Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 30 marzo 2020 |
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Il decreto-legge in esame, in ragione del perdurare dell'emergenza dovuta all'evolversi della situazione epidemiologica conseguente alla diffusione ormai pandemica del virus COVID-19, e del forte incremento in Italia dei casi e dei decessi, è diretto a tipizzare in un atto di rango primario, le misure potenzialmente applicabili su tutto il territorio nazionale o su parte di esso, per contenere e contrastare i rischi sanitari conseguenti, per periodi di tempo predeterminati.
Infatti, con l'adozione del
D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020
, – convertito dalla legge n. 13/2020 -, di cui il provvedimento in esame dispone l'abrogazione (cfr.
infra art. 5), sono state individuate alcune
misure di contrasto e di emergenza epidemiologica, da adottare con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, consentendo, in alcuni casi, alle autorità competenti l'adozione di
ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza, anche diverse da quelle previste dal decreto-legge medesimo. Sono quindi intervenuti una serie di D.P.C.M. nonché di ordinanze e decreti ministeriali, che di volta in volta hanno aggravato e diversamente modulato le misure applicabili in ragione dell'evolversi della situazione epidemiologica.
Il provvedimento in esame, pertanto, in conformità alla riserva di legge prevista dalle norme costituzionali per le limitazioni ad alcuni diritti di libertà (cfr. artt, 13, 14, 16, 17 e 41 Cost.), giustificate da altri interessi costituzionali (quale nel caso di specie la tutela della salute pubblica, art. 32 Cost.), reca una definizione dettagliata ed esaustiva di tutte le misure potenzialmente applicabili per contrastare l'emergenza, e nel cui ambito i singoli provvedimenti attuativi (adottati, ai sensi dell'articolo 2, con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), potranno discernere, a seconda del luogo e del momento di applicazione, quelle più opportune ed efficaci.
Il decreto legge disciplina anche le misure urgenti che possono essere adottate dalle regioni in relazione a specifiche situazioni di aggravamento, nonché le sanzioni amministrative applicabili per la violazione delle misure.
In sintesi, il provvedimento:
Il provvedimento si compone di
6 articoli.
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Articolo 1 - Misure urgenti per evitare la diffusionel del COVID-19
L'
articolo 1 dispone (comma 1) che allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19,
su specifiche parti del territorio nazionale, ovvero, occorrendo,
sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal decreto in esame,
una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di
durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte, fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con
Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l'applicazione, in aumento o in diminuzione secondo l'andamento epidemiologico del predetto virus.
Con la citata
Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo
stato di emergenza
per sei mesi in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, disponendo che si provveda con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile, acquisita l'intesa della Regione interessata, e in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Per l'attuazione dei primi interventi, nelle more della valutazione dell'effettivo impatto dell'evento, si provvede nel limite di euro 5.000.000,00 a valere sul Fondo per le emergenze nazionali.
A tale proposito la relazione illustrativa evidenzia che la previsione nel decreto legge del termine dello stato d'emergenza ha come conseguenza che la sua durata potrà essere prorogata soltanto con un atto con forza di legge.
Il
comma 2 definisce quindi tutte le misure che possono essere adottate per contrastare l'emergenza sanitaria, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso. Le misure sono elencate nella loro totalità, ma a seconda delle diverse situazioni,territoriali, o temporali, potra' essere prevista l'applicazione di una o più di esse.
Le misure riguardano:
La misura della quarantena con sorveglianza attiva è stata definita dall'
Ordinanza del Ministero della salute 21 febbraio 2020, che ne prevede l'applicazione agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19 o a coloro che hanno transitato nelle aree a rischio negli ultimi 14 giorni (in quel momento le zone della Cina interessate dall'epidemia). Tale circostanza deve essere comunicata al Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria territorialmente competente, che, acquisita la comunicazione, provvede all'adozione della misura della permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, ovvero, in presenza di condizione ostative, di misure alternative di efficacia equivalente. L'operatore di sanità pubblica provvede a contattare quotidianamente, per avere notizie sulle condizioni di salute, la persona in sorveglianza, che, da parte sua, deve: mantenere lo stato di isolamento per quattordici giorni dall'ultima esposizione; non avere contatti sociali; sottostare al divieto di spostamenti e viaggi; rimanere raggiungibile per le attività di sorveglianza.
Con riferimento a tale divieto, anche tenuto conto che la violazione dello stesso è configurato dal decreto legge come reato contravvenzionale (cfr. art. 4, comma 6), si valuti l'opportunità di specificare maggiormente, a livello normativo di rango primario, il procedimento ed i presupposti che configurano la misura della quarantena per le persone risultate positive al virus, diversa dalla misura della quarantena precauzionale di cui alla precedente lettera d).
In base all'art. 1 della L. 62/200 (
Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione), il
sistema nazionale di istruzione è costituito dalle
scuole statali e dalle
scuole paritarie private e degli enti locali, abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale.
I
servizi educativi per l'infanzia sono articolati in:
nidi e micronidi, che accolgono bambini fra 3 e 36 mesi;
sezioni primavera, che accolgono bambini fra 24 e 36 mesi;
servizi integrativi, che concorrono all'educazione e alla cura dei bambini in modo flessibile e diversificato, e si distinguono in: spazi gioco, che accolgono bambini fra 12 e 36 mesi; centri per bambini e famiglie, che accolgono bambini dai primi mesi di vita insieme con un adulto accompagnatore; servizi educativi in contesto domiciliare, che accolgono bambini fra 3 e 36 mesi. I servizi educativi per l'infanzia sono gestiti dagli enti locali in forma diretta o indiretta, da altri enti pubblici o da soggetti privati. Le sezioni primavera possono essere gestite anche dallo Stato.
Tra le istituzioni della
formazione superiore sono ricomprese, tra l'altro, le Istituzioni del sistema dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica (
AFAM) (di cui alla L. 508/1999) e gli
Istituti tecnici superiori (ITS) (nell'ambito del sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore-IFTS, istituito con l'art. 69 della L. 144/1999 e riorganizzato con il
DPCM 25 gennaio 2008)..
In base all'art. 101 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
Il
lavoro agile viene definito dall'articolo 18 della L. 81/2017 – recante, tra l'altro, misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato – come una
modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato:
La disciplina prevista per il lavoro agile si applica, in quanto compatibile e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente previste,
anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, secondo le direttive emanate anche per la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, adottate in base a quanto previsto dall'art. 14 della L. 124/2015 (in attuazione del quale è stata emanata la Direttiva 1° giugno 2017 e
la recente Circolare n. 1 del 2020). Per completezza, si ricorda che il richiamato art. 14 dispone che le amministrazioni pubbliche adottino misure organizzative per l'attuazione del telelavoro e di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa (anche al fine di tutelare le cure parentali).
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Per quanto concerne specificamente l'attuazione del lavoro agile conseguente all'emergenza epidemiologica da COVID-19, si segnala che sono state semplificate le relative modalità di attuazione, prevedendo che tale modalità possa applicarsi anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa vigente e che gli obblighi di informativa sono assolti in via telematica.
Si segnala, infine, che gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l'attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile.
Quanto alla definizione di servizi pubblici essenziali, l'articolo 1, comma 2, lettera k) del D.L. 6/2020, rinviava alla legge 146/1990 (successivamente modificata dalla L. 83/2000). L'intento generale della legge (ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 2), è quello di
contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con la tutela dei diritti della persona, costituzionalmente riconosciuti. Le attività svolte nell'ambito di un servizio pubblico essenziale sono qualificabili come essenziali solamente se sono direttamente attinenti all'esercizio del diritto costituzionale garantito dal servizio pubblico. Secondo quanto contenuto nell'
art. 1 della richiamata L. 146/1990, sono servizi pubblici essenziali quelli volti alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti in riferimento: al diritto alla vita, alla salute, alla tutela dell'ambiente e del patrimonio storico-artistico; alla libertà e sicurezza della persona; alla libertà di circolazione e di comunicazione; all'assistenza e previdenza sociale; all'istruzione. Nell'ambito dei suddetti servizi pubblici essenziali, l'
art. 2 dispone che il diritto di sciopero è esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle
prestazioni indispensabili (concordate dalle amministrazioni e dalle imprese erogatrici dei servizi nei contratti collettivi o in appositi accordi) per garantire il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati.
Il comma 3 prevede che per la durata dello stato di emergenza di cui al comma 1, può essere imposto, con provvedimento del prefetto assunto dopo aver sentito senza formalità le parti sociali, lo svolgimento delle attività delle quali non è prevista la sospensione ai sensi dell'articolo in esame, ove ciò sia assolutamente necessario per assicurarne l'effettività e la pubblica utilità. |
Articolo 2 - Attuazione delle misure di contenimentoL'articolo 2, al comma 1, stabilisce le modalità di adozione delle misure di contenimento elencate nell'articolo 1. Più in particolare, tali misure sono adottate con: • uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonché i presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale (in analogia con il decreto legge 6/2020); • uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati su proposta dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale, sentiti il Ministro della salute, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia (ipotesi non prevista dal decreto legge 6/2020). In ogni caso, i provvedimenti sopra citati, per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico scientifico di cui all'ordinanza Ocdpc n. 630 del 3 febbraio 2020 del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630.
Si osserva che l'utilizzo dell'espressione "di norma" non permette di individuare con precisione i casi in cui il Comitato tecnico scientifico, a cui è affidata anche la valutazione dei profili di adeguatezza e proporzionalità, sia coinvolto nel procedimento di adozione delle misure di contenimento.
