Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di parità di genere nelle consultazioni elettorali delle regioni a statuto ordinario
Riferimenti: AC N.2619/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 330
Data: 03/08/2020
Organi della Camera: I Affari costituzionali

 

 

 

Servizio Studi

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Dossier n. 279

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 330

 

 

 

 

 

 

 

La redazione del presente dossier è stata curata dal Servizio Studi della Camera dei deputati

 

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INDICE

 

Schede di lettura

§  Articolo 1, comma 1 (Le conseguenze del mancato recepimento nella legislazione regionale dei principi fondamentali in materia di sistemi di elezione).......................................................................................................... 5

§  Articolo 1, comma 2 (Disposizioni riguardanti la disciplina sulla parità di genere per le elezioni del Consiglio regionale della Puglia del 2020).... 16

§  Articolo 1, comma 3 (La nomina del Commissario straordinario)............. 20

§  Articolo 2 (Invarianza finanziaria).............................................................. 22

§  Articolo 3 (Entrata in vigore)...................................................................... 23

§  Le principali pronunce della Corte Costituzionale sull’accesso alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza........................................................ 24

§  I limiti ai decreti-legge in materia elettorale................................................ 30

§  I poteri sostitutivi ex art. 120, secondo comma, Cost. nella giurisprudenza costituzionale................................................................................................ 32

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1, comma 1
(Le conseguenze del mancato recepimento nella legislazione regionale dei principi fondamentali in materia di sistemi di elezione)

 

Il decreto-legge n. 86 del 2020 prevede che il mancato recepimento nella legislazione regionale in materia di sistemi di elezione del Presidente, degli altri componenti della Giunta regionale e dei Consigli regionali dei principi fondamentali posti dall'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165 (come modificato dalla legge n. 20 del 2016 che ha introdotto disposizioni in materia di equilibrio di genere) integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all'articolo 120 della Costituzione e, contestualmente, costituisce presupposto per l'assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate.

Detta quindi disposizioni da applicare nella regione Puglia per le elezioni del Consiglio regionale del 2020.

In particolare, al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l’unità giuridica della Repubblica, in tale regione per le elezioni del Consiglio regionale “in luogo delle vigenti disposizioni regionali in contrasto con i principi della legge n. 165 del 2004 e salvo sopravvenuto autonomo adeguamento regionale ai predetti principi” si introduce la “doppia preferenza di genere” attualmente non prevista dalla legge elettorale regionale della Puglia per l’elezione del Consiglio.

È infine disposta la nomina del prefetto di Bari a commissario straordinario “con il compito di provvedere agli adempimenti conseguenti per l'attuazione del decreto”, ivi compresa la ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili con la doppia previsione di genere.

 

L’articolo 1 pone dunque (al comma 1) un principio di carattere generale stabilendo che il mancato recepimento dei principi fondamentali recati dall’articolo 4 della legge n. 165 del 2004, in attuazione dell’articolo 122 della Costituzione, integri la fattispecie di mancato rispetto di norme ai sensi dell’art. 120 della Costituzione e, quindi, costituisca presupposto per un intervento sostitutivo dello Stato.

 

Nella relazione illustrativa si fa presente che al comma 1 si opera un intervento ricognitivo della fattispecie in termini di presupposti di fatto e di diritto, che appare necessaria atteso che la locuzione dell'articolo 120 della Costituzione: "nel caso di mancato rispetto di norme prefigura varie ipotesi di inadempimenti di obblighi suscettivi di intervento surrogatorio”.

 

Il potere sostitutivo e l’articolo 120 della Costituzione

 

Il secondo comma dell’art. 120, come sostituito dall’art. 6 della legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione, disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni.

Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

L’articolo 8 della L. 131/2003, nel dettare le norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato (comma 1) un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.

La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti” dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa.

È prevista una procedura che può essere qualificata come “generale” (comma 1), sulla quale si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate.

Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale del 2001.

Il comma 1 dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.

L’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.

La L. 131/2003 prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli enti locali (Comuni, province o Città metropolitane).

In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).

Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.

L’articolo 8 prevede poi una “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998: si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.

Il comma 5 dell’articolo 8 evidenzia infine che i provvedimenti sostitutivi “devono essere proporzionati alle finalità perseguite”; in base al comma 6, il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.

 

La rubrica dell’articolo 1 peraltro fa riferimento alle sole consultazioni elettorali regionali per l’anno 2020 e i commi che seguono al primo intervengono con specifico riguardo alle elezioni nella regione Puglia.

Si valuti dunque preliminarmente l’opportunità di chiarire – tenuto conto della formulazione di carattere generale recata dal comma 1 – i riflessi di tale previsione nel caso di mancato recepimento (integralmente o parzialmente) dei principi recati dall’art. 4 della legge 165 n. 2004 da parte di altre regioni e se questo dia luogo all'intervento sostitutivo dello Stato ai sensi dell'art 120.

Ai sensi dell'art.8, comma 1, della legge n.131 del 2003 e alla luce della giurisprudenza costituzionale (v. la relativa scheda di approfondimento, infra) l'eventuale intervento sostitutivo nei confronti delle altre regioni non può in ogni caso prescindere dall'assegnazione di un congruo termine per l'adozione dei provvedimenti dovuti, dall'inutile decorso del medesimo termine, nonché dall'audizione dell'organo interessato.

 

Per quanto riguarda la parità di genere vengono in rilievo, ad esempio, le regioni (ad oggi il Piemonte avendo la Liguria di recente approvato una propria disciplina elettorale) che non hanno ancora proceduto a dare attuazione alle previsioni dell’articolo 122 della Costituzione e per le quali si applica la preesistente disciplina statale che non contiene disposizioni per favorire la rappresentanza di entrambi i generi (per un approfondimento v. infra) ovvero le regioni che pur essendosi dotate di una normativa elettorale propria, non  hanno recepito in toto le previsioni della legge n. 165 del 2004.

 

Le previsioni introdotte appaiono al contempo suscettibile di approfondimento alla luce delle previsioni dell’articolo 122 della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale sulla materia.

 

Si ricorda infatti che la legge n. 165 del 2004 è adottata in attuazione dell’articolo 122 della Costituzione il quale, al primo comma, dispone che “il sistema d'elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”.

Prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 122 Cost. la disciplina regionale spettava alla legge statale, la legge n. 108 del 1968 e la legge 43 del 1995. Con l’entrata in vigore della riforma del 2001 è stata definita invece una nuova materia di competenza concorrente, riguardante il sistema di elezione regionale e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità.

La Corte costituzionale, dopo l’entrata in vigore della riforma (sent. 196 del 2003 e n. 201 del 2003) ha precisato che, come negli altri casi di legislazione concorrente, le regioni non devono attendere la legge quadro statale per esercitare il proprio potere legislativo ma possono disciplinare la nuova materia “nel rispetto dei principi fondamentali che si ricavano dalla preesistente legislazione statale”.

Nella sentenza n. 143 del 2010 la Corte ha affermato il carattere vincolante della legge n. 165 del 2004 anche rispetto alle regioni a statuto speciale affinché venga garantita l'uniformità imposta dagli articoli 3 e 51 della Costituzione. Al contempo, ha ribadito che finché le regioni ordinarie non abbiano legiferato in virtù del principio di continuità si continua ad applicare la precedente disciplina, su cui in ogni caso lo Stato, dopo la riforma costituzionale del 2001, non ha possibilità di intervento. 

Nella sentenza n. 196 del 2003 la Corte costituzionale, nel ritenere esente da censura la disposizione della legge regionale dell’Abruzzo che disciplinava il termine iniziale per lo svolgimento delle elezioni ha evidenziato che “la previsione, conforme del resto a quella della legge statale, riguarda il procedimento elettorale, di competenza della Regione”. Con la sentenza n. 2 del 2004 ha evidenziato come il primo comma dell’art. 122 della Costituzione determini, in parte esplicitamente ma in parte implicitamente, un complesso riparto della materia elettorale fra le diverse fonti normative statali e regionali: anzitutto dispone che la legge della Repubblica stabilisce i principi fondamentali in tema di “sistema di elezione” e di determinazione dei “casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali”; “e sui medesimi temi viene al contempo riconosciuta una competenza del legislatore regionale per tutta la parte residua”.

Nell’unica regione (Piemonte) a non aver ad oggi adottato una propria legge elettorale, il sistema elettorale resta tuttora disciplinato dalla normativa nazionale, costituita da un complesso di norme il cui nucleo fondamentale sono la legge 108/1968, la legge 43/1995, l’articolo 5 della legge costituzionale 1/1999 ed infine i principi fondamentali recati dalla legge 165/2004.

