Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Finanze
Titolo: Disposizioni urgenti in materia fiscale
Riferimenti: AC N.2220/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 220/3
Data: 09/12/2019

 

Disposizioni urgenti
in materia fiscale

(approvato dalla Camera dei deputati)

 

D.L. 124/2019 – A.S. 1638

Schede di lettura

 

Dicembre 2019

 

 

Servizio Studi – Dossier n. 179/3

Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it - Twitter_logo_blue.png @SR_Studi

 

 

 

 

Servizio Studi - Progetti di legge n. 220/3

Dipartimento Finanze

Tel. 06 6760-9496 - * - st_finanze@camera.it Twitter_logo_blue.png @CD_finanze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

 

D19124c.docx

 


I N D I C E

 

Capo I - Misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva ed alle frodi fiscali 7

Articolo 1 (Accollo del debito d’imposta altrui e divieto di compensazione) 7

Articolo 2 (Cessazione partita IVA ed inibizione compensazione) 10

Articolo 3 (Contrasto alle indebite compensazioni) 13

Articolo 4 (Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti e reverse charge manodopera) 17

Articolo 5 (Contrasto alle frodi in materia di accisa e norme in materia di confisca) 24

Articolo 6 (Contrasto alle frodi in materia di carburanti) 32

Articolo 7 (Contrasto alle frodi nel settore degli idrocarburi) 36

Articolo 8 (Disposizioni in materia di accisa sul gasolio commerciale) 40

Articolo 9 (Frodi nell’acquisto di veicoli fiscalmente usati) 42

Articolo 10 (Estensione del sistema INFOIL) 45

Articolo 10-bis (Ravvedimento operoso) 47

Articolo 11 (Introduzione Documento Amministrativo Semplificato telematico) 50

Articolo 11-bis (Finanziamento degli interventi per la digitalizzazione della logistica portuale) 53

Articolo 12 (Trasmissione telematica dei quantitativi di energia elettrica e di gas naturale) 55

Articolo 13 (Trust esteri) 57

Articolo 13-bis (Modifiche alla disciplina dei piani di risparmio a lungo termine) 60

Articolo 13-ter (Agevolazioni fiscali per i lavoratori impatriati) 64

Articolo 14 (Utilizzo dei file delle fatture elettroniche) 67

Articolo 14, capoverso comma 5-quater (Fatturazione elettronica organismi di informazione) 70

Articolo 15 (Fatturazione elettronica e sistema tessera sanitaria) 71

Articolo 16 (Precompilata IVA e termini comunicazioni esterometro) 74

Articolo 16-bis (Riordino termini presentazione 730 e assistenza fiscale) 77

Articolo 16-ter (Potenziamento dell’Amministrazione finanziaria) 82

Articolo 17 (Imposta di bollo sulle fatture elettroniche) 91

Articolo 18 (Modifiche al regime dell’utilizzo del contante) 93

Articolo 19 (Esenzione fiscale dei premi della lotteria degli scontrini e istituzione di premi speciali per il cashless) 98

Articolo 20 (Lotteria degli scontrini) 100

Articolo 21 (Certificazioni fiscali e pagamenti elettronici) 102

Articolo 22 (Credito d'imposta su commissioni pagamenti elettronici) 105

Articolo 23 - SOPPRESSO (Sanzioni per mancata accettazione di pagamenti effettuati con carte di debito e credito) 108

Capo II – Disposizioni in materia di giochi 109

Articolo 24 (Proroga gare scommesse e Bingo) 109

Articolo 25 (Termine per la sostituzione degli apparecchi da gioco) 112

Articolo 26 (Prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento) 114

Articolo 27 (Registro unico degli operatori del gioco pubblico) 115

Articolo 28 (Blocco dei pagamenti a soggetti senza concessione) 119

Articolo 29 (Potenziamento dei controlli in materia di giochi) 121

Articolo 30, commi 1 e 2 (Requisiti titolari concessioni) 124

Articolo 30, commi 2-bis e 2-ter (Valorizzazione e alienazione immobili Regioni) 126

Articolo 31 (Omesso versamento dell'imposta unica) 127

Capo III – Ulteriori disposizioni fiscali 130

Articolo 32 (IVA scuole guida) 130

Articolo 32-bis (Adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 giugno 2019, causa C-291/18 (Direttiva 95/7/CE) - Modifica dell'articolo 2, comma 4 della L. n. 28/1997) 134

Articolo 32-ter (IVA agevolata su prodotti igienico-sanitari) 136

Articolo 32-quater (Modifiche al regime fiscale degli utili distribuiti a società semplici) 138

Articolo 32-quinquies (Trattamento fiscale delle convenzioni per la realizzazione di opere di urbanizzazione) 141

Articolo 32-sexies (Ristrutturazione e riqualificazione energetica delle ex strutture manicomiali) 143

Articolo 33 (Sospensione adempimenti connessi ad eventi sismici) 145

Articolo 33-bis (Finanziamento Fondo vittime dell’amianto) 146

Articolo 34 (Compartecipazione comunale al gettito accertato) 148

Articolo 35 (Deducibilità interessi passivi) 149

Articolo 36 (Incentivi Conto Energia) 152

Articolo 37 (Riapertura termini prima rata definizione agevolata 2019, compensazione debiti tributari e interessi) 157

Articolo 38 (Imposta municipale propria piattaforme marine) 163

Articolo 38-bis (Riversamento del tributo per l'esercizio delle funzioni ambientali) 168

Articolo 38-ter (Introduzione dell’obbligo di pagamento della tassa automobilistica regionale attraverso il sistema dei pagamenti elettronici pagoPA) 170

Capo IV – Modifiche della disciplina penale in materia tributaria e della responsabilità amministrativa degli enti nella stessa materia. 172

Articolo 39 (Modifiche della disciplina penale e della responsabilità amministrativa degli enti) 172

Capo V – Ulteriori disposizioni per esigenze indifferibili 189

Articolo 40, commi 1 e 2 (Eliminazione vincoli di spesa per Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. ed Equitalia Giustizia S.p.A.) 189

Articolo 40, commi da 1-bis a 1-quater (Investimenti nella rete ferroviaria nazionale) 192

Articolo 40-bis (Norme in materia di condizioni per la circolazione del materiale rotabile) 194

Articolo 41, comma 1 (Fondo di garanzia PMI) 197

Articolo 41, comma 2 (Garanzie ISMEA alle imprese agricole per sviluppo di tecnologie innovative) 203

Articolo 41-bis (Mutui ipotecari per l’acquisto di beni immobili destinati a prima casa e oggetto di procedura esecutiva) 206

Articolo 42 (Fusioni e associazioni di comuni) 210

Articolo 43 (Affitti passivi PA) 214

Articolo 44 (Permuta immobili ad uso governativo) 216

Articolo 45, comma 1 (Proroga al 31 dicembre 2019 del termine per la stipula del nuovo Patto per la Salute) 218

Articolo 45, commi 1-bis-1-quater (Modifiche in tema di fabbisogno del personale sanitario, di volumi di acquisto di prestazioni da soggetti privati e di requisiti dei direttori sanitari ed amministrativi) 219

Articolo 46 (Disposizioni in materia di fiscalità regionale e locale) 222

Articolo 46-bis (Disposizioni perequative in materia di edilizia scolastica e riparto quota statale dell’8 per mille) 227

Articolo 47, comma 1 (Disposizioni sul trasporto pubblico locale) 233

Articolo 47, comma 1-bis (Deroga al divieto di circolazione per gli autobus inquinanti nelle isole minori) 240

Articolo 48 (Adeguamento banca dati di riferimento rendiconto di gestione comuni) 242

Articolo 49, comma 1 (Revisione priorità investimenti) 246

Articolo 49 comma 1-bis (Criteri premiali) 249

Articolo 50, commi 1-3 (Tempi di pagamento dei debiti commerciali della P.A.) 252

Articolo 50, comma 3-bis (Adeguamento di ordini e collegi professionali ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica) 255

Articolo 50-bis (Pagamento dei compensi per prestazioni di lavoro straordinario effettuate dalle Forze di polizia e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nel 2018) 256

Articolo 51, commi 1 e 2 (Attività informatiche in favore di organismi pubblici) 260

Articolo 51, commi 2-bis-2-quater (Acquisizione dei dati delle tasse automobilistiche al Pubblico Registro Automobilistico) 269

Articolo 52 (Incentivi per l'acquisto dei dispositivi antiabbandono) 273

Articolo 53, commi da 1 a 5 (Disposizioni in materia di trasporto) 277

Articolo 53, comma 5-bis (Incentivi per il trasporto merci su idrovie interne e per vie fluvio marittime) 282

Articolo 53, commi 5-ter e 5-quater (Tassa automobilistica in caso di locazione a lungo termine di veicoli senza conducente) 284

Articolo 53-bis (Agevolazioni fiscali per i veicoli elettrici e a motore ibrido utilizzati dagli invalidi) 287

Articolo 54 - ABROGATO (Alitalia) 290

Articolo 55 (Misure a favore della competitività delle imprese italiane) 291

Articolo 55-bis (Misure relative all'assegnazione delle classi di merito) 295

Articolo 55-ter (Disciplina prodotti fitosanitari da parte degli utilizzatori non professionali) 297

Articolo 56 (Compensazione Fondo perequativo IRAP) 299

Articolo 57, commi 1-1-ter (Criteri di riparto del Fondo di solidarietà comunale) 301

Articolo 57, comma 1-quater (Utilizzo delle risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui e dal riacquisto dei titoli obbligazionari) 310

Articolo 57, commi 2 e 2-bis (Disapplicazione di obblighi di contenimento delle spese di regioni e enti locali) 312

Articolo 57, commi 2-ter e 2-quater (Esonero dall’obbligo di contabilità economico-patrimoniale per i piccoli comuni) 316

Articolo 57, commi 2-quinquies e 2-sexies (Certificazione attestante il rispetto del pareggio di bilancio) 318

Articolo 57, comma 2-septies (Disapplicazione di sanzioni agli enti locali per violazioni del patto di stabilità e del pareggio di bilancio) 320

Articolo 57, comma 2-octies (Formazione del personale dei comuni montani) 321

Articolo 57, comma 2-novies (Contributo alla Fondazione IFEL) 324

Articolo 57, commi 2-decies-2-quaterdecies (Contributo a favore di comuni interamente confinanti con Paesi non UE) 327

Articolo 57, commi 2-quinquiesdecies e 2-sexiesdecies (Esenzione delle unioni di comuni dall’imposta sul reddito delle società) 331

Articolo 57-bis (Modifiche alla disciplina della TARI e bonus sociale rifiuti) 332

Articolo 57-ter (Organo di revisione economico-finanziario degli enti locali) 337

Articolo 57-quater (Indennità di funzione per l’esercizio della carica di sindaco e per i presidenti di provincia) 341

Articolo 57-quinquies (Capacità fiscale dei comuni, delle province e delle città metropolitane) 346

Articolo 58 (Quota versamenti in acconto) 350

Articolo 58-bis (Investimenti Fondi pensione) 352

Articolo 58-ter (Finanziamento CIGS per cessazione di attività) 356

Articolo 58-quater (Accademia dei Lincei) 359

Articolo 58-quinquies (Coefficienti per il calcolo della tassa rifiuti per gli studi professionali) 361

Articolo 58-sexies (Parità di genere nelle società quotate) 362

Articolo 58-septies (Fondo per le emergenze nazionali) 366

Articolo 58-octies (Interventi in materia di sicurezza degli edifici scolastici pubblici) 368

Articolo 59 (Disposizioni finanziarie) 371

Articolo 59-bis (Clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano) 381

Articolo 60 (Entrata in vigore) 383

 

 


Capo I - Misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva ed alle frodi fiscali

Articolo 1
(Accollo del debito d’imposta altrui e divieto di compensazione)

 

 

L’articolo 1 disciplina l’accollo del debito di imposta altrui, previsto dallo Statuto del contribuente. In particolare, le norme vietano esplicitamente il pagamento del debito accollato mediante compensazione. Nel caso di violazione del divieto, il pagamento si considera non avvenuto e sono irrogate sanzioni differenziate per l’accollante e l’accollato.

In deroga alla disciplina generale, le sanzioni per la violazione del divieto di compensazione nell’accollo tributario sono irrogate entro l’ottavo anno successivo alla presentazione della delega di pagamento (in luogo di cinque anni dalla violazione).

L’accollo d’imposta tra normativa vigente e indicazioni di prassi

Il comma 2 dell’articolo 8 dello Statuto del contribuente consente l'accollo del debito d'imposta altrui, senza tuttavia che ciò comporti la liberazione del contribuente originario.

Rispetto all’accollo civilistico, le disposizioni sull’accollo tributario non consentono l’adesione del creditore, né la possibilità di opporre allo stesso le eccezioni fondate sull’accordo sotteso.

L’Agenzia delle entrate, interpellata sulle modalità corretta di estinzione del debito d’imposta oggetto di accollo, nella Risoluzione n. 140/E del 2017 ha chiarito alcuni punti cardine dell’istituto, che avrebbe dovuto ricevere compiuta attuazione (articolo 8, comma 6 dello Statuto del contribuente) con un decreto ministeriale, non emanato.

Richiamando la giurisprudenza sull’argomento, l’Agenzia ha precisato che l’assunzione volontaria dell’impegno di pagare le imposte dovute dall’iniziale debitore non significa “assumere la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale”, tanto che l’Amministrazione finanziaria non può esercitare nei confronti degli accollanti “i propri poteri di accertamento e di esazione, che possono essere esercitati solo nei confronti di chi sia tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale” (Cass. S.U. n. 28162 del 2008).

In base a tali presupposti l’Agenzia ha negato la possibilità di soddisfare il debito tributario mediante compensazione nel caso di accollo. L’istituto della compensazione, fatte salve limitate eccezioni previste specificamente da disposizioni normative ad hoc, a parere dell’Agenzia trova infatti applicazione solo per i debiti (e i contrapposti crediti) in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi.

Tuttavia, stanti le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni richiamate, la medesima Agenzia delle entrate ha ritenuto opportuno procedere ad alcune precisazioni.

In particolare, sono stati ritenuti validi e non sanzionabili i pagamenti dei debiti accollati effettuati tramite compensazione prima della pubblicazione della risoluzione, datata 15 novembre 2017, purché in presenza di crediti esistenti ed utilizzabili.

Per i pagamenti successivi alla pubblicazione della risoluzione, ancorché riferiti a contratti di accollo antecedentemente stipulati, l’Agenzia ha ritenuto opportuno distinguere la posizione dell’accollato da quella dell’accollante.

Nei confronti dell’accollato, soggetto passivo del rapporto tributario e debitore originario, l’omesso pagamento comporta il recupero dell’imposta non versata e degli interessi, nonché l’applicazione della sanzione pari al trenta per cento di ogni importo non versato (articolo 13 comma 1 d.lgs. n. 471 del 1997) e quelle, inferiori, previste nel caso di ritardo nei versamenti (nel caso di ritardo non superiore a novanta giorni, quindici per cento dell’importo non versato; per ritardi non superiori a quindici giorni, la sanzione già ridotta, ulteriormente decurtata di un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo).

Per l’Agenzia delle entrate, alla predetta sanzione si affiancano quelle in capo all’accollante. Per quest’ultimo, l’utilizzo di un credito d’imposta in violazione delle modalità dettate dalle norme vigenti si applicano:

§  la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato, qualora questo sia effettivamente esistente (di cui all’articolo 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471 del 1997). Recuperata l’imposta in capo all’accollato, il credito dell’accollante tornerà utilizzabile secondo le regole ordinarie;

§  la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti utilizzati, laddove inesistenti (di cui all’articolo 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471 del 1997).

La disciplina prevista dall’articolo in esame

Il comma 1 dell’articolo in esame mantiene la possibilità di accollo ai sensi delle citate norme dello Statuto del contribuente, disponendo che i relativi pagamenti seguano le modalità disposte dalla legge.

Il comma 2 esplicita il divieto di pagamento del debito accollato mediante compensazione.

 

Nel caso di violazione del divieto di compensazione dell’accollante (comma 3), i pagamenti effettuati in compensazione si considerano come non avvenuti a tutti gli effetti di legge.

Inoltre, si applicano le sanzioni per ritardati od omessi versamenti diretti e per le altre violazioni in materia di compensazione, come individuate dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, illustrate nel paragrafo precedente.

 

Il comma 4 dispone, in deroga alla disciplina generale in materia di sanzioni tributarie, che le sanzioni per la violazione della disciplina sul divieto di compensazione siano irrogate con atti di recupero da notificare, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la delega di pagamento.

Al riguardo si ricorda che l’articolo 20 del D.Lgs. n. 472 del 1997 prescrive che l'atto di contestazione delle sanzioni o l'atto di irrogazione siano notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione, o nel diverso termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi. 

 

Le sanzioni irrogate sono le seguenti, in coerenza con l’impianto delineato dall’Agenzia delle entrate nella Risoluzione n. 140 del 2017:

a)   all’accollante sono comminate le sanzioni pari al trenta per cento del credito, se il credito indebitamente compensato è esistente, o dal cento al duecento per cento dell’importo, ove il credito sia inesistente (articolo 13, commi 4 o 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471);

b)  all’accollato è comminata la sanzione pari al trenta per cento del dovuto (articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471), recuperando l’imposta dovuta e gli interessi, importi per i quali l’accollante è coobbligato in solido.

 

Il comma 5 demanda a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione delle ulteriori disposizioni attuative.


 

Articolo 2
(Cessazione partita IVA ed inibizione compensazione)

 

 

L’articolo 2 inserisce tre nuovi commi (2-quater, 2-quinquies e 2-sexies) all’articolo17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, in materia di compensazione dei crediti, che stabiliscono l’esclusione dei destinatari di provvedimenti di cessazione della partita IVA, ovvero di esclusione dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie, dalla possibilità di avvalersi della compensazione dei crediti.

 

In particolare l’articolo in esame dispone che, in deroga alla generale previsione che l'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione (articolo 8 dello statuto dei diritti del contribuente), per i contribuenti a cui sia stato notificato provvedimento di cessazione della partita IVA è esclusa la facoltà di avvalersi (a partire dalla data di notifica) della compensazione dei crediti (comma 2-quater).

 

Si ricorda che l'attribuzione del numero di partita IVA determina la esecuzione di riscontri automatizzati per la individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio dello stesso nonché l'eventuale effettuazione di accessi nel luogo di esercizio dell'attività. Gli uffici fiscali verificano che i dati forniti da soggetti per la loro identificazione ai fini dell'IVA, siano completi ed esatti (articolo 35, comma 15-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di IVA). L’Agenzia delle entrate effettua nei confronti dei titolari di partita Iva riscontri e controlli, formali e sostanziali, sull’esattezza e completezza dei dati forniti da tali soggetti per la loro identificazione ai fini Iva, applicando criteri di valutazione del rischio mirati, prevalentemente, ad individuare soggetti privi dei requisiti soggettivi e/o oggettivi Iva previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972. A tal fine l’Agenzia valuta prioritariamente:

§  gli elementi di rischio riconducibili al titolare della ditta individuale o al rappresentante legale, agli amministratori e ai soci della persona giuridica titolare della partita Iva;

§  gli elementi di rischio relativi alla tipologia e alle modalità di svolgimento dell’attività operativa, finanziaria, gestionale, nonché ausiliaria da parte del soggetto titolare della partita Iva;

§  gli elementi di rischio relativi alla posizione fiscale del soggetto titolare della partita Iva, con particolare riferimento alle omissioni e\o incongruenze nell’adempimento degli obblighi di versamento o dichiarativi;

§  gli elementi di rischio relativi a collegamenti con soggetti direttamente e/o indirettamente coinvolti in fenomeni evasivi o fraudolenti.

Per una panoramica completa sui controlli periodici e l’attività di analisi del rischio sui soggetti titolari di partita Iva si rimanda alla lettura del Provvedimento del 12 giugno 2017 del direttore dell’Agenzia delle entrate.

A tali contribuenti, pertanto, è inibita la possibilità di utilizzare i crediti in compensazione nel modello F24 a prescindere dalla loro tipologia e dall’importo e anche qualora non siano maturati con riferimento all’attività esercitata con la partita IVA oggetto del provvedimento. Il comma prosegue stabilendo inoltre che tale esclusione rimane in vigore fino a quando la partita IVA risulti cessata ovvero fino a quando permangono le circostanze che hanno determinato l’emissione del provvedimento.

Nella relazione che accompagna il decreto in esame si evidenzia che conseguentemente i predetti crediti potranno essere esclusivamente oggetto di richiesta di rimborso (articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in materia di riscossione, e articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di IVA) ovvero essere riportati quale eccedenza pregressa nella dichiarazione successiva.

 

Il nuovo comma 2-quinquies prevede che anche i soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie a cui sia stato notificato il provvedimento di esclusione della partita IVA dalla banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie (articolo 17 del Regolamento (UE) n.904/2010) non possono avvalersi, a partire dalla data di notifica, della compensazione dei crediti IVA.

 

Si segnala che in base al citato Provvedimento del 12 giugno 2017 del direttore dell’Agenzia delle entrate che fissa i criteri e le modalità di cessazione della partita IVA e dell’esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie, nel caso in cui, dai controlli venga constatato che il soggetto, sebbene in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, abbia comunque consapevolmente effettuato operazioni intracomunitarie in un contesto di frode IVA, l’ufficio, valutata la gravità del comportamento, può notificare un provvedimento di esclusione dell’operatore dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie, rendendo invalida la partita IVA nel sistema elettronico di cui all’articolo 17 del Regolamento (UE) n. 904/2010.

Si ricorda inoltre che il Regolamento (UE) n. 904/2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro le frodi in materia d'imposta sul valore aggiunto stabilisce, all’articolo 17, che ciascuno Stato membro archivia in un sistema elettronico i dati riguardanti l'identità, l'attività, l'organizzazione e l'indirizzo delle persone a cui ha attribuito un numero di identificazione IVA. Il successivo articolo 20 stabilisce che le informazioni sono inserite immediatamente nel sistema elettronico e l’articolo 19 dispone che gli Stati membri provvedono a che tali informazioni siano aggiornate, complete ed esatte.

In caso di esito negativo dei controlli svolti ai sensi del richiamato articolo 35, comma 15-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l'ufficio fiscale emana provvedimento di cessazione della partiva IVA e provvede all'esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie.

L’esclusione rimane in vigore fino a quando non siano rimosse le irregolarità che hanno generato l’emissione del provvedimento di esclusione.

 

Il comma 2-sexies dispone che nel caso di utilizzo in compensazione di crediti in violazione di quanto previsto dai commi 2-quater e 2-quinquies, il modello F24 è scartato. Lo scarto è comunicato tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate al soggetto che ha trasmesso il modello F24, mediante apposita ricevuta.

 

Si ricorda a tale proposito che secondo quanto previsto dal provvedimento del 28 agosto 2018 del direttore dell’Agenzia delle entrate se in esito alle verifiche effettuate l’Agenzia delle entrate rileva che il credito non è stato correttamente utilizzato, comunica lo scarto del modello F24 al soggetto che ha inviato il file telematico, tramite apposita ricevuta, indicandone anche la relativa motivazione. Tutti i pagamenti e le compensazioni contenuti nel modello F24 scartato si considerano non eseguiti.


 

Articolo 3
(Contrasto alle indebite compensazioni)

 

 

L’articolo 3, modificato dalla Camera dei deputati, per rafforzare gli strumenti per il contrasto delle indebite compensazioni di crediti effettuate tramite modello F24, consente di compensare per importi superiori a 5.000 euro annui solo a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui emerge il credito; estende l’obbligo di utilizzare modalità di pagamento telematiche a tutti i soggetti che intendono effettuare la compensazione; introduce una specifica disciplina sanzionatoria. Nel corso dell’esame sono stati modificati gli importi e la natura delle sanzioni per mancata esecuzione di deleghe di pagamento: in luogo dell’importo fisso, previsto dal testo originario del decreto-legge (pari a 1.000 euro per ogni delega non eseguita), con le modifiche apportate dalla Camera si applica una sanzione parzialmente proporzionale: 5 per cento dell'importo fino a 5.000 euro e a 250 euro per importi superiori a 5.000 per ciascuna delega non eseguita.

 

Si ricorda che l’articolo 17 del D.Lgs. 241 del 1997 disciplina la compensazione dei crediti. Al fine di compensare i crediti con i propri debiti, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell'istanza da cui il credito emerge.

 

I commi da 1 a 3 modificano i presupposti per l’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta emergenti dalle dichiarazioni relative alle imposte dirette, allineandoli ai presupposti vigenti per i crediti d’imposta emergenti dalle dichiarazioni IVA.

 

In particolare, il comma 1 sostituisce l’ultimo periodo dell'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, al fine di limitare la possibilità di compensare per importi superiori a 5.000 euro annui solo a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui emerge il credito, già prevista per i crediti IVA, anche per i crediti relativi alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi e all'imposta regionale sulle attività produttive.

 

Il comma 2 estende a tutti i soggetti che intendono effettuare la compensazione, e non solo ai soggetti titolari di partita IVA, l’obbligo di utilizzare modalità di pagamento telematiche, tramite F24.

A tal fine è modificato l'articolo 37, comma 49-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, eliminando il riferimento ai soggetti titolari di partita IVA di cui al comma 49 del medesimo articolo (lettera a)). Per effetto della modifica, la norma si applica quindi a tutti coloro che intendono avvalersi della compensazione.

Si ricorda che il comma 49-bis qui modificato stabilisce che i soggetti titolari di partita IVA (di cui al precedente comma 49) che intendono effettuare la compensazione dei crediti sono tenuti ad utilizzare esclusivamente i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate.

Il successivo comma 49-ter autorizza l'Agenzia delle entrate a sospendere, fino a trenta giorni, l'esecuzione delle deleghe di pagamento contenenti compensazioni che presentano profili di rischio, al fine del controllo dell'utilizzo del credito. Se all'esito del controllo il credito risulta correttamente utilizzato, ovvero decorsi i trenta giorni, la delega è eseguita e le compensazioni e i versamenti sono considerati effettuati alla data stessa della loro effettuazione; diversamente la delega di pagamento non è eseguita e i versamenti e le compensazioni si considerano non effettuati. In tal caso la struttura di gestione dei versamenti unificati non contabilizza i versamenti e le compensazioni indicate nella delega di pagamento e non effettua le relative regolazioni contabili.

 

Tale obbligo è esteso anche ai crediti maturati in qualità di sostituto d’imposta per il recupero delle eccedenze di versamento delle ritenute e dei rimborsi/bonus erogati ai dipendenti (ad esempio, i rimborsi da modello 730 e bonus 80 euro) (lettera b)).

 

Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa, queste misure consentirebbero di effettuare un riscontro preventivo dei dati attestanti l’esistenza del credito prima che questo venga utilizzato in compensazione per il pagamento di altri tributi o contributi e, eventualmente, di scartare le deleghe di pagamento nel caso in cui contengano compensazioni di crediti, salvi quelli maturati in qualità di sostituto d’imposta, che non risultano dalle dichiarazioni presentate oppure che risultano da dichiarazioni non dotate del visto di conformità.

 

Il comma 3 chiarisce che le nuove disposizioni si applicano con riferimento ai crediti maturati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019.

Si segnala che nel primo anno di applicazione delle nuove disposizioni (il 2020), a differenza del 2019, i crediti d’imposta relativi al periodo d’imposta chiuso al 31 dicembre dell’anno precedente, salvi i crediti maturati in qualità di sostituto d’imposta, potranno essere utilizzati in compensazione solo dieci giorni dopo la presentazione della relativa dichiarazione e dunque a partire dal mese di maggio (e non quindi a partire dal 1° gennaio, come stabilito dalle norme vigenti).

Al riguardo, la relazione tecnica stima che in tale anno, a causa del differimento del termine a decorrere dal quale potranno essere utilizzati i crediti in compensazione, una parte di questi non potrà essere compensata entro la fine dello stesso anno 2020 (per incapienza rispetto ai debiti da pagare tramite compensazione) e slitterà ai primi mesi del 2021. Pertanto, solo per il 2020, si avrà un ulteriore effetto positivo che riduce la spesa per il bilancio dello Stato (c.d. slittamento). Negli esercizi successivi, lo slittamento in avanti per ciascuna annualità sarà annullato dal recupero dei crediti residui dell’anno precedente e quindi, in sostanza, l’effetto slittamento non sarà significativo.

 

Il comma 4 prevede che l’Agenzia delle entrate, l’INPS e l’INAIL possano definire procedure di cooperazione rafforzata, finalizzate al contrasto delle indebite compensazioni di crediti tramite modello F24. Nell’ambito di tali procedure, gli istituti possono inviare all’Agenzia delle entrate segnalazioni qualificate circa operazioni che presentano profili di rischio, ai fini del recupero del credito indebitamente compensato.

Le procedure illustrate e ogni altra disposizione di attuazione sono definite con provvedimenti adottati d’intesa dal Direttore dell’Agenzia delle entrate e dai Presidenti dei suddetti Istituti.

 

I commi 5 e 6, infine, introducono una specifica disciplina sanzionatoria da applicare nei casi in cui venga individuato il tentativo di compensare crediti non utilizzabili.

 

A tal fine, il comma 5 introduce un nuovo comma 49-quater al citato articolo 37 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223.

Ai sensi del nuovo comma, qualora in esito all’attività di controllo sopra richiamata (comma 49-ter) i crediti indicati nelle deleghe di pagamento si rivelino in tutto o in parte non utilizzabili in compensazione, l’Agenzia delle entrate comunica telematicamente la mancata esecuzione della delega di pagamento al soggetto che ha trasmesso la delega stessa entro il termine di trenta giorni e applica la sanzione di euro 1000 per ciascuna delega non eseguita (di cui all’articolo 15, comma 2-ter del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, introdotto dal successivo comma 6).

Qualora a seguito della comunicazione il contribuente, entro i trenta successivi al ricevimento della stessa, rilevi eventuali elementi non considerati o valutati erroneamente, può fornire i chiarimenti necessari all'Agenzia delle entrate. L'iscrizione a ruolo a titolo definitivo della sanzione non è eseguita se il contribuente provvede a pagare la somma dovuta entro trenta giorni. L’agente della riscossione notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della delega di pagamento. Con provvedimento adottato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate sono definite le disposizioni attuative.

 

Il successivo comma 6, modificato dalla Camera dei deputati, introduce un nuovo comma 2-ter all’articolo 15 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in materia di sanzioni tributarie non penali. Tale norma, nel caso di mancata esecuzione delle deleghe di pagamento per effetto dell’attività di controllo illustrate, dispone l’applicazione di una sanzione che, per effetto delle modifiche, è in parte proporzionale e ammonta al 5 per cento dell'importo fino a 5.000 euro, mentre è pari a 250 euro per importi superiori a 5.000 per ciascuna delega non eseguita (in luogo di 1000 euro per ciascuna delega non eseguita, come originariamente previsto dal decreto-legge). Viene esplicitamente esclusa l’applicazione della sanzione più grave, aumentata da un quarto al doppio, in caso di concorso di violazioni e continuazione prevista dall'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.

 

Il comma 7 reca la norma di invarianza finanziaria, mentre il comma 8 prevede la decorrenza delle sanzioni a partire dalle deleghe di pagamento presentate dal mese di marzo 2020.


 

Articolo 4
(Ritenute e compensazioni in appalti e
subappalti e
reverse charge manodopera)

 

 

L’articolo 4, interamente sostituito durante l'esame presso la Camera dei deputati, reca una serie di misure in materia di contrasto all’omesso versamento delle ritenute. In particolare dispone l’obbligo per il committente di richiedere all'impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarla, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute ai fini del riscontro dell'ammontare complessivo degli importi versati dalle imprese; stabilisce che il committente è tenuto a sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria nel caso di mancata trasmissione o nel caso risultino omessi o insufficienti versamenti; estende l’inversione contabile in materia di Iva (reverse charge) alle prestazioni effettuate mediante contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, che vengono svolti con il prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente e con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente.

 

Il comma 1 della disposizione in esame introduce un nuovo articolo 17-bis al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, in materia di versamento unitario e compensazione.

In primo luogo, il comma 1 dell’articolo 17-bis stabilisce che il committente (sostituto di imposta residente nel territorio dello Stato ai fini delle imposte sui redditi) che affida il compimento di un’opera o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a 200.000 euro a un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziati comunque denominati, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera, presso le sedi di attività del committente con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma, è tenuto a richiedere all'impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarla, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute.

Il versamento delle ritenute è effettuato dall'impresa appaltatrice o affidataria e dall'impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità dì compensazione, in deroga all’articolo 17 del medesimo decreto legislativo 241.

Pertanto, l'applicazione delle disposizioni richiamate è limitata alle opere e ai servizi caratterizzati dal prevalente utilizzo di manodopera - in contesti c.d labour intensive - presso le sedi di attività del committente, con l'utilizzo di beni strumentali di sua proprietà, o comunque a lui riconducibili, e per un importo complessivo che superi la soglia di 200.000 euro annui.

 

Si ricorda che nel testo vigente l’articolo 4 prevede l’obbligo per il committente al versamento delle ritenute (senza possibilità di utilizzare in compensazione proprie posizioni creditorie) in tutti i casi di affidamento di un’opera o un servizio.

 

Il comma 2 del nuovo articolo 17-bis specifica alcuni obblighi di trasmissione previsti per le ditte appaltatrici (affidatarie o subappaltatrici) necessari per consentire al committente di adempiere all’obbligo del riscontro dell'ammontare complessivo degli importi versati dalle imprese.

In particolare l’impresa appaltatrice o affidataria e le imprese subappaltatrici trasmettono al committente e, per le imprese subappaltatrici, anche all'impresa appaltatrice, entro i cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento delle ritenute:

§  le deleghe di pagamento;

§  un elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell'esecuzione di opere e servizi affidati dal committente, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell'opera o del servizio affidato;

§  l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione;

§  il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di detto lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

 

Il comma 3 introduce l’obbligo per il committente di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria nel caso di mancato adempimento da parte di quest’ultime degli obblighi di trasmissione previsti al comma 2 o nel caso di omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali.

In particolare la disposizione prevede che nel caso in cui entro i cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento delle ritenute sia maturato il diritto a ricevere corrispettivi dall'impresa appaltatrice o affidataria e questa o le imprese subappaltatrici non abbiano ottemperato all'obbligo di trasmettere al committente le deleghe di pagamento e le informazioni relative ai lavoratori impiegati ovvero risulti l'omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa, il committente deve sospendere, finché perdura l'inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20 per cento del valore complessivo dell'opera o del servizio ovvero per un importo pari all'ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa.

Il committente inoltre ne dà comunicazione entro novanta giorni all'Ufficio dell'Agenzia delle entrate territorialmente competente nei suoi confronti.

 

Si segnala che il termine di 90 giorni consente di avvalersi dell’istituto del ravvedimento. Si ricorda che l’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, prevede che la sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza: ad un decimo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione; ad un nono del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell'omissione o dell'errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso.

 

In tali casi, infine, è preclusa all'impresa appaltatrice o affidataria ogni azione esecutiva finalizzata al soddisfacimento del credito il cui pagamento è stato sospeso, fino a quando non sia stato eseguito il versamento delle ritenute.

 

Il comma 4 introduce una sanzione per il mancato adempimento da parte del committente degli obblighi previsti ai commi 1 e 3.

In caso di inottemperanza ai predetti obblighi, il committente è obbligato al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata all'impresa appaltatrice o affidataria, o subappaltatrice, per la corretta determinazione delle ritenute e per la corretta esecuzione delle stesse, nonché per il tempestivo versamento, senza possibilità di compensazione.

 

Il comma 5 stabilisce alcune deroghe alla disciplina introdotta dall’articolo in esame, specificando i casi in cui le imprese appaltatrici e subappaltatrici o affidatarie possono procedere autonomamente al versamento delle ritenute.

In sostanza, gli obblighi introdotti non trovano applicazione qualora le imprese appaltatrici o affidatarie, o subappaltatrici, comunichino al committente, allegando la relativa certificazione, la sussistenza nell'ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista (pari a cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento) dei seguenti requisiti:

§  essere in attività da almeno tre anni, in regola con gli obblighi dichiarativi, e aver eseguito nel corso dei periodi d'imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell'ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime (lettera a));

§  non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50.000 euro per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Tali disposizioni non si applicano per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza (lettera b)).

 

Si ricorda che nel testo vigente l’articolo 4, comma 12, consente alle imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici di eseguire direttamente il versamento delle ritenute, comunicando al committente tale opzione entro 5 giorni lavorativi di anticipo rispetto alla scadenza del versamento ed allegando una certificazione dei requisiti richiesti, qualora nell’ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista:

§  risultino in attività da almeno 5 anni ovvero abbiano eseguito nel corso dei due anni precedenti complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo superiore a 2 milioni di euro;

§  non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi affidati agli agenti della riscossione relativi a tributi e contributi previdenziali per importi superiori a 50.000 euro per i quali siano ancora dovuti pagamenti o per i quali non siano stati accordati provvedimenti di sospensione.

 

Il comma 6 prevede che la certificazione del possesso dei requisiti di cui al comma 5 è messa a disposizione dall'Agenzia delle entrate e ha validità di quattro mesi dalla data del rilascio.

 

Il comma 7 demanda a un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate ulteriori modalità dì trasmissione telematica delle informazioni previste dal comma 2 con modalità semplificate di riscontro dei dati.

Il comma 8 del nuovo articolo 17-bis - in deroga all’articolo 17 del medesimo decreto legislativo 241 - esclude per le imprese appaltatrici o affidatarie e per le imprese subappaltatrici la possibilità di avvalersi dell’istituto della compensazione quale modalità di estinzione delle obbligazioni relative a contributi previdenziali e assistenziali e premi assicurativi obbligatori, maturati in relazione ai dipendenti direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio. Detta esclusione opera con riguardo a tutti i contributi previdenziali, assistenziali e premi assicurativi maturati nel corso di durata del contratto, sulle retribuzioni erogate al personale direttamente impiegato nell’esecuzione delle opere o dei servizi affidati.

La disposizione non si applica alle imprese appaltatrici e subappaltatrici o affidatarie che presentano i requisiti previsti per potere procedere autonomamente al versamento delle ritenute.

 

Il comma 2 dell’articolo 4 in commento prevede che le disposizioni introdotte dal nuovo articolo 17-bis si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2020.

 

Il comma 3 dell’articolo 4 inserisce una nuova lettera (a-quinquies)) all’articolo 17, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), in cui sono riportate le categorie di beni e servizi per le quali l’Italia applica il meccanismo dell'inversione contabile detto reverse charge.

 

Si ricorda che il reverse charge, ai sensi dell'articolo 17, quinto comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, comporta che gli obblighi relativi all'applicazione dell'IVA devono essere adempiuti dal soggetto passivo cessionario o committente, in luogo del cedente o del prestatore. Tale meccanismo, adottato dagli Stati membri – ai sensi della Direttiva 2006/69/CE – in deroga alla procedura normale di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto secondo il sistema della rivalsa, mira a contrastare le frodi in particolari settori a rischio, evitando che il cessionario porti in detrazione l'imposta che il cedente non provvede a versare all'erario.

Per una ricognizione dettagliata dell’istituto si consiglia la lettura del paragrafo reverse charge all’interno del temaweb IVA e fatturazione elettronica presente sul portale della documentazione della Camera dei deputati.

 

La lettera a-quinquies) estende l’inversione contabile in materia di IVA alle prestazioni effettuate mediante contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, che vengano svolti con il prevalente utilizzo di manodopera (labour intensive) presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente o ad esso riconducibili.

La norma pertanto aggiunge le prestazioni d' opera alle operazioni per cui è già prevista l’applicazione dell’inversione contabile, quali le prestazioni di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento degli edifici, i subappalti in edilizia. Ne consegue che le prestazioni d'opera soggette a IVA sono fatturate dalle imprese senza l’applicazione dell’IVA e di conseguenza il committente integra la fattura dell’imposta secondo l’aliquota prevista per la prestazione, imputandola a debito e quindi portandola in detrazione se spettante.

 

Si ricorda che nel Documento programmatico di bilancio 2020 il Governo rappresenta che la disposizione intende contrastare l’illecita somministrazione di manodopera, in quanto attraverso la costituzione di false cooperative e false imprese, i soggetti coinvolti nelle frodi evitano di assumere manodopera interna, delegando il reperimento delle risorse a finte società affidatarie che aggirano le norme contrattuali, evadono l’IVA e non procedono al versamento delle ritenute operate sui redditi dei lavoratori. Le finte cooperative e le finte imprese interposte non versano le ritenute sui redditi dei lavoratori e l’IVA e conseguentemente possono realizzare l’attività economica a un costo inferiore a quello che verrebbe sostenuto dal committente. La circostanza che i soggetti interposti non siano patrimonializzati e dunque non aggredibili con la riscossione coattiva comporta l’impossibilità dell’Amministrazione finanziaria di recuperare le risorse finanziarie sottratte illecitamente.

 

La norma prevede, infine, che l’inversione contabile non si applica per le operazioni effettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni e degli altri enti e società soggetti al regime dello split payment, nonché alle agenzie per il lavoro disciplinate dal decreto legislativo n.276 del 2003.

Si ricorda che l'articolo 1, comma 629, lettera b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha introdotto l'articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA) che ha stabilito, per le pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi, un meccanismo di scissione dei pagamenti, cd. split payment, da applicarsi alle operazioni per le quali dette amministrazioni non siano debitori d'imposta. In base a questo meccanismo, in relazione agli acquisti di beni e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni, per i quali queste non siano debitori d'imposta (ossia per le operazioni non assoggettate al regime di inversione contabile), esse devono versare direttamente all'erario l'IVA che è stata addebitata loro dai fornitori, anziché allo stesso fornitore, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta.

Tale disposizione era stata inizialmente resa applicabile alle amministrazioni e dagli enti pubblici destinatari delle norme in materia di IVA a esigibilità differita di cui all'articolo 6, quinto comma, secondo periodo, del citato D.P.R. n. 633 del 1972: lo Stato, gli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, gli enti pubblici territoriali ed i consorzi tra essi costituiti, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli istituti universitari, le aziende sanitarie locali, gli enti ospedalieri, gli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, gli enti pubblici di assistenza e beneficenza e quelli di previdenza. Successivamente, con l'articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, il meccanismo dello split payment è stato esteso a tutte le amministrazioni, gli enti ed i soggetti inclusi nel conto consolidato della pubblica amministrazione.

Per una ricognizione dettagliata dell’istituto si consiglia la lettura del paragrafo split payment all’interno del temaweb IVA e fatturazione elettronica presente sul portale della documentazione della Camera dei deputati.

 

Il comma 4 dell’articolo in esame specifica che l'efficacia delle nuove norme in materia di split payment di cui al comma 3 è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell'Unione europea, dell'autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, che prevede, tra l’altro, che il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a introdurre misure speciali di deroga al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto allo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali.


 

Articolo 5
(Contrasto alle frodi in materia di accisa
e norme in materia di confisca)

 

 

L’articolo 5 introduce alcune disposizioni di modifica al Testo Unico Accise – TUA di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, volte nel complesso a prevenire e reprimere le frodi nel settore delle accise.

Più in dettaglio:

§  sono chiariti i termini per la trasmissione della nota di ricevimento, ai fini di chiusura del regime sospensivo dei prodotti sottoposti ad accisa (ventiquattro ore dal momento in cui i prodotti sono presi in consegna dal destinatario) e sono chiarite le modalità di presa in consegna del bene, qualora il trasporto sia effettuato con automezzi;

§  sono disciplinati compiutamente i requisiti soggettivi di onorabilità per il rilascio della qualifica di destinatario registrato a fini doganali;

§  sono ampliate le ipotesi in cui il gestore di un deposito fiscale privato di prodotti sottoposti ad accisa è tenuto ad ottenere la licenza fiscale, mediante l’abbassamento dei requisiti dimensionali del deposito rilevanti ai fini della loro tracciabilità; sono disciplinate le fattispecie per le quali è negato il rilascio della licenza di esercizio di deposito fiscale di prodotti energetici, nonché le ipotesi di sospensione dell’istruttoria;

§  sono disciplinati i requisiti soggettivi di onorabilità dell’esercente il deposito fiscale di alcol e bevande alcoliche;

§  si prevede l’obbligatorietà della confisca (anche per equivalente) del profitto del reato, nel caso di reati doganali previsti dal TUA.

 

Si rammenta in questa sede che il disegno di legge di bilancio 2020, all’esame del Senato al momento di redazione del presente lavoro (A.S. 1586), contiene misure in materia di accise sui carburanti. In particolare, si escludono dall’accisa agevolata sul gasolio commerciale i veicoli euro 3 e inferiori e, dal 1° gennaio 2021, anche i veicoli euro 4 o inferiori (articolo 76); sono rimodulate e innalzate le accise gravanti sui prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica (articolo 77).

Circolazione dei prodotti in regime sospensivo

La lettera a) del comma 1 modifica in più punti l’articolo 6 del TUA, che disciplina la circolazione in regime sospensivo dei prodotti sottoposti ad accisa.

 

In estrema sintesi, il regime fiscale sospensivo si applica ad alcune operazioni sui prodotti sottoposti ad accisa e consente la sospensione temporanea dal pagamento del tributo, fino al momento in cui l’accisa diviene esigibile o l’obbligazione si estingue. Ai sensi dell’articolo 6 del TUA, la circolazione di prodotti sottoposti ad accisa, in regime sospensivo, nello Stato e nel territorio della Comunità, compreso il caso in cui tali prodotti transitino per un paese o un territorio terzo, può avvenire:

a)   per i prodotti provenienti da un deposito fiscale, verso un altro deposito fiscale o verso un operatore qualificato, detto destinatario registrato, verso un luogo dal quale i prodotti lasciano il territorio UE;

b)   per i prodotti spediti da uno speditore registrato, dal luogo di importazione verso qualsiasi destinazione di cui alla lettera a).

La circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo inizia, nelle ipotesi di cui alla lettera a), nel momento in cui essi lasciano il deposito fiscale di spedizione e, nel caso di cui alla lettera b), all'atto della loro immissione in libera pratica. Essa si conclude, per i prodotti destinati ad essere esportati, nel momento in cui gli stessi hanno lasciato il territorio della Comunità, negli altri casi, nel momento in cui i medesimi sono presi in consegna dal destinatario: tale circostanza è attestata generalmente da una nota di ricevimento, trasmessa dal destinatario nazionale all'Amministrazione finanziaria mediante il sistema informatizzato e da quest'ultimo validata (articolo 6, comma 6 TUA).

 

Le modifiche in esame, aggiungendo un periodo alla fine del comma 6, chiariscono (punto 1) che il termine per la trasmissione della nota di ricevimento ai fini di chiusura del regime sospensivo è pari a ventiquattro ore dal momento in cui i prodotti sono presi in consegna dal destinatario.

La Relazione illustrativa al riguardo chiarisce che attualmente la disciplina nazionale opera un implicito rinvio a quanto stabilito dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 2008, n. 2008/118/CE, relativa al regime generale delle accise e, in particolare, dall’articolo 24, paragrafo 1, che stabilisce l’obbligo del destinatario di presentare “senza indugio e non oltre 5 giorni lavorativi dopo la conclusione della circolazione” una nota attestante il ricevimento dei prodotti sopra menzionati.

Il successivo punto 2 introduce un nuovo comma 6-bis nel predetto articolo 6 del TUA per precisare che, qualora il trasporto degli anzidetti prodotti in sospensione di accisa sia effettuato con automezzi, il destinatario prende in consegna i prodotti attraverso lo scarico effettivo degli stessi dal mezzo di trasporto e l’annotazione nella contabilità, entro lo stesso giorno, dei dati relativi alla qualità e quantità degli stessi prodotti scaricati.

Destinatario registrato

La lettera b) del comma 1 modifica (punto 1) l’articolo 8 del TUA che disciplina i requisiti e le caratteristiche del destinatario registrato.

Si tratta dell’operatore che intende qualificarsi presso l’Amministrazione finanziaria come destinatario di prodotti spediti in regime sospensivo, per entrare nella disponibilità materiale di prodotti in sospensione da accisa con riferimento alla sola ricezione dei medesimi: in forza della facoltà accordata, viene identificato quale soggetto obbligato.

Il rilascio dell'autorizzazione è subordinato alla presentazione di apposita istanza presso l'ufficio doganale competente, contenente tutte le informazioni comprovanti l'esistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del richiedente (si veda, per informazioni la circolare 8/D del 2017 dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli).

Il destinatario registrato è tenuto inoltre al rilascio di una garanzia pari all'intera accisa gravante sui prodotti movimentati in regime sospensivo ed è tenuto a contabilizzare separatamente i prodotti sottoposti al regime sospensivo rispetto a quelli assoggettati ad accisa.

 

Con le modifiche in esame viene inserito un nuovo comma 1-bis nell’articolo 8 per prevedere, anche per il destinatario registrato, requisiti soggettivi ai fini del rilascio dell’autorizzazione ad operare con tale qualifica, nonché i casi di sospensione e revoca. Tali requisiti oggi non sono previsti ex lege, ma sono stati individuati dalla predetta circolare 8/D delle Dogane.

In particolare l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto applicabili al destinatario registrato i parametri tipizzati dal comma 6 dell’articolo 23 del D.Lgs. n.504/95, considerata norma a valenza generale nel settore delle accise e ricognitiva dei requisiti ordinariamente richiesti per il riconoscimento di posizioni preferenziali.

In coerenza con l’orientamento dell’Amministrazione, la norma in esame esplicita i requisiti richiesti al destinatario registrato mutuandoli dalla disciplina contenuta nell’articolo 23 del TUA in materia di autorizzazione all’esercizio di un deposito fiscale.

Di conseguenza, salva la speciale disciplina in materia di tabacchi lavorati, l’autorizzazione alla qualifica di destinatario registrato è negata e l’istruttoria per il relativo rilascio è sospesa allorché ricorrano, nei confronti del soggetto che intende operare come destinatario registrato, rispettivamente le condizioni di cui ai commi 6 e 7 dell’articolo 23 (v. supra).

Non è possibile rilasciare l’autorizzazione (comma 6 dell’articolo 23) al soggetto che:

a) ha riportato condanna definitiva per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare nel quinquennio antecedente la richiesta; la causa ostativa opera anche nel caso in cui la sentenza definitiva disponga l’applicazione della pena su richiesta;

b) ha in corso procedure concorsuali o è stato sottoposto a tali procedure nel quinquennio antecedente l’istanza;

c) ha commesso violazioni gravi e ripetute, per loro natura od entità, delle disposizioni che disciplinano l’accisa, l’imposta sul valore aggiunto e i tributi doganali, in relazione alle quali siano state contestate sanzioni amministrative nell’ultimo quinquennio.

L'istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione è sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del procedimento penale, qualora nei confronti del soggetto istante sia stato emesso un decreto che dispone il giudizio per uno dei reati indicati nel suesposto comma 6 dell’articolo 23 (ai sensi del successivo comma 7).

Si estendono alla sospensione e alla revoca dell’autorizzazione le norme di cui ai commi 8 e 9 del medesimo articolo 23: l'Autorità giudiziaria, anche su richiesta dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, può sospendere l’autorizzazione nei confronti del depositario autorizzato per il quale sia stato emesso decreto che dispone il giudizio per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare. Essa è in ogni caso sospesa dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli se viene pronunciata nei confronti del depositario autorizzato sentenza di condanna non definitiva, con applicazione della pena della reclusione, per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare. Il provvedimento di sospensione ha effetto fino alla emissione della sentenza irrevocabile. Ai sensi del comma 9 l'autorizzazione è revocata in caso di sentenza irrevocabile di condanna o sentenza definitiva di applicazione della pena su richiesta per reati di natura tributaria, finanziaria e fallimentare per i quali sia prevista la pena della reclusione.

Nel caso di persone giuridiche e di società, l'autorizzazione è negata, revocata o sospesa, ovvero il procedimento per il rilascio della stessa è sospeso, allorché le situazioni di cui ai commi da 6 a 9 del citato articolo 23 ricorrano, alle condizioni ivi previste, con riferimento a persone che ne rivestono funzioni apicali (funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione; gestione e controllo).

Il punto 2 della lettera b) interviene sul comma 3 del citato articolo 8, al fine di apportare modifiche di coordinamento con la lettera a) e chiarire esplicitamente l’obbligo per i destinatari registrati, qualora ricevano prodotti sfusi in regime sospensivo, di trasferirli fisicamente nei propri specifici serbatoi riservati a tale tipologia di prodotto.

Depositi di prodotti energetici

Con la lettera c) del comma 1 viene modificato l’articolo 25 del TUA, che disciplina i depositi dei prodotti energetici assoggettati ad accisa.

 

L’esigenza degli operatori economici di disporre di strutture dove custodire le merci senza che le stesse siano sottoposte alla relativa imposizione tributaria, in attesa di procedere all’attribuzione della destinazione finale, è assicurata dalle vigenti disposizioni nazionali e comunitarie attraverso gli istituti del:

a) deposito doganale, per le merci non comunitarie in sospensione di diritti doganali e per le merci comunitarie;

b) deposito fiscale, per i prodotti nazionali e comunitari in sospensione da accisa;

c) deposito IVA, per i beni nazionali e comunitari in sospensione dall’imposta sul valore aggiunto.

La disciplina del deposito fiscale è contenuta nel TUA, in coerenza con le disposizioni comunitarie in materia di accisa. Esso è l’impianto in cui vengono fabbricate, trasformate, detenute, ricevute o spedite merci sottoposte ad accisa, in regime di sospensione dei diritti di accisa, alle condizioni stabilite dall’amministrazione finanziaria. Depositario autorizzato è invece il soggetto titolare e responsabile della gestione del deposito fiscale. Tale regime (articolo 5 TUA) è autorizzato dall’Amministrazione finanziaria e il relativo esercizio è subordinato al rilascio di una licenza; a ciascun deposito è inoltre attribuito un codice di accisa (comma 2); il depositario è obbligato, fatte salve le disposizioni stabilite per i singoli prodotti, a prestare cauzione nella misura del 10% dell’imposta che grava sulla quantità massima di prodotti che possono essere detenuti nel deposito fiscale, in relazione alla capacità di stoccaggio dei serbatoi utilizzabili. L’Amministrazione finanziaria ha facoltà di esonerare dal predetto obbligo le ditte affidabili e di notoria solvibilità. Il depositario è altresì obbligato a conformarsi alle prescrizioni stabilite per l’esercizio della vigilanza sul deposito fiscale, a tenere una contabilità dei prodotti detenuti e movimentati nel deposito fiscale e a presentare i prodotti ad ogni richiesta sottoponendosi a controlli o accertamenti.

I depositi fiscali si intendono compresi nel circuito doganale e sono assoggettati a vigilanza finanziaria; la vigilanza finanziaria deve assicurare, tenendo conto dell’operatività dell’impianto, la tutela fiscale anche attraverso controlli successivi (comma 4). Salve le disposizioni stabilite per i depositi fiscali dei singoli prodotti, l’inosservanza degli obblighi stabiliti dalle norme del TUA, indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale, comporta la revoca della licenza fiscale di esercizio.

 

In particolare, gli esercenti di depositi commerciali di prodotti energetici assoggettati ad accisa devono denunciarne l'esercizio all'Ufficio dell'Agenzia delle dogane, competente per territorio, qualunque sia la capacità del deposito (comma 1), ai fini del rilascio della relativa licenza.

Il comma 2 dell’articolo 25 stabilisce gli obblighi di denuncia in capo ad altre tipologie di deposito.

 

Con le modifiche in esame (punto 1 della lettera c)) si abbassa il limite di capacità previsto per i depositi per uso privato, agricolo e industriale (da 25 a 10 metri cubi) nonché di quello previsto per i serbatoi cui sono collegati gli apparecchi di distribuzione automatica di carburanti per usi privati, agricoli ed industriali (da 10 a 5 metri cubi), ai fini dell’obbligo di denuncia e di acquisizione della relativa licenza.

Di conseguenza gli operatori che gestiscono tali depositi, a seguito della predetta modifica, sono tenuti a munirsi di licenza fiscale e a tenere la contabilità prescritta dal TUA.

Si stabilisce (punto 2 della lettera c)) che con determinazione del Direttore dell’Agenzia dogane e monopoli siano previste modalità semplificate per la tenuta della medesima contabilità, attraverso una specifica integrazione del comma 4.

 

Si ricorda che il comma 2 dell’articolo 5 del provvedimento in esame stabilisce che la predetta determinazione sia adottata entro il 27 dicembre 2020 (sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente provvedimento, calcolando la festività). Al fine di consentire che questi operatori si adeguino ai nuovi obblighi, si stabilisce che l’obbligo di licenza operi dal primo giorno del quarto mese successivo alla data di pubblicazione della predetta determinazione nel sito internet dell’Agenzia.

 

Il comma 1, lettera c), punto 3 dell’articolo in esame dispone l’inserimento del nuovo comma 6-bis all’articolo 25, col quale sono disciplinate le fattispecie in cui viene negato il rilascio della licenza di esercizio di deposito fiscale di prodotti energetici, nonché le ipotesi di sospensione dell’istruttoria. In particolare, con una norma simmetrica a quella introdotta per il destinatario registrato, la licenza è negata se nel quinquennio antecedente la richiesta è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ovvero sentenza definitiva di applicazione della pena su richiesta, per violazioni costituenti delitti, in materia di accisa, punibili con la reclusione non inferiore nel minimo ad un anno; l'istruttoria per il rilascio della predetta licenza è sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del procedimento penale, qualora nei confronti del soggetto istante sia stato emesso un decreto che dispone il giudizio per una delle violazioni predette.

Il punto 4 modifica il comma 7 dell’articolo 25, al fine di disporre che la sentenza di condanna comporta la revoca della licenza nonché l'esclusione dal rilascio di altra licenza non in via temporanea, ma definitivamente.

Il punto 5 modifica il comma 9 per sostituire la facoltà di avvalersi di comunicazione a mezzo fax, per il trasferimento di prodotti energetici assoggettati ad accisa tra depositi commerciali, con l’obbligo di effettuare detta comunicazione solo con modalità telematiche.

Depositari fiscali di alcol e bevande alcoliche

La lettera d) del comma 1 modifica l’articolo 28 del TUA relativo ai depositi fiscali di alcol e bevande alcoliche. Viene introdotto un nuovo comma 7- bis, volto a disciplinare i requisiti soggettivi di onorabilità dell’esercente il deposito fiscale, rinviando a quanto previsto dal già illustrato articolo 23.

Decorrenze

Il comma 3 dell’articolo in esame stabilisce la decorrenza di alcune disposizioni così introdotte. In particolare:

§  le disposizioni di cui al comma 1, lettera a), numero 1, ossia quelle relative al termine per la trasmissione della nota di ricevimento, hanno efficacia a decorrere dal 1° novembre 2019;

§  le disposizioni di cui al comma 1, lettera b), numero 1 (sulla sospensione e sulla revoca della licenza al destinatario registrato), al comma 1, lettera c), punto 5 (sulle comunicazioni telematiche) e al comma 1, lettera d) (sulla sospensione e revoca delle licenze di deposito fiscale di alcolici) hanno efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2020.

