Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Governance del PNRR e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure - VOL. 1
Riferimenti: AC N.3146/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 447/2 vol.1
Data: 22/07/2021
Organi della Camera: Assemblea

 

Governance del PNRR e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure

 

Volume I

Articoli 1-37bis

 

D.L. 77/2021 – A.C. 3146-A/R

22 luglio 2021

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 447/2 VOL.1

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE

Schede di lettura

§  Articolo 1 del disegno di legge di conversione (Conversione in legge e monitoraggio parlamentare sull’attuazione del PNRR e del Piano complementare) 3

§  Articolo 1 (Principi, finalità e definizioni) 7

§  Articolo 2 (Cabina di regia) 9

§  Articolo 3 (Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale) 16

§  Articolo 4 (Segreteria tecnica) 17

§  Articolo 4-bis (Supporto tecnico all’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità in attuazione del PNRR) 19

§  Articolo 5 (Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione e Ufficio per la semplificazione) 23

§  Articolo 6 (Monitoraggio e rendicontazione del PNRR) 30

§  Articolo 6-bis (Piano nazionale dei dragaggi sostenibili) 34

§  Articolo 7 (Controllo, audit, anticorruzione e trasparenza) 37

§  Articolo 8, commi 1-6 (Attuazione degli interventi del PNRR) 47

§  Articolo 8, commi 6-bis, 6-ter e 6-quater (Norme sul personale del Ministero del Turismo e dell’ENIT) 50

§  Articolo 8-bis (Disposizioni per l'attuazione del programma di Governo) 54

§  Articolo 9 (Attuazione degli interventi) 57

§  Articolo 10 (Misure per accelerare gli investimenti pubblici) 58

§  Articolo 11 (Rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti) 62

§  Articolo 11-bis (Basi dati con informazioni da archivi amministrativi per attuazione PNRR) 65

§  Articolo 12 (Poteri sostitutivi) 69

§  Articolo 13 (Superamento del dissenso) 78

§  Articolo 14 (Estensione della disciplina del PNRR agli investimenti del Piano nazionale complementare) 82

§  Articolo 14-bis (Governance degli interventi del Piano complementare nei territori del sisma 2009 e 2016) 90

§  Articolo 15 (Procedure finanziarie e contabili) 93

§  Articolo 15-bis (Semplificazione della rettifica degli allegati a e a/2 al rendiconto 2020 per gli enti locali) 101

§  Articolo 16 (Norma finanziaria) 103

§  Articolo 17 (Commissione tecnica VIA per i progetti PNRR-PNIEC) 107

§  Articolo 18 (Opere e infrastrutture strategiche per la realizzazione del PNRR e del PNIEC) 114

§  Articolo 18-bis (Intesa delle regioni) 117

§  Articolo 19 (Disposizioni relative al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e consultazione preventiva) 118

§  Articolo 20 (Nuova disciplina della valutazione di impatto ambientale e disposizioni speciali per gli interventi PNRR-PNIEC) 121

§  Articolo 21 (Avvio del procedimento di VIA e consultazione del pubblico) 127

§  Articolo 22 (Nuova disciplina in materia di provvedimento unico ambientale) 130

§  Articolo 22-bis (Ulteriori disposizioni finalizzate ad accelerare le procedure amministrative per la cessione di aree nelle quali sono stati edificati alloggi di edilizia residenziale pubblica) 133

§  Articolo 23 (Fase preliminare al provvedimento autorizzatorio unico regionale) 137

§  Articolo 24 (Provvedimento autorizzatorio unico regionale) 142

§  Articolo 24-bis (Autorizzazione unica per la realizzazione di interventi edilizi rilevanti nelle strutture turistiche) 146

§  Articolo 25 (Determinazione dell’autorità competente in materia di VIA e preavviso di rigetto) 149

§  Articolo 26 (Monitoraggio delle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di VIA) 153

§  Articolo 27 (Interpello ambientale) 154

§  Articolo 28 (Modifica della disciplina concernente la valutazione ambientale strategica) 156

§  Articolo 29 (Soprintendenza speciale per il PNRR e ulteriori misure urgenti per l’attuazione del PNRR) 162

§  Articolo 30 (Interventi localizzati in aree contermini) 166

§  Articolo 31 (Semplificazione per gli impianti di accumulo e fotovoltaici e individuazione delle infrastrutture per il trasporto del GNL in Sardegna) 170

§  Articolo 31-bis (Misure di semplificazione per gli impianti di biogas e di biometano) 187

§  Articolo 31-ter (Misure per la promozione dell'economia circolare nella filiera del biogas) 193

§  Articolo 31-quater (Impianti di produzione e pompaggio idroelettrico) 195

§  Articolo 31-quinquies (Semplificazione del sistema di tenuta delle scorte di sicurezza petrolifere) 197

§  Articolo 32 (Semplificazione in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili - Semplificazione delle procedure di repowering) 201

§  Articolo 32-bis (Semplificazione dei procedimenti per impianti idroelettrici di piccole dimensioni) 208

§  Articolo 32-ter (Norme di semplificazione in materia di infrastrutture di ricarica elettrica) 209

§  Articolo 32-quater (Semplificazioni in materia di sistemi di qualificazione degli installatori) 214

§  Articolo 33 (Semplificazione Superbonus) 217

§  Articolo 33-bis (Modifiche disciplina Superbonus) 224

§  Articolo 33-ter (Modifica all'articolo 57 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, in tema di manomissione e l'occupazione di suolo pubblico per l'installazione di infrastrutture per la ricarica elettrica - SOPPRESSO) 229

§  Articolo 33-quater (Riforma del sistema di riscossione degli oneri generali di sistema) 230

§  Articolo 34 (End of waste) 234

§  Articolo 35 (Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare) 240

§  Articolo 35-bis (Misure di semplificazione e di promozione dell’economia circolare nella filiera foresta-legno) 267

§  Articolo 36 (Semplificazioni in materia di economia montana e forestale) 271

§  Articolo 36-bis (Prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e idraulico in Calabria) 281

§  Articolo 36-ter (Misure di semplificazione e accelerazione per il contrasto al dissesto idrogeologico) 283

§  Articolo 37 (Misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali) 302

§  Articolo 37-bis (Misure per la prevenzione dell'inquinamento del suolo) 327

§  Articolo 37-ter (Modifiche al progetto «Bellezz@ - Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati») 328

§  Articolo 37-quater (Fondo per gli interventi di messa in sicurezza e risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi) 331

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1 del disegno di legge di conversione
(Conversione in legge e monitoraggio parlamentare sull’attuazione del PNRR e del Piano complementare)

 

L’articolo 1 del disegno di legge dispone la conversione del decreto-legge in esame e prevede l’entrata in vigore della legge di conversione il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Nel corso dell’esame in sede referente sono state aggiunti alcuni commi (da 2 a 7) relativi agli obblighi di trasmissione alle Camere della documentazione necessaria ad assicurare il monitoraggio parlamentare sull’attuazione dei progetti previsti dal PNRR e sulle relative scadenze.

 

Le previsioni introdotte all’articolo 1 del disegno di legge di conversione, in materia di monitoraggio parlamentare del PNRR e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR, integrano quanto previsto nell’ambito del decreto-legge in titolo, con particolare riguardo alle disposizioni dell’articolo 2, che dispongono la trasmissione al Parlamento, da parte della Cabina di regia, di una relazione semestrale sullo stato di attuazione del PNRR.

 

A sua volta, l’articolo 7 prevede che la Corte dei conti riferisca al Palamento sullo stato di attuazione del PNRR per i profili di competenza, con particolare riguardo al controllo esercitato sulla gestione ai sensi della legge n. 20 del 1994.

 

Con le previsioni aggiunte all’articolo 1 del disegno di legge di conversione, allo scopo di assicurare al Parlamento di procedere ad un monitoraggio efficace sull’attuazione dei progetti previsti dal PNRR e sul rispetto dei termini, nonché di prevenire, rilevare e correggere eventuali criticità relative all'attuazione del PNRR, il Governo è altresì tenuto a fornire alle Commissioni parlamentari competenti:

-   le informazioni e i documenti utili per esercitare il controllo sull'attuazione del PNRR e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (comma 2);

-   i dati, gli atti, le informazioni e i documenti necessari allo svolgimento dei loro compiti (comma 3);

-   i documenti, riguardanti le materie di competenza delle medesime, inviati agli organi dell'Unione europea relativamente all'attuazione del PNRR (comma 4).

 

Per una analisi dettagliata della struttura del PNRR e degli Allegati alle decisioni UE si rinvia al dossier di documentazione predisposto dai Servizi Studi di Camera e Senato.

 

Si prevede quindi che le Commissioni parlamentari competenti, sulla base delle informazioni ricevute e dell'attività istruttoria svolta, anche in forma congiunta, con le modalità definite dalle intese tra i Presidenti della Camera e del Senato, monitorano lo stato di realizzazione del PNRR e i progressi compiuti nella sua attuazione, anche con riferimento alle singole misure, con particolare attenzione al rispetto e al raggiungimento degli obiettivi inerenti alle priorità trasversali del medesimo Piano, quali il clima, il digitale, la riduzione dei divari territoriali, la parità di genere e i giovani. Possono quindi formulare osservazioni ed esprimere valutazioni utili ai fini della migliore attuazione del PNRR nei tempi previsti (comma 5).

 

Si ricorda che la legge di contabilità e finanza pubblica (n. 196 del 2009) reca - all’articolo 4 – disposizioni volte ad assicurare il controllo parlamentare sui documenti di bilancio e le procedure di finanza pubblica, con un’impostazione in gran parte analoga a quella prevista dalle disposizioni in esame, riferite al PNRR e alla sua attuazione nei tempi previsti.

 

L’articolo 4 della legge n. 196 del 2009 prevede in particolare che il Governo, nel rapporto sullo stato di attuazione della riforma della contabilità e finanza pubblica e su richiesta delle Commissioni parlamentari competenti, fornisce alle medesime Commissioni tutte le informazioni utili ad esercitare un controllo costante sull'attuazione della presente legge. Sulla base delle informazioni ricevute e dell'attività istruttoria svolta anche in forma congiunta con le modalità definite dalle intese tra le due Camere, le Commissioni parlamentari competenti formulano osservazioni ed esprimono valutazioni utili alla migliore impostazione dei documenti di bilancio e delle procedure di finanza pubblica.

In relazione a quanto previsto, i Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, al fine di favorire lo svolgimento congiunto dell'attività istruttoria utile al controllo parlamentare e di potenziare la capacità di approfondimento dei profili tecnici della contabilità e della finanza pubblica da parte delle Commissioni parlamentari competenti, adottano intese volte a promuovere le attività delle due Camere, anche in forma congiunta, nonché l'integrazione delle attività svolte dalle rispettive strutture di supporto tecnico, con particolare riferimento ai seguenti ambiti: 

a) monitoraggio, controllo e verifica degli andamenti della finanza pubblica e analisi delle misure finalizzate al miglioramento della qualità della spesa, con particolare riferimento all'individuazione di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi di bilancio;

b) verifica dello stato di attuazione del processo di riforma e dell'adeguamento della struttura del bilancio, con particolare riferimento al potenziamento della funzione del bilancio di cassa e al suo collegamento con la contabilità economica, alla ridefinizione funzionale dei programmi in rapporto a precisi obiettivi, alla classificazione delle tipologie di spesa e ai parametri di valutazione dei risultati;

c) analisi del contenuto informativo necessario dei documenti trasmessi dal Governo, al fine di assicurare un'informazione sintetica, essenziale e comprensibile, con il grado di omogeneità sufficiente a consentire la comparabilità nel tempo tra settori, livelli territoriali e tra i diversi documenti;

d) verifica delle metodologie utilizzate dal Governo per la copertura finanziaria delle diverse tipologie di spesa, nonché per la quantificazione degli effetti finanziari derivanti da provvedimenti legislativi, e identificazione dei livelli informativi di supporto della quantificazione, nonché formulazione di indicazioni per la predisposizione di schemi metodologici distinti per settore per la valutazione degli effetti finanziari;

e) analisi delle metodologie utilizzate per la costruzione degli andamenti tendenziali di finanza pubblica, anche di settore, delle basi conoscitive necessarie per la loro verifica, nonché riscontro dei contenuti minimi di raccordo tra andamenti tendenziali e innovazioni legislative.

 

In tale quadro, come già stabilito dalla legge n. 196 del 2009 per l’esame di documenti di finanza pubblica, si prevede che i Presidenti delle Camere possano adottare intese volte a promuovere le attività delle Camere, anche in forma congiunta, nonché – come disposto dall’articolo 4 della suddetta legge n. 196, come modificato dalla legge n. 39 del 2011 - l'integrazione delle attività svolte dalle rispettive strutture di supporto tecnico.

Finalità è quella di favorire lo svolgimento congiunto dell'attività istruttoria utile al controllo parlamentare e di potenziare la capacità di approfondimento dei profili tecnici a supporto delle Commissioni parlamentari competenti (comma 7).

 

Si prevede infine che le Camere possano stipulare con il Ministero dell'economia e delle finanze una convenzione per disciplinare le modalità di fruizione dei dati di monitoraggio rilevati dal Sistema informativo unitario «ReGiS» (comma 6).

Il PNRR richiama espressamente l’obiettivo dell’integrazione tra il Piano medesimo e il Piano nazionale complementare, da realizzare con la messa in opera di strumenti attuativi comuni e di un sistema di monitoraggio unitario, tramite il sistema informativo “ReGis” previsto dalla legge di bilancio 2021.

 

Relativamente al collegamento con i lavori legislativi in corso, si segnala che nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge europea (A.S. 2169) è stata approvata in Commissione una proposta emendativa (Candiani 34.0.4) che, al nuovo articolo 34-bis, reca disposizioni sul monitoraggio parlamentare sull’attuazione del PNRR.

 


 

Articolo 1
(Principi, finalità e definizioni)

 

L’articolo 1 definisce le finalità del decreto-legge, reca le definizioni utilizzate nel testo del provvedimento e chiarisce che le disposizioni in esso contenute sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (ai sensi dell’art.117, comma 2, lett. a), della Costituzione) e definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione).

 

Il comma 1 espone le finalità del decreto-legge, volto a definire il quadro normativo nazionale per semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti:

·       dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)[1];

·       dal Piano nazionale degli investimenti complementari[2];

·       dal Piano nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030[3].

 

Il comma 2 prevede che ai fini del decreto e della sua attuazione assume preminente valore l'interesse nazionale alla sollecita e puntuale realizzazione degli interventi inclusi nei Piani indicati al comma 1, nel pieno rispetto degli standard e delle priorità dell'Unione europea in materia di clima e di ambiente.

 

Il comma 3 chiarisce che le disposizioni contenute nel decreto-legge sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (ai sensi dell’art.117, comma 2, lett. a), della Costituzione) e definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione).

 

 


 

Articolo 2
(Cabina di regia)

 

L'articolo 2, modificato in sede referente, disciplina la Cabina di regia preposta in via generale all'indirizzo, impulso e coordinamento della fase attuativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Essa è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Vi partecipano i Ministri (ed i Sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri) competenti, in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in relazione alle tematiche di rilievo territoriale.

Tra le funzioni attribuite alla Cabina di regia è prevista la trasmissione al Parlamento di una relazione sullo stato attuazione del Piano nonché di ogni elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l'efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti.

Infine, nel corso dell’esame in sede referente è stato previsto che le amministrazioni centrali titolari di interventi previsti dal PNRR assicurano che, in sede di definizione delle procedure di attuazione degli interventi del PNRR, almeno il 40 per cento delle risorse allocabili territorialmente, anche attraverso bandi, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle regioni del Mezzogiorno, salve le specifiche allocazioni territoriali già previste nel PNRR.

 

 

Relativamente all’articolazione del decreto legge in esame, si ricorda preliminarmente che la Parte I del decreto-legge disciplina la cd. governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il Titolo I definisce in particolare il relativo complesso organizzativo; il Titolo II, la strumentazione procedimentale (quanto a poteri sostitutivi nonché a modalità di superamento del dissenso) e procedurale-finanziaria.

Il Titolo I si apre con l’articolo 1 definitorio, riepilogativo delle principali espressioni impiegate nell'articolato del decreto-legge.

A seguire, sono determinati organi e funzioni mirati alla realizzazione del Piano secondo quanto preannunciato, negli elementi portanti, nel testo del PNRR.

In primo luogo, presso la Presidenza del Consiglio è dunque istituita una sede di generale indirizzo, impulso, coordinamento della fase attuativa del Piano: una "Cabina di regia" (a composizione 'mobile', con i diversi Ministri interessati, a seconda delle materie trattate: art. 2), coadiuvata da una "Segreteria tecnica" (art. 4), la quale ultima è altresì operativa rispetto ad un "Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale" (art. 3) inteso quale sede consultiva di raccordo con parti sociali, enti territoriali, mondo produttivo e della ricerca, società civile. Altro soggetto è una neo-istituita (ancora presso la Presidenza del Consiglio) Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell'efficacia della regolazione (art. 5).

Presso il Ministero dell'economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato) è invece prevista una sede di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo dell'attuazione del Piano: un "Servizio centrale per il PNRR" (art. 6), che agisce quale punto di contatto nazionale rispetto alle istituzioni dell'Unione europea. Gli si affiancano sedi di valutazione dell'andamento della fase attuativa (art. 7).

Spetta a ciascuna Amministrazione titolare di interventi previsti nel Piano la conduzione della fase attuativa, con alcune rimodulazioni organizzative mirate (art. 8 e art. 9). Specifiche disposizioni sono volte a rendere possibile una accelerazione realizzativa degli investimenti pubblici (art. 10) ed un rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti (art. 11).

 

L'articolo 2 ha per oggetto la "Cabina di regia".

Essa è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (ed il Presidente del Consiglio la presiede).

Partecipano alla Cabina di regia i Ministri (ed i Sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri)[4] competenti, in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta.

Partecipano alle sedute i Presidenti di Regioni e delle Province autonome, allorché siano esaminate questioni di competenza di quella Regione o Provincia.

Partecipano il Presidente della Conferenza delle regioni e province autonome, quando le questioni concernano più Regioni ovvero – come specificato nel corso dell’esame in sede referente - il Presidente dell’ANCI e il Presidente dell’UPI quando sono esaminate questioni di interesse locale.

In tutti i suddetti casi, partecipa inoltre il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il quale può presiedere, su delega del Presidente del Consiglio dei ministri.

Possono essere altresì invitati, in ragione della materia trattata, i rappresentanti dei soggetti attuatori e dei rispettivi organismi associativi, ed i referenti o rappresentanti del "partenariato economico e sociale" (il cui "tavolo permanente" è oggetto dell'articolo 3 del decreto-legge).

 

 

La Cabina di regia esercita poteri di "indirizzo, impulso e coordinamento generale" sull'attuazione degli interventi del Piano. Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato che resta ferma la disciplina prevista in via generale dall’articolo 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400 che disciplina le attribuzioni del Consiglio dei ministri ed individua le fattispecie che richiedono in via tassativa la deliberazione collegiale.

I poteri posti in capo alla Cabina di regia dall’articolo 2 riguardano:

·       l'elaborazione di indirizzi e linee guida per l'attuazione (anche con riferimento ai rapporti con i diversi livelli territoriali);

·       la ricognizione periodica e puntuale sullo stato di attuazione degli interventi (anche con formulazione di indirizzi relativi all'attività di monitoraggio e controllo);

·       il vaglio di temi o profili di criticità segnalati dai Ministri competenti per materia (e dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dalla Conferenza delle regioni e province autonome, con riferimento alle questioni di competenza regionale o locale);

·       il monitoraggio degli interventi che richiedano adempimenti normativi;

·       la promozione del coordinamento tra i diversi livelli di governo, con proposta di attivazione dei poteri sostitutivi (oggetto dell'articolo 12, qualora ne ricorrano le condizioni).

Ancora, essa assicura la cooperazione con il partenariato economico e sociale; promuove l'attività di comunicazione della 'sponsorizzazione' da parte del Next Generation Eu degli interventi del Piano (come prescritto dall'articolo 34 del Regolamento (UE) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza).

Il Presidente del Consiglio dei ministri può delegare lo svolgimento di specifiche attività ad un Ministro o Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

Propri della Cabina di regia sono inoltre alcuni compiti informativi.

Essa trasmette alle Camere con cadenza semestrale (per il tramite del Ministro per i rapporti con il Parlamento) una relazione sullo stato attuazione del Piano.

La Cabina di regia trasmette inoltre, anche su richiesta delle Commissioni parlamentari, ogni elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l'efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti, con particolare riguardo – come specificato nel corso dell’esame in sede referente – alle politiche di sostegno per l’occupazione e per l’integrazione socio-economica dei giovani, alla parità di genere e alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

In relazione alla documentazione da trasmettere alle Commissioni parlamentari competenti ai fini del monitoraggio dell’attuazione del Piano nelle sue diverse fasi attuative, sono dettate altresì previsioni dall’articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, nella parte inserita nel corso dell’esame in sede referente (v. supra).

 

Le informazioni comunque trasmesse al Parlamento ai sensi dell’articolo 2 in esame sono quelle indicate dall'articolo 1, comma 1045 della legge n. 178 del 2020, ossia i prospetti sull'utilizzo delle risorse del programma Next Generation EU e sui risultati raggiunti, nonché l'indicazione delle eventuali misure necessarie per accelerare l'avanzamento dei progetti e per una loro migliore efficacia.

Inoltre la Cabina di regia aggiorna periodicamente il Consiglio dei Ministri sullo stato di avanzamento degli interventi del Piano.

La relazione periodica sopra ricordata è trasmessa – per il tramite del Ministro per gli affari regionali e le autonomie e, come aggiunto in sede referente, della Segreteria tecnica prevista all’articolo 4 del decreto-legge in esame - alla Conferenza unificata nonché, come previsto in sede referente, al Tavolo permanente di cui all’articolo 3 (v. infra), i quali sono costantemente tenuti al corrente dal Ministro e dalla suddetta Segreteria tecnica circa lo stato di avanzamento degli interventi e le eventuali criticità attuative.

 

In base alle previsioni dell’articolo 2, l'azione della Cabina di regia non fa venir meno le funzioni di indirizzo e coordinamento in capo ai due Comitati interministeriali - per la transizione digitale; per la transizione ecologica - di recente istituzione (previsti dal decreto-legge n. 22 del 1° marzo 2021, rispettivamente all'art. 8 e all'art. 4).

Il raccordo tra questi soggetti è previsto nella forma di una informativa da parte dei due Comitati alla Cabina di regia, la quale al contempo può partecipare ai lavori di quelli mediante un proprio delegato.

E se alcune questioni non abbiano trovato soluzione entro i Comitati, le Amministrazioni centrali titolari di interventi possono sottoporne l'esame alla Cabina di regia.

 

Più in generale, può dirsi che la Cabina di regia si ponga al centro della 'rete' di soggetti preposti all'indirizzo, verifica o ausilio dell'attuazione, istituiti dal presente decreti-legge - dal Servizio centrale per il Piano (v. infra art. 6) all'Unità per la qualità della regolazione (v. art. 5), dal Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale (art. 3) alla Segreteria tecnica (art. 4) - ovvero già esistenti - dai Comitati interministeriali per la transizione digitale e la transizione ecologica all'Ufficio per il programma di governo operante presso la Presidenza del Consiglio.

Per quanto riguarda il rapporto fra la Cabina di regia e gli enti territoriali, una specifica funzione di raccordo è posta in capo al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Partecipa alle sedute della Cabina di regia e dei due Comitati interministeriali sopra ricordati, e su impulso di questi promuove le iniziative opportune (anche in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, nonché di Conferenza unificata), là dove sia necessario un coordinamento ed armonizzazione tra le funzioni statali di programmazione e attuazione degli investimenti previsti dal Piano da un lato, e l'esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni e al sistema delle autonomie locali dall'altro.

Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato che il Ministro per gli affari regionali e le autonomie partecipa alle sedute della Cabina di regia e dei suddetti Comitati anche al fine di assicurare l’armonizzazione con la programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali e di investimento europei.

 

Nei casi in cui quel coordinamento ed armonizzazione si rendano necessari, e si tratti di materie su cui Regioni e Province autonome "vantino uno specifico interesse", si viene inoltre a prevedere la partecipazione ai ricordati due Comitati interministeriali - per la transizione digitale; per la transizione ecologica - del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

Il coinvolgimento del Presidente di quella Conferenza risponde a un 'modulo' procedimentale già profilato per altro riguardo - ossia l'attuazione delle misure di contenimento dell'epidemia da Covid-19 - dal decreto-legge n. 19 del 2020 (all'art. 2).

Infine una novella modifica la composizione del Comitato interministeriale per la transizione ecologica, onde prevedere che di esso facciano parte due (non già uno, come attualmente previsto) rappresentanti della Presidenza del Consiglio, uno dei quali sia nominato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie.

Rimane invariata la restante articolazione di tale Comitato, composto dai Ministri della transizione ecologica, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del lavoro e delle politiche sociali e delle politiche agricole alimentari e forestali; partecipano altresì gli altri Ministri o loro delegati aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche poste all'ordine del giorno.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stata aggiunta una disposizione riguardante il personale che lavora presso le amministrazioni titolari di interventi del PNRR o del Piano di investimenti complementari, disponendo la sospensione dell’applicazione di disposizioni che possano determinarne il rientro presso l’amministrazione di appartenenza salvo i raggiunti limiti di età.

Nel dettaglio, è stato previsto che - in relazione alle specifiche esigenze connesse alla necessità di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, garantendo l’apporto delle professionalità adeguate al raggiungimento degli obiettivi riferiti al Piano, per il medesimo periodo in cui resta operativa la Cabina di regia - e comunque non oltre il 31 dicembre 2026 - è sospesa l’applicazione di disposizioni che, con riguardo al personale che a qualunque titolo presta la propria attività lavorativa presso le pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) titolari di interventi previsti nel PNRR, ovvero nel Piano nazionale per gli investimenti complementari (di cui all’articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni dalla legge 1° luglio 2021, n., 101) determinano il rientro del medesimo personale presso l’amministrazione statale di provenienza.

È escluso il personale che ha raggiunto il limite di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici.

 Resta in ogni caso ferma la possibilità di revoca dell’incarico, o di non rinnovo dello stesso, ai sensi della vigente disciplina.

Sul punto, si ricorda che, in via generale, l'art. 30, co. 2-sexies, del D.Lgs. 165/2001 dispone che le pubbliche amministrazioni - per motivate esigenze organizzative risultanti dai documenti di programmazione dei fabbisogni di personale - possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia. Tale limite temporale può tuttavia essere derogato, come specificato dal Dipartimento della Funzione pubblica nel parere n. 26908 del 14 ottobre 2014n. 26908 del 14 ottobre 2014 che, nel confermare il predetto comma 2-sexies quale norma generale di riferimento per le assegnazioni temporanee nelle PA, ha ritenuto che tale previsione non escluda la possibilità di un rinnovo, alla scadenza del termine, anche successivamente al triennio, salva la necessità di effettuare una nuova valutazione del fabbisogno professionale da parte dell'amministrazione di destinazione e delle esigenze organizzative di quella di appartenenza.

 

Resta inoltre fermo – come specificato nel corso dell’esame in sede referente tenuto conto del parere espresso dal Comitato per la legislazione (comma 6-bis) - che il Presidente del Consiglio dei ministri possa deferire singole questioni al Consiglio dei ministri perché stabilisca le direttive alle quali la Cabina di regia deve attenersi, nell'ambito delle norme vigenti.

L'articolo 6, comma 3, della legge n. 400 del 1988 prevede – in via generale - che il Presidente del Consiglio possa deferire singole questioni relative al lavoro dei comitati ministeriali al Consiglio dei ministri.

 

Inoltre, è stato aggiunto in sede referente che le amministrazioni centrali titolari di interventi previsti dal PNRR (le amministrazioni di cui al comma 1 dell'articolo 8) assicurano che, in sede di definizione delle procedure di attuazione degli interventi del PNRR, almeno il 40 per cento delle risorse allocabili territorialmente, anche attraverso bandi, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle regioni del Mezzogiorno, salve le specifiche allocazioni territoriali già previste nel PNRR.

Il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso i dati rilevati dal sistema di monitoraggio attivato dal Servizio centrale per il PNRR (di cui all'articolo 6) verifica il rispetto del predetto obiettivo e, laddove necessario, sottopone gli eventuali casi di scostamento alla Cabina di regia, che adotta le occorrenti misure correttive e propone eventuali misure compensative.

 


 

Articolo 3
(Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale)

 

L'articolo 3, modificato in sede referente, prevede l'istituzione di un Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, con funzioni consultive e con possibilità di segnalazione alla Cabina di regia e al Servizio centrale per il PNRR di profili ritenuti rilevanti per la realizzazione del Piano.

 

Tale disposizione prevede l'istituzione - mediante decreto del Presidente del Consiglio da adottarsi, come specificato in sede referente, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione - di un Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale.

Esso è composto da rappresentanti:

ü  delle parti sociali;

ü  del Governo;

ü  delle Regioni, degli Enti locali e dei rispettivi organismi associativi nonché di Roma capitale come specificato in sede referente;

ü  delle categorie produttive e sociali;

ü  del sistema dell’università e della ricerca scientifica;

ü  della società civile;

ü  delle organizzazioni della cittadinanza attiva, come aggiunto nel corso dell’esame in sede referente.

I componenti sono individuati sulla base della maggiore rappresentatività, della comprovata esperienza e competenza e di criteri oggettivi e predefiniti da individuare con il DPCM che dispone l’istituzione del Tavolo, come specificato in sede referente.

Non spettano loro compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

 

Il Tavolo permanente svolge funzioni consultive nelle materie e per le questioni connesse all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Inoltre può segnalare alla Cabina di regia (di cui all'art. 2) e al Servizio centrale per il Piano (di cui all'art. 6) ogni profilo ritenuto rilevante per una più efficace e tempestiva realizzazione del Piano, anche al fine di superare circostanze che le pongano ostacoli.

 


 

Articolo 4
(Segreteria tecnica)

 

L'articolo 4 prevede l'istituzione di una Segreteria tecnica, collocata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di supporto alle attività della Cabina di regia e del Tavolo permanente.

 

L'articolo 4 prevede l'istituzione - mediante decreto del Presidente del Consiglio[5] - di una Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Essa ha funzioni di supporto alle attività della Cabina di regia e del Tavolo permanente.

La sua durata è prevista quale: temporanea; “superiore a quella del Governo che la istituisce”; protraentesi fino al completamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza; con durata comunque non oltre il 31 dicembre 2026.

 

In proposito, si ricorda che in via generale il decreto legislativo n. 303 del 1999 (ordinamento della Presidenza del Consiglio), all’articolo 7, comma 4, prevede che “per lo svolgimento di particolari compiti per il raggiungimento di risultati determinati o per la realizzazione di specifici programmi, il Presidente istituisce, con  proprio  decreto, apposite strutture di missione, la cui durata temporanea, comunque non  superiore  a  quella  del  Governo  che le ha istituite, è specificata dall'atto istitutivo.”. In tal senso, la disposizione in esame appare costituire, una deroga implicita a tale principio generale.

Al tempo stesso, come evidenziato anche all’art. 5 del presente decreto-legge, si valuti l’opportunità di un coordinamento con il principio generale stabilito dall’articolo 31 della legge n. 400 del 1988 in base al quale “I decreti di conferimento di incarico ad esperti nonché quelli relativi a dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse dalla Presidenza del Consiglio dei ministri o di enti pubblici, con qualifica dirigenziale equiparata, in posizione di fuori ruolo o di comando, ove non siano confermati entro tre mesi dal  giuramento del Governo, cessano di avere effetto” (cd. Spoils System). Inoltre, ai sensi dell’art. 19 del Testo unico pubblico impiego (d. lgs. 165/2001) gli incarichi di funzione dirigenziale apicale (di cui al comma 3 del medesimo art. 19) cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. Andrebbe in particolare chiarito se con la specificazione prevista dalla disposizione in esame si intenda superata l’applicazione di tali previsioni per i componenti della istituenda Segreteria tecnica. La relazione illustrativa precisa infatti, riguardo a tale struttura, che “non è assoggettata al regime dello spoil system”.

 

Essa opera in raccordo con altre strutture della Presidenza del Consiglio: il Dipartimento per il coordinamento amministrativo; il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica; l'Ufficio per il programma di governo.

 

La Segreteria tecnica ha tra i suoi compiti:

ü  l'elaborazione di periodici rapporti informativi, indirizzati alla Cabina di regia (stilati sulla base dell'analisi e degli esiti del monitoraggio sull'attuazione del Piano, comunicati dal Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato);

ü  la segnalazione al Presidente del Consiglio delle azioni utili al superamento delle criticità segnalate dai Ministri competenti per materia;

ü  l'acquisizione dal Servizio centrale per il Piano (di cui all'art. 6) delle informazioni e dei dati di attuazione del Piano livello di ciascun progetto, anche con riguardo alla tempistica programmata e ad eventuali criticità rilevate nella fase di attuazione degli interventi;

ü  la proposta al Presidente del Consiglio dei casi da valutare ai fini dell'eventuale esercizio dei poteri sostitutivi sottoponendoli all’esame del Consiglio dei ministri (di cui all'articolo 13);

ü  l'istruzione dei procedimenti per il superamento del dissenso (di cui agli articoli 45 e 63).

L'autorizzazione di spesa qui prevista è di 200.000 euro per l'anno 2021, 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, aggiuntivi rispetto agli eventuali ulteriori stanziamenti definiti a valere sul bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Per la copertura finanziaria di tale onere, v. infra l'articolo 16 del decreto-legge.

 


 

Articolo 4-bis
(Supporto tecnico all’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità in attuazione del PNRR)

 

L’articolo 4-bis, inserito in sede referente, proroga fino al completamento del PNRR e comunque non oltre il 31 dicembre 2026, la Segreteria tecnica dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni delle persone con disabilità.  Gli oneri della proroga sono posti a valere sulle risorse del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

 

Più in particolare l’articolo 4-bis prevede che (comma 1), al fine di assicurare un adeguato supporto tecnico allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, di cui all’articolo 3 della legge 3 marzo 2009, n. 18[6], con specifico riferimento al monitoraggio delle riforme in attuazione del PNRR, venga prorogata fino al completamento del PNRR e comunque non oltre il 31 dicembre 2026, la Segreteria tecnica già costituita presso la soppressa Struttura di missione per le politiche in favore delle persone con disabilità di cui al DPCM 25 ottobre 2018.

 

 

Il citato D.P.C.M. ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una struttura di missione denominata “Struttura di missione per le politiche in favore delle persone con disabilità”, per la durata di un anno a decorrere dalla data del presente decreto, ponendola alle dirette dipendenze del Ministro per la famiglia e le disabilità. Ad essa viene attribuito il compito di assicurare gli adempimenti necessari per la realizzazione degli interventi connessi all’attuazione delle politiche volte a garantire la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità e a favorire la loro piena ed effettiva partecipazione e inclusione sociale, nonché la loro autonomia, in coerenza con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Il DPCM 25 ottobre 2018 definisce poi gli specifici compiti della struttura, la sua composizione de il trattamento economico dei suoi componenti.

 

Va ricordato che la citata Segreteria tecnica è stata prorogata fino al 31 dicembre 2023  dai commi 367 e 368 della legge di bilancio 2021 (L. n. 178/2020). Il citato comma 368 ha disposto che agli oneri per i compensi degli esperti della segreteria tecnica di cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri si avvale ai sensi dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, in numero non superiore a dieci, per un importo per ciascun anno, pari a 700.000 euro omnicomprensivi, si provvede a valere sulle risorse disponibili del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Più specificamente la RT al disegno di legge di bilancio ha precisato che le spese da sostenere per i suddetti compensi troveranno la loro copertura finanziaria tramite le risorse allocate sull'apposito capitolo di spesa “839-Spesa per gli esperti della Segreteria tecnica di supporto all'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità” iscritto nel CRI "Segretariato generale".

In precedenza la Segreteria tecnica  era già stata prorogata fino al 31 dicembre 2020 ad opera dell’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 162/2019[7].

Con la mancata attribuzione della delega in materia di disabilità al Ministro per la famiglia  il Presidente del Consiglio, con propri decreti (DPCM 4 ottobre 2019 e DPCM 21 ottobre 2019 di modifica dell’ordinamento delle strutture generali della Presidenza) ha prorogato fino al 31 dicembre 2019 la Struttura di missione e previsto dal 1° gennaio 2020 un apposito Ufficio autonomo della Presidenza del Consiglio che possa assicurare, in via permanente, le attività volte alla tutela e alla promozione dei diritti delle persone con disabilità.

L’Ufficio, in particolare, cura gli adempimenti necessari per la realizzazione degli interventi connessi all’attuazione delle politiche volte a garantire la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità e a favorire la loro piena ed effettiva partecipazione ed inclusione sociale, nonché la loro autonomia, in coerenza con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; cura la gestione e il supporto amministrativo per il funzionamento e l’esercizio dei compiti dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità di cui al comma 5 dell’art. 3 della legge 3 marzo 2009, n. 18; svolge le attività istruttorie connesse all’adozione degli atti, anche normativi, di competenza in materia di disabilità; svolge l’attività istruttoria ai fini della promozione di intese in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dirette a sviluppare una governance coordinata tra i diversi livelli di governo delle prestazioni e dei servizi socio-sanitari ed educativi in favore delle persone con disabilità; cura l’attività di informazione e di comunicazione istituzionale nelle materie di propria competenza, ivi compresa la divulgazione delle azioni positive e delle migliori pratiche; assicura la rappresentanza del Governo negli organismi nazionali, europei e internazionali competenti negli ambiti sopra indicati.

L’organizzazione interna del citato ufficio è stata disciplinata dal D.S.G. del 4 marzo 2020 che, all’articolo 4, prevede che la segreteria tecnica operi alle dirette dipendenze del Capo del Dipartimento.

 

 

Il comma 2 dispone che il contingente della Segreteria tecnica di cui al comma 1 è formato da personale non dirigenziale, in numero non superiore a quindici, in possesso di specifica e adeguata competenza nell’ambito delle politiche in favore delle persone con disabilità. Il suddetto contingente è composto da personale di ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero in posizione di fuori ruolo, comando o altra analoga condizione prevista dagli ordinamenti di appartenenza, proveniente da ministeri, organi, enti o istituzioni, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui si applica il trattamento economico previsto dall’articolo 9, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo.

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo 9 del d.lgs 303/1999, la Presidenza si avvale per le prestazioni di lavoro di livello non dirigenziale: di personale di ruolo, di personale di prestito, proveniente da altre amministrazioni pubbliche, ordini, organi, enti o istituzioni, in posizione di comando, fuori ruolo, o altre corrispondenti posizioni disciplinate dai rispettivi ordinamenti; di personale proveniente dal settore privato, utilizzabile con contratti a tempo determinato per le esigenze delle strutture e delle funzioni individuate come di diretta collaborazione; di consulenti o esperti, anche estranei alla pubblica amministrazione, nominati per speciali esigenze secondo criteri e limiti fissati dal Presidente.

Ai sensi del comma 5-ter del medesimo articolo, il personale dipendente di ogni ordine, grado e qualifica del comparto Ministeri chiamato a prestare servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso la Presidenza, mantiene il trattamento economico fondamentale delle amministrazioni di appartenenza, compresa l'indennità di amministrazione, ed i relativi oneri rimangono a carico delle stesse. Per il personale appartenente ad altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, chiamato a prestare servizio in analoga posizione, la Presidenza provvede, d'intesa con l'amministrazione di appartenenza del dipendente, alla ripartizione dei relativi oneri, senza pregiudizio per il trattamento economico fondamentale spettante al dipendente medesimo

 

La disposizione ricorda che, ai sensi dell’articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, in caso di utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.

 

Il predetto contingente può essere, altresì, composto, da personale di società pubbliche partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze, in base a rapporto regolato su base convenzionale, su parere favorevole del Ministero dell'economia e delle finanze, ovvero da personale non appartenente alla pubblica amministrazione (cioè da personale proveniente dal settore privato, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, sopra illustrato), il cui trattamento economico è stabilito al momento del conferimento dell’incarico.

Al riguardo appare opportuno chiarire se il numero massimo di 15 elementi, stabilito per il suddetto contingente, riguardi anche la partecipazione del personale di società pubbliche e del personale proveniente dal settore privato

 

 

Il comma 3 rimette ad un D.p.c.m., nei limiti complessivi dello stanziamento di cui al comma 5, la definizione delle modalità di formazione del contingente, della sua chiamata e le specifiche professionalità richieste.

 

Per la durata degli incarichi conferiti ad esperti con provvedimento adottato anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame il comma 4 dispone l’applicazione del primo periodo del comma 1 dell’articolo 4 (alla cui scheda si rinvia). Infine il comma 5 dispone sulla copertura finanziaria delle disposizioni in commento, prevedendo che per le finalità di cui all’articolo in esame è autorizzata la spesa di euro 200.000 per gli anni 2022 e 2023, aggiuntivi rispetto allo stanziamento di cui all’articolo 1, comma 368 della legge di bilancio 2021 (cfr. supra), e di euro 900.000 per gli anni 2024, 2025 e 2026, a valere sul bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

 


 

Articolo 5
(Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione e Ufficio per la semplificazione)

 

L’articolo 5 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione.

Reca inoltre disposizioni relative al funzionamento dell’Ufficio per la semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica, chiamato ad operare in raccordo con la suddetta Unità per la regolazione.

 

I commi da 1 a 4 dell’articolo 5 sono dedicati all’istituzione e al funzionamento dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione.

Il comma 1 istituisce presso la Presidenza del Consiglio la nuova struttura di missione denominata appunto “Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione”.

In base al comma 2, l’Unità è costituita presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL). La disposizione precisa anche che l’Unità avrà una durata temporanea ma “superiore a quella del Governo che la istituisce”; tale durata si protrae fino al completamento del PNRR ma comunque non oltre il 31 dicembre 2026.

 

In proposito, si ricorda che in via generale il decreto legislativo n. 303 del 1999 (ordinamento della Presidenza del Consiglio), all’articolo 7, comma 4, prevede che “per lo svolgimento di particolari compiti per il raggiungimento di risultati determinati o per la realizzazione di specifici programmi, il Presidente istituisce, con proprio decreto, apposite strutture di missione, la cui durata temporanea, comunque non superiore a quella del Governo che le ha istituite, è specificata dall'atto istitutivo.”. In tal senso, la disposizione in esame appare costituire, una deroga implicita a tale principio generale.

 

Il comma 2 prevede che all’Unità è affidato un contingente di personale nei limiti delle risorse stabilite dal comma 4. Si stabilisce anche che l’Unità operi in raccordo con il gruppo di lavoro sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) del Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della Presidenza del Consiglio (istituito ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 144 del 1999).

 

Il citato articolo 1 della legge n. 144 del 1999 prevede che “le amministrazioni centrali e regionali […] istituiscono e rendono operativi, entro il 31 ottobre 1999, propri nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici” che operano in raccordo fra loro e con il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Ministero dell’economia.

 

La disciplina dell’analisi di impatto della regolamentazione è invece recata dall’articolo 14 della legge n. 246 del 2005 che la definisce quale “valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative” La regolamentazione dell’AIR è affidata al regolamento approvato con il DPCM n. 169 del 2017.

 

Il comma 3 individua i seguenti compiti per l’Unità:

·       individuare gli ostacoli all’attuazione del PNRR derivanti da disposizioni normative e dalle relative misure attuative e proporre rimedi; a tal fine l’Unità riceverà segnalazioni dalla Cabina di regia istituita dall’articolo 2

·       coordinare l’elaborazione di proposte per superare le disfunzioni derivanti dalla normativa vigente e dalle relative misure attuative. A tal fine l’Unità utilizzerà anche le verifiche d’impatto della regolamentazione;

 

In base all’articolo 14 della legge n. 246 del 2005 le verifiche di impatto della regolamentazione (VIR) consistono nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Al riguardo, si segnala che, in base all’ultima relazione del Governo sull’analisi di impatto della regolamentazione (Doc. LXXXIII, n. 4), i piani per lo svolgimento della VIR predisposti dalle varie amministrazioni per il biennio 2021-2022 prevedono nel complesso la predisposizione della VIR per 13 provvedimenti.

 

·       elaborare un programma di azioni prioritarie ai fini della razionalizzazione e revisione normativa;

·       promuovere e potenziare iniziative di sperimentazione normativa, anche tramite relazioni istituzionali con analoghe strutture istituite in Paesi stranieri, europei ed extraeuropei; l’Unità dovrà inoltre tenere in adeguata considerazione le migliori pratiche di razionalizzazione e sperimentazione normativa a livello internazionale;

·       ricevere e considerare ipotesi e proposte di razionalizzazione e sperimentazione normativa formulate da soggetti pubblici e privati.

 

Il comma 4 autorizza per le attività dell’Unità la spesa di 200.000 euro per il 2021 e di 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026. Le risorse, che saranno aggiuntive rispetto a quelle del bilancio della Presidenza del Consiglio, sono individuate nell’ambito della copertura della parte prima del provvedimento ai sensi dell’articolo 16.

 

L’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione si affianca alla già esistente Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione istituita dall’articolo 1, comma 22-bis del decreto-legge n. 181 del 2006 che anche il comma 5 richiama.

 

Dell’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione fanno parte il Capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e i componenti sono scelti tra professori universitari, magistrati  amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari,  avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione all'albo professionale, dirigenti delle amministrazioni pubbliche ed esperti di elevata professionalità. Tra i compiti dell’Unità, in base al DPCM del 12 giugno 2013 rientrano “la semplificazione dell'ordinamento giuridico, l'abrogazione di norme desuete o disapplicate, il riassetto della normativa vigente mediante la redazione di codici e testi unici”.

 

Il comma 5 attribuisce nuovi compiti all’Ufficio per la semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica.

 

Si ricorda che l’Ufficio per la semplificazione è stato previsto da ultimo dall’articolo 6 del decreto del Ministro della pubblica amministrazione del 24 luglio 2020. In base a tale articolo, l’Ufficio “promuove e coordina l’elaborazione e l’attuazione delle politiche di semplificazione normativa e amministrativa finalizzate a migliorare la qualità della regolazione e le relazioni tra amministrazioni, cittadini e imprese, ridurre i tempi e gli oneri regolatori, accrescere la competitività e dare certezza ai diritti dei cittadini e alle attività di impresa, anche attraverso un’agenda condivisa tra Stato, Regioni ed Enti Locali”.

 

 In particolare si stabilisce che l’Ufficio per la semplificazione in raccordo con la già richiamata Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione, svolga i seguenti compiti:

·       promuovere e coordinare attività di rafforzamento della capacità amministrativa nella gestione di procedure complesse rilevanti ai fini del PNRR;

·       promuovere e coordinare interventi di semplificazione e “reingegnerizzazione” delle procedure e della predisposizione del catalogo dei procedimenti semplificati e standardizzati previsti nel PNRR;

·       promuovere interventi normativi e tecnologici di semplificazione anche attraverso un’agenda per la semplificazione condivisa con le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali;

Sulle precedenti esperienze dell’Agenda per la semplificazione si rinvia al box infra.

·       pianificare e verificare su base annuale gli interventi di semplificazione.

 

 

Le politiche di semplificazione

 

Le disposizioni dell’articolo 5 rappresentano l’ultima evoluzione delle politiche per la semplificazione normativa che sono ormai risalenti.

 

Da ultimo merita segnalare che l'articolo 24 del decreto-legge n. 90 del 2014 ha previsto l'istituzione dell'agenda per la semplificazione 2015-2017. In base alla norma, l'Agenda per la semplificazione, approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e previa intesa in sede di Conferenza unificata, contiene le linee di indirizzo condivise tra Stato, regioni, province autonome e autonomie locali e il cronoprogramma per la loro attuazione. L'Agenda prevede anche la possibilità di sottoscrivere intese ed accordi in sede di Conferenza unificata per il coordinamento delle attività delle diverse amministrazioni interessate.

L'Agenda prevedeva trentasette azioni in cinque settori strategici: la cittadinanza digitale; il welfare e la salute; il fisco; l'edilizia; l'impresa.

Il DEF 2018 segnalava che, in base all'ultimo rapporto di monitoraggio sull'agenda per la semplificazione, del novembre 2017, il 96 per cento delle azioni previste nell'agenda risulta attuato nei tempi previsti. In particolare vengono richiamati:

·       gli accordi raggiunti il 4 maggio e il 6 luglio 2017 in sede di Conferenza unificata sulla modulistica unificata e semplificata per le attività commerciali, artigianali ed edilizie (il rapporto specifica che si tratta dei moduli unificati per attività quali bar, ristoranti, attività di acconciatore e/o estetista, panifici, tintolavanderie);

·       la predisposizione di istruzioni per le nuove disposizioni in materia di Conferenza dei servizi e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività; il riferimento è, per la Conferenza dei servizi, al decreto legislativo n. 127 del 2016 e, per la SCIA ai decreti legislativi n. 126 e n. 222 del 2016, tutti attuativi delle deleghe di riforma della pubblica amministrazione previste dalla legge n. 124 del 2015, cd. "riforma Madia");

·       l'adozione del regolamento che individua gli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica e sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (il riferimento è al DPR n. 31 del 2017 che esonera dall'obbligo di autorizzazione paesaggistica particolari categorie di interventi, permettendo quindi che determinati interventi siano soggetti a "SCIA non condizionata", senza cioè necessità di acquisire atti di assenso in sede di conferenza dei servizi, anche in zone vincolate; il DPR prevede inoltre per ulteriori interventi una procedura più snella e semplificata.).

 

Il DEF 2018 ricorda anche le ulteriori misure adottate successivamente al novembre 2017:

·       l'accordo in sede di Conferenza unificata del 22 febbraio 2018 che ha adottato ulteriori moduli unificati e semplificati relativi alle attività produttive (il programma nazionale di riforma non esplicita a quali attività si faccia riferimento ma si tratta di quelle di commercio all'ingrosso, facchinaggio, imprese di pulizia e agenzie di affari di competenza del Comune)

·       il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti relativo al cd. glossario unico dell'edilizia; il decreto contiene l'elenco delle opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera (senza alcun titolo abilitativo, ferme restando però le prescrizioni degli strumenti urbanistici e le normative di settore, in particolare le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, quelle relative all'efficienza energetica e alla tutela dal rischio idrogeologico e quelle contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio); il riferimento, non esplicito nel testo, è al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 2 marzo 2018, attuativo del già ricordato decreto legislativo n. 222 del 2016; tra le opere realizzabili nel regime "libero" sopra richiamato merita segnalare l'installazione degli impianti di condizionamento.

 

Nel rapporto di monitoraggio vengono invece indicate come non ancora attuate:

·       l'accesso on line ai referti sanitari

·       la messa a regime dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR; vale a dire un'unica anagrafe chiamata a sostituire le oltre 8.100 anagrafe comunali, per integrare le informazioni relative al "domicilio digitale" dei cittadini e consentire il "censimento permanente")

·       la messa a regime del "bollo digitale" (cioè le marche da bollo digitali).

 

Il DEF 2018 richiama infine l'accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata nel dicembre 2017 per l'aggiornamento 2018-2020 dell'Agenda per la semplificazione. Tra le misure previste merita richiamare la verifica sistematica del funzionamento degli sportelli unici delle attività produttive (SUAP); l'incentivazione di interventi di "rigenerazione" urbana e territoriale e la riduzione del cd. gold-plating (vale a dire della prassi di introdurre, in sede di recepimento della normativa dell'Unione europea, ulteriori adempimenti non previsti da tale normativa).

 

Successivamente, l’articolo 15 del decreto-legge n. 76 del 2020 (cd. “DL semplificazioni”) ha previsto la predisposizione dell’agenda per la semplificazione 2020-2023, poi approvata con l’accordo in sede di Conferenza unificata del novembre 2020. Le azioni programmate dall’Agenda riguardano i seguenti ambiti:

·       la semplificazione e la “reingegnerizzazione” delle procedure

·       la velocizzazione delle procedure

·       la semplificazione e la digitalizzazione

·       la realizzazione di azioni mirate per il superamento degli ostacoli burocratici nei settori chiave del Piano di rilancio

I settori-chiave degli interventi programmati riguardano:

·       Tutela ambientale e green econom

·       Edilizia e rigenerazione urbana

·       Banda ultralarga

·       Appalti.

 

Da ultimo la semplificazione amministrativa rientra nel secondo asse di intervento della componente 1 della Missione 1 del PNRR, dedicato alle misure di “Innovazione della PA”. Gli investimenti e le riforme programmati dal Piano in tale ambito hanno la finalità di eliminare i vincoli burocratici, rendere più efficiente ed efficace l’azione della Pubblica Amministrazione, con l’effetto di ridurre tempi e costi per le imprese e i cittadini.

Nel Piano si constata che nonostante le politiche di semplificazione normativa e amministrativa siano state ripetutamente sperimentate in Italia nell'ultimo decennio, questi sforzi, tuttavia, non hanno prodotto effetti incisivi in termini di rimozione di vincoli e oneri, aumento della produttività del settore pubblico e facilità di accesso di cittadini e imprese a beni e servizi pubblici. Le cause di questa inefficienza sono da ricercare nel fatto che le azioni sono state condotte principalmente a livello normativo, con pochi e insufficienti interventi organizzativi, soprattutto a livello locale, nonché con investimenti molto limitati nel personale, nelle procedure e nelle tecnologie. Per questo il Piano intende accompagnare le azioni di riforma legislativa da un forte intervento a sostegno della capacità amministrativa, soprattutto attraverso adeguate azioni di supporto tecnico a livello locale, per reingegnerizzare i procedimenti in vista della loro digitalizzazione e assistere le amministrazioni locali nella transizione dal vecchio al nuovo regime.

A sua volta, la semplificazione normativa è trasversale rispetto alle materie trattate dal Piano. Nell’analisi fornita dal Piano, il numero eccessivo di leggi e la loro scarsa chiarezza costituiscono un ostacolo per la vita dei cittadini e un freno per le iniziative economiche.

 

Per le politiche di riduzione dello stock normativo, che si sono sviluppate in parallelo alle politiche di semplificazione, si rinvia al box contenuto nella scheda relativa all’articolo 66-bis.


 

Articolo 6
(Monitoraggio e rendicontazione del PNRR)

 

L'articolo 6 istituisce presso il MEF - Dipartimento RGS un ufficio centrale di livello dirigenziale denominato "Servizio centrale per il PNRR" con compiti di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR, articolato in sei uffici di livello dirigenziale non generale (comma 1). Istituisce inoltre, presso il medesimo dipartimento, cinque posizioni di funzione dirigenziale di livello non generale di consulenza, studio e ricerca per le esigenze degli Ispettorati competenti (comma 3). Per tali finalità autorizza la spesa di euro 930.000 per l'anno 2021 e di euro 1.859.000 a decorrere dall'anno 2022.

 

Nel dettaglio, il comma 1 istituisce presso il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (RGS) un ufficio centrale di livello dirigenziale generale, denominato Servizio centrale per il PNRR, con compiti di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR, che rappresenta il punto di contatto nazionale per l'attuazione del PNRR ai sensi dell'articolo 22 del Regolamento (UE) 2021/241, conformandosi ai relativi obblighi di informazione, comunicazione e di pubblicità.

 

Il regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza[8]. L'articolo 22 (Tutela degli interessi finanziari dell'Unione) del regolamento, in particolare, prevede (paragrafo 1), tra l'altro, che nell'attuare il dispositivo gli Stati membri, in qualità di beneficiari o mutuatari di fondi a titolo dello stesso, adottano tutte le opportune misure per tutelare gli interessi finanziari dell'Unione e per garantire che l'utilizzo dei fondi in relazione alle misure sostenute dal dispositivo sia conforme al diritto dell'Unione e nazionale applicabile, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l'individuazione e la rettifica delle frodi, dei casi di corruzione e dei conflitti di interessi. A tal fine, gli Stati membri prevedono un sistema di controllo interno efficace ed efficiente nonché provvedono al recupero degli importi erroneamente versati o utilizzati in modo non corretto. Gli Stati membri possono fare affidamento sui loro normali sistemi nazionali di gestione del bilancio.

 

L'articolo specifica che il Servizio centrale per il PNRR è inoltre responsabile della gestione del Fondo di Rotazione del Next Generation EU-Italia e dei connessi flussi finanziari, nonché della gestione del sistema di monitoraggio sull'attuazione delle riforme e degli investimenti del PNRR, assicurando il necessario supporto tecnico alle amministrazioni centrali titolari di interventi previsti nel PNRR di cui all'articolo 8 (si veda la relativa scheda).

 

Si rammenta che l'articolo 1, commi 1037-1050 della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) dettano una serie di misure per l’attuazione del Programma Next Generation EU.

In particolare, il “Fondo di rotazione per l’attuazione del Programma Next Generation EU” viene istituito nello stato di previsione del MEF quale anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall’Unione Europea (comma 1037). La dotazione del Fondo è pari a 32.766,6 milioni di euro per il 2021, a 40.037,4 milioni di euro per il 2022 e a 44.573 milioni per il 2023 (per un totale di 117,65 miliardi). Le dotazioni annuali del Fondo sono riportate nel prospetto riepilogativo allegato alla legge, a titolo di maggiori spese in conto capitale ai fini del saldo netto da finanziare, mentre non sono contabilizzati effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto.

Secondo quanto riportato nel prospetto riepilogativo, le finalizzazioni previste nella legge sono pari a 7.020,2 milioni nel 2021, 9.422,7 milioni nel 2022, 8.864,1 milioni nel 2023 e 9.055,6 milioni dal 2024, per un totale di 34.362,6 milioni (a fronte dei 117,65 miliardi della dotazione del Fondo).

Le risorse del Fondo sono versate su due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la tesoreria centrale dello Stato: sul primo conto corrente, denominato Ministero dell’economia e delle finanze attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a fondo perduto – sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto, mentre sul secondo conto corrente denominato Ministero dell’economia e delle finanze attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a titolo di prestito – sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante prestiti. Tali conti hanno amministrazione autonoma e costituiscono gestioni fuori bilancio, ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041 (comma 1038).

Le risorse giacenti sui conti correnti infruttiferi sono trasferite, in relazione al fabbisogno finanziario, a ciascuna amministrazione o organismo titolare dei progetti, mediante giroconto su conto corrente di tesoreria centrale appositamente istituito, sulla base delle procedure definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto del sistema di gestione e controllo del delle componenti del Programma Next Generation EU (comma 1039).

Qualora, invece, le risorse iscritte sul Fondo di rotazione per l’attuazione del Programma Next Generation EU siano utilizzate per progetti finanziati dal dispositivo di ripresa e resilienza dell’Unione europea che comportino minori entrate per il bilancio dello Stato, la norma prevede che un importo corrispondente alle predette minori entrate venga versato sulla contabilità speciale n.1778, intestata: “Agenzia delle Entrate - Fondi di bilancio” per la conseguente regolazione contabile mediante versamento sui pertinenti capitoli dello stato di previsione dell’entrata (comma 1040).

Le risorse erogate all’Italia dal bilancio dell’Unione europea per l’attuazione del Dispositivo di Ripresa e la Resilienza dell’Unione europea affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato su due distinti capitoli, rispettivamente relativi ai contributi a fondo perduto e ai prestiti. Ai medesimi capitoli affluiscono le risorse del Programma Next Generation EU oggetto di anticipazione nazionale da parte del Fondo di cui al comma 1037 (comma 1041).

 

Il Servizio centrale per il PNRR si articola in sei uffici di livello dirigenziale non generale e, per l'esercizio dei propri compiti, può avvalersi del supporto di società partecipate dallo Stato, come previsto all'articolo 9 (si veda la relativa scheda).

 

Il comma 2 specifica che nello svolgimento delle funzioni ad esso assegnate, il Servizio centrale per il PNRR si raccorda con l'Unità di missione e con gli Ispettorati competenti della RGS. Questi ultimi concorrono al presidio dei processi amministrativi e al monitoraggio anche finanziario degli interventi del PNRR per gli aspetti di relativa competenza. A tal fine, sono istituiti presso il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato cinque posizioni di funzione dirigenziale di livello non generale di consulenza, studio e ricerca per le esigenze degli Ispettorati competenti.

 

Nella relazione illustrativa che accompagna il decreto, il Governo precisa che il Servizio centrale per il PNRR provvede anche alla predisposizione e attuazione del programma di valutazione in itinere ed ex post delle misure e dei progetti del PNRR assicurando la coerenza degli obiettivi (target) e dei traguardi (milestone) anche ai fini della sottomissione della richiesta di pagamento alla Commissione europea.

Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento (UE) 2021/241 istitutivo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza «traguardi e obiettivi» sono le misure dei progressi compiuti verso la realizzazione di una riforma o di un investimento, intendendo per «traguardi» i risultati qualitativi e per «obiettivi» i risultati quantitativi.

 

Il comma 3 autorizza, per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, la spesa di euro 930.000 per l'anno 2021 e di euro 1.859.000 a decorrere dall'anno 2022. Per la copertura dei relativi oneri si rinvia all'articolo 16.

 

La relazione tecnica riporta le seguenti tabelle illustrative dei dettagli degli oneri complessivi derivanti dall'articolo in esame.

 

 

In dettaglio, gli oneri in ragione annua sono evidenziati nella seguente tabella.

 

 

 


 

Articolo 6-bis
(Piano nazionale dei dragaggi sostenibili)

 

L’articolo 6-bis, introdotto in sede referente, istituisce il Piano nazionale dei dragaggi sostenibili, al fine di consentire lo sviluppo dell'accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici e la manutenzione degli invasi e dei bacini idrici.

 

L’articolo 6-bis, introdotto in sede referente, prevede, al comma 1, l’approvazione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, di un decreto interministeriale del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e del Ministero per la transizione ecologica, di concerto con il Ministero della cultura, previa intesa in Conferenza unificata, riguardante il Piano nazionale dei dragaggi sostenibili, al fine di consentire lo sviluppo dell'accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici e la manutenzione degli invasi e dei bacini idrici.

Il citato decreto ministeriale dovrà tenere conto di quanto previsto dal decreto ministeriale di cui al comma 4 dell’articolo 114 del Codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) che fissa i criteri per la predisposizione del progetto di gestione degli invasi.

Il comma 1 prevede inoltre che l’approvazione del Piano nazionale dei dragaggi sostenibili si basi anche sulla programmazione delle Autorità di sistema portuale (ADSP) e delle Regioni con particolare riferimento ai programmi finanziati dal Piano complementare del PNRR, e di ulteriori risorse europee, nazionali, regionali e delle Autorità di sistema portuale (ADSP). Ai fini della tutela dell’ambiente marino, il Piano è attuato tenendo conto delle disposizioni di cui all’art. 109 del D, Lgs. 152/2006, recante misure per l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte.

In sintesi, l’art. 109 del Codice dell’ambiente, per la tutela dell'ambiente marino e in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, consente l'immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti: a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi; b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l'innocuità ambientale; c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri. L'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), è rilasciata dalla regione, fatta eccezione per gli interventi ricadenti in aree protette nazionali.

 

Il comma 2 attribuisce alle attività di dragaggio nelle infrastrutture portuali del territorio nazionale e nelle acque marino-costiere, la qualifica di interventi di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. Tali interventi costituiscono, ove occorra, variante al piano regolatore portuale e al piano regolatore del sistema portuale.

Il comma 3 prevede che l’autorizzazione alle attività di dragaggio venga rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla L. n. 241/1990.

Il rilascio dell'autorizzazione avviene con provvedimento conclusivo della conferenza dei servizi (art. 14-ter della L. n. 241/1990), da convocare da parte dell'autorità compente prevista (Stato o regione), e costituisce titolo alla realizzazione dei lavori, in conformità al progetto approvato.

Il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni. Resta ferma la disciplina del procedimento di valutazione di impatto ambientale, laddove richiesta. Le amministrazioni interessate nell’ambito del nuovo procedimento autorizzativo svolgono le proprie attività con le risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

Si ricorda che l'art. 1, comma 516, della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017) prevede che per la programmazione e realizzazione degli interventi necessari alla mitigazione dei danni connessi al fenomeno della siccità e per promuovere il potenziamento e l'adeguamento delle infrastrutture idriche, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, verrà adottato il Piano nazionale di interventi nel settore idrico, articolato in due sezioni: sezione "acquedotti" e sezione "invasi".

L'art. 1, comma 523, della L. 205/2017 ha previsto che, nelle more della definizione del Piano nazionale di cui al comma 516, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è adottato un piano straordinario per la realizzazione degli interventi urgenti in stato di progettazione definitiva, con priorità per quelli in stato di progettazione esecutiva, riguardanti gli invasi multiobiettivo e il risparmio di acqua negli usi agricoli e civili. Gli interventi previsti nel piano straordinario sono realizzati dai concessionari di derivazione o dai gestori delle opere mediante apposite convenzioni con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Nelle more della definizione del Piano nazionale di interventi nel settore idrico, con il D. Min. Infrastrutture e Trasp. 06/12/2018, n. 526, è stato adottato il Piano straordinario, per un importo complessivo di euro 249.882.932,40, composto di 30 interventi in stato di progettazione definitiva ed esecutiva riguardanti gli invasi multiobiettivo e il risparmio di acqua negli usi agricoli e civili. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al tema “Gestione e tutela delle acque”.

 

 


 

Articolo 7
(Controllo,
audit, anticorruzione e trasparenza)

 

L'articolo 7, come modificato in sede referente, definisce il meccanismo dei controlli sull'attuazione del PNRR attraverso: la creazione di un ufficio dirigenziale di livello non generale avente funzioni di audit presso il Dipartimento della RGS - IGRUE (comma 1); la specificazione delle funzioni e dell'articolazione organizzativa dell'Unità di missione istituita dalla legge di bilancio 2021 (commi 2 e 3); l'autorizzazione al MEF ad assumere 50 unità di livello non dirigenziale da destinare ai Dipartimenti del tesoro e delle finanze del medesimo Ministero (comma 2); l'autorizzazione del MEF - Dipartimento RGS a conferire sette incarichi di livello dirigenziale non generale e istituire una posizione di funzione dirigenziale di livello generale di consulenza, studio e ricerca (comma 4); la previsione della ridefinizione dei compiti degli uffici dirigenziali non generali del MEF, nelle more del perfezionamento del regolamento di organizzazione del predetto Ministero, ivi incluso quello degli uffici di diretta collaborazione (comma 5); l'attribuzione alla Sogei S.p.A. del compito di assicurare il supporto di competenze tecniche e funzionali all'amministrazione economica finanziaria per l'attuazione del PNRR, anche avvalendosi di Studiare Sviluppo s.r.l. (comma 6); l'individuazione della Corte dei Conti come organo istituzionalmente deputato al controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria (comma 7); l'attribuzione alle amministrazioni della facoltà di stipulare specifici protocolli d'intesa con la Guardia di finanza per rafforzare le attività di controllo, ferme restando le competenze in materia dell'ANAC (comma 8). Per l'attuazione di tali disposizioni l'articolo, infine, autorizza la spesa di euro 1.255.046 per l'anno 2021 e di euro 3.428.127 annui a decorrere dall'anno 2022 (comma 9).

 

Nel dettaglio, il comma 1 istituisce presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (RGS) - Ispettorato generale per i Rapporti finanziari con l'Unione europea (IGRUE) un ufficio dirigenziale di livello non generale avente funzioni di audit del PNRR ai sensi dell'articolo 22 paragrafo 2, lettera c), punto ii), del Regolamento (UE) 2021/241.

 

Il regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza[9]. L'articolo 22 (Tutela degli interessi finanziari dell'Unione) del regolamento, in particolare, prevede (paragrafo 2), una serie di obblighi a carico degli Stati membri derivanti dagli accordi di prestito (articolo 15, paragrafo 2) e dagli accordi per l'impegno del contributo finanziario (articolo 23, paragrafo 1). In particolare, tra tali obblighi figura anche quello di corredare una richiesta di pagamento di una sintesi degli audit effettuati, che comprenda le carenze individuate e le eventuali azioni correttive adottate (articolo 22, paragrafo 2, lettera c), punto ii)).

 

Il comma prosegue assicurando che l'ufficio di cui al primo periodo opera in posizione di indipendenza funzionale rispetto alle strutture coinvolte nella gestione del PNRR e si avvale, nello svolgimento delle funzioni di controllo relative a linee di intervento realizzate a livello territoriale, dell'ausilio delle Ragionerie territoriali dello Stato.

 

I commi 2 e 3 specificano le funzioni e l'articolazione organizzativa dell'Unità di missione di cui all'articolo 1, comma 1050, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020).

 

Come già rammentato nella scheda relativa all'articolo 6, l'articolo 1, commi 1037-1050, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) detta una serie di misure per l’attuazione del Programma Next Generation EU.

In particolare, il comma 1050 prevede l’istituzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2021, di un’apposita unità di missione presso il Dipartimento della RGS del MEF, con il compito di coordinamento, raccordo e sostegno delle strutture del Dipartimento medesimo a vario titolo coinvolte nel processo di attuazione del programma Next Generation EU.

Per tale finalità, il comma 1050 dispone l’istituzione di un posto di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca, di durata triennale rinnovabile una sola volta (si veda più oltre il comma 3 per la soppressione di tale limite). Al fine di assicurare l’invarianza finanziaria, sono resi indisponibili nell’ambito della dotazione organica del MEF un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale equivalente sul piano finanziario.

Per effetto delle suddette modifiche introdotte dall'articolo 1-bis, comma 7, lettera d), del decreto-legge n. 183 del 2020 al comma 1050, l’unità di missione può avvalersi, oltre che del personale di ruolo del MEF, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio del medesimo Ministero, di non più di 10 unità di personale non dirigenziale dipendente delle amministrazioni pubbliche, collocato fuori ruolo o in posizione di comando, distacco o altro analogo istituto previsto dagli ordinamenti delle amministrazioni di rispettiva appartenenza, ai sensi dell'articolo 17, comma 14, della legge n. 127 del 1997 - ai sensi del quale, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta - con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche.

Il medesimo articolo 1-bis, comma 7, lettera d), del decreto-legge n. 183 del 2020 apporta, inoltre, una modifica all'articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n. 123 del 2011 (Riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell'attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49 della legge 31 dicembre 2009, n. 196), al fine di precisare che per lo svolgimento delle attività di analisi e valutazione della spesa, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato può avvalersi di personale in posizione di comando, ai sensi dell'articolo 17, comma 14, della legge n. 127 del 1997, su richiesta del Ministero (anziché del Ministro) dell'economia e delle finanze.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame dispone che l'Unità di missione provvede, anche in collaborazione con le amministrazioni di cui all'articolo 8 (si veda la relativa scheda), alla predisposizione e attuazione del programma di valutazione in itinere ed ex post del PNRR, assicurando il rispetto degli articoli 19 (Valutazione della Commissione) e 20 (Proposta della Commissione e decisione di esecuzione del Consiglio) del Regolamento (UE) 2021/241, nonché la coerenza dei relativi obiettivi finali e intermedi. Concorre inoltre alla verifica della qualità e completezza dei dati di monitoraggio rilevati dal sistema di cui all'articolo 1, comma 1043, della legge di bilancio 2021 e svolge attività di supporto ai fini della predisposizione dei rapporti e delle relazioni di attuazione e avanzamento del Piano.

 

In sede referente, il comma 2 è stato integrato in modo di autorizzare il MEF, al fine di avviare tempestivamente le procedure di monitoraggio degli interventi del PNRR nonché di esercitare la gestione e il coordinamento dello stesso, per l'anno 2021, ad assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali, nei limiti della vigente dotazione organica, un contingente di personale non dirigenziale di alta professionalità, da destinare ai Dipartimenti del tesoro e delle finanze del medesimo Ministero, pari a 50 unità, da inquadrare nell'Area III, posizione economica F3, del comparto Funzioni centrali. Il reclutamento del suddetto contingente di personale è effettuato senza il previo svolgimento delle previste procedure di mobilità e mediante scorrimento delle vigenti graduatorie di concorsi pubblici.

 

In sede referente è stato inoltre inserito, dopo il comma 2, il comma ??2-bis in base al quale si precisa che l'ufficio del coordinamento legislativo del MEF svolge attività di consulenza giuridica per il Ministro, laddove la versione vigente dell'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 3 del regolamento di cui al D.P.R. n. 227 del 2003 (Regolamento per la riorganizzazione degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'economia e delle finanze), prevede che tale attività di consulenza venga svolta dall'ufficio anche per i Sottosegretari.

 

Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento (UE) 2021/241 istitutivo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza «traguardi e obiettivi» sono le misure dei progressi compiuti verso la realizzazione di una riforma o di un investimento, intendendo per «traguardi» (milestone) i risultati qualitativi e per «obiettivi» (target) i risultati quantitativi.

 

Si rammenta altresì che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1043, della legge di bilancio 2021, le amministrazioni e gli organismi titolari dei progetti finanziati sono responsabili della relativa attuazione conformemente al principio della sana gestione finanziaria ed alla normativa nazionale e comunitaria, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la correzione delle frodi, la corruzione ed i conflitti di interesse e realizzano i progetti, nel rispetto dei cronoprogrammi, per il conseguimento dei relativi i target intermedi e finali. Al fine di supportare le attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo delle componenti del programma Next Generation EU, il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, sviluppa e rende disponibile un apposito sistema informatico.

 

Il vigente comma 3 dell'articolo 3 del D.P.R. n. 227 del 2003 (Regolamento per la riorganizzazione degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'economia e delle finanze) riguarda l'ufficio del coordinamento legislativo del MEF e stabilisce quanto segue. L'ufficio del coordinamento legislativo è articolato in due sezioni, strutturate in distinte aree organizzative. Le predette sezioni sono denominate «Ufficio legislativo-Economia» ed «Ufficio legislativo-Finanze». La prima sezione è competente a trattare le questioni riferibili alle aree di attività indicate, rispettivamente, alle lettere a), b), c) ed e) del comma 1 dell'articolo 24 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; la seconda sezione è competente a trattare le questioni riferibili all'area di attività indicata alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 300 del 1999. L'ufficio del coordinamento legislativo cura l'attività di definizione delle iniziative legislative e regolamentari nelle materie di competenza del Ministero, con la collaborazione, anche ai fini dello studio e della progettazione normativa, dei competenti uffici dirigenziali generali e garantendo la valutazione dei costi e la regolazione, la qualità del linguaggio normativo, l'applicabilità delle norme introdotte e l'analisi dell'impatto e della fattibilità della regolamentazione, lo snellimento e la semplificazione normativa. Esamina i provvedimenti sottoposti al Consiglio dei Ministri e quelli di iniziativa parlamentare; cura, in particolare, il raccordo permanente con l'attività normativa del Parlamento, i conseguenti rapporti con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le altre amministrazioni interessate, anche per quanto riguarda l'attuazione normativa di atti dell'Unione europea. Cura il contenzioso internazionale, comunitario, costituzionale nonché gli adempimenti relativi al contenzioso sugli atti del Ministro. Cura le risposte agli atti parlamentari di controllo e di indirizzo riguardanti il Ministero ed il seguito dato agli stessi e svolge attività di consulenza giuridica per il Ministro e per i Sottosegretari.

 

Il comma 3 prevede che l'Unità di missione è composta di due uffici dirigenziali di livello non generale. Essa provvede altresì a supportare le attività di valutazione delle politiche di spesa settoriali di competenza del Dipartimento della RGS e a valorizzare il patrimonio informativo relativo alle riforme e agli investimenti del PNRR anche attraverso lo sviluppo di iniziative di trasparenza e partecipazione indirizzate alle istituzioni e ai cittadini. Conseguentemente all'articolo 1, comma 1050, della legge di bilancio 2021, si sopprime il limite relativo alla durata triennale e alla rinnovabilità per una sola volta del posto di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca. In base alle modifiche approvate in sede referente, si sopprime altresì la previsione del medesimo comma 1050 secondo cui, al fine di assicurare l'invarianza finanziaria, è reso indisponibile nell'ambito della dotazione organica del Ministero dell'economia e delle finanze un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale equivalente sul piano finanziario.

 

Il comma 4 prevede che per le finalità dell'articolo 6 (si veda la relativa scheda) e del presente articolo, il MEF - Dipartimento RGS è autorizzato a conferire 7 incarichi di livello dirigenziale non generale ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, anche in deroga ai limiti ivi previsti, e a bandire apposite procedure concorsuali pubbliche e ad assumere, in deroga ai vigenti limiti assunzionali o - in base alle modifiche approvate in sede referente - a ricorrere alle deroghe previste dall'articolo 1, comma 15, del decreto-legge n. 80 del 2021, per le restanti unità di livello dirigenziale non generale. In sede referente è stato altresì previsto che, per le finalità di cui al presente articolo, presso il citato Dipartimento della RGS è istituita una posizione di funzione dirigenziale di livello generale di consulenza, studio e ricerca. Il MEF può avvalersi del supporto della società Studiare Sviluppo srl, anche per la selezione delle occorrenti professionalità specialistiche.

 

Si rammenta che l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 dispone che ciascuna amministrazione può conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato a persone di comprovata qualificazione professionale esterne all'amministrazione, ovvero a personale pubblico non dirigente (anche appartenente all'amministrazione conferente), entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di dirigente e del 10% della dotazione di quelli di seconda fascia (quest’ultima percentuale è stata così rideterminata dall’art. 1, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge 162 del 2019). La durata degli incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale generale, di Segretario generale di Ministeri, di dirigente generale di strutture articolate in uffici dirigenziali generali, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni.

 

In materia di limiti alle facoltà assunzionali della pubblica amministrazione si veda l'approfondimento disponibile nell'ambito dei temi web della Camera dei deputati.

 

L'articolo 1 (Modalità speciali per il reclutamento e il conferimento di incarichi professionali per l’attuazione del PNRR da parte delle amministrazioni pubbliche), comma 15, del decreto-legge n. 80 del 2021 autorizza le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001 che siano “impegnate nell’attuazione del Pnrr” a derogare, fino a raddoppiarli, i limiti percentuali attualmente previsti dalla legge per l’attribuzione di incarichi dirigenziali a persone non appartenenti ai ruoli della dirigenza pubblica o a soggetti esterni ai sensi dell’art. 19, co. 5-bis e 6, del D.Lgs. 165/2001. Tale deroga è consentita solo in quanto funzionale alla copertura delle posizioni dirigenziali vacanti relative a compiti strettamente e direttamente funzionali all’attuazione degli interventi del PNRR. Tali incarichi trovano copertura e limiti nelle facoltà assunzionali. Per approfondimenti si rinvia al Dossier dei Servizi studi sul decreto-legge n. 80 del 2021.

 

In base al comma 5, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto, con le modalità del procedimento ordinario stabilite dall'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge n. 400 del 1988 (nonché dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 300 del 1999) - che prevede regolamenti governativi di delegificazione - si provvede alla ridefinizione, in coerenza con l'articolo 6 e con il presente articolo, dei compiti degli uffici dirigenziali non generali del MEF, nelle more del perfezionamento del regolamento di organizzazione del predetto Ministero, ivi incluso quello degli uffici di diretta collaborazione, da adottarsi entro il 31 gennaio 2022 con le modalità di  cui  all'articolo 10 del decreto-legge n. 22 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 55 del 2021. In sede di prima applicazione, gli incarichi dirigenziali di cui all'articolo 6 e quelli di cui al presente articolo possono essere conferiti anche nel caso in cui le procedure di nomina siano state avviate prima dell'adozione del predetto regolamento di organizzazione, ma siano comunque conformi ai compiti e all'organizzazione del Ministero e coerenti rispettivamente con le disposizioni dell'articolo 6 e del presente articolo.

 

Si rammenta che l’articolo 10 del decreto-legge n. 22 del 2021 stabilisce che entro il 30 giugno 2021 i regolamenti di riorganizzazione dei Ministeri dello sviluppo economico, della transizione ecologica, della cultura, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del turismo, del lavoro e delle politiche sociali, ivi inclusi quelli degli uffici di diretta collaborazione, sono adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988 (nonché dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 300 del 1999) che prevede regolamenti governativi di delegificazione. A questi Ministeri si aggiunge ora il MEF.