La normativa nazionale (legge 108 del 1968 e legge 43 del 1995) non contiene disposizioni per favorire la rappresentanza di entrambi i generi. La legge 43 del 1995 all’articolo 1, comma 6, aveva previsto che nelle liste circoscrizionali e regionali non potessero essere presenti più dei due terzi dei candidati dello stesso genere. La norma, tuttavia, non era allora supportata dalle disposizioni costituzionali sulle pari opportunità recate ora dagli articoli 51 e 117 (modificati rispettivamente dalle leggi costituzionali n. 1/2003 e n. 3/2001) e la Corte costituzionale ne dichiarò la illegittimità costituzionale con sentenza n. 422 del 1995 (per un approfondimento v. infra).

Per quanto riguarda la possibilità di una diretta applicazione delle disposizioni di principio sulla promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive contenute nella legge 165 del 2004 (introdotte dalla legge 20 del 2016) alle regioni che non abbiano adottato una propria legge elettorale, si ricorda come in occasione delle ultime elezioni che si sono svolte nella regione Piemonte il 26 maggio 2019, ad esempio, si è ritenuto che vi fosse la necessità di un’attuazione nel contesto della normativa elettorale regionale, anche considerato che esse sono declinate diversamente in relazione alle diverse modalità di votazione previste dalla normativa regionale, e non si è dunque applicata la doppia preferenza di genere (ha trovato applicazione l’articolo 13 della legge n. 108 del 1968, come modificata dalla legge 43 del 1995, che prevede l’espressione di una sola preferenza).

 

Le altre regioni hanno adottato una propria normativa elettorale (da ultimo la Liguria, come anticipato, ha approvato una propria disciplina elettorale); in tale quadro nessuna di esse ha modificato sostanzialmente il sistema di elezione stabilito dalle leggi nazionali 108 del 1968 e 45 del 1995. Tutte le leggi elettorali conservano infatti l’impianto proporzionale in circoscrizioni corrispondenti al territorio delle province e l’esito maggioritario in sede regionale. Inoltre, tutte recepiscono espressamente la legislazione nazionale, anche integrativa, per quanto le leggi regionali non dispongano o dispongano diversamente.

Tutte le leggi elettorali regionali stabiliscono che ad indire le elezioni provvede il Presidente della Giunta regionale. Assieme al decreto di convocazione dei comizi è adottato altresì il decreto che ripartisce, in proporzione alla popolazione, i seggi del Consiglio tra le circoscrizioni.

Per un'analisi complessiva della legislazione elettorale regionale si veda il dossier del Servizio studi della Camera Le leggi elettorali regionali (agosto 2020).

 

In attuazione dell’articolo 122 della Costituzione la legge 165 del 2004 stabilisce i principi fondamentali entro cui deve svolgersi la potestà legislativa della regione in materia elettorale, con particolare riferimento a ineleggibilità (art. 2), incandidabilità (art. 3) e sistema di elezione (art. 4), nonché la durata degli organi elettivi regionali (art. 5).

L’articolo 4 della legge n. 165 del 2004, in particolare, espressamente richiamato dal comma 1 del decreto-legge n. 86 del 2020 in esame, ha disposto che le regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali nei limiti dei seguenti princìpi fondamentali:

a)    individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze;

In tutte le regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta e della Provincia autonoma di Bolzano, le leggi elettorali dispongono la contestuale elezione, in un unico turno, del Presidente della Regione e del Consiglio. Pur con qualche differenza, i sistemi elettorali adottati prevedono la presentazione di liste concorrenti nelle circoscrizioni (generalmente coincidenti con il territorio delle province) collegate, singolarmente o in coalizione, con un candidato alla carica di Presidente. L’attribuzione dei seggi alle liste circoscrizionali avviene con metodo proporzionale (previo superamento di soglie di sbarramento) e alla lista o coalizione collegata al candidato Presidente eletto (il candidato che ha ottenuto più voti a livello regionale) viene attribuito un premio di maggioranza variabile, in genere senza previsione di una soglia minima. Nella regione Valle d’Aosta e nella Provincia autonoma di Bolzano, invece, il Presidente è eletto dal Consiglio nel suo seno, insieme alla Giunta. Tutte le regioni e le province autonome hanno adottato nelle loro leggi disposizioni per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'art. 117, settimo comma, Cost.

b)    contestualità dell'elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, se il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto. Previsione, nel caso in cui la regione adotti l'ipotesi di elezione del Presidente della Giunta regionale secondo modalità diverse dal suffragio universale e diretto, di termini temporali tassativi, comunque non superiori a novanta giorni, per l'elezione del Presidente e per l'elezione o la nomina degli altri componenti della Giunta;

c)     divieto di mandato imperativo;

d)    promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive, disponendo secondo quanto previsto dalla legge in base al sistema elettorale adottato.

Relativamente a quest’ultima previsione, introdotta dalla legge 15 febbraio 2016, n. 20, si dispone che le Regioni a statuto ordinario, nel disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, adottino specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive. Tale iniziativa legislativa si è posta in linea di continuità con i provvedimenti approvati dal Parlamento nelle ultime due legislature per promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive locali, europee e nazionali. Per un approfondimento si veda il dossier del Servizio Studi della Camera La partecipazione delle donne alla vita politica e istituzionale (marzo 2020).

A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 20 del 2016, la legge nazionale non si limita a prevedere tra i principi, come stabilito nel testo originario, la "promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive", ma indica anche le specifiche misure adottabili, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza dei consigli regionali.

Al riguardo, la legge prevede tre ipotesi:

a)     Liste con preferenze: qualora la legge elettorale regionale preveda l'espressione di preferenze, sono previsti due meccanismi per promuovere la rappresentanza di genere: a) quota di lista del 40 per cento (in ciascuna lista i candidati di uno stesso sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale); b) preferenza di genere (deve essere assicurata l'espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso. In caso contrario, le preferenze successive alla prima sono annullate).

b)    Liste ‘bloccate': nel caso in cui la legge elettorale regionale preveda le liste senza espressione di preferenze, deve essere prevista l'alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.

c)     Collegi uninominali: nel caso in cui il sistema elettorale regionale preveda collegi uninominali, nell'ambito delle candidature presentate con il medesimo simbolo i candidati di un sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale.

L'entrata in vigore della legge del 2016 ha indotto la maggior parte delle regioni, la cui legislazione elettorale non soddisfaceva gli elementi richiesti, ad introdurre le modifiche necessarie per adeguarsi alla normativa di principio.

Le misure introdotte dalla legislazione regionale sono diverse e prevalentemente incentrate sulle cosiddette 'quote di lista', ossia sull'obbligo di inserire nelle liste di candidati una quota minima di candidati del genere meno rappresentato, variabile tra un terzo e la metà. Le quote di lista sono applicate in sistemi elettorali proporzionali, con premio di maggioranza e con voto di preferenza. Diverse regioni hanno previsto la ‘doppia preferenza di genere', misura adottata per la prima volta dalla regione Campania e successivamente ripresa dalla legge elettorale per i comuni e da altre leggi elettorali regionali e, a seguito della modifica introdotta nel 2015, richiamata dalla legge n. 165 del 2004.

Nel dettaglio, per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, la regione Campania (L.R. 4/2009, art. 10, comma 2) pone il limite di due terzi alla presenza di candidati di ciascun sesso in ogni lista provinciale o circoscrizionale, con arrotondamento all'unità più vicina.

Per le regioni Abruzzo (L.R. 9/2013, art. 1, comma 4), Puglia (L.R. 2/2005, art. 8, comma 13), Umbria (L.R. 4/2015, art. 9), Molise (L.R. 20/2017, art. 7), Basilicata (L.R. 20/2018, art. 3, co. 3) e Liguria (L.R. 18/2020, art. 6, co. 2), la disciplina elettorale dispone che in ogni lista circoscrizionale nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60% dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unità più vicina (Abruzzo e Puglia) ovvero all'arrotondamento all'unità superiore per il genere sottorappresentato (Umbria). La regione Marche (L.R.  27/2004, art. 9, comma 6, come mod. da L. 36/2019), invece, individua il limite minimo, per cui nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura inferiore al 40% dei candidati presentati, con arrotondamento all'unità superiore in caso di decimale.

Le regioni Lazio (L.R. 2/2005, art. 3, comma 2, come mod. da L.R. 10/2017), ed Emilia Romagna (L.R. 21/2014, art. 8) dispongono che in ogni lista provinciale o circoscrizionale i rappresentanti di ciascun genere devono essere presenti in misura eguale, se il numero dei candidati è pari. Nel caso in cui il numero dei candidati sia dispari, invece, ciascun genere deve essere rappresentato in numero non superiore di una unità rispetto all'altro.