L'
ordinanza Ocdpc n. 630
ha definito un quadro di misure operative, anche strutturali, finalizzate ad acquisire la disponibilità di personale, beni e servizi, individuando altresì idonee procedure amministrative di carattere informativo e di tempestivo intervento in relazione all'emergenza Covid-19. In tale quadro, il Capo del Dipartimento della protezione civile assicura il coordinamento degli interventi necessari, avvalendosi del medesimo Dipartimento, delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, nonché di soggetti attuatori, individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici e soggetti privati, che agiscono sulla base di specifiche direttive. Ai sensi dell'art. 2 dell'ordinanza, per la realizzazione degli interventi, il Capo del Dipartimento della protezione civile si avvale di un Comitato tecnico - scientifico composto dal Segretario Generale del Ministero della Salute, dal Direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, dal Direttore dell'Ufficio di coordinamento degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del Ministero della salute, dal Direttore scientifico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive "Lazzaro Spallanzani", dal Presidente dell'lstituto superiore di sanità, da un rappresentante della Commissione salute designato dal Presidente della Conferenza delle Regioni e Province autonome e dal Coordinatore dell'Ufficio Promozione e integrazione del Servizio nazionale della protezione civile del Dipartimento della protezione civile, con funzioni di coordinatore del Comitato. Il Comitato può essere integrato in relazione a specifiche esigenze. I componenti del Comitato operano nell'ambito dei doveri d'ufficio. Per Ia partecipazione al Comitato non sono dovuti ai componenti compensi, gettoni di presenza o altri emolumenti.
Il Comitato scientifico è stato istituito con
decreto n. 371 del 5 febbraio 2020.
In casi di estrema necessità e urgenza, nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al precedente comma 1 e con efficacia limitata fino a tale momento, il comma 2 da' facoltà al Ministro della salute di adottare con ordinanze di carattere contingibile e urgente (ai sensi dell'art. 32 della legge 833/1978) le misure previste dall'articolo 1 del provvedimento in esame.
Al proposito, si ricorda che il potere del Ministro della salute di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni, è stato disposto dall'articolo 32 della
legge 833/1978. Per le medesime materie, lo stesso articolo 32 prevede l'emanazione di analoghe ordinanze del Presidente della giunta regionale e del Sindaco, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale. Sono fatti salvi i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell'ordine pubblico.
Molte delle misure e restrizioni adottate nel periodo emergenziale, sono state inizialmente previste dalle ordinanze del Ministero della salute relative al contenimento e alla gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. La principale caratteristica delle misure contenute in tali ordinanze è data dall'indicazione della loro efficacia, ovvero del loro mantenimento e/o modifica, per un periodo di tempo limitato o vincolato alla verifica quotidiana dell'andamento epidemiologico effettuata dai Tavoli di coordinamento delle Regioni con le Autorità centrali. Per il carattere fortemente limitativo delle libertà personali, tali misure sono state successivamente trasfuse nei D.P.C.M sopracitati.
Di seguito vengono sinteticamente illustrate le
ordinanze del Ministro della salute di carattere non esclusivamente sanitario collegate all'emergenza Covid-19.
L'
ordinanza 21 febbraio 2020 ha introdotto la misura della permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva applicata a coloro che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva Covid-19 o a coloro che hanno transitato nelle aree a rischio negli ultimi 14 giorni. L'ulteriore
ordinanza del 21 febbraio 2020 del Ministero della salute d'Intesa con il Presidente della Regione Lombardia, preso atto della sussistenza di un
cluster di infezione nel territorio di alcuni comuni (Codogno, Castiglione d'Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano) rende obbligatorie alcune misure, tra quali, la sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche, comprese le cerimonie religiose, la sospensione di tutte le attività commerciali escluse servizi pubblici essenziali e pubblica utilità, la sospensione di tutte le attività lavorative, per le imprese ubicate nei comuni indicati, a parte servizi essenziali fra i quali la zootecnia, e il telelavoro, la sospensione dei servizi educativi e di tutte le scuole di ogni ordine e grado. La successiva
ordinanza del 22 febbraio 2020 del Ministero della salute d'intesa con il Presidente della Regione Veneto applica al Comune di Vo' Euganeo le misure adottate per i comuni
cluster lombardi, mentre per il Comune di Mira vengono rafforzate le misure di controllo sanitario demandate ai MMG. In entrambe le regioni, il mantenimento e/o la modifica delle sopra elencate misure è lasciato alla verifica quotidiana effettuata dai Tavoli di coordinamento regionali con le Autorità centrali.
Il 23 febbraio 2020, con ordinanze congiunte Ministero della salute/Presidente della Regione, le regioni
Piemonte (adozione fino al 29 febbraio),
Friuli Venezia Giulia,
Emilia Romagna,
Veneto e
Lombardia (le ultime due regioni, fanno salvo quanto già previsto per i comuni
cluster) adottano, fino al 1° marzo 2020 (con modifiche da adottarsi al seguito del variare dello scenario epidemiologico) le disposizioni contenute alle lettere
c),
d),
e),
f) ed
i) dell'art. 1, comma 2, del
decreto legge 6/2020, ovvero: - la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi, in luogo pubblico o privato, sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico, anche di natura culturale, ludico, sportiva e religiosa; - sospensione dei servizi educativi dell'infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, compresa quella universitaria, salvo le attività formative svolte a distanza; - la sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura; - la sospensione di ogni viaggio di istruzione sia sul territorio nazionale che estero; - la permanenza domiciliare per chi entra nel territorio regionale provenendo da zone a rischio epidemiologico come identificate dall'OMS.
La Regione Liguria, con
ordinanza congiunta del 24 febbraio, adotta le medesime misure fino al 1° marzo.
Per le regioni non interessate dal
cluster di coronavirus, il
decreto del Ministro della salute 26 febbraio 2020 definisce uno schema di ordinanza con una serie di .misure di informazione e prevenzione. I decreti interministeriali Trasporti/ Salute stabiliscono quanto segue:
decreto n. 118 del 16 marzo 2020, sospensione o limitazione, fino al 25 marzo 2020, del trasporto aereo, marittimo e ferroviario verso la Sicilia;
decreto n. 120 del 17 marzo 2020, fino al 25 marzo, obbligo per le persone fisiche di comunicare il loro ingresso in Italia e di sottostarre alla misura della permanenza domicilare con sorveglianza attiva;
decreto n. 122 del 18 marzo 2020, fino al 25 marzo, condizioni particolari per l'ingresso sul territorio nazionale di particolari categorie di persone fisiche, di particolari categorie di trasporto marittimo da e per la Sicilia nonché autorizzazione dell'Enac a voli privati ( per voli da o per la Sicilia e la Saregna è prevista la preventiva autorizzazione del Presidente della Regione);
decreto n. 125 del 19 marzo 2020, con validità fino al 3 aprile 2020, condizioni per le navi passeggeri impiegate in servizi di crociera .
Successivamente, l'
ordinanza 20 marzo 2020 del Ministro della salute stabilisce una serie di misure contenitive molto rigide con validità fino al 25 marzo 2020, poi prorogata fino al 3 aprile, quali: il divieto dell'accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici e il divieto di svolgere attività ludica o ricreativa all'aperto (resta consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona); la chiusura degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti all'interno delle stazioni ferroviarie e lacustri, nonché nelle aree di servizio e rifornimento carburante, con esclusione di quelli situati lungo le autostrade, che possono vendere solo pr, tra leodotti da asporto da consumarsi al di fuori dei locali e quelli siti negli ospedali e negli aeroporti, con obbligo di assicurare in ogni caso il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro; il divieto nei giorni festivi e prefestivi , nonché in quegli altri che immediatamente precedono o seguono tali giorni, di ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case utilizzate per vacanza.
In ultimo, l'
ordinanza del 22 marzo 2020, firmata congiuntamente dal Ministro della Salute e dal Ministro dell'Interno, vieta a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute. Le disposizioni sono efficaci fino all'entrata in vigore di un nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (disposizione assorbita dal D.p.c.m. 22 marzo 2020).
Il
comma 3 fa salvi gli
effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi del
decreto legge 6/2020, ovvero ai sensi dell'articolo 32 della legge 833/1978. Appaiono pertanto fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei seguenti atti: decreti del Presidente del Consiglio; decreti dei Presidenti delle regioni; ordinanze del Ministro della salute; ordinanze contingibili ed urgenti adottate dai sindaci e dai presidenti delle regioni.
Continuano inoltre ad
applicarsi nei termini originariamente previsti le
misure già adottate con i D.p.c.m. 8 marzo 2020, 9 marzo 2020, 11 marzo 220 e 22 marzo 2020
per come ancora vigenti alla data del 26 marzo, data di entrata in vigore del provvedimento in esame (relativamente alla vigenza delle disposizioni adottate dai D.p.c.m. qui indicati si rinvia a quanto illustrato nel
box inserito nel paragrafo di questo dossier dedicato al Contenuto). Le altre misure ancora vigenti alla stessa data continuano ad applicarsi nel limite ulteriore di dieci giorni (fino al 4 aprile 2020).
Si osserva, a proposito dell'ultimo periodo del comma 3, che andrebbe meglio specificato se con "altre misure vigenti alla stessa data" ci si riferisce alle misure previste da: le ordinanze del Ministro della salute, i decreti adottati dalle autorità territoriali, le ordinanze contingibili ed urgenti adottate dai sindaci e dai presidenti delle regioni.
In analogia con quanto già stabilito dal decreto legge 6/2020, per gli atti adottati ai sensi del provvedimento in esame, il comma 4 dell'articolo in commento prevede che i termini per il controllo preventivo della Corte dei conti (di cui all'art. 27, comma 1, della legge 340/2000), siano dimezzati. In ogni caso i provvedimenti adottati in attuazione del provvedimento in esame, durante lo svolgimento della fase del controllo preventivo della Corte dei conti, sono provvisoriamente efficaci, esecutori ed esecutivi, a norma degli articoli 21-bis, 21-ter e 21-quater della legge 241/1990.
