti, vengono attuate, in ordine, le seguenti misure:

 

a) per l’esercizio in corso:

a.1) riduzione degli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero competente.

Ciò avviene, nel rispetto degli oneri inderogabili, con decreto del MEF sentito il Ministero competente;

a.2) in caso di insufficienza, riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa.

Ciò avviene, nel rispetto degli oneri inderogabili, con DPCM su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri;

a.3) in caso di ulteriore insufficienza, assunzione tempestiva di iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione.

L’iniziativa è del Ministro dell'economia e delle finanze.

Gli schemi dei decreti sub a.1) e a.2) vanno trasmessi, corredati di apposita relazione che espone le cause che hanno determinato gli scostamenti alle Commissioni bilancio delle Camere, che dovranno esprimersi entro sette giorni dalla data della trasmissione, decorsi i quali i decreti possono comunque essere adottati;

 

b) per gli esercizi successivi:

 

inserimento, nel disegno di legge di bilancio, di norme recanti misure correttive degli effetti finanziari delle leggi che avevano autorizzato le spese in questione.

 

Ciò avviene nel caso in cui lo scostamento non sia limitato all’esercizio iniziale. In tal caso il Governo adotta prioritariamente misure normative correttive della maggiore spesa.

 



 

PARTE III – MODALITA’ DI COPERTURA FINANZIARIA DEGLI ONERI LEGISLATIVI

Forme ordinarie di copertura

L’obbligo di copertura degli oneri è puntualmente disciplinato dall’articolo 17 della legge 196/2009. In base al comma 1, la copertura finanziaria delle leggi che comportino nuovi o maggiori oneri è determinata esclusivamente attraverso le seguenti modalità:

a) utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel triennio compreso nel bilancio pluriennale;

a-bis) modifica o soppressione dei parametri che regolano l'evoluzione della spesa, dalle quali derivino risparmi di spesa;

b) riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;

c) modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate.

Per quanto attiene alla prima modalità di copertura sopra indicata (lett. a), si precisa che nei fondi speciali vengono iscritte le risorse, determinate di anno in anno dalla legge di bilancio, destinate alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale, ossia un triennio. La disciplina di contabilità fa riferimento, in particolare, ai provvedimenti legislativi correlati al perseguimento degli obiettivi indicati nel DEF.

Le somme destinate alla copertura delle predette norme di legge vengono esposte, ripartite per Ministeri, in apposite tabelle allegate alla legge di bilancio: la tabella A riporta gli accantonamenti di parte corrente, la tabella B quelli di conto capitale. Ai sensi della disciplina di contabilità non sono consentiti né l'utilizzo di accantonamenti di conto capitale per iniziative di parte corrente né l'utilizzo di accantonamenti per regolazioni contabili e debitorie e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali per iniziative recanti finalità difformi rispetto a tali regolazioni o impegni.

Per il punto c), si evidenzia che la copertura finanziaria offerta dalle innovazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate richiede l’adozione di un intervento normativo volto a introdurre nuovi meccanismi e/o regimi tributari o a provvedere all’inasprimento di quelli esistenti, con la finalità di assicurare la realizzazione di entrate ulteriori rispetto a quelle previste in base alla normativa vigente. Per quanto attiene alla lettera b), la riduzione di precedenti autorizzazioni di spesa per il finanziamento di nuovi interventi è sostanzialmente volta a realizzare una riallocazione di risorse sottraendo disponibilità da finalità di spesa che si ritiene (in tutto o in parte) non meritevoli di essere ulteriormente perseguite, in favore di nuovi interventi da realizzare.

Per quanto concerne il ricorso alla modifica o soppressione dei parametri che regolano l'evoluzione della spesa, volto a conseguire risparmi di spesa, si rileva che tale modalità di compensazione degli oneri è stata introdotta dalla legge n. 163/2016, che – come sopra visto – è intervenuta sul complessivo settore delle coperture e delle compensazioni.

Sussiste inoltre un generale divieto di utilizzare, per la copertura finanziaria, le risorse derivanti dalla quota dell'otto per mille dell’Irpef attribuita alla diretta gestione statale o quelle derivanti dal cinque per mille che risultino effettivamente utilizzate sulla base delle scelte dei contribuenti.

Tale divieto è stato inserito dalla citata legge n. 163 del 2016. In proposito si rammenta che nel 2015, la citata indagine conoscitiva sulle procedure di bilancio ha fatto rilevare la “opportunità di escludere, in via generale, la possibilità di ricorrere a coperture a valere su specifiche autorizzazioni di spesa che dovrebbero essere destinate a finalità indicate dai contribuenti all’atto del prelievo fiscale” (cfr. il documento conclusivo approvato nella seduta della V Commissione del 10 novembre 2015).

 

Schema riassuntivo delle forme di copertura previste dalla legge di contabilità e finanza pubblica

 

In attuazione dell’art. 81 Cost., l’art. 17 della legge n. 196/2009 (legge in materia di contabilità e finanza pubblica) identifica in modo tassativo le modalità di copertura degli oneri recati dalle norme legislative. Tali mezzi di copertura devono consistere in:

a) utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale;

a-bis) modifica o soppressione dei parametri che regolano l'evoluzione della spesa previsti dalla normativa vigente, dalle quali derivino risparmi di spesa;[21]

b) riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;

c) modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate.

Resta in ogni caso esclusa la copertura di nuovi o maggiori oneri di parte corrente attraverso l'utilizzo dei proventi derivanti da entrate in conto capitale.

Inoltre, per la copertura finanziaria non possono essere utilizzate le risorse derivanti dalla quota dell'otto per mille dell’Irpef attribuita alla diretta gestione statale né quelle derivanti dal cinque per mille che risultino effettivamente utilizzate sulla base delle scelte dei contribuenti.

Infine, le maggiori entrate (rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione) derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate, in quanto queste risorse sono finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 

Nel quadro delle modalità ricorrenti di copertura di oneri finanziari derivanti da innovazioni legislative, si segnala l’utilizzo di risorse appostate in grandi fondi-capitolo caratterizzati da finalità molteplici o non espressamente definite.  Si tratta, principalmente, del Fondo per interventi strutturali di politica economica e del Fondo per esigenze urgenti e indifferibili.

L’utilizzo di tali fondi è effettuato in genere con la tecnica della riduzione delle autorizzazioni legislative ad essi sottostanti; si tratta di strumenti sostanzialmente trattati alla stregua di accantonamenti di importo alquanto elevato, prelevati per una pluralità di interventi, di natura per lo più eterogenea. Peraltro tali utilizzi si collocano spesso al di fuori di un’espressa programmazione annuale delle finalità di spesa, con conseguenti riflessi sotto il profilo della previa conoscibilità degli importi effettivamente disponibili.

L’utilizzo di risorse di conto capitale per finalità di copertura

Il presente paragrafo tratta più diffusamente dell’utilizzo di risorse in conto capitale per la copertura degli oneri recati da una proposta normativa.

Si rileva, preliminarmente, che le risorse di parte capitale non possono, in linea di principio, essere utilizzate per la copertura di oneri di natura corrente, al fine di non incorrere in quella che viene definita “dequalificazione della spesa[22].

Disposizioni che espressamente precludono l’utilizzo di risorse di parte capitale per la copertura di spese di parte corrente sono contenute nella legge di contabilità e finanza pubblica (cfr. artt. 17 e 33 legge n. 196/2009).

 

Occorre, inoltre, accertare che le risorse utilizzate presentino un tasso di spendibilità (ossia una dinamica temporale di utilizzo) conforme a quello degli oneri da finanziare. Tale scrutinio ha lo scopo di assicurare la compensazione delle nuove spese non solo in termini di saldo netto da finanziare, ma anche sui saldi di cassa, ossia sul fabbisogno di cassa e sul saldo di indebitamento netto, determinato in base al criterio della competenza economica (di cui costituisce un’efficace proxy, per le spese in conto capitale, lo sviluppo della spesa per cassa).

Nel caso in cui sia possibile accertare una dinamica temporale diversa tra le spese finanziate e le risorse destinate a copertura, dovrà essere effettuata una “ponderazione” nell’utilizzo delle risorse tali da determinare un’effettiva equivalenza tra spese e risorse utilizzate a copertura.

 

Un esempio aiuta a chiarire il concetto sopra espresso. Supponiamo che sia stata autorizzata una spesa di 40 milioni all’anno per il triennio 2018 – 2020 per la costruzione di edifici scolastici sul territorio nazionale. Si ipotizzi che sulla base della tempistica di realizzazione di interventi analoghi, la relazione tecnica riferita a tale ipotesi normativa stimi i flussi di cassa (che rilevano per il calcolo degli effetti sui saldi di fabbisogno e indebitamento) pari al 40 per cento della spesa autorizzata (16 milioni) nel primo anno, 40 per cento (16 milioni) nel secondo, 10 per cento (4 milioni) nel terzo e 10 per cento (4 milioni) nel quarto. Gli effetti sono riepilogati nelle tabelle che seguono.

 

Tabella A. Effetti in saldo netto da finanziare (criterio di competenza giuridica)

(milioni di euro)

Esercizi cui è riferito lo stanziamento

2018

2019

2020

2021

2022

2023

40

40

40

0

0

0

 

Tabella B. Effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto (criterio di cassa)

(milioni di euro)

 

Esercizi di utilizzo delle somme

 

2018

2019

2020

2021

2022

2023

Totale

(sviluppo per cassa)

Anno di stanziamento delle  somme (competenza)

 

 

 

 

 

 

 

2018

(40 mln)

16

16

4

4

0

0

40

2019

(40 mln)

0

16

16

4

4

0

40

2020

(40 mln)

0

0

16

16

4

4

40

Totale

(sviluppo per cassa)

16

32

36

24

8

4

= 120

 

Qualora la predetta autorizzazione di spesa fosse definanziata parzialmente per consentire la copertura, in termini di saldo netto da finanziare, di opere  di manutenzione straordinaria di edifici scolastici, per valutare l’idoneità della copertura finanziaria dovrebbe andrebbe verificato se la modulazione temporale della spesa in termini di cassa, e quindi il relativo impatto sul fabbisogno e sull’indebitamento netto, sia coerente, per il nuovo intervento da finanziare, con la dinamica delle erogazioni (oneri per cassa) prevista per l’originaria finalità di spesa (Tabella B).

Divieto di utilizzo a fini di copertura di maggiori entrate non previste

Il comma 1-bis[23] del citato articolo 17 esclude dalle forme di copertura l'utilizzo del maggior gettito, rispetto a quello iscritto nel bilancio di previsione, derivante dalla normativa già in vigore ed imputabile a cambiamenti non previsti delle variabili macroeconomiche e di finanza pubblica; infatti il comma in esame dispone che: “Le maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate e sono finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica”.

Il quadro normativo sopra richiamato, ed in particolare il comma 1-bis, assume rilievo con riguardo al tema in esame relativo all'utilizzo di maggiori entrate non previste. Le stesse rappresentano un extragettito[24] - connesso ad esempio al miglioramento del quadro economico che si riflette sull'impatto della legislazione vigente - che deve essere destinato a vantaggio dei saldi di finanza pubblica e non anche a copertura di nuovi o maggiori oneri o minori entrate. Infatti le "maggiori entrate" utilizzabili a fini di copertura possono essere soltanto quelle ascrivibili ad una innovazione legislativa[25] contestuale o comunque direttamente riferibile alla nuova norma onerosa.

La disciplina sopra ricordata risponde ad un approccio di prudenza nella gestione finanziaria ed è volta ad agevolare il controllo degli andamenti ed il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica in coerenza con il dettato costituzionale (articolo 81) e con i vincoli posti dall'ordinamento dell'UE (con specifico riguardo al contenimento del deficit e del debito pubblico[26]).

Assumono rilievo inoltre profili concernenti la corretta quantificazione ed imputazione temporale[27] delle maggiori entrate a copertura degli oneri[28]. Si possono registrare, in tema di extragettito, difficoltà di accertamento dello stesso nel corso dell'esercizio finanziario (ad esempio per il riscontro del carattere strutturale o una tantum delle maggiori risorse riscontrate); inoltre, in ottica prudenziale, le "maggiori entrate" andrebbero considerate non soltanto in relazione alla misura da cui derivano ma in rapporto all'andamento complessivo dei conti pubblici; lo stesso risulta apprezzabile soltanto a consuntivo o comunque nell'ambito della decisione di bilancio che si caratterizza per l'ampiezza del suo oggetto che attiene alla definizione del quadro tendenziale a legislazione vigente e di quello programmatico per il triennio considerato riferito al complesso dei conti pubblici nazionali. In altri termini un utilizzo di tali entrate nel corso d'anno a copertura di nuovi o maggiori oneri potrebbe dar luogo a squilibri dei conti pubblici in presenza di andamenti di altre misure in vigore meno favorevoli rispetto alle stime associate[29].

Anche la Corte dei conti, in relazione a provvedimenti varati nel corso della XV legislatura[30], formulando perplessità in merito all'utilizzo di risorse non previste a copertura di spese certe, ha osservato che lo stesso non risponde a criteri di buona pratica di bilancio evidenziando, tra l'altro, che l'utilizzo potrebbe pregiudicare il rispetto del saldo netto da finanziare originariamente previsto. E' stata inoltre rappresentata l'opportunità di avvalersi del ciclo economico favorevole per il percorso di riduzione del debito pubblico[31].

 

Non mancano tuttavia norme che durante la scorsa legislatura hanno previsto l'utilizzo a copertura del maggior gettito non previsto e derivante da vigenti disposizioni. Ad esempio, il comma 13 dell’articolo 11 del DL 50/2017, in materia di definizione agevolata delle controversie tributarie, dispone che, qualora si realizzino ulteriori introiti rispetto alle maggiori entrate previste, gli stessi possano essere destinati prioritariamente a compensare l’eventuale mancata realizzazione dei maggiori incassi derivanti dal rinnovo dei diritti d’uso delle frequenze della telefonia mobile GSM e UMTS[32] e dalla riapertura dei termini per la collaborazione volontaria in materia fiscale[33], nonché, per l’eventuale eccedenza, al reintegro anche parziale delle dotazioni finanziarie delle missioni e programmi di spesa dei Ministeri. Si sottolinea sul punto che le originarie disposizioni normative relative, rispettivamente, all’uso delle frequenze della telefonia[34] e alla riapertura dei termini per la collaborazione volontaria in materia fiscale[35], prevedevano, nel caso di mancato raggiungimento del maggior gettito atteso, la compensazione dell’eventuale differenza mediante la riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri[36] o degli accantonamenti in misura corrispondente per assicurare la copertura delle minori entrate accertate per il 2017[37].

Il successivo D.L. 148/2017, intervenendo sull’articolo 1, comma 634, della citata L. 232/2016, ha previsto che in caso di insufficienza del gettito riveniente dalla procedura di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure), rispetto agli incassi stimati ed attesi per il 2017, si sarebbe provveduto all’utilizzo, a fini di copertura, delle eventuali maggiori entrate, rispetto a quanto previsto, derivanti dalla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dall’anno 2000 all’anno 2016[38] nonché dalla definizione agevolata delle controversie tributarie[39]. Si rammenta che la disposizione originaria disponeva - in caso di insufficienza, rispetto alle stime di maggior gettito iscritte nei saldi di finanza pubblica, degli incassi da procedura di collaborazione volontaria – che si provvedesse alla compensazione dell’eventuale differenza mediante riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa[40].

 

Nei casi predetti, la modalità di copertura dei maggiori oneri mediante utilizzo delle maggiori entrate non attese ed associate a disposizioni presenti nella legislazione vigente, parrebbe confliggere con le citate norme della legge di contabilità e finanza pubblica in materia di utilizzo di maggior gettito non previsto. Si segnala peraltro che le predette coperture sono state per lo più previste in via sostitutiva, in caso di mancata realizzazione degli obiettivi di gettito assegnati ad altre misure produttive di maggior gettito.

Coperture atipiche

Nonostante l’articolo 17, comma 1, della legge di contabilità elenchi quelle che qualifica come le "esclusive" forme di copertura, eccezionalmente sono state utilizzate anche forme di copertura non rientranti specificamente nelle tipologie enucleate dalla legge di contabilità. Si segnalano di seguito alcune di tali modalità e le relative criticità sul piano metodologico.

·       Utilizzo delle risorse del Piano di azione e coesione

Si segnala, innanzitutto, l’utilizzo delle risorse presenti nel Piano di azione coesione (PAC) derivanti dalla riprogrammazione di disponibilità destinate al finanziamento dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013. In particolare, tali risorse sono state destinate per la copertura degli oneri connessi agli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato.

 

Il Piano di azione coesione (PAC) è stato approvato nel 2011 per superare i ritardi nell'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali europei stanziati per il periodo 2007-2013, con l'obiettivo di accelerare l'attuazione dei programmi di spesa e, al contempo, di rafforzare l'efficacia degli interventi. Complessivamente, il PAC ha raggiunto un valore di 13,5 miliardi di euro formato da risorse nazionali derivanti dalla riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei Programmi Operativi (circa 11,6 miliardi di euro) e risorse riprogrammate attraverso rimodulazione interna ai medesimi Programmi (2 miliardi di euro).

Il PAC è stato attuato attraverso la rimodulazione strategica delle risorse dei singoli programmi operativi - con la riprogrammazione di alcuni programmi regionali maggiormente in ritardo e lo spostamento di risorse dei fondi strutturali verso quelli maggiormente performanti - e la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale[41], con il conseguente trasferimento delle relative risorse nazionali al di fuori dei programmi operativi stessi, a favore di interventi considerati prioritari dal Piano di Azione Coesione.

Il riutilizzo delle risultanti risorse nazionali è stato vincolato al principio di territorialità inserito nella legge di stabilità 2012 (articolo 23, comma 4, legge n. 183/2011), prevedendo che il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, di cui all'articolo 5 della legge n. 183 del 1987, possa destinare le risorse finanziarie derivanti da un'eventuale riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali 2007-2013 alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra lo Stato italiano e la Commissione europea nell'ambito della revisione dei programmi stessi.

Il decreto-legge n. 76 del 2013 all'articolo 1 ha previsto a copertura di un incentivo per assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani il versamento all'entrata del bilancio dello Stato nella misura di 100 milioni di euro per l'anno 2013, 150 milioni di euro per l'anno 2014, 150 milioni di euro per l'anno 2015 e 100 milioni di euro per l'anno 2016, per le regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183 già destinate ai Programmi operativi 2007/2013, nonché la rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione. Le predette risorse erano destinate al Fondo sociale per l'occupazione e la formazione.

Inoltre, sempre a valere sulle risorse programmate nell'ambito dei Programmi operativi regionali 2007-2013 nonché sulle eventuali riprogrammazioni delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate ai Programmi operativi cofinanziati con fondi strutturali europei, nella misura in cui il finanziamento dell'incentivo fosse coerente con gli obiettivi del Piano di Azione Coesione, le Regioni e Province autonome potevano prevedere l'ulteriore finanziamento dell'incentivo.

 

Le problematicità scaturivano dall'eventualità che la rimodulazione delle risorse pregiudicasse interventi già avviati, ai quali le risorse erano destinate anche se non risultava ancora un formale impegno di spesa in tal senso. Stante poi la natura corrente della spesa in esame, si paventava l'utilizzo a copertura (almeno in parte) di risorse altrimenti destinate a finanziare interventi in conto capitale, con conseguenti effetti di dequalificazione della spesa. Infine, correlata a tale questione, si segnalava la necessità di una valutazione riguardo al differente impatto sull'indebitamento netto e il fabbisogno di cassa dello sgravio rispetto agli interventi che erano finanziati a valere sul fondo di rotazione. Infatti, nell'ipotesi in cui le previsioni tendenziali avessero scontato un coefficiente di utilizzo, per cassa, del Fondo di rotazione inferiore a quello previsto in termini di competenza giuridica, la destinazione delle risorse a copertura dello sconto contributivo avrebbe determinato, verosimilmente, profili di erogazione più accentuati, con corrispondenti riflessi sull'indebitamento e il fabbisogno.

 

Anche la legge di stabilità 2015 (articolo 1, commi 121-122, legge n. 190/2014) ha utilizzato 3,5 miliardi delle risorse destinate agli interventi del Piano di azione coesione (nella misura di 1 miliardo per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 500 milioni per l'anno 2018) a copertura degli oneri connessi agli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato decorrenti dal 1° gennaio 2015, utilizzando a tal fine risorse del PAC che dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze risultavano non ancora impegnate alla data del 1° gennaio 2015[42].

Nel mese di agosto 2015, sono stati emanati dieci decreti (dal n. 25 al n. 34) che hanno disposto la rideterminazione dei finanziamenti programmati nei singoli PAC, delle Regioni o delle Amministrazioni centrali, al fine di recuperare la quota di 1 miliardo per il 2015 da destinare a copertura degli oneri per tali sgravi contributivi.

 

L'utilizzo delle risorse nazionali liberate a favore del PAC come già accennato è vincolato per legge al principio di territorialità ai sensi dell'articolo 23, comma 4, della legge di stabilità 2012. Nel caso in esame, come sottolineato anche dalla Corte dei conti, tale vincolo risulta allentato per effetto della destinazione delle predette risorse per la copertura finanziaria della decontribuzione a vantaggio delle imprese e non direttamente per la realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra lo Stato italiano e la Commissione europea nell'ambito della revisione dei programmi stessi.

 

La legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 109 e 110, legge n. 208/2015) ha previsto l'utilizzo delle risorse del Fondo di rotazione politiche comunitarie già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati - sulla base di una ricognizione da effettuarsi entro il 31 marzo 2016 - a copertura degli oneri connessi alla estensione del beneficio dell'esonero contributivo alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 per i datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. La norma ha inoltre stabilito che, all'esito della ricognizione, con DPCM fosse stabilito l'ammontare delle risorse disponibili a tal fine, eventualmente rimodulando la durata temporale e l'intensità dell'esonero stesso in ragione delle risorse che si sarebbero rese disponibili.

L'incentivo è stato comunque subordinato all'autorizzazione della Commissione europea, ai sensi di quanto disposto dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato (art. 108 TFUE) (comma 110).

La procedura delineata ha rinviato ad un successivo DPCM l’individuazione del beneficio, consistente nell’estensione al 2017 dell’esonero contributivo per nuove assunzioni nelle regioni meridionali, previa quantificazione, a seguito dell’apposita procedura di ricognizione prevista, dell’ammontare delle risorse disponibili. Si è attribuito quindi ad un DPCM e quindi ad un atto di normazione secondaria, la quantificazione delle risorse e soprattutto dell'onere, rimodulando durata ed entità dell'esonero contributivo. Sul punto è stato rilevato che, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, la determinazione dell'onere e della relativa copertura sono riservate alla legge.

·       Coperture a carico di residui passivi

Un’ulteriore modalità atipica di copertura è costituita dalla riduzione delle previsioni di spesa già iscritte in bilancio a titolo di "residui" passivi[43].

Dal punto di vista definitorio, la nozione di residui passivi è riferibile a quelle spese che siano state già "impegnate", ma non ancora "ordinate", ovvero, "ordinate" ma non ancora "pagate" a carico degli stanziamenti previsti in bilancio.

Peraltro, va evidenziato che i residui passivi possono comprendere, per la spesa in conto capitale, anche somme che non corrispondono a debiti giuridicamente sorti nei confronti dei terzi: è il caso dei residui cd. di stanziamento o "impropri". Dal punto di vista metodologico-contabile, tali ultime tipologie "speciali" di residui passivi corrispondono in sostanza a spese previste in bilancio, per le quali non si è nemmeno determinato l'atto di formale impegno e, ciò nondimeno, ne è consentita la permanenza nella contabilità finanziaria.

Il mantenimento di evidenze di contabilità finanziaria relative ai residui passivi è soggetto a tassativi termini massimi di mantenimento, oltre i quali si provvede alla "perenzione" amministrativa dei medesimi, mediante lo stralcio e l'iscrizione dell'ambito della contabilità patrimoniale dello Stato (Conto del patrimonio).

 

A tale proposito, era stato a suo tempo rilevato che "l'iscrizione dei residui a bilancio dovrebbe corrispondere a risorse già impegnate nell'anno di competenza ma che non sono state pagate nel medesimo anno e che il ricorso a disponibilità in conto residui non è contemplato tra le forme di copertura previste dalla legge di contabilità"[44].

Anche la Corte dei conti ha osservato che si tratta di forme di copertura che non appaiono in linea con la legge di contabilità[45].

 

Va inoltre considerato che la copertura a valere sui residui – comportando, in linea di principio, l’utilizzo di risorse in esercizi diversi da quelli in cui era originariamente prevista la relativa spesa - è suscettibile di determinare un impatto sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto qualora tale utilizzo non risulti comunque già scontato nelle previsioni tendenziali. Pertanto, in occasione del ricorso a tale modalità di copertura, viene generalmente richiesto al Governo di confermare che gli utilizzi di somme residue siano conformi alle ipotesi formulate per la costruzione delle previsioni di spesa a legislazione vigente e che i medesimi non determinino, quindi, un impatto negativo sui saldi della di finanza pubblica. 

 

Appare utile una sintetica rassegna (nel successivo riquadro) delle recenti modifiche apportate alla legge di contabilità, in tema di residui e di competenza finanziaria "potenziata" (competenza-cassa), particolarmente in relazione alle fasi di "impegno e pagamento" del procedimento di formazione della spesa[46].

 

La nuova disciplina dei residui e delle fasi dell'impegno e del pagamento

La disciplina dei termini di conservazione dei residui passivi dettata dalla legislazione di contabilità è stata sensibilmente rinnovata, con l'inserimento dell'articolo 34-bis (Conservazione dei residui passivi) alla legge n. 196/2009, in cui si è stabilito che, salvo che non sia diversamente previsto con legge, gli stanziamenti di bilancio di parte corrente che non risultino impegnati al termine dell'esercizio, debbano ordinariamente costituire d'ora innanzi "economie" di bilancio.

Inoltre, la nuova disciplina, ha stabilito che i residui passivi riferibili alle spese correnti, che non siano non pagati entro il secondo esercizio successivo a quello in cui è stato assunto il relativo impegno di spesa, e quelli comunque non pagati entro il terzo anno, relativi a spese destinate ai trasferimenti correnti alle amministrazioni pubbliche, debbano d'ora innanzi costituire "economie" di bilancio, salvo che l'amministrazione non dimostri - con adeguata motivazione, entro il termine previsto per l'accertamento dei residui passivi riferiti all'esercizio scaduto - al competente Ufficio della RGS , la permanenza delle ragioni della sussistenza del debito nelle scritture finanziarie dello Stato, in modo da giustificarne la conservazione.

La norma ha poi ribadito quanto già previsto dalla normativa previgente, relativamente alle somme stanziate per spese in conto capitale che non risultino esser state già impegnate alla chiusura dell'esercizio, per cui resta confermato che le stesse possano essere comunque mantenute in bilancio, quali per l'appunto residui passivi, non oltre l'esercizio successivo a quello di iscrizione in bilancio, salvo che questa non avvenga in forza di disposizioni legislative entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio precedente. In tale caso, il periodo di conservazione è protratto di un ulteriore anno.

In alternativa, in luogo del mantenimento in bilancio, alle predette somme può applicarsi il disposto di cui al terzo periodo del comma 2 dell'articolo 30, laddove si prevede che le somme stanziate annualmente nel bilancio, relative ad autorizzazioni di spese pluriennali, che non risultino essere state impegnate alla chiusura dell'esercizio, con l'esclusione di quelle riferite ad autorizzazioni di spese permanenti, possono essere reiscritte, con la legge di bilancio, nella competenza degli esercizi successivi, in relazione a quanto previsto nel piano finanziario dei pagamenti, dandone evidenza nell'apposito allegato di cui al comma 1.

Ad ogni modo, per i residui passivi riferibili alle spese in conto capitale, che non risultino pagati comunque entro il terzo esercizio successivo a quello dell'assunzione dell'impegno di spesa, la nuova disciplina prevede che essi debbano giocoforza intendersi perenti agli effetti amministrativi, salva la possibilità di riprodurre le poste in bilancio, con riassegnazione ai pertinenti capitoli, negli esercizi successivi.

L'articolo ha quindi previsto espressamente che le somme relative a contributi pluriennali previsti ai sensi dell'articolo 30, comma 3, iscritte nel conto dei residui, e qualora non più dovute al creditore originario, possano d'ora in poi essere utilizzate a favore di altri soggetti, ferme restando le finalità per le quali le risorse sono state originariamente iscritte in bilancio, ivi disciplinandone il procedimento di riutilizzo mediante decreto del Ministro dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, previa verifica della sussistenza delle esigenze rappresentate e della compatibilità dell'operazione con il mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica, ai sensi della legislazione vigente.

Sul piano informativo, si è poi stabilito che i conti dei residui passivi, distinti per Ministeri al 31 dicembre dell'esercizio precedente, debbano d'ora innanzi essere allegati annualmente al rendiconto generale dello Stato e che la gestione dei residui debba sempre essere tenuta distinta da quella della competenza, in modo che nessuna spesa afferente ai residui possa essere imputata sui fondi della competenza e viceversa.

Nel complesso, dalla ricognizione dei nuovi termini previsti per il mantenimento in bilancio dei residui emerge la volontà del legislatore di limitare, d'ora in poi, la formazione e il mantenimento in contabilità dei medesimi, al fine stesso di far corrispondere un maggiore allineamento, in sede di consuntivo, tra le evidenze della gestione di cassa con quelle di competenza del bilancio dello Stato.

La riformulazione dell'articolo 34 della legge di contabilità, intervenuta con il decreto legislativo n. 93/2016[47], ha innovato sensibilmente la disciplina dell'impegno e dei pagamenti a valere degli stanziamenti previsti iscritti nel bilancio dello Stato, con riflessi anche sulla formazione dei residui.

In particolare, il comma 2 del nuovo testo ha stabilito che d'ora innanzi, in relazione alle somme dovute dallo Stato per l'adempimento di obbligazioni giuridiche "perfezionate", siano assunti gli impegni di spesa nel rispetto delle leggi vigenti e, nei limiti dei pertinenti stanziamenti iscritti in bilancio, con imputazione agli esercizi in cui le obbligazioni saranno effettivamente esigibili, dandone pubblicità mediante divulgazione periodica delle informazioni relative agli impegni assunti per gli esercizi in cui l'obbligazione diviene esigibile.

È previsto poi che l'assunzione dei suddetti impegni contabili si renda d'ora innanzi possibile solo in presenza della necessaria copertura finanziaria a valere sugli stanziamenti previsti in bilancio e dei seguenti elementi costitutivi: la ragione del debito, l'importo ovvero gli importi da pagare, l'esercizio finanziario o gli esercizi finanziari su cui gravano le previste scadenze di pagamento e il soggetto creditore univocamente individuato. L'assunzione dell'impegno è poi comunque consentita, ferma restando la presenza degli altri elementi costitutivi, nei casi di trasferimenti di somme ad amministrazioni pubbliche, per i quali il creditore sia individuato solo all'esito di un iter procedurale legislativamente disciplinato.

Va evidenziato che la dotazione di cassa degli stanziamenti di spesa previsti in bilancio ai sensi della legislazione vigente, in aggiunta alla componente previsionale imputabile all'ambito della competenza dell'esercizio, dovrà scontare anche la componente di spesa relativa ai pagamenti correlati allo "smaltimento" dei residui passivi, relativamente a quelle spese che siano state già impegnate, ma non ancora ordinate, ovvero, ordinate ma non ancora pagate, venendo imputate all'anno in cui andranno in pagamento. Peraltro, i residui passivi possono anche comprendere, relativamente alla spesa in conto capitale, somme che non corrispondono a debiti giuridicamente sorti nei confronti dei terzi: è il caso dei residui cd. di stanziamento o detti "impropri". Dal punto di vista metodologico-contabile, tali ultime tipologie di residui passivi, corrispondono in sostanza a spese previste in bilancio, per le quali non si è ancora avuto l'atto di formale "impegno" contabile.

In sostanza, il rafforzamento delle evidenze di cassa del bilancio dello Stato intervenuto con il decreto legislativo 93/2016, si riflette anche nella rinnovata disciplina di formazione e conservazione dei residui, nell'obiettivo di limitarne la formazione, ai soli fabbisogni certificati come "effettivi".

Con il decreto legislativo 93/2016, si è altresì provveduto anche alla revisione della procedura di accertamento e riaccertamento annuale dei residui passivi, attraverso l'inserimento dell'articolo 34-ter alla legge di contabilità, che ha reso maggiormente selettiva la possibilità di mantenere in contabilità finanziaria la dotazione dei residui passivi[48].

La riconosciuta possibilità di operare una riduzione dei residui in relazione al riaccertamento (in riduzione) delle dotazioni riferibili a tali componenti di spesa[49], ovvero, alla eliminazione di residui già perenti - in quanto non più corrispondenti a obbligazioni giuridiche - determina l'emersione di "disponibilità" eventualmente impiegabili anche per la copertura di nuovi o maggiori oneri di spesa.

Tale possibilità è decisivamente condizionata dalla capacità di provvedere alla corretta rideterminazione dei fabbisogni di spesa relativi ad impegni pur già formalmente perfezionati, ovvero alla possibilità di disporre la riduzione di disponibilità relative a residui "impropri" (cioè di stanziamento), senza correre il rischio che le obbligazioni debbano essere adempiute dopo lo stralcio dalle scritture finanziarie o patrimoniali.

Al riguardo, va detto, in relazione alla procedura di riaccertamento dello stock dei residui già perenti, che tale procedura comporta l’eliminazione delle partite debitorie non più dovute dalle apposite scritture nel Conto del patrimonio.

Tuttavia, è solo successivamente al giudizio di parifica del Rendiconto generale dello Stato da parte della Corte dei conti, che le risorse corrispondenti al valore dei residui ormai eliminati potranno essere in tutto o in parte iscritte in bilancio su base pluriennale, su appositi Fondi da istituire, con la medesima legge di bilancio, negli stati di previsione delle Amministrazioni interessate, compatibilmente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e tenendo conto della natura economica delle partite debitorie "cancellate"[50].

 

·       Coperture a valere su giacenze di tesoreria

In via generale, si rammenta che in caso di copertura mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, l'articolo 17, comma 1, lettera b) della legge 196/2009 prescrive che ove dette autorizzazioni siano affluite in conti correnti o in contabilità speciali presso la Tesoreria statale, si procede alla contestuale iscrizione delle risorse da utilizzare come copertura nello stato di previsione dell'entrata, disponendone il versamento. Per le risorse affluite alla Tesoreria statale, la congruità della copertura è valutata anche in relazione all'effettiva riduzione della capacità di spesa dei Ministeri.

Le contabilità speciali (c.s.) costituiscono gestioni tecnicamente poste al di fuori della rigorosa disciplina prevista per la spesa attuata mediante risorse iscritte in bilancio e affluite appunto in contabilità speciali di tesoreria ai sensi dell'articolo 10 del D.P.R. 367/1994[51].

Si ricorda che l'articolo 7 del decreto legislativo n. 90/2016 ha previsto la progressiva eliminazione delle gestioni contabili con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze.

Sulle modalità di copertura, occorre evidenziare che i dispositivi di copertura che provvedano alla compensazione di nuovi o maggiori oneri, mediante la riduzione (e il versamento in conto entrata al bilancio) di risorse giacenti su c.s., dovrebbero sempre accompagnarsi anche alla formale riduzione delle autorizzazioni legislative di spesa, ovvero dal definanziamento, da cui tali risorse sono originate in c.s. di tesoreria.

Sul piano tecnico contabile, va evidenziato che la circostanza della gestione in c.s. di tali risorse, dal momento che queste sono escluse dalla rigorosa disciplina di bilancio per la contabilizzazione degli impegni, non rende di fatto possibile monitorare lo stato delle obbligazioni perfezionate o in via di perfezionamento in mancanza di documentazione che ne dia adeguatamente conto. Perciò non risulta possibile far riferimento ad evidenze contabili che attestino del grado di disponibilità effettivamente risultante a valere su tali giacenze, relativamente alla quota libera da impegni o obbligazioni perfezionate.

Infatti, le risorse, benché ipoteticamente riferibili anche ad un programma pluriennale di spesa, una volta che siano state riversate in conto entrata al bilancio sono integralmente riferibili alla sola competenza finanziaria di quel medesimo esercizio. E, pertanto, compatibili solo con un dispositivo di copertura in cui l'onere è relativo all'esercizio medesimo.

Con specifico riferimento poi alla caratterizzazione economica delle risorse oggetto di riversamento al bilancio a fini di copertura, ovvero alla possibilità che tali risorse - che sono, nell'esperienza, per lo più riferibili ab origine a provvedimenti di spesa per investimenti - e perciò da considerarsi scontate nei saldi tendenziali a legislazione vigente, a titolo di risorse in conto capitale - possano esser destinate alla copertura di nuovi o maggiori oneri anche di parte economica corrente, la prassi ha sinora sempre evidenziato che una volta riversate al bilancio, le risorse in questione non sarebbero più connotate come già vincolate all'utilizzo a copertura di spese di investimento, e pertanto legittimamente compatibili anche con la copertura di nuovi o maggiori oneri di parte corrente.

Altra questione è quella della compensazione dei diversi effetti di cassa rispetto a quelli già contemplati dal saldi tendenziali di finanza pubblica, a ragione del nuovo utilizzo delle risorse (per spese correnti anziché in conto capitale), su cui la norma dell'articolo 17, comma 4, della legge di contabilità, impone comunque di porre la dovuta attenzione, anzitutto da parte della RT[52].

In proposito, stante la nota differente distribuzione degli effetti d'impatto tra spesa corrente e spesa in conto capitale, la questione della attenta valutazione della possibile alterazione degli effetti di cassa (fabbisogno) e competenza economica rispetto a risorse da considerarsi già scontate dai tendenziali - in quanto risorse originariamente destinate a spese in conto capitale - in presenza di riutilizzi a fini di copertura di nuovi oneri che siano però di parte economica corrente, si è di norma sempre fatto ricorso all'apposito fondo ad hoc per la compensazione degli effetti di cassa, iscritto nello stato di previsione del ministero dell'economia e delle finanze, recante una dotazione di sola cassa e volto proprio alla compensazione di alterazioni degli effetti di cassa riferibili a variazioni degli utilizzi di risorse che risultino già scontate dai saldi tendenziali di spesa.

 

Un esempio di copertura su contabilità speciali è avvenuto con l'utilizzo delle disponibilità non utilizzate per le operazioni di ristrutturazione di debito regionale che erano confluite in apposita contabilità speciale.

Ciò è accaduto con il decreto-legge n. 191/2015 sull'ILVA che, al comma 4 dell'articolo unico, ha previsto la copertura di un onere di 300 milioni tramite versamento all'entrata del bilancio dello Stato, per un corrispondente importo, delle somme giacenti sulla contabilità speciale di cui all'articolo 45, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, non utilizzate per le finalità di cui al medesimo articolo.

In tale caso la relazione tecnica ha stimato la copertura come idonea in quanto era già stata scontata nel bilancio l'erogazione di un tale importo per le predette operazioni di ristrutturazione del debito. A tale proposito la Corte dei conti ha osservato che si tratta di una tecnica non coerente con il quadro istituzionale vigente e fondata su un insieme di grandezze, come quelle legate all'andamento tendenziale, di cui non sono noti i dettagli[53].

In seguito, ciò è avvenuto anche ad opera del comma 884 dell’art. 1 della legge di stabilità 2016 (l. 208/2015) che ha previsto il versamento all'entrata del bilancio dello Stato, nell'anno 2016, per un importo pari a 1.500 milioni di euro delle somme giacenti sulla medesima contabilità speciale.

Quantificazione e copertura finanziaria nelle deleghe legislative

Il comma 2 dell’art. 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto disposizioni che sanciscono alcuni principi in materia di quantificazione e copertura degli oneri recati da deleghe legislative, definiti nei seguenti termini.

-      viene stabilito, in via generale, che le leggi di delega comportanti oneri devono recare i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi;

-      si dispone tuttavia che qualora in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti;

-      qualora si versi nella seconda delle ipotesi indicate, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie;

-      agli schemi di decreto legislativo è allegata la relazione tecnica, che dà conto della neutralità finanziaria dei medesimi decreti ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.

 

I principi di carattere generale enunciati dalla legge n. 196/2009 corrispondono in buona parte ad indirizzi già elaborati dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976) e da tempo trasfusi nella prassi legislativa.

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, per il dettato dell'art. 81 Cost., spetta al legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi.

Pertanto, nei casi in cui non è risultato possibile determinare con esattezza l’impatto della normativa delegata già in occasione del conferimento della delega, il legislatore delegante si è limitato a stabilire, attraverso specifici criteri direttivi, l’equilibrio finanziario inerente ai provvedimenti da adottare nell’esercizio della delega, individuato spesso attraverso la prescrizione di una neutralità finanziaria complessiva dell’intervento di delega. In altri casi l’individuazione dell’impatto finanziario dell’intervento è stato rinviato al momento dell’adozione dei provvedimenti delegati, prevedendo che l’adozione di questi ultimi dovesse comunque seguire l’individuazione dei mezzi finanziari necessari alla loro copertura, spesso individuata nel quadro delle manovre annuali di finanza pubblica.

 

Le norme contenute nell’art. 17, comma 2, della legge n. 196/2009 hanno quindi recepito sul piano legislativo i criteri che, in attuazione degli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, sono stati elaborati in via di prassi, in occasione della verifica degli oneri e delle coperture delle leggi di delega.

Nel quadro di tali prassi, sul piano metodologico, sono emersi profili problematici legati sostanzialmente:

·       alla necessità di salvaguardare il criterio - che presiede al processo di quantificazione e copertura finanziaria -  della contestualità tra l’approvazione di misure onerose e la predisposizione dei relativi mezzi di finanziamento, pur tenendo conto delle peculiarità di un processo di produzione normativa, quale quello della delega legislativa, sostanzialmente articolato in due fasi;

·       alla difficoltà di conciliare l’esigenza, espressa negli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, di farsi carico delle questioni inerenti la copertura finanziaria già in occasione dell’approvazione della legge delega con la necessità di disporre (soprattutto con riferimento alle deleghe di maggiore complessità) della completa definizione e conoscenza degli aspetti attuativi dell’intervento legislativo, ai fini della puntuale individuazione dell’impatto finanziario del medesimo e, quindi, del corretto assolvimento del vincolo di copertura finanziaria.

 

Tali aspetti di criticità comportano che il procedimento di verifica della relazione tecnica debba essere effettuato – con diverso grado di completezza in ragione degli elementi normativi disponibili – in più fasi: in sede di approvazione delle norme di delega e nella fase dell’emanazione di ciascun decreto legislativo. Tale criterio appare sotteso anche alla disciplina dettata dal citato art. 17 della legge n. 196, che configura il mero rinvio del procedimento di quantificazione e copertura al momento della definizione della normativa delegata come un’ipotesi di carattere eccezionale, in quanto collegata all’oggettiva complessità della materia trattata che renda non possibile in sede di conferimento della delega una compiuta analisi degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi.

L’ipotesi ordinaria è quindi quella della determinazione e copertura dell’onere recato dalle deleghe legislative già in sede di esame della legge di delega, talvolta anche mediante la predisposizione di stanziamenti, configurati come “tetti di spesa”, all’interno dei quali devono essere contenuti gli oneri che si determinano per effetto dell’emanazione dei successivi decreti legislativi. Le verifiche da compiere nelle due fasi sono quindi diverse: in quella iniziale andrebbero infatti accertate la congruità complessiva delle risorse stanziate e la sufficienza dei mezzi di copertura apprestati, mentre in quella successiva andrebbe verificata l’effettiva riconducibilità alle risorse stanziate dalla legge di delega degli oneri derivanti dai provvedimenti adottati nell’esercizio della stessa.

 

Tuttavia nella più recente prassi riscontrata nell’ambito dei procedimenti legislativi si è assistito al frequente differimento delle operazioni di quantificazione e verifica degli effetti finanziari giustificata o dall’intrinseca complessità della materia da disciplinare, anche in ragione dei criteri direttivi delle deleghe conferite o dall’introduzione tra i criteri direttivi di un vincolo complessivo ad attuare l’intervento di delega ad invarianza della spesa o del gettito.

 

Con riferimento proprio alle leggi di delega e al rinvio della quantificazione ai decreti legislativi, la Corte dei conti ha osservato che: “…il ricorso generalizzato alle clausole d’invarianza può risolversi in un ampio trasferimento alla successiva sede delegata della fase di costruzione degli effetti contabili della normativa e della relativa sistemazione negli equilibri di finanza pubblica. Un tale andamento, se da un lato appare sostanzialmente in linea con la legge di contabilità, che però prevede tale possibilità solo se non risulti possibile circoscrivere il perimetro finanziario dell’intervento nella sede della legge delega, d’altro canto, in molti casi, rischia di creare una pressione abnorme nella fase successiva della legislazione delegata.”[54].

 

Nei casi invece in cui la complessità dell’intervento di delega renda effettivamente problematica la valutazione dell’impatto finanziario al momento del conferimento della delega e si imponga quindi il rinvio ad analisi da effettuare alla luce della normativa delegata, le relazioni tecniche allegate ai disegni di legge delega potranno presentare caratteri ricognitivi e contenere valutazioni anche di carattere ipotetico, collegate ad esempio a scenari alternativi, mentre il procedimento di quantificazione e verifica degli oneri e delle coperture dovrà necessariamente svolgersi in maniera esaustiva in occasione della presentazione alle Camere degli schemi di provvedimenti adottati nell’esercizio della delega. Tuttavia già in occasione del conferimento delle delega, per suffragare la credibilità e la fattibilità complessiva dell’intervento sul piano finanziario e definirne anche in via approssimativa l’impatto, potranno essere richiesti dati ed elementi di valutazione attinenti, tra l’altro, alle grandezze finanziarie presumibilmente coinvolte, alla variabilità di tali effetti in ragione delle diverse ipotesi interpretative ed applicative dei principi di delega enunciati, ad eventuali effetti indiretti anche derivanti dal coordinamento con altre fattispecie normative che incidono in modo significativo sugli equilibri di finanza pubblica.

Quantificazione e copertura nella legge di bilancio

·       La nuova struttura della legge di bilancio

La mancata riproposizione nel nuovo testo dell’articolo 81 della Costituzione della disposizione secondo la quale «con la legge di bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese» ha sancito il passaggio da una concezione formale ad una concezione sostanziale della legge di bilancio. Ciò ha consentito l'unificazione delle leggi di bilancio e stabilità in un'unica legge, divisa in due sezioni.

A partire dal bilancio per l’esercizio 2017 (legge n. 232 del 2016), i contenuti della legge di bilancio e della legge di stabilità (prima denominata “legge finanziaria”) sono stati ricompresi in un unico provvedimento, appunto la legge di bilancio. La riforma è stata originariamente disposta dalla legge n. 243 del 2012 (legge rinforzata di attuazione del nuovo art. 81 Cost.) che ha previsto - all’art. 15 - un disegno di legge di bilancio articolato in due sezioni, rinviando ad una successiva legge statale la disciplina delle relative modalità di attuazione: a tale previsione si è, infine, dato seguito con la legge n. 163 del 2016, che ha novellato la legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009. La nuova impostazione ha quindi trovato applicazione, per la seconda volta, per la legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017).

Nel nuovo disegno di legge di bilancio, in sintesi:

-   la prima sezione (corrispondente alla vecchia legge di stabilità) contiene le disposizioni in materia di entrata e di spesa aventi ad oggetto misure quantitative, funzionali a realizzare gli obiettivi programmatici indicati dai documenti di programmazione economica e finanziaria;

-   la seconda sezione (corrispondente alla vecchia legge di bilancio) contiene le previsioni di entrata e di spesa a legislazione vigente, tenuto conto dei parametri economici indicati nei documenti di programmazione e delle proposte di rimodulazioni, nonché le variazioni determinate dalla prima sezione del disegno di legge: essa fornisce quindi previsioni “integrate” ed è costituita dallo stato di previsione dell'entrata, dagli stati di previsione della spesa distinti per Ministeri, e dal quadro generale riassuntivo con riferimento al triennio.

 

Per un approfondimento della nuova struttura della legge di bilancio si rinvia al dossier “I temi dell’attività parlamentare nella XVII legislatura – Politica economica e finanza pubblica” (aprile 2018).

·       La relazione tecnica riferita al disegno di legge di bilancio

Anche il disegno di legge di bilancio è corredato di una relazione tecnica, come ogni altro disegno di legge di iniziativa governativa e, come già avveniva per il disegno di “legge finanziaria” (poi denominata “legge di stabilità”) prima dell’unificazione in un unico documento. Nella nuova struttura del disegno di legge di bilancio, articolato, come sopra visto, in due sezioni, la relazione tecnica, per espressa previsione normativa, indica[55]:

a) la quantificazione degli effetti finanziari derivanti da ciascuna disposizione normativa introdotta nell'ambito della prima sezione;

b) i criteri essenziali utilizzati per la formulazione, sulla base della legislazione vigente, delle previsioni di entrata e di spesa contenute nella seconda sezione;

c) elementi di informazione che diano conto della coerenza del valore programmatico del saldo netto da finanziare con gli obiettivi programmatici definiti nel programma di stabilità (su cui si veda il successivo paragrafo).