Nelle regioni Lombardia (L.R. 17/2012, art. 1, comma 11, come mod. da L. 38/2017), Veneto (L.R. 5/2012, art. 13, comma 6) e Toscana (L.R. 51/2014, art. 8, comma 6) si prevede che le liste devono essere composte seguendo l'ordine dell'alternanza di genere. Nella regione Toscana, inoltre, in relazione alle candidature regionali, queste devono essere distintamente indicate rispetto alle candidature circoscrizionali ed elencate in ordine alternato di genere (art. 8, co. 5).

Meno cogente la prescrizione della regione Calabria (L.R. 1/2005, art. 1, co. 6) per la quale nelle liste elettorali (provinciali e regionali) devono essere presenti candidati di entrambi i sessi.

Nella maggioranza dei casi l'inosservanza del limite è causa di inammissibilità della lista; nelle regioni Lazio e Puglia è causa di riduzione dei rimborsi elettorali (sanzione che si somma all’inammissibilità della lista nella regione Lazio), nella regione Basilicata i candidati eccedenti vengono esclusi dalla lista, a partire da quelli collocati in coda.

Oltre alla presentazione delle liste, la maggior parte delle leggi regionali hanno introdotto nel rispettivo sistema elettorale disposizioni sul principio della c.d. doppia preferenza di genere. La legge regionale, in questi casi, prevede la possibilità per l'elettore di esprimere uno o due voti di preferenza, prescrivendo che nel caso di espressione di due preferenze, esse devono riguardare candidati di genere diverso della stessa lista, pena l'annullamento della seconda preferenza.

In particolare, tal meccanismo è previsto nelle leggi delle regioni Campania (L.R. 4/2009, art. 4, comma 3), Toscana (L.R. 51/2014, art. 14, comma 3), Emilia Romagna (L.R. 21/2014, art. 10, comma 2), Umbria (L.R. 4/2015, art. 13), Lazio (L.R. 2/2005, art. 5-bis, comma 4, come mod. da L.R. 10/2017), Lombardia (L.R. 17/2012, art. 1, comma 11, come mod. da L.R. 38/2017), Molise (L.R. 20/2017, art. 10, comma 1, come mod. da L.R. 1/2018), Marche (L.R. 27/2004, art. 16, comma 6, come mod. da L.R. 36/2019), Veneto (L.R. 5/2012, art. 20, comma 5, come mod. da L.R. 19/2018), Abruzzo (L.R. 9/2013, art. 9, comma 1, come mod. da L.R. 15/2018), Basilicata (L.R. 20/2018, art. 17, co. 2) e Liguria (L.R. 18/2020, art. 7, co. 5).

La legge della regione Campania (L.R. 4/2009, art. 10, comma 4) e della regione Molise (L.R. 20/2017, art. 7), infine, contengono disposizioni sulla rappresentanza di genere nella campagna elettorale, in base alle quali i soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica e nei messaggi autogestiti.

 

Si ricorda, per completezza, che l’articolo 2 della legge 165 del 2004 reca i principi fondamentali in materia di ineleggibilità.

L’articolo 2 dispone in particolare che, fatte salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione, le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, nei limiti dei seguenti principi fondamentali:

a) sussistenza delle cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati;

b) inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato;

 c) applicazione della disciplina delle incompatibilità alle cause di ineleggibilità sopravvenute alle elezioni qualora ricorrano le condizioni previste dall'articolo 3, comma 1, lettere a) e b); d) attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell'autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L'esercizio delle rispettive funzioni é comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi;

e) eventuale differenziazione della disciplina dell'ineleggibilità nei confronti del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali;

 f) previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia.

Relativamente a quest’ultima previsione, ad esempio, si ricorda che, in assenza di una legislazione regionale di recepimento, sono state ammesse candidature di Presidenti oltre il secondo mandato (così ad es. la sentenza del Trib Civile di Milano n. 9053 e della Corte d’Appello di Bologna, prima sezione civile, aprile 2011) ritenendo di non poter considerare norma immediatamente precettiva l'art. 2, lett. f) della legge n. 165 del 2004. Il principio è stato considerato applicabile (come ad esempio per il Veneto) dopo l’adozione della legislazione regionale di recepimento.

 

L’articolo 3 della legge 165 del 2004 reca i principi fondamentali in materia di incompatibilità.

L’articolo 3 dispone in particolare che le regioni disciplinano con legge i casi di incompatibilità, specificatamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, nei limiti dei seguenti principi fondamentali:

a) sussistenza di cause di incompatibilità, in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell'amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva;

b) sussistenza di cause di incompatibilità, in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e le funzioni svolte dai medesimi presso organismi internazionali o sopranazionali;

c) eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità tra la carica di assessore regionale e quella di consigliere regionale;

 d) in caso di previsione della causa di incompatibilità per lite pendente con la regione, osservanza dei seguenti criteri: 1) previsione della incompatibilità nel caso in cui il soggetto sia parte attiva della lite; 2) qualora il soggetto non sia parte attiva della lite, previsione della incompatibilità esclusivamente nel caso in cui la lite medesima sia conseguente o sia promossa a seguito di giudizio definito con sentenza passata in giudicato;

e) attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di incompatibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L'esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi;

f) eventuale differenziazione della disciplina dell’incompatibilità nei confronti del Presidente della Giunta regionale, degli altri componenti della stessa Giunta e dei consiglieri regionali;

g) fissazione di un termine dall'accertamento della causa di incompatibilità, non superiore a trenta giorni, entro il quale, a pena di decadenza dalla carica, deve essere esercitata l'opzione o deve cessare la causa che determina l’incompatibilità, ferma restando la tutela del diritto dell'eletto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato.

 

 

 

 


 

Articolo 1, comma 2
(Disposizioni riguardanti la disciplina sulla parità di genere per le elezioni del Consiglio regionale della Puglia del 2020)

 

Il comma 2 reca specifiche disposizioni da applicare nella regione Puglia per le elezioni del Consiglio regionale del 2020.

 

Si prevede, in particolare, che al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l’unità giuridica della Repubblica, nella regione Puglia per le elezioni del Consiglio regionale, “in luogo delle vigenti disposizioni regionali in contrasto con i principi della legge n. 165 del 2004 e salvo sopravvenuto autonomo adeguamento regionale ai predetti principi”, si applicano le disposizioni ivi previste.

Si stabilisce dunque che:

  a) ciascun elettore può esprimere due voti di preferenza, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso dall'altro, e le schede utilizzate per la votazione sono conseguentemente predisposte;

  b) nel caso in cui siano espresse due preferenze per candidati del medesimo sesso, si procede all'annullamento della seconda preferenza.

Nella riunione del Consiglio dei ministri del 25 giugno 2020, il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, ha svolto una informativa al Consiglio dei Ministri in relazione a una ricognizione effettuata sulla legislazione regionale in materia di elezione dei Consigli regionali. Dalla ricognizione, è emerso che le leggi elettorali di talune Regioni non sono state adeguate alle disposizioni di principio introdotte dalla legge 15 febbraio 2016, n. 20, volte a garantire l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini nei Consigli regionali. Tali leggi, infatti, non consentono l’espressione della seconda preferenza riservata a un candidato di sesso diverso o non prevedono le quote di lista.

Successivamente la regione Liguria, con la legge regionale 21 luglio 2020, n. 18, è intervenuta per adottare una disciplina in materia elettorale che, oltre a modificare la disciplina nazionale al fine sopprimere il listino, sostituito dalla candidatura alla carica di Presidente della Giunta regionale, inserisce la doppia preferenza di genere.

Il 23 luglio 2020 il Presidente del consiglio Giuseppe Conte ha diffidato formalmente la Regione Puglia chiamata ad adeguare la propria legge elettorale ai principi di promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive. La diffida, su proposta del ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, e della ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, richiede al Consiglio regionale pugliese di approvare la parità di genere nella legge elettorale regionale entro il 28 luglio 2020. “Decorso inutilmente tale termine – si evidenzia nel provvedimento – si fa riserva di adottare ogni ulteriore atto di cui il Governo ha facoltà secondo legge”.

“Considerato che la Regione interessata non ha provveduto ad adottare, nel termine indicato, le necessarie disposizioni di adeguamento della propria legislazione elettorale e ritenuto di dover intervenire con urgenza, in considerazione delle imminenti scadenze elettorali a tutela dell’unità giuridica della Repubblica” (si legge nella premessa) nella Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2020 è stato dunque pubblicato il decreto-legge n. 86 del 2020 adottato dal Consiglio dei Ministri nella medesima giornata e recante Disposizioni urgenti in materia di parità di genere nelle consultazioni elettorali delle regioni a statuto ordinario.