In base alla disciplina dei termini temporali suddetti (di cui all'art. 27, comma 1, della legge 340/2000), gli atti trasmessi alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità divengono in ogni caso esecutivi trascorsi sessanta giorni dalla loro ricezione senza che sia intervenuta una pronuncia della Sezione del controllo, salvo che la Corte, nel predetto termine, abbia sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 81 della Costituzione, delle norme aventi forza di legge che costituiscono il presupposto dell'atto, ovvero abbia sollevato, in relazione all'atto, conflitto di attribuzione. Il predetto termine è sospeso per il periodo intercorrente tra le eventuali richieste istruttorie e le risposte delle amministrazioni o del Governo, periodo che non può complessivamente essere superiore a trenta giorni. Il controllo preventivo di legittimità rappresenta un'attività volta a verificare la conformità dell'agire provvedimentale della pubblica amministrazione rispetto a parametri di legalità. Nel controllo preventivo, tale verifica interviene in una fase antecedente alla produzione degli effetti dell'atto e il cui esito determina, in caso positivo, la registrazione dell'atto con apposizione del visto e, in caso negativo, la ricusazione del visto. Dal momento dell'apposizione del visto e della registrazione (anche con riserva) l'atto acquista efficacia, cioè produce effetti giuridici. Quanto all'ambito di applicazione oggettivo, l'articolo 100, secondo comma, della Costituzione, attribuisce alla Corte dei conti il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo. La Corte dei conti, in base alla Costituzione, accerta che gli atti soggetti a controllo siano conformi a norme di legge, in particolare a quelle del bilancio. Con la riforma del sistema dei controlli introdotta dalla L. 14 gennaio 1994, n. 20, il legislatore ha previsto un'elencazione tassativa degli atti dell'Esecutivo da assoggettare a controllo preventivo di legittimità (articolo 3, comma 1). Successive norme speciali hanno esteso l'ambito di applicazione del controllo per singole tipologie di atti.
Infine, il
comma 5 stabilisce che i
provvedimenti emanati in attuazione dell'articolo in esame sono
pubblicati sulla
Gazzetta Ufficiale e
comunicati alle
Camere entro il giorno successivo alla loro pubblicazione. Il
Presidente del Consiglio dei ministri, o un
Ministro da lui delegato,
riferisce ogni quindici giorni alle
Camere sulle misure adottate si sensi del provvedimento in esame.
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Articolo 3 - Misure urgenti di carattere regionale o infraregionaleL'articolo 3 mira a regolare il rapporto tra le misure statali adottate con DPCM per fronteggiare l'emergenza epidemiologica e i provvedimenti degli enti territoriali posti in essere per la medesima finalità. Vengono così disciplinati, circoscrivendoli nei presupposti, nel contenuto e nell'efficacia, i poteri delle regioni (comma 1) e dei comuni (comma 2) di adottare misure di contrasto all'emergenza in corso, anche nel caso in cui esse siano contenute in atti posti in essere per ragioni di sanità sulla base di disposizioni di legge previgenti (comma 3).
L'articolo è finalizzato a rafforzare il potere di coordinamento statale nella gestione dell'emergenza, rispetto a quanto già previsto nel DL n.6/2020 e nel DL n.9/2020 (di cui il presente DL, all'art.5, dispone peraltro una abrogazione parziale). La finalità è verosimilmente quella di evitare che l'efficacia di misure statali dirette a contenere la diffusione del virus, che presuppone comportamenti uniformi su ampia scala, possa essere ridotta dalla compresenza di altre iniziative istituzionali in contrasto. Siffatto coordinamento normativo, inoltre, rende più agevole, per i cittadini e per gli operatori economici, l'individuazione delle disposizioni alle quali attenersi. L'art.3 rappresenta un importante tassello dell'impianto del DL, che conferisce ai DPCM centralità nella gestione dell'emergenza, attribuendo ad ogni altro provvedimento emergenziale un ruolo definibile come sussidiario, in quanto adottabile solo nelle more dell'adozione di tali decreti, con efficacia limitata a tale momento e con un contenuto tipico. L'art.3 limita i poteri delle regioni e dei comuni nella gestione dell'emergenza in modo per molti aspetti analogo (ancorché più restrittivo) rispetto a quanto prevede l'art.2, comma 2 (v. la relativa scheda di lettura) nei confronti del potere di ordinanza del Ministro della sanità, esercitabile solo per l'adozione di misure che manterranno la propria vigenza sino all'entrata in vigore dei DPCM. Dal momento in cui viene adottata una misura statale ai sensi dell'art.2, comma 1, del presente DL per fronteggiare l'emergenza in atto, essa prevale dunque (anche) su eventuali provvedimenti regionali (comma 1) e sulle ordinanze sindacali (comma 2), anche nel caso in cui tali provvedimenti siano posti in essere per ragioni di sanità sulla base della legge previgente (comma 3).
Più nello specifico, il comma 1 attribuisce alle regioni la facoltà di introdurre misure ulteriormente restrittive per far fronte all'emergenza epidemiologica, qualora: a) ciò sia richiesto da specifiche situazioni sopravvenute che implichino un aggravamento del rischio sanitario[1]; b) che tali situazioni interessino il relativo territorio (nella sua interezza o anche solo in una parte di esso). La regione nella definizione delle misure da adottare è tenuta ad attenersi alle misure elencate all'art.1, comma 2 (v. supra). Il potere regionale in commento è, inoltre, esercitabile nelle more dell'adozione dei citati DPCM e l'efficacia delle misure introdotte si esaurisce nel momento della loro adozione. Il comma 1 precisa infine che le misure regionali possono essere introdotte "esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza" e "senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale".
La disposizione in commento riguarda genericamente ogni misura adottata dalla regione al fine di far fronte all'emergenza sanitaria. Invero, occorre tener presente che è l'ordinanza contingibile e urgente[2] lo strumento tipico con il quale le regioni fanno fronte ad emergenze sanitarie che richiedono tempi ristretti, spesso incompatibili con quelli di approvazione di una legge regionale o altro atto normativo. Per comprendere dunque la portata della disposizione in esame occorre richiamare il potere di ordinanza attribuito alle regioni in materia di igiene e sanità pubblica, di cui al comma 3 dell'articolo 32 della L. 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni (che peraltro è implicitamente richiamato dal comma 3 dell'articolo in commento, v. infra) e comprendere come esso viene inciso dal presente DL. In sintesi, le regioni possono emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa alla regione o parte del suo territorio comprendente più comuni (essendo invece rimesso al sindaco analogo potere se l'emergenza è circoscritta al territorio comunale). Tali provvedimenti, in quanto ordinanze contingibili e urgenti, ne presentano i caratteri tipici. La disposizione in esame incide sul potere di ordinanza della regione di cui all'art.32, comma 3, L. 833/1978 con particolare riferimento ai seguenti aspetti: - presupposto giuridico, atteso che non è sufficiente l'emergenza sanitaria in corso, bensì occorre che si registri un aggravamento del rischio sanitario, a cui la regione dovrà fare riferimento nella parte motiva dell'ordinanza che intenderà adottare per farvi fronte; - efficacia, che viene meno nel momento in cui il Governo adotta il DPCM diretto a far fronte alla (medesima) situazione sopravvenuta, pertanto anche prima del termine di esaurimento dell'efficacia necessariamente recato nell'ordinanza; La disposizione in esame parrebbe presupporre, anche al fine di evitare che si determini incertezza in ordine a quali siano le disposizioni di volta in volta vigenti in un dato territorio, che il provvedimento governativo faccia esplicito riferimento alle misure della regione (rectius all'atto che le contiene) di cui si determina il venir meno dell'efficacia o, in alternativa, quanto meno alla specifica situazione sopravvenuta di aggravamento del rischio sanitario verificatosi nel territorio regionale (o in una sua parte) da cui si possa dedurre il venir meno dell'efficacia del provvedimento regionale. - di contenuto. Le misure devono: i) essere più restrittive di quelle già vigenti, con la conseguenza che la regione non potrà "alleggerire" le misure statali adottate per la gestione dell'emergenza; ii) afferire alle attività di competenza regionale senza poter incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale.
Il richiamo alle attività di competenza regionale parrebbe riferirsi alle competenze legislative di cui all'art.117, commi terzo (di tipo concorrente fra Stato e regioni) e quarto (di tipo residuale) della Costituzione, regolamentari ai sensi del medesimo art.117, comma sesto (relative alle medesime materie cui è riconosciuta la competenza legislativa) e amministrative ai sensi dell'art.118, commi primo e secondo, Cost. (con riguardo alle funzioni non attribuite agli enti locali). Fra le competenze regionali si segnala quella legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che è stata per gli aspetti che rilevano in questa sede disciplinata dallo Stato (peraltro prima della modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001) con la più volte citata legge n.833 del 1978.
Al riguardo, si valuti la possibilità di precisare la portata del riferimento alle "attività di competenza", ed in particolare se esso, in combinato disposto con il comma 3 (v. infra), debba essere inteso come ulteriormente limitativo delle prerogative regionali in materia sanitaria, di cui alla legge ordinaria (art.32, comma 3, l. 833/1978).
Quanto al divieto dei provvedimenti regionali di incidere sulle attività produttive e quelle di rilevanza strategica per l'economia, si segnala che esso interseca competenze sia statali, sia regionali, sulla base del riparto di competenze sancito dalla Costituzione. Rientrano infatti nella competenza legislativa (e regolamentare in ragione del parallelismo fra funzioni legislative e regolamentari) residuale, spettante alle regioni: l'industria, il commercio e l'artigianato; mentre sono rimessi alla competenza concorrente: il commercio con l'estero e il sostegno all'innovazione per i settori produttivi, grandi reti di trasporto e navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, istituti creditizi a carattere regionale. Vi sono poi una serie di competenze, idonee ad incidere, direttamente o indirettamente, sulle attività produttive, spettanti in via esclusiva allo Stato: ordinamento civile (materia a cui afferisce la disciplina dell'impresa), tutela della concorrenza e tutela dell'ambiente. Nel caso di un'emergenza epidemiologica, rilevano altresì ulteriori competenze statali, quali ad esempio la protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale, astrattamente idonee a riverberarsi sulle attività produttive. Dal quadro brevemente richiamato, il divieto in commento per un verso parrebbe trovare fondamento nelle competenze esclusive statali e concorrenti, e per l'altro nell'art.120 della Costituzione che attribuisce al Governo la facoltà di sostituirsi ad organi delle regioni (oltre che degli enti locali), fra l'altro, nel caso di "pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica". In tal caso la Costituzione impone alla legge di definire procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione. Quanto al rispetto del primo principio, che consiste nell'affidamento di funzioni amministrative ad organi di livello superiore quando queste non possono essere adeguatamente svolte dal livello inferiore, esso parrebbe potersi misurare con l'invito delle autorità sanitare ad una gestione globale (quindi persino sovranazionale) dell'emergenza in atto, che presuppone un forte coordinamento a livello centrale. Quanto al principio della leale collaborazione, si segnala che l'art.2, comma 1, prescrive che i DPCM recanti misure di contenimento al contagio possano essere adottati previo parere (obbligatorio ancorché non vincolante): i) dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui esse riguardino una regione o alcune specifiche regioni; ii) del presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale. Inoltre ai medesimi rappresentanti delle autonomie territoriali spetta il potere di iniziativa dei DPCM (v. supra).