 

Il comma 6 attribuisce alla Sogei S.p.A. (società in house del MEF) il compito di assicurare il supporto di competenze tecniche e funzionali all'amministrazione economica finanziaria per l'attuazione del PNRR. Per tale attività può avvalersi di Studiare Sviluppo s.r.l. (società a intera partecipazione del MEF) secondo le modalità che saranno definite in specifica Convenzione, per la selezione di esperti cui affidare le attività di supporto. Alla società Sogei S.p.A. non si applicano le disposizioni relative ai vincoli in materia di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e la stessa determina i processi di selezione e assunzione di personale in base a criteri di massima celerità ed efficacia, prediligendo modalità di selezione basate su requisiti curriculari e su colloqui di natura tecnica, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 19 (Gestione del personale) delle risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il comma 7 riguarda la Corte dei conti, a cui si attribuisce il compito di esercitare il controllo sulla gestione di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, svolgendo in particolare valutazioni di economicità, efficienza ed efficacia circa l'acquisizione e l'impiego delle risorse finanziarie provenienti dai fondi di cui al PNRR. Tale controllo si informa a criteri di cooperazione e di coordinamento con la Corte dei conti europea, secondo quanto previsto dall'articolo 287, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In base alle modifiche approvate in sede referente, si prevede altresì che la Corte dei conti, in deroga a quanto previsto dall'articolo 3, comma 6 della legge n. 20 del 1994, riferisce, almeno semestralmente, al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR.

 

Si rammenta che l'articolo 3 (Norme in materia di controllo della Corte dei conti), comma 4, della legge n. 209 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), prevede che la Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. Accerta, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa. La Corte definisce annualmente i programmi e i criteri di riferimento del controllo sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari a norma dei rispettivi regolamenti, anche tenendo conto, ai fini di referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, delle relazioni redatte dagli organi, collegiali o monocratici, che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o società a prevalente capitale pubblico.

Ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate.

 

Il comma 8 prevede che, ai fini del rafforzamento delle attività di controllo, anche finalizzate alla prevenzione ed al contrasto della corruzione, delle frodi, nonché ad evitare i conflitti di interesse ed il rischio di doppio finanziamento pubblico ? ferme restando le competenze in materia dell'Autorità nazionale anticorruzione (come specificato con una modifica approvata in sede referente) ? degli interventi le amministrazioni centrali titolari di interventi previsti dal PNRR possono stipulare specifici protocolli d'intesa con la Guardia di Finanza senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il comma 9, infine, come modificato in sede referente, per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, autorizza la spesa di euro 1.255.046 per l'anno 2021 e di euro 3.428.127 annui a decorrere dall'anno 2022. Per la copertura finanziaria dei relativi relativi oneri si provvede:

-        quanto a euro 218.000 per l'anno 2021 e a euro 436.000 annui a decorrere dall'anno 2022, ai sensi dell'articolo 16 del presente decreto,

-        quanto a euro 198.346 per l'anno 2021 e a euro 476.027 annui a decorrere dall'anno 2022, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE), di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307 del 2004,

-        quanto a euro 838.700 per l'anno 2021 e a euro 2.516.100 annui a decorrere dall'anno 2022, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 

Si segnala che ulteriori misure per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni, funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per l'efficienza della giustizia, sono state quindi adottate con il decreto-legge n. 80 del 2021. Le norme disciplinano modalità speciali per il reclutamento e il conferimento di incarichi professionali per l’attuazione del PNRR da parte delle amministrazioni pubbliche e pongono le premesse normative per la realizzazione delle due riforme trasversali previste dal PNRR: la pubblica amministrazione e la giustizia. Si veda il relativo Dossier dei Servizi studi di Camera e Senato per ulteriori dettagli.


 

Articolo 8, commi 1-6
(Attuazione degli interventi del PNRR)

 

L’articolo 8, ai commi 1-5, detta disposizioni per il coordinamento della fase attuativa del PNRR, prevedendo che ciascuna amministrazione centrale titolare di interventi previsti nel Piano individui una struttura di livello dirigenziale generale (esistente o di nuova istituzione), articolata fino a un massimo di tre uffici dirigenziali di livello dirigenziale non generale, che funga da punto di contatto con il Servizio centrale per il PNRR e svolga attività di monitoraggio, rendicontazione e controllo, sulla base di apposite linee guida da essa adottate.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato introdotto il nuovo comma 5-bis, ai sensi del quale, nell’ambito di un protocollo d’intesa nazionale tra il governo e le parti sociali più rappresentative, ciascuna amministrazione centrale titolare di interventi previsti nel PNRR prevede periodici Tavoli di settore e territoriali finalizzati e continui sui progetti di investimento. In sede di rinvio alle Commissioni riunite è stato precisato che per la partecipazione ai Tavoli di settore e territoriali non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

 

 

Il comma 1 prevede che ciascuna amministrazione centrale titolare di interventi previsti nel PNRR provvede al coordinamento delle relative attività di gestione, nonché al loro monitoraggio, rendicontazione e controllo. A tal fine, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, individua, tra quelle esistenti, la struttura di livello dirigenziale generale di riferimento ovvero istituisce una apposita unità di missione di livello dirigenziale generale fino al completamento del PNRR, e comunque non oltre il 31 dicembre 2026, articolata fino ad un massimo di tre uffici dirigenziali di livello non generale, adottando, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il relativo provvedimento di organizzazione interna, con decreto del Ministro di riferimento, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Il comma 2 prevede che la struttura di cui al comma 1 rappresenta il punto di contatto con il Servizio centrale per il PNRR[10] per l'espletamento degli adempimenti previsti dal Regolamento (UE) 2021/241 e, in particolare, per la presentazione alla Commissione europea delle richieste di pagamento ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 2 del medesimo regolamento[11]. La struttura provvede a trasmettere al predetto Servizio centrale per il PNRR i dati finanziari e di realizzazione fisica e procedurale degli investimenti e delle riforme, nonché l'avanzamento dell’attuazione dei relativi obiettivi intermedi e finali, attraverso le specifiche funzionalità del sistema informatico di cui all'articolo 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178[12].

Il comma 3 prevede che la struttura di cui al 1 vigila affinché siano adottati criteri di selezione delle azioni coerenti con le regole e gli obiettivi del PNRR ed emana linee guida per assicurare la correttezza delle procedure di attuazione e rendicontazione, la regolarità della spesa ed il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali e di ogni altro adempimento previsto dalla normativa europea e nazionale applicabile al PNRR. Essa svolge, inoltre, attività di supporto nella definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione di programmi e progetti cofinanziati ovvero finanziati da fondi nazionali, europei e internazionali, nonché attività di supporto all'attuazione di politiche pubbliche per lo sviluppo, anche in relazione alle esigenze di programmazione e attuazione del PNRR.

Il comma 4 prevede che la struttura di cui al comma 1 vigila sulla regolarità delle procedure e delle spese e adotta tutte le iniziative necessarie a prevenire, correggere e sanzionare le irregolarità e gli indebiti utilizzi delle risorse; adotta, inoltre, le iniziative necessarie a prevenire le frodi, i conflitti di interesse ed evitare il rischio di doppio finanziamento pubblico degli interventi, anche sulla base di protocolli d'intesa con la Guardia di Finanza. Essa è inoltre responsabile dell'avvio delle procedure di recupero e restituzione delle risorse indebitamente utilizzate, ovvero oggetto di frode o doppio finanziamento pubblico.

 

Il comma 4 prevede che la struttura di cui al comma 1 svolga le attività ivi previste “anche attraverso i protocolli d'intesa di cui al comma 13 dell'articolo 7”: al riguardo si evidenzia che il rinvio al comma 13 non è corretto ed andrebbe più propriamente riferito al comma 8 dell’articolo 7, ove si prevede la possibilità di stipulare protocolli d’intesa con la Guardia di finanza.

 

Il comma 5 prevede che al fine di salvaguardare il raggiungimento, anche in sede prospettica, degli obiettivi e dei traguardi, intermedi e finali del PNRR, i bandi, gli avvisi e gli altri strumenti previsti per la selezione dei singoli progetti e l'assegnazione delle risorse prevedono clausole di riduzione o revoca dei contributi, in caso di mancato raggiungimento, nei tempi assegnati, degli obiettivi previsti, e di riassegnazione delle somme, fino alla concorrenza delle risorse economiche previste per i singoli bandi, per lo scorrimento della graduatorie formatesi in seguito alla presentazione delle relative domande ammesse al contributo, compatibilmente con i vincoli assunti con l'Unione europea.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato introdotto il nuovo comma 5-bis, ai sensi del quale, nell’ambito di un protocollo d’intesa nazionale tra il governo e le parti sociali più rappresentative, ciascuna amministrazione centrale titolare di interventi previsti nel PNRR prevede periodici Tavoli di settore e territoriali finalizzati e continui sui progetti di investimento, e sulle ricadute economiche e sociali sulle filiere produttive e industriali nonché sull’impatto diretto e indiretto, anche nei singoli ambiti territoriali e sulle riforme settoriali assicura un confronto preventivo sulle ricadute dirette o indirette sul lavoro dei suddetti progetti.

A seguito di una condizione formulata dalla Commissione bilancio ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, in sede di rinvio alle Commissioni riunite è stato precisato che per la partecipazione ai Tavoli di settore e territoriali non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

 

Il comma 6 prevede che per l'attuazione delle misure in esame - compreso quanto previsto dal comma 5-bis che, come detto, non comporta oneri - è autorizzata la spesa di euro 8.789.000 per l'anno 2021 e di euro 17.577.000 per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026. Ai relativi oneri si provvede ai sensi dell'articolo 16 (alla cui scheda nel presente dossier si rinvia).

 


 

Articolo 8, commi 6-bis, 6-ter e 6-quater
(Norme sul personale del Ministero del Turismo e dell’ENIT)

 

I commi da 6-bis a 6-quater dell’articolo 8, inseriti in sede referente, contengono disposizioni volte ad agevolare e accelerare l’assunzione di personale da parte del Ministero del Turismo e dell’ENIT.

 

Il comma 6-bis contiene norme sul personale del Ministero del turismo. In particolare, per le finalità di cui al comma 1, con particolare riguardo a quelle strettamente connesse al coordinamento delle attività di gestione nonché al loro monitoraggio, rendicontazione e controllo degli interventi previsti nel PNRR  e allo scopo di consentire di acquisire rapidamente le risorse di personale occorrenti per garantire il funzionamento e il monitoraggio sulle relative misure di incentivazione e sostegno al settore del turismo, il Ministero del turismo può svolgere le procedure di assunzione a tempo indeterminato di 136 unità di personale non dirigenziale, di cui 123 di area terza e 13 di area seconda, e di 14 unità di personale dirigenziale di livello non generale – ai sensi dell’articolo 7, comma 12, del decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22 - mediante il ricorso alle modalità semplificate di cui all'articolo 10 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44.

 

Si ricorda che nel corso dell’audizione del Ministro Garavaglia sulle linee programmatiche del suo dicastero del 16 marzo 2021, presso le Commissioni riunite Attività produttive di Camera e Senato, lo stesso Ministro aveva sottolineato l’urgenza di abbreviare l’iter di organizzazione del Ministero e aveva rilevato che la fonte legislativa (l’articolo 4 del decreto legislativo n. 300/1999 dispone che l'organizzazione e la dotazione organica dei Ministeri siano stabiliti con regolamenti o con decreti del Ministro emanati ai sensi dell'art. 17, co. 4-bis della legge n. 400/1988) consentiva una immediata operatività del Ministero, anche alla luce delle urgenze da affrontare, con particolare riguardo al piano di ripresa e resilienza dopo la crisi del settore derivante dalla pandemia.

Il comma 12 dell’articolo 7, comma 12, del decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22, ha infatti autorizzato il Ministero del turismo ad assumere a tempo indeterminato fino a 136 unità di personale non dirigenziale, di cui 123 di area terza e 13 di area seconda, e fino a 14 unità di personale dirigenziale di livello non generale, mediante l'indizione di apposite procedure concorsuali pubbliche, o l'utilizzo di graduatorie di concorsi pubblici di altre pubbliche amministrazioni in corso di validità, o mediante procedure di mobilità, ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001. Nelle more dell'assunzione del personale, il Ministero può avvalersi di personale proveniente da altre amministrazioni pubbliche, con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche, collocate in posizione di comando.

Le modalità semplificate di cui all'articolo 10 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, riguardano a regime lo svolgimento dei concorsi pubblici relativi al reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni – ad eccezione di quello in regime di diritto pubblico –, oltre ad alcune norme transitorie per i concorsi già banditi o che verranno banditi nel corso della fase emergenziale.

In particolare, al fine di ridurre i tempi di reclutamento del personale, si dispone in via strutturale che le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001[13], prevedano – anche in deroga alla disciplina vigente dettata dal D.P.R. 487/1994, dal D.P.R. 272/2004  e dalla L. 56/2019 recanti norme in merito allo svolgimento dei concorsi pubblici - le seguenti modalità semplificate di svolgimento delle prove concorsuali, assicurandone comunque il profilo comparativo (comma 1):

-   nei concorsi per il reclutamento di personale non dirigenziale, l’espletamento di una sola prova scritta e di una prova orale (lettera a));

-   l’utilizzo di strumenti informatici e digitali e, facoltativamente, lo svolgimento in videoconferenza della prova orale, garantendo comunque l’adozione di soluzioni tecniche che ne assicurino la pubblicità, l’identificazione dei partecipanti, la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente (lettera b)).

In merito allo svolgimento in videoconferenza della prova orale, si ricorda che analoga previsione, configurata come possibilità e non come obbligo, è contenuta nell’art. 247 del D.L. 34/2020 (come modificato dall’art. 25 del D.L. 104/2020) con riferimento allo svolgimento delle procedure per il reclutamento di personale non dirigenziale nell’ambito dei concorsi pubblici unici di cui all’art. 4, co. 3-quinquies, del D.L. 101/2013.

- una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti al fine – analogamente alla prova preselettiva spesso prevista sinora - dell’ammissione a successive fasi concorsuali. I titoli devono essere strettamente correlati alla natura e alle caratteristiche delle posizioni bandite.;

- i titoli e l'eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale in misura non superiore a un terzo, conformemente a quanto disposto dall'articolo 3, comma 6, lettera b), numero 7), della L. 56/2019 (lettera c-bis).

 

In base al numero di partecipanti e nel limite delle pertinenti risorse disponibili a legislazione vigente, le medesime amministrazioni possono prevedere l’utilizzo di sedi decentrate - con le modalità previste dall’articolo 247, comma 2, del D.L. 34/2020 che prevede a tal fine l’utilizzo di ogni struttura, pubblica o privata, nonché l’individuazione delle sedi anche sulla base della provenienza geografica dei candidati[14] - e, ove necessario  in ogni caso fino al permanere dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, la non contestualità, assicurando comunque la trasparenza e l’omogeneità delle prove somministrate in modo da garantire il medesimo grado di selettività tra tutti i partecipanti (comma 2).

 

Il comma 6-ter - per le finalità di cui al comma 6-bis e per garantire il conseguimento degli obiettivi e degli interventi di competenza del Ministero del turismo previsti nel PNRR, con particolare riguardo a quelle strettamente connesse al coordinamento delle attività di gestione nonché al loro monitoraggio, rendicontazione e controllo, essenziali per l'efficace realizzazione delle misure di sostegno e incentivazione del settore del turismo, autorizza l'ENIT-Agenzia nazionale del turismo ad assumere, entro l'anno 2021, facendo ricorso a procedure concorsuali da effettuare nel rispetto dei princìpi generali per l'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni, un contingente fino a 120 unità di personale non dirigenziale con contratto a tempo determinato della durata massima di ventiquattro mesi, di cui 70 appartenenti al livello secondo e 50 appartenenti al livello terzo del contratto collettivo nazionale del lavoro per i dipendenti del settore turismo – aziende alberghiere. Questo personale si aggiunge alla dotazione organica prevista dalla legislazione vigente.

I relativi oneri - pari a 3.041.667 euro per l'anno 2021, a 7.300.000 euro per l'anno 2022 e a 4.258.333 euro per l'anno 2023 - sono a carico delle risorse finanziarie iscritte nel bilancio di previsione dell’Ente per l'anno 2021.

L'individuazione delle unità di personale e le modalità dell'avvalimento sono disciplinate da un apposito protocollo d'intesa a titolo gratuito tra il Ministero del turismo e l'ENIT-Agenzia nazionale del turismo, da stipulare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Viene anche modificato l'articolo 7, comma 8, quarto periodo, del decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22. Tale comma regola il passaggio di competenze e risorse tra il Ministero della cultura ed il turismo e prevede un regolamento di organizzazione del Ministero del turismo, consentendo al neonato Ministero – nelle more della adozione del regolamento, di avvalersi delle risorse strumentali e di personale dell'ENIT-Agenzia nazionale del turismo, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La modifica sopprime il legame tra la facoltà appena descritta e l’adozione del regolamento di organizzazione.

 

Il comma 6-quater contiene norme di natura finanziaria, in particolare prevedendo che alla compensazione degli effetti finanziari, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, derivanti dall'attuazione del comma 6-ter,  pari a 1.566.459 euro per l'anno 2021, a 3.759.500 euro per l'anno 2022 e a 2.193.042 euro per l'anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189.


 

Articolo 8-bis
(Disposizioni per l'attuazione del programma di Governo)

 

L’articolo 8-bis, introdotto in sede referente, prevede il rafforzamento della Rete governativa permanente dell’attuazione del programma di Governo, che è stata di recente istituita con il compito di provvedere alla costante attuazione dei provvedimenti attuativi e al recupero dell’arretrato di quelli non adottati.

 

In via preliminare è utile ricordare che sulla base dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio, l’Ufficio per il programma di Governo ha tra le sue funzioni quelle di procedere al “monitoraggio e verifica dell’attuazione, sia in via legislativa che amministrativa, del programma (di Governo) e delle politiche settoriali” e alla “segnalazione dei ritardi, delle difficoltà o degli scostamenti eventualmente rilevati…” (art. 2, comma 1, lett. (d) ed (e) del D.P.C.M. 1° ottobre 2012).

 

Ai sensi del d.P.C.m. 1° ottobre 2012, che reca l’ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Ufficio per il programma di Governo è la struttura di supporto al Presidente che opera nell'area funzionale della programmazione strategica, del monitoraggio e dell'attuazione delle politiche governative (art. 25).

In particolare, con il monitoraggio dell’attività legislativa, l’Ufficio segue l’iter dei provvedimenti legislativi di iniziativa governativa a partire dalla loro deliberazione in Consiglio dei Ministri sino alla loro approvazione definitiva e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Le leggi approvate possono essere autoapplicative, ossia non rinviare a successivi provvedimenti attuativi o non autoapplicative.

Le leggi “non autoapplicative” rimandano per la loro completa attuazione ad altri provvedimenti normativi (c.d. di rango secondario) e impongono ad altri soggetti istituzionali, generalmente le Pubbliche Amministrazioni Centrali dello Stato, di attivarsi per la loro adozione.

Si tratta di decreti del Presidente della Repubblica, di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, di decreti ministeriali, provvedimenti dei direttori delle Agenzie con i quali sono adottate le disposizioni di attuazione.

 

Da quanto risulta dal sito istituzionale dell’Ufficio per il programma di governo, proprio al fine di rafforzare la capacità di adozione dei decreti attuativi ai quali le norme di legge rinviano, la Conferenza dei Capi di Gabinetto dei Ministeri che si è tenuta lo scorso 31 maggio 2021 ha concordato alcune soluzioni di sistema, tra le quali la costituzione di una Rete dell’attuazione del programma di governo.

La Rete è coordinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Ufficio del programma di Governo e costituita dai Nuclei per l'attuazione del programma di Governo che ciascun Ministero istituisce all'interno degli Uffici di diretta collaborazione, con il compito specifico di lavorare sul recupero dell’arretrato e sulla costante attuazione dei provvedimenti del Governo in carica.

 

I criteri operativi per una più efficace attuazione delle disposizioni normative concordati dalla Conferenza dei capi di Gabinetto sono stati illustrati nel corso del Consiglio dei ministri n. 23 del 10 giugno 2021.

 

Il rafforzamento della Rete è finalizzato, secondo la disposizione in commento, a garantire una più efficace attuazione del programma di Governo e anche al fine della trasmissione alle Camere delle relazioni periodiche sullo stato di attuazione dei provvedimenti attuativi di secondo livello previsti in disposizioni legislative, nonché dell’aggiornamento costante del motore di ricerca del sito internet istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

In attuazione delle funzioni di monitoraggio e verifica, l’Ufficio per il programma di Governo cura per il Presidente del Consiglio o per l’Autorità politica delegata il periodico aggiornamento dei dati relativi all’attuazione dei provvedimenti legislativi.

Da ultimo, nel Consiglio dei ministri n. 29 del 15 luglio 2021, è stata illustrata dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio la terza relazione periodica sul monitoraggio dei provvedimenti attuativi della XVIII Legislatura, nella quale sono stati in particolare indicati i primi risultati frutto del nuovo metodo operativo seguito dal Governo consistente nell’individuazione per ogni amministrazione di obiettivi quantitativi mensili di adozione dei decreti attuativi e di attuazione delle politiche di governo.

 

La disposizione impegna le amministrazioni competenti all’aggiornamento costante del motore di ricerca sui provvedimenti di attuazione del programma di Governo.

 

Un motore di ricerca dei provvedimenti attuativi è accessibile come sezione del sito dell’Ufficio e consente di consultare per ciascun provvedimento la fonte, l’oggetto, il tipo di provvedimento previsto, lo stato di adozione, nonché il link al provvedimento adottato. Nella nota metodologica si specifica che i dati sono costantemente aggiornati.

L’attività di monitoraggio è svolta attraverso il sistema informativo “Monitor”, una piattaforma web alla quale accedono, inserendo i dati di rispettiva competenza, l’Ufficio per il programma di Governo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e gli Uffici di Gabinetto e gli Uffici Legislativi dei Ministeri.

 

Al contempo la norma fa riferimento, sostanzialmente prevedendone l’introduzione, ad un obbligo di trasmissione alle Camere delle relazioni periodiche sullo stato di attuazione dei provvedimenti attuativi di secondo livello previsti in disposizioni legislative, obbligo attualmente non previsto da alcuna disposizione di legge. Andrebbe valutata sul punto l’opportunità di specificare la periodicità delle relazioni.

 

Infine, si prevede che all’attuazione delle disposizioni in commento le pubbliche amministrazioni competenti provvedono nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 9
(Attuazione degli interventi)

 

L'articolo 9 attribuisce alle singole Amministrazioni centrali o degli enti territoriali competenti per materia, la realizzazione (in via diretta o mediante alcuni altri soggetti) degli interventi previsti dal PNRR.

Pone loro alcuni obblighi, di tracciabilità e documentazione.

 

L'articolo 9 prevede che la "realizzazione operativa" degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza spetti alle Amministrazioni centrali dello Stato, alle Regioni e agli enti locali, sulla base delle loro specifiche competenze istituzionali o della titolarità degli interventi, quale definita nel Piano.

L'Amministrazione titolare può operare attraverso le proprie strutture o avvalendosi di soggetti attuatori esterni (individuati nel Piano) o secondo le modalità previste dalla normativa nazionale e comunitaria vigente.

Per il riguardo tecnico-operativo, le Amministrazioni possono avvalersi -  a fini di efficacia e tempestività della realizzazione degli interventi del Piano - di società a prevalente partecipazione pubblica (rispettivamente, statale, regionale e locale) e di enti vigilati.

Le Amministrazioni sono tenute ad assicurare la completa tracciabilità delle operazioni e la tenuta di una apposita codificazione contabile per l'utilizzo delle risorse del Piano.

Debbono conservare tutti gli atti e la relativa documentazione giustificativa su supporti informatici adeguati, e li rendono disponibili per le attività di controllo e di audit.

Gli atti, i contratti ed i provvedimenti di spesa adottati dalle Amministrazioni per l'attuazione degli interventi del Piano sono sottoposti ai controlli ordinari di legalità ed ai controlli amministrativo-contabili, previsti dalla legislazione nazionale applicabile.

 

 


 

Articolo 10
(Misure per accelerare gli investimenti pubblici)

 

L’articolo 10 introduce misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici, prevedendo che le amministrazioni possano avvalersi del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate, sulla base di apposite convenzioni.

 

I commi 1 e 2 prevedono che per sostenere la definizione e l'avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l'attuazione degli investimenti pubblici, in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e comunitaria 2014-2020 e 2021-2027, le amministrazioni pubbliche, mediante apposite convenzioni, possono avvalersi del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate ai sensi dell'art. 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). L'attività di supporto copre anche le fasi di definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione degli interventi e comprende azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, anche attraverso la messa a disposizione di esperti particolarmente qualificati. 

 

L'art. 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) disciplina la qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza. Si prevede, in particolare, l’istituzione, presso l'ANAC, che ne assicura la pubblicità, di un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza. Sono iscritti di diritto nell'elenco ANAC, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., INVITALIA - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a., nonché i soggetti aggregatori regionali.

La qualificazione, conseguita in rapporto ai bacini territoriali, nonché alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d'importo, ha ad oggetto il complesso delle attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione ai seguenti ambiti: a) capacità di progettazione; b) capacità di affidamento; c) capacità di verifica sull'esecuzione e controllo dell'intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.

 

Il comma 3 specifica che, ai fini dell'articolo 192, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), le stazioni appaltanti devono valutare la congruità economica dell'offerta delle società in house, con riguardo all'oggetto e al valore della prestazione. La motivazione del provvedimento di affidamento a società in house da parte delle stazioni appaltanti deve dare conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della Consip S.p.A e delle centrali di committenza regionali.

L’art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici dispone che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta.

In sostanza con l’intervento in esame, la stazione appaltante è obbligata a riscontrare i vantaggi che legittimano l’affidamento in house mediante la comparazione degli standard di riferimento di Consip S.p.A e delle centrali di committenza regionali.

In merito, la giurisprudenza amministrativa ha fornito specifiche indicazioni in materia di valutazione della congruità economica dell’offerta del soggetto in house, evidenziando la necessità che l’analisi si fondi sul caso concreto e tenga conto di dati comparabili, desumibili anche dai costi medi praticati da altri operatori privati o società pubbliche (Cons. St., sez. V, 16 novembre 2018, n. 6456)[15].

 

I commi 4 e 5 specificano che del supporto tecnico-operativo delle società in house qualificate, di cui ai commi 1 e 2, possono avvalersi, per il tramite delle amministrazioni centrali dello Stato, anche le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali. Spetta al Ministero dell'economia e delle finanze la definizione, per le società in house statali, dei contenuti minimi delle convenzioni. Ai relativi oneri le Amministrazioni provvedono nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Laddove ammissibili, tali oneri possono essere posti a carico delle risorse previste per l'attuazione degli interventi PNRR, ovvero delle risorse per l'assistenza tecnica previste nei programmi UE 2021/2027 per gli interventi di supporto agli stessi riferiti.

 

Il comma 6 dispone che ai fini dell'espletamento delle attività di supporto, le società in house possono provvedere con le risorse interne, con personale esterno, nonché con il ricorso a competenze, di persone fisiche o giuridiche, disponibili sul mercato, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175.

In materia di house providing, l’art. 5 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) prevede che le concessioni o gli appalti pubblici, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientrano nell’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici quando sono soddisfatte tutte (contemporaneamente) le seguenti condizioni: a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

In tale ambito, l’art. 192 disciplina il regime speciale degli affidamenti “in house”, prevedendo, come già anticipato, anche l’istituzione presso l’ANAC dell’elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società “in house”.

 

Ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n.175 del 2016[16], le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata.

Gli statuti delle società in house devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci. La produzione ulteriore rispetto a tale limite di fatturato, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.

 Le società in house sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice degli appalti pubblici).

 

Il comma 6-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, interviene sulla disciplina della crisi d’impresa delle società partecipate da pubbliche amministrazioni, prevedendo che il risultato economico del 2020 non venga preso in considerazione ai fini dell’applicazione di due disposizioni del decreto legislativo n.175 del 2016[17].

La prima (articolo 14, comma 5) stabilisce che le amministrazioni pubbliche non possono sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate (con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito) che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali.

La seconda (articolo 21) dispone, in primo luogo, che nel caso in cui società partecipate presentino un risultato di esercizio negativo, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti, che adottano la contabilità finanziaria, accantonano nell'anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Le pubbliche amministrazioni locali che adottano la contabilità civilistica adeguano il valore della partecipazione, nel corso dell'esercizio successivo, all'importo corrispondente alla frazione del patrimonio netto della società partecipata ove il risultato negativo non venga immediatamente ripianato e costituisca perdita durevole di valore[18].

Inoltre, per le società a partecipazione di maggioranza, diretta e indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all'80 per cento del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiano conseguito un risultato economico negativo, si prevede l’obbligo di procedere alla riduzione del 30 per cento del compenso dei componenti degli organi di amministrazione, mentre il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli amministratori  (art.21, co.3)[19].


 

Articolo 11
(Rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti)

 

L’articolo 11 detta disposizioni per rafforzare la capacità amministrativa delle stazioni appaltanti, prevedendo che la Consip. S.p.A., sulla base di un disciplinare stipulato con il Ministero dell’economia e delle finanze, metta a disposizione delle pubbliche amministrazioni specifici contratti, accordi-quadro e servizi di supporto tecnico, realizzando altresì un programma di informazione, formazione e tutoraggio nelle procedure di acquisto e progettualità.

 

In particolare, il comma 1 prevede che per aumentare l’efficacia e l’efficienza dell’attività di approvvigionamento e garantire una rapida attuazione delle progettualità del PNRR e degli altri programmi cofinanziati dall’Unione europea nel periodo 2021-2027, Consip S.p.A.:

·       mette a disposizione delle pubbliche amministrazioni specifici contratti, accordi-quadro e servizi di supporto tecnico;

·       realizza un programma di informazione, formazione e tutoraggio nelle procedure di acquisto e progettualità per l’evoluzione del sistema di e-Procurement e il rafforzamento della capacità amministrativa e tecnica delle pubbliche amministrazioni.

 

Per e-procurement si intende l’utilizzo dei sistemi telematici nelle procedure di gara per l’acquisizione di beni e servizi da parte delle PA. La materia è regolata principalmente dagli articoli 54 e seguenti del codice degli appalti (D.Lgs. 50/2016). Ai sensi dell’articolo 58 del codice le stazioni appaltanti ricorrono a procedure di gara interamente gestite con sistemi telematici nel rispetto delle disposizioni di cui al presente codice. L'utilizzo dei sistemi telematici non deve alterare la parità di accesso agli operatori o impedire, limitare o distorcere la concorrenza o modificare l'oggetto dell'appalto, come definito dai documenti di gara.

Si ricorda che il D.L. 183/2020 (art. 1, comma 11) ha prorogato al 31 dicembre 2021 il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni sono autorizzate ad acquistare beni e servizi informatici e servizi di connettività, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ed in deroga al Codice dei contratti pubblici e ad ogni altra disposizione di legge che disciplina i procedimenti di approvvigionamento, affidamento e acquisto di beni, forniture, lavori e opere. Resta fermo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile e dei servizi in rete quali ulteriori misure di contrasto agli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.

 

Per le pubbliche amministrazioni degli enti territoriali Consip S.p.A. si coordina con le centrali di committenza regionali.

 

Il comma 2 specifica che le disposizioni definite dal comma 1 trovano applicazione anche:

§  per l’acquisizione di servizi informatici e di connettività effettuati dalla Sogei S.p.A;

§  per la realizzazione e implementazione dei servizi delle pubbliche amministrazioni affidatarie in ottemperanza a specifiche disposizioni normative o regolamentari;

§  per la realizzazione delle attività di consolidamento e razionalizzazione dei siti e delle infrastrutture digitali del Paese (di cui all’articolo 33-septies del D.L. 179/2012), le cui procedure di affidamento sono poste in essere da Consip S.p.A. (ai sensi dell’articolo 4, comma 3-ter, del D.L. n. 95/2012).

 

L’articolo 33-septies del D.L. 179/2012 prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri promuovi lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED), al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali.

In materia rileva l’investimento Infrastrutture digitali (M1-C1-I.1.1)    del PNRR con una dotazione di 900 milioni di euro. L'obiettivo dell'investimento è garantire che i sistemi, le serie di dati e le applicazioni della pubblica amministrazione siano ospitati in centri dati affidabili, con elevati standard di qualità per la sicurezza, le prestazioni, la scalabilità, l'interoperabilità europea e l'efficienza energetica; secondo il principio del Cloud First. L’investimento è destinato a 200 amministrazioni centrali e a 80 autorità sanitarie locali. Le Amministrazioni possono scegliere di migrare verso una infrastruttura cloud nazionale pubblico-privata, il Polo Strategico Nazionale (PSN) o verso un cloud commerciale disponibile sul mercato (cloud public). Entro il terzo trimestre 2022 si prevede il completamento del PSN e nel secondo trimestre 2026 280 PA centrali e ASL saranno migrate sul cloud.

Analogamente l’investimento Abilitazione e facilitazione migrazione al cloud (M1-C1-I.1.2) impegna 1 miliardo di euro per sostenere la migrazione dei dati e delle applicazioni delle PA locali verso un'infrastruttura cloud sicura, consentendo a ciascuna amministrazione di scegliere liberamente all'interno di una serie di ambienti cloud pubblici certificati. La migrazione interessa oltre 12.000 PA locali (comuni, scuole e strutture sanitarie). Il completamento del progetto è previsto per il secondo trimestre del 2026.

 

Il comma 3 dispone che ai fini dello svolgimento delle attività assegnate ai sensi dei commi 1 e 2 il Ministero dell’economia e delle finanzi stipuli con la Consip S.p.A. un apposito disciplinare, nel limite di spesa di 8 milioni di euro annui dal 2022 al 2026.


 

Articolo 11-bis
(Basi dati con informazioni da archivi amministrativi per attuazione PNRR)

 

L'articolo 11-bis, introdotto in sede referente, prevede disposizioni in materia di produzione di basi di dati mediante informazioni provenienti da archivi amministrativi ai fini dell'attuazione del PNRR.

 

Viene in particolare disposto che le amministrazioni pubbliche che dispongono di archivi contenenti dati e informazioni che siano utili ai fini della produzione delle basi di dati sono tenute a consentire all’ISTAT di accedere a tali archivi e alle informazioni individuali ivi contenute. All’ISTAT spetta la produzione delle informazioni statistiche necessarie, mediante l’utilizzo e l’integrazione di informazioni provenienti da archivi amministrativi e dati da indagine, al fine di soddisfare le esigenze informative relative sia alla fase pandemica sia e a quella successiva. 

 

La disposizione prevede, nel dettaglio, che l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), anche in collaborazione con gli altri enti che partecipano al Sistema statistico nazionale, è tenuto a produrre le informazioni statistiche necessarie, mediante l’utilizzo e l’integrazione di informazioni provenienti da archivi amministrativi e dati da indagine, al fine di soddisfare le esigenze informative relative sia alla fase pandemica sia e a quella successiva.

Le amministrazioni pubbliche che dispongono di archivi contenenti dati e informazioni che siano utili ai fini della produzione delle basi di dati sono dunque tenute a consentire all’ISTAT di accedere a tali archivi e alle informazioni individuali ivi contenute, con esclusione della banca dati detenuta dal Centro di elaborazione dati istituito preso il Ministero dell’interno (ai sensi dell’art. 8 della L. 121 del 1981) e della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (BDNA), istituita presso il Ministero dell’interno (ai sensi dell’art. 96 del Codice antimafia).

Tali operazioni, svolte nel rispetto delle disposizioni in materia di tutela della riservatezza degli interessati, sono individuate con provvedimenti del Presidente dell'ISTAT – da pubblicare sul sito internet istituzionale dell’ISTAT - in cui sono specificati:

-        gli scopi perseguiti,

-        i tipi di dati trattati,

-        le fonti amministrative utilizzate

-        le operazioni eseguibili,

-        le misure di sicurezza e le garanzie adottate per tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli interessati, i tempi di conservazione,

-        le risorse richieste.

 

Viene specificato che nel caso di trattamenti che richiedono l’utilizzo di dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento (UE) 2016/679, i suddetti provvedimenti del Presidente dell’ISTAT sono adottati sentito il Garante per la protezione dei dati personali.

 

Si ricorda che l’articolo 9, par. 1, del Regolamento (UE) 2016/679, individua particolari categorie di dati personali dei quali è vietato il trattamento. Tra questi sono espressamente richiamati quelli relativi alla salute della persona. Lo stesso articolo 9, par. 2, del Regolamento, peraltro, individua i presupposti in presenza dei quali tali dati possono essere legittimamente trattati. Il trattamento è consentito se trova fondamento nel consenso esplicito dell’interessato ovvero nella necessità del trattamento stesso per una serie di motivi tassativamente elencati. In particolare il trattamento può definirsi necessario quando è svolto:

-        per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato (lett g);

-        per finalità di diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali (lett. h);

-        per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale (lett. i).

L’articolo 10 del citato Regolamento specifica che il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza, deve avvenire soltanto sotto il controllo dell'autorità pubblica o, se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri, deve prevedere garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati.

 

L'ISTAT fornisce agli interessati le informazioni di cui agli articoli 13 e 14 del Regolamento (UE) 2016/679, mediante pubblicazione sul nel sito internet istituzionale dell'Istituto.

 

Si ricorda che l’articolo 13 del Regolamento elenca le informazioni, relative al titolare del trattamento, da fornire quando i dati personali sono raccolti presso l’interessato. Inoltre, il titolare del trattamento è tenuto a fornire all’interessato anche le seguenti informazioni: periodo di conservazione dei dati; esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione; modalità di esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione, opposizione e portabilità dei dati, se non sussistono specifiche limitazioni; modalità di esercizio del diritto di revocare il consenso e del diritto di reclamo.

Quando i dati non sono stati ottenuti presso l’interessato, in base all’articolo 14 del citato regolamento UE, il titolare del trattamento deve comunque fornire all’interessato informazioni analoghe a quelle previste dall’articolo 13, oltre ad informazioni sulla fonte da cui hanno origine i dati personali. Le disposizioni dell’articolo 14 non si applicano, peraltro, se l’interessato dispone già delle informazioni, se la comunicazione implica uno sforzo sproporzionato, quando l’informativa rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità di archiviazione nel pubblico interesse, quando l’ottenimento o la comunicazione sono espressamente previsti dal diritto UE o dello Stato membro, che garantiscono misure appropriate per tutelare gli interessi legittimi dell’interessato, quando i dati personali debbano rimanere riservati conformemente a un obbligo di segreto professionale.

 

I dati in questione, privi di ogni riferimento che permetta l'identificazione diretta delle unità statistiche, possono essere comunicati per finalità scientifiche agli enti e uffici del Sistema statistico nazionale (Sistan), nei limiti e secondo le modalità ivi previste, nonché ai soggetti che fanno parte o partecipano al Sistema statistico nazionale secondo quanto previsto dalle disposizioni che disciplinano lo scambio dei dati tra gli enti e gli uffici del Sistan.

 

Il Sistema statistico nazionale (Sistan) è la rete di soggetti pubblici e privati che fornisce l'informazione statistica ufficiale.

Istituito dal decreto legislativo n. 322 del 1989, il Sistan comprende: l'Istituto nazionale di statistica (Istat); l'Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) (ente d'informazione statistica); gli uffici di statistica delle amministrazioni dello Stato e di altri enti pubblici, degli Uffici territoriali del Governo, delle Regioni e Province autonome, delle Province, delle Camere di commercio, dei Comuni, singoli o associati, e gli uffici di statistica di altre istituzioni pubbliche e private che svolgono funzioni di interesse pubblico.

Sin dall'origine, ma in maniera progressivamente crescente, in particolare dopo la realizzazione della moneta unica e l'emanazione del regolamento europeo n. 223/2009, il Sistan opera in coerenza e come parte attiva del Sistema statistico europeo (Sse).

Nel complesso fanno parte del Sistan oltre 3400 uffici, nei quali operano circa 8700 addetti. Oltre all'Istat, 57 istituzioni pubbliche e private del Sistan partecipano al Programma statistico nazionale, contribuendo alla realizzazione di oltre 800 lavori statistici tra indagini, elaborazioni, studi progettuali e sistemi informativi statistici. (Relazione al Parlamento sull'attività dell'Istat e degli uffici del Sistan).

 

È infine prevista una clausola di invarianza finanziaria disponendo che l'ISTAT faccia fronte alle attività previste dall’ articolo in titolo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 12
(Poteri sostitutivi)

 

L’articolo 12, modificato in sede referente, disciplina l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato in caso di inadempienza di un soggetto attuatore di progetti o interventi del PNRR ove sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del PNRR.

Il comma 1 disciplina la procedura di attivazione del potere sostitutivo nei confronti di regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, città metropolitane, province e comuni qualora, operando come soggetti attuatori, risultino inadempienti.  Il comma 2 prevede la possibilità che, fermo restando l’esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro per gli affari regionali promuova iniziative di impulso e coordinamento degli enti territoriali nelle sedi istituzionali del confronto tra Governo, regioni ed enti locali.

Il comma 3 disciplina l’esercizio del potere sostitutivo nel caso in cui il soggetto inadempiente non sia un ente territoriale.

Il comma 4 prevede che il Consiglio dei ministri eserciti i poteri sostitutivi in tutti i casi in cui si verifichino situazioni o eventi che ostacolino la realizzazione dei progetti del PNRR e che non risultino rapidamente superabili.

Il comma 5 disciplina l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del soggetto cui sono stati conferiti, con particolare riguardo all’adozione degli atti mediante ordinanza motivata comunicata all’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione di cui all’art. 5. 

Il comma 6, infine, stabilisce l’estraneità della Presidenza del Consiglio e delle amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR ad ogni rapporto contrattuale e obbligatorio discendente dall'adozione di atti, provvedimenti e comportamenti da parte dei soggetti nominati per l'esercizio dei poteri sostitutivi. Si prevede che di tutte le obbligazioni nei confronti dei terzi rispondano, con le risorse del piano o con risorse proprie, esclusivamente i soggetti attuatori sostituiti. Gli eventuali oneri derivanti dalla nomina di Commissari sono inoltre posti a carico de soggetti attuatori inadempienti sostituiti.

In sede referente è stato aggiunto il comma 6-bis che integra l’articolo 15 del decreto legge n. 98 del 2011 riguardante la liquidazione degli enti pubblici dissestati. La norma inserita concerne l’applicazione delle suddette norme agli enti sottoposti alla vigilanza delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Il comma 1 disciplina la procedura di attivazione del potere sostitutivo nei confronti degli enti territoriali - regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, città metropolitane, province e comuni – qualora, operando come soggetti attuatori di progetti o interventi del PNRR, risultino inadempienti.

La norma specifica che l’inadempienza può concretizzarsi:

§  nel mancato rispetto di un obbligo o di un impegno assunto;

§  nella mancata adozione di atti e provvedimenti necessari all’avvio dei progetti;

§  nel ritardo, inerzia o difformità nell’esecuzione di progetti.

In ogni caso, condizione per esercitare il potere sostitutivo è che sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del piano.

In tali casi il Presidente del Consiglio, su proposta della Cabina di regia o del Ministro competente, assegna al soggetto attuatore un termine non superiore a 30 giorni per provvedere. In caso il soggetto attuatore continui a non provvedere, il Consiglio dei ministri individua il soggetto cui attribuire, in via sostitutiva, il potere di provvedere ad adottare gli atti o provvedimenti necessari o all’esecuzione dei progetti. L’individuazione del soggetto a cui affidare il potere sostitutivo avviene “sentito il soggetto attuatore”.

Questi soggetti possono essere sia un’amministrazione, un ente, un organo, un ufficio ovvero uno o più commissari ad acta appositamente nominati.

Il soggetto individuato, per esercitare i poteri sostitutivi, può avvalersi delle società a partecipazione pubblica elencate all’articolo 2 del decreto legislativo n. 175 del 2016, vale a dire le società a controllo pubblico, le società a partecipazione pubblica (anche quotate), le società in house.

 

Il decreto legislativo n. 175 del 2016, testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, all’articolo 2 reca le definizioni, tra cui:

l) "società": gli organismi di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile;

m) «società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo;

n) «società a partecipazione pubblica»: le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico;

o) «società in house»: le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'articolo 16, comma 3;

p) «società quotate»: le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati.

 

Il comma 2 prevede che, nelle stesse ipotesi valide per attivare l’esercizio dei poteri sostitutivi e fermo restando l’esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro per gli affari regionali possa promuovere iniziative di impulso e coordinamento degli enti territoriali, nelle sedi della Conferenza Stato-Regione e nella Conferenza unificata, sedi istituzionali del confronto tra Governo e regioni e autonomie locali.

In proposito, si ricorda che nell’ambito della procedura di carattere generale di cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (v. infra), il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.

 

Il comma 3 disciplina l’esercizio sostitutivo nel caso in cui il soggetto inadempiente non sia un ente territoriale. In questo caso, provvede direttamente il Ministro competente per materia secondo una procedura analoga a quella prevista dal comma 1 per gli enti territoriali: assegnazione di un termine non superiore a 30 giorni e in caso di perdurante inadempienza, individuazione del soggetto cui affidare l’esercizio del potere sostitutivo.

Il Ministro provvede analogamente – in base al medesimo comma 3 - anche nel caso in cui la richiesta di esercizio dei poteri sostitutivi provenga direttamente da un soggetto attuatore (incluse le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le città metropolitane, le province e i comuni).

 

Il comma 4 prevede le ipotesi in cui sia il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o della Cabina di regia, ad esercitare i poteri sostitutivi (come disciplinati al comma 1). In particolare, ciò avviene:

§  in tutti i casi in cui si verifichino situazioni o eventi che ostacolino la realizzazione dei progetti del PNRR e che non risultino altrimenti superabili con celerità (relativamente a tale previsione, configurata come norma “di chiusura”, si valuti l’opportunità di una maggiore specificazione);

§  nei casi previsti al comma 3, ove il Ministro competente non provveda ad esercitare il potere sostitutivo.

 

Il comma 5 disciplina l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del soggetto cui sono stati conferiti. Si prevede che ove “strettamente indispensabile per garantire il rispetto del cronoprogramma del progetto” il soggetto cui sono conferiti i poteri sostitutivi provvede all’adozione dei relativi atti mediante ordinanza motivata che può essere adottata in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, del codice delle leggi antimafia (adottato con D.Lgs. 159 del 2011) e degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

 

Si tratta di una disposizione in gran parte analoga a quella recata dall'art. 1, comma 5, del D.L. 109/2018, in relazione ai poteri attribuiti al Commissario per la ricostruzione del viadotto Polcevera, noto come "ponte Morandi", di Genova e a quanto da, ultimo, previsto dal comma 7 dell’art. 11-ter del decreto-legge n. 44 del 2021 che dispone che il Commissario straordinario per il risanamento e alla riqualificazione urbana e ambientale delle aree ove insistono le baraccopoli della città di Messina opera in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.

 

La norma specifica, al riguardo, che in caso l’ordinanza sia adottata in deroga a disposizioni concernenti la legislazione regionale, essa deve essere adottata previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni; in caso, invece, che l’ordinanza sia adottata in deroga a disposizioni concernenti la tutela della salute, della sicurezza e della incolumità pubblica, dell’ambiente e del patrimonio culturale, essa deve essere adottata previa autorizzazione della Cabina di regia PNRR.

Tali ordinanze sono comunicate alla struttura di missione Unità per la per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione (istituita dall’articolo 5 del presente provvedimento), sono immediatamente efficaci e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

 

Il comma 6 specifica che la Presidenza del Consiglio e le amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR, non sono responsabili in relazione agli obblighi derivanti da rapporti contrattuali conseguenti l’adozione di atti, provvedimenti e comportamenti da parte dei soggetti cui è stato conferito l’esercizio del potere sostitutivo.

Si prevede che “di tutte le obbligazioni nei confronti di terzi rispondono, con le risorse del piano o con risorse proprie, esclusivamente i soggetti attuatori sostituiti”.

Relativamente alla previsione del secondo periodo del comma 6, si valuti l’opportunità di chiarire se si intende prevedere che i soggetti attuatori sostituiti rispondano delle obbligazioni contratte fino al momento dell’attivazione del potere sostitutivo o anche successivamente (la relazione illustrativa evidenzia che “di tutte le obbligazioni nei confronti dei terzi rispondono, con le risorse del piano o con risorse proprie, esclusivamente i soggetti attuatori sostituiti”).

In tale ultimo caso, andrebbero valutati i diversi profili connessi a tale responsabilità, valutando altresì l’opportunità di distinguere tra le obbligazioni che derivano dai contratti e quelle derivanti da illeciti civili discendenti dagli atti di competenza del soggetto attuatore sostituito.

Come detto, la disposizione stabilisce che i soggetti attuatori sostituiti rispondono “con le risorse del piano o con risorse proprie”.

Riguardo a tale previsione, si valuti l’opportunità di specificare i criteri relativi alle modalità di imputazione delle singole obbligazioni distinguendo tra ciò che è coperto dalle risorse del piano e ciò che potrebbe essere eventualmente soddisfatto con le risorse proprie del soggetto attuatore.

 

Il comma 6 prevede, infine, che per la nomina dei commissari e per la determinazione del compenso ad essi spettanti, si applichino le procedure previste dall’articolo 15, commi da 1 a 3 del decreto legge n. 98 del 2011. Gli eventuali oneri per il compenso del commissario sono posti a carico della amministrazione inadempiente.

Le norme sul compenso previsto per i commissari sono contenute nel comma 3, del citato articolo 15, che stabilisce che il compenso del commissario è costituito da una quota fissa non superiore a 50 mila euro annui e una quota variabile (anch’essa non superiore a 50 mila euro annui) strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale.

 

L’articolo 15 del decreto legge n. 98 del 2011 concerne la liquidazione degli enti dissestati e le misure di razionalizzazione dell'attività dei commissari straordinari. In particolare il comma 1 disciplina la liquidazione di un ente pubblico dissestato e la nomina del commissario straordinario con il compito di provvedere alla liquidazione dell’ente. La norma contiene, altresì, disposizioni sulla durata dell’incarico e sulla eventuale proroga, nonché sul personale a tempo indeterminato dell'ente dissestato. Il comma 1-bis disciplina, invece la nomina del commissario nel caso in cui il bilancio di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato non sia deliberato nel termine stabilito dalla normativa vigente, ovvero presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi.

Il comma 2 prevede che la revoca di commissari e sub-commissari straordinari (o commissari ad acta) la cui nomina è prevista da specifiche disposizioni di legge, avvenga con le stesse modalità prevista per la nomina degli stessi. In relazione ai medesimi commissari, il comma 3, definisce le modalità di determinazione del compenso ad essi spettanti. Le norme richiamate sono le seguenti:

§  art. 11 della legge n. 400 del 1988, che disciplina la nomina di Commissari straordinari del Governo, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali;

§  art. 20 del decreto-legge n. 185 del 2008, concernente il commissario nominato per monitorare l'adozione degli atti e dei provvedimenti per l’esecuzione degli investimenti in riferimento agli interventi programmati nell'ambito del Quadro Strategico Nazionale

§  art. 1 del decreto-legge n. 105 del 2010 che disciplina la nomina e i poteri dei commissari straordinari del Governo per la realizzazione in regime di cooperazione funzionale ed organizzativa tra commissari straordinari del Governo, nominati ai sensi del comma 3, e le regioni e province autonome interessate, degli interventi urgenti ed indifferibili, connessi alla trasmissione, alla distribuzione e alla produzione dell'energia e delle fonti energetiche che rivestono carattere strategico nazionale;

§  art. 4 del decreto-legge n. 159 del 2007, che riguarda la nomina dei Commissari ad acta per le regioni inadempienti, nell’ambito del procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro, effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, di cui agli articoli 12 e 9 dell'Intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, in materia sanitaria.

 

 

Il comma 6-bis aggiunto in sede referente, infine, interviene sull’articolo 15 del decreto legge n. 98 del 2011, al fine di disciplinare l’applicazione delle norme sulla liquidazione coatta amministrativa agli enti sottoposti alla vigilanza delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Il comma 5-bis inserito a tale articolo, infatti, prevede che le disposizioni recate dal comma 1 dello stesso articolo 15, si applicano anche agli enti sottoposti alla vigilanza delle province autonome e, in questo caso, la liquidazione coatta amministrativa è disposta con deliberazione della rispettiva Giunta che provvede inoltre alla nomina del commissario e agli ulteriori adempimenti.

L’articolo 15, comma 1, dispone in particolare che quando la situazione economica, finanziaria e patrimoniale di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato raggiunga un livello di criticità tale da non potere assicurare la sostenibilità e l'assolvimento delle funzioni indispensabili, ovvero l'ente stesso non possa fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi, con decreto del Ministro vigilante, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'ente è posto in liquidazione coatta amministrativa; i relativi organi decadono ed è nominato un commissario.

 

Il potere sostitutivo e l’articolo 120 della Costituzione

 

Il secondo comma dell’art. 120 disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni.

Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

 

L’articolo 8 della L. 131/2003, nel dettare le norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato (comma 1) un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.

La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti”, dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa.

È prevista una procedura che può essere qualificata come “generale” (comma 1), sulla quale si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate.

Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale del 2001.

Il comma 1 dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.

L’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.

La L. 131/2003 prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli g (Comuni, province o Città metropolitane).

In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).

Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.

L’articolo 8 prevede poi una “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998: si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.

Il comma 5 dell’articolo 8 evidenzia infine che i provvedimenti sostitutivi “devono essere proporzionati alle finalità perseguite”; in base al comma 6, il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.

 

Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, l’art. 8 della legge n. 131 del 2003 «non deve necessariamente applicarsi ad ogni ipotesi di potere sostitutivo (sentenze n. 254 del 2009 e n. 240 del 2004), potendo il legislatore, con normativa di settore, disciplinare altri tipi di intervento sostitutivo (sentenze n. 56 del 2018, n. 171 del 2015, n. 250 e n. 249 del 2009 e n. 43 del 2004)».

Tuttavia anche in tali casi, secondo il costante orientamento della Corte, lo stesso legislatore è tenuto a rispettare i principi desumibili dall’art. 120 Cost., pur rimanendo libero di articolarli in forme diverse (sentenze n. 44 del 2014, n. 209 del 2009).

In particolare, come da ultimo affermato nelle sentenze n. 56 del 2018 e n. 171 del 2015, «i poteri sostitutivi:

 a) devono essere previsti e disciplinati dalla legge, che ne deve definire i presupposti sostanziali e procedurali, in ossequio al principio di legalità;

b) devono essere attivati solo in caso di accertata inerzia della Regione o dell’ente locale sostituito;

c) devono riguardare solo atti o attività privi di discrezionalità nell’an, la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo;

 d) devono essere affidati ad organi di Governo;

e) devono rispettare il principio di leale collaborazione all’interno di un procedimento nel quale l’ente sostituito possa far valere le proprie ragioni;

f) devono conformarsi al principio di sussidiarietà (sentenza n. 171 del 2015, che richiama le sentenze n. 227, n. 173, n. 172 e n. 43 del 2004).

 

 


 

Articolo 13
(Superamento del dissenso)

 

L’articolo 13 disciplina una procedura atta a superare un eventuale dissenso, diniego, opposizione o altro atto idoneo a precludere in tutto o in parte, la realizzazione di un progetto o intervento del PNRR, proveniente da un organo statale (comma 1) ovvero da un organo della regione o della provincia autonoma o di un ente locale (comma 2).

 

Il comma 1 disciplina la procedura del superamento del dissenso nel caso in cui il relativo atto (dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente) provenga da un organo statale.

In questa ipotesi la Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio (prevista dall’art. 4 del provvedimento in esame), anche su impulso del Servizio centrale per il PNRR (istituito dall’articolo 6 del provvedimento in esame), propone al Presidente del Consiglio dei ministri, entro i successivi cinque giorni, di sottoporre la questione all'esame del Consiglio dei ministri per le conseguenti determinazioni.

 

Il comma 2 disciplina la procedura nel caso in cui l’atto di dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente, provenga da un organo della regione, della provincia autonoma di Trento o di Bolzano, o di un ente locale.

Titolare dell’avvio della procedura è, anche in questa ipotesi, la Segreteria tecnica presso la presidenza del Consiglio (anche in questo caso eventualmente su impulso del Servizio centrale per il PNRR) che propone al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, entro i successivi cinque giorni, di sottoporre la questione alla Conferenza Stato-Regioni per concordare le iniziative da assumere.

 

Nella sentenza n. 36 del 2018 la Corte costituzionale ha ritenuto non inappropriata la scelta, operata dalla disposizione oggetto del giudizio (nel caso di specie il d.P.R. n. 194 del 2016), di coinvolgere, in tali ipotesi, la Conferenza unificata anziché la Conferenza Stato-Regioni. Ribadendo che, “ove gli interessi implicati ‘non riguard[i]no una singola Regione o Provincia autonoma’ (sentenza n. 1 del 2016), ma tematiche comuni a tutto il sistema delle autonomie, inclusi gli enti locali (sentenza n. 383 del 2005), appare adeguata la scelta legislativa di coinvolgere Regioni, Province autonome ed autonomie locali nel loro insieme attraverso la Conferenza unificata, così come disciplinata dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (…) che, all’art. 8, ne prevede la competenza per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle comunità montane”. È stato, inoltre, sottolineato che proprio nell’unione delle due Conferenze va ravvisato “un istituto ‘utile non solo alla semplificazione procedimentale, ma anche a facilitare l’integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse esigenze degli enti regionali, provinciali e locali coinvolti’ (sentenza n. 1 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012, n. 408 del 1998)”. Tale strumento della Conferenza unificata “è stato preferito soprattutto quando, come nel caso di specie, si è trattato di misure strategiche per lo sviluppo del Paese, coinvolgenti una pluralità di interessi afferenti ai diversi livelli di governo (sentenza n. 163 del 2012)”.

Al comma 2, considerato il coinvolgimento nella procedura di regioni, province autonome ed enti locali si valuti l’opportunità di fare riferimento alla Conferenza unificata, anche alla luce della suesposta giurisprudenza cost.

 

In base alla disposizione, in sede di Conferenza Stato-Regioni dovranno essere definite le iniziative atte a superare il dissenso, entro il termine di quindici giorni dalla data di convocazione della Conferenza. In mancanza di soluzioni condivise e decorso inutilmente tale termine, il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il Ministro per gli affari regionali e le autonomie nei pertinenti casi, propone al Consiglio dei ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi delle disposizioni vigenti in materia.

 

Si ricorda che l’art. 117, quinto comma, Cost., riconosce allo Stato un potere di sostituzione in caso di inadempimento della Regione nell’attuazione di accordi internazionali e atti comunitari, mentre il secondo comma dell’art. 120, disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni (su cui, si v. supra, il box nella scheda di lettura dell’articolo 12).

 

In entrambi i casi disciplinati dai commi 1 e 2, la procedura disciplinata presenta carattere residuale in quanto, in base alla previsione della norma, trova applicazione solo “qualora un meccanismo di superamento del dissenso non sia già previsto dalle vigenti disposizioni”.

A tale riguardo, si ricorda che una procedura generale di superamento del dissenso qualificato è disposta dalla legge n. 241 del 1990 nell’ambito della disciplina della conferenza di servizi.

 

La conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione attivabile dalle pubbliche amministrazioni quando siano coinvolti vari interessi pubblici in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti i medesimi risultati e attività amministrativa, suscettibile di produrre un'accelerazione dei tempi procedurali. La disciplina dell'istituto è fissata, in via generale, dagli articoli 14 e seguenti della L. n. 241/1990, più volte modificati (da ultimo con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127).

La disciplina della conferenza di servizi prevede un meccanismo per il superamento dei dissensi delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi cd. qualificati (ossia la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, nonché la tutela della salute e della pubblica incolumità), nonché di regioni e o province autonome, abbreviando anche in tal caso i termini.

Innanzitutto, ai sensi dell’articolo 14-quinquies della L. n. 241 del 1990, l'opposizione può essere proposta, dalle amministrazioni portatrici di interessi qualificati, solo a condizione di avere espresso "in modo inequivoco" il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. In caso di regioni o province autonome è necessario che il rappresentante, intervenendo in materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza (comma 2). Per le amministrazioni statali l'opposizione deve essere proposta dal Ministro.

L'opposizione è indirizzata al Presidente del Consiglio e sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 3). Il Presidente del Consiglio dà impulso alla composizione degli interessi. Infatti, entro quindici giorni dalla ricezione dell'opposizione, la Presidenza del Consiglio indice una riunione cui partecipano tutte le amministrazioni coinvolte nella precedente conferenza. Nel principio di leale collaborazione, i partecipanti formulano proposte per individuare una soluzione condivisa. Se si raggiunge l'accordo, la soluzione rinvenuta sostituisce a tutti gli effetti la determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 4). Questo supplemento di comune vaglio e confronto di interessi può avere a sua volta una ulteriore 'coda', allorché un accordo non sia raggiunto nella prima riunione, e nell'antecedente conferenza abbiano partecipato amministrazioni regionali o provinciali autonome. Ebbene, in tal caso può essere indetta - entro i successivi quindici giorni - una seconda riunione (comma 5). Nel caso la o le riunioni conducano ad una intesa, essa forma il contenuto di una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza, da parte dell'amministrazione procedente.

Qualora, invece, all'esito di tali riunioni e, comunque non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, l'intesa non si consegua, si apre una seconda fase. Infatti, entro i successivi quindici giorni, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, il quale delibera con la partecipazione del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata. Ove il Consiglio dei ministri respinga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza (che era rimasta sospesa nella sua efficacia, a seguito dell'opposizione) acquista efficacia in via definitiva, a decorrere dal momento in cui è comunicato il rigetto dell'opposizione.

Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l'opposizione, modificando in tale caso il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza (comma 6).

 

 


 

Articolo 14
(Estensione della disciplina del PNRR agli investimenti del Piano nazionale complementare)

 

L’articolo 14, comma 1, è volto ad estendere agli investimenti contenuti nel Piano Nazionale Complementare l’applicazione delle misure e delle procedure di accelerazione e di semplificazione introdotte dal decreto-legge in esame per gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

A seguito di una modifica approvata in sede referente, l’applicazione delle suddette misure e procedure viene estesa anche agli investimenti contenuti nei Contratti Istituzionali di Sviluppo.

Il comma 2 estende alle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che concorrono al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR, le procedure finanziarie stabilite per il PNRR dalla legge di bilancio per il 2021, in deroga alla normativa di settore.

 

In particolare, il comma 1 dispone che le misure e le procedure di accelerazione e semplificazione introdotte dal decreto-legge in esame per l’attuazione degli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si applichino anche agli investimenti contenuti nel Piano nazionale complementare, al fine di garantirne una efficace e tempestiva attuazione.

L’estensione riguarda anche l’applicazione delle disposizioni relative al rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni e delle stazioni appaltanti nonché il meccanismo di superamento del dissenso e i poteri sostitutivi, di cui ai precedenti articoli 11-13 (cfr. relative schede di lettura).

Resta ferma l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge in esame agli interventi del Fondo complementare cofinanziati dal PNRR.

 

Il Piano nazionale per gli investimenti complementari, di cui all'articolo 1 del decreto legge 6 maggio 2021, n. 59, è stato costituito al fine di integrare, con risorse nazionali, gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), presentato dal Governo italiano alla UE lo scorso 30 aprile. Il Piano è stato dotato di complessivi 30,6 miliardi di euro per gli anni dal 2021 al 2026.

Le risorse del Piano Nazionale Complementare sono state ripartire tra le Amministrazioni centrali competenti, con l’indicazione, per ciascuna Amministrazione, dei programmi e degli interventi ricompresi nel Piano e delle risorse assegnate a ciascun intervento, per singola annualità. Le risorse sono state direttamente assegnate su appositi capitoli dello stato di previsione di ciascuna Amministrazione.

Per una analisi dettagliata degli interventi ricompresi nel Piano si rinvia al dossier di documentazione predisposto dai Servizi Studi di Camera e Senato del 18 maggio 2021.

 

Per quel che concerne le misure relative all’attuazione degli investimenti previsti dal Piano, l’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 59 stabilisce che agli interventi ricompresi nel Piano si applicano, in quanto compatibili, le medesime procedure di semplificazione e accelerazione nonché le misure di trasparenza e conoscibilità dello stato di avanzamento stabilite per il PNRR.

Al riguardo, si rammenta che è espressamente indicato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza l’obiettivo dell’integrazione tra il PNRR e il Fondo Nazionale complementare, da realizzare con la messa in opera di strumenti attuativi comuni e di un sistema di monitoraggio unitario, tramite il sistema informativo “ReGis” previsto dalla legge di bilancio 2021.

Ai fini del monitoraggio, il successivo comma 7 demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 59, il compito di individuare per ciascun intervento gli obiettivi iniziali, intermedi (milestone) e finali (target), in relazione al cronoprogramma finanziario, in coerenza con gli impegni assunti nel PNRR con la Commissione europea, sull’incremento della capacità di spesa collegata all’attuazione degli interventi del Piano nazionale per gli investimenti complementari.

Sul punto, si ricorda che nella Relazione tecnica del D.L. n. 59/2021 si sottolineava che la Commissione europea, nell’ambito della riforma della PA contenuta nel PNRR, ha posto come obiettivo il raggiungimento di un elevato livello di spesa in relazione al Piano complementare. Tale obiettivo verrà pertanto valutato ai fini del riconoscimento delle risorse europee richieste dal nostro Paese; da qui la necessità – si legge nella RT - “di procedere con la massima celerità alla formalizzazione di tutti gli adempimenti preliminari e connessi, già condivisi con le Amministrazioni responsabili, per l’attuazione degli investimenti nei tempi previsti e nel rispetto del cronoprogramma finanziario indicato esplicitamente per ogni progetto/programma”. Proprio per accelerarne l’attuazione, il D.L. n. 59/2021 prevede che il Piano complementare utilizzi le medesime procedure abilitanti del RRF, abbia Milestones e Targets per ogni progetto e che le opere finanziate siano soggette ad un attento monitoraggio al pari di quelle del RFF, sebbene per gli interventi del Piano complementare, in quanto finanziati da risorse nazionali, non risulti necessaria la rendicontazione a livello europeo.

Per quanto riguarda il monitoraggio degli interventi del Piano complementare aventi ad oggetto opere pubbliche non previste nel PNRR, le informazioni necessarie al monitoraggio saranno rilevate, secondo l’art. 1, co. 7, del D.L. n. 59, dalle stazioni appaltanti attraverso il sistema di Monitoraggio delle Opere Pubbliche (MOP), ai sensi del D.Lgs. n. 229 del 2011, previsto nell’ambito della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP). Negli altri casi, ovvero per gli interventi che interessano opere pubbliche previste dal PNRR, è utilizzata la piattaforma ReGis, prevista dall’articolo 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge Bilancio 2021).

 

 

A seguito di una modifica approvata al comma 1 in sede referente, l’applicazione delle suddette misure e procedure viene estesa anche agli investimenti contenuti nei Contratti Istituzionali di Sviluppo, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88.

 

Il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS), disciplinato dall’articolo 6 del  del D.Lgs. n. 88 del 2011, costituisce uno strumento che le amministrazioni competenti possono stipulare sia per accelerare l'utilizzo dei fondi strutturali europei sia per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici di rilievo nazionale, interregionale e regionale, tra loro funzionalmente connessi in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

In particolare, i CIS sono finalizzati all'accelerazione della realizzazione degli interventi speciali che prevedono la realizzazione di opere infrastrutturali, funzionali alla coesione territoriale e ad uno sviluppo equilibrato del Paese. Nel contratto vengono definiti i tempi di attuazione (cronoprogramma), le responsabilità dei contraenti, i criteri di valutazione e monitoraggio e le sanzioni per eventuali inadempimenti.

Il contratto istituzionale di sviluppo viene stipulato dal Ministro per la coesione, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, dai Presidenti delle Regioni interessate e dalle amministrazioni competenti. Le Amministrazioni responsabili degli interventi possano avvalersi dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. per tutte le attività economiche, finanziarie e tecniche, nonché in qualità di Centrale di committenza, ad esclusione di quanto demandato all'attuazione da parte dei concessionari di servizi pubblici.

Per le risorse del ciclo di programmazione 2021-2017, in particolare, l’articolo 1, comma 177, lettera f), della legge n. 178/2020 stabilisce che spetta al Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale la competenza ad individuare i casi nei quali, per gli interventi infrastrutturali di notevole complessità o per interventi di sviluppo integrati relativi a particolari ambiti territoriali, si debba procedere alla sottoscrizione del contratto istituzionale di sviluppo[20].

I CIS attualmente attivati – cui dovrebbe aggiungersi quello imminente per l'area di Taranto - sono i seguenti:

·        CIS Napoli-Bari-Lecce/Taranto;

·        CIS Messina-Catania-Palermo;

·        CIS Salerno-Reggio Calabria;

·        CIS Adeguamento itinerario SS Sassari-Olbia;

·        CIS Cratere Centro Italia.

Il comma 2 estende le procedure finanziarie del PNRR, definite dalla legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178/2020, commi 1038-1049), alle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che concorrono al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR, in deroga alle specifiche normative di settore.

Al riguardo, si ricorda che nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è espressamente previsto un anticipo della programmazione del Fondo Sviluppo e Coesione, in linea con le politiche settoriali di investimento e di riforma previste nel PNRR, per accelerare la capacità di utilizzo delle risorse e di realizzazione degli investimenti, per un valore complessivo di circa 15,5 miliardi, secondo un principio di complementarità e di addizionalità delle risorse. Tali risorse, infatti, si sottolinea sempre nel Piano, saranno reintegrate nella disponibilità del fondo, così da garantirne la piena addizionalità.

A tal fine, il D.L. n. 59/2021 ha incrementato la dotazione del Fondo sviluppo e coesione per la programmazione 2021-2027 di 15,5 miliardi per le annualità dal 2022 al 2031.

Il D.L. n. 59/2021, tuttavia, si è limitato ad incrementare le risorse del FSC 2021-2027 senza metterle in diretta correlazione con l’anticipo delle risorse del Fondo che, seppure in mancanza di una norma autorizzatoria, sembrerebbero essere state già programmate nell’ambito del PNRR.

 

Con la disposizione in esame si stabilisce che la quota parte delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che concorrono al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR sono gestite secondo le procedure finanziarie stabilite per le risorse del PNRR, come definite dalla legge di bilancio 2021 (legge n. 178/2020, commi 1038-1049), in deroga alle specifiche normative di settore.

Al riguardo si rammenta che per l'attuazione del programma Next Generation EU è stato istituito dalla legge di bilancio per il 2021, quale anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall'Unione europea, il Fondo di rotazione per l'attuazione del Next Generation EU-Italia, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione di 32.766,6 milioni di euro per l'anno 2021, di 40.307,4 milioni di euro per l'anno 2022 e di 44.573 milioni di euro per l'anno 2023.

Le procedure di gestione finanziaria delle risorse del PNRR prevedono, in sintesi (per una analisi più dettagliata, si rinvia al box in fondo alla scheda), la costituzione di due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la tesoreria centrale dello Stato - con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio - su cui sono versate le risorse del Fondo di rotazione relative, rispettivamente, ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto ovvero mediante prestiti.

Le risorse giacenti sui suddetti conti sono poi trasferite a ciascuna amministrazione o organismo titolare dei progetti, in relazione al fabbisogno finanziario, mediante giroconto su un conto corrente della Tesoreria centrale appositamente istituito.

Le anticipazioni sono destinate ai singoli progetti tenendo conto tra l’altro dei cronoprogrammi di spesa e degli altri elementi relativi allo stato delle attività desumibili dal sistema di monitoraggio dei progetti, istituito ai sensi del comma 1043 (il sistema informativo “ReGis”), mentre i trasferimenti successivi vengono assegnati, fino alla concorrenza dell’importo totale del progetto, sulla base di rendicontazioni bimestrali, secondo i dati finanziari registrati e validati sul sistema informatico ed in base al conseguimento dei relativi target intermedi e finali previsti (comma 1048).

Il comma 1042 della legge di bilancio prevede l’adozione di uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, il primo entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, per la definizione delle procedure amministrativo-contabili per la gestione delle risorse relative agli interventi del PNRR, nonché per le modalità di rendicontazione della gestione del Fondo di rotazione. Il successivo comma 1044 prevede, altresì, l’adozione di un DPCM, su proposta del MEF, anch’esso entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, per la definizione delle modalità di rilevazione dei dati di attuazione a livello di singolo progetto, ai fini dell’analisi e della valutazione degli interventi.

Tali decreti non risultano al momento ancora adottati.

L’applicazione di tali procedure per la gestione finanziaria della quota di risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (15,5 miliardi) che concorre al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR è disposta in deroga alla normativa vigente, recata dall’art. 1, comma 178, della legge di bilancio per il 2021.

Nel disciplinare le procedure per la programmazione delle risorse, il citato comma 178 ha stabilito l’impiego della dotazione finanziaria del FSC 2021-2027 per obiettivi strategici, in coerenza con gli obiettivi e le strategie dei fondi strutturali e di investimento europei 2021-2027 nonché con le politiche di investimento e di riforma previste nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), secondo princìpi di complementarità e addizionalità delle risorse.

Per quanto concerne l'utilizzo delle risorse del Fondo, che la normativa attribuisce al CIPE il compito di ripartirne, con proprie deliberazioni, la dotazione.

Per quanto riguarda la gestione finanziaria delle risorse FSC 2021-2027, il comma 178, alla lettera i), confermando le modalità già definite dalla precedente programmazione 2014-2020[21], prevede che le risorse del FSC sono assegnate mediante delibera del CIPE e trasferite, nei limiti degli stanziamenti annuali di bilancio, dal capitolo del bilancio dello Stato relativo al FSC (cap. 8000/MEF) in una apposita contabilità del c.d. Fondo di rotazione IGRUE (si tratta del conto corrente di tesoreria n. 25058), sulla base dei profili finanziari previsti dalle delibere del CIPE.

Ai fini dell’erogazione delle somme, la lettera i) prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze assegna le risorse, trasferite alla suddetta contabilità, in favore delle amministrazioni responsabili secondo l'articolazione temporale indicata dalle relative delibere, e provvede a effettuare i pagamenti a valere sulle medesime risorse in favore delle suddette amministrazioni, sulla base delle richieste presentate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche di coesione.

 

 

La gestione finanziaria delle risorse del PNRR

Più in dettaglio, ai fini della gestione finanziaria di tali risorse, la legge di bilancio per il 2021, all'articolo 1, commi da 1038 a 1049, prevede che le risorse del Fondo di rotazione per l’attuazione del Programma Next Generation EU - istituito presso il MEF, con una dotazione di 32,766 miliardi di euro per il 2021, 40,037 miliardi di euro per il 2022 e 44,573 miliardi di euro per il 2023 - siano versate su due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la tesoreria centrale dello Stato: sul primo (denominato attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a fondo perduto) sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto, mentre sul secondo (attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a titolo di prestito) sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante prestiti. Tali conti hanno amministrazione autonoma e costituiscono gestioni fuori bilancio, ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041 (comma 1038).

Le risorse giacenti sui suddetti conti sono trasferite a ciascuna amministrazione o organismo titolare dei progetti, in relazione al fabbisogno finanziario, mediante giroconto su conto corrente di tesoreria centrale appositamente istituito (comma 1039). Qualora, invece, le risorse iscritte sul Fondo di rotazione siano utilizzate per progetti che comportino minori entrate per il bilancio dello Stato, l’importo corrispondente alle predette minori entrate viene versato sulla contabilità speciale n. 1778, intestata: “Agenzia delle Entrate - Fondi di bilancio” per la conseguente regolazione contabile mediante versamento sui pertinenti capitoli dello stato di previsione dell’entrata (comma 1040).

Le risorse erogate all’Italia dal bilancio dell’Unione europea per l’attuazione del Dispositivo di Ripresa e Resilienza dell’Unione europea affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato su due distinti capitoli, rispettivamente relativi ai contributi a fondo perduto e ai prestiti, ai quali affluiscono altresì le risorse del Programma Next Generation EU oggetto di anticipazione da parte del Fondo di rotazione (comma 1041).

Con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, il primo da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono stabilite le procedure amministrativo-contabili per la gestione delle risorse, nonché le modalità di rendicontazione della gestione del Fondo di rotazione (comma 1042).

Con DPCM, su proposta del MEF, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, sono definite le modalità di rilevazione dei dati di attuazione a livello di singolo progetto, con riferimento ai costi programmati, agli obiettivi perseguiti, alla spesa sostenuta, alle ricadute sui territori che ne beneficiano, ai soggetti attuatori, ai tempi di realizzazione previsti ed effettivi, agli indicatori di realizzazione e di risultato, nonché ad ogni altro elemento utile per l’analisi e la valutazione degli interventi (comma 1044).

Anche sulla base di tali dati, entro il 30 giugno di ciascun anno dal 2021 al 2027, il Consiglio dei Ministri approva e trasmette alle Camere una relazione, nella quale sono riportati prospetti sull’utilizzo delle risorse del Piano e sui risultati raggiunti. La Relazione indica altresì le eventuali misure necessarie per accelerare l’avanzamento dei progetti rispetto agli obiettivi perseguiti (comma 1045).

Le amministrazioni e gli organismi titolari dei progetti finanziati sono responsabili della relativa attuazione conformemente al principio della sana gestione finanziaria ed alla normativa nazionale e comunitaria, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la correzione delle frodi, la corruzione ed i conflitti di interesse e realizzano i progetti, nel rispetto dei cronoprogrammi, per il conseguimento dei relativi i target intermedi e finali. Al fine di supportare le attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo delle componenti del programma Next Generation EU, il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, sviluppa e rende disponibile un apposito sistema informatico (comma 1043).

Al fine di garantire, nella gestione finanziaria, il rispetto dei principi comunitari di tracciabilità delle operazioni contabili afferenti la realizzazione del PNRR e dei progetti finanziati, anche per i successivi eventuali controlli di competenza delle istituzioni comunitarie, le risorse finanziarie iscritte nel Fondo di rotazione sono utilizzate dopo l’approvazione del PNRR per finanziare progetti ivi inclusi e mantengono, quale vincolo di destinazione, la realizzazione degli interventi del PNRR fino a tutta la durata del Piano. I progetti devono essere predisposti secondo quanto stabilito dalla normativa comunitaria in materia e comunque corredati da indicazioni puntuali sugli obiettivi intermedi e finali da raggiungere, verificabili tramite appositi indicatori quantitativi (comma 1046).

Le anticipazioni sono destinate ai singoli progetti tenendo conto tra l’altro dei cronoprogrammi di spesa e degli altri elementi relativi allo stato delle attività desumibili dal sistema di monitoraggio dei progetti istituito ai sensi del comma 1043 (comma 1047), mentre i trasferimenti successivi vengono assegnati, fino alla concorrenza dell’importo totale del progetto, sulla base di rendicontazioni bimestrali, secondo i dati registrati e validati sul sistema informatico ed in base al conseguimento dei relativi target intermedi e finali previsti (comma 1048).

Ogni difformità rilevata sull’attuazione dei singoli progetti e nel conseguimento dei relativi target intermedi e finali con impatto diretto sugli importi richiesti a rimborso alla Commissione Europea per il Programma Next Generation EU, prima o dopo l’erogazione del contributo pubblico in favore dell’amministrazione titolare, dovrà essere immediatamente corretta. Nel caso di revoca dei finanziamenti, gli importi eventualmente corrisposti saranno recuperati e riassegnati nelle disponibilità finanziarie del Piano (comma 1049).

 

 


 

Articolo 14-bis
(Governance degli interventi del Piano complementare nei territori del sisma 2009 e 2016)

 

L’articolo 14-bis, inserito in sede referente, al fine di garantire l’attuazione coordinata e unitaria degli interventi per la ricostruzione e il rilancio dei territori interessati dagli eventi sismici del 2009 e del 2016, prevede, per gli investimenti previsti per tali territori dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR, l’integrazione della cabina di coordinamento della ricostruzione (comma 1). Viene inoltre previsto che, entro il 30 settembre 2021, la cabina di coordinamento individua i programmi unitari di intervento nei territori in questione, per la cui attuazione sono adottati i provvedimenti commissariali (comma 2).