Alla relazione tecnica sono poi allegati, per il triennio di riferimento:

-  un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari derivanti da ciascuna disposizione normativa introdotta nell'ambito della prima sezione ai sensi del presente articolo;

- un prospetto riassuntivo degli effetti finanziari derivanti da riprogrammazioni, rimodulazioni, rifinanziamenti e definanziamenti disposti nella seconda sezione sui tre saldi rilevanti di finanza pubblica.

Tali prospetti sono aggiornati al passaggio dell'esame del disegno di legge di bilancio tra i due rami del Parlamento.

 

Oltre a tale relazione tecnica riferita al testo iniziale, nel corso dell’esame parlamentare ulteriori relazioni tecniche sono presentate a corredo degli emendamenti di iniziativa governativa e, talvolta, anche di emendamenti di iniziativa parlamentare. Si ricorda che, per gli emendamenti governativi aventi effetti finanziari, l’obbligo di presentare una relazione tecnica è espressamente previsto dall’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica, con disposizione valevole per qualunque proposta di legge. Anche in rapporto a tali relazioni tecniche si svolge la verifica parlamentare delle quantificazioni. Fra di esse, particolare importanza assumono le relazioni tecniche riferite ai maxiemendamenti sui quali venga posta la questione di fiducia nel corso dell’esame del disegno di legge di bilancio. Poiché, infatti, tali maxiemendamenti in linea di principio incorporano il testo elaborato dalla Commissione Bilancio e lo “cristallizzano” in vista dell’approvazione da parte dell’Assemblea, le rispettive relazioni tecniche sono utilizzabili, secondo i casi, per il seguito dell’esame parlamentare o per la lettura del testo definitivo in quanto – di fatto – aggiornate alla versione più recente del testo normativo.

 

Con riferimento al testo definitivo della legge, comunque, si rammenta che, in numerose circostanze, è stata messa a disposizione, nei mesi successivi alla sua entrata in vigore, anche una relazione tecnica riferita al testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Oltre alla relazione tecnica come sopra descritta, nel disegno di legge di bilancio sono previsti, a corredo del testo, ulteriori elementi informativi che risultano utili in merito ai profili di quantificazione. Ci si riferisce, in particolare, ai seguenti:

- le note integrative al bilancio di previsione (da aggiornare all’approvazione della legge di bilancio). Per ciascuno stato di previsione è redatta una nota integrativa, i cui contenuti minimi, di seguito sintetizzati, sono individuati dalla legge.[56]

Per le entrate, la nota integrativa contiene i criteri per la previsione relativa alle principali imposte e tasse specificando, per ciascun titolo, la quota non avente carattere ricorrente e quella avente carattere ricorrente.

Per la spesa, ciascuna nota integrativa illustra, in particolare, le informazioni relative al quadro di riferimento in cui l'amministrazione opera e le priorità politiche, in coerenza con quanto indicato nel DEF e con gli obiettivi di spesa fissati per ciascun Ministero, riferiti al successivo triennio; la nota riporta quindi il contenuto di ciascun programma di spesa con riferimento alle unità elementari di bilancio sottostanti. Per ciascuna unità elementare di bilancio sono indicate le risorse finanziarie per il triennio di riferimento, i relativi riferimenti legislativi (cosiddetto “nomenclatore”) e i criteri di formulazione delle previsioni;

- un rapporto annuale sulle spese fiscali, che elenca qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell'imponibile o dell'imposta ovvero regime di favore, derivante da disposizioni normative vigenti. Per un’analisi di tale rapporto si rinvia al paragrafo relativo ai criteri di contabilizzazione delle spese fiscali (tax expenditures);

- una nota tecnico-illustrativa di raccordo tra il disegno di legge di bilancio e il conto consolidato.

 

 

Rapporto tra legislazione di spesa e stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione.

 

Un argomento rilevante della contabilità generale dello Stato, oltre che essenziale all'analisi degli equilibri della finanza pubblica, è quello del puntuale raccordo tra dimensione legislativa delle previsioni di spesa e riflessi contabili, in termini di stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione dello Stato.

Tale lettura “a specchio", in un documento che ha una valenza giuridico-autorizzatoria come legge di bilancio, impone, almeno sul piano concettuale, una riconoscibilità e simmetria di ciascuno stanziamento di spesa, come conseguenza e ricaduta di una norma in vigore rappresentandone la traduzione contabile di esecuzione dei relativi pagamenti per l'amministrazione gerente dello stanziamento. Va sottolineato che, ancor oggi, tale simmetria non è sempre di immediata individuazione.

A partire dal 2009 la struttura di classificazione delle poste di spesa di bilancio è stata semplificata per effetto delle riforme intervenute della contabilità generale dello Stato, si è infatti passati, progressivamente, ad elevare la sintesi nella individuazione della unità elementare del bilancio (che è, come si diceva, da sempre crocevia del raccordo tra stanziamento e autorizzazione legislativa), dal riferimento al capitolo, alla unità previsionale di base (u.p.b.), sino alla indicazione, nell'ambito della nuova cornice, del programma di spesa come unità di voto del bilancio. Parallelamente è stato previsto un rafforzamento dei margini di flessibilizzazione degli stanziamenti, consentendo una maggiore versatilità nell'utilizzo delle risorse, stanziate nell'ambito di aggregazioni più ampie. In particolare, con decreto del Ministro competente possono essere rimodulate le dotazioni finanziarie nell'ambito di ciascun programma, con esclusione delle spese per fattori legislativi e per oneri inderogabili. Inoltre, con decreti direttoriali, possono essere disposte variazioni compensative nell'ambito degli stanziamenti di spesa di ciascuna azione, sempre rispettando i vincoli per fattori legislativi e oneri inderogabili. Possono poi effettuarsi variazioni compensative tra consumi intermedi e investimenti fissi lordi nell'ambito dello stato di previsione di ciascun ministero. (art. 33, commi 4-4-sexies).

L'articolo 21, comma 5, della legge di contabilità n. 196 del 2009, ha individuato una netta distinzione tra gli stanziamenti di spesa iscritti in bilancio, distinguendo tra oneri inderogabili, fattori legislativi e fabbisogno.

Gli oneri inderogabili sono spese vincolate a particolari meccanismi o parametri che ne regolano l'evoluzione, determinati sia da leggi sia da altri atti normativi. Rientrano tra gli oneri inderogabili le cosiddette spese obbligatorie, ossia quelle relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, quelle derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle così identificate per espressa disposizione normativa.

I fattori legislativi sono le spese autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio.

Le spese di adeguamento al fabbisogno sono definite dalla legge di contabilità per esclusione come le spese diverse da quelle precedenti, quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni

Perciò, ai fini della copertura finanziaria di un nuovo onere, riveste un ruolo essenziale la natura giuridica dei fattori di spesa sottesi alle dotazioni finanziarie a legislazione vigente di ciascun programma di spesa che si intende ridurre.

·       Coerenza del saldo di bilancio con gli obiettivi programmatici

Come già rilevato, la riforma della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009) prevede che la relazione tecnica riferita al disegno di legge di bilancio contenga anche elementi di informazione che diano conto della coerenza del valore programmatico del saldo netto da finanziare o da impiegare con gli obiettivi programmatici di cui all'articolo 10?bis, comma 1, della stessa legge n. 196.

Tale norma richiama a sua volta l’art. 10, comma 2, lett. e), che fa riferimento agli obiettivi programmatici definiti in coerenza con quanto previsto dall'ordinamento europeo, indicati per ciascun anno del periodo di riferimento, in rapporto al prodotto interno lordo e, tenuto conto della manovra di finanza pubblica, per l'indebitamento netto, per il saldo di cassa, al netto e al lordo degli interessi e delle eventuali misure una tantum ininfluenti sul saldo strutturale del conto economico delle amministrazioni pubbliche, e per il debito delle amministrazioni pubbliche, articolati per sottosettori della pubblica amministrazione.

 

Nella Nota tecnico-illustrativa riferita al disegno di legge di bilancio dovranno poi essere indicati gli elementi di dettaglio sulla coerenza del valore programmatico del saldo netto da finanziare o da impiegare con i predetti obiettivi programmatici, dando separata evidenza alle regolazioni contabili e debitorie pregresse.

Tale funzione è prevista dalla legge di contabilità (come riformata dalla L. n. 163/2006) la quale, all’art. 21, dispone che il disegno di legge di bilancio sia accompagnato da una nota tecnico-illustrativa e definisce la nota come un documento conoscitivo di raccordo tra il disegno di legge di bilancio e il conto consolidato delle amministrazioni pubbliche, che espone i contenuti del medesimo disegno di legge, i suoi effetti sui saldi di finanza pubblica e i criteri utilizzati per la quantificazione degli stessi. La norma prevede altresì che la nota sia aggiornata al passaggio del disegno di legge di bilancio tra i due rami del Parlamento. Inoltre, anche in mancanza di un’espressa previsione normativa, la RGS usualmente pubblica la NTI riferita alla legge di bilancio approvata[57].

 

In particolare, in seguito alla riforma della struttura della legge di bilancio (ora articolata, come visto, in due sezioni), la predetta analisi di coerenza è raffigurata in una tavola descrittiva (“tavola di raccordo”) inclusa nella relazione tecnica riferita alla sez. II del disegno di legge di bilancio: tale tavola, infatti, rappresenta visivamente, attraverso una serie di passaggi, la coerenza tra il saldo programmatico riferito al bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare) ed il saldo programmatico delle amministrazioni pubbliche nel loro complesso (indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni), come definito dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e dalle relative risoluzioni parlamentari.

Sono infatti illustrati i passaggi che, a partire dal bilancio dello Stato, conducono alla definizione dell’obiettivo programmatico relativo al conto economico della p. a., in conformità all’ordinamento europeo.

Come si può rilevare anche dalle Note tecnico – illustrative riferite alle ultime manovre, il raccordo analitico volto a verificare la coerenza tra i due saldi riguarda essenzialmente i seguenti aspetti:

·       individuazione delle differenze riconducibili all’applicazione di differenti criteri di classificazione, allo scopo di tener conto dell’irrilevanza, ai fini del conto economico delle pubbliche amministrazioni, delle operazioni di natura finanziaria. Sono quindi esclusi gli effetti di talune operazioni, irrilevanti per il conto economico, e sono effettuate riclassificazioni nell’ambito delle operazioni di tipo economico da una voce di spesa ad altre;

·       il passaggio dai criteri della contabilità finanziaria, utilizzati per la predisposizione del bilancio dello Stato, ai principi contabili della contabilità nazionale, che fanno riferimento invece alla competenza economica; ciò con particolare riguardo al momento di registrazione ed al trattamento di operazioni specifiche. Ad esempio, il sistema dei conti nazionali prevede che la registrazione dei rinnovi contrattuali e degli eventuali arretrati venga effettuata nel momento di perfezionamento del contratto e non in quello dello stanziamento delle somme in bilancio. Inoltre, per alcune fattispecie di operazioni vengono applicate specifiche linee guida contenute nelle decisioni emanate da Eurostat;

·       il diverso perimetro istituzionale di riferimento del bilancio dello Stato rispetto a quello del conto economico di contabilità nazionale dello Stato. L’accezione di Stato dei conti nazionali, infatti, in conformità al Sec 2010, ed al Government Finance Statistics Manual (GFSM 2014) del FMI, esige che il perimetro dello Stato sia determinato in modo da consentire la rappresentazione contemporanea dei poteri statali: esecutivo, legislativo, impositivo e di controllo. Ciò comporta che il sotto-settore istituzionale "Stato" della contabilità nazionale includa, oltre all’Amministrazione statale in senso stretto, cui fa riferimento il bilancio dello Stato, anche la Presidenza del Consiglio (che dal 2000 presenta un conto consuntivo separato), gli Organi costituzionali dello Stato, la Corte dei conti, le Agenzie fiscali, il Tar e il Consiglio di Stato. L’inclusione di tali enti nel comparto Stato avviene con una procedura di consolidamento dei rispettivi dati contabili con quelli del bilancio dello Stato.

 

Le indicazioni contenute nella relazione tecnica allegata al testo iniziale del disegno di legge di bilancio, pur riportando gli effetti complessivi, non esplicitano tuttavia evidenti gli elementi sottostanti le variazioni e le specifiche riclassificazioni contabili che concorrono a determinare gli effetti indicati dalla relazione tecnica in corrispondenza dei singoli passaggi. Ciò in quanto, come già rilevato, tali indicazioni di dettaglio, in base alla legge n. 196/2009, devono essere fornite dalla Nota tecnico - illustrativa al disegno di legge di bilancio (in genere presentata in una più avanzata fase di esame del disegno di legge di bilancio).



 

PARTE IV – CRITERI DI CONTABILIZZAZIONE E QUANTIFICAZIONE DI VOCI DI ENTRATA

Le entrate della p.a.

Ai fini del conto economico della pubblica amministrazione le entrate sono generalmente classificate in entrate tributarie, entrate contributive, altre entrate correnti ed entrate in conto capitale non tributarie. Le entrate tributarie sono a loro volta distinte in imposte dirette, imposte indirette ed imposte in conto capitale.

In materia tributaria la quantificazione degli effetti finanziari di norme che intervengono sulla disciplina vigente è effettuata considerando:

-   le modifiche inserite nella proposta normativa esaminata (ad esempio, una variazione di aliquota fiscale);

-   i dati disponibili in relazione alla variabile sulla quale si intende intervenire (ad esempio, la base imponibile o il gettito dell’imposta);

-   ulteriori possibili variabili, interessate dall’introduzione della proposta normativa, Tra cui quelle di carattere comportamentale (rilevanti nel caso in cui, ad esempio, ai fini della stima degli effetti di gettito sia rilevante considerare anche il tasso di adesione ad una specifica misura).

Nell’attività di verifica del procedimento di quantificazione i predetti effetti sono esaminati con riguardo all’impatto delle norme sui diversi saldi di finanza pubblica (saldo netto da finanziare, fabbisogno e indebitamento della pubblica amministrazione). Non sono, invece, di regola considerati gli effetti riferiti a possibili impatti delle norme sul quadro macroeconomico e ai conseguenti effetti di maggiore o minor gettito, ad eccezione di quanto talvolta previsto per specifiche misure, generalmente adottate nel quadro delle manovre di finanza pubblica. Si punto si rinvia al paragrafo relativo agli “effetti indotti e effetti di retroazione”.

Analisi delle entrate in termini di competenza e cassa

Ai fini della determinazione degli effetti finanziari delle norme in materia di entrate, occorre tener conto della distinzione tra effetti di competenza ed effetti di cassa; tale distinzione assume profili di particolare complessità con riferimento alle entrate tributarie.

Nel nostro ordinamento, infatti, sono presenti numerose tipologie di imposte, per ognuna delle quali sono stabilite specifiche modalità e termini di versamento. In alcuni casi il credito tributario dello Stato (o di altro ente pubblico) può sorgere in un periodo d’imposta differente da quello in cui il contribuente deve effettuare il pagamento dell’imposta stessa. Ciò comporta, ai fini dell’iscrizione degli effetti finanziari, un disallineamento temporale tra l’annualità cui si riferiscono gli effetti in termini di competenza giuridica e quelli che si producono in termini di cassa.

La nozione di competenza è stata finora intesa in termini di competenza giuridica. Tuttavia, parallelamente a quanto già previsto, sul lato delle spese, sulla base del principio di c.d. “competenza finanziaria rinforzata” (cfr. approfondimento su “La nuova disciplina dei residui e delle fasi dell'impegno e del pagamento” ), per  quanto attiene alle entrate è stata di recente introdotta, in via sperimentale, (Decreto legislativo n. 29 del 2018, recante Schema di decreto legislativo integrativo e correttivo del decreto legislativo 12 maggio 2016, n. 93, in materia di riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa in attuazione dell’articolo 42, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196), il riferimento al c.d. “accertamento qualificato” in base al quale le entrate sono determinate dai “redditi, proventi e crediti di qualsiasi natura che lo Stato, avendone diritto, prevede di riscuotere nell’anno di riferimento”. Si tratta, quindi, di un concetto diverso da quello di competenza giuridica, che fa riferimento al complesso delle entrate per le quali sussiste un diritto dello Stato all’acquisizione. L’accertamento qualificato tende infatti ad approssimare la nozione di cassa, che fa riferimento al momento della effettiva riscossione.

 

Ai fini dell’impatto sui diversi saldi di finanza pubblica, i criteri di imputazione variano a seconda della tipologia di entrata considerata.

Il criterio di cassa è utilizzato, in base ad una prassi ormai consolidata, per l’imputazione contabile degli effetti finanziari riferiti a norme che interessano il regime ordinario di tassazione.

Tale criterio è applicato anche per le imposte dirette liquidate dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi (c.d. meccanismo di saldo/acconto) e mira a rappresentare la distribuzione effettiva dei versamenti nei diversi esercizi considerati. Occorre, infatti, considerare che la dichiarazione dei redditi è presentata nel periodo d’imposta successivo a quello cui i redditi si riferiscono e che, contestualmente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, i contribuenti versano:

-   il saldo delle imposte relative al periodo d’imposta precedente;

-   l’acconto dovuto per l’esercizio in corso.

A titolo esemplificativo, si consideri un intervento normativo in materia di IRPEF che comporti effetti finanziari di maggiori entrate (rilevabili in dichiarazione dei redditi), pari a 100 euro annui in termini di competenza giuridica. Si consideri, inoltre, che per la stima degli effetti di cassa, secondo la prassi ormai consolidata, la misura dell’acconto di norme che interessano la generalità dei contribuenti sia pari al 75% per l’IRPEF/IRES e all’85% per l’IRAP. Pertanto - ipotizzando che i contribuenti, in sede di acconto, applichino il criterio storico e non considerino le innovazioni introdotte – gli effetti finanziari seguirebbero lo sviluppo indicato nel seguente prospetto.

 

 

Anno 1

Anno 2

Anno 3

Anno 4

Maggiori entrate IRPEF/IRES

 

 

 

 

Competenza giuridica

100

100

100

100

Cassa

0

175

100

100

di cui

 

 

 

 

saldo (anno precedente)

 

100

25

25

acconto (anno di riferimento)

 

75

75

75

 

Gli effetti di gettito così stimati, utilizzabili anche per la copertura di nuove norme onerose, sono contabilizzati ai fini dei tre saldi di finanza pubblica (saldo netto da finanziare, indebitamento netto e fabbisogno).

Si segnala che le modalità di imputazione degli effetti sopra descritti hanno fatto emergere talvolta profili critici in sede di copertura di nuovi oneri mediante previsioni normative produttive di maggior gettito, per la mancata contabilizzazione di effetti finanziari positivi da utilizzare nel primo esercizio di applicazione delle norme. Per ovviare a tale situazione è stata in alcuni casi inserita, nelle proposte produttive di maggior gettito, una disposizione che prevede l’obbligo di determinare l’acconto da versare nel primo anno considerando già le modifiche normative introdotte (applicando quindi il metodo c.d. “previsionale” in luogo di quello storico). In questi casi, fermo restando il disallineamento temporale tra competenza giuridica e cassa, dovuto all’operare del meccanismo di saldo/acconto, gli effetti di gettito sono stati previsti fin dal primo anno di applicazione delle nuove disposizioni, in misura che comunque non può eccedere la percentuale dell’acconto dovuto.

 

Ulteriori casi di disallineamento temporale tra competenza e cassa sono rappresentati dagli effetti finanziari relativi ad interventi in materia di potenziamento dell’accertamento e della riscossione di imposte. In questo caso si pongono spesso problemi riferiti alla certezza del maggior gettito acquisibile: il profilo di incertezza può riguardare sia l’aspetto quantitativo – ossia quanta parte delle somme accertate (es. iscritte a ruolo) saranno effettivamente incassate - sia il profilo temporale, ossia quando effettivamente il contribuente effettuerà il pagamento (ad esempio, il contribuente potrebbe avviare un ricorso oppure chiedere una rateizzazione del debito).

Pertanto, a differenza delle imposte acquisite in via ordinaria, per le entrate riferite ad attività di accertamento o di riscossione i criteri non sono omogenei, ma richiedono una specifica analisi in merito al presumibile impatto finanziario della singola proposta normativa esaminata.

Uno dei criteri finora maggiormente utilizzati è stato quello di registrare un miglioramento del saldo del bilancio dello Stato (SNF determinato in termini di competenza giuridica) corrispondente all’importo dell’accertamento stimato, mentre ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto è stata registrata una quota dell’importo accertato, calcolata ipotizzando le possibilità effettive di riscossione. In generale, in materia di contrasto all’evasione, secondo un criterio di prudenzialità, gli effetti iscritti sui saldi di fabbisogno e indebitamento rappresentano una percentuale contenuta (compresa in molti casi fra il 5 ed il 15 per cento) rispetto all’importo dell’accertamento, registrato sul SNF.

La differenza tra gli effetti contabilizzati ai fini dei diversi saldi dovrebbe risultare in gran parte riassorbita a seguito dell’applicazione dei nuovi criteri di contabilizzazione basati sull’ “accertamento qualificato(cfr. supra).

 

Ulteriori criteri utilizzati, come già evidenziato, variano in relazione alle singole misure adottate. A titolo esemplificativo, si richiamano alcune misure introdotte al fine di determinare un’emersione di base imponibile rispetto alle quali i criteri di imputazione degli effetti finanziari presentano caratteristiche eterogenee. Sul punto si rinvia al paragrafo relativo a “previsioni di entrata e modelli comportamentali”.

 

Utilizzo di modelli di microsimulazione

Un elemento problematico per la verifica delle stime di variazione del gettito riportate nelle relazioni tecniche attiene all’effettiva disponibilità dei dati e delle informazioni sottostanti tali quantificazioni. In molti casi, soprattutto con riferimento a norme di carattere fiscale, le relazioni tecniche si limitano essenzialmente a fornire il risultato finale delle quantificazioni, spesso ottenuto attraverso l’applicazione di modelli di microsimulazione, di cui dispone l’Amministrazione finanziaria. Non assumono quindi un’esplicita evidenza, nella documentazione che dà conto dell’attività di quantificazione, parametri e valori di carattere intermedio utilizzati ai fini della stima, in quanto impliciti nel modello di simulazione adottato.

La mancanza di tali indicazioni non consente peraltro di procedere ad un’esaustiva ricostruzione dell’intero procedimento di stima degli effetti finanziari e, quindi, di disporre di elementi idonei a verificare i risultati finali esposti nelle relazioni tecniche.

I Servizi Bilancio delle Camere hanno sottolineato, in diverse occasioni, come la carenza di informazioni di carattere intermedio, a corredo dei risultati tratti dal modello, faccia sì che la verifica delle stime, in ambito parlamentare, non possa basarsi che su ricostruzioni parziali, a partire dalle informazioni disponibili e basandosi su considerazioni prevalentemente di carattere metodologico.

È stato altresì evidenziato che la conoscenza dei dati e dei parametri sottostanti le stime – quali ad esempio, le basi imponibili, le aliquote e il numero di soggetti interessati dalle singole imposte oggetto di intervento, nonché ulteriori informazioni riferibili alle diverse quantificazioni (detrazioni, deduzioni, ipotesi adottate, ecc.) – assicurerebbe anche la comparabilità, nel tempo, degli elementi addotti a corredo di quantificazioni riferite a fattispecie analoghe e consentirebbe una più certa valutazione dell’impatto di eventuali proposte emendative presentate nel corso dell’esame parlamentare dei progetti di legge vertenti in materia di entrate.

Si segnala che il modello di microsimulazione adottato dal Dipartimento delle finanze del MEF è basato su dati reali rilevati dalle dichiarazioni dei redditi presentate ovvero, per i contribuenti esonerati dall’obbligo di presentazione, da altri documenti idonei a fornire le informazioni necessarie[58].

Nella Nota Metodologica pubblicata sul sito del MEF - Dipartimento delle finanze si legge che “i dati elaborati sono quelli dichiarati dal contribuente, non ancora liquidati dagli Uffici competenti e quindi soggetti alla presenza di possibili incongruenze. Per una valutazione sia fiscale che economica, i dati devono essere letti tenendo presente la complessità delle norme tributarie. Esse possono divergere consistentemente in relazione alle varie tipologie di imposta (IRPEF, IRES, IVA ed IRAP) ed ai soggetti dichiaranti (persone fisiche, società, enti non commerciali ecc…). Si ricorda, ad esempio, che le operazioni poste in essere da un soggetto nella propria attività di impresa rilevano ai fini dell’imposizione diretta (IRPEF, IRES) ed indiretta (IVA) sulla base di diversi criteri di “competenza” e “cassa”.”

 

Ulteriori modelli di microsimulazione sono utilizzati da altre istituzioni: tali modelli, a differenza di quello prima descritto, sono basati su dati derivanti da indagini statistiche (dati campionari). Pertanto, i risultati delle simulazioni ottenuti con questi strumenti di analisi potrebbero differire da quelli derivanti dal modello dell’Agenzia delle entrate, per quanto attiene al calcolo degli effetti di gettito. Tali modelli sono per lo più utilizzati per analisi relative agli effetti redistributivi di interventi di politica fiscale.

Si ricordano a titolo esemplificativo i modelli di microsimulazione utilizzati dall’Istat e dalla Banca d’Italia.

 

Previsioni di entrata e modelli comportamentali

Come già ricordato, mentre per le imposte ordinarie la metodologia di quantificazione degli effetti può seguire criteri “standardizzati”, nel caso di attività di contrasto all’evasione fiscale la stima degli effetti finanziari richiede l’adozione di ipotesi e metodologie non necessariamente omogenee.

Tra le variabili considerate nella stima delle variazioni di entrata possono assumere rilevanza le ipotesi adottate in merito ai comportamenti dei contribuenti. Infatti, mentre in alcuni casi l’intervento normativo non appare suscettibile di modificare in modo rilevante le scelte dei soggetti interessati (e quindi la stima può essere effettuata “a parità di altre condizioni”), per altre fattispecie ai fini della stima degli effetti di gettito, è necessario formulare specifiche ipotesi riguardo ai comportamenti dei contribuenti, anche sotto forma di “tassi di adesione” alle misure introdotte.

Qualora, ad esempio, siano introdotte agevolazioni in favore di una tipologia di bene (ad esempio l’utilizzo di prodotti ecocompatibili), è necessario formulare ipotesi riguardo al possibile spostamento dei consumi in favore dei beni oggetto dell’agevolazione, al fine di pervenire ad una corretta quantificazione del relativo impatto sul gettito.

 

La variazione dei modelli comportamentali dei contribuenti assume particolare rilevanza nelle norme finalizzate al contrasto all’evasione fiscale. Si riportano, di seguito, alcuni recenti interventi effettuati in materia che danno conto di diversi criteri utilizzati in funzione della specifica tipologia di intervento.

 

·       Trasmissione periodica dei dati IVA

Si ricorda in proposito l’articolo 4 del decreto legge n. 193 del 2016 (c.d. decreto fiscale) ha introdotto l’obbligo di trasmissione periodica dei dati IVA con cadenza trimestrale all’Agenzia delle entrate in sostituzione della disciplina previgente (c.d. “spesometro”). Rinviando a quanto più dettagliatamente indicato dalla relazione tecnica riferita al provvedimento, si evidenzia che, come affermato dalla medesima RT, “tale innovazione comporterà un incremento di gettito dovuto sia al maggior stimolo alla compliance, tramite l’attività dissuasiva posta in essere dall’Agenzia delle entrate, sia un incremento dovuto all’accelerazione delle somme riscosse tramite i controlli automatizzati”.

L’incentivo alla compliance riguarda, in particolare, la possibilità che il contribuente, in presenza di norme che consentono un controllo più accurato e più celere da parte dell’Amministrazione finanziaria, riduca i propri comportamenti elusivi: si tratta quindi di un effetto deterrente che interviene sulle scelte del contribuente. A tale effetto sono state ascritte maggiori entrate che, essendo riferite alla tassazione ordinaria, hanno carattere strutturale ed incidono in ugual misura sui tre saldi di finanza pubblica.

Con riferimento al secondo aspetto (controlli automatizzati), le stime interessano esclusivamente un profilo temporaneo di cassa in quanto volte a quantificare gli effetti derivanti dall’accelerazione della riscossione di somme non versate. Questi ultimi hanno quindi carattere temporaneo in quanto il maggior gettito derivante dalla predetta accelerazione si manifesta nel primo periodo di applicazione, mentre nel più lungo periodo gli effetti di maggiore entrata sono “riassorbiti” a causa del riallineamento dei risultati di gettito rispetto a quelli già scontati ai fini dei tendenziali, avuto riguardo alle precedenti tempistiche di controllo.

Nella fattispecie in esame, la RT ha ipotizzato un anticipo nell’acquisizione del gettito nei primi due anni, con riallineamento, dal terzo anno, ai precedenti risultati di gettito, già scontati nei tendenziali. Più in dettaglio, alla misura sono stati ascritti effetti positivi pari a 2,11 miliardi nel 2017 (gli effetti sono proporzionalmente ridotti in funzione dell’entrata in vigore, nel corso del 2017, della disposizione e comprendono 0,70 miliardi per anticipazione dei controlli automatizzati), 4,23 miliardi nel 2018 (di cui 1,40 miliardi per anticipazione dei controlli automatizzati) e a 2,77 miliardi a decorrere dal 2019 (gli effetti per anticipazione dei controlli automatizzati sono azzerati).

 

·       Lo split payment

Un’ulteriore misura rilevante ai fini della presente analisi è quella dello split payment, finalizzata a contrastare l’evasione di imposta sul valore aggiunto (IVA).

Si tratta di un sistema di liquidazione dell’IVA con cui si realizza la separazione del pagamento dell’imponibile da quello della corrispondente IVA. In sostanza, il soggetto acquirente paga al suo fornitore la sola quota imponibile mentre la quota IVA è versata dal committente direttamente all’Erario. La disciplina ha natura transitoria ed è attualmente autorizzato dall’Unione Europea fino al 30 giugno 2020[59].

La norma originaria – successivamente modificata al fine di ampliarne l’ambito applicativo – è stata introdotta dalla legge di stabilità 2015 che ne ha previsto l’applicazione per le fatture emesse nei confronti della PA. La relazione tecnica riferita alla norma introduttiva afferma che la stessa è volta al recupero di gettito IVA mediante la eliminazione del “tasso di perdita”[60] dell’imposta dovuta ai diversi passaggi tra il committente pubblico ed il fornitore privato. Tra le ipotesi adottate ai fini della stima dei relativi effetti di gettito, sono state considerate le modifiche di comportamento da parte dei soggetti interessati che contribuiscono alla determinazione di maggiori entrate IVA senza l’intervento di una specifica attività di accertamento fiscale. Gli effetti finanziari ascritti alla norma sono stati ritenuti di carattere permanente con un medesimo impatto stimato ai fini dei tre saldi di finanza pubblica.

In particolare, il presupposto su cui si basa la stima del maggior gettito è che l’affidabilità fiscale dell’acquirente sia superiore a quella del fornitore. A tal fine la RT riferita alla legge di stabilità 2015 calcola il valore di “fedeltà fiscale” per ciascuna tipologia di soggetti interessati (pubblica amministrazione e fornitori della PA). Applicando un criterio proporzionale a tale diverso grado di fedeltà, la RT stima la quota parte del complessivo gap IVA di settore recuperabile per effetto della norma. In particolare, la relazione tecnica riferita alla norma originaria (legge di stabilità 2015), ha indicato un range di maggiore IVA compreso tra 741 milioni e 1.235 milioni di euro ed ha ascritto effetti positivi di gettito, a decorrere dal 2015, pari a 988 milioni di euro annui (valore medio).

La norma originaria è stata oggetto di modifiche dirette, in via prevalente, ad ampliare l’ambito di applicazione dello split payment. Nei successivi interventi normativi, l’effetto positivo scontato ai fini dei saldi, ottenuto applicando la medesima metodologia indicata nella relazione tecnica riferita alla norma iniziale, è stato disaggregato al fine di distinguere il maggior gettito lordo IVA e le maggiori spese per rimborsi o compensazioni d’imposta.

Tra le modifiche introdotte alla originaria disciplina si segnala l’ampliamento dell’ambito soggettivo disposto dal decreto legge n. 50 del 2017, cui sono ascritti effetti (al netto di rimborsi e compensazioni) pari a 1.555 milioni per gli anni 2018 e 2019. Tale valore è ottenuto stimando un maggior gettito IVA pari a 5.319 milioni annui, al quale è sottratto un ammontare di rimborsi e compensazioni pari, rispettivamente, a 2.533 milioni e a 1.231 milioni.

 

·       La voluntary disclosure

Si richiama, infine, la disciplina della collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure) - introdotta nel corso della XVII legislatura dalla legge n. 186 del 2014 e successivamente modificata al fine di ampliarne l’ambito di applicazione - che consente l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale. In considerazione della difficoltà di stimare in via preventiva un tasso di adesione alla misura, a quest’ultima non sono stati ascritti inizialmente effetti di gettito (DL n. 186/2014). Peraltro, poiché la norma prevede uno specifico monitoraggio delle entrate e la loro destinazione ad un apposito fondo, la contabilizzazione degli effetti positivi è stata effettuata periodicamente, tenendo conto delle richieste presentate dai contribuenti interessati. Sulla base di tali dati sono state via via effettuate proiezioni riferite al gettito acquisibile su base annua.  Tale previsione di gettito è stata quindi contabilizzata, ai fini dei tre saldi di finanza pubblica, ed utilizzata come di seguito indicato.

In particolare:

-        il DL 153/2015 ha utilizzato le entrate derivanti dalla voluntary disclosure per la compensazione del mancato gettito già attribuito al reverse charge nel settore della grande distribuzione (728 milioni nel 2015) e venuto meno a seguito della mancata autorizzazione comunitaria. La relazione tecnica indicava– sulla base dell’analisi di parte delle dichiarazioni già acquisite – entrate per 1.406 milioni di euro. Tale importo è stato quindi destinato alla copertura sia del citato mancato gettito attribuito al reverse charge (728 milioni nel 2015) sia per la copertura finanziaria di oneri di cui all’art.15 della legge n. 102/2015[61] (671,1 mln nel 2015 e 17,8 mln nel 2016);

-        la legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) ha previsto entrate derivanti dalla voluntary disclosure per l’anno 2016. L’ammontare, inizialmente fissato in 2.000 miliardi di euro, è stato incrementato di 100 milioni dal DL n. 191/2015 (c.d. decreto ILVA) e di 220 milioni dal DL n. 18/2016[62]. Tali importi sono stati utilizzati a copertura finanziaria di oneri recati dalla stessa legge di stabilità e dagli altri provvedimenti richiamati;

-        la legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017) ha ascritto effetti positivi per voluntary disclosure in misura pari a 1.600 miliardi per l’anno 2017. Tale importo è stato utilizzato per la copertura finanziaria degli oneri recati dal medesimo provvedimento;

-        il DL n. 148/2017 (collegato fiscale alla legge di bilancio 2018) è intervenuto sul valore delle entrate da voluntary già scontate nel 2017. La relazione tecnica ha evidenziato che, in base all’andamento dei livelli di riscossione, le prevedibili entrate per il 2017 risultavano pari a 530 milioni in luogo dei 1.600 milioni utilizzati dalla legge di bilancio 2017. Nel prospetto riepilogativo ha quindi provveduto a compensare, con ulteriori misure, la predetta differenza di entrate per un valore di 1.070 milioni di euro nel 2017.

 

Proiezioni di entrata oltre il triennio

Con riferimento ai profili di modulazione temporale degli effetti delle norme di entrata, si evidenziano di seguito alcuni casi in cui gli effetti di gettito assumono segno o ammontare diverso nella prima fase di applicazione delle norme rispetto a quelli che si determinano nel più lungo periodo.

 

·       Imposte sostitutive

L’imposta sostitutiva è un’imposta che viene applicata ad alcuni redditi in sostituzione dell'imposta ordinaria (in genere di importo più elevato) ai quali quei redditi avrebbero dovuto essere assoggettati. Sul piano metodologico, la valutazione degli effetti finanziari delle norme che istituiscono tali imposte impone di considerare distintamente l’impatto sui saldi riferito al primo periodo di applicazione, che può spesso risultare positivo, dagli effetti di più lungo periodo.

Sono classificabili tra tali misure, a titolo esemplificativo, le imposte connesse all’esercizio di determinate opzioni da parte dei contribuenti, quali la rivalutazione volontaria dei cespiti dell’attivo patrimoniale (immobili, terreni e beni d’impresa).

In questa ipotesi, in applicazione dell’imposta, si registra per l’erario una maggiore entrata dovuta al pagamento dell’imposta sostitutiva da parte del contribuente, per effetto dell’adesione alla rivalutazione dei beni, cui corrisponde, tuttavia, negli anni successivi, una riduzione del gettito ordinario delle imposte dirette per maggiori ammortamenti e minori plusvalenze tassabili, conseguente ai maggiori valori oggetto di riallineamento rispetto a quanto precedentemente previsto.

Pertanto, con specifico riferimento all’iscrizione degli effetti di tali norme sui saldi di finanza pubblica, si genera un effetto di maggior entrata nei primi anni di applicazione della norma, pur in presenza dell’introduzione di un regime agevolativo per il contribuente. Tuttavia a tale effetto spesso si accompagna, in anni successivi al periodo di prima applicazione, un effetto negativo di minore entrata, dovuto alla differenza tra l’imposta ordinaria, non più dovuta, e la nuova imposta sostitutiva (più favorevole).

 Pertanto in tali casi, anche se il prospetto riepilogativo triennale si limita a dar conto dell’effetto iniziale, la RT quantifica anche gli effetti negativi che, generalmente, si realizzano oltre il triennio. Di tale impatto occorre tener conto nel valutare la compensazione complessiva degli effetti derivanti ai fini della copertura finanziaria.

Non sempre tuttavia la RT ha fornito precise indicazioni al riguardo. In proposito si ricorda il caso della disposizione relativa alla rivalutazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola previo pagamento di un’imposta sostitutiva determinata sui valori di acquisto rivalutati, oggetto di numerose proroghe negli ultimi anni (da ultimo l’articolo 1, commi 997-998, della legge n. 205 del 2017). Si rileva che alla disposizione sono stati ascritti effetti positivi (evidenziati dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari e dalla relazione tecnica) nei primi tre anni di applicazione, mentre gli effetti negativi, diluiti nel tempo, in quanto suscettibili di verificarsi al momento della vendita dei beni rivalutati, non sono stati considerati inizialmente dalle RT allegate alle disposizioni che hanno previsto le varie proroghe. In sede di esame degli effetti finanziari connessi alla citata disposizione e alle relative proroghe, è stata, pertanto, più volte evidenziata la necessità che la relazione tecnica desse conto degli effetti ascritti nelle annualità successive al triennio considerato nel prospetto riepilogativo al fine di garantire, fra l’altro, la copertura degli oneri oltre il triennio di competenza del bilancio.

Le ultime norme intervenute danno quindi conto anche degli effetti oltre il triennio.

 

·       Detrazioni IRPEF per spese di ristrutturazione

La valutazione della cadenza temporale degli effetti della detrazione IRPEF per spese di ristrutturazione edilizia e riqualificazione energetica tiene conto dei seguenti aspetti della disciplina:

-     il contribuente sostiene, in un periodo d’imposta, le spese che danno origine all’agevolazione fiscale. Il beneficio, tuttavia, viene fruito dal contribuente in dieci rate annuali, con corrispondenti oneri per la finanza pubblica, contabilizzati di anno in anno. In termini di cassa, per il primo anno l’effetto è ridotto in virtù del meccanismo di saldo/acconto;

-     alla misura agevolativa viene associato anche un “effetto indotto”, consistente nell’incremento del fatturato nel settore e ai conseguenti incrementi di gettito tributario (IVA e imposte dirette).

Per un’esaustiva analisi della categoria degli “effetti indotti” di maggiore entrata, si rinvia al paragrafo successivo.

 

Va inoltre considerato che la normativa vigente riconosce, a regime, la detrazione per ristrutturazioni nella misura del 36 per cento. Di anno in anno tale aliquota può essere incrementata, con effetti di carattere temporaneo.

La detrazione per riqualificazione energetica viene invece riconosciuta in via temporanea; la misura è quindi oggetto di proroghe per lo più annuali e con aliquote variabili.

Gli effetti di maggiore entrata che sono in genere associati a tali misure (c.d. “effetti indotti” di incremento del gettito IRPEF/IRES ed IVA) vengono quindi contabilizzati, per la prima agevolazione, soltanto in caso di incremento dell’aliquota e, per la seconda agevolazione, in occasione delle varie proroghe del beneficio. In termini di cassa (tenuto conto del meccanismo di saldo/acconto) in caso di incremento di aliquota (ristrutturazioni) o di proroga (riqualificazione energetica) per un solo anno, gli effetti di maggior gettito si realizzano nei primi due anni di applicazione.

Per effetto dei criteri illustrati, complessivamente, gli effetti netti ascritti alle norme relative alle agevolazioni in esame, in termini di cassa, nei primi due anni possono assumere segno positivo qualora, in relazione alle ipotesi adottate, gli effetti indotti eccedano gli oneri connessi all’applicazione delle agevolazioni che, come già evidenziato, si distribuiscono in rate uguali lungo un decennio (o un quinquennio). Dal terzo anno e fino all’esercizio successivo a quello di scadenza della rateizzazione, si realizzano invece esclusivamente effetti onerosi.

Effetti indotti ed effetti di retroazione

Come è noto, nell'ambito dell'analisi degli effetti finanziari ascrivibili ad una proposta normativa costituiscono oggetto di stima gli effetti diretti ossia quelli immediatamente correlati alla innovazione normativa.

Ad esempio, in materia di entrate, ad una variazione di aliquota di una imposta o della base imponibile si associa, quale conseguenza diretta, una modificazione del gettito. La quantificazione dell'effetto finanziario è operata, di norma, a parità di condizioni e sulla base delle grandezze macro economiche definite prima dell'intervento normativo e da questo direttamente incise. In presenza di tali presupposti è possibile affermare, ad esempio,  che ad un aumento dell'aliquota corrisponde un incremento del gettito così come ad una restrizione della base imponibile si riferisce un effetto di segno contrario[63].

Assumono quindi rilievo gli effetti indiretti automatici ossia quelli determinati dalle interazioni inevitabili della proposta normativa: ad esempio, un effetto di tal natura di un aumento delle aliquote contributive è una riduzione del gettito fiscale, stante i criteri normativi vigenti in materia di determinazione della base imponibile IRPEF[64].

Si rappresenta che spesso le relazioni tecniche per quantificare e contabilizzare i predetti effetti indiretti automatici utilizzano l'espressione "effetti indotti"[65].  

Si segnala peraltro che la definizione di “effetti indotti” viene talvolta utilizzata anche per qualificare incrementi/riduzioni di entrate tributarie e contributive che si producono necessariamente per effetto ad esempio di misure di incremento/riduzione di retribuzioni pubbliche. Sul punto si rinvia al capitolo riportato nella parte V del presente dossier, relativo alla spesa per redditi da lavoro dipendente.   

Gli effetti indotti (ovvero gli effetti indiretti non automatici/discrezionali) sono invece quelli che si possono determinare in virtù delle modifiche dei comportamenti degli operatori economici, indotte dalla variazione dello scenario di riferimento nel quale tali operatori agiscono ed in conseguenza del varo dell'innovazione normativa.

Ad esempio, se da un lato, l'introduzione di una agevolazione fiscale determina un onere per l'erario in termini di diminuzione di gettito (effetto finanziario diretto) per via delle minori imposte versate dal beneficiario dell'agevolazione, di contro, il beneficio fiscale potrebbe indurre altri soggetti variamente interessati (ad esempio le imprese) ad operare scelte dalle quali deriverebbero a loro volta conseguenze finanziarie per l'erario.  Ad esempio, il riconoscimento del credito di imposta per l'acquisto di beni strumentali[66] potrebbe indurre le imprese della filiera, variamente coinvolte nella produzione dei predetti beni, ad effettuare maggiori investimenti e/o ad incrementare l'occupazione. Situazioni dalle quali deriverebbero maggiori entrate erariali (a titolo di IRPEF/IRES ed IRAP) in conseguenza dell'aumento dei redditi delle imprese e (a titolo di IRPEF ed addizionali) dei lavoratori per effetto dell'incremento occupazionale (effetti finanziari indotti).

 

Sotto il profilo metodologico, si ritiene ammissibile in occasione della manovra di bilancio quantificare e contabilizzare non soltanto gli effetti finanziari diretti ma anche quelli indotti, con impatto non soltanto nel settore specifico dell'intervento ma anche sul sistema economico nel suo complesso; ciò in quanto la manovra di bilancio, diversamente da quella espressa da altri provvedimenti infra annuali, si caratterizza per l'ampiezza del suo oggetto che attiene alla definizione del quadro tendenziale a legislazione vigente e di quello programmatico per il triennio considerato riferito al complesso dei conti pubblici nazionali.

Tuttavia dalla lettura delle relazioni tecniche associate alle proposte normative formulate in sedi diverse da quelle della legge di bilancio si registra, talora, anche la quantificazione di effetti indotti in aggiunta alla stima degli effetti diretti[67].

Si è affermato, pur nella consapevolezza  dell'assenza di unanimità di orientamenti in merito, che fuori sessione, qualora gli effetti positivi presentino bassi margini di incertezza e rispettino l'allineamento temporale-quantitativo con gli effetti diretti, non vi sarebbe ragione per escluderli a priori nel calcolo delle coperture[68].

Dall'esame dei provvedimenti,  si registra che l'avvenuta stima di effetti indotti è stata operata in fattispecie in cui i valori ricavati presentavano un segno positivo per l'erario[69]. Nei predetti casi gli importi quantificati sono stati contabilizzati e posti a compensazione (totale o parziale) degli effetti onerosi direttamente ascrivibili alla misura proposta.

Sempre dal punto di vista metodologico ed in termini generali, la stima ex ante degli effetti indotti presenta elementi di aleatorietà ed incertezza maggiori rispetto a quelli che si rinvengono nella quantificazione degli effetti diretti/indiretti automatici. Nell'esempio in precedenza indicato (credito di imposta per l'acquisto di beni strumentali), le positive ricadute sulla filiera di imprese potrebbero non aver luogo (ad esempio gli acquisti potrebbero assorbire scorte eccedenti di magazzino così come la nuova domanda potrebbe essere soddisfatta dagli occupati in servizio); inoltre altre variabili esistenti o sopravvenute potrebbero concorrere alla determinazione delle basi imponibili con riflessi in ordine alle entrate attese nell'arco temporale considerato dall'innovazione normativa. I predetti effetti inoltre potrebbero trovare la loro manifestazione finanziaria con una differente scansione temporale rispetto a quella ipotizzata nelle stime e ciò in quanto le previsioni in merito potrebbero risentire di una pluralità di elementi di difficile apprezzamento.

Profili, questi, che nel loro insieme si riflettono sul carattere prudenziale delle quantificazioni effettuate e quindi sulla correttezza/opportunità stessa di una utilizzazione dei valori ipotizzati a copertura di oneri finanziari indicati nelle proposte normative (di norma certi sia in ordine all' an sia al quantum)[70].

Aspetti che suggerirebbero di contabilizzare soltanto ex post in sede di rendicontazione i  valori sulla base degli incassi registrati[71].

Un significativo esempio di quantificazione e contabilizzazione di rilevanti effetti indotti che furono posti a compensazione parziale di nuovi oneri è costituito dall'art. 3 del decreto-legge 357/1994 nel quale si dispose in merito alla detassazione del reddito di impresa reinvestito[72]. Nella relazione tecnica originaria, a fronte del riconoscimento del beneficio fiscale e della stima degli oneri pertinenti, fu quantificato anche un maggior gettito derivante dall'incremento dei redditi dovuto ai maggiori investimenti ed alla crescita della produttività delle imprese fornitrici[73]. Tuttavia si ricorda che, in occasione della riproposizione della misura (con l'art. 4[74] della legge 383/2001), nella relazione tecnica originaria si osservò - sulla base dell'esperienza reale verificatasi negli anni 1994 -1995 - che le maggiori entrate connesse all'incremento degli investimenti attesi, presentavano un valore solo eventuale. Ne derivò che esse, a differenza del passato, non furono coerentemente utilizzate come forma di copertura. Nella RT si legge che le stesse "Saranno, viceversa, sterilizzate a bilancio onde evitare gli errori verificatesi nella passata legislatura in cui i provvedimenti aventi analoghe finalità, ma insufficienti forme di copertura, hanno determinato debordamenti nel livello di indebitamento complessivo".