Tenuto conto che quasi la totalità delle misure per la gestione dell'emergenza sono potenzialmente idonee ad incidere, anche solo indirettamente, sulle attività produttive, si valuti la possibilità di precisare che la regione è tenuta ad astenersi dall'adozione di misure che incidano "direttamente" sulle attività produttive (quali ad esempio la chiusura di un impianto produttivo).
Il comma 2 circoscrive il potere di ordinanza in capo ai sindaci stabilendo che questi ultimi non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza in contrasto "con le misure statali" "né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1".
Tale disposizione è in parte sovrapponibile all'art.35 del DL n.9/2020 (di cui il DL in esame dispone l'abrogazione all'art.5, comma 1, lett.
b)) ai sensi del quale, a seguito dell'adozione delle misure statali di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, non possono essere adottate e, ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l'emergenza predetta in contrasto con le misure statali.
Il comma 2, rispetto alla disposizione previgente appena richiamata, introduce un ulteriore limite, diretto a circoscrivere la discrezionalità nell'esercizio del potere di ordinanza sindacale: anche le ordinanze sindacali sono soggette ai medesimi limiti ("di oggetto") che valgono per i provvedimenti regionali, ai sensi del comma 1 del presente articolo. Per ragioni di coerenza sistemica, parrebbe che le ordinanze in questioni debbano soggiacere ai medesimi limiti previsti per i provvedimenti regionali, incluso quello dell'esaurimento della loro vigenza al momento dell'adozione dei DPCM. Ciò sebbene il riferimento ai "limiti di oggetto" potrebbe prestarsi anche ad un'interpretazione diretta a vincolare l'ordinanza sindacale ai soli limiti contenutistici cui sono sottoposti i provvedimenti regionali. Le ordinanze sindacali pertanto: possono essere emesse solo nelle more dell'adozione dei DPCM; hanno un'efficacia che si esaurisce con l'adozione di questi ultimi; devono far fronte a specifiche situazioni sopravvenute che prefigurino un aggravamento del rischio sanitario nel proprio territorio; sono tenute ad introdurre misure più restrittive di quelle già in essere; devono riguardare ambiti di propria competenza, senza poter incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l'economia".
Le osservazioni svolte con riferimento al comma 1, relativo ai provvedimenti regionali, si intendono riproposte anche con riguardo alle ordinanze sindacali. Si valuti altresì l'opportunità, di precisare, al comma 2 in commento, che le misure statali limitative del potere di ordinanza sindacale sono quelle adottate in relazione all'emergenza epidemiologica da COVID-19, al fine di evitare che la disposizione possa essere interpretata nel senso che ogni norma statale risulti inderogabile da parte delle ordinanze sindacali.
Con riferimento al potere di ordinanza in capo al sindaco, giova richiamare (oltre al già citato art.32, terzo comma, della legge n.833 del 1978): i) l'art. 117 del D.lgs. n. 112 del 1998, che autorizza il sindaco (quale rappresentante della comunità locale) ad adottare ordinanze contingibili e urgenti per far fronte a emergenze sanitarie o di igiene pubblica di carattere esclusivamente locale[3]; ii) l'art.50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che consente al sindaco di attivare analoghi poteri (ancor auna volta in qualità di rappresentante della comunità locale) in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale[4]. iii) l'art.54, comma 4, del TUEL attribuisce ai sindaci (quali ufficiali del Governo), la facoltà di adottare con atto motivato e previa comunicazione al prefetto "provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana".
Il comma 3 stabilisce che le disposizioni dettate dal presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente. Il comma in esame, nel silenzio della relazione illustrativa, parrebbe configurarsi come una disposizione di chiusura del sistema per la gestione dell'emergenza, con l'obiettivo di precisare che la disciplina dettata dai commi 1 e 2 non risulta derogabile neanche nel caso in cui la regione e i comuni adottino provvedimenti motivati da ragioni sanitarie ai sensi di altre disposizioni di legge, inclusi pertanto i richiamati art.32, terzo comma, della legge n.833/1978, art. 117 del D.lgs. n. 112 del 1998 e art.50 del TUEL.
[1] Si tratta di un limite più ampio di quello previsto per l'esercizio dei poteri di ordinanza del Ministro della salute, per il quale l'art. 2, comma 2, non richiede esplicitamente che le situazioni sopravvenute implichino un aggravamento del rischio sanitario (v. scheda di lettura dell'art.2).
[2] Siffatte ordinanze sono provvedimenti che consentono di derogare al diritto vigente, a condizione che presentino determinate caratteristiche: devono avere un'efficacia limitata nel tempo, prevedere un'adeguata motivazione (in cui siano esplicitati la necessità dell'intervento, l'attualità e l'imminenza del pericolo che si intende fronteggiare, la mancanza di strumenti di intervento alternativi), recare un contenuto conforme alla Costituzione e ai principi dell'ordinamento e rispettoso dei vincoli dell'ordinamento dell'Unione europeo, disporre misure rispettose del principio di ragionevolezza e proporzionalità rispetto allo scopo perseguito. Si tratta di provvedimenti che, in quanto diretti a far fronte ad una situazione emergenziale e non previamente tipizzabile, presentano necessariamente un contenuto atipico e derogatorio della normativa vigente.
[3] Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza stessa e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. Peraltro, nell'eventualità di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano lo Stato o la regione interessata.
[4] Negli altri casi, è previsto che i provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spettino allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.
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Articolo 4 - Sanzioni e controlliL'articolo 4 delinea il quadro sanzionatorio per la violazione delle misure di contenimento del contagio, prevedendo prevalentemente sanzioni amministrative, pecuniarie e interdittive, e solo nei casi più gravi una sanzione penale. In particolare, il comma 1 esclude che la violazione delle misure di contenimento comporti l'applicazione della pena prevista dall'art. 650 del codice penale. Viene dunque meno la contravvenzione per l'inosservanza degli ordini dell'autorità (punita con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro), già prevista dall'art. 4 del decreto-legge n. 6 del 2020, che viene abrogato (cfr. art. 5). Chiunque violi le misure di contenimento previste da DPCM (ai sensi dell'art. 2, comma 1), da provvedimenti delle regioni o da ordinanze del sindaco (ai sensi dell'art. 3), è infatti soggetto alla sanzione amministrava pecuniaria del pagamento di una somma da 400 a 3.000 euro. Si osserva che resta sprovvista di sanzione la violazione delle misure eventualmente introdotte in via d'urgenza dal Ministro della salute in base all'art. 2, comma 2. La sanzione è aumentata fino a un terzo (da 533 a 4.000 euro) se la violazione avviene con l'utilizzo di un veicolo. In base al comma 2, si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni per le violazioni che riguardano specifiche attività ricreative, commerciali o professionali.
La sanzione accessoria è prevista per le violazioni relative alla chiusura di cinema, teatri e altri luoghi di aggregazione (art. 1, co. 2, lett. i), alle competizioni sportive e alla chiusura di centri sportivi (lett. m), alla sospensione delle attività educative (lett. p), delle attività commerciali (lett. u), delle attività di somministrazione di bevande e alimenti (lett. v), alla limitazione o sospensione delle attività professionali e di lavoro autonomo (lett. z) e alle limitazioni allo svolgimento di fiere e mercati (lett. aa).
Si ricorda che tale sanzione era già prevista dal decreto-legge n. 6 del 2020, come integrato dal successivo decreto-legge n. 14 del 2020, in base al quale la violazione degli obblighi imposti dalle misure "a carico dei gestori di pubblici esercizi o di attività commerciali è sanzionata altresì con la chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni". Anche questa previsione è abrogata dall'art. 5 del decreto-legge in commento.
All'atto dell'accertamento di tali violazioni l'autorità procedente può disporre subito, in via cautelare, e per un periodo non superiore a 5 giorni, la chiusura provvisoria dell'attività o dell'esercizio, "ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione". Tali giorni di chiusura saranno poi scomputati dalla sanzione accessoria effettivamente irrogata (comma 4). Inoltre, in base al comma 5, se l'illecito amministrativo è reiterato, la sanzione amministrativa pecuniaria è raddoppiata (da 800 a 6.000 euro) e la sanzione accessoria interdittiva è applicata nella misura massima (30 giorni). La sanzione aggravata è prevista "in caso di reiterata violazione della medesima disposizione". Si valuti l'opportunità di specificare se la reiterazione sia configurabile a fronte della ulteriore violazione di una qualsiasi delle misure dell'art. 1, comma 2, ovvero se si tratta di una recidiva specifica, derivante dalla reiterata violazione della stessa misura di contenimento. Le sanzioni amministrative dovranno essere applicate salvo che la violazione delle misure integri gli estremi di un reato; a tal fine il decreto-legge esclude espressamente non solo l'applicabilità dell'art. 650 c.p. ma anche di altre contravvenzioni previste per la violazione di misure imposte per ragioni di sanità e segnatamente dunque dell'art. 260 del R.D. n. 1265 del 1934 (v. infra comma 6). Il comma 3 delinea il procedimento di applicazione della sanzione amministrativa prevedendo che:
In base alla citata legge, l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria avviene secondo il seguente procedimento: a) accertamento, contestazione-notifica al trasgressore; b) pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa: archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa; c) eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale); d) accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione); e) eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che essa sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13). La violazione deve essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14) ed egli può - salvo il pagamento di una sanzione in misura ridotta (v. infra) - presentare entro 30 giorni scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art. 18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso all'autorità giudiziaria competente (artt. 22, 22-bis). In base all'art. 6 del decreto-legislativo 150/2011, l'autorità giudiziaria competente sulla citata opposizione è il
giudice di pace a meno che, per il valore della controversia (sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro) o per la materia trattata (tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro; previdenza e assistenza obbligatoria; tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; igiene degli alimenti e delle bevande; materia valutaria; antiriciclaggio), non sussista la competenza del tribunale. L'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di annullamento o modifica del provvedimento. Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito. In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26) Decorso il termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).