 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame reca disposizioni finalizzate a garantire l’attuazione coordinata e unitaria degli interventi per la ricostruzione e il rilancio dei territori interessati dagli eventi sismici del 2009 e del 2016.

Per tale finalità, per gli investimenti previsti dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR per le zone dell’Italia centrale colpite dai sismi del 2009 e del 2016 (vale a dire per gli investimenti indicati all’art. 1, comma 2, lett b), punto 1), del D.L. 59/2021), il comma in esame prevede l’integrazione della cabina di coordinamento della ricostruzione prevista dall’art. 1, comma 5, del D.L. 189/2016.

Tale comma 5 dispone che i Presidenti delle Regioni interessate operano in qualità di vice commissari per gli interventi di cui al D.L. 189/2016, in stretto raccordo con il Commissario straordinario che può delegare loro le funzioni a lui attribuite dal medesimo decreto. A tale scopo, lo stesso comma 5 prevede la costituzione di una cabina di coordinamento della ricostruzione presieduta dal Commissario straordinario, con il compito di concordare i contenuti dei provvedimenti da adottare e di assicurare l'applicazione uniforme e unitaria in ciascuna Regione delle ordinanze e direttive commissariali, nonché di verificare periodicamente l'avanzamento del processo di ricostruzione. Alla cabina di coordinamento partecipano, oltre al Commissario straordinario, i Presidenti delle Regioni, in qualità di vice commissari, ovvero, in casi del tutto eccezionali, uno dei componenti della Giunta regionale munito di apposita delega motivata, oltre ad un rappresentante dei comuni per ciascuna delle regioni interessate, designato dall'ANCI regionale di riferimento.

In relazione al richiamo all’art. 1, comma 2, lettera b), del D.L. 59/2021, si ricorda che tale disposizione determina le risorse del Piano nazionale per gli investimenti complementari da destinare al finanziamento delle aree colpite dagli eventi sismici del 2009 (Abruzzo) e del 2016 (Centro-Italia) per complessivi 1.780 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2026 da iscrivere, per gli importi e le annualità indicati, nei pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

Per una sintesi dei diversi interventi a favore delle popolazioni dei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, interessati dal sisma verificatosi a far data dal 24 agosto 2016 e delle varie misure a favore del terremoto avvenuto in Abruzzo nel 2009 si rinvia al tema webTerremoti”.

 

 

In virtù della disposizione in commento, l’integrazione della cabina di coordinamento della ricostruzione prevede che alla stessa partecipano anche:

- il Capo del Dipartimento “Casa Italia” presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

Si ricorda che il Dipartimento “Casa Italia” è stato istituito dall’art. 18-bis del D.L. 8/2017 e la relativa organizzazione interna è stata recentemente disciplinata con decreto del 29 settembre 2020.

- il Coordinatore della “Struttura di missione per il coordinamento dei processi di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti dal sisma del 6 aprile 2009” presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui al D.P.C.M. 3 maggio 2021;

Con il D.P.C.M. 3 maggio 2021 tale struttura di missione è stata confermata fino alla scadenza del mandato del Governo in carica.

- il sindaco dell’Aquila;

- il coordinatore dei sindaci dei comuni del cratere del sisma del 2009.

Come evidenziato nel sito web dell’Ufficio speciale per la ricostruzione dei comuni del cratere, la figura “del Coordinatore dei comuni del cratere nasce, anche se informalmente, nel 2010, in occasione delle prime iniziative dei Sindaci dei comuni del Cratere intraprese per individuare una forma organizzativa (di fatto la governance) dei piccoli comuni”. Tale figura viene contemplata altresì dall’art. 67-ter del D.L. 83/2012 ove si dispone che “l'Ufficio speciale per i comuni del cratere, costituito dai comuni interessati con sede in uno di essi, …, previa intesa con il Ministro per la coesione territoriale, con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il presidente della regione Abruzzo, con i presidenti delle province dell'Aquila, di Pescara e di Teramo e con un coordinatore individuato dai 56 comuni del cratere, coordina gli otto uffici territoriali delle aree omogenee di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 marzo 2012, n. 4013”.

 

 

Il comma 2 dispone che, in coerenza con il cronoprogramma finanziario e procedurale di cui all’art. 1 del D.L. 59/2021, entro il 30 settembre 2021, la Cabina di coordinamento individua i programmi unitari di intervento nei territori colpiti dai sismi nell’Appennino centrale, articolati nei crateri del 2009 e del 2016, per la cui attuazione (secondo le tempistiche previste nel predetto cronoprogramma) sono adottati i provvedimenti di cui all’art. 2, comma 2, del D.L. 189/2016 (vale a dire le ordinanze commissariali).

Viene inoltre stabilito che tali provvedimenti:

- sono adottati d'intesa con la succitata Struttura di missione di cui al D.P.C.M. 3 maggio 2021;

- sono comunicati al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

In relazione al citato cronoprogramma si ricorda che l’art. 1, comma 7, del D.L. 59/2021 dispone che, ai fini del monitoraggio degli interventi del Piano nazionale per gli investimenti complementari, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sono individuati per ciascun intervento o programma gli obiettivi iniziali, intermedi e finali determinati in relazione al cronoprogramma finanziario e coerenti con gli impegni assunti nel PNRR con la Commissione europea sull'incremento della capacità di spesa collegata all'attuazione degli interventi del Piano nazionale per gli investimenti complementari.

L’art. 2, comma 2, del D.L. 189/2016 dispone che, per l'esercizio delle funzioni attribuite al Commissario straordinario del sisma del 2016, lo stesso Commissario “provvede anche a mezzo di ordinanze, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'ordinamento europeo. Le ordinanze sono emanate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate nell'ambito della cabina di coordinamento di cui all'articolo 1, comma 5 (v. supra), e sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri”.

 

 


 

Articolo 15
(Procedure finanziarie e contabili)

 

L’articolo 15 interviene sulle procedure relative alla gestione finanziaria delle risorse previste nell’ambito del PNRR, prevedendo il parere della Conferenza permanente Stato-Regioni nella loro definizione con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze; inoltre, stabilisce modalità semplificate di utilizzo delle risorse, da parte delle Regioni e degli enti locali, in deroga alla disciplina contabile vigente relativa all’utilizzo del risultato di amministrazione e al mantenimento in bilancio delle risorse in conto capitale.

Nel corso dell’esame in sede referente è stata inoltre prevista la possibilità per gli enti locali che si trovano in esercizio provvisorio o gestione provvisoria di apportare variazioni di bilancio, in deroga all’ordinamento vigente, per iscrivere in bilancio i finanziamenti di derivazione statale ed europea per investimenti per gli anni dal 2021 al 2026.

 

Il comma 1 interviene sulla gestione contabile del Fondo di rotazione per l’attuazione del PNRR (introdotto dalla legge di bilancio per il 2021) prevedendo che il giroconto avvenga su un conto aperto presso la Tesoreria statale. Pertanto, non risulta più necessario che il conto destinatario delle risorse, a favore di ciascuna amministrazione od organismo titolare dei progetti, sia un conto corrente appositamente istituito.

 

 L’articolo 1, comma 1039, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) dispone che le risorse giacenti sui due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato (nei quali sono versate, rispettivamente, le risorse relative ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto e quelle relative ai progetti finanziati mediante prestiti, di cui al comma 1038) sono trasferite, in relazione al fabbisogno finanziario, a ciascuna amministrazione od organismo titolare dei progetti, mediante giroconto “su un conto corrente della Tesoreria centrale appositamente istituito”, sulla base delle procedure definite con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 1042 (per il quale si veda oltre), nel rispetto del sistema di gestione e controllo delle componenti del Next Generation EU.

 

Il comma 2 stabilisce che le procedure relative alla gestione finanziaria delle risorse previste nell'ambito del PNRR sono stabilite in sede di emanazione dei decreti del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 1, comma 1042, della legge n. 178 del 2020, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano[22].

 

L’articolo1, comma 1042 della legge di bilancio per il 2021 (legge n.178 del 2020) prevede che con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, il primo da adottarsi entro 60 giorni dal 1° gennaio 2021 (data di entrata in vigore della legge), sono stabilite le procedure amministrativo-contabili per la gestione delle risorse dal Fondo di rotazione stanziate dai commi 1037-1050 della legge di bilancio 2021, nonché le modalità di rendicontazione della gestione delle stesse. Il D.M. non è stato ancora emanato.

 

Il comma 3 stabilisce che le Regioni, gli enti locali e i loro enti e organismi strumentali che adottano sistemi di contabilità omogenei[23]  utilizzano le risorse ricevute per l'attuazione del PNRR e del PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementare) che a fine esercizio confluiscono nel risultato di amministrazione, in deroga ai limiti previsti dall'articolo 1, commi 897 e 898, della legge n. 145 del 2018.

 

Si ricorda brevemente che l’avanzo di amministrazione rappresenta il risultato complessivo della gestione dell’ente. Tale risultato (avanzo se positivo) comprende alcune componenti che hanno specifiche finalizzazioni (quota accantonata, vincolata e destinata a investimenti), sottraendo le quali si ottiene la quota disponibile (o libera) dell’avanzo. Se quest’ultima assume segno negativo, l’ente è in disavanzo ed è tenuto al relativo ripiano. A ciascuna voce degli avanzi è associata una lettera: A per l’avanzo complessivo, B per la quota accantonata, C per la quota vincolata, D per la quota destinata a investimenti ed E per la quota disponibile o libera.

I commi 897-898 della legge di bilancio per il 2012 hanno introdotto la facoltà per gli enti locali di utilizzare il risultato di amministrazione, con alcune limitazioni in particolare per gli enti in disavanzo. Il comma 897, in particolare, dispone che è comunque consentita ? quindi anche agli enti in disavanzo oltre che a quelli in avanzo ? l’applicazione al bilancio di previsione della quota vincolata, accantonata e destinata del risultato di amministrazione per un importo non superiore a quello del risultato di amministrazione complessivo come risultante dal relativo prospetto (in particolare dalla lettera A)) al 31 dicembre dell'esercizio precedente. La quota del risultato di amministrazione come sopra definita è applicata al bilancio di previsione al netto della quota minima obbligatoria accantonata per il fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) e del fondo anticipazioni di liquidità (FAL). Per gli enti con risultato di amministrazione positivo e avanzo libero positivo, pertanto, l’unica limitazione riguarda la non spendibilità dell’avanzo accantonato del FCDE e del FAL.

Quando l’avanzo disponibile risulta negativo, ma il risultato di amministrazione complessivo rimane positivo e capiente rispetto alla somma delle risorse accantonate in FCDE e FAL, l’ente è caratterizzato da una situazione di bilancio in disavanzo moderato. Per tali enti è consentito l’utilizzo e l’imputazione al bilancio di quote di avanzo vincolato, accantonato o destinato per coprire nuove spese. Questa imputazione ha come limite un importo pari al risultato di amministrazione decurtato degli accantonamenti FCDE e FAL e incrementato dalla quota di disavanzo che deve ripianare (comma 897).

Il comma 898 disciplina il caso in cui l’importo riportato alla lettera A) del prospetto del risultato di amministrazione risulti negativo o inferiore alla quota minima obbligatoria accantonata per il fondo crediti di dubbia esigibilità e al fondo anticipazioni di liquidità (enti in disavanzo elevato). In tal caso gli enti possono applicare al bilancio di previsione la quota vincolata, accantonata e destinata del risultato di amministrazione, per un importo non superiore a quello del disavanzo da recuperare iscritto nel primo esercizio del bilancio di previsione.

Si evidenzia che una analoga deroga a quanto previsto dai commi 897 e 898, della legge n. 145 del 2018, è stata stabilita anche con riferimento alle risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio del Fondo per l’esercizio delle funzioni degli enti locali (art. 1, comma 823 della legge n. 178 del 2021). In tal caso si prevede che le risorse aggiuntive del Fondo sono vincolate alla esclusiva finalità di ristorare, nel biennio 2020 e 2021, la perdita di gettito connessa all'emergenza epidemiologica da COVID-19. Le risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione e non possono essere svincolate né sono soggette ai limiti previsti dall’articolo 1, commi 897 e 898, della legge 30 dicembre 2018, n. 145.

 

Il comma 4 dispone che le Regioni, gli enti locali e i loro enti e organismi strumentali possono accertare le entrate derivanti dal trasferimento delle risorse del PNRR e del PNC sulla base della formale deliberazione di riparto o assegnazione del contributo a proprio favore, senza dover attendere l'impegno dell'amministrazione erogante, con imputazione agli esercizi di esigibilità ivi previsti.

 

Il comma 4-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, autorizza gli enti locali che si trovano in esercizio provvisorio o gestione provvisoria a iscrivere in bilancio i relativi finanziamenti di derivazione statale ed europea per investimenti, per gli anni dal 2021 al 2026, mediante apposita variazione, in deroga a quanto previsto dall’articolo 163 del TUEL e dall’allegato 4/2 annesso al D.Lgs. n. 118 del 2011.

Ai sensi dell'articolo 163 del TUEL si ricade nell'esercizio provvisorio se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente. Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti gestiscono gli stanziamenti di competenza previsti nell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce l'esercizio provvisorio, ed effettuano i pagamenti entro i limiti determinati dalla somma dei residui al 31 dicembre dell'anno precedente e degli stanziamenti di competenza al netto del fondo pluriennale vincolato. L'esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell'interno che differisce il termine di approvazione del bilancio, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomia locale, in presenza di motivate esigenze. Nel corso dell'esercizio provvisorio non è consentito il ricorso all'indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. Nel corso dell'esercizio provvisorio è consentito il ricorso all'anticipazione di tesoreria (ai sensi dell'art. 222 del TUEL).

Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti possono impegnare mensilmente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, per ciascun programma, le spese sopra indicate, per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato.

Come precisato nell’allegato allegato 4/2 annesso al D.Lgs. n. 118 del 2011 la gestione provvisoria è limitata all'assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, al pagamento delle spese di personale, delle spese relative al finanziamento della sanità per le regioni, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, ed, in particolare, limitata alle sole operazioni necessarie per evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente. Nel corso dell'esercizio provvisorio, possono essere impegnate solo spese correnti e le eventuali spese correlate, riguardanti le partite di giro, salvo quelle riguardanti i lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. In tali casi, è consentita la possibilità di variare il bilancio gestito in esercizio provvisorio, secondo le modalità previste dalla specifica disciplina di settore.

Il comma 7 dell’art. 163 del TUEL precisa inoltre che nel corso dell'esercizio provvisorio, sono consentite le variazioni di bilancio previste dall'art. 187, comma 3-quinquies (variazioni che, in attesa dell’approvazione del consuntivo, applicano al bilancio quote vincolate o accantonate nel risultato di amministrazione e quelle consistenti nella mera re-iscrizione di economie di spesa derivanti da stanziamenti di bilancio dell'esercizio precedente corrispondenti a entrate vincolate), quelle riguardanti le variazioni del fondo pluriennale vincolato, quelle necessarie alla reimputazione agli esercizi in cui sono esigibili, di obbligazioni riguardanti entrate vincolate già assunte, e delle spese correlate, nei casi in cui anche la spesa è oggetto di reimputazione l'eventuale aggiornamento delle spese già impegnate. Tali variazioni rilevano solo ai fini della gestione dei dodicesimi.

L’allegato 4/2 annesso al D.Lgs. n. 118 del 2011 precisa altresì che nel corso dell'esercizio provvisorio, per garantire la prosecuzione o l'avvio di attività soggette a termini o scadenza, il cui mancato svolgimento determinerebbe danno per l'ente, è consentito l'utilizzo delle quote vincolate dell'avanzo di amministrazione sulla base di una relazione documentata del dirigente competente. A tal fine, dopo avere acquisito il parere dell'organo di revisione contabile la Giunta delibera una variazione del bilancio provvisorio in corso di gestione, che dispone l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione vincolato determinato sulla base di dati di pre-consuntivo dell'esercizio precedente. Sono altresì consentite, con delibera di giunta, le variazioni compensative tra le dotazioni delle missioni e dei programmi limitatamente alle spese per il personale, conseguenti a provvedimenti di trasferimento del personale all'interno dell'ente.

 

Il comma 5 estende anche per l’anno 2022 l’applicazione sperimentale, prevista dall’art. 4-quater del D.L. n. 32/2019 per il triennio 2019-2021, di alcune deroghe alle norme contabili sul mantenimento in bilancio delle risorse in conto capitale.

 

L’art. 4-quater, comma 1, del D.L. n. 32/2019, in relazione all’entrata in vigore del nuovo concetto di impegno di cui all’articolo 34 della legge di contabilità (legge n. 196/2009), nonché per assicurare la sussistenza delle disponibilità di bilancio che possano assicurare la tempestività dei pagamenti in relazione alla tempistica di realizzazione delle spese di investimento, sulla base dello stato avanzamento lavori, prevede in via sperimentale, per gli anni 2019, 2020 e 2021 (e 2022, come stabilito dall’articolo 15 del Decreto-legge in esame):

a) che le somme da iscrivere negli stati di previsione della spesa in relazione a variazioni di bilancio connesse alla riassegnazione di entrate finalizzate per legge a specifici interventi o attività sono assegnate ai pertinenti capitoli in ciascuno degli anni del bilancio pluriennale in relazione al cronoprogramma degli impegni e dei pagamenti, da presentare contestualmente alla richiesta di variazione;

b) l’allungamento dei termini di mantenimento in bilancio dei residui relativi alle spese in conto capitale, rispetto a quanto previsto dall’articolo 34-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196[24], prevedendo:

§  che i termini riferiti ai residui di stanziamento (comma 3) sono prolungati di un ulteriore esercizio, passando quindi da uno a due esercizi;

§  che i termini relativi ai residui propri (comma 4, primo periodo) sono prolungati di ulteriori tre esercizi, con la possibilità, dunque di poter essere pagati entro il sesto esercizio successivo a quello dell'assunzione dell'impegno di spesa, decorsi i quali i residui si intendono perenti agli effetti amministrativi;

c) l’applicazione anche alle autorizzazioni di spesa in conto capitale a carattere permanente e a quelle annuali delle disposizioni di cui all’articolo 30, comma 2, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196[25], che consentono la reiscrizione nella competenza degli esercizi successivi delle somme non impegnate (residui di stanziamento) alla chiusura dell'esercizio relative ad autorizzazioni di spesa in conto capitale a carattere non permanente.

 

Il comma 6 prevede che, nell’ambito del processo dell’armonizzazione dei sistemi di contabilità e di bilancio delle amministrazioni pubbliche, il piano dei conti integrato per le amministrazioni centrali dello Stato può essere aggiornato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche rivedendo il livello minimo di articolazione e la sua composizione in moduli distinti. Inoltre, il termine della sperimentazione per l’adozione definitiva della contabilità integrata e del piano dei conti integrato (prevista dall'articolo 38-sexies della legge 31 dicembre 2009, n. 196) è prorogato di un anno.

La legge di contabilità e finanza pubblica (l. n. 196 del 2009) ha avviato un processo di armonizzazione dei sistemi di contabilità e di bilancio delle amministrazioni pubbliche attraverso, tra l’altro, l’adozione di:

·        un sistema di contabilità economico-patrimoniale da affiancare, a fini conoscitivi, al tradizionale sistema di contabilità finanziaria;

·        principi e regole contabili comuni;

·        un comune Piano dei Conti integrato, coerente con le classificazioni europee dei conti.

Nel processo di completamento della riforma per il bilancio dello Stato, in particolare, il decreto legislativo n. 90 del 2016 ha disciplinato, all’articolo 8, l'introduzione del sistema di contabilità integrata finanziaria ed economico-patrimoniale e del piano dei conti integrato, le verifiche degli Uffici di controllo sulle nuove scritture contabili per garantire la corretta applicazione dei principi contabili generali ed applicati, introducendo cinque nuovi articoli (dall’art. 38-bis al 38-sexies) all’interno della legge n. 196 del 2009.

In sintesi, è stata disposta l’adozione, da parte delle amministrazioni centrali dello Stato, di:

·        “un sistema integrato di scritture contabili” (contabilità integrata) “nell’ambito della gestione”, allo scopo di perseguire “la qualità e la trasparenza dei dati di finanza pubblica”, attraverso l’affiancamento, a fini conoscitivi,  della contabilità economico-patrimoniale alla preesistente contabilità finanziaria autorizzatoria che consente “la registrazione di ciascun evento gestionale contabilmente rilevante” ed assicurare “l'integrazione e la coerenza delle rilevazioni di natura finanziaria con quelle di natura economica e patrimoniale” (art. 38-bis, comma 1)

·        principi contabili generali, in coerenza con quelli delle altre amministrazioni non territoriali (D. Lgs. n. 91 del 2011), ai quali si deve conformare l’intera gestione contabile delle amministrazioni centrali dello Stato (art. 38-bis, comma 3, riportati nell’apposito Allegato 1, che costituisce parte integrante della Legge n. 196 del 2009);

·        principi contabili applicati, attraverso un apposito regolamento in corso di predisposizione (art. 38-bis, comma 4);

·        un piano dei conti integrato (art. 38-ter), costituito da conti che rilevano le entrate e le uscite in termini di contabilità finanziaria e da conti economico-patrimoniali redatti secondo comuni criteri di contabilizzazione, definiti in coerenza con il piano dei conti delle amministrazioni pubbliche non territoriali.

Il piano dei conti integrato costituisce lo strumento di riferimento per la tenuta delle scritture contabili. Esso è costituito dall’elenco delle voci del bilancio gestionale finanziario e dei conti economici e patrimoniali, in modo da consentire la rilevazione unitaria dei fatti gestionali.

Il D.P.R. 12 novembre 2018, n. 140 disciplina la struttura del piano dei conti integrato delle amministrazioni centrali dello Stato (ai sensi dell’articolo 38-ter). Il comma 4 dell’art. 38-ter prevede che gli aggiornamenti del piano dei conti sono adottati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Con la norma in esame si prevede che con lo stesso D.M. possano essere rivisti il livello minimo di articolazione e la sua composizione in moduli distinti.

L’adozione definitiva della contabilità integrata e del piano dei conti integrato è subordinata allo svolgimento di una sperimentazione (art. 38-sexies) della durata non superiore a tre esercizi finanziari (prorogata di un anno dalla norma in esame), da disciplinarsi con apposito decreto ministeriale, allo scopo di valutare gli effetti dell’adozione della contabilità integrata e del piano dei conti e del loro utilizzo “quale struttura di riferimento per la predisposizione dei documenti contabili e di bilancio unitamente alle missioni, ai programmi e alle azioni”, nonché di valutare l’utilizzo della codifica della transazione contabile elementare.

Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 21 febbraio 2019 è stato disposto l’avvio della sperimentazione a partire dall’esercizio 2019, che è attuata per fasi successive.

Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 13 novembre 2020 ha previsto l’aggiornamento del Piano dei conti integrato e del Piano dei conti di contabilità economica analitica delle amministrazioni centrali dello Stato. Gli aggiornamenti contenuti nel decreto, validi a partire dall’apertura della gestione dell'esercizio contabile 2021, stabiliscono che i conti del modulo economico e del modulo patrimoniale del Piano dei conti integrato delle amministrazioni centrali dello Stato, sono aggiornati e sostituiti dagli allegati 1.2 e 1.3 del decreto.


 

Articolo 15-bis
(Semplificazione della rettifica degli allegati a e a/2 al rendiconto 2020 per gli enti locali
)

 

L’articolo 15-bis, inserito in sede referente, consente agli enti locali che hanno approvato il rendiconto senza avere in precedenza inviato la certificazione dell’utilizzo del fondo per l'esercizio delle funzioni degli enti locali, di procedere alla rettifica degli allegati al rendiconto 2020 concernenti il risultato di amministrazione (allegato a) e l’elenco analitico delle risorse vincolate nel risultato di amministrazione (allegato a/2) ad opera del responsabile del servizio finanziario, sentito l'organo di revisione, salvo che non riguardi il valore complessivo del risultato di amministrazione.

 

L’articolo 227 del TUEL prevede che il rendiconto della gestione è deliberato entro il 30 aprile dell'anno successivo dall'organo consiliare.

Occorre considerare che l’articolo 39 del decreto-legge n. 104 del 2020, nell’incrementare la dotazione del fondo per l’esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni (istituito dal decreto-legge n. 34/2020 in relazione alla perdita di entrate locali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19), ha previsto al comma 2 la procedura per la verifica della perdita di gettito e dell’andamento delle spese degli enti locali beneficiari delle risorse del Fondo, prevedendo a tal fine la trasmissione da parte degli enti locali di una apposita certificazione telematica attestante la perdita di gettito riconducibile esclusivamente all’emergenza Covid-19. Il termine per l’invio per via telematica al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - della certificazione della perdita di gettito, inizialmente previsto entro il 30 aprile 2021, è stato spostato al 30 maggio 2021 dalla legge di bilancio 2021 (art. 1, comma 830, lett. a), della legge n. 178 del 2020).

La norma in esame, pertanto, consente agli enti locali che hanno approvato il rendiconto 2020 senza aver previamente compilato la certificazione di cui all’articolo 39, comma 2, del decreto-legge n. 104/2020, di rettificare gli allegati del rendiconto 2020 concernenti il risultato di amministrazione (allegato a) e l’elenco analitico delle risorse vincolate nel risultato di amministrazione (allegato a/2), ad opera del responsabile del servizio finanziario, sentito l'organo di revisione, salvo che la rettifica non riguardi il valore complessivo del risultato di amministrazione.

Il rendiconto aggiornato è tempestivamente trasmesso alla banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP) di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

 

Con riferimento alla BDAP si ricorda che ai sensi dell'art.13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica), le amministrazioni pubbliche sono tenute a inserire in una banca dati unitaria istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali, nonché le altre informazioni rilevanti ai sensi della medesima legge. Ciò al fine, fra l'altro, di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica. Con decreto del Ministro dell'economia 12 maggio 2016 si è provveduto alla definizione della modalità di trasmissione dei bilanci e dei dati contabili degli enti territoriali e dei loro organismi ed enti strumentali alla medesima banca dati delle pubbliche amministrazioni.

 

Si segnala che, come evidenziato dalla Commissione Arconet in risposta ad un quesito che verteva sulla fattispecie in esame (Faq n. 47 del 17 marzo 2021), tutti gli allegati al rendiconto possono essere rettificati con le modalità previste per l’approvazione del rendiconto. La norma in esame, in particolare, prevede una procedura semplificata per la rettifica ad opera del responsabile del servizio finanziario, sentito l’organo di revisione.

 

 


 

Articolo 16
(Norma finanziaria)

 

L’articolo 16 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dalla prima parte del provvedimento in esame, derivanti dagli articoli 4, 5, 6, 7, 8 e 11, pari a 10.337.000 euro per l'anno 2021, a 28.672.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026 e a 2.295.000 euro annui a decorrere dal 2027.

 

Tali oneri sono costituiti in gran parte dalle maggiori spese per l’istituzione delle strutture di governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

In particolare, gli oneri derivano dalle seguenti disposizioni:

-       art. 4: istituzione della Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con una spesa di 200.000 euro per l'anno 2021 e 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026,

-       art. 5: istituzione dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione presso la Presidenza del Consiglio, con una spesa di 200.000 euro per l'anno 2021 e 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026,

-       art. 6: istituzione del Servizio centrale per il PNRR presso la Ragioneria Generale dello Stato con compiti di coordinamento generale e di monitoraggio, con una spesa di 930.000 euro per l'anno 2021 e 1.859.000 euro dal 2022;

-       art. 7: istituzione di uffici dirigenziali presso la Ragioneria Generale dello Stato - IGRUE con funzione di audit e controllo del PNRR, con una spesa complessiva di 218.00 euro per l'anno 2021 e 436.000 euro dal 2022. 

-       art. 8: uffici dirigenziali per il coordinamento della fase attuativa del PNRR con una spesa di 8.789.000 euro per l'anno 2021 e di 17.577.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026,

-       art. 11: stipula del disciplinare tra Ministero dell'economia e delle finanze stipula e Consip S.p.A. nel limite complessivo di 40 milioni, con una spesa di 8 milioni per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026.

 

A tali oneri si provvede:

a)   quanto a 8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.

Si ricorda che il Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (cap. 3075) al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo in questione presenta una dotazione nel bilancio di previsione 2021-2023 pari a 94,7 milioni per il 2021, 478,2 milioni per il 2022 e 309,2 milioni per il 2023.

b)  quanto a 4.316.000 euro per l'anno 2021 e 8.632.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, mediante corrispondente riduzione del Fondo per le esigenze indifferibili che si manifestano in corso di gestione.

Si tratta del fondo istituito dall'articolo 1, comma 200, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014), iscritto sul capitolo 3076 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Nel bilancio per il 2021-2023 (legge n. 178 del 2020 e relativo D.M. 30 dicembre 2020 di ripartizione in capitoli), il Fondo presenta una dotazione di 645,2 milioni per il 2021, 383,5 milioni per il 2022 e di 431,8 milioni per il 2023. La dotazione del Fondo è stata ridotta, nel corso dell’anno, di:

-      5,6 milioni di euro per il 2021 e di 10,8 milioni annui a decorrere dall'anno, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. b) del D.L. n. 22/2021 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri);

-      di 35 milioni di euro per il 2023, 14 milioni per il 2024 e di 8 milioni per l’anno 2025, ai sensi dell'art. 42, comma 10, lett. d), del D.L. n. 41/2021 (c.d. Sostegni). Il medesimo D.L. n. 41 prevede altresì, all’art. 41, un incremento della dotazione del Fondo di 550 milioni di euro per l’anno 2021;

-      di 10,1 milioni nel 2033 e di 3,4 milioni nel 2034, ai sensi dell'art. 5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 59/2021 (istitutivo del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR) in corso di esame al Senato;

-      di 24,70 milioni di euro per l’anno 2023, 24,20 milioni per il 2024, 25,50 milioni per il 2025, 27,30 milioni per il 2026, 28,80 milioni per il 2027, 31,10 milioni per il 2028, 34,50 milioni per il 2029, 38,80 milioni per il 2030 e 39,20 milioni per ciascuno degli anni dal 2031 al 2033, 225,50 milioni per l'anno 2034 e 225,70 milioni di euro annui a decorrere dal 2035, dall’art. 77, comma 10, lett. b) del D.L. n. 73/2021 (Sostegni-bis), in corso di esame alla Camera. Il medesimo D.L. n. 73 prevede altresì, al comma 7 dell’art. 7, un incremento della dotazione del Fondo di 800 milioni per l’anno 2021 e di 100 milioni per l’anno 2022.

c)   quanto a 6.021.000 euro per l'anno 2021 e 12.040.000 euro a decorrere dal 2022, mediante riduzione del fondo speciale di parte corrente.

Allo scopo viene utilizzato l’accantonamento di vari Ministeri, e precisamente per 2.541.000 euro per l'anno 2021, 4.384.000 euro per l'anno 2022 e 5.080.000 a decorrere dall'anno 2023 l’accantonamento del Ministero dell’economia; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l’accantonamento del Ministero dello sviluppo economico; per 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l’accantonamento del Ministero del lavoro; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 per 2022 l'accantonamento del Ministero della giustizia; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'interno; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'istruzione; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'università e della ricerca; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000  a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero della difesa; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero per i beni e le attività culturali.

 

(milioni di euro)

Art.

TABELLA ONERI/COPERTURA
(in termini di saldo netto da finanziare)

2021

2022

2023

2024

TOTALE ONERI

10,34

28,68

28,68

28,68

Art. 4

Segreteria tecnica della Cabina di regia per il PNRR presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri

0,20

0,40

0,40

0,40

Art. 5

Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione

0,20

0,40

0,40

0,40

Art. 6, co. 1

Ufficio centrale di livello dirigenziale generale denominato "Servizio centrale per il PNRR" presso il MEF

0,13

0,26

0,26

0,26

Art. 6, co. 1

Istituzione di sei uffici di livello dirigenziale e non generale del "Servizio centrale per il PNRR" presso il MEF

0,44

0,87

0,87

0,87

Art. 6, co. 2

Istituzione di cinque posizioni di funzione dirigenziale di livello  non generale di consulenza, studio e ricerca il Ministero dell’Economia e delle Finanze-

0,36

0,73

0,73

0,73

Art. 7, co. 1

Istituzione ufficio dirigenziale di livello non generale presso l’Ispettorato IGRUE della RGS, avente funzioni di audit del PNRR

0,07

0,15

0,15

0,15

Art. 7, co. 3

Istituzione di due uffici dirigenziale di livello non generale presso l’Unità di missione della RGS per il PNRR

0,15

0,29

0,29

0,29

Art. 8

Istituzione Unità di missione presso le Amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR per le attività di coordinamento, gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo

8,79

17,58

17,58

17,58

Art. 11

Realizzazione di un programma di informazione, formazione e tutoraggio nella gestione delle specifiche procedure di acquisto e di progettualità per l'evoluzione del Sistema Nazionale di eProcurement e di rafforzamento della capacità amministrativa e tecnica delle PA da parte di Consip S.p.A.

-

8,0

8,0

8,0

TOTALE COPERTURA

10,34

28,68

28,68

28,68

1, lett. a)

Riduzione Fondo per interventi strutturali di politica economica

-

8,0

8,0

8,0

1, lett. b)

Riduzione Fondo esigenze indifferibili in corso di gestione

4,32

8,63

8,63

8,63

1, lett, c)

Riduzione Fondo speciale di parte corrente

6,02

12,04

12,04

12,04

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio ai fini dell'immediata attuazione delle disposizioni recate dal provvedimento in esame.


 

Articolo 17
(Commissione tecnica VIA per i progetti PNRR-PNIEC)

 

L’articolo 17, modificato nel corso dell’esame in sede referente, novella il Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) al fine di ampliare l’ambito di attività della Commissione Tecnica PNIEC anche alla valutazione ambientale di competenza statale dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Conseguentemente la Commissione assume la nuova denominazione di “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC”. Sono inoltre modificate la composizione (in particolare tramite il raddoppio del numero massimo dei membri, da 20 a 40) e le modalità di funzionamento della Commissione (lettera a)).

Viene inoltro introdotto, nel testo del Codice, un criterio di priorità da seguire nella valutazione dei progetti (sia da parte della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS che da parte della Commissione tecnica PNRR-PNIEC) il quale prevede sia data precedenza ai progetti aventi un comprovato valore economico superiore a 5 milioni di euro ovvero una ricaduta in termini di maggiore occupazione attesa superiore a 15 unità di personale o con scadenze non superiori a 12 mesi (lettera b)).

Le modifiche principali apportate in sede referente consistono nella previsione:

- dell’elaborazione di criteri tecnici e procedurali preordinati all'attuazione coordinata e omogenea delle disposizioni in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali recate dalla Parte seconda del Codice (nuovo comma 2-ter dell’art. 8 del Codice);

- della possibilità, per il Ministro della transizione ecologica, di attribuire, al presidente di una delle Commissioni tecniche in questione (VIA-VAS e PNRR-PNIEC), anche la presidenza dell'altra (nuovo comma 2-quater dell’art. 8 del Codice);

- della possibilità, da parte delle Commissioni parlamentari competenti, di richiedere la modifica delle tipologie dei progetti attuativi del PNIEC da assoggettare alla valutazione della “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC” (nuovo comma 2-septies dell’art. 8 del Codice);

 

 

Prima di illustrare nel dettaglio i contenuti dell’articolo in esame è necessaria una premessa volta ad inquadrare le norme previgenti ed evidenziare le finalità perseguite non solo dall’articolo 17, ma dall’insieme delle disposizioni in materia di valutazione ambientale contenute negli articoli 17-28.

Le disposizioni recate dagli articoli 17-28 del presente decreto-legge si propongono principalmente due grandi obiettivi:

-   integrare la disciplina prevista per la valutazione ambientale dei progetti del PNIEC al fine di ricomprendervi anche la valutazione dei progetti per l’attuazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza);

-   operare un intervento di semplificazione sulla disciplina di VIA e VAS (Valutazione Ambientale Strategica) prevista dalla parte seconda del Codice dell’ambiente.

Si ricorda che la disciplina della valutazione di impatto ambientale (VIA), contenuta nella parte seconda del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) è stata profondamente modificata, con il D.Lgs. 104/2017, al fine di recepire le modifiche apportate, alla legislazione europea in materia, dalla direttiva 2014/52/UE.

Per un’analisi sintetica delle principali novità introdotte dal D.Lgs. 104/2017 si rinvia al paragrafo “Valutazioni ambientali” del tema “Valutazioni e controlli ambientali” tratto dal dossier di inizio della XVIII legislatura.

Il recepimento della direttiva 2014/52/UE non è stato però giudicato del tutto adeguato dalla Commissione europea, che in data 12 febbraio 2020 ha avviato, con una lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia (n. 2019/2308) per non conformità alla normativa europea in materia di valutazione dell'impatto ambientale.

È quindi intervenuto, anche ai fini del superamento di tale contenzioso, il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.

L’articolo 50 del D.L. 76/2020 ha apportato una lunga serie di modifiche alla disciplina della VIA volte a perseguire principalmente l’accelerazione delle procedure, soprattutto tramite una riduzione dei termini previgenti e la creazione di una disciplina specifica per la valutazione ambientale, in sede statale, dei progetti necessari per l’attuazione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Diverse modifiche sono inoltre finalizzate (come poc’anzi anticipato) ad allineare la disciplina nazionale a quella europea al fine di superare la procedura di infrazione n. 2019/2308.

Per un’analisi approfondita delle modifiche in questione si rinvia al commento dell’art. 50 del D.L. 76/2020 tratto dal dossier predisposto in occasione dell’esame parlamentare del relativo disegno di legge di conversione.

La procedura di infrazione 2019/2308 è stata in seguito archiviata, come risulta dal comunicato del 24 febbraio 2021 del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nel testo del PNRR trasmesso all’UE viene evidenziato che “è necessaria una profonda semplificazione delle norme in materia di procedimenti in materia ambientale e, in particolare, delle disposizioni concernenti la valutazione di impatto ambientale (VIA). Le norme vigenti prevedono procedure di durata troppo lunga e ostacolano la realizzazione di infrastrutture e di altri interventi sul territorio. Questa disfunzione spesso si somma alla complicazione normativa e procedurale in materia di contratti di appalto pubblico. La VIA e le valutazioni ambientali sono indispensabili sia per la realizzazione delle opere pubbliche, che per gli investimenti privati, a partire dagli impianti per le energie rinnovabili”. Nel PNRR si legge al riguardo che “si prevede di sottoporre le opere previste dal PNRR ad una speciale VIA statale che assicuri una velocizzazione dei tempi di conclusione del procedimento, demandando a un’apposita Commissione lo svolgimento delle valutazioni in questione attraverso modalità accelerate, come già previsto per il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC 2030)”.

Nello stesso piano viene inoltre evidenziato che “il coordinamento tra PNRR e piani nazionali in materia di energia e cambiamento climatico potrà essere assicurato dal Comitato interministeriale per la transizione ecologica, già istituito dal decreto-legge n. 22/2021, al quale partecipano, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri della transizione ecologica, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del lavoro e delle politiche sociali e delle politiche agricole, alimentari e forestali”.

 

 

Ciò premesso, si illustra di seguito il dettaglio delle disposizioni recate dall’articolo in esame.

 

La lettera a) del comma 1 riscrive il comma 2-bis dell’art. 8 del Codice dell'ambiente (inserito dall'art. 50, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L. 76/2020) al fine di ampliare l’ambito di attività della Commissione Tecnica PNIEC anche ai progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Conseguentemente la Commissione assume la nuova denominazione di “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC”.

Si ricorda, in proposito, che il testo previgente ha istituito la Commissione tecnica PNIEC per lo svolgimento delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale dei progetti individuati da apposito D.P.C.M. previsto dall’art. 7-bis, comma 2-bis, del Codice e finalizzato, in particolare, a definire le tipologie di progetti e le opere necessarie per l'attuazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC). Tale decreto ad oggi non è stato emanato, così come il decreto istitutivo della Commissione tecnica.

Gli articoli 17 e 18 del presente decreto-legge, eliminando la fase attuativa citata, consentono (come evidenziato nella relazione illustrativa) di “rendere da subito effettiva la c.d. fast track già prevista dal citato decreto legge n. 76 del 2020, ulteriormente potenziata con le ulteriori novità introdotte dal presente provvedimento, ivi compresa l’operatività della Commissione VIA PNRR-PNIEC che nel testo previgente era vincolata all’adozione dei predetti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri”.

Il nuovo testo del comma 2-bis, previsto dalla norma in esame, prevede (come già anticipato) che la Commissione assume la denominazione “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC” e che la competenza della commissione stessa riguarda le procedure di valutazione ambientale di competenza statale:

-   dei progetti attuativi del PNIEC, la cui individuazione però non viene più demandata ad un decreto attuativo ma avviene direttamente nel nuovo Allegato I-bis alla parte seconda del Codice, introdotto dall’allegato I al decreto-legge in esame;

-   dei progetti compresi nel PNRR e di quelli finanziati a valere sul fondo complementare.

 

Altre modifiche riguardano la composizione della Commissione. Viene infatti:

-   raddoppiato il numero massimo di membri, che sale da 20 a 40 unità;

-   previsto che la competenza dei membri sia adeguata non solo in relazione alla valutazione tecnica e ambientale dei progetti, come previsto dal testo previgente, ma anche paesaggistica;

-   previsto che i membri sono scelti non solo tra il personale di ruolo del CNR, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, dell'ENEA e dell'ISS, come previsto dal testo previgente, ma anche tra il personale di ruolo delle amministrazioni statali e regionali.

Viene inoltre specificato, rispetto al testo previgente, che i membri non possono essere scelti tra il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario delle istituzioni scolastiche.

 

In relazione all’attività dei membri della Commissione, il testo previgente viene integrato al fine di precisare che gli stessi svolgono tale attività a tempo pieno.

 

Un’ulteriore modifica riguarda l’inserimento di una precisazione secondo cui il personale delle pubbliche amministrazioni è collocato, ai sensi dell’art. 17, comma 14, della L. 127/1997, fuori ruolo o in posizione di comando, distacco, aspettativa o altra analoga posizione, secondo i rispettivi ordinamenti.

Si tratta di una disposizione che in realtà precisa meglio quanto già previsto del testo previgente, che si limita a rinviare al succitato art. 17, comma 14, della L. 127/1997.

 

Sono altresì modificati i termini per la nomina dei membri. Mentre il testo previgente prevede che la nomina avvenga con decreto del Ministro dell'ambiente entro trenta giorni dall’entrata in vigore del D.P.C.M. previsto dall'art. 7-bis, comma 2-bis (di cui si è detto in precedenza), il nuovo testo prevede che la nomina avviene con decreto del Ministro della transizione ecologica entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Si ricorda che il decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 aprile 2021, n. 55), prevede, tra l’altro, l’istituzione del Ministero della transizione ecologica, che sostituisce il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare accorpando le funzioni di questo con quelle in materia di politica energetica e mineraria svolte dal Ministero dello sviluppo economico (artt. 2 e 3).

 

Nel corso dell’esame in sede referente la norma in esame è stata integrata al fine di precisare che la nomina dei membri potrà avvenire anche attingendo dall'elenco già utilizzato per la nomina dei componenti della Commissione VIA-VAS di cui all'art. 8, comma 1, del Codice dell’ambiente, in possesso dei medesimi requisiti di cui al comma 2-bis.

 

La norma in esame modifica inoltre la durata dell’incarico dei membri della Commissione che, rispetto al testo previgente, è elevata da 4 a 5 anni.

 

La disposizione del testo previgente secondo cui ai commissari spetta una indennità aggiuntiva esclusivamente in ragione dei compiti istruttori effettivamente svolti e solo a seguito dell'adozione del relativo provvedimento finale è soppressa. La finalità di ancorare la determinazione del compenso esclusivamente ai compiti effettivamente svolti e all’adozione del provvedimento finale viene però mantenuta in relazione al compenso base disciplinato dal comma 5 dell’art. 8, in virtù della novella operata dalla lettera c) del comma in esame (v. infra).

 

Un’ulteriore novella riguarda lo svolgimento delle istruttorie tecniche. Mentre il testo previgente prevede che per tali istruttorie la Commissione possa avvalersi, tramite appositi protocolli d'intesa, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA) e degli altri enti pubblici di ricerca, il nuovo testo rende obbligatorio tale avvalimento.

 

Relativamente alle modalità di funzionamento della Commissione, il testo previgente viene integrato con l’aggiunta di disposizioni secondo cui:

-   alle riunioni della Commissione partecipa, con diritto di voto, anche un rappresentante del Ministero della cultura;

-   per i procedimenti per i quali sia riconosciuto da specifiche disposizioni o intese un concorrente interesse regionale, all’attività istruttoria partecipa, con diritto di voto, un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate, individuato tra i soggetti in possesso di adeguata professionalità ed esperienza nel settore della valutazione dell'impatto ambientale e del diritto ambientale.

Tale disposizione è analoga a quella già prevista in via generale (dall’art. 8, comma 1, del Codice) per la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS, con la differenza che nella norma in esame viene precisato che all’esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate spetta il diritto di voto.

-   si applicano alla Commissione anche le modalità operative previste dal nuovo comma 2-ter dell’art. 25, inserito nel testo del Codice dell'ambiente dall’art. 4 del decreto-legge in esame.

 

 

La lettera a) è stata inoltre integrata, in sede referente, con l’introduzione di disposizioni volte ad inserire i nuovi commi da 2-ter a 2-septies nell’art. 8 del Codice dell'ambiente.

 

Il comma 2-ter, al fine di garantire univocità di indirizzo, prevede che i presidenti della Commissione VIA-VAS e della Commissione PNRR-PNIEC - coadiuvati da un numero massimo di due commissari per ciascuna Commissione, individuati dal Ministro della transizione ecologica - provvedono all'elaborazione di criteri tecnici e procedurali preordinati all'attuazione coordinata e omogenea delle disposizioni in materia di valutazioni e autorizzazioni ambientali recate dalla Parte seconda del Codice dell’ambiente.

Il successivo comma 2-quater prevede che il Ministro della transizione ecologica può attribuire, al presidente di una delle Commissioni testé menzionate, anche la presidenza dell'altra.

Nel caso in cui la presidenza di entrambe le Commissioni sia attribuita al presidente della Commissione VIA-VAS, quest'ultimo è collocato in posizione di fuori ruolo, comando, distacco, aspettativa o altra analoga posizione entro 10 giorni dall'assunzione dell'incarico e per l'intera durata del medesimo;

Il comma 2-quinquies, in relazione a quanto previsto dai precedenti commi 2-ter e 2-quater, dispone che resta fermo che dagli incarichi ivi indicati è escluso il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche.

 

Il comma 2-sexies reca una disposizione di carattere formale volta a prevedere che la nuova denominazione «Commissione tecnica PNRR-PNIEC» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, la denominazione «Commissione tecnica PNIEC».

 

In base al disposto del comma 2-septies, qualora lo richieda almeno una delle Commissioni parlamentari competenti a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, le tipologie dei progetti attuativi del PNIEC individuati nell’allegato I-bis del presente decreto possono essere modificate, con decreto del Ministro della transizione ecologica, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti da rendere entro 45 giorni dalla richiesta, decorsi i quali il decreto può essere comunque adottato.

 

La lettera b) del comma 1 integra il testo del comma 1 dell’art. 8 del Codice dell'ambiente al fine di introdurre un criterio di priorità da seguire nella valutazione dei progetti, sia da parte della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS che da parte della Commissione tecnica PNRR-PNIEC. Tale criterio prevede che sia data precedenza, nella trattazione dei procedimenti di propria competenza, ai progetti:

- aventi un comprovato valore economico superiore a 5 milioni di euro;

- ovvero una ricaduta in termini di maggiore occupazione attesa superiore a 15 unità di personale;

- nonché ai progetti cui si correlano scadenze non superiori a 12 mesi, fissate con termine perentorio dalla legge o comunque da enti terzi, e ai progetti relativi ad impianti già autorizzati la cui autorizzazione scade entro dodici mesi dalla presentazione dell’istanza.

 

La lettera c) del comma 1 integra il testo previgente del comma 5 dell’art. 8 del Codice – che disciplina le modalità di determinazione dei compensi sia dei membri della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS sia dei membri della Commissione tecnica PNRR-PNIEC, disponendo che tali compensi sono stabiliti proporzionalmente alle responsabilità di ciascun membro e in ragione dei compiti istruttori effettivamente svolti – al fine di precisare che:

-   i compensi in questione devono essere stabiliti solo a seguito dell'adozione del relativo provvedimento finale (introducendo quindi una sorta di obbligo di risultato);

-   la determinazione dei compensi deve avvenire esclusivamente in ragione dei compiti istruttori effettivamente svolti.


 

Articolo 18
(Opere e infrastrutture strategiche per la realizzazione del PNRR e del PNIEC)

 

L’articolo 18, modificato in sede referente, novella il Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006), eliminando le disposizioni volte a disciplinare l’emanazione di un apposito D.P.C.M. finalizzato all’individuazione delle tipologie di interventi necessari per l'attuazione del PNIEC nonché delle aree non idonee alla realizzazione degli interventi medesimi. In luogo di tali disposizioni (non più necessarie in quanto l’individuazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto-legge in esame, avviene direttamente con il nuovo allegato I-bis) viene previsto che le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica del Paese inclusi nel PNRR e al raggiungimento degli obiettivi fissati nel PNIEC, come individuati nell’allegato I-bis, e le opere connesse a tali interventi costituiscono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti.

A tali disposizioni si aggiunge quella, introdotta in sede referente, che disciplina la procedura da seguire in caso di varianti progettuali legate a modifiche, estensioni e adeguamenti tecnici non sostanziali che non comportino impatti ambientali significativi e negativi.

 

Il numero 1) della lettera a) del comma 1 riscrive il comma 2-bis dell’art. 7-bis del Codice dell'ambiente (inserito dall'art. 50, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L. 76/2020), il cui testo previgente disciplina l’emanazione di un apposito D.P.C.M. finalizzato all’individuazione delle tipologie di interventi necessari per l'attuazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC), nonché delle aree non idonee alla realizzazione degli interventi medesimi.

Il nuovo testo non prevede più l’emanazione di un tale decreto (in linea con quanto previsto dall’art. 17 del decreto-legge in esame, secondo cui l’individuazione è ora effettuata direttamente dal nuovo allegato I-bis alla parte seconda del Codice), ma si limita a disporre che le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica del Paese inclusi nel PNRR e al raggiungimento degli obiettivi fissati nel PNIEC, come individuati nell’Allegato I-bis, e le opere connesse a tali interventi costituiscono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti.

In merito alla dichiarazione di pubblica utilità (disciplinata dagli artt. 12-14 del D.P.R. 327/2001), si ricorda che essa attribuisce alle opere, anche qualora private, la natura giuridica di opera pubblica e costituisce presupposto per eventuali procedure espropriative. Relativamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza si ricorda che essa costituisce il presupposto di legittimità del provvedimento d'occupazione d'urgenza (v. art. 22-bis del D.P.R. 327/2001).

 

Si fa notare che mentre l’articolo 17 del decreto-legge in esame fa riferimento alla valutazione ambientale di competenza statale dei progetti ricompresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di quelli finanziati a valere sul fondo complementare nonché dei progetti attuativi del PNIEC individuati nell’Allegato I-bis del decreto in esame, l’articolo in esame fa riferimento alle opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica del Paese inclusi nel piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), predisposto in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, come individuati nell’Allegato I-bis, e le opere ad essi connesse, quindi a un sottoinsieme degli interventi considerati dall’articolo 17.

Si valuti pertanto l’opportunità di coordinare le disposizioni degli articoli 17 e 18.

 

 

Il numero 2) della lettera a) del comma 1 dispone l’abrogazione del comma 2-ter dell’art. 7-bis del Codice dell'ambiente (inserito dall'art. 50, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L. 76/2020) che disciplina i criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla realizzazione degli interventi di cui trattasi.

Si fa notare che nel testo previgente l’individuazione delle aree non idonee è demandata allo stesso D.P.C.M. finalizzato a definire le tipologie di progetti e le opere necessarie per l'attuazione del PNIEC e che tale adempimento non viene più previsto in virtù delle modifiche operate dall’art. 17 del decreto-legge in esame.

Sembra pertanto scomparire la disciplina volta all’individuazione delle aree non idonee.

 

 

La lettera b) del comma 1 dispone che nell’allegato I al presente decreto-legge è contenuto il testo del nuovo allegato I-bis alla parte seconda del Codice dell’ambiente.

Tale allegato I-bis elenca, come indicato nel titolo dello stesso, le opere, gli impianti e le infrastrutture necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNIEC.

 

La successiva lettera b-bis), inserita nel corso dell’esame in sede referente, introduce una disposizione secondo cui, nell'ambito dei progetti già autorizzati, per le varianti progettuali legate a modifiche, estensioni e adeguamenti tecnici non sostanziali che non comportino impatti ambientali significativi e negativi, si applica la procedura tradizionale già prevista dal comma 9 dell’art. 6 del Codice (nuovo comma 9-bis dell’art. 6 del Codice dell’ambiente).

Il comma 9 dell’art. 6 del Codice dispone che, per le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti assoggettati a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA (elencati negli allegati II, II-bis, III e IV alla parte seconda del Codice) - fatta eccezione per le modifiche o estensioni dei progetti elencati negli allegati II e III (cioè assoggettati a VIA statale o regionale) che comportano il superamento degli eventuali valori limite stabiliti - il proponente, in ragione della presunta assenza di potenziali impatti ambientali significativi e negativi, ha la facoltà di richiedere all'autorità competente, trasmettendo adeguati elementi informativi tramite apposite liste di controllo, una valutazione preliminare al fine di individuare l'eventuale procedura da avviare. L'autorità competente, entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta di valutazione preliminare, comunica al proponente l'esito delle proprie valutazioni, indicando se le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici devono essere o meno assoggettati a verifica di assoggettabilità a VIA o a VIA. L'esito della valutazione preliminare e la documentazione trasmessa dal proponente sono tempestivamente pubblicati dall'autorità competente sul proprio sito internet istituzionale.


 

Articolo 18-bis
(Intesa delle regioni)

 

L’articolo 18-bis, introdotto in sede referente, prevede che, per le opere di cui all'Allegato I-bis del D.Lgs. 152/2006 (introdotto dall’art. 18 del presente decreto-legge), nei procedimenti disciplinati dal D.P.R. 327/2001 (testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), le regioni sono tenute ad esprimere l'intesa entro 30 giorni dalla positiva conclusione della Conferenza dei servizi, al fine di consentire all'Autorità competente il rilascio del provvedimento finale.

 

 

L’articolo in esame reca una disposizione che riguarda solamente le opere di cui all'Allegato I-bis del D.Lgs. 152/2006 (introdotto dall’art. 18 del presente decreto-legge).

Si ricorda che l’allegato I-bis in questione individua le opere, gli impianti e le infrastrutture necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).

 

Per tali opere viene previsto che, nei procedimenti disciplinati dal D.P.R. 327/2001 (testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), le regioni sono tenute ad esprimere l'intesa entro 30 giorni dalla positiva conclusione della Conferenza dei servizi, al fine di consentire all'Autorità competente il rilascio del provvedimento finale.

La norma in esame sembra ripercorrere quanto previsto dalla speciale disciplina per l’espropriazione per le infrastrutture lineari energetiche recata dal capo II del titolo III del D.P.R. 327/2001.

In particolare il comma 5 dell’art. 52-quinquies di tale decreto dispone che, per le infrastrutture lineari energetiche, l'atto conclusivo del procedimento di espropriazione “è adottato d'intesa con le Regioni interessate, previa acquisizione del parere degli enti locali ove ricadono le infrastrutture, da rendere entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali il parere si intende acquisito”.

Ciò premesso, si valuti l’opportunità di chiarire il riferimento ai procedimenti disciplinati dal D.P.R. 327/2001.

 


 

Articolo 19
(Disposizioni relative al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e consultazione preventiva)

 

L’articolo 19, modificato nel corso dell’esame in sede referente, modifica e integra le discipline relative al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e alla consultazione preventiva (recate rispettivamente dagli artt. 19 e 20 del Codice dell'ambiente) al fine precipuo di introdurre termini certi per lo svolgimento di determinate fasi procedurali e di ridurre i termini già previsti. Viene inoltre precisato che la disciplina della consultazione preventiva si applica anche ai progetti di cui all’articolo 8, comma 2-bis, del Codice, cioè quelli esaminati dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC.

Le modifiche operate in sede referente sono volte ad una riduzione dei termini nonché ad intervenire (con le nuove lettere b-bis) e b-ter)), sugli allegati III e IV alla parte seconda del Codice dell’ambiente (ove sono elencati i progetti assoggettati, rispettivamente, a VIA regionale e a verifica di assoggettabilità a VIA di competenza regionale) al fine di far salva la disciplina delle acque minerali e termali.

 

 

La lettera a) del comma 1 reca modifiche e integrazioni alla disciplina relativa al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA (recata dall’art. 19 del Codice dell'ambiente, come riscritto dall'art. 50, comma 1, lett. f), del D.L. 76/2020).

Si ricorda che tale procedimento inizia con la trasmissione all'autorità competente, da parte del proponente, dello studio preliminare ambientale.

In particolare, il numero 1) della lettera a) del comma 1 prevede la riduzione da 45 a 30 giorni del termine, concesso a chiunque abbia interesse, per presentare le proprie osservazioni all'autorità competente in merito allo studio preliminare ambientale e alla documentazione allegata.

La norma modifica il termine previsto dal testo previgente del comma 4 dell’art. 19 del Codice. Tale testo stabilisce infatti che, entro e non oltre 45 giorni dalla pubblicazione sul sito internet dello studio preliminare ambientale e dalla comunicazione per via telematica a tutte le amministrazioni e a tutti gli enti territoriali potenzialmente interessati dell'avvenuta pubblicazione, chiunque abbia interesse può presentare le proprie osservazioni all'autorità competente in merito allo studio preliminare ambientale e alla documentazione allegata.

 

Il numero 2) della lettera a) integra il disposto del comma 6 dell’art. 19, che disciplina il termine per l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA. L’integrazione in esame è volta a stabilire che, entro tale termine, l’autorità competente può richiedere chiarimenti e integrazioni al proponente finalizzati alla non assoggettabilità del progetto al procedimento di VIA.

In tal caso, il proponente può richiedere, per una sola volta, la sospensione dei termini, per un periodo non superiore a 45 giorni (termine così modificato in sede referente, rispetto ai 60 giorni previsti dal testo iniziale), per la presentazione delle integrazioni e dei chiarimenti richiesti.

Qualora il proponente non trasmetta la documentazione richiesta entro il termine stabilito, la domanda si intende respinta ed è fatto obbligo all’autorità competente di procedere all’archiviazione.

Si fa notare che nel testo previgente, la possibilità (da parte dell’autorità competente) di chiedere chiarimenti e integrazioni al proponente era già contemplata dal comma 2, ma limitatamente alla fase iniziale di verifica della completezza e dell'adeguatezza del progetto preliminare e della relativa documentazione trasmessi. Anche il comma 2 prevede che qualora il proponente non trasmetta la documentazione richiesta entro il termine stabilito, la domanda si intende respinta ed è fatto obbligo all'autorità competente di procedere all'archiviazione.

La relazione illustrativa sottolinea che le modifiche in esame “consentono di introdurre una fase nella quale l’autorità competente possa chiedere chiarimenti e integrazioni al proponente senza un aggravio temporale del procedimento”.

 

Il numero 3) della lettera a) integra il disposto del comma 7 dell’art. 19, che consente al proponente, qualora l'autorità competente stabilisca di non assoggettare il progetto a VIA, di richiedere alla medesima autorità di specificare le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi e negativi.

L’integrazione è volta a precisare che l’autorità competente si pronuncia sulla richiesta di condizioni ambientali formulata dal proponente entro il termine di 30 giorni con determinazione positiva o negativa, esclusa ogni ulteriore interlocuzione o proposta di modifica.

La relazione illustrativa sottolinea che la fissazione di tale termine consente di dare certezza dei tempi procedimentali.

 

La lettera b) del comma 1 integra la disciplina della consultazione preventiva (recata dall’art. 20 del Codice dell'ambiente, come riscritto dall'art. 50, comma 1, lett. g), del D.L. 76/2020).

Il testo previgente consente al proponente di richiedere, prima di presentare il progetto, una fase di confronto con l'autorità competente al fine di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni necessarie da considerare per la redazione dello studio di impatto ambientale. A tal fine, il proponente trasmette, in formato elettronico, una proposta di elaborati progettuali e, sulla base della documentazione trasmessa dal proponente, l'autorità competente trasmette al proponente il proprio parere.

La norma in esame integra il testo previgente precisando che:

- la trasmissione del parere con cui l’autorità competente conclude la fase di consultazione preventiva deve avvenire entro 30 giorni dalla presentazione della proposta progettuale.

- la disciplina della consultazione preventiva recata dall’art. 20 si applica anche ai progetti di cui all’art. 8, comma 2-bis, del Codice, cioè quelli esaminati dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC.

Si osserva che l’articolo 8, comma 2-bis, del Codice, già dispone che la Commissione in questione “opera con le modalità previste dall'articolo 20”. Si valuti quindi l’opportunità di un coordinamento.

 

 

Le lettere b-bis) e b-ter), introdotte in sede referente, recano modifiche agli allegati III e IV alla parte seconda del Codice dell’ambiente ove sono elencati i progetti assoggettati, rispettivamente, a VIA regionale e a verifica di assoggettabilità a VIA di competenza regionale.

La lettera b-bis) integra la lettera u) dell'allegato III, che assoggetta a VIA regionale le attività di coltivazione sulla terraferma delle sostanze minerali di miniera di cui all'art. 2, comma 2 del R.D. 1443/1927, precisando che è fatta salva la disciplina delle acque minerali e termali di cui alla precedente lettera b).

Tale lettera b) assoggetta a VIA regionale l’utilizzo non energetico di acque superficiali nei casi in cui la derivazione superi i 1.000 litri al secondo e di acque sotterranee ivi comprese acque minerali e termali, nei casi in cui la derivazione superi i 100 litri al secondo.

La lettera b-ter) integra la lettera a) del punto 2 dell'allegato IV, che assoggetta a verifica di assoggettabilità a VIA di competenza regionale le attività di ricerca sulla terraferma delle sostanze minerali di miniera di cui all'articolo 2, comma 2, del R.D. 1443/1927, ivi comprese le risorse geotermiche con esclusione degli impianti geotermici pilota, incluse le relative attività minerarie, al fine di precisare che è fatta salva la disciplina delle acque minerali e termali di cui alla lettera b) dell'allegato III alla parte seconda del Codice.

 

 


 

Articolo 20
(Nuova disciplina della valutazione di impatto ambientale e disposizioni speciali per gli interventi PNRR-PNIEC)

 

L’articolo 20, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sulla disciplina per l’emanazione del provvedimento di VIA di competenza statale recata dai commi 2 e 2-bis dell’art. 25 del Codice (concernenti, rispettivamente, i progetti non inclusi nel PNRR-PNIEC e quelli invece inclusi). Le modifiche riguardano, in estrema sintesi: il concerto del Ministero della cultura; l’accelerazione della procedura attraverso la riduzione dei termini previsti; l’unificazione delle procedure previste nei casi di inutile decorso dei termini e per l’attivazione dei conseguenti poteri sostitutivi finalizzati all’adozione del provvedimento di VIA; l’introduzione del rimborso al proponente del 50% dei diritti di istruttoria qualora non siano rispettati i termini per la conclusione del procedimento di VIA relativo ai progetti PNRR-PNIEC.

 

L’articolo 20 interviene sulla disciplina per l’emanazione del provvedimento di VIA di competenza statale recata dai commi 2 e 2-bis dell’art. 25 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006).

Si ricorda che la disciplina recata dall’art. 25 è stata rivista dall’art. 50, comma 1, lett. m), del D.L. 76/2020. In particolare, i numeri 1) e 2) di tale lettera m) hanno previsto, tra l’altro, la bipartizione del procedimento di valutazione ambientale, attraverso la creazione di una procedura speciale dedicata ai progetti delle opere necessarie all’attuazione del PNIEC. Ciò è avvenuto mediante:

-   la precisazione, inserita (dal numero 1)) all’inizio del comma 2 dell’art. 25 (che disciplina modalità e termini per addivenire al rilascio del provvedimento di VIA), che esclude l’applicabilità di tale disposizione per i progetti necessari all’attuazione del PNIEC. Di conseguenza il comma 2 riguarda solamente i progetti estranei al PNIEC;

-   l’inserimento di un nuovo comma 2-bis che reca una disciplina speculare a quella del comma 2 e dedicata ai “progetti PNIEC” e che ora, in virtù della riscrittura operata dall’art. 1 del decreto-legge in esame, riguarda anche i progetti del PNRR.

 

Relativamente alla disciplina di carattere generale, cioè quella relativa ai progetti esclusi da PNIEC e PNRR, la riscrittura del comma 2 dell’art. 25, apporta le seguenti modifiche al testo previgente:

- viene precisato che l’adozione del provvedimento di VIA da parte dell’autorità competente (vale a dire il MiTE, in virtù del disposto dell’art. 7-bis, comma 4) deve avvenire previa acquisizione del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura entro il termine di 30 giorni;

Si valuti l’opportunità di precisare il momento da cui decorre il termine indicato.

Si ricorda che il citato comma 4 dell’art. 7-bis del Codice dispone che “in sede statale, l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che esercita le proprie competenze in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per le attività istruttorie relative al procedimento di VIA”.

- sono soppressi gli ultimi tre periodi del testo previgente del comma 2 ove venivano disciplinati i casi di inutile decorso dei termini e l’attivazione di poteri sostitutivi finalizzati all’adozione del provvedimento di VIA. Tali disposizioni, pur se modificate, vengono ricollocate nel nuovo comma 2-quater che prevede una disciplina unitaria, sia per i progetti inclusi nel PNRR-PNIEC che per quelli esclusi, delle procedure da seguire nei casi di inerzia nella conclusione del procedimento e dell’attivazione del potere sostitutivo.

 

Relativamente alla disciplina relativa ai progetti PNRR-PNIEC, la riscrittura del comma 2-bis dell’art. 25 apporta le seguenti modifiche e integrazioni al testo previgente:

§  sono modificati i termini entro i quali deve esprimersi la Commissione tecnica PNRR-PNIEC, predisponendo lo schema di provvedimento di VIA. Mentre il testo previgente prevedeva che ciò avvenisse entro 170 giorni dalla pubblicazione della documentazione di avvio del procedimento di VIA (prevista dal comma 4 dell’art. 23 del Codice), il nuovo testo prevede una riduzione di 40 giorni del termine in questione, rideterminato in 130 giorni dalla data della citata pubblicazione. Il nuovo testo precisa altresì che tale termine rappresenta un limite massimo e dispone inoltre che, nell’ambito di tale limite, la Commissione tecnica PNRR-PNIEC deve esprimersi entro 30 giorni dalla conclusione della fase di consultazione disciplinata dall’art. 24;

Nelle slide di presentazione del presente decreto-legge, diffuse dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, viene evidenziato che i tempi per il rilascio della VIA per i progetti PNRR-PNIEC, al netto dei tempi a favore del proponente, in forza delle modifiche recate dalla norma in esame saranno pari a 175 giorni.

Tale termine è la risultante della somma dei seguenti termini:

- 15 giorni dall'istanza di avvio del procedimento, entro i quali l'autorità competente deve provvedere alla verifica dell’istanza medesima e, quindi, al netto dei tempi necessari per eventuali integrazioni documentali, ad attivare la fase di consultazione (nuovo testo del comma 3 dell’art. 23 del Codice; v. art. 21, lett. a), n. 1) del presente decreto);

- 130 giorni dall'inizio della fase di consultazione, entro cui la Commissione PNRR-PNIEC deve pronunciarsi (termine previste dalla norma in esame);

- 30 giorni successivi al parere della Commissione PNRR-PNIEC, entro cui deve essere adottato il provvedimento di VIA (tale termine, invariato rispetto al testo previgente, è contemplato dal secondo periodo del nuovo testo del comma 2-bis, dell’art. 25 del Codice).

§  viene incrementato da 15 a 20 giorni il termine per l’acquisizione, da parte del direttore generale del MiTE, del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura sul provvedimento di VIA;

§  la disciplina relativa all’attivazione del potere sostitutivo viene eliminata dal comma 2-bis e ricollocata nel nuovo comma 2-quater che prevede una disciplina unitaria, sia per i progetti inclusi nel PNRR-PNIEC che per quelli esclusi, delle procedure da seguire nei casi di inerzia nella conclusione del procedimento e dell’attivazione del potere sostitutivo;

§  viene introdotto un nuovo comma 2-ter in base al quale, qualora non siano rispettati i termini per la conclusione del procedimento di cui al comma 2-bis, primo e secondo periodo, è rimborsato al proponente il 50% dei diritti di istruttoria (disciplinati dall’art. 33 del Codice), mediante utilizzazione delle risorse iscritte in apposito capitolo a tal fine istituito nello stato di previsione del MiTE con uno stanziamento complessivo di 3,74 milioni di euro nel triennio 2021-2023 (840.000 euro per l'anno 2021, 1,64 milioni di euro per il 2022 e 1,26 milioni per il 2023).
Il testo originario del decreto-legge prevede che il rimborso avvenga “automaticamente”, ma tale avverbio è stato soppresso durante l’esame in sede referente.

Il medesimo testo è stato altresì integrato, in sede referente, con una disposizione transitoria in base alla quale, in sede di prima applicazione, i termini indicati ai fini dell'eventuale rimborso al proponente del 50% dei diritti di istruttoria decorrono dalla data della prima riunione della Commissione PNRR-PNIEC.

Si fa notare che tale disposizione non riguarda il terzo ed ultimo periodo del comma 2-bis, che fissa il termine per l’adozione del provvedimento di VIA nel caso di consultazioni transfrontaliere.

Si fa altresì notare che la stima delle coperture finanziarie in questione, ricostruita in dettaglio nella relazione tecnica, si basa sulla proiezione in avanti dei diritti di istruttoria incassati negli anni scorsi e sull’ipotesi che “l’effetto deterrente connesso all’applicazione della disposizione in esame, l’introduzione delle misure acceleratorie di cui al decreto-legge in oggetto e il rafforzamento delle strutture amministrative contestualmente disposto consentirà di contenere le ipotesi di ritardo nella definizione dei procedimenti (e le conseguenti restituzioni) in modo significativo, fino a ridurle ad una percentuale che può essere stimata nel 40% per gli anni 2021 e 2022 e nel 30% per il 2023 (quando le nuove disposizioni saranno ormai pienamente entrate a regime e consentiranno alla nuova Commissione di ridurre al minimo il rischio di superamento dei tempi)”.

 

Il primo periodo del nuovo comma 2-quater reca una disposizione pressoché identica a quella del testo previgente dell’ultimo periodo del comma 2-bis e relativa al caso di inerzia nella conclusione del procedimento e all’attivazione di poteri sostitutivi. Tale disposizione viene integrata con una precisazione volta ad estenderne l’applicazione a tutte le procedure di VIA, a prescindere dall’inclusione dei progetti interessati nel PNRR-PNIEC.

Il testo previgente prevede che, in caso di inerzia, il titolare del potere sostitutivo, nominato ai sensi dell’art. 2 della L. 241/1990 – acquisito, qualora la competente commissione di cui all'art. 8 non si sia pronunciata, il parere dell’ISPRA entro il termine di trenta giorni – provvede al rilascio del provvedimento entro i successivi trenta giorni.

Nel nuovo testo viene precisato che l’inerzia a cui si fa riferimento è quella nella conclusione del procedimento da parte:

- della Commissione VIA-VAS (cioè quella di cui al comma 1 dell’art. 8 del Codice dell’ambiente);

- ovvero della Commissione PNRR-PNIEC (cioè quella di cui al comma 2-bis del medesimo art. 8).

 

Si tratta quindi di una disposizione che, come anticipato in precedenza, unifica le differenti discipline delle procedure da seguire nei casi di inerzia nella conclusione del procedimento e dell’attivazione del potere sostitutivo, sul modello di quella già prevista nella versione previgente dell’art. 25, comma 2-bis, del Codice dell’ambiente, originariamente riferita alla sola Commissione VIA PNIEC.

 

Si fa altresì notare che, rispetto al testo previgente, è presente un’ulteriore differenza che risiede nella precisazione che il titolare del potere sostitutivo non provvede (come contemplato dal testo previgente) al rilascio del provvedimento di VIA bensì all'adozione dell'atto omesso.

Si ricorda infatti che l’inerzia in questione è quella della Commissione tecnica che non ha il potere di rilasciare il provvedimento di VIA ma solamente di proporne l’adozione.

 

Il secondo periodo del nuovo comma 2-quater integra la disciplina recata dal periodo precedente, introducendo una disposizione che regola i casi di:

- inerzia nella conclusione del procedimento da parte del direttore generale del MiTE;

- ritardo, nel rilascio del concerto, da parte del direttore generale competente del Ministero della cultura.

 

In tali casi viene previsto che il titolare del potere sostitutivo provvede al rilascio degli atti di relativa competenza entro i successivi 30 giorni.

 

Il nuovo comma 2-quinquies introduce una disposizione di semplificazione di carattere generale.

L’ambito di applicazione della norma non sembra infatti ristretto ai “progetti PNRR-PNIEC”.

La norma in esame prevede che il concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura comprende l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs. 42/2004.

La stessa norma pone però come condizione che gli elaborati progettuali siano sviluppati a un livello che consenta la compiuta redazione della relazione paesaggistica.

Si fa notare che il comma 5 del citato art. 146 dispone che sull’istanza di autorizzazione paesaggistica “si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all'articolo 143, commi 4 e 5”.

Tali ultimi commi disciplinano la facoltà, per il piano paesaggistico regionale, di prevedere, tra l’altro, la “individuazione di aree soggette a tutela ai sensi dell'articolo 142 e non interessate da specifici procedimenti o provvedimenti ai sensi degli articoli 136, 138, 139, 140, 141 e 157, nelle quali la realizzazione di interventi può avvenire previo accertamento, nell'ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo edilizio, della conformità degli interventi medesimi alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico comunale”.

Relativamente alla relazione paesaggistica, si ricorda che si tratta di un documento reso obbligatorio dal D.P.C.M. 12 dicembre 2005 (recante “Individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi proposti, ai sensi dell'articolo 146, comma 3, del Codice dei beni culturali del paesaggio di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42”). Tale D.P.C.M. dispone infatti che la relazione paesaggistica “correda, congiuntamente al progetto dell'intervento che si propone di realizzare ed alla relazione di progetto, l'istanza di autorizzazione paesaggistica” e “costituisce per l'amministrazione competente la base di riferimento essenziale per le valutazioni previste dall'art. 146, comma 5” del D.Lgs. 42/2004, cioè, in altre parole, per la verifica di compatibilità paesaggistica degli interventi.

La relazione illustrativa sottolinea che la norma in esame “è volta a razionalizzare il procedimento di VIA, tenuto conto che ai sensi dell’articolo 23, comma 4 e dell’articolo 24, comma 3, già si prevede in linea generale il coinvolgimento delle amministrazioni interessate con l’espressione del parere di competenza e che il Ministero della cultura si esprime sul provvedimento finale esprimendo il concerto sullo stesso”.


 

Articolo 21
(Avvio del procedimento di VIA e consultazione del pubblico)

 

L’articolo 21, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca due gruppi di modifiche al Codice dell’ambiente. Un primo gruppo di novelle riguarda l’art. 23 ed è finalizzato a modificare i termini per la verifica dell’istanza di VIA e per l’eventuale richiesta di documentazione integrativa e a precisare che tali termini sono perentori.

Un secondo gruppo di modifiche riguarda l’art. 24 ed è principalmente finalizzato a dimezzare i termini della fase di consultazione del pubblico limitatamente ai soli procedimenti di VIA relativi ai progetti PNRR-PNIEC.

 

Il numero 1) della lettera a) modifica il comma 3 dell’art. 23 del Codice dell’ambiente al fine di:

- disporre l’aumento da 10 a 15 giorni del termine, decorrente dalla presentazione dell'istanza di VIA, entro il quale l'autorità competente deve provvedere alla verifica dell’istanza medesima.

L’art. 23, comma 3, del Codice, prevede che tale verifica riguardi la completezza della documentazione, l'eventuale ricorrere della fattispecie di cui all'art. 32, comma 1 (relativa alle consultazioni transfrontaliere), nonché l'avvenuto pagamento del contributo dovuto.

- prevedere l’introduzione di un termine per l’invio al proponente, da parte dell’autorità competente, della richiesta di documentazione integrativa qualora la documentazione risulti incompleta. La novella in esame precisa infatti che tale invio deve avvenire entro lo stesso termine previsto per la verifica dell’istanza, quindi 15 giorni dalla presentazione della stessa;

- precisare che i termini previsti dal comma 3 dell’art. 23 sono perentori.

Tale precisazione riguarda sia i termini illustrati ai punti precedenti, sia il termine di 15 giorni previsto dal testo previgente (e non modificato dalla norma in esame) assegnato all’autorità competente per procedere alla verifica della completezza della documentazione integrativa.

 

Il numero 2) della lettera a) reca una modifica di coordinamento formale, conseguente alle novelle operate dall’art. 17.

Viene infatti sostituito il rinvio, presente nel comma 4 dell’art. 23, al D.P.C.M. previsto dall'art. 7-bis, comma 2-bis, con un rinvio all’art. 8, comma 2-bis, poiché la nuova disciplina introdotta dal decreto-legge in esame non prevede più che l’individuazione dei progetti da assoggettare all’istruttoria della Commissione tecnica venga demandata ad un apposito D.P.C.M. (previsto dal testo previgente del comma 2-bis dell’art. 7-bis).

 

La lettera b) del comma 1 reca una serie di modifiche all’art. 24 finalizzate principalmente ad una riduzione dei termini della fase di consultazione del pubblico relativa ai progetti PNRR-PNIEC.

Nel dettaglio viene previsto, limitatamente ai procedimenti di VIA relativi ai progetti PNRR-PNIEC:

- il dimezzamento del termine concesso al pubblico (“chiunque abbia interesse”) per presentare le proprie osservazioni all’autorità competente. Viene infatti previsto che le citate osservazioni possono essere presentate entro 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso al pubblico, anziché i 60 giorni previsti dal testo previgente (numero 1) della lett. b));

- il dimezzamento del termine (da 20 a 10 giorni) entro il quale l’autorità competente – qualora all'esito della consultazione del pubblico o della presentazione delle controdeduzioni (da parte del proponente) alle osservazioni presentate si renda necessaria la modifica o l'integrazione degli elaborati progettuali o della documentazione acquisita – può, per una sola volta, stabilire un nuovo termine per la trasmissione, in formato elettronico, delle modifiche e delle integrazioni agli elaborati progettuali o alla documentazione (numero 2) della lett. b));

- il dimezzamento del termine per la consultazione relativa alle sole modifiche o integrazioni apportate agli elaborati progettuali e alla documentazione. Viene infatti previsto che, in relazioni a tali modifiche e integrazioni, la presentazione delle osservazioni del pubblico e la trasmissione dei pareri delle amministrazioni e degli enti pubblici interessati devono avvenire non entro 30 giorni (come previsto dal testo previgente) ma entro 15 giorni (numero 3) della lett. b)).

 

Un’ulteriore novella è stata introdotta in sede referente. La disposizione, già prevista nel testo previgente del comma 4 dell’art. 24 e confermata dal numero 2) della lettera b) in esame – secondo cui su richiesta motivata del proponente l'autorità competente può concedere, per una sola volta, la sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa per un periodo non superiore a 60 giorni – è integrata al fine di prevedere che tali 60 giorni sono elevabili a 120 nei casi di integrazioni che richiedono maggiori approfondimenti su motivata richiesta del proponente in ragione della particolare complessità tecnica del progetto o delle indagini richieste.

 

Un’ulteriore novella, recata dal numero 3) della lettera b), riguarda la semplificazione della disciplina, in via generale e non solo limitatamente ai progetti PNRR-PNIEC, della fase successiva alla ricezione della documentazione integrativa (modifiche o integrazioni apportate agli elaborati progettuali e alla documentazione).