Confisca

Le disposizioni del comma 4 modificano l’articolo 44 TUA in materia di confisca, introducendovi i due nuovi commi 1-bis e 1-ter.

Il comma 1-bis prevede che nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, per uno dei delitti in materia doganale, previsti dal TUA, sia sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato.

Quando la confisca del profitto non sia possibile, è obbligatoria la confisca per equivalente, ovvero dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

 

Il comma 1-ter chiarisce che la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.

 

Si ricorda che l’articolo 240, comma primo del codice penale dispone che la confisca del prezzo del reato sia solo facoltativa.

Le norme in esame si pongono in deroga a tale disposto, allineando così le norme in materia confisca per i reati doganali a quelle, di contenuto pressoché analogo, previste per i reati tributari dall’articolo 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 (come modificato dall’articolo 10 del D.Lgs. n. 158 del 2015, col quale è stato riformato il sistema sanzionatorio fiscale a seguito della delega del 2014).

 

 


 

 

Articolo 6
(Contrasto alle frodi in materia di carburanti)

 

 

L’articolo 6 modifica le norme della legge di bilancio 2018 volte alla prevenzione e al contrasto delle frodi IVA nel settore della vendita di carburanti.

In particolare si prevede che, nei casi di deposito fiscale utilizzato anche come deposito IVA, le cessioni di carburante intervenute durante la custodia in deposito siano effettuate con pagamento dell’IVA. Nel caso di depositi a utilizzo misto, inoltre, è escluso il pagamento anticipato dell’IVA al momento dell’estrazione dal deposito solo in presenza di due condizioni concomitanti: la riconosciuta affidabilità dell’operatore e la prestazione di idonea garanzia.

Le modifiche rendono più restrittive le deroghe al pagamento anticipato dell’IVA al momento dell’estrazione dal deposito: l’anticipato versamento non è effettuato se i carburanti sono di proprietà del gestore del deposito, solo a condizione che il deposito sia di capacità non inferiore a 3000 metri cubi.

Con finalità di prevenzione di fenomeni di frode, si vieta l’utilizzo della dichiarazione d’intento per tutte le cessioni e le importazioni definitive che riguardano i carburanti e gli altri prodotti energetici interessati dalla disciplina antifrode, salve specifiche eccezioni (acquisto di gasolio commerciale per trasporto).

 

Si rammenta in questa sede che il disegno di legge di bilancio 2020, all’esame del Senato al momento di redazione del presente lavoro (A.S. 1586), contiene misure in materia di accise sui carburanti. In particolare, si escludono dall’accisa agevolata sul gasolio commerciale i veicoli euro 3 e inferiori e, dal 1° gennaio 2021, anche i veicoli euro 4 o inferiori (articolo 76); sono rimodulate e innalzate le accise gravanti sui prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica (articolo 77).

 

Si ricorda che i commi da 937 a 944 dell’articolo 1 della legge n. 205 del 2017 hanno introdotto misure di contrasto all'evasione IVA perpetrata in relazione all'introduzione, nel mercato nazionale, di carburanti (gasolio e benzina) acquistati a livello intracomunitario e stoccati presso depositi fiscalmente riconosciuti.

È innanzitutto disposto (comma 937) che l'immissione in consumo di oli minerali dal deposito fiscale o l’estrazione dal deposito di un destinatario registrato (per le cui nozioni si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 5) è subordinata al versamento dell’IVA con modello F24 - dunque al pagamento anticipato dell’imposta - senza possibilità di compensazione. La ricevuta di versamento (comma 938) va consegnata dall’estrattore al gestore del deposito al fine di poter immettere in consumo il bene. È prevista inoltre la responsabilità solidale tra colui che estrae ed il gestore del deposito per il mancato versamento dell’IVA. Il comma 939 prevede che alle cessioni dei prodotti, intervenute durante la giacenza nel deposito fiscale, non si applichi l’IVA. Fatti salvi i casi di riconosciuta affidabilità del soggetto che procede all’estrazione dei prodotti oppure di prestazione di idonea garanzia, le disposizioni si applicano anche nell’ipotesi in cui il deposito fiscale è utilizzato come deposito IVA; sono esclusi da tali disposizioni i prodotti di proprietà del gestore del deposito dal quale sono immessi in consumo o estratti, nonché i prodotti immessi in consumo per conto di un soggetto titolare di un diverso deposito fiscale avente capacità non inferiore a specifici valori e in possesso di specifici requisiti o che presti idonea garanzia.

Il comma 1, lettera a), modifica il descritto comma 940. Per effetto delle modifiche, nei casi di deposito fiscale utilizzato anche come deposito IVA trovano applicazione:

§  il comma 937, che prevede il pagamento dell’IVA anticipato, ovvero al momento di immissione in consumo di oli minerali dal deposito fiscale di estrazione o dal deposito di un destinatario registrato;

§  il comma 938, che dispone la consegna in originale della ricevuta di versamento al gestore del deposito e, in mancanza di tale ricevuta, stabilisce che il gestore del deposito sia solidalmente responsabile dell'imposta sul valore aggiunto non versata.

Con le modifiche in esame, ai depositi fiscali utilizzati anche come depositi IVA non si applica più la norma (comma 939) che prevede siano effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le cessioni di carburante intervenute durante la custodia in deposito.

La disciplina dei depositi IVA di cui all'articolo 50?bis del decreto-legge n. 331 del 1993 è stata modificata dall'articolo 4, commi 7, del decreto-legge n. 193 del 2016: dal 1° aprile 2017 tutte le cessioni di beni eseguite mediante introduzione in un deposito, a prescindere dalla provenienza dei beni stessi, sono effettuate senza pagamento dell’Iva (art. 50?bis, c. 4, lett. c), a eccezione dei beni introdotti in forza di un acquisto intracomunitario e dei beni immessi in libera pratica. Per le altre operazioni l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione ed è versata in suo nome e per suo conto dal gestore del deposito. In pratica l’introduzione delle merci nel deposito IVA comporta che l’assolvimento dell’imposta è differito al momento della loro estrazione dal deposito per l’immissione in consumo nello Stato.

 

Con una seconda modifica al comma 940, si chiarisce che, nel caso di depositi a utilizzo misto, le norme sul pagamento anticipato dell’IVA (commi 937 e 938 sopra richiamati) non si applicano in presenza di due condizioni concomitanti, in luogo di prevedere l’alternatività delle condizioni: la riconosciuta affidabilità dell’operatore insieme alla prestazione di idonea garanzia.

 

Con le modifiche di cui al comma 1, lettera b) si novella anche il comma 941, per restringere il campo di applicazione delle deroghe ivi attualmente previste.

Per effetto delle norme in esame, le norme sul pagamento anticipato dell’IVA all’estrazione dal deposito e quelle sulla relativa documentazione non si applicano ai carburanti di proprietà del gestore del deposito, a condizione che tale deposito sia di capacità non inferiore a 3.000 metri cubi, dal quale sono immessi in consumo o estratti.

Viene dunque introdotta una soglia di capacità di stoccaggio (fissata in 3.000 metri cubi), sia per i depositi fiscali che per i depositi dei destinatari registrati, per poter accedere alla deroga.

Ove il deposito dal quale sono estratti o immessi in consumo i carburanti in parola abbia una capacità inferiore a quella prevista, scatta comunque l’obbligo del versamento anticipato dell’IVA previsto dal comma 937.

La relazione illustrativa chiarisce che la ratio di tale disposizione è rappresentata dalla necessità che il deposito in questione possa, in relazione alla sua capacità, costituire effettivamente un’adeguata garanzia per il pagamento dell’IVA.

Si affida a un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze la possibilità di modificare la predetta soglia di capacità.

 

La lettera c) inserisce due nuovi commi (941-bis e 941-ter) nell’articolo 1 della menzionata legge di bilancio 2018. n. 205/2017.

La relazione illustrativa chiarisce quali sono i meccanismi fraudolenti alla base della scelta normativa: il comma 941 consente al proprietario dei beni, nel caso in cui sia anche titolare del deposito di stoccaggio, di poter estrarre gli stessi prodotti senza effettuare il versamento anticipato dell’imposta (previsto dal comma 937). Successivamente o contestualmente a tale immissione in consumo/estrazione, il Governo rileva che talvolta il titolare del deposito abbia ceduto il prodotto a una società “cartiera”, fatturando lo stesso senza l’applicazione dell’IVA a fronte dell’esibizione, da parte della medesima società, di una dichiarazione d’intento “non autentica”. In tal modo non viene effettuato il versamento dell’IVA sui prodotti in questione, che possono essere così venduti sottocosto sul mercato.

Il comma 941-bis impedisce l’utilizzo della dichiarazione d’intento per tutte le cessioni e le importazioni definitive che riguardano i carburanti e gli altri prodotti previsti dal comma 937, con le eccezioni di cui al successivo comma 941-ter.

Con riferimento alle dichiarazioni di intento, si ricorda in questa sede che essa è un documento proprio degli esportatori abituali: si tratta di contribuenti qualificati, con uno specifico volume di operazioni effettuate nell’anno precedente, che - previo il rispetto di adempimenti formali - possono effettuare operazioni di acquisto senza IVA nel limite di un plafond il cui ammontare è determinato dalla legge. Ove intendano acquistare o importare senza applicazione dell’IVA, essi debbono trasmettere telematicamente all’Agenzia delle entrate la dichiarazione d’intento. La dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, va poi consegnata al fornitore o prestatore, oppure in dogana.

 

Il comma 941-ter consente di utilizzare la citata dichiarazione d’intento per alcune cessioni aventi ad oggetto il c.d. gasolio commerciale usato come carburante (di cui all’art. 24-ter del TUA, e cioè quello impiegato dai soggetti esercenti talune categorie di trasporto merci e passeggeri), ai fini dello svolgimento dell’attività di trasporto. L’acquisto deve avvenire presso un deposito commerciale, da soggetti diversi dai destinatari registrati ovvero da soggetti diversi da quelli per conto dei quali i gestori di un deposito fiscale o destinatari registrati abbiano immesso in consumo o estratto il medesimo gasolio.

La norma affida poi a un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, di natura non regolamentare, il compito di stabilire ulteriori limitazioni all’utilizzo della dichiarazione di intento.

 

Il comma 1, lettera d) introduce un nuovo comma 943-bis, il quale dispone che le società, gli enti e i consorzi concessionari di autostrade e trafori sono tenuti a mettere a disposizione dell’Agenzia delle dogane e della Guardia di finanza, su richiesta e senza oneri per l’erario, i dati rilevati sui transiti degli automezzi che possono essere utilizzati per la movimentazione dei prodotti energetici in possesso di tali società.

La relazione illustrativa chiarisce che si tratterebbe di dati prelevati in modo automatico dai sistemi di controllo installati sulle tratte autostradali di competenza.

Andrebbe valutata l’opportunità di specificare tale modalità di prelievo dei dati anche nella norma, al fine di definire il perimetro dei dati da rendere disponibili.

 

Il comma 2 posticipa al 1° gennaio 2020 l’efficacia delle disposizioni di cui al comma 1, lettere a) e b), ovvero delle modifiche alla disciplina sul trattamento fiscale dei carburanti estratti dal deposito fiscale e dal deposito a utilizzo misto.


 

Articolo 7
(Contrasto alle frodi nel settore degli idrocarburi)

 

 

L’articolo 7 introduce disposizioni volte a contrastare l’uso fraudolento di taluni prodotti, classificabili come oli lubrificanti, illecitamente venduti e utilizzati come carburanti per autotrazione o combustibili per riscaldamento, allo scopo di evadere il pagamento dell’accisa.

A tal fine viene previsto un sistema di tracciabilità di alcune tipologie di oli lubrificanti, mediante l’attribuzione di un codice amministrativo di riscontro necessario per la loro circolazione nel territorio nazionale. Il Codice è emesso dal sistema informatizzato dell’Agenzia dogane e monopoli su richiesta del soggetto che effettua l’immissione in consumo di tali prodotti, ovvero del mittente, secondo la destinazione finale degli oli lubrificanti.

Tale sistema di tracciabilità viene esteso anche alle preparazioni lubrificanti e ad altri prodotti individuati con decreto ministeriale che, in relazione alle loro caratteristiche, possono essere destinati all’impiego come carburanti per motori, combustibili per riscaldamento ovvero come lubrificanti.

Ove i prodotti lubrificanti in transito non siano stati presentati all’Ufficio delle dogane di uscita oppure i dati inseriti ai fini del rilascio del codice amministrativo di riscontro risultino non veritieri, si configura il tentativo di sottrazione del prodotto all’accertamento dell’accisa, con l’applicazione delle conseguenti sanzioni penali.

L’operatività delle norme in esame è subordinata all’emanazione delle disposizioni secondarie di attuazione.

 

Si rammenta in questa sede che il disegno di legge di bilancio 2020, all’esame del Senato al momento di redazione del presente lavoro (A.S. 1586), contiene misure in materia di accise sui carburanti. In particolare, si escludono dall’accisa agevolata sul gasolio commerciale i veicoli euro 3 e inferiori e, dal 1° gennaio 2021, anche i veicoli euro 4 o inferiori (articolo 76); sono rimodulate e innalzate le accise gravanti sui prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica (articolo 77).

 

L’articolo 7 introduce a tal fine nel Testo Unico Accise – TUA (D.Lgs. n. 504 del 1995) un nuovo articolo 7-bisg

Come anticipato, le norme intendono contrastare l’uso fraudolento di taluni prodotti classificabili come oli lubrificanti, che sono invece illecitamente venduti e utilizzati come carburanti per autotrazione o combustibili per riscaldamento, allo scopo di evadere il pagamento dell’accisa.

Nella relazione governativa viene chiarito che tali miscelazioni e impiego irregolare consentono di eludere le disposizioni UE che impongono vincoli specifici per la movimentazione tra gli Stati membri dei prodotti da impiegare nella carburazione o nella combustione per riscaldamento (la cui circolazione può avvenire solo tra soggetti abilitati, a seguito dell’emissione di uno specifico documento fornito dal sistema telematico doganale).

 

Al riguardo si ricorda che gli oli lubrificanti non destinati a usi di combustione e carburazione (impieghi per i quali sono invece assoggettati ad accisa armonizzata) sono assoggettati ad imposta di consumo non armonizzata. Le disposizioni di riferimento per i soggetti che detengono o commercializzano oli lubrificanti sono contenute negli articoli 61 e 62 del TUA e, in particolare:

§  l'articolo 61, comma 1, lettera b) – punto 2 del TUA dispone che l'imposta è dovuta dal soggetto che effettua la prima immissione in consumo, in territorio nazionale, di oli lubrificanti di provenienza comunitaria;

§  l'articolo 62, comma 1 del TUA dispone che sono sottoposti ad imposta di consumo gli oli lubrificanti quando sono destinati, messi in vendita o impiegati per usi diversi dalla combustione o dalla carburazione;

§  l'articolo 62, comma 7 rinvia, per la circolazione e per il deposito degli oli lubrificanti assoggettati ad imposta, alle disposizioni di cui agli articoli 12 e 25. In forza di tale ultimo rinvio, non sono soggetti all'obbligo della denuncia gli esercenti depositi commerciali che detengono una quantità non superiore a 500kg di olio lubrificante destinato alla vendita al minuto.

 

Il comma 1 dell’articolo 7-bis stabilisce che alcuni oli lubrificanti, individuati coi codici di nomenclatura combinata doganale NC da 2710 19 81 a 2710 19 99, prima della loro immissione in consumo devono circolare nel territorio nazionale muniti di un codice amministrativo di riscontro, relativo a ciascun trasferimento dei suddetti prodotti, emesso dal sistema informatizzato dell’Agenzia dogane e monopoli e annotato sulla prescritta documentazione di trasporto.

 

Come chiarito anche dal Governo nella relazione illustrativa, ove tali prodotti siano circolanti tra più Stati membri UE, via terra, essi viaggiano scortati dalla lettera di vettura CMR, dal momento che l’imposta di consumo non rientra in un regime armonizzato in UE e non vi è dunque uniformità della documentazione richiesta. Si ricorda che la CMR attesta l’avvenuta presa in consegna della spedizione relativamente al trasporto delle merci su strada, quando il luogo di carico ed il luogo di consegna sono situati in due Stati diversi. È un contratto di trasporto che costituisce prova dell’accordo tra le parti coinvolte in merito ai beni da trasportare, le modalità e le condizioni della spedizione, che devono essere conformi alla Convenzione Internazionale CMR.

Viene fatta salva la normativa doganale e, in particolare, l’obbligo di emissione di un documento amministrativo elettronico – (e-AD) per la circolazione in regime sospensivo di tali prodotti.

Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 7-bis, il codice è richiesto telematicamente all’Agenzia delle dogane e monopoli non prima delle 48 ore precedenti all’introduzione dei prodotti nel territorio nazionale e, comunque, almeno 12 ore prima dell’introduzione.

L’obbligo di richiesta del codice è posto in capo:

a)   al soggetto che ne effettua la prima immissione in consumo, se gli oli lubrificanti provengono da un altro Stato membro dell’Unione europea e sono destinati ad essere immessi in consumo nel territorio nazionale;

b)  al mittente dei prodotti stessi, se provengono da un altro Stato membro dell’Unione europea e non sono destinati ad essere immessi in consumo nel territorio nazionale.

 

Il comma 3 disciplina il contenuto della richiesta del codice, nella quale si devono riportare i dati identificativi del mittente e del destinatario, i quantitativi e i codici di nomenclatura combinata, il luogo in cui i prodotti saranno introdotti nel territorio nazionale, la targa del veicolo e degli eventuali rimorchi utilizzati per il loro trasferimento, l’itinerario che il veicolo seguirà nel territorio nazionale, nonché, per i prodotti non destinati ad essere immessi in consumo nel territorio nazionale, il luogo in cui i prodotti lasceranno l’Italia e l’Ufficio delle dogane di uscita.

Tale Codice, emesso dal sistema informatizzato dell’Agenzia dogane e monopoli, è annotato, prima che la circolazione dei prodotti nel territorio nazionale abbia inizio, sulla documentazione di trasporto che scorta i prodotti. A tal fine il soggetto nazionale che immette il prodotto in consumo è tenuto a comunicare il codice al mittente (comma 4).

 

Il comma 5 chiarisce che la circolazione nel territorio nazionale degli oli minerali in esame è regolarmente conclusa con la comunicazione telematica, all’Agenzia dogane e monopoli, dell’avvenuta presa in carico dei prodotti, che il soggetto chiamato a immettere in consumo in Italia invia entro le ventiquattro ore successive alla medesima presa in carico presso il proprio deposito. Nel caso di prodotti non immessi in consumo in Italia, la circolazione nel territorio nazionale dei prodotti di cui al presente articolo si intende regolarmente conclusa con la validazione del codice da parte dell’Ufficio delle dogane di uscita.

 

Si affida (comma 6) a un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, di natura non regolamentare, il compito di stabilire le norme attuative, avendo particolare riguardo alla disciplina dei casi di indisponibilità o malfunzionamento del sistema.

 

Infine il comma 7 dell’articolo 7-bis estende le norme in esame anche alle preparazioni lubrificanti rientranti nel codice NC 3403, se trasportate sfuse o in contenitori di capacità superiore a 20 litri.

 

L’articolo 7, comma 1, lettera b) del provvedimento in esame integra l’articolo 40 del TUA, che disciplina le fattispecie penali di sottrazione all'accertamento o al pagamento dell'accisa sui prodotti energetici, inserendo un periodo alla fine del comma 3.

Per effetto delle modifiche si configura il tentativo di sottrazione del prodotto all’accertamento dell’accisa anche nelle seguenti ipotesi:

§  i prodotti lubrificanti in transito non sono stati presentati all’Ufficio delle dogane di uscita;

§  i dati inseriti ai fini del rilascio del codice amministrativo di riscontro risultano non veritieri.

Si ricorda che l’articolo 40 TUA punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa dal doppio al decuplo dell'imposta evasa, non inferiore in ogni caso a 7.746 euro, chiunque sottrae con qualsiasi mezzo i prodotti energetici, compreso il gas naturale, all'accertamento o al pagamento dell'accisa. Il tentativo è punito con la stessa pena prevista per il reato consumato.

 

Ai sensi dell’articolo 7, comma 2 del provvedimento in esame, i dati relativi alla circolazione degli oli lubrificanti e di altri specifici prodotti di cui al nuovo articolo 7-bis TUA sono resi accessibili, con modalità da indicare nel decreto attuativo, anche alla Guardia di finanza al fine dello svolgimento dei controlli di competenza.

Il successivo comma 3 consente di estendere le commentate norme sulla tracciabilità degli oli lubrificanti anche ai prodotti, da individuare con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze di natura non regolamentare, che, in relazione alle loro caratteristiche, possono essere destinati all’impiego come carburanti per motori, combustibili per riscaldamento ovvero come lubrificanti.

Il comma 4 dispone che le norme attuative del nuovo articolo 7-bis siano emanate entro il 25 gennaio 2020 (90 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame). Infine, le norme introdotte con l’articolo in esame hanno efficacia a decorrere dal 1° giorno del secondo mese successivo alla data di pubblicazione del decreto attuativo.


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di accisa sul gasolio commerciale)

 

 

L’articolo 8 prevede, dal 2020, che sia individuato un importo massimo agevolabile dell’accisa sul gasolio utilizzato come carburante, in favore di alcuni esercenti attività di trasporto merci e passeggeri.

 

Al riguardo si ricorda che il punto 4-bis della Tabella A allegata al Testo Unico delle Accise – TUA (D.Lgs. n. 504 del 1995) sottopone ad aliquota agevolata, pari a 403,22 euro per mille litri, in luogo dell’ordinaria misura di 617,40 euro per mille litri, il gasolio utilizzato da alcune categorie di soggetti esercenti talune attività di trasporto merci e passeggeri.

La disposizione, introdotta dal decreto-legge n. 193 del 2016, si applica secondo le modalità individuate dall’articolo 24-ter del citato TUA. Esso in sintesi prevede che per gasolio commerciale usato come carburante si intenda il gasolio impiegato da veicoli, ad eccezione di quelli di categoria euro 2 o inferiore, utilizzati dal proprietario o in virtù di altro titolo che ne garantisca l'esclusiva disponibilità, per i seguenti scopi:

1.   attività di trasporto di merci con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate esercitata da:

a.   persone fisiche o giuridiche iscritte nell'albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi;

b.   persone fisiche o giuridiche munite della licenza di esercizio dell'autotrasporto di cose in conto proprio e iscritte nell'elenco appositamente istituito;

c.   imprese stabilite in altri Stati membri dell'Unione europea, in possesso dei requisiti previsti dalla disciplina dell'Unione europea per l'esercizio della professione di trasportatore di merci su strada;

2.   attività di trasporto di persone svolta da:

a.   enti pubblici o imprese pubbliche locali esercenti l'attività di trasporto;

b.  imprese esercenti autoservizi interregionali di competenza statale;

c.   imprese esercenti autoservizi di competenza regionale e locale;

d.   imprese esercenti autoservizi regolari in ambito comunitario.

Viene considerato altresì gasolio commerciale il gasolio impiegato per attività di trasporto di persone svolta da enti pubblici o imprese esercenti trasporti a fune in servizio pubblico.

 

Il comma 4 dell’articolo 24-ter prevede che il rimborso dell'onere conseguente alla maggiore accisa applicata al gasolio commerciale sia determinato in misura pari alla differenza tra l'aliquota ordinaria di accisa sul gasolio usato come carburante e quella agevolata di cui al punto 4-bis della Tabella A allegata al TUA. Per ricevere il rimborso, i beneficiari sono tenuti a presentare apposita dichiarazione al competente ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli entro il mese successivo alla scadenza di ciascun trimestre solare in cui è avvenuto il consumo del gasolio commerciale. Il relativo credito è compensato o può essere riconosciuto in denaro (commi 5 e 6).

Con le modifiche in esame (comma 1) si interviene sul richiamato comma 4, introducendo un limite massimo all’importo rimborsabile. Esso è parametrato in un litro di gasolio, consumato da ciascuno dei veicoli che possono beneficiare dell’agevolazione di accisa, per ogni chilometro percorso. L’importo cui si riferisce il parametro è relativo a ciascun trimestre di richiesta dell’agevolazione.

La norma dunque introduce una percorrenza specifica minima di 1 km per litro di carburante; qualora siano registrate percorrenze specifiche al di sotto di tale soglia, l’agevolazione è riconosciuta fino a tale limite.

 

Ai sensi del comma 2, le nuove disposizioni si applicano ai consumi di gasolio commerciale effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2020.


 

Articolo 9
(Frodi nell’acquisto di veicoli fiscalmente usati)

 

 

L’articolo 9 affida all’Agenzia delle entrate il compito di effettuare un controllo preventivo sulla sussistenza delle condizioni di esclusione dal versamento mediante modello F24 ai fini dell'immatricolazione o della successiva voltura di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi oggetto di acquisto intracomunitario a titolo oneroso.

 

In particolare l’articolo in esame introduce un nuovo comma (9-bis) all’articolo 1 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, in materia di immatricolazione di autoveicoli e motoveicoli di provenienza comunitaria.

La norma dispone che la sussistenza delle condizioni di esclusione dal versamento IVA mediante modello F24-elementi identificativi (c.d. ELIDE) deve essere verificata dall’Agenzia delle entrate. È stabilito pertanto l’obbligo di una preventiva verifica dell’Agenzia delle entrate in tutti i casi in cui non è previsto il versamento dell’IVA, equiparando conseguentemente ai fini di tale controllo tutte le operazioni effettuate da soggetti titolari di partita IVA a quelle effettuate da soggetti consumatori finali.

 

La disposizione in esame recepisce le segnalazioni dell’Agenzia delle entrate nonché della Guardia di finanza che hanno evidenziato come esista un diffuso fenomeno di frode IVA nel settore della compravendita di autoveicoli e motoveicoli di provenienza comunitaria.

In particolare l’Agenzia delle entrate nel provvedimento sulla competenza territoriale e la documentazione da esibire per la presentazione delle istanze connesse all'immatricolazione di autoveicoli e motoveicoli di provenienza comunitaria (19 aprile 2018) aveva rilevato che esistono forti criticità nel settore dei veicoli di provenienza comunitaria connesse soprattutto all’utilizzo improprio delle deroghe al sistema di versamento anticipato, previste per i veicoli acquistati in regime IVA del margine e per quelli utilizzati come beni strumentali all’attività d’impresa.

La Guardia di finanza, a sua volta, ha reso noti i dati di una recente indagine, denominata Cars lifting (3 settembre 2019), condotta dal comando provinciale di Pordenone, dove è stata ricostruita una evasione fiscale milionaria per centinaia di fraudolente immatricolazioni di autoveicoli di provenienza comunitaria (35 milioni di euro evasi, 1.329 persone truffate in 97 province).

In materia di lotta alle frodi negli acquisti di veicoli di provenienza comunitaria il legislatore negli anni è più volte intervenuto disponendo alcuni adempimenti fiscali. In particolare:

§  l’articolo 1, comma 378, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, prevede l’obbligo di trasmissione dei dati identificativi della transazione e del veicolo acquistato in Paesi dell’Unione europea. Sono obbligati i soggetti esercenti imprese, arti e professioni che devono provvedere alla comunicazione al Dipartimento per i trasporti prima dell’immatricolazione del veicolo;

§  l’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, dispone che ai fini dell'immatricolazione o della successiva voltura di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi, anche nuovi, oggetto di acquisto intracomunitario a titolo oneroso, la relativa richiesta deve essere corredata di copia del modello F24 per il versamento unitario di imposte, contributi e altre somme, recante, per ciascun mezzo di trasporto, il numero di telaio e l'ammontare dell'IVA assolta in occasione della prima cessione interna;

§  il decreto del 26 marzo 2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti estende l’obbligo di comunicazione al Dipartimento per i trasporti dei dati riepilogativi dell’operazione di acquisto, a qualsiasi titolo effettuata, di autoveicoli, di motoveicoli e di rimorchi, nuovi o usati, provenienti da altri Paesi dell’Unione Europea; inoltre lo stesso decreto ha specificato l’obbligo di versamento dell’IVA mediante F24 ELIDE per i veicoli fiscalmente nuovi.

 

Si ricorda che a legislazione vigente, sono escluse dall’obbligo del versamento IVA per l’immatricolazione tutte le operazioni di acquisto di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi assoggettate al regime IVA c.d. del margine (articoli 36-40 del D.L. 23/02/1995, n. 41), ovvero allo speciale regime IVA che permette di evitare fenomeni di doppia o ripetuta imposizione nel commercio di beni usati ceduti ad un soggetto passivo di imposta per la successiva alienazione all’interno dell’U.E.

L’articolo 36, comma 10, del citato decreto legge n. 41, specifica che negli scambi intracomunitari i mezzi di trasporto costituiscono beni usati se hanno percorso oltre seimila chilometri e la cessione sia effettuata decorso il termine di sei mesi dalla data del provvedimento di prima immatricolazione o di iscrizione in pubblici registri o di altri provvedimenti equipollenti. Il successivo articolo 37 dispone quindi espressamente che tali acquisti assoggettati al regime IVA del margine non sono considerati acquisti intracomunitari. Ne consegue che per tali veicoli le disposizioni previste dall’articolo 1, comma 9, del citato decreto legge n. 262 del 2006, non trovano applicazione.

Tale interpretazione è stata ripetutamente confermata anche dall’Agenzia delle entrate (ad esempio: Risoluzione n. 172/E del 24 aprile 2008).

 

Sono esclusi altresì dal versamento preventivo dell’IVA tramite modello F24 con elementi identificativi i soggetti passivi nazionali che effettuano un acquisto intracomunitario di un veicolo non destinato alla rivendita ma al fine di utilizzarlo quale bene strumentale nella propria attività.

 

In questi termini la circolare dell’Agenzia delle entrate Adempimenti necessari per l’immatricolazione di veicoli di provenienza comunitaria 30 luglio 2008.

Infine, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabiliti i termini e le modalità della predetta verifica.

Successivamente gli esiti del controllo sono trasmessi al Dipartimento per i trasporti che, in base all’articolo 4, comma 1 (lettere b) e c)) del decreto 26 marzo 2018, può immatricolare autoveicoli, motoveicoli e rimorchi provenienti da Stati dell'Unione europea solo se risultino trasmesse in via telematica dall'Agenzia delle entrate le informazioni disponibili relative all'assolvimento degli obblighi IVA da parte dei soggetti istanti nei confronti dei quali tali obblighi sussistano e se non risultino, al momento dell'istanza di immatricolazione, eventuali cause ostative derivanti da istruttoria su fenomeni di frode IVA connesse all'introduzione sul territorio nazionale dell'autoveicolo.

 

 


 

Articolo 10
(Estensione del sistema INFOIL)

 

 

L’articolo 10 obbliga gli esercenti dei depositi fiscali di stoccaggio (con capacità non inferiore a 3.000 metri cubi) a dotarsi del cd. sistema INFOIL, ovvero di un sistema informatizzato per la gestione della detenzione e della movimentazione della benzina e del gasolio usato come carburante, entro il 30 giugno 2020.

 

La norma in commento ha l’esplicito scopo di uniformare le procedure di controllo sui depositi fiscali di stoccaggio a quelle già instaurate presso le raffinerie e gli stabilimenti di produzione di prodotti energetici, ai sensi dell’articolo 23, comma 14 del Testo Unico Accise - D.Lgs. n. 504 del 1995 (TUA).

Per tali impianti, per l’appunto dotati di un sistema informatizzato di controllo in tempo reale del processo di gestione della produzione, detenzione e movimentazione dei prodotti, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli procede all'accertamento della liquidazione dell'imposta avvalendosi dei dati necessari alla determinazione della quantità e della qualità dei prodotti energetici rilevati dal sistema medesimo con accesso in modo autonomo e diretto, come chiarito dalla relazione illustrativa al decreto. Si tratta del cosiddetto sistema INFOIL, che con le norme in esame viene applicato ai depositi fiscali di prodotti energetici di mero stoccaggio.

 

Più in dettaglio, entro il 30 giugno 2020 gli esercenti dei depositi fiscali di stoccaggio (cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 23 TUA), di capacità non inferiore a 3.000 metri cubi, devono dotarsi - secondo le caratteristiche e le funzionalità fissate dalle disposizioni di attuazione - di un sistema informatizzato per la gestione della detenzione e della movimentazione della benzina e del gasolio usato come carburante.

 

Con determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli sono fissati tempi e modalità di esecuzione.

La relazione illustrativa chiarisce che tale dispositivo per la gestione dell’impianto comporta la necessità di dotare i relativi serbatoi di sistemi di telemisure storicizzate nonché, laddove non ancora presenti, l’installazione di misuratori all’estrazione, in modo tale che sia permesso l’accesso autonomo e diretto da parte dell’Amministrazione finanziaria alle relative letture.

 

I soggetti interessati all’adeguamento sono quelli con capacità non inferiore a 3.000 metri cubi di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 23 TUA.

 

In particolare, ai sensi del comma 3, la gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata se vi sono effettive necessità operative e di approvvigionamento dell'impianto e riguarda i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità non inferiore a 400 metri cubi e i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità non inferiore a 10.000 metri cubi.

Ai sensi del comma 4, la gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità inferiore alle suindicate ove ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

§  il deposito effettui forniture di prodotto in esenzione da accisa o ad accisa agevolata, ovvero trasferimenti di prodotti energetici in regime sospensivo verso Paesi dell'Unione europea, o anche esportazioni verso Paesi non appartenenti all'Unione europea, in misura complessiva pari ad almeno il 30 per cento del totale delle estrazioni di un biennio;

§  il deposito sia propaggine di un deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze appartenente allo stesso gruppo societario o, se di diversa titolarità, sia stabilmente destinato ad operare al servizio del predetto deposito.


 

Articolo 10-bis
(Ravvedimento operoso)

 

 

L’articolo 10-bis, introdotto durante l'esame presso la Camera dei deputati, amplia l’ambito operativo del cd. ravvedimento operoso, estendendo a tutti i tributi, inclusi quelli regionali e locali, alcune riduzioni sanzionatorie, in precedenza riservate ai casi di ravvedimento operoso esperito per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, per i tributi doganali e per le accise.

 

Si rammenta che l’istituto del ravvedimento operoso (disciplinato dall’articolo 13 del D.Lgs, n. 472 del 1997, come successivamente modificato nel tempo) consente ai contribuenti di regolarizzare omessi o insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali, beneficiando della riduzione delle sanzioni.

In particolare gli errori, le omissioni e i versamenti carenti possono essere regolarizzati eseguendo spontaneamente il pagamento: dell’imposta dovuta, degli interessi, calcolati al tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito e della sanzione in misura ridotta.

La sanzione ridotta è pari (articolo 13, comma 1):

§  a 1/10 di quella ordinaria nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data di scadenza (lettera a) del comma 1);

§  a 1/9 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall'omissione o dall'errore (lettera a-bis) del comma 1);

§  a 1/8 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore (lettera b) del comma 1);

§  a 1/7 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall'omissione o dall'errore (lettera b-bis) del comma 1);

§  a 1/6 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall'omissione o dall'errore (lettera b-ter) del comma 1);

§  a 1/5 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione (ai sensi dell'articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), salvo nei casi di mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto o di omessa installazione degli apparecchi per l'emissione dello scontrino fiscale) (lettera b-quater) del comma 1);

§  a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni, oppure a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni (lettera c) del comma 1).

L’operatività dell’istituto è stata progressivamente ampliata nel tempo. La legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014) ha profondamente innovato la relativa disciplina, eliminando i previgenti vincoli di tempo per usufruire del ravvedimento operoso. Anche il decreto legislativo n. 158 del 2015 è intervenuto su tale istituto, modificando la normativa sulle sanzioni per ritardati od omessi versamenti.

Inoltre, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, la normativa vigente inibisce il ravvedimento solo in caso di notifica di atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni). Per i tributi diversi da quelli amministrati dall’Agenzia, la sanzione è ridotta solo se la violazione non è stata già constatata e comunque non sono iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza. In ogni caso il pagamento e la regolarizzazione non precludono l'inizio o la prosecuzione di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo e accertamento.

 

Il comma 1-bis dell’articolo 13, abrogato dalle disposizioni in esame, dispone nella formulazione vigente:

§  l’applicazione ai soli tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate delle già menzionate riduzioni sanzionatorie a un settimo, a un sesto e a un quinto del minimo, alle illustrate circostanze di legge (riduzioni disposte dall’articolo 13, comma 1, lettere b-bis), b-ter) e b-quater);

§  l’applicazione ai tributi doganali e alle accise, amministrati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, delle riduzioni a un settimo e a un sesto del minimo, alle condizioni di legge (disposte dall’articolo 13, comma 1, lettere b-bis), b-ter) e b-quater).

Di conseguenza, per effetto dell’abrogazione, le predette disposizioni di riduzione delle sanzioni (a un settimo, un sesto e un quinto del minimo) trovano applicazione ove il contribuente si avvalga del ravvedimento operoso anche con riferimento ai tributi diversi da quelli amministrati dall’Agenzia delle entrate, dai tributi doganali e dalle accise, inclusi quelli regionali e locali.


 

Articolo 11
(
Introduzione Documento Amministrativo Semplificato telematico)

 

 

L’articolo 11 affida a una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli il compito di fissare tempi e modalità per introdurre l’obbligo, entro il 30 giugno 2020, di presentare esclusivamente in forma telematica del documento di accompagnamento doganale (ivi compreso il DAS – documento amministrativo semplificato) per la benzina e il gasolio usato come carburante sottoposti ad accisa.

 

Occorre sinteticamente ricordare che per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione sorge al momento della fabbricazione o dell’importazione, mentre l’accisa è esigibile all’atto dell’immissione in consumo nel territorio nazionale. La fabbricazione si effettua in regime di deposito fiscale che sospende il pagamento dell’imposta. In taluni casi previsti ex lege, può essere effettuata in regime di deposito fiscale anche la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa, ossia che non hanno ancora assolto l’imposta. Gli impianti che godono del regime di sospensione di accisa (depositi fiscali) sono gestiti dal cosiddetto depositario autorizzato; per destinatario registrato si intende invece l’operatore che può ricevere prodotti soggetti ad accisa, ossia in regime sospensivo, ma non detenerli o spedirli in tale regime, essendo tenuto ad assolvere l’accisa entro il giorno lavorativo successivo a quello del loro arrivo. La detenzione dei prodotti assoggettati ad accisa (sui cui è stata assolta l’accisa) è effettuata nei depositi e negli impianti liberi da accisa, che possono avere natura commerciale, privata, agricola ed industriale. Anche i prodotti detenuti negli impianti di distribuzione carburanti stradali, ad uso privato, agricolo o industriale sono assoggettati ad accisa.

I depositari autorizzati e i destinatari registrati, secondo il Testo Unico Accise (D.Lgs. n. 504 del 1995) devono tenere una specifica contabilità dei prodotti detenuti e movimentati. Anche i titolari dei depositi liberi da accisa di tipo commerciale e degli impianti di distribuzione stradale di qualunque capacità, nonché dei depositi per uso privato, agricolo ed industriale con specifiche capacità e caratteristiche, devono contabilizzare le movimentazioni in ingresso e uscita dei prodotti energetici in un apposito registro di carico e scarico.

La circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa deve essere effettuata con la scorta dei seguenti documenti di accompagnamento:

§  documento di accompagnamento accise (e-AD, elettronico) per il trasferimento di prodotti soggetti ad imposta da un deposito fiscale ad un altro deposito fiscale; da un deposito fiscale al deposito di un destinatario registrato; dal luogo di importazione ad un deposito fiscale o di un destinatario registrato, da un deposito fiscale al luogo di esportazione;

§  documento di accisa semplificato (DAS, cartaceo) per il trasferimento di prodotti assoggettati ad imposta da un deposito fiscale o di un destinatario registrato ad un deposito libero da accisa o ad un impianto di distribuzione di carburanti; da un deposito libero da accisa o dal luogo di importazione, nel caso di corresponsione dell’accisa all’atto della importazione, ad un altro deposito libero da accisa o ad un impianto di distribuzione di carburanti; da un deposito libero o dal deposito di un destinatario registrato al luogo di esportazione, nel caso di richiesta di rimborso dell’accisa versata.

 

Si ricorda al riguardo che dal 1° gennaio 2011 è diventato operativo l’e-AD, ovvero dal documento amministrativo elettronico (articolo 6 del Testo Unico Accise -TUA, D.Lgs. n. 504 del 1995). La nuova disciplina è stata introdotta dalla Direttiva 2008/118/CE, relativa al regime generale delle accise, e dal Reg. n. 684/2009, sulle procedure informatizzate relative alla circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in sospensione dall'accisa, e recepita in Italia dal D.Lgs. n. 48/2010, che ha apportato le relative novelle al TUA.

 

La richiamata direttiva n. 118 del 2008 ha obbligato tutti gli Stati membri e gli operatori economici ad aderire all’EMCS - Excise Movement and Control System, sistema informatizzato comunitario per il controllo dei movimenti tra gli Stati membri dei prodotti in sospensione d’accisa (alcol e bevande alcoliche, vino, tabacchi e prodotti energetici) in regime sospensivo, che rappresenta la base per la costruzione di un sistema di analisi dei rischi nel settore delle accise. Il sistema prevede, per questi movimenti, la sostituzione del documento amministrativo di accompagnamento (DAA) in formato cartaceo con un messaggio elettronico, consentendone così il controllo in tempo reale.

 

Si rammenta inoltre in questa sede che il disegno di legge di bilancio 2020, all’esame del Senato al momento di redazione del presente lavoro (A.S. 1586), contiene misure in materia di accise sui carburanti. In particolare, si escludono dall’accisa agevolata sul gasolio commerciale i veicoli euro 3 e inferiori e, dal 1° gennaio 2021, anche i veicoli euro 4 o inferiori (articolo 76); sono rimodulate e innalzate le accise gravanti sui prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica (articolo 77).

 

Come anticipato, la norma in esame affida a una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, da adottare entro il 27 dicembre 2019 (sessanta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in commento, tenuto conto della festività) il compito di fissare tempi e modalità per introdurre l’obbligo, entro il 30 giugno 2020, di presentare esclusivamente in forma telematica del documento di accompagnamento doganale (ivi compreso il DAS – documento amministrativo semplificato) per la benzina e il gasolio usato come carburante, sottoposti ad accisa.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, lettera b) ha affidato a determinazioni del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli il compito di stabilire tempi e modalità per la presentazione esclusivamente in forma telematica del documento di accompagnamento previsto per la circolazione dei prodotti assoggettati ad accisa. Tuttavia la decorrenza dell’obbligo è stata più volte differita da successive determinazioni: da ultimo, per effetto dell’articolo 1 della Determinazione del 18 dicembre 2017, n. 139996, tale data è stata posticipata al 1° gennaio 2020.

Il Rapporto sull’economia non osservata, allegato alla Nota di Aggiornamento al DEF 2019 stima la sottrazione all’accertamento fiscale di un quantitativo di 2.810 milioni di litri di gasolio, con un tax gap pari a 1,7 miliardi, nell’anno 2017.

Al riguardo, la relazione tecnica ricorda che la Guardia di Finanza ha riscontrato numerosi documenti di trasporto nazionali (DAS – documento amministrativo semplificato) artatamente falsificati; chiarisce che sono al vaglio della Commissione UE misure di contrasto dell’illecito traffico intraeuropeo di carburanti. Il Governo rileva dunque che la norma in commento, introducendo l’obbligo di utilizzo del sistema telematico dell’Agenzia anche per l’emissione del DAS (posto in capo agli esercenti i depositi gestiti in regime sospensivo o liberi che spediscono il gasolio per uso carburazione e la benzina nell’intera filiera logistica nazionale), mira a rendere più difficoltosa la falsificazione di tali documenti e, quindi, l’illecita immissione in consumo dei carburanti che essi scortano nel territorio dello Stato. Al contempo si intende consentire agli operatori di tenere la relativa contabilità sulle merci in forma dematerializzata, per semplificare il sistematico controllo da parte dell’Amministrazione fiscale dei DAS ricevuti ed emessi dai predetti operatori.


 

Articolo 11-bis
(Finanziamento degli interventi per la
digitalizzazione della logistica portuale)

 

 

L’articolo 11-bis, introdotto durante l'esame presso la Camera dei deputati, prevede la destinazione di 5 milioni di euro annui, a partire dal 2020, per il finanziamento delle attività strettamente connesse alla digitalizzazione della logistica del Paese, da utilizzare secondo un’apposita convenzione da stipulare con il soggetto attuatore della Piattaforma Logistica Nazionale.

 

In dettaglio, con il comma 1 dell’articolo 11-bis, si prevede di destinare 5 milioni di euro annui alla digitalizzazione della logistica dei porti, degli interporti, delle ferrovie e dell’autotrasporto, anche per garantire il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità del sistema di mobilità delle merci.

Le risorse sono a valere sul fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti, di cui all’articolo 18-bis, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84.

Si tratta del fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che viene alimentato su base annua con l'1 per cento dell’IVA sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto, nel limite di 90 milioni di euro annui (poi ridotti a 70 milioni dall’art. 1, co. 236 della legge di Stabilità 2015). Il fondo viene ripartito con decreto MIT/MEF, sentita la Conferenza permanente Stato-Regioni, attribuendo a ciascun porto l'ottanta per cento della quota dell’Iva sull'importazione delle merci introdotte per suo tramite e ripartendo il restante venti per cento tra i porti, con finalità perequative, tenendo altresì conto delle previsioni dei rispettivi piani operativi triennali e piani regolatori portuali.

 

Con il comma 2 si prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipuli con il soggetto attuatore, un apposito atto convenzionale per disciplinare l’utilizzo delle risorse assegnate dal comma 1: il riferimento è alla società UIRNET S.p.A., soggetto attuatore unico della Piattaforma logistica nazionale in base all’articolo 61-bis, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1.

 

Si ricorda che l'art. 61-bis, comma 4 del D.L. n. 1 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), ha individuato la società UIRNet S.p.A. come soggetto attuatore unico per la realizzazione e gestione della Piattaforma logistica nazionale, così come definita nel D.M. infrastrutture 18T del 20 giugno 2005, ed esteso la Piattaforma, oltre agli interporti, anche ai centri merci, ai porti ed alle piastre logistiche.

La Piattaforma Logistica Nazionale Digitale (PLN), è un sistema di Intelligent Transport System (ITS), è un sistema che consente un costante monitoraggio dei processi logistici e del trasporto delle merci attraverso lo scambio e la messa a sistema delle informazioni derivanti dalla filiera produttiva (produzione, trasporto e logistica). Essa ha l'obiettivo di mettere in rete i servizi per i settori del trasporto e della logistica, per migliorare l'efficienza dei servizi interportuali e dei nodi logistici e incrementare gli standard di sicurezza.

Il Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 agosto 2015 ha previsto (Obiettivo 6 - Innovazione) la digitalizzazione della catena logistica attraverso una serie di interventi tra cui la  definizione di misure e di un tavolo di coordinamento presso il MIT per definire la governance e migliorare significativamente integrazione, interazione e interoperabilità tra i molteplici sistemi informativi istituzionali già operanti e non completamente integrati (es. i PMIS, i Port Community System, il Sistri, etc), nonché la realizzazione di un'architettura modulare cooperativa che permetta di integrare informazioni e servizi relativi al trasporto su gomma e intermodalità (PLN - UIRNet) e alla gestione dei nodi (PLN, Port Community Systems, PIL). Il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha poi emanato la direttiva 20 marzo 2018, contenente le linee guida per omogeneizzare ed organizzare i sistemi Port community sistem delle Autorità di Sistema Portuale (definiti come un sistema informatico aperto e neutrale che abilita lo scambio di informazioni mirato e sicuro tra operatori economici e enti pubblici, i quali insieme costituiscono la comunità portuale), attraverso la piattaforma logistica nazionale (PNL).

UIRNet è impegnata nel progetto di estendere la piattaforma mediante l’inserimento di nuovi moduli e di massimizzarne l’interoperabilità con altre piattaforme che gestiscono sistemi di trasporto e logistici settoriali, avvalendosi di un Concessionario di servizi, Logistica Digitale s.r.l., selezionato a seguito di gara pubblica europea in project financing.


 

Articolo 12
(
Trasmissione telematica dei quantitativi
di energia elettrica e di gas naturale
)

 

 

L’articolo 12 introduce l’obbligo, per le imprese distributrici di energia elettrica e gas naturale ai consumatori finali (operatori di vettoriamento), di presentare esclusivamente in forma telematica i dati relativi ai prodotti trasportati, secondo modalità fissate con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Essi devono inoltre trasmettere i dati relativi ai quantitativi di gas naturale ed energia elettrica fatturati, suddivisi per destinazione d’uso.

 

Si ricorda in questa sede che il disegno di legge di bilancio 2020, all’esame del Senato al momento di redazione del presente lavoro, (A.S. 1586) rimodula e innalza le accise gravanti sui prodotti energetici utilizzati per la produzione di energia elettrica (articolo 77).

 

Più in dettaglio, l’articolo 12 affida a una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, da emanare entro il 27 dicembre 2019 (sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente provvedimento, tenuto conto della festività del 26 dicembre), il compito di:

§  fissare i tempi e le modalità di esecuzione per disporre la presentazione, esclusivamente in forma telematica, dei dati relativi al prodotto trasportato, distintamente per ciascuno dei soggetti obbligati, da parte dei soggetti che effettuano l’attività di vettoriamento nel settore del gas naturale e dell’energia elettrica, e cioè le imprese che si occupano della consegna ai clienti finali attraverso reti di gasdotti locali integrati funzionalmente (comma 1, lettera a));

§  fissare i tempi e le modalità con cui i soggetti obbligati trasmettono i predetti quantitativi di gas naturale ed energia elettrica fatturati, suddivisi per destinazione d’uso (comma 1, lettera b)).

 

I soggetti obbligati al pagamento dell’imposta sono quelli individuati dal Testo Unico Accise - TUA, articolo 26, comma 7, lettera a), e articolo 53, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504.

L’articolo 26, comma 7, lettera a) obbliga al pagamento dell'imposta, con diritto di rivalsa sui consumatori finali, i soggetti che procedono alla fatturazione del gas naturale ai consumatori finali, comprese le società aventi sede legale nel territorio nazionale e registrate presso la competente Direzione regionale dell'Agenzia delle dogane, designate da soggetti comunitari non aventi sede nel medesimo territorio che forniscono il prodotto direttamente a consumatori finali nazionali.

L’articolo 53, comma 1, lettera a) obbliga al pagamento dell'accisa sull'energia elettrica i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali.

 

Finalità esplicita della norma è il potenziamento degli strumenti per l'identificazione dei fenomeni evasivi nel settore dell'accisa sul gas naturale e sull'energia elettrica.


 

Articolo 13
(Trust esteri)

 

L'articolo 13 modifica il trattamento fiscale dei redditi di capitale corrisposti da trust esteri a residenti italiani. In particolare, con le norme in esame, i redditi corrisposti a residenti italiani da trust stabiliti in Stati o territori a fiscalità privilegiata sono considerati redditi di capitale a fini IRPEF anche nel caso in cui coloro che li abbiano percepiti non risultino fra i soggetti beneficiari identificati dall'atto costitutivo del trust. Ove non sia possibile distinguere tra redditi e patrimonio, l’intero ammontare percepito è incluso nella determinazione del reddito.

 

In termini generali, per trust si intende un rapporto fiduciario in virtù del quale un dato soggetto (amministratore o "trustee") gestisce un patrimonio che gli viene trasmesso da un disponente ("settlor") per uno scopo prestabilito, nell'interesse di uno o più beneficiari. Al trust viene attribuita la proprietà dei beni, che vengono in tal modo separati dal patrimonio del disponente. Il negozio di trasferimento è normalmente accompagnato da un atto che contiene le regole da rispettare nella gestione dei beni trasferiti. Nella pratica, può accadere che il disponente designi sé stesso come beneficiario o come amministratore (cd. trust autodichiarato). Può inoltre verificarsi il caso in cui il trust venga destinato al perseguimento di uno specifico scopo senza nominare espressamente un beneficiario, la cui identificazione può essere rimessa all'amministratore.

Si tratta di uno strumento giuridico conosciuto e utilizzato da secoli nei Paesi anglosassoni, mentre in Italia tale istituto è stato riconosciuto a partire dal 1° gennaio 1992, a seguito dell'approvazione della legge n. 364 del 1989 che ha ratificato la Convenzione dell'Aja. Nonostante tale ratifica costituisca i presupposti per il riconoscimento degli effetti di segregazione patrimoniale connessi al trust, l'ordinamento nazionale non è dotato di una legge che ne regoli il funzionamento.

La disciplina fiscale applicabile all'istituto in argomento è stata disposta dapprima dal decreto legge n. 262 del 2006, che ha incluso i trust fra i soggetti interessati dall'imposta di donazione e successione, e dalla legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) che, mediante i commi 74, 75 e 76 dell'articolo 1, ha disciplinato i seguenti aspetti:

§  ha attribuito ai trust la soggettività passiva ai fini dell'imposta sul reddito delle società (IRES);

§  ha sancito l'imputazione dei redditi direttamente in capo ai beneficiari, nel caso in cui essi siano "individuati", qualificando i redditi derivanti dai beni in trust quali redditi di capitale;

§  ha stabilito la presunzione semplice di residenza fiscale nel territorio dello Stato di un trust istituito in un Paese non rientrante tra quelli con cui l'Italia ha un adeguato scambio di informazioni, secondo determinate assunzioni preventive.

L'articolo 73, comma 1, del TUIR identifica fra i soggetti passivi IRES i trust residenti nel territorio dello Stato, sia nel caso in cui esercitino attività commerciali (lettera b) del comma 1) che nel caso in cui non abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale (lettera c) del comma 1); nonché i trust con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato (lettera d) del comma 1). Il comma 2 specifica che, nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali. Il comma 3 stabilisce delle ipotesi per cui la residenza del trust è attratta in Italia nel presupposto che il negozio sia “istituito” in un Paese con il quale non è attuabile lo scambio di informazioni. La norma è tesa a disincentivare disegni elusivi perseguiti attraverso la collocazione fittizia di trust caratterizzati da disponente o beneficiari residenti in Italia, nonché beni siti nel territorio dello Stato, in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni. Come conseguenza della presunzione di residenza fiscale nel territorio dello Stato, i redditi del trust sono imponibili in Italia mentre per i trust non residenti, l’imponibilità in Italia riguarda solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 23 del TUIR.

 

In dettaglio, il comma 1, lettera a) integra l'articolo 44 del D.P.R. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR), norma che elenca i redditi di capitale ai fini della determinazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

In tale ambito, il comma 1, lettera g-sexies) specifica che sono redditi di capitale quelli imputati al beneficiario di trust, ai sensi dell'articolo 73, comma 2, del TUIR, anche nel caso in cui il trust non risulti residente in Italia. Il richiamato articolo 73 chiarisce che, ove i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.

Con la novella apportata dal comma 1 dell'articolo in esame viene specificato che costituiscono redditi di capitale i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto, stabiliti in Stati e territori che, con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust, si considerano a fiscalità privilegiata, anche nel caso in cui i percipienti residenti non possono essere considerati beneficiari e cioè non ricorrano i requisiti individuati ai sensi del già menzionato articolo 73.

Sono considerati Stati o territori a fiscalità privilegiata quelli non aderenti alla Spazio economico europeo che abbiano stipulato con l'Italia un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni in ambito fiscale.

Di conseguenza, i redditi prodotti in tali Paesi e corrisposti da trust a residenti italiani sono considerati redditi di capitale ai fini dell'IRPEF, anche nel caso in cui coloro che li abbiano percepiti non risultino fra i soggetti beneficiari identificati dall'atto costitutivo del trust o da altro documento.

 

Il comma 1, lettera b) interviene sull'articolo 45 del TUIR, che disciplina le modalità di determinazione dei redditi di capitale.

In sintesi, il comma 1 dell’articolo 45 chiarisce che il reddito di capitale è costituito dall'ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione. 

Viene inserito il nuovo comma 4-quater nell’articolo 45, che disciplina il caso in cui i trust esteri e gli istituti analoghi attribuiscano somme a beneficiari residenti in Italia: ove non sia possibile distinguere tra redditi e patrimonio, per effetto delle modifiche in esame l’intero ammontare percepito è incluso nella determinazione del reddito.  

 

Il comma 2 dell’articolo 13 interviene sull’articolo 25, comma 1, del decreto legge n. 83 del 2012.

Detto provvedimento ha introdotto un complesso di misure per la crescita economica, tra cui misure in tema di finanza privata, infrastrutture, edilizia, trasporti e incentivi per le imprese. In seno a tali interventi, l’articolo 25 disciplina i monitoraggi, i controlli e le attività ispettive volte a garantire il corretto utilizzo delle agevolazioni introdotte dal decreto-legge.  A tal fine, si consente al Ministero dello sviluppo economico di avvalersi del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza, sulla base di un protocollo d'intesa sottoscritto con il Comandante della Guardia di Finanza.

In particolare, ai sensi della disciplina vigente il citato Nucleo Speciale può utilizzare taluni poteri previsti dalla disciplina antiriciclaggio contenuta nel D.lgs. n. 231 del 2007, anche, in via generale, per lo svolgimento di analisi, ispezioni e controlli nel settore della spesa pubblica.

Le norme in commento sostituiscono il comma 1, lettera a) dell’articolo 25, sia allo scopo di aggiornare i riferimenti normativi ivi contenuti alla nuova numerazione del decreto legislativo n. 231 del 2007 (operata dal decreto legislativo n. 90 del 2017), sia per attribuire alla Guardia di Finanza la facoltà, agli scopi predetti, di accedere alle informazioni sul titolare effettivo di persone giuridiche e trust contenute in apposita sezione del registro delle imprese (mediante rinvio all’articolo 9, comma 6, lettera b) del decreto legislativo n. 231 del 2007).

 


 

Articolo 13-bis
(Modifiche alla disciplina dei piani
di risparmio a lungo termine)

 

 

L’articolo 13-bis, introdotto durante l'esame presso la Camera, prevede nuovi criteri per gli investimenti destinati ai piani di risparmio a lungo termine - PIR costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2020 e dispone la non applicabilità agli enti di previdenza obbligatoria e complementare delle disposizioni relative all’unicità del PIR. Resta ferma la normativa introdotta dalla legge di bilancio 2019 per gli investimenti in PIR costituiti nel 2019.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che, ferma restando la disciplina generale dei PIR, per i piani di risparmio a lungo termine costituiti a decorrere dal 1° gennaio 2020 si applicano i nuovi criteri per gli investimenti introdotti dall’articolo in esame.

 

Si ricorda che la legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016, articolo 1, commi 88-114) ha introdotto disposizioni, successivamente modificate nel tempo, che concedono agevolazioni fiscali volte a incoraggiare investimenti a lungo termine (per almeno cinque anni) nelle imprese e in particolar modo nelle PMI.