Dal richiamo ai primi tre commi dell'art. 202 del Codice della strada si ricava che il trasgressore potrà corrispondere la somma dovuta presso l'ufficio dal quale dipende l'agente accertatore oppure a mezzo di versamento in conto corrente postale, oppure, se l'amministrazione lo prevede, a mezzo di conto corrente bancario ovvero mediante strumenti di pagamento elettronico. All'uopo, nel verbale contestato o notificato devono essere indicate le modalità di pagamento, con il richiamo delle norme sui versamenti in conto corrente postale, o, eventualmente, su quelli in conto corrente bancario ovvero mediante strumenti di pagamento elettronico. Qualora l'agente accertatore sia munito di idonea apparecchiatura il conducente, è ammesso ad effettuare immediatamente, nelle mani dell'agente accertatore medesimo, il pagamento mediante strumenti di pagamento elettronico, nella misura ridotta. L'agente trasmette il verbale al proprio comando o ufficio e rilascia al trasgressore una ricevuta della somma riscossa, facendo menzione del pagamento nella copia del verbale che consegna al trasgressore medesimo.
Si ricorda che l'art. 103 prevede la sospensione di tutti i termini inerenti lo svolgimento di procedimenti amministrativi pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, per il periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020. La disposizione ha portata generale, con le sole eccezioni dei termini stabiliti da specifiche disposizioni dei decreti-legge sull'emergenza epidemiologica in corso, e dei relativi decreti di attuazione, nonché dei termini relativi a pagamenti di stipendi, pensioni, retribuzioni, emolumenti per prestazioni a qualsiasi titolo, indennità da prestazioni assistenziali o sociali comunque denominate nonché di contributi, sovvenzioni e agevolazioni alle imprese.
Il comma 6 introduce il nuovo reato contravvenzionale di inosservanza della quarantena. Si tratta della violazione del "divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus", di cui all'art. 2, co. 1 lett. e) del decreto-legge.
Requisito implicito della nuova fattispecie contravvenzionale è la legittimità della misura della quarantena, che il decreto legge si limita a prevedere, all'art. 2, co. 1, lett. e), senza disciplinarne direttamente tempi, modi e procedura
(vedi sopra). Non integra invece tale reato– bensì illecito amministrativo– l'inosservanza della "quarantena precauzionale" prevista quale misura limitativa dall'art. 2, co.1, lett. d) del decreto legge per i soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che sono rientrati dall'estero.
La sanzione per il nuovo reato è individuata attraverso un rinvio alla pena prevista per il reato contravvenzionale dell'inosservanza "di un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo" di cui all'art. 260 del Testo unico delle leggi sanitarie, così come modificato dal comma 7 dell'articolo in esame (vedi infra). Essa consiste dunque nell'arresto da 3 mesi a 18 mesi e nell'ammenda da euro 500 ad euro 5.000.
Con riguardo al nuovo illecito penale, si ricorda che la comminatoria delle pene congiunte dell'arresto e dell'ammenda esclude la possibilità dell'oblazione. Trattandosi di contravvenzione, potrà essere commessa con dolo o anche solo con colpa,
Quanto ai rapporti con altre figure di reato, la nuova contravvenzione trova applicazione salvo che il fatto integri un delitto colposo contro la salute pubblica (art. 452 c.p.) – compresa l'epidemia – o comunque un più grave reato (doloso o colposo che sia).
L'articolo 452 c.p. stabilisce le pene per le
condotte colpose relative alle fattispecie
di procurata epidemia (art. 438 c.p.) e di avvelenamento delle acque o sostanze alimentari (art. 439 c.p.). In particolare «chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni» è punito, se la
condotta è colposa. con la pena della
reclusione da uno a cinque anni (mentre se la condotta è dolosa con l'ergastolo ex art. 438). Rispetto al delitto di epidemia, in particolare, la contravvenzione si pone in un rapporto di gravità progressiva, sotto il profilo dell'entità del pericolo per la salute pubblica. L'epidemia colposa sarà configurabile, in luogo della contravvenzione in esame, se e quando si accerti che la condotta dell'agente ha cagionato il contagio di una o più persone e la possibilità di una ulteriore propagazione della malattia rispetto a un numero indeterminato di persone.
Il comma 7 interviene sul citato art. 260 del Testo unico delle leggi sanitarie (regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265) per inasprire le pene previste per il reato contravvenzionale dell'inosservanza "di un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo". Le pene saranno quindi:
Resta invariata la previsione dell'aumento di pena se il fatto è commesso da persona "che esercita una professione o un'arte sanitaria".
Il comma 8 regola i profili di diritto intertemporale, con riguardo alle violazioni delle misure di contenimento legate all'emergenza, commesse nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del decreto legge n .6 del 2020 e la sua abrogazione ad opera del decreto legge in esame.
Come sopra ricordato, l' art. 3 del citato DL n. 6 qualificava come illecito penale, di natura contravvenzionale, il mancato rispetto delle misure di contenimento previste dal decreto-legge stesso, prevedendo che, se il fatto non costituisce più grave reato, si applichi l'art. 650 del codice penale.
Il decreto legge in esame, abrogando le previsioni di cui al DL n. 6 e sostituendo le sanzioni penali con nuove sanzioni amministrative, stabilisce, al comma 8, che queste ultime si applichino anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge stesso.
L'intento della disposizione è di procedere a una depenalizzazione con riguardo ai fatti riconducibili al nuovo illecito amministrativo. Ciò significa, quanto ai fatti pregressi, che nessuno potrà essere chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 e che i procedimenti incardinati presso le procure dovranno essere archiviati. In assenza di tale disciplina transitoria
, il principio di irretroattività, operante anche per gli illeciti amministrativi punitivi, avrebbe impedito l'applicazione delle sanzioni del nuovo illecito amministrativo ai fatti commessi prima della sua introduzione. Ciò anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. nn. 196/2010 e 223/2018), che ha esteso la garanzia costituzionale del principio di irretroattività, di cui all'art. 25, co. 2 Cost. e all'art. 117, co. 1 Cost., in rapporto all'art. 7 Cedu, alle disposizioni che introducono (o inaspriscono) sanzioni amministrative di carattere afflittivo-punitivo, come quella in esame. La disciplina dell'applicazione retroattiva delle sanzioni risulta compatibile con il principio di irretroattività di cui all'art. 25, co. 2 Cost. se e nella misura in cui non comporti una punizione dell'agente più severa di quella al quale lo stesso avrebbe potuto andare incontro sulla base della legge vigente al tempo del fatto, e che era da lui prevedibile e calcolabile in quel momento. Le violazioni pregresse oggetto della disposizione in esame saranno punite con la sanzione amministrativa pecuniaria di 200 euro, che non è superiore al massimo dell'ammenda prevista per l'art. 650 c.p (206 euro), alternativamente all'arresto.
Tra le sanzioni amministrative introdotte dall'articolo in esame vi è altresì, come sopra ricordato, la sanzione accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni per le violazioni che riguardano specifiche attività (comma 2). Tale norma riproduce sostanzialmente la sanzione accessoria a quella penale, già prevista nella disciplina abrogata dal decreto legge in esame.
Si ricorda infatti che già il DL n. 6/2020, così come modificato dal DL n. 14 del 2020, all'art. 3, comma 4, prevedeva che la violazione degli obblighi imposti dalle misure di contenimento del virus, a carico dei gestori di pubblici esercizi o di attività commerciali fosse sanzionata sempre in via accessoria con la chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni.
Nulla è specificato in merito all'applicazione retroattiva delle sanzioni accessorie.Tuttavia, la formulazione testuale del comma 8 riferisce l'applicazione retroattiva alle sole "sanzioni penali sostituite dalle sanzioni amministrative" e specifica che le nuove sanzioni "sono applicate nella misura minima ridotta alla metà" (formulazione difficilmente applicabile alla chiusura dai 5 ai 30 giorni). Andrebbe al riguardo valutata l'opportunità di specificare se la nuova sanzione accessoria della chiusura debba o meno essere applicata retroattivamente.
Si ricorda, al riguardo, che il D.lgs n. 507 del 1999, (Depenalizzazione dei reati minori) prevede all'art. 100, analogamente a quanto previsto nel decreto legge in esame, che le disposizioni del decreto legislativo stesso che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. Lo stesso artricolo 100 tuttavia
prevede esplicitamente che alle violazioni anteriori non si applicano, tuttavia, le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal decreto legislativo, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie
Lo stesso comma 8 prevede inoltre che si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio). Il richiamo di tali articoli è operato ai fini della disciplina dei procedimenti definiti con sentenza irrevocabile e della trasmissione all'autorità amministrativa competente, da parte dell'autorità giudiziaria, degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi. Inoltre, il rinvio contenuto nell'art. 101 all'articolo 16 della legge n. 689 del 198, consente, anche per le sanzioni applicate retroattivamente, il pagamento in forma ridotta (somma ridotta di un importo pari ad un terzo del massimo della pena edittale), entro il termine di sessanta giorni.
L'articolo 101 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 dispone che, se i procedimenti penali per le violazioni depenalizzate dal decreto legislativo stesso sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. La disposizione fa salve la confisca nonché le pene accessorie, nei casi in cui queste ultime sono applicabili alle violazioni depenalizzate come sanzioni amministrative.