Anche la Corte dei conti, in più di una occasione, si è soffermata sull'avvenuta contabilizzazione, a copertura di oneri finanziari, di rilevanti quote di effetti indotti rappresentando l'esigenza di adottare "una cautela estrema nel ricorrere a tali forme di valutazione dell’onere netto (ovvero della relativa copertura), considerate le numerose variabili in gioco e in ordine ai cui effetti non vengono sempre fornite adeguate stime né di dettaglio né tali da offrire una sufficiente attendibilità"[75].

In ogni caso, la stima degli effetti indotti dovrebbe essere connotata da un approccio di elevata prudenza per le ragioni sopra esposte. Andrebbero considerati eventuali effetti di sostituzione di segno contrario, l'incidenza del c.d. "peso morto"[76] in presenza di norme incentivanti e, nei casi in cui detti effetti risultassero contabilizzati fuori sessione, andrebbe posta attenzione al rischio di una duplice valutazione degli stessi qualora se ne tenesse di nuovo conto in sede di definizione del bilancio annuale.

Le quantificazioni in merito andrebbero supportate ed illustrate da analisi approfondite, connotate da un esame complessivo di tutti gli effetti in gioco[77]. La relazione tecnica inoltre, ancor più che per altre fattispecie, dovrebbe poter consentire di ripercorrere agevolmente i dati, le variabili assunte, gli elementi posti a supporto ed il procedimento logico-matematico attraverso il quale si giunge alla determinazione dei valori ed alla loro distribuzione nell'arco temporale della manovra.

Fattispecie concrete di quantificazione/contabilizzazione di effetti finanziari indotti che si sono registrate nella XVII Legislatura per via della frequente riproposizione/ proroga/rimodulazione delle misure, sono quelle relative alle agevolazioni fiscali (detrazioni IRPEF) previste in relazione a interventi di ristrutturazione, riqualificazione ed efficienza energetica e per l’acquisto di mobili[78].  In tali casi, in aggiunta alla indicazione di oneri (effetti diretti) in termini di minor gettito IRPEF (articolati in un arco temporale pluriennale -dieci anni - in relazione alla fruibilità della detrazione in rate annuali costanti) sono di prassi quantificati effetti indotti correlati[79], variamente, alla maggior spesa ed agli investimenti indotti dall'agevolazione in relazione ai quali sono stati ipotizzati incrementi di gettito (a titolo di IRPEF/IRES, IRAP ed IVA)[80].

 

Sotto il profilo metodologico, per effetto di retroazione si intende invece l'impatto macro economico sul PIL ascrivibile al complesso delle misure e delle politiche attuate con la manovra di bilancio. In tale prospettiva, si analizzano e quantificano gli effetti indiretti ed indotti nel loro insieme in un’ottica più ampia rispetto alla valutazione degli effetti finanziari a livello di singolo settore[81].  

Tali effetti potrebbero essere di segno positivo (dando luogo a maggiori entrate tributarie e contributive) laddove associati a misure espansive, di stimolo ed incentivazione alla crescita ed allo sviluppo economico ovvero di segno contrario se riferibili a manovre volte nel complesso essenzialmente al consolidamento del debito ovvero al contenimento del deficit.

La Corte dei conti, riferendosi agli effetti di retroazione positivi, afferma trattarsi di "un modello dinamico di auto copertura che risulta tradizionalmente consentito in via di principio per la sessione di bilancio  nella quale è doveroso - per il principio della veridicità del bilancio - registrare tutti gli effetti, diretti ed indiretti, della manovra, proprio in quanto è in atto la ridefinizione del quadro complessivo di finanza pubblica nelle sue molteplici e reciproche interazioni con il quadro macroeconomico[82].

Nella determinazione dei saldi di bilancio del triennio 2017-2019, sono stati evidenziati effetti di retroazione macroeconomica derivanti dalla manovra di finanza pubblica; le misure di stimolo all'economia ascrivibili al complesso della manovra avevano condotto ad ipotizzare un impatto macroeconomico positivo sul PIL nominale programmatico in termini di maggiore crescita e quindi di maggiori entrate tributarie e contributive.

La RT annessa al citato disegno di legge di bilancio per il 2017 (AC 4127) ha quantificato effetti di retroazione per il 2017 in 350 mln di euro, per il 2018 in 1.050 mln di euro e per il 2019 in 2.200 mln di euro derivanti essenzialmente dalla maggiore crescita per le retribuzioni private, per i consumi nominali e soprattutto per gli investimenti in opere pubbliche, la messa in sicurezza di infrastrutture scolastiche e viarie in chiave antisismica, nonché per gli investimenti in beni strumentali allo svolgimento delle attività economiche[83]. I predetti effetti sono stati individuati e contabilizzati nel prospetto riepilogativo come segue:

Prospetto riepilogativo degli effetti finanziari del DLB 2017-2019

(milioni di euro)

 

 

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

 

Indebitamento netto P.A.

 

Spesa/

Entrata

Tipologia

2017

2018

2019

2017

2018

2019

 

2017

2018

2019

Effetti retroazione

 

 

350,0

1.050,0

2.200,0

350,0

1.050,0

2.200,0

 

350,0

1.050,0

2.200,0

Maggiori entrate tributarie

E

t

246,0

704,0

1.600,0

246,0

704,0

1.600,0

 

246,0

704,0

1.600,0

Maggiori entrate contributive

E

t

 

 

 

104,0

346,0

600,0

 

104,0

346,0

600,0

Minori spese correnti

S

c

-104,0

-346,0

-600,0

 

 

 

 

 

 

 

 

Si richiama l'attenzione sul fatto che, in quell’occasione, pur avendo stimato e contabilizzato rilevanti effetti di retroazione, la RT era stata estremamente sintetica nel dare conto degli effetti stessi[84].

In termini generali la quantificazione ex ante di effetti di retroazione espone al rischio di sovrastime qualora si incorra in una duplicazione della quantificazione nell’ipotesi in cui vengano stimati effetti indotti anche in occasione della valutazione dell'impatto finanziario delle singole misure. Inoltre, la tipologia di auto copertura in esame dovrebbe essere utilizzata con grande rigore metodologico in ottica prudenziale. Si ripropongono in proposito le considerazioni già esposte per gli effetti indotti.

Si rappresenta da ultimo che nella determinazione dei saldi di bilancio del triennio in esame, 2018-2020, non sono stati evidenziati effetti di retroazione macroeconomica derivanti dalla manovra di finanza pubblica.

Casi particolari di classificazione delle entrate

Alcune misure, pur essendo riferite a profili di carattere tributario, sono classificate come interventi di spesa e non di entrata sulla base di specifici criteri contabili. Si riportano di seguito alcune tipologie di interventi con le caratteristiche indicate.

·       I criteri di contabilizzazione delle spese fiscali (tax expenditures)

In linea generale, la categoria delle cd. “spese fiscali” (tax expenditures) comprende, nell’ordinamento nazionale, qualsiasi forma di esenzione, esclusione, riduzione dell'imposta (o dell’imponibile) e ogni altra forma di agevolazione o regime di favore derivante dalle norme in vigore.

Per l'OCSE le spese fiscali possono essere considerate come una spesa pubblica attuata attraverso il sistema fiscale e per mezzo di una speciale agevolazione tributaria che dà luogo - per alcuni gruppi di contribuenti o settori di attività – ad una minore imposizione fiscale in ragione delle politiche pubbliche perseguite.

L’articolo 1 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 160, in attuazione dell’articolo 4 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (legge delega sulla riforma tributaria), disciplina il monitoraggio annuale delle spese fiscali. In particolare, si prevede che allo stato di previsione dell'entrata del bilancio dello Stato sia allegato un rapporto annuale sulle spese fiscali, che elenca – appunto – tutte le misure di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta oppure regime di favore, con quantificazione degli effetti finanziari e del numero dei beneficiari. Per la redazione di tale rapporto annuale sulle spese fiscali il Governo si avvale di una Commissione, istituita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 28 aprile 2016.

Il Rapporto 2017 ha individuato 466 misure con un impatto finanziario per l’anno 2018 di 54,236 miliardi di euro. Nella tabella seguente sono indicate le diverse spese fiscali distinte per natura della misura.

Tabella 1. Spese fiscali

(importi in milioni di euro)

Natura

Numero spese fiscali

Ammontare 2018

Ammontare 2019

Ammontare 2020

Detrazioni

40

-14.638,7

-15.157,3

-15.659,1

Deduzioni

39

-5.241,0

-5.243,0

-5.241,9

Detrazioni/Deduzioni

6

-41,0

-43,2

-52,7

Esenzioni

108

-4.558,9

-4.592,7

-4.621,9

Regimi speciali

39

-2.181,2

-1.733,9

-1.616,3

Regimi forfetari

8

-38,0

-38,0

-38,0

Crediti di imposta

34

-2.212,0

-1.893,4

-1.377,2

Esclusioni

100

-4.691,1

-4.692,4

-4.692,4

Regimi sostitutivi

24

-4.305,1

-4.422,5

-4.689,7

Riduzioni di aliquote

36

-4.812,8

-4.817,4

-4.822,0

Imposte in misura fissa

17

-1.061,9

-1.061,9

-1.061,9

Altro

15

-10.454,8

-11.246,8

-10.909,8

Totale

466

-54.236,4

-54.942,2

-54.782,8

Fonte: Rapporto annuale sulle spese fiscali 2017 – 14 ottobre 2017

 

Nell’ambito della metodologia di iscrizione, ai fini dei saldi di finanza pubblica, degli effetti finanziari delle norme di entrata, alcune delle predette misure, seppur afferenti alla materia tributaria e costituendo di fatto una riduzione di gettito per l’erario, vengono iscritte come maggiore spesa. Ci si riferisce, in particolare, ai crediti di imposta.

·       Crediti di imposta

Alla categoria dei crediti di imposta è riconducibile una pluralità di fattispecie, che prevedono il riconoscimento in favore del contribuente di posizioni creditorie nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Occorre tuttavia distinguere i casi in cui tali posizioni creditorie derivino dalla costituzione, con norme legislative, di benefici in capo a determinate categorie di contribuenti e/o per finalità specifiche[85], dalle ipotesi in cui i meccanismi di compensazione mediante crediti d’imposta rappresentino essenzialmente una modalità di regolamentazione di rapporti tributari aventi il proprio fondamento negli ordinari meccanismi di imposizione, suscettibili di determinare crediti per i contribuenti.

Con specifico riferimento alla prima categoria di crediti d’imposta si evidenzia, dal punto di vista contabile, che gli stessi, pur costituendo di fatto una riduzione di gettito per lo Stato, in quanto fruiti dai beneficiari (se vi è capienza d’imposta) in compensazione, cioè a riduzione delle imposte dovute nello stesso anno, vengono contabilizzati ai fini dei saldi di finanza pubblica come maggiore spesa (corrente o in conto capitale), anziché come minore entrata.

Con particolare riferimento al saldo di indebitamento netto, si rileva che il Sec2010 distingue tra due tipi di crediti di imposta:

·        i crediti di imposta non pagabili sono quelli che possono essere usati soltanto entro i limiti del debito d'imposta e rappresentano quindi una riduzione del carico fiscale;

·        i crediti di imposta pagabili possono invece essere usati oltre il limite del debito d'imposta, nel senso che l’eventuale eccedenza del credito che superi il predetto debito viene pagato al beneficiario.

Secondo il Sec 2010 solo i crediti d'imposta pagabili devono essere classificati per l'intero importo come spesa indipendentemente da quanta parte vada a ridurre il debito di imposta e quanta sia stata pagata direttamente ai beneficiari. Il gettito fiscale dell’amministrazione pubblica è pertanto quello dovuto, senza riduzioni relative ai crediti di imposta concessi, e la spesa delle amministrazioni pubbliche comprenderà tutti i crediti d’imposta pagabili concessi.

In particolare, negli ultimi anni, si è affermata la prassi della concessione dei crediti d’imposta entro un limite massimo di spesa. Tali norme hanno dato luogo generalmente all’imputazione di una maggiore spesa, pari al tetto massimo annuo individuato per ciascun esercizio, contabilizzato in identica misura sui tre saldi di finanza pubblica.

In tali casi è necessario tuttavia prevedere dei meccanismi di monitoraggio e/o autorizzativi ai fini della fruizione del credito che garantiscano l’effettivo rispetto del limite prefissato[86]. Ciò tenuto conto dei margini di automatismo nella fruizione del credito, che potrebbero determinare il superamento del tetto prefissato.  

·       Bonus 80 euro

Il c.d. “bonus 80 euro” consiste in un contributo in favore di lavoratori dipendenti del settore privato in possesso di specifici requisiti (reddito complessivo non superiore a determinati limiti, titolarità di redditi da lavoro dipendente e presenza di un’imposta lorda superiore alle detrazioni IRPEF spettante per tipologia di reddito). Nonostante la disciplina sia inserita nel Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) e richieda, ai fini dell’accesso al beneficio, il possesso di requisiti di natura fiscale[87], i criteri di classificazione dei relativi effetti sui saldi, adottati dalla RT, in conformità ai criteri di contabilità europea, hanno comportato la classificazione della misura tra le voci di spesa (si rinvia al precedente paragrafo sui crediti d’imposta).

Si segnala che negli ultimi documenti di finanza pubblica il contributo in esame, pur essendo incluso tra le voci di spesa, viene considerato – per soli fini informativi – anche per il calcolo della c.d. “pressione fiscale al netto del bonus 80 euro”. In particolare, l’andamento della pressione fiscale viene riportata sia al lordo del bonus (quindi rapporto tra entrate tributarie e contributive con il PIL) sia al netto del bonus (entrate tributarie e contributive al netto della spesa per bonus 80 euro in rapporto al PIL).

·       Entrate tributarie locali

Differenze di contabilizzazione degli effetti finanziari tra i diversi saldi di finanza pubblica si riscontrano con riferimento agli interventi che, con normativa statale, modificano la disciplina delle imposte locali (addizionali regionali e comunali IRPEF, IRAP, IMU, ecc.). In tali ipotesi, infatti, l’intervento normativo non comporta variazioni di gettito tributario erariale e, pertanto, non determina variazioni di entrata ai fini del saldo netto da finanziare. La variazione di entrata, che riguarda i tributi degli enti locali e delle regioni, è invece registrata ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento.

Occorre tuttavia considerare che la predetta modifica - introdotta con legge statale – comporta variazioni finanziarie nei bilanci degli enti locali e delle regioni. Pertanto, al fine di consentire ai predetti enti territoriali la prosecuzione delle attività preventivate, nel caso di riduzione delle entrate fiscali locali, contestualmente all’iscrizione della variazione di entrata nei saldi di fabbisogno e indebitamento, si prevede una compensazione di risorse tra lo Stato e l’ente locale o la regione interessata al fine di assicurare la neutralità finanziaria per i bilanci comunali o regionali. Tale trasferimento di risorse - dal bilancio dello Stato agli enti interessati - viene quindi iscritto nel saldo netto da finanziare come incremento di spesa corrente. Iscrizioni di segno opposto ma con uguale classificazione contabile sono previsti in caso di incrementi di entrata regionale o comunale.

 


 

Analisi speciali relative alle entrate

Utilizzo entrate strutturali da lotta all’evasione

La legge di stabilità 2014[88] ha istituito il “Fondo per la riduzione della pressione fiscale” al quale è destinata, tra l’altro, la quota delle maggiori risorse realizzate dall’attività di accertamento. La quota utilizzata per il finanziamento del Fondo è, tuttavia, limitata alle sole entrate che possono essere considerate di natura permanente. A tal fine, nell’ambito della Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) sono effettuate le opportune verifiche ed elaborazioni previste dalla legge e finalizzate alla stima di tali maggiori entrate.

La procedura è illustrata nello schema seguente.

 

 

Da ultimo, ad esempio, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2017 ha, in via preliminare, verificato l’esistenza delle seguenti due condizioni:

-      esistenza di maggiori entrate derivanti dall'attività di contrasto dell'evasione fiscale rispetto alle previsioni iscritte nel bilancio dell’esercizio in corso (2017). A tal fine, sulla base dei dati disponibili fino ad agosto 2017, sono indicati incassi annui stimati in 14,10 miliardi, a fronte di previsioni assestate indicate in misura pari a 13,65 miliardi (maggiori risorse pari a 0,45 miliardi);

-      esistenza di maggiori entrate derivanti dall'attività di contrasto dell'evasione fiscale rispetto a quelle effettivamente incassate nell’esercizio precedente (2016). Tale seconda condizione risulta verificata in quanto gli incassi stimati per l’anno 2017 (14,10 miliardi) sono superiori a quelli incassati nel 2016 pari in 11,48 miliardi (maggiori risorse pari a 2,62 miliardi).

Dopo aver verificato l’esistenza delle predette due condizioni - come richiesto dalla normativa - si procede alla stima della quota di maggiori risorse che possono essere considerate permanenti.

La Nadef afferma che, per ragioni di prudenzialità, viene considerato il valore inferiore tra i due incrementi di entrata sopra indicati (0,45 miliardi) e che tale valore viene ridotto per estrapolare la quota parte considerata permanente, che viene indicata (senza esplicitare i criteri di stima), in 370 milioni. La Nadef afferma quindi che, “limitatamente al 2018”, il Fondo per la riduzione della pressione fiscale sarà incrementato, con legge di bilancio, di 370 milioni di euro.

 

La legge di bilancio 2018[89] ha modificato la disciplina della legge di stabilità 2014 stabilendo, tra l’altro, che la quota di maggiori risorse considerata permanente possa confluire nel Fondo non più, per un unico esercizio, bensì in via permanente a decorrere dall’esercizio successivo a quello di assegnazione.

Il prospetto riepilogativo riferito alla legge di bilancio 2018 ha pertanto previsto, in base al comma 1069 dell’art. 1 della stessa legge, un incremento del Fondo per la riduzione fiscale pari a 370 milioni a decorrere dal 2019. La medesima legge di bilancio, al successivo comma 1070, ha disposto l’utilizzo delle disponibilità complessive del Fondo medesimo per euro 377.876.008 per ciascuno degli anni 2018 e 2019, euro 507.876.008 per l'anno 2020 ed euro 376.511.618 a decorrere dall'anno 2021.

La web tax

Lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione dei mercati hanno comportato un notevole incremento delle transazioni digitali tra diversi Stati. È sorta pertanto l’esigenza di intervenire sul regime tributario che regola tali contratti con particolare riferimento al profilo della territorialità dell’imposta. Infatti, in alcuni settori (ad es. e-commerce, motori di ricerca, social network) l’assenza di un collegamento fisico tra il fornitore e l’acquirente rende complessa l’individuazione del “luogo della prestazione” (luogo di realizzazione dei profitti) e potrebbe favorire comportamenti elusivi mediante trasferimento dei profitti verso Paesi con ridotto livello di tassazione.

Una prima misura (c.d. web tax transitoria), finalizzata all’emersione di base imponibile nelle transazioni digitali, è stata introdotta dal decreto legge n. 50 del 2017 e consiste in una procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata cui possono accedere le società non residenti in possesso di specifici requisiti[90]. Si tratta peraltro di una disciplina applicabile solo su base volontaria da parte delle società interessate, le quali possono rivolgersi all’Agenzia delle entrate per chiedere una valutazione riguardo alla sussistenza dei requisiti che configurano la presenza di una stabile organizzazione in Italia. In caso di esito positivo, l’Agenzia delle entrate invia all’impresa un invito al fine di definire, in contraddittorio, i debiti tributari a carico della stabile organizzazione. La premialità della web tax transitoria consiste nel fatto che l’impresa, versando le somme individuate in contraddittorio e definite con l’adesione, ottiene uno sconto significativo sulle sanzioni amministrative insieme alla non punibilità per il reato di omessa dichiarazione.

La relazione tecnica riferita alla norma introduttiva, nel considerare che la disciplina sarebbe stata applicata a seguito di un’opzione delle imprese interessate di far emergere la propria base imponibile, ha ritenuto prudenziale non ascrivere alcun effetto di maggior gettito alla disposizione. E’ stato inoltre previsto un monitoraggio delle entrate e la destinazione delle stesse, nella misura effettivamente realizzata, a specifici fondi di spesa.

 

L’imposta sulle transazioni digitali (c.d. web tax) è stata introdotta con decorrenza 2019 dalla legge di bilancio 2018[91] e si applica alle prestazioni di servizio effettuate in favore di soggetti passivi IVA residenti in Italia (o con stabile organizzazione in Italia) indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione.

La web tax si applica, con aliquota del 3 per cento, al valore del corrispettivo al netto dell’IVA. La norma introduttiva non individua l’ambito di applicazione, rinviando ad un decreto ministeriale di attuazione la specificazione delle tipologie di prestazioni di servizio soggette all’imposta. Sono, tuttavia, escluse le transazioni di commercio elettronico del tipo business to consumer (B2C).

L’individuazione delle prestazioni di servizi cui applicare l’imposta è demandata ad un decreto del MEF da emanare entro il 30 aprile 2018.

Per i profili finanziari, la relazione tecnica riferita alla norma introduttiva della misura in esame considera, come dato di partenza, il valore delle transazioni dei servizi di pubblicità on line che, sulla base dei dati del Rapporto Assinform “Il digitale in Italia 2017” e dell’ipotesi di un trend annuo medio di crescita dell’8 per cento, viene stimato in 2.114 milioni di euro. Tra le ulteriori attività, la RT ritiene che saranno incluse le prestazioni di servizio relative a Data Analitics, Cloud computing e Sistemi di integrazione ICT. In assenza di dati puntuali, la relazione tecnica ipotizza che la complessiva base imponibile della web tax possa essere stimata in un ammontare pari al triplo di quello riferito alla pubblicità on line (la RT ritiene infatti che tale pubblicità rappresenti una quota minima del mercato digitale). Il gettito stimato è quindi calcolato applicando l’aliquota del 3 per cento al valore di 6.342 mln (2.114 x 3). Pertanto sono ascritti effetti di maggiore entrata pari a 190 milioni annui a decorrere dal 2019.

 

In relazione al profilo finanziario, le discipline introdotte non consentono una stima puntuale degli effetti finanziari. Infatti, nel primo caso, aspetti procedurali essenziali per il recupero di base imponibile si attivano solo su iniziativa del soggetto interessato. Nel secondo caso, la disciplina non individua in modo puntuale gli aspetti applicativi necessari per la determinazione della base imponibile, rinviandone l’individuazione a provvedimenti successivi.

Tenuto conto di tali aspetti e del carattere fortemente innovativo della disciplina da ultimo introdotta, la quantificazione operata dalla relativa relazione tecnica fa affidamento, piuttosto che su una dettagliata procedura di stima, su un criterio di prudenzialità per l’individuazione dell’effetto di gettito da ascrivere alla norma ai fini dei saldi.

Si fa presente infine che, in data 21 marzo 2018, la Commissione UE ha presentato due proposte normative concernenti il regime di tassazione delle attività digitali in ambito europeo.

La Commissione evidenzia[92] che la recente espansione delle imprese digitali, come gli operatori di social media, le piattaforme di collaborazione e i fornitori di contenuti online, ha fortemente contribuito alla crescita economica nell'UE e che, tuttavia, le normative fiscali non sono state elaborate per queste imprese che sono globali, virtuali o caratterizzate da una presenza fisica minima o inesistente. Viene segnalato che attualmente 9 delle 20 società più importanti al mondo per capitalizzazione di mercato sono digitali, rispetto a 1 su 20 dieci anni fa. E’ pertanto necessario che anche le imprese digitali contribuiscano la loro giusta quota di tasse: attualmente le imprese digitali sono soggette a un'aliquota fiscale media effettiva pari alla metà di quella dell'economia tradizionale nell'UE.

Le proposte normative, afferma la Commissione, sono dirette ad introdurre soluzione permanenti e durature che garantiscano la giusta quota di gettito fiscale dalle attività online. Gli utili realizzati mediante attività lucrative, come la vendita di dati e di contenuti generati dagli utenti, non sono presi in conto dalla normativa fiscale vigente. Gli Stati membri iniziano a cercare soluzioni rapide e unilaterali per tassare le attività digitali, il che crea un campo minato sotto il profilo giuridico e incertezza fiscale per le imprese. Pertanto, la Commissione afferma che un approccio coordinato è l'unico modo per garantire che l'economia digitale sia tassata in modo equo, sostenibile e favorevole alla crescita.

La prima proposta contiene una soluzione a lungo termine in quanto prevede una riforma comune delle norme dell’UE in materia di imposta sulle società per le attività digitali. Secondo quanto indicato dalla Commissione, questa proposta consentirebbe agli Stati membri di tassare gli utili generati sul loro territorio, anche nel caso in cui una società non vi abbia una presenza fisica: pertanto, le imprese online contribuirebbero alle finanze pubbliche allo stesso livello delle imprese tradizionali.

Più in dettaglio, nella prima proposta, la piattaforma digitale è considerata una "presenza digitale" imponibile o una stabile organizzazione virtuale in uno Stato membro se soddisfa uno dei seguenti criteri:

- ricavi annuali in uno Stato membro superiori a 7 milioni di euro;

- numero di utenti annui in uno Stato membro superiore a 100 000;

- oltre 3 000 contratti commerciali per servizi digitali sono conclusi tra l'impresa e utenti aziendali in un esercizio fiscale.

La proposta contiene anche una nuova disciplina in merito all’attribuzione agli Stati membri degli utili realizzati dalle imprese. Tra i criteri è indicato quello della tassazione in funzione del luogo in cui l'utente si trova al momento del consumo.

Secondo quanto affermato dalla Commissione, il nuovo sistema garantisce un legame effettivo tra il luogo in cui gli utili sono realizzati e quello in cui sono tassati.

La seconda proposta contiene una soluzione di carattere temporaneo in quanto introduce, in via transitoria, una tassazione per le attività attualmente non colpite da imposizione. Tale misura, oltre a generare un gettito immediato per gli Stati membri, intende evitare che gli Stati membri adottino misure unilaterali per tassare le attività digitali con conseguenze che potrebbero risultare dannose per il mercato unico. A differenza della prima proposta, questa imposta indiretta si applicherebbe ai ricavi generati da determinate attività digitali che sfuggono completamente al quadro fiscale attuale. Tale sistema si applicherà solo a titolo temporaneo, fino all'attuazione di una riforma globale integrata da meccanismi che limitino la possibilità della doppia imposizione.

Più in dettaglio, l’imposta si applica ai ricavi ottenuti dalle ottenuti dalle attività in cui gli utenti svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di valore e che sono i più difficili da quantificare con le norme fiscali attuali, come ad esempio i ricavi generati dalla vendita di spazi pubblicitari online, da attività di intermediazione digitale che permettono agli utenti di interagire con altri utenti e che possono facilitare la vendita di beni e servizi tra di essi o i ricavi ottenuti dalla vendita di dati generati da informazioni fornite dagli utenti.

L'imposta è riscossa dagli Stati membri in cui si trovano gli utenti e si applica alle imprese con ricavi annui complessivi a livello mondiale di 750 milioni di euro e ricavi nell'UE di 50 milioni di euro. Pertanto, risultano esonerate le start-up e le scale-up più piccole.

Secondo le stime indicate, se sarà applicata a un'aliquota del 3%, l'imposta potrà generare entrate per gli Stati membri dell'ordine di 5 miliardi di euro all'anno.

Entrate contributive: contributi effettivi e contributi figurativi

La misurazione delle entrate complessive generate da imposte e contributi sociali basata sul SEC è coerente con quella delle statistiche OCSE sul reddito, salvo per la registrazione di crediti d'imposta dovuti e di contributi sociali figurativi. La registrazione SEC di imposte e contributi sociali è inoltre armonizzata con la presentazione delle statistiche di finanza pubblica dell'FMI, con qualche differenza nelle ripartizioni.

I redditi da lavoro dipendente comprendono le retribuzioni lorde e i contributi sociali a carico dei datori di lavoro, ivi compresi i contributi sociali figurativi, che nel SEC sono considerati impieghi per le famiglie e risorse per le PP.AA. e pertanto non vengono consolidati.

I contributi sociali sono versati ai sistemi di sicurezza sociale o agli altri sistemi di assicurazione sociale (in Italia, principalmente all'INPS) connessi con l’occupazione, al fine di garantire l’erogazione di prestazioni sociali. Un importo pari al valore dei contributi sociali versati dai datori di lavoro per garantire ai propri dipendenti di beneficiare delle prestazioni sociali è registrato nei conti nazionali a titolo di redditi da lavoro dipendente.

 

I contributi sociali possono essere effettivi o figurativi.

 

·       Contributi sociali effettivi

I contributi sociali effettivi a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori (anche autonomi) sono costituiti dai versamenti agli enti assicuratori effettuati a beneficio dei lavoratori. Tali versamenti comprendono i contributi obbligatori, contrattuali e volontari relativi all’assicurazione contro i diversi rischi o bisogni sociali.

I contributi a carico dei datori di lavoro, quantunque versati direttamente agli enti assicuratori, sono considerati un elemento dei redditi da lavoro dipendente. Successivamente essi sono registrati come se fossero corrisposti dai lavoratori dipendenti agli enti assicuratori e sono direttamente correlati all'erogazione di prestazioni.

Dal lato delle PP.AA. (enti previdenziali, consolidati nel conto economico) che li percepiscono i contributi sociali effettivi si suddividono in contributi connessi alle pensioni e contributi relativi ad altre prestazioni, che sono registrati separatamente.

Come noto, in Italia, circa un quarto dell'aliquota pensionistica di finanziamento del sistema previdenziale è posta direttamente a carico dei lavoratori.

Per quanto riguarda, invece, i contributi non pensionistici effettivi, essi sono a carico dei datori di lavoro e corrispondono ai contributi connessi a rischi o bisogni sociali dei loro dipendenti diversi dalla vecchiaia, quali malattia, maternità, invalidità, infortuni sul lavoro, licenziamento ecc..

I contributi sociali effettivi a carico dei datori di lavoro sono registrati nel periodo durante il quale il lavoro è effettuato.

Concentrando l'analisi nell'ottica del bilancio pubblico (quindi, come risorse per le PP.AA.), i contributi effettivi, destinati agli enti previdenziali, vengono contabilizzati all'entrata al lordo del loro impatto, prevedendo che apposita evidenza contabile sia riconosciuta agli effetti indotti automatici, rappresentati dalla riduzione del gettito fiscale derivante dalla deducibilità dal reddito personale e d'impresa dell'importo dei contributi obbligatori.

L'impatto come maggiori entrate concerne la competenza economica e la cassa, come registrate nel conto consolidato delle PP.AA., mentre diverso è l'effetto in termini di competenza finanziaria.

Sul saldo netto da finanziare, infatti, bisogna distinguere due ipotesi.

La prima è rappresentata da un utilizzo di tali risorse per un contestuale ed equivalente impegno finanziario in termini di maggiori trattamenti previdenziali, mentre la seconda corrisponde all'apertura di maggiori margini nei bilanci degli enti previdenziali.

Ne deriva, nel primo caso, peraltro abbastanza scolastico, perlomeno se inteso integralmente (in quanto presuppone un utilizzo perfettamente allineato in termini quantitativi e temporali delle maggiori risorse disponibili), la neutralità sul SNF.

Nel secondo caso (o, nel primo, nella misura delle risorse "disallineate") viene tipicamente scontato l'effetto del meccanismo di compensazione per i bilanci degli enti previdenziali della variazione del gettito contributivo, che viene posto a carico dello Stato. Ne consegue che un aumento del gettito contributivo, alleggerendo le necessità finanziarie degli enti previdenziali, consentirà di ridurre i trasferimenti statali agli stessi, il che si risolve, contabilmente, in una minore spesa in termini di saldo netto da finanziare, che registra i movimenti del bilancio statale.

I fenomeni invertono il segno in presenza di una riduzione del gettito contributivo.

 

·       Contributi sociali figurativi a carico dei datori di lavoro

In linea generale, i contributi sociali figurativi a carico dei datori di lavoro rappresentano la contropartita di altre prestazioni di assicurazione sociale, al netto di eventuali contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti, erogate direttamente dai datori di lavoro ai loro dipendenti, ex dipendenti e altri aventi diritto senza ricorrere a imprese di assicurazione o a fondi pensione autonomi e senza costituzione di un fondo speciale o di una riserva distinta a tale fine.

Anche i contributi sociali figurativi a carico dei datori di lavoro si suddividono, in linea teorica, in due categorie, pensionistici e non pensionistici. In Italia, tuttavia, essi sono interamente riferibili alla previdenza.

Infatti, per quanto riguarda le pensioni, i costi di gestione del sistema sono considerati coperti attraverso (equivalgono a) contributi figurativi, il cui versamento peraltro avviene secondo le medesime modalità di quelli effettivi, rappresentandone una frazione su base meramente funzionale. In sostanza il costo di funzionamento del sistema previdenziale trova corrispondenza, in termini di risorse, nei "contributi figurativi", che costituiscono le somme, nell'ambito dei versamenti a carico dei datori di lavoro, necessarie per coprire il suddetto costo. 

In un'altra accezione, estranea ai saldi rappresentati nel conto consolidato delle PP.AA., i contributi figurativi individuano la contribuzione che viene accreditata (risultando quindi utile per il diritto e la misura dei trattamenti pensionistici, se non previsto espressamente il contrario), a carico del bilancio statale, sui conti previdenziali dei lavoratori in assenza dell'effettivo versamento, in relazione ad eventi che escludono la corresponsione di contributi (tipicamente, lo stato di disoccupazione per il periodo in cui è prevista l'erogazione di sussidi).

I contributi figurativi non determinano riflessi diretti sull'indebitamento e il fabbisogno, corrispondendo ad operazioni contabili interne all'aggregato S13 (settore della p.a.) del Sec2010.

Tuttavia, atteso che a tali contributi corrisponderanno in futuro nuove o maggiori prestazioni previdenziali (che di per sé potrebbero anche non trovare autonoma ed immediata evidenza contabile in relazione alla tempistica di maturazione dei corrispondenti diritti previdenziali), viene registrato in termini di competenza finanziaria (SNF) il trasferimento agli enti previdenziali a carico della fiscalità generale delle somme occorrenti alla copertura dei contributi figurativi, ai fini di una loro neutralizzazione per i bilanci degli enti previdenziali.

I contributi figurativi così intesi, pertanto, mentre non presentano effetti sul conto consolidato delle PP.AA., si presentano come maggiori spese in termini di bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare).

Entrate da giochi e scommesse

Fra le misure indirizzate al reperimento di maggiori entrate da utilizzare per finalità di copertura, o comunque nell’ambito di manovre di riequilibrio dei saldi, si segnalano quelle riguardanti il settore dei giochi e delle scommesse.

Si ricorda preliminarmente che, in conformità all’ordinamento nazionale ed europeo, in Italia l’esercizio del gioco pubblico con vincite in denaro si basa su una riserva legale in favore dello Stato, il quale affida l’esercizio dei giochi ad uno o più soggetti privati mediante concessioni di servizio stipulate, generalmente a titolo oneroso, sulla base di selezioni a evidenza pubblica. L’Amministrazione (rappresentata principalmente dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli-AAMS) mantiene poteri di controllo, mentre l’Autorità di pubblica sicurezza rilascia le necessarie autorizzazioni per l'esercizio dei giochi e delle scommesse.

Nel quadro, non uniforme, delle modalità organizzative adottate per ciascuno dei segmenti di gioco, in linea di massima le entrate acquisite dall’erario sono costituite:

-   dai corrispettivi (generalmente una tantum) dovuti per l’attribuzione, mediante gara, delle predette concessioni per l’esercizio dei giochi;

-   dai proventi lordi delle giocate, dai quali vengono sottratte, come voci di spesa, le vincite e le somme necessarie per la remunerazione degli operatori (per es. per il gioco del Lotto).

In tal caso il bilancio dello Stato riporta fra le entrate[93] gli introiti lordi provenienti dal Lotto e fra le spese[94] le vincite e le somme da corrispondere agli operatori. Lo stesso bilancio reca solitamente una norma in base alla quale “Il Ministro dell'economia e delle finanze, con propri decreti, provvede all'adeguamento degli stanziamenti dei capitoli destinati al pagamento dei premi e delle vincite dei giochi pronostici, delle scommesse e delle lotterie, in corrispondenza con l'effettivo andamento delle relative riscossioni”;

-   da un prelievo fiscale effettuato sulla raccolta lorda, che ricomprende anche le vincite e i corrispettivi spettanti agli operatori (per es. per la generalità degli apparecchi con vincite in denaro);

-   da un prelievo fiscale effettuato sulle vincite dei giocatori (per es. per determinati apparecchi con vincite in denaro o per lo stesso Lotto[95] in aggiunta alla voce “Proventi lordi”);

-   da un prelievo fiscale applicato sul “margine”, ossia sulla spesa dei giocatori[96] (per es. nel caso di talune tipologie di scommesse).

 

A queste somme vanno poi aggiunte le entrate fiscali (a titolo di Ires e di Irap) derivanti dall’ordinaria attività economica degli operatori del settore (concessionari, produttori o importatori di apparecchiature, gestori proprietari o esercenti delle apparecchiature, punti vendita incaricati della raccolta).

Poiché queste ultime voci di entrata sono incluse nella tassazione ordinaria che viene applicata alla generalità del sistema economico, sull’argomento si rinvia alle analisi, effettuate nel presente dossier, relative al complesso delle entrate tributarie.

 

Anche nella precedente legislatura il Parlamento, proseguendo una tendenza in atto nelle precedenti legislature, è ripetutamente intervenuto nella regolamentazione di tale comparto di entrata. In particolare, con riferimento agli interventi volti a promuovere una crescita della raccolta, sono state introdotte nuove modalità di partecipazione al gioco e sono state previste misure volte a contrastare le pratiche illegali ed a indirizzare conseguentemente la domanda verso le attività regolate dallo Stato. A tali interventi sono stati ascritti significativi effetti di gettito.

 

·       Andamento della raccolta e delle entrate

La seguente tabella di fonte AAMS espone in serie storica (per gli anni 2013-2016) i dati relativi alla raccolta, alle vincite, alla spesa dei giocatori, alla remunerazione degli operatori ed alle entrate erariali nel settore dei giochi:

 

 

Dati aggiornati al 10 giugno 2017

(milioni di euro)

 

 

2013

2014

2015

2016

A

Raccolta

84.610

84.318

88.250

96.142

B

Vincite

67.627

67.597

71.260

77.051

C

Spesa (a-b)

17.283

17.045

17.362

19.488

D

Remunerazione operatori

8.809

8.774

8.585

9.014

E

Erario

8.474

8.271

8.777

10.474

Fonte: AAMS, pagina web:  https://www.agenziadoganemonopoli.gov.it/portale/monopoli

 

Secondo i medesimi dati di fonte AAMS, nel primo semestre 2017[[97]] la spesa complessiva per il gioco è risultata pari a circa 9,3 miliardi di euro, ripartita in circa 5 miliardi di euro all’erario e in circa 4,3 miliardi alla filiera. L’incidenza dell’erario risulterebbe quindi superiore al 54%.

Riguardo al precedente biennio (2015 e 2016), si evidenzia che:

-   nel 2015 l’incremento di entrate erariali registrato rispetto agli anni precedenti si è verificato in presenza di un aumento della raccolta nei settori del Lotto, del Superenalotto e degli apparecchi da intrattenimento con vincite in denaro. Fra gli elementi che potrebbero avere favorito tale aumento, si segnalano le norme approvate dal Parlamento nel 2013 e nel 2014 in materia di regolarizzazione e di emersione di posizioni fiscali, con conseguente spostamento di una quota di raccolta dal gioco irregolare al gioco legale (v. infra)[98]. Inoltre sono state introdotte norme, con effetti di maggiore entrata limitati al triennio 2015-2017, per il rinnovo della concessione novennale per la raccolta del Lotto (v. infra)[99];

-   nel 2016[[100]] l’ulteriore incremento delle entrate erariali appare connesso principalmente all’aumento degli incassi da tassazione della raccolta sugli apparecchi da intrattenimento, aumento disposto appunto a decorrere dal 2016 (v. infra)[101].

·       Criteri di contabilizzazione

In ordine ai criteri di contabilizzazione – ai fini dell’indebitamento netto - degli introiti delle concessioni per l’esercizio dei giochi pubblici (concessioni che vengono periodicamente riassegnate mediante gare ad evidenza pubblica), si segnala che nel DL 148/2017 e nella legge n. 205/2017 (Bilancio 2018) è stato applicato per la prima volta[102] dal Governo il principio della competenza in base al SEC 2010, secondo il quale i proventi delle gare, ancorché finanziariamente anticipati, devono essere registrati pro quota per l’intera durata delle rispettive concessioni.

In precedenza, nel corso della XVII legislatura, tale modalità di contabilizzazione ai fini dell’indebitamento netto non era stata utilizzata (e conseguentemente erano stati ascritti alle norme identici effetti sui tre saldi di finanza pubblica). Si fa riferimento, in particolare, alle seguenti norme sopra richiamate:

-   legge 147/2013 (art. 1, commi 636-638: attribuzione delle concessioni per la raccolta del Bingo);

-   legge 190/2014 (art. 1, comma 653: gara per la concessione della raccolta del Lotto);

-   legge 208/2015 (art. 1, commi 932-935: attribuzione delle concessioni per la raccolta delle scommesse, dei concorsi pronostici, dei giochi a distanza e per l’apertura di sale Bingo);

-   legge 232/2016 (art. 1, commi 576-577: affidamento in concessione della gestione del Superenalotto).

Effetti finanziari delle misure di decontribuzione

La legislatura appena conclusa è stata caratterizzata da ripetuti e significativi interventi volti ad agevolare l'assunzione di lavoratori e a ridurre il costo del lavoro a carico delle imprese, evitando contestualmente di incidere sui livelli salariali netti, attraverso l'adozione di misure di alleggerimento del carico contributivo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, per le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine, e per altre tipologie di natura settoriale.

Tali interventi di riduzione del gettito contributivo sono stati congegnati in modo da escludere impatti sulle future prestazioni pensionistiche dei lavoratori per i quali era previsto lo sgravio, per cui si è perseguito l'obiettivo di un'integrale copertura degli oneri correlati alle misure.

 

La prima misura in tale direzione è contenuta nel decreto-legge n. 76 del giugno 2013, che, con l'articolo 1, ha introdotto, in via sperimentale, un incentivo (cd. Bonus Giovannini) per i datori di lavoro che (entro il 30 giugno 2015) avessero assunto, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, rientranti nella categoria dei "lavoratori svantaggiati" (ossia privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o di un diploma di scuola media superiore o professionale).

L'incentivo era pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, copriva un periodo di 18 mesi e non poteva comunque superare l'importo di 650 euro per ogni lavoratore assunto. Le assunzioni dovevano comportare un incremento occupazionale netto.

Il medesimo incentivo era riconosciuto, per un periodo di 12 mesi, nel caso di trasformazione di un rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, a condizione che alla trasformazione corrispondesse l'assunzione, entro un mese, di un ulteriore lavoratore.

Sulla base di quanto disposto dall'articolo 1, comma 219, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), l'incentivo in oggetto poteva essere ulteriormente finanziato dalle regioni e dalle province autonome, oltre che a valere sulle risorse dei POR 2007-2013, anche a valere sulle eventuali riprogrammazioni delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (cofinanziamento nazionale) già destinate ai programmi operativi per gli interventi previsti dal Piano di Azione e Coesione. La successiva abrogazione dell'articolo 1 del decreto-legge n. 76 del 2013, operata dall'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2015, ha comunque fatti salvi gli effetti in relazione alle assunzioni e trasformazioni intervenute prima di tale abrogazione, fino a completa fruizione degli incentivi spettanti.

Nel medesimo decreto-legge, poi, l'articolo 2, comma 9, ha esteso al 15 maggio 2015 il periodo di utilizzo del credito d'imposta per nuove assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno introdotto dall'articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 70 del 2011, spettante per ogni lavoratore, "svantaggiato" o "molto svantaggiato", assunto nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Molise, Sardegna e Sicilia), con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e ad incremento dell'organico.

 

Rinviando al seguito del capitolo considerazioni estensibili anche agli altri interventi di decontribuzione, si segnalano ora i profili di differenziazione rispetto alle successive misure. Il decreto-legge n. 76, per quanto riguarda l'utilizzo della decontribuzione come strumento di politica occupazionale, si distingue dai successivi provvedimenti per aver subordinato il beneficio ad un incremento occupazionale netto nell'impresa (in tal modo contenendo, nell'ottica dell'obiettivo dello strumento adottato[103], il fenomeno del cd peso-morto, che - ovviamente - non può essere integralmente eliminato in presenza di interventi di incentivazione, essendo impossibile determinare puntualmente se in assenza di incentivo se le assunzioni avrebbero comunque avuto luogo).

L'altra rilevante peculiarità della misura dal punto di vista della copertura era rappresentata dal fatto che il beneficio sarebbe stato riconosciuto entro un limite di spesa, il cui rispetto era garantito dall'erogazione sulla base dell’ordine cronologico delle assunzioni, previo monitoraggio da parte dell'INPS dell'andamento delle domande e delle correlate esigenze finanziarie, anche in via prospettica.

 

La legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) introduce al comma 118 dell'articolo 1 uno sgravio contributivo per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato. Tale sgravio riguarda i contratti a tempo indeterminato relativi a nuove assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2015 e stipulati entro il 31 dicembre 2015 e consiste nell'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro (ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL), nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua, per un periodo massimo di 36 mesi. Ne deriva che il profilo degli oneri si estende fino al 2018. Il beneficio non era riconosciuto:

·        nel settore agricolo, per i contratti di apprendistato e nel settore del lavoro domestico;

·        per le assunzioni relative a lavoratori che nei sei mesi precedenti siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro;

·        con riferimento a lavoratori per i quali il beneficio sia già stato usufruito in relazione a precedente assunzione a tempo indeterminato;

·        in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i datori di lavoro (considerando anche le società controllate o collegate o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto) hanno comunque già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della disposizione in oggetto.

Il beneficio non era cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa all'epoca vigente.

 

Per quanto attiene alla quantificazione, sinteticamente rinvenibile nella tabella riepilogativa di tutti i principali interventi di decontribuzione, proposta al termine del paragrafo, nel corso dell’esame parlamentare sono state sollevate perplessità in merito all'ampiezza della platea stimata di soggetti agevolati, e al livello dei salari medi percepiti, assunti dalla RT come base di calcolo, che non sembrava ispirato a criteri di sufficiente prudenzialità.

Infatti, la platea era stimata dalla RT come pari a 1 milione mentre si  stimavano circa 790.000 contratti per cui i datori di lavoro avrebbero  beneficiato dello sgravio totale dei contributi previdenziali a loro carico essendo questi inferiori al limite massimo di 8.060 euro su base annua (in media pari a 4.215 euro su base annua, tenuto conto che circa 360.000 risulterebbero riferiti a retribuzioni imponibili rapportate su base annua inferiori a circa 8.500 euro) e circa 210.000 i contratti per cui i datori di lavoro avrebbero  beneficiato dello sgravio nella misura massima di 8.060 euro su base annua.

Tali timori sembrerebbero almeno in parte confermati dall’esperienza applicativa delle norme : sulla base dei dati di consuntivo desunti dai bilanci INPS, infatti, si sono registrati per la misura agevolativa in questione oneri lordi per il 2015 pari a circa 2.224 milioni di euro (a fronte di una previsione di 1.886), con un divario di circa 340 milioni di euro, ampliatosi poi nel 2016 fino a raggiungere l’importo di 1.475 milioni di euro (oneri consuntivati pari a 6.360 milioni di euro circa, a fronte di una previsione di 4.885)[104].

 

La misura appena indicata è stata riproposta, restringendone tuttavia la portata per ridurre la sua onerosità per le finanze pubbliche, dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016). Lo sgravio contributivo è stato infatti esteso anche alle nuove assunzioni con contratti di lavoro a tempo indeterminato effettuate nel 2016, ma l'esonero dal versamento è stato ridotto al 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nel limite di 3.250 euro su base annua, per un massimo di 24 mesi (articolo 1, comma 178). Particolari disposizioni concernono il settore agricolo (commi 179 e 180). Il beneficio non era riconosciuto per i contratti di apprendistato e di lavoro domestico, nonché in presenza di altre condizioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle già preclusive dell'accesso al beneficio nella precedente legge di stabilità. Il beneficio non era cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote contributive previsti dalla normativa vigente. In conformità alla disciplina dello sgravio per le assunzioni nel 2015, ai fini del trattamento pensionistico si considerava la contribuzione previdenziale al lordo del beneficio concesso, che, a sua volta, non era subordinato ad un meccanismo di ordine cronologico di presentazione delle domande e di connessa verifica di sussistenza di risorse residue.

 

La quantificazione dei relativi oneri appariva nel complesso in linea, tenuto conto della modificazione dei parametri rilevanti operata dalla disposizione in questione, con quella indicata nella precedente legge di stabilità. Tuttavia, a consuntivo, con risultanze opposte a quelle relative alla legge n. 190 del 2014, sono emersi per il 2016 (unico anno per il quale sono disponibili dati di consuntivo) minori oneri rispetto alle stime pari a circa 476 mln di euro (rendicontati oneri per circa 355 mln di euro, a fronte di una previsione di 831 milioni). Il dato, che aiuta anche a spiegare, sia pur solo in parte, la discrasia fra previsioni e rendiconti relativa allo sgravio di cui alla legge di stabilità per il 2015, potrebbe trovare una spiegazione in una massiccia anticipazione di assunzioni negli ultimi mesi del 2015, in modo da usufruire per un triennio di un beneficio contributivo (quello di cui alla legge di stabilità per il 2015) significativamente superiore a quello introdotto con la legge di stabilità per il 2016. 