Mentre il testo previgente del primo periodo del comma 5 dell’art. 24 del Codice reca una disciplina specifica per la fase suddetta, la novella in esame si limita a disporre che, ricevuta la documentazione integrativa, l’autorità competente la pubblica immediatamente sul proprio sito web e, tramite proprio apposito avviso, avvia una nuova consultazione del pubblico.

 

 


 

Articolo 22
(Nuova disciplina in materia di provvedimento unico ambientale)

 

L’articolo 22 reca una serie di novelle all’art. 27 del Codice dell’ambiente, che disciplina (nel caso di procedimenti di VIA di competenza statale) il rilascio del provvedimento unico ambientale (PUA), con la finalità principale di delimitare il contenuto del PUA alle sole autorizzazioni tra quelle elencate dal comma 2 del medesimo articolo e non a tutte le autorizzazioni (o atti di assenso comunque denominati) in materia ambientale. Sono inoltre modificati il termine per la pubblicazione dell’avviso al pubblico e la collocazione temporale della conferenza di servizi decisoria finalizzata all’emissione del PUA.

 

La lettera a) del comma 1 delimita il contenuto del provvedimento unico ambientale (PUA) disciplinato dall’art. 27 del Codice dell’ambiente.

Mentre il testo previgente del comma 1 dell’art. 27 stabilisce che, nel caso di procedimenti di VIA di competenza statale, il proponente può richiedere all'autorità competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo di ogni autorizzazione ambientale richiesta dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto, il nuovo testo previsto dalla norma in esame dispone che il PUA è comprensivo delle sole autorizzazioni ambientali tra quelle elencate al comma 2 e richieste dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto.

Conseguentemente, la medesima lettera a) precisa che l’avviso al pubblico non deve indicare tutte le autorizzazioni ambientali ma solo quelle di cui al comma 2.

La relazione illustrativa sottolinea che, restringendo le autorizzazioni alla lista recata dal comma 2 “viene agevolata la formulazione delle istanze che, sulla base dell’esperienza maturata, spesso sono redatte in modo inesatto e riportano autorizzazioni che non sono annoverabili tra quelle ambientali, con conseguente necessità dell’amministrazione di richieste di perfezionamenti dell’istanza medesima”.

 

La lettera b) integra il comma 2 dell’art. 27, con l’aggiunta di un periodo che concede al proponente la facoltà di richiedere l’esclusione dal procedimento finalizzato al rilascio del PUA dell’acquisizione di autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, nel caso in cui le relative normative di settore richiedano, per consentire una compiuta istruttoria tecnico-amministrativa, un livello di progettazione esecutivo.

Si ricorda, in proposito, che il procedimento di VIA richiede un livello di progettazione inferiore. L’art. 5, comma 1, lettera g), del Codice, prescrive infatti che ai fini del rilascio del provvedimento di VIA il proponente presenta il progetto di fattibilità o, ove disponibile, il progetto definitivo.

Si ricorda altresì che l’art. 23 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) dispone che “la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo”. Lo stesso art. 23 definisce i contenuti di massima dei tre livelli progettuali e demanda al regolamento di attuazione (ancora non emanato) la definizione dei contenuti di dettaglio.

 

La lettera c) reca una modifica conseguente a quella recata dalla lettera a). Viene infatti modificato il comma 4 dell’art. 27 del Codice, che nel testo previgente impone all’autorità competente di provvedere alla comunicazione a tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e comunque competenti in materia ambientale dell'avvenuta pubblicazione, nel proprio sito web, della documentazione presentata con l’istanza di avvio del procedimento.

Il nuovo testo prevede, conseguentemente alla delimitazione del contenuto del PUA operato dalla lettera a), che la comunicazione deve essere inviata solamente alle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali di cui al comma 2 richieste dal proponente.

 

La lettera d) modifica il comma 6 dell’art. 27 al fine di elevare da 5 a 10 giorni il termine – decorrente dalla verifica della completezza documentale, ovvero, in caso di richieste di integrazioni, dalla data di ricevimento delle stesse – entro il quale l'autorità competente deve provvedere alla pubblicazione dell'avviso al pubblico con cui si apre la fase di consultazione.

Viene inoltre soppressa la parte del comma in questione che prevede che, nello stesso termine indicato, si provveda anche all’indizione della conferenza di servizi decisoria. Tale fase procedimentale viene ricollocata, dalla lettera e) del comma 1 in esame, nel testo del comma 7 dell’art. 27 del Codice, e quindi spostata temporalmente in avanti, dopo che si è conclusa l’acquisizione delle osservazioni del pubblico.

In proposito la relazione illustrativa evidenzia che “si ritiene che la conferenza dei servizi possa più efficacemente esplicare la sua funzione se convocata immediatamente a valle della prima fase di consultazione del pubblico e delle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali. Nell’ottica dell’economia procedimentale, svolgere la Conferenza dei servizi a valle di tale consultazione ha anche lo scopo di mettere in grado le amministrazioni che vi partecipano di meglio esplicitare gli elementi integrativi di cui hanno bisogno per il rilascio delle autorizzazioni di competenza ed esplicitare in presenza del proponente eventuali altri elementi per la rimozione di eventuali motivi ostativi al rilascio delle medesime”.

 

La lettera f) reca modifiche di coordinamento formale, conseguenti al fatto che l’individuazione dei progetti PNRR-PNIEC è ora operata (in virtù delle novelle recate dall’art. 17) non più dall’art. 7-bis, comma 2-bis, ma dall’art. 8, comma 2-bis, del Codice.


 

Articolo 22-bis
(Ulteriori disposizioni finalizzate ad accelerare le procedure amministrative
per la cessione di aree nelle quali sono stati edificati alloggi di edilizia residenziale pubblica)

 

L’articolo 22-bis, inserito in sede referente, reca modifiche all’art. 31 della L. n. 448 del 1998 volte a prevedere che la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà sulle aree comprese nei piani di edilizia agevolata può essere richiesta su iniziativa dei soggetti interessati, nonché a disporre una rimodulazione del parametro di calcolo del corrispettivo delle aree cedute in proprietà e del corrispettivo di affrancazione dal vincolo del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e a prevedere l’obbligo per i comuni di rispondere entro 90 giorni alle istanze pervenute.

 

Il comma 1, lettera a), sostituisce il comma 47 dell’art. 31 della L. n. 448/1998 al fine di prevedere che la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà sulle aree comprese nei piani di edilizia residenziale pubblica - oltre che avvenire, come già previsto a normativa vigente, a seguito di proposta da parte del comune e di accettazione da parte dei singoli proprietari - può anche essere richiesta su iniziativa dei soggetti interessati trascorsi cinque anni dalla data di prima assegnazione dell'unità abitativa, indipendentemente dalla data di stipulazione della relativa convenzione.

Si dispone inoltre che, in caso di iniziativa dei soggetti interessati, il comune deve rispondere entro novanta giorni dalla data di ricezione dell'istanza pervenendo alla definizione della procedura (nuovi secondo e terzo periodo del comma 47).

 

Con l’espressione “Edilizia residenziale convenzionata” si fa riferimento a quegli interventi di edilizia residenziale pubblica (ERP) posti in essere previa stipulazione di una convenzione con il Comune con la quale, a fronte di concessioni da parte dell’Amministrazione pubblica (riguardanti l’assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti all’urbanizzazione delle aree e l’edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati.

Nell’ambito della “Edilizia residenziale convenzionata” rientrano le seguenti tipologie di convenzioni:

-   la convenzione di attuazione di un Piano di Edilizia Economico Popolare (P.E.E.P.), disciplinata dall'art. 35 della legge n. 865 del 1971;

-   la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire; questa convenzione è disciplinata dall'art. 18 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia).

 

Il comma 1, lettera b), sostituisce il comma 48 dell’art. 31 della L. n. 448/1998 disponendo in particolare che:

§  il corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato dal comune, su parere del proprio ufficio tecnico, in misura pari al 60 per cento di quello determinato ai sensi dell'art. 5-bis, comma 1, del D.L. n. 333/1992, escludendo la riduzione prevista dal secondo periodo dello stesso comma; il nuovo parametro di calcolo sostituisce quello attualmente previsto dal vigente comma 48 il quale dispone che il corrispettivo è determinato attraverso il valore venale del bene, con la facoltà per il comune di abbattere tale valore fino al 50 per cento (nuovo primo periodo del comma 48);

Il comma 1 dell’art. 5-bis del D.L. n. 333/1992 – che peraltro è stato abrogato dall’art. 58 del D.P.R 327/2001 – ha previsto che, fino all'emanazione di un'organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilità, l'indennità di espropriazione per le aree edificabili è determinata a norma dell'art. 13, terzo comma, della L. n. 2892/1885 (recante norme per il risanamento della città di Napoli), sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli articoli 24 e seguenti del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 917/1986, e che l'importo così determinato è ridotto del 40 per cento.

Il citato terzo comma dell’art. 13 della L. 2892/1885 disponeva a sua volta che “l'indennità dovuta ai proprietari degli immobili espropriati sarà determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio purché essi abbiano la data certa corrispondente al rispettivo anno di locazione.

§  oltre a non poter essere maggiore di quello stabilito dal comune per le aree cedute direttamente in proprietà al momento della trasformazione di cui al comma 47 (previsione già contenuta nella norma vigente), il costo dell’area deve rispettare l'ulteriore limite massimo di euro 5.000 per singola unità abitativa e relative pertinenze avente superficie residenziale catastale fino a 125 metri quadrati e di euro 10.000 per singola unità abitativa e relative pertinenze avente superficie residenziale catastale maggiore di 125 metri quadrati, indipendentemente dall'anno di stipulazione della relativa convenzione (nuovo secondo periodo del comma 48);

§  il consiglio comunale delibera altresì i criteri, le modalità e le condizioni per la concessione di dilazioni di pagamento del corrispettivo di trasformazione (nuovo terzo periodo del comma 48);

§  la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà è stipulata con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, soggetti a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari (nuovo quarto periodo del comma 48).

 

Il comma 1, lettera c), sostituendo il comma 49-bis dell’art. 31 della L. n. 448/1998, interviene in materia di vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all'art. 35 della L. n. 865/1971, n. 865.

Si ricorda che il comma 49-bis dell’art. 31 della L. n. 448/1998, come da ultimo modificato dall’art. 25-undecies del D.L. 119/2018, reca la disciplina relativa alla determinazione del prezzo massimo per la cessione del diritto di proprietà ovvero del diritto di superficie delle singole unità abitative e loro pertinenze edificate in regime di edilizia residenziale convenzionata. La disposizione prevede che il vincolo del prezzo massimo di cessione può essere rimosso con atto pubblico o scrittura privata autenticata, a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile.

In particolare, la norma in esame dispone che:

§  il corrispettivo di affrancazione non può in ogni caso superare il limite massimo di euro 5.000 per singola unità abitativa e relative pertinenze avente superficie residenziale catastale fino a 125 metri quadrati e di euro 10.000 per singola unità abitativa e relative pertinenze avente superficie residenziale catastale maggiore di 125 metri quadrati;

Ai sensi del comma 49-bis, il corrispettivo deve essere proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo determinato ai sensi del comma 48 (60 per cento del valore venale del bene). La norma in esame aggiunge quale ulteriore condizione quello secondo cui il corrispettivo così determinato non deve in ogni caso eccedere i nuovi limiti sopra descritti. 

§  i soggetti interessati possono presentare, di propria iniziativa, istanza di affrancazione dei vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione nonché del canone massimo di locazione delle stesse; il comune deve rispondere entro novanta giorni dalla data di ricezione dell'istanza;

§  nel caso in cui il corrispettivo della trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà e il corrispettivo dell'affrancazione sono determinati in misura corrispondente al limite massimo previsto dal comma 48 e dal comma in esame, decade quanto previsto dall'art. 9 del D. Lgs. n. 281/1997 e relativi decreti attuativi del Ministro dell'economia e delle finanze;

Il vigente comma 49-bis – con previsione mantenuta anche dalla novella in esame – dispone che la percentuale di cui al presente comma è stabilita, anche con l'applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In attuazione del comma 49-bis, è stato adottato il D.M. 28 settembre 2020, n. 151 (Regolamento recante rimozione dai vincoli di prezzo gravanti sugli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata).

§  la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma 48 individua altresì i criteri, le modalità e le condizioni per la concessione, da parte del comune, di dilazioni di pagamento del corrispettivo di affrancazione dal vincolo;

§  in ragione del maggior valore patrimoniale dell'immobile, conseguente alle procedure di affrancazione e di trasformazione del diritto di superficie in piena proprietà, le relative quote di spesa possono essere finanziate mediante contrazione di mutuo.

 


 

Articolo 23
(Fase preliminare al provvedimento autorizzatorio unico regionale)

 

L’articolo 23, modificato in sede referente, inserisce (al comma 1) nel testo del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) un nuovo articolo 26-bis che contiene la disciplina della fase preliminare – mediante una conferenza dei servizi preliminare – al procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR). Lo stesso articolo (al comma 2) reca la clausola di invarianza finanziaria al fine di sterilizzare l’impatto finanziario delle disposizioni recate dal nuovo articolo 26-bis.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame inserisce nel testo del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) un nuovo articolo 26-bis che contiene la disciplina della fase preliminare al procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR).

Secondo la relazione illustrativa il comma in esame si propone di accelerare il rilascio del PAUR; le disposizioni in esso recate nascono infatti “dalla constatazione, ampiamente condivisa, che la tempistica dei procedimenti spesso è rallentata a causa di una scarsa qualità progettuale e di Studi di Impatto Ambientale non adeguati, in termini di livello di dettaglio e di metodologie di elaborazione adottate”.

 

Il comma 1 del nuovo articolo 26-bis del Codice prevede che, per i progetti sottoposti a VIA di competenza regionale, il proponente può richiedere, prima della presentazione dell’istanza per il rilascio del PAUR (disciplinata dall’art. 27-bis del Codice), l’avvio di una fase preliminare.

Lo stesso comma enuncia le finalità della fase preliminare, che è volta alla definizione:

-   delle informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale, del relativo livello di dettaglio e delle metodologie da adottare per la predisposizione dello stesso;

-   delle condizioni per ottenere le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del progetto.

Il comma 1 elenca inoltre i seguenti documenti necessari per l’attivazione della fase preliminare, che il proponente deve trasmettere all’autorità competente, in formato elettronico:

a) studio preliminare ambientale ovvero una relazione che, sulla base degli impatti ambientali attesi, illustra il piano di lavoro per l'elaborazione dello studio di impatto ambientale;

b) progetto avente un livello di dettaglio equivalente al progetto di fattibilità tecnico economica;

Si ricorda che l’art. 23 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) dispone che “la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo”. Lo stesso art. 23 definisce i contenuti di massima dei tre livelli progettuali e demanda al regolamento unico di attuazione (ancora non emanato) la definizione dei contenuti di dettaglio.

 

 

Il comma 2 disciplina la pubblicazione della documentazione trasmessa dal proponente.

Nel dettaglio, il comma in esame prescrive che entro 5 giorni dalla trasmissione, la citata documentazione è pubblicata e resa accessibile, con modalità tali da garantire la tutela della riservatezza di eventuali informazioni industriali o commerciali indicate dal proponente, nel sito web dell'autorità competente.

Viene inoltre imposto alla medesima autorità di provvedere alla comunicazione, per via telematica, a tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e comunque competenti a esprimersi sulla realizzazione e sull'esercizio del progetto, dell'avvenuta pubblicazione.

Si fa notare che le disposizioni fin qui illustrate contenute nei commi 1 e 2 sembrano ricalcare quelle recate dall’art. 21 del Codice e volte a disciplinare, nell’ambito del procedimento ordinario di VIA, la fase attivabile su richiesta del proponente e finalizzata alla definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale. In particolare, le disposizioni del comma 2 in esame sono analoghe a quelle recate dal comma 2 dell’art. 21, con la differenza che in tale ultima disposizione viene precisato che la comunicazione alle altre amministrazioni interessate o competenti deve avvenire contestualmente alla pubblicazione sul sito web.

Ciò premesso, andrebbe valutata l’opportunità, al fine di rendere certi i termini delle procedure, di integrare il comma in esame al fine di chiarire che la comunicazione deve avvenire contestualmente alla pubblicazione sul sito web.

 

Il comma 2 dispone inoltre che contestualmente l’autorità competente indice una conferenza dei servizi preliminare ai sensi della legge 8 agosto 1990, n. 241, con le medesime amministrazioni ed enti.

 

Tale conferenza, in base al disposto del comma 3, si svolge:

§  attraverso la conferenza semplificata di cui all’art. 14-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241;

§  con termini ridotti. Si fa notare che, mentre il testo originario del presente decreto-legge prevede che i termini siano dimezzati, il nuovo testo risultante dalle modifiche approvate in sede referente prevede che il dimezzamento non sia automatico ma solo facoltativo e altresì graduabile: viene infatti previsto che i termini in questione “possono essere ridotti fino alla metà”.

 

Nel riferirsi alla conferenza dei servizi preliminare, il comma 3 precisa che trattasi della conferenza di cui all’art. 14, comma 3, della legge 241/1990.

L’art. 14, comma 3, della legge 241/1990 disciplina la conferenza di servizi preliminare stabilendo, tra l’altro, che tale conferenza si svolge secondo le disposizioni del successivo art. 14-bis (che disciplina la conferenza semplificata), con abbreviazione dei termini fino alla metà.

La conferenza semplificata in modalità asincrona rappresenta la modalità ordinaria di conferenza; si svolge senza riunione, bensì mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni, e delle determinazioni, secondo il procedimento delineato dall'art. 14-bis della L. n. 241/1990. Entro il termine perentorio stabilito dalla amministrazione procedente, comunque non superiore a 45 giorni, le amministrazioni coinvolte rendono le proprie determinazioni, relative alla decisione oggetto della conferenza. Nei 5 giorni lavorativi successivi l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza.

 

Lo stesso comma 3 dispone che le amministrazioni e gli enti coinvolti si esprimono in sede di conferenza, sulla base della documentazione prodotta dal proponente, relativamente alla definizione delle informazioni da inserire nello studio preliminare ambientale, del relativo livello di dettaglio, del rispetto dei requisiti di legge ove sia richiesta anche la variante urbanistica e delle metodologie da adottare per la predisposizione dello studio nonché alla definizione delle condizioni per ottenere gli atti di assenso, comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto.

Il comma 3 dispone altresì che, entro 5 giorni dal termine dei lavori della conferenza preliminare, l’autorità competente provvede alla trasmissione al proponente delle determinazioni acquisite.

 

Il comma 4 prevede che l’espletamento della fase preliminare possa condurre ad una eventuale riduzione dei termini della conferenza di servizi decisoria prevista dal comma 7 dell’art. 27-bis, cioè quella che dovrà adottare il PAUR.

Nel dettaglio, il comma 4 dispone che l’autorità competente, in accordo con tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e competenti a esprimersi sulla realizzazione e sull'esercizio del progetto, può stabilire una riduzione dei termini della conferenza di servizi prevista dal comma 7 dell’art. 27-bis.

In sede referente tale disposizione è stata integrata al fine di precisare che la citata riduzione dei termini può avvenire fornendo congrua motivazione dei presupposti che determinano tale decisione in relazione alle risultanze emerse.

 

Il comma 4 reca inoltre disposizioni finalizzate a far sì che nel corso del procedimento per il rilascio del PAUR, per le amministrazioni coinvolte non è possibile modificare o integrare le determinazioni espresse nella fase preliminare salvo che intervengano elementi significativi.

Più nel dettaglio, il comma 4, secondo periodo, dispone, nel testo originario, che le determinazioni espresse in sede di conferenza preliminare possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di elementi nuovi, tali da comportare notevoli ripercussioni negative sugli interessi coinvolti emersi nel successivo procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati di cui al comma 4 dell’art. 27-bis. Nel corso dell’esame in sede referente la norma in esame è stata modificata al fine di far riferimento non più all’insorgenza di elementi nuovi tali da comportare notevoli ripercussioni negative sugli interessi coinvolti, ma semplicemente all’emersione di significativi elementi.

Si ricorda che, nell’ambito del procedimento per il rilascio del PAUR disciplinato dall’art. 27-bis, il comma 4 di tale articolo prevede una fase di consultazione del pubblico durante la quale “per la durata di trenta giorni, il pubblico interessato può presentare osservazioni concernenti la valutazione di impatto ambientale e, ove necessarie, la valutazione di incidenza e l'autorizzazione integrata ambientale”.

 

 

Lo stesso comma 4, al terzo periodo, dispone altresì – analogamente a quanto disposto dal secondo periodo per il caso della modifica delle determinazioni espresse – che le amministrazioni e gli enti che non si esprimono nella conferenza di servizi preliminare non possono porre condizioni, formulare osservazioni o evidenziare motivi ostativi alla realizzazione dell’intervento nel corso del procedimento per il rilascio del PAUR (disciplinato dall’art. 27-bis), salvo che in presenza di significativi elementi nuovi emersi nel corso di tale procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati.

Come per il secondo periodo, anche per il terzo periodo in esame è intervenuta una modifica, in sede referente, finalizzata a sostituire il riferimento all’insorgenza di elementi nuovi tali da comportare notevoli ripercussioni negative sugli interessi coinvolti (presente nel testo originario del presente decreto-legge), con il semplice riferimento all’emersione di significativi elementi nuovi.

Nella relazione illustrativa si fa notare che la conferenza preliminare “permette, da un lato, una chiara definizione dei termini e delle responsabilità di ciascuna amministrazione partecipante, dall’altro, di evitare, fatto salvo l’emergere di nuovi elementi significativi nel corso del successivo PAUR, che ci si possa discostare immotivatamente dalle determinazioni espresse in questa sede preliminare”.

In coerenza con la finalità di individuare più chiaramente modalità e sedi di espressione delle determinazioni della amministrazioni interessate al rilascio del PAUR, andrebbe valutata l’opportunità di precisare che, in presenza di elementi nuovi, la modifica delle determinazioni già espresse in sede di conferenza preliminare ovvero la formulazione di condizioni o osservazioni in caso di mancata espressione di determinazioni in sede di conferenza preliminare possono aver luogo solo in sede di conferenza dei servizi decisoria di cui al comma 7 dell’art. 27-bis del Codice dell’ambiente.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame reca la clausola di invarianza finanziaria disponendo che dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono alla realizzazione delle attività mediante utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci.


 

Articolo 24
(Provvedimento autorizzatorio unico regionale)

 

L’articolo 24 reca una serie di modifiche alla disciplina del procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR), contenuta nell’art. 27-bis del Codice dell’ambiente. Le modifiche sono principalmente finalizzate a fornire precisazioni riguardo alle procedure da seguire in relazione al rilascio di titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l’esercizio del progetto, nonché in relazione ad eventuali varianti urbanistiche.

 

L’articolo 24 reca una serie di modifiche alla disciplina del procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR), contenuta nell’art. 27-bis del Codice dell’ambiente.

Si ricorda che, in base al disposto del citato art. 27-bis (introdotto nel testo del Codice dal D.Lgs. 104/2017), la procedura per il rilascio del PAUR viene attivata, su istanza del proponente, nel caso di procedimenti di VIA di competenza regionale. Si fa notare che tale attivazione non è eventuale, come nel caso del PUA, ma obbligatoria in quanto la norma (art. 27-bis, comma 1, del Codice) dispone che “nel caso di procedimenti di VIA di competenza regionale il proponente presenta all'autorità competente un'istanza (…), allegando la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per consentire la compiuta istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio di tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto e indicati puntualmente in apposito elenco predisposto dal proponente stesso”. Indirizzi interpretativi della disciplina del PAUR sono stati forniti nel settembre 2019 dall’allora Ministero dell’ambiente (oggi MiTE) con il documento, di carattere non vincolante, intitolato “Indirizzi operativi per l’applicazione dell’art. 27-bis, D.Lgs. 152/2006: il Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale”.

Si ricorda che dopo tale data la disciplina del PAUR è stata modificata dalla lettera o) del comma 1 dell’art. 50 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.

 

 

La lettera a) del comma 1 modifica il comma 3 dell’art. 27-bis del Codice al fine di sopprimere la parte della disposizione previgente ove si prevede che l’autorità competente debba effettuare la valutazione, oltre che della completezza, anche dell’adeguatezza della documentazione presentata dal proponente.

La relazione illustrativa motiva l’eliminazione del termine “adeguatezza” alla luce del fatto che sulla base dell’esperienza di applicazione delle regioni e province autonome (emersa durante la predisposizione dei succitati indirizzi operativi) “tale termine non sembra di agevole interpretazione per definizione della relativa attività da svolgere”.

 

La stessa lettera a) inserisce un periodo al comma 3 in base al quale, qualora sia richiesta anche la variante urbanistica di cui all’art. 8 del D.P.R. 160/2010, nel termine di cui al primo periodo (trenta giorni dalla pubblicazione ovvero non oltre trenta giorni dalla richiesta di integrazioni) l’amministrazione competente effettua la verifica del rispetto dei requisiti per la procedibilità.

L’art. 8 del D.P.R. 160/2010 prevede una procedura semplificata per l’adozione della variante urbanistica, attivabile - nei comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti – da parte dell’interessato con apposita istanza rivolta al responsabile dello sportello unico per le attività produttive (SUAP).

 

La lettera b) del comma in esame modifica il comma 4 dell’art. 27-bis del Codice prevedendo la soppressione della parte della disposizione previgente ove si prevede che le osservazioni presentate dal pubblico siano concernenti la valutazione di impatto ambientale e, ove necessarie, la valutazione di incidenza e l'autorizzazione integrata ambientale.

Il nuovo testo si limita quindi a prevedere che il pubblico possa presentare osservazioni. La finalità della modifica in esame è quindi quella di ampliare la portata delle osservazioni del pubblico.

La relazione illustrativa afferma infatti che la finalità della modifica in esame è di “dare modo di utilizzare la consultazione pubblica anche per gli altri titoli autorizzativi”.

 

La stessa lettera b) introduce un periodo al citato comma 4, in base al quale ove il progetto comporti la variazione dello strumento urbanistico, le osservazioni del pubblico interessato riguardano anche tale variazione e, ove necessario, la valutazione ambientale strategica.

 

La lettera c) del comma in esame riscrive il comma 5 dell’art. 27-bis del Codice apportando sostanzialmente due modifiche.

Una prima modifica prevista dalla riscrittura implica che le integrazioni documentali che l’autorità competente può richiedere al proponente possono riguardare anche i titoli abilitativi compresi nel PAUR, e, in tal caso, tali integrazioni sono indicate dagli enti e amministrazioni competenti al loro rilascio.

 

Un’ulteriore modifica operata con la riscrittura è volta alla semplificazione della disciplina della fase successiva alla ricezione della documentazione integrativa.

Mentre il penultimo periodo del testo previgente del comma 5 dell’art. 27-bis del Codice reca una disciplina specifica da seguire, l’ultimo periodo del nuovo testo si limita a disporre che, ricevuta la documentazione integrativa, l’autorità competente la pubblica sul proprio sito web e, tramite proprio apposito avviso, avvia una nuova consultazione del pubblico avente una durata dimezzata rispetto alla fase tradizionale di consultazione.

 

La lettera d) del comma in esame riscrive il comma 7 dell’art. 27-bis del Codice apportando modifiche e integrazioni.

Una prima modifica riguarda la decorrenza del termine per la convocazione della conferenza di servizi che deve provvedere al rilascio del PAUR.

Mentre il testo previgente prevede che la convocazione avvenga entro dieci giorni dalla scadenza del termine di conclusione della consultazione, il nuovo testo prevede, in luogo di tale scadenza, la scadenza del termine per richiedere le integrazioni documentali.

Si fa notare che i termini in questione coincidono solo nel caso in cui l’autorità competente non richieda integrazioni. In caso contrario, il nuovo termine previsto dalla norma in esame anticipa la convocazione della conferenza di servizi.

 

Una rilevante integrazione rispetto al testo previgente riguarda i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto.

Il penultimo periodo del comma 7 prevede che la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il PAUR e comprende, recandone l’indicazione esplicita, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi in questione. Tale disposizione viene confermata dal nuovo testo previsto dalla norma in esame.

Viene invece soppressa la disposizione contenuta nell’ultimo periodo del testo previgente del comma 7 – secondo cui resta fermo che la decisione di concedere i titoli abilitativi in questione è assunta sulla base del provvedimento di VIA – e sostituita con una serie di norme che prevedono che:

-   qualora il rilascio di titoli abilitativi settoriali sia compreso nell’ambito di un’autorizzazione unica, le amministrazioni competenti per i singoli atti di assenso partecipano alla conferenza e l’autorizzazione unica confluisce nel PAUR (nuovo testo dell’ultimo periodo del comma 7);

-   qualora in base alla normativa di settore per il rilascio di uno o più titoli abilitativi sia richiesto un livello progettuale esecutivo, oppure laddove la messa in esercizio dell’impianto o l’avvio dell’attività necessiti di verifiche, riesami o nulla osta successivi alla realizzazione dell’opera stessa, l’amministrazione competente indica in conferenza le condizioni da verificare, secondo un cronoprogramma stabilito nella conferenza stessa, per il rilascio del titolo definitivo. Le condizioni indicate dalla conferenza possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nel corso del successivo procedimento per il rilascio del titolo definitivo (nuovo comma 7-bis);

-   qualora uno o più titoli compresi nella determinazione motivata di conclusione della conferenza di cui al comma 7 attribuiscano carattere di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, costituiscano variante agli strumenti urbanistici, e vincolo preordinato all’esproprio, la determinazione conclusiva della conferenza ne dà atto.

 

 


 

Articolo 24-bis
(Autorizzazione unica per la realizzazione di interventi edilizi rilevanti nelle strutture turistiche)

 

L’articolo 24-bis, introdotto in sede referente, assoggetta ad autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o provincia autonoma competente, gli interventi di costruzione e modifica di strutture ricettive, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’attività delle strutture stesse (comma 1). L’autorizzazione unica è rilasciata all'esito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, con decisione adottata tramite conferenza dei servizi decisoria (comma 2). Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individuano gli interventi assoggettati a tale autorizzazione unica e specificano modalità e tempistiche del procedimento unico (comma 3).

 

 

Il comma 1 assoggetta ad autorizzazione unica rilasciata dalla regione o provincia autonoma competente:

-   la costruzione di strutture ricettive, come definite dalle leggi regionali;

-   gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse a tali interventi e le infrastrutture indispensabili all’attività delle strutture ricettive medesime.

Lo stesso comma precisa che tale autorizzazione opera nei limiti individuati da ciascuna regione e provincia autonoma ai sensi del comma 3.

 

 

Il comma 2 disciplina la procedura per la concessione dell’autorizzazione unica, stabilendo che la stessa è rilasciata:

-   all'esito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241;

-   con decisione adottata in sede di conferenza dei servizi decisoria, ai sensi degli articoli 14 e seguenti della L. 241/1990.

 

Lo stesso comma precisa che, fatti salvi gli adempimenti di prevenzione incendi previsti dal D.P.R. 151/2011, il rilascio dell'autorizzazione unica costituisce titolo valido alla realizzazione dell’opera o dell'intervento e sostituisce ogni altro atto di assenso comunque denominato.

 

Si ricorda che per l’effettuazione di interventi edilizi è necessario l’ottenimento dei prescritti titoli abilitativi. In particolare l’art. 10 del D.P.R. 380/2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (TUE), subordina a permesso di costruire: gli interventi di nuova costruzione; gli interventi di ristrutturazione urbanistica; gli interventi di ristrutturazione edilizia c.d. pesante, cioè quegli interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A (vale a dire le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi), comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili tutelati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004).

Lo stesso art. 10 prevede che le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

In estrema sintesi, si ricorda che sono assoggettati a SCIA (dall’art. 22 del TUE) gli interventi di ristrutturazione edilizia c.d. leggera e gli interventi di manutenzione straordinaria. Inoltre l’art. 23 individua gli interventi che possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire (c.d. super-SCIA).

In base all’art. 13 del TUE, il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici. Allo stesso sportello sono presentate le SCIA.

Il successivo art. 14 però prevede che il permesso di costruire può essere rilasciato in deroga agli strumenti urbanistici generali. Ciò può avvenire esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, e nel rispetto comunque delle disposizioni a tutela dei beni culturali e paesaggistici e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

Secondo una consolidata giurisprudenza (ribadita di recente dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 346/2020), la costruzione e l’ampliamento di strutture alberghiere rientra tra gli impianti di interesse pubblico per i quali è consentito il rilascio di permesso di costruire in deroga ai sensi del citato art. 14.

 

 

In base al comma 3 le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano:

- provvedono all’individuazione degli interventi assoggettati ad autorizzazione unica ai sensi del comma 1;

- specificano modalità e tempistiche del procedimento unico di cui al comma 2, nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004).

 


 

Articolo 25
(Determinazione dell’autorità competente in materia di VIA e preavviso di rigetto)

 

L’articolo 25, modificato in sede referente, reca disposizioni integrative degli articoli 6 e 7-bis del Codice dell’ambiente al fine precipuo di individuare l’autorità competente nel caso di opere o interventi caratterizzati da più elementi progettuali corrispondenti a diverse tipologie rientranti in parte nella competenza statale e in parte in quella regionale, nonché di prevedere il rilascio della VIA nell’ambito del procedimento autorizzatorio per i progetti che devono essere autorizzati dal MiTE.

 

La lettera a) del comma 1 introduce, all’interno dell’art. 7-bis del Codice dell’ambiente, due nuovi commi (4-bis e 4-ter) finalizzati a disciplinare l’individuazione dell’autorità competente nel caso di opere o interventi caratterizzati da più elementi progettuali corrispondenti a diverse tipologie soggette a VIA ovvero a verifica di assoggettabilità a VIA rientranti in parte nella competenza statale e in parte in quella regionale.

 

Il comma 4-bis prevede che, nel caso in questione, il proponente (con riferimento alle voci elencate negli allegati II, II-bis, III e IV alla parte seconda del Codice), invia in formato elettronico al MiTE e alla Regione o Provincia autonoma interessata una comunicazione contenente:

a) oggetto/titolo del progetto o intervento proposto;

b) tipologia progettuale individuata come principale;

c) altre tipologie progettuali coinvolte.

 

Nel testo originario compare anche una lettera d), in base alla quale nella comunicazione è inclusa anche l’indicazione dell’autorità (Stato o regione/provincia autonoma) che il proponente individua come competente allo svolgimento della procedura di VIA o verifica di assoggettabilità a VIA. Tale lettera d) è stata soppressa in sede referente. L’individuazione, in base alle modifiche apportate in sede referente al capoverso 4-ter (v. infra), viene infatti demandata alla Regione o alla Provincia autonoma.

 

In relazione al contenuto degli allegati alla parte seconda del Codice richiamati, si ricorda che:

-   l’allegato II elenca i progetti assoggettati a VIA di competenza statale;

-   l’allegato II-bis elenca i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza statale;

-   l’allegato III elenca i progetti assoggettati a VIA di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano;

-   l’allegato IV elenca i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Il comma 4-ter prevede che:

-   entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, la Regione o Provincia autonoma trasmette valutazioni di competenza al Ministero, dandone contestualmente comunicazione al proponente;
In sede referente la norma in questione è stata modificata al fine di precisare che la trasmissione non è eventuale (come previsto dal testo originario del decreto-legge, che contempla la citata trasmissione come una facoltà) e che le citate valutazioni riguardano anche l’individuazione dell'autorità competente allo svolgimento della procedura di VIA o verifica di assoggettabilità a VIA.

-   entro i successivi 30 giorni, in base ai criteri di cui agli allegati II, II-bis, III e IV alla parte seconda del Codice, il competente ufficio del Ministero comunica al proponente e alla Regione o Provincia autonoma la determinazione in merito all’autorità competente, alla quale il proponente stesso dovrà presentare l’istanza per l’avvio del procedimento.

Decorso tale termine, si considera acquisito l’assenso del Ministero sulla posizione formulata dalla Regione o Provincia autonoma.

Nel testo originario viene altresì disposto che, in assenza di tale posizione, si consideri quella del proponente. Tale ulteriore disposizione è stata però soppressa in sede referente, in conseguenza delle modifiche illustrate in precedenza, che hanno reso obbligatoria la trasmissione, da parte della Regione o della provincia autonoma, di valutazioni riguardanti anche l’individuazione dell'autorità competente allo svolgimento della procedura di VIA o verifica di assoggettabilità a VIA.

 

La lettera b), numero 1), introduce un nuovo comma 6-bis all’art. 6 del Codice al fine di precisare che, qualora nei procedimenti di VIA di competenza statale l’autorità competente coincida con l’autorità che autorizza il progetto, la VIA viene rilasciata dall’autorità competente nell’ambito del procedimento autorizzatorio.

In altre parole, poiché l’autorità competente nei procedimenti di VIA statale è il MiTE, la norma in esame dispone che per i progetti che devono essere autorizzati dal MiTE, la VIA viene rilasciata nell’ambito del procedimento autorizzatorio.

La relazione illustrativa sottolinea che “si tratta di una importante semplificazione, tenuto conto che con l’istituzione del Ministero della transizione ecologica ai sensi dell’articolo 2 del decreto legge n. 22 del 2021, convertito con modificazioni, dalla legge n. 55 del 2021, le competenze in materia di autorizzazione di numerosi impianti sono state trasferite dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero della transizione ecologica, di talché in questi casi la procedura autorizzativa e quella di valutazione di impatto ambientale, pur se esercitate da distinte Direzioni generali, fanno capo al medesimo Ministero”.

 

La norma in esame è stata integrata in sede referente al fine di precisare che resta fermo che la decisione di autorizzare il progetto è assunta sulla base del provvedimento di VIA.

 

 

La lettera b), numero 2), introduce un nuovo comma 10-bis all’art. 6 del Codice al fine di elencare i seguenti procedimenti a cui non si applica il c.d. preavviso di rigetto previsto dall’art. 10-bis della L. 241/1990:

-   procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA (di cui al comma 6 dell’art. 6);

-   procedimenti di VIA (di cui al comma 7 dell’art. 6);

-   procedimenti preliminari finalizzati all’individuazione dell'eventuale procedura da avviare in relazione a modifiche, estensioni o adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti assoggettati a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA (di cui al comma 9 dell’art. 6);

-   attività di monitoraggio (disciplinata dall’art. 28).

 

L’art. 10-bis della L. 241/1990 disciplina la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Tale norma dispone, nel dettaglio, che nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato. Le disposizioni di cui all’art. 10-bis non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.

 

 

 


 

Articolo 26
(Monitoraggio delle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di VIA)

 

L’articolo 26 modifica la disciplina (contenuta nell’art. 28 del Codice dell’ambiente) relativa agli osservatori ambientali che il MiTE può istituire a supporto dell’attività di monitoraggio delle condizioni ambientali recate dal provvedimento di VIA.

 

La lettera a) del comma 1 modifica il terzo periodo del comma 2 dell’art. 28 del Codice – ove si prevede la possibilità per l’autorità competente, nel caso di progetti di competenza statale particolarmente rilevanti per natura, complessità, ubicazione e dimensioni delle opere o degli interventi, di istituire osservatori ambientali a supporto dell’attività di monitoraggio – al fine di stabilire che l’istituzione degli osservatori avviene non d’intesa con il proponente (come previsto dal testo previgente) ma semplicemente dopo aver sentito il proponente stesso.

 

La lettera b) modifica il criterio (recato dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 28 del Codice) di nomina dei rappresentanti del MiTE in seno agli osservatori in questione.

Mentre il testo previgente prevede la nomina dei due terzi (pari al 66,6%) dei rappresentanti del Ministero tra soggetti estranei ai ruoli del Ministero medesimo e dotati di significativa competenza e professionalità per l'esercizio delle funzioni, la novella in esame prevede la riduzione della quota indicata riducendola dal 66,6% al 50%.

 

 


 

Articolo 27
(Interpello ambientale)

 

L’articolo 27, modificato nel corso dell’esame in sede referente, introduce, nel testo del Codice dell’ambiente, il nuovo articolo 3-septies che disciplina l’interpello in materia ambientale, vale a dire la presentazione al MiTE di istanze di ordine generale sull'applicazione della normativa statale in materia ambientale.

 

Il comma 1 del nuovo articolo 3-septies del Codice dell’ambiente prevede la possibilità di inviare al MiTE istanze di ordine generale sull'applicazione della normativa statale in materia ambientale.

Il medesimo comma elenca i seguenti soggetti abilitati alla presentazione delle istanze: regioni, province autonome, province, città metropolitane, comuni, associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, nonché le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni o province autonome.

Le indicazioni fornite nelle risposte alle istanze in questione costituiscono criteri interpretativi per l'esercizio delle attività di competenza delle pubbliche amministrazioni in materia ambientale, salva rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con efficacia limitata ai comportamenti futuri dell’istante.

Resta salvo l’obbligo di ottenere gli atti di consenso, comunque denominati, prescritti dalla vigente normativa.

Nel caso in cui l’istanza sia formulata da più soggetti e riguardi la stessa questione o questioni analoghe tra loro, il MiTE può fornire un’unica risposta.

 

La relazione illustrativa fa notare che “tale disciplina riprende la ratio dell’interpello in materia di lavoro, di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 e successive modificazioni, modulando l’istituto sulla base delle specificità della materia ambientale” e che “il modello che si è scelto di adottare è riferito all’interpello c.d. improprio che si colloca tra gli istituti di consulenza giuridica, tenuto conto che con tale strumento si intende garantire indirizzi interpretativi in merito alle norme ambientali oggetto di istanza”.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, il comma in esame è stato integrato al fine di disporre che la risposta alle istanze deve essere fornita entro 90 giorni dalla data della loro presentazione.

 

Il comma 2 prevede che il MiTE pubblica senza indugio le risposte fornite alle istanze in questione nella sezione “Informazioni ambientali” del proprio sito istituzionale di cui all'art. 40 del D.Lgs. 33/2013:

-   in conformità alle norme sul diritto di accesso alle informazioni ambientali recate dall'art. 3-sexies del Codice e dal D.Lgs. 195/2005 (di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale);

-   previo oscuramento dei dati comunque coperti da riservatezza, nel rispetto del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

 

Si ricorda che l’art. 40, comma 2, del D.Lgs. 33/2013, dispone tra l’altro che le amministrazioni pubbliche pubblicano, sui propri siti istituzionali e in conformità a quanto previsto dal medesimo decreto, le informazioni ambientali che detengono ai fini delle proprie attività istituzionali all'interno di un'apposita sezione detta «Informazioni ambientali».

 

 

Il comma 3 dispone che la presentazione delle istanze di interpello di cui al comma 1:

-   non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme ambientali;

-   non ha effetto sulla decorrenza dei termini di decadenza;

-   non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.

 

 


 

Articolo 28
(Modifica della disciplina concernente la valutazione ambientale strategica)

 

L’articolo 28 (al comma 1) modifica in più punti la disciplina del procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS) contenuta negli articoli 11-18 del Codice dell’ambiente. In particolare sono apportate modifiche alla fase della verifica di assoggettabilità, della redazione del rapporto ambientale, nonché alle fasi di consultazione e di monitoraggio. Lo stesso articolo (al comma 2) reca la clausola di invarianza finanziaria al fine di sterilizzare l’impatto finanziario delle disposizioni introdotte.

 

La lettera a) del comma 1 modifica in più punti l’articolo 12 del Codice dell’ambiente, che disciplina la verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica).

In base al disposto dell’art. 6, commi 3 e 3-bis, del Codice, tale verifica deve essere effettuata:

-   per i piani e i programmi di cui al comma 2 del medesimo articolo 6 (che individua i piani e i programmi assoggettati a VAS) che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al medesimo comma 2;

-   per i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti.

 

Il numero 1) della lettera a) modifica il comma 1 dell’art. 12 del Codice, ove si dispone che – nel caso di piani e programmi di cui all'art. 6, commi 3 e 3-bis, testé illustrati – l’autorità procedente trasmette all'autorità competente un rapporto preliminare.

La modifica è volta a:

- precisare che tale rapporto deve essere trasmesso esclusivamente su supporto informatico. Viene infatti soppressa la parte del testo previgente che consente, nei casi di particolare difficoltà di ordine tecnico, di provvedere alla trasmissione anche su supporto cartaceo;

In proposito la relazione illustrativa evidenzia che “è necessario infatti procedere alla completa dematerializzazione delle procedure. Pertanto, è stata eliminata la modalità di invio del supporto cartaceo anche nei casi di particolare difficoltà di ordine tecnico. Tale modifica è stata da tempo già introdotta per la VIA e la proposta rende quindi uniformi le modalità di gestione dei procedimenti da parte dell’Amministrazione”.

- ridenominare il rapporto preliminare in questione come “rapporto preliminare di assoggettabilità a VAS”.

La finalità di tale seconda modifica sembra essere quella di distinguere il rapporto preliminare in questione dal rapporto preliminare previsto dal successivo art. 13 che ha diversa funzione.

 

Il numero 2) della lettera in esame reca una modifica formale al comma 2 dell’art. 12 del Codice. La novella riguarda la parte del comma 2 in cui, nel testo previgente, si fa riferimento a un non ben definito “documento preliminare”, ed è finalizzata a chiarire che il documento di cui trattasi è il succitato “rapporto preliminare di assoggettabilità a VAS”.

 

Il successivo numero 3) modifica il comma 4 dell’art. 12 del Codice al fine di precisare che, nell’emettere il provvedimento di verifica con cui si dispone l’assoggettamento o meno a VAS del piano/programma, l’autorità competente non può, diversamente da quanto contemplato dal testo previgente, definire alcuna prescrizione. Viene infatti soppressa la parte del testo previgente che prevede che l’autorità competente emette il provvedimento di verifica definendo, se del caso, le necessarie prescrizioni.

 

La lettera b) del comma in esame reca modifiche all’art. 13 del Codice, che disciplina la redazione del rapporto ambientale a partire da un rapporto preliminare sui possibili impatti ambientali significativi dell'attuazione del piano/programma.

 

Il numero 1) della lettera b) integra il disposto del comma 1 dell’art. 13 del Codice, ove si dispone che – sulla base del citato rapporto preliminare – il proponente e/o l'autorità procedente entrano in consultazione con l'autorità competente e gli altri soggetti competenti in materia ambientale, al fine di definire la portata ed il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale.

L’integrazione è volta a disporre che:

-   l’autorità competente in collaborazione con l'autorità procedente, provvede all’individuazione dei soggetti competenti in materia ambientale da consultare e trasmette loro il rapporto preliminare per acquisirne i contributi;

-   i soggetti consultati effettuano l’invio dei contributi all'autorità competente ed all'autorità procedente entro 30 giorni dall’avvio della consultazione.

 

I numeri 2) e 3) della lettera in esame provvedono a ricollocare le disposizioni recate dal testo previgente del comma 5 dell’art. 13 del Codice, che disciplinano la documentazione da trasmettere all’autorità competente e la relativa pubblicazione. Tali disposizioni, modificate e integrate, si trovano ora contenute nei commi 5 e 5-bis del nuovo testo.

Una prima modifica è volta a precisare che la documentazione in questione deve essere trasmessa dall’autorità procedente.

Una seconda modifica è volta ad integrare il contenuto della documentazione in questione, prescrivendo che essa contenga non solo la proposta di piano o di programma, il rapporto ambientale e la sintesi non tecnica (come già previsto dal testo previgente) ma anche le informazioni sugli eventuali impatti transfrontalieri del piano/programma, l’avviso al pubblico e la copia della ricevuta di avvenuto pagamento del contributo istruttorio.

Un’ulteriore modifica è volta a sopprimere la parte del testo previgente del comma 5 volta a disporre che dalla data di pubblicazione dell'avviso al pubblico decorrono i tempi dell'esame istruttorio e della valutazione.

Tale disposizione non viene riproposta nel nuovo testo del comma 5, né nel testo del nuovo comma 5-bis, in quanto i termini per l’istruttoria e la valutazione risultano disciplinati dai successivi articoli 14 e seguenti del Codice.

L’ultima modifica risiede nell’integrazione operata con il nuovo comma 5-bis, che non si limita a riprodurre la disposizione recata dall’ultimo periodo del testo previgente del comma 5 (secondo cui la proposta di piano/programma e il rapporto ambientale sono messi a disposizione dei soggetti competenti in materia ambientale e del pubblico interessato affinché questi abbiano l’opportunità di esprimersi) ma dispone altresì che la documentazione di cui al comma 5 è immediatamente pubblicata e resa accessibile nei siti web delle autorità competente e procedente.

 

La lettera c) del comma in esame riscrive l’articolo 14 del Codice ove è contenuta la disciplina della fase di consultazione.

Nel dettaglio, la riscrittura del comma 1 è volta a:

-   eliminare l’obbligo, in capo all’autorità procedente, di curare la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della regione o provincia autonoma interessata;

-   integrare il contenuto informativo dell’avviso al pubblico, stabilendo che tale avviso deve contenere anche: la data dell’avvenuta presentazione dell’istanza di VAS e l’eventuale applicazione delle disposizioni in materia di consultazioni transfrontaliere (previste dall’art. 32 del Codice); una breve descrizione del piano/programma e dei suoi possibili effetti ambientali; i termini e le specifiche modalità per la partecipazione del pubblico; nonché l’eventuale necessità della valutazione di incidenza.

-   precisare che l’elenco delle informazioni che devono essere incluse nell’avviso rappresenta un contenuto informativo minimo. La norma prevede infatti che l’avviso al pubblico contenga “almeno” le informazioni elencate dalla norma stessa;

-   prevedere che l’avviso non deve contenere l'indicazione delle sedi ove può essere presa visione della documentazione (come dispone il testo previgente) ma semplicemente dell’indirizzo web e delle modalità per la consultazione della documentazione e degli atti predisposti dal proponente o dall’autorità procedente nella loro interezza.

Tale ultima modifica è conseguente alla disposizione introdotta con il nuovo comma 5-bis dell’art. 13 (v. supra) secondo cui tutta la documentazione di cui al comma 5 del medesimo articolo è immediatamente pubblicata e resa accessibile nei siti web dell’autorità competente e dell’autorità procedente.

Per le stesse ragioni viene soppressa la disposizione recata dal previgente comma 2 ove si dispone che l’autorità competente e l’autorità procedente mettono, altresì, a disposizione del pubblico la proposta di piano o programma ed il rapporto ambientale mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione sul proprio sito web.

Lo svolgimento della fase di consultazione avverrà quindi esclusivamente tramite modalità di accesso online e da remoto e non più anche mediante accesso fisico agli uffici.

Coerentemente, il nuovo testo del comma 2 (che riproduce il testo previgente del comma 3) precisa che le osservazioni del pubblico potranno essere presentate sì in forma scritta (come già previsto dal testo previgente) ma esclusivamente in formato elettronico.

 

La lettera d) reca modifiche all’art. 18 del Codice che disciplina la fase di monitoraggio.

Si ricorda che il comma 1 dell’articolo in questione, che non è oggetto di modifiche da parte del presente decreto-legge, prevede che “il monitoraggio assicura il controllo sugli impatti significativi sull'ambiente derivanti dall'attuazione dei piani e dei programmi approvati e la verifica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità prefissati, così da individuare tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e da adottare le opportune misure correttive. Il monitoraggio è effettuato dall'autorità procedente in collaborazione con l'autorità competente anche avvalendosi del sistema delle agenzie ambientali e dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale”.

 

Il numero 1) della lettera in esame introduce due nuovi commi 2-bis e 2-ter che prevedono:

- che l’autorità procedente provvede alla trasmissione all’autorità competente dei risultati del monitoraggio ambientale e delle eventuali misure correttive adottate secondo le indicazioni di cui alla lettera i) dell’Allegato VI alla parte seconda del Codice;

In base a tale lettera i), il rapporto ambientale deve contenere la “descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio e controllo degli impatti ambientali significativi derivanti dall'attuazione dei piani o del programma proposto definendo, in particolare, le modalità di raccolta dei dati e di elaborazione degli indicatori necessari alla valutazione degli impatti, la periodicità della produzione di un rapporto illustrante i risultati della valutazione degli impatti e le misure correttive da adottare”.

- che l’autorità competente si esprime entro 30 giorni sui risultati del monitoraggio ambientale e sulle eventuali misure correttive adottate da parte dell’autorità procedente.

 

Il numero 2) modifica il comma 3 dell’art. 18 – ove si dispone che delle modalità di svolgimento del monitoraggio, dei risultati e delle eventuali misure correttive adottate è data adeguata informazione attraverso i siti web dell'autorità competente e dell'autorità procedente e delle agenzie interessate – al fine di eliminare l’obbligo di pubblicazione sui siti web delle agenzie.

 

Il numero 3) aggiunge un comma 3-bis all’art. 18 al fine di disporre che l’autorità competente provvede alla verifica:

-   dello stato di attuazione del piano/programma e degli effetti da esso prodotti;

-   del contributo del piano/programma al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale definiti dalle strategie di sviluppo sostenibile nazionale e regionali.

Nel richiamare tali strategie la norma in esame rinvia al disposto dell’art. 34. In particolare il riferimento sembra essere ai commi 3, 4 e 5 di tale articolo.

Il comma 3, come modificato dall'art. 4, comma 1-bis, del D.L. 1 marzo 2021, n. 22, prevede che il Governo, con apposita delibera del Comitato interministeriale per la transizione ecologica, su proposta del MiTE, sentita la Conferenza Stato-Regioni, ed acquisito il parere delle associazioni ambientali, provvede, con cadenza almeno triennale, all'aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile di cui alla delibera del CIPE del 2 agosto 2002. Il successivo comma 4 prevede tra l’altro che, entro dodici mesi da tale delibera di aggiornamento, le regioni si dotano attraverso adeguati processi informativi e partecipativi, di una complessiva strategia di sviluppo sostenibile che sia coerente e definisca il contributo alla realizzazione degli obiettivi della strategia nazionale.

Il comma 5 stabilisce che le strategie di sviluppo sostenibile definiscono il quadro di riferimento per le valutazioni ambientali disciplinate dal Codice.

 

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria disponendo che dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

 

 


 

Articolo 29
(Soprintendenza speciale per il PNRR e ulteriori misure urgenti per l’attuazione del PNRR)

 

L'articolo istituisce la Soprintendenza speciale per il PNRR con l'obiettivo di assicurare "la più efficace e tempestiva attuazione degli interventi" recati nel medesimo piano (comma 1); ne definisce i compiti e i poteri (comma 2); pone a capo della medesima struttura il direttore della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero (comma 3); detta nome sulle risorse umane e finanziarie di cui si può avvalere (commi 4 e 5).

 

Il comma 1 specifica che la Soprintendenza speciale è un ufficio di livello dirigenziale generale, incardinato presso il Ministero della cultura, di carattere straordinario, la cui operatività, strettamente legata alla durata del PNRR, cessa il 31 dicembre 2026.

Ai sensi del comma 2, alla richiamata Soprintendenza spettano le funzioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici nei casi in cui questi ultimi siano interessati dagli interventi del PNRR sottoposti alla valutazione di impatto ambientale (VIA) in sede statale oppure rientrino nella competenza territoriale di almeno due uffici periferici del Ministero (primo periodo).

Ai fini dell'attività istruttoria, la Soprintendenza speciale opera anche avvalendosi delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio (secondo periodo).

Sono altresì attribuiti all'istituenda Soprintendenza speciale i poteri di avocazione e sostituzione nei confronti delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio (terzo periodo), con riguardo ad ulteriori interventi strategici (rispetto a quelli indicati al primo periodo). L'esercizio di tali poteri, precisa la norma, può essere attivato "[i]n caso di necessità e per assicurare la tempestiva attuazione del PNRR".

Tale disposizione attribuisce ampi margini di discrezionalità in capo alla Soprintendenza speciale, ferma restando l'esigenza di dar conto del verificarsi delle richiamate circostanze nei provvedimenti che saranno adottati nell'esercizio dei richiamati poteri di avocazione.

Quanto disposto al comma in esame pare in linea con la finalità, richiamata nelle premesse e diffusamente declinata nell'articolato del presente decreto-legge, di "imprimere un impulso decisivo allo snellimento delle procedure amministrative in tutti i settori [..] per consentire un'efficace, tempestiva ed efficiente realizzazione degli interventi" riferiti al PNRR e al Piano nazionale per gli investimenti complementari.

 

Con riferimento alla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, ai sensi dell'art.16 del Regolamento di organizzazione del Ministero di cui al D.P.C.M. 2 dicembre 2019, n. 169, essa svolge le funzioni e i compiti relativi alla tutela dei beni di interesse archeologico, anche subacquei, dei beni storici, artistici e demoetnoantropologici, ivi compresi i dipinti murali e gli apparati decorativi, nonché alla tutela dei beni architettonici e alla qualità e alla tutela del paesaggio.

La Direzione generale si articola in nove uffici dirigenziali di livello non generale centrali, compresi la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, l'Istituto centrale per l'archeologia e l'Istituto centrale per il patrimonio immateriale, nonché nelle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, uffici dirigenziali di livello non generale periferici.

Essa esercita, fra l'altro, i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo sulle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio e, in caso di necessità, informato il Segretario generale, di avocazione e sostituzione, anche su proposta del Segretario regionale.

La citata Direzione generale esercita l'indirizzo, il coordinamento e, d'intesa con la Direzione generale Bilancio limitatamente ai profili finanziari e contabili, la vigilanza sulla Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma, sulla Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, sull'Istituto centrale per l'archeologia e sull'Istituto centrale per il patrimonio immateriale.

Quanto alle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, disciplinate ai sensi dell'art.41 del predetto regolamento, si segnala che si tratta di strutture ministeriali - risultanti dalla fusione e dall'accorpamento, ai sensi del D.M. 23 gennaio 2016 di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, delle Soprintendenze Archeologia con le Soprintendenze Belle arti e paesaggio, in tutto il territorio nazionale -  quali articolazioni territoriali (in termini di uffici di livello dirigenziale non generale) della Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio.

Il predetto Regolamento, con distinta ed autonoma disposizione (art.36), disciplina altresì la "Soprintendenza speciale Archeologia, belle arti e paesaggio di Roma", per la quale, come detto, è prevista attività di indirizzo, coordinamento e vigilanza da parte della citata Direzione generale (e alla vigilanza della Direzione generale Musei), senza che a quest'ultima sia attribuito esplicitamente un potere di avocazione, invece disposto con riferimento alle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio (art.16, comma 1, secondo periodo, del predetto Regolamento).

Al riguardo, si valuti l'opportunità di chiarire se l'istituenda Soprintendenza speciale per il PNRR possa esercitare poteri di avocazione e sostituzione anche nei confronti della Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma.

 

Il comma 3 dispone che sia il direttore della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero a ricoprire l'incarico di direttore della Soprintendenza speciale. In proposito, si stabilisce che ad esso spetti la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva nazionale per gli incarichi dirigenziali ad interim.

Nella Relazione tecnica si specifica che l'ammontare di siffatta retribuzione è stato quantificato, in via prudenziale, in 50.000 euro, sebbene la stima effettiva sia minore, cioè pari a 34.390,27, in quanto per l'Ufficio che risulta essere di "prima posizione retributiva", come si legge nella Relazione,  "l'interim è remunerato al 25 per cento della somma tra parte fissa e variabile" pari a 99.408,20 euro.

Ai sensi del comma 4, presso la Soprintendenza speciale è costituita una segreteria tecnica. Di essa fanno parte sia personale di ruolo del Ministero, sia esperti di comprovata qualificazione professionale ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

Il d.lgs. 165/2001, all'art.7, comma 6, consente alle amministrazioni pubbliche di conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio.

Occorre a tal fine il rispetto dei seguenti presupposti (di legittimità): a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico; d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione.

Si può prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro (di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

 

Il comma 4 prevede altresì che il contingente di esperti sia reclutato per la durata massima di trentasei mesi e per un importo massimo di 50.000 euro lordi annui per singolo incarico, entro il limite di spesa di 750.000 euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023.

 

Tenuto conto che l'istituenda Soprintendenza speciale rimarrà in carica sino al 2026, si valuti l’opportunità di un approfondimento in ordine alle risorse   umane di cui essa potrà avvalersi per lo svolgimento dei compiti che, nel primo triennio, saranno affidati al richiamato contingente di esperti.

 

Il comma 5 quantifica gli oneri del presente articolo, pari a 1.550.000 euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, e pari a 50.000 euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026, e dispone che ad essi si provveda come segue:

i) quanto a 1.550.000 per l'anno 2021, mediante riduzione del fondo speciale di parte corrente, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali;

ii) quanto a 1.550.000 euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e 50.000 euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 354, della L. 208/2015, relativa al funzionamento degli Istituti afferenti al settore museale.

 

La richiamata disposizione prevede che, a decorrere dal 2016, sia autorizzata la spesa di 10 milioni di euro annui da iscrivere nello stato di previsione del Ministero della cultura (allora Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) per il funzionamento degli Istituti afferenti al settore museale.

 

 


 

Articolo 30
(Interventi localizzati in aree contermini)

 

L’articolo 30, comma 1, modificato in sede referente, interviene sulla disciplina dell’autorizzazione unica per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Il comma dispone che il Ministero della cultura partecipi al procedimento unico in relazione ai progetti aventi ad oggetto impianti alimentati da fonti rinnovabili comprese - secondo quanto specificato nelle Commissioni riunitele opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, localizzati in aree sottoposte a tutela, anche in itinere, ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali), nonché nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo.

Ai sensi del comma 2, nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili, localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela paesaggistica, il Ministero della cultura si esprime nell’ambito della Conferenza di servizi con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione. In tutti i casi, il rappresentante del Ministero della cultura non può attivare i rimedi, previsti dalla normativa vigente (art. 14-quinquies della legge n. 241/1990) avverso la determinazione di conclusione della Conferenza.

 

L’articolo 30, comma 1, prevede la partecipazione del Ministero della cultura al procedimento autorizzativo unico relativo ai progetti aventi ad oggetto impianti alimentati a fonti rinnovabili, comprese - secondo quanto specificato in sede referentele opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, localizzati in aree sottoposte a tutela, anche in itinere, ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali), nonché nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela.

A tal fine, inserisce un nuovo comma 3-bis nell’articolo 12 del D. Lgs. n. 387/2003.

 

Si evidenzia che tale partecipazione è già disciplinata dal D.M. 10 settembre 2010 (vedi infra punto 14.9, lett. a) e c)), recante le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili emanate ai sensi dell’art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003, di attuazione della direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica a da fonti rinnovabili (cd. RED I).

 

Il comma 3 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003 dispone che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica e potenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, ivi inclusi gli interventi di ripristino ambientale per la riqualificazione delle aree di insediamento degli impianti, sono soggetti ad una autorizzazione unica rilasciata dalla regione (o dalle province delegate dalla regione[26]), nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.

L'AU è rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell'ambito della Conferenza dei Servizi (convocata dalla Regione o dal MISE entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione) alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, e costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto e, ove necessario, diventa variante allo strumento urbanistico[27].

Le “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, di cui al D.M. 10 settembre 2010 fissano le modalità tecnico operative di svolgimento del procedimento autorizzativo unico (punti 13-15) e i criteri generali per l’inserimento degli impianti nel territorio e nel paesaggio (punti 16-17)[28].

Il punto 14.9 delle citate Linee guida dispone un’ampia partecipazione del Ministero dei beni culturali, in attuazione dei principi di integrazione e di azione preventiva in materia ambientale e paesaggistica:

a)  al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree sottoposte a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio;

b) nell'ambito dell'istruttoria di valutazione di impatto ambientale, qualora prescritta per gli impianti eolici con potenza nominale maggiore di 1 MW, anche qualora l'impianto non ricada in area sottoposta a tutela;

c)  al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela; in queste ipotesi il Ministero esercita unicamente in quella sede i poteri previsti dall'articolo 152 del Codice, cioè prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d'esecuzione, idonee comunque ad assicurare la conservazione dei valori espressi dai beni protetti. Specifiche disposizioni riguardano il calcolo distanziale delle aree contermini.

d) nei casi in cui, a seguito della comunicazione, la Soprintendenza verifichi che l'impianto ricade in aree interessate da procedimenti di tutela ovvero da procedure di accertamento della sussistenza di beni archeologici in itinere alla data di presentazione dell'istanza di autorizzazione unica.

Per la procedura relativa alle procedure autorizzative si rinvia alla scheda dell’articolo 32.

 

Il comma 2, relativamente ai progetti degli impianti a FER alle aree contermini a quelle vincolate, dispone una semplificazione delle tutele, disponendo che il MIC si esprima con parere obbligatorio ma non vincolante e che non possa attivare i rimedi previsti dalla normativa avverso la determinazione di conclusione della Conferenza dei servizi. Si tratta di rimedi di natura amministrativa (vedi infra la descrizione dell’articolo 14-quinquies della legge n. 241/1990), volti a provocare un intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri dapprima o dello stesso Consiglio dei Ministri, in caso di contrasto non risolto. Non possono ovviamente venir meno i rimedi di natura giurisdizionale sul provvedimento che conclude l’intero iter.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire in che misura la natura non vincolante della posizione espressa dal Ministero della cultura faccia venir meno i poteri sostanziali previsti dal Codice dei beni culturali in capo a tale Ministero.

 

Con riferimento al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela, ad esempio, è – come già sopra ricordato - espressamente previsto che il Ministero possa esercitare i poteri previsti dall'articolo 152 del Codice dei beni culturali, cioè prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d'esecuzione, al fine di assicurare la conservazione dei valori espressi dai beni protetti.

 

L’articolo 14-quinquies della legge n. 241/1990 indica i rimedi avverso la determinazione motivata di conclusione della Conferenza, consentiti alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini. Le amministrazioni in questione, entro 10 giorni dalla comunicazione della determinazione, possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Ai sensi del comma 2, possono altresì proporre opposizione le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, il cui rappresentante, intervenendo in una materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza. La proposizione dell'opposizione sospende l'efficacia della determinazione di conclusione della conferenza. La Presidenza del Consiglio dei ministri indice, non oltre il quindicesimo giorno successivo alla ricezione dell'opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. Nella riunione i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione. Se è raggiunta un'intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza. Se l'intesa non è raggiunta (all’esito della riunione o nei quindici giorni successivi), la questione è rimessa al Consiglio dei ministri[29]. Se il Consiglio dei ministri non accoglie l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della Conferenza acquisisce efficacia definitiva.

 


 

Articolo 31
(
Semplificazione per gli impianti di accumulo e fotovoltaici e individuazione delle infrastrutture per il trasporto del GNL in Sardegna)

 

L’articolo 31 contiene disposizioni varie, volte a incentivare lo sviluppo di produzioni energetiche alternative al carbone.

Il comma 1, aggiunge due commi all’articolo 1 del D.L. 7 febbraio 2002, n. 7:

·     la lettera a), esclude dalla necessità della valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico (batterie) di tipo “stand-alone” (destinati al mero accumulo o al consumo locale);

·     la lettera b), prevede che in caso di mancata definizione dell'intesa con la regione o le regioni interessate per il rilascio dell'autorizzazione unica, il comitato interistituzionale può provvedere entro i novanta giorni successivi alla conclusione dell’istruttoria.

In sede referente è stata poi apportata una modifica ad una lettera del citato articolo 1 del decreto-legge n. 7 del 2002, volta ad equiparare agli impianti esistenti gli impianti autorizzati ma non in esercizio ai fini della applicabilità della procedura di autorizzazione semplificata.

Il comma 2, a sua volta, aggiunge un comma all’articolo 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, prevedendo che per la costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 20 MW (10 nel testo originario) localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale si applica la procedura abilitativa semplificata.

In sede referente, la portata della norma è stata estesa anche agli impianti ubicati in discariche o cave, ove sia stata completata l’attività di recupero e di ripristino ambientale.

In sede referente sono state approvate, con i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, delle modifiche alla disciplina che consente l’installazione di pannelli fotovoltaici solari e termici sul tetto degli edifici senza la previa acquisizione di atti amministrativi di assenso.

Il comma 3 riguarda la regione Sardegna e prevede che entro trenta giorni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, siano individuate le opere e le infrastrutture necessarie al phase out dell’utilizzo del carbone nell’Isola.

Il comma 4, infine, modifica l’articolo 60, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, per chiarire che le infrastrutture di rete che si intendono autorizzate non sono quelle per cui è stata individuata la competenza della Commissione PNIEC, ma quelle che hanno superato il vaglio di tale Commissione.

Il comma 5, introduce una eccezione al generale divieto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, di accedere agli incentivi statali. In particolare, il divieto di accesso agli incentivi non si applica – a date condizioni specificate in sede referente - agli impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative con montaggio verticale dei moduli.

Il comma 6 reca una modifica all’Allegato 2, alla Parte seconda, del decreto legislativo n. 152 del 2006, volta a esplicitare – ai fini della valutazione di impatto ambientale – la competenza statale per gli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica con potenza complessiva superiore a 10 MW

Il comma 7 eleva da 20 a 50 kW la soglia di potenza degli impianti a energia solare fotovoltaica oltre la quale si applica l’autorizzazione unica.

Con una modifica alla Tabella A allegata al decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, richiamata dal comma 7 in esame, in sede referente, è stata approvato l’innalzamento da 250 a 300 kW della soglia per l'installazione previa autorizzazione unica degli impianti per la produzione di energia derivante da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.

Il comma 7-bis, inserito in sede referente, dispone che per la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici - nonché delle opere connesse indispensabili alla costruzione e all’esercizio di tali impianti - all’interno delle aree dei siti di interesse nazionale, in aree interessate da impianti industriali per la produzione di energia da fonti convenzionali ovvero in aree classificate come industriali, le soglie per la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale si intendono elevate a 10 MW.

 

 

L’articolo 31 è rubricato come “Semplificazione per gli impianti di accumulo e fotovoltaici e individuazione delle infrastrutture per il trasporto del GNL in Sardegna”.

Il contenuto dei vari commi dell’articolo sembra destinato ad accompagnare alcuni interventi specificamente elencati nel PNRR, in particolare i primi due della Componente 2 (qui un dossier ricostruttivo degli interventi).

 

In particolare, la Componente 2 "Transizione energetica e mobilità sostenibile" si pone i seguenti obiettivi generali:

·     incremento della quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile (FER) nel sistema, in linea con gli obiettivi europei e nazionali di decarbonizzazione;

·     potenziamento e digitalizzazione delle infrastrutture di rete per accogliere l'aumento di produzione da FER e aumentarne la resilienza a fenomeni climatici estremi;

·     promozione della produzione, distribuzione e degli usi finali dell'idrogeno, in linea con le strategie comunitarie e nazionali;

·     sviluppo di un trasporto locale più sostenibile, non solo ai fini della decarbonizzazione ma anche come leva di miglioramento complessivo della qualità della vita (riduzione inquinamento dell'aria e acustico, diminuzione congestioni e integrazione di nuovi servizi);

·     sviluppo di una leadership internazionale industriale e di ricerca e sviluppo nelle principali filiere della transizione.

 

Nello specifico, in sede referente all’articolo 31, comma 1, è stata aggiunta una lettera, per cui le modifiche all’articolo 1 del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, sono divenute tre.

La lettera inserita in sede referente sostituisce integralmente il comma 2-quater, lettera c), il numero 3) dell’articolo citato.

Il comma 2-quater disciplina i vari tipi di autorizzazione necessari per la realizzazione degli impianti di accumulo elettrochimico, a seconda di dove sono ubicati (ad esempio, all’interno di aree ove sono situati impianti industriali di qualsiasi natura o di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza maggiore o uguale a 300 MW termici in servizio).

La lettera c) in particolare – per gli impianti di accumulo elettrochimico prevede l’autorizzazione unica se l'impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili sia da realizzare, la procedura di modifica (articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, vedi scheda relativa all’articolo 30), ove l'impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili sia già realizzato e l'impianto di accumulo elettrochimico comporti l'occupazione di nuove aree rispetto all'impianto esistente e la procedura abilitativa semplificata (PAS) comunale (articolo 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28), se l'impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili sia già esistente e l'impianto di accumulo elettrochimico non comporta occupazione di nuove aree.

La modifica consiste nell’equiparare agli impianti già esistenti quelli “autorizzati, anche se non ancora in esercizio”:

 

Il comma 1, reca poi altre due modifiche all’articolo 1 del decreto-legge n. 7 del 2002.

 

L’articolo 31, comma 1, lettera a), aggiunge a sua volta un comma allo stesso articolo 1 del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 ed esclude dalla necessità della valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico (batterie) di tipo “stand-alone” (destinati al mero accumulo o al consumo locale, senza immissione nella rete).

In generale, per l’accumulo elettrico di energia sono necessari investimenti rilevanti, per cui le fonti alternative che si sono meglio sviluppate sono quelle con accesso diretto in rete. Le fonti rinnovabili non programmabili (in particolare, eolico e fotovoltaico) richiedono la realizzazione di “sistemi d’accumulo”.

Uno degli obiettivi dichiarati dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) è infatti “la promozione di attività di ricerca, anche coinvolgendo i gestori delle reti, sulle modalità per sviluppare l’integrazione dei sistemi (elettrico, gas, idrico), esplorando, ad esempio, la possibilità di utilizzare infrastrutture esistenti per l’accumulo dell’energia rinnovabile, anche di lungo periodo, con soluzioni efficaci sotto il profilo costi/benefici economici e ambientali”.

 

In questa logica, il comma 1, lettera a) - introducendo nell’articolo citato il comma 2-quinquies - esenta dalle procedure di valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico di tipo “stand-alone e le relative connessioni alla rete elettrica di cui al comma 2-quater, lettere:

a) impianti ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti industriali,

b) impianti ubicati all’interno di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile,

d) impianti di accumulo elettrochimico inferiori alla soglia di 10 MW.

 

L’esenzione riguarda anche la verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 (cosiddetto “Codice dell'ambiente”), salvo che le opere di connessione non rientrino nelle suddette procedure. 

Come rileva la relazione illustrativa, “gli impianti di accumulo elettrochimico di tipo “stand-alone” sono tipicamente costituiti da sistemi di batterie ubicati all’interno di capannoni (non realizzati, pertanto, all’interno di centrali di produzione di energia elettrica o di impianti a fonti rinnovabili), privi di impatto ambientale rilevante e pertanto non sottoposti ad alcuna procedura di verifica di impatto ambientale, ferme restando le autorizzazioni previste per la realizzazione degli stessi capannoni.

Nel caso in cui le opere di connessione alla rete elettrica di trasmissione o distribuzione siano tali da richiedere una procedura di verifica di impatto ambientale, la loro realizzazione verrebbe inclusa in tale procedura.

 

Impianti di accumulo elettrochimico

 

Il comma 2-quater è stato inserito nel decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, dall'art. 62, comma 1, D.L. 16 luglio 2020, n. 76. Esso prevede che la realizzazione degli impianti di accumulo elettrochimico funzionali alle esigenze del settore elettrico, ivi inclusi i sistemi di conversione di energia, i collegamenti alla rete elettrica e ogni opera connessa e accessoria, è autorizzata in base alle seguenti procedure:

a) gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti industriali di qualsiasi natura, anche non più operativi o in corso di dismissione o ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza inferiore ai 300MW termici in servizio o ubicati presso aree di cava o di produzione e trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi in via di dismissione, i quali non comportino estensione delle aree stesse, né aumento degli ingombri in altezza rispetto alla situazione esistente, né richiedano variante agli strumenti urbanistici adottati, sono autorizzati mediante la procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del d.lgs. 28/2011. In assenza di una delle condizioni sopra citate, si applica la procedura che segue;

b) gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza maggiore o uguale a 300 MW termici in servizio, nonché gli impianti stand-alone ubicati in aree non industriali e le eventuali connessioni alla rete, sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dal MISE. Nel caso di impianti ubicati all’interno di aree ove sono presenti impianti per la produzione o il trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi, lautorizzazione è rilasciata ai sensi della disciplina vigente;

c) gli impianti di accumulo elettrochimico connessi a impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o dal MISE, qualora funzionali a impianti di potenza superiore ai 300 MW termici, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003;

d) la realizzazione di impianti di accumulo elettrochimico inferiori alla soglia di 10 MW, ovunque ubicati, è attività libera e non richiede il rilascio di un titolo abilitativo, fatta salva lacquisizione degli atti di assenso previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché dei pareri, autorizzazioni o nulla osta da parte degli enti territorialmente competenti, derivanti da specifiche previsioni di legge esistenti in materia ambientale, di sicurezza e di prevenzione degli incendi e del nulla osta alla connessione dal parte del gestore del sistema di trasmissione nazionale o da parte del gestore del sistema di distribuzione elettrica di riferimento. I soggetti che intendono realizzare gli stessi impianti sono tenuti a inviare copia del relativo progetto al Gestore del sistema di trasmissione nazionale che, entro trenta giorni, può formulare osservazioni nel caso in cui sia richiesta una connessione alla rete elettrica nazionale, inviandole anche agli enti individuati per il rilascio delle autorizzazioni, che devono essere comunicate allo stesso gestore, ai fini del monitoraggio del grado di raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di accumuli di energia previsti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC). I soggetti che realizzano gli stessi impianti di accumulo sono tenuti a comunicare al gestore della rete di trasmissione nazionale la data di entrata in esercizio degli impianti.

 

Il comma 1, lettera b), interviene sulla disciplina dell’autorizzazione unica necessaria per la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici. Anche in questo caso viene aggiunto un nuovo comma all’articolo 1 del decreto-legge n. 7 del 2002, prevedendo un potere sostitutivo in caso di mancata definizione dell'intesa con la regione o le regioni interessate. In questa ipotesi il comitato interistituzionale (disciplinato dall’articolo 1-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, con riferimento agli elettrodotti della rete nazionale), può provvedere entro i novanta giorni successivi alla conclusione del procedimento autorizzatorio, che a sua volta dovrebbe concludersi - una volta acquisita la VIA - entro centottanta giorni dalla presentazione della richiesta.

Altre modifiche alla disciplina dell’autorizzazione unica sono contenute nell’articolo 32, alla cui scheda si rinvia.

 

Il comitato interistituzionale cui si è fatto cenno è disciplinato per la analoga autorizzazione unica relativa alla costruzione e all'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale.

I componenti sono designati, in modo da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente dai Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente, delle infrastrutture e dalla regione o dalle regioni interessate. Se anche nell’ambito del Comitato non si perviene alla definizione dell’intesa, l’autorizzazione può intervenire con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del Presidente della regione o delle regioni interessate, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle infrastrutture.

 

Il comma 2 aggiunge un comma all’articolo 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, riferito all’ipotesi di costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 20 MW connessi alla rete elettrica di media tensione e localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale.

In sede referente, la portata della norma è stata estesa anche agli impianti ubicati in discariche o lotti di discarica chiusi e ripristinati ovvero in cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento, per i quali l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione abbia attestato l'avvenuto completamento delle attività di recupero e di ripristino ambientale previste nel titolo autorizzatorio nel rispetto delle norme regionali vigenti.

 

Per gli impianti fino a 20 (10 nel testo originario) MW, il comma in commento prevede l’applicabilità della procedura abilitativa semplificata (per una descrizione delle procedure autorizzative, vedi articoli 30 e 32).

Come anticipato, il testo originario fissava una soglia di applicabilità della PAS a 10 MW, ma in sede referente tale soglia di procedura semplificata è stata appunto elevata a 20 MW.

Resta ferma la previsione per cui la soglia di potenza per gli impianti fotovoltaici oltre la quale occorre la valutazione di impatto ambientale è 10 MW.

Dato che questa non è stata elevata, per gli impianti da 10 a 20 MW si può dunque procedere con procedura semplificata, ma resta la necessità di una valutazione di impatto ambientale.