L'articolo 102 detta la disciplina della trasmissione all'autorità amministrativa competente, da parte dell'autorità giudiziaria degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data. La disposizione prevede inoltre (comma 5) che entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione degli estremi della violazione, l'interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta a norma dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Tale articolo prevede che se il pagamento è effettuato entro 60 giorni, esso può essere ridotto di un terzo rispett al massimo della pena edittale, ovvero se più favorevole al doppio del minimo. Consistendo le sanzioni amministraive retroattive nel pagamento di una somma fissa di 200 euro, la riduzione di un terzo dovrebbe essere applicata su tale importo. Al riguardo la giurisprudenza sostiene infatti che
"in tema di sanzioni pecuniarie amministrative, il pagamento in misura ridotta, che l'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 68, prevede sia effettuato con il versamento di una somma pari al terzo del massimo della pena edittale, ovvero, se più favorevole, al doppio del minimo, trova applicazione anche quando si tratti di una sanzione determinata in misura fissa, nel qual caso, tuttavia, il minimo ed il massimo edittale si identificano entrambi in detta misura fissa, e di conseguenza il pagamento in misura ridotta deve essere commisurato ad un terzo della sanzione inflitta"(Cass. civ. Sez. lavoro, 12/05/2005, n. 9972).
Per le sanzioni retroattivamente applicabili, dunque, sarà comminata una sanzione fissa di 200 euro (corrispondente alla metà del minimo della nuova sanzione). La sanzione è quindi la medesima anche per violazioni di differente gravità.
Si ricorda, al riguardo, che anche in occasione dell'intervento di depenalizzazione del 2016 (d.lgs. n. 8/2016, art. 8, co. 3) – è stata prevista l'applicabilità retroattiva delle sanzioni amministrative introdotte al posto di quelle penali. In tale occasione tuttavia non è stata introdotta una sanzione fissa, ma una disposizione che impediva l'irrogazione retroattiva di una sanzione amministrativa pecuniaria "per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.".
In relazione al tema del sindacato di proporzione della pena da parte della Corte costituzionale, si ricorda che la stessa ha affermato che "
previsioni sanzionatorie rigide, che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti, debbano rispondere al principio di ragionevolezza"(sentenza n. 212 del 2019
), dovendo tale omologazione trovare un'adeguata giustificazione. La giurisprudenza costituzionale più recente ha infatti precisato come il principio, in origine enunciato con riferimento alle sanzioni penali, «di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell'illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» (sentenza n. 112 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 88 del 2019).
Il
comma 9 dell'articolo 4 attribuisce
la qualifica di agente di pubblica sicurezza al personale militare impiegato nelle misure di contenimento previste dagli articoli 1 e 2 del decreto legge in esame. Il richiamato personale, potrà, quindi, procedere al fermo e
all'identificazione delle persone sottoposto a controllo, analogamente a quanto già contemplato per il personale militare impiegato nelle operazioni di controllo del territorio di cui all'operazione " Strade sicure ", da ultimo prorogata, fino al 31 dicembre 2020, dall'articolo 1 comma 132 della legge di bilancio per l'anno 2020 (cfr.
infra).
Si osserva, inoltre, che, il comma 5 dell'articolo 3 del decreto legge n. 6 del 2020, recante disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da corona virus,
oggetto di abrogazione da parte dell'articolo 5 del decreto legge in esame, aveva previsto la possibilità che il prefetto si avvalesse delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali, per assicurare l'esecuzione delle misure di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica di cui al medesimo decreto.
Il medesimo comma 9 prevede, inoltre, che il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell'interno, assicuri l'esecuzione delle misure
previste dal decreto legge avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali.
In relazione alla disposizione in esame, si osserva che la medesima, così come la relazione illustrativa e la relazione tecnica allegate al decreto legge, non specificano le unità di personale militare poste a disposizione dei prefetti. Peraltro, tale dato non è evincibile dal precedente decreto legge n. 6 del 2020, che recava un'analoga norma.
Al riguardo, per una migliore comprensione della fattispecie in esame, andrebbe chiarito se tali unità, peraltro già operative, siano attinte dal contingente di 7.050 unità di personale militare che attualmente operano, con la qualifica di agenti di pubblica sicurezza e in concorso alle Forze di polizia, nelle attività di controllo del territorio di cui alla richiamata operazione "Strade sicure", da ultimo prorogata, fino al 31 dicembre 2020, dall'articolo 1 comma 132 della legge di bilancio per l'anno 2020 (cfr. infra).
L'operazione "Strade sicure" rappresenta la più capillare e longeva operazione delle Forze armate, sul territorio nazionale, a fianco delle Forze dell'ordine, in unzione di
contrasto alla criminalità e al terrorismo in numerose città italiane. L'operazione è svolta in massima parte dall'Esercito, con il contributo della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, questi ultimi, in particolare, con funzioni di comando e controllo nelle sale operative.
Per l'Esercito rappresenta a tutt'oggi l'impegno più oneroso in termini di uomini, mezzi e materiali.
Il principale riferimento normativo in merito alle possibilità di impiego delle Forze armate in
compiti di ordine pubblico è attualmente rappresentato dall'articolo
89 del Codice dell'ordinamento militare (di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010) il quale include tra i compiti delle Forze Armate, oltre alla difesa della patria, il concorso alla "salvaguardia delle libere istituzioni" e lo svolgimento di "compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza".
La possibilità di fare ricorso alle Forze armate per far fronte a talune gravi emergenze di ordine pubblico sul territorio nazionale è stata contemplata per la prima volta nel corso della XI legislatura (1992-1994, Cfr. operazione "Forza Paris" in Sardegna 15 luglio 1992 ).
Da ultimo, il comma 132 dell'articolo 1 della legge di bilancio per l'anno 2020 ( legge n. 160 del 2019) ha prorogato
fino al 31 dicembre 2020 e limitatamente a
7.050 unità l'operatività del Piano di impiego concernente l'utilizzo di un contingente di personale militare appartenente alle Forze Armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia.
Scopo dell'intervento è quello di garantire la prosecuzione degli interventi delle Forze Armate nelle attività di vigilanza a siti e obiettivi sensibili (commi 74 e 75 dell'articolo 24 del D.L. n. 78 del 2009) anche in relazione alle straordinarie esigenze di prevenzione e di contrasto della criminalità e del terrorismo e di prevenzione dei fenomeni di criminalità organizzata e ambientale nella regione Campania (articolo 3, comma 2 del decreto-legge n. 136 del 2013). Per quanto concerne le disposizioni di carattere ordinamentale applicabili al personale militare impiegato nelle richiamate attività: 1. il personale militare è posto a disposizione dei prefetti interessati; 2. il Piano di impiego del personale delle Forze armate è adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell'interno riferisce in proposito alle competenti Commissioni parlamentari; 3. nel corso delle operazioni i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza.
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Articolo 5 - Disposizioni finaliL'articolo 5 dispone, al comma 1, l'abrogazione, ad eccezione di alcune specifiche disposizioni, del decreto-legge n. 6 del 2020 (misure urgenti in materia di contrasto all'epidemia da COVID-19, convertito dalla legge n. 13 del 2020) nonché dell'articolo 35, in materia di coordinamento tra misure statali e ordinanze sindacali di contenimento dell'epidemia, del decreto-legge n. 9 del 2020 (misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'epidemia da COVID-19, ancora in corso di conversione al Senato, S. 1746). É inoltre prevista, al comma 2, la clausola di salvaguardia delle autonomie speciali e, al comma 3, la clausola di invarianza finanziaria.
Il decreto-legge n. 6 del 2020, oggetto di abrogazione da parte della disposizione, ha rappresentato la prima cornice giuridica per l'adozione delle misure di contrasto all'epidemia, cornice ora sostituita da quella offerta dal provvedimento in commento. In particolare il decreto-legge n. 6 del 2020 prevedeva la possibilità di adottare una serie di misure di contenimento nei territori nei quali si fossero manifestati casi di contagio (articolo 1), nonché ulteriori misure di contenimento in casi non riconducibili a quelli dell'articolo 1 (articolo 2). Era previsto inoltre che le misure di contenimento venissero adottate con DPCM, potendosi procedere, nelle more dell'adozione, anche con ordinanze del Ministero della salute (ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 833 del 1978) e del sindaco (ai sensi dell'articolo 50 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000). Per la salvezza degli effetti degli atti adottati sulla base del decreto-legge n. 6 del 2020 si veda la scheda relativa all'articolo 2, comma 3.
La lettera a) del comma 1 dell'articolo in commento esclude dall'abrogazione delle disposizioni del decreto-legge n. 6 del 2020 il comma 6-bis dell'articolo 3 e l'articolo 4. Il comma 6-bis dell'articolo 3 – introdotto dall'articolo 91 del decreto-legge n. 18 del 2019 (cd. "DL Cura Italia), attualmente all'esame del Senato (S. 1766) - prevede che il rispetto delle misure di contenimento dell'epidemia può escludere la responsabilità del debitore ex articolo 1218 e 1223 del codice civile, nonché l'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
L'articolo 1218 c.c. prevede che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Ai sensi dell'articolo 1223, poi il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
L'articolo 4 del DL 6/2020 reca invece l'incremento, al comma 1, di 20 milioni di euro lo stanziamento per fronteggiare l'epidemia previsto dalla delibera del Consiglio dei ministri di proclamazione di stato d'emergenza nazionale, ai sensi del codice della protezione civile di cui al decreto legislativo n. 1 del 2018, del 31 gennaio 2020.
La lettera b) del comma 1 dell'articolo in commento abroga invece l'articolo 35 del decreto-legge n. 9 del 2020 (misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'epidemia da COVID-19, ancora in corso di conversione al Senato, S. 1746). Tale articolo prevedeva che a seguito dell'adozione delle misure statali di contenimento dell'epidemia non potessero essere adottate e, ove adottate fossero inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti in contrasto con le misure statali. La disciplina della materia è ora affidata all'articolo 3, alla cui scheda di lettura si rinvia.
Con riferimento all'abrogazione di una norma di un decreto-legge ancora in corso di conversione si ricorda che il Comitato per la legislazione, in una precedente analoga occasione – anteriore però all'emergenza in corso - aveva raccomandato al Governo di "evitare in futuro la modifica esplicita – e, in particolare l'abrogazione – di disposizioni contenute in decreti-legge ancora in corso di conversione ad opera di successivi decreti-legge, al fine di evitare forme di sovrapposizione degli strumenti normativi
in itinere e ingenerare un'alterazione del lineare svolgimento della procedura parlamentare di esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge; come definita a livello costituzionale e specificata negli stessi regolamenti parlamentari" (parere reso nella seduta dell'11 dicembre 2019 sul disegno di legge C. 2284 di conversione del decreto-legge n. 137 del 2019).