 

Nell'ambito delle misure riferite al Mezzogiorno da parte della medesima legge di stabilità 2016, i commi 109 e 110 hanno previsto l'estensione dello sgravio contributivo previsto dal comma 178 alle assunzioni a tempo indeterminato effettuate nell'anno 2017, in relazione ai datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. L'estensione dell'incentivo è tuttavia condizionata alla ricognizione delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione (PAC), non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati. È inoltre prevista una maggiorazione della percentuale di decontribuzione per l'assunzione di donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.

 

Divenuto ormai componente ricorrente della manovra di bilancio, un intervento sulla decontribuzione è stato definito anche nella legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), che ha introdotto (articolo 1, commi 308-311) un esonero contributivo totale nel limite massimo di un importo pari a 3.250 euro su base annua, per un periodo massimo di 36 mesi, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, a favore dei datori di lavoro privati che assumono a tempo indeterminato nel biennio 2017-2018 studenti che abbiano svolto attività di alternanza scuola-lavoro o periodi di apprendistato presso il medesimo datore di lavoro. Il beneficio è concesso entro specifici limiti di spesa. Il comma 113 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017 ha poi soppresso il beneficio in questione a decorrere dal 1° gennaio 2018 e con effetto sulle assunzioni decorrenti da tale data.

 

La prudenzialità dei criteri di quantificazione e, soprattutto, la configurazione degli oneri in termini di tetto di spesa, il cui rispetto restava presidiato dal consueto meccanismo di monitoraggio e di eventuale inefficacia delle domande che potessero comportare, anche in via prospettica, un superamento dei limiti finanziari, consentivano di escludere la sussistenza di profili problematici.

 

Sempre in materia di apprendistato, sono stati previsti ulteriori finanziamenti per la proroga (fino al 31 dicembre 2017) dei benefici contributivi per le assunzioni e per i percorsi formativi in alternanza scuola-lavoro (27 milioni di euro) (art.1, comma 240 lett. b)).

Infine, l'articolo 1, comma 344, riconosceva un esonero contributivo ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali, con età inferiore a 40 anni, le cui aziende fossero ubicate nei territori montani e nelle aree agricole svantaggiate, con riferimento alle nuove iscrizioni nella previdenza agricola effettuate nel corso del 2017. L'esonero era riconosciuto (nei limiti delle norme europee sugli aiuti de minimis) per un periodo massimo di 36 mesi, decorsi i quali verrebbe riconosciuto in una percentuale minore per ulteriori complessivi 24 mesi (nel limite del 66% per i successivi 12 mesi e nel limite del 50% per ulteriori 12 mesi).

 

Da ultimo, la legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205 del 2017) ha introdotto una pluralità di misure volte a contenere il cuneo contributivo. 

La misura di maggiore rilievo è rappresentata da un incentivo strutturale all'occupazione giovanile stabile. L'articolo 1, commi 100-108 e 113-115, prevede una riduzione dei contributi previdenziali per 36 mesi, in favore dei datori di lavoro privati, con riferimento alle assunzioni con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (a tutele crescenti), effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2018, di soggetti aventi meno di 35 anni di età, ovvero meno di 30 anni di età per le assunzioni effettuate dal 2019, che non abbiano avuto (neanche con altri datori di lavoro) precedenti rapporti di lavoro a tempo indeterminato; qualora però la riduzione relativa ad un determinato lavoratore sia stata applicata per un periodo inferiore a 36 mesi, un altro datore può usufruire dello sgravio per il periodo residuo, nell'ipotesi di assunzione a tempo indeterminato del medesimo soggetto, indipendentemente dall'età anagrafica di quest'ultimo al momento della nuova assunzione.

La riduzione contributiva è:

·        pari al 50 per cento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per il medesimo rapporto (con esclusione dei premi e contributi relativi all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali);

·        pari al 100 per cento della medesima base contributiva per le assunzioni, entro sei mesi dall'acquisizione del titolo di studio, di studenti che hanno svolto presso il medesimo datore attività di alternanza scuola-lavoro (pari almeno al 30% delle ore di alternanza previste) o periodi di apprendistato;

·        applicata su base mensile, per un periodo massimo di 36 mesi, mentre la misura massima della riduzione è pari a 3.000 euro su base annua.

La riduzione contributiva:

·        si applica ai casi di trasformazione di un contatto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato;

·        si applica ai casi di prosecuzione di un contratto di apprendistato in rapporto a tempo indeterminato a condizione che il lavoratore non abbia compiuto il trentesimo anno di età alla data della prosecuzione;

·        non si applica ai rapporti di lavoro domestico e ai rapporti di apprendistato;

·        non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente.

 

In ordine alla quantificazione operata dalla RT, è stata evidenziata[105] la possibile non prudenzialità della stima dell'esonero contributivo medio, pari a 2.300 euro, considerando: che la riduzione concorre fino al 50 per cento (100 per cento per gli studenti); che le precedenti stime che si erano attestate su un livello più alto (per la legge di stabilità 2015 la media stimata era di 5.022 euro per sgravi pari al 100%); il valore non alto del massimale previsto 3.000 euro che porterebbe ad ipotizzare un maggiore avvicinamento dello sgravio medio al massimo concedibile.

 

Specifiche disposizioni riguardano poi le assunzioni nel Mezzogiorno. I commi 893-894 riconoscono un esonero contributivo pari al 100% per le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2018, di giovani entro i 35 anni di età, o con almeno 35 anni, a condizione che non abbiano un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. In ogni caso, l'importo dell'esonero non deve comunque superare il limite massimo di 8.060 euro annui, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 118, della legge n. 190 del 2014.

I commi 117-118 concedono un esonero contributivo quinquennale (nel limite massimo delle norme europee sugli aiuti de minimis) per coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, di età inferiore a 40 anni, con riferimento alle nuove iscrizioni nella previdenza agricola effettuate nel 2018. Tale esonero (che consiste nella dispensa dal versamento del 100% dell'accredito contributivo presso l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti) è riconosciuto, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, per un periodo massimo di 36 mesi, decorsi i quali viene riconosciuto in una percentuale minore per ulteriori complessivi 24 mesi (per la precisione nel limite del 66% per i successivi 12 mesi e nel limite del 50% per un periodo massimo di ulteriori 12 mesi).

Il comma 220 riconosce un contributo alle cooperative sociali che assumono donne vittime di violenza di genere, inserite in appositi percorsi di protezione debitamente certificati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato, decorrenti dal 1° gennaio 2018 con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2018. Il suddetto contributo è riconosciuto per un periodo massimo di trentasei mesi, entro il limite di spesa di un milione di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 a titolo di sgravio delle aliquote per l'assicurazione obbligatoria previdenziale e assistenziale dovute.

Infine, il comma 109 attribuisce un contributo in favore delle cooperative sociali con riferimento alle assunzioni di persone per le quali sia stata riconosciuta la protezione internazionale a partire dal 1° gennaio 2016, con contratti di lavoro a tempo indeterminato aventi decorrenza dal 1° gennaio 2018, purché stipulati entro il 31 dicembre 2018. Il contributo è corrisposto per un periodo massimo di 36 mesi, ai fini della riduzione della relativa contribuzione obbligatoria di previdenza ed assistenza sociale, entro un limite di spesa pari a 500.000 euro per ciascuno degli anni 2018-2020.

 

Di seguito si propone una tabella sintetica riepilogativa dei requisiti essenziali e degli oneri stimati dei principali provvedimenti sopra descritti.

 


 

 

 

 

 


Si ritiene utile rappresentare, con valenza a carattere generale in relazione ai dati sopra riportati, che l'utilizzo a fini di copertura degli effetti fiscali indotti (implicito nel fatto che essi sono stati contabilizzati nei prospetti di copertura delle leggi di bilancio) è stato ritenuto attivabile, anche per la giurisprudenza contabile, "per provvedimenti di sessione, in una fase, cioè, in cui si sta ricomponendo il quadro complessivo delle interrelazioni tra legislazione ordinaria e bilancio nel suo complesso"[106].

Fra l'altro, nel caso in esame, la natura di tali effetti indotti, inevitabilmente correlati alla fruizione del beneficio (che comporta una deducibilità fiscale di minori contributi), consente di escludere il sorgere, perlomeno in relazione alla stima dell'impatto delle misure di decontribuzione in esame sui saldi di finanza pubblica, di conseguenze derivanti dal cosiddetto effetto "peso-morto"[107], fenomeno - ineliminabile nei provvedimenti di agevolazione - che consiste nella concessione del beneficio anche a soggetti che comunque avrebbero adottato il comportamento che si intende incentivare.

Le Convenzioni internazionali sulle doppie imposizioni e lo scambio di informazioni tra paesi

Le convenzioni internazionali sulle doppie imposizioni mirano ad evitare che il medesimo presupposto del tributo[108] sia soggetto a tassazione in diversi Stati. Gli stessi, infatti, nella loro autonoma potestà impositiva, possono rendere applicabile la propria normativa fiscale sulla base del criterio della residenza del soggetto percettore dei redditi, ovunque prodotti (c.d. principio della tassazione su base mondiale), oppure sulla base del criterio della localizzazione del reddito, indipendentemente dalla residenza del soggetto percettore (tassazione su base territoriale). Conseguentemente, quando i criteri che informano la normativa fiscale di due o più paesi si sovrappongono, con riguardo ad un medesimo presupposto impositivo, si verifica il fenomeno dell’assoggettamento del medesimo reddito a due imposizioni (nei paesi in cui il reddito è stato prodotto e nel paese di residenza del soggetto che lo ha prodotto). Tali convenzioni sono dunque accordi internazionali tra due parti (convenzioni bilaterali), anche se non mancano esempi di accordi con più Stati (convenzioni multilaterali)[109].

La maggior parte delle convezioni fiscali bilaterali ha assunto a modello la Convenzione tipo elaborata nel 1963, e più volte aggiornata, nell'ambito dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)[110]. Un commentario ne illustra i contenuti e funge da base per l'interpretazione degli articoli della convenzione tipo. Il modello non è vincolante, non costituisce una fonte del diritto internazionale e pone una serie di raccomandazioni dalle quali le singole convenzioni si possono discostare.

La versione del modello OCSE pubblicata il 18 dicembre 2017 recepisce alcune indicazioni del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting[111]) il quale, in ambito OCSE/G20, ha elaborato diverse strategie di contrasto ai fenomeni di spostamento di profitti verso giurisdizioni con tassazione bassa o inesistente (profit shifting) e di abbattimento della base imponibile attraverso pratiche elusive (base erosion)[112].

 

Si ricorda, inoltre, che l’Italia, il 7 giugno 2017, ha aderito alla Convenzione multilaterale BEPS[113], fatta a Parigi il 24 novembre 2016 ma non lo ha ancora ratificata. Tale Convenzione non opera come modello per la redazione e l'interpretazione degli accordi; essa mira, invece, ad introdurre norme giuridiche operanti, modificando gli accordi fiscali "coperti"[114].

 

In tema di scambio di informazioni ai fini del contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, nel luglio 2014 l'OCSE ha pubblicato il modello dello Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information in Tax Matters[115]. Il documento si propone come modello per lo scambio automatico di informazioni tra Amministrazioni fiscali e delinea l'oggetto, la modalità e la tempistica delle informazioni da scambiare[116].

 

La ratifica delle convezioni internazionali nella materia in esame può comportare effetti finanziari connessi all'attuazione del trattato. Si possono verificare variazioni di gettito in termini di aumento o di diminuzione delle entrate; in particolare le riduzioni possono derivare dalla rimodulazione di norme fiscali vigenti al fine di escludere le cause della doppia imposizione oppure possono sorgere nuovi oneri di natura amministrativa, legati agli obblighi in materia di scambio di informazioni posti in capo agli Stati contraenti.

 

A titolo meramente esemplificativo, si ricorda che:

 

·     alla legge di ratifica della Convenzione Italia-Panama contro le doppie imposizioni[117] sono stati associati oneri in misura pari a 380.000 euro a decorrere dall'anno 2017 (art. 4 della legge di ratifica).

 

La RT annessa al disegno di legge di ratifica ha chiarito che l'onere corrispondeva alla riduzione di gettito derivante dall'applicazione dalle disposizioni della Convenzione concernenti la tassazione sui dividendi, sui canoni e sugli utili di capitale[118]. Nello specifico si ricorda che:

-   l'articolo 10 della Convenzione, concernente la tassazione dei dividendi corrisposti da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell'altro Stato contraente, dispone che gli stessi siano tassati nel territorio di residenza del beneficiario. Da tali norme deriverebbe un mancato gettito pari a 40.000 euro;

-   l'articolo 12, riferito ai canoni, chiarisce che essi sono imponibili nello Stato di residenza del beneficiario; tuttavia si prevede la tassazione anche da parte dello Stato di provenienza di tali redditi ma, se l’effettivo beneficiario è un residente dell’altro Stato contraente, l’aliquota massima di ritenuta nello Stato della fonte non può eccedere il 10% dell'ammontare lordo dei canoni. A tale disposizione la RT ascrive una diminuzione del gettito pari a 12.000 euro;

-   per quanto poi concerne il trattamento degli utili di capitale (c.d capital gains) di cui all’articolo 13 della convenzione, ferme restando le esclusioni ed esenzioni già previste nella disciplina interna vigente, si dispone che l’Italia non potrà assoggettare a tassazione plusvalenze e proventi prodotti da soggetti residenti nel territorio panamense e relativi a strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati o a contratti conclusi fuori dai predetti mercati. Alla predetta disposizione sono stati associati oneri in misura pari a 328.000 euro;

 

·     in relazione alla Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali[119], sono stati riferiti oneri a titolo di minori entrate in misura pari a 3.282.000 euro a decorrere dall'anno 2014 (art. 3 della legge di ratifica)[120].

 

La RT di accompagnamento al disegno di legge di ratifica stima minori entrate a decorrere dal 2014 riconducibili ai seguenti articoli della Convenzione:

-   articolo 7, il quale sancisce il principio in base al quale gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, salvo che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata (oneri stimati in misura pari a 320.000 euro);

-   articolo 10, il quale stabilisce che i dividendi siano tassati nello Stato di residenza del percipiente, prevedendo la possibilità per lo Stato di residenza della società che ha distribuito i dividendi di applicare, in alcuni casi, un’imposta non superiore al 15 per cento (oneri associati pari a 600.000 euro);

-   articolo 11, il quale stabilisce il principio di tassazione degli interessi nello Stato di residenza del beneficiario effettivo, prevedendo altresì alcuni casi di tassazione da parte dell'altro Stato contraente (120.000 euro è l'onere relativo ipotizzato);

-   articolo 12, il quale sancisce, anche per i redditi costituiti dai canoni (royalties), il principio di imponibilità nel Paese di residenza del beneficiario, prevedendo alcuni casi di imposizione dell'altro Stato contraente con aliquota massima del 10% (112.000 euro di oneri);

-   articolo 13, recante una dettagliata disciplina sulla ritenuta sulle plusvalenze i cui effetti sono quelli di escludere dall’imposizione fiscale specifiche tipologie di redditi da capitale (capital gains), precedentemente tassati[121] (con indicazione di oneri in misura pari a 1.950.000 euro);

-   articolo 22, concernente la categoria degli altri redditi – cioè varie tipologie di reddito non riconducibili alle altre disposizioni della Convenzione – con specifico riferimento ai redditi di lavoro autonomo occasionale per i quali gli effetti finanziari derivano dalla modifica dell’imposizione fiscale che non si basa più sul luogo dove viene svolta l’attività professionale, bensì sul luogo di residenza del soggetto (con previsione di oneri pari a 180.000 euro);

 

·     con riferimento alla legge di ratifica dell'Accordo Foreign account tax compliance act (FATCA)[122] poiché le disposizioni ivi previste hanno carattere procedurale, la RT annessa non vi ha ascritto oneri a carico del bilancio dello Stato;

 

·     alle leggi di ratifica di trattati sullo scambio di informazioni basati sul modello TIEA i trattati attribuiscono all'una o all'altra Parte i costi derivanti dagli scambi informativi.



 

PARTE V – CRITERI DI CONTABILIZZAZIONE E QUANTIFICAZIONE DI VOCI DI SPESA

La spesa per prestazioni sociali

L’aggregato di spesa per prestazioni sociali, come definita nel conto economico della pubblica amministrazione (SEC2010), comprende i trasferimenti correnti in denaro o in natura, corrisposti alle famiglie al fine di coprire gli oneri per il verificarsi di determinati eventi (malattia, vecchiaia, morte, disoccupazione, assegni familiari, infortuni sul lavoro, eccetera). Tale aggregato è composta da:

•  prestazioni sociali in natura: tali prestazioni comprendono sia una parte della spesa sanitaria, in particolare, quella erogata in convenzione, sia una parte della spesa assistenziale, in particolare, i servizi sociali erogati da una pluralità di istituzioni ed enti, per esempio, i comuni;

•   prestazioni sociali in denaro: in tale voce confluiscono la spesa per prestazioni sociali a copertura dei rischi invalidità, vecchiaia, superstiti, disoccupazione, infortuni professionali, maternità e malattia, nonché alcune spese di natura assistenziale.

La spesa sanitaria: finanziamento e livelli essenziali di assistenza

·       Definizioni dell’aggregato

Nelle statistiche ufficiali si riscontrano diverse definizioni dell’aggregato della spesa sanitaria.

La prima è quella adottata dall’ISTAT nell’ambito della contabilità nazionale (spesa sanitaria corrente CN) ai fini della predisposizione del conto economico consolidato della protezione sociale per il settore di intervento della sanità e per il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche – Spesa sanitaria corrente di contabilità nazionale. Tale aggregato è elaborato nel rispetto dei principi contabili del Sistema europeo delle statistiche integrate della protezione sociale (SESPROS), in coerenza con il SEC2010, e contabilizza i costi per la produzione dei servizi sanitari da parte di un qualsiasi ente facente parte della pubblica amministrazione. Si evidenzia in proposito che, nell’ambito della contabilità nazionale, non è previsto uno specifico aggregato relativo alla spesa sanitaria pubblica. Questa, infatti, è la somma delle diverse voci riconducibili al settore sanitario e principalmente, ai costi del personale (facenti parte dell’aggregato redditi da lavoro dipendente) e alle spese per l’acquisto di beni e servizi (contabilizzati nei consumi intermedi).

Il consolidamento dei conti del settore sanitario, effettuato a consuntivo dall’Istat sulla base dei dati NSIS[123] del Ministero della Salute, fa riferimento ai soggetti operatori: le prestazioni sono infatti erogate agli utenti direttamente attraverso le strutture del Servizio sanitario nazionale, o indirettamente attraverso strutture accreditate o professionisti convenzionati, costituendo queste ultime la parte preponderante delle prestazioni sociali in natura[124]. Sotto tale profilo, pertanto, la spesa sanitaria si divide in quella riconducibile ai produttori di beni e servizi non market (per le prestazioni erogate direttamente dalle strutture del SSN) e nella spesa riconducibile a prestazioni erogate da produttori market (erogate, quindi, per conto del SSN e da questo remunerate).

 

Una seconda definizione dell’aggregato è quella relativa alla spesa rilevata mediante i modelli di Conto economico (spesa sanitaria corrente CE)[125] degli Enti sanitari locali (ESL) presa a riferimento dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali per la valutazione dei risultati d’esercizio.

I due aggregati presentano un’ampia area di sovrapposizione, ma anche significative differenze, quale ad esempio la contabilizzazione dei costi sostenuti dagli ESL per l’acquisto di beni e servizi da altre amministrazioni pubbliche, che sono considerati nella spesa sanitaria corrente CE, mentre non sono considerate nella spesa sanitaria corrente di CN, in quanto nella contabilità nazionale tali transazioni sono consolidate all’interno del conto economico di riferimento.

 

Si segnala inoltre che l’OCSE adotta una diversa definizione di spesa sanitaria pubblica corrente finalizzata a fornire una stima dell’ammontare dei costi sanitari effettivamente sostenuti nell’anno. L’aggregato viene quindi definito in funzione delle componenti di spesa determinate sulla base del sistema di classificazione System of Health Accounts (SHA)[126].

 

·       Il fabbisogno sanitario nazionale e le fonti di finanziamento

Il vigente ordinamento del SSN prevede due livelli di governo: lo Stato che definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) da erogare uniformemente sul territorio nazionale e concorda con le Regioni l’ammontare dei trasferimenti erariali destinati al loro finanziamento; le Regioni che organizzano i propri servizi sanitari regionali (SSR) e garantiscono l’erogazione delle prestazioni ricomprese nei LEA.

Il livello di fabbisogno sanitario nazionale, di norma definito in via programmatica con un orizzonte temporale triennale in sede di Intesa Stato-Regioni e successivamente recepito in Legge di bilancio, rappresenta la quota di risorse ritenute congrue dallo Stato per consentire alle regioni di erogare i livelli essenziali di assistenza (LEA), in condizione di efficienza e appropriatezza.

Eventuali spese superiori al finanziamento concordato, conseguenti alle scelte di alcune regioni di erogare livelli di prestazioni superiori ai LEA (e quindi “programmate” in sede di predisposizione dei bilanci regionali) o a una dinamica dei costi non congruente con quella sottesa alla quantificazione del fabbisogno, sono coperti a carico delle singole regioni.

 

Nello schema che segue sono esposte le principali fonti di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale e gli importi delle risorse da ripartire per l’anno 2017, desunte dalla delibera CIPE n. 117 del 22 dicembre 2017 (Fondo sanitario nazionale 2017 - Riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale).


 

Fonte: Elaborazioni su dati delibera CIPE n. 117/2017.

Più in particolare, i fabbisogni sanitari delle regioni a statuto ordinario, di quelle a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono finanziati:

a)      dai ricavi e dalle entrate proprie di ogni singola regione (entrate da ticket e ricavi per attività intramoenia)

b)    dalle entrate relative alla fiscalità regionale (IRAP e addizionale regionale all’IRPEF).

Si precisa che, in sede di riparto, le entrate da fiscalità regionale sono calcolate ad aliquota standard. L’eventuale mancato gettito fiscale IRAP determinatosi a consuntivo viene compensato dalle risorse del Fondo Sanitario Nazionale specificamente destinate ad integrare le minori entrate (Bilancio dello Stato, Stato di previsione del MEF, capitolo 2701 Finanziamento del fondo sanitario nazionale in relazione alle minori entrate dell’IRAP).

Inoltre, le eventuali manovre effettuate dalle regioni, in virtù della loro autonomia fiscale, in diminuzione delle aliquote sono a carico dei singoli bilanci regionali. Diversamente a fronte di un innalzamento autonomo delle aliquote tali risorse verrebbero trasferite dal bilancio dello Stato alle regioni che hanno operato il citato incremento.

 

Le predette risorse (di cui alle lettere a) e b)) non sono di norma sufficienti a garantire l’erogazione dei LEA e pertanto il sistema di finanziamento del SSN prevede un meccanismo di integrazione, che differisce tra le diverse regioni. In particolare:

-        le regioni a statuto ordinario integrano le risorse del loro fabbisogno sanitario regionale mediante la compartecipazione all’IVA (Bilancio dello Stato, stato di previsione del MEF capitolo n. 2862)[127];  

-        le regioni a statuto speciale (ad eccezione della Regione Siciliana) e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento del proprio servizio sanitario senza uno specifico apporto a carico del bilancio dello Stato: ciò in quanto il sistema di finanziamento delle regioni a statuto speciale prevede che, attraverso le entrate fiscali ricevute sotto forma di compartecipazioni ai tributi erariali, le stesse provvedano al finanziamento integrale dell'esercizio delle funzioni attribuite loro dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione[128];

-        la Regione Siciliana provvede al finanziamento del proprio servizio sanitario per una quota pari al 49,11%[129]. La restante parte (pari al 50,89%) è a carico del Fondo Sanitario Nazionale (FSN)[130].

 

Nel grafico che segue è sintetizzata la composizione delle fonti di finanziamento del fabbisogno sanitario indistinto elaborata sulla base dei dati della citata delibera CIPE n. 117 del 2017:

Fonti di finanziamento del fabbisogno sanitario indistinto – anno 2017

Fonte: Fonte: Elaborazioni su dati delibera CIPE n. 117/2017.

 

Si definisce fabbisogno sanitario indistinto la quota delle risorse complessive del SSN non vincolate a specifiche finalità e destinate al finanziamento dei LEA.

Con riferimento alle risorse del fabbisogno sanitario indistinto, si segnala che determinate risorse, per effetto di apposite norme di legge, sono finalizzate ad alcune aree di intervento, quali ad esempio la quota destinata al rimborso alle regioni per l'acquisto di vaccini ricompresi nel nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) pari a 100 milioni di euro per l'anno 2017, a 127 milioni di euro per l'anno 2018 e a 186 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019 (articolo 1, comma 408, della legge n. 232/2016).

 

Per quanto attiene invece al fabbisogno sanitario vincolato, l’articolo 1, comma 34, della legge n. 662/1996 prevede che il CIPE, su proposta del Ministro della sanità, possa vincolare quote del Fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, con priorità per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile, della salute mentale, della salute degli anziani nonché per quelli finalizzati alla prevenzione, con particolare riferimento alla prevenzione delle malattie ereditarie.

Infine, le risorse accantonate per la quota premiale sono fissate nella misura pari allo 0,25% del livello di finanziamento del SSN e sono destinate alle regioni che attuano una serie di misure di efficientamento del sistema sanitario regionale, previste dall’articolo 2, comma 67-bis, della legge n. 191/2009. L’accertamento delle condizioni per l’accesso regionale alle predette forme premiali è effettuato nell’ambito del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza LEA e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali[131]

 

·       Contabilizzazione degli effetti delle manovre in ambito sanitario

Per effetto dei meccanismi che presiedono al finanziamento del SSN, sopra illustrato, una manovra in ambito sanitario che si sostanzi in una modifica del livello di finanziamento è suscettibile di incidere integralmente sulle RSO, parzialmente sulla Regione Siciliana (per una quota pari al 50.89%), mentre non determina necessariamente effetti diretti sulle altre autonomie speciali, in assenza di specifiche previsioni in tal senso.

Pertanto, in caso di manovra restrittiva attuata mediante il taglio del fabbisogno sanitario complessivo, si avrà un effetto di riduzione della spesa corrente in eguale misura sui tre saldi di finanza pubblica per un ammontare corrispondente alla parte della manovra che riguarda le regioni a statuto ordinario e in parte la Regione Siciliana. Per quanto riguarda le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell’ambito di manovre di questo tenore, realizzate nei precedenti esercizi, sono state introdotte specifiche norme, per l’individuazione di meccanismi diretti a disciplinare anche il concorso delle autonomie speciali.

 

Con particolare riferimento a tale ultimo aspetto si segnala la sentenza della Corte costituzionale n. 125/2015, la quale - fra l’altro - ha dichiarato, su ricorso della regione Valle d’Aosta, l’illegittimità costituzionale dei meccanismi previsti dall’articolo 15, comma 22, del decreto-legge n. 95/2012. In base a tale norma le regioni a statuto speciale, con l’esclusione della Regione Siciliana, e le province autonome, avrebbero assicurato il concorso alla finanza pubblica sulla base di specifici criteri e modalità proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e province autonome. In caso di mancata proposta, la norma prevedeva che l'importo del concorso alla manovra fosse annualmente accantonato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali[132].

 

Nella tabella che segue sono riportati il livello di finanziamento del SSN e l’impatto sullo stesso delle più recenti manovre.

Livello finanziamento SSN (2014-2017)

(importi in milioni di euro)

 

A titolo esemplificativo, si esaminano gli effetti ascritti alle due ultime manovre realizzate con le leggi di bilancio 2017 e 2018.

L’articolo 1, comma 392, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017), ha introdotto una manovra a carico del settore sanitario per 63 milioni di euro nel 2017, 998 milioni nel 2018 e 2.988 milioni nel 2019. Il carico della manovra era suddiviso tra le regioni a statuto ordinario e le regioni a statuto speciale.

La contabilizzazione della manovra sui saldi di finanza pubblica rispecchia il sistema di finanziamento del SSN, in base al quale si registra una minore spesa corrente sui tre saldi per le regioni a statuto ordinario. Diversamente, per le regioni a statuto speciale si registra una minore spesa sui saldi di fabbisogno e indebitamento, mentre per il bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare) si determina una maggiore entrata extratributaria.

Quindi mentre l’applicazione alle RSO è garantita dalla riduzione del livello del fabbisogno sanitario, per le Autonomie speciali si è fatto rinvio a singoli accordi con il Governo, da raggiungersi entro la data del 31 gennaio. Come si legge nel rapporto sul Monitoraggio della spesa sanitaria anno 2017 “le autonomie speciali hanno manifestato l’indisponibilità a raggiungere un’intesa con il Governo in merito. In assenza di clausola di salvaguardia, ciò ha determinato minori entrate per il bilancio dello Stato, con pari impatto sui saldi di finanza pubblica, per circa 7 milioni di euro nel 2017, 107 milioni di euro nel 2018 e 322 milioni di euro a decorrere dal 2019”[133].

 

    L’articolo 1, comma 435, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) ha invece incrementato il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato di 30 milioni di euro per l'anno 2019, di 35 milioni di euro per l'anno 2020, di 40 milioni di euro per l'anno 2021, di 43 milioni di euro per l'anno 2022, di 55 milioni di euro per l'anno 2023, di 68 milioni di euro per l'anno 2024, di 80 milioni di euro per l'anno 2025 e di 86 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2026 al fine di incrementare i fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria.

 

·       Livelli essenziali di assistenza: limiti di spesa e diritti soggettivi

Il fabbisogno sanitario nazionale, come evidenziato in precedenza, rappresenta il complesso delle risorse destinate al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) ovvero dei beni, sevizi e prestazioni che il SSN garantisce a tutti i cittadini in condizioni di uniformità.

 

La nozione di livelli essenziali è stata introdotta nella Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V, con riferimento alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. In ambito sanitario, i Livelli essenziali di assistenza (LEA) sono stati poi definiti, una prima volta, dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, che costituisce un classificatore e nomenclatore delle prestazioni sanitarie sulla base della loro erogabilità da parte del SSN.

L’articolo 1, commi 553-564, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) ha previsto l’aggiornamento dei LEA, da attuarsi con DPCM nei limiti di una maggiore spesa pari a 800 milioni di euro annui. Successivamente è stato emanato il D.P.C.M. 12 gennaio 2017, di aggiornamento dei LEA, che ha introdotto modifiche al nomenclatore della specialistica ambulatoriale, includendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed eliminando quelle ormai obsolete, ha innovato il nomenclatore dell'assistenza protesica, revisionato l'elenco delle malattie rare e quello delle malattie croniche e introdotto nuovi vaccini e nuovi accertamenti per patologie neonatali, ma, finora, non sono stati ancora emanati i decreti che fissano le tariffe massime delle prestazioni dell'assistenza specialistica ambulatoriale e protesica, rendendo così non fruibili le nuove prestazioni.

 

A fronte di tale definizione, nel quadro della verifica parlamentare degli oneri legislativi, emerge spesso questione metodologica, che verte sulla presenza, da un lato, di un diritto soggettivo di tutti i cittadini alla prestazione sanitaria e, dall’altro, del limite di spesa rappresentato dal complesso delle risorse finanziarie disponibili del SSN a legislazione vigente. Peraltro, la modulazione delle prestazioni al fine di renderle conformi ai limiti di spesa via via indicati, è stata risolta in via di prassi attraverso le intese con le Regioni e facendo salva comunque la facoltà di prevedere prestazioni aggiuntive previa predisposizione di risorse proprie regionali.

 

Nelle manovre in ambito sanitario sopra esaminate, a fronte della riduzione delle risorse destinate al SSN negli anni 2014-2016, il quadro delle prestazioni sanitarie da erogare ai cittadini non è stato oggetto di riduzione di volta in volta. Infatti, in tali casi, le regioni sono chiamate a ridurre il livello di spesa, attuando misure di efficientamento del sistema sanitario regionale ovvero ad adottare interventi diretti ad incrementare le entrate laddove il livello programmato di finanziamento venga superato.

Nella relazione tecnica riferita al disegno di legge di stabilità 2016, si legge che l’effetto di minore spesa “sull’indebitamento può essere conseguito sul versante della spesa tramite adozione autonoma da parte delle regioni di idonee e congrue misure di contenimento della spesa. In ogni caso, dato il vincolo dell’equilibrio nel settore sanitario, il pieno conseguimento dell’effetto scontato in termini di indebitamento netto sarebbe comunque assicurato tramite l’attivazione della leva fiscale autonoma delle regioni o dei meccanismi automatici previsti dalla normativa vigente, in caso di emersione di disavanzi regionali” (cfr. successivo approfondimento).

 

L’equilibrio economico-finanziario dei bilanci sanitari regionali

 

Sulla base delle intese intercorse tra lo Stato e le Regioni, sono state introdotte nell’ordinamento, a decorrere dal 2005, disposizioni specificamente volte a responsabilizzare le Regioni nel perseguimento dell’obiettivo di azzerare i disavanzi accumulatisi dal 2001, prevedendo al contempo il concorso finanziario e tecnico dello Stato.

In particolare, gli interventi legislativi in materia hanno previsto a carico delle Regioni adempimenti organizzativi e gestionali intesi a garantire l’equilibrio economico-finanziario e il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Al fine di verificare il rispetto di tali adempimenti, tutte le Regioni sono sottoposte a verifica annuale da parte degli organismi di controllo: il Tavolo di verifica degli adempimenti e il Comitato Lea istituiti, rispettivamente, presso i Ministeri dell’economia e finanze e della salute. A tali organismi si affianca dal 2010 la Struttura tecnica di monitoraggio paritetica, quale struttura tecnica di supporto della Conferenza Stato-Regioni, istituita dal Patto per la salute 2010-2012 e composta da sei rappresentanti dello Stato e sei rappresentanti delle Regioni.

Il Governo dispone di significativi strumenti di azione nei confronti delle Regioni inadempienti. Qualora in sede di verifica annuale si accerti la mancata copertura del disavanzo è attivato, in caso di perdurante inadempienza, l’automatico incremento dell’aliquota IRAP e dell’addizionale IRPEF di spettanza regionale entro i livelli massimi previsti dalla normativa vigente. In caso di mancata copertura del disavanzo, il Governo può “congelare” le quote di finanziamento in erogazione e nominare un Commissario ad acta, al fine di adottare i necessari provvedimenti per il ripiano delle perdite.

Con la legge finanziaria 2005 è stata prevista la possibilità per le Regioni che evidenziano un disavanzo strutturale di stipulare un apposito accordo con i Ministri dell’economia e della salute, accompagnato da un programma operativo di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del SSN, c.d Piano di rientro dai disavanzi (Pdr).

La situazione di disavanzo strutturale per una regione si configura nella sostanziale incapacità di assicurare l’equilibrio finanziario del proprio servizio sanitario. La legge finanziaria per il 2010 ha stabilito che il livello dimensionale del disavanzo sanitario strutturale, rispetto al finanziamento ordinario e alle maggiori entrate proprie sanitarie, è fissato al 5 per cento.

Con particolare riferimento alla procedura, la regione, accertato il deficit, presenta entro il 30 giugno dell'anno di riferimento, il Piano, di durata non superiore al triennio, elaborato con AIFA e AGENAS. Dopo l'approvazione regionale, la valutazione è compiuta dai Tavoli tecnici di monitoraggio (Tavolo adempimenti e Comitato LEA), a cui partecipano rappresentanti dei ministeri competenti (rispettivamente MEF e Ministero della salute), delle regioni e della Conferenza Stato-Regioni. Decorsi i termini previsti, il Governo valuta il Piano e lo approva. Se la regione non presenta il Piano di rientro, o nel caso di valutazione negativa del Piano da parte dei Tavoli tecnici per gravi ritardi nella sua attuazione, il Governo diffida la regione a compiere gli adempimenti previsti entro la data riportata nella diffida. I Tavoli tecnici sono chiamati a valutare gli atti adottati dalla regione e la loro congruità a recuperare il grave ritardo nell'attuazione del Piano di rientro. In caso di valutazione negativa lo stesso Governo nomina un commissario ad acta per gli adempimenti necessari. Con il commissariamento la regione perde la sua potestà sulla sanità con particolare riferimento agli obiettivi nominati esplicitamente nel mandato commissariale. Il Commissario può essere affiancato nell'attuazione del suo mandato da uno o più sub commissari ai quali viene conferito specifico mandato.

Il commissariamento della regione comporta l'automatica adozione di misure restrittive e sanzionatorie verso la regione (sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari, incremento delle aliquote nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell'aliquota dell'Irap e di 0,30 punti percentuali dell'addizionale all'Irpef). Resta fermo l'obbligo del mantenimento, per l'intera durata del piano, delle maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'addizionale regionale all'IRPEF ove scattate automaticamente ai sensi dell'art. 1, co. 174, della L 311/2004.

Le regioni sottoposte ai Piani di rientro e commissariate possono presentare un nuovo Piano di rientro, o, in alternativa, la prosecuzione del piano di rientro secondo programmi operativi, coerenti con gli obiettivi della gestione commissariale. Se la regione presenta un nuovo Piano di rientro cessa il commissariamento, e si ritorna alla gestione ordinaria (articolo 2, comma 88 legge finanziaria 2010).

La spesa pensionistica

All’aggregato di spesa delle prestazioni sociali in denaro sono riconducibili la spesa per pensioni e quella per altre prestazioni sociali in denaro.

La prima componente è costituita dal complessivo sistema pensionistico obbligatorio, cui si aggiunge la spesa per pensioni sociali o assegni sociali.

La seconda componente, diversa dalla spesa per pensioni, è quella complessivamente sostenuta per prestazioni monetarie di varia natura e finalità, denominata “altre prestazioni in denaro”. Tra le principali prestazioni ivi ricomprese figurano: il trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici; le indennità di disoccupazione e integrazione salariale; le prestazioni di invalidità civile e quelle per non vedenti e non udenti; le rendite infortunistiche; gli assegni al nucleo familiare; gli assegni di malattia, maternità e congedi parentali; le pensioni di guerra, nonché altri sussidi o assegni previdenziali ed assistenziali.

 

Per quanto riguarda i modelli previsionali relativi alla spesa pensionistica, si fa presente che le previsioni di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, elaborate dal Ministero dell’economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato) sono effettuate sulla base di due distinti scenari: lo scenario “nazionale base” e lo scenario “EPC-WGA baseline”. Il primo è definito in ambito nazionale e recepisce la previsione demografica prodotta dall’Istat; il secondo è determinato a livello europeo nel Gruppo di lavoro sull’invecchiamento demografico costituito presso il Comitato di politica economica del Consiglio Ecofin (Economic Policy CommitteeWorking Group on Ageing, EPC-WGA) e recepisce ipotesi definite in ambito europeo per la predisposizione delle previsioni sulle spese pubbliche. La previsione dell’andamento di medio-lungo periodo della spesa pensionistica recepisce lo scenario nazionale base che considera i parametri demografici sottostanti lo scenario mediano elaborato dall’Istat. Tale previsione, inoltre, sconta gli effetti delle misure contenute negli interventi di riforma adottati dal 1995 ad oggi, compresa l’indicizzazione dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione alle variazioni della speranza di vita, misurata dall’Istat. Per quanto riguarda le tendenze di medio-lungo periodo della spesa pensionistica, appositi approfondimenti sono contenuti ed aggiornati periodicamente nel Documento di economia e finanza (DEF) e nella relativa nota di aggiornamento (Nadef). Per quanto attiene alle ultime proiezioni, si rinvia all’apposito approfondimento contenuto nel DEF 2018[134].

 

·       Quantificazione e copertura di norme relative all’anticipo dei requisiti pensionistici

Per quanto riguarda la spesa pensionistica, i principali interventi adottati nel settore nel corso della XVII legislatura sono stati per lo più rivolti ad attenuare, per talune categorie di lavoratori specificamente individuate, i requisiti necessari al pensionamento rispetto a quelli previsti per la generalità dei soggetti dalla riforma di cui all’articolo 24 del DL 201/2011 (cosiddetta “legge Fornero”). Pur mantenendo sostanzialmente inalterato l’impianto generale della riforma, sono state quindi previste deroghe che hanno interessato particolari categorie di soggetti.

Dal punto di vista metodologico, le disposizioni che intervengono sulla spesa pensionistica, in senso riduttivo o espansivo, determinano un corrispondente effetto sui tre saldi di finanza pubblica.

Ciò si determina, per quanto attiene ai saldi della p.a. (indebitamento netto e fabbisogno) in ragione del maggiore (o minore) livello dei pagamenti delle pensioni da parte dei soggetti gestori ricompresi nell’ambito del perimetro delle amministrazioni pubbliche.

Tuttavia, anche il bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare) è interessato a tali effetti, poiché a fronte di aumenti (o riduzioni) della spesa pensionistica si determinano corrispondenti incrementi (o diminuzioni) dei trasferimenti statali ai soggetti gestori con finalità di compensazione.

Con riferimento ai profili di quantificazione dei predetti effetti, il processo di analisi evidenzia complessità che solo un’esaustiva relazione tecnica, completa di tutti i parametri assunti come base di calcolo, consente di verificare.

In proposito, si richiama preliminarmente l’articolo 17, comma 7, della legge n. 196/2009 che prevede che, per le disposizioni legislative in materia pensionistica, la relazione tecnica contenga un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali.

Per le norme che derogano ai requisiti per l’accesso alle prestazioni pensionistiche, le proiezioni della relazione tecnica riguardano, in primo luogo, la definizione della platea dei potenziali aventi diritto ai requisiti ridotti rispetto a quelli vigenti. La determinazione di tale platea avviene sulla base dei dati statistici disponibili da parte dell’INPS, modulati sulle classi di età dei soggetti interessati dalle deroghe. Di complessa determinazione può peraltro risultare l’individuazione del c.d. “anticipo medio”, qualora dovessero essere ricompresi nell’arco temporale relativo alla quantificazione delle platee incrementi legati all’aumento delle aspettative di vita ancora in corso di definizione.

Congiuntamente alla platea interessata, ai fini della quantificazione degli oneri pensionistici, va definito l’importo medio annuo da erogare e l’anticipo medio rispetto alla naturale decorrenza prevista a legislazione vigente; infatti l’onere della singola pensione anticipata tende ad esaurirsi al raggiungimento della suddetta decorrenza, potendo invece determinare risparmi negli anni successivi a tale data dal momento che in un sistema contributivo (o comunque misto) ad un numero inferiore di anni di contribuzione corrispondono ratei pensionistici inferiori.

Qualora infine le norme pensionistiche riguardino lavoratori dipendenti del pubblico impiego, occorre considerare nel computo degli effetti finanziari anche quelli determinati dall’anticipo della corresponsione del trattamento di fine servizio (TFS). Il loro importo va imputato alle annualità di riferimento, tenendo conto che, per coloro che sono collocati volontariamente in pensione anticipata rispetto a quella di vecchiaia, la prima rata è corrisposta dopo 24 mesi dal collocamento in pensione. Inoltre, per trattamenti di fine servizio superiori a 50.000 euro, l’erogazione viene assicurata in due importi annuali e, per trattamenti superiori a 100.000 euro, in tre importi annuali. Specularmente, al maggior onere maggiore da considerare nelle annualità interessate dall’anticipo dei requisiti, corrisponderanno minore spese per TFS nelle annualità in cui lo stesso sarebbe stato erogato rispetto agli ordinari requisiti.

·       Interventi di salvaguardia in favore dei cosiddetti “lavoratori esodati”

Nel corso della XVII legislatura è proseguita, con cinque ulteriori interventi, la salvaguardia, iniziata nel corso della legislatura precedente[135], che consente il pensionamento in base ai requisiti esistenti prima della riforma, per alcune categorie di lavoratori.

I provvedimenti in tal senso approvati nel corso della XVII legislatura sono: articoli 11 e 11-bis del DL 102/2013; articolo 1, comma 191, della L. n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014); la legge n.147/2014; l’articolo 1, comma 263 e commi 265-273, della L. n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016) e l’articolo 1, commi 212-221, della L. n. 232/2016 (Legge di bilancio 2017).

In base a tali provvedimenti, la salvaguardia è stata estesa ai lavoratori con rapporto di lavoro cessato entro il 31 dicembre 2011 a seguito di risoluzione unilaterale e ai lavoratori che nel 2011 erano in congedo per assistere familiari con handicap grave o fruivano di permessi giornalieri retribuiti per assistenza a coniuge parente o affine con handicap grave. Per quest’ultima categoria è stato previsto l’ulteriore requisito della maturazione dei requisiti pensionistici ordinari entro 36 mesi dall'entrata in vigore del D.L. 201/2011.

Tutti i predetti benefici sono stati previsti entro specifici limiti di spesa, subordinando quindi l’accesso al beneficio alla disponibilità effettiva delle relative risorse. A tal fine le norme di salvaguardia hanno previsto l’introduzione di un doppio limite, riguardante sia il numero dei soggetti cui è stato consentito l’accesso ai benefici pensionistici (specificato anche per categoria a partire dalla L. 147/2014) sia il corrispondente limite corrispondente di spesa. A garanzia del rispetto di detti limiti, gli interventi normativi hanno previsto che l’INPS, a seguito di una specifica attività di monitoraggio, non prenda in considerazione ulteriori domande di pensionamento in caso di raggiungimento del limite numerico delle domande previsto dalle disposizioni.

Si segnala che la previsione di espressi limiti (numerici e di spesa), adottata fin dall’inizio degli interventi di salvaguardia relativi alla materia in esame, appare costituire un elemento innovativo nei provvedimenti che intervengono in materia previdenziale. Infatti, a tali fattispecie è stato solitamente associato il riconoscimento di diritti soggettivi ritenuti in linea generale – e ferma restando la possibilità di una programmazione temporale dei pensionamenti - non comprimibili nell’ambito di predeterminate limitazioni di carattere quantitativo.

Peraltro, nel corso dell’ultima legislatura, a fronte del monitoraggio svolto dall’INPS, con i provvedimenti via via adottati è stato possibile intervenire ex post, rifinanziando gli interventi in favore di categorie per le quali gli stanziamenti erano risultati insufficienti, oppure riutilizzando risorse eccedenti nei casi in cui le domande erano risultate inferiori alle aspettative. L’accesso alle prestazioni appare quindi aver seguito un indirizzo volto al progressivo adeguamento al numero effettivo delle richieste secondo la logica di un adeguamento “dinamico” alle situazioni di fatto.

Ad esempio, proprio in base all’attività di monitoraggio gli ultimi tre interventi di salvaguardia - di cui alla L. 147/2014, all’articolo 1, comma 263 e commi 265-273 della L. 208/2015 e all’articolo 1, commi 212-221, della L. 232/2016 - hanno operato, nel tempo, una revisione dei contingenti già autorizzati, riducendo la platea dei soggetti autorizzati, nel caso di carenza di domande. Sono state così sbloccate le risorse già approntate – e risultate eccedenti in base alle attività di monitoraggio - per riversarle nell’apposito Fondo di cui all’articolo 1, comma 235, della L. 228/2012 al fine di utilizzarle per altri provvedimenti di salvaguardia. Detto Fondo è stato poi soppresso con la legge di bilancio 2017, una volta conclusi gli interventi.

 

Nella tabella che segue si dà conto del numero di soggetti ammessi alla salvaguardia e dei corrispondenti oneri.


Limiti numerici e di spesa per le otto salvaguardie rideterminati a seguito del monitoraggio di cui all’articolo 15 del DL 148/2017

(importi in milioni di euro)

 

Limiti numerici programmati

2013-2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021-2030

TOTALE

DL 214/2011
Prima salvaguardia

64.374

878,00

1.083,80

1.186,50

936,30

590,30

228,90

113,60

89,70

5.107,10

DL 135/2012
Seconda salvaguardia

19.741

100,10

183,40

246,80

268,80

221,90

180,70

102,40

104,20

1.408,30

L 228/2012
Terza salvaguardia

7.554

80,90

80,90

64,60

42,80

28,60

18,40

5,00

3,40

324,60

DL 102/2013
Quarta Salvaguardia

3.572

42,50

66,10

50,90

36,60

17,80

4,50

0,70

0,30

219,40

L. 147/2013
Quinta salvaguardia

3.871

40,80

55,30

35,90

26,00

19,40

12,60

2,60

0,30

192,90

Lavoratori titolari 104/1992 eccedenti limite numerico

L. 124/2013 e

L. 147/2014

4.365

0

13,10

70,70

68,60

43,30

23,40

6,60

0,90

226,60

L. 147/2014
Sesta salvaguardia

16.818

10,00

135,90

207,00

163,10

118,30

89,30

45,20

15,40

784,20

L. 208/2015
Settima salvaguardia

16.800

0

0

138,00

254,00

231,00

177,00

112,00

94,00

1.006,00

L. 232/2016
Ottava Salvaguardia

16.294

0

0

0

112,20

167,40

179,30

152,10

301,90

912,90

TOTALE

153.389

1.152,30

1.618,50

2.000,40

1.908,40

1.438,00

914,10

540,20

610,10

10.182,00

 


·       L’anticipo finanziario a garanzia pensionistica (APE)

La legge di bilancio 2017 (articolo 1, commi 166-178) prevede – in via sperimentale e fino all’esercizio 2018, in base a modifiche introdotte nella L. 205/2017 (Legge di bilancio 2018) - un nuovo strumento denominato Anticipo finanziario a garanzia pensionistica (APE). Si tratta di un prestito corrisposto da un soggetto finanziatore privato in quote mensili per dodici mensilità fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia. La restituzione del prestito avviene a partire dalla maturazione di tale diritto, con rate di ammortamento mensili, per una durata di venti anni. L'APE può essere richiesto da soggetti con età anagrafica minima di 63 anni, che maturino il diritto ad una pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi, purché in possesso del requisito contributivo minimo di venti anni.