Il proponente deve però presentare una autodichiarazione dalla quale risulti che l’impianto non si trova all’interno di aree fra quelle specificamente elencate e individuate dall’Allegato 3, lettera f), al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (“Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”). L’Allegato 3 indica i “criteri per l'individuazione di aree non idonee”, dichiarando che “l'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti”. L'individuazione delle aree non idonee è effettuata dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, sulla base di alcuni principi e criteri specificamente elencati. La lettera f) contiene uno di tali principi, riferito ad “aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili” ricadenti all'interno di:

-      i siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO e aree di notevole interesse culturale;

-      zone la cui immagine identifica i luoghi anche in termini di notorietà internazionale di attrattiva turistica;

-      zone situate in prossimità di parchi archeologici;

-      aree naturali protette ai diversi livelli (nazionale, regionale, locale);

-      le zone umide di importanza internazionale;

-      le aree incluse nella Rete Natura 2000;

-      le Important Bird Areas (I.B.A.);

-      le aree che svolgono funzioni determinanti per la conservazione della biodiversità;

-      le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità;

-      le aree caratterizzate da situazioni di dissesto e/o rischio idrogeologico;

-      le zone individuate ai sensi dell'art. 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

 

La procedura semplificata consente l’edificazione diretta degli impianti fotovoltaici in questione anche qualora la pianificazione urbanistica richieda piani attuativi per l’edificazione.

 

La relazione illustrativa sottolinea che, a fronte degli impegnativi obiettivi europei finalizzati alla decarbonizzazione, gli operatori non partecipano alle aste in quanto privi di autorizzazioni. Per tali motivi si cerca di abbreviare l’iter di tali atti.

 

Il Quadro regolatorio europeo in materia di energia e clima al 2030 - fissato nel Clean energy package - è in evoluzione, essendo in corso una revisione al rialzo dei target in materia di riduzione di emissioni, energie rinnovabili e di efficienza energetica. All'indomani dell'adozione del pacchetto, la Commissione europea ha infatti pubblicato la comunicazione "Il Green Deal Europeo" (COM(2019) 640 final), la quale ha riformulato su nuove basi l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente e ha previsto un piano d'azione finalizzato a trasformare l'UE in un'economia competitiva e contestualmente efficiente sotto il profilo delle risorse, che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra, in linea con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi.

È stata riconosciuta anche la necessità di predisporre un quadro favorevole che vada a beneficio di tutti gli Stati membri e comprenda strumenti, incentivi, sostegno e investimenti adeguati per assicurare una transizione efficiente in termini di costi, giusta, socialmente equilibrata ed equa, tenendo conto delle diverse situazioni nazionali in termini di punti di partenza.

A seguito dell'adozione del Documento, il 4 marzo 2020 la Commissione europea ha presentato la proposta di "legge europea sul clima", seguita il successivo 17 settembre da una modifica alla proposta iniziale per includere un obiettivo UE riveduto di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. La proposta è stata approvata in via definitiva il 9 luglio 2021 e si è tradotta nel Regolamento 2021/1119/UE.

Nella Strategia annuale della Crescita sostenibile 2021 (Annual Growth Sustainable Strategy, di settembre 2021) sono stati lanciati dalla Commissione europea i principi fondamentali e prioritari per la redazione dei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR) che si fondano sull’obiettivo sopra delineato. In tale ambito, si richiama il Flagship programmePower up” che mira ad incrementare di 500 GW la produzione di energia rinnovabile entro il 2030 e chiede agli Stati membri di realizzare quasi il 40 % di questo obiettivo entro il 2025, con anche l'installazione di 6 GW di capacità di elettrolizzatori e la produzione e il trasporto di 1 milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile in tutta l'UE entro il 2025.

Il Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani - in audizione presso le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera dei deputati il 27 maggio u.s., in ordine alle modalità di attuazione del PNRR – ha rilevato che - per raggiungere i target prefissi in sede UE –occorrerà raggiungere il 70/72% di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili al 2030 con una media annua di circa 8GW/anno (attualmente si è a 0,8 GW).

 

La relazione illustrativa richiama i seguenti target per le installazioni fotovoltaiche:

2030

obiettivi UE sul clima e l’energia vigenti

target
 (in GWp)

installazioni esistenti
(in GWp)

incremento
 (in GWp)

media annuale di installazioni
 (in GWp)

52

22

30

3

 

Posto che – come appena ricordato - nell'ambito del Green Deal europeo, la Commissione ha proposto di elevare l'obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030, compresi emissioni e assorbimenti, ad almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, la relazione illustrativa riporta una stima secondo la quale i valori della tabella precedente dovrebbero essere così aggiornati:

 


 

2030

nuovi obiettivi UE sul clima e l’energia in aggiornamento

target
 (in GWp)

installazioni esistenti
(in GWp)

incremento
 (in GWp)

media annuale di installazioni
 (in GWp)

68,4

22

46,4

4,64

 

La relazione espone pertanto la necessità “di imprimere un’accelerazione all'installazione degli impianti fotovoltaici”. L’esperienza fata con le procedure vigenti si sta rilevando non soddisfacente, addirittura, nel terzo bando per aste e registri (settembre 2020), rispetto al contingente di potenza offerto, sono state presentate richieste inferiori ad un terzo.

La scarsità di domanda – in base alla relazione – “è dovuta in larga misura alla mancanza di autorizzazioni nelle aree per le quali è possibile beneficiare degli incentivi, che coincidono sostanzialmente con le aree industriali, commerciali e produttive. L’impossibilità di partecipare alle aste per mancanza di autorizzazioni, oltre a vanificare il raggiungimento degli obbiettivi di consumo di energia rinnovabile, ha l’effetto di aumentare i costi per i consumatori in bolletta per ciascun MW di capacità rinnovabile. La scarsità di offerta permette infatti, a chi offre nelle aste per gli incentivi, di non fare alcun ribasso rispetto alla tariffa base”.

 

In sede referente sono state approvate, con i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, delle modifiche alla disciplina che consente l’installazione di pannelli fotovoltaici solari e termici sul tetto degli edifici senza la previa acquisizione di atti amministrativi di assenso.

Il comma 2-bis, con una integrazione del comma 5 dell'articolo 7-bis, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, viene specificato che per gli edifici vale la definizione contenuta nel Regolamento edilizio tipo, adottato dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-comuni (Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380). In particolare, viene richiamata la voce 32 dell’allegato A, che definisce come “Edificio” una “costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo”.

I pannelli possono essere altresì installati su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici, purché non rientrino tra gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

 

Il comma 2-ter, modifica l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, comma 1, lettera e-quater). Tale articolo elenca gli interventi che non necessitano di alcun titolo abilitativo, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e le normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia (in particolare, norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio).

Il comma aggiuntivo in esame fa rientrare nell’attività edilizia libera l’installazione di pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici di cui alla voce 32, Allegato A del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in coerenza con il comma 2-bis precedentemente illustrato.

La seconda pare del comma fa parimenti rientrare nell’attività edilizia libera l’installazione di piccoli impianti fotovoltaici posti al servizio di antenne, ripetitori e impianti radio-trasmittenti (gli impianti di cui all'articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259), posti su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici o collocati a terra in adiacenza.

 

Il comma 2-quater modifica il decreto del Ministero dello sviluppo economico 19 maggio 2015, che al fine di minimizzare gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, prevede un modello unico per la realizzazione, la connessione e l'esercizio dei piccoli impianti fotovoltaici integrati sugli edifici.

Già nel titolo del decreto ministeriale, si prevede che oltre agli edifici, l’installazione possa avvenire anche su strutture o manufatti diversi dagli edifici o a terra, sulla base delle modifiche già illustrate.

Inoltre, dopo l'articolo 4 viene aggiunto un nuovo articolo 4-bis, che estende le disposizioni del decreto ministeriale alla realizzazione, alla connessione e all'esercizio di piccoli impianti fotovoltaici al servizio degli impianti di cui all'articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (ripetitori e antenne), posti su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici di cui alla voce 32 dell'Allegato A del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, o collocati a terra in adiacenza.

 

Il comma 3, al dichiarato “fine di realizzare il rilancio delle attività produttive nella regione Sardegna”, prevede che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, quindi anche prima della sua conversione, siano individuate le opere e le infrastrutture necessarie al phase out dell’utilizzo del carbone nell’Isola, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.

 

Già il PNIEC esistente – di cui si prevede a breve un aggiornamento per coordinarlo con le novità sopravvenute, tra cui gli obiettivi energetici perseguiti mediante le risorse del PNRR -  sottolinea che presso il Ministero dello sviluppo economico sono stati avviati tavolo di lavoro tecnico sul tema del phase out della generazione dalla produzione elettrica da carbone, programmato per il 2025, con coinvolgimento di tutte le Regioni interessate, oltre che di TERNA, ARERA e altri operatori e delle parti sociali.

Un tavolo specifico è dedicato alla Sardegna, dove l’obiettivo della decarbonizzazione presenta problematiche di sicurezza della fornitura, cui si pensa di ovviare mediante due nuovi collegamenti “Continente - Sicilia” e “Sicilia - Sardegna”. Un altro obiettivo più volte manifestato è lo sviluppo delle forniture di gas naturale a favore delle industrie sarde, delle reti di distribuzione cittadine, per il trasposto pesante e soprattutto, per quanto qui interessa, per alimentare a gas naturale le centrali termoelettriche previste per il phase out delle centrali alimentate a carbone.

 

Il comma 3 richiama l’articolo 60, comma 6, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, il quale – sempre al fine di realizzare il rilancio delle attività produttive nella regione Sardegna – qualifica “l'insieme delle infrastrutture di trasporto e rigassificazione di gas naturale liquefatto necessarie al fine di garantire la fornitura di gas naturale mediante navi spola a partire da terminali di rigassificazione italiani regolati e loro eventuali potenziamenti fino ai terminali di rigassificazione da realizzare nella regione stessa” come “parte della rete nazionale di trasporto, anche ai fini tariffari”.

Si ricorda che anche in occasione della presentazione della Relazione annuale 2020 dell’ARERA, il Presidente dell’Autorità, Stefano Besseghini, ha dichiarato che un “esempio delle difficoltà che si incontrano nelle scelte di sviluppo delle infrastrutture … è rappresentato dalla situazione della Sardegna, rispetto alla quale l’Autorità sta lavorando - in coordinamento con le altre istituzioni coinvolte - per garantire che tale sviluppo rispetti i criteri di efficienza, le necessità dei consumatori e della crescita industriale e che sia il più possibile allineato con gli obiettivi previsti nell’ambito del processo di decarbonizzazione”.

Dal 1° gennaio 2020 la “Regolazione delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020-2025” distingue in sei ambiti geografici le tariffe obbligatorie di distribuzione e misura del gas naturale. Un ambito tariffario specifico è dedicato alla Sardegna, in particolare prevedendo una componente compensativa transitoria (per il triennio 2020-2022), in ragione dei maggiori costi unitari del servizio di distribuzione.

 

Il comma 4 modifica l’articolo 60, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.

Tale disposizione consente che siano autorizzate le infrastrutture di rete facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica e della rete nazionale di trasporto del gas naturale, anche nelle more della approvazione del primo Piano decennale di sviluppo delle rispettive reti in cui sono state inserite.

La modifica riguarda il richiamo all’atto che individua tali infrastrutture. Si fa sempre riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ma non più al comma 2-bis dell'articolo 7-bis, bensì all’articolo 8, comma 2-bis, del medesimo decreto.

L'articolo 7-bis, comma 2-bis, è stato riformulato con l’articolo 18 del decreto in esame, alla cui scheda si fa rinvio.

A sua volta, il testo dell’articolo 8, comma 2-bis, è stato riscritto dall’articolo 17 del decreto in esame, alla cui scheda si fa egualmente rinvio.

 

Il comma 5, modificato in sede referente, introduce una eccezione al generale divieto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, di accedere agli incentivi statali.

 

In particolare, il comma opera sotto forma di novella al comma 1 dell’articolo 65 del decreto-legge n. 1/2012, introducendovi tre nuovi commi da 1-quater a 1-sexies.

Ai sensi di tali nuovi commi, il divieto di accesso agli incentivi non si applica agli impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative con montaggio verticale dei moduli. Nel corso dell’esame in sede referente, è stato specificato che tali soluzioni devono essere innovative, e che i moduli devono essere elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi e comunque in modo da non compromettere la continuità, non solo dell’attività di coltivazione agricola, ma anche pastorale, pure consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione (nuovo comma 1-quater).

 

Secondo quanto introdotto dalle Commissioni riunite, l’accesso agli incentivi per gli impianti di cui sopra è inoltre subordinato alla contestuale realizzazione di sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l’impatto sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture e la continuità delle attività delle aziende agri-cole interessate (nuovo comma 1-quinquies).

Sempre secondo quanto introdotto in sede referente, cessano i benefìci fruiti, qualora dall’attività di verifica e controllo risulti la violazione delle predette condizioni (di cui al comma 1-quater) (nuovo comma 1-sexies).

Si valuti, con riferimento a tale previsione, l’opportunità di richiamare anche le condizioni di cui al comma 1-quinquies.

 

Il decreto-legge n. 1/2012, convertito con modificazioni, in Legge n. 27/2012, all'articolo 65, comma 1 e 2, ha sancito - per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole - il divieto di fruizione degli incentivi statali riconosciuti alle fonti energetiche rinnovabili (ivi inclusa quella fotovoltaica) di cui al decreto legislativo n. 28/2011[30].

La norma ha ammesso limitate eccezioni al divieto, riguardanti:

- gli impianti realizzati o da realizzare su terreni nella disponibilità del demanio militare;

- gli impianti fotovoltaici insediati su aree agricole con titolo abilitativo entro il 25 marzo 2012 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 1/2012) entrati in esercizio entro 180 giorni.

Tali impianti devono rispettare, ai fini del godimento dei benefici, i seguenti requisiti: avere una potenza nominale non superiore a 1 MW; se appartengono allo stesso proprietario del terreno, rispettare la distanza di 2 km e non occupare più del 10% dell'area agricola.

La finalità del divieto introdotto dall’articolo 65, comma 1 del decreto-legge n. 1/2012 è la preservazione dell'ambiente e, dunque, l'eco sostenibilità dei terreni ad uso agricolo.

Il divieto, per come inizialmente strutturato, aveva escluso dagli incentivi statali anche gli impianti fotovoltaici con istallazioni su discariche e lotti di discarica chiusi e su cave o lotti di cave, ovvero su aree contaminate sottoposte a bonifica, le quali, seppure qualificate in sede catastale come "terreni agricoli", erano insuscettibili di ulteriore sfruttamento e, dunque, inadatte alla coltivazione. Posta la qualificazione di "aree agricole", gli impianti fotovoltaici su tali terreni non potevano accedere ai bandi previsti dall’attuale misura incentivante, prevista anche per i fotovoltaici, contenuta nel D.M. 4 luglio 2019, cd. FER1[31].

Al fine di risolvere l'impasse, il legislatore è recentemente intervenuto, con il decreto-legge n. 76/2020 (“semplificazioni”).

L'articolo 56, comma 8-bis, attraverso l'introduzione di due nuovi commi 1-bis ed 1-ter nell'articolo 65 del decreto-legge n. 1/2012, ha così disposto che il divieto di fruizione degli incentivi statali non si applica agli impianti solari fotovoltaici da realizzare:

- su aree dichiarate siti di interesse nazionale, purché siano stati autorizzati (ai sensi dell'art. 4, co. 2, decreto legislativo n. 28/2011), e in ogni caso l'accesso agli incentivi per tali impianti non necessita di ulteriori attestazioni e dichiarazioni;

- su discariche e lotti di discarica chiusi e ripristinati, cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento per le quali l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione abbia attestato l'avvenuto completamento delle attività di recupero e ripristino ambientale previste nel titolo autorizzatorio nel rispetto delle norme regionali vigenti, autorizzati (ai sensi dell'art. 4, co. 2, decreto legislativo n. 28/2011), e in ogni caso l'accesso agli incentivi per tali impianti non necessita di ulteriori attestazioni e dichiarazioni.

Per l'accesso agli incentivi previsti dal D.M. "FER 1" si rinvia all'apposita pagina sul sito istituzionale del GSE, in cui è data indicazione dei Bandi per la partecipazione ai Registri e/o alle Aste.

Circa le modalità di accesso degli impianti fotovoltaici al D.M. FER 1, si rinvia alla Tabella esplicativa del GSE.

Si rinvia inoltre, al Regolamento Operativo per l'accesso agli incentivi redatto dal GSE (per quanto qui interessa, Cfr. pagg. 14 e 15, che attengono specificamente agli impianti agrovoltaici).

 

Come evidenzia la relazione illustrativa, il rigido divieto di incentivazione di installazioni a terra è stato introdotto nel 2012 come reazione a fenomeni di sfruttamento eccessivo dei terreni agricoli nella fase di sviluppo “impetuoso” del fotovoltaico nel nostro Paese. La diminuzione dei prezzi degli impianti e i continui miglioramenti di tecnologia ed efficienza hanno già permesso prime realizzazioni di agrovoltaico, prevalentemente di tipo sperimentale, con esempi che presentano indubbiamente costi maggiori degli impianti a terra. Esistono diverse configurazioni delle strutture di sostegno dei pannelli che consentono lo svolgimento delle attività sottostanti e un’occupazione di suolo pari al solo 2% della superficie disponibile, contro il 40% degli impianti tradizionali.

 

Il comma 6 è legato alle modifiche introdotte con i commi 2 e 4 e con l’articolo 17. Data l’istituzione della Commissione VIA “PNRR-PNIEC” per la semplificazione dei procedimenti di valutazione ambientale di progetti la cui realizzazione si ponga alla base dell’attuazione del PNRR e del raggiungimento degli obiettivi del PNIEC, il comma 6 modifica espressamente l’Allegato 2, alla Parte seconda, del decreto legislativo n. 152 del 2006, includendo tra gli interventi di competenza statale anche gli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica con potenza complessiva superiore a 10 MW.

Il comma 7, al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di decarbonizzazione e di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, innalza da 20 kW a 50 kW la soglia di potenza degli impianti a energia solare fotovoltaica oltre la quale è necessaria l’autorizzazione unica.

A tal fine, il comma sostituisce la Tabella A, allegata al decreto legislativo n. 387/2003 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”), la quale indica le soglie di potenza degli impianti a FER oltre le quali è necessaria l’Autorizzazione Unica.

In sede referente, è stata approvata una modifica alla Tabella A appena richiamata che porta da 250 a 300 kW di capacità di generazione la soglia sotto la quale è sufficiente l’autorizzazione unica per l'installazione di impianti per la produzione di energia derivante da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.

 

Il comma 7-bis, inserito in sede referente, dispone che per la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici - nonché delle opere connesse indispensabili alla costruzione e all’esercizio di tali impianti - all’interno delle aree dei siti di interesse nazionale, in aree interessate da impianti industriali per la produzione di energia da fonti convenzionali ovvero in aree classificate come industriali, le soglie per la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale si intendono elevate a 10 MW.

 

 


 

Articolo 31-bis
(
Misure di semplificazione per gli impianti di biogas e di biometano)

 

L’articolo 31-bis, introdotto in sede referente, contiene disposizioni volte a riconoscere la qualifica di biocarburante avanzato ai sottoprodotti utilizzati come materie prime per l’alimentazione degli impianti di biogas utilizzati al fine di produrre biometano (attraverso la purificazione del biogas). I biocarburanti sono combustibili ottenuti da biomasse, inclusi rifiuti e sottoprodotti e possono avere anche forma gassosa, come ad esempio il biometano che viene impiegato per i trasporti. I biocarburanti sono definiti avanzati se prodotti a partire dalle materie prime elencate nella parte A dell’Allegato 3 del decreto ministeriale 2 marzo 2018.

 

La produzione di biogas è la più rilevante tecnologia per la produzione di energia rinnovabile da parte delle aziende agricole; deriva dalla digestione anaerobica, un processo biochimico, costituito da diverse fasi successive, mediante il quale la sostanza organica viene decomposta e trasformata in una miscela di gas (metano, CO2 e tracce di altre componenti), che prende appunto il nome di biogas.

Dal biogas (se non destinato all’autoconsumo all’interno dell’impresa agricola) si può ottenere il biometano. Il ricorso a questa tecnologia in Italia è minore rispetto ad altri paesi soprattutto a causa dei costi, specie se comparati con altre fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico). In questo senso, si sottolinea che i costi delle tecnologie per la trasformazione del biogas, al fine di separare il metano dalla CO2, piuttosto elevati, risentono fortemente delle economie di scala, mentre gli impianti a biogas agro-zootecnici italiani sono per la maggior parte di piccole dimensioni. Tuttavia, la promozione della riconversione degli impianti di biogas alla produzione di biometano è esplicitamente prevista dal PNIEC (pag. 40, 60).

Sotto il profilo normativo, si ricorda che con l’articolo 2-quater del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (legge n. 81/2006) è stato introdotto l’obbligo per i fornitori di gasolio e benzina, a partire dal 1° gennaio 2007, di immettere in consumo una quota di biocarburanti. Tale quota è stata inizialmente fissata in misura pari all’1% dei carburanti diesel e della benzina immessi in consumo nell’anno precedente. Il decreto-legge n. 145/2013 (legge n. 9/2014) ha stabilito che, a partire dal 2015, l’obbligo di immissione in consumo sia determinato in una quota percentuale di benzina e gasolio immessi in consumo nello stesso anno solare, anziché della benzina e gasolio immessi in consumo l’anno precedente.

Il decreto legislativo n. 28/2011, di recepimento della Direttiva RED I (Direttiva 2009/28/UE), all'articolo 33 ha disposto, ai fini del raggiungimento dei target di consumo da FER fissati in sede europea, che l'impiego di biocarburanti nei trasporti sia incentivato con le modalità di cui al sopra indicato articolo 2-quater del decreto-legge n. 2/2006, dunque, attraverso l'obbligo, da parte dei fornitori di immettere in consumo annualmente delle quote minime di bio carburanti.

I criteri di calcolo della quota minima di biocarburanti da immettere in consumo nel territorio nazionale fissati nel testo originario dell’art. 33 sono stati via via modificati e aggiornati. Si rinvia al D.M. 10 ottobre 2014, modificato da ultimo dal D.M. 30 dicembre 2020 per tener conto di quanto prevede la nuova Direttiva RED II sulle fonti rinnovabili (articolo 25 e ss.), che sostituisce integralmente la Direttiva RED I dal 1° luglio 2021.

L'articolo 33 del decreto legislativo n. 28/2011 ha anche stabilito che i biocarburanti immessi in consumo nel territorio nazionale debbano rispettare i criteri di sostenibilità previsti dalla Direttiva sulle fonti rinnovabili, così come specificati dall'articolo 38 dello stesso decreto. L'articolo 38 così dispone: " (..) i biocarburanti utilizzati nei trasporti (…) possono essere computati per il raggiungimento degli obiettivi nazionali e possono accedere agli strumenti di sostegno, ivi inclusi i meccanismi basati sull'obbligo di rispetto di quote minime, solo se rispettano i criteri di sostenibilità fissati in sede europea".

I criteri di sostenibilità, fissati dalla Direttiva RED I, sono stati recepiti con il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55, il quale a tal fine ha apportato modifiche al decreto legislativo n. 66/2005. Nella formulazione originaria della Direttiva RED I, non erano presenti criteri volti ad evitare la sottrazione delle terre coltivabili agli usi alimentari e non si era tenuto conto delle conseguenze del cambiamento indiretto della destinazione dei terreni[32]. A tali mancanze ha sopperito la successiva Direttiva 1513/2015/UE (cd. Direttiva ILUC - Indirect Land Use Change).

Sugli obblighi quantitativi e qualitativi di immissione in consumo e certificazione dei biocarburanti ha anche impattato la Direttiva 652/2015/UE. Il decreto legislativo 21 marzo 2017, n. 51 ha dunque recepito nell'ordinamento nazionale i criteri di sostenibilità fissati dalla Direttiva ILUC, ivi inclusa la definizione di biocarburanti avanzati.

In proposito, l'articolo 33 del decreto legislativo n. 28/2011, ai fini del rispetto dell'obbligo di immissione in consumo di una quota minima di biocarburanti, ha attribuito un valore doppio al contributo di specifiche tipologie di biocarburanti[33].

La tipologia dei biocarburanti cd. double counting è stata successivamente rideterminata in virtù della disciplina europea sopravvenuta in materia di sostenibilità. In particolare, la citata Direttiva ILUC del 2015 ha inteso favorire lo sviluppo dei biocarburanti prodotti a partire da rifiuti, residui, materie cellulosiche di origine non alimentare e materie ligno-cellulosiche, e, a tal fine, consente di contabilizzarne il relativo contributo energetico in misura pari al doppio di quello degli altri biocarburanti sostenibili[34]. Per tale ragione, questi biocarburanti sono definiti biocarburanti double counting.

La Direttiva ILUC ha individuato, infine, un'ulteriore categoria di biocarburanti, precisati nella "Parte A" dell'Allegato IX della Direttiva stessa, e in Italia convenzionalmente denominati biocarburanti avanzati. Sono ad esempio considerati avanzati i biocarburanti prodotti da numerose categorie di rifiuti (con l'eccezione degli oli esausti alimentari) e talune materie prime ligno-cellulosiche (ad esempio i residui dell'attività o dell'industria forestale). I biocarburanti avanzati (quelli di cui all'Allegato IX parte A), al 2020, devono costituire lo 0,5 per cento in contenuto energetico della quota di energia da fonti rinnovabili immessa in consumo in tutte le forme di trasporto nel 2020.

Alle predette novità è stato dunque conformato, con delle novelle apportate dal decreto legislativo n. 51/2017, il meccanismo nazionale di sostegno alla produzione di biocarburanti che, come sopra descritto, consiste nell'obbligo, per i fornitori di benzina e gasolio, di immettere nel territorio nazionale una quota minima di biocarburanti ogni anno.

La relativa normativa contenuta nel D.M. attuativo 10 ottobre 2014 è stata conseguentemente modificata e adeguata dal D.M. 13 dicembre 2017 e dal successivo D.M. 2 marzo 2018 che promuove l'uso del biometano avanzato e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti. Il D.M. 10 ottobre 2014 è stato modificato da ultimo dal D.M. 30 dicembre 2020 per tener conto anche di quanto prevede la nuova Direttiva RED II 2018/2001/UE (articoli 25 e ss.).

La Direttiva RED II mantiene i limiti fissati dalla direttiva ILUC sulla quantità di combustibili prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose (tra esse la palma e la soia), così come da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici, che possono essere contabilizzate ai fini del conseguimento degli obiettivi UE in materia fonti rinnovabili e anzi lo rafforza, introducendo la possibilità per gli Stati membri di fissare limiti nazionali specifici per il contributo totale di tali combustibili all'obiettivo dell'Unione in materia di energie rinnovabili per il 2030.

Tali limiti sono determinati dalla quota nazionale prevista per il 2020 di tali combustibili sul consumo finale di energia nei trasporti stradali e ferroviari in ciascuno Stato membro, con la possibilità di aumentarli di un punto percentuale, fino a un massimo del 7% (articolo 26, par. 1).

La Direttiva RED II afferma inoltre (articolo 26, par. 1, terzo periodo) che gli Stati membri possono fissare un limite inferiore e possono distinguere tra diversi tipi di biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa ottenuti da colture alimentari e foraggere, tenendo conto delle migliori evidenze disponibili riguardo all'impatto del cambiamento indiretto di destinazione d'uso dei terreni. Gli Stati membri possono ad esempio fissare un limite inferiore per la quota di biocarburanti, bioliquidi e combustibili da biomassa ottenuti da colture oleaginose. La direttiva RED II prevede, infine, all'articolo 26, un limite specifico - per quanto riguarda la quantità che ciascuno Stato membro può consumarne nel 2019 - per i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa prodotti da colture alimentari e foraggere a elevato rischio ILUC, per i quali si osserva una considerevole espansione della zona di produzione della loro materia prima su terreni che presentano elevate scorte di carbonio.

A partire dal 31 dicembre 2023 il loro contributo dovrebbe essere gradualmente ridotto fino a raggiungere lo 0% al più tardi entro il 2030. Le nuove previsioni europee hanno dunque un considerevole impatto sulla disciplina inerente la sostenibilità dei carburanti a livello interno, richiedendone un adeguamento.

La legge di delegazione europea 2019 (legge n. 53/2020) – nel fissare all’articolo 5 i principi e criteri direttivi di delega al Governo della Direttiva RED II, dispone un adeguamento ai principi della Direttiva RED II, prevedendo, tra l’altro, l’esclusione, a partire dal 1° gennaio 2023, dagli obblighi di miscelazione al combustibile diesel, l’olio di palma, fasci di frutti di olio di palma vuoti, acidi grassi derivanti dal trattamento dei frutti di palma da olio (PFAD); l’olio di soia e acidi grassi derivanti dal trattamento della soia di importazione (lett. dd)).

Per quanto riguarda il PNRR, il contenuto dell’articolo può essere ricondotto ad alcuni interventi specificamente indicati all’interno della Componente 2 (qui un dossier ricostruttivo degli interventi). In particolare, si vedano l’investimento (M2-C2-1.4) Sviluppo biometano e la riforma (M2-C2-R.1.2) Nuova normativa per la promozione della produzione e del consumo di gas rinnovabile.

 

Tornando all’articolo inserito in sede referente, il comma 1 - al fine di semplificare i processi di economia circolare relativi alle attività agricole e di allevamento, nonché delle filiere agroindustriali – considera, come detto, biocarburanti avanzati i sottoprodotti utilizzati come materie prime per l’alimentazione degli impianti di biogas compresi nell’allegato 1, tabella 1.A, punti 2 e 3, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 giugno 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 29 giugno 2016 utilizzati al fine di produrre biometano attraverso la purificazione del biogas.

 

Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 giugno 2016 disciplina le forme di incentivazione delle fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico per i nuovi impianti selezionati nel 2016 per un periodo di venti anni (venticinque per il solare termodinamico).

La Tabella 1.A contiene l’elenco dei sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas, suddivisi in quattro categorie:

1. Sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano

2. Sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento, dalla gestione del verde e da attività forestale

3. Sottoprodotti provenienti da attività alimentari ed agroindustriali

4. Sottoprodotti provenienti da attività industriali.

 

Il medesimo comma 1 riconduce il riconoscimento della qualifica di biocarburante avanzato alla disciplina recata dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 2 marzo 2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2018, che promuove l'uso del biometano avanzato e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti.

 

Dato che, come detto, il decreto ministeriale del 2 marzo 2018 va in alcune sue parti (articolo 11) a modificare il decreto ministeriale del 10 ottobre 2014 (insieme al D.M. 13 dicembre 2017 e al D.M. 30 dicembre 2020), si valuti l’opportunità di richiedere l’emanazione di un decreto ministeriale che coordini e sostituisca tutti i decreti appena citati.

 

 

Il comma 2 prevede che le disposizioni dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, si applicano anche a tutte le opere infrastrutturali necessarie all’immissione del biometano nella rete esistente di trasporto e di distribuzione del gas naturale, per le quali il provvedimento finale deve prevedere anche l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in esso compresi, nonché la variazione degli strumenti urbanistici ai sensi di quanto previsto dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327.

 

Si ricorda che l’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003 disciplina l’Autorizzazione Unica per la costruzione di impianti e viene modificato dall’articolo 30 del decreto-legge in esame, alla cui scheda si fa rinvio (si veda anche l’articolo 32).

 


 

Articolo 31-ter
(
Misure per la promozione dell'economia circolare nella filiera del biogas)

 

L’articolo 31-ter, introdotto in sede referente, modifica il comma 954 dell’articolo 1 della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2019), che reca una forma di incentivo per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a biogas, con potenza elettrica non superiore a 300 kW e facenti parte del ciclo produttivo di una impresa agricola o di allevamento.

 

La legge di bilancio per il 2019, L. n.145/2018, art. 1, comma 954, ha riaperto la possibilità di accesso agli incentivi del D.M. 23 giugno 2016 per gli impianti a biogas con potenza elettrica non superiore a 300 kW, facenti parte del ciclo produttivo di una impresa agricola, di allevamento, realizzati da imprenditori agricoli anche in forma consortile e la cui alimentazione deriva per almeno l'80 per cento da reflui e materie derivanti dalle aziende agricole realizzatrici e per il restante 20 per cento da loro colture di secondo raccolto.

È stato previsto un registro nel limite del costo indicativo annuo di 25 milioni di euro. Per gli impianti fino a 100 kW è stato inoltre consentito l'accesso diretto.

Gli incentivi in questione sono stati prorogati all'anno 2020 dal successivo decreto-legge n. 162/2019 cd. "Milleproroghe" (art. 40-ter) nel limite di un ulteriore costo di 25 milioni di euro e all'anno 2021 dal decreto-legge n. 183/2020 cd. "Milleproroghe" (art. 12, co. 9-ter).

 

L’articolo aggiuntivo in esame modifica queste condizioni, specificando che le materie devono derivare “prevalentemente” dalle aziende agricole realizzatrici “nel rispetto del principio di connessione ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile”.

 

Per quanto riguarda l’articolo 2135 del codice civile, che definisce l’impresa agricola, si ricorda che il terzo comma definisce “connesse” all’attività agricola le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

 


 

Articolo 31-quater
(Impianti di produzione e pompaggio idroelettrico)

 

L’articolo 31-quater, inserito in sede referente, integra la definizione di impianti alimentati da fonti rinnovabili programmabili, inserendovi la specificazione per cui sono tali gli impianti alimentati dalle biomasse e dalla fonte idraulica, anche tramite impianti di accumulo idroelettrico attraverso pompaggio puro, ad esclusione, per quest'ultima fonte, degli impianti ad acqua fluente, nonché gli impianti ibridi (lettera a)).

In secondo luogo, specifica che per gli impianti di accumulo idroelettrico attraverso pompaggio puro il rilascio dell’autorizzazione spetta al MITE, sentito il MIMS e d’intesa con la regione interessata. Si richiama espressamente la vigente disciplina relativa al procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica.

 

A tal fine sono novellati due articoli del decreto legislativo n. 387/2003 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità).

La lettera a) modifica l’articolo 2, comma 1, lettera b), del suddetto provvedimento.

 

Al riguardo, si ricorda che la disposizione qui novellata reca la definizione di "impianti alimentati da fonti rinnovabili programmabili", i quali sono gli impianti alimentati dalle biomasse e dalla fonte idraulica, ad esclusione, per quest'ultima fonte, degli impianti ad acqua fluente, nonché gli impianti ibridi, di cui alla lettera d).

La lettera d) definisce le centrali ibride come centrali che producono energia elettrica utilizzando sia fonti non rinnovabili, sia fonti rinnovabili, ivi inclusi gli impianti di cocombustione, vale a dire gli impianti che producono energia elettrica mediante combustione di fonti non rinnovabili e di fonti rinnovabili.

 

La lettera b) novella l’articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387/2003.

 

L'articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003 stabilisce, al comma 1, che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti. Il comma 2 prevede che restano ferme le procedure di competenza del Ministero dell'interno vigenti per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi.

Il comma 3 qui novellato assoggetta una serie di interventi all'autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal MISE, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. Gli interventi soggetti ad autorizzazione unica sono i seguenti: la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, ivi inclusi gli interventi, anche consistenti in demolizione di manufatti o in interventi di ripristino ambientale, occorrenti per la riqualificazione delle aree di insediamento degli impianti. Specifiche disposizioni sono inoltre dettate per la convocazione della Conferenza dei servizi, in relazione al pagamento del diritto annuale per le licenze di esercizio e, infine, per il rilascio dell'autorizzazione per gli impianti offshore.

Il comma 4 disciplina il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica.


 

Articolo 31-quinquies
(Semplificazione del sistema di tenuta delle scorte di sicurezza petrolifere)

 

L’articolo 31-quinquies, inserito in sede referente, integra la disciplina delle competenze dell’Organismo centrale di stoccaggio italiano (OCSIT), previste nell’articolo 7 del decreto legislativo n. 249/2012, introducendovi un nuovo comma 16-bis, ai sensi del quale, con uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica:

·       può essere conferita all'OCSIT la facoltà di chiedere ai soggetti obbligati al versamento dei contributi di funzionamento dell’Organismo una garanzia a copertura del mancato versamento del contributo dovuto;

·       può essere delegata all'OCSIT l'autorizzazione alla tenuta delle scorte all'estero e per l'estero (da parte degli operatori economici obbligati alla tenuta di tali scorte);

·       possono essere apportate modifiche all'elenco dei prodotti costituenti le scorte specifiche e al loro livello e la stipulazione di opzioni contrattuali di acquisto di prodotto dell'OCSIT per la detenzione di scorte petrolifere.

 

Il decreto legislativo n. 249/2012 - di recepimento della Direttiva 2009/119/UE che impone agli Stati membri di mantenere un livello minimo di scorte costituite da greggio e prodotti petroliferi per far fronte a crisi degli approvvigionamenti - ha attribuito, all’articolo 7, comma 1, all'Acquirente unico S.p.A. - società pubblica interamente partecipata dal Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. - le funzioni e le attività di Organismo centrale di stoccaggio italiano (OCSIT[35]).

Le funzioni, ai sensi del citato comma 1, consistono nel contribuire ad assicurare la disponibilità di scorte petrolifere e la salvaguardia dell'approvvigionamento petrolifero. Le attività di OCSIT sono finanziate dagli operatori economici che immettono in consumo prodotti petroliferi.

L’operato dell'OCSIT è sottoposto alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico (per le funzioni di vigilanza, vedi ora MITE). Con D.M. 31 gennaio 2014 sono adottati dal medesimo Dicastero, gli indirizzi per l'esercizio delle funzioni, sulla base del Piano di attività predisposto dall'OCSIT stesso[36].

Ai sensi del comma 2, l'OCSIT, anche al fine di conformarsi ad accordi internazionali ha il compito di acquisire, mantenere, vendere e trasportare scorte specifiche di prodotti nel territorio italiano in maniera graduale e progressiva, nonché, può organizzare e prestare un servizio di stoccaggio e di trasporto di scorte petrolifere di sicurezza e commerciali, secondo il piano suddetto.

Per tali attività, l'OCSIT, ai sensi del comma 10, elabora proposte di strategie operative e gestionali, anche finanziarie, ivi compresa una valutazione della economicità delle infrastrutture strategiche energetiche, tenendo in considerazione le infrastrutture di logistica già disponibili per lo stoccaggio sul territorio nazionale anche in considerazione delle disponibilità attuali e prevedibili di logistica per aree territoriali di consumo a livello regionale.

Ai sensi del comma 3, l'OCSIT opera con criteri di mercato, minimizzando i relativi costi.

Ai sensi dei commi 4 e 5, gli oneri derivanti dall'istituzione e dall'espletamento di tutte le funzioni e le attività connesse dell'OCSIT sono posti a carico dei soggetti che hanno immesso in consumo prodotti energetici (petrolio e prodotti petroliferi), mediante un contributo articolato in una quota fissa e in una variabile in funzione delle tonnellate di prodotti petroliferi immesse in consumo nell'anno precedente.

L'ammontare del contributo, le modalità ed i termini di accertamento, riscossione e versamento dei contributi stessi dovuti, sono stabiliti con decreto con periodicità almeno annuale del Ministro dello sviluppo economico (ora MITE), di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, anche sulla base delle informazioni fornite dall'OCSIT ed in modo da assicurare l'equilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell'OCSIT stesso, che opera in autonomia rispetto alle altre attività e funzioni svolte da Acquirente unico. Il D.M. 28 dicembre 2020 reca la determinazione dei contributi a conguaglio per l'anno 2019 e provvisorio per l'anno 2020 e relative modalità di versamento per l'effettuazione delle funzioni in materia di scorte petrolifere.

Ai sensi dei commi 11 e 12, fatti salvi i limiti delle scorte specifiche di cui all'articolo 5, comma 5[37], l'OCSIT può, per un periodo specifico, delegare compiti relativi alla gestione delle scorte di sicurezza e, tranne la vendita o l'acquisizione, delle scorte specifiche, unicamente a:

a) un altro Stato membro dell'Unione europea sul territorio del quale si trovano tali scorte o all'Organismo centrale di Stoccaggio -OCS istituito da tale Stato membro. I compiti delegati non possono essere sotto delegati ad altri Stati membri dell'Unione europea o agli OCS da essi istituiti. La delega è subordinata alla autorizzazione preventiva del Ministero dello sviluppo economico (ora Ministero della Transizione ecologica);

b) operatori economici, senza possibilità di sotto delegare tali compiti. Qualora la delega, o ogni modifica o estensione di tale delega, interessi compiti relativi alla gestione di scorte di sicurezza detenute in un altro Stato membro dell'Unione europea, questa deve essere autorizzata preventivamente sia dal Ministero dello sviluppo economico (ora MITE) in rappresentanza dello Stato italiano per conto del quale le scorte sono detenute, sia da tutti gli Stati membri dell'Unione europea in cui tali scorte saranno detenute.

Il comma 12 prevede poi specifici obblighi di pubblicazione in capo all’OCSIT, tra i quali, quelli inerenti le informazioni complete, per tipologie di prodotti, sui volumi delle scorte di sicurezza e specifiche di cui esso intenda assicurare il mantenimento per i soggetti obbligati di cui all'articolo 3, comma 7, o, se opportuno, per gli OCS ed operatori economici interessati di altri Stati membri.

Ai sensi del comma 13, gli impianti di stoccaggio dell'OCSIT e tutte le opere ad essi connesse, indipendentemente dalla loro dimensione, rientrano tra le infrastrutture energetiche strategiche e la loro realizzazione, ai sensi del comma 14, è assoggettata ad autorizzazione unica.

Ai sensi del comma 15, fermi restando gli obblighi di equilibrio economico, patrimoniale e finanziario, l'OCSIT promuove accordi di programma con il Ministero della difesa e con la NATO per l'utilizzo dei depositi petroliferi eventualmente non compiutamente utilizzati già nella disponibilità patrimoniale del Ministero della difesa o della NATO, a titolo di comodato gratuito decennale rinnovabile, e può gestire il sistema delle scorte petrolifere per conto del Ministero della difesa per le necessità militari con oneri a carico dello stesso Ministero della difesa.

Infine, il comma 16, al fine di garantire la migliore operatività del nuovo sistema di tenuta delle scorte obbligatorie, dispone che il Ministero dello sviluppo economico (ora il Ministero della transizione ecologica) assicura un adeguato raccordo, anche informativo, tra l'OCSIT ed i diversi soggetti obbligati coinvolti.

Si rammenta, infine, che l’articolo 3, comma 1, dispone che le scorte petrolifere di sicurezza e specifiche del Paese sono determinate annualmente con decreto del Ministro dello sviluppo economico (ora MITE). Il D.M. 16 marzo 2021 ha provveduto alla Determinazione delle scorte di sicurezza e specifiche di petrolio greggio e/o prodotti petroliferi, per l'anno scorta 2021.

Tale decreto identifica anche, ai sensi dell’articolo 9, comma 3 del D.Lgs., i prodotti petroliferi che compongono le scorte specifiche italiane – che sono di proprietà dell’OCSIT[38] e devono essere mantenute sul territorio italiano - sulla base delle tipologie elencate nel medesimo articolo 9, e che devono essere costituite almeno dai seguenti prodotti: a) benzina per motori; b) jet fuel del tipo cherosene; c) gasolio; d) olio combustibile..

 

 


 

Articolo 32
(Semplificazione in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili - Semplificazione delle procedure di
repowering)

 

L’articolo 32 modifica ed integra la disciplina dell’autorizzazione unica per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, al fine di introdurvi talune semplificazioni per le opere di modifica di tali impianti, che comportano un incremento della potenza (repowering).

In particolare, il comma 1 dispone che gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni, dell’area e delle opere connesse, sono qualificabili come modifiche non sostanziali e sottoposte a comunicazione al Comune anche se consistenti nella modifica della soluzione tecnologica utilizzata e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento.

Vengono ugualmente assoggettate alla comunicazione al Comune gli interventi sui progetti e sugli impianti eolici, nonché sulle relative opere connesse, che, a prescindere dalla potenza nominale risultante dalle modifiche, sono realizzati nello stesso sito dell’impianto eolico e che comportano una riduzione minima del numero degli aerogeneratori rispetto a quelli già esistenti o autorizzati.

Sono fissate specifiche prescrizioni per le dimensioni dei nuovi aerogeneratori. Tali prescrizioni sono state oggetto di modifiche in sede referente. Viene fissando un criterio di proporzionalità con tra i nuovi aerogeneratori e quelli esistenti (o autorizzati) e comunque si prevede che l’altezza dei nuovi impianti non possa essere superiore al doppio dell’aerogeneratore già esistente, in caso di aerogeneratori di maggiori dimensioni (il cui diametro originario già superava i 70 metri). Quest’ultimo inciso è stato introdotto in Commissioni riunite. Per gli aerogeneratori di minori dimensioni, l’altezza massima non potrà essere superiore a due volte e mezzo quelli originari. Anche tale previsione è stata inserita dalle Commissioni.

In sede referente è stato infine introdotto il comma 1-bis, il quale include tra gli interventi sugli impianti eolici sottoposti alla procedura semplificata della “dichiarazione di inizio lavori asseverata” quelli che comportino una riduzione di superficie o di volumi, anche quando non vi sia sostituzione di aerogeneratori.

 

Segnatamente, il comma 1, lett. a) – attraverso la modifica e l’integrazione del comma 3, terzo periodo, del decreto legislativo n. 28/2011 - dispone che gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni, dell’area degli impianti e delle opere connesse, sono qualificabili come modifiche non sostanziali e sottoposte a comunicazione al Comune anche se consistenti nella modifica della soluzione tecnologica utilizzata e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento.

Restano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale.

Vengono inoltre qualificati non sostanziali e sono sottoposti alla disciplina delle attività in edilizia libera con comunicazione al Comune, gli interventi da realizzare sugli impianti eolici, nonché sulle relative opere connesse, che a prescindere dalla potenza nominale risultante dalle modifiche, vengono realizzati nello stesso sito dell’impianto eolico e che comportano una riduzione minima del numero degli aerogeneratori rispetto a quelli già esistenti o autorizzati. Il concetto di riduzione minima è definito nel nuovo comma 3-ter aggiunto all’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2011 con la successiva lettera b).

 

La relazione illustrativa chiarisce che lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni degli impianti eolici, divenuti più efficienti e sostenibili, consente non solo la loro sostituzione, ma a volte anche la riduzione del numero di macchinari impiegati.

 

Fermo restando il rispetto della normativa vigente in materia di distanze minime di ciascun aerogeneratore da unità abitative munite di abitabilità, regolarmente censite e stabilmente abitate, e dai centri abitati individuati dagli strumenti urbanistici vigenti e il rispetto della normativa in materia di smaltimento e recupero degli aerogeneratori (tale clausola di salvezza è stata introdotta in sede referente), i nuovi aerogeneratori, a fronte di un incremento del loro diametro, dovranno avere un’altezza massima (altezza dal suolo raggiungibile dalla estremità delle pale), non superiore all’altezza massima dell’aerogeneratore già esistente moltiplicata per il rapporto fra il diametro del rotore del nuovo aerogeneratore e il diametro dell’aerogeneratore già esistente.

 

Si ricorda preliminarmente che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, sono soggetti all'autorizzazione unica la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi.

A tal fine, ai sensi del comma 3, primo periodo, è demandato ad un decreto (del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – ora del MITE - previa intesa con la Conferenza unificata) l’individuazione, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo dell'autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali[39].

In ogni caso, il terzo periodo del comma 3, qualifica comunque come non sostanziali – sottoponendoli al regime della comunicazione al Comune previsto per le attività in edilizia libera - gli interventi da realizzare sui progetti e sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse.

 

Ai fini di quanto sopra, la lett. b) – attraverso l’introduzione di due nuovi commi 3-bis e 3-ter dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2011, reca la definizione di:

·     sito dell’impianto eolico” (nuovo comma 3-bis). Per esso si intende:

a)     nel caso di impianti su una unica direttrice, il nuovo impianto realizzato sulla stessa direttrice, con una deviazione massima di un angolo di 10°, utilizzando la stessa lunghezza più una tolleranza pari al 15 per cento della lunghezza dell’impianto autorizzato, calcolata tra gli assi dei due aerogeneratori estremi;

b)    nel caso di impianti dislocati su più direttrici, la superficie planimetrica complessiva del nuovo impianto, all’interno della superficie autorizzata, definita dal perimetro individuato, planimetricamente, dalla linea che unisce, formando sempre angoli convessi, i punti corrispondenti agli assi degli aerogeneratori autorizzati più esterni, con una tolleranza complessiva del 15 per cento.

·      “riduzione minima del numero di aerogeneratori” (nuovo comma 3-ter). Per essa si intende:

a)     nel caso in cui gli aerogeneratori esistenti o autorizzati, quelli che hanno un diametro (d1) inferiore o uguale a 70 metri, il numero dei nuovi aerogeneratori non deve superare il minore fra n1*2/3 e n1*d1/(d2-d1),

b)    nel caso in cui gli aerogeneratori esistenti o autorizzati abbiano un diametro (d1) superiore a 70 metri, il numero dei nuovi aerogeneratori non deve superare n1*d1/d2 arrotondato per eccesso, laddove:

§  d1: è il diametro rotori già esistenti o autorizzati;

§  n1: corrisponde numero aerogeneratori già esistenti o autorizzati;

§  d2: diametro nuovi rotori;

§  h1: altezza raggiungibile dalla estremità delle pale rispetto al suolo (TIP) dell’aerogeneratore già esistente o autorizzato.

La relazione illustrativa non chiarisce la portata della novella, di carattere tecnico. La relazione contiene una frase, probabilmente inserita nella fase interlocutoria dell’istruttoria tra Ministeri, in cui si lamenta che “La illustrazione appare eccessivamente sintetica e non spiega come interviene la novella nelle singole norme”.

In ogni caso si rileva nel comma aggiuntivo viene riportato un valore (h1) non utilizzato nella formula. Il valore “h1” ricorre nel nuovo comma 3-quater di cui subito appresso, la cui formulazione è stata modificata in sede referente.

·      “altezza massima dei nuovi aerogeneratorih2 raggiungibile dalla estremità delle pale, per essa si intende, secondo quanto specificato dalle Commissioni riunite:

- due volte e mezza l’altezza massima dal suolo h1 raggiungibile dalla estremità delle pale dell’aerogeneratore già esistente, per gli aerogeneratori di minori dimensioni, di cui alla succitata lettera a)

- il doppio dell’altezza massima dal suolo h1 raggiungibile dalla estremità delle pale dell’aerogeneratore già esistente, nel caso di aerogeneratori di maggiori dimensioni, quelli di cui alla lettera b) sopra illustrata (comma 3-quater).

La definizione del valore “h2” è riferita evidentemente all’altezza massima dei nuovi aerogeneratori.

Il testo originario della norma indicava per "altezza massima dei nuovi aerogeneratori" – senza distinzione - il doppio dell'altezza massima dal suolo h1 raggiungibile dalla estremità delle pale dell'aerogeneratore già esistente.

 

Considerata la tecnicità delle norme, si valuti l’opportunità di verificare la correttezza del loro contenuto sostanziale, nonché una loro formale maggiore omogeneità sotto il profilo della formulazione. 

Sul regime autorizzatorio per gli impianti a fonti rinnovabili e, in particolare, sull’autorizzazione unica, si rinvia alla scheda di lettura contenuta nell’articolo 30. Si aggiunge in questa sede che l’Autorizzazione Unica è disciplinata dall'articolo 12 del decreto legislativo 387/2003 e dall’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2011, ed opera per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER al di sopra di prefissate soglie di potenza.

Le soglie di potenza oltre le quali è necessario che gli impianti di produzione di energia elettrica da FER siano sottoposti ad Autorizzazione Unica, sono le seguenti (cfr. Tabella A, allegata al decreto legislativo n. 387/2003):

 

Eolico

> 60 kW

Fotovoltaico(*)

> 20 kW

Biomasse

> 200 kW

Idraulica

>100 kW

Biogas

> 250 kW[40]

(*) Per il fotovoltaico, l’articolo 31, comma 7, del decreto in esame porta la soglia a 50 kW. Per il biogas, in sede referente la soglia è stata portata a 300 kW.

 

Al di sotto di tali soglie, gli impianti rientrano nel campo di applicazione della Procedura autorizzativa semplificata (PAS), della Comunicazione al Comune, a seconda della tecnologia, della taglia e della potenza.

La Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) è la procedura introdotta dall’articolo 6, commi 1-10, del decreto legislativo 28/2011, equiparata alla SCIA ai sensi del decreto legislativo n. 222/2016 (Tabella A, Sezione II). La PAS è utilizzabile per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER al di sotto di prefissate soglie di potenza (oltre le quali si ricorre alla AU, cfr. supra) e per alcune tipologie di impianti di produzione di caldo e freddo da FER.

La Comunicazione al Comune, prevista dall’art. 6, comma 11, del decreto legislativo n. 28/2011 è il titolo autorizzativo previsto per l’installazione di

impianti assimilabili ad “attività edilizia libera”. Riguarda alcune tipologie di piccoli impianti per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da FER, previsti dai punti 11 e 12 delle “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, di cui al D.M. 10 settembre 2010.

Ai sensi di tali punti, la comunicazione è preclusa al proponente che non abbia titolo sulle aree o sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (pto. 11).

Il comma 11 dispone che le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione ai progetti di impianti alimentati da FER con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche, e fermi restando l’applicabilità dei regimi autorizzativi di cui all'articolo 6-bis e l'articolo 7-bis, comma 5, del medesimo decreto legislativo n. 28.

 

L’articolo 6-bis del decreto legislativo n. 28/2011 è stato recentemente introdotto dal decreto-legge n. 76/2020 (cd. “Semplificazioni”) e prevede una nuova modalità abilitativa, più semplice della PAS: la “dichiarazione di inizio lavori asseverata”, riservata agli interventi su impianti esistenti, a bassissimo o nullo impatto ambientale e senza effetti di natura urbanistica. In particolare, sono sottoposti a tale regime, gli interventi su impianti esistenti e le modifiche di progetti autorizzati che, senza incremento di area occupata dagli impianti e dalle opere connesse e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento, ricadono nelle seguenti categorie:

a) impianti eolici: sostituzione della tipologia di rotore che comportano una variazione in aumento delle dimensioni fisiche delle pale e delle volumetrie di servizio non superiore in ciascun caso al 15 per cento;

b) impianti fotovoltaici con moduli a terra: interventi che, anche a seguito della sostituzione dei moduli e degli altri componenti e mediante la modifica del layout dell'impianto, comportano una variazione delle volumetrie di servizio non superiore al 15 per cento e una variazione dell'altezza massima dal suolo non superiore al 20 per cento;

c) impianti fotovoltaici con moduli su edifici: interventi di sostituzione dei moduli fotovoltaici su edifici a uso produttivo, nonché, per gli edifici a uso residenziale, interventi che non comportano variazioni o comportano variazioni in diminuzione dell'angolo tra il piano dei moduli e il piano della superficie su cui i moduli sono collocati;

d) impianti idroelettrici: interventi che, senza incremento della portata derivata, comportano una variazione delle dimensioni fisiche dei componenti e della volumetria delle strutture che li ospitano non superiore al 15 per cento.

L’articolo 7-bis, comma 5, dispone che non è subordinata all'acquisizione di atti amministrativi di assenso, comunque denominati, l'installazione di impianti solari fotovoltaici e termici con le modalità di cui all'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 115 del 2008 su edifici non ricadenti fra quelli di notevole interesse pubblico ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della parte seconda del codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza; i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici). Si tratta dei seguenti impianti: generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, di microcogeneratori ad alto rendimento, nonché di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici[41], qualora la superficie dell'impianto non sia superiore a quella del tetto stesso.

Si rinvia al sito istituzionale del GSE .

 

Nelle Commissioni riunite, è stato inserito il comma 1-bis, il quale interviene sull’articolo 6-bis del D.Lgs. n. 28/2011.

L’articolo 6-bis, come sopra accennato (cfr. supra, ricostruzione normativa), prevede un regime amministrativo semplificato, la “dichiarazione di inizio lavori asseverata”, per taluni interventi su impianti esistenti, a bassissimo o nullo impatto ambientale e senza effetti di natura urbanistica. In particolare, sono sottoposti a tale regime, gli interventi su impianti esistenti e le modifiche di progetti autorizzati che, senza incremento di area occupata dagli impianti e dalle opere connesse e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento, ricadono in una serie di categorie.

Tra essi, il comma 1, lettera a) dell’articolo 6-bis richiama, per gli impianti eolici, la sostituzione della tipologia di rotore che comportano una variazione in aumento delle dimensioni fisiche delle pale e delle volumetrie di servizio non superiore in ciascun caso al 15 per cento.

Il comma 1-bis dell’articolo qui in esame, attraverso una integrazione della citata lettera a), include tra gli interventi sugli impianti eolici sottoposti a “dichiarazione di inizio lavori asseverata” quelli che comportino una riduzione di superficie o di volumi, anche quando non vi sia sostituzione di aerogeneratori.


 

Articolo 32-bis
(Semplificazione dei procedimenti per impianti idroelettrici di piccole dimensioni)

 

L’articolo 32-bis, inserito in sede referente, modifica le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili per assoggettare al regime dell'attività ad edilizia libera gli impianti idroelettrici e geotermoelettrici aventi una capacità di generazione non superiore a 500 kW di potenza di concessione. Viene quindi sostituito l'attuale requisito della compatibilità con il regime di scambio sul posto. Il regime dell'attività ad edilizia libera prevede la realizzazione dei suddetti impianti previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori (CIL) da parte dell'interessato all'amministrazione comunale. In base alla normativa vigente, per l'applicazione del regime testé indicato, si richiede che gli impianti siano altresì realizzati in edifici esistenti sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni di uso, non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici.

 

A tal fine l'articolo 32-bis novella il punto ii., lettera a), del punto 12.7 della parte II dell'allegato annesso al DM 10 settembre 2010, pubblicato nella GU n. 219 del 18 settembre 2010.

 

Le modalità di effettuazione della comunicazione dell'inizio dei lavori (CIL) sono disciplinate dai punti 11.9 e 11.10 della parte II (Regime giuridico delle autorizzazioni) dell'allegato in questione.

 

La finalità è quella di assicurare la piena attuazione delle misure finalizzate a contrastare i cambiamenti climatici e a perseguire, entro l'anno 2030, gli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030 (PNIEC).

 

Gli attuali obiettivi al 2030 fissati - ai sensi della nuova Direttiva europea  Direttiva 2018/2001/UE RED II - dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC) per gli anni 2021-2030, indicano una percentuale di copertura dei consumi (CFL) mediante le fonti rinnovabili pari al 30% al 2030.

Per ulteriori informazioni, si rinvia al dossier di documentazione e ricerche "Le fonti rinnovabili" di giugno 2021, alla pubblicazione del GSE "Fonti rinnovabili in Italia e in Europa" di aprile 2021, al Rapporto sulle fonti rinnovabili in Italia del GSE del 26 marzo 2021 e al Rapporto GSE sull'attività, pubblicato il 25 maggio 2021.

Articolo 32-ter
(Norme di semplificazione in materia di infrastrutture di ricarica elettrica)

 

L’articolo 32-ter, inserito in sede referente, interviene sulla disciplina per la realizzazione di punti e stazioni di ricarica di veicoli elettrici contenuta nell'articolo 57 del decreto semplificazioni (D.L. 76/2020 - L. 120/2020). Con una modifica al comma 14 del suddetto articolo, si stabilisce che l'installazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici ad accesso pubblico non è soggetta al rilascio del permesso di costruire ed è considerata attività di edilizia libera (lettera a)).

L'articolo in questione introduce inoltre il comma 14-bis, secondo cui, ai fini della semplificazione dei procedimenti, il soggetto che effettua l'installazione delle infrastrutture per il servizio di ricarica dei veicoli elettrici su suolo pubblico presenta l'istanza all'ente proprietario della strada per la l'occupazione del suolo pubblico e la realizzazione dell'infrastruttura e per le relative opere di connessione alla rete di distribuzione concordate con il concessionario del servizio di distribuzione dell'energia elettrica competente.

L’articolo aggiuntivo è stato leggermente modificato a seguito del rinvio alle Commissioni riunite, precedentemente si prevedeva che l’istanza all’ente proprietario della strada fosse finalizzata alla “manomissione e l'occupazione del suolo pubblico per l'infrastruttura di ricarica”.

Il nuovo comma 14-bis prevede anche che le procedure sono soggette all'obbligo di richiesta semplificata e l'ente che effettua la valutazione, come previsto dall'articolo 14-bis della L. 241/1990, rilascia un provvedimento di autorizzazione alla costruzione e all'occupazione del suolo pubblico per le infrastrutture di ricarica che ha una durata minima di dieci anni e un provvedimento di durata illimitata, intestato al gestore della rete, per le relative opere di connessione (lettera b)).

La nuova formulazione pone il termine di trenta giorni all'ente proprietario della strada per il rilascio dell’autorizzazione.

A seguito del rinvio alle Commissioni riunite, soprattutto, viene soppresso l’articolo 33-ter (Modifica all'articolo 57 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, in tema di manomissione e occupazione di suolo pubblico per l'installazione di infrastrutture per la ricarica elettrica), il cui contenuto era sostanzialmente coincidente con la disposizione in commento.

 

Al riguardo si ricorda che il comma 14 dell'articolo 57, qui novellato, ha abrogato i commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (L. 35/2012), che prevedevano l’applicazione della disciplina della segnalazione certificata di inizio attività (di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241) per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici, nonché il rinvio (previsto dal comma 2-ter) ad un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per individuare le dichiarazioni, attestazioni, asseverazioni, nonché gli elaborati tecnici da presentare a corredo della segnalazione certificata di inizio attività.

In dettaglio il comma 1 dell'articolo 57 reca la definizione di “infrastruttura di ricarica di veicoli elettrici”, come l’insieme di strutture, opere e impianti necessari alla realizzazione di aree di sosta dotate di uno o più punti di ricarica per veicoli elettrici.

Le tipologie delle infrastrutture di ricarica e le regole per il loro utilizzo.

In base al comma 2, le aree di ricarica possono realizzarsi: a) all’interno di aree e edifici pubblici e privati, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica; b) su strade private non aperte all’uso pubblico; c) lungo le strade pubbliche e private aperte all’uso pubblico; d) all’interno di aree di sosta, di parcheggio e di servizio, pubbliche e private, aperte all’uso pubblico.

La prima tipologia, sono i casi delle lettere c) e d) del comma 2; è che le aree di ricarica vengano realizzate in aree aperte all’uso del pubblico, in particolare lungo strade o all’interno di aree di sosta, parcheggio o servizio lungo le strade. In questi casi il comma 3 prevede che la loro realizzazione sia effettuata in conformità a quanto previsto dal Codice della strada (D. Lgs. n. 285/1992) e dal relativo regolamento di esecuzione e di attuazione (DPR n. 495/1992), in particolare in relazione al dimensionamento degli stalli di sosta e la segnaletica orizzontale e verticale, fermo restando il rispetto della normativa vigente in materia di sicurezza. Si prevede inoltre che in tali casi, qualora la realizzazione sia effettuata da soggetti diversi dal proprietario della strada, si applichino anche le disposizioni in materia di autorizzazioni e concessioni previste nel Codice della strada e nel suo regolamento di esecuzione e attuazione.

Il comma 2-bis prevede che, nei casi di cui al comma 2, lettere a) e b), - dunque, nei casi di infrastrutture di ricarica all'interno di aree e edifici pubblici e privati (lett. a)) e su strade private non aperte all'uso pubblico (lett. b)) - la ricarica del veicolo elettrico, in analogia con quanto previsto per la ricarica pubblica dal D.Lgs. n. 257/2016, recante la disciplina di attuazione della Direttiva 2014/94/UE (cd. Direttiva DAFI), è da considerarsi un servizio e non una fornitura di energia elettrica.

Con riferimento al comma 2-bis, si rileva che il successivo comma 12 demanda espressamente all’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), il compito di definire le tariffe per la fornitura dell’energia elettrica destinata alla ricarica dei veicoli, applicabili ai punti di prelievo in ambito privato e agli operatori del servizio di ricarica in ambito pubblico. In questo quadro, non è chiara la portata della modifica introdotta al Senato che considera “servizio” e non fornitura di energia elettrica la ricarica anche all’interno di aree private.

L’ultimo periodo del comma 3 prevede, inoltre, il rispetto delle norme per la realizzazione degli impianti elettrici, con particolare riferimento all’obbligo di dichiarazione di conformità e di progetto elettrico, ove necessario, in base alle leggi vigenti.

Il comma 4 reca inoltre, per tali strutture situate su strade o aree aperte al pubblico, il principio dell’accessibilità in modo non discriminatorio, a tutti gli utenti stradali delle infrastrutture di ricarica, esclusivamente per la sosta di veicoli elettrici in fase di ricarica al fine di garantire una fruizione ottimale dei singoli punti di ricarica.

La seconda tipologia di infrastrutture, sono i casi delle lettere a) e b) del comma 2, è che le aree di ricarica vengano invece realizzate all’interno di edifici pubblici o privati e su strade private: in questi casi il comma 3 prevede che si applichi l’articolo 38 del codice della strada, che definisce le varie tipologie di segnaletica stradale, ferma restando l’applicazione delle vigenti norme in materia di sicurezza.

Il comma 5 novella l’articolo 158, comma, 1, lettera h-bis), del Codice della strada, che vieta la sosta negli spazi riservati alla fermata e alla sosta dei veicoli elettrici in ricarica, specificando che il divieto di sosta riguarda in generale gli spazi riservati alla fermata ed alla sosta dei veicoli elettrici ed introducendo la previsione che in caso di sosta a seguito di completamento di ricarica, possano essere applicate tariffe di ricarica mirate a disincentivare l'impegno della stazione oltre un periodo massimo di un'ora dal termine della ricarica (nella formulazione originaria si prevedeva che la sosta fosse concessa gratuitamente al veicolo elettrico o ibrido plug-in per un periodo massimo di un’ora). Tale limite temporale di un’ora, non trova applicazione durante le ore notturne, in particolare dalle ore 23 alle ore 7, ad eccezione dei punti di ricarica di potenza elevata, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo 16 dicembre 2016 n. 257.

Il comma 6 rinvia a provvedimenti dei comuni, da adottare entro sei 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in conformità ai propri ordinamenti, come previsto dall’articolo 7 del codice della strada, per disciplinare l’installazione la realizzazione e gestione delle infrastrutture di ricarica a pubblico accesso, stabilendo la localizzazione e la quantificazione in coerenza con i propri strumenti di pianificazione, al fine di garantire un numero adeguato di stalli in funzione della domanda e degli obiettivi di progressivo rinnovo del parco dei veicoli circolanti, prevedendo, ove possibile, l'installazione di almeno un punto di ricarica ogni 1.000 abitanti.

Il comma 7 consente ai comuni di affidare, in regime di autorizzazione o concessione, anche a titolo non oneroso, la realizzazione e gestione di infrastrutture di ricarica a soggetti pubblici e privati sulla base della disciplina di cui ai commi 3 e 4, anche prevedendo una eventuale suddivisione in lotti.

Si prevede inoltre, con il comma 8, che soggetti pubblici o privati possano richiedere al comune, ovvero all’ente proprietario o al gestore della strada, anche in ambito extraurbano, l’autorizzazione o la concessione per la realizzazione e l’eventuale gestione delle infrastrutture di ricarica, anche solo per una strada o un’area a pubblico accesso o per un insieme di esse, qualora il comune non abbia provveduto alla disciplina delle aree di ricarica a pubblico accesso.

Il comma 9 prevede la facoltà dei comuni di concedere la riduzione o l’esenzione del canone di occupazione di suolo pubblico e della TOSAP per i punti di ricarica, nel caso in cui gli stessi eroghino energia di provenienza certificata da energia rinnovabile. In ogni caso, il canone di occupazione di suolo pubblico deve essere calcolato sullo spazio occupato dalle infrastrutture di ricarica senza considerare gli stalli di sosta degli autoveicoli che rimarranno nella disponibilità del pubblico.

In caso di applicazione della riduzione o dell’esenzione il comma 10 dispone che, se a seguito di controlli non siano verificate le condizioni previste, i Comuni possano richiedere il pagamento per l’intero periodo agevolato del canone di occupazione di suolo pubblico e della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, applicando una maggiorazione a titolo sanzionatorio fino al 30 per cento dell’importo.

Il comma 11 prevede una semplificazione procedurale per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica di veicoli elettrici e ibridi plug-in, disponendo che sia sufficiente una dichiarazione sottoscritta dai soggetti interessati da cui risulti l’assenza o la presenza di interferenze con linee di telecomunicazione e il rispetto delle norme che regolano la materia della trasmissione e distribuzione di energia elettrica, al posto del preventivo nulla osta del Ministero, previsto dai commi 2 e 2-bis dell'articolo 95 del Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003). La dichiarazione va comunicata all’Ispettorato del Ministero competente per territorio ed in tali casi i soggetti interessati non sono tenuti alla stipula degli atti di sottomissione previsti dalla normativa vigente.

Il comma 12 dispone che l’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, definisca le tariffe per la fornitura dell’energia elettrica destinata alla ricarica dei veicoli, applicabili ai punti di prelievo in ambito privato e agli operatori del servizio di ricarica in ambito pubblico secondo quanto previsto dall’articolo 4, comma 9, del D.Lgs. n. 257/2016, in modo da favorire l’uso di veicoli alimentati ad energia elettrica e da assicurare un costo dell'energia elettrica non superiore a quello previsto per i clienti domestici residenti.

Il comma 13 dispone inoltre l’obbligo che le concessioni, rilasciate a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ivi compreso il rinnovo di quelle esistenti, prevedano che le aree di servizio vengano dotate delle colonnine di ricarica per i veicoli elettrici.

Conseguentemente, dovranno essere aggiornati il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, di cui all’articolo 17-septies del n. 83/2012 e il Piano di ristrutturazione delle aree di servizio autostradali.

Il comma 13-bis modifica l’articolo 17-terdecies, comma 1, del D.L. n. 83/2012, in materia di riqualificazione elettrica dei veicoli circolanti, estendendo le norme attualmente previste per la trasformazione dei veicoli in soli veicoli elettrici, anche alla trasformazione degli stessi in veicoli a trazione ibrida con l’installazione di motori elettrici.

La norma oggetto di modifica attualmente prevede infatti che, per le modifiche delle caratteristiche costruttive e funzionali dei veicoli in circolazione delle categorie internazionali L, M e N1, consistenti nella trasformazione degli stessi in veicoli il cui motore sia ad esclusiva trazione elettrica, si applichi l'articolo 75, comma 3-bis, del Codice della Strada. Tale norma rinvia a decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la definizione delle norme specifiche per l'approvazione nazionale dei sistemi, componenti ed entità tecniche, nonché le idonee procedure per la loro installazione quali elementi di sostituzione o di integrazione di parti dei veicoli, su tipi di autovetture e motocicli nuovi o in circolazione. I sistemi, componenti ed entità tecniche, per i quali siano stati emanati i decreti contenenti tali norme specifiche per l'approvazione nazionale degli stessi, sono esentati dalla necessità di ottenere l'eventuale nulla osta della casa costruttrice del veicolo prevista per tali modifiche dall’art. 236, comma 2 del regolamento di attuazione del Codice della Strada, salvo che sia diversamente disposto nei decreti medesimi. Si ricorda che con D.M. 1 dicembre 2015, n. 219 è stato emanato il regolamento sul sistema di riqualificazione elettrica destinato ad equipaggiare autovetture M e N1.

Il comma 16 rinvia ad un regolamento da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto l’adozione di disposizioni integrative e modificative del regolamento di attuazione del Codice della strada, in coerenza con le disposizioni del presente articolo.

Il comma 17 reca la clausola di invarianza finanziaria.


 

Articolo 32-quater
(Semplificazioni in materia di sistemi di qualificazione degli installatori)

 

L’articolo 32-quater, inserito in sede referente, dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2022, i titoli di qualificazione degli installatori di impianti a fonti rinnovabili siano inseriti nella visura camerale delle imprese dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio, che li ricevono dai soggetti che li rilasciano.

L’articolo, a tal fine, sostituisce il comma 7 dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 28/2011. Tale norma attualmente dispone che i titoli di qualificazione siano resi accessibili al pubblico per via informatica, a cura del soggetto che li rilascia.

A seguito del rinvio nelle Commissioni riunite, è stato precisato che le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione della norma nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

 

Si rammenta che il riordino e la semplificazione della normativa vigente in materia di procedure di qualificazione degli installatori di impianti a fonti rinnovabili costituisce uno dei criteri direttivi della delega al Governo – contenuta nell’articolo 5 della L. n. 53/2021 - per il recepimento della nuova Direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da FER, Direttiva 2018/2001/UE, cd. RED II, la quale, a decorrere dal 1° luglio 2021, ha abrogato la precedente Direttiva 2009/28/CE, cd. RED I (cfr. infra, ricostruzione normativa).

 

Per ciò che attiene alla disciplina nazionale vigente sui requisiti tecnico professionali degli installatori di impianti a fonti rinnovabili, l’articolo 15 del decreto legislativo n. 28/2011 - di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (cd. Direttiva RED I[42]) – dispone, al comma 1, che la qualifica professionale per l'attività di installazione e di manutenzione straordinaria di taluni impianti a fonti rinnovabili - quali caldaie, caminetti e stufe a biomassa, di sistemi solari fotovoltaici e termici sugli edifici, di sistemi geotermici a bassa entalpia e di pompe di calore - è conseguita con il possesso uno dei requisiti tecnico professionali di cui alle lettere a), b), c) o d) dell'articolo 4, comma 1, del D.M. 22 gennaio 2008, n. 37 (cfr. infra).

L’articolo, al comma 2, ha poi rimesso alle regioni e alle province di provvedere, entro il 31 dicembre 2016, nel rispetto dell'allegato 4 dello stesso decreto legislativo n. 28, relativo alla certificazione degli istallatori, all’attivazione di un programma di formazione per gli installatori di impianti a fonti rinnovabili o di procedere al riconoscimento di fornitori di formazione, dandone comunicazione al MISE e MAATM. Nel caso di inerzia delle Regioni e delle Province autonome, all'ENEA è stato assegnato, a sensi del comma 4, il compito di mettere a disposizione programmi per il rilascio dell'attestato di formazione. Il comma 7 dispone che i titoli di qualificazione degli installatori sono resi accessibili al pubblico per via informatica, a cura del soggetto che li rilascia.

Il D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, modificato ed integrato dall’articolo 1, comma 50 della legge n. 107/2015, reca il riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici. L’articolo 4 disciplina i requisiti tecnico professionali degli istallatori di una serie di impianti, tra i quali gli impianti di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione, utilizzazione dell'energia elettrica, gli impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali.

I requisiti tecnico professionali sono, in alternativa, uno dei seguenti:

a) diploma di laurea in materia tecnica specifica conseguito presso una università statale o legalmente riconosciuta;

a-bis) diploma di tecnico superiore, conseguito in esito ai percorsi relativi alle figure nazionali definite dall'allegato A, area 1 - efficienza energetica di cui decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 7 settembre 2011:

b) diploma o qualifica conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo con specializzazione relativa al settore delle attività impiantistiche (di cui all'articolo 1 del decreto), presso un istituto statale o legalmente riconosciuto, seguiti da un periodo di inserimento, di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore.

c) titolo o attestato conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale, previo un periodo di inserimento, di almeno quattro anni consecutivi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore.

d) prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata per un periodo non inferiore a tre anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato nelle attività di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti.

 

Infine, tra i criteri direttivi della delega al Governo per il recepimento della nuova Direttiva 2018/2001/UE (cd. RED II), l’articolo 5 della legge di delegazione europea (L. n. 53/2021) prevede il riordino e la semplificare la normativa vigente in materia di procedure di qualificazione degli installatori di impianti a fonti rinnovabili, disponendo che detta qualificazione professionale, ai sensi dell'articolo 18 della direttiva RED II[43], sia conseguita con il possesso dei requisiti tecnico professionali di cui ad almeno una delle lettere di cui all'articolo 4 del D. M. 22 gennaio 2008, n. 37, recante disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici (lettera dd).

 


 

Articolo 33
(Semplificazione Superbonus)

 

L’articolo 33 riconosce la detrazione al 110 per cento (Superbonus) anche per gli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi, eseguiti congiuntamente ad interventi antisismici.

La norma estende, altresì, alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale la possibilità di avvalersi dell’agevolazione fiscale per gli interventi realizzati su immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4 (ad esempio: ospedali, case di cura e conventi) e ne determina il limite di spesa per le singole unità immobiliari. La disposizione chiarisce che tali interventi possono fruire della detrazione a condizione che i soggetti beneficiari svolgano attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali e i cui membri del consiglio di amministrazione non percepiscano alcun compenso o indennità di carica.

L’articolo in esame, inoltre, semplifica la disciplina per fruire del Superbonus stabilendo che attraverso una comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) è possibile attestare gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione (rendendo non più necessaria l’attestazione dello stato legittimo).

 

L’articolo 119 del decreto legge n. 34 del 2020 (c.d. Decreto Rilancio) ha introdotto una detrazione pari al 110 per cento delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici (Superbonus). La detrazione può essere chiesta per le spese documentate e rimaste a carico del contribuente sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022 da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali di pari importo e in quattro quote annuali di pari importo per la parte di spesa sostenuta nell'anno 2022.

Si segnala che nel corso dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata del 26 maggio 2021, alla Camera dei deputati, il Ministro dell'Economia e delle finanze ha fatto presente che il Governo si è impegnato a inserire nel disegno di bilancio per il 2022 una proroga della misura per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021, con riguardo agli effetti finanziari, alla natura degli interventi realizzati, al conseguimento degli obiettivi di risparmio energetico e di sicurezza degli edifici. Si segnala, altresì, che l’articolo 1, comma 3, del decreto legge n.59, attualmente all’esame del Senato, proroga di sei mesi (al 30 giugno 2023) il termine per avvalersi della misura del Superbonus per gli Istituti autonomi case popolari-IACP comunque denominati, nonché per gli enti aventi le stesse finalità sociali. Agli IACP, a condizione che siano stati effettuati lavori per almeno il 60 per cento dell'intervento complessivo, la detrazione spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023. La norma prevede inoltre che per gli interventi effettuati dai condomini la detrazione del 110 per cento spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 indipendentemente dallo stato di avanzamento dei lavori.

 

Si ricorda inoltre che il Piano nazionale di ripresa e resilienza-PNRR, Componente 3 della Missione 2 (Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici), destina complessivamente 13,95 miliardi di euro alla misura del Superbonus. Sempre in materia efficienza energetica e riqualificazione degli edifici sono previste ulteriori risorse nazionali a carico del c.d. Fondo complementare per un ammontare complessivo di 6,56 miliardi di euro (di cui 4,56 specificamente destinati al Superbonus), nonché ulteriori 0,32 miliardi dal programma REACT dell’UE. Gli interventi di questa Componente, come scritto nel testo del PNRR, si prefiggono di incrementare il livello di efficienza energetica degli edifici, una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni in un Paese come l’Italia che soffre di un parco edifici con oltre il 60 per cento dello stock superiore a 45 anni, sia negli edifici pubblici (es. scuole, cittadelle giudiziarie), sia negli edifici privati.

Per una analisi dettagliata delle misure contenute nel PNRR si rimanda alla lettura del dossier realizzato dai Servizi Studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Per una ricostruzione normativa della disciplina del Superbonus si rinvia alla lettura del dossier Il Superbonus edilizia al 110 per cento - aggiornamento alla legge di bilancio 2021 realizzato dal Servizio studi della Camera dei deputati.

 

L’articolo 33 in esame, comma 1, lettere a), riconosce l’agevolazione fiscale anche agli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi (articolo 16-bis, comma 1, lettera e), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917- TUIR),  anche ove effettuati in favore di persone di età superiore a sessantacinque anni, eseguiti congiuntamente agli interventi antisismici indicati dai commi da 1-bis a 1-septies dell'articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 (c.d. Sismabonus).