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Relazioni allegate o richiesteIl decreto-legge è corredato della relazione illustrativa e della relazione tecnica. |
Necessità dell'intervento con leggeIl decreto-legge n. 19 del 26 marzo 2020 è il sesto dei decreti-legge (n. 6, n. 9, n. 11, n. 14, n. 18) succedutisi nel volgere di poco più di un mese per fronteggiare l'epidemia prodotta dal virus Covid-19. In maggior misura rispetto al primo decreto-legge n. 6 e diversamente dagli altri, il presente decreto-legge è volto - più che a predisporre esso stesso misure di contenimento e di risposta all'emergenza in atto - a definire una cornice di strumentazione giuridica per la loro adozione. Il provvedimento in esame contiene disposizioni di tipo ordinamentale per far fronte all'eccezionale emergenza derivante dall'epidemia in corso. Per quest'ultimo riguardo, la Costituzione italiana - a parte il caso di guerra, per il quale essa prescrive (all'articolo 78) che siano le Camere (non già il capo del potere esecutivo, com'era nell'articolo 5 dello Statuto) a darne la deliberazione, così come a conferire al Governo i poteri necessari - solo dispone circa "casi straordinari di necessità e urgenza", innanzi ai quali il Governo può adottare provvedimenti provvisori con forza di legge, da sottoporre all'approvazione del Parlamento onde ne siano stabilizzati gli effetti giuridici (articolo 77). Nonché prevede un potere del Governo di intervento sostitutivo rispetto agli enti territoriali (pur nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione) per il caso, tra gli altri, di pericolo per l'incolumità pubblica (articolo 120). Quanto alla legislazione ordinaria, la legge sulla protezione civile (legge n. 225 del 1992, poi confluita nel decreto legislativo n. 1 del 2018, recante il Codice della protezione civile) definisce una concatenazione di atti giuridici - deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri, per un lasso temporale determinato (fino a sei mesi); ordinanze del Presidente del Consiglio; ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile - calibrata su fenomeni (come terremoti e disastri naturali) tali da poter sì recare limitazioni di diritti individuali (come il divieto di ingresso e dimora in zone o edifici pericolanti), verosimilmente però non così pervasive ed estese su tutto il territorio nazionale, quali le restrizioni imposte dall'emergenza da Covid-19. La Costituzione italiana non reca specifiche disposizioni di carattere generale circa il 'governo dell'emergenza' .
Diversamente, la Legge fondamentale della Germania (non nella sua stesura iniziale del 1949, memore dell'esperienza dei poteri emergenziali del Capo dello Stato nella Repubblica di Weimar, bensì nella revisione operata nel 1968, in una situazione di emergenza terroristica) individua una casistica di stati emergenziali (stato di difesa e, antecedente, stato di tensione; stato di catastrofe; stato di emergenza interna) cui commisurare la limitazione dei diritti individuali e la derogabilità di disposizioni costituzionali. La Costituzione della Spagna enumera (all'articolo 116) lo stato di allarme, per ragioni quale ad esempio (può aggiungersi in sede di commento) una crisi sanitaria (esso è dichiarabile per non più di quindici giorni dal Governo, il quale riferisce immediatamente alla Camera dei deputati, senza l'autorizzazione della quale non è ammissibile proroga), lo stato di eccezione (dichiarabile dal Governo dietro autorizzazione della Camera dei deputati per trenta giorni, prorogabili solo una volta per un periodo equivalente) e lo stato d'assedio (dichiarato a maggioranza assoluta della Camera dei deputati dietro proposta esclusiva del Governo); inoltre individua puntualmente (all'articolo 55) i diritti costituzionali di libertà circoscrivibili per effetto degli stati emergenziali - dei quali una più puntuale disciplina è demandata a legge organica (è la legge organica n. 4 del 1981, intervenuta dopo il fallito golpe militare del febbraio di quell'anno; se ne vedano per lo stato d'allarme in particolare gli articoli 11 e 12). La Costituzione della Francia prevede invero poteri eccezionali del Presidente della Repubblica in casi di crisi estrema e di sospensione dell'ordine costituzionale (articolo 16, applicato solo una volta, nel 1961 a seguito del putsch di Algeri) e disciplina lo stato d'assedio (articolo 36). La disciplina dello stato di emergenza si rinviene in una legge organica (è la legge n. 395 del 3 aprile 1955). Peraltro è intervenuta una legge ordinaria di urgenza (n. 290 del 23 marzo 2020) per appositamente regolare lo stato di emergenza da Covid-19, modificando il Codice sanitario. In questa legge si prevede che lo stato d'urgenza sanitaria sia deliberato dal Consiglio dei ministri, che informa immediatamente i due rami del Parlamento sulle misure prese. L'eventuale proroga oltre il termine di un mese è da disporsi necessariamente con legge (la quale stabilisce il nuovo termine di durata, con facoltà del Governo di anticipare la cessazione dello stato di urgenza), previo parere di un Comitato tecnico-scientifico. Durante lo stato di urgenza sanitaria il Presidente del Consiglio può, con decreti regolamentari, disporre restrizioni di diritti di libertà, quali la limitazione del diritto di circolazione, di riunione, di attività economica, secondo l'enumerazione resa dall'articolo 2 della legge (là dove novella l'art. 15 della legge n. 3131 del 2009 recante appunto il Codice della sanità pubblica).
In assenza dunque di ‘altre' specifiche disposizioni costituzionali emergenziali, l'epidemia in atto, con l'incidenza su diritti di libertà che essa importa al fine di preservare la salute di ciascuno e di tutti, pare doversi affrontare in primo luogo con lo strumento (sia esso straordinario od ordinario) legislativo, posta la riserva di legge prevista dall'articolo 16 della medesima Carta, secondo il quale "ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza" e dalle altre previsioni costituzionali che vengono ad assumere rilievo, quali, in particolare, gli articoli 13, 14, 16 e 41 della Costituzione.
Relativamente alla riserva prevista dall'art. 16 Cost., questa è stata ritenuta, dalla giurisprudenza costituzionale, prevalentemente come riserva relativa, seppure vincolata nel contenuto, essendo ammessa la possibilità per la normazione secondaria di specificarne il contenuto (in particolare cfr. sentenze n. 2 del 1956, n. 72 del 1968, n. 68 del 1964). Per quanto riguarda quei campi rispetto ai quali la Costituzione ha stabilito una riserva relativa, la Corte costituzionale ha ricordato come la giurisprudenza formatasi principalmente nei riguardi dell'art. 23 della Carta costituzionale ha ritenuto ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'Autorità amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purché la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'organo a cui il potere è stato attribuito (in particolare sent. n. 26 del 1961). Con riguardo al decreto-legge in esame, l'articolo 1 prevede un dettagliato elenco di misure di contrasto all'epidemia che è possibile adottare, ai sensi dell'articolo 2, con DPCM; viene conseguentemente abrogato il decreto-legge n. 6 del 2020 che ha costituito la base giuridica per l'adozione dei DPCM di contrasto dell'epidemia fin qui adottati; gli effetti di tali DPCM, come delle altre misure adottate, sono fatti salvi dall'articolo 2, comma 3 del decreto-legge in esame. Molte delle misure di contrasto fin qui assunte devono ritenersi adottate sulla base dell'art. 2 del decreto-legge n. 6 del 2020, che consentiva l'adozione, in via generale, di "ulteriori misure di contenimento"; il provvedimento in esame, con la determinazione puntuale delle misure da adottare, definita anche alla luce dell'evolversi dell'emergenza epidemiologica, è quindi finalizzato a definire una più dettagliata base giuridica per l'adozione delle misure di contenimento.
L'articolo 2 del decreto-legge, a sua volta, demanda l'adozione delle misure di contrasto all'epidemia in primo luogo allo strumento del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM).
In proposito, si ricorda che l'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 disciplina i regolamenti governativi (anche di delegificazione) adottati nella forma di decreti del Presidente della Repubblica ed i regolamenti ministeriali, adottati nella forma di decreti ministeriali. Per quanto d'interesse in questa sede, l'articolo 17 non menziona espressamente i regolamenti adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), in parte conosciuti nell'esperienza precedente alla legge del 1988 in settori e previsti da un numero crescente di leggi speciali successive. In dottrina tali DPCM sono stati assimilati generalmente ai regolamenti ministeriali, specie nei settori in cui si esercitano le funzioni di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio.
Nella legge n. 400 del 1988 si cita il DPCM unicamente come atto con il quale è adottato il regolamento interno del Consiglio dei ministri (art. 4); sono nominati il Segretario generale e il Vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio (art. 18) nonché i capi dei dipartimenti della Presidenza del Consiglio (art. 21); è definito il trattamento economico del personale distaccato alla Presidenza del Consiglio da altre amministrazioni (art. 32).
Nel corso del tempo è emerso un crescente ricorso ai DPCM (si vedano al riguardo gli Appunti del Comitato della legislazione, 2012-Focus sui DPCM), che in molti casi hanno assunto anche valore regolamentare e, più in generale, normativo. Si pensi, con riferimento alla prassi legislativa più recente (dal 2012 in poi), all'uso sempre più frequente dei DPCM come regolamenti di organizzazione dei ministeri: in tal caso, la ratio del ricorso a questa fonte secondaria atipica va rinvenuta nella necessità di realizzare la riorganizzazione ministeriale con speditezza maggiore rispetto alla normale procedura dei regolamenti governativi ex art. 17, L. 400/1988.
Rispetto a questa evoluzione, anche nei pareri parlamentari espressi dalla Commissioni Affari costituzionali e dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, è stato in più occasioni posto in evidenza come il DPCM risulti allo stato, nell'ordinamento, un atto atipico e generalmente a contenuto politico ; in tale quadro era stato anche raccomandato al Legislatore di avviare una riflessione sullo strumento del DPCM, anche prendendo in considerazione l'ipotesi di un'integrazione, a tal fine, del contenuto della legge n. 400 del 1988.