La relazione tecnica relativa a tali disposizioni ascrive alle norme effetti finanziari derivanti dall’istituzione di un Fondo di garanzia nello stato di previsione del Ministero dell'economia per l'accesso all'APE (pari a 70 milioni di euro per l'anno 2017) e dal riconoscimento di un credito di imposta annuo nella misura massima del 50 per cento dell'importo pari a un ventesimo degli interessi e dei premi assicurativi complessivamente pattuiti nei relativi contratti (corrispondente quindi al 2,5 per cento).

Trattandosi di operazioni finanziarie che intercorrono tra soggetti esterni alla pubblica amministrazione, gli oneri quantificati dalla relazione tecnica sono limitati alle agevolazioni concesse sotto forma di garanzia statale (tramite l’apposito Fondo) e di credito di imposta.

In particolare, l’onere relativo al riconoscimento del credito di imposta per gli interessi ed i premi assicurativi corrisposti è contabilizzato sui tre diversi saldi, mentre per la costituzione del Fondo di garanzia (70 mln) è contabilizzato un impatto sul saldo netto da finanziare e sul fabbisogno. Non sono invece previsti effetti in termini di indebitamento netto, presumibilmente nel presupposto che l’intervento configuri una garanzia “non standardizzata” (sul punto cfr. apposito approfondimento in materia di garanzie statali, contenuto nel presente dossier)

·       L’APE sociale

L’articolo 1, commi 179-186, della L. 232/2016 ha previsto che, per talune categorie di soggetti (disoccupati; soggetti in possesso dei benefici di cui alla L. 104/1992; soggetti cui è stata riconosciuta una riduzione della capacità superiore o uguale al 74 per cento; soggetti impegnati in lavori gravosi), sia riconosciuta - al compimento del requisito anagrafico dei 63 anni e congiuntamente a un’anzianità contributiva compresa tra 30 e 36 anni, a seconda della categoria - un'indennità (cosiddetta APE sociale) per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell'età anagrafica prevista per l'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia. A differenza della precedente misura, quella in esame dà luogo quindi all’erogazione diretta di prestazioni da parte della pubblica amministrazione, con conseguenti oneri che la relazione tecnica contabilizzi in identica misura sui tre saldi di finanza pubblica. L’indennità è infatti corrisposta dall’INPS, a domanda, ed è pari all'importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell'accesso alla prestazione. In ogni caso, l’indennità non può superare l’importo di 1.500 euro, cifra che non è soggetta a rivalutazione.

Si segnala che, anche in questo caso, il beneficio dell'indennità è riconosciuto nell’ambito di specifici limiti di spesa; si prevede altresì che, in caso di scostamenti, anche in via prospettica, del numero di domande rispetto alle risorse finanziarie disponibili, la decorrenza dell'indennità sia differita, con criteri di priorità riferiti alla data di maturazione dei requisiti, al fine di garantire un numero di accessi all'indennità non superiore al numero programmato in relazione alle risorse finanziarie predeterminate come limiti di spesa.

In merito alle problematiche relative ai profili di quantificazione, la relazione tecnica ha precisato che le disposizioni in esame non introducono un diritto soggettivo; conseguentemente, la previsione di specifici limiti di spesa appare nel caso specifico in grado di garantire l’equilibrio finanziario delle norme. Tuttavia, la medesima RT fornisce, per ogni categoria di soggetti interessati, una serie di parametri utilizzati per la stima dei relativi effetti finanziari, quali il prevedibile numero delle prestazioni erogate annualmente, formulando altresì l’ipotesi prudenziale di considerare l’importo mensile massimo erogabile.

·       Estensione dell’istituto “Opzione Donna”

A differenza dei precedenti interventi, le modifiche intervenute in materia di “Opzione Donna” non sono state assoggettate a limiti di spesa.

L’istituto in questione è stato introdotto dall’articolo 1, comma 9, della L. 243/2004, che ha previsto in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, la possibilità di conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a trentacinque anni e di un'età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, optando per una liquidazione del trattamento medesimo secondo le regole di calcolo del sistema contributivo. Successivamente, l’articolo 1, comma 281, della L. 208/2015 (legge di stabilità 2016) e l’articolo 1, commi 222-225, della L. 232/2016 (legge di bilancio 2017), hanno previsto l’opzione per il pensionamento anche per le lavoratrici che hanno maturato i requisiti previsti entro il 31 dicembre 2015 (ancorché la decorrenza del trattamento fosse successiva a tale data), nonché a quelle che, al 31 dicembre 2015, non avevano maturato i requisiti previsti per effetto degli incrementi della speranza di vita intervenuti nel frattempo[136].

 

Da tali estensioni, sono derivate, di volta in volta, ampliamenti della platea dei soggetti aventi diritto ai benefici dell’istituto, che le varie relazioni tecniche hanno stimato seguendo ipotesi distinte per ciascuna categoria di lavoratrici (dipendenti private, dipendenti pubbliche e lavoratrici autonome). Una vola definita la platea potenzialmente interessata, la quantificazione ha assunto come elemento di calcolo una diminuzione dell’importo medio delle pensioni, in quanto, a fronte dell’anticipo dei requisiti, è stato previsto il calcolo delle prestazioni utilizzando il sistema contributivo[137].

L’intervento è suscettibile di determinare quindi effetti di risparmio nel lungo periodo dovuti alla riduzione dei trattamenti che sarebbero comunque corrisposti. Tuttavia, nell’immediato, si registra una maggiore spesa pensionistica dovuta all’anticipo del pensionamento di soggetti che, altrimenti, avrebbero dovuto attendere la maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente. Pertanto, sui saldi di finanza pubblica è stato contabilizzato un effetto di maggiore spesa per i primi anni, che si riassorbe progressivamente nel momento in cui le lavoratrici interessate avrebbero maturato il diritto alla prestazione pensionistica sulla base delle regole ordinarie. Da tale data si realizza quindi un effetto di risparmio connesso alla diversa modalità di calcolo della prestazione pensionistica (metodo contributivo in luogo del sistema retributivo). Per tale motivo l’effetto di risparmio è tanto più evidente quanto più elevata è la quota di pensione che sarebbe stata calcolata con il sistema retributivo. Tuttavia, come spiegato da talune relazioni tecniche, la categoria di soggetti che avranno diritto ad una quota di pensione calcolata con sistema retributivo è in via di esaurimento e, pertanto, una manovra in tale ambito potrebbe avere nel futuro effetti di risparmio limitati o addirittura nulli, determinando esclusivamente un effetto di maggiore spesa pensionistica per gli anni interessati all’anticipazione disposta con l’intervento in esame.

Altre prestazioni sociali

Una componente delle prestazioni sociali in denaro, come evidenziato in precedenza, è rappresentata dalla spesa per altre prestazioni sociali in denaro, diverse dalle pensioni.

Tale aggregato comprende, tra l’altro, le rendite infortunistiche, le liquidazioni per fine rapporto a carico di istituzioni pubbliche, le prestazioni di maternità, malattia ed infortuni, le prestazioni di integrazione salariale (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga), le prestazioni di sussidio al reddito nei casi di disoccupazione (indennità di disoccupazione, indennità di mobilità, ecc.), i trattamenti di famiglia, le pensioni di guerra, le prestazioni per invalidi civili, ciechi e sordomuti e, in via residuale, gli altri assegni a carattere previdenziale ed assistenziale.

Livelli essenziali delle prestazioni sociali: limiti di spesa e diritti soggettivi

Come già rilevato, la nozione di livelli essenziali è stata introdotta nella Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V, con riferimento alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale. I livelli essenziali delle prestazioni (LEP) costituiscono quindi l’insieme delle prestazioni da erogare ai cittadini in relazione a diritti quali ad esempio il diritto all’istruzione, all’assistenza sociale, alla salute, ecc.

A differenza di quanto avviene in ambito sanitario – in cui le prestazioni connesse al diritto alla salute prendono il nome di livelli essenziali di assistenza (LEA) e sono  definite da appositi DPCM[138] - in ambito assistenziale non si dispone di una fonte normativa unitaria in cui siano definiti e strutturati nel complesso i livelli essenziali prestazioni sociali (LEPS).

La legge quadro sull'assistenza (legge 328/2000) ha stabilito che i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) corrispondono all'insieme degli interventi garantiti, sotto forma di beni o servizi, secondo le caratteristiche fissate dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, e attuati nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Più precisamente, l'art. 22 individua l'area del bisogno (per esempio: povertà, disagio minorile, responsabilità familiare, dipendenze, disabilità) e quindi le prestazioni e gli interventi idonei a soddisfare quei bisogni, senza giungere tuttavia a una definizione puntuale dei servizi.

La Conferenza delle Regioni, in un documento approvato il 20 febbraio 2014[139], ha individuato, con il sostegno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 5 Macro Obiettivi di Servizio:

·       servizi per l'accesso e la presa in carico dalla rete assistenziale;

·       servizi e misure per favorire la permanenza a domicilio;

·       servizi a carattere comunitario per la prima infanzia;

·       servizi a carattere residenziale per le fragilità;

·       misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito.

 

Pertanto, mentre i LEA sono erogati nell’ambito della cornice finanziaria del Servizio Sanitario Nazionale, le cui risorse sono programmate e definite annualmente per soddisfare un determinato livello di prestazione sanitaria, le prestazioni di tipo assistenziale riconducibili ai LEPS sono previste da singole norme di legge che devono provvedere anche alla loro copertura finanziaria.

 La fruizione della prestazione assistenziale da parte di tutti i cittadini in possesso di determinati requisiti viene in genere configurato dalle relative norme come un vero e proprio diritto soggettivo che richiede un procedimento di quantificazione degli oneri con l’esatta individuazione della platea potenzialmente interessata alla prestazione e, di conseguenza, delle risorse da porre a compensazione della maggiore spesa.

Tuttavia, recenti interventi in materia assistenziale hanno introdotto nuove prestazioni, la cui effettiva erogazione è comunque prevista entro limiti massimi di spesa. La compatibilità tra le pretese dei beneficiari e lo stanziamento massimo autorizzato è fondata, per un verso, sulla quantificazione operata, che considera l’intera platea potenzialmente interessata, e, per altro verso, da meccanismi di monitoraggio e da specifiche clausole finanziarie, volte a garantire il rispetto dei limiti di spesa prefissati. Queste ultime prevedono in taluni casi la rideterminazione del beneficio o la rimodulazione temporale dello stesso, in altri casi il rifinanziamento delle risorse in ragione delle esigenze riscontrate. Si pone quindi il problema di individuare, anche alla luce del sistema di finanziamento previsto, i casi in cui la pretesa dei beneficiari sia configurabile come diritto soggettivo anche con riguardo al quantum della prestazione, dagli ulteriori casi che contemplano la possibilità di una rideterminazione della prestazione.

Il reddito di inclusione (ReI)

Un recente intervento in materia di prestazioni sociali ha riguardato il Reddito di Inclusione (REI), quale misura di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale introdotta dal decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, emanato in attuazione della legge delega 15 marzo 2017, n. 33, con decorrenza dal 1° gennaio 2018.

Il ReI – che non è comunque compatibile con la contemporanea fruizione, da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare, della NASpI o di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria - è costituita da due componenti:

- un beneficio economico erogato per un massimo di 18 mesi, con un importo che può variare tra circa 187,5 euro mensili per una persona sola fino a quasi 534 euro per un nucleo con 5 o più componenti. L’ammontare dell’importo è correlato al numero dei componenti del nucleo familiare e tiene conto di eventuali trattamenti assistenziali e redditi in capo al nucleo stesso;

- una componente di servizi alla persona identificata, in esito ad una valutazione del bisogno del nucleo familiare, che terrà conto, tra l'altro, della situazione lavorativa e del profilo di occupabilità, dell'educazione, istruzione e formazione, della condizione abitativa e delle reti familiari, di prossimità e sociali della persona e servirà a dar vita a un "progetto personalizzato" volto al superamento della condizione di povertà.

Dal 1° luglio 2018 in poi, per effetto della legge di bilancio 2018, alcuni requisiti riferiti ai componenti del nucleo familiare risultano aboliti, pertanto l'accesso al beneficio avverrà solo in base a requisiti economici ISEE e IRSE.

 

L’articolo 2, comma 13, del citato decreto legislativo dispone che “il ReI costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nel limite delle risorse disponibili nel Fondo Povertà”.

In particolare, i nuovi limiti di spesa per l’erogazione del ReI, a seguito dell’estensione del beneficio effettuata dalla legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi 191-199, della legge n. 205/2017) sono indicati in 1.747 milioni di euro nel 2018, in 2.198 milioni di euro nel 2019, in 2.158 per il 2020 e in 2.130 milioni a decorrere dal 2021, come riepilogato nella tabella che segue.

Limiti di spesa per l’erogazione del ReI

(milioni di euro)

 

2018

2019

 

 

2020

Dotazione Fondo Povertà ex D.Lgs. 147/2017

1.759

1.845

 

 

1.845

Incremento Fondo Povertà DDL di Bilancio 2018

300

700

 

 

900

Dotazione Fondo Povertà DDL di bilancio 2018

2.059

2.545

 

 

2.745

Quota risorse servizi territoriali per la lotta alla povertà

297

347

 

 

470

Quota accantonamento ASDI (articolo 18, co. 3, DLgs 147/2017)

15

 

 

 

 

Quota per interventi da disciplinare con il Piano Povertà

 

 

 

 

117

Quota del Fondo Povertà disponibile per erogazioni del beneficio economico del ReI e limite di spesa

1.747

2.198

 

 

2.158

Fonte: Elaborazioni su dati della Relazione tecnica riferita al DDL di bilancio 2018

 

Ai fini del rispetto del predetto limite di spesa, le norme assegnano all’INPS il compito di monitorare l’ammontare di risorse necessarie per l’erogazione del beneficio in ciascun anno. In caso di esaurimento delle risorse, è prevista la rimodulazione dell’ammontare del beneficio da erogare successivamente a tutti i beneficiari (inclusi coloro che già sono percettori) da realizzare attraverso un decreto del MLPS di concerto con il MEF. In attesa dell’adozione di tale decreto vengono sospese sia l’erogazione del beneficio sia l’accettazione di nuove domande. La procedura descritta appare finalizzata a tutelare gli equilibri di finanza pubblica, a fronte di eventuali incoerenze tra la quantificazione operata ex ante e le effettive esigenze finanziarie connesse al riconoscimento della misura, tenuto conto del carattere universale della stessa.

Si segnala che il 29 marzo 2018 l’Osservatorio statistico sul reddito di inclusione ha reso noti i dati sull’erogazione del beneficio, relativi ai mesi di gennaio-marzo 2018[140]. In particolare, il rapporto evidenzia che nel primo trimestre 2018 sono stati erogati benefici economici a 110 mila nuclei familiari raggiungendo 317 mila persone. La maggior parte dei benefici vengono erogati nelle regioni del sud (72%) con interessamento del 76% delle persone coinvolte. L’importo medio mensile, pari a 297 euro, risulta variabile a livello territoriale, con un range che va da 225 euro per i beneficiari della Valle d'Aosta a 328 euro per la Campania. L’importo medio varia infatti, per le modalità di costruzione della misura, a seconda del numero dei componenti il nucleo familiare, passando da 177 euro per i nuclei monocomponenti a 429 euro per i nuclei con 6 o più componenti.

La NASpI

L'istituto della NaSpi è stato introdotto dal titolo I del decreto legislativo n. 22 del 2015, attuativo di una delle deleghe recate dalla legge n. 183 del 2014.

L'articolo 1 del citato decreto legislativo, infatti, istituisce a decorrere dal 1° maggio 2015 presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti e nell'ambito dell'Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI) di cui all'articolo 2 della legge n. 92 del 2012, una indennità mensile di disoccupazione, denominata "Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI)", avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

La NASpI sostituisce le prestazioni di ASpI e mini-ASpI introdotte dal citato articolo 2 della legge n. 92 del 2012, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015. Destinatari della NASpI sono i lavoratori dipendenti con esclusione di quelli pubblici e degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato.

L'articolo 3 indica i requisiti richiesti congiuntamente per il riconoscimento del sussidio ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, rientrando nella fattispecie anche le dimissioni per giusta causa e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 604 del 1966:

·        stato di disoccupazione (soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di un’attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti);

·        13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione;

·        30 giorni di lavoro effettivo o equivalenti nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

L'articolo 4 stabilisce i criteri di calcolo della prestazione, che è pari al 75% della retribuzione mensile (ottenuta dividendo la retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 4 anni per il numero delle settimane di contribuzione e moltiplicandola per 4,33), nel caso in cui quest’ultima sia inferiore o pari nel 2015 e nel 2016 a 1.195 euro, importo annualmente rivalutato sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo. Nel caso in cui la retribuzione mensile sia superiore al citato limite, l’indennità è pari al 75% di 1.195 euro, incrementato di una somma pari al 25% della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto limite. La NASpI non può in ogni caso superare per gli anni 2015 e 2016 l’importo mensile di 1.300 euro, rivalutato annualmente secondo il criterio di cui sopra. L’importo dell’indennità così calcolato viene ridotto del 3% ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione.

L'articolo 5 prevede che la NASpI sia corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni (cioè al massimo per 24 mesi). Successivamente il comma 3 dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 148 del 2015 ha soppresso la previsione in base alla quale dal 2017 il periodo massimo di fruizione del sussidio sarebbe stato ridotto a 18 mesi. A tale modifica sono stati correlati ulteriori oneri valutati in 270,1 milioni di euro per l'anno 2018, 567,2 milioni di euro per l'anno 2019, 570,8 milioni di euro per l'anno 2020, 576,6 milioni di euro per l'anno 2021, 582,4 milioni di euro per l'anno 2022, 588,2 milioni di euro per l'anno 2023, 594,2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024. Di tali oneri viene data autonoma evidenza nella tabella riepilogativa riprodotta al termine della descrizione della RT. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione.

L’erogazione dell’indennità è subordinata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa ed ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Centri per l’impiego (articolo 7).

È possibile per il lavoratore avente diritto alla NASpI chiedere la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento spettante a titolo di incentivo all’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una società cooperativa. In tal caso la NASpI non dà diritto alla contribuzione figurativa né all’assegno per il nucleo familiare (articolo 8).

La NASpI è compatibile con il rapporto di lavoro subordinato a condizione che il reddito annuale percepito sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione e che il lavoratore comunichi all’INPS, entro trenta giorni dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto. In tal caso, la prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto. Nel caso in cui il reddito previsto sia superiore al predetto reddito minimo, il lavoratore decade dalla prestazione se il rapporto di lavoro ha una durata maggiore di sei mesi. Diversamente, se la durata del rapporto di lavoro è pari o inferiore a 6 mesi, la prestazione è sospesa d’ufficio per la durata del rapporto di lavoro (articolo 9).

Analoga compatibilità è prevista dall'articolo 10 con lo svolgimento di attività lavorativa autonoma o di impresa individuale dalla quale il lavoratore ricava un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, a condizione che il lavoratore stesso comunichi all’INPS, entro un mese dall’inizio dell’attività, il reddito annuo previsto. In tal caso la prestazione è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto. La contribuzione relativa all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti in relazione all’attività di lavoro subordinato o autonoma o di impresa individuale viene riversata alla Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti. Pertanto non dà luogo ad accrediti contributivi per il lavoratore. L'articolo 12 riconosce nel periodo indennizzato la contribuzione figurativa, entro un massimale pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della NASpI stessa[141].

In seguito, l'articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 2015 ha introdotto l'indennità NASpI per i lavoratori stagionali dei settori produttivi del turismo e degli stabilimenti balneari.

 

Per quanto attiene alla quantificazione degli effetti finanziari della misura, si ricorda che la Relazione tecnica allegata allo schema di decreto (A.G. 135), si basava sui seguenti dati (riferiti al 2013):

-   numero assicurati ASpI e Mini-ASpI nell'anno pari a 14.932.000 lavoratori;

-   frequenza annua di ricorso alla prestazione ASpI e Mini-ASpI stimata in 9,1% dei soggetti assicurati, ottenuta rapportando il numero dei beneficiari della prestazione con data di cessazione del rapporto di lavoro nel 2013 (1.360.000 beneficiari) e il numero di lavoratori assicurati nello stesso anno (14.932.000 corrispondente ad una media annua di 12.431.000);

-   retribuzione media mensile dei beneficiari delle prestazioni ASpI e Mini-ASpI pari a 1.527 euro;

-   indennità media mensile delle prestazioni ASpI e Mini-ASpI pari a 880 euro;

e sulle seguenti ipotesi:

-   numero di assicurati costante nel tempo;

-   variazione del numero di beneficiari della prestazione:

-      sulla base delle evidenze tendenziali del primo semestre 2014 (numero di domande ASpI e Mini-ASpI presentate nel primo semestre 2014 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente), la platea dei beneficiari è stata incrementata del 13%. In via cautelativa l'incremento è stato applicato indifferentemente alle prestazioni ASpI e Mini-ASpI, sebbene l'aumento sia registrato in misura più consistente per la sola prestazione Mini ASpI. Pertanto il numero di soggetti considerato per la generazione 2015 è pari a circa 1.540.000;

-      a partire dal 2016, sulla base della variazione del tasso di disoccupazione previsto dal quadro macroeconomico tendenziale descritto dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014;

-      a partire dal 2017, tenuto conto del transito a normativa vigente in ASpI di soggetti dalla ex mobilità ordinaria, è stata considerata una generazione di nuovi entrati con caratteristiche proprie stimate a partire dagli estratti contributivi dei soggetti entrati in mobilità nel 2013. La limitazione a 18 mesi della prestazione attenua sensibilmente l'effetto di incremento degli oneri per questa tipologia di soggetti (gli oneri della successiva eliminazione di questa previsione sono riportati con apposita evidenza nella tabella riepilogativa);

-      la norma determina un effetto estensivo della platea dei beneficiari, aumentando il numero dei soggetti con requisiti utili a percepire il nuovo trattamento in caso di cessazione involontaria del rapporto di lavoro (aumento dal 96 al 97,2% rispetto al numero medio di lavoratori assicurati). La frequenza di ricorso alla prestazione per questa platea era ipotizzata pari al 44% (100.000 soggetti);

-      veniva considerata la proiezione della retribuzione media mensile dei beneficiari sulla base del quadro macroeconomico tendenziale descritto dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014; per ragioni prudenziali la RT non prendeva in considerazione l'effetto della riduzione media della retribuzione di riferimento, che con la proposta di modifica normativa conseguirebbe dal calcolo come media degli ultimi quattro anni e non due come previsto attualmente.

 

Con riferimento alla durata media della prestazione, la stima era stata effettuata a partire dalle informazioni di archivio sulla contribuzione pregressa dei beneficiari di trattamento ASpI e Mini AspI dell'anno 2013, con l’esclusione dei periodi contributivi che avevano dato luogo ad una precedente prestazione di disoccupazione.

Partendo da tali dati era stato stimato un numero di mensilità pari a circa 11,5. In considerazione della possibilità di reimpiego durante il periodo di percezione della indennità, il numero di mesi utilizzato ai fini della stima era pari a circa 8. La durata media sulla base della normativa precedente stimata a partire dal dato 2013 era incrementata per effetto del previsto aumento del numero di mesi indennizzabili, tenendo peraltro conto dell'effetto di sterilizzazione previsto dalla legge n. 92 del 2012 a partire dal 2016 e degli ulteriori effetti determinati già a normativa vigente per la confluenza dell'indennità di mobilità a partire dal 2017.

Durata media effettiva in mesi della prestazione (anni 2015 – 2020)

 

Anno

Normativa pre D.lgs. 22/2015

D.lgs. 22/2015

 

2015

6,0

8,0

2016

6,6

8,0

2017

7,2

8,6

2018

7,2

8,6

2019

7,2

8,6

2020

7,2

8,6

 

In aggiunta ai periodi di durata riportati nella tabella precedente, per le generazioni di percettori del trattamento inclusi per effetto dell'estensione dei requisiti la RT stimava una durata media pari a 1,5 mesi.

In relazione alla disciplina della cumulabilità della prestazione con il rapporto di lavoro subordinato la RT affermava che gli effetti finanziari della norma potevano essere trascurati dal momento che, sulla base delle indicazioni fornite dall'INPS, risultava un numero esiguo di casi relativi alla fattispecie esaminata.

La RT affermava infine che gli oneri recati dalle norme in esame erano valutati al lordo degli effetti fiscali e che prudenzialmente non venivano considerati gli effetti fiscali indotti.

Gli effetti complessivi in termini di trattamenti e contribuzione figurativa erano così riepilogati:

(milioni di euro)

Maggiori oneri

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

2022

2023

2024

Naspi trattamenti D.Lgs. 22/2015 (Indebitamento netto)

414

1.181

1.446

1.454

1.431

1.451

1.453

1.455

1.457

1.459

Naspi trattamenti e contribuzione figurativa D.Lgs. 22/2015 (SNF)

472

1.506

1.902

1.794

1.707

1.706

1.709

1.712

1.715

1.718

Naspi trattamenti D.Lgs. 148/2015 (Indebitamento netto)

 

 

 

140,7

295,4

297,3

300,3

303,3

306,3

309,4

Naspi trattamenti e contribuzione figurativa D.Lgs. 148/2015 (SNF)

 

 

 

270,1

567,2

570,8

576,6

582,4

588,2

594,2

 

In sede di analisi dello schema di decreto, era stata evidenziata dai servizi di documentazione la natura di diritto soggettivo "perfetto" (entitlement) da riconoscersi ai componenti la prevista platea di beneficiari, che risultino interessati dalla cessazione del rapporto di lavoro, e perciò in stato di disoccupazione. Ciò trovava riscontro nella formulazione della copertura finanziaria (art. 18), che configura in termini di previsioni di spesa i relativi oneri.

Peraltro, si rilevava che, non essendo state esplicitate le procedure di calcolo, non risultava possibile verificare compiutamente la stima dei maggiori oneri derivanti dalle disposizioni in esame.  Inoltre, veniva posto l'accento sul grado di incertezza di talune ipotesi su cui si fondava la stima degli oneri. 

I fattori principali coinvolti nella stima erano essenzialmente tre: l'ambito soggettivo di applicazione, la durata media della prestazione, l'importo medio dell'indennità.

Per quanto riguarda l'ambito soggettivo, con riferimento in particolare al numero dei beneficiari, si segnalava l'aleatorietà dei tassi di disoccupazione ipotizzati nei quadri macroeconomici programmatici, anche se le ipotesi assunte si limitavano ad escludere un ulteriore, significativo deterioramento della condizione dell'occupazione, il che avrebbe comunque potuto essere considerato sufficientemente prudenziale.

In linea più generale, comunque, si richiama sul punto il giudizio fornito dalla Corte dei conti, che ha affermato che, sotto il profilo della sistematica delle figure giuridiche, si tratta di un caso di norme che, in quanto di natura strutturale, non possono che dare avvio a processi dai contenuti sostanziali e dagli effetti finanziari elastici e con sviluppi legati all’andamento di un ampio arco di variabili, quali, nella fattispecie, quelle di carattere macroeconomico, come confermato dalle dichiarazioni dei rappresentanti del Governo in Parlamento.

Inoltre si prospettava l'eventualità di una valutazione non puntuale dell'effetto estensivo derivante dai nuovi requisiti normativi per l'accesso alla prestazione, meno stringenti rispetto ai precedenti.

Per quanto riguarda l'importo medio della prestazione, la RT non esplicitava il valore preso a riferimento. Si affermava soltanto che non era stato considerato per ragioni prudenziali l'effetto della riduzione media della retribuzione di riferimento che con la proposta di modifica normativa conseguirebbe dal calcolo come media degli ultimi quattro anni e non due come prima previsto.

In relazione ai predetti aspetti e ad ulteriori profili problematici segnalati durante l’esame parlamentare, il Governo presentò presso il Senato ulteriore documentazione a supporto delle proprie stime, chiarendo inoltre l'equivalenza tra prospettazioni di cassa e di contabilità nazionale delle stime medesime.

La copertura della misura è stata individuata nella riduzione del fondo per il rifinanziamento della riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, che presenta un profilo ultrannuale ed è stato previsto nella legge di stabilità per il 2015 (articolo 1, comma 107). Per garantire il rispetto dell'allineamento nel tempo tra onere e copertura finanziaria si è fondatamente optato per il rinvio al meccanismo di controllo di cui all'articolo 17, comma 13, della legge di contabilità, che sostanzialmente demanda al Ministro dell'economia e delle finanze il potere di assumere tempestivamente le iniziative legislative conseguenti all’avvenuto riscontro del fatto che l’attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica: ciò al fine di assicurare il rispetto dell’obbligo di copertura, nell’impostazione della legge di contabilità, che fa esplicito richiamo alla norma costituzionale (art. 81). Lo stesso giudizio di fondatezza può altresì essere esteso all'"ulteriore rinvio [...] alle possibilità di aggiustamento dell’andamento tra oneri e coperture di cui alla legge di stabilità, nell’ambito della complessiva manovra di finanza pubblica, rinvio peraltro dalla valenza implicita, potendo, l’iniziativa legislativa prevista dalla legge di contabilità, ben consistere naturalmente nella medesima legge di stabilità"[142].

Per le considerazioni appena svolte la Corte dei conti riconosce nel caso concreto il riferimento ad un modello di definizione degli aspetti finanziari di una fattispecie normativa non compiutamente definito ex ante, ma aperto a successivi momenti di verifica che precederanno la ricomposizione, nell'ambito degli obiettivi di finanza pubblica, dell'eventuale squilibrio fra prestazioni e coperture. In sostanza - prosegue la Corte - "a supporto della ragionevolezza di tale soluzione va anche considerato che le dimensioni della possibile manovra correttiva possono, nella circostanza, anche risultare di grande rilievo, come dimostra l’aspetto già richiamato della dipendenza della spesa effettiva per il titolo primo (NASpI) essenzialmente dall’andamento del ciclo economico negli anni a venire. Il duplice fatto che a) uno dei presupposti per ricorrere alla procedura in questione sia il determinarsi di pericoli in ordine al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, come recita la norma richiamata della legge di contabilità, e b) le dimensioni potenzialmente rilevanti dell’intervento correttivo possano anche indurre a scelte discrezionali di riduzione dell’onere, oltre che di incremento delle coperture, contribuisce a rendere credibile l’esclusione della previsione (ed attivazione) di una singola clausola di salvaguardia che possa generare risorse di grande portata finanziaria già in sede amministrativa e solo avuto riguardo al profilo dell’incremento delle coperture".

Si fornisce ora un quadro sintetico riepilogativo di monitoraggio degli esiti finanziari della NASpI attraverso la seguente tabella, ricostruita sulla base delle risultanze emerse dai rendiconti INPS per il 2014, 2015 e 2016 (tomi II), limitatamente agli oneri per trattamenti, ed integrata con quella recata dalla RT:

 

(milioni di euro)

Trattamenti

2014

2015

2016

Aspi e mini Aspi

2.921

1.299

195

Naspi

 

770

2.957

Naspi stagionali

 

 

77

Totale

2.921

2.069

3.229

Fonte: Rendiconti INPS 2014, 2015 e 2016, Tomo II.

Come si osserva agevolmente, appare evidente, confrontando i dati disponibili, che l'incremento degli oneri per il 2016, anno in cui la NASpI è entrata pienamente a regime, sia stato contenuto entro le stime effettuate dalla RT, pur scontando, in tale sommario processo di verifica ex post, le vulnerabilità di ragionamenti fondati su dati la cui variabilità è molto ampia ed influenzata da fattori esogeni alla disciplina legale. 

La spesa per redditi da lavoro dipendente

Contabilizzazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica

Nel quadro del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali dell’Unione Europea (SEC 2010) la spesa per redditi da lavoro dipendente della p.a. è rappresentata dalla somma della spesa per retribuzioni lorde (inclusi i contributi a carico del lavoratore) e per contributi sociali a carico del datore di lavoro.

Le retribuzioni lorde vengono distinte dal SEC 2010 in retribuzioni in denaro e in retribuzioni in natura.

Le retribuzioni in denaro includono i contributi sociali, le imposte sul reddito e gli altri oneri a carico del lavoratore dipendente, compresi quelli trattenuti dal datore di lavoro e da questi versati direttamente ai sistemi di assicurazione sociale, all’amministrazione fiscale, ecc. per conto del lavoratore. Le retribuzioni in denaro comprendono, tra l’altro, le retribuzioni base corrisposte ad intervallo regolare, le mensilità aggiuntive (tredicesima, quattordicesima etc.), le maggiorazioni quali compensi per lavoro straordinario, indennità, gratifiche e altri compensi a carattere eccezionale. Le retribuzioni in natura sono costituite dai beni e servizi, o altre prestazioni non in denaro, forniti gratuitamente o a prezzo ridotto dai datori di lavoro, che possono essere utilizzati dai lavoratori dipendenti a loro piacimento.

I contributi sociali a carico del datore di lavoro sono i contributi sociali che i datori di lavoro versano ai sistemi di sicurezza sociale o agli altri sistemi di assicurazione sociale connessi con l’occupazione al fine di garantire l’erogazione di prestazioni sociali ai propri dipendenti. Questi vengono distinti in contributi effettivi e figurativi (sul punto si rinvia all’ apposito paragrafo riferito alle entrate contributive).

 

La spesa in esame viene riferita al solo lavoro dipendente e non ricomprende le spese sostenute per prestazioni lavorative che non hanno tale natura, quali ad esempio le collaborazioni coordinate e continuative.

I contratti di collaborazione coordinata e continuativa sono utilizzati per il reperimento di specifiche professionalità non presenti nella pubblica amministrazione. L’aspetto caratterizzante queste fattispecie contrattuali è costituito dalla centralità attribuita alla prestazione richiesta, piuttosto che alla sua durata, aspetto che, viceversa, è l’elemento centrale del rapporto del rapporto di lavoro dipendente. Tale spesa viene generalmente ricompresa nell’ambito di quella relativa ai consumi intermedi.

 

I redditi da lavoro dipendente sono registrati nel periodo in cui il lavoro è effettuato. In particolare, in base a quanto previsto dal SEC 2010, queste spese sono registrate, ai fini della competenza economica (e quindi dell’indebitamento netto), nel momento in cui il lavoro è svolto e non nel momento in cui la retribuzione è dovuta o pagata. Gli oneri vanno poi contabilizzati per tutto il periodo di prestazione dell’attività in questione.

A tal riguardo, si rammenta che l’art. 30, comma 6, della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) prevede che le leggi di spesa a carattere permanente quantifichino l'onere annuale previsto per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio pluriennale (triennio) indicando, altresì, l'onere a regime. Nel caso in cui questo sia superiore rispetto a quanto previsto per il terzo anno del triennio di riferimento, la disposizione impone, comunque, che la copertura segua il profilo temporale dell'onere. Si evidenzia che la circostanza che la progressione della spesa per gli anni successivi al triennio risulti di importo diverso rispetto a quello evidenziato sull’ultimo anno del triennio medesimo, appare verificata con particolare riguardo all’andamento della spesa nel settore dei redditi da lavoro dipendente, nel quale le progressioni della carriera economica possono determinare un andamento crescente della spesa oltre il triennio. Tenuto conto di tale eventualità, l’art. 17, comma 7, della legge n. 196/2009 che, con riguardo, tra l’altro, alle disposizioni legislative in materia di pubblico impiego, impone che la relazione tecnica di accompagnamento delle proposte normative governative fornisca un quadro analitico delle proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all'andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari e al comparto di riferimento.

 

In merito alla contabilizzazione sui saldi di finanza pubblica degli effetti finanziari connessi alle assunzioni di personale a tempo indeterminato nell’amministrazione dello Stato, si evidenzia che, ai sensi del richiamato principio della competenza economica adottato dal SEC 2010, gli effetti di maggiore spesa corrente si producono in egual misura sui tre saldi di finanza pubblica.

Sono inoltre contabilizzati, esclusivamente ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto, gli effetti indotti di maggiori entrate fiscali e contributive che si producono in via indiretta per effetto dell’incremento del volume complessivo delle retribuzioni.

Tutti i predetti effetti decorrono dal momento in cui l’attività lavorativa inizia ad essere prestata.

Si riporta a seguire un caso relativo al personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), in cui l’assunzione viene disposta a decorrere dal mese di luglio e pertanto l’effetto sui saldi è pari sul primo anno a 6/12 (attività prestata per 6 mesi) di quello previsto a regime.

L’art. 1, comma 273, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) ha autorizzato il MAECI a bandire concorsi e conseguentemente ad assumere a tempo indeterminato fino a 75 dipendenti della III area funzionale, posizione economica F1, per ciascuno degli anni 2018-2019, autorizzando a tal fine la spesa di euro 1.462.500 per il 2018 e di euro 5.850.000 a decorrere dal 2019.

Nella seguente tabella sono riportati gli effetti sui saldi associati alla disposizione, come evidenziati nel prospetto riepilogativo. In particolare, come segnalato dalla relazione tecnica, si prevede di assumere 75 unità nel secondo semestre del 2018 e altre 75 unità (per un totale cumulato di 150 unità) dal mese di gennaio del 2019. Pertanto, nel 2018, la spesa sarà pari ad euro 1.462.500 (euro 39.000 costo unitario annuo-lordo amministrazione x 75 unità x 6/12 di anno) e dal 2019 la spesa sarà di euro 5.850.000 (euro 39.000 costo unitario annuo-lordo amministrazione x 150 unità).

 

Per quanto attiene al comparto scuola, le assunzioni a tempo indeterminato vengono disposte in corrispondenza dell’inizio dell’anno scolastico, fissato convenzionalmente al 1° settembre di ogni anno. Pertanto, la contabilizzazione dell’effetto finanziario delle assunzioni sul primo anno, sarà pari a ai 4/12 (attività prestata per quattro mesi) di quello previsto a regime

L’art. 1, commi da 95 a 105, della legge n. 107/2015 (c.d. buona scuola) ha autorizzato per l'anno scolastico 2015/2016 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad attuare un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili.

La relazione tecnica evidenzia che, nell’ambito delle assunzioni autorizzate, quelle su nuovi posti costituiscono la gran parte di quelle complessive e determineranno una spesa pari a 544,18 milioni di euro sul 2015 e a 1.728,04 milioni di euro sul 2016. Le assunzioni sul primo anno saranno disposte entro il 15 settembre (quattro dodicesimi di retribuzione annua) mentre la spesa relativa al 2016 sarà pari a 1.728,04 milioni di euro. Si precisa che la spesa prevista per il 2016 appare superiore a quella che ci si attenderebbe in proporzione a quella indicata sul 2015. Tale spesa dovrebbe essere infatti essere pari ad euro 1.632,54 milioni di euro (544,18 x 3). Come evidenziato dalla relazione tecnica ciò è dovuto al fatto che l’onere indicato tiene conto anche delle somme corrisposte a titolo di arretrati nel medesimo esercizio, a seguito della ricostruzione di carriera e riferite al periodo settembre – dicembre 2015.

 

Per quanto attiene alla determinazione del quantum degli oneri correlati alla autorizzazione ad effettuare nuove assunzioni nell'ambito della disciplina del turn over, la stima degli effetti finanziari deve innanzitutto considerare l'effetto di spesa riconducibile al contingente previsto, in considerazione delle sue caratteristiche qualitative e quantitative, tenuto conto dei profili retributivi e degli eventuali automatismi già previsti dalla legislazione vigente per quella specifica tipologia di dipendenti pubblici, in un orizzonte, come già detto, almeno decennale.

Sul punto, la stessa legge di contabilità prescrive infatti che la RT deve tassativamente contenere i dati sul numero dei destinatari, sul loro costo unitario, sugli automatismi diretti e indiretti che ne conseguono fino alla loro completa attuazione, nonché sulle loro correlazioni con lo stato giuridico ed economico di altre categorie o fasce di dipendenti pubblici omologabili.

 

Nel caso, in particolare, di norme concernenti reclutamenti del personale docente e non del comparto scuola, la RT – ai sensi del citato art. 17, comma 7, della legge n. 196/2009 -  dovrà contenere anche l’indicazione delle ipotesi demografiche e dei flussi migratori assunti per l'elaborazione delle previsioni della popolazione scolastica, nonché ogni altro elemento utile per la verifica delle quantificazioni.

Circa la disciplina dell'accesso ai ruoli della scuola, tali aspetti sono da raccordarsi ai profili concernenti composizione e dinamica interna (c.d. progressioni economiche per anzianità) delle carriere, già previsti ai sensi della relativa disciplina normativa e contrattuale, per i vari comparti delle aree professionali, in considerazione dello specifico regime normativo. Tale aspetto rappresenta un profilo specifico della quantificazione degli effetti finanziari associati a reclutamenti da operarsi nel comparto scuola, dal momento che la prevista alimentazione dei ruoli anche attraverso l'inquadramento a tempo indeterminato del personale già precario, impone di includere tra gli oneri anche la spesa da sostenere per le cd. ricostruzioni di carriera che rideterminano l'anzianità economica in considerazione del servizio pre-ruolo.

Il turn over nelle pubbliche amministrazioni: assunzioni "ordinarie" e assunzioni in "deroga"

L'attività legislativa in materia di disciplina e reclutamento nel pubblico impiego presenta, dal punto di vista del diritto contabile, peculiari aspetti metodologici che meritano di essere separatamente commentati, a partire dalla tecnica di quantificazione delle spese relative ai cd. budget di reclutamento e alla valutazione del grado di compatibilità degli stessi con le facoltà assunzionali ordinariamente consentite della disciplina del turn over.

Per quanto concerne la disciplina generale del pubblico impiego, è da evidenziare la recente rilevante modifica dell'articolo 6 del testo unico del pubblico impiego (T.U.P.I.), di cui al decreto legislativo n. 165/2001, intervenuta con l'articolo 4 del decreto legislativo n. 75/2017, laddove si è stabilito che le amministrazioni pubbliche sono d'ora innanzi tenute alla definizione dell'organizzazione degli uffici, in considerazione del piano dei fabbisogni di personale programmati.

La riformulazione richiamata prevede infatti che, allo scopo dichiarato di ottimizzare l'impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di servizio, le amministrazioni pubbliche saranno tenute all'adozione di un piano triennale dei fabbisogni di personale, in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e delle performance, nell'ambito del quale, qualora siano individuate eccedenze di personale, le stesse saranno chiamate ad attivare le procedure di mobilità previste dall'articolo 33 del medesimo T.U.P.I. Il piano triennale dei fabbisogni dovrà contenere anche l'indicazione delle risorse finanziarie destinate all'attuazione del piano, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste dalla legislazione vigente.

Tale riconosciuta possibilità per le amministrazioni di procedere alla rimodulazione degli organici consentirà di superare un classico profilo di criticità verificatosi in passato, allorché si è presentata la necessità di verificare la compatibilità di nuove assunzioni con le dotazioni organiche di "diritto" assegnate a legislazione vigente alle amministrazioni interessate, non solo in ordine ai contingenti complessivi, ma anche relativamente ai singoli contingenti professionali.

La conseguente situazione di soprannumero rappresenta una circostanza spesso suscettibile di determinare maggiori oneri, non quantificati e di norma privi di copertura[143].

Quanto alle questioni connesse alla onerosità di nuove assunzioni in regime ordinario, pur a fronte del fisiologico turn over del personale, va evidenziato che il diverso livello delle retribuzioni contrattuali tra personale in accesso e personale che accede al pensionamento, determina che vi sia, di norma, a parità di unità numeriche,  programmate in ingresso e in uscita, un saldo positivo tra effetti di minore spesa derivanti dalle cessazioni del personale e effetti di maggiore spesa connessi alle nuove assunzioni.

Tuttavia, in linea di principio, tale disponibilità non può essere integralmente utilizzata per la copertura di nuove assunzioni, né per la sostituzione integrale del personale cessato dal servizio, dal momento che ciò farebbe crescere in maniera progressiva il costo del pubblico impiego nel medio periodo, in corrispondenza della progressiva riduzione del divario tra i trattamenti del personale neo assunto e quello in servizio (o prossimo al pensionamento).

In tal senso, ancora sotto il profilo finanziario, un aspetto centrale è correlato proprio all’efficacia del cosiddetto blocco parziale del turn over, ovvero al contingentamento delle nuove assunzioni per i vari comparti del pubblico impiego, in base - di norma - ad una aliquota delle cessazioni previste nell'anno o in quello precedente e dei risparmi realizzati per effetto delle cessazioni, al fine di realizzare risparmi netti per il bilancio dello Stato.

L'autorizzazione ad indire procedure di reclutamento in deroga alla disciplina vigente del turn over, implica che tali procedure siano dotate di apposita copertura finanziaria.

Ai fini della stima dei relativi oneri, in aggiunta alle esposte problematiche connesse alla quantificazione degli oneri di spesa nei termini stabiliti dalla stessa legge di contabilità, la relazione tecnica dovrà consentire lo scrutinio della idoneità qualitativa e quantitativa delle risorse indicate a copertura, tenendo ovviamente conto del carattere di inderogabilità degli oneri di personale e del fatto che le risorse predisposte a copertura del nuovo onere dovranno avere carattere permanente.

In generale, può dirsi che la quantificazione degli effetti di norme legislative che prevedono nuove assunzioni nel pubblico impiego, deve normalmente essere sempre corredata da una dettagliata illustrazione in RT del costo unitario annuo delle unità autorizzate e degli stessi contingenti numerici autorizzati, che sia comprensivo di tutte le componenti (stipendio, indennità integrativa speciale, indennità di amministrazione e, per i dirigenti, retribuzione di posizione, per la sola parte fissa) e al lordo della componente contributiva a carico dell'amministrazione, a fronte delle risorse consentite dalla evidenziazione delle disponibilità maturate in attuazione della disciplina del turn over vigente, alla luce delle cessazioni dal servizio maturate nell'anno precedente.

Inoltre, una notazione a sé stante meritano le disposizioni ad hoc recanti autorizzazioni al reclutamento di personale a tempo determinato, su cui è intervenuta la nuova disciplina dell'articolo 36 del T.U.P.I[144], in cui spesso viene posto un limite alla spesa annua, pari ad una percentuale di quella già sostenuta, per la medesima finalità, in un anno precedente preso come riferimento[145].

Ad ogni modo, va rilevato, sotto il profilo prettamente contabile, che tali misure hanno beneficiato il più delle volte di una metodologia di stima previsionale della spesa che si è basata sulla determinazione, nel bilancio a legislazione vigente, di previsioni di stanziamento che hanno consentito in passato l'automatico rinnovo dei contratti a tempo determinato al momento della scadenza.

Tale circostanza - unitamente alla considerazione che il costo del personale rappresenta una quota consistente degli stanziamenti complessivamente iscritti nel bilancio dello Stato per il funzionamento - riflette in buona sostanza il livello di rigidità che caratterizza il funzionamento dell'operatore pubblico in termini di spesa di personale, a meno di non considerare l'eventualità di una riduzione qualitativa e/o quantitativa della gamma dei servizi forniti alla collettività.

I rinnovi contrattuali

·       Il ciclo triennale dei rinnovi

Tra i fattori che incidono sulle dinamiche della spesa per redditi da lavoro dipendente vanno considerati, in particolare, gli aumenti per rinnovi contrattuali[146].

Ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3, del D.lgs. n. 165/2001 (testo unico del pubblico impiego) i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. L'attribuzione dei trattamenti economici può avvenire, pertanto, esclusivamente mediante contratti collettivi. Unica eccezione all’assoggettabilità alla disciplina contrattuale riguarda le categorie di personale in regime di diritto pubblico indicate dall'art. 3 del D.lgs. n. 165/2001 tra le quali figurano: magistrati, avvocati dello stato, personale militare e delle forze di polizia (esclusi i corpi di polizia locale), personale della carriera diplomatica e prefettizia e i professori universitari. Il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) e, conseguentemente, il Contratto collettivo nazionale integrativo (CCNI) hanno – a seguito delle modifiche apportate al testo unico del pubblico impiego dal D.lgs. n. 150/2009 – una durata triennale; in precedenza, la durata era di quattro anni, suddivisa, per la parte economica, in due bienni. L’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), nell’ambito del modello di contrattazione vigente, rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro relativa ai comparti e alle aree della dirigenza, svolge le attività di negoziazione e definizione dei contratti collettivi del personale dei vari comparti del pubblico impiego, nonché l’attività d’interpretazione autentica delle clausole contrattuali e la disciplina delle relazioni sindacali nelle amministrazioni pubbliche.