 

Si tratta di interventi antisismici per la messa in sicurezza statica delle parti strutturali di edifici o di complessi di edifici collegati strutturalmente, di cui all'articolo 16-bis, comma 1, lett. i), del TUIR, le cui procedure autorizzatorie sono iniziate dopo il 1° gennaio 2017, relativi a edifici ubicati nelle zone sismiche 1, 2 e 3 di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, inclusi quelli dai quali deriva la riduzione di una o due classi di rischio sismico, anche realizzati sulle parti comuni di edifici in condominio. L'agevolazione si applica anche alle spese sostenute dagli acquirenti delle cd. case antisismiche, vale a dire delle unità immobiliari facenti parte di edifici ubicati in zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3 (individuate dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006) oggetto di interventi antisismici effettuati mediante demolizione e ricostruzione dell'immobile da parte di imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che entro 18 mesi dal termine dei lavori provvedano alla successiva rivendita. Si segnala inoltre che il Superbonus spetta anche per la realizzazione di sistemi di monitoraggio strutturale continuo a fini antisismici, eseguita congiuntamente ad uno degli interventi di cui ai citati commi da 1-bis a 1-septies nel rispetto dei limiti di spesa previsti per tali interventi (articolo 4-bis del richiamato articolo 119).

 

Nello specifico la norma stabilisce che la detrazione al 110 per cento  si applica anche agli interventi  finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi, alla realizzazione di ogni strumento che, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo di tecnologia più avanzata, sia adatto a favorire la mobilità interna ed esterna all'abitazione per le persone portatrici di handicap in situazione di gravità anche ove effettuati in favore di persone di età superiore a sessantacinque anni.

Il beneficio è riconosciuto a condizione che tali interventi siano eseguiti congiuntamente ad almeno uno degli interventi antisismici sopra richiamati e che non siano già richiesti per interventi di efficienza energetica.

 

La lettera b) inserisce un nuovo comma 10-bis all’articolo 119 che estende la possibilità di avvalersi dell’agevolazione fiscale alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale anche per gli interventi realizzati su immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4 (come ad esempio: caserme, ospedali, case di cura e conventi) e ne determina il limite di spesa previsto per le singole unità immobiliari.

La norma stabilisce che il limite di spesa ammesso alle detrazioni del Superbonus previsto per le singole unità immobiliari, è moltiplicato per il rapporto tra la superficie complessiva dell'immobile oggetto degli interventi di incremento dell'efficienza energetica, di miglioramento o di adeguamento antisismico e la superficie media di una unità abitativa immobiliare (ricavabile dal Rapporto Immobiliare pubblicato dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare dell'Agenzia delle Entrate) per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, per le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri e per le associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale e nei registri regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano che siano in possesso dei seguenti requisiti:

·       svolgano attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali, e i cui membri del consiglio di amministrazione non percepiscano alcun compenso o indennità di carica;

·       siano in possesso di immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4 a titolo di proprietà, nuda proprietà, usufrutto o comodato d'uso gratuito. Il titolo di comodato d'uso gratuito è idoneo all'accesso alle detrazioni a condizione che il contratto sia regolarmente registrato in data certa anteriore all'entrata in vigore (1 giugno 2021) della disposizione in esame.

 

Si ricorda che le categorie catastali richiamate si riferiscono a collegi e convitti, educandati, ricoveri, orfanotrofi, ospizi, conventi, seminari e caserme (B1) nonché a case di cura e ospedali senza fine di lucro (B2) o con fine di lucro (D4).

 

Nella relazione che accompagna il testo del decreto si sottolinea che nel contesto dell'applicazione dei benefici fiscali del Superbonus le Fondazioni ONLUS che si occupano dei servizi socio-sanitari-assistenziali sono fortemente penalizzate in quanto comparate ad una singola unità residenziale (mentre si tratta spesso di interi immobili o addirittura estesi complessi edilizi) con conseguenti limiti di detrazione del tutto insufficienti a consentire alcun tipo di intervento. 

 

La lettera c) semplifica la disciplina per avvalersi della detrazione stabilendo che attraverso una comunicazione di inizio lavori asseverata è possibile attestare gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione (per gli immobili più datati, sarà sufficiente attestare che la costruzione dell’edificio è stata ultimata prima del 1° settembre 1967) non essendo più necessario attestare lo stato legittimo dell’immobile.

A tale proposito si ricorda che tra le previsioni di riforma previste dal PNRR sono espressamente indicati interventi di semplificazione per l’edilizia e l’urbanistica nonché per la rigenerazione urbana volti ad accelerare l’efficienza energetica e la rigenerazione urbana. In particolare, tali interventi devono essere volti a rimuovere gli ostacoli burocratici all’utilizzo del Superbonus 110%, la cui attuazione, si sottolinea nel testo, ha incontrato molti ostacoli connessi alla necessità di attestare la conformità edilizia particolarmente complessa per gli edifici risalenti.

 

La norma, a tal fine, sostituisce interamente il comma 13-ter dell’articolo 119 che prevedeva che al fine della presentazione dei titoli abilitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari (articolo 9-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380) e i relativi accertamenti dello sportello unico per l'edilizia sono riferiti esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi.

Il nuovo articolo 13-ter stabilisce che gli interventi rientranti nella misura del Superbonus, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante CILA.

 

Si ricorda che l’articolo 6-bis del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) stabilisce che gli interventi per cui non servono segnalazione certificata di inizio attività-SCIA, permesso di costruire o per i casi in cui non si tratta di attività edilizia libera, sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). L'interessato trasmette all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell'edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori. Per gli interventi soggetti a CILA, ove la comunicazione di fine lavori sia accompagnata dalla prescritta documentazione per la variazione catastale, quest'ultima è tempestivamente inoltrata da parte dell'amministrazione comunale ai competenti uffici dell'Agenzia delle entrate.  Le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina a interventi edilizi ulteriori; disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e prevedendo sopralluoghi in loco. La mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. La sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione.

Nell’allegato A-Tabella A SEZIONE II – EDILIZIA del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222, le attività di manutenzione straordinaria (leggera) sono ricomprese nel regime amministrativo della CILA.

 

Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967.

La norma specifica che la presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo (articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380).

 

Il sopra citato comma 1-bis prevede che lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Tali ultime disposizioni si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia

 

Per tali interventi, inoltre, la decadenza del beneficio fiscale (articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) opera esclusivamente nei casi di:

·       mancata presentazione della CILA;

·       interventi realizzati in difformità dalla CILA;

·       assenza dell’attestazione dei dati richiesti nel secondo periodo del nuovo comma 13-ter (titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero dell’attestazione che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967);

·       non corrispondenza al vero delle attestazioni previste dalla disciplina del Superbonus (articolo 119, comma 14).

 

Il richiamato articolo 49 prevede che, fatte salve le sanzioni sull’agibilità degli edifici, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione. È fatto obbligo al comune di segnalare all'amministrazione finanziaria, entro tre mesi dall'ultimazione dei lavori o dalla segnalazione certificata, ovvero dall'annullamento del titolo edilizio, ogni inosservanza comportante la decadenza di cui al comma precedente. Il diritto dell'amministrazione finanziaria a recuperare le imposte dovute in misura ordinaria per effetto della decadenza stabilita dal presente articolo si prescrive col decorso di tre anni dalla data di ricezione della segnalazione del comune. In caso di revoca o decadenza dai benefici suddetti il committente è responsabile dei danni nei confronti degli aventi causa.

 

La norma introduce, altresì, un nuovo comma 13-quater che chiarisce che resta comunque impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento.

 

Il comma 2 precisa che restano in ogni caso fermi, se dovuti, gli oneri di urbanizzazione, calcolati in base alla tipologia di intervento proposto.

 

Il comma 3, conseguentemente alle nuove misure introdotte dall’articolo in esame, incrementa le risorse del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE) di 3,9 milioni di euro per il 2027, di 0,3 milioni per il 2028, di 0,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2029, 2030 e 2031 e di 0,3 milioni di euro per il 2032.

 

Il comma 4 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’applicazione della disposizione, che vengono posti a carico del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE).

 

 


 

Articolo 33-bis
(Modifiche disciplina Superbonus)

 

L’articolo 33-bis, inserito in sede referente modifica in più punti la disciplina del cd. Superbonus (articolo 119 del D.L. 34/2020) che riconosce una detrazione al 110 per cento, per alcuni interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche. Nello specifico, la norma interviene su alcuni requisiti tecnici che consentono l’accesso alle detrazioni previste, sulle violazioni meramente formali riscontrate negli interventi effettuati, sulla tempistica relativa all’acquisto di immobili sottoposti ad interventi rientranti nel Superbonus, sull’applicazione del sisma bonus per le spese sostenute dagli acquirenti delle cd. case antisismiche, nonché sulla disciplina della comunicazione di inizio lavori asseverata-CILA.

 

 

L'articolo 119 del decreto legge n.34 del 2020 (cd Decreto Rilancio) introduce una detrazione pari al 110% (Superbonus) delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica (anche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione) e di misure antisismiche sugli edifici (anche per la realizzazione di sistemi di monitoraggio strutturale continuo a fini antisismici). La detrazione può essere chiesta per le spese documentate e rimaste a carico del contribuente sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022 (termine prorogato dal comma 66 della legge di bilancio 2021) per interventi effettuati sulle parti comuni di edifici condominiali, sulle unità immobiliari indipendenti e sulle singole unità immobiliari (fino ad un massimo di due).

A queste tipologie di spese, dette trainanti, si aggiungono altri interventi, a condizione però che siano eseguiti congiuntamente (trainati) ad almeno un intervento trainante: rientrano in questa categoria, per esempio, l'installazione di impianti fotovoltaici connessi alla rete elettrica sugli edifici e di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, nonché (norma introdotta alla legge di bilancio 2021) gli interventi finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi, alla realizzazione di ogni strumento che, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo di tecnologia più avanzata, sia adatto a favorire la mobilità interna ed esterna all'abitazione per le persone portatrici di handicap in situazione di gravità, anche ove effettuati in favore di persone di età superiore a sessantacinque anni. Per quanto riguarda i beneficiari, possono accedere al Superbonus le persone fisiche che possiedono o detengono l'immobile (per esempio proprietari, nudi proprietari, usufruttuari, affittuari e loro familiari), i condomini, gli Istituti autonomi case popolari (IACP), le cooperative di abitazione a proprietà indivisa, le Onlus e le associazioni e società sportive dilettantistiche registrate, per i soli lavori dedicati agli spogliatoi. Si segnala che nel corso dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata del 26 maggio 2021, alla Camera dei deputati, il Ministro dell'Economia e delle finanze ha fatto presente che il Governo si è impegnato a inserire nel disegno di bilancio per il 2022 una proroga della misura per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021, con riguardo agli effetti finanziari, alla natura degli interventi realizzati, al conseguimento degli obiettivi di risparmio energetico e di sicurezza degli edifici. Si segnala, altresì, che l’articolo 1, comma 3, del decreto legge n.59, proroga di sei mesi (al 30 giugno 2023) il termine per avvalersi della misura del Superbonus per gli Istituti autonomi case popolari-IACP comunque denominati, nonché per gli enti aventi le stesse finalità sociali. Agli IACP, a condizione che siano stati effettuati lavori per almeno il 60 per cento dell'intervento complessivo, la detrazione spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023. La norma prevede inoltre che per gli interventi effettuati dai condomini la detrazione del 110 per cento spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 indipendentemente dallo stato di avanzamento dei lavori.

Si ricorda inoltre che il Piano nazionale di ripresa e resilienza-PNRR, Componente 3 della Missione 2 (Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici), destina complessivamente 13,95 miliardi di euro alla misura del Superbonus. Sempre in materia efficienza energetica e riqualificazione degli edifici sono previste ulteriori risorse nazionali a carico del c.d. Fondo complementare per un ammontare complessivo di 6,56 miliardi di euro (di cui 4,56 specificamente destinati al Superbonus), nonché ulteriori 0,32 miliardi dal programma REACT dell’UE. Gli interventi di questa Componente, come scritto nel testo del PNRR, si prefiggono di incrementare il livello di efficienza energetica degli edifici, una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni in un Paese come l’Italia che soffre di un parco edifici con oltre il 60 per cento dello stock superiore a 45 anni, sia negli edifici pubblici (es. scuole, cittadelle giudiziarie), sia negli edifici privati.

Per una analisi dettagliata delle misure contenute nel PNRR si rimanda alla lettura del dossier realizzato dai Servizi Studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Per una ricostruzione normativa della disciplina del Superbonus si rinvia alla lettura del dossier Il Superbonus edilizia al 110 per cento - aggiornamento alla legge di bilancio 2021 realizzato dal Servizio studi della Camera dei deputati.

 

L’articolo in esame, introdotto in sede referente alla lettera a), del comma 1, modifica il comma 3 del sopra citato articolo 119 che, ai fini dell'accesso al Superbonus, stabilisce che gli interventi devono rispettare i requisiti tecnici minimi previsti dalla disciplina delle detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica.

A tale proposito, la norma introdotta chiarisce che gli interventi di dimensionamento del cappotto termico e del cordolo sismico non concorrono al conteggio della distanza e dell’altezza, in deroga alle distanze minime riportate all’articolo 873 del Codice Civile (Distanze nelle costruzioni), per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici (articolo 16-bis del Testo unico del 22 dicembre 1986 n. 917) e per quelli rientranti nella disciplina del Superbonus.

 

La lettera b) introduce il nuovo comma 5-bis che chiarisce il regime della decadenza dall’applicazione della detrazione in presenza di violazioni della disciplina.

La norma stabilisce che le violazioni meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo non comportano la decadenza delle agevolazioni fiscali limitatamente alla irregolarità od omissione riscontrata.

Nel caso in cui le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli da parte delle autorità competenti siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, la decadenza dal beneficio si applica limitatamente al singolo intervento oggetto di irregolarità od omissione.

 

La lettera c) introduce due nuovi commi. Il nuovo comma 10-bis prevede che nel caso di acquisto di immobili sottoposti ad uno o più interventi di efficientamento energetico rientranti nel Superbonus (comma 1, lettere a), b) e c)) il termine per stabilire la residenza (lettera a), della nota II-bis), all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131) e? di 30 mesi dalla data di stipula dell’atto di compravendita.

Il nuovo comma 10-ter modifica il sopra citato comma 1-septies dell’articolo 16, del decreto-legge n. 63 del 2013, stabilendo che il sisma bonus si applica anche alle spese sostenute dagli acquirenti delle cd. case antisismiche (vale a dire delle unità immobiliari facenti parte di edifici ubicati in zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3 oggetto di interventi antisismici effettuati mediante demolizione e ricostruzione dell'immobile), ricostruite da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che entro 30 mesi (rispetto al previgente termine di 18 mesi) dal termine dei lavori provvedano alla successiva rivendita.

 

La lettera d), introduce il nuovo comma 13-quinquies, prevede che in caso di opere già classificate come attività di edilizia libera (ai sensi dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 2 marzo 2018 o della normativa regionale) nella CILA è richiesta la sola descrizione dell'intervento. In caso di varianti in corso d'opera queste sono comunicate a fine lavori e costituiscono integrazione della CILA presentata. Non è richiesta, alla conclusione dei lavori, la segnalazione certificata di inizio attività (articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380).

 

Si ricorda che l’articolo 33 del decreto in esame, che sostituisce il comma 13-ter dell’articolo 119, stabilisce che gli interventi rientranti nella misura del Superbonus, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante CILA. A tale proposito si ricorda che l’articolo 6-bis del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) stabilisce che gli interventi per cui non servono segnalazione certificata di inizio attività-SCIA, permesso di costruire o per i casi in cui non si tratta di attività edilizia libera, sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). L'interessato trasmette all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell'edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori. Per gli interventi soggetti a CILA, ove la comunicazione di fine lavori sia accompagnata dalla prescritta documentazione per la variazione catastale, quest'ultima è tempestivamente inoltrata da parte dell'amministrazione comunale ai competenti uffici dell'Agenzia delle entrate.  Le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina a interventi edilizi ulteriori; disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e prevedendo sopralluoghi in loco. La mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. La sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione. Nell’allegato A-Tabella A SEZIONE II – EDILIZIA del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222, le attività di manutenzione straordinaria (leggera) sono ricomprese nel regime amministrativo della CILA. Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967. La norma specifica che la presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo (articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380).

 


 

Articolo 33-ter
(Modifica all'articolo 57 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, in tema di manomissione e l'occupazione di suolo pubblico per l'installazione di infrastrutture per la ricarica elettrica -
SOPPRESSO)

 

L’articolo 33-ter, inserito in sede referente, era volto ad introdurre un procedimento semplificato per l'installazione delle infrastrutture per il servizio di ricarica su suolo pubblico. A tal fine esso prevedeva che per effettuare tale installazione l'istanza fosse presentata all'Ente proprietario della strada per la manomissione e l'occupazione del suolo pubblico per l'infrastruttura di ricarica unitamente a quella per gli impianti elettrici necessari alla connessione alla rete di distribuzione concordati con il concessionario del servizio di distribuzione della rete elettrica competente.

 

Poiché l'articolo aggiuntivo era sostanzialmente coincidente con l'articolo 32-ter (alla cui scheda di lettura si rinvia), a seguito del rinvio alle Commissioni riunite, la disposizione ripetuta viene soppressa.


 

Articolo 33-quater
(Riforma del sistema di riscossione degli oneri generali di sistema)

 

L’articolo 33-quater, inserito in sede referente, dispone che, su proposta dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA), con decreto dei Ministri dell'economia e delle finanze e della transizione ecologica, siano rideterminate le modalità di riscossione degli oneri generali di sistema, prevedendo che - anche avvalendosi di un soggetto che possegga caratteristiche di terzietà e indipendenza - le partite finanziarie relative agli oneri, possano essere destinati alla Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA), senza entrare nella disponibilità dei venditori.

A seguito del rinvio nelle Commissioni riunite, è stato introdotto il comma 1-bis, ai sensi del quale, all’attuazione della previsione in esame, si provvede senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Gli oneri generali di sistema sono componenti tariffarie il cui gettito è destinato alla copertura di costi relativi ad attività di interesse generale, previsti in attuazione di disposizioni normative primarie, ad esempio, il sostegno allo sviluppo delle fonti di rinnovabili, il bonus sociale, etc[44].

Negli ultimi anni, gli oneri generali di sistema hanno rappresentato una quota crescente e sempre più significativa della spesa totale annua di energia elettrica degli utenti finali. Come rilevato da ARERA[45], essi hanno natura di imposte indirette, che la legge (D.lgs. 79/99, decreto Bersani) ha costruito come “maggiorazioni” dei corrispettivi del servizio di trasporto di energia elettrica. Pertanto, la materiale riscossione degli oneri avviene secondo la filiera che si è creata a fronte della liberalizzazione del mercato. Questo significa che i venditori fatturano e riscuotono dai propri clienti gli oneri generali, con le altre voci che compongono la bolletta

I venditori, a loro volta, pagano gli oneri generali ai distributori nelle fatture del servizio di trasporto. I distributori, quindi, versano gli oneri in appositi conti presso la Cassa per i servizi energetico ambientali, la quale li destina ai diversi usi definiti dalla legge. Per quanto riguarda gli oneri relativi alle fonti rinnovabili, molte imprese distributrici versano gli oneri direttamente al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) per il pagamento degli incentivi a quei produttori che ne hanno diritto.

L’ARERA, per definire i rapporti tra i diversi soggetti della filiera, con la deliberazione 612/2013/R/EEL, aveva avviato un procedimento volto alla definizione di un Codice di rete tipo per il servizio di trasporto dell’energia elettrica, introducendo specifiche disposizioni per gli aspetti relativi alle garanzie contrattuali e alla fatturazione del servizio di trasporto, che include anche gli oneri, regolando, quindi, aspetti relativi al rapporto tra i distributori e i venditori.

La predetta disciplina è stata oggetto di ricorsi avanti al giudice amministrativo. Nonostante un primo orientamento della giurisprudenza (Tar Lombardia, Sez. II, sent.854/2015), le successive sentenze hanno individuato nel cliente finale l’unico soggetto tenuto a pagare i suddetti oneri (cfr. Consiglio di Stato, Sez VI, sent. 2182/2016; Tar Lombardia, S ez. II, sent.237/2017, 238/2017, 243/2017, 244/2017; Consiglio di Stato, Sez. VI, sent.5619/20 17 e 5620/2017).

In particolare, come evidenzia sempre ARERA[46], il TAR Lombardia, con le citate sentenze 237/2017, 238/2017, 243/2017 e 244/2017:

-       ha aderito all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza 2182/2016, secondo cui – in conseguenza dell’articolo 39 del decreto-legge 83/2012[47] – l’obbligo di versare gli OGdS graverebbe esclusivamente sui clienti finali e, pertanto, l’Autorità difetterebbe di un potere di eterointegrazione dei contratti di trasporto in relazione a tale profilo, chiarendo e precisando che l’assenza di un simile potere di eterointegrazione avrebbe “esclusivo riferimento alle obbligazioni che non sono proprie degli stessi venditori e che tali soggetti non sono tenuti ad assumere in virtù di norme di legge ”;

-       ha precisato, conseguentemente, che il potere dell’Autorità di eterointegrare i contratti di trasporto, per gli aspetti di cui sopra, sussiste limitatamente agli OGdS effettivamente riscossi dai clienti finali; ha quindi negato, per l’effetto, il potere dell’Autorità di prevedere la risoluzione del contratto di trasporto da parte dell’impresa distributrice in caso di mancato versamento, da parte degli utenti, degli OGdS non incassati dai propri clienti;

-       ha tuttavia ritenuto legittima la regolazione dell’Autorità nella parte in cui attribuisce al venditore l’obbligo di fatturare e la responsabilità di riscuotere gli OGdS presso i clienti finali, col connesso obbligo di corrispondere all’impresa distributrice l’ammontare di OGdS da quest’ultima fatturato; ciò in quanto, da un lato, “è soltanto con il venditore che il cliente finale intrattiene rapporti e non anche con il distributore ” e, dall’altro lato, “ l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 79/99 stabilisce che gli oneri generali di sistema siano inclusi nel corrispettivo da versarsi da parte degli operatori per l’accesso alla rete. E, secondo quanto chiarito dal Consiglio di Stato [nella sentenza 2182/2016], tale disposizione pone un obbligo di adeguamento del corrispettivo quale conseguenza dell’individuazione degli oneri generali di sistema”.

Le suddette statuizioni del TAR Lombardia sono state ulteriormente confermate dal Consiglio di Stato.

Il fatto che nelle sentenze sia stato individuato nel cliente finale l’unico soggetto tenuto a pagare gli oneri di sistema ha quindi ribaltato il principio generale del metodo di riscossione precedentemente impostato dall’ARERA, che poneva in capo ai venditori e ai distributori l’eventuale rischio legato alla morosità della propria controparte (per i venditori dei clienti finali e per i distributori dei venditori).

Pertanto, i venditori - secondo le sentenze sopra richiamate - sono tenuti a versare ai distributori solo quanto effettivamente incassato dai clienti finali.

Successivamente alle pronunce giurisprudenziali, dunque, l’Autorità, è intervenuta con la deliberazione 109/2017/R/eel, con la quale, al fine di garantire certezza ai rapporti giuridici, ha, in primo luogo, approvato una disciplina transitoria per la rimodulazione dell’importo che l’utente del trasporto è tenuto a garantire all’impresa distributrice per l’accesso alla rete (GAR) come previsto dal Codice tipo; 

Successivamente, con la deliberazione 261/2020/R/EEL, l’Autorità è intervenuta modificando la disciplina delle garanzie definita dal Codice tipo, in particolare ridimensionando l’importo complessivamente da garantire.

L’Autorità ha quindi istituito con la deliberazione 50/2018/R/eel, il “Meccanismo di riconoscimento dei crediti non recuperabili relativi agli oneri generali di sistema versati dalle imprese distributrici alla CSEA e al GSE a partire dal 1 gennaio 2016”, volto alla reintegrazione alle imprese distributrici dei crediti non riscossi dagli utenti del servizio di trasporto in relazione agli OGdS già versati a Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali (CSEA) e al Gestore dei Servizi Energetici (GSE).

Successivamente, l’ARERA ha adottato la Delibera 32/2021/R/eel del 2 febbraio 2021. Tale delibera, afferma ARERA, interviene a conclusione del procedimento di ottemperanza alle sentenze della giustizia amministrativa e fa seguito agli orientamenti espressi nel documento per la consultazione 445/2020/R/eel[48]. Il provvedimento nell'istituire il "Meccanismo di riconoscimento degli oneri generali di sistema non riscossi dai clienti finali e già versati dai venditori alle imprese distributrici", individua i soggetti partecipanti e delinea le condizioni di accesso al Meccanismo, i criteri per la quantificazione dei Oneri generali di sistema non riscossi, i criteri per il riconoscimento degli stessi, le modalità operative del Meccanismo, nonché le tempistiche di presentazione delle istanze e di liquidazione degli ammontari da parte di CSEA, distinguendo tra la prima sessione del Meccanismo e quelle successive.

Si rammenta, infine, come da tempo l’Autorità abbia evidenziato in segnalazioni al Governo e Parlamento, nonché in pubblici documenti di consultazione che la questione potrebbe trovare opportuna e conclusiva risoluzione solo con uno specifico intervento legislativo, rispetto al quale pure l’Autorità ha concretamente fornito proposte e supporto ai soggetti competenti (cfr. documento per la consultazione 597/2017/R/eel e Nota ARERA sul tema riscossione e versamento oneri generali di sistema del febbraio 2018). Dette proposte legislative, afferma ARERA, basate sull’assimilazione degli oneri generali di sistema a quanto previsto per la riscossione del cosiddetto canone Rai attraverso la bolletta elettrica, metterebbero in sicurezza il sistema di esazione e corresponsione degli oneri generali di sistema, ripristinando coerenza tra la natura di imposta degli oneri e la relativa modalità di riscossione, superando la necessità di un sistema di garanzie e di un meccanismo di reintegro per il mancato versamento degli oneri. Cfr. Nota ARERA del febbraio 2018.

 


 

Articolo 34
(End of waste)

 

L’articolo 34 novella l’articolo 184-ter del Codice dell'ambiente in materia di cessazione della qualifica di rifiuto (c.d End of waste) al fine di razionalizzare e semplificare l'iter procedurale, prevedendo che il rilascio dell’autorizzazione avvenga previo parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra o dell’Agenzia regionale di protezione ambientale territorialmente competente.

 

L’articolo 34, comma 1, lettere a)-c), novella l’articolo 184-ter del Codice dell'ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) in materia di End of waste, inerente la materia della cessazione della qualifica di rifiuto.

La cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) è disciplinata, in termini generali, dal citato art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006 ove si prevede che i criteri di end of waste sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina europea ovvero, in mancanza di criteri europei, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

La disciplina dell'end of waste è stata oggetto di numerosi interventi legislativi. Si ricorda che la riforma della disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto, in attuazione delle disposizioni dell'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, rappresenta uno dei criteri previsti dall' art. 16 della legge 4 ottobre 2019, n. 117 (legge di delegazione europea 2018), nell'ambito della delega al Governo per il recepimento delle nuove direttive su rifiuti e imballaggi (direttive 2018/851/UE e 2018/852/UE). Si ricorda che da ultimo il D.Lgs. n. 116 del 2020, nell'ambito del recepimento del pacchetto sull'economia circolare, ha recato novelle all'articolo 184-ter.

Si segnala altresì in materia che con la delibera 6 febbraio 2020, n. 67 sono state emanate, dal Sistema nazionale di protezione ambientale (SNPA), linee guida per l'applicazione della nuova disciplina end of waste. Inoltre, si ricorda che il D.M. 21 aprile 2020 ha da ultimo recato Modalità di organizzazione e di funzionamento del registro nazionale per la raccolta delle autorizzazioni rilasciate e degli esiti delle procedure semplificate concluse per lo svolgimento di operazioni di recupero.

L' art. 15, commi 4 e 5, del D.L. 183/2020 ha modificato l'arco temporale di copertura degli oneri relativi all'apposito gruppo di lavoro per l'adozione dei criteri end of waste presso il Ministero dell'ambiente (prevedendo che la copertura intervenga per il periodo 2021-2025 anziché per il periodo 2020-2024).

Per un quadro della disciplina in materia, e la normativa adottata con vari regolamenti sulla cessazione della qualifica di rifiuto, si veda anche il tema web a cura della Camera.

 

Nel dettaglio, la lettera a) della disposizione in esame interviene sul comma 3, primo periodo, dell’articolo 184-ter inserendo, con riferimento ai criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei procedimenti autorizzatori, anche la previsione del previo parere obbligatorio e vincolante dell’ISPRA o dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale territorialmente competente.

La norma novellata prevede infatti che, in mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del successivo comma 2, le autorizzazioni (di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del codice ambiente), per lo svolgimento di operazioni di recupero di cui alla norma in parola, siano rilasciate o rinnovate nel rispetto:

-         delle condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008

-        e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori;

 

Con riferimento a tale previsione, si inserisce, con la novella in esame, altresì il requisito del previo parere obbligatorio e vincolante dell’ISPRA o dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale territorialmente competente.

Si ricorda che in base al comma 3, i criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, includono: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità. Le condizioni indicate dall’art. 6, paragrafo 1, della direttiva sono sostanzialmente le quattro condizioni recepite dal comma 1 dell’art. 184-ter del Codice.

Si rammenta che, in base al citato co.2, l'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina europea ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.

Si rammenta che il Titolo III-bis reca l'autorizzazione integrata ambientale mentre gli articoli 208, 209 e 211 recano rispettivamente l'autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, il rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale e le autorizzazioni di impianti di ricerca e di sperimentazione.

 

La lettera b) interviene sul successivo comma 3-ter, sopprimendo il secondo e il terzo periodo, che prevedono, rispettivamente: il termine di sessanta giorni dall'inizio della verifica per il procedimento di controllo; il termine di quindici giorni per la comunicazione da parte di ISPRA o dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delegata degli esiti della verifica al Ministero dell'ambiente.

Il suddetto comma 3-ter stabilisce che l'ISPRA, o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente delegata dal predetto Istituto, controlla a campione - sentita l'autorità competente di cui al comma 3-bis e in contraddittorio con il soggetto interessato - la conformità delle modalità operative e gestionali degli impianti, ivi compresi i rifiuti in ingresso, i processi di recupero e le sostanze o oggetti in uscita, agli atti autorizzatori rilasciati nonché alle condizioni di cui al comma 1 della norma; si redige, in caso di non conformità, apposita relazione.

In base al secondo periodo - qui oggetto di soppressione - il procedimento di controllo si conclude entro sessanta giorni dall'inizio della verifica.

In base al terzo periodo - anch'esso qui oggetto di soppressione - l'ISPRA o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delegata comunica entro quindici giorni gli esiti della verifica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

La relazione illustrativa al provvedimento afferma che la norma è volta a razionalizzare e semplificare la procedura in materia di End of waste prevista dall’articolo 184 ter del Codice dell’ambiente, prevedendo in particolare che il rilascio dell’autorizzazione avvenga previo parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra o dell’agenzia regionale di protezione ambientale territorialmente competente: in tal modo - afferma la Relazione - la valutazione viene anticipata alla procedura all’esito della quale l’autorizzazione viene rilasciata da parte dell’autorità competente. In ragione di tale preventivo coinvolgimento dell’Ispra o dell’Arpa territorialmente competente, pur mantenendosi la possibilità di controllo a campione previsto al comma 3-ter, primo periodo, della norma, viene abrogata la successiva procedura di controllo che prevede il coinvolgimento del Ministero e, nel caso, l’adeguamento dell’autorizzazione rilasciata alle conclusioni ministeriali (in base al secondo e terzo periodo del 3-ter, nonché dei commi 3-quater e 3-quinqiues, oggetto di abrogazione con le successive lettere della disposizione qui in esame).

 

Si rammenta che il quarto periodo della norma, non novellato, prevede che al fine di assicurare l'armonizzazione, l'efficacia e l'omogeneità dei controlli di cui al presente comma sul territorio nazionale, si applicano gli articoli 4, comma 4, e 6 della legge 28 giugno 2016, n. 132. L'articolo 4, comma 4, della legge 28 giugno 2016, n. 132 prevede che l'ISPRA adotta, con il concorso delle agenzie, norme tecniche vincolanti per il Sistema nazionale in materia di monitoraggio, di valutazioni ambientali, di controllo, di gestione dell'informazione ambientale e di coordinamento del Sistema nazionale, per assicurare l'armonizzazione, l'efficacia, l'efficienza e l'omogeneità dei sistemi di controllo e della loro gestione nel territorio nazionale, nonché il continuo aggiornamento, in coerenza con il quadro normativo nazionale e sovranazionale, delle modalità operative del Sistema nazionale e delle attività degli altri soggetti tecnici operanti nella materia ambientale; l'articolo 6 reca invece disposizioni in materia di funzioni di indirizzo e di coordinamento dell'ISPRA.

 

La lettera c) provvede infine ad abrogare i commi 3-quater e 3-quinquies della disposizione inerenti la procedura di coinvolgimento del Ministero dell'ambiente (ora MITE), in base ai quali:

-        ricevuta la comunicazione sull’esito della verifica, il Ministero dell'ambiente, nei 60 giorni successivi, adotta proprie conclusioni, motivando l'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione dell’ISPRA (o dell’ARPA delegata), e le trasmette all'Autorità competente.

-        in base al co. 3-quater abrogato, una volta ricevuta la comunicazione di cui al comma 3-ter, il Ministero dell'ambiente, nei sessanta giorni successivi, adotta proprie conclusioni, motivando l'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione di cui al comma 3-ter, e le trasmette all'autorità competente. L'autorità competente avvia un procedimento finalizzato all'adeguamento degli impianti, da parte del soggetto interessato, alle conclusioni di cui al presente comma, disponendo, in caso di mancato adeguamento, la revoca dell'autorizzazione e dando tempestiva comunicazione della conclusione del procedimento al Ministero medesimo. Resta salva la possibilità per l'autorità competente di adottare provvedimenti di natura cautelare.

-        decorsi 180 giorni dalla comunicazione all'Autorità competente delle conclusioni ministeriali, ove il procedimento finalizzato all’adeguamento non risulti avviato o concluso, il Ministro dell'ambiente può provvedere, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un Commissario ad acta, all'adozione dei provvedimenti di adeguamento.

In base al co. 3-quinquies abrogato, decorsi centottanta giorni dalla comunicazione all'autorità competente, ove il procedimento di cui al comma 3-quater non risulti avviato o concluso, il Ministro dell'ambiente può provvedere, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un commissario ad acta, all'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3-quater. Al commissario non è dovuto alcun compenso per lo svolgimento delle funzioni attribuite ai sensi del presente comma e il medesimo commissario non ha diritto a gettoni, rimborsi di spese o altri emolumenti, comunque denominati.

 

La relazione illustrativa afferma inoltre che la soppressione della procedura di controllo successivo che prevede il coinvolgimento del Ministero sia giustificata in ragione del previsto preventivo coinvolgimento dell’Ispra o dell’Arpa territorialmente competente, pur mantenendosi la possibilità di controllo a campione ai sensi del comma 3-ter, primo periodo, della norma novellata.

Si rammenta che entrambi tali commi, ora abrogati, erano stati inseriti dall'art. 14-bis, comma 3, D.L. 101/2019, convertito, con modificazioni, dalla L. 128/2019; per ulteriori approfondimenti, si veda anche il relativo dossier.

 

Nel corso dell’esame in sede referente era stato introdotto il comma 01, che modificava l’articolo 184, comma 2, del Codice dell’ambiente, in cui si definiscono “rifiuti urbani” i rifiuti individuati all'articolo 183, comma 1, lettera b-ter) del Codice dell’ambiente. Il comma 01 specificava che i “rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater al Codice dell’ambiente, prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies” sono considerati rifiuti urbani solo a fini statistici e, come previsto nella lettera b-quinquies) del comma 1 dell'articolo 183, nell’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e per il riciclaggio e delle relative norme di calcolo.

Tale comma è stato successivamente soppresso in sede di rinvio alle Commissioni riunite.

Nel parere della Commissione bilancio – sulla cui base il comma 01 è stato soppresso – si segnala che “all’articolo 34 appare necessario sopprimere il comma 01, che prevede che i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici siano da considerare rifiuti urbani ai fini statistici e nell’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e per il riciclaggio nonché delle relative norme di calcolo, dal momento che tale disposizione appare suscettibile di determinare effetti negativi per la finanza pubblica in relazione alla TARI, non quantificati e privi di copertura finanziaria”.

 

In particolare, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. b-ter, per rifiuti urbani si intendono:

- i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;

- i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies;

- i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti;

- i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;

- i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d'erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;

- i rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4.

 

Nell’allegato L-quinquies è presente l'elenco delle attività (come musei, cinema, ristoranti, attività artigianali, edicole, etc.) che producono i rifiuti urbani di cui all'art. 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2 indicati nell'allegato L-quater (rifiuti organici, carta, cartone, plastica, legno, metallo, vetro multimateriale, etc.). 

I due allegati L-quater e L-quinquies sono stati inseriti rispettivamente dall'art. 8, commi 7 e 8, del D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 116 (recepimento pacchetto di direttive europee sull'economia circolare), che inoltre all’art. 6, comma 5, al fine di consentire ai soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti il graduale adeguamento operativo delle attività alla definizione di rifiuto urbano, ha previsto l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 183, comma 1, lettera b-ter) e 184, comma 2 e agli allegati L-quater e L-quinquies, introdotti dall'articolo 8 presente decreto, a partire dal 1° gennaio 2021.

 


 

Articolo 35
(Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare)

 

L’articolo 35, modificato in sede referente, novella alcune disposizioni Codice dell'ambiente in materia di gestione dei rifiuti al fine di promuovere l'economia circolare.

Oltre a modifiche di carattere formale e di adeguamento della terminologia utilizzata in alcune disposizioni, l'articolo in esame: dispone l'esclusione delle ceneri vulcaniche riutilizzate in sostituzione di materie prime, a determinate condizioni, dall'ambito di applicazione della disciplina sulla gestione dei rifiuti di sui alla Parte IV del medesimo Codice; detta specifiche diposizioni sul trattamento dei rifiuti da articoli pirotecnici; reca alcune norme di semplificazione in tema di gestione e tracciabilità dei rifiuti; reca modifiche alla disciplina sulle funzioni di verifica e controllo sulla gestione dei rifiuti poste in capo al Ministero della transizione ecologica; reca modifiche alle norme inerenti alle comunicazioni alla Commissione europea; reca disposizioni sull'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti; detta disposizioni concernenti la sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile (combustibile solido prodotto da rifiuti che non sia più qualificabile come rifiuto).

Durante l'esame in sede referente sono state introdotte una serie di modifiche e disposizioni aggiuntive: è stata introdotta una modifica all'art. 185 del Codice ambiente in materia di posidonia spiaggiata; la nuova lettera d-bis), introdotta durante l'esame in sede referente, novella l'art. 190 del Codice, in materia di obbligo di tenuta di un registro cronologico di carico e scarico; viene inserita una nuova lettera e-bis) che novella l’articolo 230 del Codice dell’ambiente, in materia di rifiuti provenienti dalle attività di pulizia manutentiva delle reti fognarie di qualsiasi tipologia; sono introdotte semplificazioni in materia di impianti mobili di smaltimento (lettera g-ter); la lettera l-bis), reca una modifica all'allegato IV alla parte seconda del Codice, recante le tipologie di progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano soggetti alla verifica di assoggettabilità, escludendo dalla verifica di assoggettabilità taluni progetti di competenza delle regioni o province autonome, quali gli impianti mobili volti al recupero di rifiuti non pericolosi provenienti dalle operazioni di costruzione e demolizione, e gli altri impianti mobili di trattamento dei rifiuti non pericolosi, qualora la campagna di attività abbia una durata inferiore a trenta giorni.

La lettera i-bis), novella l’articolo 219-bis del Codice prevedendo che gli operatori economici, in forma individuabile o in forma collettiva, adottino sistemi di restituzione con cauzione nonché sistemi per il riutilizzo degli imballaggi; tali sistemi si applicano agli imballaggi in plastica, in vetro e in metallo utilizzati per acqua e per altre bevande.

Con il comma 3-bis, introdotto in sede referente, viene sostituito il comma 14 dell'articolo 52 della legge finanziaria 2002 al fine di innalzare dal 20 al 30% (sul totale) la quota che le amministrazioni statali, regionali, degli enti locali e i gestori di servizi pubblici e di servizi di pubblica utilità, pubblici e privati, devono riservare all'acquisto di pneumatici ricostruiti ai fini del ricambio per le relative flotte di autovetture e di autoveicoli commerciali e industriali. Ulteriore comma aggiuntivo reca una modifica all'art. 199, comma 3, del Codice concernente i contenuti dei piani regionali di gestione dei rifiuti.

 

 

Il comma 1 prevede che siano apportate una serie di novelle al Codice dell'ambiente, al fine di consentire la corretta gestione dei rifiuti e la migliore attuazione degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche al fine di promuovere l’attività di recupero nella gestione dei rifiuti in una visione di economia circolare come previsto dal nuovo piano d’azione europeo per l’economia circolare (COM/2020/98 final).

Il nuovo piano d’azione europeo per l’economia circolare illustra nuove iniziative che interessano l’intero ciclo di vita dei prodotti al fine di modernizzare e trasformare l'economia tutelando nel contempo l’ambiente. Il piano reca l’ambizione di creare prodotti sostenibili che durino, consentendo ai cittadini di partecipare pienamente all’economia circolare e di trarre beneficio dai cambiamenti positivi che ne derivano. Per approfondimenti, si veda la scheda informativa della Commissione europea.

Per elementi di approfondimento su interventi e risorse destinate all’economia circolare dal PNRR, nell'ambito delle componenti 1 e 4 della Missione 2, si rinvia al relativo dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato.

 

Definizione rifiuto urbano

 

Con la lettera a), vengono soppresse - ovunque ricorrano - le parole “e assimilati” nella parte IV (rubricato "Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati"), titolo I, dedicato alla gestione dei rifiuti, del Codice. Medesima soppressione è operata con riferimento all’articolo 258, comma 7, collocato nel Titolo VI, Capo I, in materia di sanzioni. Tali parole, nel citato titolo I che si compone degli articoli da 177 a 216-ter, ricorrono nell'espressione "rifiuti urbani e assimilati" (negli articoli 189, 193, 194, 196, 201 e 205).

Occorre segnalare che la definizione di rifiuto urbano vigente  è stata introdotta dall'art. 1 del decreto legislativo n. 116 del 2020[49], nell'ambito del recepimento nazionale del c.d. pacchetto europeo sull'economia circolare, in attuazione di quanto previsto dall'art. 1, paragrafo 3, della direttiva 851/2018 e del criterio di delega, volto a riformare, tra l'altro, il sistema delle definizioni (articolo 16 comma 1, lettera c), della legge 117/2019). Il testo dell'art. 184, comma 2, vigente prima della modifica da parte del citato decreto legislativo n. 116, includeva tra i rifiuti urbani, tra l'altro, i rifiuti non pericolosi, diversi da quelli domestici, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, da parte dei regolamenti comunali, secondo determinati criteri.

Nel testo vigente, l'art. 184, comma 2, del Codice dell'ambiente qualifica come "urbani" i rifiuti tassativamente indicati dall'articolo 183, comma 1, lettera b-ter) (e relativi allegati) del Codice medesimo. Nella disciplina vigente non si ravvisa più, quindi, tale procedimento di assimilazione. La novella in esame mira quindi ad allineare la disciplina in materia alle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 116.

La relazione illustrativa chiarisce con riferimento alla definizione di rifiuto urbano, che essa ricomprende i rifiuti indifferenziati da raccolta differenziata provenienti da altre fonti, simili per natura e composizione ai rifiuti domestici, risultando di conseguenza il termine 'e assimilati' assorbito dalla nuova definizione. La stessa relazione evidenzia poi che la modifica si rende necessaria e urgente per consentire la corretta gestione dei rifiuti e chiarire la portata nazionale della definizione facendo venir meno le attività discrezionali degli enti locali.

 

Sono quindi "rifiuti urbani":

1.     i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;

2.     i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies;

3.     i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti;

4.     i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;

5.     i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d'erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;

6.     i rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4 e 5.

La lettera b-sexies) specifica che non sono rifiuti urbani: i rifiuti della produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione.

Riguardo al punto n. 2, sopra riportato, esso fa riferimento ai rifiuti "provenienti da altre fonti" rispetto a quelli domestici di cui al punto n. 1. Si tratta quindi di rifiuti non domestici "simili per natura e composizioni" a quelli tassativamente indicati dall'allegato L-quater, mediante l'indicazione dei relativi codici EER, prodotti dalle attività elencate nell'allegato L-quinquies.

 

Modifiche all'ambito di applicazione della disciplina concernente la gestione dei rifiuti

 

Con la lettera b), modificata in sede referente, si novella in più punti l’articolo 185 del Codice. Tale articolo reca le esclusioni dall'ambito di applicazione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati (di cui alla Parte IV).

Ai sensi dall'art. 185, comma 1, lettera c), sono esclusi dall'ambito di applicazione della citata disciplina, il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato, nonché, secondo la novella in esame, le ceneri vulcaniche, riutilizzate in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggino l'ambiente o costituiscano pericolo per la salute umana.

La novella, inoltre, con la modifica della lett. e) del comma 1, art. 185, e l'introduzione dei nuovi commi 4-bis e 4-ter, include nel campo di applicazione della disciplina di cui alla Parte IV i rifiuti da articoli pirotecnici, dettando apposita disciplina concernente il loro trattamento (la lettera e), in esame, lo si ricorda, esclude dalla disciplina della Parte IV i materiali esplosivi in disuso).

Tali rifiuti da articoli pirotecnici includono (ai sensi della novellata lettera e)) non solo i rifiuti derivanti dall'accensione degli stessi, ma anche quegli articoli che abbiano cessato il loro periodo di validità, siano in disuso o che non siano più idonei ad essere utilizzati per il loro fine originario. Essi (dispone il nuovo comma 4-bis dell'art. 185) sono trattati secondo le modalità di raccolta, di smaltimento e di distruzione dei prodotti esplodenti individuate dal D.M. 12 maggio 2016, n. 101, emanato in attuazione dell'art. 34, comma 2, del decreto legislativo n. 123 del 2015 ("Attuazione della direttiva 2013/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici"). Il trattamento dei rifiuti in oggetto avviene nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di pubblica sicurezza concernenti la movimentazione di esplosivi. Il loro trattamento, recupero o incenerimento sono svolti in impianti autorizzati a tale scopo, secondo le disposizioni di pubblica sicurezza. Il nuovo comma 4-ter dell'art. 185 obbliga i produttori e gli importatori di articoli pirotecnici a provvedere - singolarmente o in forma collettiva - alla gestione dei rifiuti derivanti dai loro prodotti immessi sul mercato nazionale, secondo i criteri direttivi dei sistemi di gestione dettati dall’articolo 237 del Codice.

L'art. 237 stabilisce che i sistemi di gestione sono prioritariamente chiamati a prevenire la produzione di rifiuti - anche tenendo conto dell'obsolescenza programmata - ad incentivare il riciclaggio, la simbiosi industriale e altre forme di recupero, nonché la riduzione e lo smaltimento finale dei rifiuti. Inoltre, i sistemi devono essere aperti alla partecipazione degli operatori economici interessati, secondo principi di trasparenza e di non discriminazione, garantendo la continuità dei servizi di gestione dei rifiuti, Devono dare informazione ai detentori di rifiuti sulle misure di prevenzione e di riutilizzo, sui sistemi di ritiro e di raccolta dei rifiuti anche al fine di prevenire la dispersione degli stessi. La norma pone in capo ai produttori la responsabilità finanziaria in relazione alla gestione del ciclo di vita in cui il prodotto diventa rifiuto. Prevede, altresì, che i produttori, ovvero i sistemi collettivi, determinino il contributo ambientale secondo le modalità ivi previste.

 

Posidonia spiaggiata

 

Durante l'esame in sede referente è stata introdotta ulteriore modifica all'art. 185 del Codice. Quest'ultimo prevede (comma 1, lett. f)) l'esclusione dal campo di applicazione della disciplina sulla gestione dei rifiuti anche della posidonia spiaggiata, ove reimmessa nel medesimo ambiente marino o riutilizzata a fini agronomici o in sostituzione di materie prime all'interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Tale esclusione opera solo fino al 31 dicembre 2022. Con la disposizione in esame si espunge il riferimento a tale termine temporale.

 

Responsabilità della gestione e tracciabilità dei rifiuti.

 

Le lettere c) e d) novellano gli articoli 188 e 188-bis del Codice, concernenti, rispettivamente, la responsabilità della gestione e la tracciabilità dei rifiuti.

Durante l'esame in sede referente:

§  è stata riscritta la lettera c) che novella l'art. 188, comma 5, del Codice;

§  è stata introdotta la lettera d-bis) che novella l'art. 190 concernente il registro cronologico di carico e scarico.

 

L'art. 188 stabilisce che il produttore iniziale - o altro detentore - di rifiuti provveda al loro trattamento, direttamente ovvero mediante l'affidamento ad intermediario o ad altri soggetti ivi indicati, nel rispetto delle disposizioni applicabili del Codice. Il comma 5 di tale art. 188, come novellato dalla lettera c) in esame, stabilisce che, quando i rifiuti sono conferiti a soggetti autorizzati alle operazioni intermedie di smaltimento (tra le quali figurano il raggruppamento, il ricondizionamento e il deposito preliminare), la responsabilità per il corretto smaltimento è attribuita al soggetto che effettua dette operazioni.

Il testo vigente del comma 5 esclude la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento a condizione che i produttori abbiano ricevuto:

§  il formulario di identificazione (FIR, previsto dall'art. 193 del Codice) che accompagna il trasporto di rifiuti e dal quale devono risultare i seguenti dati: nome ed indirizzo del produttore e del detentore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell'istradamento; nome ed indirizzo del destinatario.

§  l’attestazione di 'avvio al recupero o smaltimento' (come stabilito dalla novella di cui alla lettera c) del testo originario del decreto-legge n. 77 in esame), in luogo dell'attestazione di avvenuto smaltimento che era richiesta dal testo finora vigente.

 

L’articolo 188-bis, comma 4, come modificato dalla lettera d), prevede che i decreti ministeriali chiamati a definire la disciplina inerente all'organizzazione e funzionamento del sistema di tracciabilità dei rifiuti debbano stabilire, tra l'altro, le modalità per la verifica e l'invio della comunicazione dell’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti, di cui all'articolo 188, comma 5, nonché le responsabilità da attribuire all'intermediario. Nel testo previgente si prevedeva (coerentemente al testo previgente dell'art. 188, comma 5) la verifica e l'invio della comunicazione di smaltimento avvenuto.

 

La lettera d-bis), introdotta durante l'esame in sede referente, novella l'art. 190 del Codice. Tale articolo, al comma 1, impone a taluni soggetti (v. infra) che effettuano attività di trattamento di rifiuti la tenuta di un registro cronologico di carico e scarico. Il comma 4 del medesimo art. 190 stabilisce che alcuni soggetti o organizzazioni possono adempiere a tale obbligo tramite "i documenti contabili, con analoghe funzioni, tenuti ai sensi delle vigenti normative". Con la novella in esame, si prevede che l'obbligo sia assolto tramite "analoghe evidenze documentali o gestionali".

La disposizione fa riferimento ai seguenti soggetti o organizzazioni:

§  i produttori che abbiano organizzato autonomamente (su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi) anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale ovvero attestato, sotto la propria responsabilità, che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione (art. 221, comma 3, lettere a) e c), del Codice);

§  i consorzi costituiti dai produttori per ciascun materiale di imballaggio, operanti su tutto il territorio nazionale, cui possono partecipare i recuperatori, ed i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori, previo accordo con gli altri consorziati ed unitamente agli stessi (art. 223);

§  il Consorzio nazionale imballaggi - CONAI (art. 224);

§  i soggetti obbligati alla gestione degli pneumatici fuori uso (art. 228);

§  il Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti (art. 233);

§  il Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene (art. 234);

§  il Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati (art. 236).

 

Si ricorda che l'art. 190, comma 1, impone la tenuta del registro cronologico di carico e scarico ai soggetti che svolgono a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti, ai commercianti e agli intermediari di rifiuti senza detenzione, alle imprese e agli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di rifiuti, ai Consorzi e i sistemi riconosciuti, istituiti per il recupero e riciclaggio degli imballaggi e di particolari tipologie di rifiuti, nonché alle imprese e agli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi e alle imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi. Nel registro sono indicati per ogni tipologia di rifiuto la quantità prodotta, la natura e l'origine di tali rifiuti e la quantità dei prodotti e materiali ottenuti dalle operazioni di trattamento quali preparazione per riutilizzo, riciclaggio e altre operazioni di recupero nonché, laddove previsto, gli estremi del formulario di identificazione (di cui all'articolo 193 del Codice).

 

 

Rifiuti sanitari

 

La lettera e) reca una novella all'art. 193, comma 18, in materia di trasporto di rifiuti sanitari. Tale comma stabilisce che ai fini del deposito e del trasporto, i rifiuti provenienti da assistenza sanitaria, svolta al di fuori delle strutture sanitarie di riferimento (in base a quanto aggiunto dalla novella), e da assistenza domiciliare, si considerano prodotti presso l'unità locale, sede o domicilio dell'operatore che svolge tali attività. Resta ferma la disciplina in merito all'attività sanitaria e relativi rifiuti prodotti.

 

La modifica all'art. 258 (rubricato "Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari") apportata dalla lettera f) è di mero coordinamento.

 

Rifiuti da pulizia manutentiva

 

Con altro emendamento, approvato in sede referente, viene inserita una nuova lettera e-bis) nella disposizione. Tale lettera novella l’articolo 230 del Codice dell’ambiente, sostituendone il comma 5 vigente. La nuova previsione stabilisce che i rifiuti provenienti dalle attività di pulizia manutentiva delle reti fognarie di qualsiasi tipologia, sia pubbliche sia asservite ad edifici privati, comprese le fosse settiche e manufatti analoghi, nonché i sistemi individuali di cui all’articolo 100 comma 3, e i bagni mobili, si considerano prodotti dal soggetto che svolge l’attività di pulizia manutentiva.

La raccolta ed il trasporto sono accompagnati da un unico documento di trasporto per automezzo e percorso di raccolta: il relativo modello si prevede sarà emanato con delibera dell’albo nazionale gestori ambientali entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione.

Tali rifiuti potranno essere conferiti direttamente:

§  ad impianti di smaltimento o recupero

§  o, in alternativa, 'raggruppati' temporaneamente presso la sede o unità locale del soggetto che svolge l’attività di pulizia manutentiva nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 183, comma 1, lettera bb) del Codice.

In base alla lettera bb) citata, per «deposito temporaneo prima della raccolta» si intende il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell'articolo 185-bis.

Si valuti di chiarire la formulazione, atteso che la citata lettera bb) non risulta recare condizioni, bensì definisce la fattispecie del deposito temporaneo prima della raccolta, valutando di inserire tale locuzione nella disposizione in esame a fini di chiarezza interpretativa.

Il soggetto che svolge l’attività di pulizia manutentiva è comunque tenuto all’iscrizione all’albo dei gestori ambientali, prevista dall’articolo 212, comma 5, per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti e all’iscrizione all’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto terzi di cui all’articolo 1 della legge 298 del 1974.

In base all'art. 212 in materia di Albo nazionale gestori ambientali, in vigore dal 26 settembre 2020, è costituito, presso il Ministero dell'ambiente (ora MITE), l'Albo nazionale gestori ambientali, articolato in un Comitato nazionale, con sede presso il medesimo Ministero, ed in Sezioni regionali e provinciali, istituite presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano. I componenti del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali e provinciali durano in carica cinque anni. Per approfondimenti, si veda la apposita sezione sul sito del MITE.

Presso il Ministero dei trasporti e dell'aviazione civile - Direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, è istituito l'«Albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di cose per conto di terzi».Presso gli uffici provinciali della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione sono istituiti gli albi provinciali che formano l'albo nazionale; l'iscrizione nell'albo è condizione necessaria per l'esercizio dell'autotrasporto di cose per conto di terzi e gli albi sono pubblici.

 

 

Vigilanza e controllo

 

Con la lettera g) si modifica l'art. 206-bis del Codice, recante disposizioni su vigilanza e controllo sulla gestione dei rifiuti. In particolare, essa modifica in più punti il comma 1 di tale art. 206-bis, il quale attribuisce al Ministero della transizione ecologica alcuna funzioni per l'attuazione delle norme di cui alla Parte IV del Codice.

Il citato art. 206-bis, comma 1, lettera a), attribuisce al MITE la vigilanza sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio. Con la modifica in esame si specifica che tale funzione è svolta dal Ministero anche tramite audit nei confronti dei sistemi di gestione dei rifiuti.

La modifica alla lettera b) del comma 1 chiarisce che il MITE è chiamato ad approntare e ad aggiornare periodicamente le misure per la corretta gestione dei rifiuti, anche tramite apposite linee-guida per migliorarne la qualità e la riciclabilità (secondo l'espressione introdotta dalla novella in esame). Tale attività mira a promuovere la diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche disponibili per la prevenzione, le raccolte differenziate, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti, nonché, aggiunge la modifica in esame, "la preparazione al riutilizzo, il riutilizzo e i sistemi di restituzione".

Con la nuova formulazione delle restanti lettere (lettera c)-g-quinquies) del comma 1 in esame, il MITE:

§  effettua l'analisi delle relazioni annuali dei sistemi di gestione dei rifiuti e la conseguente verifica delle misure adottate e del raggiungimento degli obiettivi posti dalla normativa applicabile, nazionale e dell'Unione europea, con riferimento ai target posti, al fine di accertare il rispetto della responsabilità estesa del produttore da parte dei produttori e degli importatori di beni;

La "responsabilità estesa del produttore " (c.d. extended producer responsability, EPR) costituisce un asse portante dell'economia circolare, nell'ottica di prolungare la vita dei prodotti con riutilizzo o riciclo. In tal senso, si attribuisce al produttore del prodotto la responsabilità finanziaria o finanziaria e operativa della gestione di tutta la fase del ciclo di vita del prodotto, sino alla trasformazione dello stesso in rifiuto. In tale quadro, il produttore, già dalla fase di produzione, è chiamato a progettare ed immettere sul mercato prodotti ecocompatibili, con caratteristiche tali da agevolarne il riutilizzo e il recupero delle componenti, nonché il ritiro, il riciclo e lo smaltimento finale.

§  provvede al riconoscimento dei sistemi autonomi di gestione;

Si ricorda che i produttori delle diverse filiere di rifiuti possono non aderire ai Consorzi istituiti per legge, bensì organizzare in base al quadro normativo autonomamente la gestione dei rifiuti sull’intero territorio nazionale: come chiarito dal sito del Ministero, il procedimento si fonda sulla richiesta di un riconoscimento da parte del Ministero dell’Ambiente (ora MITE), che nell’ambito delle sue attività istituzionali vigila sulla gestione dei rifiuti, assicura il rispetto del dettato normativo da parte dei Consorzi istituiti per legge ed è il soggetto deputato al riconoscimento dei sistemi autonomi, con il supporto tecnico dell’ISPRA.

Al riguardo, come evidenziato dalle citate linee guida del Mite, gli operatori economici devono dimostrare di aver organizzato il sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che lo stesso sia effettivamente ed autonomamente funzionante e che sia in grado di conseguire, nell'ambito delle attività svolte, gli obiettivi fissati dalla norma primaria, garantendo l’informazione sulle modalità del sistema adottato nei confronti degli utilizzatori e degli utenti finali.

§  controlla il raggiungimento degli obiettivi posti dagli accordi di programma (ai sensi dell’articolo 219-bis del Codice) e ne monitora l’attuazione; monitora l'attuazione del Programma generale di prevenzione (previsto dall'all'articolo 225 del Codice, assumendo i poteri sostitutivi in caso di inadempienza del CONAI nella predisposizione del Programma medesimo);

§  effettua il monitoraggio dell’attuazione del Programma Nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’articolo 180;

Il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti (art. 180 del Codice) fissa idonei indicatori e obiettivi qualitativi e quantitativi per la valutazione dell'attuazione delle misure di prevenzione dei rifiuti in esso stabilite. È adottato dal MITE, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Per il quadro relativo al programma nazionale si veda qui; esso individua alcuni indicatori finalizzati al monitoraggio delle misure attuate dai comuni per promuovere la prevenzione della produzione dei rifiuti e stabilisce che ai fini della raccolta, elaborazione e popolamento degli indicatori il Ministero dell'Ambiente si avvalga dell'ISPRA: a tal fine il 3 dicembre 2018 è stata sottoscritta una convenzione attraverso la quale l'Istituto fornisce il supporto alle attività istituzionali del Ministero, volte a garantire l'attuazione dell'articolo 206 bis del d.lgs. 152/2006. Come riportato dal sito istituzionale, l'ISPRA ha predisposto uno specifico questionario per i Comuni relativo all'attuazione delle misure di prevenzione della produzione dei rifiuti individuate dal Programma nazionale di prevenzione.

§  esercita funzioni di verifica circa i sistemi di gestione dei rifiuti in relazione alla responsabilità estesa del produttore e dei relativi requisiti minimi. A tale riguardo, si ricorda che l'articolo 178-bis del Codice disciplina la responsabilità estesa del produttore, inteso come qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti, nell'organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, e nell'accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo il loro utilizzo; i regimi di responsabilità estesa del produttore, siano introdotti attraverso l'emanazione di decreti del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, e nel rispetto dei requisiti minimi generali individuati dall’articolo 178-ter. ed introduce l'articolo 178-ter sui requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore.

L'ulteriore modifica (lett. g-bis) all'art. 206-bis (in particolare al comma 6) è una modifica di coordinamento, anche a seguito delle modifiche sopra ricordate.

 

Si ricorda che il Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio (art. 225 del Codice), elaborato dal CONAI con cadenza annuale, individua, per ogni tipologia di rifiuto, le misure per conseguire obiettivi relativi alla prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio; all'accrescimento degli imballaggi riciclabili o riutilizzabili rispetto a quelli non riciclabili o riutilizzabili; miglioramento delle caratteristiche dell'imballaggio; realizzazione degli obiettivi di recupero e riciclaggio.

 

Rispetto al testo previgente, la nuova formulazione dell'art. 206-bis mira ad adeguare la disciplina in materia di verifiche e controlli di competenza del MITE al quadro regolatorio in materia di gestione dei rifiuti, specificando meglio alcuni compiti ed espungendo alcune attività che sono riconducibili ai compiti attribuiti all'ARERA dalla legge di bilancio 2018.

Al riguardo, la legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018), art. 1, comma 527, ha attribuito all'ARERA (modificandone peraltro la denominazione) i seguenti poteri di regolazione e controllo in materia di rifiuti:

§  emanazione di direttive per la separazione contabile e amministrativa della gestione, valutazione dei costi delle prestazioni per area geografica e per categorie di utenti, e definizione di indici di valutazione dell'efficienza ed economicità delle gestioni;

§  definizione dei livelli di qualità dei servizi e vigilanza sulle modalità di erogazione dei servizi medesimi;

§  diffusione della conoscenza e della trasparenza delle condizioni di svolgimento dei servizi a beneficio dell’utenza;

§  tutela dei diritti degli utenti anche tramite la valutazione di reclami e segnalazioni presentati dagli stessi (come singoli o attraverso associazioni di consumatori);

§  definizione di schemi tipo dei contratti di servizio che regolano (ai sensi dell’art 203 del decreto-legislativo n.152 del 2006) i rapporti tra le Autorità d’ambito e i soggetti affidatari del servizio integrato dei rifiuti;

§  definizione e aggiornamento della metodologia per la determinazione delle tariffe volte alla determinazione del corrispettivo del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi, che deve tener conto dell’esigenza di assicurare la copertura dei costi efficienti (sia quelli gestionali, sia quelli fissi collegati agli investimenti, anche in termini di remunerazione del capitale), sulla base del principio secondo cui “chi inquina paga”;

§  fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento;

§  approvazione delle tariffe proposte dall’ente di governo d’ambito per il servizio integrato e dai singoli gestori degli impianti di trattamento;

§  verifica della corretta redazione dei piani di ambito;

§  formulazione di proposte relative alle attività che devono essere assoggettate a concessione o autorizzazione;

§  formulazione di proposte di revisione della disciplina vigente, segnalando altresì i casi di gravi inadempienze e di non corretta applicazione;

predisposizione di una relazione annuale al Parlamento.

 

Qui di seguito un testo a fronte dell'art. 206-bis, comma 1, nel testo previgente e come modificato dal decreto-legge in esame.

 

Articolo 206-bis

(Vigilanza e controllo in materia di gestione dei rifiuti)

Comma 1

(testo previgente)

Comma 1

(testo modificato dal D.L. n. 77)

1. Al fine di garantire l'attuazione delle norme di cui alla parte quarta del presente decreto con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all'efficacia, all'efficienza ed all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare svolge, in particolare, le seguenti funzioni: 

1. Al fine di garantire l'attuazione delle norme di cui alla parte quarta del presente decreto con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all'efficacia, all'efficienza ed all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare svolge, in particolare, le seguenti funzioni: 

a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio;

a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio anche tramite audit nei confronti dei sistemi di gestione dei rifiuti di cui ai Titoli I, II e III della parte quarta del presente decreto ;

b) provvede all'elaborazione ed all'aggiornamento permanente di criteri e specifici obiettivi d'azione, nonché alla definizione ed all'aggiornamento permanente di un quadro di riferimento sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti, anche attraverso l'elaborazione di linee guida sulle modalità di gestione dei rifiuti per migliorarne efficacia, efficienza e qualità, per promuovere la diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche disponibili per la prevenzione, le raccolte differenziate, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti;

b) provvede all'elaborazione ed all'aggiornamento periodico di misure

sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti, anche attraverso l'elaborazione di linee guida sulle modalità di gestione dei rifiuti per migliorarne la qualità e la riciclabilità, al fine di promuovere la diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche disponibili per la prevenzione, la preparazione al riutilizzo, il riutilizzo, i sistemi di restituzione, le raccolte differenziate, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti;;

g-quinquies) verifica il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall'Unione europea in materia di rifiuti e accerta il rispetto della responsabilità estesa del produttore da parte dei produttori e degli importatori di beni.

c) analizza le relazioni annuali dei sistemi di gestione dei rifiuti di cui al Titolo II e al Titolo III della parte quarta del presente decreto, verificando le misure adottate e il raggiungimento degli obiettivi, rispetto ai target stabiliti dall'Unione europea e dalla normativa nazionale di settore, al fine di accertare il rispetto della responsabilità estesa del produttore da parte dei produttori e degli importatori di beni;

 

d) provvede al riconoscimento dei sistemi autonomi di cui al Titolo II e al Titolo III della parte quarta

del presente decreto;

 

e) controlla il raggiungimento degli obiettivi previsti negli accordi di programma ai sensi dell’articolo 219-bis e ne monitora l’attuazione;

c) predispone il Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 225 qualora il Consorzio nazionale imballaggi non provveda nei termini previsti;

d) verifica l'attuazione del Programma generale di cui all'articolo 225 ed il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio;

f) verifica l'attuazione del Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 225 e, qualora il Consorzio nazionale imballaggi non provveda nei termini previsti, predispone lo stesso;

 

 

g) effettua il monitoraggio dell’attuazione del Programma Nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’articolo 180;

 

h) verifica il funzionamento dei sistemi istituiti ai sensi degli articoli 178-bis e 178-ter, in relazione agli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore e al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall'Unione europea in materia di rifiuti.

e) verifica i costi di gestione dei rifiuti, delle diverse componenti dei costi medesimi e delle modalità di gestione ed effettua analisi comparative tra i diversi ambiti di gestione, evidenziando eventuali anomalie;

f) verifica livelli di qualità dei servizi erogati;

g) predispone un rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e ne cura la trasmissione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

g-bis) elabora i parametri per l'individuazione dei costi standard, comunque nel rispetto del procedimento di determinazione di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e la definizione di un sistema tariffario equo e trasparente basato sul principio dell'ordinamento dell'Unione europea "chi inquina paga" e sulla copertura integrale dei costi efficienti di esercizio e di investimento;

g-ter) elabora uno o più schemi tipo di contratto di servizio di cui all'articolo 203; 

g-quater) verifica il rispetto dei termini di cui all'articolo 204, segnalando le inadempienze al Presidente del Consiglio dei ministri; 

 

Per la lettera g-quinquies), cfr. supra

 

 

 

Semplificazioni in materia di impianti mobili di smaltimento

La lettera g-ter), introdotta in sede referente, reca una semplificazione procedurale applicabile alle operazioni di trattamento dei rifiuti con l’ausilio di impianti mobili.

La disposizione introdotta prevede la riduzione da 60 a 20 giorni del termine previsto dall’art. 208, comma 15, del Codice per l’invio della comunicazione necessaria per l’inizio dell’attività dell’impianto.

L’art. 208 del Codice dell'ambiente, relativo all’autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, disciplina, al comma 15, il caso di impianti mobili di smaltimento o di recupero, prevedendo che gli stessi siano autorizzati, in via definitiva, dalla regione ove l'interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell'impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale, lo stesso comma 15 stabilisce che l'interessato, almeno 60 giorni (20 giorni secondo la novella in esame) prima dell'installazione dell'impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l'autorizzazione unica di cui è in possesso e l'iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali, nonché l'ulteriore documentazione richiesta, e che “la regione può adottare prescrizioni integrative oppure può vietare l'attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell'ambiente o della salute pubblica”.

 

Preparazione per il riutilizzo in forma semplificata

 

La lettera h) modifica l'art. 214-ter del Codice, intervenendo così sulla disciplina del processo di trattamento "preparazione per il riutilizzo" Tale articolo demanda ad un decreto MITE il compito di definire le condizioni per l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata, stabilendo: le modalità operative, le dotazioni tecniche e strutturali, i requisiti minimi di qualificazione degli operatori necessari per l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo, le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di preparazione per il riutilizzo.

Il nuovo testo risultante dalla modifica in esame specifica che le province e le città metropolitane verifichino la sussistenza dei requisiti, stabiliti dal decreto ministeriale. Successivamente all'effettuazione di tali controlli e verifiche le operazioni in oggetto possono essere avviate.

Gli esiti delle procedure semplificate per l’inizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo sono comunicati - dalle autorità competenti - al MITE.

 La disciplina sulla tenuta dei relativi dati e informazioni è definita dal citato decreto ministeriale.

Secondo il testo vigente fino all'entrata in vigore del decreto-legge in esame, a decorrere dall'entrata in vigore del citato decreto ministeriale l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti, sono avviate, mediante segnalazione certificata di inizio di attività (ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241).

 

Comunicazioni alla Commissione europea

 

La lettera i) sostituisce il vigente articolo 216-ter del Codice, relativo alle comunicazioni alla Commissione europea.

Il comma 1 reca una modifica formale alla disciplina recante la trasmissione dei programmi di gestione e di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199, commi 1 e 3 e lettera r). Nello specifico viene sostituito il riferimento al "Ministero dell'ambiente" con quello al "Ministero della transizione ecologica", istituito dal D.L. 1 marzo 2021, n. 22 recante Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri, convertito con modificazioni dalla Legge 22 aprile 2021, n. 55.

I commi da 2 a 4 introducono, rispetto alla normativa vigente, una disciplina più dettagliata in materia di trasmissione di dati alla Commissione europea, specificando anche a seconda della loro tipologia, i relativi formati europei di riferimento. Tali formati sono stabiliti da appositi decisioni di esecuzione adottate a norma della direttiva 2008/98/CE, relativa ai rifiuti.

Si ricorda al riguardo che la suddetta direttiva è stata modifica dalla direttiva (ue) 2018/851, facente parte del citato c.d. "pacchetto sull'economia circolare" dell'Ue.

 

In tutti i casi la trasmissione dei dati sarà effettuata, per ogni anno civile, dal Ministero per la transizione ecologica. Tutti i dati saranno raccolti e comunicati per via elettronica entro diciotto mesi dalla fine dell’anno a cui si riferiscono. Il primo periodo di comunicazione avrà inizio il primo anno civile completo dopo l’adozione della decisione di esecuzione di riferimento.

 

Nello specifico il comma 2 si riferisce ai dati relativi agli obiettivi di preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e il recupero dei rifiuti previsti dall'articolo 181, comma 4, del d.lgs 2006/152 e che sanciscono un passaggio verso un'economia circolare.

I suddetti obiettivi, diversificati per materiale prevedono:

-   entro il 2020 un aumento al 50% per carta, metalli, plastica  e  vetro

-   entro il 2020 un aumento al 70% per rifiuti da demolizione o da costruzione

-   entro il 2025 un aumento al 55% per i rifiuti urbani. Tale aumento sarà portato al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035.

I dati saranno comunicati secondo il formato stabilito dalla decisione di esecuzione (ue) 2019/1004, del 7 giugno 2019, che  stabilisce le regole per il calcolo, la verifica e la comunicazione dei dati sui rifiuti a norma della direttiva 2008/98/CE.

Il comma 3 si riferisce ai dati relativi al riutilizzo dei rifiuti e alla prevenzione dei rifiuti alimentari, di cui rispettivamente ai commi 5 e 6 dell'articolo 180 del d.lgs 2006/152. I dati sul riutilizzo saranno raccolti secondo il formato di cui alla decisione di esecuzione (ue) 2021/19 del 18 dicembre 2020 che stabilisce una metodologia comune e un formato per la comunicazione di informazioni in materia di riutilizzo a norma della direttiva 2008/98/CE. I dati relativi alla prevenzione alimentare saranno invece raccolti secondo il formato di cui alla decisione di esecuzione (ue) 2019/2000 del 28 novembre 2019  che stabilisce un formato per la comunicazione dei dati sui rifiuti alimentari e per la presentazione della relazione di controllo della qualità conformemente alla direttiva 2008/98/CE.

Il comma 4 si riferisce ai dati relativi agli olii industriali o lubrificanti, minerali o sintetici, immessi sul mercato nonché a quelli sulla raccolta e trattamento degli oli usati. I dati saranno raccolti secondo il formato di cui all’allegato VI della citata decisione di esecuzione 2019/1004 (ue) del 7 giugno 2019.

In base alla normativa vigente, di cui al comma 2 dell'articolo 216-ter, viene data comunicazione sull'applicazione della direttiva 2008/98/CE con cadenza triennale tramite relazioni settoriali trasmesse in base a un questionario inviato dalla Commissione europea sei prima del periodo contemplato dalle suddette relazioni. Il vigente comma 3 dell'articolo 216-ter prevede che le suddette relazioni siano inviate entro nove  mesi  dalla  fine  del  triennio  che decorre dal 12 dicembre 2010, e contengano tra l'altro,  informazioni sulla   gestione   degli   oli   usati,   sui   progressi    compiuti nell'attuazione dei programmi di  prevenzione  dei  rifiuti,  di  cui all'articolo 199, comma  3,  lettera  r),  e  sulle  misure  previste dall'eventuale attuazione del principio della responsabilità  estesa del produttore, di cui all'articolo 178-bis, comma 1, lettera a).

Il comma 5 stabilisce che i dati di cui ai commi 2-4 siano corredati anche da una relazione di controllo della qualità redatta secondo i formati stabiliti nelle relative decisioni di esecuzione di riferimento. Dovranno essere accompagnati inoltre da una relazione sulle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi di cui agli articoli 205-bis e 182-ter del d.lgs. 2006/152. Tale relazione dovrà comprendere informazioni dettagliate sui tassi di scarto medio.

In particolare, l'articolo 205-bis stabilisce regole dettagliate per il calcolo degli obiettivi di riutilizzo, riciclaggio e  recupero  dei  rifiuti. L'articolo 182-ter reca la disciplina in materia di rifiuti organici e delle attività relative al loro riciclaggio.

Il comma 6 riprendendo il vigente comma 5 dell'articolo 216-ter prevede che la parte quarta del d.lgs 2006/152 nonché i provvedimenti inerenti alla gestione dei rifiuti siano comunicati alla Commissione europea.

 

Sistema di riutilizzo di specifiche tipologie di imballaggi

 

La lettera i-bis), introdotta in sede referente, novella l’articolo 219-bis del Codice.

Con le novelle in esame, si prevede che gli operatori economici, in forma individuabile o in forma collettiva, adottino sistemi di restituzione con cauzione nonché sistemi per il riutilizzo degli imballaggi. Si segnala che nel testo non modificato, attualmente vigente, si prevede che gli operatori "adottano misure volte ad assicurare l'aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili".

Tali sistemi, secondo una disposizione qui aggiunta, si applicano agli imballaggi in plastica, in vetro e in metallo utilizzati per acqua e per altre bevande.

La novella, inoltre, introduce un termine temporale (120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, quindi dall'entrata in vigore della legge di conversione) per l'emanazione del regolamento che stabilisce i tempi e le modalità di attuazione delle disposizioni in commento. Tale regolamento è approvato con decreto del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa consultazione delle associazioni delle imprese maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Il decreto deve stabilire (in neretto sono indicate le novità rispetto al testo ora vigente):

1.     gli obiettivi annuali qualitativi e quantitativi da raggiungere;

2.     i valori cauzionali per ogni singola tipologia di imballaggio fissati in modo da evitare ostacoli al commercio o distorsioni della concorrenza;

3.     i termini di pagamento e le modalità di restituzione della cauzione da versare al consumatore che restituisce l'imballaggio;

4.     le premialità e gli incentivi economici da riconoscere agli esercenti che adottano sistemi di restituzione con cauzione;

5.     l'eventuale estensione delle disposizioni del presente articolo ad altre tipologie di imballaggio;

6.     la percentuale minima di imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato ogni anno per ciascun flusso di imballaggi;

7.     la promozione di campagne di sensibilizzazione rivolte ai consumatori.

 

Gestione degli imballaggi

 

La lettera l) novella l’articolo 221, comma 6, del Codice, in materia di gestione degli imballaggi. Al riguardo, si rammenta che il comma 5 del medesimo articolo 221 stabilisce che i produttori che non intendono aderire al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) o ad altro Consorzio per la gestione dei propri rifiuti di imballaggio, devono presentare all'Osservatorio nazionale sui rifiuti il progetto del sistema per la medesima gestione, richiedendone il riconoscimento sulla base di idonea documentazione. Secondo la novella in esame, ottenuto il riconoscimento i produttori devono presentare annualmente al Ministero della Transizione ecologica e al CONAI, l'apposita documentazione sui sistemi di gestione (prevista dall'art. 237, comma 6, del Codice). Il programma pluriennale di prevenzione della produzione di rifiuti di imballaggio e il piano specifico di prevenzione e gestione relativo ai sistemi di gestione in parola, riferiti all'anno solare successivo, sono inseriti nel programma generale di prevenzione e gestione. Quest'ultimo è previsto dall’articolo 225 del Codice. Nel testo previgente, i medesimi produttori erano tenui ad inviare al CONAI il programma specifico di prevenzione, posto a base del programmo generale di prevenzione e gestione.

Come sopra ricordato (cfr. commento alla lettera g)), ai sensi dell'art. 225 del Codice, il CONAI elabora annualmente il Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio che individua le misure per conseguire gli obiettivi ivi indicati, con riferimento alle singole tipologie di materiale di imballaggio.

 

La lettera l-bis), introdotta in sede referente, reca una modifica all'allegato IV alla parte seconda del Codice, recante le tipologie di progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano soggetti alla verifica di assoggettabilità. In particolare, il punto n. 7, lettera zb, include tra questi progetti, gli impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui all'Allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152[50].

La modifica in esame esclude dalla verifica di assoggettabilità i seguenti progetti di competenza delle regioni o province autonome:

§  gli impianti mobili volti al recupero di rifiuti non pericolosi provenienti dalle operazioni di costruzione e demolizione, qualora la campagna di attività abbia una durata inferiore a novanta giorni

§  gli altri impianti mobili di trattamento dei rifiuti non pericolosi, qualora la campagna di attività abbia una durata inferiore a trenta giorni.

Le eventuali successive campagne di attività sul medesimo sito sono sottoposte alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA qualora le quantità siano superiori a 1.000 metri cubi al giorno.

 

Elenco dei rifiuti

 

La lettera m) sostituisce integralmente (con l'Allegato III al presente decreto-legge) l'Allegato D della Parte quarta del Codice dell'ambiente, recante l'elenco dei rifiuti (nuovo elenco europeo dei rifiuti, introdotto dalla decisione 955/2014, che ha modificato la decisone 532/2000) e la relativa classificazione.