I DPCM adottati sulla base del decreto-legge n. 6 del 2020 in ogni caso, così come quelli previsti dal provvedimento in esame, che uniscono a un valore normativo un valore "provvedimentale" e di indicazione di raccomandazioni da seguire, necessitano quindi di essere esaminati tenendo conto della peculiarità della situazione emergenziale in essere, caratterizzata da un'evoluzione continua e mutevole delle misure richieste. |
Precedenti decreti-legge sulla stessa materiaCome già ricordato sulla stessa materia è stato emanato il D.L. 6/2020, convertito dalla legge n. 13/2020 (e di cui l'articolo 5 del provvedimento dispone l'abrogazione) che, allo scopo di contrastare l'emergenza sanitaria derivante dalla rapida diffusione dell'epidemia da COVID-19, ha previsto una serie di misure di contenimento attuate con diversi D.P.C.M. (cfr. supra), prevedendo quindi disposizioni di carattere essenzialmente ordinamentale. Sono stati poi emanati alcuni decreti legge diretti a fronteggiare le emergenze economiche e sanitarie derivanti dalla diffusione dell'epidemia: Con il decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, detto "Cura-Italia" A.S. 1766 , all'esame del Senato, il Governo è intervenuto per sostenere economicamente le famiglie, i lavoratori e le imprese con risorse di circa 25 miliardi di euro diretti al mondo del lavoro, pubblico e privato, al potenziamento del Servizio sanitario nazionale, alle attività produttive e ai settori più colpiti dagli effetti negativi legati all'emergenza epidemiologica COVID-19.; Il D.L. del 9 marzo 2020, n. 14 (A.C. 2428) prevede il potenziamento del Servizio sanitario nazionale anche mediante un piano di assunzioni straordinarie nel comparto sanitario, come il reclutamento di specializzandi e medici di medicina generale, l'incremento della specialistica, l'assistenza domiciliare a persone con disabilità e misure di semplificazione per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale e medicali . Il D.L. 8 marzo 2020, n. 11 (A.S. 1757) riguardante specifiche misure per lo svolgimento delle udienze giudiziarie, a decorrere dal 23 marzo e fino al 31 maggio 2020 e per l'applicazione di specifiche norme negli istituti penitenziari e penali per minorenni fino al 22 marzo 2020. Per la giustizia amministrativa, a decorrere dall' 8 marzo e fino al 22 marzo 2020, l'efficacia delle misure specifiche previste dal decreto urgente per le udienze pubbliche e camerali dei procedimenti pendenti sono rinviate d'ufficio a data successiva al 22 marzo 2020. Anche per gli uffici della giustizia amministrativa, dall' 8 marzo e fino al 31 maggio possono essere previste limitazioni per l'accesso agli stessi. Analoghe misure alle precedenti sono previste per gli uffici di giustizia contabile. Il D.L. 3 marzo 2020, n. 9 in corso d'esame parlamentare (A.S. 1746) che stanzia risorse a sostegno delle famiglie, dei lavoratori e delle imprese a seguito dell'emergenza epidemiologica in corso, come deliberato nel Consiglio dei ministri n. 33 del 29 febbraio 2020 il cui esame è attualmente in corso al Senato . |
Motivazioni della necessità ed urgenzaA causa del perdurare dell'emergenza sanitaria derivante dalla rapida diffusione dell'epidemia da COVID-19, il decreto legge in esame prevede e disciplina le misure di contenimento da adottare con successivi dpcm, su tutta od una parte del territorio nazionale, per periodi di tempo definiti, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità rispetto al rischio effettivamente presente. Vengono anche disciplinate le sanzioni amministrative previste per la violazione delle misure. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteCome già ricordato, il decreto-legge adotta misure urgenti dirette a contrastare il rapido diffondersi dell'epidemia da COVID-19. Pertanto, tali misure rientrano in primo luogo nelle materie «ordinamento e organizzazione dello Stato e degli enti pubblici nazionali», "ordine pubblico e sicurezza" e «profilassi internazionale» che l'art. 117, secondo comma, lettere g), h) e q), riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, oltre alla materia "tutela della salute", oggetto di potestà legislativa concorrente ai sensi dell'articolo 117, comma terzo, della Costituzione.
Viene altresì in rilievo all'art.3, comma 1, la materia " attività produttive", che non può essere incisa dalle ordinanze regionali. Pur trattandosi di materia in parte riconducibile alla competenza residuale delle regioni (ai sensi dell'art.117, quarto comma), l'imposizione di tale limite pare potersi fondare sull'art.120, secondo comma, che consente allo Stato, a determinate condizioni, di sostituirsi a organi dello Stato nel caso "di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica" (v. supra art.3).
Quanto all'articolo 4, vengono altresì in rilievo gli ambiti di competenza statale in materia di "ordinamento civile e penale" ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché, per la disposizione che consente ai prefetti di avvalersi delle forze armate nell'attuazione delle misure di contenimento, la materia "difesa e Forze armate" di cui all'articolo 117, secondo comma lettera d).
Sulle misure previste assumono al contempo rilievo le previsioni stabilite nella Parte I della Carta costituzionale (Diritti e doveri dei cittadini), su cui v. infra. Quanto alla possibilità, con legge regionale, di concorrere a limitare la libertà di soggiorno e circolazione ai sensi all'art. 16 Cost., la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che ciò può avvenire purché nell'ambito delle competenze spettanti all'organo regionale nel perseguimento di un valore costituzionalmente rilevante e con un provvedimento con contenuti proporzionati al fine perseguito. Nella sentenza n. 51 del 1991, la Corte ha in particolare evidenziato come nella misura in cui l'art. 16 della Costituzione autorizza anche interventi regionali limitativi della libertà di circolazione delle persone e nella misura in cui altre norme costituzionali, principalmente gli art. 41 e 42 della Costituzione, ammettono che le limitazioni ivi previste alla libera circolazione dei beni possano essere poste anche con atti regionali, non può negarsi che la regione, per la parte in cui legittimamente concorre all'attuazione dei valori costituzionali contrapposti a quelle libertà, possa stabilire limiti alla libera circolazione delle persone e delle cose. |
Conformità con altri princìpi costituzionaliLa Corte costituzionale ha, in più occasioni, posto in evidenza come ogni diritto di libertà implichi l'imposizione di limiti e condizioni per la necessità di evitare che, attraverso il loro esercizio, vengano sacrificati altri beni di rilievo costituzionale (n. 15 del 1973; nn. 20 e 86 del 1974, n. 31 del 1982).
Così in primo luogo intervenendo in relazione a quanto sancito dall'art. 13 Cost ("Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge") la Corte ha sottolineato come il nucleo irriducibile di tale diritto implichi che le eventuali restrizioni, che la stessa Costituzione ammette, potranno intervenire solo laddove giustificate dalla necessità di tutelare diritti di pari rango e nel rispetto di determinate regole procedurali (1 del 1956).
A sua volta, in merito all'art. 16 Cost. "ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza" – che come evidenziato dalla Corte (n. 419 del 1994) presenta, rispetto all'art. 13 Cost. una diversa sfera di operatività, non costituendo un mero aspetto della libertà personale - ha posto in rilievo come la norma costituzionale ammetta la possibilità di limitazioni ponendo però quale condizione di legittimità che siano previsti dalla legge in via generale i motivi di sanità o sicurezza pubblica. Tali motivi possono nascere da situazioni generali o particolari, inclusa la necessità di isolare individui affetti da malattie contagiose o di prevenire i pericoli che singoli individui possono produrre rispetto alla sicurezza pubblica (n. 68 del 1964). Al contempo, la salute è tutelata dall'articolo 32 della Costituzione come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività`. Tale tutela implica e comprende -- oltre che misure di prevenzione -- anche il dovere di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui. Pertanto, ove si profili una incompatibilità tra il diritto alla tutela della salute, costituzionalmente protetto, ed i liberi comportamenti che non hanno una diretta copertura costituzionale, la Corte ha evidenziato come "deve ovviamente darsi prevalenza al primo" (sentenza n. 399 del 1996). In base al secondo comma dell'art. 32, inoltre, "nessuno può` essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può` in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". La Corte costituzionale ha in proposito evidenziato come la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. in particolare la sentenza n. 307 del 1990).
Alla luce delle misure disposte dal provvedimento in esame, si richiamano infine le principali previsioni costituzionali che assumono rilievo nel quadro complessivo di riferimento. In base all'articolo 14 della Costituzione "il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali".
L'articolo 17 della Costituzione sancisce il diritto di tutti i cittadini di riunirsi pacificamente e senza armi. Mentre non è richiesto preavviso per le riunioni in luogo aperto al pubblico, esso è necessario per le riunioni in luogo pubblico, che possono essere vietate per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
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a disciplina dei limiti alla libertà di riunione è recata dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS, RD 773/1931, art. 18 e seguenti) e dal relativo regolamento di attuazione (RD 635/1940 art. 19 e seguenti). Il questore può impedire le riunioni in luogo pubblico in caso di mancato avviso o per ragioni di ordine pubblico di moralità o di sanità pubblica e per gli stessi motivi può prescrivere modalità di tempo e luogo della riunione.
La giurisprudenza costituzionale ha in proposito posto in evidenza, a partire dalla sentenza n. 2 del 1966, come i comprovati motivi s'identifichino nella espressa motivazione, contenuta dal provvedimento di divieto che dia, in modo circostanziato, atto della "notevole probabilità del pericolo per la sicurezza o la pubblica incolumità" nel caso in cui si svolga una determinata riunione
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A sua volta, l'articolo 41 della Costituzione, nell'affermare il principio di libertà dell'iniziativa economica privata, specifica come questa non possa svolgersi "in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
La Corte costituzionale ha evidenziato come nei casi in cui le leggi apportino limitazioni ai diritti di libertà economica, essa ha il potere di giudicare in merito alla utilità sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilità di incidere su quei diritti. Tale potere concerne "la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo" (sentt. n. 63 del 1991; n. 446 del 1988; n. 20 del 1980; n. 65 del 1966).
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