In particolare:

§  sono detassati i redditi di capitale e i redditi diversi percepiti da persone fisiche, al di fuori di attività di impresa commerciale, se derivano da investimenti effettuati nei cd. piani di risparmio a lungo termine detenuti per almeno cinque anni: si tratta di investimenti nel capitale di imprese italiane e europee, con una riserva per le PMI, nei limiti di 30 mila euro all'anno e, comunque di complessivi 150 mila euro. Sono gestiti dagli intermediari finanziari e dalle imprese di assicurazione, i quali devono investire le somme assicurando la diversificazione del portafoglio;

§  sono detassati i redditi derivanti dagli investimenti a lungo termine detenuti per almeno cinque anni nel capitale delle imprese e nei PIR alle condizioni richiamate sopra, se effettuati da enti di previdenza obbligatoria e forme di previdenza complementare. La legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 210 della legge n. 145 del 2018) ha innalzato dal 5 al 10 per cento il limite degli asset investibili da parte di tali enti, secondo il regime agevolato e ha elevato, per l'anno 2019, dal 30 al 40 per cento la quota di detrazioni spettanti per l'investimento in start-up innovative.

Si ricorda infine che le forme di previdenza complementare sono regolate dal decreto legislativo n. 252 del 2005 e costituiscono un insieme più ampio rispetto agli enti di previdenza obbligatoria, includendo tutte le forme di previdenza (si tratta, principalmente, di fondi negoziali, fondi a libera adesione e piani individuali) per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.

 

Per una ricostruzione dettagliata della disciplina e dello sviluppo dei PIR in Italia si rimanda alla lettura del tema web Investimenti a lungo termine e PIR: il quadro normativo, nonché, per le ultime modifiche, alle schede  dei commi da 211 a 215 della legge di bilancio 2019, consultabili sul Portale della documentazione della Camera dei deputati.

 

Il comma 2 dispone che in ciascun anno solare di durata del piano di risparmio a lungo termine, per almeno due terzi dell'anno stesso, le somme o i valori destinati al piano devono essere investiti almeno per il 70 per cento del valore complessivo, direttamente o indirettamente, in strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo con stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

La predetta quota del 70 per cento deve essere investita almeno per il 25 per cento in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell'indice FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati e almeno per un ulteriore 5 per cento del valore complessivo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB e FTSE MID Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.

Pertanto, per i PIR costituiti a decorrere dal 1°gennaio 2020 i nuovi criteri per gli investimenti qualificati sono i seguenti:

§  almeno il 70 per cento delle risorse complessive in strumenti finanziari di imprese radicate in Italia (stessa percentuale prevista dalla legislazione vigente) di cui:

-     almeno il 25 per cento (rispetto all’attuale 30 per cento) in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati;

-     almeno il 5 per cento in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB o FTSE MID Cap di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati (nuovo criterio inserito dall’articolo in esame).

 

La norma, pertanto, mantiene fermo il limite minimo delle risorse complessive da investire in strumenti finanziari di imprese radicate in Italia (70%), ma rimodula dal 30 al 25% la percentuale di investimento prevista per imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB di Borsa italiana, dispone un nuovo vincolo del 5 per cento destinato alle imprese diverse da quelle nell’indice FTSE MIB o quello dell’indice FTSE MID di Borsa italiana (ovvero piccole e piccolissime imprese) e non rinnova le ulteriori disposizioni introdotte dalla legge di bilancio 2019 riguardanti quote o azioni di Fondi per il venture capital e strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali emessi da PMI.

 

Si segnala che i nuovi criteri fanno seguito ad alcuni rilievi critici espressi dalla Banca d’Italia. In particolare l’Istituto nel Rapporto sulla stabilità finanziaria evidenzia il profilo di potenziale rischio rappresentato dal vincolo di investimenti  in strumenti finanziari emessi da piccole e medie imprese italiane e da fondi di venture capital. Nel capitolo “L’impatto delle recenti modifiche normative sui fondi PIR” veniva sottolineato che la legge di bilancio per il 2019, nell’ambito di un programma di iniziative per lo sviluppo delle piccole e medie imprese (PMI), ha modificato la normativa sui PIR vincolando tali fondi a investire una quota del portafoglio in strumenti finanziari emessi da PMI italiane e in fondi di venture capital, ma questi investimenti risulterebbero relativamente rischiosi e caratterizzati da un basso grado di liquidità, anche in ragione delle dimensioni contenute dei mercati dei titoli emessi dalle imprese di minore dimensione. Alla fine del 2018 all’Alternative Investment Market (AIM) di Borsa italiana erano quotati poco più di 60 titoli emessi da PMI italiane non finanziarie, con una capitalizzazione complessiva di circa 3 miliardi e un flottante medio del 30 per cento. Lo scorso anno quasi la metà di questi titoli non ha registrato scambi per almeno un quarto dei giorni di contrattazione. In Italia operano inoltre poco più di 30 fondi di venture capital di diritto italiano con un patrimonio complessivo di circa 500 milioni e solo alcuni di questi hanno caratteristiche in linea con i requisiti della nuova normativa sui PIR. Secondo Banca d’Italia, tali norme aumentano il profilo di rischio dei PIR, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie.

 

Il comma 3 specifica che agli enti di previdenza obbligatoria e agli enti gestori delle forme di previdenza complementare non si applicano le disposizioni relative all’unicità del PIR di cui al comma 112 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2017. In particolare, il comma 112 prevede che ciascuna persona fisica non può essere titolare di più di un piano di risparmio a lungo termine e ciascun piano di risparmio a lungo termine non può avere più di un titolare: tale limite non si applica quindi agli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e di previdenza complementare.

 

Si segnala che è all’esame della Camera dei deputati la proposta di legge A.C. 2128 in materia di PIR che interviene sia sulla normativa introdotta dal comma 212 della legge di bilancio 2019, stabilendone l’abrogazione, che sulla disciplina dell’unicità del PIR escludendone l’applicazione agli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie.

Ai sensi del comma 5, per i soli PIR costituiti nel 2019 continuano ad applicarsi le norme introdotte dalla legge di bilancio 2019).

 

Si tratta, in sostanza, dei vincoli stabiliti dal comma 212, il quale prevede che in ciascun anno solare di durata del piano, per almeno i due terzi dell'anno stesso, le somme o i valori destinati nel piano di risparmio a lungo termine devono essere investiti:

§   per almeno il 70 per cento per cento delle risorse complessive in strumenti finanziari di imprese radicate in Italia, di cui:

-     almeno il 5 per cento in strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione;

-      almeno il 30 per cento in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell'indice FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati;

-     almeno il 5 per cento in quote o azioni di Fondi per il venture capital residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo.


 

Articolo 13-ter
(Agevolazioni fiscali per i lavoratori impatriati
)

 

 

L’articolo 13-ter, introdotto dalla Camera dei deputati, estende le maggiori agevolazioni disposte dal cd. decreto crescita (decreto-legge n. 34 del 2019) per i lavoratori impatriati anche ai lavoratori rientrati in Italia a partire dal 30 aprile 2019 (in luogo di operare per i lavoratori che si ritrasferiscono nel Paese dal 2020), purché risultino beneficiari del regime per i lavoratori impatriati. Viene inoltre istituito il Fondo Controesodo, con dotazione di 3 milioni a decorrere dal 2020, in favore dei lavoratori rientrati in Italia dal 30 aprile 2019 e destinatari dell’estensione disposta dall’articolo in commento.

 

L’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 (modificato dalla legge di stabilità 2016, dalla legge di bilancio 2017, dal decreto-legge n. 244 del 2016, dal decreto-legge n. 50 del 2017, dal decreto-legge n. 148 del 2017 e dal decreto-legge n. 34 del 2019) ha inteso disciplinare compiutamente la materia del rientro in Italia dei lavoratori che si trovano all’estero, in particolare concedendo una agevolazione fiscale temporanea ai lavoratori che non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, che si impegnino a risiedere in Italia per almeno due anni, e la cui attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.

Per questi soggetti il reddito di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotto concorre alla formazione del reddito complessivo IRPEF nella misura del settanta per cento del proprio ammontare, purché l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano. Le menzionate agevolazioni si estendano ai redditi d'impresa prodotti dai lavoratori impatriati, se avviano un'attività d'impresa in Italia a partire dal periodo d'imposta in corso al 1° gennaio 2020.

L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi. Per i lavoratori autonomi essa si applica dal 1° gennaio 2017.

L’agevolazione si estende anche ai cittadini di Stati, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un titolo di laurea, che hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi, ovvero che hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

Le predette agevolazioni sono estese nel tempo, ancorché in misura minore (cinque ulteriori periodi di imposta, con detassazione al cinquanta per cento) nel caso di figli o nel caso di proprietà immobiliare residenziale in Italia; la percentuale di detassazione è elevata al 90 per cento nel caso di ritrasferimento nelle regioni del Mezzogiorno.

L’articolo 16, comma 4, prevede che i lavoratori rientrati in Italia col beneficio della parziale detassazione IRPEF disposta della legge 30 dicembre 2010, n. 238, ove trasferiti entro il 31 dicembre 2015, applicano per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo il regime disposto dalla legge n. 238/2010, nei limiti e alle condizioni indicati dalla legge stessa.

Si ricorda che l’agevolazione della legge n. 238/2010 consiste nella parziale detassazione IRPEF dei redditi di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa; tali redditi concorrono alla base imponibile nella misura, rispettivamente, del 20 per cento per le lavoratrici e del 30 per cento per i lavoratori (con detassazione rispettivamente dell’ottanta e del settanta per cento).

In alternativa, essi possono optare per il regime previsto dall’illustrato articolo 16 del D.Lgs. 147/2015. La circolare 23 maggio 2017 dell’Agenzia delle Entrate (cap. 3.5), in merito all’articolo 16, comma 4, ha chiarito che coloro che optano per il regime previsto dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 beneficiano della parziale imponibilità del reddito derivante da lavoro dipendente, da attività di lavoro autonomo o d’impresa, per cinque periodi d’imposta, quindi a partire dal 2016 e fino al 2020. Sul punto è intervenuto l’articolo 8-bis, comma 1 del decreto-legge n. 148 del 2017; esso ha precisato che l’esercizio dell’opzione di cui al comma 4 ha effetto limitatamente al triennio 2017-2020 e non anche per il periodo d’imposta 2016, nel quale si applica la precedente disciplina di cui alla menzionata legge n. 238 del 2010.

Si rammenta inoltre che la legge di bilancio 2017 ha chiarito che l’innalzamento al cinquanta per cento della quota di reddito esente da IRPEF si applica, per i periodi d’imposta dal 2017 al 2020, anche ai lavoratori dipendenti che, nell’anno 2016, hanno trasferito la residenza nel territorio dello Stato (ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, TUIR, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986) e ai soggetti che, nel medesimo anno 2016, hanno esercitato la predetta opzione di cui al comma 4 dell’articolo 16.

Il comma 7-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, con una norma di interpretazione autentica, ha chiarito che i soggetti che si sono trasferiti in Italia entro il 31 dicembre 2015 (per utilizzare i benefici fiscali previsti dalla legge n. 238 del 2010) e che hanno successivamente optato per il regime agevolativo previsto per i lavoratori rimpatriati (ai sensi del D.Lgs. n. 147 del 2015) decadono dal beneficio fiscale nel caso in cui la residenza in Italia non sia mantenuta per almeno due anni. In tal caso si provvede al recupero dei benefici fruiti, con applicazione

Le agevolazioni così esposte si applicano agli sportivi professionisti impatriati con specifiche esclusioni e, complessivamente, in misura ridotta rispetto a quanto previsto per gli altri lavoratori.

 

L’articolo 5 del decreto-legge n. 34 del 2019 ha incrementato dal 50 al 70 per cento la riduzione dell’imponibile per i cd. impatriati; ha semplificato le condizioni per accedere al regime fiscale di favore; ha esteso il regime di favore a chi avvia un’attività d’impresa e ha maggiorato le agevolazioni fiscali in presenza di specifiche condizioni (numero di figli minorenni, acquisto dell’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, trasferimento della residenza in regioni del Mezzogiorno).

Ai sensi del comma 2 dell’articolo 5, modificato dalle norme in commento, tali maggiori agevolazioni introdotte dal decreto crescita si applicano ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal periodo d’imposta 2020, più precisamente dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 1° maggio 2019.

 

L’articolo 13-ter in esame, al comma 1 rimodula la decorrenza delle predette norme: sostituendo il comma 2 del richiamato articolo 5, estende le suddette agevolazioni maggiorate ai soggetti trasferiti in Italia già a partire dal 30 aprile 2019 e per il periodo d’imposta in corso, purché risultino beneficiari del regime per i lavoratori impatriati.

 

Il comma 2 istituisce presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze un Fondo, denominato Fondo Controesodo con dotazione di 3 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020, affidando a un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze il compito di stabilire i criteri per la richiesta di accesso e consentendo ai predetti soggetti destinatari dell’ampliamento delle agevolazioni di accedere alle risorse del Fondo, fino ad esaurimento dello stesso.

 

Il comma 3 reca la clausola di copertura finanziaria degli oneri recati dall’articolo in esame, pari a 3 milioni di euro annui dal 2020, imputando la quota parte di essi relativi all’anno 2020 a valere sul Fondo speciale di parte corrente, relativo al bilancio 2019-2021, di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze; alla restante quota degli oneri, decorrenti dal 2021, si provvede a valere sul Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE).

 


 

Articolo 14
(
Utilizzo dei file delle fatture elettroniche)

 

 

L’articolo 14, modificato dalla Camera dei deputati, consente alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle entrate, per le attività analisi del rischio e controllo ai fini fiscali ovvero nell’assolvimento delle funzioni di polizia economica e finanziaria (per la sola Guardia di finanza), e con idonee misure di garanzia a tutela dei diritti degli interessati, l’utilizzo dei dati contenuti nei file delle fatture elettroniche.

 

In particolare, l’articolo in esame inserisce tre nuovi commi (5-bis, 5-ter e 5-quater, quest’ultimo introdotto dalla Camera, per il quale si rinvia alla relativa scheda di lettura) all’articolo 1 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, in materia di fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle fatture o dei relativi dati.

Il comma 5-bis prevede che i file delle fatture elettroniche acquisiti sono memorizzati fino al 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione di riferimento ovvero fino alla definizione di eventuali giudizi, superando gli ordinari termini di accertamento pari a 5 o 7 anni.

 

I commi 130 e 131 dell’articolo 1, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) fissano i termini per gli accertamenti al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione ovvero al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione (omessa) avrebbe dovuto essere presentata.

 

Per una panoramica completa in materia di fatturazione elettronica si rinvia al tema web IVA e fatturazione elettronica presente sul portale della documentazione della Camera dei deputati, in particolare del paragrafo Fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle operazioni IVA.

In questa sede si ricorda che con il provvedimento 30 aprile 2018 del direttore dell’Agenzia delle entrate sono state stabilite le regole tecniche per l’emissione e la ricezione delle fatture elettroniche per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato e per le relative variazioni, utilizzando il Sistema di Interscambio. In particolare è stato stabilito che la fattura elettronica è un file in formato XML (eXtensible Markup Language), non contenente macroistruzioni o codici eseguibili tali da attivare funzionalità che possano modificare gli atti, i fatti o i dati nello stesso rappresentati.

 

Il comma esplicita quali sono i soggetti che possono utilizzare i file conservati e per quali finalità. I file XML delle fatture elettroniche con tutti i dati in essi contenuti sono utilizzati:

§  dalla Guardia di finanza nell’assolvimento delle funzioni di polizia economica e finanziaria;

Si ricorda che al Corpo della Guardia di finanza sono demandati (articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68) compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di:

a) imposte dirette e indirette, tasse, contributi, monopoli fiscali e ogni altro tributo, di tipo erariale o locale;

b) diritti doganali, di confine e altre risorse proprie nonché uscite del bilancio dell'Unione europea;

c) ogni altra entrata tributaria, anche a carattere sanzionatorio o di diversa natura, di spettanza erariale o locale;

d) attività di gestione svolte da soggetti privati in regime concessorio, ad espletamento di funzioni pubbliche inerenti la potestà amministrativa d'imposizione;

e) risorse e mezzi finanziari pubblici impiegati a fronte di uscite del bilancio pubblico nonché di programmi pubblici di spesa;

f) entrate ed uscite relative alle gestioni separate nel comparto della previdenza, assistenza e altre forme obbligatorie di sicurezza sociale pubblica;

g) demanio e patrimonio dello Stato, ivi compreso il valore aziendale netto di unità produttive in via di privatizzazione o di dismissione;

h) valute, titoli, valori e mezzi di pagamento nazionali, europei ed esteri, nonché movimentazioni finanziarie e di capitali;

i) mercati finanziari e mobiliari, ivi compreso l'esercizio del credito e la sollecitazione del pubblico risparmio;

l) diritti d'autoreknow-how, brevetti, marchi ed altri diritti di privativa industriale, relativamente al loro esercizio e sfruttamento economico;

m) ogni altro interesse economico-finanziario nazionale o dell'Unione europea;

 

§  dall’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza per le attività analisi del rischio e controllo ai fini fiscali.

A legislazione vigente è previsto che l’attività di controllo del corretto adempimento degli obblighi fiscali dei contribuenti rientra tra i compiti istituzionali  dell'Agenzia delle entrate che utilizza i dati delle fatture, emesse e ricevute, e delle relative variazioni, acquisiti anche mediante il Sistema di Interscambio per effettuare controlli incrociati con i dati contenuti in altre banche dati conservate dalla stessa Agenzia o da altre amministrazioni pubbliche, al fine di favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili (articolo 1, comma 1, decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 4 agosto 2016).

 

Secondo la relazione illustrativa, la modifica prospettata consentirebbe di potenziare l’attività di contrasto di molteplici forme di illegalità, anche in settori diversi da quello strettamente tributario (ad esempio il mercato dei capitali e la tutela della proprietà intellettuale). 

 

Il comma 5-ter introdotto dall’articolo in esame dispone che la Guardia di finanza e l’Agenzia delle entrate, nell’utilizzazione dei file acquisiti delle fatture elettroniche, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adottano idonee misure di garanzia a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati attraverso la previsione di apposite misure di sicurezza, anche di carattere organizzativo, in conformità con le disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il codice in materia di protezione dei dati personali.


 

Articolo 14, capoverso comma 5-quater
(Fatturazione elettronica organismi di informazione)

 

 

Il comma 5-quater dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 127 del 2015, in materia di fatturazione elettronica, introdotto dalla Camera nell’articolo 14, specifica che per gli organismi di informazione per la sicurezza (DIS, AISE e AISI) resta ferma l’applicazione della disciplina speciale prevista dalla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), anche in materia di fatturazione elettronica.

 

In particolare il nuovo comma 5-quater dell'articolo 1 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, stabilisce che per la fatturazione elettronica e per la memorizzazione, conservazione e consultazione delle fatture elettroniche relative alle cessioni di beni e le prestazioni di servizi destinate al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, all’Agenzia informazioni e sicurezza esterna nonché all’Agenzia informazioni e sicurezza interna, si applicano le norme dell’articolo 29 della richiamata legge 3 agosto 2007, n. 124.

Si ricorda a tale proposito che l’articolo 29 prevede che un apposito regolamento definisce le procedure per la stipula di contratti di appalti di lavori e forniture di beni e servizi. Tale disciplina speciale, come rilevato nella relazione tecnica, è volta ad impedire che dall’aggregazione dei dati contenuti nelle fatture possano essere conosciute le attività degli organismi di informazione.

Si ricorda a tale proposito che il citato regolamento di disciplina dell'attività negoziale del DIS, dell'AISE e dell'AISI, è stato emanato il 24 novembre 2016 (DPCM n. 4) e prevede, tra l’altro che, tenuto conto delle peculiari esigenze di riservatezza delle attività negoziali, agli operatori economici sono comunicate le modalità per la trasmissione delle fatture elettroniche e degli altri documenti negoziali e gli eventuali sistemi di protezione dei dati.


 

Articolo 15
(
Fatturazione elettronica e sistema tessera sanitaria)

 

 

L’articolo 15 estende al periodo d’imposta 2020 l’esonero dall’obbligo di fatturazione elettronica, già previsto dalla normativa vigente per il periodo d’imposta 2019 nel rispetto delle disposizioni sulla protezione dei dati personali, in relazione a prestazioni sanitarie effettuate nei confronti delle persone fisiche. Si stabilisce inoltre che, a decorrere dal 1° luglio 2020, i soggetti tenuti all'invio dei dati al Sistema TS adempiono all’obbligo di memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi esclusivamente mediante memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati relativi a tutti i corrispettivi giornalieri al Sistema TS.

 

Più in dettaglio, il comma 1 estende al 2020 la disciplina transitoria che esonera dall’obbligo di fatturazione elettronica i soggetti che inviano i dati al Sistema TS (ai fini dell’elaborazione della dichiarazione precompilata) nonché i soggetti che pur non tenuti all’invio dei dati al Sistema TS emettono fatture comunque relative a prestazioni sanitarie effettuate nei confronti delle persone fisiche.

 

Con riferimento all’esonero per il periodo d’imposta 2019 dall’obbligo di fatturazione elettronica per gli operatori sanitari, si ricorda che l’articolo 10-bis del decreto legge n.119 del 2018, così come modificato dalla legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 53, legge n. 145 del 2018), prevede che i soggetti tenuti all’invio dei dati al Sistema TS (vale a dire le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico - IRCCS, i policlinici universitari, le farmacie pubbliche e private, i presidi di specialistica ambulatoriale, le strutture per l'erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l'erogazione dei servizi sanitari, nonché gli iscritti all'Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri) non possono emettere fatture elettroniche, per l’erogazione delle loro prestazioni, in quanto, in base al disposto del comma 3, articolo 2, del D.Lgs. n. 127 del 2015, per le stesse già avviene, nel rispetto delle disposizioni sulla protezione dei dati personali, la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica mediante strumenti tecnologici che garantiscano l’inalterabilità e la sicurezza dei dati (compresi quelli relativi ai pagamenti con carta di debito e di credito).

Il citato comma 53 della legge di bilancio stabilisce inoltre che i dati trasmessi al Sistema TS possono essere utilizzati solo dalle pubbliche amministrazioni ed esclusivamente per garantire l’applicazione delle norme in materia tributaria e doganale ovvero, in forma aggregata, per il monitoraggio della spesa pubblica e privata complessiva.

Si ricorda inoltre che l’articolo 9-bis,  del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, al comma 2, amplia l’esonero dall'obbligo di fatturazione elettronica - per il periodo d'imposta 2019 - previsto dal richiamato decreto legge 119 del 2018 per i soggetti tenuti all'invio dei dati al Sistema TS, estendendolo, con riferimento alle fatture relative alle prestazioni sanitarie effettuate nei confronti delle persone fisiche, anche ai soggetti che non sono tenuti all’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria ai fini dell'elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata (sono esclusi da tale obbligo, a titolo esemplificativo, podologi, fisioterapisti, logopedisti).

 

L’Agenzia delle entrate nella Circolare 14/E-Chiarimenti in tema di documentazione di operazioni rilevanti ai fini IVA, alla luce dei recenti interventi normativi in tema di fatturazione elettronica (17 giugno 2019) ha chiarito che i soggetti tenuti all’invio dei dati al Sistema TS devono continuare a certificare le prestazioni sanitarie rese nei confronti delle persone fisiche/consumatori finali mediante fatture in formato cartaceo – ovvero in formato elettronico senza utilizzare lo SdI come canale di invio – e a trasmettere i relativi dati al sistema TS secondo le tipologie evidenziate negli allegati ai decreti ministeriali che disciplinano le modalità di trasmissione dei dati al suddetto sistema. Anche i soggetti che erogano prestazioni sanitarie nei confronti delle persone fisiche che non sono tenuti all’invio dei dati al Sistema TS ai fini dell’elaborazione della dichiarazione precompilata devono continuare ad emettere le fatture per prestazioni sanitarie nei confronti dei consumatori finali in formato cartaceo ovvero in formato elettronico con trasmissione attraverso canali diversi dallo SdI.

Inoltre nel caso di fatture miste contenenti sia spese sanitarie sia voci di spesa non sanitarie, occorre distinguere due ipotesi: 1) se non è possibile distinguere la quota di spesa sanitaria da quella non sanitaria, l’intera spesa va trasmessa al Sistema TS con la tipologia “altre spese” (codice AA); 2) se, invece, dal documento di spesa è possibile distinguere la quota di spesa sanitaria da quella non sanitaria, entrambe le spese vanno comunicate distintamente al Sistema TS con le seguenti modalità: - i dati relativi alla spesa sanitaria vanno inviati e classificati secondo le tipologie evidenziate negli allegati ai decreti ministeriali che disciplinano le modalità di trasmissione dei dati al Sistema TS; - i dati relativi alle spese non sanitarie vanno comunicati con il codice AA “altre spese”.

 

Il comma 2 dell’articolo in commento, inoltre, aggiunge una disposizione al comma 6-quater, articolo 2, del D.Lgs. n. 127 del 2015, già modificato dal comma 54, articolo 1, della citata legge di bilancio per il 2019. Mediante la novella in esame, a decorrere dal 1° luglio 2020, viene tramutato in obbligo in via esclusiva l’attuale facoltà data ai soggetti tenuti all’invio dei dati al Sistema TS di poter assolvere all’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati relativi a tutti i corrispettivi giornalieri ai fini IVA (obblighi di registrazione di cui all’articolo 24, primo comma, del DPR n. 633 del 1972) mediante l’invio dei corrispettivi giornalieri al Sistema TS.

La norma specifica che la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati sono effettuate mediante strumenti tecnologici che garantiscono l'inalterabilità e la sicurezza dei dati.

 


 

Articolo 16
(Precompilata IVA e termini comunicazioni esterometro
)

 

 

L’articolo 16, comma 1, sposta alla data del 1° luglio 2020 l’avvio della predisposizione da parte dell'Agenzia delle entrate, per i soggetti passivi dell'IVA residenti e stabiliti in Italia, delle bozze precompilate dei registri IVA nonché delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche. La bozza della dichiarazione annuale dell’IVA è invece messa a disposizione a partire dalle operazioni IVA 2021.

Nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati sono stati inseriti due commi aggiuntivi. Il comma 1-bis modifica i termini per l’adempimento comunicativo della trasmissione telematica dei dati delle fatture transfrontaliere (cosiddetto esterometro). Il comma 1-ter reca la copertura finanziaria.

 

In particolare l’articolo 16 sostituisce integralmente il comma 1 dell’articolo 4 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, inserendo due nuovi commi 1 e 1-bis relativi a semplificazioni amministrative e contabili connesse alla introduzione della fatturazione elettronica.

 

Il nuovo comma 1, come sostituito dalla disposizione in esame, prevede che a partire dalle operazioni IVA effettuate dal 1° luglio 2020, in via sperimentale, nell’ambito di un programma di assistenza on line basato sui dati delle operazioni acquisiti con le fatture elettroniche e con le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere nonché sui dati dei corrispettivi acquisiti telematicamente, l'Agenzia delle entrate mette a disposizione dei soggetti passivi dell'IVA residenti e stabiliti in Italia, in apposita area riservata del sito internet dell'Agenzia stessa, le bozze dei seguenti documenti:

§  registri delle fatture e degli acquisti (articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633);

§  comunicazioni delle liquidazioni periodiche dell’IVA.

 

Si ricorda che il vigente articolo 4, comma 1, prevede che a partire dalle operazioni IVA 2020, nell'ambito di un programma di assistenza on line basato sui dati delle operazioni acquisiti con le fatture elettroniche e con le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere nonché sui dati dei corrispettivi acquisiti telematicamente, l'Agenzia delle entrate mette a disposizione di tutti i soggetti passivi dell'IVA residenti e stabiliti in Italia, in apposita area riservata del sito internet dell'Agenzia stessa, le bozze dei seguenti documenti:

a) registri di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;

b) liquidazione periodica dell'IVA;

c) dichiarazione annuale dell'IVA.

La norma pertanto sposta al secondo semestre del 2020 l’avvio del processo della predisposizione delle bozze dei registri IVA e delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche IVA da parte dell’Agenzia delle entrate che a tal fine utilizzerà i dati acquisiti mediante le fatture elettroniche, le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi.

 

Il nuovo comma 1-bis dispone che la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato è effettuata trimestralmente entro la fine del mese successivo al trimestre di riferimento.

La norma pertanto modifica i termini di trasmissione dei dati delle fatture transfrontaliere portandoli da mensili a trimestrali.

Si ricorda infatti che a normativa vigente la trasmissione telematica è effettuata entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello della data del documento emesso ovvero a quello della data di ricezione del documento comprovante l'operazione (articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo del 5 agosto 2015, n.127).

 

Tale processo di semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti è stato recentemente (martedì 11 giugno 2019) illustrato dal direttore dell’Agenzia delle entrate durante un’audizione al Senato della Repubblica (Indagine conoscitiva sul processo di semplificazione del sistema tributario e del rapporto tra contribuenti e fisco). Il direttore ha rappresentato che avendo tutti i dati IVA disponibili, sia quelli legati alla fatturazione elettronica sia quelli legati alla trasmissione dei corrispettivi, l’amministrazione finanziaria può mettere i contribuenti nelle condizioni di ricevere i registri IVA disponibili in linea sulla base dei dati acquisiti; inoltre, sono messe a disposizione anche le bozze delle liquidazioni periodiche precompilate, così come la bozza della dichiarazione IVA precompilata. Il contribuente può apportare modifiche alla bozza dal momento che l’Agenzia è in possesso del dato numerico ma non possiede tutte quelle ulteriori informazioni connesse al profilo soggettivo e, quindi, alla percentuale di detraibilità di alcune spese nota solo all’interessato.

 

Per una ricostruzione generale dell’istituto della fatturazione elettronica si consiglia la consultazione del temaweb IVA e fatturazione elettronica presente sul portale della documentazione della Camera dei deputati, in particolare del paragrafo Fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle operazioni IVA.

 

Durante l'esame alla Camera, è stato introdotto il comma 1-ter, il quale reca la copertura finanziaria degli oneri recati dal comma 1-bis, in termini di minori entrate per lo Stato, valutate, a seguito delle modifiche sopra illustrate, in 10,8 milioni a decorrere dal 2020.

A tali oneri si provvede:

-    quanto a 10,8 milioni per l’anno 2020, mediante corrispondente utilizzo delle risorse del Fondo di parte corrente derivante dalla procedura del riaccertamento della sussistenza delle partite debitorie iscritte nel conto del patrimonio dello Stato in corrispondenza di residui perenti, di cui all’articolo 34, comma 5, della legge n. 196/2009;

-    quanto a 10,8 milioni di euro annui a decorrere dal 2021, mediante corrispondente riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE) a decorrere dal 2029.

 

 


 

Articolo 16-bis
(Riordino termini presentazione 730 e assistenza fiscale
)

 

 

L’articolo 16-bis, inserito durante l'esame presso la Camera dei deputati, reca modifiche in materia di dichiarazione dei redditi e di assistenza fiscale.  La disposizione differisce dal 23 luglio al 30 settembre il termine per la presentazione del Modello 730; rimodula i termini entro cui i CAF-dipendenti, i professionisti abilitati e i sostituti d’imposta devono effettuare le comunicazioni ai contribuenti e all'Agenzia delle entrate; introduce un termine mobile per effettuare il conguaglio d'imposta.

 

Il comma 1 introduce modifiche alla disciplina per l'assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza fiscale prevista dal decreto del Ministero delle finanze del 31 maggio 1999, n. 164.

 

In particolare, la lettera a), numero 1), differisce dal 23 luglio al 30 settembre il termine per la presentazione del Modello 730.

La disposizione, sostituendo il comma 1 dell’articolo13 del decreto ministeriale richiamato, stabilisce che i contribuenti possono adempiere all'obbligo di dichiarazione dei redditi presentando l'apposita dichiarazione e le schede ai fini della destinazione del due, del cinque e dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche:

a) entro il 30 settembre (rispetto al vigente 7 luglio) dell'anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione, al proprio sostituto d'imposta, che intende prestare l'assistenza fiscale;

b) entro il 30 settembre (rispetto al vigente 23 luglio) dell'anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione, ad un CAF-dipendenti, unitamente alla documentazione necessaria all'effettuazione delle operazioni di controllo.

 

La lettera a), numero 2) dispone - modificando il comma 2 del predetto articolo 13 - che i contribuenti con contratto di lavoro a tempo determinato non hanno più, come previsto a legislazione vigente, un termine fisso per rivolgersi al sostituto o a un CAF - per adempiere agli obblighi di dichiarazione dei redditi (attualmente possono rivolgersi al sostituto, se il contratto di lavoro dura almeno dal mese di aprile al mese di luglio, ovvero, ad un CAF-dipendenti se il contratto dura almeno dal mese di giugno al mese di luglio) ma possono rivolgersi al sostituto o a un CAF-dipendenti alla sola condizione che il contratto duri almeno dal mese di presentazione della dichiarazione al terzo mese successivo.

 

La lettera a), numero 3), in linea con quanto disposto al numero 2), sopprime il comma 3, dell’articolo 13, che prevedeva che i possessori dei redditi determinati da rapporti di collaborazione potessero adempiere agli obblighi di dichiarazione a condizione che il rapporto di collaborazione durasse almeno dal mese di giugno al mese di luglio dell'anno di presentazione della dichiarazione.

 

La lettera b) modifica in più punti l’articolo 16 del richiamato decreto MEF.

In particolare, il numero 1) stabilisce che i CAF conservino anche le schede relative alle scelte per la destinazione del due per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione (attualmente sono conservate le schede dell'otto e del cinque per mille).

La lettera b), numero 2), rimodula i termini entro cui i CAF-dipendenti e i professionisti abilitati devono effettuare le comunicazioni ai contribuenti e all'Agenzia delle entrate.

La norma stabilisce che, fermo restando il termine del 10 novembre per la trasmissione delle dichiarazioni integrative, tali soggetti concludono le attività di comunicazione all'Agenzia delle entrate del risultato finale delle dichiarazioni, di consegna al contribuente della copia della dichiarazione dei redditi elaborata e del relativo prospetto di liquidazione, nonché di trasmissione all'Agenzia delle entrate delle dichiarazioni predisposte; entro:

a) il 15 giugno di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente entro il 31 maggio;

b) il 29 giugno, per quelle presentate dal l° al 20 giugno;

c) il 23 luglio, per quelle presentate dal 21 giugno al 15 luglio;

d) il 15 settembre, per quelle presentate dal 16 luglio al 31 agosto;

e) il 30 settembre, per quelle presentate dal l° al 30 settembre.

 

Si ricorda che attualmente i CAF concludono le attività richiamate entro:

a) il 29 giugno, per le dichiarazioni presentate entro il 22 giugno;

b) il 7 luglio, per le dichiarazioni presentate dal 23 al 30 giugno;

c) il 23 luglio, per le dichiarazioni presentate dal 1° al 23 luglio.

 

La lettera b), numero 3) dispone il differimento dal 7 al 16 marzo del termine per la trasmissione delle certificazioni uniche, incluse quelle attestanti i contributi dovuti all’Inps, e della scelta da parte del sostituto del soggetto per il tramite del quale sono rese disponibili le comunicazioni del risultato finale delle dichiarazioni.

 

Si ricorda che (articolo 4, comma 6-ter, del DPR 22 luglio 1998, n. 322) i soggetti obbligati ad operare ritenute alla fonte rilasciano un’apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale, attestante l'ammontare complessivo delle somme e valori corrisposti, l'ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica.

 

La lettera c) rimodula i termini entro cui i sostituti d'imposta devono trasmettere in via telematica all'Agenzia delle entrate le dichiarazioni elaborate e i relativi prospetti di liquidazione, nonché le buste del due, del cinque e dell'otto per mille.

La lettera in esame stabilisce che i sostituti d'imposta trasmettono entro:

a)    il 15 giugno di ciascun anno, le dichiarazioni presentate entro il 31 maggio;

b)   il 29 giugno, le dichiarazioni presentate dal l° al 20 giugno;

c)    il 23 luglio, le dichiarazioni presentate dal 21 giugno al 15 luglio;

d) il 15 settembre, le dichiarazioni presentate dal 16 luglio al 31 agosto;

e) il 30 settembre, le dichiarazioni presentate dal l° al 30 settembre.

 

La lettera d) modifica la disciplina delle operazioni di conguaglio (articolo 19 del più volte citato decreto MEF 31 maggio 1999, n. 164) e stabilisce che il sostituto d’imposta deve effettuare il conguaglio d’imposta a termine mobile e non più fisso come avviene attualmente (retribuzione di competenza del mese di luglio) ovvero con la prima retribuzione utile e, comunque, con quella di competenza del mese successivo a quello in cui il sostituto ha ricevuto il risultato contabile.

 

In particolare, la disposizione stabilisce che le somme risultanti a debito dal prospetto di liquidazione sono trattenute sulla prima retribuzione utile e comunque sulla retribuzione di competenza del mese successivo a quello in cui il sostituto ha ricevuto il predetto prospetto di liquidazione e sono versate nel termine previsto per il versamento delle ritenute di acconto del dichiarante relative alle stesse retribuzioni.

Se il sostituto d'imposta riscontra che la retribuzione sulla quale effettuare il conguaglio risulta insufficiente per il pagamento dell'importo complessivamente risultante a debito, trattiene la parte residua dalle retribuzioni corrisposte nei periodi di paga immediatamente successivi dello stesso periodo d'imposta, applicando gli interessi stabiliti per il differimento di pagamento delle imposte sui redditi.

 

Analoga possibilità (lettera d), numero 3)) viene riconosciuta agli enti che erogano pensioni. Questi ultimi potranno effettuare le operazioni di conguaglio a partire dal secondo mese successivo a quello di ricevimento dei dati del prospetto di liquidazione (non più a partire dal mese di agosto o di settembre).

 

La lettera d), numero 4), differisce anche il termine entro il quale i contribuenti danno comunicazione al sostituto d'imposta dell'importo delle somme che ritengono dovute. Tale importo deve essere comunicato entro il 10 ottobre anziché entro il mese di settembre.

 

Il comma 2 stabilisce entro il 16 marzo dell'anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti i termini entro cui i sostituti d’imposta devono consegnare le certificazioni uniche agli interessati (rispetto all’attuale 31 marzo), e trasmetterle in via telematica all'Agenzia delle entrate (rispetto all’attuale 7 marzo).

 

Il comma 2, lettera c), introduce il nuovo comma 6-sexies all'articolo 4 del D.P.R. n. 322 del 1998, in materia di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, il quale dispone che l'Agenzia delle entrate, esclusivamente nell'area autenticata del proprio sito Internet, rende disponibili agli interessati i dati delle certificazioni pervenute. Gli interessati possono delegare all'accesso anche altri soggetti quali dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali, consulenti del lavoro, associazioni sindacali di categoria tra imprenditori.

 

Il comma 3, lettera a), sposta dal 15 al 30 aprile il termine entro cui l’Agenzia delle entrate mette a disposizione la dichiarazione precompilata.

 

Il comma 3, lettera b), dispone che il contribuente può avvalersi della facoltà di inviare all’Agenzia delle entrate direttamente in via telematica la dichiarazione precompilata entro il 30 settembre, anziché, come previsto attualmente, entro il 23 luglio di ciascun anno senza che questo determini la tardività della presentazione.

 

Il comma 4 stabilisce che la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate da parte dei soggetti terzi dei dati relativi a oneri e spese sostenuti dai contribuenti nell'anno precedente e alle spese sanitarie rimborsate, nonché dei dati relativi alle spese che danno diritto a deduzioni dal reddito o detrazioni dall'imposta (ad esempio, spese universitarie, funebri, per interventi di recupero del patrimonio edilizio e per interventi volti alla riqualificazione energetica, universitarie, per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, spese relative alle rette per la frequenza di asili nido, erogazioni liberali in favore delle Onlus, delle associazioni di promozione sociale e delle fondazioni) con scadenza 28 febbraio, è effettuata entro il termine del 16 marzo.

 

Il comma 5 stabilisce che le disposizioni di cui ai commi precedenti decorrono dall’anno 2021.

 

 


 

Articolo 16-ter
(Potenziamento dell’Amministrazione finanziaria)

 

 

L’articolo 16-ter, introdotto dalla Camera, contiene una serie di disposizioni volte al potenziamento delle risorse umane e all’incremento delle facoltà assunzionali delle diverse articolazioni dell’Amministrazione finanziaria.

In sintesi:

§  sono autorizzati concorsi e assunzioni sia presso l’Agenzia delle entrate, sia presso l’Agenzia delle dogane;

§  parte delle risorse derivanti dalle convenzioni stipulate dall’Agenzia delle entrate con soggetti pubblici o privati sono destinate alla quota incentivante di parte variabile del personale delle aree, come individuata dalla convenzione MEF-Agenzia;

§  sono rideterminate le dotazioni organiche del Ministero dell’economia e delle finanze, istituendo e rimodulando le posizioni dirigenziali all’interno dei relativi Dipartimenti;

§  viene riorganizzata la funzione dell’Ispettorato generale di finanza entro la Ragioneria Generale dello Stato;

§  si incrementa dal 2020 la dotazione finanziaria destinata al trattamento economico degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'economia e delle finanze;

§  sono incrementate le facoltà assunzionali del MEF connesse alla presidenza italiana del G20 nel 2021 e ai negoziati europei ed internazionali in materia economico-finanziaria;

§  si autorizza il MEF ad assumere personale a tempo indeterminato per finalità di implementazione, sperimentazione e messa a regime dei sistemi informativi, nonché per le funzionalità strumentali all’attuazione della riforma del bilancio, in luogo di prevedere assunzioni a termine.

 

In particolare, il comma 1 autorizza l’Agenzia delle entrate a espletare concorsi pubblici per l’assunzione di nuovo personale, in aggiunta alle assunzioni consentite o autorizzate a legislazione vigente e nell’ambito dell’attuale dotazione organica.

La norma è volta esplicitamente a garantire maggiore efficienza ed efficacia all'azione amministrativa, in considerazione dei rilevanti impegni derivanti dagli obiettivi di finanza pubblica e dalle misure per favorire da un lato gli adempimenti tributari e le connesse semplificazioni e, dall’altro, una più incisiva azione di contrasto all’evasione fiscale nazionale e internazionale ed alle frodi, anche mediante mirate analisi del rischio delle partite IVA di nuova costituzione.

Le nuove assunzioni autorizzate avvengono anche in deroga alle disposizioni in materia di concorso unico per il reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, contenute nell’articolo 4, comma 3-quinquies, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101.

Le norme cui si deroga impongono, dal 1° gennaio 2014, un reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le amministrazioni pubbliche mediante concorsi pubblici unici, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento.

Le assunzioni sono autorizzate nel limite di un contingente che corrisponde a una spesa non superiore a 2,28 milioni di euro per l’anno 2020, a 12,66 milioni di euro per l’anno 2021, a 21,90 milioni di euro per l’anno 2022 e a 25,95 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023.

 

Il comma 2 contiene disposizioni sulla destinazione delle risorse che derivano dalle convenzioni stipulate dall’Agenzia delle entrate con soggetti pubblici o privati per fornire servizi in forza di specifiche disposizioni normative, certificate dal Collegio dei revisori.

Tali risorse sono destinate a confluire annualmente, in misura non superiore al 50 per cento della media dei ricavi del triennio 2016-2018, comprensive degli oneri riflessi a carico dell’Agenzia, nell'ambito della quota incentivante di parte variabile del personale delle aree individuata dalla convenzione stipulata dal MEF con l’Agenzia (di cui all'articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300), a valere sulle risorse iscritte nel bilancio dell’Agenzia stessa.

Il Ministro delle finanze determina annualmente, e comunque entro il mese di settembre, con un proprio atto di indirizzo e per un periodo almeno triennale, gli sviluppi della politica fiscale, le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, le grandezze finanziarie e le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attività delle agenzie fiscali; il ministro e ciascuna agenzia, sulla base del documento di indirizzo, stipulano una convenzione triennale, con adeguamento annuale per ciascun esercizio finanziario, con la quale vengono fissati, tra l’altro, i servizi dovuti e gli obiettivi da raggiungere, le direttive generali sui criteri della gestione, i vincoli da rispettare e le risorse disponibili. Nella convenzione sono stabiliti, nei limiti delle risorse stanziate su tre capitoli che vanno a comporre una unità previsionale di base per ciascuna agenzia, gli importi che vengono trasferiti, distinti per:

a) gli oneri di gestione calcolati, per le diverse attività svolte dall'agenzia, sulla base di una efficiente conduzione aziendale e dei vincoli di servizio imposti per esigenze di carattere generale;

b) le spese di investimento necessarie per realizzare i miglioramenti programmati;

c) la quota incentivante connessa al raggiungimento degli obiettivi della gestione e graduata in modo da tenere conto del miglioramento dei risultati complessivi e del recupero di gettito nella lotta all'evasione effettivamente conseguiti.

La relazione illustrativa che accompagna l’emendamento del Governo col quale è introdotto l’articolo in parola chiarisce che esso si riferisce alle attività svolte dall’Agenzia su base convenzionali, in forza della disciplina generale di cui al richiamato decreto legislativo n. 300 del 1999, per la gestione di alcune funzioni di Regioni ed Enti Locali o per lo svolgimento di servizi relativi ad amministrazione riscossione e contenzioso delle imposte o entrate locali (anche extratributarie). La relazione menziona specifici interventi normativi ulteriori e specifici che consentono all’Agenzia di effettuare attività in materia di IRAP, attività di valutazione immobiliare per le pubbliche amministrazioni, riscossione dei modelli F24 per conto delle PPAA.

 

La disposizione in esame si applica anche in deroga all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 ai sensi del quale l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016.

Per le medesime convenzioni non si applica la possibilità (di cui all’articolo 43, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449) per le amministrazioni pubbliche di stipulare convenzioni con soggetti pubblici o privati dirette a fornire, a titolo oneroso, consulenze o servizi aggiuntivi rispetto a quelli ordinari.

Inoltre le norme in esame si applicano con riferimento alle convenzioni tra MEF e Agenzia dell’entrate che hanno effetti sulla contrattazione decentrata del personale non dirigenziale i cui accordi sono sottoscritti a decorrere dall’anno 2020.

 

Il comma 3 consente all’Agenzia delle dogane di bandire nel 2020 concorsi pubblici per esami e ad assumere un contingente massimo di 300 unità di personale non dirigenziale, di cui 200 unità per profili professionali dell'area II, terza fascia retributiva, e 100 unità dell’area III, prima fascia retributiva, nel rispetto dei limiti delle dotazioni organiche, in deroga alle disposizioni in tema di concorso unico.

A tal fine è autorizzata la spesa di 8.040.401 euro per l’anno 2020 e di 16.080.802 euro annui a decorrere dall’anno 2021, cui si provvede a decorrere dal 2021, a valere sulle facoltà assunzionali dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 4 ridetermina le dotazioni organiche del Ministero dell’economia e delle finanze, istituendo e rimodulando le posizioni dirigenziali all’interno dei relativi Dipartimenti.

In via preliminare, è utile ricordare che in base all’articolo 4, co. 1, D.Lgs. n. 300 del 1999, il numero, l’organizzazione, le funzioni e la distribuzione dei posti di funzione dirigenziale nonché la dotazione organica degli uffici di livello dirigenziale generale in cui sono articolate le unità di primo livello (dipartimenti o direzioni generali) dei ministeri sono definiti ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, della Legge n. 400/1988, ossia mediante regolamenti di delegificazione adottati con D.P.R., sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia.

Le disposizioni di cui al comma 4, pertanto, derogano all’ordinario assetto delle fonti dell’organizzazione ministeriale, ridisciplinando con norma di rango primario materie sulle quali è stabilita una autorizzazione alla delegificazione.

 

In primo luogo, a decorrere dal 2020 sono incrementati di due unità i posti di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca assegnati al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (ai sensi dell’articolo 7, comma 5, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 giugno 2019, n. 103).

Scopo esplicito della disposizione è anche quello di garantire l’attuazione delle prioritarie esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica, di analisi e valutazione della sostenibilità degli interventi in materia di entrata e di spesa di cui al decreto legge in esame, al fine di garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica anche in relazione alla copertura finanziaria delle misure del decreto in esame mediante riduzione delle dotazioni di spesa dei Ministeri (di cui all’articolo 59, comma 3, lettera a) del provvedimento, alla cui scheda si rinvia).

 

Per le medesime esigenze, nonché per potenziare lo svolgimento dei compiti di controllo e di monitoraggio e riorganizzare complessivamente le competenze ispettive esercitate dal Ministero dell'economia e delle finanze, il comma 3 istituisce inoltre, nell’ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, un ufficio dirigenziale di livello generale da cui dipende un corpo unico di ispettori e ulteriori venti posti di funzione dirigenziale di livello non generale per i servizi ispettivi di finanza pubblica. Il Ministero dell’economia e delle finanze è conseguentemente autorizzato, nel triennio 2020-2022, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali, a bandire procedure concorsuali pubbliche e ad assumere a tempo indeterminato fino a venti unità di personale con qualifica di dirigente di livello non generale.

 

Per le specifiche finalità di monitoraggio delle entrate tributarie e di analisi e valutazione della politica tributaria nazionale e internazionale, le norme in commento incrementano di una unità i posti di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca assegnati al Dipartimento delle finanze (ai sensi dell'articolo 11, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 giugno 2019, n. 103). I maggiori oneri, al fine di assicurare l’invarianza finanziaria, sono compensati dalla soppressione di un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale equivalente sul piano finanziario.

 

Per il potenziamento dei compiti finalizzati al miglioramento ed efficientamento delle attività a supporto della politica economica e finanziaria, è istituito presso il Dipartimento del tesoro un posto di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca, i cui maggiori oneri, al fine di assicurare l'invarianza finanziaria, sono compensati dalla soppressione di un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale equivalente sul piano finanziario.

 

Di conseguenza la dotazione organica dirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze è rideterminata nel numero massimo di sessantaquattro posizioni di livello generale e, fermo restando il numero di posizioni di fuori ruolo istituzionale, di seicentoquattro posizioni di livello non generale. Viene a tal fine è autorizzata la spesa di 3.680.000 euro annui a decorrere dall'anno 2020.

 

L’attuale dotazione organica del MEF, stabilita nel regolamento di organizzazione del Ministero, adottato da ultimo con DPCM 26 giugno 2019, n. 103, prevede 588 posizioni dirigenziali non generali e 59 posizioni dirigenziali generali, così distribuite:

n. 2 posti negli Uffici di diretta collaborazione con il Ministro

n. 10 posti nel Dipartimento del tesoro

n. 32 nel Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato

n. 8 posti nel Dipartimento delle finanze

n. 7 nel Dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi.

 

Il comma 5 sostituisce il vigente articolo 2, comma 3 del D.Lgs. n. 123 del 2011, ai sensi del quale l'Ispettorato generale di finanza esercita le funzioni di vigilanza e coordinamento sulle attività di controllo svolte dagli uffici centrali e periferici del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e dai collegi di revisione e sindacali. Per ogni esercizio finanziario l'Ispettorato generale di finanza presenta una relazione sull'attività svolta al Ragioniere generale dello Stato, che la comunica con le proprie eventuali osservazioni al Ministro dell'economia e delle finanze. La relazione è trasmessa dal Ministro dell'economia e delle finanze alla Corte dei conti.

Con la norma in commento si elimina la funzione dell’Ispettorato generale di finanza in ordine alla vigilanza e coordinamento delle attività di controllo degli uffici della RGS: anche conseguentemente al riordino di cui al già commentato comma 4, si affida direttamente al Ragioniere generale dello Stato il compito di presentare annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze la relazione sull'attività di vigilanza e controllo svolta dagli uffici centrali e periferici del Dipartimento, anche ai fini della successiva trasmissione alla Corte dei conti.

 

Il comma 6 incrementa di 900.000 euro annui a decorrere dal 2020 la dotazione finanziaria destinata al trattamento economico degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'economia e delle finanze (di cui all'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 2003, n. 227) per il potenziamento dei compiti finalizzati al miglioramento ed efficientamento delle politiche di bilancio e fiscali.

L’art. 14 del D.Lgs. 165/2001 e l’art. 7 del D.Lgs. 300/1999 dispongono che per l’esercizio delle funzioni di indirizzo politico il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento di delegificazione ai sensi del comma 4-bis dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

L’art. 14 prevede inoltre che con decreto adottato dal Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’economia, sia determinato senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale.

Il vigente regolamento degli uffici di staff del MEF è stato adottato con DPR 3 luglio 2003, n. 22, il cui articolo 7 disciplina il trattamento economico dei singoli uffici.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 1, co. 243 della legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) ha previsto a decorrere dal 1º gennaio 2016 la riduzione dello stanziamento per il personale degli uffici di diretta collaborazione, compresi gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, in misura pari al 10 per cento rispetto allo stanziamento dell'anno 2015. Sono state esonerate dalla riduzione le amministrazioni che avessero già disposto riduzioni corrispondenti successivamente al 31 dicembre 2010.

 

Ai sensi del comma 7 il Ministero dell’economia e delle finanze, con riferimento alle disposizioni relative all’istituzione, nel Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, di un ufficio dirigenziale di livello generale da cui dipende un corpo unico di ispettori allo scopo di riorganizzare le competenze ispettive esercitate dal Ministero, provvede ad adeguare la propria organizzazione, ivi inclusa quella degli uffici di diretta collaborazione, mediante uno o più regolamenti che possono essere adottati, entro il 30 giugno 2020, con le procedure di riordino dettate dall’articolo 4-bis del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 86.

Il richiamato articolo 4-bis ha previsto, fino al 30 giugno 2019, che i regolamenti di organizzazione dei Ministeri, ivi inclusi quelli degli uffici di diretta collaborazione, fossero adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa delibera del Consiglio dei ministri, e soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti sugli stessi decreti, con facoltà del Presidente del Consiglio dei ministri di richiedere il parere del Consiglio di Stato. A decorrere dalla data di efficacia di ciascuno dei predetti decreti cessa di avere vigore, per il Ministero interessato, il regolamento di organizzazione vigente.

Le norme in esame prevedono inoltre che, con effetto dal 31 marzo 2020, la richiesta di parere al Consiglio di Stato sia obbligatoria e non più facoltativa.

 

In proposito, si ricorda che negli ultimi anni il legislatore ha già fatto ricorso a procedure di semplificazione e accelerazione dei processi di riorganizzazione ministeriale mediante l’adozione di DPCM, in deroga alle procedure ordinarie ed in ogni caso in via transitoria. Da ultimo, il D.L. 104 del 2019 (cd. decreto ministeri) ha richiamato le menzionate modalità derogatorie di cui all’art. 4-bis del DL 86/2018 (DPCM in luogo dei regolamenti di delegificazione) per la riorganizzazione dei dicasteri interessati dalle disposizioni di riordino ivi contenute.

 

 

Il comma 8 modifica l’articolo 19, comma 1, del decreto legge 25 marzo 2019, n. 22, che disciplina le facoltà assunzionali del MEF connesse alla presidenza italiana del G20 nel 2021 e ai negoziati europei ed internazionali in materia economico-finanziaria e reca le coperture finanziarie per le assunzioni.

In particolare viene modificato il comma 1, consentendo al MEF di assumere 15 ulteriori risorse rispetto a quelle autorizzate a legislazione vigente (quarantacinque in luogo di trenta) specificando che detto personale assume la posizione economica F4. Conseguentemente viene elevata la quantificazione degli oneri assunzionali, che passano da 1.310.000 euro a 1.965.000 annui

 

Il comma 9 sostituisce l’articolo 1, comma 1130 della legge di bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205), che nella sua formulazione vigente autorizza il MEF ad assumere di personale a tempo determinato (per finalità di implementazione, sperimentazione e messa a regime dei sistemi informativi, nonché per le funzionalità strumentali all’attuazione della riforma del bilancio) con durata massima di 2 anni non rinnovabili. Tale personale è reclutato con selezioni pubbliche od utilizzo di graduatorie di concorsi pubblici già esistenti, nel limite massimo di 500.000 euro annui, a valere sulle disponibilità di parte corrente dell’autorizzazione di spesa relativa alla realizzazione, gestione e adeguamento delle strutture e degli applicativi informatici per la tenuta delle scritture contabili indispensabili per il completamento della riforma del bilancio dello Stato (di cui all’articolo 1, comma 188, della L. 190/2014).

Con le modifiche in esame, per le medesime finalità si consente invece, nel triennio 2020-2022, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali e nel rispetto del limite dell’attuale dotazione organica, a bandire apposite procedure concorsuali pubbliche e ad assumere a tempo indeterminato 11 unità di personale di alta professionalità da inquadrare nell’area terza, posizione economica F3. A tal fine, si modifica la vigente autorizzazione di spesa, che viene rimodulata in 240.000 euro per l'anno 2020 e 480.000 euro a decorrere dall’anno 2021; ad essa si provvede sulle disponibilità di parte corrente dell’autorizzazione di spesa relativa alla realizzazione, gestione e adeguamento delle strutture e degli applicativi informatici per la tenuta delle scritture contabili indispensabili per il completamento della riforma del bilancio dello Stato (di cui all’articolo 1, comma 188, della legge n. 190 del 2014, legge di stabilità 2015). Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Viene soppresso il comma 1131, che utilizza quota parte di specifiche risorse finanziarie (relative all’adeguamento e ammodernamento del sistema a supporto della tenuta delle scritture contabili del bilancio dello Stato, di cui alla tabella allegata alla delibera CIPE 144 del 2015) al fine di incrementare le risorse relative al lavoro straordinario, in deroga a quanto previsto dall’articolo 12 del D.P.R. n. 344 del1983 (che ha stabilito la facoltà, per le amministrazioni non interessate da progetti sperimentali di produttività, di presentare specifici progetti –approvati con specifico D.P.C.M. che non risulta ancora essere stato emanato - finalizzati al raggiungimento di determinati obiettivi mediante utilizzo di lavoro straordinario, nonché in deroga all’incentivazione della produttività del personale della RGS), nel limite massimo di 3 milioni di euro per il triennio 2018-2020.

 

Il comma 10 conseguentemente destina una quota delle predette risorse finanziarie relative all’adeguamento e ammodernamento del sistema a supporto della tenuta delle scritture contabili del bilancio dello Stato,  della tabella allegata alla delibera CIPE n. 114 del 2015, nel limite massimo di 3 milioni di euro per l’anno 2020, al Fondo risorse decentrate di cui all’articolo 76 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale non dirigenziale del comparto Funzioni Centrali del Ministero dell’economia e delle finanze, per essere assegnate sulla base di criteri individuati in sede di contrattazione integrativa. Dal 2021 il predetto fondo è integrato di 1 milione di euro.

 

I commi 11 e 12 recano la copertura finanziaria delle norme introdotte.

Gli oneri derivanti dai commi 1 (assunzioni Agenzia Entrate), 3 (assunzioni Agenzia Dogane), 4 (organico MEF), 6 (trattamento economico uffici di diretta collaborazione del Ministro) e 10 (Fondo risorse decentrate) sono quantificati in 14.900.401 euro per l’anno 2020, 18.240.0 euro per l’anno 2021, a 27.480.000 euro per l’anno 2022 e a 31.530.000 euro annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede:

a)   quanto a 12.620.401 euro per l’anno 2020 e a 6.380.000 euro a decorrere dall'anno 2021, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l’anno 2019, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero;

b)  quanto a 2,28 milioni di euro per l’anno 2020, a 12,66 milioni di euro per l'anno 2021, a 21,10 milioni di euro per l’anno 2022 e a 25,15 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (di cui all' articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307).