Le correzioni, segnala la relazione illustrativa, si rendono necessarie per rendere "coerente la gestione dei rifiuti con le corrette definizioni in relazione alla decisione 2014/955/UE, che altrimenti sarebbe difforme rispetto alle disposizioni UE".

Riguardo alle correzioni dei codici EER, si ricorda, preliminarmente, che i codici con asterisco (*) stanno ad indicare "rifiuti pericolosi", a meno che non si applichino le esclusioni di cui all'articolo 20 della direttiva 2008/98/CE ("relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive").

Tra le modifiche introdotte con il nuovo allegato si segnalano le seguenti:

§  si introduce il codice 01 01 relativo alla categoria "Rifiuti da estrazione di minerali" (comprensiva dei codici, già previsti nell'allegato previgente, 01 01 01 sui minerali metalliferi e 01 01 02 sui minerali non metalliferi); in tal modo viene introdotto, nell'allegato D, un codice assente nel testo finora vigente e presente nell'allegato alla decisione n. 955;

§  si introduce la voce 07 02 17* "rifiuti contenenti siliconi diversi da quelli di cui alla voce 07 02 16" (quest'ultimo codice indica i rifiuti da siliconi pericolosi); con la modifica si introduce una nuova voce, identica alla voce 07 02 17 ma contrassegnata da asterisco, che, come detto, sta ad indicare i rifiuti pericolosi;

Al riguardo si segnala che il codice '07 02 17' è recato due volte nell'allegato, in un caso senza asterisco, in un caso con asterisco (dunque con il carattere di rifiuto pericoloso), indicandosi tuttavia la medesima voce oltre che il medesimo identificativo numerico, per cui si valuti un chiarimento.

§  si espunge la voce 07 02 18 "scarti di gomma"; al riguardo si segnala che tale voce non è presente nell'allegato alla decisione n. 955;

§  si modifica la voce 09 01 01*, introducendo la seguente dicitura: soluzioni di sviluppo e soluzioni attivanti a base acquosa (che rispetto alla dicitura previgente specifica che gli "attivanti" sono comunque da riferirsi a soluzioni); la voce viene in tal modo resa omogenea a quella riportata nell'allegato alla decisione n. 955;

§  si introduce il codice 13 04 da riferire alla categoria "Oli di sentina" e si prevede una modifica del codice 13 04 02*, per specificare che il codice si riferisce ad oli di sentina "derivanti" dalle fognature dei moli; anche in questo caso si adegua la denominazione delle voci dell'allegato D alle corrispondenti voci riportate dalla decisione n. 955;

§  l'indicazione dei "fanghi di dragaggio" (codici 17 05 05* e 17 05 06) viene sostituita con la dicitura "materiali di dragaggio"; si adeguano, così, tali voci alle denominazioni riportate dalla decisione n. 955, ove si utilizza il termine "materiali" e non "fanghi".

 

Inoltre, con riferimento:

§  alla voce 16 02 13* apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 16 02 09 ("trasformatori e condensatori contenenti PCB", cioè contenenti policlorodifenili e policlorotrifenili) e 16 02 12 ("apparecchiature fuori uso, contenenti amianto in fibre libere"), contenenti componenti pericolosi

§  e alla voce 20 01 35* apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, diverse da quelle di cui alla voce 20 01 21* ("tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio") e 20 01 23* ("apparecchiature fuori uso contenenti clorofluorocarburi"), contenenti componenti pericolosi

si specifica che tra i componenti pericolosi di apparecchiature elettriche ed elettroniche possono rientrare gli accumulatori e le batterie di cui alle voci 16 06 (batterie e accumulatori), contrassegnati come pericolosi; commutatori a mercurio, vetri di tubi a raggi catodici ed altri vetri radioattivi ecc.

 

Viene così inserita la nota n. 1 presente nell'allegato alla decisione europea.

 

Sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile

 

I commi 2 e 3 del presente articolo recano disposizioni inerenti alla sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile (combustibile solido prodotto da rifiuti che non sia più qualificabile come rifiuto) che rispetti le condizioni di utilizzo del medesimo, poste dall'art. 13 del regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (D.M. 14 febbraio 2013, n. 22). Tali operazioni non costituiscono variante o modifica sostanziale, ai sensi delle norme ivi richiamate, a condizione che l'operazione in questione non comporti un aumento della capacità produttiva autorizzata.

Riguardo alla disciplina relativa alla cessazione della qualifica di rifiuto (c.d. end of waste), cfr. l'art. 34, alla cui scheda si rinvia.

Il comma 2 stabilisce che tali interventi di sostituzione con CSS-combustibile in impianti o installazioni che non siano autorizzati alle operazioni di recupero dei rifiuti mediante la loro utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia ("operazioni R1", ai sensi dell'art. 216 e dell'Allegato C alla parte quarta del Codice ambientale), richiedono la sola comunicazione dell’intervento di modifica all’autorità competente, unitamente alla presentazione della documentazione tecnica descrittiva dell’intervento.

Riguardo agli impianti non autorizzati a svolgere le medesime operazioni R1, il comma 3 stabilisce che l'intervento richieda il solo aggiornamento del titolo autorizzatorio, anche in questo caso nel rispetto dei limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti, da comunicare all’autorità competente.

Le comunicazioni (concernenti l'intervento di modifica e l'aggiornamento del titolo autorizzatorio) alle autorità competenti devono essere effettuate 45 giorni prima dell'avvio della modifica.

Per quanto concerne la nozione di modifica sostanziale, le disposizioni richiamano:

§  l'articolo 5, comma 1, lettera l-bis), del Codice dell'ambiente, che definisce "modifica sostanziale" la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente o sulla salute umana". Con riferimento alla disciplina sulla VIA, deve ritenersi sostanziale quella modifica che comporti variazioni di valori soglia previsti per talune attività contemplate nell'allegato VIII del Codice ambientale; 

§  l’articolo 2, comma 1, lett. g), del regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale (d.P.R. n. 59 del 2013), il quale definisce "modifica sostanziale" di un impianto: ogni modifica considerata tale ai sensi delle normative di settore che disciplinano gli atti di comunicazione,  notifica  e   autorizzazione   in materia ambientale compresi nell'autorizzazione unica  ambientale  in  quanto possa produrre effetti negativi e significativi sull'ambiente.

Per quanto concerne la nozione di variante sostanziale, i commi 2 e 3 richiamano l'articolo 208, comma 19, il quale prescrive che le procedure concernenti l'autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti si applicano anche per la realizzazione di "varianti sostanziali" in corso d'opera o di esercizio, che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata. Richiama altresì gli articoli concernenti le procedure semplificate nell'ambito della gestione dei rifiuti, in particolare: 214 (Determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate), 214-bis (Sgombero della neve), 214-ter (Determinazione delle condizioni per l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata, modificato dal comma 1, lett. h), dell'articolo in esame), 215 (Autosmaltimento) e 216 (Operazioni di recupero) del medesimo Codice.

Si segnala, peraltro, che la locuzione "variante sostanziale" è espressamente utilizzata, tra le norme richiamate, dal solo comma 19 dell'articolo 208.

 

Acquisto di pneumatici ricostruiti

 

Con il comma 3-bis, introdotto in sede referente, viene sostituito il comma 14 dell'articolo 52 della legge finanziaria 2002 (Legge n. 448 del 2001[51]), recante Interventi vari. Nell'ambito degli interventi di tutela ambientale di cui al richiamato comma 14, la sostituzione in esame è finalizzata ad innalzare dal 20 al 30% (sul totale) la quota che le amministrazioni statali, regionali, degli enti locali e i gestori di servizi pubblici e di servizi di pubblica utilità, pubblici e privati, devono riservare all'acquisto di pneumatici ricostruiti ai fini del ricambio per le relative flotte di autovetture e di autoveicoli commerciali e industriali. Con la sostituzione in esame viene, peraltro, specificato che - se a siffatta procedura di acquisto di due o più pneumatici di ricambio non viene riservata una quota di pneumatici ricostruiti che rappresenti almeno il 30% del numero complessivo di pneumatici da acquistare, la procedura si annulla per la quota parte riservata all'acquisto di pneumatici ricostruiti. Viene, infine, precisato, che le disposizioni in commento non sono applicabili agli acquisti di pneumatici riguardanti né i veicoli di emergenza, né quelli in uso al Ministero della difesa e alle Forze di polizia.

 


 

 

Legge 28 dicembre 2001, n. 448

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)

Articolo 52

(Interventi vari)

(omissis)

(omissis)

14. Per finalità di tutela ambientale correlate al potenziamento del settore della ricostruzione dei pneumatici usati, le amministrazioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali e i gestori di servizi pubblici e dei servizi di pubblica utilità, pubblici e privati, nell'acquisto di pneumatici di ricambio per le loro flotte di autovetture e di autoveicoli commerciali ed industriali, riservano una quota all'acquisto di pneumatici ricostruiti, pari ad almeno il 20 per cento del totale.

14. Per finalità di tutela ambientale le amministrazioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali e i gestori di servizi pubblici e di servizi di pubblica utilità, pubblici e privati, nell'acquisto di pneumatici di ricambio per le loro flotte di autovetture e di autoveicoli commerciali ed industriali, riservano una quota all'acquisto di pneumatici ricostruiti, pari ad almeno il 30% del totale. Se alla procedura d'acquisto di due o più pneumatici di ricambio di cui al primo periodo non viene riservata una quota di pneumatici ricostruiti che rappresenti almeno il 30% del numero complessivo di pneumatici da acquistare, la procedura si annulla per la quota parte riservata all'acquisto di pneumatici ricostruiti. Le disposizioni del presente comma non si applicano agli acquisti di pneumatici riguardanti i veicoli di emergenza, i veicoli in uso al Ministero della difesa e i veicoli delle Forze di polizia.

(omissis)

(omissis)

 

 

 

Piani regionali di gestione dei rifiuti

 

Ulteriore comma aggiuntivo, introdotto in sede referente, reca una modifica all'art. 199, comma 3, del Codice concernente i contenuti dei piani regionali di gestione dei rifiuti. Tali piani, prevede il comma 2 dell'art. 199, comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistente nell'ambito geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l'efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del presente decreto. Il comma 3 del medesimo art. 199 dettaglia gli ulteriori contenuti dei piani. Con la modifica in esame si prevede che essi debbano contenere anche:

§  l'analisi dei flussi derivanti da materiali da costruzione e demolizione

§  idonee modalità di gestione e smaltimento in ambito regionale dei rifiuti contenenti amianto, al fine di evitare rischi sanitari e ambientali connessi all'abbandono incontrollato di tali rifiuti.

 

 

Invarianza finanziaria

 

Il comma 4 dell'art. 35 in esame dispone che il MITE provveda all'attuazione delle disposizioni in questione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 


 

Articolo 35-bis
(Misure di semplificazione e di promozione dell’economia circolare nella filiera foresta-legno)

 

L’articolo 35-bis, inserito durante l’esame in sede referente, disciplina gli accordi di foresta, quali strumenti per lo sviluppo di reti di imprese nel settore forestale.

 

In particolare, il comma unico dell’articolo in commento integra l’art. 3 del decreto-legge n. 5 del 2009 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 2009), in materia di distretti produttivi e reti di imprese, introducendo i commi da 4-quinquies.1 a 4-quinquies.4. Ciò al fine di introdurre misure di semplificazione e di promozione dell'economia circolare nella filiera foresta-legno, attese la specificità e la multifunzionalità della filiera nonché l'opportunità di un suo rilancio.

Nel dettaglio, il nuovo comma 4-quinquies.1 dell’art. 3 del d.l. 5/2009 prevede che sia promossa la stipulazione di accordi di foresta nel territorio nazionale, quali strumenti per lo sviluppo di reti di imprese nel settore forestale, al fine di valorizzare le superfici pubbliche e private a vocazione agro-silvo-pastorale, nonché per la conservazione e per l'erogazione dei servizi ecosistemici forniti dai boschi.

Il successivo comma 4-quinquies.2 del medesimo art. 3 dispone che gli accordi di foresta di cui sopra siano stipulati tra due o più soggetti, singoli o associati, di cui almeno la metà deve essere titolare del diritto di proprietà o di un altro diritto reale o personale di godimento su beni agro-silvo-pastorali o almeno un contraente deve rappresentare, in forma consortile o associativa o ad altro titolo, soggetti titolari dei diritti di proprietà o di un altro diritto reale o personale di godimento su beni agro-silvo-pastorali.

Il nuovo comma 4-quinquies.3, poi, prevede che gli accordi di foresta, allo scopo di valorizzare superfici private e pubbliche a vocazione agro-silvo-pastorale nonché di assicurare la conservazione e l'erogazione dei servizi ecosistemici, nel rispetto della biodiversità e dei paesaggi forestali, possano:

???a) individuare e mettere in atto le migliori soluzioni tecniche ed economiche in funzione degli obiettivi condivisi e sottoscritti dai contraenti con gli accordi medesimi;

???b) promuovere la gestione associata e sostenibile delle proprietà agro-silvo-pastorali per il recupero funzionale e produttivo delle proprietà fondiarie pubbliche e private, singole e associate, nonché dei terreni di cui alle lettere g) e h) del comma 2 dell'articolo 3 del testo unico in materia di foreste e filiere forestali, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34;

Si ricorda, in proposito, che l’art. 3 del suddetto decreto legislativo n. 34 del 2018 reca le definizioni di tale testo unico. Nello specifico, la lettera g) del comma 2 del predetto art. 3 prevede che si definiscano terreni  abbandonati “fatto salvo quanto previsto  dalle normative regionali vigenti, i terreni forestali nei quali i boschi cedui hanno superato, senza interventi selvicolturali, almeno della metà il turno minimo fissato dalle norme forestali regionali,  ed  i boschi d'alto fusto in cui non  siano  stati  attuati  interventi  di sfollo o diradamento negli  ultimi  venti  anni,  nonché  i  terreni agricoli sui quali non sia stata  esercitata  attività  agricola  da almeno tre anni, in base ai principi e alle  definizioni  di  cui  al regolamento (UE) n. 1307/2013 (…) ad esclusione dei  terreni  sottoposti  ai  vincoli  di  destinazione d'uso”. La successiva lettera h) del medesimo comma 2 prevede che si definiscano terreni silenti i terreni agricoli e forestali - di cui alla precedente lettera g) -per i quali i proprietari non siano individuabili o reperibili a seguito di apposita istruttoria.

Per un approfondimento sul suddetto testo unico in materia di foreste e filiere forestali, si rinvia all’apposita sezione del tema web sulle riforme organiche di settori agricoli del Servizio studi della Camera dei deputati.

???c) prevedere la realizzazione di interventi volti alla riduzione dei rischi naturali, del rischio idrogeologico e di incendio boschivo;

???d) prevedere la realizzazione di interventi e di progetti volti allo sviluppo di filiere forestali e alla valorizzazione ambientale e socio-culturale dei contesti in cui operano,

???e) promuovere sinergie tra coloro che operano nelle aree interne sia in qualità di proprietari o di titolari di altri diritti reali o personali sulle superfici agro-silvo-pastorali sia in qualità di esercenti attività di gestione forestale e di carattere ambientale, educativo, sportivo, ricreativo, turistico o culturale. A tale fine i soggetti di cui al comma 4-sexies del citato art. 3 stipulano contratti di rete secondo le disposizioni del comma 4-quater (del medesimo art. 3).

Si ricorda che il suddetto comma 4-sexies dell’art. 3 del dl 5/2009 prevede che “Per gli anni 2020 e 2021, il contratto di rete può essere stipulato per favorire il mantenimento dei livelli di occupazione delle imprese di filiere colpite da crisi economiche in seguito a situazioni di crisi o stati di emergenza dichiarati con provvedimento delle autorità competenti. Rientrano tra le finalità perseguibili l'impiego di lavoratori delle imprese partecipanti alla rete che sono a rischio di perdita del posto di lavoro, l'inserimento di persone che hanno perso il posto di lavoro per chiusura di attività o per crisi di impresa, nonché l'assunzione di figure professionali necessarie a rilanciare le attività produttive nella fase di uscita dalla crisi. Ai predetti fini le imprese fanno ricorso agli istituti del distacco e della codatorialità, ai sensi dell'articolo 30, comma 4-ter, del decreto legislativo  10  settembre 2003, n. 276, per lo svolgimento di prestazioni lavorative presso  le aziende partecipanti alla rete”.

Al riguardo, si osserva che il suddetto comma 4-sexies dell’art. 3 del decreto-legge n. 5/2009 non appare un riferimento normativo univoco per individuare i soggetti che stipulano contratti di rete ai sensi della lettera e) del nuovo comma 4-quinquies.3 del medesimo articolo 3. Si osserva inoltre - in via generale – che il comma 4-ter dello stesso articolo – primo periodo – dispone che “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma  comune  di  rete,  a collaborare  in  forme   e   in   ambiti   predeterminati   attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi  informazioni o  prestazioni  di  natura  industriale,   commerciale,   tecnica   o tecnologica  ovvero  ancora  ad  esercitare  in  comune  una  o  più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa”.

Il citato comma 4-quater del medesimo art. 3 – poi – dispone che il contratto di rete sia soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Le modifiche al contratto di rete, sono redatte e depositate per l'iscrizione, a cura dell'impresa indicata nell'atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L'ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di  rete, a tutti gli altri uffici del registro delle  imprese  presso  cui  sono iscritte le  altre  partecipanti,  che  provvederanno  alle  relative annotazioni d'ufficio della modifica; se è prevista la  costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita  la  sua sede; con l'iscrizione nella sezione  ordinaria  del  registro  delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la  sua  sede  la  rete acquista soggettività giuridica.  Per acquistare la soggettività giuridica il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell'articolo 25 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

???Il comma 4-quinquies.4, infine, prevede che, fatto salvo quanto previsto dai suddetti commi 4-quinquies.1 e 4-quinquies.2, gli accordi di foresta siano equiparati alle reti di impresa agricole. Esso prevede, inoltre, che le regioni promuovano ogni idonea iniziativa finalizzata alla loro diffusione e attuazione.

Al riguardo, con riferimento al nuovo comma 4-quinquies.4 dell’art. 3 del citato d.l. 5/2009, segnalando che i commi 4-ter e seguenti del medesimo articolo riportano la disciplina del contratto di rete, appare opportuno che nel testo della disposizione in commento siano inseriti dei riferimenti che precisino la portata normativa dell’equiparazione – ivi prevista - tra accordi di foresta e reti di impresa agricole.

 


 

Articolo 36
(Semplificazioni in materia di economia montana e forestale)

 

L'articolo 36, al comma 1, esenta dall'autorizzazione idraulica e dall'autorizzazione per il vincolo idrogeologico le attività di manutenzione straordinaria e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana.

Il comma 2 esenta dall'autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana, che non alterino lo stato dei luoghi e siano condotti secondo i criteri e le metodologie dell'ingegneria naturalistica, da attuare nei boschi e nelle foreste aventi le caratteristiche previste dalla normativa in materia di beni culturali e del paesaggio.

Il comma 3 assoggetta al procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata, anche se interessano aree vincolate ai sensi della vigente normativa concernente gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico e nel rispetto di quanto previsto dal piano forestale di indirizzo territoriale e dai piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, ove adottati, i seguenti interventi ed opere di lieve entità: a) interventi selvicolturali di prevenzione dei rischi secondo un piano di tagli dettagliato; b) ricostituzione e restauro di aree forestali degradate o colpite da eventi climatici estremi attraverso interventi di riforestazione e sistemazione idraulica; c) interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza e resilienza ai cambiamenti climatici dei boschi.

Il comma 3-bis, inserito in sede referente, include tra gli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica anche i cavi interrati per il trasporto dell'energia elettrica facenti parte della rete di trasmissione nazionale alle medesime condizioni previste per le reti di distribuzione locale.

Il comma 3-bis, inserito in sede referente, modifica la procedura per l'adozione del DM con cui sono disciplinate le modalità di attribuzione del contributo dello 0,9 per cento del sovracanone annuo pagato dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua per produzione di forza motrice, le cui opere sono situate nell'ambito del perimetro imbrifero montano. Tale contributo deve essere utilizzato per l'avvio e la prosecuzione dei servizi finalizzati a fornire adeguati strumenti formativi e conoscitivi per un'efficace azione dei comuni dei territori montani, delle unioni montane dei comuni e delle comunità montane per l'attuazione di alcune disposizioni di legge.

 

Il comma 1 esenta le attività di manutenzione straordinaria e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana dalle seguenti autorizzazioni:

- l'autorizzazione idraulica prevista dal Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie (regio decreto  n. 523/1904;

 

Al riguardo, si vedano le disposizioni del capo VII del R.D. 523/1904, in materia di polizia delle acque pubbliche, articoli da 93 a 101, nonché il relativo regolamento di esecuzione (R.D. 9 dicembre 1937, n. 2669).

L'impianto di tale risalente disciplina prevede, rispettivamente, attività vietate e attività permesse relativamente alle acque pubbliche. L'art. 93 del R.D. 523/1904 reca il generale divieto di fare opere nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale, cioè nello spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza il permesso dell'autorità amministrativa. Formano parte degli alvei i rami o canali, o diversivi dei fiumi, torrenti, rivi e scolatoi pubblici, ancorché in alcuni tempi dell'anno rimangono asciutti.

L'art. 96 del medesimo provvedimento specifica i lavori e gli atti vietati "in modo assoluto" sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese. Essi sono:

a) la formazione di pescaie, chiuse, petraie ed altre opere per l'esercizio della pesca, con le quali si alterasse il corso naturale delle acque. Sono eccettuate da questa disposizione le consuetudini per l'esercizio di legittime ed innocue concessioni di pesca, quando in esse si osservino le cautele od imposte negli atti delle dette concessioni, o già prescritte dall'autorità competente, o che questa potesse trovare conveniente di prescrivere; b) le piantagioni che si inoltrino dentro gli alvei dei fiumi, torrenti, rivi e canali, a costringerne la sezione normale e necessaria al libero deflusso delle acque; c) lo sradicamento o l'abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea in cui arrivano le acque ordinarie. Per i rivi, canali e scolatoi pubblici la stessa proibizione è limitata ai piantamenti aderenti alle sponde; d) la piantagione sulle alluvioni delle sponde dei fiumi e torrenti e loro isole a distanza dalla opposta sponda minore di quella, nelle rispettive località, stabilita o determinata dal prefetto, sentite le amministrazioni dei comuni interessati e l'ufficio del Genio civile; e) le piantagioni di qualunque sorta di alberi ed arbusti sul piano e sulle scarpe degli argini, loro banche e sottobanche, lungo i fiumi, torrenti e canali navigabili; f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi; g) qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso, a cui sono destinati gli argini e loro accessori come sopra, e manufatti attinenti; h) le variazioni ed alterazioni ai ripari di difesa delle sponde dei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatori pubblici, tanto arginati come non arginati, e ad ogni altra sorta di manufatti attinenti; i) il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori; k) l'apertura di cavi, fontanili e simili a distanza dai fiumi, torrenti e canali pubblici minori di quella voluta dai regolamenti e consuetudini locali, o di quella che dall'autorità amministrativa provinciale sia riconosciuta necessaria per evitare il pericolo di diversioni e indebite sottrazioni di acque; l) qualunque opera nell'alveo o contro le sponde dei fiumi o canali navigabili, o sulle vie alzaie, che possa nuocere alla libertà ed alla sicurezza della navigazione ed all'esercizio dei porti natanti e ponti di barche; m) i lavori od atti non autorizzati con cui venissero a ritardare od impedire le operazioni del trasporto dei legnami a galla ai legittimi concessionari; h) lo stabilimento di molini natanti.

L'art. 97 contempla invece le opere e gli atti che non si possono eseguire se non con speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte. Essi sono: a) la formazione di pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti per facilitare l'accesso e l'esercizio dei porti natanti e ponti di barche; b) la formazione di ripari a difesa delle sponde che si avanzano entro gli alvei oltre le linee che fissano la loro larghezza normale; c) i dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti a distanza minore di metri cento dalla linea a cui giungono le acque ordinarie; d) le piantagioni delle alluvioni a qualsivoglia distanza dalla opposta sponda, quando si trovino di fronte di un abitato minacciato da corrosione, ovvero di un territorio esposto al pericolo di disalveamenti; e) la formazione di rilevati di salita o discesa dal corpo degli argini per lo stabilimento di comunicazione ai beni, agli abbeveratoi, ai guadi ed ai passi dei fiumi e torrenti; k) la ricostruzione, tuttoché senza variazioni di posizione e forma, delle chiuse stabili ed incili delle derivazioni, di ponti, ponti canali, botti sotterranee e simili esistenti negli alvei dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali demaniali; l) il trasporto in altra posizione dei molini natanti stabiliti sia con chiuse, sia senza chiuse, fermo l'obbligo dell'intiera estirpazione delle chiuse abbandonate; m) l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici, eccettuate quelle località ove, per invalsa consuetudine si suole praticare senza speciale autorizzazione per usi pubblici e privati. Anche per queste località però l'autorità amministrativa limita o proibisce tali estrazioni ogniqualvolta riconosca poterne il regime delle acque e gl'interessi pubblici o privati esserne lesi; n) l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili, gli scavamenti lungh'esse che possano promuovere il deperimento o recar pregiudizio alle vie alzaie ove esistono, e finalmente la estrazione di ciottoli, ghiaie o sabbie, fatta eccezione, quanto a detta estrazione, per quelle località ove per consuetudine invalsa suolsi praticare senza speciale autorizzazione.

Infine, l'art. 98 subordina l'esecuzione delle seguenti opere al rilascio di speciale autorizzazione del Ministero dei lavori pubblici, e sotto la osservanza delle condizioni dal medesimo imposte:

- le nuove costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali, di chiuse, ed altra opera stabile per le derivazioni di ponti, ponti canali e botti sotterranee, non che le innovazioni intorno alle opere di questo genere già esistenti;

- la costruzione di nuove chiaviche di scolo a traverso gli argini e l'annullamento delle esistenti.

 

- l'autorizzazione per il vincolo idrogeologico di cui al regio decreto n. 3267/1923 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani), recte "regio decreto-legge", e successive norme regionali di recepimento.

 

Riguardo all'imposizione del vincolo idrogeologico, oltre alla disciplina contenuta negli articoli 1-16 del provvedimento sopra indicato, occorre far riferimento anche agli articoli 19 e 20 del relativo regolamento di applicazione (R.D. 1126/1926). In particolare, l'articolo 7 del R.D.L. 3267/1923 prevede che per i terreni vincolati la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinate ad autorizzazione del Comitato forestale[52] e alle modalità da esso prescritte, caso per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all'art. 1, il quale sottopone a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli artt. 7, 8 e 9, possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque.

Si ricorda altresì che il DPR 619/1977 ha disposto, all'articolo 69, quarto comma, il trasferimento alle regioni delle funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo, le opere di manutenzione forestale per la difesa delle coste nonché le funzioni relative alla determinazione del vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. n. 3267/1923, ivi comprese quelle esercitate attualmente dalle camere di commercio. Per la realizzazione di opere di sistemazione idrogeologica e di difesa del suolo che interessino il territorio di due o più regioni, queste provvedono mediante intesa tra loro. Fermo restando quanto stabilito dall'art. 13 del R.D.L. n. 3267/1923, restano fermi i vincoli idrogeologici attualmente vigenti fino a quanto non sarà stabilita una nuova disciplina statale di principio.

Infine, l'articolo 61, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 (Norme in materia ambientale) ha stabilito che le funzioni relative al vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267, sono interamente esercitate dalle regioni[53].

Nella sentenza n. 232 del 2009 (punto 3 del considerato in diritto), la Corte costituzionale ha rilevato la riconducibilità alla materia «tutela dell'ambiente» di una serie di disposizioni contenute nella Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, intitolata «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche» e, in particolare, nella sezione I «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione». Già la prima delle norme contenute nella sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 (art. 53), nell'individuare le finalità delle disposizioni che compongono la sezione medesima, dichiara che esse «sono volte ad assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione». Sono scopi che attengono con buona evidenza direttamente alla tutela delle condizioni e qualità intrinseche del suolo e non già alla sua utilizzazione. Simile osservazione vale per tutte le disposizioni che compongono la sezione I. Si tratta di interventi (tra i quali anche il riordino del vincolo idrogeologico) miranti non già a disciplinare come e secondo quali regole l'uomo debba stabilire propri insediamenti (abitativi, industriali, eccetera) sul territorio, bensì a garantire un certo stato del suolo, così come le norme contro l'inquinamento delle acque mirano a garantire un determinato standard qualitativo dei corpi idrici, quelle contro l'inquinamento atmosferico uno specifico livello qualitativo dell'aria, e così via.

 

Il comma 2 esenta dall'autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana, che non alterino lo stato dei luoghi e siano condotti secondo i criteri e le metodologie dell'ingegneria naturalistica,  da attuare nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004).

 

L'articolo 142, comma 1, lettera g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, assoggetta alla disciplina relativa ai beni paesaggistici i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del d.lgs. n. 227/2001 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale). Il d.lgs. n. 227/2001 è stato abrogato dall'articolo 18 del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (d.lgs. n. 34/2018)

In particolare il richiamato comma 2 aveva previsto l'emanazione di apposite norme regionali per la definizione di bosco, stabilendo alcuni criteri identificativi, mentre il comma 6 aveva dettato una disciplina transitoria contenente la definizione di bosco, da applicare "nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse".

Attualmente, occorre quindi far riferimento all'articolo 3, comma 3, del d.lgs. 34/2018, il quale contiene la definizione di bosco "per le materie di competenza esclusiva dello Stato". Sono quindi definite bosco le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento.

Il comma 4 dell'articolo 3 del d.lgs. 34/2018 consente l'adozione da parte delle regioni, "per quanto di loro competenza e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche", di una definizione integrativa di bosco rispetto a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco di cui, rispettivamente, agli articoli 4 e 5 del d.lgs. 34/2018, purché non venga diminuito il livello di tutela e conservazione così assicurato alle foreste come presidio fondamentale della qualità della vita.

L'articolo 4 del d.lgs. 34/2018 elenca le aree assimilate a bosco, tra le quali rientrano, in particolare, i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, di miglioramento della qualità dell'aria, di salvaguardia del patrimonio idrico, di conservazione della biodiversità, di protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale (articolo 4, comma 1, lettera b).

Infine, l'articolo 5 del d.lgs. 34/2018 elenca le aree escluse dalla definizione di bosco.


?Il comma 3 assoggetta al procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata di cui al Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (DPR n. 31/2017), anche se interessano aree vincolate ai sensi dell'articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004), e nel rispetto di quanto previsto dal piano forestale di indirizzo territoriale e dai piani di gestione forestale o strumenti equivalenti di cui all'articolo 6 del d.lgs. 34/2018, ove adottati, i seguenti interventi ed opere di lieve entità:

a) interventi selvicolturali di prevenzione dei rischi secondo un piano di tagli dettagliato;

b) ricostituzione e restauro di aree forestali degradate o colpite da eventi climatici estremi attraverso interventi di riforestazione e sistemazione idraulica;

c) interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza e resilienza ai cambiamenti climatici dei boschi.

 

L'articolo 2 del DPR 31/2017 esenta dall'autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all'Allegato «A» nonché quelli di cui all'articolo 4 del medesimo DPR.

L'articolo 3 del DPR 31/2017 disciplina gli interventi ed opere di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato. In particolare, sono soggetti al procedimento autorizzatorio semplificato gli interventi ed opere di lieve entità elencati nell'Allegato «B».

 

L'articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) elenca gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico. Nel dettaglio, sono soggetti alle disposizioni di tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici, per il loro notevole interesse pubblico: a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali; b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza; c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici; d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.

L'articolo 6, comma 3, del d.lgs. 34/2018, consente la predisposizione  da parte delle regioni, nell'ambito di comprensori territoriali omogenei per caratteristiche ambientali, paesaggistiche, economico-produttive o amministrative, di piani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all'individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale di cui al comma 6.

Il comma 6 dell'articolo 6 in esame prevede che le regioni in attuazione dei Programmi forestali regionali di cui al comma 2 e coordinatamente con i piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3, ove esistenti, promuovono, per le proprietà pubbliche e private, la redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva delle risorse forestali.

 

Il comma 3-bis, inserito in sede referente, include tra gli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica anche i cavi interrati per il trasporto dell'energia elettrica facenti parte della rete di trasmissione nazionale alle medesime condizioni previste per le reti di distribuzione locale.

 

Al riguardo, si ricorda che l'Allegato A (di cui all'art. 2, comma 1) al regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (DPR 31/2017), alla lettera A.15), include tra gli interventi e le opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica la realizzazione e manutenzione di interventi nel sottosuolo che non comportino la modifica permanente della morfologia del terreno e che non incidano sugli assetti vegetazionali, quali: volumi completamente interrati senza opere in soprasuolo; condotte forzate e reti irrigue, pozzi ed opere di presa e prelievo da falda senza manufatti emergenti in soprasuolo; impianti geotermici al servizio di singoli edifici; serbatoi, cisterne e manufatti consimili nel sottosuolo; tratti di canalizzazioni, tubazioni o cavi interrati per le reti di distribuzione locale di servizi di pubblico interesse o di fognatura senza realizzazione di nuovi manufatti emergenti in soprasuolo o dal piano di campagna; l'allaccio alle infrastrutture a rete. Nei casi sopraelencati è consentita la realizzazione di pozzetti a raso emergenti dal suolo non oltre i 40 cm.

La lettera A.15) fa espressamente salve le disposizioni di tutela dei beni archeologici nonché le eventuali specifiche prescrizioni paesaggistiche relative alle aree di interesse archeologico di cui all'articolo 142, comma 1, lettera m), del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale disposizione sottopone le zone di interesse archeologico alla normativa in materia di interesse paesaggistico.

 

Il comma 3-bis, inserito in sede referente, novella l'articolo 57, comma 2-octies, ultimo periodo, del D.L. 124/2019 (L. 157/2019).

 

L'articolo 57, comma 2-octies, del D.L. 124/2019 (L. 157/2019) ha previsto che l'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM) organizzi le attività strumentali volte a promuovere la capacità dei comuni dei territori montani di dare attuazione a talune recenti leggi, utilizzando a tal fine il contributo dello 0,9 percento del sovracanone annuo pagato dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua per produzione di forza motrice, le cui opere sono situate nell'ambito del perimetro imbrifero montano.

La disposizione prevede che l’UNCEM organizzi le attività strumentali necessarie a consentire l'avvio e la prosecuzione dei servizi, anche di formazione del personale, finalizzati a fornire adeguati strumenti formativi e conoscitivi per una efficace azione dei comuni dei territori montani, delle unioni montane dei comuni e delle comunità montane per l'attuazione dei disposti di cui:

? alla legge n.158/2017 (Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni);

? al decreto legislativo n. 34/2018 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali);

? alla legge n.221/2015 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali).

A tal fine, l'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM) organizza le relative attività strumentali.

Per tale scopo, si dispone che venga impiegato il contributo dello 0,9 per cento del sovracanone - di cui all'articolo 1 della legge 959 del 27 dicembre 1953 - dovuto dai concessionari di derivazione d’acqua per produzione di forza motrice le cui opere di presa ricadono nel perimetro dei bacini imbriferi montani (BIM).

 

La novella modifica quindi la procedura per l'adozione del DM con cui disciplinare le modalità per l'effettuazione dei suddetti servizi e per l'attribuzione delle risorse, rinviando a un decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata, sulla base dei dati, forniti dal MITE, relativi al gettito del sovracanone annuo pagato dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua per produzione di forza motrice, le cui opere sono situate nell'ambito del perimetro imbrifero montano. Attualmente, si prevede l'adozione di un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Con il termine di bacino imbrifero montano, introdotto dalla legge 27 dicembre 1953 n. 959, si intende il territorio delimitato da una cintura montuosa o collinare che funge da spartiacque, ubicato al di sopra di una certa quota assoluta stabilita bacino per bacino.

La stessa legge ha disposto la costituzione dei Consorzi BIM quali consorzi obbligatori di Comuni che si costituiscono, su richiesta di non meno di 3/5 dei comuni stessi, per una gestione associata delle entrate derivanti dai sovracanoni, previsti espressamente dall’art. 1 comma 8 della medesima legge, a favore delle comunità locali che sopportano uno sfruttamento dell’acqua presente sul proprio territorio ai fini di produzione energetica.

Qualora non si raggiunga la maggioranza prevista, il sovracanone è versato direttamente ai comuni.

Il sovracanone è dovuto – ai sensi del comma 8 - dai concessionari di derivazione d’acqua per produzione di forza motrice, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nel perimetro dei bacini imbriferi montati.

La legge 925/1980 ha disposto all’articolo 1 che la misura del sovracanone, dovuto ai sensi dell'ottavo comma dell'articolo 1 della legge n. 959/1953, dai concessionari di derivazioni d'acqua per produzioni di forza motrice, con potenza nominale media superiore a chilowatt 220, fosse oggetto di rivalutazione e che tale rivalutazione fosse aggiornata con decreto ministeriale ogni 2 anni.

Si ricorda, infine, che il comma 137 dell'articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), con decorrenza dal 1° gennaio 2013, ha previsto l'estensione dei sovracanoni idroelettrici BIM a tutti gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori dei comuni compresi in un bacino imbrifero montano già delimitato.

I sovracanoni sono estesi – dispone il comma – per consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei comuni e dei bacini imbriferi montani. Successivamente, la legge n. 221/2015 (articolo 62, che ha inserito un nuovo comma 137-bis alla legge n. 228/2012), ha annullato la ripartizione in due scaglioni differenziati della misura del sovracanone BIM e ha disposto che lo stesso sovracanone sia comunque dovuto, anche se non funzionale alla prosecuzione degli interventi infrastrutturali.

Recentemente la Corte di Cassazione (Cassazione sentenza n. 16157/2018) ha ritenuto che il sovracanone BIM richiesto al concessionario di utenza idrica configura una prestazione patrimoniale imposta a fini solidaristici e ha, pertanto, natura tributaria; infatti la legislazione statale (articolo 1, quattordicesimo comma, legge 959/1953) prevede la destinazione del sovracanone a un Fondo comune gestito dai consorzi per finalità di promozione dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate e per la realizzazione delle opere che si rendano necessarie per rimediare alla alterazione del corso naturale delle acque.

Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 febbraio 2020, la misura del sovracanone annuo dovuto dai concessionari di derivazioni d'acqua per produzione di forza motrice con potenza nominale media superiore a 220 kW, è fissata per il biennio 1° gennaio 2020 - 31 dicembre 2021, in euro 31,13 per ogni kW di potenza nominale media concessa o riconosciuta ai sensi del testo unico delle disposizioni  di  legge  sulle  acque  e  sugli  impianti   elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n.  1775.


 

Articolo 36-bis
(
Prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e idraulico in Calabria)

 

L’articolo 36-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce un incremento di risorse per complessivi 80 milioni di euro per il triennio 2021-2023, per l’adozione di misure di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e idraulico in Calabria.

 

L’articolo 36-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, per sostenere gli interventi per spese in conto capitale della regione Calabria, volti a prevenire e a mitigare il rischio idrogeologico e idraulico per contenere i danni causati da tali fenomeni, incrementa le somme iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 3 del D.L. 148/1993, di 20 milioni per l’anno 2021, di 50 milioni di euro per l’anno 2022, e di 10 milioni di euro per l’anno 2023.

A tali oneri si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all’art. 1, comma 177 e seguenti, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), per ciascuno degli anni 2021-2023.

L’articolo in esame risulta essere stato modificato con il rinvio presso le Commissioni riunite rispetto al testo introdotto in precedenza, con il quale si finanziavano interventi volti a prevenire e a mitigare il rischio idrogeologico e idraulico della regione Calabria per un importo complessivo di 80 milioni per il biennio 2021-2022, senza individuare altresì l’allocazione delle risorse nelle spese in conto capitale.

 

Il cap. 7499 del MEF presenta a legislazione vigente 90 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, ai sensi della legge di bilancio 2021.

Il decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, con il menzionato art. 3, al comma 9, aveva concesso un contributo speciale alla regione Calabria per le spese da sostenersi per il perseguimento delle finalità previste dall'art. 1 della L. n. 664/1984 ("Misure straordinarie per la continuazione di iniziative in corso nel territorio della regione Calabria"). Il citato art. 1 richiedeva che per l’attuazione di un intervento idrogeologico e forestale, volto anche al potenziamento dei comparti agricolo e turistico, venisse approvato dai competenti organi regionali un programma esecutivo entro il termine di trenta giorni dall’entrata in vigore della legge. Occorre notare che il citato art. 3 del D.L. n. 148/1993 si applica limitatamente ai lavoratori già occupati nel precedente triennio. Nel corso degli anni, diverse leggi finanziarie e di stabilità hanno provveduto a rifinanziare tale intervento: da ultimo, la Tabella E della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014) ha disposto un rifinanziamento di 140 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2014-2016, in favore del comma 9 dell’art. 3 del D.L. 148/1993, a titolo di contributo speciale alla regione Calabria per l’attuazione degli interventi straordinari di competenza regionale in diversi settori attinenti la tutela del patrimonio forestale e delle connesse infrastrutture civili, anche ai fini del potenziamento dei comparti agricolo e turistico.

 


 

Articolo 36-ter
(Misure di semplificazione e accelerazione per il contrasto al dissesto idrogeologico)

 

L’articolo 36-ter, inserito in sede referente, introduce la denominazione di commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico per i commissari aventi competenze in materia di contrasto al dissesto idrogeologico, disciplinati da diverse normative, attribuendo ad essi la competenza degli interventi in tale ambito, indipendentemente dalla fonte di finanziamento. Prevede che gli interventi di prevenzione, mitigazione e contrasto al dissesto idrogeologico - ivi compresi quelli finanziabili tra le linee di azione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - siano qualificati come opere di preminente interesse nazionale, aventi carattere prioritario (commi da 1 a 3). Tali disposizioni (specifica il comma 20) non si applicano agli stati di emergenza di rilievo nazionale disciplinati dal Codice della protezione civile. Si prevede (comma 4) che il Ministro della transizione ecologica trasmetta una relazione annuale al Parlamento, entro il 30 giugno di ogni anno, contenente l'indicazione degli interventi di competenza dei Commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico e il loro stato di attuazione. I commi da 5 a 8 recano novelle alla legislazione vigente in materia al fine di adeguarla alle disposizioni in esame.

Il comma 9 reca specifiche disposizioni in materia di manutenzione idraulica dei bacini e sottobacini idrografici.

I commi da 10 a 14 concernono lo snellimento delle procedure per la realizzazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, modificando, tra l'altro, le norme materia di espropriazione per pubblica utilità.

I commi da 15 a 19 recano norme per la interoperabilità e la razionalizzazione dei sistemi informativi in materia di mitigazione del dissesto idrogeologico. Si reca la copertura deli oneri derivanti dallo svolgimento delle attività dell’ISPRA, pari a euro 165.000 per il 2021   e 235.000 per il 2022, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la promozione dell'uso consapevole della risorsa idrica di cui articolo 1, comma 752, della legge di bilancio 2021.

Il comma 21 reca una novella all'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 59 del 2021, concernente il Fondo complementare al PNRR, al fine di accelerare e semplificare gli interventi infrastrutturali anche connessi all'esigenza di contrastare il dissesto idrogeologico.

 

Il comma 1 stabilisce che i commissari per le attività di contrasto e mitigazione del dissesto idrogeologico, disciplinati da varia norme richiamate dal medesimo comma 1, esercitino le competenze sugli interventi relativi al contrasto al dissesto idrogeologico, indipendentemente dalla fonte di finanziamento. Tali commissari assumono la denominazione unica di “commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico”.

Si tratta dei:

a)     commissari straordinari delegati di cui all'art. 10, comma 1, del decreto-legge n. 91 del 2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.116 del 2014), come modificato dal comma 4 del presente articolo. Tale norma ha disposto l'immediato subentro dei Presidenti delle Regioni nelle funzioni dei commissari, e nella titolarità delle relative contabilità speciali, per la realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. La disposizione richiamata fa riferimento, in particolare, ai commissari individuati negli specifici accordi di programma sottoscritti tra le Regioni e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010). Tale comma 240 reca disciplina concernente i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, i quali risultano contenuti negli accordi di programma, sottoscritti dalla regione interessata e dal Ministero, finalizzati alla programmazione e al finanziamento degli interventi urgenti e prioritari.

b)    commissari di Governo di cui all’art. 7, comma 2, del decreto-legge n. 133 del 2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014), come modificato dal comma 7 del presente articolo. Tale norma dispone che, a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla Regione interessata e dal Ministero dell'ambiente. Gli interventi sono invece individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del medesimo Ministero, ed attuati dal Presidente della Regione in qualità di Commissario;

c)     commissari per l'emergenza e commissari straordinari per il dissesto richiamati dal Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale (di cui al d.P.C.m. 20 febbraio 2019);

d)    i commissari straordinari per il dissesto idrogeologico, richiamati dall’articolo 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge n. 32 del 2019 ("sblocca cantieri", come convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55), concernente, tra l'altro, i poteri derogatori dei commissari straordinari. In particolare, tale disposizione ­ prevede che le modalità e le deroghe previste per i c.d. commissari sblocca-cantieri (disciplinati dal medesimo articolo 4), salvo le eccezioni previste per i procedimenti relativi alla tutela di beni culturali e paesaggistici, nonché la possibilità di avvalersi di assistenza tecnica nell'ambito del quadro economico dell'opera, si applicano anche agli interventi dei Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico (per quanto concerne l'art. 4 del decreto-legge n. 32, v. infra).

 

Il comma 2 stabilisce che gli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico previsti dai citati decreti-legge n. 91 e n. 133 del 2014, nonché quelli finanziabili tra le linee di azione sulla tutela del territorio nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), siano qualificati come interventi di preminente interesse nazionale.

 

Per un quadro d'insieme sugli interventi in materia, si veda il temaweb "Dissesto idrogeologico" sul sito della Camera dei deputati.

Riguardo, in particolare, al Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale (c.d. ProteggItalia), si ricorda che ai sensi dell'art. 1, comma 3, 1 del d.P.C.m. 20 febbraio 2019, tale piano (contenuto nell'allegato A al citato decreto) "persegue la formazione di un quadro unitario, ordinato e tassonomico, concernente l'assunzione dei fabbisogni, la ripartizione relativa ai suddetti ambiti e misure di intervento; la sintesi delle risorse finanziarie disponibili; la ripartizione dei carichi operativi e il piano delle azioni; il sistema di governance e delle collaborazioni istituzionali; il cronoprogramma delle attività; i risultati attesi, anche in termini di impatti e benefici sociali ed economici, una criteriologia più referenziata, conosciuta e maggiormente trasparente di selezione degli interventi; un sistema di reporting, monitoraggio e controllo di gestione, opportunamente potenziato, anche mediante alimentazione e integrazione delle banche dati esistenti". Lo stesso Piano è articolato "in una pluralità di programmi obiettivo facenti capo a ciascuna delle amministrazioni competenti, che dovranno trovare sintesi preventiva e periodica verifica successiva nel livello più alto di coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri" (comma 4). Negli allegati al piano sono esposti "il prospetto ricognitivo analitico delle risorse finanziarie complessive concernenti la materia, recante il quadro composito delle risorse allocate e complessivamente disponibili" (allegato B) e "un documento recante linee guida in materia di semplificazione dei processi, rafforzamento organizzativo e della governance" (allegato C).

Riguardo alle risorse finanziarie, l'articolo 55 della legge n. 221 del 2015 (c.d. collegato ambientale) ha previsto, al fine di consentire la celere predisposizione del Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, favorendo le necessarie attività progettuali, l'istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, del Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico e ha demandato ad un apposito D.P.C.M. la definizione delle modalità di funzionamento del Fondo medesimo. Tale definizione è avvenuta con il D.P.C.M. 14 luglio 2016.

Con il D.P.C.M. 27 maggio 2014 è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale, la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche

 

Per quanto concerne le azioni dirette al contrasto del rischio idrogeologico nell'àmbito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), si rammenta qui brevemente che le risorse destinate alla tutela del territorio e della risorsa idrica sono allocate nella componente 4 della Missione 2, del PNRR. Si tratta, complessivamente, di 15,06 miliardi di euro, cui si devono aggiungere ulteriori 0,31 miliardi di euro dal programma REACT dell’UE. All'interno della citata componente 4, è previsto uno specifico investimento in favore delle misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico, con una dotazione di 2,49 miliardi di euro.

Per un approfondimento, si veda il dossier di documentazione sul PNRR, aggiornato al 15 luglio 2021.

 

Ai sensi del comma 3, i commissari di Governo, come individuati dal comma 1, sono chiamati a promuovere ed adottare in via prioritaria le misure necessarie per la più rapida attuazione degli interventi, di cui al comma 2. A tal fine, essi indirizzano le strutture regionali per la sollecita conclusione degli iter di approvazione e autorizzazione connessi agli interventi in oggetto, anche in coerenza con i criteri di priorità eventualmente individuati, dai Piani di gestione del rischio di alluvioni (PGRA) e dai Piani assetto idrologico (PAI).

Inoltre, le strutture regionali preposte al rilascio di pareri e nulla osta, anche ambientali, per gli interventi di prevenzione e mitigazione del dissesto idrogeologico, assumono le attività indicate dai commissari come prioritarie. A tal fine le medesime strutture sono chiamate ad aggiornare, se del caso, il sistema di misurazione della performance con le modalità di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2019. Quest'ultimo prevede che le amministrazioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale, adottando e aggiornando annualmente il Sistema di misurazione e valutazione della performance.

 

I Piani di Gestione del Rischio di Alluvioni sono disciplinati dall'art. 7 del decreto legislativo n. 49 del 2010 (recante "Attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni"). Lo stesso decreto legislativo prevede, all'art. 8, la predisposizione, da parte della autorità di bacino distrettuali, dei PGRA coordinati a livello di distretto idrografico (unità territoriale di riferimento per la gestione del rischio di alluvioni). Le regioni, in coordinamento tra di loro e in collaborazione con il Dipartimento della protezione civile, sono poi competenti in relazione al sistema di allertamento.

L'art. 67 del Codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006) prevede che, nelle more dell'approvazione dei piani di bacino, le Autorità di bacino adottino, piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAI), che contengano in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime.

 

Il comma 20 del presente articolo specifica che le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, non si applicano agli interventi connessi al superamento degli stati di emergenza di rilievo nazionale dichiarati con d.P.C.m. ai sensi dell'art. 24 del Codice della protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2018).

 

Il comma 4 prevede che il Ministro della transizione ecologica trasmetta una relazione annuale al Parlamento, entro il 30 giugno di ogni anno, contenente l'indicazione degli interventi di competenza dei Commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico e il loro stato di attuazione.

 

Il comma 5 reca alcune novelle all'art. 10 del decreto legge n. 91 del 2014 al fine di specificare che le disposizioni ivi previste si applicano ai Presidenti di Regione in qualità di Commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico. A tal fine sono novellati i commi 1, 2, 4 e 5 di tale articolo 10.

Con la medesima finalità, il comma 6 reca novella al comma 4 dell'art. 4 del decreto-legge n. 32 del 2019, introducendo nelle disposizioni ivi previste la nuova dicitura prevista per i commissari dal presente articolo 36-ter.

 

L'art. 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 reca una serie di disposizioni che incidono sulla disciplina per l’utilizzo delle risorse finanziarie e la realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.

Come già accennato, il comma 1 prevede che, a decorrere dal 25 giugno 2014, i Presidenti delle Regioni, nei territori di loro competenza, subentrino nelle funzioni degli esistenti Commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali, per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi, individuati negli specifici accordi di programma per la mitigazione del rischio idrogeologico. La novella in esame introduce quindi, per i Presidenti, la denominazione di "Commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico", prevedendo che le disposizioni in esame si applichino ai suddetti Commissari (e non ai Presidenti di Regione).

Il comma 2 dell'art. 10, come novellato, stabilisce che il Ministro della transizione ecologica nomini un commissario ad acta, in caso di dimissioni o di impedimento del predetto Commissario. Confermando la norma previgente, al Commissario non è dovuto alcun compenso.

Il comma 4 dell'art. 10 attribuisce ai Presidenti delle Regioni la possibilità di avvalersi di una serie di soggetti pubblici per l’espletamento di alcune funzioni. Ai sensi del successivo comma 5, nell’esercizio delle funzioni, per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, il Presidente della regione è titolare dei poteri di autorizzazione e approvazione dei progetti, nonché dei poteri di sostituzione e di deroga attribuiti ai commissari delegati dall'articolo 17 del decreto-legge n. 195 del 2009. Con la novella a tali commi 4 e 5 si prevede che le disposizioni ivi previste si applichino specificatamente ai Commissari (in luogo dei Presidenti delle Regioni).

 

I commi da 2 a 5 dell'art. 7 del decreto-legge n. 133 del 2014 contengono una serie di norme principalmente finalizzate all’utilizzo delle risorse per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nonché disposizioni volte ad agevolare la realizzazione degli interventi stessi. Come sopra accennato, il comma 2 è oggetto di modifica da parte del comma 7 del presente articolo (v. infra). Per le attività di progettazione ed esecuzione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico previsti dagli accordi di programma stipulati con le Regioni, i Presidenti delle Regioni possono richiedere di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di società in house nonché di soggetti pubblici e privati, purché nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica (comma 4).

Riguardo alle disposizioni in materia di procedure espropriative, di cui al comma 5 del medesimo art. 7, v. infra, commi 8-12 del presente articolo.

 

Il comma 7 modifica l'art. 7, comma 2, del citato decreto-legge n. 133 del 2014. Con la novella in esame, si prevede che gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e i rispettivi cronoprogrammi sono individuati con decreto del Ministro della transizione ecologica (in luogo del d.P.C.m. su proposta del Ministro dell'ambiente), previa intesa con il Presidente di ciascuna regione interessata. Viene altresì implicitamente soppressa la disposizione (di cui al primo periodo del comma 2 novellato) secondo la quale le risorse destinate al finanziamento degli interventi sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla Regione interessata e dal Ministero, che definisce altresì la quota di cofinanziamento regionale.

Inoltre la modifica in esame dispone in ordine alla revoca del Commissario, in caso di mancato rispetto del cronoprogramma degli interventi, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica. Si prevede che sia nominato un nuovo Commissario con specifiche competenze in materia di dissesto idrogeologico, al quale si applicano tutte le disposizioni dettate per i commissari con funzioni di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, che subentra nelle medesime funzioni ed assume i medesimi poteri del commissario revocato. Anche al nuovo commissario non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi spese o altri emolumenti di qualsiasi genere.

 La disposizione si applica quando il ritardo sia grave e non imputabile a cause indipendenti dalla responsabilità del Commissario.

 

Il comma 8 - come modificato a seguito del rinvio alle Commissioni riunite - novella il comma 4 del medesimo art. 7 del decreto-legge n. 133 del 2014, inserendo la nuova dicitura "commissari di Governo" in luogo di "Presidenti delle regioni".

 

Il comma 9 - come modificato a seguito del rinvio alle Commissioni riunite - stabilisce che il Commissario di Governo possa attuare interventi di manutenzione idraulica sostenibile e periodica dei bacini e sottobacini idrografici. Tali interventi sono finalizzati alla corretta manutenzione delle foci e della sezione fluviale anche al fine di ripristinare, in tratti di particolare pericolosità per abitati e infrastrutture, adeguate sezioni idrauliche per il deflusso delle acque, nel limite delle risorse allo scopo destinate.

Nell'espletamento di tali compiti il Commissario opera in collaborazione con le autorità di distretto e le amministrazioni comunali territorialmente competenti, anche attraverso i contratti di fiume.

 

L’art. 68-bis del decreto legislativo n. 152 del ha introdotto e disciplinato il nuovo strumento operativo dei contratti di fiume. In base al citato articolo 68-bis, tali contratti “concorrono alla definizione e all'attuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a livello di bacino e sottobacino idrografico, quali strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree”.

 

 

I commi 10-14 concernono lo snellimento delle procedure per la realizzazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, al fine di dare riscontro alle sollecitazioni pervenute in tal senso dagli enti territoriali. Le norme proposte - si legge nella Relazione Illustrativa - sono individuate quale 'punto di equilibrio tra la salvaguardia della vita umana (correlata all'attuazione degli interventi) e la normativa vigente in materia di espropri'.  In sostanza, pur mantenendo le salvaguardie minime a tutela degli interessi costituzionalmente garantiti, con le disposizioni in esame vengono ridottele tempistiche relative a talune tipologie di espropri e si recano semplificazioni nei casi di occupazione d’urgenza delle aree di intervento.

In particolare, il comma 10, facendo salvi i poteri già conferiti ex lege in tema di espropri ai Commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico, statuisce l'applicabilità delle disposizioni di cui ai successivi commi 11, 12 e 13, alle procedure relative agli interventi finalizzati all’eliminazione o alla mitigazione dei rischi derivanti dal dissesto idrogeologico sul territorio nazionale, a tutela del supremo obiettivo di salvaguardia della vita umana.

Il comma 11 riduce in via generale alla metà i termini recati dal TU in materia di espropriazione per pubblica utilità (di cui al DPR n. 327 del 2001[54]), ad eccezione dei seguenti:

-        il termine di 5 anni del vincolo preordinato all’esproprio di cui all’articolo 9 (Vincoli derivanti da piani urbanistici);

-        il termine di 30 giorni (di cui al comma 2 dell'articolo 11, La partecipazione degli interessati) successivi all'avviso di avvio del procedimento di esproprio agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto, durante i quali gli interessati possono formulare osservazioni che vengono valutate dall'autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni;

-        del termine recato dall’articolo 13 (Contenuto ed effetti dell'atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità), comma 5, il quale dispone: 'L'autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera può disporre la proroga dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni. La proroga può essere disposta, anche d'ufficio, prima della scadenza del termine e per un periodo di tempo che non supera i due anni';

-        quelli di cui all’articolo 14 (concernente l'Istituzione degli elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità), comma 3, lettera a), ove si prevede che l'autorità espropriante comunichi all'ufficio competente all'aggiornamento degli elenchi degli atti da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità, quale sia lo stato del procedimento d'esproprio, almeno sei mesi e non oltre tre mesi prima della data di scadenza degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità;

-        i termini recati dai commi 1, 8, 10 e 14 dell’articolo 20 (La determinazione provvisoria dell'indennità di espropriazione). In base al citato comma 1, divenuto efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità, entro i successivi trenta giorni il promotore dell'espropriazione compila l'elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria, e dei relativi proprietari, ed indica le somme che offre per le loro espropriazioni. L'elenco va notificato a ciascun proprietario, nella parte che lo riguarda, con le forme degli atti processuali civili. Gli interessati nei successivi trenta giorni possono presentare osservazioni scritte e depositare documenti. Ai sensi del predetto comma 8, qualora abbia condiviso la determinazione della indennità di espropriazione e abbia dichiarato l'assenza di diritti di terzi sul bene il proprietario è tenuto a depositare nel termine di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione di cui al comma 5, la documentazione comprovante, anche mediante attestazione notarile, la piena e libera proprietà del bene. In tal caso l'intera indennità, ovvero il saldo di quella già corrisposta a titolo di acconto, è corrisposta entro il termine dei successivi sessanta giorni. Decorso tale termine, al proprietario sono dovuti gli interessi, nella misura del tasso legale anche ove non sia avvenuta la immissione in possesso. In base al citato comma 10, l'atto di cessione volontaria è trasmesso per la trascrizione, entro quindici giorni presso l'ufficio dei registri immobiliari, a cura e a spese dell'acquirente. Infine, ai sensi del menzionato comma 14, decorsi inutilmente trenta giorni dalla notificazione di cui al comma 4, si intende non concordata la determinazione dell'indennità di espropriazione. L'autorità espropriante dispone il deposito, entro trenta giorni, presso la Cassa depositi e prestiti Spa, della somma senza le maggiorazioni; effettuato il deposito, l'autorità espropriante può emettere ed eseguire il decreto d'esproprio;

-        i termini di cui ai commi 3 e 5 dell'articolo 22 (Determinazione urgente dell'indennità provvisoria), i quali prevedono - rispettivamente - che: ricevuta dall'espropriato la comunicazione della determinazione urgente dell'indennità di espropriazione e la documentazione comprovante la piena e libera disponibilità del bene, l'autorità espropriante dispone il pagamento dell'indennità di espropriazione nel termine di sessanta giorni, decorso il quale al proprietario sono dovuti gli interessi nella misura del tasso legale; che in assenza della istanza del proprietario, l'autorità espropriante chiede la determinazione dell'indennità alla Commissione competente alla determinazione dell'indennità definitiva, che provvede entro il termine di trenta giorni, e dà comunicazione della medesima determinazione al proprietario, con avviso notificato con le forme degli atti processuali civili;

-        il termine di cui al comma 4 dall’articolo 22-bis (Occupazione d'urgenza preordinata all'espropriazione), il quale dispone che l'esecuzione del decreto che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione da emanarsi qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, debba aver luogo entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto medesimo;

-        il termine di cui al comma 5 dall’articolo 23 (Contenuto ed effetti del decreto di esproprio), con il quale viene disposta la trasmissione di un estratto del decreto di esproprio entro cinque giorni per la pubblicazione nella GU o nel Bollettino Ufficiale della Regione nel cui territorio si trova il bene; l'opposizione del terzo è proponibile entro i trenta giorni successivi alla pubblicazione dell'estratto, termine decorso il quale in assenza di impugnazioni, anche per il terzo l'indennità resta fissata nella somma depositata;

-        i termini di cui all'articolo 24, che - nel disciplinare l'Esecuzione del decreto di esproprio - prevede, al comma 1, che tale esecuzione ha luogo per iniziativa dell'autorità espropriante o del suo beneficiario, con il verbale di immissione in possesso, entro il termine perentorio di due anni, decorso il quale, ai sensi del comma 7, entro i successivi tre anni può essere emanato un ulteriore atto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità;

-        i termini recati dal comma 4 dell’articolo 25 (Effetti dell'espropriazione per i terzi), il quale dispone che a seguito dell'esecuzione del decreto di esproprio, il Prefetto convochi tempestivamente, e comunque non oltre dieci giorni dalla richiesta, il soggetto proponente e i soggetti gestori di servizi pubblici titolari del potere di autorizzazione e di concessione di attraversamento, per la definizione degli spostamenti concernenti i servizi interferenti e delle relative modalità tecniche. Il soggetto proponente, qualora i lavori di modifica non siano stati avviati entro sessanta giorni, può provvedervi direttamente, attenendosi alle modalità tecniche eventualmente definite;

-        il termine di cui al comma 10 dell’articolo 26 (Pagamento o deposito dell'indennità provvisoria), in base al quale il promotore dell'espropriazione esegue il pagamento dell'indennità accettata o determinata dai tecnici, entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto che ha ordinato il pagamento, salvo il caso in cui egli abbia proposto, entro lo stesso termine, l'opposizione alla stima definitiva dell'indennità;

-        il termine, di cui al comma 2 dell’articolo 27 (Pagamento o deposito definitivo dell'indennità a seguito della perizia di stima dei tecnici o della Commissione provinciale), di trenta giorni dalla comunicazione del deposito della relazione di stima decorso il quale l'autorità espropriante, in base alla relazione peritale e previa liquidazione e pagamento delle spese della perizia, su proposta del responsabile del procedimento, autorizza il pagamento dell'indennità, ovvero ne ordina il deposito presso la Cassa depositi e prestiti;

-        i termini recati dai commi 4 e 7 dell’articolo 42-bis (Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico). Il comma 4 dispone che il provvedimento di acquisizione, recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell'atto è liquidato l'indennizzo e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni; il comma 7 dispone che l'autorità che emana il provvedimento di acquisizione ne dia comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale;

-        i termini di cui all’articolo 46, che - nel disciplinare La retrocessione totale - prevede, al comma 1, che se l'opera pubblica o di pubblica utilità non è stata realizzata o cominciata entro il termine di dieci anni, decorrente dalla data in cui è stato eseguito il decreto di esproprio, ovvero se risulta anche in epoca anteriore l'impossibilità della sua esecuzione, l'espropriato può chiedere che sia accertata la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e che siano disposti la restituzione del bene espropriato e il pagamento di una somma a titolo di indennità; al comma 2, che dal rilascio del provvedimento di autorizzazione paesistica e sino all'inizio dei lavori decorre il termine di validità di cinque anni previsto dall'articolo 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, dell'autorizzazione stessa. Qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l'autorizzazione si considera valida per tutta la durata degli stessi;

-        il termine di cui al comma 3 dell’articolo 48, recante Disposizioni comuni per la retrocessione totale e per quella parziale, il quale prevede che, per le aree comprese nel suo territorio e non utilizzate per realizzare le opere oggetto della dichiarazione di pubblica utilità, il Comune può esercitare il diritto di prelazione, entro il termine di centottanta giorni, decorrente dalla data in cui gli è notificato l'accordo delle parti, contenente con precisione i dati identificativi dell'area e il corrispettivo, ovvero entro il termine di sessanta giorni, decorrente dalla notifica dell'atto che ha determinato il corrispettivo. Le aree così acquisite fanno parte del patrimonio indisponibile.

Il successivo comma 12 stabilisce che - in caso di emissione di decreto di occupazione di urgenza finalizzato all’espropriazione delle aree occorrenti per l’esecuzione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico - alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso si proceda, omesso ogni altro adempimento e in deroga all’articolo 24, comma 3, del citato DPR n. 327 del 2001, anche con la sola presenza di due rappresentanti della regione o degli altri enti territoriali interessati.

Si ricorda, al riguardo, che - nell'ambito della disciplina dell'Esecuzione del decreto di esproprio - il richiamato comma 3 dell'articolo 24 del DPR n. 327 del 2001 stabilisce invece che lo stato di consistenza e il verbale di immissione siano redatti in contraddittorio con l'espropriato o, nel caso di assenza o di rifiuto, con la presenza di almeno due testimoni che non siano dipendenti del beneficiario dell'espropriazione. Ai sensi del medesimo comma, possono, inoltre, partecipare alle operazioni i titolari di diritti reali o personali sul bene.

Il comma 13 disciplina l’occupazione d’urgenza ai fini dell’espropriazione delle aree occorrenti per la realizzazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, in particolare prevedendo che per siffatta occupazione e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti all'esecuzione delle opere e degli interventi, l’autorità procedente, qualora lo ritenga necessario, proceda a convocare la Conferenza di servizi di cui all'articolo 14 della Legge n. 241 del 1990[55], fissando a 30 giorni il termine massimo per il rilascio dei pareri in sede di Conferenza.

Nell'ambito del Capo IV (SEMPLIFICAZIONE DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA) della citata Legge n. 241 del 1990, l'articolo 14, nel disciplinare le Conferenze di servizi, stabilisce: al co. 1, che la conferenza di servizi istruttoria può essere indetta dall'amministrazione procedente, anche su richiesta di altra amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga opportuno per effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesime attività o risultati. Tale conferenza si svolge con le modalità previste dall'articolo 14-bis (Conferenza semplificata) o con modalità diverse, definite dall'amministrazione procedente. Il comma 2 prevede che la conferenza di servizi decisoria è sempre indetta dall'amministrazione procedente quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici. Quando l'attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da adottare a conclusione di distinti procedimenti, di competenza di diverse amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell'interessato, da una delle amministrazioni procedenti. Il comma 3 dispone che, per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, l'amministrazione procedente, su motivata richiesta dell'interessato, corredata da uno studio di fattibilità, può indire una conferenza preliminare finalizzata a indicare al richiedente, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivo, le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari pareri, intese, concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso, comunque denominati. L'amministrazione procedente, se ritiene di accogliere la richiesta motivata di indizione della conferenza, la indice entro cinque giorni lavorativi dalla ricezione della richiesta stessa. La conferenza preliminare si svolge secondo le disposizioni dell'articolo 14-bis, con abbreviazione dei termini fino alla metà. Le amministrazioni coinvolte esprimono le proprie determinazioni sulla base della documentazione prodotta dall'interessato. Scaduto il termine entro il quale le amministrazioni devono rendere le proprie determinazioni, l'amministrazione procedente le trasmette, entro cinque giorni, al richiedente. Ove si sia svolta la conferenza preliminare, l'amministrazione procedente, ricevuta l'istanza o il progetto definitivo, indice la conferenza simultanea nei termini e con le modalità di cui agli articoli 14-bis, comma 7, e 14-ter (Conferenza simultanea) e, in sede di conferenza simultanea, le determinazioni espresse in sede di conferenza preliminare possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nel successivo procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati sul progetto definitivo. Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto di fattibilità tecnica ed economica, al fine di indicare le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In base al co. 4, qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto, vengono acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell'articolo 14-ter, secondo quanto previsto dall'articolo 27-bis (Provvedimento autorizzatorio unico regionale) del D. Lgs. n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale). Ai sensi del co. 5, l'indizione della conferenza è comunicata ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. di cui all'articolo 7 (Comunicazione di avvio del procedimento), i quali possono intervenire nel procedimento ai sensi dell'articolo 9 (Intervento nel procedimento).

 

Nel loro complesso, le misure recate dai commi da 10 a 13 riprendono quanto già previsto da disposizioni vigenti che pertanto il comma 14 provvede ad abrogare. Si tratta, nel dettaglio, delle seguenti disposizioni:

- il comma 3-bis[56] dell'articolo 54 (Misure di semplificazione in materia di interventi contro il dissesto idrogeologico) del DL n. 76 del 2020[57] (L. n. 120 del 2020);

- il comma 5[58] dell’articolo 7 (Norme in materia di gestione di risorse idriche. Modifiche urgenti al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per il superamento delle procedure di infrazione 2014/2059, 2004/2034 e 2009/2034, sentenze C-565-10 del 19 luglio 2012 e C-85-13 del 10 aprile 2014; norme di accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per l'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati urbani; finanziamento di opere urgenti di sistemazione idraulica dei corsi d'acqua nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione) del DL n. 133 del 2014[59] (L. n. 164 del 2014);

- il secondo, terzo e quarto periodo del comma 6[60] dell’articolo 10 (Misure straordinarie per accelerare l'utilizzo delle risorse e l'esecuzione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale e per lo svolgimento delle indagini sui terreni della Regione Campania destinati all'agricoltura) del DL n. 91 del 2014[61] (L. n. 116 del 2014).

 

Il comma 15 stabilisce che il Ministero della transizione ecologica provvede, entro sessanta giorni dalla conversione in legge del presente decreto, alla ricognizione e omogeneizzazione dei propri sistemi informativi in materia di interventi per la difesa del suolo, anche sulla scorta delle indicazioni tecniche fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze atte ad assicurare un flusso informativo ordinato, omogeneo a livello nazionale, e coerente tra i diversi sistemi informativi.

Si indica la finalità di razionalizzare i differenti sistemi informativi correlati al finanziamento ed alla rendicontazione degli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico, ivi compresi quelli del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza.

 In base al comma 16, l’ISPRA, d’intesa con il Ministero della transizione ecologica, in esito alla ricognizione di cui al comma 15, elabora uno studio, per l’attuazione dei processi di interoperabilità con i sistemi informativi per il monitoraggio di gare, progetti, opere pubbliche e investimenti correlati agli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico, e svolge le attività tecniche e operative di propria competenza per l’attuazione del conseguente programma sulla base di apposita convenzione.

Inoltre, il comma 17 prevede che l’ISPRA svolga le predette attività sentite le competenti strutture

Ø  del Ministero dell’economia e delle finanze

Ø  e del Dipartimento per la programmazione economica ed il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Ø  nonché in raccordo con le altre amministrazioni centrali con competenze in materia di interventi di difesa del suolo e difesa idrogeologica

al fine di rendere più integrato, efficace, veloce e efficiente il sistema di monitoraggio e rendicontazione dei progetti, garantendo una adeguata informazione e pubblicità agli enti legittimati o destinatari.

 

Il comma 18 prevede- al fine di consentire un più rapido ed efficiente svolgimento delle attività di valutazione e selezione dei progetti da ammettere a finanziamento - che l’ISPRA, in coordinamento con le competenti Strutture del Ministero della transizione ecologica, provveda alla ricognizione delle funzionalità della piattaforma ReNDiS che necessitano di aggiornamento, adeguamento e potenziamento.

Il progetto di un "Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo (ReNDiS)" nasce nel 2005 a partire dall'attività di monitoraggio che l'ISPRA svolge, per conto del Ministero, sull'attuazione di Piani e programmi di interventi urgenti per la mitigazione del rischio idrogeologico finanziati dal Ministero stesso. In base a quanto riportato sul sito istituzionale, il principale obiettivo del Repertorio è la formazione di un quadro unitario, sistematicamente aggiornato, delle opere e delle risorse impegnate nel campo di difesa del suolo, condiviso tra tutte le Amministrazioni che operano nella pianificazione ed attuazione degli interventi, proponendosi come uno strumento conoscitivo potenzialmente in grado di migliorare il coordinamento e, quindi, l'ottimizzazione della spesa nazionale per la difesa del suolo, nonché di favorire la trasparenza e l'accesso dei cittadini alle informazioni.

 

A tal fine, il Ministero della transizione ecologica e l’ISPRA operano d'intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze e con il Dipartimento per la programmazione economica ed il coordinamento delle politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché in raccordo con le altre amministrazioni centrali con competenze in materia di interventi di difesa del suolo e difesa idrogeologica, al fine di rendere più integrato, efficace, veloce e efficiente il sistema di monitoraggio e rendicontazione dei progetti, garantendo una adeguata informazione e pubblicità agli enti legittimati o destinatari.

L’alimentazione del sistema ReNDiS avviene assicurando il principio di unicità dell’invio previsto dall’articolo 3, comma 1, lettera gggg-bis) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e garantendo l’interoperabilità con la banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

In base alla citata lett. ggggg-bis), il «principio di unicità dell'invio» è il principio secondo il quale ciascun dato è fornito una sola volta a un solo sistema informativo, non può essere richiesto da altri sistemi o banche dati, ma è reso disponibile dal sistema informativo ricevente. Tale principio si applica ai dati relativi a programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché a tutte le procedure di affidamento e di realizzazione di contratti pubblici soggette al codice dei contratti pubblici, e a quelle da esso escluse, in tutto o in parte, ogni qualvolta siano imposti dal presente codice obblighi di comunicazione a una banca dati.

 

Il comma 19 reca la copertura deli oneri derivanti dallo svolgimento delle attività dell’ISPRA di cui ai commi da 15 a 18, pari a euro

-        165.000 per il 2021

-        e 235.000 per il 2022, cui si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui articolo 1, comma 752, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021). Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Il comma 752 della legge di bilancio 2021 ha previsto, al fine di garantire l'attuazione del principio di risparmio dell'acqua attraverso la promozione della misurazione individuale dei consumi, l'istituzione di un fondo nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare denominato « Fondo per la promozione dell'uso consapevole della risorsa idrica » con una dotazione pari a 500.000 euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, destinato all'effettuazione, in collaborazione con l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, di campagne informative per gli utenti del servizio idrico integrato.

 

Riguardo al contenuto del comma 20, v. supra.

 

Il comma 21 reca una novella all'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 59 del 2021 (concernente il Fondo complementare al PNRR, come convertito dalla legge n. 101 del 2021).

L'art. 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 59, prevede una serie di obblighi di verifica a carico degli enti eroganti contributi per la progettazione e la realizzazione di investimenti in conto capitale. In particolare, si prevede che, ai fini della corretta programmazione finanziaria delle risorse e della erogazione dei contributi concessi per la progettazione e la realizzazione di investimenti relativi a interventi di spesa in conto capitale l'amministrazione erogante i predetti contributi verifica attraverso il sistema di cui al decreto legislativo n. 229 del 2011, e quelli ad esso collegati, l'avvenuta esecuzione da parte degli enti beneficiari dei relativi adempimenti amministrativi, ivi compresi:

a)    la presentazione dell'istanza di finanziamento nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 11 della legge n. 3 del 2003;

b)    l'affidamento dei relativi contratti;

c)     l'emissione di stati di avanzamento lavori;

d)    il monitoraggio fisico della realizzazione dell'intervento;

e)     la chiusura contabile e di cantiere dell'intervento;

f)      la chiusura del codice unico di progetto di cui all'articolo 11 della citata legge n. 3 del 2003.

Nel testo vigente, tale disciplina si applica "limitatamente" agli investimenti indicati all'articolo 1 del medesimo decreto-legge n. 59. Con la novella in esame si stabilisce che tale disciplina si applichi agli investimenti in conto capitale, "inclusi" gli investimenti di cui all'articolo 1 del medesimo decreto-legge n. 59.

La finalità dell'intervento è individuata nell'accelerazione e semplificazione degli interventi infrastrutturali, anche connessi all'esigenza di contrastare il dissesto idrogeologico.

 

Si ricorda che l’articolo 1 del decreto-legge n. 59 del 2021 dispone l’approvazione del Piano nazionale per gli investimenti complementari, finalizzato ad integrare, con risorse nazionali, gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), per complessivi 30,6 miliardi di euro per gli anni dal 2021 al 2026 (comma 1).

Il comma 2 ripartisce le risorse del Fondo tra le Amministrazioni centrali competenti, individuando i programmi e gli interventi cui destinare le risorse ed il relativo profilo finanziario annuale.

I commi 6-7 disciplinano le modalità per l’attuazione degli investimenti previsti dal Piano, ai quali si applicano, in quanto compatibili, le medesime procedure di semplificazione e accelerazione, nonché le misure di trasparenza e conoscibilità dello stato di avanzamento, stabilite per il PNRR. Ai fini del monitoraggio degli investimenti previsti dal Piano complementare è prevista l’emanazione di un decreto del MEF entro trenta giorni con l’individuazione per ciascun intervento o programma degli obiettivi iniziali, intermedi e finali, in relazione al cronoprogramma finanziario e in coerenza con gli impegni assunti nel PNRR.

Il comma 7-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, disciplina la revoca del finanziamento nei casi di mancato rispetto dei termini previsti dal cronoprogramma procedurale degli adempimenti e di mancata alimentazione dei sistemi di monitoraggio, qualora non risultino assunte obbligazioni giuridicamente vincolanti.

I commi 7-ter e 7-quater, inseriti nel corso dell’esame al Senato, recano disposizioni specifiche inerenti l’attuazione di interventi di pertinenza del Ministero della salute e del Ministero della cultura (per i quali si rinvia alla relativa scheda di lettura).

Il comma 7-quinquies, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede la presentazione di una relazione annuale alle Camere sulla ripartizione territoriale dei programmi e degli interventi compresi nel Piano nazionale per gli investimenti complementari.

Il comma 8 dispone che l’attuazione degli interventi del Piano Nazionale complementare, soggetti alla procedura di notifica alla Commissione UE, è subordinata alla previa autorizzazione della Commissione. Secondo quanto introdotto in prima lettura al Senato, le amministrazioni attuano gli interventi ricompresi nel Piano in coerenza con il principio dell’assenza di un danno significativo agli obiettivi ambientali.

Il comma 9 reca la quantificazione degli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 1.

 

 

 


 

Articolo 37
(
Misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali)

 

L’articolo 37, modificato in sede referente, reca misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali, al fine di accelerare le procedure di bonifica dei siti contaminati e la riconversione di siti industriali da poter destinare alla realizzazione dei progetti individuati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, in un’ottica di economia circolare e finanziabili con gli ulteriori strumenti di finanziamento europei. A tali fini, si recano novelle a diversi articoli del Codice dell’ambiente (D. Lgs. n. 152 del 2006)

Con una modifica in sede referente, è stata soppressa la previsione che ricomprendeva nel campo di applicazione del Regolamento aree agricole di cui al DM n. 46 del 2019 non solo le aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, ma anche quelle che, secondo gli strumenti di pianificazione urbanistica, hanno destinazione agricola ma non sono effettivamente utilizzate per la produzione agricola e l’allevamento (lettera a).

Si modificano gli articoli 242, 248 e 250 (quest'ultimo in base ad una modifica in sede referente) del Codice dell’ambiente al fine di dare certezza ai tempi di esecuzione delle bonifiche e di agevolare le attività necessarie alla certificazione di avvenuta bonifica (lettere b), f ed f-bis).