Nelle premesse al decreto-legge si evidenzia altresì che tra i principi fondamentali vincolanti per la funzione legislativa regionale in materia di sistemi elettorali è stabilito il principio di promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive; si richiama l'articolo 4, comma 1, lettera c-bis), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (v. supra) e si evidenzia come si sia ritenuto necessario a tutela dell’unità giuridica della Repubblica garantire l’effettività del rispetto del principio di  accesso  alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza ai sensi  dell'articolo 51, primo comma, della Costituzione, richiamando altresì l'articolo 120 della Costituzione e l'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. È stato invitato il Presidente della Giunta regionale della Regione Puglia, a partecipare alla riunione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131.

La legge elettorale regionale della Puglia

La legge regionale n. 2 del 28 gennaio 2005, modificata dalla legge regionale n. 7 del 10 marzo 2015, prevede l’elezione diretta del Presidente della Giunta contestualmente all’elezione del Consiglio regionale; il sistema è proporzionale su base circoscrizionale con soglie di sbarramento e attribuzione di un premio di maggioranza senza soglia minima. Le circoscrizioni corrispondono alle province.

 

Composizione del Consiglio regionale

L’articolo 24 dello statuto (legge regionale 7 del 2004) stabilisce che il Consiglio regionale della Puglia è composto da 50 membri, oltre al Presidente della Giunta regionale eletto.

La legge elettorale regionale conferma le suddette disposizioni e aggiunge che dei 50 consiglieri 23 sono eletti sulla base di liste circoscrizionali e 27 a livello regionale (art. 3) e che un seggio è attribuito di diritto al candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore al Presidente eletto (art. 2, commi 3 e 4).

 

Circoscrizioni

Le circoscrizioni elettorali coincidono con i territori delle province. La ripartizione tra le circoscrizioni dei 23 seggi attribuiti a livello circoscrizionale è effettuata sulla base della popolazione residente con il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti (art. 4). Questo costituisce il numero minimo di candidati per lista; il numero massimo consentito è costituito dal risultato della ripartizione tra le circoscrizioni in base alla popolazione di tutti i 50 seggi (art. 8, comma 12).

 

Candidature e liste

Il sistema si basa sulla presentazione di liste circoscrizionali concorrenti, ciascuna contrassegnata da un proprio simbolo e collegata ad uno dei candidati alla carica di Presidente della Giunta regionale.

 

Liste circoscrizionali

La presentazione delle liste circoscrizionali deve essere accompagnata, a pena di nullità, dalla dichiarazione di collegamento con un candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale; le liste sono ammesse solo se presenti con il medesimo contrassegno in almeno 3 circoscrizioni (art. 8, commi 2 e 3).

Le liste circoscrizionali recanti identico contrassegno nelle diverse circoscrizioni sono ammesse solo se collegate al medesimo candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale; tali liste formano un gruppo di liste (art. 8, commi 4 e 5). Più gruppi di liste collegati ad un medesimo candidato Presidente sono riunite in una coalizione di liste (art. 8, comma 6).

È consentita la candidatura in un massimo di tre circoscrizioni, purché sotto lo stesso simbolo (art. 8, comma 16).

 

Candidatura alla carica di Presidente

I candidati alla carica di Presidente della Giunta regionale devono dichiarare il collegamento con uno o più gruppi di liste (art. 2, comma 7).

 

Rappresentanza di genere

In ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento. L’inosservanza della norma è punita con una sanzione pecuniaria (riduzione dei contributi ai gruppi consiliari) (art. 8, comma 13).

 

Scheda elettorale e modalità di votazione

L’elettore dispone di un’unica scheda che reca i nomi dei candidati alla carica di Presidente della Giunta e i contrassegni delle liste provinciali collegate. L’elettore può votare solo per un candidato Presidente, o per un candidato Presidente e per una lista collegata, o per un candidato Presidente e per una lista non collegata (voto disgiunto) o solo per una lista; qualora esprima solo un voto a favore di una lista, tale voto si intende espresso anche a favore del candidato Presidente collegato (art. 7, commi 1 e 2). Ciascun elettore può esprimere un voto di preferenza (art. 7, comma 3). Nel caso di un voto per un candidato Presidente e la preferenza per più di una lista collegata, è valido solo il voto al candidato Presidente (art. 7, comma 9).

 

Elezione del Presidente, attribuzione dei seggi e premio di maggioranza

L’art. 10 della legge regionale modifica, limitatamente alla regione Puglia, numerosi articoli della legge 108 del 1968, sostituendo integralmente l’art. 15 relativo all’attribuzione dei seggi (ad esso fanno riferimento le indicazioni dei commi presenti di seguito).

La soglia d’accesso alla ripartizione dei seggi è fissata all’8 per cento dei voti validi per le coalizioni e per i singoli gruppi di liste, al 4 per cento per i gruppi di liste all’interno di una coalizione.

La ripartizione e l’assegnazione dei seggi avvengono in sede regionale. A seguito delle comunicazioni ricevute dagli uffici centrali circoscrizionali, l’Ufficio centrale regionale:

- proclama eletto alla carica di Presidente della Giunta regionale il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi e individua il candidato alla carica di Presidente che abbia ottenuto il numero di voti immediatamente inferiore (comma 4, numeri 5 e 6);

- determina la cifra elettorale regionale di ciascun gruppo di liste e di ciascuna coalizione ed esclude dalla ripartizione dei seggi le liste e le coalizioni che non abbiano ottenuto la prevista percentuale di voti validi (8 per cento per coalizioni e gruppi di liste non coalizzati, 4 per cento per i gruppi di liste in coalizione) (comma 4, numeri 7 e seguenti);

- procede al riparto dei primi 23 seggi a livello circoscrizionale: per ogni circoscrizione divide la cifra elettorale circoscrizionale di ogni lista ammessa al riparto dei seggi per il quoziente elettorale circoscrizionale (dato dal totale dei voti validi alle liste nella circoscrizione diviso per il numero di seggi spettanti alla circoscrizione +1) e assegna i seggi ad ogni lista sulla base dei quozienti interi; se il numero dei seggi da attribuire così calcolato supera il numero di seggi spettante alla circoscrizione, si utilizza un nuovo quoziente ottenuto diminuendo di una unità il divisore; i seggi che rimangono da assegnare sono attribuiti al collegio unico regionale: a tal fine calcola la somma dei voti residui di ogni lista e il totale dei seggi non attribuiti in tutte le circoscrizioni e assegna tali seggi ai gruppi di liste sulla base dei voti residuati con il metodo dei quozienti interi e maggiori resti, utilizzando il quoziente elettorale regionale (calcolato come rapporto tra il totale dei voti residuali e i seggi residuali da attribuire); procede quindi a ripartire i seggi assegnati a ciascun gruppo di liste nelle circoscrizioni seguendo la graduatoria decrescente dei voti residuati espressi in percentuale del relativo quoziente elettorale circoscrizionale (comma 5).

Assegnati i 23 seggi nelle circoscrizioni, l’Ufficio procede alla verifica dei seggi ottenuti dalla coalizione o gruppo di liste collegate al Presidente eletto, ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza e quindi della ripartizione degli ulteriori 27 seggi (comma 6). Il premio di maggioranza è variabile in relazione alla percentuale di voti ottenuta dalla coalizione o dal gruppo di liste collegate al Presidente eletto: pari o superiore al 40 per cento, dal 35 al 40 per cento ed inferiore al 35 per cento. In questi 3 casi assegna a tale coalizione o gruppo il numero di seggi necessario (sommato ai seggi già attribuiti) per arrivare ad una maggioranza, rispettivamente di 29, 28 o 27 seggi.

I restanti seggi sono ripartiti fra i gruppi e coalizioni di minoranza. I seggi così assegnati sono attribuiti ne nelle circoscrizioni (prima ripartiti tra i gruppi di liste, in caso di coalizione) sulla base della graduatoria delle cifre elettorali percentuali già utilizzate (per la ripartizione nelle circoscrizioni dei seggi residuali nel collegio unico regionale), iniziando dalla circoscrizione in cui non è stato ancora attribuito un seggio.

Articolo 1, comma 3
(La nomina del Commissario straordinario)

 

Il comma 3 dispone la nomina del prefetto di Bari a commissario straordinario “con il compito di provvedere agli adempimenti conseguenti per l'attuazione del decreto”, ivi compresa la ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili con la doppia previsione di genere introdotta dal comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge in esame per la regione Puglia.

 

Al prefetto di Bari spetta dunque, in base al decreto-legge in esame, l’adozione degli adempimenti conseguenti e una ricognizione delle disposizioni regionali incompatibili (della regione Puglia) con le previsioni sulla doppia previsione di genere dettate dal comma 2 del decreto-legge in esame.