Ai sensi del comma 12 il Ministro dell’economia e delle finanze provvede con propri decreti alle occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 17
(
Imposta di bollo sulle fatture elettroniche)

 

 

L’articolo 17, modificato dalla Camera dei deputati, introduce una specifica procedura di comunicazione tra Amministrazione e contribuente per individuare il quantum dovuto nel caso di ritardato, omesso o insufficiente versamento dell’imposta di bollo dovuta sulle fatture elettroniche. L’amministrazione finanziaria deve comunicare con modalità telematiche al contribuente l’ammontare dell’imposta da versare nonché delle sanzioni per tardivo versamento e degli interessi. Viene altresì ridotta la misura delle sanzioni dovute. Nel corso dell'esame presso la Camera è stato inserito il nuovo comma 1-bis, che nel caso in cui gli importi dovuti non superino la soglia annua di 1.000 euro consente di pagare l’imposta di bollo sulle fatture elettroniche con due versamenti aventi cadenza semestrale, di cui il primo da effettuarsi entro il 16 giugno e il secondo entro il 16 dicembre di ciascun anno.

 

L’articolo 12-novies del decreto-legge n. 34 del 2019 consente all’Agenzia delle entrate, già in fase di ricezione delle fatture elettroniche, di verificare con procedure automatizzate la corretta annotazione dell’assolvimento dell’imposta di bollo, avendo riguardo alla natura e all’importo delle operazioni indicate nelle fatture stesse.

L’Agenzia delle entrate, ove rilevi che sulle fatture elettroniche non sia stata apposta la specifica annotazione di assolvimento dell’imposta di bollo, può integrare le fatture stesse con procedure automatizzate, già in fase di ricezione sul Sistema di interscambio (disciplinato dall’articolo 1, commi 211 e 212, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, legge finanziaria 2008).

L’Agenzia include nel calcolo dell’imposta dovuta, da rendere noto a ciascun soggetto passivo IVA (ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del D.M. del 16 giugno 2014), sia l’imposta dovuta in base a quanto correttamente dichiarato nella fattura, sia il maggior tributo calcolato sulle fatture nelle quali non è stato correttamente indicato l’assolvimento dell’imposta.

Nei casi residuali in cui non sia possibile effettuare tale verifica con procedure automatizzate, restano comunque applicabili le ordinarie procedure di regolarizzazione dell’assolvimento dell’imposta di bollo e di recupero del tributo, ai sensi del D.P.R. n. 642 del 1972 che reca il Testo Unico sull’imposta di bollo.

Nella formulazione previgente, il terzo periodo prevedeva che nel caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento dell'imposta - resa nota dall'Agenzia delle entrate secondo le ordinarie procedure - si applicasse la sanzione per ritardati od omessi versamenti, di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (trenta per cento dell’importo non versato, ridotto alla metà nel caso di ritardo non superiore alla metà, ulteriormente ridotta nel caso di ritardo non superiore a quindici giorni).

 

Con le modifiche in esame si introduce una specifica procedura di comunicazione tra Amministrazione e contribuente per individuare il quantum dovuto nel caso di ritardato, omesso o insufficiente versamento dell’imposta (in luogo di riferirsi al mancato, insufficiente o tardivo pagamento della stessa). L’Agenzia delle entrate deve comunicare al contribuente, con modalità telematiche, l’ammontare dell’imposta, della sanzione amministrativa e degli interessi.

Per quanto riguarda la sanzione, rispetto alla vigente misura essa è ridotta di un terzo rispetto all’importo indicato dall’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 per ritardato od omesso versamento.

Con riferimento agli interessi, si chiarisce che vengono comunicati quelli dovuti fino all'ultimo giorno del mese antecedente a quello dell'elaborazione della comunicazione.

Si prevede inoltre che, se il contribuente non provvede al pagamento in tutto o in parte delle somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate procede all’iscrizione a ruolo a titolo definitivo.

 

Con le modifiche al quarto periodo dell’articolo 12-novies si chiarisce che alle fatture inviate dal 1° gennaio 2020 si applicano tutte le norme del medesimo articolo 12-novies, in luogo di prevedere l’applicazione da tale termine del solo primo periodo (e cioè della disciplina relativa all’integrazione automatica delle fatture).

 

Il comma 1-bis dispone che, nel caso in cui gli importi dovuti non superino la soglia annua di 1000 euro, l’obbligo di versamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche può essere assolto con due versamenti aventi cadenza semestrale, di cui il primo da effettuarsi entro il 16 giugno e il secondo entro il 16 dicembre di ciascun anno.

 


 

Articolo 18
(Modifiche al regime dell’utilizzo del contante)

 

 

L'articolo 18 detta disposizioni volte a modificare il regime di utilizzo del contante, stabilendo che il valore soglia, pari a 3.000 euro nella legislazione previgente, oltre il quale si applica il divieto al trasferimento del contante fra soggetti diversi, venga ridotto a 2.000 euro a decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, per ridursi ulteriormente a 1.000 euro a decorrere dal 1° gennaio 2022

 

In particolare, il comma 1 dell'articolo in esame modifica l’articolo 49, del decreto legislativo n. 231 del 2007, che definisce i limiti all'uso del contante e dei titoli al portatore, ridefinendo:

§  la soglia oltre la quale si applica il divieto al trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche; e

§  la soglia per la negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta, svolta dai soggetti iscritti nella sezione prevista dall'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 141 del 2010, i quali esercitano professionalmente nei confronti del pubblico dell'attività di cambiavalute.

In entrambi i casi viene previsto che il valore soglia, pari a 3.000 euro nella legislazione previgente, venga ridotto a 2.000 euro a decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, per ridursi ulteriormente a 1.000 euro a decorrere dal 1° gennaio 2022.

 

L'analisi sull'utilizzo del contante nel nostro Paese è stata oggetto di un occasional paper pubblicato dalla Banca d'Italia a gennaio 2019, nel quale viene rilevata l'importanza del contante nelle transazioni giornaliere di piccolo importo. Tale rilevanza si riduce significativamente sia in relazione all'aumento del valore dell'operazione. Nelle spese caratterizzate da minor frequenza gli strumenti alternativi al contante costituiscono la modalità di pagamento prevalente.

 

Il lavoro analizza l'uso del contante in Italia e degli altri strumenti di pagamento presso i punti di vendita (POS) utilizzando i dati del campione italiano dell’indagine Study on the Use of Cash by Households (SUCH) condotta dalla BCE nel 2016.

L’Italia è risultato il Paese dell’area euro in cui è stato rilevato il maggior numero di transazioni giornaliere per persona, in media circa 2 transazioni di cui 1,7 in contanti. La media europea si attesta a 1,6 transazioni giornaliere, di cui 1,2 in contanti. Sia in Italia che negli altri Paesi europei il contante è stato ampiamente utilizzato negli acquisti giornalieri. Il 45 per cento degli intervistati italiani, rispetto al 43 per cento della media europea, ha dichiarato di preferire carte e altri strumenti rispetto al contante. L’88,9 per cento degli intervistati italiani ha affermato di possedere almeno una carta (di credito o debito) rispetto alla media europea del 93 per cento.

I risultati del diario di pagamento, mostrano che in Italia nel 2016 il contante è stato lo strumento più utilizzato nei punti vendita: l’85,9 per cento delle transazioni è stato regolato in contanti, per un valore pari al 68,4 per cento del totale. Gli strumenti alternativi al contante più utilizzati sono state le carte di pagamento (di debito, di credito e prepagate) con le quali è stato regolato il 12,9 per cento delle transazioni. Tale percentuale risulta più che raddoppiata se si prende in considerazione il valore delle operazioni (28,6 per cento) in quanto l'utilizzo degli strumenti alternativi al contante cresce sensibilmente quando l'importo della transazione supera le 100 euro.

Per il contante il valore medio di una transazione è stato di 13,57 euro, per le carte di 37,70 euro (per le carte contactless di 8,92 euro). Gli altri strumenti sono stati utilizzati per importi superiori, con un valore medio di 44,02 euro, maggiore per i bonifici (60,82 euro) e gli assegni (96,11 euro). In generale, l’importo medio delle transazioni è stato di 17,05 euro.

Complessivamente, gli importi delle transazioni regolate presso i punti vendita sono risultati piuttosto ridotti: il 90 per cento è stato inferiore a 40 euro.  Considerando le distribuzioni di frequenza del valore delle transazioni in rapporto al tipo di strumento si osserva che la gran parte delle transazioni effettuate in contanti ha presentato importi inferiori a 25 euro (85 per cento delle transazioni). L’utilizzo delle carte è invece distribuito più equamente tra i diversi importi, mentre assegni e bonifici sono stati utilizzati prevalentemente per pagamenti di valore superiore ai 200 euro. Ciò che emerge chiaramente è che, con riferimento alle operazioni quotidiane, all’aumentare dell’importo della transazione decresce la quota di pagamenti effettuata in contanti. Per i pagamenti quotidiani di importo superiore a 100 euro sono stati utilizzati in maggioranza gli strumenti alternativi al contante. I precedenti risultati sono limitati alle transazioni quotidiane presso i punti vendita.  Il questionario sulle abitudini di pagamento, che contiene dati su tutte le spese, non solo su quelle quotidiane, permette invece di rilevare come importi più elevati caratterizzino tipi di spese con frequenza più bassa rispetto agli acquisti quotidiani (spese mediche, utenze, rate del mutuo, premi assicurativi e pagamento delle imposte). Questi pagamenti, anche se meno frequenti (una volta al mese o anche poche volte in un anno), hanno un impatto maggiore sul consumo delle famiglie. Da una domanda ad hoc, presente nel suddetto questionario, risulta che, per le spese meno frequenti, gli strumenti alternativi sono utilizzati in misura maggiore rispetto al contante: essi sono ampiamente utilizzati per i pagamenti di affitto o mutuo (94 per cento), delle tasse (84 per cento), delle assicurazioni (82 per cento), di gas e riscaldamento (80 per cento), delle utenze elettriche (77 per cento) e telefoniche (65 per cento). Il contante è invece ancora abbastanza utilizzato per le spese mediche (41 per cento, contro il 59 degli strumenti alternativi).

 

Il divieto all'utilizzo del contante per operazioni che superano un dato importo viene considerato, nell'impianto normativo volto alla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, una delle misure di contrasto ulteriori rispetto agli obblighi di adeguata verifica della clientela che devono essere eseguiti da intermediari bancari e finanziari e altri operatori finanziari e non, individuati dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 231 del 2007, ai fini della segnalazione delle operazioni sospette

 

La tematica del riciclaggio del danaro di illecita provenienza (in inglese: money laundering) muove dall'assunto, consolidato nell'esperienza e negli studi criminologici, che l'attività criminosa in molti casi è motivata dal desiderio di arricchirsi. Il profitto del reato è dunque di norma bisognoso di essere reinserito nel circuito economico, senza lasciare la traccia del crimine.

 

Nell'ordinamento italiano il riciclaggio integra un'autonoma ipotesi di reato identificata da almeno quattro fattispecie incriminatrici:

 

§  l'articolo 648-bis del codice penale, che incrimina il riciclaggio di danaro, da parte di chi non ha concorso a commettere il reato da cui il danaro proviene. Per riciclaggio s'intende qui essenzialmente la sostituzione o il trasferimento di danaro con altro danaro, in modo da cancellare le tracce della provenienza illecita;

§  l'articolo 648-ter del codice penale, che incrimina il reimpiego del danaro di illecita provenienza. Con il reimpiego s'intende l'uso per investimenti del danaro illecito;

§  l'articolo 648-ter.1 del codice penale, che incrimina l'autoriciclaggio, vale a dire la condotta di riciclo da parte di chi ha commesso il reato sottostante;

§  l'art. 512-bis del codice penale, che incrimina l'intestazione fittizia di beni e danaro.

 

Accanto alle condotte penalmente rilevanti, la legge italiana reca un'articolata normativa volta a prevenire e contrastare le pratiche illecite. L'atto che ne contiene le principali disposizioni è decreto legislativo n. 231 del 2007, che ha dato attuazione nell'ordinamento nazionale alla direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, e ai successivi interventi a livello europeo, il più recente dei quali è la direttiva 2018/843/UE (cosiddetta "quinta direttiva antiriciclaggio"). Tali atti sono stati di volta in volta attuati nell'ordinamento nazionale conducendo alla costante modifica e integrazione del decreto legislativo n. 231 del 2007.

Il principale presupposto dell'attività preventiva e di contrasto del riciclaggio risiede nella tracciabilità dei flussi finanziari. Su tale base, la legislazione incide sugli obblighi di adeguata verifica della clientela a carico dei soggetti che sono coinvolti a titolo professionale nel percorso di tali flussi (banche, intermediari finanziari, commercialisti, notai, revisori legali dei conti, prestatori di servizi di gioco, e altri individuati dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 231 del 2007).

Tali obblighi di analisi delle operazioni sono principalmente volti a segnalare le operazioni sospette, per le quali i soggetti obbligati sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa.

Il sospetto è desunto, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 231 del 2007, dalle caratteristiche, dall'entità, dalla natura delle operazioni, dal loro collegamento o frazionamento o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta, in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi acquisiti nel corso delle verifiche effettuate ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo II del decreto legislativo n. 231 del 2007. Fra gli "elementi di sospetto", viene data autonoma e significativa rilevanza al ricorso frequente o ingiustificato ad operazioni in contante, anche se non eccedenti la soglia di cui all'articolo 49 oggetto delle modifiche in esame e, in particolare, al prelievo o il versamento in contante di importi non coerenti con il profilo di rischio del cliente.

Le segnalazioni vengono inviate all'Unità di informazione finanziaria per l'Italia (UIF), che emana e aggiorna periodicamente indicatori di anomalia, al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette. Oltre all'UIF, il decreto legislativo n. 231 del 2007 identifica (articoli 4-11) un complesso sistema di autorità di vigilanza di settore, regolandone le attribuzioni e disponendo che le stesse operino in costante collaborazione, interna e internazionale.  

 

Come misura ulteriore, rispetto alla segnalazione delle operazioni sospette, l'articolo 49 del decreto legislativo in materia di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo prevede il divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a una certa soglia. Tale soglia, prevista anche per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti, è stata portata a 3.000 euro dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) mentre, in precedenza, il decreto legge n. 201 del 2011 aveva ridotto il limite a 1.000 euro (il precedente limite per i cambia valute, previsto dal decreto legislativo n. 169 del 2012, era di 2.500 euro).

Il generale divieto di utilizzo del contante oltre un certo valore soglia è accompagnato da specifiche deroghe applicabili agli operatori del settore del commercio al minuto e del turismo, i cui operatori possono vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 10.000 euro in contanti, utilizzando un'apposita procedura. Un'ulteriore deroga riguarda il servizio di money transfer (rimessa di denaro), per il quale la soglia è invece fissata a 1.000 euro dall'articolo 49, comma 2, del decreto legislativo n. 231 del 2007. Alla luce delle modifiche in esame, tale valore è destinato essere ricompreso nella norma generale, non potendosi più configurare, a partire dal 2022, una fattispecie derogatoria rispetto alla soglia di 1.000 euro che sarà applicabile a tutte le operazioni.

 

La tracciabilità dei flussi finanziari e, di conseguenza, la limitazione all'utilizzo del contante, rappresenta anche un possibile strumento di contrasto dell'evasione fiscale. In tal senso, l'articolo 7-quater del decreto legge n. 193 del 2016, modificando il testo unico sull'accertamento delle imposte (D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 32), ha previsto, con riferimento ai titolari di reddito di impresa, un parametro quantitativo oltre il quale scatta la presunzione di evasione per i prelievi o i versamenti di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e a 5.000 euro mensili (da tale presunzione sono esclusi i compensi dei professionisti).

 

Per ulteriori approfondimenti sulla normativa antiriciclaggio, sulla normativa che regola i pagamenti, le commissioni sui pagamenti con carte, gli obblighi di pagamenti tracciabili, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica delle operazioni IVA, si fa rinvio alla relativa area tematica del sito della Camera dei deputati.


 

Articolo 19
(
Esenzione fiscale dei premi della lotteria degli scontrini
e istituzione di premi speciali per il
cashless)

 

 

L'articolo 19 esclude dall’imponibile le vincite della lotteria degli scontrini. Ove siano utilizzati strumenti di pagamento elettronici da parte dei consumatori, sono previsti premi aggiuntivi associati alla lotteria medesima, in luogo di aumentarne le probabilità di vincita (come previsto dalla previgente disciplina).

 

Si ricorda al riguardo che i commi da 540 a 544 della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) hanno previsto l’istituzione – inizialmente dal 2018, poi dal 2020 per effetto del decreto-legge n. 119 del 2018 - di una lotteria nazionale, cui partecipano i contribuenti che effettuano acquisti di beni o servizi presso esercenti che trasmettono telematicamente i corrispettivi. Per partecipare all'estrazione è necessario che i contribuenti, al momento dell'acquisto, comunichino il proprio codice fiscale all'esercente e che quest'ultimo trasmetta all'Agenzia delle entrate i dati della singola cessione o prestazione.

Il comma 543, che prevedeva l’istituzione di una lotteria sperimentale da istituire nelle more dell'attuazione delle misure di cui al comma 540, è stato abrogato dall'art. 18 del decreto-legge n. 119 del 2018.

 

Il comma 1, lettera a), modifica il comma 540 - istitutivo della lotteria degli scontrini – chiarendo che i premi della lotteria, per l'intero ammontare, non concorrono alla formazione del reddito del vincitore percepito nel periodo di imposta di riferimento.

Inoltre, le somme non sono assoggettate ad alcun prelievo erariale.

 

Si rammenta che dal 2012 il decreto del direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato del 12 ottobre 2011 ha introdotto un  prelievo sulla parte della vincita eccedente euro 500 per alcuni giochi, che è stato fissato - da ultimo – nel 12 per cento dall’articolo 6 decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 per alcuni giochi, tra cui le lotterie nazionali ad estrazione istantanea, Enalotto e Superstar e all’8 per cento per le vincite al lotto.

 

Il comma 1, lettera b) sostituisce il comma 542. Nel testo previgente la norma innalzava del 100 per cento la probabilità di vincita dei premi alla lotteria scontrini, in caso di transazioni effettuate con strumenti di pagamento elettronici, rispetto al caso di transazioni effettuate mediante denaro contante.

Con la novella in esame, in luogo di elevare le probabilità di vincita, sono istituiti premi speciali aggiuntivi per i consumatori che utilizzano strumenti di pagamento elettronici. La lotteria è rivolta, secondo il comma 540, ai contribuenti, persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio dello Stato, che effettuano acquisti di beni o servizi, fuori dall'esercizio di attività di impresa, arte o professione.

Sono inoltre previsti premi aggiuntivi per gli esercenti che, ai fini della certificazione delle operazioni di vendita o di cessione, utilizzano gli strumenti telematici per la memorizzazione e l'invio dei corrispettivi giornalieri (disciplinati dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 127 del 2015).

 

L'istituzione dei premi e le modalità di attuazione delle disposizioni in esame sono demandati al provvedimento di cui al comma 544. Quest'ultimo, come modificato dall'articolo 18 del decreto-legge n. 119 del 2018, rinvia a un provvedimento (non ancora emanato) del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, d’intesa con l’Agenzia delle entrate, la disciplina delle modalità tecniche relative alle operazioni di estrazione, l'entità e il numero dei premi messi a disposizione, nonché ogni altra disposizione necessaria per l'attuazione della lotteria.

 

Il tetto di spesa per i nuovi premi è determinato in 45 milioni di euro annui. Al fine di garantire le risorse per l'istituzione dei premi aggiuntivi e per le connesse spese di gestione amministrativa, la norma stabilisce un incremento, di 50 milioni annui a decorrere del 2020, del Fondo per la gestione della lotteria, istituito dall'articolo 18, comma 2, del decreto-legge n. 119 del 2018. Tale stanziamento è destinato anche alla copertura delle spese di gestione amministrativa della lotteria. Le risorse per le spese amministrative e di comunicazione sono attribuite alle amministrazioni che ne sostengono i costi.

 

Per la copertura degli oneri si veda la scheda sull'art. 59, comma 3, concernente le disposizioni finanziarie.


 

Articolo 20
(
Lotteria degli scontrini)

 

 

L'articolo 20, integralmente sostituito durante l'esame presso la Camera, prevede che il consumatore possa segnalare nella sezione dedicata dell'apposito Portale Lotteria la circostanza che l'esercente, al momento dell'acquisto, ha rifiutato di acquisire il codice lotteria, specificando che le segnalazioni sono utilizzate dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di Finanza per le analisi del rischio di evasione. L'istituzione della lotteria degli scontrini viene inoltre posticipata dal 1° gennaio al 1° luglio 2020.

 

L'articolo 20 del decreto legge in esame è stato integralmente sostituito dalla Camera, eliminando le sanzioni previste dal testo vigente che vengono sostituite da un sistema di segnalazioni, ai sensi del quale il consumatore può segnalare nella sezione dedicata dell'apposito Portale Lotteria la circostanza che l'esercente al momento dell'acquisto ha rifiutato di acquisire il codice lotteria. Tali segnalazioni sono utilizzate dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di Finanza nell'ambito delle attività di analisi del rischio di evasione effettuate ai sensi delle disposizioni contenute dal decreto legge n. 201 del 2011.

 

Si ricorda che l’articolo 20 nel testo vigente del decreto in esame, ha introdotto una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro per gli esercenti che, ai fini della partecipazione del contribuente alla lotteria degli scontrini, rifiutino il codice fiscale del contribuente o non trasmettano i dati della prestazione o cessione, escludendo in tal caso le disposizioni di favore previste per il concorso di violazioni tributarie. Il comma 2 prevede una moratoria alle predette sanzioni per i primi sei mesi di applicazione della lotteria. Esse non sono applicabili nei confronti degli esercenti che assolvono temporaneamente l'obbligo di memorizzazione dei corrispettivi attraverso strumenti inidonei alla trasmissione telematica o mediante ricevuta, scontrino fiscale, anche manuale o prestampato a tagli fissi (articolo 12, comma 1, della legge n. 413 del 1991 e D.P.R. n. 696 del 1996).

 

Il comma 1, lettera a), posticipa dal 1° gennaio al 1° luglio 2020 la data a decorrere dalla quale sarà possibile partecipare alla lotteria degli scontrini, intervenendo sui termini previsti dalla legge di bilancio 2017.

Viene inoltre previsto che i contribuenti, per partecipare all'estrazione, al momento dell'acquisto debbano comunicare all'esercente uno specifico codice lotteria invece del proprio codice fiscale. Il codice lotteria sarà concretamente individuato dal provvedimento attuativo della lotteria degli scontrini (comma 1, lettera b)).

Al riguardo, si segnala il provvedimento relativo alla memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi validi ai fini della lotteria degli scontrini adottato dall'Agenzia delle entrate il 30 ottobre 2019.

 

Come anticipato, il comma 1, lettera c) prevede che il consumatore possa segnalare nella sezione dedicata dell'apposito Portale Lotteria la circostanza che l'esercente, al momento dell'acquisto, ha rifiutato di acquisire il codice lotteria, specificando che le segnalazioni sono utilizzate dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di Finanza per le analisi del rischio di evasione.

 

Si ricorda che i commi da 540 a 544 della legge di bilancio 2017 (legge di bilancio 2017, successivamente modificata) hanno previsto l’istituzione dal 2020 di una lotteria nazionale, cui partecipano i contribuenti che effettuano acquisti di beni o servizi presso esercenti che trasmettono telematicamente i corrispettivi. Per partecipare all'estrazione è necessario che i contribuenti, al momento dell'acquisto, comunichino il proprio codice fiscale all'esercente e che quest'ultimo trasmetta all'Agenzia delle entrate i dati della singola cessione o prestazione. L'articolo 19 del provvedimento in esame esclude dall’imponibile le vincite della lotteria degli scontrini. Ove siano utilizzati strumenti di pagamento elettronici da parte dei consumatori sono previsti premi aggiuntivi associati alla lotteria medesima, in luogo di aumentarne le probabilità di vincita.  Per ulteriori informazioni si rinvia alla scheda relativa all'articolo 18 del decreto legge in esame.

 

Si rammenta che dal 1° luglio 2019 è iniziata la graduale sostituzione degli scontrini e delle ricevute fiscali con i corrispettivi elettronici, per effetto delle norme contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo n. 127 del 2015, come modificato nel tempo.

Dal 2020 scontrini e ricevute sono sostituiti da un documento commerciale, da emettere esclusivamente utilizzando un registratore telematico (RT) o una procedura web messa a disposizione gratuitamente dall’Agenzia delle entrate. Chi effettua operazioni di commercio al minuto e attività assimilate, per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura (se non richiesta dal cliente), deve certificare i corrispettivi tramite memorizzazione e trasmissione telematica degli stessi all’Agenzia delle entrate. Tale obbligo è già scattato per chi nel 2018 ha realizzato un volume d’affari superiore a 400.000 euro, mentre per gli altri operatori economici esso decorre dal 1° gennaio 2020.

Al riguardo, si segnala la Guida allo scontrino elettronico pubblicata dall'Agenzia delle entrate.


 

Articolo 21
(
Certificazioni fiscali e pagamenti elettronici)

 

 

L'articolo 21, modificato dalla Camera dei deputati, prevede la possibilità di utilizzare la piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati anche per la certificazione fiscale tra soggetti privati, tra cui la fatturazione elettronica e gli adempimenti connessi ai corrispettivi giornalieri (cd. scontrini elettronici).

Con una modifica approvata dalla Camera, si stabilisce che gli esercenti che svolgono attività di commercio al minuto o attività assimilate, per le quali non è obbligatoria l'emissione della fattura, possano assolvere agli obblighi di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri mediante i sistemi di incasso che utilizzino mezzi di pagamento elettronico, quali carte di credito o di debito.

 

Il comma 1 dell'articolo in esame introduce due nuovi commi all’articolo 5 del Codice dell'amministrazione digitale (CAD), di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, dedicato all'effettuazione di pagamenti con modalità informatiche.

L'articolo 5 del CAD sancisce l'obbligo per le pubbliche amministrazioni, le società a controllo pubblico (con alcune esclusioni riguardanti le società quotate) e i gestori di servizi pubblici, in relazione ai servizi di pubblico interesse, di accettare i pagamenti spettanti a qualsiasi titolo attraverso i servizi di pagamento elettronici (incluso l’utilizzo, per i micro pagamenti, del credito telefonico).

L’Agenzia per l’Italia Digitale - AGID è chiamata a mettere a disposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, per assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l'autenticazione certa dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento. Se effettuate tramite la piattaforma tecnologica, resta ferma, per i soggetti pubblici sopra ricordati, la possibilità di accettare anche altre forme di pagamento elettronico.

Per approfondimenti sulla piattaforma pagoPA si veda la relativa pagina sul sito dell'AGID.

 

Secondo il nuovo comma 2-sexies dell’articolo 5 CAD, la piattaforma può essere utilizzata per processi di certificazione fiscale tra soggetti privati, in particolare:

§  la fatturazione elettronica;

§  la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei dati dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, in sostituzione degli obblighi di registrazione.

 

Per approfondimenti, si rinvia al tema web su Fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle operazioni IVA.

 

Ai sensi del nuovo comma 2-septies dell’articolo 5 CAD, le regole tecniche di funzionamento sono fissate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri - o con decreto del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione - di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate.

 

Per la copertura degli oneri, connessi all'integrazione delle funzionalità della piattaforma finalizzate alla produzione automatica della fattura elettronica, si veda la scheda sull'articolo 59, comma 3.

 

Il comma 1-bis, introdotto dalla Camera integra l'articolo 2 del decreto legislativo n. 127 del 2015 con un nuovo comma 5-bis. Vi si prevede che i soggetti che effettuano attività di commercio al minuto o assimilate (come disciplinate dall'articolo 22 del D.P.R. n. 633 del 1972), i quali non sono tenuti ad emettere fattura se non a richiesta del cliente, possano assolvere agli obblighi di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri mediante sistemi di incasso "evoluti", che prevedano forme di pagamento elettronico (ivi comprese carte di credito o di debito) e consentano la memorizzazione, l’inalterabilità e la sicurezza dei dati. Si demanda a un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate la definizione dei profili attuativi delle disposizioni in esame, con riferimento alle informazioni da trasmettere, alle regole tecniche e ai termini per la trasmissione.  Dovranno inoltre essere definite le caratteristiche dei sistemi evoluti di incasso che assicurano la necessaria sicurezza e inalterabilità dei dati ai fini dell'assolvimento degli obblighi in parola.

 

L'articolo 2 del decreto legislativo n. 127 del 2015  rende obbligatoria dal 1° gennaio 2020 la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei dati relativi ai corrispettivi giornalieri per i soggetti che esercitano il commercio al minuto e le attività assimilate. Quanto agli strumenti tecnologici disponibili per assolvere tali adempimenti - Registratore telematico (RT) e procedura web - si veda la pagina dedicata sul sito dell'Agenzia delle entrate (Fatture elettroniche e corrispettivi telematici - Gli strumenti a disposizione). Si rammenta qui solamente che le caratteristiche tecniche degli strumenti sono state individuate con Le caratteristiche tecniche che deve possedere sono state stabilite dal provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 28 ottobre 2016.

 

Si ricorda che l'articolo 22 del D.P.R. 633/1972 esclude dall'obbligo di emissione della fattura le seguenti attività:

§  cessioni di beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione automatica, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante;

§  prestazioni alberghiere e le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi, nelle mense aziendali o mediante apparecchi di distribuzione automatica;

§  prestazioni di trasporto di persone nonché di veicoli e bagagli al seguito;

§  prestazioni di servizi rese nell'esercizio di imprese in locali aperti al pubblico, in forma ambulante o nell'abitazione dei clienti;

§  prestazioni di custodia e amministrazione di titoli e per gli altri servizi resi da aziende o istituti di credito e da società finanziarie o fiduciarie;

§  6 organizzazione di escursioni, visite della città, giri turistici ed eventi similari, effettuata dalle agenzie di viaggi e turismo;

§  prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici resi a committenti che agiscono al di fuori dell'esercizio d'impresa, arte o professione;

§  prestazioni di gestione del servizio delle lampade votive nei cimiteri

§  ulteriori operazioni esenti indicate dall'art. 10 del medesimo D.P.R.

 


 

Articolo 22
(
Credito d'imposta su commissioni pagamenti elettronici)

 

 

L'articolo 22, modificato dalla Camera dei deputati, introduce un credito d'imposta pari al 30 per cento delle commissioni addebitate per transazioni effettuate con carte di pagamento a decorrere dal 1° luglio 2020.

 

Esso è riconosciuto a esercenti i cui ricavi e compensi riferiti all'anno d'imposta precedente non eccedano l'importo di 400.000 euro. L'agevolazione si applica nel rispetto della normativa europea sugli aiuti de minimis. Sono quindi dettate le disposizioni relative alle modalità di utilizzo del credito in compensazione. Ai fini del riconoscimento del credito d'imposta, gli operatori che mettono a disposizioni i sistemi di pagamento elettronico sono tenuti a comunicare le informazioni necessarie all'Agenzia delle entrate, secondo le modalità che saranno definite con provvedimento del Direttore della medesima Agenzia. Durante l'esame presso la Camera è stato altresì disposto che un provvedimento della Banca d’Italia individui le modalità e i criteri con cui gli operatori finanziari devono trasmettere agli esercenti, mensilmente e per via telematica, l’elenco e le informazioni relativi alle transazioni effettuate.

 

Il comma 1 istituisce il credito d'imposta nella misura del 30 per cento delle commissioni richieste per pagamenti, effettuati a decorrere dal 1° luglio 2020, con carte di credito, debito o prepagate emesse da soggetti tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi (ivi compreso il codice fiscale) di ogni soggetto che intrattenga con gli stessi qualsiasi rapporto o effettui qualsiasi operazione di natura finanziaria, con talune esclusioni. Si tratta degli obblighi di comunicazione previsti dal D.P.R. 605 del 1973, all'articolo 7, sesto comma, concernente le comunicazione dovute all'Anagrafe tributaria. Tra questi soggetti sono da annoverare le banche, la Società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli OICR, le società di gestione del risparmio.

 

Al fine di garantire la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’ampliamento della platea dei destinatari del credito d’imposta, il nuovo comma 1-bis, ne quantifica gli oneri in 1,4 milioni per l’anno 2020 e a 2,8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021, prevedendone la relativa copertura mediante corrispondente riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE).

 

Quanto alla copertura degli oneri di cui al comma 1, essa è prevista a carico dell’articolo 59, comma 3 (cfr. la relativa scheda di lettura).

 

Il comma 2 stabilisce che tale credito di imposta relativo alle commissioni sia fruibile in relazione a pagamenti effettuati a fronte di operazioni di cessione di beni o prestazioni di servizi nei confronti di consumatori finali effettuate a decorrere dal 1° luglio 2020. È utilizzabile da esercenti attività di impresa, arte o professioni i cui ricavi o compensi abbiano valore inferiore a 400.000 euro nell'anno d'imposta precedente.

 

Il comma 3 specifica che all'agevolazione qui prevista sia applicata nel rispetto dei limiti e delle condizioni posti dalle norme europee in materia di aiuti de minimis (v. oltre).

 

Il credito d’imposta (comma 4) è utilizzabile esclusivamente in compensazione mediante modello F24 (ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997) a decorrere dal mese successivo a quello in cui sono state effettuate le spese agevolabili. Deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi fino a quello nel quale se ne conclude l’utilizzo.

A tale proposito si ricorda che l'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, in materia di compensazione (espressamente richiamato dal comma in esame) prevede che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

 

Il credito d'imposta non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi né del valore alla produzione ai fini IRAP. Esso, inoltre, non contribuisce alla formazione della misura che dà diritto alla corrispondente deducibilità di interessi passivi o altri componenti negativi di reddito, ai sensi della normativa IRES (di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. n. 917 del 1986).

 

I soggetti che emettono le carte di pagamento (vedi sopra comma 1) sono tenuti ad inviare telematicamente all'Agenzia delle entrate le comunicazioni necessarie alla verifica della spettanza del credito d'imposta (comma 5). Si fa quindi rinvio (comma 6) ad un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate per la definizione delle modalità attuative della disposizione in esame, riguardo alle modalità di trasmissione delle comunicazioni e ai contenuti delle stesse.

L’ultimo periodo del comma 5, inserito dalla Camera, stabilisce che la Banca d’Italia, con provvedimento da adottare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, individua le modalità e i criteri con cui gli operatori finanziari trasmettono agli esercenti, mensilmente e per via telematica, l’elenco e le informazioni relativi alle transazioni effettuate.

 

 

Per ciò che concerne la disciplina sugli aiuti di Stato, l'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare alla Commissione europea i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1, TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica.

Fanno eccezione all'obbligo di notifica alla Commissione UE, oltre alle specifiche categorie di aiuti esentati dalla stessa sulla base dei regolamenti di esenzione, gli aiuti di piccola entità, definiti dalla UE de minimis, che si presume non incidano sulla concorrenza in modo significativo. Per gli aiuti cd. de minimis, si richiama il regolamento (UE) n. 1407/2013 che è applicabile alle imprese operanti in tutti i settori, salvo specifiche eccezioni. Il massimale previsto da tale regolamento non ha subito variazioni rispetto al precedente regolamento n. 1698/2006, ed è stato confermato entro il limite di 200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari.

Gli aiuti de minimis per le imprese che producono prodotti agricoli sono disciplinati dal regolamento (UE) n. 1408/2013. Si tratta di quegli aiuti di importo complessivo non superiore a 15.000 euro - concessi da uno Stato membro a un'impresa unica - nell'arco di tre esercizi finanziari, che, per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive e oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e, dunque, non suscettibili di provocare un'alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici.

Per quanto concerne gli aiuti cosiddetti de minimis nel settore della pesca e dell'acquacoltura, questi sono disciplinati dal regolamento (UE) n. 717/2014. Vi si prevede, poi, che l'importo complessivo degli aiuti de minimis concessi da uno Stato membro a un'impresa unica nel settore della pesca e dell'acquacoltura non possa superare 30.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari. Si dispone, inoltre, che l'importo cumulativo degli aiuti de minimis concessi da uno Stato membro alle imprese che operano in tali settori, nell'arco di tre esercizi finanziari, non possa superare il limite nazionale stabilito nell'allegato al regolamento (che, per l'Italia, è fissato in 96.310.00 euro). Il regolamento 717/2014 si applica fino al 31 dicembre 2020.

 


 

Articolo 23 - SOPPRESSO
(Sanzioni per mancata accettazione di pagamenti
effettuati con carte di debito e credito
)

 

L'articolo 23 risulta soppresso per effetto delle modifiche approvate durante l'esame presso la Camera dei deputati.

 

Il testo vigente del decreto-legge in esame disciplina in norma primaria le sanzioni amministrative per la violazione dell’obbligo, da parte di commercianti e professionisti, di accettare pagamenti con carte di debito o di credito, a decorrere dal 1° luglio 2020. L'importo della sanzione è fissato in 30 euro, aumentato del 4 per cento del valore della transazione. Non trova applicazione il pagamento in misura ridotta, previsto dalle disposizioni vigenti in materia di sanzioni amministrative.


 

Capo II – Disposizioni in materia di giochi

Articolo 24
(
Proroga gare scommesse e Bingo)

 

 

L'articolo 24 proroga al 30 giugno 2020 e al 30 settembre 2020 i termini per indire le gare relative, rispettivamente, all'attribuzione delle concessioni di raccolta delle scommesse e del Bingo. In entrambi i casi vengono prorogate, a titolo oneroso, le concessioni in essere, prevedendo un aumento delle somme da versare annualmente in caso di proroga delle concessioni di raccolta delle scommesse.  

 

Al riguardo la relazione illustrativa chiarisce che le disposizioni in esame sono conseguenti alla sospensione, da parte del Consiglio di Stato, del parere obbligatorio da rendere sugli atti di gara. Il Consiglio di Stato ha infatti reso due pareri interlocutori (n. 257 e 258 del 2019) con i quali ha sospeso la pronuncia dei pareri sugli atti di gara relativi alle scommesse e al Bingo, nelle more degli adempimenti dell’amministrazione richiedente.

 

Ciò premesso, il comma 1 dell'articolo 24 modifica la legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), che prevede l’attribuzione (articolo 1, comma 1048) con gara, da parte dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, delle concessioni di raccolta delle scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, ivi compresi gli eventi simulati, per un introito previsto almeno pari a 410 milioni di euro.

Con la modifica in esame, il termine per indire tale gara viene prorogato dal 30 settembre 2018 al 30 giugno 2020. Con modifica introdotta dalla Camera, viene specificato in premessa che la proroga è disposta al fine di adeguare i bandi di gara prevedendo le più ampie misure preventive e di contrasto all'infiltrazione mafiosa, in particolare sulla composizione azionaria delle società concorrenti e sul rafforzamento della responsabilità in vigilando ed in eligendo da parte dei concessionari sulle filiere di riferimento.

 

L'Agenzia delle dogane e dei monopoli, nel rispetto dei princìpi e delle regole europee e nazionali, attribuisce le concessioni mediante procedura aperta, competitiva e non discriminatoria, nel rispetto delle condizioni già previste all'articolo 1, comma 932, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016):

a)   durata della concessione di nove anni, non rinnovabile, per la raccolta, esclusivamente in rete fisica, di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, ivi inclusi le scommesse su eventi simulati ed i concorsi pronostici su base sportiva ed ippica, presso punti di vendita aventi come attività prevalente la commercializzazione di prodotti di gioco pubblici, fino a un numero massimo di 10.000 diritti, e presso punti di vendita aventi come attività accessoria la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici, fino ad un massimo di 5.000 diritti, di cui fino a un massimo di 1.000 diritti negli esercizi in cui si effettua quale attività principale la somministrazione di alimenti e bevande;

b)  base d'asta non inferiore ad euro 32.000 per ogni punto di vendita avente come attività principale la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici e ad euro 18.000 per ogni punto di vendita avente come attività accessoria la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici;

c)   in caso di aggiudicazione, versamento della somma offerta entro la data di sottoscrizione della concessione;

d)  possibilità di partecipazione per i soggetti che già esercitano attività di raccolta di gioco in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi la sede legale ovvero operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell'ordinamento di tale Stato.

 

La legge di bilancio 2018, inoltre, ha previsto la proroga delle concessioni di raccolta delle scommesse in essere, nonché della titolarità dei punti di raccolta regolarizzati dalle leggi di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) e 2016, a fronte del versamento della somma annuale di 6.000 euro per diritto afferente ai punti vendita aventi come attività principale la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici, compresi i punti di raccolta regolarizzati, e di 3.500 euro per ogni diritto afferente ai punti vendita aventi come attività accessoria la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici.

Con la modifica in esame viene prorogato dal 31 dicembre 2019 al 31 dicembre 2020 il termine per le concessioni in essere e la titolarità dei punti di raccolta regolarizzati. Vengono inoltre aumentate le somme da versare annualmente in relazione alla proroga delle concessioni: da 6.000 a 7.500 euro, per i punti vendita in cui il gioco pubblico costituisce l'attività principale, e da 3.500 a 4.500 euro per i punti vendita in cui costituisce attività accessoria.

 

Il comma 2 modifica l’articolo 1, comma 636 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), ai sensi del quale l'Agenzia delle dogane e dei monopoli attribuisce le concessioni di gioco per la raccolta del Bingo dopo la loro scadenza secondo procedure di selezione concorrenziale, per perseguire il tendenziale allineamento temporale di tali concessioni, con riferimento alle concessioni in scadenza negli anni dal 2013 al 2019 e per un introito almeno pari a 73 milioni di euro.  La medesima legge di stabilità 2014 ha previsto, con riferimento al Bingo, una gara per l'attribuzione di 210 concessioni.

Con la modifica in esame:

§  viene prorogato dal 30 settembre 2018 al 30 settembre 2020 il termine per indire tale gara;

§  le concessioni in scadenza nel 2020 sono incluse nel novero di quelle oggetto di attribuzione, secondo le richiamate norme.

 

La relazione illustrativa del Governo chiarisce che in entrambi i casi (e cioè la proroga delle scommesse di cui al comma 1 e del Bingo di cui al comma 2) la proroga è prevista a titolo oneroso per i concessionari. Con riferimento al Bingo, l'onerosità della proroga deriva dai criteri direttivi dettati dal comma 636 della legge di stabilità 2014 in relazione alla gara da indire.

In particolare, i principi dettati dal comma 636 sono i seguenti:

a) introduzione del principio dell'onerosità delle concessioni per la raccolta del gioco del Bingo e fissazione nella somma di 350.000 euro della soglia minima corrispettiva per l'attribuzione di ciascuna concessione;

b) durata delle concessioni pari a nove anni, non rinnovabile;

c) versamento della somma di 7.500 euro, per ogni mese ovvero frazione di mese superiore ai quindici giorni, oppure di euro 3.500 per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni, da parte del concessionario in scadenza che intenda altresì partecipare al bando di gara per l'attribuzione della concessione, per ogni mese ovvero frazione di mese di proroga del rapporto di concessione scaduto e comunque fino alla data di sottoscrizione della nuova concessione, anche successivamente alla scadenza dei termini ivi previsti, e il divieto di trasferimento dei locali per tutto il periodo della proroga fatta eccezione per i concessionari che, successivamente al termine del 31 dicembre 2016, si trovino nell'impossibilità di mantenere la disponibilità dei locali per cause di forza maggiore e, comunque, non a loro imputabili o per scadenza del contratto di locazione oppure di altro titolo e che abbiano la disponibilità di un altro immobile, situato nello stesso comune, nel quale trasferirsi, ferma, comunque, la valutazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli;

d) all'atto dell'aggiudicazione, versamento della somma offerta ai sensi della lettera a) entro la data di sottoscrizione della concessione;

d-bis) possibilità di partecipazione per i soggetti che già esercitano attività di raccolta di gioco in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi la sede legale ovvero operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell'ordinamento di tale Stato;

e) determinazione nella somma complessiva annua di 300.000 euro dell'entità della garanzia bancaria ovvero assicurativa dovuta dal concessionario, per tutta la durata della concessione, a tutela dell'Amministrazione statale, durante l'intero arco di durata della concessione, per il mantenimento dei requisiti soggettivi ed oggettivi, dei livelli di servizio e di adempimento delle obbligazioni convenzionali pattuite.


 

Articolo 25
(
Termine per la sostituzione degli apparecchi da gioco)

 

 

L'articolo 25 proroga il termine a partire dal quale non è più possibile rilasciare nulla osta per gli apparecchi amusement with prizes - AWP di “vecchia generazione”, fissandolo al nono mese successivo alla data di pubblicazione del decreto ministeriale recante le regole tecniche di produzione dei nuovi apparecchi, che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto (cd. AWPR). Il termine ultimo per la dismissione degli apparecchi AWP è invece prorogato al dodicesimo mese successivo alla data di pubblicazione del medesimo decreto.  

 

Si ricorda preliminarmente che l’articolo 1, comma 943, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) ha stabilito che, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, venga disciplinato il processo di evoluzione tecnologica degli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n. 773 del 1931).

Si tratta di apparecchi da divertimento e intrattenimento idonei per il gioco lecito cosiddetti amusement with prizes (AWP o new slot).

La medesima norma stabiliva inoltre che i nulla osta per gli AWP non potessero più essere rilasciati dopo il 31 dicembre 2017, identificando l'ulteriore termine del 31 dicembre 2019 per la dismissione degli APW.

A partire dal 1º gennaio 2017, infatti, possono essere rilasciati solo nulla osta per apparecchi di nuova generazione, che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto (cd. AWPR).

Tale modalità presuppone l’utilizzo della connessione in rete come strumento di controllo che può, tra l’altro, inibire l’utilizzo delle macchine da gioco in particolari fasce orarie, prevedere l'attivazione di specifici alert contenenti avvertenze sui rischi connessi alla ludopatia, ridurre i rischi di manomissione dei contenuti di gioco e consentire una maggiore tracciabilità, grazie all’archiviazione digitale di ogni attività di manutenzione.

L’articolo 1, comma 943, della legge di stabilità 2016 collegava la riduzione degli AWP all’introduzione graduale nel mercato degli apparecchi di nuova generazione AWPR, stabilendo che tra il 2017 e il 2019 si realizzasse una riduzione del numero dei nulla osta.

Tale riduzione è stata accelerata con il successivo intervento, recato dall'articolo 6-bis del decreto legge n. 50 del 2017, che ha delegato le modalità di riduzione a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 luglio 2017, fissando il numero massimo dei nulla osta rilasciabili. In attuazione di tale disposizione, è stato adottato il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 25 luglio 2017 (Gazzetta Ufficiale n. 204 del 1 settembre 2017), che ha anticipato la riduzione nei tempi di conclusione e ne ha aumentato la portata pari al 34,9 per cento degli apparecchi, rispetto al 30 per cento previsto dalla legge di stabilità 2016.

La delega relativa all'introduzione graduale nel mercato di nuovi modelli di apparecchi AWPR è tuttavia rimasta inattuata e, di conseguenza, l'articolo 1, comma 1098, della legge n. 148 del 2018 (legge di bilancio 2019) ha prorogato al 31 dicembre 2019 la data a partire dalla quale non sarebbe stato più possibile rilasciare nulla osta per gli apparecchi di “vecchia generazione” (AWP) e al 31 dicembre 2020 il termine ultimo per la dismissione dei medesimi apparecchi.

Secondo quanto rappresentato nella relazione illustrativa del Governo, l'iter per l'adozione del un decreto ministeriale delegato dalla legge di stabilità 2016, contenente le regole tecniche di produzione degli APWR, non si è ancora concluso.

 

Di conseguenza, l’articolo in esame proroga il termine a partire dal quale non è più possibile rilasciare nulla osta per gli apparecchi AWP di “vecchia generazione”, fissandolo al nono mese successivo rispetto alla data di pubblicazione del decreto ministeriale contenete le regole tecniche di produzione dei nuovi apparecchi che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto (cd. AWPR).

Il termine ultimo per la dismissione degli apparecchi AWP è invece prorogato al dodicesimo mese successivo alla data di pubblicazione del medesimo decreto.

 


 

Articolo 26
(
Prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento)

 

 

L'articolo 26 incrementa, dal 10 febbraio 2020, la misura del prelievo erariale unico (PREU) sugli apparecchi da intrattenimento, fissate rispettivamente al 23 per cento per le new slot e al 9 per cento per le videolottery.

 

Gli apparecchi da divertimento e intrattenimento idonei per il gioco lecito identificati dall'articolo 110, comma 6, lettera a), i cosiddetti amusement with prizes (AWP o new slot) e lettera b), le cosiddette videolottery (VLT), del regio decreto n. 773 del 1931 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) sono soggetti all'applicazione del prelievo erariale unico (PREU) sull'ammontare delle somme giocate.

 

Le aliquote del PREU sono state oggetto di recenti interventi normativi con i quali sono state incrementate le misure del prelievo (articolo 9, comma 6, del decreto legge n. 87 del 2018; articolo 1, comma 1051, della legge n. 145 del 2018; articolo 27, comma 2, del decreto legge n. 4 del 2019).

Prima dell'entrata in vigore del decreto legge in esame, l’aliquota PREU per le AWP era pari al 21,6 per cento della raccolta e quella delle VLT era pari al 7,9 per cento della raccolta, con ulteriori aumenti già definiti a decorrere dal 1° gennaio 2020 (21,68 per cento e 7,93 per cento) e 1° gennaio 2021 (21,75 per cento e 8 per cento).

 

L'articolo in esame stabilisce, a decorrere dal 10 febbraio 2020 una nuova misura per le due aliquote del PREU, che vengono fissate, rispettivamente, al 23 per cento per gli AWP e al 9 per cento per le VLT.

Le aliquote vigenti, rispettivamente, del 21,6 per cento e del 7,9 per cento si applicano fino al 9 febbraio 2020

 

A decorrere dal 10 febbraio 2020, pertanto, l'aliquota prevista viene aumentata dell’1,32% per le AWP e dell’1,07% per le VLT.

Con riferimento al 2021, invece, l’aumento è pari all’1,25% per le AWP e all’1% per le VLT.

 


 

Articolo 27
(
Registro unico degli operatori del gioco pubblico)

 

 

L'articolo 27 istituisce il Registro unico degli operatori del gioco pubblico presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a decorrere dall’esercizio 2020. L'iscrizione al Registro costituisce titolo abilitativo all'esercizio di attività legate al gioco pubblico ed è disposta (e rinnovata annualmente) dall'Agenzia, previa verifica del possesso da parte dei richiedenti di specifici requisiti e condizioni, anche finanziari. L’esercizio di qualsiasi attività funzionale alla raccolta di gioco in assenza di iscrizione al Registro, determina l'applicazione di una sanzione amministrativa di 10.000 euro e l’impossibilità di iscriversi al Registro per i successivi 5 anni. Sono previste sanzioni anche per i concessionari di gioco pubblico che intrattengano rapporti contrattuali funzionali all'esercizio delle attività di gioco con soggetti diversi da quelli iscritti nel Registro.

 

L'articolo 27, comma 1, del decreto legge in esame istituisce il Registro unico degli operatori del gioco pubblico presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a decorrere dall’esercizio 2020. Il Registro è istituito all’esplicito scopo di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi e la diffusione del gioco illegale, nonché di perseguire un razionale assetto sul territorio dell’offerta di gioco pubblico.

 

L'iscrizione al Registro costituisce titolo abilitativo per i soggetti che svolgono attività legate al gioco pubblico ed è obbligatoria anche per i soggetti che già esercitano tali attività (comma 2).

 

Il comma 3 specifica le diverse categorie di operatori tenuti all'iscrizione:

§  produttori, proprietari e possessori (o detentori a qualsiasi titolo) di apparecchi da divertimento e intrattenimento idonei per il gioco lecito identificati dall'articolo 110, comma 6, lettera a), i cosiddetti amusement with prizes (AWP o new slot) e lettera b), le cosiddette videolottery (VLT), del regio decreto n. 773 del 1931 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), per i quali l'Agenzia delle dogane e dei monopoli rilascia il nulla osta e il codice identificativo univoco (lettera a) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 2.500 euro per i produttori, 500 euro per i proprietari e 200 euro per i possessori o detentori a qualsiasi titolo;

§  concessionari per la gestione della rete telematica degli apparecchi e terminali da intrattenimento che siano altresì proprietari degli apparecchi e terminali AWP e VLT (lettera b) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 10.000 euro da parte di tali soggetti;

§  produttori, proprietari e possessori (o detentori a qualsiasi titolo) degli apparecchi meccanici ed elettromeccanici di cui all’articolo 110, comma 7, lettere a), c), c-bis) e c-ter) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (lettera c) del comma 3). Per effetto delle modifiche approvate dalla Camera, viene ridefinito il perimetro dei soggetti inclusi nella c) del comma 3, disponendo che l'obbligo di iscrizione sia applicabile esclusivamente ai possessori (o detentori a qualsiasi titolo) dei predetti apparecchi che possono distribuire tagliandi direttamente e immediatamente dopo la conclusione della partita. Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 2.500 euro per i produttori, 500 euro per i proprietari e 200 euro per i possessori o detentori a qualsiasi titolo;

§  concessionari del gioco del Bingo (lettera d) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 10.000 euro da parte di tali soggetti;

§  concessionari di scommesse su eventi ippici, sportivi e non sportivi e su eventi simulati (lettera e) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 3.000 euro da parte di tali soggetti;

§  titolari di punti vendita dove si accettano scommesse su eventi ippici, sportivi e non sportivi, su eventi simulati e concorsi pronostici sportivi, nonché i titolari dei punti per la raccolta scommesse regolarizzati da specifici atti normativi e i titolari dei punti di raccolta ad essi collegati (lettera f) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 200 euro da parte di tali soggetti;

§  concessionari dei giochi numerici a quota fissa e a totalizzatore (lettera g) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 10.000 euro da parte di tali soggetti;

§  titolari dei punti di vendita delle lotterie istantanee e dei giochi numerici a quota fissa e a totalizzatore (lettera h) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 200 euro da parte di tali soggetti;

§  concessionari del gioco a distanza (lettera i) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 10.000 euro da parte di tali soggetti;

§  titolari dei punti di ricarica dei conti di gioco a distanza (lettera l) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 200 euro da parte di tali soggetti;

§  produttori delle piattaforme dei giochi a distanza e di piattaforme per eventi simulati (lettera m) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 2.500 euro da parte di tali soggetti;

§  società di corse che gestiscono gli ippodromi (lettera n) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 3.000 euro da parte di tali soggetti;

§  allibratori (lettera o) del comma 3). Ai fini dell'iscrizione, il successivo comma 4 prevede il versamento di una somma pari a 500 euro da parte di tali soggetti;

§  ogni altro soggetto non ricompreso fra quelli appena citati che svolge, sulla base di rapporti contrattuali continuativi con i medesimi, qualsiasi altra attività funzionale o collegata alla raccolta del gioco, individuato con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che fissa anche l’importo della somma da versare ai fini dell'iscrizione (lettera p) del comma 3).

 

L’iscrizione al Registro è disposta dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (comma 4) e deve essere rinnovata annualmente (comma 5). Ai fini dell'iscrizione, l'Agenzia svolge previa verifica del possesso da parte dei richiedenti di:

§  licenze previste testo unico delle leggi di pubblica sicurezza per l'esercizio di attività alberghiera e di ristoro verso il pubblico (articolo 86) e per l'esercizio delle scommesse (articolo 88);

§  autorizzazioni e concessioni necessarie ai sensi delle specifiche normative di settore;

§  certificazione antimafia prevista dalla disciplina vigente.

 

L'Agenzia verifica inoltre l'avvenuto versamento della somma annuale che gli operatori, a seconda della categoria di appartenenza, sono tenuti a corrispondere. I soggetti che operano in più ambiti di gioco sono tenuti al versamento di una sola somma d’iscrizione. I soggetti che svolgono più ruoli nell’ambito della filiera del gioco essendo, ad esempio, concessionari del gioco e, al contempo, titolari di punti di vendita o raccolta, sono tenuti al versamento della somma più alta fra quelle previste per le categorie in cui operano (comma 4-bis).

Il comma 6 dell'articolo in esame specifica che l’omesso versamento della somma d'iscrizione può essere regolarizzato, prima che la violazione sia accertata, con il versamento di un importo pari alla somma dovuta maggiorata di un importo pari al 2 per cento per ogni mese o frazione di mese di ritardo.

 

Il comma 7 delega a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze la definizione delle disposizioni applicative relative alla tenuta del Registro, all'iscrizione e alla cancellazione dallo stesso, nonché ai tempi e alle modalità di effettuazione del versamento della somma d'iscrizione.

 

Il comma 8 stabilisce le sanzioni per l’esercizio di qualsiasi attività funzionale alla raccolta di gioco in assenza di iscrizione al Registro, disponendo in tale caso l'applicazione di una sanzione amministrativa di 10.000 euro e l’impossibilità di iscriversi al Registro per i successivi 5 anni.

 

Il comma 9 dispone il divieto per i concessionari di gioco pubblico di intrattenere rapporti contrattuali funzionali all'esercizio delle attività di gioco con soggetti diversi da quelli iscritti nel Registro. In caso di violazione di tale divieto è stabilita una sanzione amministrativa pecuniaria di 10.000 euro e la risoluzione di diritto del rapporto contrattuale. Qualora la medesima violazione venga reiterata per tre volte nell'arco di un biennio è stabilita la revoca della concessione.

 

Il comma 10, infine, abroga, a decorrere dall’effettiva entrata in vigore del Registro unico degli operatori del gioco pubblico, l’elenco di cui all’articolo 1, comma 533, della legge n. 266 del 2005, al quale sono iscritti gli operatori del settore degli apparecchi da gioco con vincita in denaro (c.d. “Albo R.I.E.S.”).

Tali soggetti (circa 60.000 secondo la relazione tecnica del Governo) sono destinati a confluire, insieme agli altri operatori del gioco pubblico (stimati in 115.000 soggetti complessivi dalla medesima Relazione tecnica), nel Registro unico.


 

Articolo 28
(
Blocco dei pagamenti a soggetti senza concessione)

 

 

L'articolo 28 vieta alle società emittenti carte di credito e agli operatori bancari, finanziari e postali di trasferire somme di denaro ad operatori di gioco illegali che operano sul territorio nazionale. La violazione del divieto comporta l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. Sono di conseguenza abrogate le norme che ponevano, in capo ai medesimi soggetti, l’obbligo di segnalazione degli operatori irregolari all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.

 

Le disposizioni in esame sono finalizzate esplicitamente a favorire la tracciabilità dei pagamenti e a contrastare l'evasione fiscale e le infiltrazioni della criminalità organizzata.

I soggetti destinatari della norma sono, come accennato, le società emittenti carte di credito, gli operatori bancari, finanziari e postali. Essi hanno l'obbligo di non effettuare trasferimenti di somme in denaro a soggetti che offrono illegalmente giochi, scommesse o concorsi pronostici, con vincite in denaro, per via di reti telematiche o di telecomunicazione, sul territorio nazionale. Si tratta dei soggetti privi di concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo autorizzatorio o abilitativo non sospeso.

 

La sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione di tale obbligo è compresa da trecentomila a un milione e trecentomila euro per ciascuna violazione accertata ed è irrogata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli competente per il territorio ove il trasgressore ha il suo domicilio fiscale.