L’Aran esercita le funzioni in materia di contrattazione collettiva nazionale in base agli atti di indirizzo formulati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale. Per le regioni, i relativi enti dipendenti, e le amministrazioni del SSN viene costituito un Comitato di settore nell'ambito della Conferenza delle Regioni al quale partecipa rappresentante del Governo. Per i dipendenti di enti locali e Camere di commercio è costituito un comitato di settore, nell'ambito dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), dell'Unione delle province d'Italia (UPI) e dell'Unioncamere. Per tutte le altre amministrazioni opera come Comitato di settore il Ministro per la pubblica amministrazione di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. In relazione alle specificità delle diverse amministrazioni interessate, gli atti di indirizzo sono, altresì, adottati, sentiti i Ministri o i vertici degli organismi interessati (direttori delle Agenzie fiscali, la Conferenza dei rettori delle università italiane, il presidente del CNEL, etc.). I comitati di settore operano collegialmente per la stipula degli accordi che definiscono o modificano i comparti o le aree di contrattazione collettiva o che disciplinano istituti comuni a più comparti. Gli atti di indirizzo delle amministrazioni non statali vengono sottoposti al Governo che ne valuta, entro venti giorni, la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale. La trattativa negoziale viene avviata mediante la convocazione delle confederazioni e delle organizzazioni sindacali di comparto maggiormente rappresentative ai sensi dell’art. 43 del D.Lgs. n. 165/2001. Raggiunta un’ipotesi di accordo, l'ARAN ne trasmette il testo corredato da una relazione tecnica, al comitato di settore competente al fine dell’acquisizione del parere favorevole. Dopo aver acquisito il parere favorevole sull'ipotesi di accordo e verificata da parte delle amministrazioni interessate la copertura degli oneri contrattuali, l'ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio. L'esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all'ARAN, al Comitato di settore e al Governo. In caso di certificazione positiva, il Presidente dell'ARAN sottoscrive il contratto collettivo. In caso di certificazione non positiva il Presidente dell'ARAN, d'intesa con il competente comitato di settore, sulla base di eventuali ulteriori indirizzi aggiuntivi, dispone la riapertura delle trattative e provvede alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo sulla quale si riapre la procedura di certificazione. I contratti e gli accordi collettivi nazionali nonché le eventuali interpretazioni autentiche sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, sul sito dell'ARAN e delle amministrazioni interessate.

Per un’illustrazione sintetica delle fasi della contrattazione disciplinate dall’art. 47, del D.lgs. n. 165/2001, si veda la rappresentazione grafica riportata a seguire.

 

 

Gli incrementi di spesa per redditi da lavoro dipendente sono condizionati dal criterio della legislazione vigente e dalla dinamica temporale della contrattazione che, nelle ultime stagioni contrattuali del pubblico impiego è stata caratterizzata da un periodo di sospensione.

Per i trienni contrattuali relativamente ai quali non siano state ancora stanziate risorse in legge di bilancio ai sensi dell’art. 48 del D.lgs. n. 165/2001, in applicazione del criterio della legislazione vigente, le previsioni di bilancio e quelle relative al conto economico (tendenziali di spesa a legislazione vigente) incorporano la corresponsione dell’indennità di vacanza contrattuale (IVC).

 

L’indennità di vacanza contrattuale è l’incremento provvisorio della retribuzione che interviene una volta scaduto il contratto collettivo nazionale, in assenza di un suo rinnovo e finché questo non sia rinnovato. L’IVC è stata introdotta, a seguito dell’eliminazione del sistema di indicizzazione automatica delle retribuzioni dall’Accordo interconfederale[147] del 23 luglio 1993, come strumento di adeguamento automatico - rapportato al Tasso di inflazione programmato (TIP) - delle retribuzioni finalizzato a non penalizzare i redditi dei lavoratori durante i periodi di trattativa sindacale che precedono i rinnovi dei CCNL. L’erogazione dell’IVC a tutti i dipendenti pubblici è stata resa strutturale per effetto dell’art. 2, comma 35, della legge n. 203/2008 (legge finanziaria 2009) e confermata dal D.lgs. n. 150/2009 che ha modificato il quadro previsionale della spesa per redditi da lavoro dipendente al fine di determinare gli importi per IVC attraverso la legge di bilancio. In particolare, l’articolo 47-bis del D. lgs. n. 165/2001, introdotto dall'articolo 59, comma 2, del D. lgs. n. 150/2009, ha previsto, che decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio che dispone i rinnovi dei contratti collettivi per il periodo di riferimento, gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possano essere erogati in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative, salvo conguaglio all'atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali. La disposizione ha previsto, inoltre, che in ogni caso a decorrere dal mese di aprile dell'anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale, qualora lo stesso non sia ancora stato rinnovato e non sia stata disposta la summenzionata erogazione provvisoria, venga riconosciuta ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione, nella misura e con le modalità stabilite dai contratti nazionali, e comunque entro i limiti previsti dalla legge di bilancio in sede di definizione delle risorse contrattuali, una copertura economica che costituisce un'anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale.

 

·       Effetti finanziari ascritti ai rinnovi contrattuali

In merito ai criteri utilizzati per determinare gli effetti sui saldi di finanza pubblica da ascrivere ai rinnovi contrattuali, si fa presente che la valutazione della spesa lorda[148] per il comparto Stato risulta identica su tutti i saldi (quindi lo stanziamento sul saldo di bilancio corrisponde agli importi indicati anche ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto).

Sul fabbisogno e sull’indebitamento netto incidono tuttavia anche i contratti dei comparti non statali; per questi ultimi, di norma, le risorse finanziarie necessarie per la sottoscrizione dei nuovi contratti sono poste a carico dei singoli enti e contribuiscono quindi a determinare l’entità complessiva della spesa della pubblica amministrazione sia in termini di cassa (fabbisogno) che di competenza economica (indebitamento netto).

Le risorse destinate alla contrattazione sono configurate come autorizzazioni da intendersi quali limiti massimi di spesa. Tuttavia, la corretta quantificazione di tali risorse riveste un ruolo cruciale, in particolare per quanto attiene ai dati relativi alle platee di riferimento per i singoli comparti del pubblico impiego.

Sul piano metodologico, la determinazione di tali importi è normalmente basata su valori medi delle retribuzioni del biennio economico passato (c.d. retribuzione di uscita del biennio precedente), tenendo conto del numero dei dipendenti interessati, per ciascun comparto, dagli incrementi contrattuali.

In aggiunta alle questioni metodologiche correlate alla corretta definizione degli importi, al netto e al lordo delle componenti contributive, ed alla congrua individuazione della platea degli interessati dagli aggiornamenti contrattuali (che deve sempre essere comprensiva anche dalla stima dell'onere relativo ai dipendenti a tempo determinato, a cui spetta il medesimo trattamento economico di quelli a tempo indeterminato), si osserva che gli stessi parametri essenziali di riferimento (in particolare, il numero dei dipendenti a tempo indeterminato e i valori medi di riferimento delle retribuzioni pro capite), sono spesso influenzati dalla storicità dei dati disponibili (il conto annuale del personale elaborato dalla RGS presenta due anni di scarto temporale rispetto a quello in corso), che si riflette sulla quantificazione dell’onere complessivo (corrispondente allo stanziamento indicato dalla norma).

 

La spesa complessiva per redditi da lavoro dipendente viene considerata al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, cioè comprende sia gli importi da versare all’Erario per il pagamento dell’IRPEF e dell’IRAP, sia quelli trattenuti dalle amministrazioni per le ritenute previdenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro.

L’effetto di aumento della spesa, con riguardo ai soli saldi di fabbisogno e indebitamento netto, viene nettizzato, quindi, delle maggiori entrate tributarie e contributive che affluiscono alle pubbliche amministrazioni (c.d. “effetti indotti”) in virtù dell’aumento dei redditi dei dipendenti.

Pertanto, rispetto alla maggiore spesa lorda autorizzata, iscritta per intero sul saldo del bilancio dello Stato (in caso di contratti statali), l’effetto netto sul fabbisogno e sull’indebitamento è pari a circa la metà.

Ciò è dovuto al fatto che i contributi sociali, l’IRPEF e l’IRAP rappresentano sostanzialmente delle “partite di giro” per i conti pubblici. Stime prudenziali delle entrate correlate alle trattenute fiscali e previdenziali sui dipendenti pubblici indicano in circa il 49 per cento la quota della spesa per redditi che rientra nelle casse delle pubbliche amministrazioni. L’effetto netto degli oneri contrattuali lordi sull’indebitamento netto, in termini di maggiore spesa, viene quantificato, pertanto, in misura pari a circa il 51 per cento degli oneri lordi, mentre il restante 49 per cento costituisce, come si è detto, la stima della quota degli oneri lordi che “rientra” nel sistema pubblico a titolo di maggiori entrate tributarie e contributive (c.d. “effetti indotti”).

 

Più precisamente, gli elementi di riferimento del calcolo sono i seguenti:

a) oneri riflessi a carico dello Stato: 29,88% per contributi previdenziali (per il settore pubblico non statale tale percentuale è lievemente inferiore) e 8,5% per IRAP che si aggiungono ai costi degli incrementi retributivi lordi dei dipendenti;

b) ritenute previdenziali a carico dei dipendenti (11,10%): si sottraggono dai costi degli incrementi lordi dei dipendenti per determinare la base imponibile per il successivo calcolo delle ritenute erariali;

c) ritenute fiscali: stimate, in via prudenziale, in circa il 20% della base imponibile come precedentemente individuata.

A titolo esemplificativo, per lo Stato, ponendo pari a 100 i costi per gli incrementi retributivi dei dipendenti:

-        oneri contrattuali lordi: 138,38 (100+29,88%+8,5%);

-        base imponibile per l’applicazione delle ritenute previdenziali: 100;

-        base imponibile per l’applicazione delle ritenute erariali: 88,9 (100 -11,1%);

-        effetto su indebitamento netto: 71,12 (88,9 - 20%);

-        rapporto fra 71,12 e 138,38: 51,4% (approssimato a 51%).

 

Come già evidenziato, ai fini del saldo netto da finanziare la spesa complessiva non viene espressamente ridotta delle predette componenti, solo in parte migliorative del saldo di bilancio (per la quota relativa alle entrate erariali). Per una valutazione dell’impatto complessivo delle spese in questione sul saldo netto da finanziare, occorrerebbe inoltre tener conto anche di ulteriori effetti indotti (che non rilevano invece ai fini della valutazione dell’impatto delle norme sul fabbisogno e sull’indebitamento netto, in quanto attinenti a rapporti finanziari tra enti interni alle pubbliche amministrazioni, oggetto quindi di consolidamento all’interno del conto della P.A.).

In particolare si tratta dei seguenti effetti:

-        la quota a carico dello Stato relativa al finanziamento della spesa sanitaria (da compensare con la maggiore IRAP che le Regioni riscuoteranno sulle più elevate retribuzioni);

-        l’apporto dello Stato a favore dell’INPS destinato a finanziare il differenziale tra prestazioni da erogare e contributi incassati (importo che va ridotto in ragione dei maggiori contributi incassati a valere sulle più elevate retribuzioni);

-        i maggiori stanziamenti per la contribuzione aggiuntiva a carico dello Stato per il finanziamento delle prestazioni pensionistiche dei pubblici dipendenti (16 per cento delle retribuzioni lorde).

 

Nel caso di rinnovi contrattuali con arretrati sottoscritti e pagati nello stesso anno, gli arretrati non incidono sul saldo netto da finanziare in quanto fanno riferimento a somme stanziate in anni precedenti (che quindi hanno avuto impatto sul netto da finanziare in tali esercizi). Tali somme vengono infatti conservate in bilancio nel conto dei residui passivi per garantire la prescritta copertura finanziaria nell’anno in cui il contratto viene sottoscritto. Gli arretrati incidono viceversa sui saldi di fabbisogno e indebitamento con imputazione dell’effetto nell’esercizio in cui avviene la sottoscrizione del contratto.

Negli anni in cui non viene previsto lo stanziamento per i rinnovi contrattuali, viene computata un’indennità di vacanza contrattuale (IVC): i relativi importi sono considerati nella costruzione delle previsioni di spesa complessive (c.d. “tendenziale”) e non vengono quindi registrati in relazione a specifiche norme legislative.

Sul punto si rinvia all’analisi contenuta nel precedente paragrafo relativo al ciclo triennale dei rinnovi.

·       Il blocco della contrattazione e la tornata contrattuale 2016-2018

Nel corso della XVII legislatura le politiche volte a contenere la dinamica delle retribuzioni pubbliche mediante rinvio dei rinnovi contrattuali, già adottate in precedenti anni, sono state inizialmente reiterate per effetto di norme contenute, in particolare, nelle leggi di stabilità per il 2014 e il 2015.

 

In particolare, nell’ambito degli interventi di contenimento della spesa per redditi da lavoro dipendente, a partire dall’articolo 9 del DL n. 78/2010 è stato disposto il blocco della contrattazione nel pubblico impiego per il triennio 2010-2012. Successivamente l’art. 16, comma 1, lett. b) e c), del DL n. 98/2011 ha demandato all’adozione di uno più regolamenti la proroga fino al 31 dicembre 2014 di siffatte misure nonché la fissazione delle modalità di calcolo dell'indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017. In attuazione di tale disposizione l’art. 1, comma 1, lett. d), del DPR n. 122/2013 ha escluso per il periodo 2013-2014 qualsiasi recupero della “vacanza contrattuale” rispetto a quella attribuita nel 2010, consentendo, tuttavia, per il periodo 2015-2017, il riconoscimento della vacanza contrattuale “secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigente”. Successivamente i commi 254 e 255 dell’articolo 1 della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) hanno disposto, rispettivamente, la sospensione delle procedure negoziali, per la parte economica, fino al 31 dicembre 2015 e il “congelamento” dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2018, fissandola a quella in godimento al 31 dicembre 2013 (valori del 31 dicembre 2010, ai sensi dell’art. 9, comma 17, della legge n. 78/2010).

 

A seguito della pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 178/2015), che ha dichiarato l’illegittimità del regime di sospensione della contrattazione collettiva - risultante dalle disposizioni introdotte a partire dal DL n. 98/2011, specificate dal DPR n. 122/2013 e prorogate dalle leggi di stabilità per il 2014 e il 2015 - il legislatore ha riaperto la stagione negoziale nel pubblico impego adottando specifici provvedimenti finalizzati a stanziare le necessarie risorse.

A partire dalla legge di stabilità 2016, sono stati disposti specifici stanziamenti per la contrattazione collettiva nelle amministrazioni pubbliche e per i miglioramenti economici del personale dipendente dalle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico, per un onere complessivo a carico del bilancio statale quantificato, complessivamente, in 300 milioni di euro a decorrere dal 2016 (art. 1, comma 466, legge 208/2015).

Successivamente, l’articolo 1, comma 365, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017) ha istituito un Fondo da ripartire[149] - con una dotazione pari a 1,48 miliardi per il 2017 e 1,93 miliardi a decorrere dal 2018 - tra specifiche finalità indicate dalla medesima norma, tra le quali il rifinanziamento dei rinnovi contrattuali presso le amministrazioni pubbliche. Nell’ambito delle dotazioni del Fondo, la norma ha previsto la determinazione, pari a 600 milioni di euro per il 2017 e 900 milioni di euro a decorrere dal 2018, degli "oneri aggiuntivi" (rispetto ai 300 milioni di euro già stanziati dalla legge di stabilità per il 2016) per la contrattazione collettiva relativa al triennio 2016-2018 nonché per "i miglioramenti economici" del personale dipendente dalle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico.

Si rammenta, altresì, che il 30 novembre 2016 il Governo e le parti sindacali hanno siglato un Accordo per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, con cui il Governo si è impegnato a stanziare risorse finanziarie aggiuntive per il triennio 2016-2018 tali da consentire “incrementi contrattuali in linea con quelli riconosciuti mediamente ai lavoratori privati e comunque non inferiori a 85 euro mensili medi”.

 

In sintesi, le risorse destinate ai rinnovi contrattuali per il periodo 2016-2018, sono state così determinate nel quadro delle ultime manovre di finanza pubblica.

(milioni di euro)

Risorse stanziate

2016

2017

Dal 2018

Art. 1, comma 466, legge 208/2015 (legge di stabilità 2016)

300

300

300

Art. 1, comma 365, lett. a), legge 232/2016 (legge di bilancio 2017) e DPCM 27 febbraio 2017

 

600

900

Art. 1, comma 679, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018)

 

 

1.650

TOTALE

300

900

2.850

 

Più specificamente, l’art. 1, comma 679, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) prevede che, per il triennio 2016-2018, gli oneri posti a carico del bilancio statale, derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale nelle amministrazioni pubbliche e dai miglioramenti economici del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche in regime di diritto pubblico, siano complessivamente determinati in 300 milioni di euro per il 2016, in 900 milioni di euro per il 2017 ed in 2.850 milioni di euro a decorrere dal 2018. Tali importi tengono conto quindi conto anche di quanto già scontato nelle previsioni tendenziali per effetto degli stanziamenti disposti, ai fini dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego, dalla legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016: 300 milioni a decorrere dal 2016) e dalla legge 232/2016 (legge di bilancio 2017: 600 milioni nel 2017 e 900 milioni a decorrere dal 2018).

 

Lo stanziamento disposto dalla legge di bilancio 2018 è risultato pari, pertanto, a 1.650 milioni (2.850 – 900 – 300) a decorrere dal 2018. Nella tabella a seguire vengono evidenziati gli effetti sui saldi che il prospetto riepilogativo associa alla disposizione. In particolare a fronte di un effetto uniforme sui tre saldi in termini di maggiore spesa corrente, sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto vengono registrati gli effetti indotti di maggiori entrate fiscali e contributive (con conseguente riduzione dell’onere netto complessivo) a circa la metà.

 

(milioni di euro)

 

SNF

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2018

2019

2020

2018

2019

2020

2018

2019

2020

Maggiori spese correnti

 

Fondo contratti PA

1.650

1.650

1.650

1.650

1.650

1.650

1.650

1.650

1.650

Maggiori entrate tributarie e contributive

 

Fondo contratti PA- (effetti indotti)

 

 

 

800,3

800,3

800,3

800,3

800,3

800,3

La spesa per consumi intermedi

Contabilizzazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica

Nell’ambito del conto economico delle pubbliche amministrazioni, i consumi intermedi costituiscono una delle principali voci di spesa relative al funzionamento delle Amministrazioni pubbliche, insieme ai redditi da lavoro dipendente.

In particolare, ai fini del sistema di contabilità europea (SEC 2010) la spesa per consumi intermedi è definita come la spesa per beni e servizi che vengono consumati quali input in un processo di produzione, escluso il capitale fisso il cui consumo è registrato come ammortamento. La categoria dei consumi intermedi aggrega diverse tipologie di spesa, tra cui, ad esempio, quelle per il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, le spese per aggi e commissioni di riscossione dei tributi erariali, di formazione del personale e di consulenza della p.a.

 

In base al SEC 2010 sono esempi di consumi intermedi: a) i beni e i servizi utilizzati quali input nelle attività ausiliarie; b) i beni e i servizi ricevuti da un'altra unità di attività economica (UAE) locale della stessa unità istituzionale;  c) i canoni di locazione di beni; d) i costi di utilizzo di contratti, locazioni e licenze a breve termine registrati come attività non prodotte; e) le quote di associazione, i contributi o i diritti versati ad associazioni professionali senza scopo di lucro; f) i beni e i servizi non considerati investimenti lordi; g) le spese sostenute dai lavoratori dipendenti, rimborsate dai loro datori di lavoro, per beni necessari alla produzione di questi ultimi; h) le spese sostenute dai datori di lavoro, a beneficio sia proprio, sia dei loro dipendenti, perché necessarie per la produzione (rimborso ai dipendenti delle spese di viaggio, di trasferta, di trasloco e di rappresentanza da questi sostenute nell'esercizio delle loro funzioni; spese finalizzate ad accrescere il confort sul luogo di lavoro); i) i costi del servizio di assicurazione contro i danni sostenuti dalle UAE locali ecc.

Dai consumi intermedi sono invece esclusi: a) i beni considerati investimenti lordi; b) le spese considerate come acquisti di attività non prodotte; c) le spese dei datori di lavoro considerate retribuzioni lorde in natura; d) la fruizione di servizi collettivi erogati dalle amministrazioni pubbliche da parte di unità produttrici di beni e servizi destinabili alla vendita o per proprio uso finale; e) i beni e i servizi prodotti e consumati nel corso dello stesso periodo contabile e nell'ambito della stessa UAE locale; f) i versamenti a favore delle amministrazioni pubbliche a titolo di tributi e per ottenere il rilascio di licenze che sono considerati come altre imposte sulla produzione; g) gli esborsi per ottenere il permesso di sfruttare risorse naturali (ad esempio, terreni), considerati diritti di sfruttamento, ossia una corresponsione di redditi da capitale.

 

Tra i cambiamenti metodologici introdotti dal SEC 2010, si segnala la riclassificazione delle spese per armamenti come investimenti fissi, anziché come spese per consumi intermedi. Tali beni sono, infatti, considerati come capitale fisso utilizzato nel processo di produzione del servizio della difesa nazionale. In tale categoria rientrano le armi e le attrezzature da guerra, inclusi veicoli, navi, sottomarini e aerei militari; mentre gli armamenti ad uso singolo, come le munizioni, sono considerati scorte militari. Anche le spese in ricerca e sviluppo (R&S) sono state riclassificate come spese di investimento in quanto contribuiscono all’accumulazione, tramite capitale fisso intangibile, di capacità produttiva. In precedenza queste erano registrate come consumi intermedi, in quanto si ipotizzava che tale spesa fosse destinata ad essere trasformata o esaurita nel processo produttivo nel momento del relativo utilizzo.

 

Le regole del SEC 2010 stabiliscono che le spese per consumi intermedi vengano registrate in termini di competenza economica. Questa corrisponde al momento in cui i beni e servizi passano effettivamente da un proprietario ad un altro per essere impiegati nel processo produttivo.

Per quanto concerne la contabilizzazione di tale spesa sui saldi di finanza pubblica, si assume che ai fini dell’indebitamento netto l’impegno giuridico sia la fase contabile che più si approssima al principio della competenza economica, come definito dal SEC 2010.

Pertanto, sul saldo netto da finanziare viene registrato lo stanziamento complessivo indicato dalla norma, mentre ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto si registreranno le previsioni relative agli effetti della misura disposta, rispettivamente, in termini di pagamenti e di impegni.

Nell’ambito delle manovre di finanza pubblica prodotte nelle ultime legislature hanno assunto rilievo interventi normativi volti ad una complessiva riduzione della categoria della spesa per consumi intermedi per tutte le amministrazioni pubbliche incluse nell’elenco ISTAT. Tali interventi hanno assunto la denominazione prima di “tagli lineari” e poi di “spending review”. Nei paragrafi a seguire verranno approfonditi gli aspetti metodologici relativi a tali interventi.

Dai tagli lineari alla nuova spending review

Per perseguire misure di contenimento della spesa dei Ministeri, in generale, e di quella per consumi intermedi, in particolare, nel corso delle ultime legislature sono state adottate diverse strategie normative, modellate anche sulla base delle esperienze maturate in materia nel corso degli anni. Tali strategie, in un primo tempo, hanno previsto la riduzione del monte complessivo delle spese prescindendo da una puntuale disamina delle singole missioni e dei singoli programmi da ridurre.  

 

Una prima forma di intervento di tipo generale era incentrato sulla c.d. regola del 2 per cento[150] che fissava per il triennio 2005-2007 un tetto alla crescita delle spese delle amministrazioni pubbliche rispetto alle previsioni aggiornate del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica. Specifiche disposizioni fissavano i criteri per l’applicazione della regola con riferimento a categorie omogenee di enti (enti territoriali, enti del servizio sanitario e così via). Per quanto concerne le amministrazioni centrali veniva fissato un tetto all’aumento degli stanziamenti, in competenza e in cassa, aventi un impatto diretto sul conto economico consolidato della P.A., rispetto alle previsioni iniziali del 2004.

Con l’avvio della XVI legislatura lo strumento maggiormente adottato per l’ottenimento di risparmi - principalmente sulle spese per l’acquisto di beni e servizi, consumi intermedi e per trasferimenti - è quello dei cosiddetti “tagli lineari”. I tagli lineari, già comunque utilizzati nelle legislature precedenti, si sostanziavano in una riduzione complessiva di spesa, distribuita in misura proporzionale (“orizzontale”) tra una pluralità di stanziamenti iscritti in bilancio.

I tagli lineari hanno riguardato:

·        stanziamenti relativi ad una pluralità di missioni e/o programmi di spesa che afferivano ad intere categorie economiche, quali l’acquisto di beni e servizi o i consumi intermedi;

·        dotazioni finanziarie di specifiche missioni e/o programmi di spesa espressamente individuati dalla disposizione che prevedeva il taglio.

 

Le riduzioni lineari di spesa sono state generalmente utilizzate per ottenere un unico effetto finanziario, espressamente quantificato dalla norma, di riduzione netta della spesa pubblica o di compensazione dell’impatto di misure espansive adottate (maggiori spese o minori entrate). Un’ulteriore modalità di utilizzo delle riduzioni lineari è stata quella volta a garantire l’effettività e l’automaticità di clausole di salvaguardia da applicare in caso di scostamenti tra gli oneri previsti dalla norma e quelli effettivamente determinatisi: sul punto si rinvia al paragrafo riportato nella parte II del presente dossier, relativo a “Gli scostamenti rispetto alle previsioni: dalle clausole di salvaguardia alla nuova procedura di compensazione”.

Da quanto sopra esposto emerge la natura non selettiva dei tagli lineari: tale natura ha comportato che, in sede di verifica parlamentare degli effetti finanziari di tali misure, si sia posto il problema di assicurare che le riduzioni lineari non determinassero un pregiudizio alla funzionalità delle pubbliche amministrazioni ed al perseguimento degli obiettivi previsti dai singoli programmi di spesa. A tal fine, nell’ambito degli approfondimenti tecnici effettuati nel corso dell’esame di tali misure, è stato richiesto al Governo di fornire elementi volti ad escludere tali effetti pregiudizievoli.

Proprio per evitare i rischi connessi alla riduzione della funzionalità delle pubbliche amministrazioni, alcune disposizioni recanti tagli lineari hanno previsto forme più o meno ampie di flessibilità, consentendo alle amministrazioni di prevedere variazioni compensative dei tagli proposti, anche tra programmi diversi, garantendo tuttavia l’invarianza complessiva degli effetti sui saldi di finanza pubblica.

Un ulteriore profilo, più volte evidenziato anche dalla Corte dei conti[151], concerne l’eventualità di un effetto di “rimbalzo” della spesa con incrementi della stessa in esercizi successivi a quelli interessati dai tagli. La Corte, sul punto, ha sottolineato, inoltre, la possibilità che possano, in tal caso, “crearsi i presupposti per il prodursi in futuro di un nuovo debito sommerso”.

 

Un primo esempio di tagli lineari è stato introdotto con il comma 507 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 (Finanziaria per il 2007), in cui si stabilì – con riferimento al triennio 2007-2009 - che fosse accantonata e resa indisponibile una quota pari a 4.572 milioni di euro per il 2007, a 5.031 milioni per il 2008 e a 4.922 milioni per il 2009, delle dotazioni iniziali del bilancio dello Stato. Gli stanziamenti su cui incidevano gli accantonamenti riguardavano sia le spese correnti che quelle in conto capitale, ivi incluse le spese predeterminate legislativamente. La norma assicurava una flessibilità gestionale, prevedendo una procedura che consentiva alle amministrazioni interessate di rimodulare gli accantonamenti all’interno degli stati di previsione dei singoli Ministeri, anche interessando diverse unità previsionali relative alle suddette categorie, assicurando in ogni caso l’invarianza degli effetti finanziari. In attuazione di tale previsione sono state disposte, con un successivo decreto ministeriale[152], le variazioni degli accantonamenti operati sulle dotazioni delle UPB iscritte nella legge di bilancio per il 2007. Il volume complessivo di risorse interessate dalle variazioni risultò peraltro limitato (pari a 377 milioni di euro, rispettivamente in aumento e in diminuzione), e concentrato prevalentemente nel Ministero dell’economia.

L’applicazione dei tagli ha fatto emergere profili problematici in relazione alla loro sostenibilità da parte delle amministrazioni tanto che il D.L. n. 81/2007 ha dovuto disporre la reintegrazione di parte degli  accantonamenti previsti dal DM, per un importo pari a circa 2 miliardi per il 2007[153] in termini di saldo netto da finanziare. In termini di indebitamento netto, la reintegrazione è stata pari a 1.519 milioni nel 2007, 80 milioni nel 2008 e 90 milioni nel 2009.

Più di recente l’articolo 2 del decreto legge n. 78/2010 ha disposto, a decorrere dal 2011, una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente nell’ambito delle spese rimodulabili delle missioni di ciascun Ministero. Le riduzioni sono state operate per importi complessivi pari a 2,4 miliardi di euro nel 2011, di 2,2 miliardi nel 2012 e di 2,4 miliardi nel 2013. Nell’ambito di tali importi, le riduzioni relative alle spese predeterminate per legge corrispondono a 1.850,5 milioni nel 2011, 1.646,9 milioni nel 2012 e 1.824,4 milioni nel 2013. Anche il decreto legge n. 78/2010, al fine di mettere le singole amministrazioni in condizione di far fronte alle consistenti riduzioni lineari delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa, ha consentito la possibilità di rimodulare, con il disegno di legge di bilancio, per “motivate esigenze”, e limitatamente al triennio 2011-2013, le dotazioni finanziarie “tra le missioni” di ciascun stato di previsione della spesa. Infine i decreti legge n. 98/2011 e n. 138/2011, adottati in un contesto di acuita crisi economico finanziaria e in ragione della conseguente necessità e urgenza di pervenire ad una correzione dei conti pubblici, hanno operato ulteriori incisive riduzioni orizzontali, contestualmente introducendo nuove norme speciali volte a dare un maggiore margine di flessibilità gestionale. In questa occasione gli obiettivi di riduzione fissati sono stati conseguiti, in sede attuativa, non solo con riduzioni della componente rimodulabile della spesa ma anche di quella non rimodulabile: a tal fine è stato anche previsto che i Ministeri dovessero proporre, in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il triennio 2012-2014, le iniziative legislative necessarie ai fini del conseguimento degli obiettivi di riduzione.

 

L’avvio della cosiddetta spending review, previsto al fine di superare l’applicazione del principio della “spesa storica” come criterio guida di formazione del bilancio dello Stato, segna anche un’inversione di tendenza rispetto alla tecnica dei tagli lineari, con la finalità di orientare il contenimento della spesa pubblica a principi di selettività e sostenibilità. I tagli lineari, infatti non si basano su una selezione tra le diverse attività pubbliche al fine di individuare quelle meritevoli di essere sostenute mentre la spending review “settorializzata” dovrebbe valutare la performance delle singole  amministrazioni pubbliche al fine di individuare i programmi di spesa da abbandonare e quelli da finanziare, secondo un approccio di “orientamento ai risultati” (performance budgeting): in tal modo viene dato risalto ai risultati ottenuti in relazione alle risorse e agli obiettivi assegnati.

In particolare, la spending review come meccanismo di controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica ha trovato la più recente sistemazione nell’ambito della nuova disciplina in materia di bilancio dello Stato risultante dalla legge n. 163/2016 e dal D.lgs n. 90/2016.

Questa procedura consente un’attività di revisione sistematica e strutturale, grazie alla definizione degli obiettivi di spesa dei Ministeri già nel DEF e la loro conferma in appositi D.P.C.M., da adottare entro il maggio di ogni anno. Gli obiettivi sono poi tradotti in misure di rideterminazione della spesa che trovano collocazione nell’ambito della legge di bilancio. Finalità della procedura è quella di rafforzare l’approccio top down nella programmazione economico-finanziaria e di integrare tale processo nel ciclo di bilancio, assicurando anche una continuità nel conseguimento dei relativi obiettivi.

Per quanto concerne lo Stato, la nuova disciplina del procedimento di spending review è recata dall’articolo 22-bis della legge n. 196/2009, introdotta dalla citata legge n. 163/2016.

Il processo risulta articolato nei termini seguenti:

·        entro il 31 maggio, sugli obiettivi indicati nel DEF, con D.P.C.M. su proposta del Ministro dell'economia (previa deliberazione del CdM), sono definiti gli obiettivi di spesa per ciascun Ministero, riferiti al successivo triennio;

·        ai fini del conseguimento dei suddetti obiettivi, i Ministri propongono gli interventi da adottare con il disegno di legge di bilancio, che si sostanziano per lo più in una rideterminazione degli stanziamenti nella sezione II del disegno di legge di bilancio stesso;

·        dopo l'approvazione della legge di bilancio, il Ministro dell'economia e ciascun Ministro di spesa stabiliscono entro il 1° marzo di ciascun anno, in appositi accordi, le modalità per il monitoraggio del conseguimento degli obiettivi di spesa, ed il relativo cronoprogramma degli interventi;

·        sulla base di apposite schede trasmesse da ciascun Ministro, il Ministro dell'economia entro il 15 luglio, informa il Consiglio dei ministri sullo stato di attuazione degli accordi;

·        entro il 1° marzo ciascun Ministro invia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze, una relazione – che verrà allegata al DEF - sul grado di raggiungimento dei risultati in riferimento agli accordi in essere nell'esercizio precedente.

Di seguito si riporta una rappresentazione grafica di tale processo di revisione della spesa.


 


Il procedimento di spending review delineato dalla legge n. 163/2016 ha trovato la sua prima applicazione con la legge di bilancio 2018, con riferimento al triennio di programmazione 2018-2020. In relazione a tale periodo – nel quadro di misure di razionalizzazione della spesa previste nella legge di bilancio 2018 -  l’obiettivo stabilito dal DEF a carico delle amministrazioni centrali dello Stato è stato indicato– in termini di indebitamento netto – in circa 1 miliardo per ciascun anno, ripartito tra i vari Ministeri secondo lo schema previsto dal D.P.C.M. 28 giugno 2017.

Al fine del conseguimento dell’obiettivo il medesimo D.P.C.M. ha individuato i seguenti strumenti:

·       la revisione di procedure amministrative o organizzative per il miglioramento dell'efficienza;

·       il definanziamento di interventi previsti da specifiche disposizioni normative, tenuto conto delle priorità dell'azione di Governo e dell'efficacia degli stessi interventi

·       la revisione dei meccanismi o parametri che regolano l'evoluzione della spesa, determinati sia da leggi sia da altri atti normativi, ovvero la soppressione di disposizioni normative di spesa vigenti in relazione alla loro efficacia o priorità.

Il provvedimento ha invece espressamente escluso dall'ambito oggetto delle proposte di riduzione le spese relative a investimenti fissi lordi, calamità naturali ed eventi sismici, nonché quelle concernenti l’immigrazione e il contrasto alla povertà.

 

Da quanto sopra descritto emerge che la riduzione delle spese dei ministeri è disposta in esito a una complessa procedura di valutazione delle singole voci che compongono i programmi e le missioni di spesa dei ministeri: tale valutazione consente una puntuale individuazione delle voci aggredibili al fine di evitare di incidere su stanziamenti commisurati ai fabbisogni minimi necessari per garantire la funzionalità amministrativa. In tal modo dovrebbero essere superati, in linea di principio, i dubbi circa la praticabilità dei singoli tagli di spesa proposti.

In sede di predisposizione della legge di bilancio 2018, le riduzioni di spesa sono state in gran parte incluse nelle rideterminazioni quantitative della sezione II della legge (recante gli stati di previsione dell’entrata e delle spese). Tali modifiche sono richiamate da apposite disposizioni (art. 1, comma 691) inserite nella sezione I del provvedimento (parte normativa della legge di bilancio). Altre disposizioni della sez. I (commi 692 e segg.) individuano ulteriori riduzioni di spesa.

Complessivamente l’effetto sui saldi per la complessiva procedura è così indicato nella relazione tecnica riferita alla legge di bilancio 2018.

Effetti finanziari per le Amministrazioni centrali dello Stato della legge di bilancio 2018

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno-Indebitamento netto

 

2018

2019

2020

2018

2019

2020

 

 

 

 

 

 

 

di cui Sezione I

39,4

35,4

35,0

39,4

35,4

35,0

di cui Sezione II

1.443,8

1.290,0

1.304,8

961,8

970,4

973,4

TOTALE

1.483,2

1.325,4

1.339,8

1.001,2

1.005,8

1.008,4

La spesa in conto capitale

Tra le spese registrate nel Conto economico delle amministrazioni pubbliche figurano quelle in conto capitale le cui componenti sono gli investimenti fissi lordi, i contributi agli investimenti ed una voce residuale costituita dagli altri trasferimenti in conto capitale. Le definizioni sintetiche di questi aggregati di spesa fornite da ISTAT e dal SEC2010 sono le seguenti:

·        investimenti fissi lordi: acquisizioni, al netto delle cessioni, di capitale fisso ossia di beni materiali o immateriali utilizzati nei processi di produzione per più anni;

·        contributi agli investimenti: sono inclusi dal SEC2010 nell’ambito dei trasferimenti in conto capitale. I contributi possono essere in denaro o in natura e sono corrisposti dalle Amministrazioni pubbliche a soggetti di altri settori istituzionali, allo scopo di finanziare in tutto o in parte i costi per l’acquisizione di capitale fisso. Costituiscono un sostegno all’ampliamento della capacità produttiva;

·        altri trasferimenti in conto capitale: comprendono tutte le operazioni di trasferimento, non incluse nella voce contributi agli investimenti, che operano una redistribuzione del risparmio o della ricchezza degli altri settori istituzionali.

Contabilizzazione degli effetti sui saldi di finanza pubblica

Si ricordano di seguito taluni criteri seguiti per la determinazione degli effetti sui saldi di norme legislative che prevedono spese in conto capitale.

Investimenti fissi lordi

Le norme relative ad interventi pubblici di finanziamento di investimenti prevedono, generalmente, spese entro limiti massimi annuali (tetti di spesa) corrispondenti agli stanziamenti autorizzati dalla norma.

Ai fini del saldo netto da finanziare, che considera la competenza giuridica, l’effetto di spesa corrisponde allo stanziamento previsto dalle disposizioni. Per quanto riguarda i saldi di indebitamento netto e di fabbisogno, si fa invece riferimento al criterio della cassa, ossia alle erogazioni annue effettive che si prevede di effettuare per la realizzazione dell’intervento. In particolare, per quanto attiene all’indebitamento, secondo il SEC2010, gli investimenti fissi lordi sono registrati nel momento in cui la proprietà dei beni è trasferita all'unità istituzionale che intende utilizzarli nella produzione. L’importo da registrare corrisponde agli effettivi incrementi/decrementi del valore del bene d’investimento. E’ stato chiarito che[154]  - a causa della carenza di informazioni circa il momento effettivo in cui il predetto effetto si produce - la registrazione degli investimenti pubblici sull’indebitamento netto si basa, in via convenzionale, sui pagamenti effettivi, in quanto maggiormente rappresentativi, rispetto all’impegno contabile, dell’aumento dello stock di capitale nel periodo di riferimento.

I pagamenti da parte della pubblica amministrazione, infatti, devono avvenire sulla base degli stati avanzamento lavori (SAL) presentati dall’impresa che realizza l’opera. L’applicazione di questo criterio determina, nel caso degli investimenti diretti (ad esempio un’opera pubblica finanziata dallo Stato), il medesimo impatto su fabbisogno e indebitamento netto; l’impatto è stimato sulla base del grado di spendibilità delle somme, la cui valutazione tiene anche conto delle procedure di spesa sottostanti.

Nel passato è stato, a volte, ipotizzato che uno stanziamento per investimenti fissi lordi potesse essere speso in tre o quattro anni e che circa il 30 per cento della spesa si realizzasse nell’anno in cui lo stanziamento risultava iscritto in bilancio. Non è però possibile fissare una regola dal momento che i dati statistici sugli stati di avanzamento dei lavori, riferiti a tipologie omogenee di spesa (piccoli interventi, grandi opere), sono costantemente aggiornati per modellarli sulle procedure di spesa e/o su rilevazioni riferite a singoli settori della pubblica amministrazione (ad esempio la spesa riferita agli enti locali). Ai fini della determinazione dell’impatto della norma sui saldi e della idoneità della relativa copertura, occorre quindi tenere conto anche della articolazione temporale dei pagamenti per la realizzazione dell’investimento.

Sempre in tema di investimenti fissi lordi, si evidenzia che incidono, invece, in diminuzione sullo stock di capitale le operazioni di dismissioni immobiliari. I relativi incassi sono registrati sul conto economico della PA, dunque, in termini di indebitamento netto, come rettifica negativa degli investimenti fissi lordi ossia come minore spesa in conto capitale mentre sul saldo netto da finanziare e sul fabbisogno sono contabilizzati tra le entrate in conto capitale.

Si segnala, inoltre, che le entrate derivanti da dismissioni immobiliari sono considerate di natura una tantum e non sono, dunque, suscettibili di migliorare il saldo di indebitamento netto strutturale.

 

 

·       La spesa per ricerca e sviluppo

 

In merito alla contabilizzazione sui saldi di finanza pubblica degli effetti finanziari connessi ad attività svolte nel settore della ricerca, si riporta a seguire un caso in cui - in esito alle innovazioni introdotte dal SEC 2010 che hanno comportato, tra l’altro, l’inclusione nella spesa per investimenti delle spese per ricerca e sviluppo (R&S) prima ricompresi nei consumi intermedi - viene evidenziato l’appostamento di tale spesa nell’ambito delle spese in conto capitale.

L’art. 1, comma 633, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018) ha incrementato di 12 milioni di euro per l’anno 2018 e di 76,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2019 il fondo per il finanziamento ordinario delle università per l'assunzione di ricercatori universitari. Il fondo ordinario per il finanziamento degli enti e istituzioni di ricerca è stato, inoltre, incrementato di 2 milioni di euro per il 2018 e di 13,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2019 per l'assunzione di ricercatori negli enti pubblici di ricerca.

Gli allegati tecnici alla legge di bilancio evidenziano i diversi criteri di contabilizzazione utilizzati per le due sopraindicate voci di spesa.

L’attività di ricercatore universitario viene valutata quale prestazione lavorativa dipendente e, pertanto, le maggiori spese connesse all’assunzione di personale di tale categoria viene ricompresa tra le maggiori spese correnti. Le attività di ricerca e sviluppo svolte, in forma di collaborazione coordinata e continuativa, in enti pubblici di ricerca (EPR), alla luce del SEC 2010, sono ora rubricate quale spesa per investimento.

Nella seguente tabella sono riportati gli effetti associati alla disposizione sui saldi, come evidenziati nel prospetto riepilogativo.

 

(milioni di euro)

 

SNF

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2018

2019

2020

2018

2019

2020

2018

2019

2020

Assunzione ricercatori Universitari

 

Maggiori spese correnti

12,0

76,5

76,5

12,0

76,5

76,5

12,0

76,5

76,5

Maggiori entrate tributarie e contributive

(effetti indotti) e

 

 

 

5,8

37,1

37,1

5,8

37,1

37,1

Assunzioni di ricercatori EPR

 

Maggiori spese in conto capitale

2,0

13,5

13,5

2,0

13,5

13,5

2,0

13,5

13,5

Maggiori entrate tributarie e contributive

(effetti indotti)

 

 

 

1,0

6,5

6,5

1,0

6,5

6,5

 

In entrambi i casi alle spese in riferimento, sono associati degli effetti indotti di maggiori entrate fiscali e contributive.

Altre voci di spesa in conto capitale

Per la valutazione degli effetti finanziari delle disposizioni normative su tutte le altre voci di spesa in conto capitale ai fini del conto economico delle PA (indebitamento netto), si adotta, di norma, il criterio della cassa, ossia il medesimo criterio che presiede alla stima degli effetti in termini di fabbisogno della p.a.

Di seguito sono illustrati casi di spese in conto capitale che presentano caratteristiche particolari ai fini della registrazione dei relativi effetti sui saldi della p.a.

 

·       I contributi pluriennali

Gli investimenti in infrastrutture e opere pubbliche realizzati da soggetti esterni alla pubblica amministrazione o da altre amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato possono, a volte, essere finanziati con trasferimenti (di carattere annuale o ripartiti su un periodo più lungo). Anche in tali casi, ai fini della valutazione degli effetti sull’indebitamento netto, si applica il criterio di cassa legato al pagamento degli stati avanzamento lavori (SAL).

I particolari casi le somme sono ripartite su un periodo particolarmente esteso (in genere dieci o quindici anni) e sono definiti come “contributi pluriennali”.

In tal caso occorre distinguere le diverse fattispecie:

·        se i contributi sono assegnati come un mero trasferimento di fondi al soggetto beneficiario, l’effetto sul saldo del bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare) coincide con lo stanziamento autorizzato in ciascun anno mentre quello sull’indebitamento netto e sul fabbisogno fa riferimento ai pagamenti da effettuare in ciascun anno;

·        nel caso in cui sia autorizzata la cosiddetta "attualizzazione[155] del contributo, il beneficiario può porre in essere un mutuo, o altra operazione finanziaria, con un istituto di credito, il cui onere di rimborso è posto a totale carico dello Stato a valere sul contributo pluriennale autorizzato. Con questo sistema, attraverso l’utilizzo del ricavo netto del mutuo, il beneficiario dispone in via immediata o, comunque, in tempi coerenti con la prevista tempistica di realizzazione dell’opera, dei finanziamenti necessari al pagamento degli stati di avanzamento dei lavori, mentre il contributo a carico del bilancio dello Stato si sviluppa secondo importi annuali costanti in un periodo più lungo. L’attualizzazione della somma consente quindi di pagare (e dunque completare) l’opera in tempi più brevi di quelli fissati per il finanziamento in competenza dei contributi pluriennali: l’utilizzo effettivo delle somme (importo iscritto ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto nei diversi esercizi) e l’ammontare complessivo del mutuo attivabile è quindi indicativo della tempistica con la quale si prevede di spendere effettivamente le suddette somme.

Tanto premesso, per quanto attiene alla prima delle due ipotesi considerate, sul saldo netto da finanziare viene contabilizzato in ciascun anno l’importo del contributo autorizzato dalla legge. Per quanto concerne i saldi di fabbisogno e di indebitamento netto occorre invece ulteriormente distinguere i casi di mutui stipulati da amministrazioni pubbliche e quello di prestiti contratti da enti non ricadenti nel perimetro delle pubbliche amministrazioni.

Nel primo caso, dal momento che la somma concessa a mutuo rimane comunque nella disponibilità di una amministrazione pubblica, rilevano, ancora una volta, i pagamenti effettuati per stati di avanzamento dei lavori (che individuano le fasi in cui i finanziamenti escono dal “perimetro” della p.a.). Nel secondo caso sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto viene registrato, negli esercizi in cui si prevede l’attivazione del mutuo, l’importo o gli importi relativi al netto ricavo conseguito con l’accensione del mutuo da parte del destinatario del contributo. È infatti al momento di tale attivazione da parte del soggetto estraneo alla p.a. che le somme escono dal controllo dell’amministrazione pubblica concedente.

In altri termini, secondo i criteri di contabilità europea, i mutui contratti da soggetti non appartenenti alla p.a. con onere di rimborso a totale carico dello Stato incrementano il debito di quest’ultimo al momento e nella misura in cui il mutuo è effettivamente erogato. Pertanto il relativo onere, che sul bilancio dello Stato si distribuisce in un periodo più esteso, secondo rate annuali costanti, sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto si concentra in specifiche annualità, assumendo proporzioni particolarmente rilevanti. La tempistica per l’attivazione dei mutui varia in funzione degli interventi da finanziare e della relativa urgenza.

 

Dalle considerazioni finora svolte si deduce, in analogia a quanto già specificato con riferimento agli investimenti fissi lordi, che le modalità effettive per l’utilizzazione di contributi pluriennali, autorizzati mediante disposizioni dal contenuto apparentemente analogo, possono variare notevolmente in relazione all’impatto stimato in termini di fabbisogno e di indebitamento netto e determinare, quindi, valutazioni differenti per quanto attiene all’entità delle misure compensative da adottare al fine di evitare un peggioramento dei saldi di fabbisogno e di indebitamento netto. Nei casi in cui, in relazione alle fattispecie prima descritte, in determinati esercizi l’impatto in termini di indebitamento netto e di fabbisogno (essendo commisurato al netto ricavo dei mutui attivati) ecceda di molto quello previsto in termini di saldo netto da finanziare (commisurato all’entità del contributo autorizzato per ciascun anno) le forme di copertura previste per la realizzazione degli interventi – riferite al saldo del bilancio dello Stato - sono accompagnate da ulteriori misure compensative volte a neutralizzare, per determinate annualità, l’eccedenza di spesa che si registra sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto (rilevanti ai fini del rispetto dei parametri europei).