Il compito del commissario, in base alla formulazione della norma, appare quindi quello di “compiere una ricognizione delle norme incompatibili”: andrebbe in proposito valutata l’opportunità di chiarire cosa accada nel caso in cui il Commissario riscontri, all’esito della ricognizione, disposizioni regionali incompatibili rispetto alle prescrizioni del comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge in esame e come si concretizzi, nel caso di specie, “l’adozione degli adempimenti conseguenti” posta in capo al Commissario (considerato anche che gran parte degli adempimenti sono di competenza degli uffici elettorali in attuazione della legge). Si ricorda inoltre che la Corte costituzionale esclude che i Commissari straordinari, nominati in attuazione dell'art.120, secondo comma, possano porre in essere atti legislativi spettanti ai Consigli regionali (si veda Scheda sui poteri sostitutivi ex art.120, secondo comma, Cost. nella giurisprudenza costituzionale, infra).

 

Rimane fermo, secondo quanto specificato al comma 3, il rispetto del principio della concentrazione delle consultazioni elettorali previsto dal decreto-legge n. 26 del 2020 (art. 1-bis) che ha disposto lo svolgimento contestuale – il 20 e 21 settembre 2020 - delle elezioni previste nel 2020.

Nel 2020 sono previste le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali in 6 regioni a statuto ordinario: Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia e in una a statuto speciale: Valle d'Aosta.

 Le consultazioni elettorali da tenersi nel 2020 si svolgeranno contemporaneamente nei giorni di domenica 20 e lunedì 21 settembre. Si tratta nel dettaglio delle seguenti elezioni:

-        referendum costituzionale confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari (D.P.R. 17 luglio 2020 adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri del 14 luglio 2020, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia);

-        elezioni suppletive nei collegi uninominali 03 della Regione Sardegna e 09 della Regione Veneto del Senato (D.P.R. 17 luglio 2020 adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri del 14 luglio 2020 e su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno;

-        elezioni amministrative del turno ordinario 2020 nei comuni delle regioni a statuto ordinario, con eventuale ballottaggio 4-5 ottobre (decreto del Ministro dell'interno 15 luglio 2020).

 

Si ricorda infine che nel corso dell’esame de disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 26 del 2020 alla Camera dei deputati (A.C. 2471) sono stati accolti diversi ordini del giorno che hanno impegnato il Governo ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché le regioni recepiscano e modifichino la loro normativa al fine di prevedere la doppia preferenza di genere (si veda il Resoconto della seduta dell’11 giugno 2020).


 

Articolo 2
(Invarianza finanziaria)

 

L’articolo 2 dispone in ordine all’invarianza finanziaria del provvedimento, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'attuazione delle disposizioni del decreto-legge nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 


 

Articolo 3
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 3 reca la clausola di entrata in vigore del decreto-legge, disponendo l’entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  (GU Serie Generale n.191 del 31-07-2020), quindi il 1° agosto 2020.

 


 

Le principali pronunce della Corte Costituzionale sull’accesso alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza

Principi costituzionali

L’articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di eguaglianza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Alla Repubblica è affidato il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Al contempo, norma fondamentale in tema di partecipazione alla vita politica è l'articolo 51, primo comma, della Costituzione, secondo il quale “tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.

A seguito di una modifica del 2003 (L. Cost. n. 1/2003), dovuta anche ad un orientamento espresso dalla Corte costituzionale in una sentenza del 1995 (v. infra) è stato aggiunto un periodo all’art. 51 Cost. in base al quale “A tal fine, la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Si è in tal modo segnato un passaggio dalla dimensione statica della parità di trattamento uomo-donna alla prospettiva dinamica delle pari opportunità, con la finalità di raggiungimento di un'uguaglianza sostanziale come già riconosciuta dall'art. 3 e secondo lo spirito della Convenzione ONU per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) del 1979 nonché della Dichiarazione di Pechino del 1995, atti che mirano al raggiungimento di una parità de facto.

A livello sovranazionale, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - che con il trattato di Lisbona ha assunto valore vincolante per il nostro ordinamento - prevede che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi e che il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (art. 23 inserito nel Capo III relativo all'uguaglianza).

L'articolo 117, settimo comma, Cost. (introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001) prevede inoltre che "Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive." Analogo principio è stato introdotto negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata dalla legge costituzionale n. 2 del 2001.

I principali orientamenti della giurisprudenza costituzionale

Secondo un primo orientamento della Corte costituzionale risalente alla metà degli anni Novanta, espresso nella sentenza n. 422 del 12 settembre 1995, la previsione di quote di genere in campo elettorale si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, sancito dagli articoli 3 e 51 della Costituzione.

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme contenute nelle leggi per le elezioni politiche, regionali ed amministrative che stabilivano una riserva di quote per l'uno e per l'altro sesso nelle liste dei candidati. Diversamente è stata valutata la disposizione contenuta nella legge elettorale del Senato, in quanto – ha argomentato la Corte – quest’ultima ha carattere essenzialmente programmatico, limitandosi a sancire il principio dell’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini.

Nella motivazione della sentenza, la Corte ha affermato che l’art. 3, primo comma e l’art. 51, primo comma Cost. (ante riforma del 2003) «garantiscono l’assoluta eguaglianza tra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive, nel senso che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità: ne consegue che altrettanto deve affermarsi per quanto riguarda la ‘candidabilità’». Infatti, la possibilità di essere candidato “non è che la condizione pregiudiziale e necessaria per poter essere eletto e beneficiare quindi in concreto del diritto di elettorato passivo” sancito dall’art. 51 Cost. Secondo la Corte, viene pertanto a porsi in contrasto con i citati parametri costituzionali “la norma di legge che impone nella presentazione delle candidature alle cariche pubbliche elettive qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati”.

In conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale le norme sopra richiamate volte alla tutela della rappresentanza femminile decaddero.

Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1995 si pose la questione della necessità di modificare la Costituzione in modo da consentire interventi normativi sulle leggi elettorali tali da incentivare la presenza delle donne negli organismi rappresentativi elettivi.

Successivamente, il quadro costituzionale è mutato, anche in conseguenza della posizione espressa dalla Corte, fino a giungere alla modifica dell’art. 51 Cost.

La riforma costituzionale del Titolo V del 2001 ha riaffermato il principio della parità di accesso alle cariche elettive in ambito regionale e la legge costituzionale n. 1 del 2003 ha riconosciuto espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra uomini e donne nella vita pubblica.

La prima sentenza della Corte sulle c.d. quote rosa interveniva a due anni da un’altra pronuncia importante (sentenza n. 109 del 1993) con la quale la Corte aveva riconosciuto la legittimità costituzionale delle azioni positive in favore delle donne, in particolare nel campo del sostegno all’imprenditoria femminile.

Secondo il ragionamento condotto dalla Corte in tale occasione, le incentivazioni finanziarie disposte dalla L. n. 215 del 1992 a favore di imprese a prevalente partecipazione femminile o condotte da donne, mirando a compensare (ovvero ad attenuare) lo squilibrio storicamente esistente a danno del sesso femminile nel campo dell'imprenditoria, rientrano fra le "azioni positive" finalizzate alla realizzazione dell'eguaglianza effettiva tra uomini e donne; perciò, trattandosi di una disciplina positivamente differenziata in vista dell'attuazione uniforme, su tutto il territorio nazionale, di un valore costituzionale primario, l'indiretta incidenza di essa sulle politiche di incentivazione promosse dalle regioni nei settori materiali di loro competenza, non può costituire motivo di illegittimità costituzionale, ma esige, piuttosto, la previsione di adeguati strumenti di cooperazione fra lo Stato e le regioni (o le province autonome).

Gli orientamenti giurisprudenziali successivi alla riforma dell’art. 51 Cost.

Dopo la sentenza del 1995, la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sul tema delle pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive con la sentenza n. 49 del 13 febbraio 2003, pronunciata dopo le riforme costituzionali del 2001 relative agli ordinamenti regionali ma prima della modifica dell'articolo 51.

Innovando notevolmente il proprio orientamento, la Corte ha ritenuto legittime le modifiche alla normativa per l’elezione dei consigli regionali approvate dalla regione Valle d’Aosta che stabiliscono che ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi e che vengano dichiarate non valide dall'ufficio elettorale regionale le liste presentate che non corrispondano alle condizioni stabilite. La stessa Corte ha evidenziato che tale normativa deve essere valutata alla luce di un quadro costituzionale di riferimento che si è evoluto rispetto a quello in vigore all’epoca della pronuncia n. 422/1995.

Le disposizioni censurate, secondo il ragionamento svolto dalla Corte, “stabiliscono un vincolo non già all'esercizio del voto o all'esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro (solo) la possibilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso. Tale vincolo negativo opera soltanto nella fase anteriore alla vera e propria competizione elettorale, e non incide su di essa. La scelta degli elettori tra le liste e fra i candidati, e l'elezione di questi, non sono in alcun modo condizionate dal sesso dei candidati”.