Le modalità di attuazione e la decorrenza delle disposizioni sono fissate con uno o più provvedimenti interdirigenziali del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

La nuova disciplina abroga e sostituisce quanto stabilito in materia dall'articolo 24, commi da 29 a 31, del decreto-legge n. 98 del 2011. 

 

Tali commi disponevano l'obbligo - nei confronti dei medesimi soggetti destinatari della norma in esame - di segnalare il trasferimento di somme verso operatori di gioco illegali. In particolare il comma 29 - in conformità con quanto stabilito dalle norme sui giochi contenute (commi da 11 a 26) nell'articolo 24 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008) - imponeva alle società emittenti carte di credito, agli operatori bancari, finanziari e postali di segnalare telematicamente all’AAMS i dati identificativi di coloro che dispongono trasferimenti di denaro a favore di operatori di gioco illegali. Di conseguenza il comma 30 dettava misure sanzionatorie (di tipo pecuniario, variabili da trecentomila a un milione e trecentomila euro) per le emittenti inadempienti, mentre il comma 31 affidava ad uno più provvedimenti interdirigenziali successivi del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato la definizione delle modalità attuative di tali disposizioni.

 

Su tale materia si veda il dossier "La disciplina dei giochi" ed il temaweb dedicato ai giochi.


 

Articolo 29
(Potenziamento dei controlli in materia di giochi)

 

 

L'articolo 29 autorizza la costituzione di un Fondo, di importo non superiore a 100.000 euro annui, da destinare alle operazioni di gioco a fini di controllo da parte di agenti sotto copertura, per prevenire il gioco da parte di minori, impedire l'esercizio abusivo del gioco con vincita in denaro e contrastare l'evasione fiscale e l'uso di pratiche illegali.

 

In particolare, l'unico comma dell'articolo in esame autorizza in primo luogo l'Agenzia delle dogane e dei monopoli a costituire, con risorse proprie, un fondo di importo non superiore a 100.000 euro annui da destinare a operazioni di gioco a fini di controllo. La finalità della misura consiste nel prevenire il gioco da parte dei minori, impedire l'esercizio abusivo del gioco con vincita in denaro, contrastare l'evasione fiscale e l'uso di pratiche illegali in elusione del monopolio pubblico del gioco. La costituzione del fondo e il suo utilizzo sono disciplinati con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Il personale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli è quindi autorizzato a effettuare operazioni di gioco a distanza o presso locali in cui si effettuano scommesse o sono installati apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto n. 773 del 1931, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine alle eventuali violazioni in materia di gioco pubblico (cd. agente sotto copertura).

La relazione illustrativa chiarisce infatti che, in base ai risultati delle indagini svolte dalla magistratura e dalle forze di polizia, è stato appurato che molte violazioni avvengono usando procedure e accorgimenti tecnici molto difficili da accertare. L'impiego di agenti sotto copertura potrebbe pertanto facilitare l'accertamento degli illeciti.

 

Tale facoltà è estesa anche alla Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri e al Corpo della Guardia di finanza, ciascuno dei quali può attingere al medesimo fondo, previo concerto con le competenti strutture dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli sono previste le disposizioni attuative e contabili per l’utilizzo del fondo, stabilendo che le eventuali vincite conseguite dal predetto personale nell'esercizio delle attività di cui al presente articolo siano riversate al fondo medesimo.

 

Gli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del regio decreto n. 773 del 1931 sono quelli che, dotati di attestato di conformità alle disposizioni vigenti rilasciato dal MEF - Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, si attivano con l'introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico definiti con provvedimenti del MEF - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nei quali insieme con l'elemento aleatorio sono presenti anche elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità di scegliere, all'avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte dal gioco, il costo della partita non supera 1 euro, la durata minima della partita è di quattro secondi e che distribuiscono vincite in denaro, ciascuna comunque di valore non superiore a 100 euro, erogate dalla macchina. Le vincite, computate dall'apparecchio in modo non predeterminabile su un ciclo complessivo di non più di 140.000 partite, devono risultare non inferiori al 75 per cento delle somme giocate. In ogni caso tali apparecchi non possono riprodurre il gioco del poker o comunque le sue regole fondamentali (articolo 110, comma 6, lettera a)).

Si tratta inoltre (articolo 110, comma 6, lettera b)) degli apparecchi facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa. Per tali apparecchi, con regolamento del MEF di concerto con il Ministro dell'interno sono definiti, tenendo conto delle specifiche condizioni di mercato:

1) il costo e le modalità di pagamento di ciascuna partita;

2) la percentuale minima della raccolta da destinare a vincite;

3) l'importo massimo e le modalità di riscossione delle vincite;

4) le specifiche di immodificabilità e di sicurezza, riferite anche al sistema di elaborazione a cui tali apparecchi sono connessi;

5) le soluzioni di responsabilizzazione del giocatore da adottare sugli apparecchi;

6) le tipologie e le caratteristiche degli esercizi pubblici e degli altri punti autorizzati alla raccolta di giochi nei quali possono essere installati gli apparecchi di cui alla presente lettera.

 

La disposizione in esame riprende quasi interamente quella contenuta nell'articolo 10, comma 1, del decreto-legge n. 16 del 2012, recante "Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento", che viene tuttavia riformulata in quanto antecedente all'accorpamento dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato con l'Agenzia delle dogane avuto luogo dal 1° dicembre 2012.

Si segnala in proposito che la disposizione abrogata demandava a un regolamento emanato dal MEF, di concerto con i Ministri dell'interno, della giustizia e della difesa, la disciplina, nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 51 del codice penale e 9 della legge n. 146 del 2006 (si veda infra), in quanto compatibili, delle modalità dispositive sulla base delle quali il predetto personale impegnato nelle attività sotto copertura poteva effettuare le operazioni di gioco.

 

L'articolo 51 del codice penale dispone che l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità.

Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine.

Risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.

Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine.

L'articolo 9 della legge 146 del 2006 disciplina compiutamente le cause che conducono alla non punibilità degli agenti delle Forze dell’ordine che commettono reati in quanto agenti sotto copertura, nel caso di specifiche operazioni di polizia e al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine a una serie di delitti.


 

Articolo 30, commi 1 e 2
(Requisiti titolari concessioni)

 

 

L'articolo 30, commi 1 e 2, vieta agli operatori economici che hanno commesso violazioni definitivamente accertate degli obblighi di pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali di essere titolari o condurre esercizi commerciali, locali o altri spazi all'interno dei quali sia offerto gioco pubblico.

Le norme inoltre estendono il divieto di partecipazione a gare o di rilascio o rinnovo o mantenimento di concessioni in materia di giochi pubblici anche al caso in cui, per le società partecipate da fondi di investimento o assimilati, l’imputazione riguardi il titolare o il rappresentante legale o negoziale ovvero il direttore generale della società di gestione del fondo per uno dei reati tributari contro la pubblica amministrazione o contro il patrimonio specificamente individuati ex lege.

 

In particolare, il comma 1 dell'articolo in esame dispone che non possono essere titolari o condurre esercizi commerciali, locali o altri spazi all'interno dei quali sia offerto gioco pubblico gli operatori economici che hanno commesso violazioni definitivamente accertate agli obblighi di pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali secondo quanto previsto dall’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici).

Quest'ultimo dispone l'esclusione dalla partecipazione a una procedura d'appalto di un operatore economico che abbia commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Si considerano gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di 5.000 euro (di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del d.P.R. n. 602 del 1973). Si considerano inoltre violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. L'esclusione non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.

 

L'articolo in esame fa riferimento a violazioni senza specificare che debbano essere di grave entità, come invece è richiesto dall'articolo 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016 richiamato.

 

Rimane fermo quanto previsto dall’articolo 24, comma 28, del decreto-legge n. 98 del 2011, ai sensi del quale non possono essere titolari o condurre esercizi commerciali, locali o altri spazi all'interno dei quali sia offerto gioco pubblico, persone fisiche nei cui confronti sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal codice antimafia (libro I, titolo I, capo II del D.Lgs. n. 159 del 2011).

 

Il comma 2 dell'articolo in esame novella l’articolo 24, comma 25, del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale prevede che non possa partecipare a gare o a procedure ad evidenza pubblica né ottenere il rilascio o rinnovo o mantenimento di concessioni in materia di giochi pubblici il soggetto il cui titolare o il rappresentante legale o negoziale, ovvero il direttore generale o il soggetto responsabile di sede secondaria o di stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, ovvero imputato per uno dei delitti previsti nel medesimo comma 25. Si tratta di alcuni reati tributari (dichiarazione fraudolenta), di delitti contro la pubblica amministrazione (tra cui peculato, concussione e corruzione, abuso d'ufficio) e contro il patrimonio (tra cui usura, ricettazione, riciclaggio). Il medesimo divieto si applica anche al soggetto partecipato, anche indirettamente, in misura superiore al 2 per cento del capitale o patrimonio da persone fisiche che risultino condannate, anche con sentenza non definitiva, ovvero imputate, per uno dei predetti delitti, nonché nel caso in cui la condanna, ovvero l'imputazione o la condizione di indagato sia riferita al coniuge non separato.

 

Con le modifiche in esame il divieto viene esteso al caso in cui, per le società partecipate da fondi di investimento o assimilati, l'imputazione o la condizione di indagato riguardi il titolare o il rappresentante legale o negoziale ovvero il direttore generale della società di gestione del fondo.

 

 


 

Articolo 30, commi 2-bis e 2-ter
(Valorizzazione e alienazione immobili Regioni)

 

 

Il comma 2-bis dell’articolo 30 modifica l'articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.?98, in materia di fondi comuni d'investimento immobiliare, al fine di estendere agli enti strumentali delle regioni la disposizione che prevede per gli enti territoriali che, in caso di apporto ai fondi gestiti dalla società Invimit, almeno il 70 per cento delle quote sia riconosciuto in favore di detti enti e la restante parte in denaro.

 

Ai sensi del comma 2-ter, la totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle regioni, degli enti locali e degli enti pubblici, anche economici, strumentali di ciascuna regione, trasferiti ai fondi in esame, è destinata alla riduzione del debito dell'Ente e, solo in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento.


 

Articolo 31
(Omesso versamento dell'imposta unica)

 

 

L'articolo 31 affida a un provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli la chiusura dei punti vendita in cui sono offerti al pubblico scommesse e concorsi pronostici, se il relativo concessionario è debitore d'imposta unica in base a sentenza anche non definitiva.

L’Agenzia delle dogane e dei monopoli diffida coloro che risultino inadempienti, in tutto o in parte, al versamento di quanto dovuto a titolo di imposta unica e, in caso di mancato versamento nei termini di cui al primo periodo, procede all’escussione delle garanzie prestate.

 

Il comma 1 individua la finalità della disposizione nella necessità di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, l'evasione, l'elusione fiscale e il riciclaggio nel settore del gioco, nonché di assicurare la tutela del giocatore ed evitare fenomeni di alterazione della concorrenza.

Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati è stato modificato il primo periodo del comma 1 espungendo dalle finalità della disposizione in esame il riferimento all’ordine pubblico.

Tale modifica, come si legge anche nella relazione illustrativa, si è resa necessaria in quanto la materia dell’ordine pubblico esula dall’ambito dell’operatività dell’Agenzia delle entrate e rientra nella competenza del questore quale autorità provinciale di pubblica sicurezza che ha la direzione, la responsabilità e il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica (articolo 14 legge 1° aprile 1981, n. 121).

Fermi restando i poteri e le competenze del Questore, nonché i divieti e le sanzioni vigenti in materia di offerta al pubblico di gioco, con provvedimento dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli si dispone la chiusura dei punti vendita nei quali si offrono al pubblico scommesse e concorsi pronostici qualora il soggetto che gestisce il punto di vendita risulti debitore d’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse (di cui al decreto legislativo n. 504 del 1998) in base a una sentenza, anche non definitiva, la cui esecutività non sia sospesa. La chiusura diventa definitiva con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

La disposizione si applica altresì ai punti vendita dei soggetti per conto dei quali l'attività è esercitata, che risultino debitori d’imposta unica anche in via solidale con il soggetto gestore del punto vendita.


 

L'imposta unica, istituita dal decreto legislativo del 23 dicembre 1998, n. 504, si applica ai concorsi pronostici e alle scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all'estero. Le aliquote sono variabili fra i vari tipi di gioco; la base imponibile per i concorsi pronostici è costituita dall'ammontare della somma corrisposta dal concorrente per il gioco al netto di diritti fissi e compensi ai ricevitori, mentre per le scommesse è costituita dall'ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa.

I soggetti passivi dell'imposta sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse.

L'articolo 4 del decreto legislativo n. 504 stabilisce le aliquote, differenziate per i concorsi pronostici (26,80 per cento) e per diverse categorie di scommesse a totalizzazione (20 per cento) e a quota fissa (con aliquote che variano fra il 2 e l'8 per cento su eventi diversi dalle corse dei cavalli e per le scommesse con modalità di interazione diretta tra i singoli giocatori).

Per ogni tipo di scommessa ippica a totalizzatore e a quota fissa (salvo la scommessa a totalizzatore sulle corse dei cavalli denominate Vincente nazionale e Accoppiata nazionale) l'aliquota è pari al 15,70 per cento della quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa.

Da ultimo, la legge di bilancio 2019 ha disposto che a decorrere dal l° gennaio 2019, l'imposta unica sia stabilita:

a) per i giochi di abilità a distanza con vincita in denaro e per il gioco del bingo a distanza, nella misura del 25 per cento delle somme che, in base al regolamento di gioco, non risultano restituite al giocatore;

b) per le scommesse a quota fissa, escluse le scommesse ippiche, nelle misure del 20 per cento, se la raccolta avviene su rete fisica, e del 24 per cento, se la raccolta avviene a distanza, applicata sulla differenza tra le somme giocate e le vincite corrisposte;

c) per le scommesse a quota fissa su eventi simulati di cui all'articolo 1, comma 88, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nella misura del 22 per cento della raccolta al netto delle somme che, in base al regolamento di gioco, sono restituite in vincite al giocatore.

La stessa legge di bilancio 2019 ha inoltre disposto la soppressione, a decorrere dal 1° luglio 2019, dell'imposta unica sui concorsi pronostici sportivi (gli attuali Totocalcio, IL9 e Totogol, in via di soppressione) e sulle scommesse a totalizzatore sportive e non sportive. In attesa della riforma dei concorsi pronostici sportivi prevista dalla stessa legge di bilancio 2019, da attuarsi con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, viene altresì stabilito che a partire dal 1º luglio 2019, e sino all'entrata in vigore del provvedimento richiamato, la ripartizione della posta di gioco per i concorsi pronostici sportivi e per le scommesse a totalizzatore sportive e non sportive è così stabilita:

a)   montepremi: 75 per cento;

b)   compenso del concessionario: 5 per cento;

c)   punto vendita a titolo di aggio: 8 per cento;

d)   società Sport e Salute Spa per le attività citate: 12 per cento.

 

Il provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli contiene l’invito al pagamento, entro trenta giorni dalla notifica, di quanto dovuto per effetto della sentenza di condanna e l’intimazione alla chiusura se, decorso il periodo previsto, non sia fornita prova dell’avvenuto pagamento. L’Agenzia delle dogane e dei monopoli avvisa senza ritardo il competente Comando della Guardia di Finanza per procedere all’esecuzione della chiusura. In caso di violazione della chiusura dell’esercizio, il soggetto sanzionato è punito con la sanzione amministrativa da diecimila a trentamila euro, oltre alla chiusura dell’esercizio in forma coattiva. In caso di sentenza favorevole al contribuente successiva al versamento del tributo, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli dispone il rimborso delle somme dovute, come risultanti dalla sentenza, entro novanta giorni dal deposito.

 

La relazione illustrativa motiva la disposizione considerando che il mancato pagamento dell'imposta unica, oltre a far venire meno il rapporto fiduciario con il concessionario, è suscettibile di produrre situazioni di "concorrenza sleale" da parte dei concessionari inadempienti rispetto agli operatori regolari.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame mira ad attribuire all'Agenzia delle dogane e dei monopoli ulteriori mezzi per il recupero dell'imposta unica. Si dispone infatti che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nell’ambito dell’attività ordinaria di controllo dei pagamenti da parte dei soggetti obbligati, procede a diffidare coloro che risultino inadempienti, in tutto o in parte, al versamento di quanto dovuto a titolo di imposta unica oltre a sanzioni ed interessi entro trenta giorni. In caso di mancato versamento nei termini di cui al primo periodo, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli procede all’escussione delle garanzie prestate in base ai regimi convenzionali previsti. Il soggetto obbligato è tenuto a reintegrare la garanzia entro novanta giorni dall’escussione, a pena di decadenza della concessione.

In base alla legislazione previgente (articolo 24, commi 4 e 6, del decreto-legge n. 98 del 2011), l'Amministrazione procedeva all'escussione delle garanzie presentate dal concessionario ai sensi della convenzione di concessione soltanto a seguito di iscrizione nei ruoli delle somme dovute in base ai controlli automatizzati effettuati dall'Amministrazione medesima.


 

Capo III – Ulteriori disposizioni fiscali

 

Articolo 32
(IVA scuole guida)

 

 

L'articolo 32, modificato dalla Camera, limita il perimetro delle prestazioni didattiche esenti dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) specificando che in tale perimetro non ricade l'insegnamento finalizzato a conseguire le patenti di guida delle categorie B e C1. Sono fatti salvi i comportamenti difformi adottati dal contribuente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. La disposizione consente tuttavia alle autoscuole di posticipare al 30 giugno 2020 l'adempimento degli obblighi di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri.

 

La modifica in esame mira ad adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario a seguito della recente sentenza della Corte di giustizia UE 14 marzo 2019, C-449/17 che ha chiarito la corretta interpretazione dell'articolo 132 paragrafo 1, lettere i) e j), della direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE relativa alle esenzioni IVA. La sentenza precisa che l'esenzione riguarda soltanto l'educazione dell'infanzia o della gioventù, l'insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili, nonché le lezioni impartite da insegnanti a titolo personale e relative all'insegnamento scolastico o universitario. Secondo la Corte, in particolare, l'esenzione IVA non si applica all’insegnamento della guida automobilistica impartito da una autoscuola, ai fini dell’ottenimento delle patenti di guida per i veicoli delle categorie B e C1, di cui all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2006/126. Secondo la Corte di Giustizia tale insegnamento, pur avendo ad oggetto varie conoscenze di ordine pratico e teorico, resta comunque un insegnamento specialistico che non equivale, di per sé stesso, alla trasmissione di conoscenze e di competenze aventi ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, nonché al loro approfondimento e al loro sviluppo, caratterizzanti l’insegnamento scolastico o universitario.

 

Con risoluzione n. 79/E, l'Agenzia delle entrate ha fornito indicazioni volte a tener conto del pronunciamento della Corte, ritenendo quindi superate precedenti indicazioni di segno contrario fornite dall'Agenzia stessa nel 1998 e nel 2005. Si chiederebbe in particolare alle singole autoscuole, stante l'efficacia ex tunc delle sentenze interpretative della Corte di giustizia UE e la diretta applicabilità delle stesse negli Stati membri:

i)    di emettere una nota di variazione in aumento con indicazione dell'IVA originariamente non esposta;

ii)  di redigere una dichiarazione annuale IVA integrativa relativa a ciascuna delle annualità precedenti ancora accertabili, in cui indicare il debito IVA derivante dall'applicazione dell'imposta a tutte le operazioni sin qui considerate esenti, e avendo cura di recuperare in detrazione tutta l'IVA sugli acquisti originariamente non detratta per effetto dell'applicazione del c.d. "pro-rata di indeducibilità";

iii) di determinare il conguaglio (a debito o credito) per ciascuna annualità e disporre il relativo versamento senza tuttavia l'applicazione delle sanzioni e degli interessi, per effetto del "principio di affidamento".

 

Intervenuti in audizione il 24 ottobre alla Camera dei deputati, i rappresentanti della Confederazione autoscuole riunite e consulenti automobilistici (Confarca) e dell'Unione nazionale autoscuole studi consulenza automobilistica (Unasca) hanno chiesto che la risoluzione dell'Agenzia delle entrate venga rettificata ? in quanto ne deriverebbero effetti ritenuti ingiusti per i contribuenti rientranti nella categoria rappresentata e per i clienti degli stessi ? ovvero, in alternativa, che si intervenga con un provvedimento legislativo.

 

Il comma 1 dell'articolo in esame novella l'articolo 10, comma 1, numero 20) del d.P.R. n. 633 del 1972 che stabilisce l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto delle prestazioni educative.

Nel corso dell'esame presso la Camera, la novella è stata modificata, in modo da escludere esplicitamente, dal novero delle prestazioni esenti il solo insegnamento della guida automobilistica ai fini dell'ottenimento delle patenti di guida per i veicoli delle categorie B e C1.

Rimane dunque impregiudicata l'esenzione IVA delle prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù, le prestazioni per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale.

 

Durante l'esame presso la Camera, è stato introdotto il comma 1-bis, che reca la copertura finanziaria degli oneri. Essa appare finalizzata a colmare il differenziale di maggior gettito atteso, rispetto a quello derivante dalla formulazione originaria del decreto, conseguente dall’esenzione IVA – disposta durante l'esame presso la Camera - delle prestazioni educative, per la formazione professionale e per le lezioni impartite da insegnanti.

Tali minori entrate sono valutate in 7 milioni di euro annui. Ad esse si provvede mediante l’utilizzo delle risorse del Fondo di parte corrente derivante dalla procedura del riaccertamento della sussistenza delle partite debitorie iscritte nel conto del patrimonio dello Stato in corrispondenza di residui perenti, di cui all’art. 34-ter, comma 5, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009) per ciascuno degli anni dal 2020 e al 2028, e mediante la corrispondente riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE) a decorrere dal 2029.

 

Durante l'esame presso la Camera dei deputati, per effetto della modifica del comma 1 sopra richiamata, si è soppresso il comma 2.

 

Si ricorda che il comma 2 stabiliva che le prestazioni d’insegnamento scolastico o universitario esenti dall'IVA, cioè quelle di cui all’articolo 10, comma 1, n. 20) del d.P.R. n. 633 del 1972, così come modificato dal comma 1, non comprendono l’insegnamento della guida automobilistica ai fini dell’ottenimento delle patenti di guida per i veicoli delle categorie B e C1.

 

Il comma 3 stabilisce che sono fatti salvi i comportamenti difformi adottati dai contribuenti anteriormente alla data di entrata in vigore della presente disposizione, per effetto della sentenza Corte di Giustizia dell'Unione europea.

 

La relazione illustrativa della modifica dell'articolo approvata dalla Camera chiarisce che i comportamenti che si intendono salvaguardare sono quelli tenuti dai contribuenti che, a seguito della citata sentenza e delle indicazioni dell'Agenzia delle entrate, hanno assoggettato le suddette prestazioni all'IVA anteriormente al 1° gennaio 2020 esercitando il conseguente diritto alla detrazione dell'imposta relativa agli acquisti.

 

Il comma 4 dispone la soppressione dell'articolo 2, lettera q), del d.P.R. n. 696 del 1996, lettera che esonera le prestazioni didattiche, finalizzate al conseguimento della patente, rese dalle autoscuole, dall'obbligo di certificazione fiscale dei corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi. Il comma in esame stabilisce quindi che per tali prestazioni didattiche le autoscuole, tenute alla memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 127 del  2015, possono, fino al 30 giugno 2020, documentare i corrispettivi mediante il rilascio della ricevuta fiscale di cui all'articolo 8 della legge n. 249 del 1976, ovvero dello scontrino fiscale di cui alla legge n. 18 del 1983, con l'osservanza delle relative discipline.

Come chiarito dalla relazione illustrativa, la disposizione in esame riconduce le autoscuole nell'ambito dei soggetti obbligati alla trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri, prevedendo tuttavia che l'obbligo di trasmissione telematica decorra dal 30 giugno 2020 per tener conto del tempo necessario all'adeguamento dei sistemi tecnici e informatici.

 

Il comma 5 del decreto-legge, infine, fissa l'entrata in vigore delle disposizioni in esame al 1° gennaio 2020.

Articolo 32-bis
(Adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 giugno 2019, causa C-291/18 (Direttiva 95/7/CE) - Modifica dell'articolo 2, comma 4 della L. n. 28/1997)

 

 

L'articolo 32-bis, inserito dalla Camera, espunge la cessione di piattaforme di perforazione dalle operazioni assimilate alle cessioni all'esportazione, le quali non rientrano nella base imponibile ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA).

 

Con la legge n. 28 del 1997 è stata recepita nell'ordinamento nazionale la direttiva 95/7/CE, recante semplificazioni in materia d'imposta sul valore aggiunto sui traffici internazionali, e norme di adeguamento della disciplina dell'imposta di bollo relativa ai contratti bancari e finanziari. L'articolo 2 definisce norme di razionalizzazione e semplificazione relative ai traffici internazionali. Il comma 4 specifica che sono considerate operazioni assimilate alle cessioni all'esportazione, le quali non rientrano nella base imponibile ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), una serie di operazioni ricondotte alla cessione di navi destinate all'esercizio di attività commerciali. Fra queste, in particolare, vengono incluse le cessioni di: galleggianti antincendio, gru galleggianti mobili, pontoni di sollevamento, pontoni posatubi o posacavi, chiatte nonché le piattaforme e i galleggianti mobili o sommergibili destinati alla attività di ricerca e di sfruttamento del suolo marino.

 

La possibilità di esentare dall'applicazione dell'IVA le cessioni di piattaforme di perforazione offshore è stata oggetto della sentenza della Corte di Giustizia UE del 20 giugno 2019, causa C-291/18.

 

Nel caso appena citato, la domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’articolo 148, lettere a) e c), della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’IVA (cosiddetta "direttiva IVA").  Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra una società operante nel settore petrolifero, avente sede in Romania, e le autorità tributarie del menzionato Stato membro, relativamente al diniego dall’esenzione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) riguardante la cessione, da parte della società in parola, di tre piattaforme di perforazione offshore autoelevatrici ad alcune società maltesi.

 

Sulla questione la Corte si è pronunciata dichiarando che l’articolo 148, lettere a) e c), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che nell’espressione "navi adibite alla navigazione in alto mare", che vi compare ai fini dell'esenzione, non sono ricomprese opere galleggianti, come le piattaforme di perforazione offshore autoelevatrici del tipo di cui al procedimento principale, che sono utilizzate in maniera preponderante in posizione immobile, per sfruttare giacimenti di idrocarburi in mare.

 

Per garantire l'adeguamento dell'ordinamento a tale sentenza, dunque, con modifica approvata dalla Camera, all'articolo 2, comma 4, della legge n. 28 del 1997, viene espunta la cessione di piattaforme dalle operazioni assimilate alle cessioni all'esportazione (in quanto ricomprese nella nozione di cessione di navi destinate all'esercizio di attività commerciali), le quali non rientrano nella base imponibile ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA). Viene inoltre aggiunto un nuovo periodo alla fine del comma 4, con il quale viene specificato che le norme da esso recate non si applicano alle piattaforme ancorate a terra con struttura emersa destinata alla coltivazione di idrocarburi o di ausilio alla prospezione, alla ricerca, alla coltivazione e allo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi in mare

 

 


 

Articolo 32-ter
(IVA agevolata su prodotti igienico-sanitari)

 

 

L’articolo 32-ter, introdotto durante l'esame presso la Camera dei deputati, dispone l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta al 5 per cento per i prodotti per la protezione dell'igiene femminile compostabili o lavabili e per le coppette mestruali dal 1° gennaio 2020.

 

A tal fine, il comma 1 inserisce un nuovo numero 1-quinquies) nella Tabella A, parte II-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che reca l’elenco dei beni e servizi soggetti ad aliquota IVA ridotta al 5 per cento, al fine di applicare la misura agevolate d’imposta ai prodotti per la protezione dell'igiene femminile compostabili secondo lo standard UNI 13432:2002 o lavabili e alle coppette mestruali.

Il comma 2 fissa la decorrenza dell’IVA ridotta al 1° gennaio 2020.

 

Si ricorda che la normativa UNI EN 13432:2002 disciplina i requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione: è una normativa su base volontaria, armonizzata a livello di Unione Europea e fornisce presunzione di conformità con la Direttiva Europea 94/62/CE, sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio.

 

In questa sede si ricorda che l’IVA è disciplinata a livello europeo dalla cosiddetta direttiva IVA (ora direttiva 2006/112/CE), che ha istituito il Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.

In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun Paese membro non può essereinferiore al 15 per cento. L’aliquota normale viene fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi (articolo 96).

Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva, tra cui esplicitamente figurano (numero 3) dell’allegato) i prodotti di protezione dell'igiene femminile. Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5 per cento. In deroga alle regole normali, alcuni Stati membri sono stati autorizzati a mantenere aliquote ridotte, comprese le aliquote super-ridotte e le aliquote zero, in alcuni ambiti, a condizione che tali aliquote fossero già in vigore al 1° gennaio 1991 e che la loro applicazione risponda a ben definite ragioni di interesse sociale (articolo 110).

In Italia, le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio:

§  l’aliquota normale è stabilita nella misura del 22 per cento;

§  l’aliquota ridotta del 10 per cento (che può essere modificata in aumento o in diminuzione per tutti i beni interessati) si applica per una serie di beni e servizi elencati nella parte III della Tabella A del D.P.R. n. 633 del 1972;

§  l’aliquota ridotta del 5 per cento (introdotta dalla legge n. 208 del 2015) si applica per i beni e servizi elencati nella parte II-bis della Tabella A del D.P.R. n. 633 del 1972 (prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative sociali e loro consorzi; basilico, rosmarino e salvia, freschi, origano a rametti o sgranato, destinati all'alimentazione; prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare, tartufi freschi o refrigerati);

§  l’aliquota “super-ridotta” del 4 per cento (che non può essere modificata in quanto oggetto di deroga specifica al momento della emanazione della prima direttiva IVA) per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella parte II della Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633. Si segnala che la legge di stabilità 2015 ha esteso, con una norma interpretativa, l'IVA ridotta al 4 per cento alle pubblicazioni commercializzate tramite mezzi di comunicazione elettronica (e-book).


 

Articolo 32-quater
(Modifiche al regime fiscale degli utili distribuiti a società semplici)

 

 

L’articolo 32-quater, introdotto dalla Camera chiarisce il regime fiscali dei dividendi corrisposti alle società semplici, introducendo il principio di tassazione per trasparenza in capo ai soci. Di conseguenza il regime fiscale applicabile a tali dividendi segue la natura giuridica dei soci stessi, variando a seconda che si tratti di persone fisiche, titolari di reddito d’impresa e soggetti IRES.

 

Si ricorda al riguardo che, ai sensi dell’articolo 5 del TUIR, le società semplici soggiacciono a specifiche regole sulla tassazione del proprio reddito: i redditi delle società semplici residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Le regole di determinazione del reddito per le società semplici, che non possono esercitare attività di tipo commerciale, sono analoghe a quelle delle persone fisiche: il reddito di tali enti è assoggettato a tassazione secondo le categorie previste dall'articolo 6 del Testo unico delle imposte sui redditi – Tuir (D.P.R. n. 917 del 1986,), escluso solo il reddito d'impresa di cui alla lettera e) del comma 1 del menzionato articolo 6.

L’articolo 1, commi da 999 a 1006, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018) ha apportato modifiche al regime impositivo dei redditi di natura finanziaria conseguiti da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio d’impresa, derivanti dal possesso e dalla cessione di partecipazioni qualificate ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c), del TUIR. In particolare, il regime fiscale applicabile ai redditi da partecipazioni qualificate è stato allineato a quello previsto per le partecipazioni non qualificate, con l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta o dell’imposta sostitutiva al 26 per cento.

Tra le norme abrogate con detta riforma vi è il previgente articolo 47, comma 1, primo periodo del TUIR – DPR n. 917 del 1986, ai sensi del quale gli utili provenienti da partecipazioni qualificate percepiti da persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa concorrevano a formare il reddito imponibile soltanto per il 58,14 per cento (misura così rideterminata nel tempo), al pari di quelli derivanti da partecipazioni detenute in regime d’impresa o dalle società semplici.  La nuova normativa prevede che tutti i dividendi che incassano i percipienti “diversi dalle imprese” siano soggetti a ritenuta di imposta a titolo definitivo del 26 per cento.

La formulazione della norma ha determinato alcune questioni di interpretazione applicativa con riferimento alle società semplici: l’articolo 27, comma 1 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che la ritenuta del 26 per cento si applichi alle "persone fisiche" e non cita le società semplici.

Dall’altro lato, le associazioni di categoria (Assonime, ODCDEC) hanno proposto diverse soluzioni interpretative alla questione: parte degli interpreti ha rilevato che le norme abrogate del citato articolo 47 TUIR, congiuntamente all’inapplicabilità alle società semplici della ritenuta (di cui all’articolo 27 del D.P.R. n. 600/1973) darebbe luogo alla imponibilità integrale degli utili percepiti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società, il che comporterebbe un livello di imposizione più alto per gli utili percepiti dalle società semplici rispetto a quelli percepiti dalle persone fisiche. Una diversa interpretazione prevede la parziale esclusione di tali utili da tassazione, applicando le medesime regole fissate per le società di persone commerciali e dunque la loro imponibilità per il 58, 14 per cento (articolo 59 TUIR).

Nell’interrogazione a risposta scritta 4-01162, presentata al Senato e tuttora in corso, è stato richiesto un chiarimento in ordine all’interpretazione della predetta riforma.

 

Le disposizioni in esame chiariscono quindi il regime dei dividendi percepiti dalle società semplici, che ai sensi del comma 1 si intendono percepiti per trasparenza dai rispettivi soci e, cioè, in capo ai soci stessi.

Si prevede dunque un trattamento fiscale differenziato degli utili che sono distribuiti alle società semplici - in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione - anche per somme o beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale - dalle società ed agli enti IRES residenti in Italia (di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) del TUIR), secondo la provenienza.

Di conseguenza:

a) con riferimento alla quota di dividendi che è imputabile ai soggetti IRES, tenuti all’applicazione dell’art. 89 del TUIR (che disciplina il trattamento fiscale dei dividendi per tali soggetti), i dividendi corrisposti alla società semplice sono esclusi dalla formazione del reddito complessivo per il 95 per cento del loro ammontare;

b) per la quota imputabile a soggetti titolari di reddito d’impresa, tenuti all’applicazione dell’articolo 59 TUIR (che disciplina il trattamento degli utili con riferimento al reddito d’impresa), i dividendi corrisposti alle società semplici sono esclusi dalla formazione del reddito complessivo, nella misura del 41,86 per cento del loro ammontare, nell'esercizio in cui sono percepiti;

c) per la quota imputabile alle persone fisiche residenti in relazione a partecipazioni, qualificate e non qualificate, non relative all’impresa (ai sensi dell’articolo 65 del TUIR) i dividendi sono soggetti a tassazione con applicazione di una ritenuta d’imposta, nella misura del 26 per cento prevista dall’articolo 27, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973.

In sostanza le norme in esame, applicando il principio di trasparenza fiscale, chiariscono che il trattamento dei dividendi corrisposti alle società semplici segue le regole che derivano dalla natura giuridica dei soci.

Si applica dunque la modalità di tassazione che sarebbe operativa secondo la natura del soggetto colpito, anche ove non vi fosse il tramite della società.

 

Il comma 2 chiarisce che la ritenuta del 26 per cento (di cui al comma 1, lettera c)) è operata dalle società e dagli enti IRES residenti (indicati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73 TUIR) sulla base delle informazioni fornite dalla società semplice. Sugli utili derivanti dalle azioni e dagli strumenti finanziari similari alle azioni, immessi nel sistema di deposito accentrato gestito dalla società di gestione accentrata, la natura del prelievo è quella di imposta sostitutiva al 26 per cento alle medesime condizioni.


 

Articolo 32-quinquies
(Trattamento fiscale delle convenzioni per la
realizzazione di opere di urbanizzazione)

 

 

L’articolo 32-quinquies, introdotto durante l'esame presso la Camera dei deputati, dispone l’esenzione dall'IVA dei contributi a fondo perduto erogati dalla provincia di Bolzano per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e di allacciamento da parte degli assegnatari di aree destinate all'edilizia abitativa agevolata.

 

In particolare, il comma 1 - richiamando l'articolo 1, comma 2, dello Statuto dei diritti dei contribuenti (legge n. 212 del 2000) ai sensi del quale l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica ? stabilisce che non si considerano corrispettivi rilevanti ai fini dell'IVA i contributi di cui all'articolo 87, comma 9, della legge provinciale di Bolzano n. 13 del 1998 (Ordinamento dell'edilizia abitativa agevolata), erogati dalla provincia per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e di allacciamento da parte degli assegnatari di aree destinate all'edilizia abitativa agevolata in attuazione della convenzione di cui all'articolo 131 della medesima legge provinciale.

 

L'articolo 87, comma 9, della legge provinciale di Bolzano n. 13 del 1998 dispone la concessione di un contributo a fondo perduto in misura del 60 per cento del costo approvato delle opere progettate per l'urbanizzazione primaria delle aree per l'edilizia abitativa agevolata nonché per le altre opere necessarie ad allacciare le aree stesse ai pubblici servizi. Il contributo a fondo perduto viene integrato in base al rendiconto finale fino ad un massimo del 60 per cento della spesa effettivamente sostenuta dal comune, purché il rendiconto finale venga presentato entro tre anni dalla data di concessione del contributo.

L'articolo 131 della medesima legge provinciale dispone che, qualora gli assegnatari delle aree destinate nelle zone di espansione all'edilizia abitativa agevolata o la comunione dei proprietari richieda di attuare in proprio, contemporaneamente alle costruzioni, le occorrenti opere di urbanizzazione primaria e di allacciamento ai pubblici servizi, il comune, qualora consenta, deve stipulare con i richiedenti una convenzione che contenga, oltre a quanto stabilito dall'articolo 40, comma 2, lettere a) e b), della legge urbanistica provinciale, il regolamento dei rapporti finanziari e le direttive per l'esecuzione delle opere, le quali devono essere collaudate dal comune.

 

Il comma 1-bis reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle presenti disposizioni in termini di minori entrate conseguenti all’esenzione dall'IVA dei contributi a fondo perduto erogati dalla provincia di Bolzano per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione, valutate in 300.000 euro annui a decorrere dal 2020.

A tali minori entrate si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE) a decorrere dal 2020.

 

 


 

Articolo 32-sexies
(Ristrutturazione e riqualificazione energetica
delle strutture degli ex ospedali psichiatrici)

 

 

L’articolo 32-sexies, introdotto dalla Camera, istituisce un Fondo per la ristrutturazione e la riqualificazione energetica delle strutture degli ex ospedali psichiatrici.

 

La disposizione istituisce un Fondo con uno stanziamento di 2 milioni di euro per ciascun anno dal 2020 al 2029; tuttavia, l'autorizzazione di spesa di cui al comma 2 e la relativa copertura finanziaria riguardano anche l'anno 2030. La dotazione del Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, è finalizzata alla ristrutturazione e alla riqualificazione energetica delle strutture degli ex ospedali psichiatrici, dismesse nell'anno 1999 per effetto della legge 13 maggio 1979, n. 180 (c.d. Legge Basaglia).

La norma specifica che gli interventi devono realizzarsi nel pieno rispetto del carattere storico, artistico, culturale ed etnoantropologico di tali strutture e demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della salute e per i beni e le attività culturali e per il turismo, l’individuazione delle strutture (destinatarie degli interventi) nonché delle modalità e dei criteri per l'assegnazione e l'utilizzo delle predette risorse.

Sembrerebbe opportuno valutare se il riferimento al solo anno 1999 sia esaustivo.

 

La riforma psichiatrica, attuata con legge 180/1978 (c.d. Legge Basaglia) e ulteriormente definita con legge 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, ha perseguito tre obiettivi fondamentali: depenalizzare la malattia mentale e regolamentare il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), in un quadro di tutela dei diritti del paziente, oltre che della collettività; favorire, con la chiusura degli ospedali psichiatrici, il recupero sociale, disincentivando la cronicizzazione del ricovero manicomiale; suggerire un modello assistenziale allargato nel territorio, facilmente accessibile per gli utenti e fondato sull'interazione interdisciplinare di più figure professionali e di interventi integrati.

Nel 1978 in Italia c’erano circa 80 complessi manicomiali ancora regolati dalla legge 36/1904. La chiusura degli ospedali psichiatrici non fu però immediata, e avvenne in tempi diversi a seconda della regione di riferimento. La legge 180 ha infatti demandato alle regioni l’organizzazione, con propria legge, dei servizi di assistenza psichiatrica, disponendo che fossero istituite, nell'ambito delle unità sanitarie locali, strutture dipartimentali per l'erogazione di servizi di salute mentale. Molti complessi manicomiali vennero pertanto utilizzati per i neocostituiti servizi psichiatrici, mentre altri continuarono ad erogare prestazioni residenziali di assistenza di lungo periodo o furono trasformati SPDC - Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, altri ancora, nonostante la legge Basaglia, hanno invece continuato a svolgere la loro funzione fino alla fine dell'ultimo decennio del secolo scorso (fra questi i complessi manicomiali di Colorno, Cremona, Pesaro, Voghera, Teramo, Macerata e Roma).

In rari casi, gli immobili sono stati venduti (ex manicomio di San Clemente a Venezia), mentre più spesso pur rimanendo pubblica, la proprietà dei complessi è stata concessa in uso ad altre istituzioni, in molti casi universitarie (si veda l’ex manicomio diventato facoltà di architettura a Ferrara), in altri casi ancora si è tentato di conservare traccia della fase manicomiale come nei casi del San Lazzaro di Reggio Emilia o del Santa Maria della Pietà a Roma.

Si ricorda inoltre che il decreto legge 52/2014, convertito con legge 81/2014 (che ha modificato l'art. 3-ter della legge 211/2011) ha delineato il percorso per giungere all'eliminazione degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG). L'eliminazione degli OPG ha previsto la loro sostituzione, ad opera delle regioni, con una pluralità di strutture denominate REMS (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) con un limitato numero di posti letto, a gestione sanitaria e con attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, ove necessaria. Il processo di chiusura di tutti i 6 OPG attivi sul territorio nazionale si è completato nel febbraio 2017.

 

Per le finalità richiamate è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per ciascun anno dal 2020 al 2030, mentre, come detto, per la dotazione del fondo si fa riferimento al periodo 2020-2029. Appare opportuna una ridefinizione di tale profilo.

All’onere si provvede mediante corrispondente riduzione (per gli anni dal 2020 al 2030) del Fondo per interventi strutturali di politica economica (articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282).

 


 

Articolo 33
(
Sospensione adempimenti connessi ad eventi sismici)

 

 

L’articolo 33 differisce al 16 gennaio 2020 la ripresa dei versamenti sospesi fino al 30 settembre 2019 per i contribuenti (persone fisiche non titolari di partita IVA e soggetti titolari di partita IVA) interessati dal sisma del 26 dicembre 2018 che ha colpito alcuni comuni della provincia di Catania.

 

In particolare il comma 1 prevede che i contribuenti aventi alla data del 26 dicembre 2018, la residenza, ovvero, la sede legale o la sede operativa, nel territorio dei comuni di Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Acireale, Milo, Santa Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana  Etnea, che hanno usufruito della sospensione dei termini dei versamenti tributari scadenti nel periodo  dal 26 dicembre 2018 al 30 settembre 2019 (disposta del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 25 gennaio 2019) eseguono i predetti versamenti, senza applicazione di sanzioni e interessi, in unica soluzione entro il 16 gennaio 2020, ovvero a decorrere dalla stessa data mediante rateizzazione fino a un massimo di diciotto rate mensili di pari importo da versare entro il 16 di ogni mese.

 

Il citato decreto del 5 febbraio 2019 ha disposto per i cittadini che avevano la residenza alla data del 26 dicembre 2018 nel territorio dei comuni di Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci Sant'Antonio, Acireale, Milo, Santa Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana Etnea, nonché per i soggetti titolari di partita IVA aventi la sede legale o sede operativa nei territori dei comuni richiamati, la sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari, inclusi quelli derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione scadenti nel periodo compreso tra il 26 dicembre 2018 e il 30 settembre 2019. Il decreto stabiliva che gli adempimenti e i versamenti oggetto di sospensione devono essere effettuati in unica soluzione entro il 31 ottobre 2019 e che la sospensione non si applica alle ritenute che devono essere operate e versate dai sostituti d'imposta.

 

La norma specifica che gli adempimenti tributari, diversi dai versamenti, non eseguiti per effetto della sospensione, sono effettuati entro il mese di gennaio 2020.

Il comma 2 dispone la copertura finanziaria del costo del differimento della sospensione dei versamenti (valutato in 9,2 milioni di euro per l’anno 2019).


 

Articolo 33-bis
(Finanziamento Fondo vittime dell’amianto)

 

 

L’articolo 33-bis - introdotto nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati - rifinanzia il Fondo per le vittime dell’amianto per gli anni 2019-2020.

 

Più nel dettaglio, l’articolo in esame dispone il rifinanziamento del suddetto Fondo - istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dall’art. 1, comma 278, della legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) – per un importo pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 (comma 1).

Si ricorda, al riguardo, che il Fondo per le vittime dell’amianto è stato istituito in favore degli eredi dei soggetti deceduti in seguito a patologie asbesto correlate per esposizione all’amianto nell’esecuzione delle operazioni portuali attuate per realizzare la cessazione dell'impiego dell'amianto (con conseguente applicazione della L. 257/1992). Il suddetto Fondo, la cui dotazione iniziale era pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, concorre al pagamento di quanto spettante ai superstiti a titolo di risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, come liquidato con sentenza esecutiva o, secondo una modifica introdotta dall’art. 1, comma 188, della legge di bilancio 2018 (L. n. 205/2017), con verbale di conciliazione giudiziale.  Si ricorda, inoltre, che le prestazioni del Fondo non escludono la fruizione dei diritti derivanti dalle norme generali e speciali dell'ordinamento e si cumulano con essi. Il richiamato art. 1, comma 278, della legge di stabilità 2016 demandava a un apposito decreto interministeriale la definizione delle modalità di erogazione delle prestazioni. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 27 ottobre 2016, che ha definito le procedure e le modalità di erogazione delle prestazioni del Fondo in favore degli eredi di coloro che sono deceduti a seguito di patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto. 

Alla copertura finanziaria dei suddetti oneri si fa fronte mediante contestuale riduzione, per una somma di pari importo, del Fondo istituito presso l’INAIL ai sensi dell’art. 1, comma 862, della legge di stabilità 2016 (comma 2).

Si ricorda, in proposito, che il citato art. 1, comma 862, della legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) ha istituito un fondo presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), con la finalità di favorire il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, con effetto dal 1º gennaio 2016. Il citato fondo, la cui dotazione iniziale era pari a 45 milioni di euro per l'anno 2016 e a 35 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, è destinato a finanziare gli investimenti, effettuati da micro e piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli, per l'acquisto o il noleggio con patto di acquisto di trattori agricoli o forestali o di macchine agricole e forestali, caratterizzati da soluzioni innovative per l'abbattimento delle emissioni inquinanti, la riduzione del rischio rumore, il miglioramento del rendimento e della sostenibilità globali delle aziende agricole, nel rispetto del regolamento (UE) n. 702/2014 della Commissione, del 25 giugno 2014.

 

 


 

Articolo 34
(
Compartecipazione comunale al gettito accertato)

 

 

L’articolo 34 proroga all’anno 2021 l’attribuzione ai comuni dell'incentivo previsto per la partecipazione all'attività di accertamento tributario, pari al 100 per cento del riscosso a titolo di accertamento nell’anno precedente, a seguito delle segnalazioni qualificate trasmesse da tali enti.

 

Tale incentivo è stato da ultimo esteso al 2019 dall’articolo 4, comma 8-bis del decreto-legge n. 193 del 2016 (che ha modificato il decreto-legge n. 138 del 2011; articolo 1, comma 12- bis)

 

Si ricorda che, in applicazione del principio di sussidiarietà e al fine di rafforzare gli strumenti della lotta all’evasione fiscale, il legislatore ha complessivamente previsto un maggior coinvolgimento degli Enti territoriali nell’attività di accertamento e riscossione.

Per quanto concerne i comuni, l’articolo 1, comma 1 del decreto-legge n. 203/2005 disponeva in origine l’attribuzione a tali enti di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme riscosse con il concorso dei medesimi. Tale ammontare è stato poi elevato al 50 per cento dall'articolo 2, comma 10, lettera b), del d.lgs. n. 23 del 2011 (cd. federalismo municipale) e, successivamente, dall’articolo 1, comma 12-bis, del decreto-legge 138 del 2011, che ha assegnato ai comuni, per gli anni 2012, 2013 e 2014, l’intero maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento svolto dall’ente stesso nell’attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo.

Con la legge di stabilità 2015 (comma 702 della legge n. 190 del 2014) per il triennio 2015-2017 la predetta quota era stata fissata nella misura del 55 per cento; secondo tale assetto normativo, ai Comini sarebbe spettato un ammontare inferiore a quello temporaneamente attribuito nel triennio precedente (2012-2014), ancorché in misura più elevata (55 per cento anziché 50 per cento) di quanto stabilito, in via ordinaria, dalla legge (D.Lgs. n. 23 del 2011).

L’articolo 10, comma 12-duodecies, del decreto-legge n. 192 del 2014, modificando il decreto-legge n. 138 del 2011, ha disposto il riconoscimento (in origine fino al 2017) ai comuni il 100 per cento delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione dei comuni stessi all'azione di contrasto all'evasione.


 

Articolo 35
(
Deducibilità interessi passivi)

 

 

L’articolo 35 modifica, ampliandolo, l’ambito operativo delle norme che consentono la deducibilità IRES senza i limiti di legge (articolo 96 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR) degli interessi passivi sui prestiti utilizzati per finanziare progetti infrastrutturali pubblici a lungo termine.

 

L’articolo 96 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986) detta disposizioni che limitano la deducibilità degli interessi passivi per i soggetti IRES. In estrema sintesi, si prevede che gli interessi passivi e gli oneri assimilati siano deducibili sino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati e, per l’eccedenza, nel limite del 30% del risultato operativo lordo – ROL della gestione caratteristica.

L’eventuale eccedenza degli interessi passivi rispetto al predetto limite è indeducibile, ma può essere portata in diminuzione dal reddito dei periodi successivi fino a concorrenza del ROL, a specifiche condizioni. In sostanza gli interessi passivi e gli oneri indeducibili in un determinato periodo di imposta concorrono a formare il reddito negli esercizi successivi, a patto che il ROL del relativo periodo sia capiente.

Il Decreto Legislativo n. 142 del 2018, che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2016/1164/UE (cd. direttiva ATAD 1 – Anti Tax Avoidance), adottata dalla Commissione UE per introdurre nei Paesi membri misure uniformi volte a contrastare l’elusione fiscale, ha modificato la predetta disciplina della deducibilità degli interessi passivi. Per effetto delle nuove norme, i limiti di legge si applicano anche agli interessi capitalizzati, introducendo una nuova definizione degli interessi passivi e degli oneri assimilati rilevanti a fini fiscali. É stata resa riportabile in avanti anche l’eccedenza di interessi attivi rispetto a quelli passivi ed è stato adottato un concetto di ROL basato sulla normativa fiscale, in luogo di quella contabile.

 

Il comma 8 dell’articolo 96 prevede che siano esclusi dai limiti di deducibilità gli interessi passivi e gli oneri finanziari che presentino tutte le seguenti caratteristiche:

§  sono relativi a prestiti, utilizzati per finanziare un progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine, che non sono garantiti né da beni appartenenti al gestore del progetto infrastrutturale pubblico diversi da quelli afferenti al progetto infrastrutturale stesso, né da soggetti diversi dal gestore del progetto infrastrutturale pubblico;

§  il soggetto gestore del progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine è residente, ai fini fiscali, in uno Stato dell'Unione europea;

§  i beni utilizzati per la realizzazione del progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine e quelli la cui realizzazione, miglioramento, mantenimento costituiscono oggetto del progetto si trovano in uno Stato dell'Unione europea.

Le norme (comma 9 dell’articolo 96) recano specifiche modalità di individuazione degli interessi passivi riguardanti i predetti progetti. Se il progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine è caratterizzato da un regime di segregazione patrimoniale rispetto alle altre attività e passività del gestore, o il prestito utilizzato per finanziare tale progetto è rimborsato esclusivamente con i flussi finanziari attivi generati dal progetto stesso, gli interessi passivi e oneri finanziari assimilati esclusi dai limiti di deducibilità sono quelli che maturano sui prestiti oggetto di segregazione patrimoniale o su quelli destinati esclusivamente al finanziamento del progetto e rimborsati solo con i flussi generati da esso. Sono altresì indicate le modalità di calcolo del ROL: esso viene determinato senza tenere conto del valore e dei costi della produzione afferenti al progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine (comma 10).

 

Ai sensi del previgente comma 11, ai fini dell’esclusione dai limiti agli interessi passivi posti dall’articolo 96 TUIR, per progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine si intende il progetto rientrante tra quelli cui si applicano le disposizioni della Parte V del Codice Appalti (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), che si occupa di infrastrutture e insediamenti prioritari.

Le modifiche in esame (nuovo comma 11, lettera a)) mantengono ferma la definizione rilevante di progetto infrastrutturale pubblico a lungo termine, tramite rinvio alla Parte V del Codice degli Appalti.

 

Il Governo, nella relazione illustrativa, ricorda che il finanziamento dei progetti infrastrutturali pubblici di interesse generale è solitamente attuato attraverso gli schemi operativi tipici della finanza di progetto, che prevedono la costituzione, da parte dell’aggiudicatario della gara pubblica, di una società di progetto, per effettuare la segregazione patrimoniale del progetto rispetto alle altre attività e passività. Le società di progetto possono essere costituite anche al fine di realizzare gli interventi inseriti nel Piano triennale dei lavori pubblici, di cui all’articolo 21, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice degli appalti). I finanziamenti alla società di progetto, nella prassi di mercato, sono garantiti da varie forme che confluiscono nel c.d. security package e sono, comunque, richieste a fronte di prestiti destinati a finanziare esclusivamente il progetto infrastrutturale pubblico.

Con le modifiche in esame viene tuttavia chiarito (novellato comma 11, lettera b) che, nel caso di costituzione di una società di progetto strumentale alla segregazione patrimoniale rispetto ad attività e passività non afferenti al progetto infrastrutturale, sono integralmente deducibili gli interessi passivi e gli oneri finanziari relativi ai prestiti stipulati dalla società di progetto, anche se assistiti da garanzie diverse dai beni appartenenti al gestore del progetto e afferenti al progetto stesso – diverse da quelle individuate all’articolo 96, comma 8, lettera a) TUIR - utilizzati per finanziare progetti infrastrutturali pubblici mediante contratti di concessione e di partenariato pubblico privato, di cui alle Parti III, IV e V, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Si ricorda che, ai sensi della richiamata lettera a) del comma 8, affinché gli interessi passivi siano deducibili senza limiti, essi devono riguardare prestiti non garantiti da beni appartenenti al gestore del progetto infrastrutturale pubblico diversi da quelli afferenti al progetto infrastrutturale stesso, né da soggetti diversi dal gestore del progetto infrastrutturale pubblico.

Le modifiche in esame, ai fini della libera deducibilità degli interessi passivi, individuano tra i finanziamenti rilevanti quelli utilizzati per finanziare progetti infrastrutturali pubblici rientranti (oltre che nella parte V del Codice degli appalti) anche nelle Parti III e IV dello stesso Codice, relative ai contratti di concessione e di partenariato pubblico privato.


 

Articolo 36
(
Incentivi Conto Energia)

 

 

L’articolo 36, modificato nel corso dell’esame presso la Camera, interviene sul divieto di cumulo degli incentivi alla produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici - riconosciuti dal III, IV e V “Conto energia” - con la detassazione fiscale per investimenti ambientali prevista dalla Legge finanziaria 2001. Si prevede, in particolare, che i soggetti interessati dalle misure possano mantenere il diritto a beneficiare delle tariffe incentivanti riconosciute dal Gestore dei Servizi Energetici, subordinatamente alla restituzione di una somma relativa ai benefici fiscali goduti ai sensi della Legge finanziaria 2001. I soggetti che intendono avvalersi della definizione di cui sopra devono presentare apposita comunicazione all'Agenzia delle entrate, indicando l'eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto il recupero delle agevolazioni non spettanti in virtù del divieto di cumulo e l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi. La definizione si perfeziona con il pagamento degli importi dovuti entro il 30 giugno 2020.

Resta ferma la facoltà di agire in giudizio per coloro che non ritengono di avvalersi della facoltà di cui alla norma in esame.

Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, è stata introdotta la previsione secondo la quale – nei casi in cui il contribuente si avvalga della definizione di cui sopra effettuando il relativo pagamento - il Gestore dei servizi energetici (GSE) non applica le decurtazioni degli incentivi previste a titolo di sanzione per le irregolarità riscontrate di cui all’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011 e tiene conto della disciplina del presente articolo relativa ai giudizi pendenti.

 

Appare opportuno sottolineare che le agevolazioni tariffarie e fiscali in questione sono state già riconosciute ai beneficiari e ad esse, attualmente, non è più possibile accedere. La norma in esame intende dunque definire posizioni giuridiche soggettive già sorte. Infatti, dal 6 luglio 2013, gli impianti fotovoltaici non possono più accedere alle incentivazioni del “Conto energia” e, dunque, esse allo stato continuano ad essere riconosciute solo a quegli impianti che vi hanno già avuto accesso.

Lo stesso dicasi per la detassazione fiscale per investimenti ambientali, cd. “Tremonti ambiente”, le cui norme - articolo 6, commi da 13 a 19 della legge n. 388/2000 sono state abrogate dall’articolo 23, comma 7 del D.L. n. 83/2012. Le norme in questione avevano previsto che, a decorrere dall'esercizio 2001, la quota di reddito delle piccole e medie imprese destinata a investimenti ambientali non concorresse a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi. Conseguentemente, è stato possibile beneficiare di tale agevolazione, con riferimento agli investimenti ambientali realizzati entro la data del 25 giugno 2012 (giorno precedente all’entrata in vigore del D.L. n. 83/2012 che ha abrogato le citate norme).

Si è così posto, nel corso del tempo, il problema della cumulabilità delle due forme agevolative, dato il silenzio in tal senso della normativa contenuta nella legge finanziaria 2001.

L'Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 58/E del 20 luglio 2016, aveva infatti ritenuto necessario chiarire che la cd. “Tremonti ambiente” dovesse ritenersi fruibile anche in presenza di altre misure di favore, salvo che le norme disciplinanti le altre misure non disponessero diversamente.

Sulla questione è così intervenuto il GSE, titolare del procedimento amministrativo di concessione e revoca delle tariffe incentivanti per la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, con un comunicato del 22 novembre 2017. In tale comunicato, il GSE ha precisato che:

§  rispetto ai primi decreti di incentivazione della produzione di energia da fonti fotovoltaiche: D.M. 28 luglio 2005 (I Conto Energia) e 19 febbraio 2007 (II Conto Energia) è possibile, alla luce delle relative disposizioni in tema di cumulabilità, beneficiare sia dell’agevolazione fiscale di cui alla cd. “Tremonti ambiente” sia delle tariffe incentivanti riconosciute dal GSE alla produzione di energia elettrica, nei limiti del 20% del costo dell’investimento;

§  mentre, relativamente ai successivi decreti di incentivazione della produzione di energia da fonti fotovoltaiche, l’articolo 5 del D.M. 6 agosto 2010 (III Conto Energia) e gli articoli 5 e 12, rispettivamente, del D.M. 5 maggio 2011 (IV Conto Energia) e 5 luglio 2012 (V Conto Energia) stabiliscono le condizioni di cumulabilità, elencando in modo tassativo i contributi e benefici pubblici esclusi dal divieto di cumulo, non includendo la detassazione per investimenti ambientali.