Si segnala, in particolare, l’utilizzo a tali fini del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, istituito dall’art. 1, comma 511, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006). Data la finalità del Fondo, volto a compensare eccedenze di oneri sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto in relazione all’utilizzo di contributi pluriennali, il Fondo è dotato di risorse in termini di sola cassa.

 

·        La cancellazione dei debiti

 

Nel conto economico della p.a., tra le altre spese in conto capitale, sono contabilizzate anche voci relative a cancellazioni di crediti che le amministrazioni vantano nei confronti di soggetti terzi. Il SEC2010 fa rientrare la cancellazione dei debiti nell’ambito degli altri trasferimenti in conto capitale che operano una redistribuzione del risparmio o della ricchezza tra i diversi settori o sottosettori dell’economia. In pratica la cancellazione del debito determina una sopravvenienza passiva che deve essere contabilizzata nel conto economico come trasferimento a fondo perduto in favore del soggetto che beneficia della cancellazione.

In questi casi si determina un impatto sull’indebitamento netto nell’esercizio in cui viene disposta la cancellazione del debito[156].

Analisi speciali relative alle spese

Garanzie pubbliche e operazioni finanziarie

Con riferimento alle garanzie pubbliche, si rileva, in via preliminare, che, in base all’art. 31 della legge n. 196 del 2009, le garanzie principali e sussidiarie prestate dallo Stato a favore di enti o altri soggetti sono contenute in un elenco allegato allo stato di previsione del MEF, riferito al cap. 7407 (oneri derivanti dalle garanzie assunte dallo Stato in dipendenza di varie disposizioni legislative). Poiché tali oneri hanno natura obbligatoria, qualora se ne presenti l’esigenza è consentito il prelevamento di ulteriori risorse dal Fondo di riserva per le spese obbligatorie, di cui all’articolo 26 della legge n. 196 del 2009.

Generalmente in presenza di norme che prevedono la concessione di garanzie statali, in passato è prevalso in via di prassi il criterio di non indicare una specifica copertura, trattandosi di oneri di carattere eventuale, ma di prevedere il mero inserimento della nuova garanzia concessa nel predetto elenco allegato al bilancio del Ministero dell’economia ed il ricorso, in caso di necessità, al Fondo di riserva. È stata peraltro più volte sottolineata l’esigenza che le relazioni tecniche allegate alle norme che introducono garanzie pubbliche contengano valutazioni, anche di carattere probabilistico, sull’entità dell’esborso in caso di escussione, anche al fine di verificare la capienza del predetto Fondo e, in caso di insufficienza, di integrare opportunamente le risorse poste a fronte della concessione delle garanzie.

Infatti, trattandosi di interventi potenzialmente suscettibili di determinare effetti negativi sui conti pubblici, la quantificazione, sia pure di larga massima, dei relativi oneri, per un ammontare rapportato al rischio di effettiva escussione, e l’indicazione di mezzi idonei a fare fronte a tale rischio assumono un rilievo cruciale ai fini del rispetto del vincolo di copertura finanziaria.

Tale valutazione è stata ripetutamente espressa anche dalla Corte dei conti[157], la quale ha sottolineato, con riferimento ai provvedimenti che prevedevano la concessione di garanzie statali, la necessità della predisposizione di una relazione tecnica che fornisse elementi sul grado di probabilità di una eventuale escussione della garanzia, sulla durata della garanzia stessa e sulla congruità delle risorse stanziate sia nella specifica unità previsionale sia nel Fondo per le spese obbligatorie.

 

Tali indicazioni sono state in parte recepite dalla più recente prassi legislativa, che ha talvolta previsto apposite autorizzazioni di spesa cui attingere in caso di attivazione della garanzia, fatto salvo in ogni caso, per eventuali oneri eccedenti la spesa autorizzata, il ricorso al Fondo per le spese obbligatorie.

Come già evidenziato, dal punto di vista contabile, fatte salve le specifiche autorizzazioni di spesa previste, le garanzie al momento della concessione rappresentano passività potenziali (contingent liabilities) che non determinano di per sé un’incidenza diretta sui saldi di finanza pubblica.

Tuttavia, in caso di escussione, l’importo erogato assume diretta rilevanza ai fini dei saldi di finanza pubblica e, quindi, del debito pubblico. In particolare, in base al sistema di contabilità europea, l’escussione determina la registrazione di un trasferimento in conto capitale con effetti peggiorativi sul disavanzo (indebitamento netto o deficit).

Più precisamente, per quanto attiene all’imputazione temporale dell’onere derivante dalla concessione della garanzia, ai fini del saldo netto da finanziare (bilancio dello Stato) vanno considerati gli esercizi in cui la garanzia è concessa.

Con riferimento all’iscrizione degli effetti finanziari ai fini del saldo di indebitamento netto, occorre invece distinguere le diverse categorie di garanzie pubbliche che, in applicazione dei criteri di contabilizzazione europea, presentano specifiche caratteristiche.

 

Secondo il SEC 2010, infatti, le garanzie pubbliche possono essere:

1) garanzie standard: emesse in numero elevato, solitamente per piccoli importi, sulla base di condizioni identiche. Nonostante sia aleatorio stabilire il grado di probabilità di escussione di una singola garanzia standard, il fatto che esistano molte garanzie simili consente una stima affidabile del numero di escussioni, cioè è possibile stimare il numero di inadempienze in un insieme di prestiti simili;

2) garanzie una tantum (o non standardizzate): allorché la mancanza di casi comparabili rende impossibile calcolare con un minimo di precisione il livello di rischio associato al prestito.[158]

Pertanto, le garanzie standard si differenziano dalle garanzie non standardizzate per due peculiarità:

a) sono caratterizzate da operazioni di tipo simile ripetute più volte;

b) i garanti sono in grado di stimare la perdita media sulla base delle statistiche disponibili.

Ulteriori chiarimenti pertinenti sono forniti dal Manuale Eurostat sul trattamento contabile del disavanzo e del debito pubblico[159], secondo il quale “le garanzie una tantum sono prestate secondo valutazioni svolte caso per caso, generalmente per importi abbastanza rilevanti e sulla base di accordi contrattuali individuali. Esse non sono prestate nell'ambito di una cornice generale e richiedono un attento monitoraggio da parte delle pubbliche amministrazioni, su base individuale e non globalmente. Inoltre, è frequente che l'impatto di dette garanzie debba essere sottoposto all'esame delle autorità che tutelano la concorrenza.”[160].

 

In conseguenza delle predette differenze sostanziali, il trattamento contabile delle due garanzie è diverso. In linea generale (prescindendo da alcuni casi particolari previsti nel SEC[161]):

- nelle garanzie una tantum (o non standardizzate) le eventuali escussioni sono rilevate nell'indebitamento netto solo nell'esercizio in cui eventualmente abbiano effettivamente luogo;

- nelle garanzie standardizzate, invece, tenuto conto che è possibile stimare statisticamente una percentuale di inadempimenti che daranno luogo ad escussioni della garanzia, si registra prudenzialmente nell'indebitamento netto, a partire dall'esercizio in cui le garanzie sono concesse, il valore netto attuale delle possibili escussioni secondo la prevedibile tempistica.

 

Pertanto – coerentemente con i predetti criteri -  le relazioni tecniche allegate a norme che prevedono la concessione di garanzie pubbliche, ai fini dell’indebitamento netto, distinguono il caso delle garanzie standardizzate da quelle non standardizzate, prevedendo uno specifico impatto sul saldo di indebitamento netto solo in relazione alle prime. Identico trattamento è previsto generalmente per gli effetti sul fabbisogno.

In proposito, in sede di verifica parlamentare delle stime, è stata più volte evidenziata la necessità che ai fini del fabbisogno - che riguarda gli esborsi per cassa - fosse comunque indicata, in via prudenziale, anche per le garanzie non standardizzate la previsione relativa ai possibili esborsi connessi al rischio di escussione, apprestando una conseguente copertura.

 

Le garanzie sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza - GACS

 

Si evidenzia di seguito il caso specifico delle garanzie sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza – GACS.

Il decreto legge n. 18 del 2016 ha previsto misure volte a definire un meccanismo per smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci di banche e intermediari da attuare mediante la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come asset sottostante crediti in sofferenza (Garanzia cartolarizzazione crediti in sofferenza – GACS). Oggetto della garanzia dello Stato sono solo le cartolarizzazioni cd. senior, ossia quelle considerate più sicure, in quanto sopportano per ultime eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Le garanzie possono essere chieste dalle banche che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza, a fronte del pagamento di una commissione periodica al Tesoro, calcolata come percentuale annua sull'ammontare garantito. Il prezzo della garanzia è di mercato al fine di non dar vita ad aiuti di Stato. Si prevede che il prezzo della garanzia sia crescente nel tempo, allo scopo di tener conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata dei titoli e di introdurre nel meccanismo un incentivo a recuperare velocemente i crediti. Al fine del rilascio della garanzia, i titoli devono avere preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all'investment grade da un'agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE secondo i criteri che le agenzie stesse sono tenute ad osservare.

Per l’attuazione delle norme è stata prevista l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di un apposito fondo con una dotazione di 100 milioni di euro per l’anno 2016. Tale fondo sarebbe, inoltre, stato alimentato con i corrispettivi annui delle garanzie concesse che a tal fine venivano versate all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo. È stato previsto il versamento delle somme su apposita contabilità speciale vincolata al pagamento dell’eventuale escussione delle predette garanzie.

Il prospetto riepilogativo riferito alle suddette disposizioni ascriveva un effetto di maggiore spesa sul solo saldo netto da finanziare per un importo pari a 100 milioni di euro nel 2016: la relazione tecnica precisava infatti che la garanzia concessa era da ritenere di natura non standardizzata ai fini dell’indebitamento netto, secondo le regole del SEC 2010; pertanto essa non avrebbe avuto effetti su tale saldo, se non al momento della sua eventuale escussione, analogamente a quanto avviene ai fini del fabbisogno. I corrispettivi, invece, che, a partire dall’anno 2016, sarebbero stati versati all’entrata del bilancio dello Stato avrebbero costituito un introito valido ai fini dei tre saldi di finanza pubblica.

Operazioni di carattere finanziario suscettibili di incidere sul debito pubblico

Risultano generalmente prive di effetti sul saldo di indebitamento le operazioni finanziarie che, secondo il SEC 2010, sono inerenti alle attività finanziarie e alle passività.

In particolare, l’acquisizione di attività finanziarie non è considerata, nel predetto sistema di conti europeo, una spesa o uscita delle amministrazioni pubbliche ai fini dell’indebitamento netto[162].

Il tema del corretto trattamento contabile da attribuire ad operazioni finanziarie è stato oggetto di analisi recenti in relazione alle operazioni di ricapitalizzazioni statali delle banche. Tale intervento è stato altresì oggetto di alcune decisioni Eurostat, emesse in seguito agli sviluppi della recente crisi finanziaria e ai crescenti interventi pubblici negli Stati dell’Unione nel settore bancario e finanziario (le decisioni sono formalmente riferite al precedente sistema di contabilità europea, il SEC 95, vigente all’epoca, ma risultano tuttora applicabili anche al vigente sistema SEC 2010).

 

Con specifico riferimento all’acquisto statale di azioni ordinarie, si evidenzia che:

-      in una decisione del 2009, Eurostat ha stabilito che le ricapitalizzazioni sotto forma di azioni ordinarie sono operazioni finanziarie quando si ritiene che abbiano luogo a valori di mercato; se invece fossero svolte a valori superiori a quelli di mercato, ciò renderebbe necessario contabilizzare separatamente la differenza come spesa pubblica (trasferimento in conto capitale) in favore dell’entità che vende il capitale;

-      in una decisione del 2012, aggiornata nel 2013, l’Eurostat ribadisce che la questione più rilevante è definire se una ricapitalizzazione sia da considerare un trasferimento in conto capitale (che impatta sull’indebitamento netto) o un’acquisizione di capitali, cioè un’operazione finanziaria che non impatta sull’indebitamento medesimo.  Eurostat individua dunque alcuni indici per qualificare l’operazione: lo svolgimento a prezzi di mercato (che permette di escludere l’esistenza di sovrapprezzi, come sopra descritti), la preventiva autorizzazione della Commissione per i profili di concorrenza (che, nell’escludere l’aiuto di Stato, evidenzia la mancanza di trasferimenti in conto capitale), il fatto che la banca beneficiaria non presenti perdite d’esercizio ripetute, ma al massimo eccezionali o una tantum (in quanto le perdite costanti dimostrerebbero che l’iniezione pubblica di capitale va considerata, nei fatti, come un trasferimento di fondi piuttosto che una vera e propria acquisizione di capitale), la compresenza di azionisti privati (in quanto indice di mancanza di sovrapprezzi rispetto a un investimento che miri a rendimenti normali);

-      da ultimo, in una decisione del 2013, Eurostat ha chiarito il caso – del tutto particolare – in cui uno Stato ricapitalizzi una banca che sta per fallire: in tale circostanza, anche ove si rispettino le regole sugli aiuti di Stato, l’iniezione pubblica di capitale, in conformità ai criteri prima enunciati, andrebbe considerata un trasferimento in conto capitale (che incide sul deficit) e non un’operazione finanziaria.

 

 

Effetti sui saldi di finanza pubblica di recenti interventi sul sistema bancario

 

Nel corso della XVII legislatura il sistema bancario è stato oggetto di diversi interventi attuati dal Governo attraverso l’emanazione di alcuni decreti - legge. Tra i vari interventi, si analizzano di seguito le misure adottate con i DL n. 237/2016 e n. 99/2017.

Con la Relazione al Parlamento presentata alle Camere (Doc. LVII-ter, n. 1), in data 19 dicembre 2016, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 243 del 2012, il Governo ha infatti chiesto l’autorizzazione ad emettere titoli di debito pubblico fino ad un massimo pari al predetto importo di 20 miliardi di euro per l’anno 2017, per l’eventuale adozione di provvedimenti finalizzati ad assicurare la stabilità economico-finanziaria del Paese, il rafforzamento patrimoniale del sistema bancario e la protezione del risparmio. Come evidenziato dalla Relazione, tale intervento avrebbe determinato un impatto sia sul saldo netto da finanziare che sul fabbisogno (e conseguentemente sul debito pubblico): pertanto venivano modificati gli obiettivi programmatici riferiti a tali parametri. La Relazione non evidenziava invece effetti sul saldo di indebitamento netto.

La relazione è stata approvata dalle Camere, a maggioranza assoluta, il 21 dicembre 2016[163].

In attuazione degli obiettivi indicati dalla Relazione, l’articolo 24 del DL n. 237 del 2016 ha istituito un Fondo con una dotazione di 20 miliardi di euro per l’anno 2017 destinato alla copertura degli oneri derivanti (comma 1):

-  dalle operazioni di sottoscrizione ed acquisto di azioni da parte del MEF per il rafforzamento patrimoniale (di cui al Capo II, artt. 13-23);

- dalle garanzie concesse dallo Stato su passività di nuova emissione e sull’erogazione di liquidità di emergenza in favore delle banche e dei gruppi bancari italiani (di cui al Capo I, artt. 1-12).

In merito alla iscrizione nei saldi degli effetti finanziari, la relazione tecnica affermava che l’istituzione del Fondo:

- sul saldo netto da finanziare, determinava un impatto nel 2017 di 20 miliardi di euro, già scontati nei tendenziali per effetto della predetta Relazione e della conseguente approvazione parlamentare;

- sul fabbisogno, poteva comportare, nel 2017, un impatto fino a 20 miliardi di euro, in relazione all’effettivo utilizzo delle risorse, anch’esso già scontato nei tendenziali per effetto della medesima Relazione;

- sull’indebitamento netto non comportava effetti in quanto si trattava, in parte, di operazioni relative a partite finanziarie, prive di effetti in termini di competenza economica. Per quanto attiene alla parte relativa alla concessione di garanzie statali, l’effetto sull’indebitamento netto non veniva rilevato trattandosi, ai fini del SEC 2010, di garanzie di natura non standardizzata (cfr. supra).

La RT ricordava, inoltre, che l’istituzione del Fondo avrebbe comportato effetti sull’indebitamento netto limitatamente agli interessi passivi determinati dalle maggiori emissioni di titoli del debito pubblico per i quali si provvedeva ad apposita compensazione finanziaria nell’articolo di copertura (art. 27).

 

Per quanto attiene all’effettivo utilizzo, si ricorda che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (D.M. 6 aprile 2017) è stata stabilita la ripartizione delle risorse del Fondo tra le diverse finalità previste dal comma 1 del citato articolo 24, nonché la successiva rimodulazione della medesima ripartizione in relazione alle effettive esigenze. In particolare, è stato previsto che, per l'anno 2017, il Fondo per il finanziamento delle operazioni di acquisto azioni e delle concessioni di garanzie dello Stato a favore delle banche e dei gruppi bancari italiani, fosse così ripartito:

- la somma di 16 miliardi di euro è stata destinata alla copertura degli oneri derivanti dalle operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni effettuate per il loro rafforzamento patrimoniale;

- la somma di 4 miliardi di euro è stata destinata alla copertura degli oneri derivanti dalle garanzie concesse dallo Stato su passività di nuova emissione e sull'erogazione di liquidità di emergenza.

 

Con i decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 luglio 2017 è stata disposta l’attuazione della ricapitalizzazione di Monte Paschi di Siena (MPS) prevedendo un aumento del capitale di qualità primaria pari a circa 8,3 miliardi, così ripartito: 3,9 miliardi di azioni di nuova emissione sottoscritti dallo Stato e i rimanenti 4,5 miliardi richiesti ad azionisti e creditori subordinati (detentori di titoli convertibili in azioni), nel rispetto del principio del burden sharing introdotto dalla normativa europea. Come precisato dalla Nota di aggiornamento al DEF 2017, lo Stato potrà acquistare una quota di quest’ultima categoria di azioni, fino a un massimo di 1,5 miliardi, per prevenire o chiudere liti relative al collocamento di questi strumenti presso la clientela non qualificata, assegnando in cambio obbligazioni con basso livello di rischio (senior) emesse dalla banca. Qualora tutti i soggetti titolati ad esercitare il diritto al rimborso lo richiedessero, l’intervento dello Stato in MPS raggiungerebbe quindi i 5,4 miliardi. Inoltre, per favorire la vendita della tranche dei titoli senior, è prevista l’applicazione dello schema di garanzie dello Stato sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS). L’ammontare massimo sottoscrivibile di garanzie è di quasi 3,3 miliardi.

 

Successivamente, con il decreto legge n. 99 del 2017, sono stati disciplinati l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A. nonché le modalità e le condizioni delle misure di sostegno alle stesse. Il decreto legge e la relazione tecnica ad esso allegata non fornivano una stima puntuale degli oneri derivanti dal provvedimento, ma disponevano (articolo 9) che le operazioni previste sarebbero state finanziate “a valere e nei limiti” delle disponibilità del Fondo di 20 mld. istituito dal D.L. 237/2016 (cui, come già evidenziato, non erano stati ascritti effetti in termini di indebitamento netto).

 

I dati riferiti all’impatto delle predette operazioni riguardanti le banche venete sono stati invece forniti dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef 2017). In base a tali indicazioni, l’onere finanziario derivante dall’intervento dello Stato è pari a circa 4,8 miliardi per erogazione di un supporto finanziario al cessionario (Banca Intesa), di cui 3,5 miliardi a copertura del fabbisogno di capitale generatosi in capo a Banca Intesa a seguito all’acquisizione delle attività in bonis delle due banche. I rimanenti 1,3 miliardi sono volti a sostenere le misure di ristrutturazione aziendale che Intesa dovrà attuare per rispettare gli obblighi assunti nell’ambito della disciplina europea degli aiuti di Stato. È prevista inoltre la concessione della garanzia statale sul finanziamento erogato da Banca Intesa alle liquidazioni delle due banche a copertura dello sbilancio di cessione tra attività e passività acquisite (per un importo di 5,351 miliardi elevabile fino a 6,351 miliardi) e ulteriori garanzie, sempre a favore di Banca Intesa, a fronte di rischi legali e di deterioramento di crediti in bonis ad alto rischio, fino ad un valore massimo complessivo di circa 6 miliardi. Il valore nominale massimo delle garanzie che lo Stato potrebbe essere chiamato a pagare per questa operazione è quindi pari a circa 12,4 miliardi.

Tra i predetti oneri venivano registrati ai fini del fabbisogno esclusivamente quelli connessi ad operazioni di ricapitalizzazione, secondo gli importi evidenziati nella tabella che segue. Per le garanzie venivano invece indicati, solo per memoria, i limiti massimi concedibili.

 

 

Effetti sul fabbisogno degli interventi sulle banche

(importi in milioni di euro)

 

Operazione MPS

Operazione

banche venete

Totale

Esborso a copertura del fabbisogno di capitale

5.400

4.785

10.185

 

Memo:

 

 

 

 

Garanzie (limite massimo sottoscrivibile)

 

12.351

12.351

 

GACS

 

 

3.256

 

 

 

3.256

 

Fonte: Nota di aggiornamento al DEF 2017.

La Nota di aggiornamento al DEF 2017 precisava che l’impiego delle risorse del Fondo istituito a dicembre 2016, per operazioni di rafforzamento patrimoniale, includendo l’intero importo della quota (1,5 miliardi) per il ristoro dei detentori di titoli MPS, risultava complessivamente pari a circa 10,2 miliardi, al di sotto della quota destinata a coprire gli interventi di rafforzamento patrimoniale (16 miliardi dei 20 miliardi totali del Fondo appositamente costituito).

L’ammontare massimo di garanzie sottoscrivibili dallo Stato, secondo la Nadef, era di circa 15,6 miliardi nel complesso. Considerando tuttavia le possibilità effettive di escussione (fair value) l’impatto complessivo sarebbe risultato inferiore e comunque al di sotto della dotazione finanziaria del Fondo destinata a coprire gli esborsi connessi alle garanzie (4 miliardi).

La Nadef precisava, inoltre, che, trattandosi di partite finanziarie, si era ipotizzato un impatto nullo sull’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche [164].

 

L’Istat nella Comunicazione diffusa il 4 aprile 2018, relativa al Conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche, ha dato conto di alcune revisioni dei dati riferiti all’indebitamento netto e al debito per il 2017, dovute in larga parte all’inclusione nelle stime riferite a tali indicatori degli effetti delle operazioni riguardanti le banche in difficoltà. Tali revisioni sono per lo più ascrivibili alla decisione assunta da Eurostat nel parere pubblicato il 3 aprile 2018 che ha fornito indicazioni metodologiche circa il corretto trattamento delle operazioni sulle banche venete ai fini dell’indebitamento netto e del debito: in particolare, sono state riclassificate ai fini del deficit una serie di poste inizialmente non considerate suscettibili di incidere su tale saldo in quanto qualificate come operazioni di carattere finanziario.

Dai dati forniti risulta che le operazioni relative alle banche in difficoltà hanno determinato nel 2017 effetti anche sull’indebitamento netto per circa 6,3 miliardi: 1,6 miliardi derivanti dalle operazioni relative a Monte Paschi di Siena e 4,8 miliardi ascrivibili alle operazioni sulle banche venete.

 

Il Documento di economia e finanza 2018 ha infine precisato che tale effetto rientra tra le misure una-tantum e con effetti temporanei (one-off) e non rileva quindi ai fini dell’indebitamento netto strutturale.

La decisione Eurostat ha modificato anche l’impatto sul debito delle operazioni riferite alle banche venete, contabilizzando l’ammontare complessivo in 11,2 miliardi, dei quali 4,8 miliardi per erogazione di un supporto finanziario al cessionario (Banca Intesa), già considerati nella Nota di aggiornamento al DEF 2017 (vedi tabella precedente), e 6,4 miliardi derivanti dalla riclassificazione delle passività delle liquidazioni delle due banche venete. Per effetto di tali indicazioni la revisione delle stime del debito per il 2017 diffuse dalla Comunicazione Istat del 4 aprile ammonta a circa 7 miliardi, di cui 6,4 miliardi dovuti alla riclassificazione delle passività delle liquidazioni delle banche venete (come sopra indicato) e la restante parte dovuta all’ordinario aggiornamento delle fonti. In percentuale del PIL, il debito del 2017 passa, rispetto alle precedenti stime, dal 131,5 per cento al 131,8 per cento del PIL.

Per una più analitica descrizione della decisione di Eurostat e della metodologia utilizzata per la riclassificazione degli effetti delle operazioni in questione, si veda il Dossier predisposto dai Servizi di documentazione della Camera e del Senato “Finanza pubblica e regole europee: guida alla lettura e sintesi dei dati principali” – aprile 2018.

 

La spesa per la partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace e di cooperazione

L'approvazione della legge quadro n. 145/2016 ha consentito la definizione di un unico nuovo strumento procedurale per l'autorizzazione ed il finanziamento delle missioni di pace all'estero delle Forze Armate e delle Forze di Polizia, nonché per la loro proroga, che in precedenza era effettuato mediante l'esame e l'approvazione di singoli decreti legge ad hoc.

La legge, nello stabilire i procedimenti di autorizzazione e finanziamento delle missioni internazionali, distingue la procedura per l'avvio di nuove missioni (articolo 2) da quella relativa alla mera proroga delle stesse, ricompresa nell'ambito della cosiddetta sessione parlamentare sull'andamento delle missioni già autorizzate (articoli 3 e 4).

In dettaglio, si è provveduto alla definizione di un procedimento unificato di autorizzazione all'invio in teatro dei contingenti, stabilendosi, all'articolo 2, che la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali sia d'ora innanzi deliberata dal solo Consiglio dei ministri, previa comunicazione al Presidente della Repubblica, prevedendosi però che le deliberazioni debbano contestualmente essere trasmesse alle Camere, le quali, con appositi atti di indirizzo - adottati secondo le norme dei rispettivi regolamenti - provvedono ad autorizzare, per ciascun anno, la partecipazione alle singole missioni internazionali previste dalla relazione, eventualmente definendo impegni per il Governo, ovvero negandone l'autorizzazione.

Al comma 2-bis dell'articolo 2 della legge è stato stabilito che le deliberazioni trasmesse dal Governo alle Camere debbano sempre essere corredate della relazione tecnica per la quantificazione dei relativi oneri, verificata ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, prevedendosi che con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della difesa, dell'interno e dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di approvazione degli atti di indirizzo di cui al comma 2, le risorse del fondo ad hoc di cui all'articolo 4 siano destinate alla copertura del fabbisogno finanziario delle missioni oggetto di autorizzazione.

La nuova normativa prevede che gli schemi dei decreti, corredati di relazione tecnica esplicativa, debbano essere trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che è reso entro venti giorni dall'assegnazione. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione richiesti. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari, sono quindi espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione, stabilendosi che decorso tale termine, i decreti possano essere comunque adottati.

Ai commi 4 e 4-bis dell'articolo 2, è stabilito che fino all'emanazione dei decreti per il finanziamento delle missioni, le amministrazioni competenti sono da ritenersi comunque autorizzate a sostenere spese trimestrali, per cui è prevista l'apertura di anticipazioni di tesoreria ad hoc, da estinguere entro trenta giorni dall'assegnazione delle risorse, stabilendosi che fino all'emanazione dei decreti, per assicurare il regolare avvio delle missioni, entro dieci giorni dalla data di presentazione delle deliberazioni o delle relazioni annuali alle Camere, il Ministro dell'economia e delle finanze può disporre l'anticipazione di una somma complessiva non superiore al 75 per cento delle somme iscritte sul fondo di cui all'articolo 4, tenuto chiaramente conto delle spese quantificate nelle relazioni tecniche.

L’articolo 3 della legge introduce una nuova disciplina dell’obbligo di relazione al Parlamento circa l'andamento delle missioni internazionali, coordinandolo con la nuova procedura di autorizzazione e proroga di cui all'articolo 2. In particolare, la norma prevede che entro il 31 dicembre di ogni anno il Governo, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, presenti alle Camere, per la discussione e le conseguenti deliberazioni parlamentari, anche una relazione analitica sulle missioni in corso, anche ai fini della loro prosecuzione per l'anno successivo, ivi inclusa la proroga della loro durata, nonché ai fini dell'eventuale modifica di uno o più caratteri delle singole missioni. Quanto al contenuto dettagliato della relazione, anche con riferimento alle missioni concluse nell'anno in corso, la norma prevede che questa debba contenere elementi circa l'andamento di ciascuna missione e in merito ai risultati conseguiti, e debba essere completa di relazione tecnica, accompagnata da un documento di sintesi operativa che riporti i seguenti dati: mandato internazionale, durata, sede, personale nazionale e internazionale impiegato e scadenza, nonché i dettagli attualizzati della missione. Il comma 1-bis dell'articolo 3 stabilisce che, ai fini della prosecuzione delle missioni in corso per l'anno successivo, la relazione debba essere altresì corredata della relazione tecnica sulla quantificazione dei relativi oneri.

Il documento risponde ad una duplice funzione, rappresentando, da un lato, uno strumento privilegiato per consentire il controllo parlamentare sull’andamento delle missioni in corso e, dall’altro, consentendo alle Camere di esprimersi in tempo utile sulla proroga delle stesse.

 

L’innovazione più significativa introdotta dalla legge n. 145/2016 riguarda il venir meno della necessità dell’approvazione di un atto legislativo al fine di assicurare la copertura finanziaria e amministrativa delle missioni; ciò in considerazione  dell'istituzione di un fondo, finanziato attraverso la legge di bilancio, in cui sono indicate le risorse sufficienti a fronteggiare le missioni internazionali, prevedendo stanziamenti di carattere pluriennale da rimodulare annualmente in base alla valutazione delle effettive esigenze valutate per l'esercizio.

In esito alle deliberazioni parlamentari, l'articolo 4 della legge quadro prevede che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, le risorse del fondo per il finanziamento delle missioni internazionali sono ripartite tra le missioni prorogate per l'anno successivo e gli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione indicati nella relazione analitica, come risultante a seguito delle predette deliberazioni parlamentari. I decreti sono adottati previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, per materia e per i profili finanziari.  Inoltre, il comma 2 dell'articolo 4 prevede che gli importi iscritti nel fondo e destinati in particolare al finanziamento alle politiche di cooperazione allo sviluppo per il sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, devono essere impiegati in coerenza con il quadro della programmazione triennale di indirizzo per la cooperazione allo sviluppo di cui all'articolo 12, comma 5, della legge 11 agosto 2014, n. 125, e nel rispetto delle procedure di cui al capo IV della medesima legge. Il comma 3 dell’articolo 4 prevede infine che le risorse del Fondo debbano essere ripartite tra le missioni internazionali indicate nella relazione sulle missioni in corso di cui all’articolo 3, comma 1, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della difesa, dell’interno e dell’economia e delle finanze.

È stabilito che gli schemi dei decreti in cui si dispone il finanziamento delle singole missioni, corredati di RT esplicativa, debbano essere trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che deve esser reso entro venti giorni dall'assegnazione.

Qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, sarà tenuto a trasmettere nuovamente i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione eventualmente richiesti.

Tale ulteriore interlocuzione del Governo con le commissioni parlamentari è poi assistita da una disposizione di chiusura, secondo la quale i pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari dovranno comunque essere espressi entro e non oltre il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione, decorsi i quali la stessa legge prevede che gli stessi decreti possono comunque avere corso.

Una prima applicazione della nuova legge si è avuta al termine della XVII legislatura, a Camere già sciolte, con la presentazione dell'Atto del governo n. 523 - Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante ripartizione delle risorse del fondo di cui all'articolo 4, comma 1, della legge n. 145 del 2016, per il finanziamento delle missioni internazionali e degli interventi di cooperazione allo sviluppo per il sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, per il periodo dal 1° gennaio al 30 settembre 2018.

La spesa per contratti di partenariato pubblico-privato

La disciplina vigente del partenariato pubblico-privato (PPP) è frutto di una evoluzione normativa la cui origine è rintracciabile nell’introduzione dell’istituto del promotore nella legge n. 109/1994, la c.d. "Legge Merloni".

Nel 2016, in attuazione della legge delega n. 11 del 2016, è stato emanato il decreto legislativo n. 50/2016 recante "Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture"[165] entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione. Il nuovo Codice dei contratti pubblici ha operato una razionalizzazione e una maggiore articolazione della disciplina sia dei contratti di concessione che dei contratti di PPP, conservando, al contempo, l’impianto fondamentale delle disposizioni in materia di PPP e finanza di progetto di cui all’abrogato D.lgs. n. 163/2006. In particolare, il Codice prevede all’articolo 3, comma 1, lett. eee), la definizione di “contratto di partenariato pubblico-privato”.

 

Nel contratto di partenariato pubblico privato viene anche disciplinata l’allocazione dei rischi: il trasferimento del rischio in capo all'operatore economico comporta l'allocazione a quest'ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l'esterno, del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell'opera. Il Codice definisce i citati rischi, indicando all’art. 3 comma 1, lett. aaa), che il “rischio di costruzione” è il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell’opera e al mancato completamento dell’opera; alla lettera bbb), che il “rischio di disponibilità” è il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti; alla lettera ccc), che il “rischio di domanda” è il rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa.

Rilevante ai fini della corretta contabilizzazione dei contratti di PPP è la peculiare attenzione rivolta alla fase di esecuzione del contratto, nel corso della quale l’amministrazione aggiudicatrice deve esercitare il controllo sull’attività dell’operatore economico attraverso sistemi di monitoraggio verificando, in particolare, la permanenza in capo all’operatore economico dei rischi trasferiti.

Con riguardo alle singole operazioni di PPP si è reso necessario individuare ai sensi del SEC le modalità della corretta contabilizzazione nei bilanci pubblici.

Paradigmatica, in ordine temporale, è stata, in proposito, la Decisione EurostatTreatment of public-private partnerships" del febbraio 2004[166].

La suddetta decisione riguarda, invero, le sole forme di PPP in cui lo Stato costituisca il principale acquirente di beni e servizi forniti dall’infrastruttura (c.d. "opere fredde"), sia che la domanda provenga dalla stessa parte pubblica sia che provenga da parti terze (ad esempio, servizi pubblici della sanità o dell’istruzione, in cui le prestazioni erogate ai cittadini sono pagate dalla PA).

Le operazioni di PPP in cui i ricavi da utenza consentono l'integrale recupero dei costi di investimento (c.d. "opere calde"), invece, si collocano senza dubbio fuori dal bilancio pubblico.

Dal punto di vista della contabilità nazionale le “opere calde” pongono il problema della contabilizzazione dell'infrastruttura durante lo sfruttamento.

In proposito, in caso di società concessionaria i cui ricavi non derivino per la maggioranza da pagamenti in denaro o natura della PA e che non benefici di finanziamenti diretti o di garanzie da parte della PA, infrastruttura e debito assunto per la sua realizzazione si registreranno nel bilancio del privato per tutta la durata dello sfruttamento.

In caso invece di concessioni in cui venga prevista una contribuzione pubblica (c.d. "opere tiepide"), occorre effettuare una valutazione caso per caso.

Invero anche in caso di opera fredda gli asset oggetto di sfruttamento possono non essere classificati come attivo patrimoniale pubblico (ossia registrazione della spesa in conto capitale come acquisizione di capitale fisso) per essere invece registrati fuori bilancio (modalità off balance), ma solo a patto di rispettare le condizioni fissate dalla predetta decisione Eurostat 11-2-2004[167].

Deve, anzitutto, essere il partner privato ad assumersi il rischio di costruzione[168].

Ciò non accade, in particolare, in presenza di pagamenti pubblici al partner privato non correlati all'effettivo stato di avanzamento della costruzione dell'opera o in caso di ripianamento di costi aggiuntivi emersi in corso d'opera da parte del soggetto pubblico[169].

Il partner privato deve altresì assumersi, in aggiunta al rischio di costruzione, almeno uno tra i rischi di disponibilità e di domanda.

Si ha assunzione del rischio di disponibilità[170] da parte del partner privato, in particolare, qualora i pagamenti pubblici sono correlati all'effettivo grado di disponibilità dell’opera o del servizio fornito da quest’ultimo, in relazione a volume e qualità previsti, in applicazione del principio take-and-pay.

Non sarà, dunque, configurabile in capo al privato alcun rischio di disponibilità in caso di pagamenti pubblici sotto forma di canoni invariabili.

Si ha assunzione di rischio di domanda[171] da parte del privato, infine, quando non sono ammessi pagamenti pubblici che non risultino correlati all'effettivo volume della domanda (il che è escluso in caso di pagamenti pubblici per volume di traffico garantito, ossia pagamenti garantiti anche per prestazioni non erogate).

Al ricorrere delle condizioni sopra descritte (e se non vi sono altri meccanismi, come garanzie o finanziamenti indiretti della PA, tesi a riallocare i summenzionati rischi sulla PA stessa), le spese in conto capitale dell'operazione, sostenute dal privato, sono contabilizzate come leasing operativo (in caso contrario invece sarebbero contabilizzate come leasing finanziario, con impatto dunque sul debito pubblico sin dalla stipula del contratto)[172].

Nel corso del 2012 sono intervenute le prime importanti novità regolamentari in materia di trattamento contabile e statistico delle operazioni di PPP.

In coerenza con quanto previsto nella predetta decisione Eurostat del 2004, nella disciplina Eurostat è stato confermato il criterio dei rischi, già indicato nelle precedenti versioni quale criterio di base per la decisione relativa al trattamento statistico e contabile delle operazioni di PPP.

In particolare Eurostat, al fine di semplificare l’analisi, individua tre categorie di rischio, indicando che l’infrastruttura oggetto del contratto di PPP può essere classificata dall’amministrazione come “non government”, e contabilizzata off balance, nei casi in cui il partner privato sopporti il rischio di costruzione e almeno uno tra il rischio di disponibilità e il rischio di domanda. La distribuzione dei rischi tra amministrazione e soggetto privato deve essere valutata sia in relazione al livello di finanziamento/contributo pubblico, sia in relazione alle garanzie prestate dall’amministrazione.

A latere, appare utile segnalare che la Corte dei conti europea ha rilevato come la possibilità di registrare i progetti PPP come off balance rischia di compromettere la trasparenza e il rapporto benefici/costi. La Corte ha rilevato che per cinque dei 12 progetti sottoposti ad audit (dal costo totale di 7,9 miliardi di euro), nella scelta dell’opzione PPP era stata data grande importanza alla possibilità di registrare i PPP off balance. Tali pratiche, secondo la Corte, aggravano i rischi di effetti collaterali negativi tali da compromettere il rapporto benefici/costi, ad esempio tramite un approccio pregiudizialmente favorevole ai progetti PPP anche ove considerazioni attinenti al rapporto benefici/costi indurrebbero a scelte diverse, accordi di condivisione dei rischi poco equilibrati e costi maggiori per il partner pubblico[173].

Rispetto poi alla presenza di garanzie pubbliche, il nuovo SEC ha chiarito che le garanzie possono comportare l’iscrizione o la riclassificazione dell’asset on balance quando assicurano una integrale copertura del debito o un rendimento certo del capitale investito dal soggetto privato. Anche in questo caso valeva il criterio della prevalenza, ovvero se le garanzie coprono più del cinquanta per cento del costo dell’opera, essa andrà contabilizzata on balance. Eurostat ha precisato, però, che ai fini di una corretta valutazione dell’allocazione dei rischi, la presenza di garanzie pubbliche e la prevalenza del contributo pubblico (in tutte le sue forme) devono essere valutate congiuntamente.

L’allocazione dell’asset alla fine del contratto era, infine, la terza variabile rilevante nella scelta del trattamento contabile applicabile alla singola fattispecie di PPP[174].

Nell’aggiornamento del 2012 del SEC[175], pur essendo confermato il criterio dei rischi come determinante il trattamento contabile delle operazioni di PPP, sono stati, tuttavia, ulteriormente esplicitati i criteri di decisione ulteriori come non più residuali, ma aggiuntivi e integrativi ai fini della valutazione dell’allocazione dei rischi di progetto.

Sostanzialmente, in presenza di qualsiasi meccanismo (come ad esempio: garanzie, finanziamento pubblico, clausole di fine contratto particolarmente favorevoli al concessionario, etc.) in virtù del quale il partner pubblico sopporta la maggior parte dei rischi di progetto, l’asset realizzato dovrà essere classificato on balance.

In particolare, la nuova versione del SEC individua le varie forme di finanziamento pubblico: apporto di capitale di rischio (equity), apporto di capitale di credito (finanziamento bancario), forme tradizionali di contribuzione pubblica in conto capitale. In ciascuno di tali casi si prevede che, ove il costo di capitale sia prevalentemente coperto dalla PA (in misura superiore al 50%), questa assuma la maggioranza dei rischi e l'asset vada contabilizzato on balance. Stesso discorso varrà in caso di presenza di garanzie, nel caso in cui assicurino l'integrale copertura del debito o un rendimento certo del capitale investito dal privato e, assieme al contributo pubblico, superino il 50% del costo dell'opera.

Sarà parimenti da contabilizzare on balance l'asset in presenza di prezzo che la PA debba pagare, alla scadenza del contratto, superiore al valore di mercato o inferiore in quanto già pagato in precedenza per l'acquisizione dell'asset.

La giurisprudenza contabile ha fatto ampio uso delle normative e dei criteri europei dianzi descritti allo scopo di classificare come on/off balance le forme di PPP previste dalla normativa nazionale maggiormente problematiche dal punto di vista contabile, ossia il leasing finanziario immobiliare in costruendo, il contratto di disponibilità ed il finanziamento tramite terzi[176].


 

 



PARTE VI – REGIME CONTABILE E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DI VOCI DI BILANCIO DEGLI ENTI TERRITORIALI

Rendicontazione economico-patrimoniale e rispetto dei vincoli di finanza pubblica

Gli enti territoriali definiscono la programmazione finanziaria avendo riguardo a due diverse categorie di esigenze:

 

•   garantire la trasparenza, l’efficienza nella gestione e nell’utilizzo delle risorse pubbliche e migliorare la rappresentazione della situazione economico-finanziaria delle pubbliche amministrazioni, favorendo altresì la comparabilità dei dati e dei risultati di bilancio. Queste esigenze hanno portato all’emanazione del decreto legislativo n. 118/2011 che reca disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio ed è imperniato sul carattere triennale del bilancio nonché sul concetto di esigibilità delle entrate e delle spese. In tal modo tutti gli enti territoriali danno conto in modo uniforme dei fatti economico-patrimoniali che avvengono nel corso di un anno;

 

•   tenere conto dei vincoli di finanza pubblica che sono fissati anche in funzione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea e la cui disciplina di base è basata sull’articolo 9 della legge n. 243/2012. Tale articolo, in attuazione della recente riforma costituzionale che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio, stabilisce che i bilanci degli enti territoriali si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di rendicontazione, conseguono un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Viene così definito un obbligo di equilibrio di bilancio il cui raggiungimento è volto a garantire il rispetto dei vincoli sopracitati e che si basa su una rappresentazione di dati di bilancio in parte diversa da quella adottata al fine di garantire le sopra menzionate esigenze di trasparenza, pubblicità e uniformità nella definizione dei bilanci degli enti territoriali.

 

In particolare, ai sensi del citato articolo 9 della legge n. 243/2012, l’equilibrio di bilancio rilevante per la verifica dei vincoli di finanza pubblica si determina non considerando ogni fatto rilevante sul piano della gestione e della programmazione finanziaria dell’ente, ma tenendo conto soltanto di alcune specifiche poste contabili. In particolare, la regola generale, come già accennato, impone all’ente di considerare, sia nella fase di previsione che di rendiconto, le sole entrate e spese finali al fine di conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza.

La tabella che segue evidenzia quali titoli dell’entrata e della spesa rilevano, in base alla sola regola generale, ai fini del computo del saldo non negativo di competenza (vincolo di finanza pubblica).

Voci di bilancio che rilevano ai fini dei vincoli di finanza pubblica

Titolo dell’entrata

Entrate

 

Titolo della spesa

Spese

I

Entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa

 

I

Spese correnti

II

Trasferimenti correnti

 

II

Spese in conto capitale

III

Entrate extratributarie

 

III

Spese per incremento attività finanziaria

IV

Entrate in conto capitale

 

 

 

V

Entrate da riduzione di attività finanziarie

 

 

 

 

Tale regola generale subisce eccezioni per effetto di alcune norme che hanno escluso o incluso determinate poste ai fini del calcolo del saldo rilevante per la verifica del rispetto dei vincoli di finanza pubblica: tali eccezioni riguardano parte del Fondo pluriennale vincolato (FPV), il Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) ed i fondi spese e rischi futuri.

In particolare la deroga normativa che tratta del Fondo pluriennale vincolato stabilisce che, ai fini del computo del saldo non negativo sopra richiamato, Per il gli anni 2017-2019, nelle entrate finali e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il Fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento. A decorrere dall'esercizio 2020 l’inclusione si applica limitatamente alla parte finanziata dalle entrate finali[177].

Per quanto attiene agli stanziamenti del Fondo crediti di dubbia esigibilità e dei Fondi spese e rischi futuri, sono esclusi dal computo del già richiamato saldo non negativo gli stanziamenti concernenti accantonamenti sui citati fondi destinati a confluire nel risultato di amministrazione.

 

Alla luce delle regole sopra esposte, diversamente da quanto previsto dalla contabilità economico patrimoniale di cui al D. Lgs. n. 118/2011, non rilevano, ai fini del pareggio di bilancio, dal lato delle entrate, le accensioni di prestiti, le anticipazioni da istituto tesoriere, le entrate per conto terzi e le partite di giro, mentre, dal lato delle spese, il rimborso dei prestiti, la chiusura delle anticipazioni da istituto tesoriere e le spese per conto terzi e le partite di giro; ciò in quanto tali voci – per definizione normativa – non fanno parte delle entrate e delle spese finali.

In pratica il cosiddetto pareggio di bilancio non è influenzato in linea di massima da poste che hanno natura eminentemente finanziaria. Parimenti non rilevano ai fini del pareggio di bilancio, tra le entrate, l’eventuale avanzo di amministrazione e, tra le spese, l’eventuale disavanzo di amministrazione.

Copertura delle norme in materia di spese e di entrate degli enti territoriali

Tanto premesso sono di seguito illustrate le problematiche relative alle disposizioni normative che modificano le capacità degli enti territoriali di effettuare spese e di reperire entrate.

Le modifiche normative che pongono oneri, di parte corrente o di conto capitale, a carico di un ente territoriale implicano una spesa che rientra tra quelle finali. A tale aumento della spesa non corrisponde, però, necessariamente, un obbligo di copertura, a condizione che le previsioni introdotte non escludano la nuova spesa dal computo del saldo rilevante ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica. In pratica, in tale ipotesi, l’ente territoriale, essendo comunque sottoposto all’obbligo di conseguire un saldo non negativo, come in precedenza definito, per sterilizzare la spesa derivante dalla nuova previsione normativa dovrà necessariamente aumentare le entrate o diminuire altre spese ovvero adottare un mix delle due misure. In sostanza un aumento delle spese stabilito senza deroghe ai vigenti vincoli di finanza pubblica non necessita di copertura.

Viceversa, se si prevede espressamente che una spesa “non sia rilevante” ai fini del saldo richiesto per la verifica del rispetto dei vincoli di finanza pubblica, sorge l’obbligo di copertura. Parallelamente una nuova entrata (ad esempio un contributo statale) non vincolata all’incremento del saldo obiettivo dell’ente locale non migliora il suo risultato contabile dal momento che all’ente stesso è permesso, salvo appunto diversa espressa statuizione normativa, di utilizzarla per finanziare nuove spese.

Parimenti necessita di coperta una disposizione che attribuisca ad un ente territoriale spazi finanziari ossia che incrementino la capacità dell’ente di effettuare spese finali che rilevano ai fini del calcolo del saldo non negativo disciplinato ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 243 del 2012. L’attribuzione di spazi finanziari aggiuntivi, dunque, consente all’ente territoriale una facoltà di spesa aggiuntiva nella misura fissata dall’ammontare dello spazio finanziario assegnato. In pratica tale attribuzione implica una deroga ai vincoli di finanza pubblica nella misura determinata dalla norma stessa. La deroga determina un onere oggetto delle ordinarie regole di copertura.  In genere gli spazi finanziari sono configurati dalla norma istitutiva in termini di un montante complessivo da ripartire tra una pluralità di enti. La ripartizione degli spazi concessi avviene sulla base della procedura definita dalla norma stessa, considerate le richieste avanzate dagli enti interessati. La copertura finanziaria non appare necessaria nei soli casi in cui all’attribuzione di specifici spazi ad un ente o da una categoria di enti faccia riscontro una corrispondente riduzione della capacità di spesa di altri enti, con effetti netti compensativi ai fini dei diversi saldi di finanza pubblica (cfr. paragrafo successivo).