Ribadito che il vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva, la Corte ha ritenuto che la “misura disposta dalla regione Valle D’Aosta può senz’altro ritenersi una legittima espressione sul piano legislativo dell'intento di realizzare la finalità promozionale espressamente sancita dallo statuto speciale in vista dell'obiettivo di equilibrio della rappresentanza”. Infine, la Corte ha affermato che la finalità di conseguire una “parità effettiva” fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è “positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale” e che tale esigenza è espressamente riconosciuta anche nel contesto normativo dell’Unione europea ed internazionale.

 

Nella successiva ordinanza n. 39 del 2005, la Corte costituzionale affronta una questione sollevata dal Consiglio di Stato riguardante l'obbligo legislativamente previsto di inserire almeno un terzo di donne nelle Commissioni di concorso, quindi una vera quota di risultato sia pure prevista per un organo amministrativo. Il Consiglio di Stato richiama proprio la sentenza del 1995 a sostegno delle proprie argomentazioni nel senso dell'incostituzionalità della disposizione che prevedeva l'obbligo della presenza femminile. La Corte costituzionale ritiene peraltro che il richiamo alla sentenza del 1995 non è sufficiente alla luce della modifica dell'articolo 51 intervenuta nel 2003 e dichiara pertanto la questione manifestamente inammissibile per carenza di motivazione.

La sentenza 14 gennaio 2010, n. 4 sulla ‘doppia preferenza di genere'

La pronuncia più rilevante sul tema delle misure positive per promuovere le pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive è rappresentata dalla sentenza n. 4 del 2010, con cui la Corte, richiamando il principio di uguaglianza inteso in senso sostanziale, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo relativa all'introduzione della ‘doppia preferenza di genere' da parte della legge elettorale della Campania, in considerazione del carattere promozionale e della finalità di riequilibrio di genere della misura.

La L.R. Campania n. 4/2009, è la prima legge regionale ad introdurre la c.d. “preferenza di genere” nelle elezioni regionali, che poi verrà utilizzata ampiamente anche nelle altre regioni e per le elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo, sulla base delle previsioni della legge del 2014. Con tale espressione ci si riferisce alla possibilità per l’elettore di esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso, di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile ed una un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza (art. 4, co. 3).

Con la sentenza 14 gennaio 2010, n. 4, la Corte ha dichiarato che tale innovativa previsione non viola la Costituzione. Piuttosto, la finalità della nuova regola elettorale è dichiaratamente quella di ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno del Consiglio regionale, in linea con i principi ispiratori del riformato art. 51, primo comma, Cost., e dell’art. 117, settimo comma, Cost., nel testo modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (entrambi espressione del principio di uguaglianza sostanziale, di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.).

È vero che la giurisprudenza costituzionale esclude che possano essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che «non si propongano di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi» (sent. n. 422 del 1995). Tenendo ferma questa  statuizione, la Corte, in epoca precedente alla riforma dell’art. 51 Cost., ha precisato che i vincoli imposti dalla legge per conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza politica non devono incidere sulla «parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale» (sent. n. 49 del 2003).

Sulla scorta di questi precedenti, la Corte ha motivato la sentenza di rigetto della questione di legittimità costituzionale basandosi sui seguenti argomenti:

•   la disposizione campana, per la sua formulazione, non prefigura il risultato elettorale, ossia non altera la composizione dell’assemblea elettiva rispetto a quello che sarebbe il risultato di una scelta compiuta dagli elettori in assenza della regola contenuta nella norma medesima né attribuisce ai candidati dell’uno o dell’altro sesso maggiori opportunità di successo elettorale rispetto agli altri. In altri termini, la «nuova regola rende maggiormente possibile il riequilibrio, ma non lo impone. Si tratta, quindi, di una misura promozionale, ma non coattiva»;

 

Infatti, «l’espressione della doppia preferenza è meramente facoltativa per l’elettore, il quale ben può esprimerne una sola, indirizzando la sua scelta verso un candidato dell’uno o dell’altro sesso. Solo se decide di avvalersi della possibilità di esprimere una seconda preferenza, la scelta dovrà cadere su un candidato della stessa lista, ma di sesso diverso da quello del candidato oggetto della prima preferenza. Nel caso di espressione di due preferenze per candidati dello stesso sesso, l’invalidità colpisce soltanto la seconda preferenza, ferma restando pertanto la prima scelta dell’elettore»;

 

•   i diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati. Il primo perché l’elettore può decidere di non avvalersi della possibilità di esprimere la seconda preferenza, che gli viene data in aggiunta al regime della preferenza unica, e scegliere indifferentemente un candidato di genere maschile o femminile. Il secondo perché la regola della differenza di genere per la seconda preferenza non offre possibilità maggiori ai candidati dell’uno o dell’altro sesso di essere eletti, posto il reciproco e paritario condizionamento tra i due generi nell’ipotesi di espressione di preferenza duplice».

Si richiama infine anche la sentenza n. 81 del 2012 con la quale la Corte esamina un conflitto di attribuzione fra enti proposto dalla Regione Campania, avente ad oggetto la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4502 del 27 luglio 2011, che aveva annullato l’atto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore. Secondo quanto previsto infatti nella norma statutaria il Presidente della Giunta nella nomina degli assessori è tenuto ad assicurare “il pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne e uomini”, principio che il giudice amministrativo non riteneva soddisfatto con la nomina di undici assessori uomini e di una sola donna nell’esecutivo campano.

La Corte costituzionale dichiara inammissibile il conflitto, ma richiama la questione della equilibrata presenza di genere all’interno delle Giunte, sostenendo che la discrezionalità politica incontra un limite nell’esistenza di un vincolo giuridico derivante dal quadro normativo, costituzionale e legislativo, attualmente vigente in materia di equilibrio di genere anche con riferimento alla nomina dei componenti di una Giunta. La sentenza infatti riconosce indirettamente la natura prescrittiva delle norme poste in tema di parità di genere dallo Statuto Campano, “in armonia” con l’art. 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione, e la loro natura di vincolo per il vertice dell’esecutivo.


 

I limiti ai decreti-legge in materia elettorale

L'art. 15, co. 2, lett. b), della L. 400/1998 stabilisce che il Governo non può mediante decreto-legge provvedere nelle materie indicate nell'art. 72, quarto comma, della Costituzione. Fra queste ultime vi è ricompresa la materia elettorale.

A partire dalla VI legislatura si sono peraltro registrati diversi precedenti di interventi in materia elettorale con tale strumento normativo che, in ogni caso, hanno avuto ad oggetto prevalentemente aspetti del procedimento elettorale e non la disciplina del sistema elettorale in senso sostanziale. Anche dalla giurisprudenza costituzionale si ricava come il divieto di intervenire con decreto-legge in materia elettorale riguardi in modo particolare la determinazione della rappresentanza in base ai voti ottenuti e non incida sulla legislazione elettorale di contorno.

La Corte costituzionale, in particolare, per quanto concerne la delimitazione della materia elettorale, nella sentenza n. 104 del 1973 ha evidenziato come in tale materia “va ricompreso anche ciò che attiene alla organizzazione della funzione elettorale, ossia tutta quella normazione positiva riguardante lo svolgimento delle elezioni”. Successivamente, nella sentenza n. 161/1995, pronunciata nell’ambito di un giudizio su un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato riguardante il decreto-legge n. 83 del 1995, in materia di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne referendarie, il conflitto era stato sollevato dai promotori di alcuni referendum, ad avviso dei quali il citato decreto-legge risultava “viziato “per cattivo uso del potere di cui all’art. 77 della Costituzione” essendo stato adottato, senza che ricorressero gli estremi della necessità e dell’urgenza, in materia referendaria, da ritenersi preclusa al decreto-legge”. La Corte, dopo aver riaffermato, in linea con la sentenza n. 29 del 1995, che spetta ad essa il sindacato sull’esistenza dei presupposti costituzionali ed aver rilevato che nel caso di specie “non ricorre quella ‘evidente mancanza’ dei requisiti di validità costituzionale relativi alla preesistenza di tali presupposti”, si pronuncia sul “limite oggettivo che, rispetto alla decretazione d’urgenza, viene dedotto nel ricorso con riferimento alla materia referendaria”, rilevando “che tale limite non risulta desumibile, né direttamente né indirettamente, dalla disciplina costituzionale”.