Da tali considerazioni, il GSE ha fatto derivare che la detassazione di cui alla cd. “Tremonti ambiente” non è cumulabile in alcuna misura con le tariffe incentivanti spettanti ai sensi del III, IV e V Conto Energia. Pertanto, ha specificato che, nell’ipotesi di voler continuare a godere delle tariffe incentivanti del III, IV e V Conto Energia, era necessario che il Soggetto Responsabile rinunciasse al beneficio fiscale goduto, manifestandone la volontà all’Agenzia delle Entrate secondo le modalità e le prassi già rese disponibili dalla stessa, entro dodici mesi successivi alla pubblicazione del comunicato (dunque, 22 novembre 2018), dando evidenza al GSE dell’avvenuta richiesta e quindi dell’effettiva rinuncia ai benefici fiscali.

 

La relazione illustrativa al decreto legge afferma che l’articolo qui in esame è dunque finalizzato a superare le problematiche applicative derivanti dal divieto di cumulo delle agevolazioni – anche al fine di superare i numerosi contenziosi che si sono instaurati sia in ambito amministrativo sia in ambito tributario – definendo, a livello normativo primario, la procedura diretta a consentire al contribuente di mantenere il diritto a beneficiare delle tariffe incentivanti versando una somma parametrata alla variazione in diminuzione effettuata in dichiarazione dei redditi.

 

Nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo dispone che, in caso di cumulo degli incentivi alla produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici di cui ai D.M.6 agosto 2010 (III Conto energia), 5 maggio 2011 (IV Conto energia)e 5 luglio 2012 (V Conto energia) con il sistema di detassazione per investimenti ambientali realizzati da piccole e medie imprese previsto dalla legge finanziaria 2001 (articolo 6, commi da 13 a 19, L. n. 388/2000), il contribuente ha facoltà di avvalersi di quanto previsto dal successivo comma 2.

Tale disposizione prevede che il mantenimento del diritto a beneficiare delle tariffe incentivanti riconosciute dal Gestore dei Servizi Energetici alla produzione di energia elettrica è subordinato al pagamento di una somma determinata applicando alla variazione in diminuzione effettuata in dichiarazione relativa alla detassazione per investimenti ambientali l’aliquota d’imposta pro tempore vigente.

Ai sensi del comma 3, i soggetti che intendono avvalersi della definizione di cui sopra, devono presentare apposita comunicazione all'Agenzia delle entrate. Le modalità di presentazione e il contenuto della comunicazione sono stabiliti con provvedimento del Direttore dell'Agenzia medesima, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.

Ai sensi del comma 4, nella comunicazione il contribuente deve indicare l'eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto il recupero delle agevolazioni non spettanti in virtù del divieto di cumulo e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi, i quali, dietro presentazione di copia della comunicazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice.

L'estinzione del giudizio è subordinata all'effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti.

Ai sensi del comma 5, la definizione si perfeziona con la presentazione della comunicazione e con il pagamento degli importi dovuti entro il 30 giugno 2020.

Il comma 6 lascia impregiudicata la facoltà di agire in giudizio a tutela dei propri diritti per coloro che non ritengono di avvalersi della facoltà di cui ai commi precedenti.

Nel corso dell’esame presso la Camera, è stato introdotto il comma 6-bis, il quale dispone che – nei casi in cui il contribuente eserciti la facoltà di cui al comma 1 ed effettui il relativo pagamento transattivo di cui al comma 2, il Gestore dei servizi energetici – GSE non applica le decurtazioni degli incentivi di cui all’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011 e tiene conto della disciplina di cui al comma 4 del presente articolo relativa ai giudizi pendenti.

Le decurtazioni degli incentivi di cui all’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011 sono quelle che vengono applicate nel caso in cui il GSE, soggetto competente all’erogazione delle agevolazioni nel settore delle fonti rinnovabili, riscontri irregolarità all’esito dei controlli e della verifica dei dati presentati da coloro che fruiscono o che chiedono di fruire degli incentivi stessi.

La normativa contenuta nell’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011, come modificata ed integrata dall’articolo 13-bis del D.L. n. 101/2019, prevede - al fine di salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili - che il GSE applichi la decurtazione dell'incentivo in ragione dell'entità della violazione. L’entità della decurtazione è stata da ultimo rimodulata dall’articolo 13-bis del D.L. n. 101/2019 convertito in legge con L. 128/2019, con la previsione che le rimodulazioni trovino applicazione anche agli impianti realizzati ed in esercizio oggetto di procedimenti amministrativi in corso e, su richiesta dell’interessato, a quelli definiti con provvedimenti del GSE di decadenza degli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti, nonché a quelli non definiti con sentenza passata in giudicato alla data del 3 novembre 2019.

Si osserva come il nuovo comma 6-bis attribuisca di fatto alla definizione transattiva di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo un effetto sanante delle eventuali irregolarità di cui all’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011, ovvero alle irregolarità riscontrate dal GSE all’esito dei controlli e della verifica dei dati presentati da coloro che fruiscono o che chiedono di fruire degli incentivi alle fonti rinnovabili.

In tale contesto, si valuti l’opportunità di chiarire la locuzione secondo la quale il GSE tiene conto della disciplina di cui al comma 4 del presente articolo relativa ai giudizi pendenti.

 

Nel dettaglio, l’articolo 42 del D.Lgs. 28/2011 dispone, al comma 1, che l’erogazione di incentivi nel settore elettrico e termico, di competenza del GSE, è subordinata alla verifica dei dati forniti dai soggetti responsabili che presentano istanza. Il comma 3 disciplina l'apparato sanzionatorio nel caso siano riscontrate violazioni. Nel dettaglio il comma dispone:

§  al primo periodo, che, nel caso in cui le violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi, il GSE dispone il rigetto dell'istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate, e trasmette all'ARERA l'esito degli accertamenti effettuati per l'applicazione da parte di questa delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 20 della legge n. 481/1995;

§  al secondo periodo, modificato dall’articolo 32, comma 1, lettera a) del D.L. n. 101/2019, che, in deroga al periodo precedente, al fine di salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili degli impianti che al momento dell'accertamento della violazione percepiscono incentivi, il GSE dispone la decurtazione dell'incentivo in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento in ragione dell'entità della violazione.

§  al terzo periodo, modificato dall’articolo 32, comma 1, lettera a) del D.L. n. 101/2019, che, nel caso in cui le violazioni siano spontaneamente denunciate dal soggetto responsabile al di fuori di un procedimento di verifica e controllo le decurtazioni sono ulteriormente ridotte della metà.

L’articolo 32, comma 2 del D.L. n. 101/2019 che ha rimodulato i limiti minimi e massimi delle decurtazioni, secondo le soglie sopra indicate, ha disposto che esse trovino applicazione da parte del GSE anche agli impianti realizzati ed in esercizio oggetto di procedimenti amministrativi in corso e, su richiesta dell’interessato, a quelli definiti con provvedimenti del GSE di decadenza degli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti, nonché a quelli non definiti con sentenza passata in giudicato alla data del 3 novembre 2019 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 101/2019).

Il comma 3-quater, dell’articolo 42 del D.Lgs. n. 28/2011, modificato dall’articolo 32, comma 1, lettera b) del D.L. n. 101/2019, al fine di salvaguardare le iniziative di realizzazione di impianti fotovoltaici di piccola taglia, salvaguardando la buona fede di coloro che hanno realizzato l'investimento, dispone che - agli impianti di potenza compresa tra 1 e 3 kW nei quali, a seguito di verifica, risultino installati moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento – il GSE applichi una decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante sin dalla data di decorrenza della convenzione, fermo restando, ove ne ricorra il caso, l'annullamento della maggiorazione dell’incentivo (prevista dall'articolo 14, comma 1, lettera d), del D.M. 5 maggio 2011 e all'articolo 5, comma 2, lettera a), del D.M. 5 luglio 2012), fermo restando il diritto di rivalsa del beneficiario nei confronti dei soggetti responsabili della non conformità dei moduli installati. La decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante si applica anche agli impianti ai quali è stata precedentemente applicata la decurtazione del 30 per cento, prevista dalle disposizioni previgenti.


 

Articolo 37
(
Riapertura termini prima rata definizione agevolata 2019,
compensazione debiti tributari e interessi
)

 

 

L’articolo 37, modificato dalla Camera dei deputati, posticipa dal 31 luglio al 30 novembre 2019 il termine per il versamento di somme dovute a titolo di definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione (cd. rottamazione-ter delle cartelle esattoriali), disciplinata dal decreto-legge n. 119 del 2018.

Nel corso dell’esame alla Camera:

§   è stato inserito un comma 1-bis, che estende al 2019 e al 2020 le norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, con riferimento ai carichi affidati agli Agenti della riscossione entro il 31 ottobre 2019;

§  sono stati introdotti due ulteriori commi, per riordinare la disciplina generale degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di tutti i tributi. Tali interessi sono fissati, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, entro una forbice compresa tra lo 0,1 e il 3 per cento.

 

Il decreto-legge n. 119 del 2018 e la legge di bilancio 2019, legge n. 145 del 2018 (nel solco degli interventi degli anni precedenti) hanno introdotto misure complessivamente volte a consentire la chiusura delle pendenze col fisco attraverso una molteplicità di strumenti.

In particolare, l’articolo 3 del decreto-legge n. 119 del 2018 ha disciplinato la definizione agevolata (cd. rottamazione ter), che consente di definire con modalità agevolate, e cioè beneficiando dell'abbattimento delle sanzioni, degli interessi di mora e delle sanzioni e somme aggiuntive, i debiti risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017. Tali norme hanno inoltre consentito l’accesso alla definizione agevolata anche a chi avesse aderito alle precedenti “rottamazioni” (disposte nel 2016 e nel 2017), per la restante parte del debito.

I termini per usufruire della cd. rottamazione-ter, dunque per presentare o integrare la relativa dichiarazione di adesione, sono stati prorogati al 31 luglio 2019 dall'originario termine del 30 aprile, per effetto delle norme contenute nel decreto-legge n. 34 del 2019 (articolo 16-bis).

Per ulteriori approfondimenti su tali istituti si rinvia al sito della documentazione parlamentare e a quello dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

 

Più in dettaglio, il comma 1 proroga al 30 novembre 2019 le seguenti scadenze:

§  il termine per il pagamento in un’unica soluzione, ovvero della prima rata, delle somme dovute per l’adesione alla cd. rottamazione-ter, ovvero la definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 ed il 31 dicembre 2017 (articolo 3, comma 2, lettera a) del decreto-legge n. 119 del 2018), originariamente fissato al 31 luglio 2019;

§  il termine per il pagamento in unica soluzione, ovvero della prima rata, delle somme residue dovute per la cd. rottamazione-bis (disciplinata dal decreto-legge n. 148 del 2017 e relativa ai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio al 30 settembre 2017), previsto in origine per il 31 luglio 2019 dall’articolo 3, commi 21 e 22 del decreto-legge n. 119 del 2018.

Il richiamato comma 21 ha consentito ai debitori aderenti alla rottamazione-bis, ove avessero effettuano tempestivamente il pagamento delle rate in scadenza nel 2018, di fruire del differimento automatico del versamento delle restanti somme dovute ai medesimi fini. In sostanza, i soggetti aderenti definizione agevolata 2017, con regolari adempimenti per l’anno 2018, ha potuto usufruire della “nuova” definizione agevolata 2019 per la restante parte del debito già “rottamato”. Il comma 22 consente il pagamento in un’unica soluzione.

Si rinvia al sito della documentazione parlamentare per ulteriori informazioni sulla rottamazione-bis;

§  il termine per il pagamento in unica soluzione, ovvero della prima rata, del quantum residuo dovuto dai soggetti aderenti alla rottamazione-bis, originariamente esclusi dalla rottamazione ter e successivamente riammessi all’agevolazione per effetto del decreto-legge n. 135 del 2018 (articolo 3, comma 23 del decreto-legge n. 119 del 2018), con criteri più stringenti.

Il comma 23, nella sua formulazione originaria, aveva escluso dalla rottamazione-ter coloro i quali, pur avendo aderito alla rottamazione-bis (di cui al decreto-legge n. 148 del 2017), non avessero provveduto a versare integralmente le somme dovute nel 2018. Successivamente tali soggetti - con il citato decreto-legge n. 135 del 2018 - sono stati riammessi all’ultima rottamazione per il debito residuo, ma a condizioni più severe, e cioè versando le somme dovute per la nuova definizione agevolata in un'unica soluzione entro il 31 luglio 2019, ovvero nel numero massimo di dieci rate consecutive (in luogo delle diciotto ordinariamente previste), ciascuna di pari importo, di cui la prima scadente sempre il 31 luglio 2019. Dunque per effetto delle modifiche in esame, i soggetti “riammessi” alla rottamazione beneficiano anch’essi dello slittamento del primo pagamento al 30 novembre 2019;

§  i termini di pagamento delle somme dovute, a titolo di definizione agevolata, dai soggetti residenti in zone colpite dalle calamità naturali nel centro Italia nel corso del 2016 e del 2017 (comma 24 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 119 del 2018).

A tali soggetti è stato consentito di effettuare il pagamento delle somme dovute a titolo di definizione agevolata 2016 (ex articolo 6 del decreto-legge n. 193 del 2016) e 2017 (ex articolo 1 del decreto-legge n. 148 del 2017) in dieci rate, con scadenza originariamente prevista i1 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019, ovvero in un’unica soluzione entro il 31 luglio 2019. La definizione agevolata opera per tutti i debiti risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017, indipendentemente dalle scadenze originariamente fissate dalle relative norme di riferimento. Per effetto delle modifiche operate dalle norme in commento, la scadenza della prima rata semestrale è posticipata al 30 novembre 2019, così come la scadenza del pagamento in unica soluzione.

Il Governo, nella relazione illustrativa, chiarisce che la norma in esame intende ristabilire parità di trattamento tra i debitori che hanno tempestivamente presentato la dichiarazione di adesione alla c.d. rottamazione-ter entro il 30 aprile 2019 (termine così fissato, in origine, dal decreto-legge n. 119 del 2018), ovvero che provengono dalla c.d. rottamazione-bis, o siano stati colpiti dagli eventi sismici verificatisi nel 2016 nell’Italia Centrale, e quelli che hanno fruito della riapertura del termine di presentazione dell’istanza alla data al 31 luglio 2019 (disposta, come si è visto, dal decreto-legge n. 34 del 2019).

Il primo gruppo di soggetti avrebbero dovuto versare il quantum dovuto in unica soluzione, entro il 31 luglio 2019, ovvero nel numero massimo di rate consecutive prescelte, la prima delle quali con scadenza alla medesima data del 31 luglio (articolo 3 del decreto-legge n. 118 del 2019, commi 2, lettere a) e b), 21, 22, 23 e 24); dall’altro lato, i contribuenti che hanno usufruito della proroga al 31 luglio 2019, pur avendo aderito successivamente alla rottamazione, possono pagare la prima o unica rata entro il 30 novembre 2019 (articolo 16-bis, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 34 del 2019).

La disposizione in sostanza fissa per entrambi i gruppi di debitori il termine unico del al 30 novembre 2019.

 

Nel corso dell’esame presso la Camera è stato inserito il comma 1-bis, che estende al 2019 e al 2020 le norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, con riferimento ai carichi affidati agli Agenti della riscossione entro il 31 ottobre 2019.

 

Più in dettaglio, con le modifiche in esame si estende al 2019 e al 2020 l’applicazione delle disposizioni in materia di compensazione contenute nell’articolo 12, comma 7-bis del D.L. n. 145 del 2013, con riferimento ai carichi affidati agli Agenti della riscossione entro il 31 ottobre 2019.

Il richiamato comma 7-bis ha consentito la compensazione, originariamente per il 2014, delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della P.A., certificati secondo le modalità di cui ai D.M. Economia 22 maggio 2012 e 25 giugno 2012, ove la somma iscritta a ruolo fosse inferiore o pari al credito vantato.

 

La validità di tale norma è stata estesa all’anno 2015 dall’articolo 1, comma 19 della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), al 2016 dall’articolo 1, comma 129 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ed al 2017 dall’articolo 9-quater del decreto-legge n. 50 del 2017.

Giova ricordare che, da ultimo, l’articolo 12-bis del decreto-legge n. 87 del 2018 ha esteso la predetta compensabilità al 2018 con riferimento ai carichi affidati entro il 31 dicembre 2017.

Come chiarito da Agenzia delle Entrate – Riscossione, diversamente dalle precedenti norme di estensione temporale della compensazione  di cui al richiamato art. 12, comma 7-bis, quella recata dall’art. 12-bis del decreto-legge n. 87 del 2018 è stata immediatamente operativa, in quanto non ha rinviato ad un decreto ministeriale di attuazione prevedendo che l’istituto si applicasse con le modalità indicate al DM 24 settembre 2014.

Il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 24 settembre 2014 reca le modalità di individuazione degli aventi diritto, nonché di trasmissione dei relativi elenchi all’agente della riscossione.

Le disposizioni del comma 1-bis in esame sostanzialmente riproducono il richiamato articolo 12-bis, fatta salva la diversa estensione temporale. Dal momento che non richiedono un ulteriore decreto ministeriale di attuazione, rinviando a quanto già previsto nel 2014, sono dunque da ritenersi immediatamente operative.

 

Con il successivo decreto del 13 luglio 2015 sono state definite per il 2015 le modalità di compensazione, per l'anno 2015, delle cartelle esattoriali in favore di imprese e professionisti titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, nei confronti della pubblica amministrazione. Il decreto del 27 giugno 2016 ripropone la disciplina secondaria degli anni precedenti anche per le compensazioni 2016, così come il decreto del 9 agosto 2017 con riferimento al 2017.

 

Nel corso dell’esame presso la Camera sono stati introdotti i commi da 1-ter e 1-quater, che effettuano una complessiva revisione della misura dei tassi degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo.

 

Si ricorda al riguardo che la materia è stata disciplinata dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 159 del 2015, il quale ha fissato la misura del tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo in una misura unica, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, compresa nell’intervallo tra lo 0,5 per cento e il 4,5 per cento, determinata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

Al riguardo, il comma 1-ter dispone che il tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo è determinato, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, in misura compresa nell'intervallo tra lo 0,1 per cento e il 3 per cento.

Nel comma in argomento viene indicato esplicitamente che tale disposizione si applica anche in ipotesi diverse da quelle previste dal decreto legge n. 557 del 1997 e dalle norme in tema di riscossione di imposte indirette (legge n. 29 del 1961. L’articolo 13 del decreto legge n. 557 del 1993 aveva fissato univocamente la misura degli interessi per la riscossione o per il rimborso di imposte per le seguenti ipotesi:

§  mancato o ritardato versamento diretto (articolo 9 del D.P.R. n. 602 del 1973);

§  ritardata iscrizione a ruolo (articolo 21 del D.P.R. n. 602 del 1973);

§  dilazione del pagamento (articolo 22 del D.P.R. n. 602 del 1973);

§  sospensione amministrativa della riscossione (articolo 39 del D.P.R. n. 602 del 1973);

§  ritardato rimborso di imposte pagate (articolo 44 del D.P.R. n. 602 del 1973).

Inoltre, il comma 2 dell’articolo 13 aveva chiarito le misure dovute per la riscossione delle imposte indirette e in materia di imposta sul valore aggiunto di cui alla citata legge del 1961.

 

Si segnala che il comma 1-ter non specifica le modalità di determinazione del tasso d'interesse nell'ambito dell'intervallo stabilito.

 

Il comma 1-quater affida a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il compito di fissare misure differenziate, facendo riferimento ai limiti di cui al comma 1-ter,  per i seguenti interessi:

§  interessi di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero per i pagamenti rateali dei tributi;

§  gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e rateizzazione del pagamento delle cartelle esattoriali, nonché gli interessi di mora, di quelli dovuti nel caso di sospensione amministrativa della riscossione e per ritardato rimborso di imposte pagate (di cui agli articoli 20 e 21, 30, 39 e 44 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602);

§  gli interessi dovuti nel caso di rateazione delle somme dovute a seguito di accertamento con adesione nonché a quelli dovuti in caso di acquiescenza del contribuente (articoli 8, comma 2, e 15, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218).

 


 

Articolo 38
(
Imposta municipale propria piattaforme marine)

 

 

L’articolo 38, modificato dalla Camera, istituisce l’imposta municipale propria sulle piattaforme marine (IMPi) site entro i limiti del mare territoriale a partire dall’anno di imposta 2020. La tassazione è effettuata sulla base dei valori contabili. Si applica un’aliquota fissa al 10,6 per mille ripartita tra lo Stato, cui è riservato il gettito relativo alla quota ad aliquota di base del 7,6 per mille e i comuni interessati, cui viene attribuita la differenza tra il gettito complessivo e quello ad aliquota di base. Durante l’esame del provvedimento presso la Camera, il rinvio alle detrazioni IMU è stato sostituito con quello alla disciplina in materia di deducibilità dell’IMU.

 

 

In particolare, il comma 1 istituisce, a decorrere dall’anno 2020, l’imposta municipale propria sulle piattaforme marine (IMPi).

 

A tal fine, il medesimo comma introduce la definizione di piattaforma marina: si tratta di una piattaforma con struttura emersa destinata alla coltivazione di idrocarburi e sita entro i limiti del mare territoriale come individuato dall’articolo 2 del Codice della Navigazione.

 

L'assoggettamento ai tributi immobiliari delle costruzioni ubicate nel mare territoriale e, in particolare, delle piattaforme petrolifere ha generato un lungo dibattito di giurisprudenza e prassi.

In estrema sintesi, si ricorda che una prima sentenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione (sentenza del 21 febbraio 2005 n. 13794) aveva accolto le istanze degli enti locali in ordine al potere impositivo del comune sulle acque territoriali. Con una pronuncia più specifica, la sentenza della Corte n. 3618 del 25 febbraio 2016 ha sancito l'assoggettamento delle piattaforme petrolifere alle imposte immobiliari comunali. Nella fattispecie, trattandosi di competenze fiscali relative all'anno 1999, la Corte ne ha disposto l'assoggettamento a ICI.

In particolare, la Corte ha chiarito che le piattaforme petrolifere sono e classificabili nella categoria D/7 (Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni), stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, l'idoneità all'accatastamento e la capacità di produrre un reddito proprio. Con riferimento a quest'ultimo punto, in particolare, la Cassazione ha ritenuto che detti manufatti hanno una propria attività produttiva, suscettibile di valutazione economica ed idonea a produrre un reddito funzionale allo stoccaggio e al trattamento dei prodotti estratti da immettere nelle condutture, dopo la lavorazione del materiale. A tali beni, pertanto, risulta applicabile l'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 504 del 1992, il quale prevede che, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, il valore è determinato secondo i criteri contabili.

La Corte ha ribadito inoltre la potestà degli enti locali nell'ambito del mare territoriale fino ad una distanza di 12 miglia marine; ha inoltre affermato che - anche se il mare non è ricompreso tra i beni del demanio marittimo - i beni infissi nel fondo del mare territoriale sono equiparabili a quelli del demanio marittimo, in base all'articolo 29 del codice della navigazione.

Il Governo, rispondendo all'interrogazione parlamentare 5-08070 in data 10 marzo 2016, ha rilevato che - previo approfondimento agli Uffici tecnici dell'Amministrazione finanziaria del compito di approfondire la problematica – la questione richiedeva una soluzione normativa.

Successivamente, con la risoluzione n. 3/DF del 1° giugno 2016, il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze - sollecitato dalle associazioni di categoria – ha espresso considerazioni diverse rispetto a quanto affermato dalla Cassazione. Preliminarmente il DF ha rilevato che le piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale presentano le caratteristiche di un immobile a destinazione speciale e particolare, che le farebbero rientrare, quali impianti, in una delle categorie catastali dei gruppi D ed E.

Il Dipartimento ha comunque ricordato che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, per effetto della legge di stabilità 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D e E, è effettuata tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l'utilità, nei limiti dell'ordinario apprezzamento. Ai sensi della suddetta norma, sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo. Detti nuovi criteri di determinazione della rendita catastale incidono sul calcolo della base imponibile dell'IMU e della TASI in virtù del rinvio operato alle norme in tema di IMU dall'articolo 1, comma 675, della legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) che disciplina la TASI.

Tuttavia, tali cespiti non sono oggetto di inventariazione negli atti del catasto, poiché è l'Istituto idrografico della Marina – e non l'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali – l'Organo Cartografico dello Stato designato al rilievo sistematico dei mari italiani (di cui alla legge 2 febbraio 1960, n. 68). Il DF ha chiarito che l'IMU, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha per presupposto il possesso di immobili e che a tali fini vengono espressamente richiamate le definizioni di cui all'articolo 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, il quale stabilisce che per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano.

Il Ministero ha concluso dunque che, dal momento che tale ultima norma fa riferimento esplicito al catasto edilizio urbano, per applicare i criteri di calcolo del valore contabile di cui al menzionato articolo 5, comma 3, del D. Lgs. n. 504 del 1992 occorre uno specifico intervento normativo, atto a consentire non solo il censimento delle costruzioni (dotate di autonomia funzionale e reddituale) site nel mare territoriale, anche con riferimento alla relativa delimitazione, georeferenziazione e riferibilità ad uno specifico Comune censuario, ma anche l'ampliamento del presupposto impositivo dell'IMU e della TASI.

Sul punto si ricorda infine che, in data 12 luglio 2016 la VI Commissione Finanze della Camera ha approvato, con distinte votazioni, tre risoluzioni dal testo analogo (7-01017 Alberti, 7-01023 Petrini e 7-01041 Paglia) intese a consentire la tassabilità delle piattaforme petrolifere ai fini delle imposte locali sugli immobili.

 

Il comma 2, dando seguito al dibattito sopra richiamato, delinea il criterio di determinazione dell’imposta per i manufatti in questione stabilendo che si applica il richiamato articolo 5, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, il quale - come anticipato - per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, prevede il ricorso ai valori contabili. A tale norma rinvia anche la disciplina dell’IMU (articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011).

 

Ai sensi del comma 3, l’imposta è calcolata applicando l’aliquota pari al 10,6 per mille, di cui la quota di imposta risultante dall’applicazione dell’aliquota del 7,6 per mille è riservata allo Stato mentre il restante 3 per mille è destinato ai comuni interessati. Conseguentemente, è esclusa la manovrabilità dell’imposta da parte dei comuni per la quota loro spettante.

 

Si ricorda che per quanto riguarda gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D – ai sensi della lett. g) dell’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 - i comuni possono aumentare sino a 0,3 punti percentuali l'aliquota IMU standard dello 0,76 per cento.

 

I comuni cui spetta il gettito dell’imposta nonché i criteri, le modalità di attribuzione e di versamento e la quota del gettito spettante sono individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, da cui dipende l’Istituto idrografico della Marina, e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

Qualora l'intesa non sia raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata, ai sensi dell’articolo 3, comma 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (comma 4).

 

Il successivo comma 5 reca un’eccezione alla modalità di versamento dell’IMU limitatamente all’anno 2020, poiché prevede che l’imposta venga versata in un’unica soluzione, entro il 16 dicembre, direttamente allo Stato il quale poi provvede alla redistribuzione del gettito di spettanza comunale sulla base delle risultanze del predetto decreto. A tal fine il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle Finanze, comunica al Ministero dell’interno l’importo del gettito acquisito nell’esercizio finanziario 2020 di spettanza dei comuni. Per gli anni successivi i soggetti passivi devono effettuare il pagamento del tributo sia allo Stato sia al comune competente.

Il comma 6 attribuisce la potestà di accertamento e di riscossione del tributo ai comuni anche per la parte erariale, in analogia con quanto avviene per gli immobili appartenenti al gruppo catastale D, ai quali i manufatti in questione sono assimilabili.

 

Il comma 7 – modificato dalla Camera dei deputati - rinvia, per quanto non espressamente previsto, alle norme in tema di deducibilità stabilite dall'articolo 13 del D. L. 201 del 2011 in materia di IMU, e alle altre disposizioni sulla medesima imposta in quanto compatibili.

 

L’imposta municipale (IMU), istituita e disciplinata dal d.lgs. sul federalismo municipale (d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23), è stata anticipata al 2012 dall'articolo 13 del D. L. 201 del 2011. Successivamente, la legge di stabilità 2014 (L. 147/2013, commi 639 e seguenti) ha istituito l'Imposta Unica Comunale (IUC), che si basa su due presupposti impositivi:

§  uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore: si tratta dell'imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale, dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali;

§  l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali: la componente riferita ai servizi, a sua volta si articola in un tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile; la tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore.

Base imponibile dell'imposta municipale propria è costituita dal valore dell'immobile. In relazione alla base imponibile dei fabbricati di gruppo D non iscritti in catasto e delle aree fabbricabili viene richiamata la disciplina ICI (articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del D.Lgs. 504/1992). In particolare, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D (opifici, alberghi, teatri, ecc.) non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato alla data di inizio di ciascun anno solare (ovvero, se successiva, alla data di acquisizione) dal costo risultante dalle scritture contabili al lordo delle quote di ammortamento maggiorato con l'applicazione di appositi coefficienti.

 

Con le modifiche apportate dalla Camera, il richiamo alle “detrazioni” previste per l’IMU, previsto dalla formulazione originaria delle norme in commento, è stato sostituito con il rinvio alla disciplina della deducibilità dell’IMU.

La normativa IMU prevede infatti detrazioni solo per l’abitazione principale; la relazione tecnica che accompagna il provvedimento tuttavia fa più correttamente riferimento alla deducibilità in materia di IMU dei fabbricati strumentali prevista dal d.lgs. 23 del 2011, come rimodulata dal decreto legge n. 34 del 2019 e dal disegno di legge di bilancio 2020 che ne prevede la futura, piena deducibilità dal reddito d’impresa e dal reddito professionale, ferma restando l’indeducibilità ai fini IRAP.

 

Infine, il comma 8 fa salve le disposizioni in materia di rigassificatori introdotte dal comma 728 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018) le quali stabiliscono, per tale fattispecie, che ai fini dell’individuazione della base imponibile rientra nella nozione di fabbricato, assoggettabile ad imposizione, la sola porzione del manufatto destinata ad uso abitativo e di servizi civili. Non essendo possibile l’accatastamento, anche per questi immobili si applicano i valori contabili. Il comma 7 prevede che a questa fattispecie si applichino i commi concernenti l’aliquota cui assoggettare gli immobili in questione e la relativa ripartizione (comma 3), l’individuazione del comune cui spetta il gettito (comma 4), il versamento relativo all’annualità 2020 (comma 5) nonché il riconoscimento al comune dei poteri di accertamento e di riscossione (comma 6).

 

 


 

Articolo 38-bis
(Riversamento del tributo per l'esercizio delle funzioni ambientali)

 

 

L’articolo 38-bis, introdotto durante l'esame presso la Camera dei deputati, modifica la disciplina del tributo per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente (TEFA), recata dall’art. 19 del D.Lgs. 504/1992.

 

L’art. 19, comma 1, del d.lgs. 504/1992 ha previsto, a fronte dell'esercizio delle funzioni amministrative di interesse provinciale, riguardanti l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, il rilevamento, la disciplina ed il controllo degli scarichi e delle emissioni e la tutela, difesa e valorizzazione del suolo, l’istituzione (a decorrere dal 1° gennaio 1993) di un tributo annuale a favore delle province.

In base al successivo comma 2, il TEFA è commisurato alla superficie degli immobili assoggettata dai comuni alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (oggi TARI) ed è dovuto dagli stessi soggetti che, sulla base delle disposizioni vigenti, sono tenuti al pagamento della predetta tassa.

La determinazione del tributo avviene con delibera della giunta provinciale, in misura non inferiore all'1 per cento né superiore al 5 per cento delle tariffe per unità di superficie stabilite ai fini della predetta tassa (oggi TARI).

L’articolo 19 disciplina altresì la liquidazione e l’iscrizione a ruolo del tributo e, al comma 7, la riscossione dello stesso. Il primo ed unico periodo di tale comma dispone, in proposito, che l’ammontare del tributo, riscosso contestualmente alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (oggi TARI), previa deduzione della corrispondente quota del compenso della riscossione, è versato dal concessionario direttamente alla tesoreria della provincia.

Il comma 5 stabilisce inoltre che al comune spetta una commissione, posta a carico della provincia impositrice, nella misura dello 0,3 per cento delle somme riscosse, senza importi minimi e massimi.

 

La lettera a) del comma 1 dell'articolo in esame modifica il comma 7 al fine di precisare che il tributo può essere versato alla tesoreria della città metropolitana, in luogo della tesoreria della provincia.

 

La lettera b) integra il disposto del citato comma 7 prevedendo che, a decorrere dal 1° giugno 2020, nel caso di pagamenti effettuati con F24 si provvede al riversamento del TEFA spettante alla provincia o città metropolitana competente per territorio al netto della commissione spettante al comune.

 

Viene altresì stabilito che, salvo diversa deliberazione da parte della provincia o della città metropolitana, da comunicarsi all'Agenzia delle entrate entro il 28 febbraio 2020, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la misura del tributo è fissata al 5 per cento del prelievo collegato al servizio rifiuti solidi urbani stabilito da ciascun comune ai sensi delle leggi vigenti in materia.

 

I criteri e le modalità per assicurare il sollecito riversamento del tributo anche con riferimento ai pagamenti effettuati tramite conto corrente, nonché eventuali ulteriori criteri e modalità attuative della disposizione di cui al primo periodo del comma 7 oggetto di modifica, sono demandati ad uno o più decreti del Ministero dell'economia e delle finanze da emanarsi entro il 31 maggio 2020.

 

Relativamente all’emanazione di tali decreti, la norma prevede inoltre che gli stessi siano emanati previa intesa in sede di conferenza Stato-città e autonomie locali. In mancanza di tale intesa, i decreti sono comunque emanati purché i relativi schemi siano stati sottoposti all'esame della conferenza Stato-città e autonomie locali almeno trenta giorni prima dell'emanazione.


 

Articolo 38-ter
(Introduzione dell’obbligo di pagamento della tassa automobilistica regionale attraverso il sistema dei pagamenti elettronici pagoPA)

 

 

L’articolo 38-ter, introdotto dalla Camera dei deputati, prevede l’obbligo di pagamento della tassa automobilistica con la piattaforma pagoPA, a decorrere dal 1° gennaio 2020.

 

Il comma 1 dell’articolo 38-ter, in dettaglio, dispone che a far data dal 1° gennaio 2020 i pagamenti relativi alla tassa automobilistica avvengano in via esclusiva secondo le modalità previste dall’articolo 5, comma 2 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD, decreto legislativo n. 82/2005), quindi attraverso il sistema pagoPA.

 

La piattaforma pagoPA è la piattaforma per la gestione del sistema dei pagamenti pubblici, che consente a privati e aziende di effettuare pagamenti elettronici alla PA.

Il Sistema pagoPA è stato realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale, in attuazione dell’articolo 5 del CAD, il quale precisa che l’Agenzia per l’Italia Digitale mette a disposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l’autenticazione certa dei soggetti interessati all’operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.

L’articolo 8 del D.L. 135/2018 ha trasferito, dall'Agenzia per l'Italia Digitale alla Presidenza del Consiglio dei ministri, i compiti relativi alla piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento. A tale fine si prevede la costituzione, entro 120 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, di una società per azioni interamente partecipata dallo Stato per lo svolgimento delle suddette attività. Al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuite le funzioni di indirizzo, coordinamento e supporto tecnico delle pubbliche amministrazioni per assicurare la massima diffusione delle forme di pagamento con strumenti elettronico.

 

Per quanto riguarda le tasse automobilistiche, si ricorda che a seguito del trasferimento (dal 1° gennaio 1999) delle competenze in materia di tasse automobilistiche alle Regioni a Statuto Ordinario ed alle Province Autonome di Bolzano - Alto Adige e di Trento, tali soggetti possono affidare a terzi le attività di controllo e di riscossione delle tasse automobilistiche, mentre tali funzioni per alcune Regioni a Statuto Speciale sono svolte dal MEF (articolo 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449). Il successivo decreto ministeriale n. 418 del 1998 ha stabilito le modalità con le quali le regioni a statuto ordinario, svolgono la riscossione, l'accertamento, il recupero, i rimborsi, l'applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo alle tasse automobilistiche non erariali. Detto regolamento stabilisce che il controllo e la riscossione delle tasse automobilistiche siano effettuati direttamente dalle regioni, anche ricorrendo all'istituto dell'avvalimento, o tramite concessionari individuati dalle stesse secondo le modalità e le procedure di evidenza pubblica previste dalla normativa comunitaria e nazionale in tema di appalti e di servizi. Mediante convenzione, inoltre, le regioni possono affidare a terzi, mediante procedure ad evidenza pubblica, l'attività di controllo e riscossione delle tasse automobilistiche.


 

Capo IV – Modifiche della disciplina penale in materia tributaria e della responsabilità amministrativa
degli enti nella stessa materia

Articolo 39
(
Modifiche della disciplina penale e
della responsabilità amministrativa degli enti
)

 

 

L’articolo 39, inasprisce le pene per i reati tributari e abbassa alcune soglie di punibilità; introduce inoltre, in caso di condanna, la confisca dei beni di cui il condannato abbia disponibilità per un valore sproporzionato al proprio reddito (c.d. confisca allargata). La disposizione modifica, inoltre, la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, per prevedere specifiche sanzioni amministrative quando alcuni reati tributari sono commessi a vantaggio dell’ente. Le disposizioni dell’art. 39 sono destinate ad avere efficacia solo dopo la conversione in legge del decreto in commento. A seguito dell’esame presso la Camera, l’inasprimento delle pene è stato attenuato per le condotte non caratterizzate da fraudolenza, per le quali è stata anche esclusa la confisca allargata; è stata inoltre consentita, anche per le condotte fraudolente, l’applicazione della causa di non punibilità in caso di integrale pagamento del debito tributario ed è stato ampliato il catalogo dei reati tributari che danno luogo a responsabilità amministrativa dell’ente.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo 39, modifica molte delle fattispecie penali previste dal decreto legislativo n. 74 del 2000, recante “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205[1] e vi introduce una nuova disciplina della confisca penale.

 

Analiticamente, le lettere a) e b) intervengono sul delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, novellando l’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo.

 

Si tratta della disposizione che qualifica come delitto – attualmente punito con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni - la condotta di chiunque, per evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto (IVA), indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi attraverso fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

La fattispecie penale non richiede alcuna specifica soglia di punibilità e dunque trova applicazione qualunque sia l’ammontare di imposta evaso (sul punto v. infra)

Il comma 2 della disposizione precisa che, affinché si integri la fattispecie penale, tali fatture o documenti devono essere registrati nelle scritture contabili obbligatorie o detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

 

Per effetto delle modifiche in commento la pena è elevata (lett. a) prevedendo la reclusione da 4 a 8 anni (oggi da un anno e 6 mesi a 6 anni).

Inoltre, la lett. b) inserisce un comma 2-bis in base al quale la pena è più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da un anno e sei mesi a 6 anni) quando l’ammontare del passivo fittizio è inferiore a 100 mila euro.

 

Il decreto-legge prevede, inoltre, l’applicazione della confisca allargata (v. infra, lett. q), ma solo quando i passivi fittizi sono superiori a 200 mila euro (valore innalzato nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati rispetto agli originari 100mila euro), e la responsabilità amministrativa dell’ente (v. infra, comma 2). Dunque, mentre per l’applicazione della pena più grave è sufficiente che i passivi fittizi ammontino a 100 mila euro, per l’applicazione della confisca allargata occorre che tale cifra sia raddoppiata.

 

Infine, a seguito di una modifica introdotta dalla Camera, anche il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di documenti per operazioni inesistenti può estinguersi attraverso l’integrale pagamento del debito tributario a seguito di ravvedimento, purché lo stesso intervenga prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di una indagine a suo carico (v. infra, lett. q-bis).


 

Normativa vigente

AC. 2220-A

Dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(art. 2, d.lgs. n. 74/2000)

Reclusione
da 1 anno e 6 mesi a 6 anni

Pena invariata per passivi fittizi inferiori a €100.000

 

Responsabilità amministrativa enti: sanzione pecuniaria fino a 400 quote + sanzioni interdittive

Reclusione
da 4 a 8 anni per passivi fittizi uguali o superiori a €100.000

Confisca allargata per passivi fittizi superiori a €200.000

Responsabilità amministrativa enti: sanzione pecuniaria fino a 500 quote + sanzioni interdittive

 

Il legislatore introduce dunque una soglia – 100 mila euro di false fatturazioni – superata la quale l’illecito è ritenuto di maggiore gravità. Al di sotto di tale soglia opera la disciplina attuale.

 

Il tema della applicabilità della fattispecie penale di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74/2000, a prescindere da una soglia di evasione fiscale, e dunque qualunque sia l’ammontare di imposta evaso è stato recentemente affrontato dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 95 del 2019, ha dichiarato la norma costituzionalmente legittima.

In particolare, il giudice a quo aveva rilevato che l’articolo 2 non prevede alcuna soglia di punibilità in relazione al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, a differenza di quanto avviene per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del d.lgs. n. 74 del 2000) che invece prevede due distinte soglie: una riferita all’ammontare dell’imposta evasa, l’altra all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, ovvero dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta.

La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale svolgendo le seguenti argomentazioni: anzitutto, ha premesso che la configurazione delle fattispecie criminose e la determinazione della pena costituiscono materia affidata alla discrezionalità del legislatore, le cui scelte sono censurabili, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove sconfinino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio. Quindi, in relazione al caso specifico, la Corte ha rilevato che l’articolo 2 intende “isolare”, tra i mezzi fraudolenti utilizzabili a supporto di una dichiarazione mendace, uno specifico artificio ritenuto, sulla base dell’esperienza, particolarmente insidioso per gli interessi dell’erario: si tratta appunto della falsa fatturazione intesa a comprovare operazioni in tutto o in parte non eseguite – in assoluto, o dai soggetti ai quali esse vengono riferite – ovvero con corrispettivi o IVA “gonfiati”, in funzione di una indebita deduzione di costi o detrazione di imposta da parte del contribuente. L’intento del legislatore di contrastare con rigore il fenomeno si manifesta, a parere della Corte, nella mancata previsione di soglie di punibilità per il delitto. Ciò riguarda anche le imposte dirette, peraltro, in quanto la fattura (o il documento equiparato) assolve un ruolo di rilievo, costituendo lo strumento tipico attraverso il quale il contribuente attesta il proprio diritto a dedurre voci di spesa dalla propria base imponibile o a effettuare detrazioni dall’imposta, in conformità a quanto previsto dalla legislazione tributaria.

La Consulta non ha dunque considerato arbitraria la scelta legislativa di riservare alla fattispecie un trattamento distinto e più severo di quello prefigurato in rapporto alla generalità degli altri artifici dei quali si occupa l’articolo 3 del d.lgs. n. 74 del 2000, che tra l’altro costituisce una norma sussidiaria - a parere della Corte – in quanto fa esplicitamente salve le disposizioni di cui al precedente articolo 2.

 

La lettera c) innalza la pena per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

La fattispecie si applica fuori dai casi previsti dall’art. 2, a chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:

a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30 mila euro;

b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione è superiore al 5% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a 1,5 milioni di euro, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al 5% dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a 30 mila euro.

Il delitto è attualmente punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni e dunque con la stessa pena prevista per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

 

Normativa vigente

AC. 2220-A

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
(art. 3, d.lgs. n. 74/2000)

Reclusione
da 1 anno e 6 mesi a 6 anni

Reclusione
da 3 a 8 anni

Confisca allargata
per imposta evasa superiore a €100.000

Responsabilità amministrativa enti: sanzione pecuniaria fino a 500 quote + sanzioni interdittive

 

Nell’innalzare la pena, il decreto-legge diversifica la gravità tra questa fattispecie e quella di cui all’art. 2, che viene ritenuta più grave individuando il minimo in 4 anni, in luogo dei 3 anni previsti per la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. La lett. q) della disposizione in commento prevede poi la confisca allargata, ma solo quando l’imposta evasa è superiore a 100 mila euro (v. infra). Da ultimo, a seguito di una modifica introdotta dalla Camera, anche il delitto di dichiarazione fraudolenta può estinguersi attraverso l’integrale pagamento del debito tributario a seguito di ravvedimento, purché lo stesso intervenga prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di una indagine a suo carico (v. infra, lett. q-bis).

 

Le lettere d), e), f) e g) modificano l’articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, relativo al delitto di dichiarazione infedele.

 

Questa fattispecie è stata ampiamente modificata anche dalla riforma del 2015.

A legislazione vigente l’art. 4 si applica in via residuale rispetto ai delitti di dichiarazione fraudolenta di cui agli articoli 2 e 3 del d.lgs. 74/2000 e punisce con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 150.000 euro (fino al 2015 la soglia era fissata a 50.000 euro);

b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a 3 milioni di euro (fino al 2015 la soglia del valore degli elementi attivi sottratti all'imposizione era di 2 milioni).

La riforma del 2015 ha aggiunto due ulteriori commi in base ai quali per applicare la fattispecie non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali (comma 1-bis). Inoltre, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette e degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità (comma 1-ter).


 

Normativa vigente

A.C. 2220-A

Dichiarazione infedele
(art. 4, d.lgs. n. 74/2000)

1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila;

a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;

b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni.

b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni.

1-bis. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

1-bis. Identico.

1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

 

In sintesi, il decreto-legge dopo l’esame presso la Camera dei deputati:

§  innalza la pena della reclusione, portando il minimo da 1 a 2 anni e il massimo da 3 anni a 4 anni e 6 sei mesi. Il testo originario del decreto-legge prevedeva come pena massima la reclusione fino a 5 anni, rendendo conseguentemente in astratto applicabile la misura della custodia cautelare in carcere (ai sensi dell’art. 280, comma 2, c.p.p.). Nel corso dell’esame presso la Camera, tale pena massima è stata ridotta a 4 anni e 6 mesi: la custodia cautelare in carcere non sarà dunque applicabile;

§  abbassa le soglie di punibilità del reato intervenendo tanto sul valore dell’imposta evasa (da 150 mila a 100 mila euro) quanto su quello degli elementi attivi sottratti a imposizione (da 3 a 2 milioni di euro; la soglia dei 2 milioni di euro era già prevista dall’originaria formulazione del d.lgs. n. 74/2000, in vigore fino alla riforma del 2015);

§  modifica la disposizione che esclude la punibilità quando le valutazioni differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette (comma 1-ter). Diversamente dal testo del decreto-legge, che abrogava questa disposizione, il testo approvato dalla Camera conserva l’esclusione di punibilità ma solo quando le valutazioni complessivamente considerate (e non singolarmente considerate) differiscono da quelle corrette in misura inferiore al 10%;

§  non consente la confisca allargata (v. infra, lett. q). La disposizione originaria del decreto-legge che la consentiva, è stata infatti soppressa nel corso dell’esame presso la Camera.

 

Le lettere h) ed i) intervengono sul delitto di omessa dichiarazione, di cui all’articolo 5 del d.lgs. n. 74/2000.

 

Si tratta della fattispecie – anch’essa modificata nel 2015 - che punisce con la reclusione da un anno e 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore a 50.000 euro (comma 1). Stessa pena è prevista per il sostituto d’imposta che omette la dichiarazione quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50.000 euro (comma 1-bis). Non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto (comma 2).

 

La riforma innalza le pene tanto per l’omessa dichiarazione del contribuente quanto per l’omissione del sostituto d’imposta: mentre il testo originario del decreto-legge prevede in entrambi i casi la reclusione da 2 a 6 anni, nel corso dell’esame alla Camera il massimo edittale è stato fissato in 5 anni di reclusione.

 

A seguito della modifica approvata in sede di conversione resta comunque applicabile all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere (l’art. 280, co. 2, c.p.p. richiede la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni); con l’abbassamento della pena massima da 6 a 5 anni di reclusione è però applicabile a questo delitto l’art. 131-bis c.p., che esclude la punibilità per particolare tenuità del fatto ed è invece escluso, nel corso delle indagini, l’utilizzo delle intercettazioni (l’art. 266 c.p.p. le consente nei procedimenti per delitti non colposi puniti con la reclusione superiore nel massimo a 5 anni).

 

Inoltre, nel corso dell’esame in presso la Camera, sono state soppresse le disposizioni del decreto-legge che consentivano, in caso di condanna per questi delitti, la confisca allargata (v. infra, lett. q) quando l’imposta evasa (comma 1) o le ritenute non versate (comma 1-bis) fossero di importo superiore a 100 mila euro.

 

Normativa vigente

A.C. 2220-A

Omessa dichiarazione
(art. 5, co. 1 e 1-bis, d.lgs. n. 74/2000)

Reclusione
da un anno e 6 mesi a 4 anni

Reclusione
da 2 a 5 anni

 

 

Le lettere l) e m) modificano il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74/2000, che attualmente punisce con la reclusione da un anno e 6 mesi a 6 anni chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

 

Il decreto-legge aumenta la pena, analogamente a quanto fatto per il parallelo delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (v. sopra, modifica all’art. 2 del d.lgs. 74/2000). Inoltre, la lett. m) inserisce un comma 2-bis in base al quale la pena è più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da un anno e sei mesi a 6 anni) quando l’importo indicato nelle fatture o nei documenti e relativo ad operazioni inesistenti è inferiore, per il periodo d’imposta considerato, a 100 mila euro.


 

Normativa vigente

AC. 2220-A

Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(art. 8, d.lgs. n. 74/2000)

Reclusione
da 1 anno e 6 mesi a 6 anni

Pena invariata per importi non veritieri inferiori a €100.000

 

Responsabilità amministrativa enti: sanzione pecuniaria fino a 400 quote + sanzioni interdittive

Reclusione
da 4 a 8 anni
per importi non veritieri uguali o superiori a €100.000

Confisca allargata per importi non veritieri superiori a €200.000

Responsabilità amministrativa enti: sanzione pecuniaria fino a 500 quote + sanzioni interdittive

 

Il decreto-legge prevede inoltre l’applicazione della confisca allargata (v. infra, lett. q), ma solo quando l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200 mila euro; tale valore è stato raddoppiato nel corso dell’esame alla Camera in quanto il testo originario del decreto-legge prevede un valore soglia di 100mila euro. Dunque, mentre per l’applicazione della pena più grave è sufficiente che i passivi fittizi ammontino a 100 mila euro, per l’applicazione della confisca allargata tale importo deve essere raddoppiato.

 

La lettera n) innalza la pena detentiva per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all’art. 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000.

 

Si tratta della fattispecie, che si applica in via residuale, ove non ricorra un più grave reato, che punisce attualmente con la reclusione da un anno e 6 mesi a 6 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

 

Il decreto-legge innalza il minimo edittale da un anno e sei mesi a 3 anni e il massimo edittale da 6 a 7 anni.

Per effetto delle modifiche approvate dalla Camera, a questo delitto non è applicabile – diversamente da quanto disposto dal testo originario del decreto-legge - l’istituto della confisca allargata; la commissione del delitto può dar luogo, invece, a responsabilità amministrativa dell’ente.

 

 

Normativa vigente

A.C. 2220-A

Occultamento o distruzione di documenti contabili
(art. 10, d.lgs. n. 74/2000)

Reclusione
da 1 anno e 6 mesi a 6 anni

Reclusione
da 3 a 7 anni

Responsabilità amministrativa enti: sanzione pecuniaria fino a 400 quote + sanzioni interdittive

 

La lettera o) del decreto-legge, che modifica l’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, relativo all’omesso versamento di ritenute dovute o certificate, è stata soppressa dalla Camera.

 

Si ricorda che l’art. 10-bis punisce chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Il testo originario del decreto-legge, senza innalzare la pena, stabilita nella reclusione da 6 mesi a 2 anni, abbassa la soglia di punibilità dell’omesso versamento dagli attuali 150.000 euro a 100.000 euro.

Analogamente, la Camera dei deputati ha soppresso la lettera p) del decreto-legge che interviene sull’art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000, in tema di omesso versamento di IVA.

 

In base al testo originario del decreto-legge, ferma restando la reclusione da 6 mesi a 2 anni, la fattispecie ricorre in caso di mancato versamento, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 150.000 euro, in luogo degli attuali 250.000.

 

La lettera q) inserisce nel decreto legislativo n. 74 del 2000 l’articolo 12-ter, in forza del quale è consentita la confisca allargata.

 

Si ricorda che il d.lgs. n. 74/2000 già prevede, all’art. 12-bis, la confisca penale obbligatoria anche per equivalente: in caso di condanna (o patteggiamento della pena) per un delitto in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca per equivalente, cioè di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario, anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.

 

Il nuovo articolo 12-ter prevede, in caso di condanna (o patteggiamento della pena) per alcuni delitti in materia di imposte sui redditi e IVA, l’applicazione della c.d. confisca allargata di cui all’art. 240-bis del codice penale e dunque la possibilità di confiscare denaro, beni o altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito.

 

L’art. 240-bis è stato inserito nel codice penale dal d.lgs. n. 21 del 2018, in attuazione della delega sulla riserva tendenziale di codice nella materia penale (legge n. 103 del 2017) e disciplina la confisca c.d. allargata, diretta e per equivalente, già prevista all'art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992.

Nella confisca allargata, che trova la sua origine nella lotta alla criminalità organizzata, viene meno il nesso di pertinenzialità o di continenza tra res sequestrata e reato, per aggredire invece l'intera ricchezza non giustificata ritenuta frutto dell'accumulazione illecita ai sensi di una presunzione legale. L’art. 240-bis c.p. prevede infatti che – in relazione a specifici gravi reati, tra i quali quelli attribuiti alla competenza della procura distrettuale, i delitti contro la pubblica amministrazione e alcune ipotesi di associazione a delinquere – sia sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. La confisca allargata può essere effettuata anche per equivalente, attraverso l’apprensione di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.

Attualmente, la confisca allargata si può applicare in caso di condanna per uno dei seguenti reati: associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone (art. 416, 6° co.), riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi (artt. 600, 601, 602), associazione di tipo mafioso (art. 416 bis), estorsione (art. 629), sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630), usura (art. 644), ricettazione (art. 648, 1° co.), riciclaggio (art. 648 bis), trasferimento fraudolento di valori (art. 12-quinques, 1° co., L. 7.8.1992, n. 356); ovvero per taluno dei reati relativi al traffico di sostanze stupefacenti previsti dall'art. 73 (escluse le fattispecie di lieve entità) e dall'art. 74 TU stupefacenti; ed inoltre per uno dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; nonché per il delitto in materia di contrabbando nei casi di cui all'art. 295, 2° co., D.P.R. 23.1.1973, n. 43, e per delitti in materia di terrorismo anche internazionale. Inoltre, con la legge finanziaria 2007 sono stati inseriti fra i delitti sopra elencati anche quelli dei pubblici ufficiali contro la P.A. (artt. 314, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 ter, 320, 322, 322 bis, 325); con la legge n. 99 del 2009 è stato aggiunto il delitto di cui all'art. 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli artt. 473, 474, 517 ter e 517 quater; con la legge n. 172 del 2012 sono stati aggiunti i delitti di cui agli artt. 600-bis, 1° co., 600-ter, 1° e 2° co., 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies; con la legge n. 190 del 2012 è stato aggiunto il delitto di cui all'art. 319 quater; con la legge n. 68 del 2015 sono stati aggiunti i delitti di cui agli artt. 452-quater, 452-octies, 1° co. e 260 del Codice dell’ambiente (ora art. 452-quaterdecies c.p.). Da ultimo, con la legge n. 199 del 2016 è stato inserito il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.); con il d.lgs. n. 202 del 2016 sono stati inseriti il delitto di associazione per delinquere (art. 416), realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 453, 454, 455, 460, 461; il delitto di autoriciclaggio (art. 648 ter.1); il delitto di corruzione tra privati (art. 2635 c.c.); il delitto di uso indebito di carta di credito (art. 55, 9° co., D.Lgs. 21.11.2007, n. 231); i delitti di cui agli artt. 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies quando le condotte ivi descritte riguardano tre o più sistemi.

 

Per la giurisprudenza, la confisca allargata si basa su di «un'insindacabile scelta politico criminale, una presunzione iuris tantum d'illecita accumulazione, nel senso che il provvedimento ablatorio incide su tutti i beni di valore economico non proporzionato al reddito o all'attività economica del condannato e dei quali questi non possa giustificare la provenienza, trasferendo sul soggetto, che ha la titolarità o la disponibilità dei beni, l'onere di dare un'esauriente spiegazione in termini economici (e non semplicemente giuridico-formali) della positiva liceità della loro provenienza, con l'allegazione di elementi che, pur senza avere la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione» (cfr. Cass., Sez. I, 13.5.2008; Cass., S.U., 17.12.2003 e, più di recente Cass., Sez. I, 6.6-30.7.2018, n. 36499).

 

La disciplina concernente il procedimento applicativo della confisca allargata e l'amministrazione dei beni è ora contenuta nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (artt. 104-bis e 183-ter). Tali disposizioni consentono il sequestro preventivo dei beni confiscabili e rimandano per l’amministrazione dei beni e la tutela dei terzi al Codice antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 52 e ss).

 

La Cassazione ha affermato che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili, è necessario accertare, quanto al fumus commissi delicti, l'astratta configurabilità, nel fatto attribuito all'indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (Cass., Sez. VI, 24.3.2015, n. 26832).

 

Il decreto-legge, dunque, integra l’elenco dei delitti per i quali il legislatore consente la confisca allargata con i reati tributari di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, che presentino specifiche caratteristiche di offensività. In particolare, a seguito dell’esame presso la Camera dei deputati, la confisca allargata è consentita solo in relazione a delitti caratterizzati da condotte fraudolente.

 

L’art. 12-ter, infatti, precisa che si applica l’art. 240-bis c.p. solo in caso di condanna (o patteggiamento di pena) per i seguenti delitti e in presenza di specifici presupposti:

 

§  dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. n. 74/2000), quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a 200.000 euro (il testo originario del decreto-legge prevedeva la più bassa soglia di 100mila euro);

§  dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3, d.lgs. n. 74/2000), quando l’imposta evasa è superiore a 100.000 euro;

§  emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8, d.lgs. n. 74/2000) quando l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture è superiore a 200.000 euro (anche in questo caso il testo originario del D.L. prevedeva una soglia di 100.000 euro);

§  sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000) quando l’ammontare delle imposte, delle sanzioni e interessi è superiore a 100.000 euro ovvero quando l’ammontare degli elementi attivi o passivi fittizi è superiore all’ammontare effettivo di oltre 200.000 euro. Quest’ultima soglia è stata così elevata, rispetto ai 100mila euro previsti dal decreto-legge, nel corso dell’esame del ddl alla Camera.