Si novella l’articolo 242-ter del medesimo Codice al fine di ricomprendere anche i progetti del PNRR tra gli interventi e le opere realizzabili nei siti oggetto di bonifica (lettera c). Si novella la disciplina della gestione delle acquee sotterranee emunte, estratte dal sottosuolo, di cui all’articolo 243 del Codice dell'Ambiente, al fine di precisare che il relativo trattamento deve effettuarsi anche in caso di utilizzo nei cicli produttivi in esercizio nel sito, prevedendo altresì il dimezzamento dei termini per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico, al fine di accelerare le attività di messa in sicurezza della falda; si modifica l’articolo 245 del Codice ambiente per incentivare le procedure di caratterizzazione da parte dei soggetti non responsabili della contaminazione (lettere d) ed e).

In materia di controlli, si prevede che i controlli debbano effettuarsi anche sul rispetto dei tempi di esecuzione; si attribuisce alla Regione il potere sostitutivo di rilascio della certificazione con la quale si accerta il completamento degli interventi di messa in sicurezza permanente ed operativa, nonché la conformità al progetto approvato, qualora la Provincia non vi provveda entro trenta giorni dal ricevimento della prevista relazione tecnica, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni. Inoltre, si prevede la possibilità di procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente al suolo, sottosuolo e materiali di riporto qualora gli obiettivi individuati per tali matrici ambientali vengano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda acquifera, con certificazione da adottare all'esito delle verifiche tecniche; la certificazione deve comprendere anche un piano di monitoraggio (comma 1, lettera f), n. 1)-3)). Si consente a regioni, province autonome ed enti locali territoriali, individuati quali soggetti beneficiari o attuatori, di avvalersi di società in house del MITE, attraverso la stipula di apposite convenzioni, allo scopo di favorire l'accelerazione degli interventi per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale (lettera g).

Si recano novelle alla disciplina dei Siti di interesse nazionale (lettera h)), novellando in più punti l'articolo 252 del Codice dell'ambiente, prevedendo, tra l'altro, una procedura semplificata di applicazione a scala pilota di tecnologie di bonifica innovative anche finalizzata all'individuazione dei parametri di progetto necessari per l'applicazione a piena scala; tale applicazione non è soggetta a preventiva approvazione del MITE e può essere eseguita a condizione che avvenga in condizioni di sicurezza sanitaria ed ambientale. Si prevede (nuovo comma 9-quater) l’attribuzione al MITE della competenza ad adottare, con decreto di natura non regolamentare, i modelli delle istanze ed i contenuti minimi della documentazione tecnica da allegare per l'avvio dei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale, nonché, con decreto, le norme tecniche in base alle quali l'esecuzione del piano di caratterizzazione sia sottoposto a comunicazione di inizio di attività.

Si recano talune modifiche all'articolo 252-bis del Codice dell'Ambiente, in materia di siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (lett. i).

Al nuovo comma 1-bis, introdotto in sede referente, si apportano talune modifiche all'articolo 3 del d.l. n. 2 del 2012, recante disposizione di interpretazione autentica dell'articolo 185 del Codice ambientale, in materia di matrici materiali di riporto.

Si prevede al comma 2 una clausola di invarianza finanziaria per l'attuazione delle disposizioni recate dall'articolo medesimo.

 

Nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo in esame interviene sugli articoli 241 e 242 del D. Lgs. n. 152 del 2006, recante Norme in materia ambientale (Codice dell’ambiente).

Le modifiche sono destinate ad accelerare le procedure di bonifica dei siti contaminati e la riconversione di siti industriali da poter destinare alla realizzazione dei progetti individuati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e finanziabili con gli ulteriori strumenti di finanziamento europei.

Le modifiche impattano sul Titolo V, Parte quarta, del menzionato decreto legislativo, concernenti – rispettivamente:

Ø  la bonifica di siti contaminati

Ø  norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati.

 

Con un intervento apportato in sede referente è stata soppressa la lettera a) del testo originario, che aggiungeva un nuovo comma 1-bis all’articolo 241 del citato D. Lgs., allo scopo di ricomprendere nel campo di applicazione del Regolamento aree agricole di cui al DM n. 46 del 2019 non solo le aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, ma anche quelle che, secondo gli strumenti di pianificazione urbanistica, hanno destinazione agricola ma non sono effettivamente utilizzate per la produzione agricola e l’allevamento.

Tale comma veniva introdotto al fine di prevedere che, nelle aree con destinazione agricola secondo gli strumenti urbanistici ma non utilizzate per la produzione agricola e l’allevamento da almeno dieci anni alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, si applichino le procedure del Titolo V e le concentrazioni di soglia di contaminazione di cui alla Tabella 1, Allegato 5, Titolo V, Parte quarta, del T.U. ambiente, individuate tenuto conto delle attività effettivamente condotte all'interno delle aree. Si prevedeva, altresì, che - in assenza di attività commerciali e industriali - si applicasse la colonna A  e che le disposizioni del medesimo Titolo si applicassero anche in tutti i casi in cui non trovasse applicazione il Regolamento aree agricole

 

La lettera b), modificata in sede referente, aggiunge due nuovi commi e interviene sui commi 7 e 13 dell’articolo 242 del D. Lgs. n. 152 del 2006, concernente le procedure operative ed amministrative, ovvero le misure da porre in opera al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito o all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.

Per l’illustrazione complessiva del richiamato articolo 242 si rinvia al successivo approfondimento, infra.

Nel dettaglio, la lettera in commento interviene sul comma 7 della disposizione del Codice dell'ambiente aggiungendo una frase all’ultimo periodo, al fine di prevedere che, con il provvedimento di approvazione regionale del progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, siano stabiliti non solo i tempi di esecuzione nonché indicate le eventuali prescrizioni per l'esecuzione dei lavori, ma anche:

Ø  le verifiche intermedie per la valutazione dell’efficacia delle tecnologie di bonifica adottate

Ø  e le attività di verifica in corso d’opera necessarie per la certificazione di cui all’articolo 248, comma 2, con oneri a carico del proponente.

Il citato comma 7 disciplina la procedura di bonifica che il soggetto responsabile è tenuto ad avviare nel caso in cui le attività di monitoraggio rilevino il superamento di una o più concentrazioni soglia di rischio. Esso stabilisce, infatti, che - qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) - il soggetto responsabile sottoponga alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. Si prevede che la regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approvi il progetto, con eventuali prescrizioni e integrazioni, entro 60 giorni dal ricevimento, termine che può essere sospeso una sola volta, qualora la regione ravvisi la necessità di richiedere, con atto motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto, assegnando un congruo termine per l'adempimento. In tale ipotesi il termine per l'approvazione del progetto decorre dalla presentazione del progetto integrato. Il vigente ultimo periodo del comma 7 stabilisce che, con il provvedimento di approvazione del progetto in questione, siano stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l'esecuzione dei lavori ed è fissata l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al 50% del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.

Si ricorda che in base al citato articolo 248, co. 2, il completamento degli interventi di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla provincia mediante apposita certificazione sulla base di una relazione tecnica predisposta dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente.

 

La lettera in commento aggiunge (al n. 2) il nuovo comma 7-bis all’articolo 242 del T.U. ambiente.

Il nuovo comma stabilisce che, qualora gli obiettivi individuati per la bonifica del suolo, sottosuolo e materiali di riporto siano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda, è possibile procedere alla certificazione di avvenuta bonifica di cui all'articolo 248 limitatamente alle predette matrici ambientali, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate; resta fermo l'obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione. In tal caso si prevede la necessità di dimostrare e garantire nel tempo che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione, non comportino un rischio per i fruitori dell’area, né una modifica del modello concettuale tale da comportare un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici secondo le specifiche destinazioni d'uso. Si prevede, altresì, che le sopra menzionate garanzie finanziarie di cui all’articolo 242, comma 7, del T.U. (novellato dalla disposizione in esame) ambiente, siano comunque prestate per l'intero intervento e siano svincolate solo al raggiungimento di tutti gli obiettivi di bonifica.

 

La lettera in esame sopprime inoltre il terzo e il quarto periodo del comma 13 dell’articolo 242 del T.U. ambiente.

Il citato comma 13 prevede - al primo periodo - che la procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica si svolga in Conferenza di servizi convocata dalla regione e costituita dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi, autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel piano e nel progetto. Esso stabilisce, altresì (al secondo periodo) che la relativa documentazione sia inviata ai componenti della predetta Conferenza almeno 20 giorni prima della data fissata per la discussione e, in caso di decisione a maggioranza, che la delibera di adozione fornisca adeguata e analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.

La lettera in commento sopprime quindi i successivi due periodi che prevedono, rispettivamente:

Ø  la competenza della provincia in materia di rilascio della certificazione di avvenuta bonifica;

Ø   l’eventuale competenza della regione in caso di inadempienza della provincia entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della delibera di adozione.

 

In sintesi, si rammenta che in materia di bonifica dei siti contaminati, l'articolo 242 del D. Lgs. 152/2006, come vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto, stabilendo le procedure operative ed amministrative, prevede che: al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento metta in opera entro 24 ore le necessarie misure di prevenzione, dandone immediata comunicazione; medesima procedura si applica all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione (comma 1);il responsabile dell'inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provveda al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con autocertificazione, al comune e alla provincia competenti per territorio entro 48 ore dalla comunicazione. L'autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui all’articolo in commento, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell'autorità competente da effettuarsi nei successivi 15 giorni. Nel caso in cui l'inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo (comma 2); qualora l'indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l'avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro - il responsabile dell'inquinamento ne deve dare immediata notizia al comune e alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi 30 giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente, il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all'Allegato 2, parte quarta del D. Lgs. 152/2006. Entro i successivi 30 giorni la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. L'autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della PA (comma 3). Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); in base al comma 5, qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle CSR, la conferenza dei servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. In tal caso la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell'analisi di rischio e all'attuale destinazione d'uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro 60 giorni dall'approvazione di cui sopra, invia alla provincia e alla regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono individuati: a) i parametri da sottoporre a controllo; b) la frequenza e la durata del monitoraggio; in base al comma 6, la regione, sentita la provincia, approva il piano di monitoraggio entro 30 giorni dal ricevimento dello stesso (termine sospendibile una sola volta, qualora l'autorità competente ravvisi la necessità di richiedere, con atto motivato, integrazioni documentali o approfondimenti del progetto, assegnando congruo termine per l'adempimento). Alla scadenza del periodo di monitoraggio, il soggetto responsabile ne dà comunicazione alla regione e alla provincia, inviando una relazione tecnica degli esiti del monitoraggio svolto. Qualora le attività di monitoraggio rilevino il superamento di una o più CSR, il soggetto responsabile dovrà avviare la procedura di bonifica di cui al comma 7. In base al comma 8, i criteri per la selezione e l'esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché per l'individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C. - Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle normative comunitarie sono riportati nell'Allegato 3 alla parte quarta del decreto in commento. La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati, garantisce adeguata sicurezza sanitaria e ambientale e impedisce un'ulteriore propagazione dei contaminanti. I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da piani di monitoraggio dell'efficacia delle misure adottate e indicano se all'atto della cessazione dell'attività si renderà necessario un intervento di bonifica o di messa in sicurezza permanente. Possono essere altresì autorizzati interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi (co. 9). Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, in sede di approvazione del progetto, assicura che i predetti interventi siano articolati in modo da risultare compatibili con la prosecuzione dell’attività; nel caso di eventi avvenuti anteriormente all'entrata in vigore della parte quarta del decreto in esame, che si manifestino successivamente a tale data in assenza di rischio immediato per l'ambiente e la salute pubblica, il soggetto interessato comunica alla regione, alla provincia e al comune competenti l'esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l'entità e l'estensione con riferimento ai parametri indicati nelle CSC ed applichi le procedure indicate. Le indagini e le attività istruttorie sono svolte dalla provincia, che si avvale della competenza tecnica dell'ARPA e si coordina con le altre amministrazioni. Si ricorda che in base al comma 13-bis, per la rete di distribuzione carburanti si prevede si applichino le procedure semplificate di cui all'articolo 252, comma 4.

 

Con un emendamento approvato in sede referente, si introduce infine un nuovo comma 13-ter all'art. 242 del Codice dell'Ambiente, volto a stabilire un procedimento amministrativo di definizione dei valori di fondo nelle ipotesi in cui la procedura di bonifica interessi un sito, in cui, per fenomeni di origine naturale o antropica, le concentrazioni rilevate superino il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta del Codice dell'Ambiente.

Il Valore di fondo, nella definizione della normativa tecnica vigente (ISO 19258) è la concentrazione di una sostanza nel suolo derivante dai processi geologici e pedologici comprendente anche l'apporto di sorgenti diffuse. La determinazione dei valori di fondo implica l'individuazione di un valore-obiettivo, diverso da quello previsto per legge e caratteristico dell'area in cui si colloca il sito oggetto di indagine, determinato da particolari condizioni naturali (valore di fondo naturale) oppure da apporti antropici di origine non individuabile e con carattere diffuso.

Con particolare riferimento alla valutazione dei valori di fondo nella bonifica dei siti contaminati, la disciplina generale di riferimento è contenuta nella parte quarta del Codice Ambientale e nei relativi allegati.

La citata tabella 1 indica - per ciascun composto inorganico ivi elencato - quali sono i valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nel suolo e nel sottosuolo, con riferimento alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare: alla colonna A ci si riferisce ai siti ad uso verde pubblico e privato e residenziale; alla colonna B ci si riferisce ai siti ad uso commerciale e industriale (che presentano una CSC più elevata rispetto ai siti della colonna A). 

In tale ipotesi si prevede che:

Ø  il proponente può presentare all'ARPA territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo da assumere;

Ø  tale piano, condiviso con l'ARPA, è realizzato dal proponente -con oneri a proprio carico e in contraddittorio con l'ARPA - entro 60 giorni dalla data di presentazione del piano medesimo;

Ø  l'ARPA definisce i valori di fondo, sulla base delle risultanze del piano di indagine (che può fare riferimento anche ai dati pubblicati e validati dall'ARPA relativamente all'area interessata) nonché di altri dati disponibili sull'area oggetto di indagine.

è fatta salva la facoltà dell'ARPA di esprimersi sulla compatibilità delle CSC rilevate nel sito con le condizioni geologiche, idrogeologiche ed antropiche del contesto territoriale di riferimento e, in tale circostanza, le CSC riscontrate nel sito sono ricondotte ai valori di fondo. Tale ultima previsione viene altresì inserita nell'ambito delle modifiche recate al comma 1, lettera c), dell'articolo in esame (su cui si veda infra). 

 

Il comma 1, lettera c), interviene con cinque novelle all'articolo 242-ter del d. lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), recante interventi e opere nei siti oggetto di bonifica.

L'articolo 242-ter del Codice dell'ambiente è stato introdotto dall'articolo 52, comma 1, del d. l. c.d. "semplificazioni" n. 76 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 del 2020, al fine di ampliare e semplificare la realizzazione di determinati interventi in aree incluse nel perimetro di terreni che sono oggetto di bonifica, a condizione che tali interventi non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il compimento della bonifica, né determinino rischi per la salute dei lavoratori. In tale ambito, si sono altresì disciplinate le procedure e le modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati, abrogando, conseguentemente, quanto disposto dai commi da 7 a 10 dell’art. 34 del D.L. 133/2014 (cd. Decreto “Sblocca Italia”), sulla gestione dei materiali di scavo nei siti oggetto di bonifica per la realizzazione di determinate opere.

·     Una prima novella concerne il comma 1 dell'articolo 242-ter, prevedendosi che - in aggiunta agli interventi e alle opere che possono già essere realizzati nei siti oggetto di bonifica, ivi compresi i siti di interesse nazionale - possano essere realizzati anche i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (comma 1, lettera c), n. 1).

La relazione illustrativa specifica che attraverso questa previsione anche i siti non ancora bonificati possono essere immediatamente utilizzati per la realizzazione dei progetti del PNRR.

Gli interventi previsti dal comma 1 del citato art. 242-ter riguardano:

- interventi e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro;

- manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative;

- opere lineari necessarie per l’esercizio di impianti e forniture di servizi;

- altre opere lineari di pubblico interesse;

- sistemazione idraulica;

- mitigazione del rischio idraulico;

- opere per la realizzazione di impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo, esclusi gli impianti termoelettrici (fatti salvi i casi di riconversione da un combustibile fossile ad altra fonte meno inquinante o qualora l’installazione comporti una riduzione degli impatti ambientali rispetto all’assetto esistente), incluse le opere con le medesime connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti;

- tipologie di opere e interventi individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 7-bis del Codice dell’ambiente, cioè gli interventi statali sottoposti a VIA presenti nell’allegato II alla parte seconda del Codice dell’ambiente (in sostanza grandi impianti come raffinerie, elettrodotti, centrali termiche, strade, ferrovie, etc).

·       Una seconda novella inserisce un nuovo comma 1-bis all'articolo 242-ter prevedendo che le disposizioni sugli interventi e le opere da realizzare nei siti oggetto di bonifica si applichino anche per la realizzazione di opere che non prevedono scavi ma comportano occupazione permanente di suolo, a condizione che sul sito oggetto di bonifica sia già stata effettuata la caratterizzazione di cui all'articolo 242 (comma 1, lettera c), n. 2), della disposizione in esame).

L’art. 242 del Codice dell’ambiente disciplina le procedure operative ed amministrative per l’effettuazione delle analisi in caso di un evento che potenzialmente potrebbe contaminare un sito; in particolare, sono disciplinate le attività riguardanti le analisi del livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) del sito.

La caratterizzazione ambientale di un sito è identificabile con l'insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito. Le attività di caratterizzazione devono essere condotte in modo tale da permettere la validazione dei risultati finali da parte delle Pubbliche Autorità in un quadro realistico e condiviso delle situazioni di contaminazione eventualmente emerse.

·     La terza e la quarta novella all'articolo 242-ter (nn. 3 e 4) - con cui si interviene sui commi 2 e 3 della norma novellata - sono conseguenziali alla precedente modifica, come di seguito specificato:

- il comma 2 è modificato prevedendo che l'effettuazione della caratterizzazione ambientale sul sito oggetto di bonifica di cui al nuovo comma 1-bis rientri tra le condizioni al rispetto delle quali è prevista la valutazione da parte dell’Autorità competente ai sensi del Titolo V, parte quarta del Codice dell'Ambiente (ossia la Regione o il Ministero dell’ambiente, ora MITE) nell’ambito dei procedimenti di approvazione ed autorizzazione degli interventi, e, ove prevista, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) dei medesimi interventi.

Le altre condizioni al rispetto delle quali è effettuata la valutazione dell'Autorità competente, contemplate al comma 1, sono le seguenti:

- che gli interventi siano realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il completamento della bonifica;

- che i medesimi interventi non determinino rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area nel rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro).

 

- Il comma 3 novellato estende alla realizzazione delle opere senza scavi e con occupazione permanente di suolo (di cui al nuovo comma 1-bis) la procedura semplificata - senza cioè la preventiva autorizzazione della predetta Autorità competente - che la normativa vigente già prevede per la realizzazione degli interventi e delle opere nei siti oggetto di bonifica, ivi compresi i siti di interesse nazionale individuate dal comma 1, e per le attività di scavo previste dall’articolo 25 del D.P.R. 120/2017, da realizzare nei siti oggetto di bonifica (n. 4 della lettera c) della disposizione in esame).

Il D.P.R. 120/2017, emanato ai sensi dell’art. 8 del D.L. 133/2014 per il riordino dell’intera materia “Terre e rocce da scavo”, individua, tra l’altro, la disciplina per la gestione delle terre e rocce da scavo, anche quando sono prodotte nei siti oggetto di bonifica e per le relative attività di verifica e controllo, poste in capo alle Agenzie di protezione ambientale (ARPA); in particolare, gli artt. 25 e 26 del citato D.P.R. 120/217 sono riferiti specificamente alla gestione delle terre e rocce da scavo prodotte nei siti oggetto di bonifica già caratterizzati ed al loro riutilizzo esclusivamente interno al sito di produzione, per cui il materiale scavato, conforme alle condizioni di utilizzo, appartiene alla fattispecie delle terre e rocce da scavo escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti e non a quella dei sottoprodotti.

Si ricorda che con le Linee Guida del Sistema nazionale a rete (SNPA) n. 22/2019 sono state dettate linee guida  sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo di terre e rocce da scavo con riferimento ai temi trattati nel DPR 120/2017, quali: le operazioni di caratterizzazione, la gestione come sottoprodotto o nella previsione della loro esclusione dalla disciplina dei rifiuti, con particolare riferimento a contesti specifici quali ad esempio la gestione nei siti oggetto di procedimenti di bonifica, materiali contenenti amianto, presenza di materiali di riporto, chiarendo anche  alcuni aspetti con riguardo alla “normale pratica industriale”; le Linee guida forniscono poi indicazioni alle agenzie del SNPA circa i criteri per la programmazione delle ispezioni, controlli e verifiche nonché sui criteri per le verifiche tecniche ed amministrative finalizzate alla valutazione preliminare del piano di utilizzo.

·     Con una quinta novella all'art. 242-ter si introduce il nuovo comma 4-bis nella norma novellata, prevedendo l'applicazione della procedura di cui all'articolo 11 del D.P.R. n. 120 del 2017 per la definizione dei valori di fondo naturale (n. 5 della lettera c) in esame).

Nella relazione illustrativa si precisa che in tal modo si rendono immediatamente fruibili per nuovi investimenti aree non contaminate ma caratterizzate dalla presenza naturale di determinati elementi (quali ad es. l'arsenico).

I valori di fondo naturale (ISO 19258) sono caratteristiche statistiche del contenuto naturale pedogeochimico di una sostanza nei suoli. L'esigenza di definire tali valori si spiega col fatto che tali fenomeni naturali determinano la presenza o l'arricchimento di sostanze minerali le cui proprietà tossicologiche possono determinare effetti dannosi per la salute umana. Questi casi devono essere considerati in maniera differente rispetto ai fenomeni di inquinamento antropico, ossia generati dalle attività umane, perché in questi casi la legge ammette che i valori limite di legge (le cosiddette 'CSC', acronimo di 'Concentrazioni Soglia di Contaminazione') dei suoli e delle acque possano essere superati, a condizione che sia accertata e dimostrata l'origine naturale delle concentrazioni eccedenti.

In base alla procedura di cui all'articolo 11 del D.P.R. n. 120 del 2017 il proponente segnala il superamento delle soglie di legge e contestualmente presenta all'Agenzia di protezione ambientale (ARPA) territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo naturale da assumere. Tale piano, condiviso con la competente Agenzia, è eseguito dal proponente con oneri a proprio carico, in contraddittorio con l'Agenzia entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso. Sulla base delle risultanze del piano di indagine, nonché di altri dati disponibili per l'area oggetto di indagine, l'ARPA competente definisce i valori di fondo naturale. Il proponente predispone il piano di utilizzo sulla base dei valori di fondo definiti dall'ARPA.

 

Con il già indicato intervento emendativo apportato in sede referente (introduttivo del nuovo co. 13-ter all'art. 242 del Codice ambiente), si aggiungono infine due ulteriori periodi al nuovo comma 4-bis dell'art. 242-ter, prevedendo in capo all'ARPA territorialmente competente la facoltà di esprimersi sulla compatibilità delle CSC rilevate nel sito con le condizioni geologiche, idrogeologiche ed antropiche del contesto territoriale di riferimento e, in tale circostanza, le CSC riscontrate nel sito sono ricondotte ai valori di fondo.

 

Il comma 1, lettera d) interviene con due novelle al comma 6 dell'articolo 243 del Codice dell'Ambiente, in materia di gestione delle acque sotterranee emunte (ovvero estratte dal sottosuolo).

Con la prima modifica si prevede che il trattamento delle acque emunte - finalizzato a garantire un'effettiva riduzione delle sostanze inquinanti e di evitare il trasferimento ai corpi idrici superficiali della contaminazione presente nelle acque sotterranee - debba effettuarsi anche in caso di utilizzazione nei cicli produttivi in esercizio nel sito.

La seconda modifica - introduttiva, alla fine del comma, di un nuovo periodo - è invece volta a prevedere il dimezzamento dei termini per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico delle acque emunte al fine di garantire la celerità degli interventi di messa in sicurezza, di emergenza e di prevenzione.

Si ricorda che l'art. 41, comma 1, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, ha recato semplificazioni in materia di trattamento delle acque emunte nell'ambito di interventi di bonifica. La normativa in materia prevede che, al fine di impedire e arrestare l'inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell'inquinamento delle acque, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento, devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall'articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette; in caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza del Codice.

I co. 2-4 della norma disciplinano la gestione delle acque emunte (con ricorso al barrieramento fisico, ovvero in caso di immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura previo trattamento depurativo, ovvero mediante acque convogliate tramite un sistema stabile di collettamento. In base al co. 5, in deroga a quanto previsto dalla normativa indicata  e ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte; a tal fine il progetto di cui all'articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono essere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate.

 

Il comma 1, lettera e) modifica il comma 2 dell'articolo 245 del Codice dell'ambiente in materia di obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione, aggiungendo due nuovi periodi (dopo il secondo periodo del testo vigente) volti ad integrare il procedimento di identificazione del soggetto responsabile della contaminazione di un sito.

Sulla base della normativa previgente - contemplata a regime dai primi due commi dell'art. 245 - le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale possono essere sempre attivate su iniziativa degli interessati non responsabili. Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di un sito, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il rischio del superamento del livello di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le prescritte misure di prevenzione. La provincia, una volta ricevute le suddette comunicazioni, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito.

L'intervento in esame prevede che il suddetto procedimento sia interrotto qualora il soggetto non responsabile della contaminazione - entro 6 mesi dall'approvazione o comunicazione della procedura di bonifica attribuita alla competenza del MITE ai sensi dell'art. 252, comma 4 - esegua volontariamente il piano di caratterizzazione e che, in questo caso, il procedimento di identificazione del responsabile debba concludersi entro il termine perentorio di 60 giorni dal ricevimento delle risultanze dalla predetta caratterizzazione validate dall'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) competente.

Nella relazione illustrativa si sottolinea che la modifica in esame consente di introdurre tempi certi per l'individuazione del soggetto responsabile della contaminazione da parte della Provincia e fornisce al soggetto non responsabile della contaminazione (cha ha avviato volontariamente le procedure di bonifica) lo strumento per agire in via di rivalsa nei confronti del soggetto responsabile.

Per la procedura di bonifica di cui al comma 4 dell'art. 252 del Codice dell'ambiente, si veda infra, con riferimento alle modifiche recate dal comma 1, lettera h), dell'articolo in esame.

 

 

Il comma 1, lettera f), introduce tre novelle all'articolo 248 del Codice dell'ambiente in materia di controlli:

·     al comma 1, si prevede che i controlli - effettuati dalla provincia e dall'ARPA territorialmente competente sulla conformità degli interventi (di bonifica e di messa in sicurezza) ai progetti approvati - debbano effettuarsi anche sul rispetto dei tempi di esecuzione di cui all'articolo 242, comma 7.

Ai sensi dell'art. 242, comma 7, del Codice dell'Ambiente, qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. In presenza di interventi complessi, il progetto può essere articolato per fasi progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento. Il predetto termine può essere suscettibile di sospensione per una volta sola qualora sia necessario richiedere, con atto motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto, assegnando un congruo termine per l'adempimento. Con il provvedimento di approvazione del progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l'esecuzione dei lavori ed è fissata l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.

·     La modifica recata al comma 2, con un periodo aggiunto, è volta ad attribuire alla Regione il potere sostitutivo di rilascio della certificazione con la quale - sulla base della relazione tecnica predisposta dall'ARPA territorialmente competente -  si accerta il completamento degli interventi di messa in sicurezza permanente ed operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato.

Si prevede che tale potere possa essere attivato qualora la Provincia non vi provveda entro trenta giorni dal ricevimento della predetta relazione tecnica e che debba essere esercitato nei sessanta giorni successivi all'inerzia provinciale, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni.

·     Con un nuovo comma 2-bis - introdotto dal n. 3) della lett. f) -si prevede la possibilità di procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente al suolo, sottosuolo e materiali di riporto qualora gli obiettivi individuati per le predette matrici ambientali vengano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda acquifera.

La certificazione in esame deve essere adottata all'esito delle verifiche tecniche volte a garantire che le contaminazioni presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione non comportino un rischio per i fruitori dell'area né un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici di cui al nuovo comma 7-bis dell'artt. 242 (inserito dal comma 1, lettera b), n. 2) dell'articolo in esame, come supra specificato).

Si ricorda che tale nuovo comma stabilisce che, qualora gli obiettivi individuati per la bonifica del suolo, sottosuolo e materiali di riporto siano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda, è possibile procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente alle predette matrici ambientali, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate; resta fermo l'obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione; in tal caso si prevede la necessità di dimostrare e garantire nel tempo che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione non comportino un rischio per i fruitori dell’area, né una modifica del modello concettuale tale da comportare un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici secondo le specifiche destinazioni d'uso.

La novella dispone altresì che tale certificazione di avvenuta bonifica debba comprendere anche un piano di monitoraggio volto a verificare l'evoluzione nel tempo della contaminazione rilevata nella falda.

 

Con un intervento emendativo apportato in sede referente si introduce una nuova lettera f-bis) al comma 1 dell'articolo in esame, volta a modificare l'articolo 250 del Codice dell'Ambiente allo scopo di assicurare tempi certi per l'individuazione dei soggetti pubblici e privati di cui possono avvalersi gli enti pubblici territoriali (il comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, la regione) competenti ad intervenire in via suppletiva all'adozione delle misure preventive di bonifica di siti inquinanti qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente ovvero non siano individuabili. In particolare viene previsto che le procedure ad evidenza pubblica volte ad individuare i predetti soggetti pubblici e privati debbano essere espletate entro il termine di novanta giorni dalla mancata individuazione del soggetto responsabile della contaminazione o dall'accertato inadempimento da parte dello stesso.

L'art. 250 del Codice dell'Ambiente, in materia di Bonifica da parte dell'amministrazione, prevede che qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di bonifica sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio.

 

Il comma 1, lettera g) introduce un comma 1-bis all'art. 250 del Codice dell'Ambiente consentendo a talune regioni, province autonome ed enti locali territoriali di avvalersi - con le risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi oneri a carico della finanza pubblica - attraverso la stipula di apposite convenzioni, di società in house del MITE, allo scopo di favorire l'accelerazione degli interventi per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale. Tali enti pubblici territoriali sono individuati quali soggetti beneficiari e/o attuatori in appositi accordi di programma sottoscritti con il MITE ai sensi dell'art. 15 della legge sul procedimento amministrativo.

Nella relazione illustrativa si specifica che la suddetta modifica è operata in analogia con quanto già previsto dall'art. 5 della delibera CIPE del 1° agosto 2019, n. 64, recante interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per il ripristino e la tutela della risorsa ambientale, e dalla successiva delibera CIPE del 29 settembre 2020, n. 57  recante modifiche ed integrazioni alla delibera n. 64/2019.

Con la prima disposizione si stabilisce la facoltà per i commissari straordinari di avvalersi - per il supporto tecnico specialistico e per le attività propedeutiche e strumentali alla messa a bando e alla realizzazione degli interventi  finanziati  attraverso  il  Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 - della società in house Sogesid,  entro  il  limite  del  3  per  cento  del  finanziamento assegnato, attraverso apposite convenzioni stipulate sulla  base  dei costi   previsti   dalla   convenzione-quadro con il MITE sottoscritta in data 19 dicembre 2018.

Con la delibera n. 57 del 2020 si prevede che, per gli interventi di valore inferiore ai 10 milioni di euro, i Presidenti di Regione in qualità di Commissari straordinari ovvero i soggetti attuatori delegati, utilizzeranno per le progettazioni e le relative procedure di gara, le società in house dello Stato individuate dalla normativa nazionale e le centrali di committenza qualificate ai sensi dell’articolo 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50 “Codice dei contratti pubblici”. Il MITE, nel mese di giugno 2021, riferirà al CIPE sullo stato di attuazione della Delibera.

 

 

Le novelle in materia di Siti di interesse nazionale

Il comma 1, lettera h) apporta dieci novelle all'articolo 252 del Codice dell'ambiente, in materia di siti di interesse nazionale (SIN).

·     Con la prima modifica si interviene sul comma 3, che disciplina il ruolo dei diversi soggetti istituzionali coinvolti in merito alla perimetrazione dei siti oggetto di bonifica. Si attribuisce al MITE, su proposta dell'ISPRA, il compito di adottare un decreto di natura regolamentare volto ad individuare i valori di intervento sito-specifici delle matrici ambientali in aree marine, che costituiscono i livelli di contaminazione al di sopra dei quali vanno previste misure funzionali all'uso legittimo delle aree e proporzionali all'entità della contaminazione.

Nella relazione illustrativa si specifica che l'intervento in oggetto è volto a colmare un vuoto normativo in ordine alla bonifica delle aree marine incluse nei SIN - che ostacola la conclusione dei procedimenti ed è foriero di azioni giudiziarie - posto che non è applicabile ai sedimenti marini l'analisi di rischio sito specifica ai sensi dell'allegato 1 al titolo V, parte quarta del Codice dell'Ambiente.   

·     La seconda e la terza novella intervengono sul comma 4, che regolamenta la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale.

Sulla base della disciplina vigente, la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del MITE, sentito il Ministero delle Attività produttive. Il MITE si avvale per l'istruttoria tecnica del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA) e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati.

Il decreto in esame interviene sulla suddetta procedura:

- con un intervento volto ad aggiornare il riferimento alla denominazione del Ministero delle Attività produttive con il riferimento al MISE;

- introducendo un nuovo periodo, volto a prevedere che la procedura di esecuzione del piano di caratterizzazione di un sito contaminato, possa essere liberamente effettuata decorsi sessanta giorni dalla comunicazione di inizio attività al MITE.

 Tale procedura può peraltro svolgersi solo a condizione che siano rispettate le norme tecniche adottate con decreto del MITE, secondo quanto previsto dal successivo comma 9-quinquies aggiunto dal decreto in esame (v. infra). Qualora il MITE dovesse invece accertare il mancato rispetto delle predette norme tecniche, adotterà un provvedimento motivato di natura inibitoria rispetto all'inizio o alla prosecuzione delle operazioni, salvo che il proponente non provveda a conformarsi entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dal medesimo MITE.

Il comma 4 è stato così da ultimo riformulato con un intervento apportato in sede referente, in quanto il testo originario prevedeva che la comunicazione di inizio di attività e la competenza all'adozione del provvedimento inibitorio, ora riferite al MITE, fossero da riferirsi al SNPA.

 

 

·     Con una quarta novella, si interviene ad abrogare il comma 4-quater - inserito dall'art. 53, comma 1, del D.L. n. 76 del 2020, come convertito - che disciplina la certificazione di avvenuta bonifica dei siti di interesse nazionale rilasciata limitatamente al suolo, sottosuolo e materiali di riporto se gli obiettivi individuati per queste matrici ambientali siano stati raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per le falde acquifere.

Nella relazione illustrativa si precisa che la disposizione abrogata non si rende più necessaria in ragione del rinvio operato dal comma 4 dell'art. 252 alle procedure di bonifica dell'art. 242, del Codice dell'Ambiente, il cui comma 7-bis consente ora - alla luce delle modifiche introdotte alla lett. b), n. 2 e alla lett. f), n. 3, del comma 1 dell'articolo in esame, come supra specificato - di applicare anche nei siti regionali (e non più ai soli SIN) la suddetta certificazione semplificata di avvenuta bonifica per suolo, sottosuolo e materiali di riporto. 

Il comma 4-quater contemplava il ricorso alla procedura di certificazione di avvenuta bonifica di cui all'art. 248, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate, specificando che permane l'obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione. In tal caso, si prevedeva la necessità di effettuare un'Analisi di Rischio atta a dimostrare che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione non comportino un rischio per i fruitori e le altre matrici ambientali secondo le specifiche destinazioni d'uso. Le garanzie fideiussorie, comunque prestate per l'intero intervento, dovevano essere svincolate solo al raggiungimento di tutti gli obiettivi di bonifica. Per ulteriori approfondimenti su tale disposizione, introdotta dal c.d. DL semplificazioni 76/2020, si veda il relativo dossier.

·     Una quinta modifica viene apportata al comma 5, che regola la procedura di intervento sostitutivo del MITE nei casi di inerzia del soggetto responsabile dell'inquinamento o del proprietario del sito contaminato o degli altri soggetti interessati all'effettuazione della bonifica e degli altri interventi di messa in sicurezza del sito di interesse nazionale contaminato. La disposizione previgente prevedeva che intervenisse in via sostitutiva il MITE avvalendosi dell'ISPRA, dell'Istituto superiore di sanità (ISS) e dell'ENEA nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati. Con la modifica in oggetto si prevede che tali ultimi soggetti qualificati di cui si avvale il Ministero possano intervenire anche coordinandosi tra loro

·     Con la sesta e la settima novella si interviene sul comma 6, che regola gli effetti dell'autorizzazione del progetto e dei relativi interventi di bonifica che, oltre a sostituire a tutti gli effetti le necessarie autorizzazioni, concessioni, concerti, intese, nulla osta, pareri e assensi contemplati dalla normativa vigente, costituisce altresì variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.

Con la sesta modifica si precisa che l'autorizzazione del progetto e dei relativi interventi ricomprende - anziché sostituisce, come attualmente previsto - i suddetti titoli abilitativi ed autorizzatori ed atti di assenso comunque denominati.

Con la settima modifica si inserisce un nuovo periodo al comma 6 prevedendosi l'onere in capo al proponente di allegare all'istanza oggetto di autorizzazione la documentazione e gli elaborati tecnici previsti dalle normative di settore allo scopo di consentire l'istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio degli atti di assenso comunque denominati necessari alla realizzazione ed all'esercizio del progetto, che vanno altresì elencati dettagliatamente con l'indicazione anche dell'Amministrazione ordinariamente competente.

·     Con l'ottava modifica si abroga il comma 8, recante il procedimento di autorizzazione provvisoria di competenza del MITE per l'avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi interventi di bonifica.

Tale procedimento, in base alla norma previgente, era avviato in attesa del perfezionamento del provvedimento definitivo di autorizzazione, su richiesta dell'interessato e ove ricorressero motivi d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronunzia positiva del giudizio di compatibilità ambientale, laddove prevista.

Nella relazione illustrativa si precisa che la disposizione abrogata, oltre ad essere nei fatti inapplicata, pone problemi di compatibilità con la direttiva comunitaria, nella parte in cui sembra legittimare l'avvio dei lavori anche in assenza della VIA.

·     Con la nona modifica si inserisce un nuovo comma 8-bis, volto ad introdurre una procedura semplificata di applicazione a scala pilota, in campo, di tecnologie di bonifica innovative anche finalizzata all'individuazione dei parametri di progetto necessari per l'applicazione a piena scala. Tale applicazione non è soggetta a preventiva approvazione del MITE e può essere eseguita a condizione che avvenga in condizioni di sicurezza sanitaria ed ambientale.

La novella in esame attribuisce altresì al MITE e all'ISS - che si pronunciano entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza corredata dalla necessaria documentazione tecnica - il compito di verificare il rispetto delle suddette condizioni di sicurezza.

Si segnala che, in tale ultima previsione, il riferimento al MITE è stato inserito in sede referente (nel testo originario, il compito di verificare le condizioni di sicurezza era attribuito in capo al SNPA, congiuntamente all'ISS).

·     La decima ed ultima modifica recata all'art. 252 del Codice dell'ambiente è volta ad introdurre un nuovo comma 9-quater che attribuisce al MITE la competenza ad adottare:

- con decreto di natura non regolamentare, i modelli delle istanze ed i contenuti minimi della documentazione tecnica da allegare per l'avvio dei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale di cui al comma 4 (come novellato dal decreto in esame, con riferimento alla seconda e terza novella recata all'art. 252);

- con decreto, le norme tecniche in base alle quali l'esecuzione del piano di caratterizzazione è sottoposta a comunicazione di inizio di attività ai sensi del comma 4 (come novellato dal decreto in esame).

 

Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale

Il comma 1, lettera i) introduce due modifiche all'articolo 252-bis del Codice dell'Ambiente, recante siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.

L'art. 252-bis è stato inserito dall'art. 2, comma 43-ter del d.lgs. n. 4 del 2008 ed è stato successivamente sostituito dall'art. 4, comma 1, D.L. n. 145 del 2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 9 del 2014.

Il comma 8 della norma (al primo periodo, non toccato dalla novella) prevede che gli interventi per l'attuazione del progetto integrato sono autorizzati e approvati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico sulla base delle determinazioni assunte in Conferenza di Servizi indetta dal Ministero dell'ambiente ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Si ricorda, in estrema sintesi, la possibilità prevista dalla normativa da parte del MITE e del MISE di stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di bonifica o messa in sicurezza e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria ed ambientale (comma 1).  I commi da 2 a 11 del individuano: - le modalità, i criteri ed i contenuti obbligatori degli accordi di programma (commi 2 e 3); i requisiti dei soggetti interessati e gli impegni da essi assunti, con l’individuazione delle rispettive responsabilità (commi da 4 a 7); le modalità di approvazione degli interventi per l’attuazione dei progetti integrati (decreto ministeriale adottato sulla base delle determinazioni assunte in apposita conferenza di servizi) e gli effetti prodotti dai decreti di approvazione, che consentono la costruzione e l’esercizio degli impianti e delle opere connesse (commi 8 e 9); la costituzione di società in house (con oneri posti a carico delle risorse stanziate a legislazione vigente) per l’attuazione dei citati progetti integrati di bonifica, riconversione industriale e sviluppo economico (comma 10); l’adozione di misure volte a favorire la formazione di nuove competenze professionali, anche nell’ambito degli istituti tecnici superiori, in materia di bonifica ambientale, finanziate, nell’ambito delle risorse stanziate a legislazione vigente nonché a valere sulle risorse della programmazione 2014-2020 previamente incluse negli accordi di programma (comma 11).

     Nella relazione illustrativa si precisa che le modifiche all'art. 252-bis sono volte a semplificare l'azione amministrativa, allineando le modalità di approvazione dei progetti integrati, previsti nell'ambito degli accordi di programma per la riconversione industriale di aree ricomprese nei SIN, alle modalità generali di approvazione previste dall'articolo 252 (come modificato dal decreto in esame).

·     Una prima modifica - sostitutiva del secondo e terzo periodo del comma 8 - è volta a intervenire sul procedimento di autorizzazione ed approvazione degli interventi per l'attuazione del progetto integrato di messa in sicurezza o bonifica e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale, prevedendo che alla Conferenza dei servizi propedeutica all'adozione del suddetto provvedimento autorizzatorio (recato con decreto interministeriale del MITE e del MISE) partecipino i soli soggetti pubblici firmatari dell'accordo di programma.

La precedente formulazione invece prevedeva la elencazione di più soggetti titolari del diritto di partecipazione alla Conferenza dei Servizi, quali non solo tutti i soggetti pubblici firmatari dell'accordo di programma, bensì anche:

- i titolari dei procedimenti di approvazione ed autorizzazione degli interventi, opere ed attività previste dall'accordo medesimo;

- i soggetti interessati proponenti. Tali due categorie risultano quindi espunte con la novella in parola.

Nel dettaglio, in base al secondo periodo previgente, alla Conferenza di Servizi partecipano tutti i soggetti pubblici firmatari dell'accordo di programma o titolari dei procedimenti di approvazione e autorizzazione, comunque denominati, aventi ad oggetto gli interventi, le opere e le attività previste dall'accordo medesimo, nonché i soggetti interessati proponenti.

Viene inoltre espunta la previsione, di cui al terzo periodo previgente, in base alla quale l'assenso espresso dai rappresentanti degli enti locali sulla base delle determinazioni a provvedere degli organi competenti, sostituiva ogni atto di competenza di detti enti.

Si prevede invece che, in tale procedimento, si applichino i commi 6 e 7 dell'art. 252 del Codice ambientale, come novellati dalla disposizione in esame.

In sintesi, si ricorda che sulla base del comma 6, come novellato dall'articolo 38 del decreto in esame (come riportato supra in riferimento alla sesta e settima novella recate dal comma 1, lettera h, dell'articolo) si prevede che l'autorizzazione del progetto di bonifica e dei relativi interventi ricomprenda a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro, quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. A tal fine il proponente è tenuto ad allegare all'istanza la documentazione e gli elaborati progettuali previsti ai sensi della normativa di settore ed elencati dettagliatamente con l'indicazione anche dell'Amministrazione ordinariamente competente.

Sulla base del successivo comma 7 - che invece non è stato oggetto di modifica con il decreto in esame - si prevede, nel caso di progetti per la realizzazione di opere sottoposte a procedura di VIA, che l'approvazione del progetto di bonifica dovrà essere comprensiva anche di tale valutazione.

·     La seconda modifica all'articolo 252-bis è invece volta all'abrogazione del comma 9.

Tale disposizione previgente prevedeva che - fatta salva l'applicazione delle previsioni in materia di VIA e di AIA - con i decreti di autorizzazione o approvazione degli interventi attuativi del progetto integrato di messa in sicurezza o bonifica e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale di cui al comma 8 (ora abrogato, per effetto della norma del decreto in esame) si autorizzassero altresì gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica nonché la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle opere connesse.

 

Con un intervento in sede referente è stato altresì aggiunto un nuovo comma 1-bis all'articolo in esame, volto ad apportare modificazioni ai commi 2 e 3 dell'art. 3 del d.l. n. 2 del 2012, conv. in l. n. 28 del 2012, recante disposizione di interpretazione autentica dell'articolo 185 del Codice ambientale in materia di matrici materiali di riporto.

I commi 2 e 3 dell'art. 2 d.l. n. 2/2012 recano disposizioni di interpretazione autentica dell'art. 185, comma 1, lettere b) e c) del Codice dell'Ambiente. Il predetto art. 185, in particolare, esclude dall'ambito di applicazione della parte quarta del Codice Ambientale: alla lettera b), il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno; alla lettera c), il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato, le ceneri vulcaniche, laddove riutilizzate in sostituzione di materie prime all'interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

L'articolo 3 del d.l. n. 2 del 2012 specifica innanzitutto (al comma 1) che i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno.

Al comma 2 si prevede che, fatti salvi gli accordi di programma per la bonifica sottoscritti prima della data di entrata in vigore della disposizione medesima che rispettano le norme in materia di bonifica vigenti al tempo della sottoscrizione, ai fini dell'applicazione dell'articolo 185, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

Il successivo comma 3 prevede che le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

 

Con l'intervento in esame:

Ø   viene riformulato il comma 2, prevedendo che ai fini dell'applicazione dell'art. 185, comma 1, lettere b) e c), del Codice ambientale le matrici ambientali di riporto debbono essere sottoposte a test di cessione ai fini - oltre che delle metodiche da utilizzare - anche dei limiti da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee. Si prevede altresì che le predette matrici debbano rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati e non più solo «ove conformi ai limiti del test di cessione» (tale ultimo inciso viene dunque espunto dall'intervento in esame).

Ø   Viene sostituito integralmente il comma 3 prevedendo che le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione - che nella formulazione novellata sono espressamente qualificate fonti di contaminazione e come tali suscettibili di essere rimosse o debbono risultare conformi ai limiti del test di cessione tramite determinate operazioni di trattamento o essere sottoposte a messa in sicurezza permanente (specificazioni queste che non compaiono più nella formulazione in esame) - siano gestite nell'ambito dei procedimenti di bonifica, al pari dei suoli, utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute e per l'ambiente.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame prevede infine che il MITE provveda all'attuazione delle disposizioni dell'articolo medesimo con le risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 37-bis
(Misure per la prevenzione dell'inquinamento del suolo)

 

L’articolo 37-bis, inserito in sede referente, novella la disciplina dei fertilizzanti (recata dal d.lgs. 75/2010) al fine di precisare che, con riferimento ai cosiddetti “correttivi”, il gesso e il carbonato di calcio di defecazione non possono essere ottenuti da fanghi di depurazione.

 

L’articolo in esame, al fine di prevenire la contaminazione del suolo dovuta all'utilizzo di alcuni tipi di correttivi nell'agricoltura, integra le caratteristiche di preparazione e i componenti essenziali dei correttivi indicati ai numeri 21 e 22 della tabella 2.1 (“Correttivi calcici e magnesiaci”) dell’allegato 3 al d.lgs. 75/2010.

L’art. 2 del d.lgs. 75/2010, di riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, chiarisce che con il termine “fertilizzanti” si intende un insieme di prodotti e materiali, tra i quali rientrano i cosiddetti “correttivi” definiti (dalla lettera aa) del comma 1 di tale articolo) come “i materiali da aggiungere al suolo in situ principalmente per modificare e migliorare proprietà chimiche anomale del suolo dipendenti da reazione, salinità, tenore in sodio, i cui tipi e caratteristiche sono riportati nell'allegato 3”.

 

Per i citati correttivi indicati ai numeri 21 e 22, vale a dire il “gesso di defecazione” e il “carbonato di calcio di defecazione”, viene precisato che non sono ammessi fanghi di depurazione.

Si fa notare che il successivo numero 23 (non interessato dalla novella recata dall’articolo in esame) descrive invece le caratteristiche del “gesso di defecazione da fanghi” ed indica i limiti che devono essere rispettati dai fanghi utilizzati, nelle more della revisione del D.Lgs. 99/1992 (recante “Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”).

Si ricorda altresì la disposizione recata dall’art. 26 della L. 221/2015, secondo cui l’utilizzazione agronomica dei correttivi di cui al d.lgs. 75/2010, ed in particolare del gesso di defecazione e del carbonato di calcio di defecazione, come definiti all'allegato 3 del medesimo decreto, qualora ottenuti da processi che prevedono l'utilizzo di materiali biologici classificati come rifiuti, deve garantire il rispetto dei limiti di apporto di azoto nel terreno di cui al codice di buona pratica agricola, adottato con decreto del Ministro per le politiche agricole 19 aprile 1999. La stessa disposizione precisa che i citati correttivi devono riportare in etichetta il titolo di azoto.


 

Articolo 37-ter
(Modifiche al progetto «Bellezz@ - Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati»)

 

L'articolo 37-ter, introdotto in sede referente, reca una disposizione interpretativa di una norma, contenuta nel DPCM 27 settembre 2018, relativa alla documentazione necessaria da allegare alla dichiarazione che gli enti attuatori sono tenuti a presentare al fine di accedere al finanziamento dell'intervento di competenza nell'ambito del progetto «Bellezz@ - Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati».

 

Nello specifico, l'articolo, che consta di un comma unico, dispone che la condizione prevista dal comma 2, lettera d), del medesimo articolo 2, ai sensi della quale fra gli allegati alla suddetta dichiarazione è richiesta "la documentazione che accerti la sussistenza della disponibilità giuridica e fattuale dei beni ai fini della realizzazione dell'intervento", si intenda soddisfatta anche qualora i beni siano concessi in locazione o in comodato d'uso agli enti attuatori.

Si valuti l'opportunità di approfondire la scelta di introdurre, con disposizione legislativa, una disposizione interpretativa riferita ad una norma recata in una fonte secondaria.

 

Circa il richiamato progetto «Bellezz@-Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati», si segnala che esso è finanziato ai sensi della delibera del 1° maggio 2016 del Comitato interministeriale per la programmazione economica, di approvazione del piano stralcio «Cultura e turismo» presentato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Con detta delibera è stata disposta l'assegnazione al medesimo Ministero di un importo complessivo di 1.000 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, da destinare a tre distinti macroaggregati: sistema museale italiano, per 645 milioni di euro, sistemi territoriali turistico - culturali (cammini, percorsi, aree vaste), per 185 milioni, nonché ad interventi di completamento particolarmente significativi e a nuovi interventi da individuarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ai sensi del paragrafo 1.2, lettera c), della citata delibera CIPE, si è disposta la destinazione all'insieme di interventi di completamento particolarmente significativi e di nuovi interventi di una riserva di importo pari a 170 milioni di euro. Nell'ambito di tale riserva, 150 milioni di euro sono assegnati a favore di interventi, ciascuno dei quali non superiore a 10 milioni di euro, afferenti al progetto di recupero di luoghi culturali dimenticati, denominato «Bellezz@-Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati».

Circa le modalità di attuazione, al paragrafo 2.2 della delibera CIPE si dispone che gli interventi di cui al citato progetto siano individuati sulla base delle segnalazioni pervenute dal territorio e che, qualora queste ultime comportino finanziamenti in misura superiore alle risorse rese disponibili, gli interventi siano selezionati da una Commissione[62].

Al paragrafo 2.3 si precisa che gli interventi selezionati devono privilegiare, per quanto possibile, la diffusività territoriale e che, di conseguenza, l’accesso al finanziamento può essere circoscritto ad un solo intervento per Comune richiedente. Gli interventi devono in ogni caso: i) riguardare la tutela, valorizzazione, recupero, di patrimonio culturale ai sensi del Capo I del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42; ovvero consistere nella realizzazione di un progetto di interesse culturale; ii) essere suscettibili di un immediato avvio dei lavori; iii) essere attuati da un ente pubblico.

Con l'avviso pubblicato sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri il 9 maggio 2016, è data facoltà a tutti i cittadini di segnalare, entro il 31 maggio 2016, all'indirizzo di posta elettronica bellezz@governo.it, un luogo pubblico da recuperare, ristrutturare o reinventare per il bene della collettività o un progetto culturale da finanziare.

Essendo pervenuto un numero di segnalazioni (contenute in 139.689 e-mail) tale da richiedere una disponibilità superiore alle risorse assegnate, come detto pari a 150 milioni, con DPCM 19 giugno 2017 è stata istituita, in attuazione del citato paragrafo 2.2 della delibera CIPE 1° maggio 2016, una Commissione per la selezione degli interventi.

La Commissione, conclusi i propri lavori (dicembre 2017), ha individuato un elenco di 271 interventi selezionati fino a concorrenza delle risorse disponibili. Il passo successivo prevedeva la sottoscrizione di apposita convenzione tra gli enti attuatori e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, assegnatario delle risorse in base alla citata delibera CIPE del 1° maggio 2016, con cui sono disciplinate le modalità di erogazione del finanziamento e di verifica dell'esecuzione degli interventi afferenti al progetto in esame.

Con il DPCM 27 settembre 2018, oggetto dell'articolo in esame, preso atto dell'esigenza di completare l'istruttoria delle richieste di finanziamento, con particolare riguardo all'acquisizione della documentazione necessaria alla stipula delle convenzioni, è stata istituita la Commissione per l'attuazione del progetto (articolo 1) e sono state dettate disposizioni in merito alla documentazione che gli enti attuatori sono tenuti a fornire (articolo 2).

Ai sensi del comma 1 dell'articolo 2, detti enti sono tenuti a trasmettere una dichiarazione propedeutica alla sottoscrizione delle rispettive convenzioni, recante determinati contenuti (fra cui l'indicazione del bene o del luogo da recuperare, il proprietario degli stessi o il titolare di diritti concessori, il proponente dell'intervento).

Al comma 2 sono indicati i documenti da allegare alla dichiarazione: il quadro economico di spesa, il programma operativo di dettaglio, il progetto esecutivo, la documentazione che dimostri che l'intervento riguarda la tutela e/o la valorizzazione di beni del patrimonio culturale, nonché "la documentazione che accerti la sussistenza della disponibilità giuridica e fattuale dei beni ai fini della realizzazione dell'intervento".

Come anticipato tale ultima previsione è oggetto dell'articolo in esame, ai sensi del quale il requisito della sussistenza della disponibilità giuridica e fattuale dei beni si intende soddisfatto anche qualora i beni siano concessi in locazione o in comodato d'uso agli enti attuatori.

 


 

Articolo 37-quater
(Fondo per gli interventi di messa in sicurezza e risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi)

 

L’articolo 37-quater, inserito in sede referente, prevede l’estensione dei finanziamenti del Fondo per gli interventi di messa in sicurezza e risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi, istituito dall’art. 1, comma 536, della legge di bilancio 2018, a tutti i siti con presenza di rifiuti radioattivi.

 

L’art. 1, comma 536 della legge di bilancio 2018 (L. 205/2017), su cui interviene la norma in esame, prevede l’istituzione di un Fondo, presso il Ministero dell’ambiente, per il finanziamento di interventi di messa in sicurezza e risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi prodotti da interventi di bonifica di installazioni industriali contaminate da sostanze radioattive a seguito di fusione accidentale di sorgenti radioattive o per il rinvenimento di sorgenti orfane. La dotazione del fondo è pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020.

L’intervento in esame, introdotto in sede referente, al fine di assicurare la tempestiva realizzazione degli interventi per la messa in sicurezza e il risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi, estende quanto previsto dall'articolo 1, comma 536, della legge di bilancio 2018 a tutti i siti con presenza di rifiuti radioattivi, non solo quindi ai siti con presenza di rifiuti radioattivi prodotti da interventi di bonifica di installazioni industriali contaminate da sostanze radioattive a seguito di fusione accidentale di sorgenti radioattive o per il rinvenimento di sorgenti orfane.

Per un esame delle disposizioni recate dall’art. 1, comma 536, della legge di bilancio 2018 (Fondo per la bonifica dei siti con rifiuti radioattivi), si rinvia alla relativa scheda di approfondimento.

 

 



[1]     Il 30 aprile 2021 il PNRR dell'Italia è stato ufficialmente trasmesso dal Governo alla Commissione europea (e, subito dopo, al Parlamento): per approfondimenti sul testo del PNRR si rinvia all’apposito dossier dei Servizi studi di Camera e Senato. Per un quadro del percorso istituzionale, con particolare riferimento al ruolo del Parlamento, che ha portato alla elaborazione del PNRR, si rinvia all’apposito tema web pubblicato sul sito della Camera dei deputati.

[2]     Il Piano nazionale per gli investimenti complementari, di cui all'articolo 1 del decreto legge 6 maggio 2021, n. 59, è stato costituito al fine di integrare, con risorse nazionali, gli interventi del PNRR. Il Piano è stato dotato di complessivi 30,6 miliardi di euro per gli anni dal 2021 al 2026. Per una analisi dettagliata degli interventi ricompresi nel Piano si rinvia al dossier di documentazione predisposto dai Servizi Studi di Camera e Senato del 18 maggio 2021.

[3]     Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, recepisce le novità contenute nel decreto legge “Clima” (D.L. 111/2019) nonché quelle sugli investimenti per il Green New Deal previste nella Legge di Bilancio 2020 (L. 160/2019). Nel PNIEC, inviato alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi le misure che saranno attuate per assicurarne il raggiungimento.

 

[4]     Sono presenti (al momento di pubblicazione del presente fascicolo) quatto Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio: con le funzioni di segretario del Consiglio dei ministri; affari europei; informazione ed editoria; coordinamento della politica economica.

[5] La disposizione richiama l'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 303 del 1999 recante l'ordinamento della Presidenza del Consiglio, secondo cui "il Presidente del Consiglio, con propri decreti, individua gli uffici di diretta collaborazione propri e, sulla base delle relative proposte, quelli dei Ministri senza portafoglio o sottosegretari della Presidenza, e ne determina la composizione".

[6]     Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

[7]     Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonchè di innovazione tecnologica, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 8/2020.

[8]     Per dettagli sul contenuto del regolamento, si rinvia alla Nota UE n. 67/1, pubblicata dal Servizio studi del Senato della Repubblica nel febbraio 2021.

[9]     Per dettagli sul contenuto del regolamento, si rinvia alla Nota UE n. 67/1, pubblicata dal Servizio studi del Senato della Repubblica nel febbraio 2021.

[10]   Sul Servizio centrale per il PNRR si veda l’articolo 6 (e la relativa scheda nel presente dossier).

[11]   L’articolo 24 del Regolamento (UE) 2021/241 detta disposizioni concernenti il pagamento, la sospensione e la risoluzione degli accordi riguardanti i contributi finanziari e i prestiti; il comma 2, in particolare, dispone che dopo aver raggiunto i traguardi e gli obiettivi concordati e indicati nel piano per la ripresa e la resilienza, lo Stato membro presenta alla Commissione una richiesta debitamente motivata relativa al pagamento del contributo finanziario e, se del caso, del prestito. Gli Stati membri possono presentare alla Commissione tali richieste di pagamento due volte l'anno.

[12]   L'articolo 1, comma 1043, della legge n.178/2020 (legge di bilancio per il 2021), al fine di supportare le attività di gestione, di monitoraggio, di rendicontazione e di controllo delle componenti del Next Generation EU, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, sviluppi e renda disponibile un apposito sistema informatico (senza, peraltro, indicare un termine).

[13]   L’art. 1, c. 2, del D.Lgs. 165/2001 chiarisce che per amministrazioni pubbliche debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300 del 1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[14]   Il richiamato art. 247, co. 2, del D.L. 34/2020 dispone che il Dipartimento della funzione pubblica individua le sedi di svolgimento delle prove concorsuali anche sulla base della provenienza geografica dei candidati, utilizzando idonei locali di plessi scolastici di ogni ordine e grado, di sedi universitarie e di ogni altra struttura pubblica o privata, anche avvalendosi del coordinamento dei prefetti territorialmente competenti. Tale individuazione avviene tenendo conto delle esigenze di economicità delle procedure concorsuali e nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente delle amministrazioni destinatarie delle predette procedure concorsuali a carico delle quali sono posti gli oneri derivanti dall'utilizzo delle strutture.

[15]   In proposito si veda l’articolo di G. Ruberto, “La disciplina degli affidamenti in house nel d.lgs. n. 50/2016, tra potestà legislativa statale e limiti imposti dall’ordinamento dell’Unione europea” sulla rivista online www.federalismi.it del 24 febbraio 2021.

[16]   Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica

[17]   Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica

[18]   L'importo accantonato è reso disponibile in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso in cui l'ente partecipante ripiani la perdita di esercizio o dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione. Nel caso in cui i soggetti partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite negli esercizi precedenti l'importo accantonato viene reso disponibile agli enti partecipanti in misura corrispondente e proporzionale alla quota di partecipazione.

[19]   Si segnala, tuttavia, che quanto previsto all’articolo 21, comma 3, non si applica ai soggetti il cui risultato economico, benché negativo, sia coerente con un piano di risanamento preventivamente approvato dall'ente controllante.

[20]   Analogo contenuto era previsto dalla lettera g) del comma 703, della legge 190/2014, per il ciclo 2014-2020.

[21]   Lettera l) del comma 703, della legge 190/2014.

[22]   Ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

[23]   Ovvero gli enti di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 118 del 2011, il quale disciplina l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi.

[24]   Si ricorda che l’articolo 34-bis della legge di contabilità e finanza pubblica reca la disciplina in materia di conservazione in bilancio dei residui passivi e di eliminazione dei residui stessi dal conto del bilancio. In particolare, il comma 3 riguarda il mantenimento in bilancio delle somme stanziate per spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell'esercizio (c.d. residui di stanziamento). Mentre le somme di parte corrente non impegnate alla chiusura dell’esercizio di competenza sono registrate in economia, per gli stanziamenti in conto capitale è autorizzata in via generale la conservazione in bilancio anche se entro la fine dell’esercizio finanziario tali spese non sono state impegnate. Il loro mantenimento in bilancio è autorizzato nei limiti di un solo anno successivo all’esercizio di iscrizione in bilancio. Per gli stanziamenti iscritti in bilancio in forza di disposizioni legislative che siano entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio finanziario, il periodo di conservazione è protratto di un ulteriore anno.

      Il comma 4 riguarda il mantenimento in bilancio dei residui propri delle spese in conto capitale. Per i residui propri relativi a spese in conto capitale, i termini di conservazione in bilancio sono fissati a tre anni. Decorsi i suddetti termini, i residui si intendono perenti agli effetti amministrativi, e sono eliminati dal conto del bilancio. Poiché a tali residui continuano a sottostare i relativi impegni giuridici di spesa, il relativo importo viene riscritto come debito nel conto del patrimonio. Le somme eliminate possono riprodursi in bilancio con riassegnazione alle pertinenti unità elementari di bilancio degli esercizi successivi.

[25]   Si rammenta che la legge di contabilità prevede una notevole flessibilità degli stanziamenti delle leggi pluriennali di spesa, con l’obiettivo di adeguarne le quote stanziate annualmente alle previsioni del piano finanziario dei pagamenti (c.d. Cronoprogramma dei pagamenti). In particolare, il citato comma 2 dell’articolo 30 prevede che le somme stanziate annualmente nel bilancio dello Stato, relative ad autorizzazioni di spese pluriennali non a carattere permanente non impegnate alla chiusura dell'esercizio possono, in alternativa al loro mantenimento in bilancio come residuo di stanziamento, essere reiscritte, con la legge di bilancio, nella competenza degli esercizi successivi in relazione a quanto previsto nel piano finanziario dei pagamenti, dandone evidenza in apposito allegato.

[26]   Ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico.

[27]   Per gli impianti offshore l'autorizzazione è rilasciata dal Ministero dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e, con le modalità di cui al comma 4 del medesimo articolo 12, previa concessione d'uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima.

[28]   In particolare, confermano che il procedimento unico si svolge tramite conferenza di servizi, nell'ambito della quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l'esercizio dell'impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili (punto 14.1).

[29]   La questione è posta, di norma, all'ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri successiva alla scadenza del termine per raggiungere l'intesa. Alla riunione del Consiglio dei ministri possono partecipare i Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.

[30] Gli articoli 24 -33 del decreto legislativo n. 28/2011, di recepimento della Direttiva 2009/28/UE cd. RED I, da ultimo modificati dall’articolo 56 del D.L. n. 76/2020, definiscono le modalità e i criteri per l’incentivazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile, rinviando, in particolare:

·        al comma 5 e 6, a decreti interministeriali (del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare– ora del MITE-  e, per i profili di competenza con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentite l’ARERA e la Conferenza Unificata), la definizione delle modalità per l’attuazione dei sistemi di incentivazione, nel rispetto dei criteri individuati dallo stesso articolo.

·        al comma 7, all’ARERA la definizione delle modalità attraverso le quali le risorse per l'erogazione degli incentivi, trovano copertura nel gettito della componente A3 – ora Asos -  delle tariffe dell'energia elettrica.

Dunque, in virtù dell’articolo 24, i cui principi e criteri sono di derivazione comunitaria, sono stati adottati, nel corso degli anni una serie di decreti interministeriali di sostegno alle FER elettriche. Quanto al fotovoltaico, si rammenta, in particolare, il cd. “Conto energia” (cfr., in particolare, il D.M. 5 luglio 2012, cd. V° Conto energia), il cui accesso si è però esaurito nel 2013 per raggiungimento del costo indicativo cumulato annuo degli incentivi “Conto energia” di 6,7 miliardi di euro. Gli impianti fotovoltaici non possono quindi più accedere a questa forma di incentivazione, la quale comunque continua ad essere erogata a quegli impianti che, nei tempi consentiti, vi avevano avuto accesso.

Attualmente, le procedure di accesso sono ancora in corso per il D.M. 4 luglio 2019, cd. FER 1, in vigore dal 10 agosto 2019, che ha introdotto nuovi meccanismi d'incentivazione per gli impianti fotovoltaici di nuova costruzione, eolici on-shore, idroelettrici e a gas di depurazione.

[31]    Il D.M. 4 luglio 2019 (cd. FER 1) ha rinnovato i preesistenti meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili (D.M. 6 luglio 2012 e D.M. 23 giugno 2016), introducendo per la prima volta in Italia un sistema di competizione tecnologicamente neutrale. In particolare, il decreto individua, in funzione della fonte, della tipologia d'impianto e della categoria d'intervento, quattro differenti gruppi:

·        gruppo A, al quale appartengono gli impianti: eolici on shore di nuova costruzione, integrale ricostruzione, riattivazione o potenziamento; fotovoltaici di nuova costruzione;

·        gruppo A-2, al quale appartengono gli impianti fotovoltaici di nuova costruzione, i cui moduli sono installati in sostituzione di coperture di edifici e fabbricati rurali su cui è operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto;

·        gruppo B, al quale appartengono gli impianti: idroelettrici di nuova costruzione, integrale ricostruzione (esclusi gli impianti su acquedotto), riattivazione o potenziamento; a gas residuati dei processi di depurazione di nuova costruzione, riattivazione o potenziamento;

·        gruppo C, al quale appartengono gli impianti oggetto di rifacimento: eolici on shore; idroelettrici; a gas residuati dei processi di depurazione.

Per ciascun gruppo sono previsti distinti contingenti di potenza incentivabile, da assegnare con sette successive procedure competitive di registro o asta, sulla base di specifici criteri di priorità o del ribasso sul livello di incentivazione offerto dagli operatori in sede di partecipazione alla singola procedura.

[32]   In sostanza, con l'utilizzo dei terreni per produrre biocarburanti si possono spostare su altri terreni le produzioni agricole alimentari, ovvero si possono sfruttare più intensivamente terreni già dedicati a tali produzioni. Il rischio dunque è quello di incentivare un aumento delle emissioni di gas a effetto serra. Per questi aspetti, la Direttiva RED I si limitava a prevedere un meccanismo di monitoraggio del potenziale impatto sociale della produzione di biocarburanti, con il compito per la Commissione di presentare ogni due anni al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sulla sostenibilità sociale dei biocarburanti.

[33]   I biocarburanti prodotti a partire da rifiuti e sottoprodotti senza altra utilità produttiva o commerciale al di fuori del loro impiego per la produzione di carburanti o a fini energetici, materie di origine non alimentare, ivi incluse le materie cellulosiche e le materie ligneo ? cellulosiche, alghe. Dunque, l'immissione in consumo di tali biocarburanti è stata considerata equivalente a due volte l'immissione in consumo di altri biocarburanti.

[34]   La Direttiva, in particolare, ha introdotto un limite complessivo alla quantità di combustibili prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine e oleaginose (tra esse la palma e la soia), così come da colture coltivate su superfici agricole come colture principali soprattutto a fini energetici, che hanno potuto essere contabilizzate ai fini del conseguimento degli obiettivi UE al 2020 in materia fonti rinnovabili nei trasporti. Il limite consiste in un contributo massimo del 7% di tali combustibili al consumo finale di energia nei trasporti stradali e ferroviari in ciascuno Stato membro. Le misure contenute nella Direttiva ILUC sono, nella sostanza, finalizzate a promuovere la ricerca e sviluppo di nuovi biocarburanti, alternativi rispetto a quelli che, comportando lo sfruttamento di terreni agricoli a discapito delle colture destinate alla produzione alimentare e di mangimi, hanno effetti anche in termini emissioni di gas a effetto serra (cd. ad elevato rischio ILUC " Indirect land-use change").

[35]   Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, coloro che -  nel corso dell'anno precedente-  hanno immesso in consumo benzina, gasolio, olio combustibile e jet fuel del tipo cherosene e che, nel corso dell'anno precedente, hanno immesso in consumo gli altri prodotti energetici per un quantitativo complessivo superiore a 50 mila tonnellate, e l'OCSIT, devono garantire in qualsiasi momento la disponibilità e l'accessibilità fisica delle scorte di sicurezza e delle scorte specifiche.

[36]   Ai sensi del comma 9, l'OCSIT elabora le proposte strategiche di monitoraggio della sicurezza, le analisi del rischio, la proposta di piano operativo di risposta ad eventuali crisi di approvvigionamento petrolifero che viene sottoposta al Ministero dello sviluppo economico per l'approvazione.

[37]   Ai sensi della citata norma, le scorte specifiche devono essere detenute esclusivamente sul territorio nazionale, fatto salvo quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 8. Le scorte di sicurezza possono essere detenute anche in altri Stati membri della Unione europea entro i seguenti limiti per ciascun soggetto obbligato: a) 100 per cento fino a 30 mila tonnellate equivalenti di petrolio; b) oltre le 30 mila tonnellate equivalenti di petrolio, entro un limite massimo percentuale del 50 per cento fino al 31 dicembre 2014, ridotto di un ulteriore 10 per cento all'anno fino a raggiungere il limite del 20 per cento nel 2017.

[38]   L'OCSIT è tenuto a mantenere un livello minimo di scorte petrolifere, calcolato sulla base dei giorni di consumo, in conformità delle condizioni enunciate nell’articolo 9 del decreto legislativo n. 249.Ai sensi del comma 1 dell’articolo 9, le scorte specifiche sono di proprietà dell'OCSIT e sono mantenute sul territorio dello Stato Italiano. Ai sensi del comma 2, dell’articolo 9, le scorte specifiche possono essere costituite soltanto dalle tipologie di prodotti di seguito elencate: a) etano;  b) GPL;  c) benzina per motori;  d) benzina avio;  e) jet fuel del tipo benzina (jet fuel del tipo nafta o JP4);  f) jet fuel del tipo cherosene; g) altro cherosene;  h) gasolio (olio combustibile distillato); i) olio combustibile (ad alto e basso tenore di zolfo); l) acqua ragia minerale e benzine speciali; m) lubrificanti; n) bitume; o) cere paraffiniche; p) coke di petrolio

[39]   Ai sensi del secondo periodo del comma 3, secondo periodo, gli interventi diversi dalla modifica sostanziale, anche relativi a progetti autorizzati e non ancora realizzati, sono assoggettati alla procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6, fatta salva l’applicabilità della procedura semplificata di Dichiarazione di inizio lavori asseverata.

[40]   Sono soggetti a regime di comunicazione gli impianti compatibili con il regime di Scambio sul Posto (SSP) che non alterano i volumi, le superfici, le destinazioni l'uso, il numero delle unità immobiliari, non implicano incremento dei parametri urbanistici e non riguardano le parti strutturali dell'edificio. Cfr. sito GSE.

[41]   Con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi.

[42]   Abrogata a decorrere dal 1° luglio 2021 dalla successiva Direttiva 2018/2001/UE (cd. RED II).

[43]   L’articolo 18 della Direttiva, al paragrafo 3 e 4, dispone che gli Stati membri debbano assicurare che sistemi di certificazione o sistemi equivalenti di qualificazione siano messi a disposizione degli installatori su piccola scala di caldaie o di stufe a biomassa, di sistemi solari fotovoltaici o termici, di sistemi geotermici a bassa entalpia e di pompe di calore. Ogni Stato membro deve riconoscere le certificazioni rilasciate dagli altri Stati membri conformemente ai predetti criteri. Gli Stati membri devono inoltre mettere a disposizione del pubblico informazioni sui sistemi di certificazione o sistemi equivalenti di qualificazione.

Essi possono mettere a disposizione del pubblico anche l'elenco degli installatori qualificati o certificati in conformità a quanto sopra previsto.

Si osserva che il considerando n. 53) della Direttiva dispone che - qualora l'accesso alla professione di installatore o l'esercizio della stessa siano regolamentati - i presupposti per il riconoscimento delle qualifiche professionali sono previsti nella direttiva 2005/36/CE, che disciplina, appunto, il riconoscimento delle qualifiche professionali. La Direttiva qui in esame si applica, pertanto, senza pregiudizio della Direttiva 2005/36/CE.

[44]   Ai sensi dell’articolo 24, comma 7, del decreto legislativo n. 28/2011, infatti, l’ARERA definisce le modalità con le quali le risorse per l'erogazione degli incentivi alla produzione di elettricità da FER trovano copertura nel gettito della componente A3 delle tariffe dell'energia elettrica. Ai sensi dell’articolo 28, comma 4, del medesimo D.Lgs., l'ARERA definisce le modalità con le quali le risorse per l'erogazione degli incentivi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni trovano copertura a valere sul gettito delle componenti delle tariffe del gas naturale. Si rinvia al Dossier di documentazione e ricerca su “Le fonti rinnovabili” n. 165 del 14 giugno 2021.

[45]   Si cita la Nota ARERA in merito a deliberazione 50/2018/R/eele al documento per la consultazione 52/2018/R/eel – Tema riscossione e versamento oneri generali di sistema.

[46]   Si cita Documento per la consultazione 445/2020/R/EEL “Meccanismo per il riconoscimento dell’eventuale mancato incasso delle componenti tariffarie a copertura degli oneri generali di sistema - Orientamenti finali” del 30 novembre 2020.

[47]   Recante i criteri di revisione del sistema delle accise sull'elettricità e sui prodotti energetici e degli oneri generali di sistema elettrico per le imprese a forte consumo di energia e regimi tariffari speciali per i grandi consumatori industriali di energia elettrica.

[48]   Dopo l’indizione di Tavoli tecnici sull’argomento, ARERA, il 30 novembre 2020, ha pubblicato i propri Orientamenti finali sul Meccanismo per il riconoscimento dell’eventuale mancato incasso delle componenti tariffarie a copertura degli oneri generali di sistema.

      In altre parole, mentre il meccanismo definito dalla deliberazione 50/2018/R/EEL garantisce al distributore che, pur avendo versato la totalità degli OGdS alla CSEA e al GSE, non sia riuscito a incassare gli importi fatturati agli utenti, la copertura di tale ammanco (a condizione che egli abbia gestito con efficienza il proprio credito). In modo analogo, il Meccanismo descritto nel citato documento per la consultazione è volto a garantire al venditore che abbia versato la totalità degli OGdS alla CSEA e al GSE, ma che non sia riuscito a incassare dai propri clientigli OGdS fatturati, la copertura dell’ammanco (a condizione che egli abbia gestito con efficienza il proprio credito).

[49] "Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio".

[50] Si tratta di: R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia; R2 Rigenerazione/recupero di solventi; R3 - Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche; R4 - Riciclaggio /recupero dei metalli e dei composti metallici; R5 - Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche; R6 Rigenerazione degli acidi o delle basi; R7 Recupero dei prodotti che servono a ridurre l'inquinamento; R8 Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori; R9 Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli.

[51]   Recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).

[52]   Le funzioni dei Comitati forestali sono state trasferite ai Consigli provinciali dell'economia, indi alle Camere di commercio e infine alle regioni.

[53]   Tale trasferimento era stato già disposto dall'articolo 10, comma 6, della L. 183/1989, successivamente abrogata dal d.lgs. 152/2006.

[54]   DPR 8 giugno 2001, n. 327, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità.

[55]   Legge 7 agosto 1990, n. 241, recante Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[56]   Il citato comma 3-bis così recita: 'Per le occupazioni d'urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l'esecuzione delle opere e degli interventi di competenza dei commissari straordinari per il dissesto idrogeologico, una volta emesso il decreto di occupazione d'urgenza, prescindendo da ogni altro adempimento, si provvede alla redazione dello stato di consistenza e del verbale d'immissione in possesso dei suoli anche con la sola presenza di due rappresentanti della regione o degli altri enti territoriali interessati'.

[57]   Decreto-Legge 16 luglio 2020, n. 76, recante Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.

[58]   Il citato comma 5 dispone: 'I Presidenti delle Regioni, per le occupazioni di urgenza e per le espropriazioni delle aree occorrenti per l'esecuzione degli interventi inclusi negli accordi di cui al comma 4, emanato il relativo decreto, provvedono alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei suoli anche con la sola presenza di due rappresentanti delle Regioni o degli enti territoriali interessati, prescindendo da ogni altro adempimento.

[59]   Decreto-Legge 12 settembre 2014, n. 133, recante Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014, n. 164.

[60]   Il citato comma 6 così dispone: "L'autorizzazione rilasciata ai sensi del comma 5 sostituisce tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo necessario per l'esecuzione dell'intervento, comporta dichiarazione di pubblica utilità e costituisce, ove occorra, variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, fatti salvi i pareri e gli atti di assenso comunque denominati, di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, da rilasciarsi entro il termine di trenta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale l'autorità procedente provvede comunque alla conclusione del procedimento, limitatamente agli interventi individuati negli accordi di programma di cui al comma 1. Per le occupazioni di urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l'esecuzione delle opere e degli interventi, i termini di legge previsti dal testo unico di cui al DPR 8 giugno 2001, n. 327, e successive modificazioni, sono ridotti alla metà. L'autorità procedente, qualora lo ritenga necessario, procede a convocare la conferenza di servizi di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine massimo per il rilascio dei pareri in sede di conferenza dei servizi è di trenta giorni".

[61]   Decreto-Legge 24 giugno 2014, n. 91, recante Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116.

[62] Composta da due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui uno con funzioni di presidente, da un rappresentante del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, da un rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze e da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e trasporti.