“Il rilievo può valere – argomenta la Corte – anche per quanto concerne il divieto – desunto dall’art. 72, quarto comma, della Costituzione e richiamato dall’art. 15, secondo comma, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400 – relativo alla materia elettorale: e, invero, anche a voler ammettere, ai fini dell’operatività di detto limite rispetto al caso in esame, una piena equiparazione tra materia elettorale e materia referendaria, resterebbe pur sempre il fatto che il decreto in questione ha inteso porre una disciplina che non viene a toccare né il voto né il procedimento referendario in senso proprio, ma le modalità della campagna referendaria. La sfera regolata dal decreto-legge n. 83 del 1995, pur connessa alla materia referendaria – in quanto funzionalmente collegata all’applicazione dell’art. 75 della Costituzione – risulta, pertanto, distinta, nei suoi contenuti, da tale materia, il cui oggetto va identificato nel voto e nel procedimento referendario”.

La Corte ha in tale sede quindi fatto riferimento in modo particolare al “nucleo essenziale” della legge elettorale, principalmente quello che regola la determinazione della rappresentanza politica in base ai voti ottenuti, distinto dalla cosiddetta legislazione elettorale di contorno o dalla disciplina di aspetti di carattere procedimentale o organizzativo.


 

I poteri sostitutivi ex art. 120, secondo comma, Cost. nella giurisprudenza costituzionale

La modifica del Titolo V, Parte II, della Costituzione, del 2001 ha inciso in modo significativo sull’assetto dei rapporti tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, rafforzando sia la sfera di autonomia delle regioni sul piano legislativo[1]  sia la sfera di autonomia amministrativa degli enti locali[2].

In tale quadro costituzionale, i poteri sostitutivi -  nell'ambito dei quali si inseriscono i cosiddetti poteri sostitutivi (aggiuntivi e straordinari[3]) di cui all'articolo 120, secondo comma, Cost.[4]-  si inquadrano nell'ambito di un necessario bilanciamento rispetto alla maggiore autonomia, consentendo allo Stato di intervenire in presenza di "ipotesi patologiche"[5] nel rispetto dell'unità e della coerenza dell'ordinamento.

La Corte Costituzionale afferma in proposito che "[l]a nuova norma deriva palesemente dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle attribuzioni amministrative, taluni interessi essenziali – il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, la salvaguardia dell’incolumità e della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali – che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello Stato (cfr. infatti l’articolo 117, quinto comma, ultimo inciso, della Costituzione, per gli obblighi internazionali e comunitari; l’articolo 117, secondo comma, lettere h e m, rispettivamente per l’ordine e la sicurezza pubblica e per i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali). Quanto all’“unità giuridica” e all’“unità economica”, quale che ne sia il significato [..], si tratta all’evidenza del richiamo ad interessi “naturalmente” facenti capo allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unità e indivisibilità della Repubblica garantita dall’articolo 5 della Costituzione"[6].

Circa gli enti destinatari dei poteri sostitutivi in commento, la giurisprudenza ha chiarito che essi si estendono anche alle regioni a stuto speciale (e alle province autonome).

La Corte costituzionale chiarisce che il potere sostitutivo potrà trovare applicazione anche nei loro confronti, fermo restando che la questione riguarda le funzioni ulteriori attratte dal nuovo Titolo V che saranno trasferite loro con norme di attuazione degli statuti, mentre "riguardo alle competenze già disciplinate dai rispettivi statuti, continueranno nel frattempo ad operare le specifiche tipologie di potere sostitutivo in essi (o nelle norme di attuazione) disciplinate"[7].

Quanto ai presupposti per l'attivazione dei poteri ex art. 120, secondo comma, la Corte costituzionale ritiene che, oltre all'inerzia dell'ente territoriale rispetto a obblighi previsti dall'ordinamento, vi sia altresì l'ipotesi di adempimento illegittimo[8].

Circa gli strumenti con cui esercitare i poteri in questione, in dottrina si è lungamente dibattuto se il tenore dell'art.120[9], secondo comma, Cost., autorizzi il Governo ad attivarsi solo in presenza di inerzie e inadempimenti di tipo amministrativo ed eventualmente regolamentare, o se sia idoneo ad autorizzare forme di sostituzione anche di tipo legislativo (come nel caso del presente decreto-legge).

La Corte costituzionale, sebbene non sia stata interpellata direttamente su tale questione, verosimilmente anche in considerazione dell'esiguità di siffatti interventi legislativi da parte del Governo[10], fornisce indicazioni rilevanti al riguardo in alcune decisioni, attraverso  obiter dicta.

 

  Ad avviso della Corte[11], se si ammette la possibilità del Governo di intervenire con provvedimenti legislativi ai sensi dell'art.120, comma secondo, allora non si può prescindere dallo strumento del decreto-legge[12].

Nelle parole della Corte, "anche volendosi interpretare la surrichiamata disposizione costituzionale come tale da legittimare il potere del Governo di adottare atti con forza di legge in sostituzione di leggi regionali, e quindi eccezionalmente derogando al riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni" ciò sarebbe possibile attraverso "l’esercizio in via temporanea dei propri poteri di cui all’art. 77 Cost.", fermo restando il divieto "di affidare ad un diverso organo gli eccezionali poteri di natura legislativa del Consiglio dei Ministri o – tanto più – di incaricarlo addirittura di adottare una legge regionale, che è invece un potere proprio del solo organo rappresentativo della Regione" (sui poteri del Commissario straordinario, v. infra).

In altra (e precedente) occasione, la Corte evoca la possibilità che i poteri sostitutivi possano essere attivati (anche) a seguito del mancato o legittimo esercizio di competenze legislative, o quantomeno regolamentari (ex art.117 Cost.).

Nella sent. n.236 del 2004[13], con riguardo all'art. 120, secondo comma, si afferma che “la disposizione è posta a presidio di fondamentali esigenze di eguaglianza, sicurezza, legalità che il mancato o illegittimo esercizio delle competenze attribuite, nei precedenti artt. 117 e 118, agli enti sub-statali, potrebbe lasciare insoddisfatte o pregiudicare gravemente”.

Fra i principi sanciti nella giurisprudenza costituzionale, si segnala[14] che l'art.8 della legge n.131 del 2003 "non deve necessariamente applicarsi a ogni ipotesi di potere sostitutivo previsto dalla legge ove quest'ultima ne disciplini espressamente in maniera diversa l'esercizio"[15], ben potendo il legislatore, con normativa di settore, disciplinare altri tipi di intervento sostitutivo[16]. In tal caso, il legislatore statale è tenuto a rispettare i principi desumibili dall’art. 120 Cost.

Pertanto i poteri sostitutivi: a) devono essere previsti e disciplinati dalla legge[17], che ne deve definire i presupposti sostanziali e procedurali, in ossequio al principio di legalità; b) devono essere attivati solo in caso di accertata inerzia della Regione o dell’ente locale sostituito; c) devono riguardare solo atti o attività privi di discrezionalità nell’an; d) devono essere affidati ad organi di Governo; e) devono rispettare il principio di leale collaborazione all’interno di un procedimento nel quale l’ente sostituito possa far valere le proprie ragioni; f) devono conformarsi al principio di sussidiarietà.

Quanto nello specifico al rispetto del principio di leale collaborazione[18] nell'esercizio dei poteri sostitutivi, che trova attuazione - rispetto all'art.120, secondo comma, Cost. - nella descritta procedura dettata dalla legge n.131 del 2003, si tratta di un parametro alla luce del quale il Giudice delle leggi vaglia la legittimità dell'intervento, che deve contemplare meccanismi collaborativi, fra cui ad esempio la diffida ad adempiere entro un congruo termine, da attivare prima dell'intervento sostitutivo.

Si segnala altresì che non è consentita l'attivazione dei poteri sostitutivi ex art.120, secondo comma, per superare il mancato raggiungimento di un'intesa nell'ambito del sistema delle Conferenze nell'ipotesi in cui sia stata introdotta una disciplina statale in materie di competenza regionale in presenza dei presupposti per la cd attrazione in sussidiarietà[19].

Riguardo ai poteri attribuibili ai commissari straordinari, su cui la Corte costituzionale è stata in varie occasioni chiamata ad intervenire in relazione ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, è esclusa "la possibilità di ritenere conformi al dettato costituzionale provvedimenti commissariali aventi forza di legge regionale"[20]. Ciò non di meno, "le funzioni del commissario ad acta, come definite nel mandato conferitogli e come specificate dai programmi operativi (ex art. 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009), pur avendo carattere amministrativo e non legislativo devono restare, fino all'esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali - anche qualora questi agissero per via legislativa"[21].

In tale contesto, la Corte richiama il carattere temporaneo che deve caratterizzare l'esercizio dei poteri sostitutivi, segnalando conseguentemente "[l]'anomalia di un commissariamento della sanità regionale protratto per oltre un decennio, senza che l'obiettivo del risanamento finanziario sia stato raggiunto, si ripercuote anche sugli equilibri della forma di governo regionale, a causa del perdurante esautoramento del Consiglio e della stessa Giunta a favore del Commissario ad acta[22]".