 

Si ricorda che l’art. 11, comma 1, punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore a 200.000 euro si applica la reclusione da 1 a 6 anni. Il comma 2 punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro. Se l'ammontare è superiore a 200.000 euro si applica la reclusione da 1 a 6 anni.

 

La Camera dei deputati è inoltre intervenuta sul testo del decreto-legge per escludere la confisca allargata per:

§  il delitto di dichiarazione infedele (art. 4, d.lgs. n. 74/2000);

§  il delitto di omessa dichiarazione del contribuente (art. 5, co. 1, d.lgs. n. 74/2000) e di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta (art. 5, co. 1-bis, d.lgs. n. 74/2000) quando l’imposta evasa e le ritenute non versate siano superiori a 100.000 euro;

§  il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10, d.lgs. n. 74/2000);

 il delitto di indebita compensazione (art. 10-quater, d.lgs. n. 74/2000) quando ha ad oggetto crediti non spettanti o inesistenti superiori a 100.000 euro.

Le previsioni del decreto-legge che consentivano anche in questi casi la confisca allargata sono state soppresse.

 

A completamento dell’introduzione dell’istituto della confisca allargata per i reati tributari, la Camera ha specificato (comma 1-bis) che tale istituto potrà essere applicato solo in relazione a fatti commessi dopo l’entrata in vigore della riforma.

Il legislatore riconduce dunque questo istituto al diritto penale sostanziale, escludendo una applicazione retroattiva, sfavorevole al reo.

 

 

Nel corso dell’esame presso la Camera è stata introdotta una ulteriore lettera q-bis) attraverso la quale si modifica l’articolo 13 del decreto legislativo n. 74 del 2000, che consente la non punibilità di alcuni reati tributari a fronte del tempestivo pagamento del debito tributario.

 

In particolare, l’art. 13 prevede la non punibilità:

§  dei reati di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis) o di IVA (art. 10-ter) e di indebita compensazione (art. 10-quater) se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari (comprese sanzioni amministrative e interessi), sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti. A tal fine possono essere applicate le speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché il ravvedimento operoso (comma 1);

§  dei reati di dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5) se i debiti tributari (comprese sanzioni e interessi), sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, purché il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (comma 2). Se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione, è concesso un termine di 3 mesi per il pagamento del debito residuo e la prescrizione è sospesa.

 

Il provvedimento interviene sul comma 2 per aggiungere – tra i reati che si estinguono con l’integrale pagamento del debito tributario prima che l’interessato abbia notizia dell’apertura del procedimento a suo carico – il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n. 74/2000) e il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del d.lgs. n. 74/2000).

Il comma 2 dell’articolo 39, ampliato nel corso dell'esame presso la Camera, introduce nel decreto-legislativo n. 231 del 2001 la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in relazione alla commissione di reati tributari.

 

La disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche si fonda sui seguenti principi:

§  le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 231/2001 trovano applicazione nei confronti degli «enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica», mentre non rientrano nella sfera di apprensione della riforma lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1);

§  la responsabilità della persona giuridica sorge per connessione con la realizzazione di un reato, compreso tra quelli espressamente indicati dal legislatore (art. 24 e ss.), da parte di una persona fisica che sia legata all'ente da un rapporto funzionale, che potrà essere di rappresentanza o di subordinazione;

§  il criterio di collegamento fra l'illecito e l'ente collettivo ha natura, per così dire, oggettiva, e consiste nella circostanza che il reato sia stato realizzato nell'interesse od a vantaggio dell'ente;

§  il tipo di rapporto funzionale che lega l'autore (persona fisica) del reato all'ente è determinante per individuare il criterio di imputazione soggettiva della responsabilità dell'ente. Al riguardo, sono individuati dal legislatore due tipi di rapporto (art. 5): il rapporto di rappresentanza ed il rapporto di subordinazione. Con riferimento alla prima ipotesi, nel caso in cui cioè il reato sia stato commesso da soggetti in posizione apicale, la persona giuridica risponde dell'illecito nella misura in cui essa non sia stata in grado di provare di aver comunque adottato, prima della realizzazione del reato, misure organizzative idonee a prevenire la commissione di illeciti da parte dei suoi organi di vertice. Nell'ipotesi invece in cui l'illecito penale sia stato posto in essere da soggetto sottoposto all'altrui direzione, l'ente risponde in caso vi sia stato un deficit di sorveglianza o di organizzazione con conseguente mancato controllo del responsabile dell'illecito che ha potuto così commettere il reato;

§  all'ente sono applicabili sanzioni interdittive, sanzioni pecuniarie, confisca e pubblicazione della sentenza;

§  la sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 231/2001, è applicata per quote, in un numero non inferiore a 100 né superiore a 1.000. L'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria (art. 11) il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.

 

In particolare, il decreto-legge inserisce l’articolo 25-quinquiesdecies nel catalogo dei reati che, in base al decreto legislativo n. 231/2001, costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.

La previsione originaria del decreto-legge - che prevede sanzioni amministrative solo a fronte della commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti - è stata integrata nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, prevedendo a carico dell’ente le seguenti sanzioni amministrative.

 

Reato (d.lgs. n. 74/2000)

Sanzioni interdittive + sanzione amministrativa pecuniaria

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti che determinano un passivo fittizio uguale o superiore a 100 mila euro (art. 2, co. 1)

Fino a 500 quote

Dichiarazione fraudolenza mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti che determinano un passivo fittizio inferiore a 100 mila euro (art. 2, co. 2-bis, introdotto dal DL)

Fino a 400 quote

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3)

Fino a 500 quote

Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti per importi uguali o superiori a 100 mila euro (art. 8, co. 1)

Fino a 500 quote

Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti per importi inferiori a 100 mila euro (art. 8, co. 2-bis)

Fino a 400 quote

Occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10)

Fino a 400 quote

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11)

Fino a 400 quote

 

Tutte le sanzioni sono aumentate di un terzo se, a seguito del reato tributario, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità (comma 2).

 

 

Inoltre, agli enti si applicano anche le seguenti sanzioni interdittive:

§  il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

§  l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;

§  il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Si ricorda, che la Direttiva UE 2017/1371 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale - la cui attuazione nell’ordinamento è prevista dall’art. 3 della recente legge di delegazione europea 2018 (L. 4 ottobre 2019, n. 117) - demanda agli Stati membri di prevedere la responsabilità delle persone giuridiche che abbiano tratto beneficio dalla consumazione di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, qualora tali reati siano stati commessi da parte dei membri apicali delle stesse, ovvero a seguito dell’omissione di controlli da parte dei vertici societari (art. 6).

 

Infine, il comma 3 individua per le disposizioni dettate dall’art. 39 una efficacia temporale diversa da quella prevista per l’intero decreto-legge dall’art. 60 (in base al quale il D.L. entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, v. infra).

Le disposizioni dell’art. 39, relative alla modifica delle norme penali (comma 1), alla confisca allargata e alla previsione della responsabilità amministrativa degli enti (comma 2) si applicheranno infatti solo dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto-legge.

 

Si ricorda, inoltre, che le disposizioni sulla confisca allargata, per espressa disposizione normativa, potranno applicarsi solo ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della riforma.


 

Capo V – Ulteriori disposizioni per esigenze indifferibili

Articolo 40, commi 1 e 2
(
Eliminazione vincoli di spesa per
Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. ed Equitalia
Giustizia S.p.A.)

 

 

L’articolo 40 è volto ad escludere la Società Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI) e la Società Equitalia Giustizia S.p.A. dall’applicazione di determinati vincoli ed obblighi in materia di contenimento della spesa pubblica, vigenti per le pubbliche amministrazioni.

 

In particolare, il comma 1 riguarda la Società Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI), che viene esclusa dall’applicazione dei vincoli o obblighi di contenimento della spesa pubblica attualmente previsti a carico delle pubbliche amministrazioni, di cui all’elenco ISTAT redatto ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009)[2].

L’esclusione dai vincoli avrebbe la finalità, indicata dalla norma, di assicurare il pieno ed efficace svolgimento delle attività funzionali al raggiungimento degli obiettivi istituzionali e societari attribuiti alla società Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI).

 

Per quanto concerne le misure di contenimento delle spese attualmente gravanti sulle pubbliche amministrazioni, si ricorda che nel corso degli ultimi anni si sono stratificati numerosi interventi normativi volti sia al contenimento della spesa pubblica che ad una sua progressiva riqualificazione. Gli interventi più numerosi riguardano il contenimento della spesa per consumi intermedi delle PA, attuato sia incidendo sulle modalità di determinazione dei prezzi di acquisto, sia attraverso l’introduzione di limiti alla capacità di spesa annua delle Amministrazioni (riduzione della spesa per beni e servizi, per autovetture, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, missioni e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ecc.). Ulteriori misure di contenimento sono state introdotte con riferimento alle spese per immobili (controllo delle spese annue di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili, riduzione delle spese per i canoni di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali, ecc.), alle spese per organi collegiali ed altri organismi, nonché per i costi di personale.

Una disamina delle vigenti norme di contenimento della spesa pubblica, applicabili alle Amministrazioni statali e agli enti ed organismi pubblici, è contenuto nel quadro sinottico allegato alla Circolare del 29 aprile 2019, n. 14, con la quale si forniscono agli enti ed organismi pubblici istruzioni ai fini di un puntuale adeguamento e per una corretta gestione del bilancio di previsione per il 2019 (Allegato 1).

 

Il comma precisa inoltre che la Società conserva autonomia finanziaria e operativa, fermo restando l’obbligo di preventiva informativa ai competenti Ministeri e autorità, in relazione alle operazioni finanziarie che comportano una variazione dell’esposizione debitoria della società.

 

Il comma 2 esclude la Società Equitalia Giustizia S.p.A. dall’applicazione di alcuni vincoli di contenimento della spesa pubblica sostenuta in determinati settori dalle pubbliche amministrazioni.

La disapplicazione è limitata ad alcune misure di contenimento introdotte a decorrere dall’anno 2011 dal D.L. n. 78/2010, gravanti sulle seguenti specifiche tipologie di spesa:

§  di personale,

§  per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti,

§  per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché per sponsorizzazioni,

§  per attività esclusivamente di formazione.

 

Nello specifico, la disapplicazione riguarda le seguenti disposizioni previste dall’articolo 6, commi 7, 11 e 13, e dall’articolo 9, commi 28 e 29, del D.L. 78/2010, che, rispettivamente, prevedono:

§  la riduzione della spesa annua delle pubbliche amministrazioni per studi ed incarichi di consulenza nel limite del 20% di quella sostenuta nel 2009 (art. 6, comma 7);

§  l’obbligo per le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, rientranti nell’elenco ISTAT di cui all’art. 1, co. 3, della legge n. 196/2009, di conformarsi al principio di riduzione di spesa per studi e consulenze, per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché per sponsorizzazioni, come rispettivamente previste dai commi 7, 8 e 9 dell’art. 6 del D.L. n. 78/2010 (art. 6, comma 11).

§  La riduzione della spesa annua sostenuta per attività esclusivamente di formazione nel limite del 50% di quella sostenuta nel 2009 (art. 6, comma 13);

§  il contenimento delle spese per personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché per i contratti di formazione lavoro, per altri rapporti formativi, per la somministrazione di lavoro, e per il lavoro accessorio, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009 (art. 9, comma 28). Per le società non quotate, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, controllate direttamente o indirettamente dalle P.A., è previsto l’obbligo di adeguare le loro politiche assunzionali alle disposizioni per il contenimento delle spese in materia di pubblico impiego previste dall’articolo 9 del D.L. n. 78/2010 (art. 9, comma 29).

 

Secondo quanto indicato dalla disposizione stessa, l’esclusione dai vincoli avrebbe la finalità di agevolare e di potenziare l’attività svolta da Equitalia per la riscossione dei crediti di giustizia, nonché di incrementare il gettito per l’Erario derivante da tali attività.

 

Il comma ribadisce peraltro il principio del concorso della Società Equitalia Giustizia S.p.A. al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e l’obbligo di versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un importo corrispondente ai risparmi conseguiti dall’applicazione delle suddette norme.

Per il versamento all'entrata del bilancio dello Stato dei risparmi conseguiti a seguito dell'applicazione delle indicate norme, la disposizione rinvia alla disciplina del comma 506 della legge n. 208/2015, che, con riferimento alle società, prevede il versamento da effettuare in sede di distribuzione del dividendo, ove nel corso dell'esercizio di riferimento la società abbia conseguito un utile e nei limiti dell'utile distribuibile ai sensi di legge. A tali fini, in sede di approvazione del bilancio di esercizio, i soggetti che esercitano i poteri dell'azionista deliberano, in presenza di utili di esercizio, la distribuzione di un dividendo almeno corrispondente al risparmio di spesa evidenziato nella relazione sulla gestione ovvero per un importo inferiore qualora l'utile distribuibile non risulti capiente.


 

Articolo 40, commi da 1-bis a 1-quater
(Investimenti nella rete ferroviaria nazionale)

 

 

Il comma 1-bis dell’articolo 40, introdotto dalla Camera, autorizza la spesa di 460 milioni di euro per investimenti infrastrutturali nella rete ferroviaria nazionale ed il comma 1-ter reca la copertura finanziaria dell’intervento.

 

Il comma 1-bis dispone una generica autorizzazione di spesa, come detto per 460 milioni per l’anno 2019, vincolandone la destinazione ad investimenti infrastrutturali che siano relativi alla rete ferroviaria nazionale.

La società che è titolare della concessione sessantennale (ai sensi del decreto ministeriale n. 138/T del 2000) per la gestione della rete nazionale, è Rete ferroviaria italiana Spa (RFI), quindi destinataria di tale stanziamento.

 

Si ricorda che sui 20.436 chilometri di infrastruttura ferroviaria presente in Italia, 16.781 Km sono gestiti direttamente da Rete ferroviaria italiana (dati al 31 dicembre 2018) mentre 3.181 chilometri (di cui circa 1.200 chilometri interconnessi con l'infrastruttura nazionale) sono gestiti da soggetti pubblici o privati diversi dal gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale. Infatti accanto alla Rete ferroviaria nazionale, sono presenti in Italia reti ferroviarie, sia interconnesse con la rete ferroviaria nazionale, che non interconnesse con la stessa (in tal caso denominate reti isolate), le quali sono gestite da soggetti diversi dal gestore della rete nazionale. Le reti ferroviarie gestite da soggetti diversi da Rete ferroviaria italiana interconnesse con l'infrastruttura ferroviaria nazionale sono elencate nell'Allegato A al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 5 agosto 2016. Le reti ferroviarie isolate sono state individuate con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 347/2019.

 

Il comma 1-ter reca la copertura finanziaria dell’intervento, che viene realizzata attraverso la riduzione delle seguenti di autorizzazioni di spesa relative all’anno 2019:

a)   per 200 milioni € a valere sulle risorse per il reddito di cittadinanza di cui al Capo I del D.L. n. 4/2019;

b)  per 200 milioni € a valere sulle risorse per il trattamento di pensione anticipata «quota 100» previsto dal DL. n. 4/2019, in particolare relativi all’accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi (art. 14) e alla riduzione dell’anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento anticipato indipendente dall'età anagrafica (articolo 15);

c)   per 60 milioni € sullo stanziamento del Fondo speciale di conto capitale, nell’ambito del Programma “Fondi di riserva e speciali”, dello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, in particolare a valere sull’accantonamento relativo al MEF per 40 milioni € e su quello relativo al Ministero dell’ambiente per 20 milioni €.

 

Il comma 1-quater dispone l’entrata in vigore dei commi 1-bis e 1-ter lo stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge di conversione del presente decreto legge.


 

Articolo 40-bis
(
Norme in materia di condizioni per la circolazione
del materiale rotabile
)

 

 

L’articolo 40-bis, inserito nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, è volto a prevedere la progressiva dismissione (entro il 31 dicembre 2025) dei veicoli ferroviari con toilette a scarico aperto.

 

In particolare, il comma 1 prevede che le imprese ferroviarie procedono, entro il 31 dicembre 2025, alla dismissione dei veicoli circolanti con toilette a scarico aperto.

Fino alla predetta data tali veicoli possono continuare a circolare, senza alcuna restrizione. Si prevede tuttavia una progressiva riduzione dei veicoli con toilette a scarico aperto circolanti.

Nella specie il numero di veicoli circolanti per ciascuna impresa ferroviaria non può eccedere:

a) il quaranta per cento dei veicoli circolanti al 31 dicembre 2021;

b) il trenta per cento dei veicoli circolanti al 31 dicembre 2022;

c) il venti per cento dei veicoli circolanti al 31 dicembre 2023;

d) il dieci per cento dei veicoli circolanti al 31 dicembre 2024.

 

Andrebbe valutata l’opportunità di limitare la base di calcolo delle percentuali massime di veicoli circolanti con toilette a scarico aperto riferendola esclusivamente ai veicoli immatricolati in Italia o circolanti esclusivamente sulla Rete ferroviaria nazionale e sulle reti regionali, escludendo pertanto dalla base di calcolo i veicoli non circolanti sul territorio nazionale che appartengono a compagnie operanti, in via principale, in altri Stati membri dell’Unione europea. In tale ultimo caso la percentuale andrebbe calcolata sulle vetture circolanti esclusivamente sulla Rete ferroviaria nazionale o sulle reti regionali.

 

La disposizione richiama anche il rispetto delle disposizioni di cui al Regolamento (UE) n. 1302/2014 della Commissione, del 18 novembre 2014.

 

Il Regolamento 1302/2014 della Commissione, del 18 novembre 2014 ha ad oggetto una specifica tecnica di interoperabilità relativa al sottosistema «Materiale rotabile - Locomotive e materiale rotabile per il trasporto di passeggeri» del sistema ferroviario nell'intera Unione europea.

Con specifico riferimento alle caratteristiche tecniche dei servizi igienici la STI dispone che: “I servizi igienici (toilette, bagni, attrezzature per bar/ristorante) laddove presenti non devono consentire il rilascio di sostanze che possano nuocere alla salute delle persone o all'ambiente. Le sostanze rilasciate (ossia l'acqua trattata; esclusa l'acqua contenente sapone rilasciata direttamente dalle toilette) devono essere conformi alle seguenti direttive:

§  il contenuto batterico delle acque di scarico provenienti dai servizi igienici non deve in alcun momento superare il valore del contenuto batterico di enterococchi intestinali e di Escherichia coli classificato come di «buona qualità» per le acque interne nella direttiva europea 2006/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione,

§  i processi di trattamento non devono introdurre sostanze individuate nell'allegato I della direttiva 2006/11/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico dell'Unione.

(3) Per limitare la dispersione dei liquidi rilasciati sui binari, lo scarico non controllato da qualsiasi fonte deve avvenire solo verso il basso, sotto il telaio della carrozzeria del veicolo a una distanza non superiore a 0,7 metri dalla linea centrale longitudinale del veicolo”.

Tale regolamento si applica alle vetture immatricolate dal 1° gennaio 2015 in poi ed ha efficacia retroattiva e pertanto non riguarda tutte le vetture immatricolate precedentemente.

In ragione di ciò, allo stato attuale, tali tipologie di vetture ferroviarie sono da considerare conformi alla normativa europea.

Si segnala altresì che tale specifica tecnica, concernente le caratteristiche dei servizi igienici e dei relativi scarichi, non rientra tra gli “Aspetti per i quali non è disponibile una specifica tecnica (punti in sospeso)”.

 

Il comma 2 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2026, sulle reti nazionali e regionali, non sia consentita la circolazione dei rotabili con toilette a scarico aperto, adibiti al trasporto di passeggeri.

 

Andrebbe valutato se tale divieto, qualora applicabile a tutte le società ferroviarie, anche non italiane, i cui rotabili circolino sul territorio nazionale, sia compatibile con le disposizioni europee con particolare riferimento al fatto che tale previsione sia suscettibile di produrre “discriminazioni arbitrarie o una restrizione dissimulata alle operazioni di trasporto ferroviario tra gli Stati membri”.

 

In ogni caso si segnala la necessità di provvedere alla notifica di tale norma ai sensi dell’articolo 25 della direttiva 2016/796 che istituisce un'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie. 

 

Tale divieto non si applica ai rotabili storici di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 9 agosto 2017, n. 128.

Ai sensi dell’articolo 3, comma 1 della legge n. 128 del 2017 sono rotabili storici: a) i mezzi ferroviari, motori e trainati, non più utilizzati per il normale esercizio commerciale, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno dall'entrata in esercizio del primo esemplare o che abbiano compiuto il venticinquesimo anno dall'entrata in servizio del primo esemplare e che, per particolari caratteristiche tecniche, estetiche e industriali, siano testimonianza di significative evoluzioni nel campo del trasporto ferroviario nazionale; b) le locomotive a vapore circolanti sulle ferrovie regionali, anche a scartamento ridotto.


 

Articolo 41, comma 1
(
Fondo di garanzia PMI)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 41 dispone un rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di 670 milioni di euro per l'anno 2019.

 

Il Fondo di garanzia per le PMI – istituito in base all’art. 2, comma 100, lettera a), della legge n. 662 del 1996 e alimentato con risorse pubbliche – garantisce o contro-garantisce operazioni, aventi natura di finanziamento ovvero partecipativa, a favore di piccole e medie imprese, nonché alle imprese cd. small mid-cap (imprese con un numero di dipendenti fino a 499), ad eccezione di quelle rientranti in determinati settori economici secondo la classificazione ATECO (ad esempio, attività finanziarie e assicurative).

Il Fondo, costituito presso il Mediocredito centrale, soggetto gestore, è amministrato da un Consiglio di gestione, i cui componenti sono stati rinnovati il 12 aprile 2018. Il Consiglio è costituito da un raggruppamento temporaneo di imprese formato da cinque istituti bancari: Banca del Mezzogiorno - MedioCredito Centrale S.p.A., in qualità di soggetto mandatario capofila, Artigiancassa S.p.A., MPS Capital Services Banca per le Imprese S.p.A., Mediocredito Italiano S.p.A. e Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane S.p.A., in qualità di mandanti.

Il Consiglio di gestione approva la situazione contabile del Fondo, la rendicontazione delle disponibilità, gli impegni e le insolvenze alla data del 31/12 precedente e segnala al Ministero dello Sviluppo Economico la necessità di integrazione delle risorse del Fondo

 

Il Fondo di garanzia per le PMI costituisce uno dei principali strumenti di sostegno pubblico finalizzati a facilitare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese. Con l’intervento del Fondo, l’impresa non ha un contributo in denaro, ma ha la concreta possibilità di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive - e quindi senza costi di fidejussioni o polizze assicurative - sugli importi garantiti dal Fondo stesso. Dal punto di vista operativo, il Fondo, infatti:

§  rilascia ai soggetti finanziatori, in primis le banche, garanzie dirette irrevocabili, incondizionate ed escutibili “a prima richiesta”, nonché

§  rilascia controgaranzie a consorzi di garanzia collettiva fidi - Confidi o altro fondo di garanzia ovvero

§  sulla base di apposita convenzione, effettua operazioni in cogaranzia con i Confidi e con gli altri Fondi di garanzia istituiti nell’ambito dell’Unione Europea o da essa cofinanziati.

Il meccanismo di funzionamento del Fondo genera – come rilevato dal MISE - un importante effetto leva, in grado di agire da moltiplicatore delle risorse pubbliche, configurandosi come un efficace strumento di politica industriale con un rapporto costi/benefici migliore di qualsiasi altra agevolazione.

In base a quanto previsto dall’art. 11, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009) gli interventi di garanzia del Fondo sono assistiti dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza, secondo criteri, condizioni e modalità stabilite con D.M. 25 marzo 2009.

Il Fondo, per effetto del graduale rimborso dei finanziamenti, è in grado di reimpiegare più volte le risorse assegnate.

Quanto alla disciplina relativa alle modalità operative del Fondo, questa è stata oggetto nel tempo di varie modifiche, finalizzate in sostanza a ad estendere i volumi di finanziamenti garantiti attraverso di esso, dunque a potenziarne l’operatività, pur con il fine di mantenerla su livelli compatibili con gli equilibri della finanza pubblica.

In particolare, nel D.L. n. 69/2013, oltre alla previsione - contenuta nell’ articolo 1 del Decreto - di un aggiornamento dei criteri di valutazione delle imprese ai fini dell'accesso alla garanzia del Fondo e di una semplificazione delle procedure e delle modalità di presentazione delle richieste, all’articolo 2, comma 6, come sostituito dall’articolo 18, comma 9-bis, del D.L. n. 91/2014, ha posto la base giuridica per una riforma complessiva del modello di valutazione del merito creditizio delle imprese simile ai modelli di rating utilizzati dalle banche, in sostituzione del precedente sistema di credit scoring e, dunque, per una rimodulazione delle percentuali di garanzia del Fondo in funzione della rischiosità del prenditore e della durata e tipologia di operazione finanziaria. La riforma, già avviata nella precedente legislatura, è divenuta in questa pienamente operativa.

Le nuove disposizioni operative del Fondo, che intervengono a completamento della riforma, sono state approvate con D.M. 13 febbraio 2019 e sono entrate in vigore il 15 marzo 2019. Esse si applicano alle richieste di ammissione alla garanzia del Fondo presentate a partire da quella data. Tra le principali novità della riforma si segnala:

§  la ridefinizione delle modalità d’intervento che vengono articolate in garanzia diretta, riassicurazione e controgaranzia.

-      La controgaranzia in senso proprio è la garanzia concessa dal Fondo a un soggetto garante ed escutibile dal soggetto finanziatore nel caso in cui né il soggetto beneficiario né il soggetto garante siano in grado di adempiere alle proprie obbligazioni nei confronti del medesimo soggetto finanziatore (cd. doppio default). La controgaranzia è rilasciata esclusivamente su garanzie dirette, esplicite, incondizionate, irrevocabili ed escutibili a prima richiesta del soggetto;

-      La riassicurazione è invece la garanzia concessa dal Fondo a un soggetto garante e dallo stesso escutibile esclusivamente a seguito della avvenuta liquidazione al soggetto finanziatore della perdita sull’operazione finanziaria garantita. Il reintegro da parte del Fondo avviene dunque nei limiti della misura di copertura, di quanto già liquidato dai soggetti garanti ai soggetti finanziatori

§  l’applicazione all’intera operatività del Fondo del modello di valutazione basato sulla probabilità di inadempimento delle imprese beneficiarie (in una prima fase, il modello è stato applicato solo alla cd. “Nuova Sabatini”,

§  la riorganizzazione delle misure di copertura e di importo massimo garantito, l’introduzione delle operazioni a rischio tripartito.

 

In merito all’operatività del Fondo, appare opportuno segnalare che il recente D.L. n. 34/2019 ha abrogato la previsione che consentiva di limitare, con delibera della Conferenza unificata Stato, regioni, città e autonomie locali, l'intervento del Fondo alle sole operazioni di controgaranzia nel territorio delle regioni in cui fossero coesistenti altri Fondi regionali di garanzia.

 

Quanto alle modalità di finanziamento del Fondo, esso è alimentato prevalentemente attraverso risorse statali. La sua dotazione viene incrementata anche attraverso le risorse del Programma operativo nazionale PON “Imprese e competitività” (a sua volta alimentato da risorse del Fondo europeo per lo sviluppo regionale FESR 2014-2020 e da risorse nazionali a titolo di cofinanziamento). Inoltre, ai sensi dell’articolo 11, comma 5 del D.L. n. 185/2008, la dotazione del Fondo di garanzia può essere incrementata mediante versamento di contributi da parte delle banche, delle Regioni e di altri enti e organismi pubblici, ovvero con l'intervento della Cassa depositi e prestiti S.p.A. e della SACE S.p.A., secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.

Il Fondo, come detto istituito presso il Mediocredito centrale MCC, opera “fuori bilancio”: le relative risorse sono iscritte sul conto corrente di tesoreria centrale n. 22034 il cui gestore è il Mediocredito centrale.

 

Il Fondo opera attraverso più sezioni, normativamente previste (la disciplina, istitutiva delle sezioni, è sia di rango primario che secondario), destinate ciascuna ad operazioni in garanzia per dati settori economici, es. autotrasporto, micro imprenditorialità, imprenditoria femminile, ovvero dedicate a garantire misure di sostegno finanziario ad hoc, quali ad es. la Sezione speciale “Resto al Sud”.

 

L’ambito di operatività del Fondo è stato poi via via esteso a garantire interventi specifici: si rinvia, in merito, alle garanzie rilasciate dal Fondo su portafogli di finanziamenti erogati alle imprese cd. MID CAP (con numero di dipendenti non superiore a 499) ai sensi dell’art. 39, comma 4 del D.L. n. 201/2011 e su portafogli di mini bond, ai sensi dell'art. 12, comma 6-bis, del D.L. n. 145/2013.

Quanto alle garanzie concesse dal Fondo nell'ambito di portafogli di finanziamenti, il recente D.L. n. 34/2019 ha innalzato, da 2,5 a 3,5 milioni di euro, l'importo massimo garantito per singola impresa.

Lo stesso D.L. ha innalzato fino a 5 milioni di euro l'importo massimo garantibile dal Fondo per singolo beneficiario finale sulle operazioni di sottoscrizione dei cd. "mini bond" abrogando la previsione secondo la quale la garanzia del Fondo poteva essere attivata solo dal sottoscrittore l'emissione dei mini bond.

Il Fondo, nel corso degli anni, è stato più volte rifinanziato.

L’articolo 1, comma 53 della legge di stabilità 2014 (Legge n. 147/2013), come modificato dall’articolo 8-bis, comma 2, del D.L. n. 3/2015, ha previsto l’assegnazione al Fondo di 200 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, mediante riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, e in coerenza con le relative finalità. Ha altresì previsto che con apposita delibera del CIPE siano assegnati al Fondo, a valere sul medesimo Fondo per lo sviluppo e la coesione, ulteriori 600 milioni di euro.

In attuazione di tale previsione, la Delibera CIPE n. 94 del 22 dicembre 2017 ha disposto l’assegnazione al Fondo di quota parte dell’importo autorizzato dalla testé citata norma, pari a 300 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione FSC 2014-2020. L’assegnazione è stata imputata per 28 milioni di euro all’annualità 2014, per 85,5 milioni di euro all’annualità 2015, per 186,5 milioni di euro all’annualità 2016. L’utilizzo delle risorse è nel rispetto del criterio di riparto percentuale dell’80 per cento al Mezzogiorno e del 20 per cento al Centro-Nord. Dunque, con la norma qui in esame, le residue risorse del FSC destinate ai sensi del comma 53 al Fondo di garanzia PMI, pari a 300 milioni di euro, vengono interamente imputate ope legis all’annualità 2018.

Inoltre, il Fondo, nell’ultimo triennio, è stato anche rifinanziato:

§  dal D.L. n. 193/2016 (articolo 13, comma 1), collegato alla manovra finanziaria 2017, nella misura di 895 milioni di euro per l’anno 2016, e per ulteriori 100 milioni a valere sugli stanziamenti del Programma Operativo Nazionale (PON) "Imprese e competitività 2014-2010", a titolarità del Ministero dello Sviluppo economico (cfr. delibera CIPE del 1 dicembre 2016 e D.M. 13 marzo 2017)

§  dalla legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) la quale, all’articolo 1, comma 192, ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2016-2018 per il sostegno alle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, disponendo che quota parte di tali risorse – pari a 3 milioni di euro - confluisca direttamente in un'apposita sezione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (cfr. D.M. attuativo 4 novembre 2016); la legge di bilancio per il 2017 (L. n. 232/2016), all’articolo 1, commi 612, ha poi autorizzato per le medesime finalità sopra indicate l'ulteriore somma di 3 milioni per l'anno 2019;

§  dalla legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) la quale, all’articolo 1, comma 650, della ha stanziato 10 milioni per l’anno 2016 in favore della Sezione speciale per l'autotrasporto istituita nell'ambito del Fondo con Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 27 luglio 2009;

§  ai sensi dell’articolo 7-quinquies, comma 5, del D.L. n. 5/2009, sono stati assegnato al Fondo 100 milioni per l’anno 2016;

§  ai sensi del comma 5 ter, articolo 1 del D.L. 21giugno2013, n. 69 è stato riassegnato al cap. 7345/MISE un importo pari a 5,7 milioni di euro nel 2016, a 3,6 milioni nel 2017 e a 2,6 milioni nel 2018: si tratta di somme provenienti dalle somme versate all’entrata a titolo di contributi su base volontaria per interventi destinati alla Sezione del Fondo per la micro-imprenditorialità. I versamenti volontari sono proseguiti anche nell’anno 2018 e 2019, secondo la tabella costantemente aggiornata dal MISE, disponibile qui.

§  dalla legge n. 220/2016, di disciplina del cinema e dell’audiovisivo, che, all’articolo 30, ha stanziato 5 milioni di euro nell'anno 2017 per la Sezione per il cinema e l'audiovisivo istituita nell'ambito del Fondo dalla stessa legge;

§  dal D.L. n. 148/2017 , il quale all’articolo 9, ha incrementato la dotazione del Fondo di 300 milioni per l'anno 2017 e di 200 milioni di euro per l'anno 2018 e ha disposto la riassegnazione al Fondo stesso per l'anno 2017 delle entrate incassate nell'ultimo bimestre 2016 relative alle sanzioni Antitrust al Fondo di garanzia, nel limite di 23 milioni di euro.

§  con D.M. del 13 marzo 2017 è stata poi istituita la Sezione speciale del Fondo denominata “Riserva PON IC” alimentata con risorse del Programma operativo nazionale «Imprese e competitività» FESR 2014-2020 e destinata a interventi di garanzia nelle regioni del Mezzogiorno. A tale Sezione sono stati destinati 200 milioni rivenienti dal suddetto PON, in attuazione dell’Azione 3.6.1 (al 31 dicembre 2017, rileva la Relazione sulle spese di investimento e relative leggi pluriennali, allegata alla Nota di aggiornamento al DEF 2018, sono stati già trasferiti materialmente al Fondo 51,3 milioni).

§  dal D.L. n. 119/2018, il quale, all’articolo 22, assegna al Fondo 735 milioni di euro per l'anno 2018, di cui 300 milioni sono a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione - programmazione 2014-2020 già destinate al Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 1, comma 53, secondo periodo, della legge di stabilità 2014. Pertanto, la rimanente quota di 435 milioni ha costituito rifinanziamento;

I rifinanziamenti statali vengono iscritti a bilancio dello Stato nello stato di previsione del MISE (capitolo 7345/MISE) per essere successivamente riassegnati alla contabilità speciale (conto corrente di Tesoreria n. 223034) intestata al Gestore del Fondo (Mediocredito Centrale Spa).

 

Infine, il D.L. n. 135/2018, all’articolo 1, ha istituito una Sezione speciale dedicata a interventi di garanzia in favore delle PMI in difficoltà nella restituzione delle rate di finanziamenti già contratti con banche e intermediari finanziari e titolari di crediti certificati nei confronti delle pubbliche Amministrazioni. La Sezione è stata dotata di 50 milioni di euro a valere sulle disponibilità del Fondo.

Il recente D.L. n. 34/2019 ha poi consentito l'accesso alla Sezione anche alle PMI edili che hanno contratto finanziamenti assistiti da garanzia ipotecaria di primo grado su beni immobili civili, commerciali ed industriali, le cui posizioni creditizie, non coperte da altra garanzia pubblica, siano state certificate come inadempienze probabili entro l'11 febbraio 2019 (a prescindere che siano creditrici della PA).

Il D.L. n. 34/2019 ha inoltre istituito una nuova sezione speciale destinata alla concessione, a titolo oneroso, di garanzie a copertura di singoli finanziamenti e portafogli di finanziamenti - di importo massimo garantito di 5 milioni e di durata ultradecennale fino a 30 anni - erogati da banche e intermediari finanziari alle imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499 e finalizzati per al meno il 60 percento a investimenti in beni materiali. A tal fine, la dotazione del Fondo è stata incrementata di 150 milioni di euro per l'anno 2019.


 

Articolo 41, comma 2
(
Garanzie ISMEA alle imprese agricole
per sviluppo di tecnologie innovative
)

 

 

Il comma 2 dell’articolo 41 prevede la concessione di garanzie a titolo gratuito da parte di ISMEA a favore delle imprese agricole che intendano chiedere finanziamenti per iniziative di sviluppo delle tecnologie innovative, finalizzate, tra l’altro, secondo una modifica introdotta dalla Camera, a contrastare e prevenire i danni causati dalla fauna selvatica alle imprese agricole. La richiesta di finanziamenti potrà avere ad oggetto anche lo sviluppo dell’agricoltura di precisione e, secondo quanto aggiunto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, delle nuove tecniche di irrigazione o la tracciabilità dei prodotti con tecnologie emergenti, comprese le tecnologie blockchain (che nel testo originario erano richiamate in modo esclusivo), l’intelligenza artificiale e l’internet delle cose. La garanzia è concessa nel limite di 20.000 euro di costo per una spesa complessiva di 30 milioni di euro per l’anno 2019.

 

Le garanzie richiamate dal comma in esame sono quelle previste dall’articolo 17, comma 2, del D.Lgs. n.102/2004, secondo il quale ISMEA può concedere la propria garanzia a fronte di finanziamenti a breve, a medio ed a lungo termine concessi da banche, intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale, nonché dagli altri soggetti autorizzati all'esercizio del credito agrario e destinati alle imprese operanti nel settore agricolo, agroalimentare e della pesca. La garanzia può altresì essere concessa anche a fronte di transazioni commerciali effettuate per le medesime destinazioni.

 

Il medesimo comma 2 precisa che la concessione a titolo gratuito delle garanzie sarà disposta nei limiti previsti dai regolamenti (UE) n.1407/2013 e 1408/2013, relativi all’applicazione degli articoli 107-109 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

 

L'articolo 107 del TFUE, in particolare, definisce ciò che costituisce un aiuto di Stato e ne dichiara in via di principio l'incompatibilità con il mercato interno. Per quanto concerne il settore agricolo e forestale, è prevista, all'articolo 107, paragrafo 2, lettera b) del TFUE, la compatibilità con il mercato interno di quegli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati da calamità naturali o da altri eventi eccezionali. Inoltre, conformemente all'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del medesimo TFUE, la Commissione europea può considerare compatibili con il mercato interno gli aiuti di Stato destinati ad agevolare lo sviluppo economico dei settori agricolo e forestale e quello delle zone rurali, sempreché gli stessi non alterino le condizioni degli scambi.

A partire dal 14 marzo 2019, l’articolo 3 del regolamento (UE) n. 1408 del 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, come da ultimo modificato, ha portato il massimale di aiuto concedibile per singola impresa nell’arco di tre esercizi finanziari dai precedenti 15.000 euro a 20.000 euro (a 25.000 euro a determinate condizioni). Si prevede, inoltre, che l'importo complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro alle imprese che operano nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli - nell'arco di tre esercizi finanziari - non possa superare il limite nazionale stabilito in appositi allegati al regolamento.

 

Per l’attuazione delle disposizioni in esame è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l’anno 2019, da destinare all’Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (ISMEA).

 

In materia di agevolazioni nazionali per gli investimenti (anche nel settore agricolo), si ricorda che l’art. 1, comma 9, della  legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016) , al fine di favorire processi di trasformazione tecnologica e digitale secondo il modello “Industria 4.0”, ha istituito una nuova misura di maggiorazione del 150% del costo di acquisizione per gli ammortamenti di investimenti su beni materiali strumentali nuovi ad alto contenuto tecnologico (inclusi nell'allegato A della legge). Le operazioni dovevano essere effettuate sino al 30 giugno 2018 e consentivano di ammortizzare un valore pari al 250% del costo di acquisto.

Quest’ultima agevolazione – rimodulata in base all’importo degli investimenti - è stata estesa, da ultimo, agli investimenti in beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive situate nel territorio dello Stato, effettuati entro il 31 dicembre 2019, ovvero entro il 31 dicembre 2020 a condizione che entro la data del 31 dicembre 2019 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione (art. 1, commi 60 e 61, della legge n. 145 del 2018).

In sintesi, l'espressione Industria 4.0, o Piano nazionale impresa 4.0, indica un processo generato da trasformazioni tecnologiche nella progettazione, nella produzione e nella distribuzione di sistemi e prodotti manifatturieri, finalizzato alla produzione industriale automatizzata e interconnessa.

Si ricorda, infine, lo strumento agevolativo della cd. "Nuova Sabatini" – istituito dall'articolo 2 del decreto-legge n. 69 del 2013 (legge n. 98/2013) e successivamente rifinanziato ed esteso – finalizzato a migliorare l'accesso al credito per investimenti produttivi e tecnologici delle micro, piccole e medie imprese operanti in tutti i settori, inclusi agricoltura e pesca, e consente: l'accesso a finanziamenti agevolati per investimenti in beni strumentali (anche mediante operazioni di leasing finanziario) e l’accesso a contributi statali in conto impianti per gli investimenti in beni strumentali in questione.

La legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205/2017) oltre a rifinanziare, all’articolo 1, comma 40, la suddetta misura, ha prorogato – all’art. 1, comma 42 - il termine per la concessione dei finanziamenti agevolati a valere sulla misura in questione, dal 31 dicembre 2018 fino alla data dell'avvenuto esaurimento delle risorse disponibili, da comunicarsi con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

La cosiddetta “Nuova Sabatini” è stata più volte rifinanziata, da ultimo, dall’art. 1, comma 200, della legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018), il quale ha disposto un rifinanziamento di 48 milioni di euro per il 2019, di 96 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023 e di 48 milioni di euro per il 2024.

 

Per un approfondimento su Impresa 4.0 e sulla cosiddetta “Nuova Sabatini”, si rimanda all’apposito tema web del Servizio studi della Camera.


 

Articolo 41-bis
(
Mutui ipotecari per l’acquisto di beni immobili destinati
a prima casa e oggetto di procedura esecutiva)

 

 

L’articolo 41-bis, inserito dalla Camera, introduce in via temporanea una nuova disciplina per la rinegoziazione del mutuo in favore del mutuatario inadempiente già esecutato, prevedendo a favore del debitore-consumatore, al ricorrere di specifiche condizioni, la possibilità di ottenere una rinegoziazione del mutuo ovvero un finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, da una banca terza, con assistenza del Fondo di garanzia prima casa. Si consente ai parenti o affini di intervenire nelle operazioni di rinegoziazione o rifinanziamento a favore del mutuatario inadempiente.

 

Il comma 1 prevede che ove una banca o una società veicolo, creditrice ipotecaria di primo grado, abbia avviato o sia intervenuta in una procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto la prima casa di abitazione del debitore, è conferita al debitore consumatore la possibilità di richiedere una rinegoziazione del mutuo in essere ovvero un finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, a una banca terza, il cui ricavato deve essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere, con assistenza della garanzia del Fondo di garanzia prima casa e con il beneficio dell’esdebitazione per il debito residuo.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 48, lett. c)), ha istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze il Fondo di garanzia per i mutui per la prima casa. Il Fondo ha una dotazione, a regime, di circa 650 milioni (che può essere incrementata con contributi delle regioni e di altri enti/organismi pubblici) offre garanzie sui finanziamenti ipotecari per un ammontare complessivo stimato in 20 miliardi di euro. La garanzia è concessa nella misura del 50 per cento della quota capitale.

 

Il comma 2 specifica le condizioni che devono ricorrere affinché si possa applicare lo strumento della rinegoziazione. Per avvalersi della rinegoziazione del mutuo devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni:

§  il debitore sia qualificabile come consumatore ovvero sia una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;

§  il creditore sia un soggetto che esercita l’attività bancaria (raccolta di risparmio tra il pubblico ed esercizio del credito con carattere d'impresa) o una società veicolo;

§  il credito derivi da un mutuo con garanzia ipotecaria di primo grado sostanziale, concesso per l’acquisto di un immobile che rispetti i requisiti previsti per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione e il debitore abbia rimborsato almeno il 10 per cento del capitale originariamente finanziato alla data della presentazione dell’istanza di rinegoziazione;

§  sia pendente un’esecuzione immobiliare sul bene oggetto di ipoteca per il credito e il pignoramento sia stato notificato tra la data del 1° gennaio 2010 e quella del 30 giugno 2019;

§  non vi siano altri creditori intervenuti oltre al creditore procedente o comunque sia depositato, prima della presentazione dell’istanza di rinegoziazione, atto di rinuncia dagli altri creditori intervenuti;

§  l’istanza sia presentata per la prima volta nell’ambito del medesimo processo esecutivo e comunque entro e non oltre il termine perentorio del 31 dicembre 2021;

§  il debito complessivo calcolato nell’ambito della procedura di esecuzione immobiliare ed oggetto di rinegoziazione o rifinanziamento non sia superiore a 250.000 euro;

§  l’importo offerto non sia inferiore al 75 per cento del prezzo base della prossima asta ovvero del valore del bene come determinato nella consulenza tecnica d’ufficio nel caso in cui non vi sia stata la fissazione dell’asta. Qualora il debito complessivo sia inferiore al 75 per cento dei predetti valori, l’importo offerto non potrà essere inferiore al debito per capitale e interessi calcolati senza applicazione della percentuale del 75 per cento;

§  il rimborso dell’importo rinegoziato o finanziato avvenga con una dilazione non superiore a 30 anni decorrenti dalla data di sottoscrizione dell’accordo di rinegoziazione o del finanziamento e comunque tassativamente non superiore ad una durata in anni che, sommata all’età del debitore, superi il numero di 80;

§  il debitore rimborsi integralmente le spese liquidate dal giudice, anche a titolo di rivalsa, in favore del creditore;

§  non sia pendente in capo al debitore una procedura di risoluzione della crisi da sovraindebitamento.

 

Il comma 3 disciplina l’ipotesi in cui un sia un parente ad intervenire nelle operazioni di rinegoziazione o rifinanziamento a favore del mutuatario inadempiente.

La norma stabilisce che se il debitore non riesce ad ottenere personalmente la rinegoziazione o il rifinanziamento del mutuo, lo stesso potrà essere accordato ad un suo parente o affine fino al terzo grado, ferme restando le condizioni elencate al comma 2.

Se il finanziamento è stato concesso al parente o affine fino al terzo grado il giudice emette decreto di trasferimento in suo favore. Per i successivi cinque anni dalla data di trasferimento dell’immobile vi è, in favore del debitore e della sua famiglia, il diritto legale di abitazione annotato a margine dell’ipoteca.

Entro lo stesso termine il debitore può, previo rimborso integrale degli importi già corrisposti al soggetto finanziatore dal parente o affine fino al terzo grado, chiedere la retrocessione della proprietà dell’immobile e, con il consenso del soggetto finanziatore, accollarsi il residuo mutuo con liberazione del parente o affine fino al terzo grado. Le imposte di registro, ipotecaria e catastale relative al trasferimento degli immobili conseguente all’applicazione della presente norma, sono applicate nella misura fissa di 200 euro agli atti di trasferimento in sede giudiziale degli immobili e all’eventuale successivo trasferimento al debitore dell’immobile residenziale.

Il beneficio decade se il debitore non mantiene la residenza nell’immobile per almeno 5 anni dalla data di trasferimento in sede giudiziale.

 

Il comma 4 dispone che le rinegoziazioni ed i finanziamenti possono essere assistiti dalla garanzia a prima richiesta rilasciata da un’apposita sezione speciale del Fondo di garanzia prima casa concessa nella misura del 50 per cento dell’importo oggetto di rinegoziazione ovvero della quota capitale del nuovo finanziamento. La dotazione speciale del Fondo di garanzia prima casa prevista per l’anno 2019 è di 5 milioni di euro.

 

Il comma 5 stabilisce che a seguito di apposita istanza congiunta, presentata dal debitore e dal creditore, il giudice dell’esecuzione, ricorrendo le condizioni richiamate del comma 2, deve sospendere l’esecuzione per un periodo massimo di sei mesi.

Il creditore procedente, se è richiesta la rinegoziazione, entro tre mesi, svolge una istruttoria sulla capacità reddituale del debitore. Inoltre il creditore è sempre libero di rifiutare la propria adesione all’istanza o di rigettare, anche successivamente alla presentazione dell’istanza congiunta, la proposta di rinegoziazione avanzata dal debitore.

In ogni caso in cui sia richiesto un nuovo finanziamento ad una banca diversa dal creditore ipotecario, a questa è comunque riservata la più totale discrezionalità nella concessione dello stesso.

 

Il comma 6 dispone che con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita, per gli aspetti di sua competenza, la Banca d’Italia, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le ulteriori modalità di applicazione del presente articolo, in particolare definendo:

§   il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza di rinegoziazione;

§   le modalità per procedere da parte del giudice all’esame dell’istanza, alla verifica del conseguimento delle finalità norma in esame, alla liquidazione e verifica del pagamento delle spese di procedura, all’estinzione della procedura esecutiva ed alla surroga dell’eventuale banca terza finanziatrice nell’ipoteca;

§  gli elementi ostativi alla concessione della richiesta di rinegoziazione ovvero di rifinanziamento e alla stipulazione dell’accordo;

§   modalità e termini per il versamento della somma al Fondo di garanzia prima casa;

§  modalità di segnalazione nell’archivio della Centrale dei rischi della Banca d’Italia e negli archivi dei sistemi di informazione creditizia privati.

 

Il comma 7, come modificato a seguito dalla Camera, dispone che con il medesimo decreto si provvede inoltre a definire termini, condizioni e modalità per l’accesso alla sezione speciale di cui al comma 4.

 

Il comma 8, il quale reca la copertura finanziaria degli oneri recati dal comma 4, pari a 5 milioni di euro per l’anno 2019.

A tali oneri si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di conto capitale del Ministero dell’economia e delle finanze, allo scopo utilizzando l’accantonamento del Ministero medesimo.

Articolo 42
(
Fusioni e associazioni di comuni)

 

L’articolo 42 dispone, al comma 1, l’incremento delle risorse finanziarie per la concessione dei contributi straordinari previsti per la fusione di comuni, nell’importo di 30 milioni di euro per l’anno 2019.

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, integra la normativa in tema di affidamento del servizio di tesoreria e di cassa degli enti locali, precisando che, nel caso di piccoli comuni, l’affidamento diretto a Poste italiane può essere disposto anche in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione.

 

In particolare, il comma 1 incrementa le risorse finanziarie per la concessione dei contributi straordinari previsti per la fusione di comuni dall’articolo 15, comma 3, dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico ordinamento enti locali), nell’importo di 30 milioni di euro per l’anno 2019.

 

Si ricorda che, per favorire la fusione dei comuni, l’articolo 15, comma 3 del D.Lgs. n. 267/2000 prevede che lo Stato eroghi appositi contributi straordinari per i dieci anni decorrenti dalla fusione stessa, commisurati ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono[3].

A decorrere dal 2018 - a seguito di successivi interventi legislativi[4] - il contributo spettante ai comuni risultanti da fusione o da fusione per incorporazione è commisurato al 60% dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 - ultimo anno di assegnazione dei contributi erariali ordinari, poi soppressi dalla normativa sul federalismo fiscale - nel limite massimo di 2 milioni di contributo per ciascun beneficiario, stabilito dal comma 17, lettera b), legge n. 208/2015.

Per quel che concerne le risorse finanziarie stanziate per la concessione del contributo, oltre all’apposito accantonamento di 30 milioni di euro annui costituito nell’ambito del Fondo di solidarietà comunale a partire dal 2014 (con l’articolo 1, comma 730, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014)), le risorse sono quelle autorizzate dalle seguenti autorizzazioni legislative, ed iscritte sul capitolo 1316 (Fondo ordinario) dello stato di previsione del Ministero dell'interno:

§  1,5 milioni di euro annui, destinati ad incentivare sia le fusioni che le unioni di comuni, autorizzati ai sensi dell’art. 1, comma 164, della legge n. 662/1996;

§  1 milione di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 ai sensi dell'art. 14 del D.L. n. 50/2017. La disposizione prevede inoltre la costituzione, nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale, di un ulteriore accantonamento di 25 milioni di euro a decorrere dal 2022, che sarà destinato all'erogazione del contributo per i comuni che danno luogo alla fusione o alla fusione per incorporazione;

§  5 milioni annui, assegnati con il DPCM 10 marzo 2017 di ripartizione del «Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali solo in termini di saldo netto da finanziare», istituito dall'art. 1, comma 433, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017);

§  10 milioni annui a decorrere dal 2018 autorizzati dalla legge di bilancio per il 2018 (art. 1, comma 869, legge n. 205/2017);

§  la legge di bilancio 2018 (comma 885) ha inoltre disposto che siano destinate ad incremento dei contributi a favore delle fusioni dei comuni le somme accantonate sul Fondo di solidarietà comunale, ai sensi del comma 452 della legge n. 232/2016, e non utilizzate per gli eventuali conguagli ai comuni. Tale disposizione è stata confermata dalla legge di bilancio per il 2019 (art. 1, co. 921.L. n. 145/2018). Si tratta di un accantonamento, si ricorda, costituito nell'importo massimo di 15 milioni di euro annui.

Per quel che concerne i criteri di riparto dei contributi, l’articolo 20, comma 1-bis, del D.L. n. 95/2012 prevede un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, che disciplini le modalità e i termini per il riparto e l’attribuzione dei contributi, prevedendo, in caso di fabbisogno eccedente le disponibilità, che sia data priorità alle fusioni o incorporazioni aventi maggiori anzianità; nel caso di eventuali disponibilità eccedenti rispetto al fabbisogno, queste sono ripartite a favore dei medesimi enti in base alla popolazione e al numero dei comuni originari. Il più recente D.M. Interno 25 giugno 2019, che definisce le modalità di riparto del contributo a decorrere dell’anno 2019, prevede, nel caso di richieste superiori al fondo stanziato, la priorità per le fusioni o incorporazioni aventi maggiori anzianità, assegnando un coefficiente di maggiorazione del 4% per le fusioni con anzianità di contributo di un anno, incrementato del 4% per ogni ulteriore anno di anzianità.

Per quel che concerne la ripartizione del contributo straordinario:

§  per l’anno 2018, sono stati assegnati ai 67 enti istituiti a seguito della fusione e/o fusione per incorporazione entro il 31 gennaio 2018[5] contributi per 47,5 milioni, cui si sono successivamente aggiunti 5,3 milioni derivanti dalla quota disponibile sull’accantonamento del Fondo di solidarietà comunale, ai sensi del comma 885 della legge di bilancio 2018. Per il riparto dei contributi, si rinvia al comunicato del Ministero dell’interno del 26 giugno 2019:
https://dait.interno.gov.it/documenti/com260619-all.pdf

§  per l’anno 2019, sono stati assegnati, ai 92 enti costituiti a seguito di fusioni e incorporazioni entro il 31 gennaio 2019[6], contributi per 46,5 milioni: per il riparto, si rinvia al comunicato del Ministero dell’interno del 27 giugno 2019: https://dait.interno.gov.it/documenti/com270619-2all.pdf. A novembre si è provveduto a ripartire gli importi derivanti dall’accantonamento del Fondo di solidarietà comunale, ai sensi del comma 885 della legge di bilancio 2018: cfr. il comunicato del 20 novembre 2019 ed il relativo riparto in Allegato al comunicato.

 

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, integra la normativa in tema di affidamento del servizio di tesoreria e di cassa degli enti locali, precisando che, nel caso di piccoli comuni, l’affidamento diretto a Poste italiane può essere disposto anche in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione.

A tal fine, il comma in esame modifica l’articolo 9, comma 3, della legge n. 158/2017 (c.d. “legge sui piccoli comuni”), che ha introdotto la disposizione che riconosce ai piccoli comuni la possibilità di affidare a Poste italiane spa la gestione dei servizi di tesoreria e di cassa.

 

In particolare, il citato comma 3 dell’articolo 9 della legge n. 158/2017, riconosce ai piccoli comuni:

a)   la facoltà di stipulare apposite convenzioni, d'intesa con le organizzazioni di categoria e con la società Poste italiane S.p.A., affinché i pagamenti su conti correnti, pagamenti dei vaglia postali, nonché altre prestazioni, possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali di comuni o frazioni non serviti dal servizio postale;

b)  la possibilità di affidare la gestione dei servizi di tesoreria e di cassa alla società Poste italiane Spa.

 

Con l’integrazione disposta dal comma in esame, si prevede che l'affidamento diretto della gestione dei servizi di tesoreria e di cassa alla società Poste italiane Spa possa essere disposto dai piccoli comuni anche in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione.

 

Si ricorda in proposito che la legge n. 261 del 1999 stabilisce, in conformità ai contenuti della disciplina europea sul servizio postale universale, che sia assicurata la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili all'utenza. La dizione «tutti i punti del territorio nazionale» trova specificazione, secondo criteri di ragionevolezza, attraverso l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso (cioè gli uffici postali e le cassette postali), individuati con provvedimento dell'autorità di regolamentazione. Per quanto riguarda gli uffici postali Poste italiane è tenuta, anche in base al decreto ministeriale 7 ottobre 2008, al rispetto di determinati parametri.

Inoltre, sempre ai sensi del decreto ministeriale, nei comuni nei quali vi è un solo ufficio postale è vietata la soppressione dello stesso. Ciò non significa che in ogni comune debba necessariamente esservi un ufficio postale. Infatti secondo i parametri indicati, essendovi in Italia, al 20 giugno 2016, 7.999 comuni (7.998 dal primo luglio 2016), Poste italiane deve avere un ufficio postale in almeno 7.678 comuni.

L'AGCOM è intervenuta con la delibera 342/14/CONS del 26 giugno 2014 sulla questione dei punti di accesso al servizio postale, in considerazione degli effetti del piano di razionalizzazione degli uffici postali predisposto da Poste Italiane ed ha introdotto alcuni ulteriori elementi di limitazione alla possibilità, per Poste italiane, di intervenire mediante razionalizzazione (chiusura) di uffici. In particolare è stato introdotto:

1.   il divieto di chiusura di uffici postali situati in Comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei Comuni montani. Per "Comuni rurali", si intendono i Comuni con densità abitativa inferiore a 150 ab/km2, secondo i più recenti dati demografici ISTAT; per "Comuni montani", i Comuni contrassegnati come totalmente montani nel più recente elenco di Comuni Italiani pubblicato dall'ISTAT. Mentre è stata ammessa la chiusura di uffici postali nel caso in cui in tali comuni vi sia più di due uffici postali ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800;

2.   il divieto di chiusura di uffici postali che sono presidio unico nelle isole minori.


 

Articolo 43
(
Affitti passivi PA)

 

 

L’articolo 43 stabilisce che ai contratti di locazione stipulati dagli enti previdenziali con le Amministrazioni dello Stato si applica un canone commisurato ai valori di mercato (ridotto del 15 per cento). Inoltre la norma prevede che i predetti enti possono usare proprie risorse anche per l’acquisto di immobili adibiti o da adibire ad uffici in locazione passiva alle società in house delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

La disposizione in esame modifica l’articolo 8, comma 4, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che prevede che gli enti previdenziali possono destinare una parte delle loro risorse all'acquisto di immobili, anche di proprietà di amministrazioni pubbliche, adibiti o da adibire ad ufficio in locazione passiva alle amministrazioni pubbliche.

In particolare la lettera a) dell’articolo 43 stabilisce che ai contratti stipulati con le amministrazioni dello Stato per la locazione degli immobili acquistati si applica un canone commisurato ai valori di mercato seppur ridotto del 15 per cento.