Utilizzo dell’avanzo di amministrazione

Per quanto concerne l’utilizzo, da parte di un ente, dell’avanzo di amministrazione, va rilevato che nel corso degli ultimi anni si è sviluppato un dibattito riguardo alla compatibilità del predetto utilizzo con i vincoli finanziari a carico dell’ente. Da un lato, in base al principio di annualità del bilancio, è stata lamentata l’impossibilità - o l’eccessiva difficoltà - di utilizzare il risultato di una precedente gestione virtuosa, ossia l’avanzo di amministrazione, per finanziare spese nell’anno successivo; dall’altro, si è obiettato che le esigenze complessive di equilibrio di bilancio, riferite a tutte le amministrazioni pubbliche (Conto consolidato della P.A.), richiedono che le risorse in questione, contabilizzate in esercizi precedenti, non siano utilizzate per finanziare spese di anni successivi.

Il problema del cosiddetto “overshooting”, ossia la formazione di avanzi di esercizio non impiegabili per spese, è stato recentemente esaminato, fra gli altri, dalla Corte dei conti nel Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica (aprile 2017), cui si rinvia (cfr. il capitolo “Equilibri di bilancio e investimenti di regioni ed enti locali”).

Al fine di favorire l’utilizzo degli avanzi di amministrazione, purché finalizzato alle spese per investimenti, è stato previsto un apposito strumento dalla legge n. 243/2012, che ha disciplinato – all’art. 10 – la conclusione di intese regionali. L’intesa intercorre tra gli enti territoriali appartenenti ad un’unica regione e consente agli enti che ritengano di non poter utilizzare gli spazi finanziari di cui dispongono (capacità di spesa non impegnata), di cederli ad enti che, al contrario, hanno risorse che intendono impiegare, ma hanno spazi per la spesa insufficienti. Le intese devono comunque garantire, per l'anno di riferimento, il rispetto degli obiettivi di saldo per il complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione. Le intese sono definite in esito alla presentazione di apposite domande che dovranno indicare, tra l’altro, la misura degli spazi finanziari che si intende cedere o richiedere per uno o più esercizi successivi e l’indicazione dei tempi e delle modalità per il miglioramento/peggioramento del saldo negli esercizi successivi, da un minimo di due ad un massimo di 5 anni. Le Regioni e le province autonome concludono le intese per l’attribuzione degli spazi disponibili e comunicano agli enti locali interessati i saldi obiettivo così rideterminati.

In aggiunta alle intese regionali sono stati previsti i patti di solidarietà nazionali che funzionano in modo sostanzialmente analogo, sebbene la cessione e l’acquisizione di spazi debba essere pari a zero a livello del complesso degli enti territoriali e non con riferimento a quelli appartenenti ad una sola regione. 

In altre circostanze, per finalità particolari, è stato consentito – per ciascuno degli enti interessati e in via autonoma – l’utilizzo degli avanzi di amministrazione per il finanziamento di spese finali. Simili iniziative normative comportano la necessità di registrare i relativi oneri in termini di indebitamento netto e di fabbisogno in misura pari all’utilizzo autorizzato per l’esercizio, o gli esercizi, di riferimento, tenendo conto di tali effetti ai fini della complessiva copertura finanziaria dei provvedimenti.

Si cita, a titolo esemplificativo, l’articolo 1, comma 485, della legge n. 232/2016 che - al fine di favorire gli investimenti, da realizzare attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti e il ricorso al debito - assegna agli enti locali spazi finanziari per 700 milioni di euro per l’anno 2017, per 900 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2018 e 2019 e per 700 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023.

 

La questione ha avuto recenti sviluppi con la sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2017.

La sentenza esamina tre questioni di costituzionalità sollevate in merito all’equilibrio di bilancio degli enti territoriali: nel presente paragrafo si dà conto della questione specificamente riferita all’utilizzabilità degli avanzi di amministrazione, promossa dalla Regione Friuli-Venezia Giulia.

La Regione ha infatti impugnato la norma[178] che, nella sua formulazione  testuale (cfr. supra la descrizione all’inizio del presente paragrafo e la relativa tabella), non include l’avanzo di amministrazione fra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio, dubitando della sua rispondenza sia a norme costituzionali riferite all’autonomia speciale sia a norme costituzionali riferite alla generalità degli enti territoriali.

La Corte costituzionale ha ritenuto che, secondo “una lettura conforme a Costituzione delle norme contestate” (come detto, l’art. 9 della legge n. 243 del 2012) in materia di pareggio di bilancio, “l’avanzo di amministrazione rimane nella disponibilità dell’ente che lo realizza” e  “non può essere oggetto di ‘prelievo forzoso’ attraverso indirette prescrizioni tecniche” (punti 8 e 8.6 del considerato in diritto). La Corte ha dichiarato quindi non fondata la questione di legittimità costituzionale, in quanto la norma impugnata (in base alla predetta interpretazione) non è violativa della Costituzione.

Il tema è stato trattato infine anche dalla circolare n. 5 del 2018 (G. U. del 13 marzo 2018) della Ragioneria generale dello Stato, relativa ai criteri per il pareggio di bilancio degli enti territoriali nel triennio 2018-2020, alla quale si rinvia.

 



[1]     L. 24/12/2012, n. 243. Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione. Pubblicata nella Gazz. Uff. 15 gennaio 2013, n. 12.

[2]    Regolamento (CE) del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche nella versione modificata da ultimo dal regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[3]    Dossier - Documentazione di finanza pubblica n. 1 del 2018

[4]     Cfr. XVII legislatura, Doc. LVII, n. 2-bis, Allegato II. In particolare, "gli elementi che configurerebbero la presenza di eventi eccezionali sono riconducibili a: i. Un output gap molto ampio e un tasso di crescita del PIL negativi nel 2014. ii. Prospettive di crescita per il 2015 a rischio di ulteriori revisioni al ribasso con conseguente rischio di deflazione."

[5]     Cfr, XVII legislatura, Doc. LVII, n. 3-bis, Allegato III

[6]     Cfr. XVII legislatura, Senato della Repubblica, Servizio del Bilancio, Nota breve n. 10 La comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità.

[7]     XVII legislatura, Doc. LVII, N. 4 - Annesso, presentato il 9 aprile 2016

[8]     Cfr. XVII legislatura,  Doc. LVII, n. 4-bis, Annesso  presentato il 28 settembre 2016

[9]     XVII legislatura, Doc. LVII-ter, n. 1 presentato il 19 dicembre 2016.

[10]   XVII legislatura, Doc. LVII,  n. 5-bis, Annesso

[11] Il testo attuale, sostanzialmente identico alla disposizione precedentemente recata dal quarto comma dell’articolo 81, risulta dalla riforma approvata con la legge costituzionale n. 1 del 2012, applicabile a decorrere dall’esercizio finanziario 2014.

[12] Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, “I principali saldi di finanza pubblica: definizioni, utilizzo, raccordi”, a cura di: Fabrizio Balassone, Biagio Mazzotta e Daniela Monacelli: http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/I-principa1/testo_completo_270608_FINALE_.pdf

[13]   Regolamento (UE) n. 549/2013, del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013.

[14]   Il SEC 2010 è in larga misura coerente con il Sistema dei conti nazionali adottato dalla Commissione statistica delle Nazioni Unite nel febbraio 2009 (SCN 2008), quale aggiornamento del precedente SCN 1993, al fine di assicurare la comparabilità dei risultati a livello mondiale.

[15]   http://ec.europa.eu/eurostat/web/government-finance-statistics/methodology/decisions-for-gfs

[16]   http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-manuals-and-guidelines/-/KS-GQ-16-001

[17]   http://www.cmfb.org/publications/opinions

[18]   In taluni casi, a fini interpretativi, un’ulteriore risorsa potrebbe essere anche il Government Finance Statistics Manual (GFSM 2014) del Fondo Monetario internazionale, che fornisce chiarimenti e spiegazioni circa le varie operazioni e registrazioni di contabilità nazionale. Cfr. https://www.imf.org/external/Pubs/FT/GFS/Manual/2014/gfsfinal.pd

[19]   https://www.istat.it/it/archivio/190748

[20]   Con dicitura diffusa la spesa sottoposta a limite viene anche indicata – talvolta – come “autorizzazione di spesa”: tuttavia non solo i limiti di spesa ma anche gli oneri qualificati come previsioni di spesa sono “autorizzati” da una norma primaria. La dicitura di spesa autorizzata può dunque talvolta, se il contesto non chiarisce, risultare equivoca.

[21]      Tale modalità di copertura è stata inserita dalla legge n. 163 del 2016, entrata in vigore nel medesimo anno.

[22] La V Commissione ha più volte richiesto chiarimenti al fine di accertare che le coperture disposte a fronte di interventi normativi non determinassero dequalificazioni della spesa. É il caso, ad esempio, delle coperture previste dal decreto legge n. 53/2013 che recava interventi urgenti in tema di sospensione dell’imposta municipale propria, di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni. Nel parere reso dalla V Commissione sull’AC 1012, che recava il disegno di legge di conversione del citato decreto, si precisa che il Governo ha assicurato che l’utilizzo del Fondo di sviluppo e coesione per finalità di copertura di talune spese previste dal decreto legge, che non avevano natura di investimento, implicava il ricorso alla sola quota di parte corrente del Fondo risorse di parte corrente e non anche della quota di risorse di conto capitale. Ciò al fine di evitare effetti di dequalificazione della spesa.

[23]   Comma inserito dall’articolo 3, comma 1, lettera b) della L. 7 aprile 2011, n. 39.

[24]   Quindi inattesi incrementi di entrate in corso d’esercizio noti ai più come “tesoretti”.

[25]   Nei termini di cui all'art. 17, comma 1, lett. c) della legge di contabilità e finanza pubblica.

[26]   In tal senso si veda il dossier del servizio studi della Camera n. 204/6 del 18 novembre 2011 in tema di modifiche alla legge 196/2009 recate dalla richiamata L 39/2011, volte ad assicurare la coerenza tra le norme di programmazione finanziaria delle Amministrazioni pubbliche ed i criteri stabiliti in sede europea. Per approfondimenti: XVI legislatura, Camera dei deputati, Servizio Studi - dipartimento bilancio, Schede di lettura n. 204/6, novembre 2011.

[27]   In altra relazione la Corte dei conti osserva - con riferimento alla legge finanziaria per il 2007 ed in particolare circa l’utilizzo delle eventuali maggiori entrate, rispetto alle previsioni, derivanti dalla lotta all’evasione fiscale per ridurre la pressione fiscale – la necessità che il maggior gettito debba essere permanente, in eccesso rispetto alla realizzazione degli obiettivi di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni oltre che non necessario per coprire interventi urgenti ed imprevisti, e riferibile ai risultati della lotta all’evasione, così come certificati dalla relazione annuale da presentare al Parlamento unitamente alle proposte ed ai documenti di bilancio. Per approfondimenti si veda: Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2006 – pagg. 9-10.

[28]   Si richiama in proposito la giurisprudenza della Corte costituzionale, costante nel ritenere che la copertura di nuove spese «deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri» (cfr. tra le altre, le sentenze n. 106/2011, n. 100/2011 e n. 213 del 2008). L'obbligo di copertura deve essere quindi osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, valutando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri (sentenza n. 384 del 1991).

[29]   Inoltre l'extragettito potrebbe essere la risultante di errori delle stime. In ottica prudenziale, gli errori positivi dovrebbero andare a compensare quelli negativi.

[30]   In particolare si ricorda il D.L. 81/2007 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria – c.d. manovra estiva) ed il D.L. 159/2007 (interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale).

[31]   Relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2007 - in Senato della Repubblica, XVI legislatura DOC. XIV, n. 1 Volume I.

[32]   Di cui al comma 575 dell’articolo 1 della L 232/2016.

[33]   Di cui al comma 633 dell’articolo 1 della L 232/2016.

[34]   Per le quali si erano previsti maggiori introiti per 2.010 mln di euro per il 2017.

[35]   Per la quale si erano quantificate maggiori risorse per 1.600 mln di euro per l’anno 2017.

[36]   Su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze.

[37]   Con le modalità di cui all’articolo 17, comma 12-bis della citata L. 196/2009.

[38]   Di cui all’articolo 6 del D.L.193/2016.

[39]   Di cui al ricordato articolo 11 del D.L. 50/2017.

[40]   Articolo 1, comma 634 della L. 232/2016.

[41]   A tal fine, è stata disposta, in accordo con la Commissione europea (ai sensi dell'articolo 33 del regolamento CE n. 1083/2006), una riprogrammazione delle risorse dei fondi strutturali, con riferimento a determinati Programmi Operativi in forte ritardo di attuazione che rischiavano il disimpegno automatico delle risorse, attuata tramite l'aumento, in termini percentuali, della quota di cofinanziamento comunitario, elevata dall'originario 50 al 75 per cento (limite massimo di partecipazione UE), e corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, le cui risorse sono state destinate agli obiettivi del Piano di Azione Coesione.

[42]   L'art. 7, comma 9-sexies, D.L. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 125 ha modificato il termine del 30 settembre 2014 fissato dalla legge di bilancio n. 190 del 2014 con il 1° gennaio 2015 ovvero la data di entrata in vigore della predetta legge di bilancio.

[43] Un recente esempio di copertura su residui nell'ultima legislatura è dato dal comma 6-sexies dell'unico articolo del decreto-legge 191/2015 sull'ILVA dove alla copertura per 50 milioni di euro si provvede mediante l’utilizzo delle disponibilità in conto residui relative ad un Fondo istituito con una dotazione di 1.000 milioni di euro per l'anno 2014, per integrare le risorse iscritte sul bilancio statale destinate alle garanzie rilasciate dallo Stato.

 

[44]   Cfr. Senato della Repubblica, Servizio del Bilancio, Nota di lettura n. 118, A.S. 2195: "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, recante disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA".

[45]   Cfr. Corte dei Conti, Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, gennaio-aprile 2016, pag.41.

[46]   Art. 270 del R.D. 827/1924.

[47]   Come sostituito dall'art. 3, comma 1, D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 93, con efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2018, ai sensi di quanto disposto dall'art. 9, comma 2, del medesimo decreto.

[48]   In particolare, la nuova disciplina dell'accertamento dei residui passivi stabilisce che decorso il termine dell'esercizio finanziario, per ogni capitolo di bilancio, con decreto ministeriale da registrarsi alla Corte dei conti, sia determinata la somma da conservarsi in conto residui per impegni riferibili all'esercizio scaduto. È stabilito che in apposito allegato al decreto medesimo sono altresì individuate le somme relative a spese pluriennali in conto capitale non a carattere permanente da eliminare dal conto dei residui di stanziamento e da iscrivere nella competenza degli esercizi successivi ai sensi dell'articolo 30, comma 2, terzo periodo, della l.c., riferibili ad esercizi precedenti all'esercizio scaduto. Con apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato sono elencate, distintamente per anno di iscrizione in bilancio, le somme relative al precedente periodo eliminate dal conto dei residui da reiscrivere nella competenza degli esercizi successivi, sui pertinenti programmi, con legge di bilancio. Si prevede poi, ai commi 2 e 3, che ai fini dell'adozione del decreto le amministrazioni competenti sono tenute a verificare la sussistenza delle ragioni del mantenimento in bilancio dei residui provenienti dagli anni precedenti a quello di consuntivazione e comunicano ai competenti Uffici centrali di bilancio, le somme da conservare e quelle da eliminare per economia e per perenzione amministrativa e che gli uffici di controllo debbano certificare le somme da conservarsi nel conto dei residui per impegni riferibili all'esercizio scaduto e quelle da eliminare, a cura dell'amministrazione, dei decreti. Si stabilisce che, contestualmente all'accertamento, nell'ambito del processo di definizione del Rendiconto generale dello Stato ed entro i termini previsti per la predisposizione dei decreti di accertamento dei residui, le Amministrazioni possono provvedere anche al riaccertamento della sussistenza delle partite debitorie iscritte nel conto del patrimonio dello Stato in corrispondenza di residui perenti, esistenti alla data del 31 dicembre dell'anno precedente, ai fini della verifica della permanenza dei presupposti indicati all'articolo 34, comma 2, della legge n. 196 del 2009. Infine, si prevede che in esito al riaccertamento, in apposito allegato al Rendiconto generale dello Stato, sia quantificato per ciascun Ministero l'ammontare dei residui passivi perenti eliminati dalla contabilità finanziaria. Annualmente, solo successivamente al giudizio di parifica della Corte dei conti, con la legge di bilancio, le somme corrispondenti agli importi di cui al periodo precedente possono essere reiscritte, del tutto o in parte, in bilancio su base pluriennale, in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica, su appositi Fondi da istituire con la medesima legge, negli stati di previsione delle amministrazioni.

[49]   Sulla revisione triennale dei residui passivi, si rinvia alla procedura prevista dalla legge 244/2007, (finanziaria 2008) articolo 3, commi 37-39, e successive modificazioni e integrazioni.

[50]   Cfr. ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della R.G.S., I.G.B., Circolare n. 11 del 7 marzo 2018, doc. cit., pagina 9.

[51]   Il regolamento rivede la disciplina originaria di cui articoli da 585 a 591 R.G.C.S di cui al R.D. 827/1924.

[52]   In proposito, appare significativo il caso verificatosi nella scorsa legislatura relativamente a dispositivi di copertura che attingevano alle disponibilità giacenti sulla dotazione della contabilità speciale 1778 relativa alla gestione dei fondi di bilancio assegnati all'Agenzia delle entrate per il rimborso dei crediti d'imposta. La citata disponibilità veniva accompagnata da una certificazione da parte del Governo circa la compatibilità della riduzione, ottenuta rispetto agli effettivi fabbisogni di spesa che erano previsti sulle medesime risorse, che venivano conseguente "riprogrammati", tenuto conto che la quota "ridotta", per cui essa interessava la sola componente già destinata alla copertura dei fabbisogni correlati alle regolazioni debitorie e comunque si rende "possibile, finora, in quanto è stata assicurata la neutralità sui saldi di competenza del bilancio statale, atteso che i livelli delle giacenze in tesoreria garantivano sufficienti margini disponibili in rapporto alle effettive esigenze di compensazioni di imposte". Cfr. MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, Dipartimento della R.G.S., I.G.B., "Utilizzo a fini di copertura delle disponibilità della contabilità speciale 1778 intestata all’Agenzia delle Entrate – Fondi di bilancio. Programma di spesa “Regolazioni contabili, restituzioni e rimborsi di imposta” nell’ambito della Missione “Politiche economico-finanziarie e di bilancio” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze" promemoria per il Ministro, 2013.

[53]   Cfr. Corte dei Conti, Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, gennaio-aprile 2016, pag.39-40.

[54]   Corte dei conti, Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relativamente alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2016, Doc. XLVIII, n. 14.

[55]   Art. 21, L. 196/2009.

[56]   Art. 21, comma 11, L. 196/2009.

[57]   Ad esempio, per il bilancio 2018: http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit-i/Bilancio_di_previsione/Bilancio_finanziario/2018/NotaTecnicoIllustrativaDLB/NotaTecnico_Illustrativa_dlb_2018-2020.pdf

[58]   Ad esempio, la base dati informativa del modello di microsimulazione adottato dall’Agenzia delle entrate utilizza anche le informazioni contenute nel modello 770 presentato dal datore di lavoro al fine di considerare i contribuenti che, essendo in possesso di solo reddito da lavoro dipendente, non sono obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

[59]   Il Bollettino delle entrate tributarie riferito all’anno 2017 evidenzia la relazione tra l’obbligo della fatturazione elettronica e lo split payment. In particolare, con riferimento allo split payment, il documento ritiene che “si può supporre che venga superato nel momento in cui verrà realizzato l’obbligo totale di fatturazione elettronica”.

[60]   Così definito dalla relazione tecnica.

[61]   Misure urgenti per la finanza pubblica.

[62]   Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio.

[63]   Non altrimenti ipotizzando una diminuzione della numerosità dei contribuenti soggetti alla nuova aliquota rispetto alla platea incisa dall'aliquota vigente ovvero assumendo un peggioramento della situazione economica in costanza del nuovo regime. Nelle fattispecie predette l'aumento dell'aliquota potrebbe non dar luogo ad un incremento di gettito nel complesso. 

[64]   Ad esempio, i contributi previdenziali obbligatori sono oneri deducibili (art. 10, comma 1, lett. e) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817).

[65]   Tra i numerosi esempi si segnalano: l'art. 1, comma 271 della Legge 24 dicembre 2017, n. 228; l'art. 1, cc. 191, 288 della L. 28 dicembre 2015, n. 208; art.1, cc. 313 e 707 della L. 23 dicembre 2014, n. 190; l'art. 15 del DL 31 maggio 2014, n. 83. Sul tema si veda anche la circolare RGS n. 32/2010.

[66]   In relazione alla predetta fattispecie agevolativa si stimano di norma anche effetti di maggior gettito a titolo di IVA dovuta per le operazioni imponibili incentivate.

[67]   Ad esempio, la considerazione di effetti indotti ha avuto luogo in occasione della quantificazione della norma che ha stabilizzato la detrazione fiscale riconosciuta per le ristrutturazioni ed il miglioramento dell'efficienza energetica di cui all'art. 4, comma 1, lett. c),  del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 che ha introdotto l'art. 16-bis "Detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici" al D.P.R. 22 Dicembre 1986, n. 917 (recante il testo unico delle imposte sui redditi). Sulla medesima materia si veda anche: l'art. 11 del DL 22 giugno 2012, n. 83.

[68]   In tal senso: ED n. 2 - Servizio del bilancio del Senato XVI legislatura - maggio 2008, p. 75. Ivi si legge che "Se le variabili in gioco hanno uguale grado di certezza - e solo a questa condizione - non si vede la ragione perché non se ne debba tener conto: la parità dei gradi di certezza tra gli effetti diretti e indiretti, ove accertata in modo convincente, sembra superare l'obiezione secondo cui solo in sessione si ridefiniscono gli equilibri complessivi di bilancio".

[69]   A rigore, i predetti effetti andrebbero contabilizzati anche nei casi in cui gli stessi non siano favorevoli per gli incassi erariali (ad esempio in relazione a misure non espansive o di riduzione della spesa pubblica).

[70]   Si evidenzia peraltro che, in alcune occasioni, con approccio di prudenza, la Relazione tecnica pur dando conto della possibile esistenza di effetti indotti non provvede a contabilizzarli. Ad esempio nella RT associata alla legge di bilancio 2018, a proposito della norma che consente ai neoassunti dal 2019 della pubblica amministrazione di poter aderire alla previdenza complementare, si legge che: "Complessivamente si è pertanto stimato che le disposizioni di cui "ai commi 91 e 92 (ora commi i 156 e 157) possano portare il tasso di adesione attorno al 20% alla fine del periodo di previsione (attorno al 2027). In relazione a ciò prudenzialmente nella presente relazione tecnica si sono stimati effetti negativi alla fine del periodo decennale di previsione complessivamente pari a oltre 130 mln di euro annui (134 mln di euro nel 2027) pur in presenza di adesioni comunque inferiori a quelle di medio-lungo periodo previste a regime per il settore del pubblico impiego. Prudenzialmente, attesa anche la circostanza che le valutazioni in esame sono comunque frutto di ipotesi comportamentali non riscontrabili a priori, non si è tenuto conto di effetti indotti relativi all’incremento delle attività dei fondi pensione interessati."

[71]   Si osserva che anche in sede di consuntivazione non è agevole, a fini conoscitivi, associare i maggiori incassi registrati come conseguenza indotta della misura introdotta, potendo gli stessi dipendere da altre variabili.

[72] Beneficio che si sostanziava nella esenzione ai fini delle imposte dirette e dell'ILOR del 50% dell'incremento degli investimenti in impianti ed in beni strumentali rispetto alla media dei cinque anni precedenti (c.d. Tremonti).

[73]   Nell'occasione il Servizio del bilancio del Senato (nella nota di lettura n. 3 del 25 luglio 1994) sollevò una serie di rilievi ed esigenze di approfondimento in merito all'avvenuta contabilizzazione di effetti indotti. Tra l'altro si richiamò l'attenzione sulla necessaria distinzione tra volume degli investimenti che si sarebbe comunque realizzato senza incentivazione (c.d. "effetto peso morto") ed investimenti aggiuntivi netti attribuibili all'operare dell'incentivo.

[74]   Recante detassazione del reddito di impresa e di lavoro autonomo reinvestito (c.d. Tremonti-bis). 

[75]   Corte dei conti, Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri - leggi pubblicate nel quadrimestre settembre - dicembre 2013, p.68. Si veda anche, per lo svolgimento di analoghe considerazioni in ordine agli effetti indotti: Corte dei conti -  Relazione quadrimestrale riferita alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2014, p.47. 

[76]   Si tratta dell'incidenza finanziaria riferita ai contribuenti che avrebbero posto in essere comunque il comportamento incentivato anche in assenza del beneficio fiscale.

[77]   Superando anche il settore interessato dall'intervento.

[78]   Le agevolazioni in commento sono state interessate da diversi provvedimenti normativi volti a prorogarne nel tempo l'efficacia ovvero a rimodularne l'ambito applicativo e la misura del beneficio attribuito.

[79]   Al netto del c.d. "peso morto".

[80]   In via sintetica si evidenzia che il maggior gettito di competenza per l’anno 2018 conseguente all’effetto incentivante sugli investimenti legato all’introduzione delle norme citate è pari a 157,5 mln di euro a titolo di IVA e a 410,4 mln di euro a titolo di IRPEF/IRES/IRAP.

[81]   Effetti di norma stimati dalla RT associata alla misura.

[82]   Corte dei conti - Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri - Leggi pubblicate nel quadrimestre settembre- dicembre 2016, p. 50.

[83]   Per approfondimenti si veda il documento di base del servizio Bilancio del Senato n. 55 del maggio 2017 relativo alla decisione di bilancio per il triennio 2017-2019.

[84]   Analogo rilievo si legge anche in: Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri - Leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2016 - pag. 50.

[85]   Ad esempio il credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno commi 98-108, art. 1, legge n. 208/2015 o il credito d’imposta per la vendita di libri al dettaglio commi 319-321, art. 1, legge n. 205/2017.

[86]   Cfr. Art. 17, commi 10 e 11, legge n. 196/2009.

[87]   Il beneficio, peraltro, viene materialmente erogato dal datore di lavoro al lavoratore in busta paga e deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi del lavoratore anche ai fini della verifica dell’effettivo diritto al bonus.

[88]   Articolo 1, commi da 431 a 434, della legge n. 147/2013.

[89]   Articolo 1, comma 1069, legge n. 205/2017.

[90]   Società non residenti che appartengono a gruppi multinazionali con ricavi superiori a 1 miliardo di euro e che effettuano cessioni in Italia per un ammontare superiore a 50 milioni di euro annui.

[91]   Articolo 1, commi da 1011 a 1019, legge n. 205/2017.

[92] Comunicato stampa del 21 marzo 2018 “Tassazione digitale: la Commissione propone nuove misure per garantire che tutte le imprese paghino la loro giusta quota di tasse nell’UE” (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-2041_it.htm).

[93]   Capitoli 1801 e 1806 dello stato di previsione dell’entrata.

[94]   Capitolo 3928 dello stato di previsione del MEF (“Spese relative alle vincite del gioco del Lotto”). Capitolo 3926 dello stato di previsione del MEF (“Somma da versare all'entrata per gli aggi ed i compensi trattenuti dai concessionari e dai rivenditori dei giochi”).

[95]   V. il capitolo 2328 dello stato di previsione dell’entrata (“Ritenuta sulle vincite del gioco del Lotto”).

[96]   La spesa dei giocatori (o “margine”) è data dalla differenza fra la raccolta e le vincite corrisposte agli stessi giocatori.

[97]   Al momento della stesura del presente dossier i dati del secondo semestre 2017 non sono pubblicati da AAMS. L’ultimo comunicato AAMS pubblicato sul sito istituzionale è datato 4 gennaio 2018.

[98]   Art. 14 del DL 102/2013; art. 1 cc. 643-645 della legge 190/2014.

[99]   Art. 1 cc. 653-654 della legge 190/2014.

[100] Ultimo anno rendicontato per intero al momento della stesura del presente Dossier.

[101] Art. 1, commi 918 e 919, della legge 208/2015.

[102] Articolo 20, comma 1, del DL 148/2017 e articolo 1, commi 1047-1049, della legge 205/2017.

[103] Si veda infra nel presente paragrafo per quanto riguarda le implicazioni sui saldi di finanza pubblica.

[104] V. INPS, Rendiconto 2016, Tomo II, pagina 702.

[105] Cfr. Servizio del bilancio del Senato, Nota di lettura n.195 e Servizio bilancio dello Stato della Camera, Verifica delle quantificazioni n. 618. 

[106] V. Corte dei conti, Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, maggio-agosto 2015, pag. 61.

[107] Cd. deadweight loss di cui alla letteratura economica sugli incentivi.

[108] L’atto o la circostanza di fatto al verificarsi dei quali il tributo è dovuto; esso viene indicato anche come «fatto imponibile», «oggetto dell’imposta» o «fatto generatore».

[109] Per un elenco aggiornato degli accordi sulle doppie imposizioni ratificati dall'Italia si veda la pagina internet dedicata sul sito del MEF. Sul medesimo sito è anche disponibile l'elenco degli accordi amministrativi per lo scambio di informazioni o per l'effettuazione di verifiche fiscali simultanee, conclusi tra gli Stati al fine di dare piena attuazione agli accordi bilaterali.

[110] Un ulteriore modello di riferimento sull'eliminazione delle doppie imposizioni è stato elaborato in ambito ONU. Esso si concentra in maniera specifica sulle convenzioni con i paesi in via di sviluppo e, come rilevato nella sua parte introduttiva, persegue finalità simili e presenta diversi punti di contatto con il modello OCSE.

[111] Con tale acronimo si intende l'insieme di strategie di natura fiscale che talune imprese pongono in essere per erodere la base imponibile (base erosion) e dunque sottrarre imposte al fisco. Tra tali strategie si annovera anche la traslazione dei profitti (profit shifting) da paesi ad alta imposizione a paesi a tassazione nulla o ridotta.

[112]  Molto sinteticamente, l'aggiornamento 2017 della convenzione-tipo OCSE ha riguardato in particolare l'azione volta a  neutralizzare le asimmetrie tra i diversi ordinamenti nazionali che potrebbero  determinare situazioni di vantaggio indebito, l'azione diretta ad evitare l'abuso dei trattati convenzionali per ottenere benefici in circostanze non appropriate o in situazioni differenti da quelle per le quali i benefici sono stati previsti, l'azione finalizzata a prevenire frammentazioni scorrette miranti ad evitare lo status di stabile organizzazione e l'azione recante misure sull'efficacia del contenzioso.

[113]  Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti.

[114]  Questi ultimi sono accordi in vigore tra due (o più) Parti della Convenzione per evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito e che siano stati notificati dalle Parti interessate al Depositario, cioè al Segretario Generale dell’OCSE (art. 2, par. 1, lett. a)).

[115]  Documento sviluppato dall’OCSE su mandato del G20.

[116]  Occorre inoltre ricordare che in ambito OCSE è stato predisposto il modello TIEA (Tax Information Exchange Agreement) per lo scambio di informazioni tra Stati che non hanno sottoscritto accordi sulle doppie imposizioni, al fine di prevenire le pratiche fiscali dannose. Il modello, pubblicato nel 2002, disciplina lo scambio di informazioni su richiesta. Nel 2015 è stato pubblicato un protocollo tipo (Model Protocol) che ha introdotto alcune modifiche al fine di estendere la portata degli accordi TIEA allo scambio di informazioni automatico e spontaneo. Si osserva che il modello reca due versioni di accordo-tipo, uno riferito a trattati bilaterali e l'altro riferito ai trattati multilaterali.

[117]  Legge 3 novembre 2016, n. 208.

[118]  Su questi ed altri profili relativi alla ratifica della Convenzione Italia-Panama cfr. la nota di lettura n. 146 del Servizio del bilancio del Senato.

[119]  Ratificata con la legge 19 luglio 2013, n. 88.

[120]  Per approfondimenti sulla ratifica della Convenzione con San Marino si rinvia al dossier n. 11 del Servizio del bilancio della Camera.

[121]  Con ritenuta del 12,5%.

[122]  Il FATCA costituisce un importante accordo in materia di scambio multilaterale automatico di informazioni - entrato in vigore il 18 marzo 2010 - volto a contrastare l'evasione fiscale da parte di cittadini statunitensi e di residenti negli USA, perpetrata attraverso l'utilizzo di conti e di intermediari offshore. L'Accordo tra l'Italia e gli USA per migliorare la tax compliance internazionale e per applicare la normativa FATCA, fatto a Roma il 10 gennaio 2014, è stato ratificato nel corso della XVII legislatura (con legge 18 giugno 2015, n. 95).

[123] Nuovo sistema informativo sanitario.

[124] La parte restante è costituita da prestazioni di tipo assistenziale.

[125] Tali modelli di rilevazione sono stati introdotti con il decreto del Ministero della salute del 15 giugno 2012.

[126] Istat – Il sistema dei conti della sanità per l’Italia Anni 2012-2016. Statistiche report del 4 luglio 2017.

[127] Integrazione ex D.Lgs. 56/2000).

[128] Articolo 34, comma 3, della legge n. 724/1994 (Valle d’Aosta e le province di Trento e di Bolzano), articolo 1, comma 144, della legge n. 662/1996 (Friuli Venezia Giulia), articolo 1, comma 836, della legge n. 296/2006 (Sardegna).

[129] Articolo 1, comma 830, legge 296/2006.

[130] Stato di previsione del Ministero dell’economia, Capitolo di bilancio n. 2700.

[131] Di cui agli articoli 9 e 12 dell’intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005

[132] Per approfondimenti si veda MEF-RGS. Il monitoraggio della spesa sanitaria. Rapporto n. 4 – anno 2017.

[133] MEF-RGS. Il monitoraggio della spesa sanitaria. Rapporto n. 4 – anno 2017.

[134] Cfr. DEF 2018, Sez. I “Programam di stabilità dell’Italia” – pagg. 83 e segg.

[135] In particolare, nel corso della XVI Legislatura, si fa riferimento all’articolo 6, comma 2-ter e 2-septies, del DL 216/2011, all’articolo 22 del DL 95/2012 e all’articolo 1, commi 231-237, della L. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) che hanno ampliato la platea dei soggetti ammessi al pensionamento secondo la normativa previgente.

[136] Si ricorda che l’articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010 ha disposto l’adeguamento del requisito anagrafico alla speranza di vita, prevedendo per coloro che maturano i requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2014, un'età pari o superiore a 57 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti, e a 58 anni e tre mesi per le lavoratrici autonome. Inoltre, per i trattamenti liquidati in base all’opzione donna, la decorrenza può avere luogo solo dopo 12 mesi dalla maturazione dei suddetti requisiti, ovvero dopo 18 mesi per le lavoratrici autonome. L'INPS aveva ritenuto che entro il termine del 31 dicembre 2015 per i soggetti interessati devono essere decorsi anche i predetti termini per la decorrenza del trattamento pensionistico Cfr. le circolari INPS nn. 35 e 37 del 2012.

[137] La relazione tecnica riferita all’AS 2111 (disegno di legge di stabilità 2016) evidenzia “che l’importo medio della pensione si riduce del 27,5 per cento per le lavoratrici dipendenti e del 36 per cento per le lavoratrici autonome per effetto del calcolo contributivo”. Per i soggetti interessati dall’istituto in esame, precisa la RT, è ancora prevalente la quota retributiva della pensione tenuto conto della parziale non continuità delle carriere. Tale caratteristica, osserva la RT, è peraltro in fase di rapido esaurimento atteso il vincolo di possedere almeno 18 anni di contributi al 31.12.1995.

[138] Il DPCM del 29 novembre 2001, che costituisce un classificatore e nomenclatore delle prestazioni sanitarie sulla base della loro erogabilità da parte del SSN, e il D.P.C.M. 12 gennaio 2017 di aggiornamento dei LEA.

[139] Per un approfondimento si veda “Livelli essenziali delle prestazioni sociali e fabbisogni standard” in Temi dell’attività parlamentare – Camera dei deputati (www.camera.it)

[140] Il rapporto è stato pubblicato sul sito dell’INPS in data 29 marzo 2018: (https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?sPathID=%3b0%3b46437%3b51214%3b&lastMenu=51214&iMenu=12&iNodo=51214&p4=2)

 

[141] Vedasi il sito dell'INPS al seguente link https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50593&lang=IT

[142] V. Corte dei conti, Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, gennaio-aprile 2015, pagine 31-33.

[143] A rigore, infatti, la salvaguardia del principio di corretta copertura finanziaria imponeva che, sia pure a titolo temporaneo (salvo il c.d. "riassorbimento"), l'autorizzazione ad assumere o ad assorbire unità in soprannumero rispetto ai contingenti organici complessivi e relativi ai singoli profili professionali, doveva sempre accompagnarsi ad una formale copertura finanziaria aggiuntiva, ovvero ad un'equivalente misura di compensazione, che operasse anche tramite la contestuale, temporanea indisponibilità di altre posizioni organiche, che fossero destinate ad essere effettivamente coperte, almeno sino all'avvenuto (e definitivo) loro riassorbimento. Senato della repubblica, Servizio Bilancio, XVII legislatura, ED n. 2, pagina 30.

[144] Si veda l'articolo 9 del decreto legislativo n. 75/2017.

[145] La portata finanziaria di tali interventi, ispirata in passato da una logica di riduzione top down della spesa che non teneva conto dell'incidenza che essa, necessariamente, determina sul normale funzionamento delle amministrazioni coinvolte, è stata da ultimo interessata da un provvedimento volto alla definitiva stabilizzazione del personale precario delle PA, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 75/2017, di attuazione della legge n. 124/2015 (cd. riforma Madia). Cfr. Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, "Indirizzi operativi per il superamento del precariato della Pubblica Amministrazione", Circolari nn. 3/2017 e 1/2018.

[146] Oltre a questi andrebbero valutati anche i cosiddetti effetti di slittamento salariale. Questi sono determinati dal differenziale di crescita fra le retribuzioni effettivamente in godimento e le retribuzioni contrattuali, dovuto a fattori di incremento, anche strutturali, fra i quali la contrattazione integrativa e l’esistenza di classi e scatti di anzianità nei comparti ove siano previsti.

[147] Protocollo di intesa Governo-Sindacati lavoratori-Associazioni imprenditoriali sulla politica dei redditi e sull’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo.

[148] Comprende anche i contributi e le ritenute a carico del dipendente e del datore di lavoro.

[149] La ripartizione è stata disposta ai sensi del medesimo coma 365 con il DPCM 27 febbraio 2017.

[150] Articolo 1, comma 5 della legge n. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005).  Si rammenta che la regola del 2 per cento non riguardava alcune tipologie di spesa come, ad esempio, la spesa per interessi.

[151] Cfr., tra l’altro “Relazione quadrimestrale sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri” della Corte dei conti – Sezioni riunite in sede di controllo (settembre-dicembre 2013)

[152] Il n. 48902 del 10 luglio 2007.

[153] In particolare, l’importo fu di 1.972.918.320 euro, sulla base di quanto disposto dall’articolo 7, comma 2 del D.L. n. 81/2007.

[154] Cfr. “I principali saldi di finanza pubblica – Definizioni, utilizzo e raccordi” pubblicato nel 2008 nella collana “Strumenti e metodi”.

[155] Ai sensi dell’articolo 1, commi 511 e 512, della legge n. 296/2006 l’attivazione di mutui derivanti da contributi pluriennali a carico di enti della p.a. è sottoposta alla preventiva autorizzazione da parte del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che è tenuto a negare l’autorizzazione stessa nel caso in cui si accerti che la stessa determina effetti negativi, ai fini del saldo dell’indebitamento netto, che non sia possibile coprire. Al fine di predisporre uno strumento per la compensazione di effetti negativi è stato costituito il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari derivati dall’attualizzazione dei contributi pluriennali (di cui all’articolo 6, comma 2, del DL 154/2008), nell’ambito del bilancio del Ministero dell’economia e delle finanze.

[156] Un esempio, non recente, di applicazione di detto criterio è recato dall’articolo 1, comma 967, della legge n. 296/2006 che ha, fra l’altro, estinto i debiti di Ferrovie dello Stato SpA nei confronti dello Stato italiano.

 

[157] Cfr. Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre – dicembre 2008, gennaio – aprile 2009, settembre – dicembre 2011.

[158] Per completezza si ricorda che è altresì prevista una terza forma di garanzia (la sottoscrizione di derivati da parte dello Stato) che però, - stante il carattere sintetico ed introduttivo del presente dossier - non è oggetto di esame in questa sede.

[159] Eurostat, Manual on Government Deficit and Debt – implementation of ESA 2010, 2016 edition. Si veda il capitolo VII.4, sulle garanzie pubbliche.

[160] “... one-off guarantees are provided on a case by case approach, generally for rather significant amounts and under individual contractual arrangements. They are not offered under a general framework and imply a close follow-up by government, on an individual basis and not globally. In addition, it is frequent that they are subject to an examination of their impact by competition authorities.”  Tale descrizione è invariata rispetto alla precedente edizione del 2014.

[161] Si tratta di ipotesi particolari e di minore frequenza, per es. casi in cui la p.a. di diritto o di fatto si accolla l'intero debito garantito, si rilevano più escussioni parziali ripetute, la p. a. effettua pagamenti ad altro titolo in favore del soggetto garantito, la p. a. si indebita sul mercato per conto di un soggetto garantito, si verificano risanamenti di imprese già garantite dalla p. a. ecc.

[162] Cfr., in particolare, i paragrafi 8.100 e 20.92.

[163] Alla Camera con risoluzione 6-276, al Senato con risoluzione n. 1.

[164] In proposito si rileva che, in occasione dell’esame parlamentare del DL n. 99 del 2017, era stato segnalato il rischio di un possibile impatto delle operazioni ivi previste sull’indebitamento netto. Cfr. Dossier Camera dei deputati - Servizio Bilancio dello Stato, N. 555 del 6 luglio 2017 – A.C. 4565.

[165] Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 91 del 19 aprile 2016 (Serie Generale - Supplemento Ordinario n. 10).

[166] Con la Circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2009 (in GU 10 aprile 2009 n.84) sono stati esplicitati casi di possibile contabilizzazione off balance delle operazioni di PPP in applicazione della Decisione Eurostat 2004. In particolare, sono stati ritenuti contabilizzabili off balance i contratti di concessione di lavori pubblici affidati sia attraverso la procedura disciplinata dall'art.144 ss. del Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. n.163/2006), sia attraverso la Finanza di Progetto (artt. 153 ss. Codice dei Contratti Pubblici), i contratti di partenariato elencati dall'art.3, co.15-ter Codice dei Contratti Pubblici, nonché i contratti non elencati ma in cui sia previsto un finanziamento parziale o totale a carico del privato ed una allocazione dei rischi ripartita fra soggetto pubblico e privato in base ai criteri comunitari.

[167] Il “Manual on Governament deficit and debt – Implementation of ESA 95-2012 Edition” ai fini della classificazione on/off balance, indicava la necessità di prendere in considerazione, oltre ai criteri elencati nella decisione Eurostat 2004, anche i seguenti elementi: misura dei contributi pubblici, esistenza di garanzie fornite dalla PA, eventuali clausole di fine contratto favorevoli al concessionario, valore di riscatto degli asset a fine concessione.

[168] Il rischio di costruzione riguarda eventi relativi allo stato dell'asset al momento dell'avvio della fornitura del servizio, quali il ritardo nei tempi di consegna, il mancato rispetto degli standard di progetto, l'aumento di costi in corso d'opera, inconvenienti tecnici dell'opera o mancato completamento di essa.

[169] In tal senso esemplifica il Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico.

[170] Il rischio di disponibilità concerne la gestione dell'asset ed è connesso alla capacità di fornire la prestazione contrattuale quantitativamente e qualitativamente pattuita.

[171] Il rischio di domanda è collegato alla variabilità della domanda non dipendente dalla qualità della prestazione fornita dal concessionario della infrastruttura, bensì dipendente da altri fattori quali la presenza di alternative più convenienti per gli utenti, il ciclo di business, le nuove tendenze del mercato.

[172] UTFP (2004), “Partenariato Pubblico-Privato per la realizzazione di opere pubbliche: impatto sulla contabilità nazionale e sul debito pubblico. Decisione EUROSTAT 11 Febbraio 2004 “Treatment of public-private partnerships”, su www.utfp.it.

[173] È stato inoltre rilevato che assieme alla mancanza di banche dati affidabili e pubblicamente disponibili sui progetti PPP, che indichino gli impegni degli enti pubblichi per gli anni a venire, la registrazione fuori dal bilancio pubblico dei progetti PPP riduce il livello di informazioni trasparenti fornite all’opinione pubblica sugli impegni PPP a lungo termine e sulle connesse passività, e di conseguenza sul loro impatto sui livelli di debito e disavanzo degli Stati membri interessati. Corte dei conti europea, Partenariati pubblico-privato nell’UE: carenze diffuse e benefici limitati (presentata in virtù dell’articolo 287, paragrafo 4, secondo comma, del TFUE), Relazione speciale n.09, 2018.

[174] In particolare, essa può costituire un elemento addizionale nella scelta di contabilizzazione on balance dell’infrastruttura nel caso in cui:

·      si concordi un prezzo fisso che l’amministrazione dovrà pagare alla scadenza del contratto e che non rispecchi il valore di mercato dell’asset;

·      sia previsto un prezzo di riscatto più alto del valore economico atteso;

·      sia previsto un prezzo più basso del valore economico atteso perché l’amministrazione ha già pagato in precedenza per l’acquisizione dell’asset.

[175] Si rammenta che a partire da settembre 2014, con la pubblicazione di una nuova versione di conti nazionali è stato adottato dagli Stati membri dell'Unione il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali - Sec 2010 - in sostituzione del Sec 95. Il nuovo sistema, definito nel Regolamento UE (549/2013) pubblicato il 26 giugno 2013, è il risultato della stretta collaborazione fra l'ufficio statistico della Commissione (Eurostat) e i contabili nazionali degli Stati membri. Il Sec 2010 definisce i principi e i metodi di contabilità nazionale a livello europeo. Fissa in maniera sistematica e dettagliata il modo in cui si misurano le grandezze che descrivono il funzionamento di una economia, in accordo con le linee guida internazionali stabilite nel Sistema dei conti nazionali 2008. Rispetto alla precedente versione del 1995 (in vigore dal 1999), il Sec 2010 presenta alcune importanti differenze riguardo sia l'ambito di applicazione, sia i concetti. Il nuovo sistema riflette infatti gli sviluppi e i progressi metodologici nella misurazione delle economie moderne che si sono consolidati a livello internazionale e, allo stesso tempo, viene incontro alle esigenze degli utilizzatori, migliorando in alcuni casi la tempestività nella diffusione dei risultati.

[176] Sul leasing finanziario immobiliare in costruendo, si veda: Corte dei conti, Sezioni Riunite, delibera 16 settembre 2011, n. 49. In tale circostanza, secondo la Corte pur non rientrando il contratto di leasing finanziario nell'elenco delle operazioni costituenti indebitamento ai sensi dell'art.3, co.17, L.350/2003, tuttavia l'Ente, con tale operazione, vincola e destina in via continuativa una parte delle risorse disponibili per pagare i canoni di locazione. Dunque si tratterebbe di un vincolo che, indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione, sarebbe assimilabile al debito ove i rischi inerenti l'esecuzione dell'opera e quelli relativi alla sua gestione ricadano sulla PA. La citata disposizione cioè, con le parole “assunzione di mutui” avrebbe voluto ricomprendere le diverse fattispecie in cui si fa ricorso a finanziamenti e quindi anche lo schema di contratto misto in questione potrebbe essere annoverato tra le forme di indebitamento.

In tema di contratto di disponibilità si veda: Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia, parere 31 maggio 2012 n.66.

In tema di appalto di servizi con Finanziamento Tramite Terzi (FTT) si veda: Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Puglia, 31 ott. 2013, 161/2013/PAR. In sintesi, secondo la Corte dei Conti, per l'individuazione dell'esatta contabilizzazione (al fine, in particolare, della loro iscrizione nel titolo della spesa corrente) dei canoni da versare al soggetto privato aggiudicatario della gara, si deve tener conto della natura dell'operazione contrattuale concretamente realizzata dalle parti.  Qualora lo schema contrattuale possedesse soltanto il nomen o gli aspetti meramente formali del contratto di PPP, integrando invece una vera e propria forma di finanziamento, il canone versato dalla PA dovrà essere allocato, per la quota afferente le opere di manutenzione straordinaria al Titolo III tra le spese per rimborso prestiti, per le quote inerenti spesa per consumi e per manutenzione ordinaria al Titolo I tra la spesa corrente.

[177] Ai sensi dell’articolo 1, comma 466, della legge n. 232/2016 e dell’articolo 9, comma 1-bis, della legge n. 243/2012.

[178] Art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, della legge n. 164/2016, che novella l’art. 9 della legge n. 243/2012.