 



[1] Fra l'altro con il riconoscimento in capo alle Regioni di una potestà legislativa generale residuale, su tutti gli ambiti materiali per cui non è previsto l'esercizio di una potestà concorrente o esclusiva dello stato.

[2] Con l’introduzione del principio per il quale l'attribuzione delle funzioni amministrative è ordinariamente attribuita ai comuni, salva l'attribuzione ad un diverso ente in ragione del principio di sussidiarietà.

[3] La Corte costituzionale, già nella sentenza n.313 del 2003, ritiene che siano ammissibili poteri sostitutivi ulteriori rispetto a quelli dettati in costituzione. Tornando nuovamente sul punto, la Corte, nella successiva sentenza n.43 del 2004, nel giudicare legittime forme di controllo delle regioni sugli enti locali, afferma che "l’articolo 120, secondo comma, non può essere inteso nel senso che esaurisca, concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi. In realtà esso prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi ivi esplicitamente indicati, mentre lascia impregiudicata l’ammissibilità e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il riparto delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche che li possano rendere necessari" (Considerato in diritto n.3.3, quinto capoverso).

[4] L'art.117, quinto comma, disciplina un ulteriore potere sostitutivo, disciplinato con legge dello Stato, in relazione ad eventuali inadempienze nell'attuazione e nell'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea.

[5] Nella sent. n. 236/2004, il Giudice delle leggi afferma che la "previsione del potere sostitutivo fa dunque sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze, assicurando comunque, nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali a tutela di interessi unitari" (Considerato in diritto n.41, secondo capoverso).

 

[6]  Sent. n. 43/2004, Considerato in diritto n.3.3, secondo capoverso.

[7] Sent. n. 236/2004, Considerato in diritto 4.1, capoversi terzo e quarto).

[8] A titolo di esempio, nella cit. sent. n. 236 del 2004, la Corte si riferisce, in modo indistinto, ai due temini  “mancato o illegittimo esercizio delle competenze attribuite agli enti substatali” (Considerato in diritto n.4.1, terzo capoverso).

[9] Attenzione è stata posta, fra l'altro, sulla previsione (recata all'articolo 120, secondo comma) della facoltà del Governo di sostituirsi (anche) "a organi delle Regioni", che è stata letta da taluni come legittimante un intervento anche sull'attività normativa dei consigli regionali. In quest'ottica, la legge n.131 del 2003, al richiamato art.8, prevede che il Governo possa porre in essere "adotta i provvedimenti necessari, anche normativi".

[10] Si segnalano, in proposito, il decreto-legge n.251 del 2006 ("Disposizioni urgenti per assicurare l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla direttiva 79/409/CEE in materia di conservazione della fauna selvatica") e il decreto legge n.297 del 2006 (Disposizioni urgenti per il recepimento delle direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e per l'adeguamento a decisioni in ambito comunitario relative all'assistenza a terra negli aeroporti, all'Agenzia nazionale per i giovani e al prelievo venatorio"). Nel primo provvedimento, peraltro non convertito dalle Camere, si prevede (all'art.8, "Intervento sostitutivo urgente") che le regioni siano tenute ad adeguare il proprio ordinamento a disposizioni normative (l'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, e l'articolo 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157, come modificato dal medesimo decreto), "abrogando o modificando le proprie leggi, le delibere e gli atti applicativi, nonché i calendari venatori nelle parti difformi dalle suddette disposizioni" e, per quanto interessa in questa sede, "che nelle more di tale adeguamento "e al fine di assicurare l'immediato rispetto dell'ordinamento comunitario, sono sospesi gli effetti delle deroghe adottate dalle regioni in difformità dalle richiamate disposizioni. Decorso inutilmente il termine suindicato, le leggi e gli atti regionali difformi da tali disposizioni si intendono abrogati e annullati". Nel secondo provvedimento citato (all'art. 4) si dispone che in esecuzione di un'ordinanza del Presidente della Corte di giustizia delle Comunità europee in relazione ad una causa (la C-503/06) "è sospesa l'applicazione della legge della regione Liguria 31 ottobre 2006, n. 36".

[11] Si veda la sent. n.361 del 2010, Considerato in diritto n.5, ultimo capoverso.

[12] Si tratta di un'affermazione di particolare valenza, tenuto conto che in dottrina la possibilità della sostituzione tramite decreto-legge non è stata ritenuta pacifica, anche in ragione della circostanza che le fasi con cui si articola la disciplina recata all'art.8 della legge n. 131 del 2003 per la sostituzione (la previa previsione della messa in mora per l’ente inadempiente, la fissazione di un termine entro il quale provvedere, l’audizione dell’organo interessato decorso tale termine) parrebbero non sempre conciliabili con l'urgenza richiesta dall'art. 77 Cost. della Costituzione come presupposto per l'adozione di decreti-legge.

[13] Considerato in diritto n.4.1, terzo capoverso.

[14]  Al riguardo si è già svolto un rapido cenno alla giurisprudenza (in primis la n.43 del 2004) che attribuisce all'art.120, secondo comma, il carattere di potere sostitutivo aggiuntivo e straordinario, per distinguerlo dai poteri sostitutivi ordinari (v. supra).

[15] Sent. n. 171 del 2015, Considerato in diritto n.3.2, quarto capoverso, che richiama un principio già affermato in precedenti decisioni (Cfr. sentt. n.249, 250 e 254 del 2009, nochè nn. 43 e 240 del 2004).

[16] In quest'ottica "l’articolo 120, secondo comma, della Costituzione non preclude, in linea di principio, la possibilità che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza, e nel disciplinare l’esercizio di funzioni amministrative conferite agli enti locali, preveda anche poteri sostitutivi in capo a organi regionali o di altro livello di governo nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente ordinariamente competente" (Sent. n. 227 del 2004, Considerato in diritto n.2, secondo capoverso), fermo restando il rispetto dei principi desumibili dall'art.120, secondo comma, e dalla giurisprudenza antecedente alla stessa introduzione di detta norma costituzionale.

[17] A titolo esemplificativo, nella sent. n.252/2017, richiamandosi alla giurisprudenza precedente la modifica del titolo V (sentenze n. 338 del 1989 e n. 177 del 1988), la Corte ribadisce che "le ipotesi in cui può essere esercitato il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni o delle Province autonome e le modalità di esercizio dello stesso debbono essere previste da un atto fornito di valore di legge" (Considerato in diritto n.20), ritendo nel caso di specie costituzionalmente illegittima la previsione ad un provvedimento non legislativo "le modalità di attuazione del potere sostitutivo dello Stato in relazione all’inerzia o ritardo delle Regioni o delle Province ad autonomia speciale" (Considerando in diritto n.21).

[18] Ex multis, si vedano la sent.  n.367 del 2007 (in cui si afferma che "l’esercizio del potere sostitutivo implica, in ogni caso, il rispetto delle garanzie procedimentali improntate al principio di leale collaborazione", Considerato in diritto n.10), nonchè le sentenze nn. 227 e 43 del 2004 e n. 313 del 2003.

[19] Si veda in proposito la sent. n. 383 del 2005, in cui la Corte afferma che “il secondo comma dell’art. 120 Cost. non può essere applicato ad ipotesi [..] nelle quali l’ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa regionale" (Considerato in diritto n.30, quarto capoverso).

[20] Sent. n.378 del 2014 (Considerato in diritto n.3). In quell'occasione la Corte, nel richiamare la cit. sent. 361 del 2010, ha affermato che "a livello regionale è solo il Consiglio regionale l’organo titolare del potere legislativo" e che "la disciplina contenuta nell’art. 120 Cost. non può essere interpretata come legittimante il conferimento di poteri legislativi ad un soggetto che sia stato nominato Commissario dal Governo" (considerando in diritto n.3). Inoltre, ha avuto modo di precisare che la nomina di un commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, "sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica" e che si tratta di un'attività "volta a soddisfare «la necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.) qual è quello alla salute" (al riguardo sono richiamate le sentenze n. 104 e n. 28 del 2013, n. 78 del 2011 e n. 193 del 2007 " (Considerando in diritto n.2).

[21] Sent 247/2018 Cfr sent 117/2018 (Considerato in diritto n.3, quinto capoverso), in cui si afferma altresì che "[t]ale violazione sussiste anche quando l'interferenza è meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto della legge regionale con i poteri del commissario incaricato di attuare il piano di rientro". (Ex multis, si vedano le sentenze n. 14 del 2017, n. 199 del 2018, n. 106 del 2017 e n. 361 del 2010).

[22] Sent. n.199 del 2018, Considerato in diritto n.6.