 

Si ricorda che a legislazione vigente (articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78) è previsto che ai contratti di locazione degli immobili acquistati dagli enti previdenziali non si applicano le riduzioni del canone del 15 per cento e che è attraverso un decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che vengono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione dell’acquisto da parte degli enti stessi. Da ultimo è intervenuto il decreto interministeriale 20 giugno 2017 che ha disposto che è l’Agenzia del demanio che provvede a determinare la congruità del valore di acquisto del bene nonché del canone di locazione, da quantificarsi in misura pari al valore minimo locativo fissato dall'Osservatorio del mercato immobiliare, sulla base della perizia estimativa inviata dall’ente previdenziale.

Si ricorda altresì che il citato articolo 3, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, in tema di spending review, stabilisce che per i contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale di proprietà di terzi, di nuova stipulazione a cura delle amministrazioni, si applica la riduzione del 15 per cento sul canone congruito dall'Agenzia del demanio.

 

La lettera b) introduce inoltre un nuovo comma 4-bis all’articolo 8 che prevede che le risorse degli enti previdenziali possono essere utilizzate anche per l’acquisto di immobili adibiti o da adibire ad uffici in locazione passiva alle società in house delle amministrazioni centrali dello Stato, incluse nell’elenco pubblicato annualmente dall’Istat, su indicazione dell’amministrazione che esercita il controllo analogo, sentiti il Ministero dell’Economia e delle finanze e l’Agenzia del demanio per le rispettive competenze.

 

Si ricorda che sulla base del Sistema europeo dei conti (SEC 2010, definito dal Regolamento (Ue) n. 549/2013) e delle interpretazioni del SEC fornite nel “Manual on Government Deficit and Debt” pubblicato da Eurostat (edizione 2019), l’Istat predispone l’elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle Amministrazioni pubbliche (Settore S13 nel SEC). Nell’ambito delle statistiche di contabilità nazionale, per tale settore si compila il conto economico consolidato che costituisce il riferimento per gli aggregati trasmessi alla Commissione europea in applicazione del Protocollo sulla procedura per i deficit eccessivi annesso al Trattato di Maastricht. Ai sensi dell’articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n.196  l’Istat è tenuto, con proprio provvedimento, a pubblicare annualmente tale lista sulla Gazzetta ufficiale.

Da ultimo è consultabile l’elenco pubblicato il 30 settembre 2019.

 

Il Ministero dell’economia e delle finanze può trasferire alle predette società in house le risorse a legislazione vigente iscritte nei pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze trasferite o da trasferire all'Agenzia del demanio per consentire alle medesime società, che ne facciano richiesta, di procedere alla predisposizione della progettazione necessaria agli enti previdenziali pubblici per la valutazione degli investimenti immobiliari.

Con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono stabilite le modalità di attuazione della norma nel rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 44
(Permuta immobili ad uso governativo)

 

 

L’articolo 44 dispone l’abrogazione della norma (comma 6-ter, dell’articolo 6, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138) che disciplina le operazioni di permuta di beni del demanio e del patrimonio dello Stato con immobili adeguati all'uso governativo. La disposizione abrogativa sopprime, tra l’altro, la possibilità di realizzare nuove locazioni passive ovvero che l’operazione di permuta possa avere ad oggetto immobili già in uso governativo.

 

La norma abrogata (articolo 6, comma 6-ter, del decreto-legge n. 138 del 2011) consente all'Agenzia del demanio di procedere, ai fini di razionalizzazione della spesa delle amministrazioni pubbliche e con priorità in aree a più elevato disagio occupazionale e produttivo, ad operazioni di permuta, senza oneri a carico del bilancio dello Stato, di beni appartenenti allo Stato con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili ritenuti inadeguati.

A tal fine, le amministrazioni dello Stato comunicano all'Agenzia del demanio l'ammontare dei fondi statali già stanziati e non impegnati al fine della realizzazione di nuovi immobili per valutare la possibilità di recupero di spesa per effetto di operazioni di permuta, ovvero gli immobili di nuova realizzazione da destinare ad uso governativo. Nel caso di permuta con immobili da realizzare in aree di particolare disagio e con significativo apporto occupazionale, si possono cedere anche immobili già in uso governativo, da utilizzare in regime di locazione fino alla percentuale massima del 75 per cento della permuta, mentre il restante 25 per cento dovrebbe concernere immobili liberi. In altri termini l'operazione potrebbe avere ad oggetto immobili non liberi che continuerebbero ad essere utilizzati dallo Stato in regime di locazione anche dopo la cessione.

 

Come rilevato nella relazione tecnica che accompagna il testo in esame, la disposizione abrogativa dovrebbe consentire il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione della spesa pubblica in quanto eviterebbe il sorgere di nuove locazioni passive (riconducibili ad operazioni di sale and leaseback) proprio conseguenti alla disposizione normativa che consente oltre alla permuta diretta di immobili esistenti, anche la trasformazione di usi governativi, e dunque gratuiti, in affitti passivi, ovvero onerosi, con conseguente incremento della spesa pubblica.

Si ricorda che la legge di bilancio 2018 (comma 696) aveva già soppresso la disposizione che prevedeva come assolutamente prioritarie le permute riguardanti la realizzazione di nuovi immobili per carceri o uffici giudiziari delle sedi centrali di Corte d'Appello.

Si segnala che la Corte dei Conti nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello stato (Per l'esercizio finanziario 2018) aveva sottolineato la centralità della riduzione delle locazioni passive e della riorganizzazione degli spazi, in quanto tale azione genera una stabile contrazione del fabbisogno finanziario e implica anche una diminuzione delle spese di funzionamento.


 

Articolo 45, comma 1
(
Proroga al 31 dicembre 2019 del termine
per la stipula del nuovo Patto per la Salute
)

 

 

L’articolo 45 dispone la proroga (dal 31 marzo) al 31 dicembre 2019 del termine per la sottoscrizione del nuovo Patto per la Salute 2019-2021.

 

Il Patto per la Salute 2019-2021, in base al comma 515, art. 1, della legge di bilancio 2019 (Legge n. 145/2018) avrebbe dovuto essere stipulato, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, regioni province autonome, mediante il raggiungimento di un’intesa entro il 31 marzo 2019, pena il mancato accesso delle regioni agli incrementi stabiliti per il livello di finanziamento del SSN per gli anni 2020 e 2021, rispettivamente pari a 2.000 ed a 1.500 milioni di euro. Tale livello di finanziamento per il 2019 ammonta a 114.439 milioni di euro.

 

Si ricorda che le misure di programmazione di cui al comma 515, volte a migliorare la qualità dei servizi sanitari erogati mantenendo l’efficienza del sistema, devono riguardare, in particolare:

a) la revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria a carico degli assistiti al fine di promuovere maggiore equità nell'accesso alle cure;

b) il rispetto degli obblighi di programmazione a livello nazionale e regionale in coerenza con il processo di riorganizzazione delle reti strutturali dell'offerta ospedaliera e dell'assistenza territoriale, con particolare riferimento alla cronicità e alle liste d'attesa;

c) la valutazione dei fabbisogni del personale del Servizio sanitario nazionale e dei riflessi sulla programmazione della formazione di base e specialistica e sulle necessità assunzionali, ivi comprendendo l'aggiornamento del parametro di riferimento relativo al personale;

d) l'implementazione di infrastrutture e modelli organizzativi finalizzati alla realizzazione del sistema di interconnessione dei sistemi informativi del Servizio sanitario nazionale che consentano di tracciare il percorso seguito dal paziente attraverso le strutture sanitarie e i diversi livelli assistenziali del territorio nazionale tenendo conto delle infrastrutture già disponibili nell'ambito del Sistema tessera sanitaria e del fascicolo sanitario elettronico;

e) la promozione della ricerca in ambito sanitario;

f) il miglioramento dell'efficienza e dell'appropriatezza nell'uso dei fattori produttivi e l'ordinata programmazione del ricorso agli erogatori privati accreditati che siano preventivamente sottoposti a controlli di esiti e di valutazione con sistema di indicatori oggettivi e misurabili; g) la valutazione del fabbisogno di interventi infrastrutturali di ammodernamento tecnologico.


 

Articolo 45, commi 1-bis-1-quater
(Modifiche in tema di fabbisogno del personale sanitario,
di volumi di acquisto di prestazioni da soggetti privati
e di requisiti dei direttori sanitari ed amministrativi)

 

 

L’articolo 45, al comma 1-bis, introdotto durante l’esame presso la Camera dei deputati, dispone modifiche alla recente revisione della disciplina sui limiti di spesa per il personale degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale, aumentando tali limiti, nel triennio 2019-2021, dal 5 al 10% in ciascun anno sulla base dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente. Un ulteriore incremento del 5% può essere previsto per ogni singola regione sulla base di una specifica valutazione di ulteriori fabbisogni di personale.

Il comma 1-ter, introdotto dalla Camera, inoltre, stabilisce che, dal 2020, per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera, i volumi di acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati siano rideterminati tutti nel valore della spesa consuntivata nell’anno 2011, purché sia rispettato l’equilibrio economico-finanziario sanitario della regione interessata.

Il comma 1-quater, introdotto anch’esso dalla Camera, con una modifica al comma 7 dell’articolo 3 del D.Lgs n. 502/1992, disciplinante i requisiti necessari per la nomina a direttore sanitario ed a direttore amministrativo delle aziende sanitarie locali, dispone che il requisito del mancato compimento del sessantacinquesimo anno di età debba sussistere soltanto all’atto del conferimento dell’incarico.

 

Il comma 1-bis, lett. a) aumenta, esclusivamente per il triennio 2019-2021, dal 5 al 10 per cento l’incremento del fabbisogno del personale sanitario, in termini di spesa, stabilito dall’art. 11, comma 1, del DL. 35/2019 (Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria), convertito dalla legge 60/2019, a regime dal 2019, applicando, per ogni regione, un incremento annuo rispetto al valore della spesa sostenuta nel 2018 ovvero, se superiore, rispetto al valore massimo che sarebbe stato consentito nel medesimo 2018 in base alla previgente normativa. Inoltre, se in tale triennio dovessero emergere, nella singola regione, oggettivi ulteriori fabbisogni di personale rispetto alle facoltà assunzionali consentite (fabbisogni congiuntamente valutati dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA), alla medesima regione può essere concesso un ulteriore aumento del 5% parametrato all’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente, fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario della regione interessata.

La lett. b) del comma 1-bis, conseguentemente, modifica il riferimento testuale alla percentuale originariamente indicata (il solo 5%) contenuto nell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 11 del richiamato DL. 35/2019, indicando più incrementi di spesa possibili. Rimane ferma la disposizione in base alla quale, dall'anno 2021, gli incrementi sono subordinati all'adozione di una specifica metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale, anche in considerazione del fatto che le necessarie risorse derivano dall’incremento del Fondo sanitario nazionale stabilito dalla legge di bilancio 2019, subordinatamente all’approvazione del nuovo Patto per la salute 2019-2021. Infatti, tale Patto dovrà definire, tra l’altro, la valutazione del fabbisogno di personale del SSN anche sulla base delle norme sugli standard quali-quantitativi dell’assistenza ospedaliera.

 

Si ricorda che i limiti relativi ai fabbisogni di spesa del personale non si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome, qualora provvedano al finanziamento del fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul loro territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato (rientrano in tale fattispecie tutti gli enti territoriali suddetti, ad eccezione della Regione Sicilia).

 

Il comma 1-ter stabilisce un unico parametro, a decorrere dal 2020, per il calcolo dei limiti di spesa relativi ai contratti e agli accordi per l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati rispetto all'assistenza specialistica ambulatoriale ed ospedaliera. Tali limiti dovranno essere rideterminati tutti nel valore della spesa consuntivata nell’anno 2011, senza ulteriori riduzioni, fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario della regione interessata.

In proposito, la norma di spendig review richiamata, vale a dire l’articolo 15, comma 14, primo periodo del DL. 95/2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 135/2012, aveva, infatti, previsto che ai predetti acquisti si deve applicare una riduzione dei volumi di acquisto per regione tale da ridurre, rispetto alla spesa consuntivata per l'anno 2011, la spesa complessiva annua dello 0,5 per cento per l'anno 2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall'anno 2014.

 

Il comma 1-quater, con una modifica al comma 7 dell’articolo 3 del D.Lgs n. 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), disciplinante i requisiti necessari per la nomina a direttore sanitario ed a direttore amministrativo degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale, dispone che il requisito del mancato compimento del sessantacinquesimo anno di età debba sussistere soltanto all’atto del conferimento dell’incarico.

 

Il citato comma 7, nella vigente formulazione, prevede, tra l’altro, che il direttore sanitario è un medico che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. Il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza. Il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione. Il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell'unità sanitaria locale.


 

Articolo 46
(
Disposizioni in materia di fiscalità regionale e locale)

 

 

L'articolo 46, modificato dalla Camera dei deputati, rinvia di un anno, dal 2020 al 2021, l’entrata in vigore dei meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali diretti ad assicurare autonomia di entrata alle regioni a statuto ordinario e, conseguentemente, a sopprimere i trasferimenti statali.

Per effetto delle modifiche approvate dalla Camera, si permette inoltre ai comuni capoluogo di provincia che hanno avuto un alto numero di presenze turistiche di applicare il contributo di soggiorno nella misura dell’importo massimo di 10 euro per notte.

 

 

Imposta di soggiorno

Più in dettaglio, il comma 1 interviene su alcune disposizioni del D.lgs. n. 68/2011 con cui il Governo ha dato attuazione della delega sul federalismo fiscale di cui alla legge n. 42/2009.

La finalità del decreto legislativo n. 68/2011 (federalismo regionale), si rammenta, è quella di assicurare l'autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario (RSO) attraverso la cosiddetta fiscalizzazione dei trasferimenti statali, con contestuale soppressione di questi ultimi.

Il decreto individua le nuove fonti di finanziamento con le quali le RSO possono far fronte alle spese di propria competenza, accresciute nell'ambito del processo di decentramento in atto sin dalla fine degli anni '90, anche nell'ottica di una maggiore responsabilizzazione delle decisioni di spesa e di efficienza delle stesse. Si tratta, oltre che di alcuni tributi propri, del gettito derivante dalla rideterminazione dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), della compartecipazione regionale all'imposta sul valore aggiunto (IVA), nonché dei trasferimenti per finalità perequative.

 

Il comma 1 posticipa di un anno la decorrenza dell'entrata a regime del sistema finanziario delle RSO delineato dal d.lgs. n.68/2011. Il nuovo sistema, che avrebbe dovuto essere effettivo, nelle intenzioni del legislatore delegato, sin dal 2013, è stato oggetto di rinvio attraverso plurimi interventi legislativi adottati negli anni scorsi (l'ultimo dei quali è stato l'articolo 1, comma 778, della legge n. 205/2017 - legge di bilancio 2018).

Si segnala che con la legge di bilancio per il 2019 (art.1, commi 958 e 959) è stata disposta l'istituzione, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di un tavolo tecnico composto da rappresentanti del Governo e delle regioni, finalizzato alla completa attuazione dei principi in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario contenuti nel citato decreto legislativo 68/2011

L'attività del tavolo è rivolta in particolare a specifici ambiti, quali la definizione delle procedure e delle modalità di applicazione delle norme in materia di fiscalizzazione dei trasferimenti di cui agli articoli 2 e 7 del citato D.lgs. e di attribuzione alle regioni a statuto ordinario di una quota del gettito riferibile al concorso di ciascuna regione nell'attività di recupero fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto (ai sensi dell'articolo 9 del medesimo decreto legislativo), nonché la valutazione di eventuali adeguamenti della normativa vigente.

L'istituzione del tavolo è motivata, come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio per il 2019, dalle complessità tecniche relative alla rideterminazione dell'addizionale regionale IRPEF, a invarianza di pressione fiscale complessiva, per assicurare la fiscalizzazione dei trasferimenti oggetto di soppressione e all'individuazione delle modalità di attribuzione di una quota del gettito dell'IVA riferito alle attività di recupero fiscale. L'esito dell'attività del tavolo era mirata ad evitare ulteriori rinvii dell'attuazione delle citate disposizioni recate nel D.Lgs. 68/2011.

 

Sebbene la relazione illustrativa non faccia cenno alla finalità della norma, il nuovo rinvio parrebbe connesso alla mancata conclusione dell'attività del tavolo e, verosimilmente, al mancato superamento di criticità riguardanti, fra l'altro, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei costi standard (negli ambiti diversi da quello sanitario), nonché dei criteri di attuazione della richiamata disposizione relativa al principio di territorialità dell'IVA.

 

Si segnala che il rinvio contenuto nell'articolo in commento dà attuazione ad un'intesa in tal senso fra il Governo e le regioni. La Conferenza Stato-Regioni, nella riunione dello scorso 10 ottobre, ha infatti sancito un accordo in materia di interventi strategici, che al punto n.2 del dispositivo reca l'intesa fra le parti in ordine al rinvio dell'entrata in vigore dei meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali di cui al D.lgs. n.68/2011 al 2021.

 

La norma, nello specifico, interviene sugli articoli 2, 4, 7 e 15 del suddetto D.lgs., relativi rispettivamente alle modalità di determinazione dell’addizionale regionale Irpef, alla compartecipazione IVA, alla soppressione dei trasferimenti statali e, infine, all’istituzione di un fondo perequativo.

 

L'impianto delineato dal D.lgs. n.68/2011, con riferimento alle fonti finanziarie delle RSO, è basato principalmente:

a)  su una rideterminazione dell’addizionale regionale Irpef tale da garantire al complesso delle RSO un gettito corrispondente i) ai trasferimenti statali da sopprimere (in base all'art. 7 del D.lgs.); ii) all'applicazione dall'aliquota di base vigente al momento dell'entrata in vigore del medesimo D.lgs..

All'aliquota così definita andranno sommate le eventuali maggiorazioni che le regioni hanno eventualmente deliberato dal 2012 (rispetto all'aliquota di base, pari all'1,23 per cento, come definita dall'art. 6, comma 1, del D.lgs.)

La rideterminazione dell'addizionale è demandata ad un DPCM, su proposta del Ministro dell'economia, di concerto "con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale", sentita la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario.

É altresì previsto che detto decreto sia adotto entro sessanta giorni dall'emanazione del DPCM di individuazione dei trasferimenti da sopprimere.

Prima dell'entrata in vigore dell'articolo in commento: i) il termine previsto per l'emanazione di quest'ultimo  DPCM, era fissato per il 31 luglio 2019 (art.7, comma 2, del D.lgs. n.68/2011, già trascorso infruttuosamente); ii) il termine per l'adozione del DPCM diretto alla rideterminazione dell'addizionale, era stato fissato per il 2020. Con il comma 1, dell'articolo in esame detti termini sono posticipati, rispettivamente, al 31 luglio 2010 (lettera c), punto n.2) e al 2021 (lettera a))

b)  su una rideterminazione della compartecipazione regionale all’IVA diretta a finanziare il sistema perequativo, che rappresenta uno dei pilastri dell'autonomia finanziaria delle RSO (v. infra).

L'aliquota di compartecipazione è stabilita con DPCM al livello minimo sufficiente a garantire il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai LEP in una sola regione.

Le modalità di attribuzione del gettito della compartecipazione IVA alle RSO sono stabilite in conformità con il principio di territorialità.

Tale principio tiene conto del luogo in cui avviene la cessione, nel caso di beni di consumo, del luogo di ubicazione, nel caso di immobili, e del luogo del domicilio del fruitore, nel caso di prestazione di servizi.

Prima dell'entrata in vigore dell'articolo in esame, il termine di decorrenza del nuovo regime di compartecipazione era fissato al 2020. Ora esso è posticipato al 2021 (comma 1, lettera b)).   

c)  sui trasferimenti dall'istituendo fondo perequativo regionale. Si tratta di un fondo diretto a garantire, in ogni regione:

i) il finanziamento integrale delle spese che riguardano specifici ambiti che incidono sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio. La perequazione è di tipo verticale ed è finanziata da una compartecipazione al gettito dell'IVA che viene determinata in modo da assicurare la copertura del finanziamento delle richiamate spese. Al termine di una fase transitoria (in cui si ha riguardo alla spesa storica), il finanziamento sarà calibrato sui costi standard;

ii) una riduzione delle differenze in termini di capacità fiscale fra le RSO che metterà a disposizione delle regioni con minore capacità fiscale ulteriori risorse da destinare alle spese diverse da quelle a cui lo Stato riconosce l'esigenza di assicurare un livello essenziale della prestazione. La perequazione è di tipo orizzontale, essendo alimentata con risorse provenienti dalle regioni con maggiore capacità fiscale.

La data di istituzione del fondo perequativo ai sensi dell'articolo in commento (comma 1, lettera d)) è posticipata dal 2020 al 2021.

d)  sulla contestuale soppressione (c.d. fiscalizzazione) di tutti i trasferimenti statali di parte corrente e (ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento) in conto capitale alle RSO, aventi carattere di generalità e permanenza, destinati all'esercizio delle competenze regionali e di funzioni da parte di province e comuni.

Detta soppressione, che prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in esame era prevista a partire dal 2020, è ora posticipata al 2021 (comma 1, lettera c), punto n.1).

 

Imposta di soggiorno

Il comma 1-bis, inserito in sede dalla Camera, dispone che nei comuni capoluogo di provincia che, in base all'ultima rilevazione resa disponibile da parte delle amministrazioni pubbliche competenti per la raccolta ed elaborazione di dati statistici, abbiano avuto presenze turistiche in numero venti volte superiore a quello dei residenti, l'imposta di soggiorno può essere applicata fino all'importo massimo di 10 euro a notte (rispetto al vigente limite massimo di 5 euro).

I predetti comuni sono individuati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

 

Si ricorda che l'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in materia di imposta di soggiorno, dispone che i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.


 

Articolo 46-bis
(Disposizioni perequative in materia di edilizia scolastica
e riparto quota statale dell’8 per mille)

 

 

L’articolo 46-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, interviene sulla disciplina delle risorse dell’otto per mille IRPEF a diretta gestione statale, con particolare riferimento alla quota parte delle risorse destinate, in base alle scelte dei contribuenti, agli interventi di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili adibiti all'istruzione scolastica di proprietà pubblica.

 

La disciplina dell’otto per mille IRPEF si fonda sulle disposizioni della legge 20 maggio 1985, n. 222, la quale ha stabilito che a decorrere dal 1990 una quota pari all'otto per mille del gettito dell’IRPEF – come determinata sulla base degli incassi relativi all’imposta sui redditi delle persone fisiche, risultanti dal rendiconto generale dello Stato - è destinata in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose.

La scelta relativa all'effettiva destinazione viene effettuata dai contribuenti all'atto della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi; in caso di scelte non espresse dai contribuenti, la destinazione viene stabilita in proporzione alle scelte espresse (articolo 47, terzo comma). La quota di pertinenza statale è iscritta nel bilancio dello Stato (cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze).

L’articolo 48 della legge n. 222/1985 prevede che la quota dell’otto per mille di competenza dello Stato è utilizzata per interventi di carattere straordinario nei seguenti cinque settori:

§  fame nel mondo,

§  calamità naturali,

§  assistenza ai rifugiati ed ai minori stranieri non accompagnati;

§  conservazione dei beni culturali,

§  ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili adibiti all'istruzione scolastica di proprietà pubblica (Stato, enti territoriali).

Le procedure per l’utilizzo della quota dell’otto per mille dell’IRPEF a diretta gestione statale sono disciplinati dal D.P.R. 10 marzo 1998, n. 76, come di recente riformulato con il D.P.R. 26 aprile 2013, n. 82.

I soggetti che possono accedere alla ripartizione, previa apposita richiesta alla Presidenza del Consiglio, sono le pubbliche amministrazioni; le persone giuridiche e gli enti pubblici e privati. Sono escluse, dunque, le persone fisiche e i soggetti che operano per fine di lucro. Per gli interventi relativi ad immobili scolastici, i soggetti che possono accedere alla ripartizione sono: le amministrazioni statali, il Fondo edifici di culto, gli enti locali territoriali, proprietari di immobili adibiti all'istruzione scolastica.

Riguardo ai criteri di ripartizione, il citato D.P.R. prevede che la quota dell'otto per mille di diretta gestione statale sia ripartita, di regola, in cinque quote uguali per le cinque tipologie di interventi ammesse a contributo.

Per la quota destinata ai beni culturali è previsto un ulteriore criterio di riparto geografico, al fine di perseguire un'equa distribuzione territoriale delle risorse tra cinque aree geografiche espressamente indicate: area geografica del Nord Ovest (per le regioni Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria), del Nord Est (per le regioni Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), Centro (per le regioni Toscana, Umbria, Marche, Lazio), Sud (per le regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), Isole (per le regioni Sicilia, Sardegna).

Qualora in sede di riparto, il Consiglio dei Ministri, su proposta del suo Presidente, intenda derogare al suddetto criterio di ripartizione – nel caso in cui si voglia concentrare le risorse per specifici interventi, per questioni di eccezionalità, necessità ed urgenza dei medesimi, ovvero nel caso in cui l'importo delle risorse a disposizione sia inferiore o uguale a 1 milione di euro - il Governo è tenuto a trasmettere alla Camere una relazione che dia conto delle ragioni per cui ha derogato ai criteri suddetti (art. 2-bis, co. 5, del D.P.R. n. 76).

 

In particolare, il comma 1 introduce un ulteriore criterio di ripartizione della quota parte delle risorse dell’otto per mille di competenza dello Stato destinate alla categoria relativa all'edilizia scolastica, al fine di garantire una più equa distribuzione territoriale degli interventi straordinari destinati a tale finalità.

A tal fine, il comma introduce (mediante l’inserimento di un comma 4-bis all’articolo 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, che reca i criteri e le procedure per l’utilizzazione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale) uno specifico criterio di riparto geografico della quota dell’otto per mille destinata agli interventi per gli immobili adibiti all'istruzione scolastica, prevedendo che la quota attribuita venga divisa in tre parti di pari importo in relazione alle aree geografiche del Nord (per le regioni Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna), Centro e Isole (per le regioni Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Sicilia e Sardegna), Sud (per le regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria).

 

La disposizione precisa, poi, che nell'ambito di ogni area geografica resta fermo quanto disposto dalla programmazione triennale nazionale in materia di edilizia scolastica.

Al riguardo, si ricorda che la programmazione triennale nazionale degli interventi di edilizia scolastica è stata introdotta nell’ordinamento – con riferimento al triennio 2015-2017 – con il decreto interministeriale 23 gennaio 2015 (MEF-MIUR-MIT), emanato al fine di dare attuazione all’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), che ha autorizzato le regioni, per interventi di edilizia scolastica, a stipulare mutui, fra gli altri, con la Banca europea per gli investimenti.

A tale determinazione il D.I. era pervenuto avendo preso atto che i piani triennali regionali di edilizia scolastica relativi al triennio 2013-2015 – ai cui interventi potevano essere conferite le risorse di cui all’art. 10 del D.L. 104/2013 e che sarebbero dovuti essere adottati sulla base dell’intesa intervenuta in Conferenza unificata il 1° agosto 2013 ai sensi dell'art. 11, co. 4-bis-4-octies, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) – non erano stati attuati. Conseguentemente, il D.I. 23 gennaio 2015 – come modificato, quanto ai termini, dal D.I. 27 aprile 2015 – aveva proceduto alla definizione di tempi certi per la trasmissione dei piani regionali (oltre che di ulteriori criteri – rispetto a quelli definiti con l'intesa del 1° agosto 2013 – per l’assegnazione delle risorse)[7].

Successivamente, l’art. 3, co. 4-8, del d.lgs. 65/2017 ha stabilito che dal 2018 sono ammessi nella programmazione unica triennale nazionale anche gli interventi di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico, efficientamento energetico e riqualificazione di immobili di proprietà pubblica da destinare ai Poli per l’infanzia per l’accoglienza, in un unico plesso o in edifici vicini, di più strutture di educazione e di istruzione per bambini fino a 6 anni.

La definizione di una nuova programmazione unica nazionale degli interventi in materia di edilizia scolastica per il triennio 2018-2020 è stata dunque avviata con D.I. 3 gennaio 2018 adottato sulla base dell’accordo raggiunto in Conferenza unificata il 23 novembre 2017. La programmazione in questione è stata predisposta con DM 12 settembre 2018, n. 615 e rettificata, per le regioni Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto - a seguito, fra l’altro, di errori riscontrati nella denominazione degli enti o dei progetti o in virtù di ricorsi amministrativi o giurisdizionali proposti dagli enti locali e accolti dalle rispettive regioni – con DM 10 dicembre 2018, n. 849.

L’aggiornamento per l’annualità 2019 è stato adottato con DM 681 del 30 luglio 2019.

Successivamente, nella seduta del 6 settembre 2018, la Conferenza unificata aveva espresso parere favorevole con raccomandazioni sul testo dell’Accordo quadro finalizzato a definire i criteri di riparto su base regionale delle risorse destinate all’edilizia scolastica nel triennio di riferimento della programmazione nazionale 2018-2020, nonché a snellire le procedure e velocizzare l’erogazione dei finanziamenti per la realizzazione degli interventi nel settore dell’edilizia scolastica. In particolare, l’Accordo ha previsto che nel triennio 2018-2020 tutte le risorse per l’edilizia scolastica devono essere ripartite tenendo conto dei seguenti criteri:

- Numero studenti: 43%;

- Numero edifici: 42%

- Zone sismiche: 10% (con differenziazione nelle 4 zone: zona 1: 40%; zona 2: 30%; zona 3: 20%; zona 4: 10%);

- Affollamento delle strutture: 5%.

Inoltre, l’Accordo ha previsto che le risorse gestite dal MIUR nel triennio 2018-2020 sono erogate agli enti locali direttamente e che il MIUR si impegna a individuare termini differenziati per l’aggiudicazione dei lavori da parte degli enti locali, tenendo conto dei livelli di progettazione.

 

Il comma 2 interviene sulla facoltà del Consiglio dei Ministri di derogare ai criteri di ripartizione previsti nell’articolo 2-bis, commi 1 e 4, del D.P.R. n. 76/1998 (riparto in cinque quote uguali per le cinque tipologie di interventi ammesse a contributo e ulteriore riparto tra le cinque aree geografiche per la quota destinata ai beni culturali) limitando, per la quota riferita agli interventi sugli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica derivanti dalle dichiarazioni dei redditi relative agli anni dal 2019 al 2028, tale possibilità di deroga nei limiti della medesima tipologia di intervento, senza possibilità di diversa destinazione delle risorse.

 

Si rammenta che, ai sensi dell’art. 2-bis, comma 5, del D.P.R. n. 76/1998, qualora in sede di riparto il Consiglio dei Ministri, su proposta del suo Presidente, intenda derogare ai suddetti criteri di ripartizione – cosa possibile solo nel caso in cui si voglia concentrare le risorse per specifici interventi, per questioni di eccezionalità, necessità ed urgenza dei medesimi, ovvero nel caso in cui l'importo delle risorse a disposizione sia inferiore o uguale a 1 milione di euro - il Governo è tenuto a trasmettere alla Camere una relazione che dia conto delle ragioni per cui ha derogato ai criteri suddetti.

 

Il comma 3 novella l’articolo 1, comma 172, della legge 13 luglio 2015, n. 107 (cd. “La buona scuola”) relativamente alle risorse della quota a gestione statale dell'otto per mille relative all'edilizia scolastica sono destinate “prioritariamente” agli interventi di edilizia scolastica che si rendono necessari a seguito di eventi eccezionali e imprevedibili individuati annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione.

L’effetto della modifica sembrerebbe quello di garantire maggiore flessibilità nell’utilizzo delle risorse relative all’edilizia scolastica (in quanto non dovrebbero essere più interamente – ma solo “prioritariamente” - devolute ad interventi conseguenti a eventi eccezionali), in linea con le finalità e le modalità di riparto del nuovo comma 4-bis del DPR n.76/1998 (introdotto dal comma 1 dell’articolo in esame).

 

Con riferimento agli interventi relativi ad immobili adibiti all'istruzione scolastica, va rammentato che l’articolo 1, comma 172, della legge n. 107/2015 (c.d. “La Buona Scuola”) ha modificato le modalità di accesso ai contributi dell’otto per mille IRPEF, stabilendo che le risorse sono destinate agli interventi di edilizia scolastica che si rendono necessari a seguito di eventi eccezionali e imprevedibili individuati annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anche sulla base dei dati contenuti nell'Anagrafe dell'edilizia scolastica.

Pertanto, la procedura di assegnazione delle risorse viene ora gestita direttamente dal Ministero dell’istruzione, senza la presentazione delle istanze alla Presidenza del Consiglio, entro i termini del 30 settembre di ogni anno, ed il successivo giudizio di valutazione sulle richieste, da parte dell’apposita Commissione tecnica di valutazione.

Per il triennio 2015-2017, il comma 160 della citata legge n. 107/2015 ha determinato una assegnazione diversa delle risorse dell’otto per mille relative all’edilizia scolastica, in quanto ha disposto che tutte le risorse destinate all'edilizia scolastica, comprese quindi quelle relative alla quota a gestione statale dell'otto per mille IRPEF, fossero assegnate nell’ambito della programmazione nazionale, predisposta in attuazione dell'articolo 10 del D.L. n. 104/2013, di cui al piano del fabbisogno nazionale in materia di edilizia scolastica del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al fine di consentire lo svolgimento del servizio scolastico in ambienti adeguati e sicuri.

 

Infine, il comma 4, modifica l’articolo 47, terzo comma, della legge n. 222/1985, istitutiva dell’otto per mille IRPEF, introducendo, per quanto riguarda la quota a diretta gestione statale, la possibilità di scelta da parte del contribuente tra le cinque tipologie di intervento, da effettuarsi in sede di dichiarazione dei redditi, a decorrere dalla dichiarazione dei redditi per l'anno 2019.

In base alla formulazione della norma – che si riferisce alla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2019 - la facoltà di scelta troverebbe applicazione a partire dal 2020, consentendo l’assegnazione delle risorse in base alla scelta delle finalità da parte del contribuente a partire dal 2022[8].

Ai fini dell’attuazione della disposizione in esame, la norma rinvia alle modalità da definirsi con il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate di approvazione del modello 730.


 

Articolo 47, comma 1
(
Disposizioni sul trasporto pubblico locale)

 

 

L’articolo 47, comma 1, dispone il rinvio al 2020 della riforma del sistema di ripartizione del Fondo per il trasporto pubblico locale, nonché l’applicazione dal 2021 della ripartizione della quota residua del Fondo sulla base di livelli adeguati di servizio.

I criteri di ripartizione del Fondo TPL (comma 1, lett. a))

In dettaglio, con il comma 1, lett. a), n. 1 viene innanzitutto differita dal 2018 al 2020 l’applicazione dei nuovi criteri di riparto del Fondo TPL, introdotti dall’art. 27, comma 2 del D.L. n. 50/2017.

 

I nuovi criteri per la ripartizione del Fondo TPL (Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, istituito a decorrere dal 2013 dalla legge n. 228/2012), stabiliti dall'articolo 27 del decreto legge n. 50/2017, intendono consentire il definitivo abbandono del criterio della spesa storica finora utilizzato nel TPL per ripartire tra le Regioni gli stanziamenti del Fondo Nazionale TPL e far sì che i servizi di trasporto pubblico locale e regionale vengano sempre più affidati con procedure ad evidenza pubblica. Si ricorda che il DL n. 50/2017 ha rideterminato la consistenza del Fondo fissandola per legge. Tale stanziamento, come modificato dalla legge di Bilancio 2018, ammonta a 4.876,554 milioni di euro per il 2019 ed a 4.875,554 milioni di euro per il 2020 e si trova, nel Bilancio dello Stato, sul cap. 1315 dello Stato di previsione della spesa del Ministero delle infrastrutture e trasporti (Tab. 10). Quanto alle modalità di assegnazione delle risorse, l'articolo 27, comma 2, ha previsto che il riparto del Fondo dovrà essere effettuato, con i nuovi criteri, entro il 30 giugno di ogni anno, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata. Qualora l'intesa non sia raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri può provvedere (in via sostitutiva) con deliberazione motivata.

I nuovi criteri di ripartizione del Fondo che qui vengono differiti al 2020, indicati al comma 2 dell'art. 27, sono i seguenti:

§  il dieci per cento dell'importo del Fondo sarà assegnato alle regioni sulla base dei proventi complessivi da traffico e dell'incremento dei medesimi (registrato tra il 2014, preso come anno base, e l'anno di riferimento, con rilevazione effettuata dall'Osservatorio per il trasporto pubblico locale); tale percentuale sarà incrementata, negli anni successivi al primo, di un ulteriore cinque per cento annuo fino a raggiungere il venti per cento dell'importo del predetto Fondo;

§  il dieci per cento dell'importo del Fondo sarà assegnato per il primo anno alle regioni in base al criterio dei costi standard. La percentuale sarà incrementata, negli anni successivi al primo, di un ulteriore cinque per cento annuo fino a raggiungere il venti per cento dell'importo del Fondo;

Si ricorda che il Decreto ministeriale n. 157 del 28 marzo 2018, ha definito i costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale e i criteri di aggiornamento e applicazione. Il decreto prevede che il Costo standard unitario di un servizio pubblico di trasporto di linea per passeggeri, locali e regionale, sia espresso in corsa-km. Esso andrà utilizzato nei rapporti interistituzionali tra Stato, Regioni, ai fini del riparto delle risorse statali per il trasporto pubblico locale e si prevede che nel primo triennio di applicazione non possa determinare una riduzione annua, per ciascuna Regione, superiore al 5 per cento per la quota di riparto erogata nell'anno precedente.

§  la quota residua del Fondo, pari all’80% al netto di una quota dello 0,025 per cento per i costi di funzionamento dell'Osservatorio TPL, in base alla modifica qui operata dal n. 2 della lett. a) del comma 1, verrà ripartita a partire dal 2021 (anziché dal secondo anno della riforma) sulla base dei livelli adeguati di servizio, da definire con il decreto previsto dal comma 6, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza Unificata, nonché previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, in coerenza con il raggiungimento di obiettivi di soddisfazione della domanda di mobilità, nonché assicurando l'eliminazione di duplicazioni di servizi sulle stesse direttrici.

Attualmente la disposizione prevede che, ad eccezione di una percentuale dello 0,025 per cento destinata alla copertura dei costi di funzionamento dell'Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale, la quota residua sia ripartita sulla base della Tabella di ripartizione tra le Regioni (Tabella di cui all'articolo 1 del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 11 novembre 2014 e riportata nel DPCM 26 maggio 2017, che ha sostituito la precedente Tabella del 2013 a seguito dell’Intesa raggiunta con le Regioni in Conferenza Unificata il 19 gennaio 2017). Tale Tabella è stata utilizzata per il riparto del Fondo nel 2018 e 2019.

 

L’articolo 27 prevede anche penalizzazioni nella ripartizione del fondo, pari al quindici per cento del valore dei corrispettivi dei contratti di servizio - in sede di ripartizione delle risorse fra le regioni, applicabili dal 2021 per le regioni e gli enti locali che non procedano all'espletamento delle gare, nonché parametri volti a incentivare il perseguimento degli obiettivi di efficienza e di centralità dell'utenza nell'erogazione del servizio.

Il meccanismo dell’acconto e delle percentuali di ripartizione del FondoTPL (comma 1, lett. c), lett. d), lett. e))

Con il comma 1, lett. c) si specifica che il meccanismo di anticipazione in acconto dell’80% del Fondo TPL, previsto nel comma 4 dell’art. 27, si applica non solo nelle more dell’operatività della riforma, ma anche a partire dal 2018.

In dettaglio, con la modifica si specifica espressamente, nel comma 4 dell’art. 27, che a partire dal mese di gennaio 2018, oltre che “nelle more dell’emanazione del decreto” di riforma, come già previsto attualmente, la ripartizione del Fondo Tpl sia effettuata in base al criterio dell’acconto dell’80% alle Regioni, a titolo di anticipazione, secondo la Tabella di ripartizione regionale già citata, allegata al DPCM 26 maggio 2017. Tale modifica adegua quindi la normativa a quanto già avvenuto a partire dal 2018, data dalla quale era prevista la decorrenza della riforma, atteso che fino al 2017 la percentuale di anticipazione del Fondo applicata è stata quella prevista dal DPCM 11 marzo 2013, pari al 60 %.

Si ricorda infatti che per il 2018, anno a partire dal quale era prevista l’emanazione del decreto di riforma, la ripartizione del Fondo TPL è avvenuta, nelle more dell’emanazione del decreto (come previsto dal comma 4), con il meccanismo dell’acconto dell’80%, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze n.19 del 29/1/2018. Inoltre, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato, che per il 2018: "per la definizione delle quote di riparto sono stati applicati i criteri già adottati anche negli anni passati, soluzione necessaria ad evitare che il residuo 20% dello stanziamento del Fondo non fosse ripartito ed erogato entro l'anno, con gravi criticità per i servizi di trasporto pubblico locale e regionale". Il saldo 2018 è stato poi erogato interamente alle regioni con decreto interministeriale MIT/MEF n. 537 del 7 dicembre 2018. Qui la tabella di ripartizione tra le regioni del saldo del 2018, che tiene anche conto dell'aumento o della diminuzione degli oneri sostenuti, nel 2018, dalle Regioni a statuto ordinario per le variazioni dei canoni di accesso all'infrastruttura ferroviaria introdotte da RFI, nonché delle penalizzazioni (rateizzate in 8 anni) applicate alle regioni Lazio, Basilicata e Umbria.

Anche per il 2019 la ripartizione del Fondo è stata effettuata, in attesa della riforma, con decreto MIT-MEF n. 82 del 5 marzo 2019 che ha attributo risorse complessive per 3.898.668.289,2 euro (pari ad un acconto dell’80%, poi erogato mensilmente). Qui la tabella di ripartizione tra le Regioni dell'anticipazione del Fondo per il 2019.

 

Con la lett. e) del comma 1 si consente invece che il DPCM 11 marzo 2013, che definisce i criteri di ripartizione del Fondo TPL in attesa della riforma, conservi efficacia fino al 31 dicembre dell'anno precedente alla data di entrata in vigore del decreto di riforma (il decreto MIT/MEF di riparto del Fondo secondo i nuovi criteri), previsto dal comma 2, quindi fino al 31 dicembre 2019, atteso che la riforma è prevista ora dal 2020.

Si sopprime infatti, modificando in tal senso il comma 8 dell’art. 27, la parte della disposizione che prevedeva la cessazione comunque dell’efficacia al 31 dicembre 2018 del DPCM.

Il DPCM 11 marzo 2013 è il decreto che a partire dall’istituzione del Fondo, nel 2013, ha definito i criteri e le modalità di ripartizione del Fondo tra le regioni e le relative quote. Esso prevede la ripartizione delle risorse per il 90 per cento sulla base delle percentuali riportate nella Tabella 1 allegata e per il residuo 10 per cento sulla base del pieno raggiungimento degli obiettivi di efficientamento definiti all’articolo 3 del DPCM. In caso di non raggiungimento di tali obiettivi è previsto un meccanismo di decurtazione. Per quanto riguarda l’acconto a titolo di anticipazione, come detto la percentuale era fissata nel 60% delle risorse stanziate sul Fondo, come previsto dall’art. 16-bis, comma 6 del D.L. n. 95/2012, comma poi abrogato dal D.L. n. 50/2017. Il DPCM è stato quindi novellato da successivi DPCM: con DPCM 7 dicembre 2015 sono stati modificati alcuni dei criteri di riparto del Fondo, in particolare il meccanismo di decurtazione in caso di non raggiungimento dei criteri di efficientamento dei servizi. Con DPCM 26 maggio 2017 sono state novellate le norme relative agli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione della programmazione e gestione del complesso dei servizi TPL nonché la Tabella delle percentuali di ripartizione tra le regioni delle risorse, in seguito all’Intesa raggiunta in Conferenza unificata a gennaio 2017. Si ricorda anche che fino al 2017, il Fondo veniva alimentato con una quota di compartecipazione al gettito delle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina, e nel Fondo confluivano anche le risorse stanziate dall'articolo 21, comma 3, del decreto-legge n. 98/2011.

 

Con la lett. d) del comma 1, si fissa all’anno 2020 il termine, previsto al comma 6 dell’art. 27, entro il quale dovranno essere definiti con decreto ministeriale, per il riparto del Fondo, i criteri con cui le regioni ordinarie dovranno determinare i livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale con tutte le modalità, in coerenza con il raggiungimento di obiettivi di soddisfazione della domanda di mobilità, nonché assicurando l'eliminazione di duplicazioni di servizi sulle stesse direttrici e l'applicazione delle disposizioni sul riordino dei servizi automobilistici sostitutivi o integrativi dei servizi ferroviari di interesse regionale e locale, secondo bacini territoriali ottimali e affidati con procedure competitive ad evidenza pubblica (previste dall’articolo 34-octies del decreto-legge n. 179/2012), privilegiando soluzioni innovative e di minor costo per fornire servizi di mobilità nelle aree a domanda debole, quali scelte di sostituzione modale.

Si tratta del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza Unificata, nonché previo parere delle competenti Commissioni parlamentari per il quale era prevista l’emanazione entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 50/2017.

 

Le regioni inoltre dovranno provvedere alla determinazione degli adeguati livelli di servizio entro l’anno 2021 (anziché entro centoventi giorni) e contestualmente ad una riprogrammazione dei servizi anche modificando il piano di riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto ferroviario regionale (previsto dall'articolo 16-bis, comma 4, del decreto-legge n. 95/2012).

In caso di inadempienza della regione entro il 2021 (anziché entro i centoventi giorni), si applica la norma vigente in base alla quale si procede ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, che disciplina l’esercizio del potere sostitutivo in attuazione dell’articolo 120 della Costituzione.

In proposito andrebbe valutata la congruità del termine del 2021, considerato che la ripartizione della quota residua del fondo, ai sensi della lett. c) dell’art. 27, comma 2, come modificata dalla norma in esame, prevede l’anno 2021 stesso come termine per la definizione da parte delle regioni dei livelli di servizio sulla base dei quali il ministero, entro il 30 giugno del medesimo anno, dovrebbe procedere all’emanazione del decreto di ripartizione del Fondo.

Il criterio dei canoni di accesso all’infrastruttura ferroviaria (comma 1, lett. b)

Il comma 1, lett. b), sostituisce il comma 2-bis dell’art. 27, relativamente alle modalità per tenere conto, in sede di riparto del Fondo TPL, dei costi del canone di accesso all'infrastruttura ferroviaria di RFI.

La disposizione conferma, come già previsto dal vigente comma 2-bis, che si dovrà tenere annualmente conto delle variazioni per ciascuna Regione, in incremento o decremento rispetto al 2017, dei costi del canone di accesso all'infrastruttura ferroviaria introdotte dalla società Rete ferroviaria italiana Spa, con decorrenza dal 1° gennaio 2018, in ottemperanza ai criteri stabiliti dall'Autorità di Regolazione dei Trasporti. Si introduce quindi, novellando la disposizione attuale, un periodo in base al quale tali variazioni, anziché comportare una modifica delle percentuali di attribuzione del Fondo tra le regioni, siano determinate a preventivo e consuntivo rispetto al riparto di ciascun anno, a partire dal saldo del 2019. Si ricorda infatti che le percentuali di ripartizione sono frutto dell’Intesa raggiunta in Conferenza Unificata a dicembre 2017.

Viene poi specificato in dettaglio il funzionamento di questo nuovo meccanismo di determinazione a preventivo e consuntivo:

§  per le variazioni fissate a preventivo si prevede la verifica consuntiva e l’eventuale conseguente revisione in sede di saldo a partire dall’anno 2020, a seguito di apposita certificazione da rendere entro il mese di settembre di ciascun anno, al MIT tramite l’Osservatorio TPL, nonché alle Regioni;

§  ai fini del riparto del saldo 2019, per il quale evidentemente il meccanismo del preventivo non è stato applicato in quanto non era previsto, si dispone che si renda conto dei soli dati a consuntivo relativi alle variazioni 2018, comunicati e certificati dalle imprese esercenti i servizi di trasporto pubblico ferroviario con le medesime modalità e tempi previsti a regime dal 2020.

In entrambe le ipotesi, in caso di inadempienza è prevista la sospensione dell’erogazione dei corrispettivi di cui ai relativi contratti di servizio con le Regioni, in analogia a quanto disposto al comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012.

Il richiamato art. 16-bis, comma 7 prevede che nel caso di mancata trasmissione da parte delle regioni dei dati economici e trasportistici all’Osservatorio TPL, i contributi pubblici e i corrispettivi dei contratti di servizio non possano essere erogati alle aziende di trasporto pubblico e ferroviario.

Per comprendere la portata del nuovo meccanismo, occorre ricordare che la formulazione attuale del comma 2-bis, introdotta dalla legge di Bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017, comma 74), prevede che per tenere conto delle variazioni del canone d'accesso alle infrastrutture ferroviarie, si provveda alla modifica delle percentuali di riparto del Fondo TPL con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato regioni. In sede di erogazione alle regioni del saldo 2018 del Fondo TPL, avvenuta con decreto interministeriale MIT/MEF n. 537 del 7 dicembre 2018 (qui la tabella di ripartizione), il MIT ha comunicato che in questa sede si è tenuto anche conto dell'aumento o della diminuzione degli oneri sostenuti, nel 2018, dalle Regioni a statuto ordinario per le variazioni dei canoni di accesso all'infrastruttura ferroviaria introdotte da RFI. Pertanto per il 2018 si è applicato tale meccanismo a saldo, mentre per il 2019 si avrà solo la possibilità di applicare il nuovo meccanismo a consuntivo in sede di saldo 2019, non essendo stata fissata a preventivo nessuna variazione.

 

Si ricorda che l’Autorità dei Trasporti (ART), che svolge le funzioni di regolazione per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria, ha definito i criteri per la determinazione dei canoni di accesso e utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria nazionale con la Delibera n. 96 del 13 novembre 2015. La Delibera è stata modificata e integrata dalle successive delibere n. 28/2016 dell’8 marzo 2016, n. 31/2016 del 23 marzo 2016, n. 72/2016 del 27 giugno 2016, n. 84/2016 del 21 luglio 2016, n. 152/2017 del 21 dicembre 2017. Si tratta di una complessiva definizione dei criteri di determinazione del pedaggio per l'utilizzo delle infrastrutture ferroviarie in modo che lo stesso sia, tra l'altro, correlato ai costi ed agli investimenti sostenuti al netto dei contributi pubblici, opportunamente parametrato, modulato ed orientato ai principi della trasparenza, rendicontazione, separazione contabile e sottoposto ad obblighi rafforzati di applicazione della contabilità regolatoria e relativa certificazione. I canoni di accesso sono oggetto di pubblicazione nel Prospetto Informativo della Rete, redatto annualmente da RFI per fornire una panoramica di tutte le attività offerte da RFI ai propri clienti, tra cui vi sono sia le imprese ferroviarie a cui le Regioni affidano il servizio ferroviario con appositi contratti di servizio, che le regioni stesse. Le misure regolatorie hanno come oggetto la definizione, per un periodo di regolazione quinquennale, del:

a) canone di accesso per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria nazionale di RFI, cioè i servizi del c.d. "Pacchetto Minimo di Accesso" o PMdA (come definito dall'art. 13, comma 1, del D.Lgs. 112/2015, di attuazione della direttiva c.d. Recast), che comprende ad esempio l'utilizzo delle linee e delle stazioni, l'assegnazione della traccia oraria ed il controllo e la regolazione della circolazione e le relative informazioni necessarie;

b) i canoni ed i corrispettivi per gli altri servizi aggiuntivi, non ricompresi nel canone del PMdA, afferenti all'infrastruttura ferroviaria nazionale, alcuni dei quali sono considerati ad accesso garantito (ad esempio l'accesso a scali merci e impianti tecnici) mentre altri sono servizi complementari o ausiliari (ad esempio l'utilizzo degli spazi delle stazioni per biglietterie e assistenza clienti, i servizi di manovra, la corrente di trazione, l'accesso alla rete di telecomunicazione),qualora soggetti a regolamentazione, come previsto dal D.Lgs. 112/2015.

Per approfondimenti si veda l'Allegato alla Delibera, contenente le specifiche Misure di regolazione e la relativa Relazione Istruttoria.

Con la Delibera n. 75/2016 l’ART ha quindi ritenuto conforme ai criteri della Delibera n. 96/2015 il nuovo sistema tariffario 2016-2021 per il Pacchetto Minimo di Accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale, presentato dal gestore della rete Rete Ferroviaria Italiana Spa (RFI) in data 30 giugno 2016.


 

Articolo 47, comma 1-bis
(Deroga al divieto di circolazione per
gli autobus inquinanti nelle isole minori)

 

 

Il comma 1-bis dell’articolo 47, introdotto dalla Camera, prevede l’emanazione di un decreto ministeriale per escludere, fino al 31 dicembre 2020, dal divieto di circolazione, previsto a partire dal 2019 per gli autoveicoli a motore aventi più di otto posti con caratteristiche antinquinamento Euro 0, i minibus e gli autobus già adibiti a trasporto pubblico locale nelle isole minori aventi particolari specifiche dimensionali.

 

Con il nuovo comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, si prevede in particolare una modifica alla legge di Stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), con la finalità, dichiarata dalla norma, di evitare l'interruzione dei servizi di trasporto pubblico locale.

In dettaglio si modifica il comma 232 dell’articolo 1 di tale legge, il quale ha disposto il divieto di circolazione su tutto il territorio nazionale, a decorrere dal 1° gennaio 2019, dei veicoli a motore categorie M2 ed M3 (minibus e autobus per il trasporto di persone) alimentati a benzina o gasolio con caratteristiche antinquinamento Euro 0. Tale norma ha poi rinviato ad uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la disciplina dei casi di esclusione, che sono attualmente previsti in due casi:

§  per particolari caratteristiche di veicoli di carattere storico;

§  per veicoli destinati a usi particolari.

A tali due casi di esclusione, il comma 1-bis in commento ne aggiunge pertanto una terza: quella dei veicoli già adibiti a trasporto pubblico locale nelle isole minori aventi particolari specifiche dimensionali, ma solo fino al 31 dicembre 2020. Dovrà essere quindi emanato un apposito decreto ministeriale per disciplinare tale esclusione.

Si valuti l’opportunità di chiarire che cosa si intenda per “particolari specifiche dimensionali”, atteso che queste non sono specificate nella norma.

 

Per quanto riguarda le categorie di veicoli a cui si applica tale deroga al divieto di circolazione, si tratta in dettaglio dei seguenti minibus e autobus:

§  categoria M2: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima non superiore a 5 t;

§  categoria M3: veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima superiore a 5 t.

Si ricorda che con il D.M. 3 novembre 2016 è stata data attuazione al comma 232 citato, disponendo l’esclusione dal divieto di circolazione, dei veicoli a motore categorie M2 e M3 di interesse storico e collezionistico che siano conformi al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 17 dicembre 2009, alimentati a benzina o gasolio con caratteristiche antinquinamento Euro 0.


 

Articolo 48
(
Adeguamento banca dati di riferimento
rendiconto di gestione comuni
)

 

 

L’articolo 48 modifica alcune disposizioni dell’ordinamento contabile degli enti locali, al fine di eliminarvi i riferimenti ai certificati di bilancio e di rendiconto e sostituirli con quello al rendiconto della gestione ed all’invio dello stesso alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche.

 

Le modifiche normative introdotte dall’articolo in esame sono conseguenti alle novità introdotte dalla legge di bilancio per il 2019 (ai commi 902-904), che ha eliminato l’obbligo delle certificazioni sui principali dati del bilancio di previsione e del rendiconto della gestione, da inviare al Ministero dell’interno, sostituite dall'invio dei bilanci di previsione e dei rendiconti alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP), secondo la previsione dell’articolo 13 della legge n. 196/2009.

 

Si rammenta che l’articolo 1, comma 902, della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018) ha disposto che, a decorrere dal bilancio di previsione 2019, l’invio dei bilanci di previsione e dei rendiconti alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP), previsto dall’articolo 13 della legge di contabilità pubblica n. 196/2009, sostituisce la trasmissione al Ministero dell'interno delle certificazioni sui principali dati del bilancio di previsione e del rendiconto della gestione da parte di comuni, province, città metropolitane, unioni di comuni e comunità montane, prima richieste dall’articolo 161 del TUEL, che è stato conseguentemente sostituito.

La nuova formulazione dell’articolo 161 - che entrerà in vigore dal 1° novembre 2019 - prevede ora la facoltà del Ministero dell’interno di richiedere specifiche certificazioni sui particolari dati finanziari non presenti nella BDAP, secondo modalità da stabilirsi con decreto del Ministero dell’interno. I dati delle certificazioni, pubblicati nel sito internet istituzionale del Ministero dell'interno, sono resi disponibili per l'inserimento nella BDAP. Entro 30 giorni dal termine previsto per l’approvazione dei bilanci di previsione, dei rendiconti e del bilancio consolidato[9], in caso di mancato invio dei documenti alla BDAP, il comma 4 del nuovo articolo 161 prevede la sanzione (già prevista in caso di mancata trasmissione delle certificazioni) consistente nella sospensione dei pagamenti delle risorse finanziarie a qualsiasi titolo dovute agli enti locali dal Ministero dell’interno, ivi comprese quelle a titolo di fondo di solidarietà comunale.

Il mancato invio dei documenti contabili alla BDAP entro i 30 giorni dal termine stabilito per la loro approvazione comporta altresì l’attivazione dell’altra sanzione, prevista dall'articolo 9, comma 1-quinquies, del D.L. n. 113/2016, che comporta il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

Giova, infine, ricordare che l’obbligo di inviare i bilanci e i conti consuntivi alla BDAP è previsto dall’art. 13 della legge 196/2009, che rinvia ad apposito decreto ministeriale, quest’ultimo adottato il 12 maggio 2016, il quale prevede, all’art. 4, che l’invio del bilancio di previsione o del rendiconto deve avvenire entro trenta giorni dalla sua approvazione.

 

In particolare, il comma 1 interviene sugli adempimenti contabili relativi alla presentazione della tabella dei parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale dell’ente locale, che la normativa vigente prevede debba essere allegata sia al bilancio di previsione (art. 172) sia al rendiconto di gestione (art. 227, co. 5), nonché al certificato di rendiconto (art. 228, co. 5).

Stante quanto sopra ricordato, la lettera a) del comma 1 sopprime la disposizione – contenuta al comma 5 dell’articolo 228 del D.Lgs. 267/2000 – che pone a carico degli enti locali l’onere di allegare la tabella dei parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale ed il piano degli indicatori e dei risultati di bilancio anche al certificato di rendiconto. La soppressione è conseguente al fatto che l’onere della trasmissione del certificato di rendiconto è ormai venuto meno, ai sensi del citato comma 902 della legge di bilancio 2019, sostituito dall’obbligo, previsto dalla legge di contabilità, dell’invio del rendiconto alla BDAP.

Resta in ogni caso ferma la disposizione, contenuta nel medesimo comma 5 dell’art. 228 del TUEL, che prevede che tali documenti (tabella dei parametri di deficitarietà strutturale e piano degli indicatori) vengano allegati al rendiconto.

 

Si ricorda che, in base alla disciplina dell’art. 242 del TUEL, sono da considerarsi in condizioni strutturalmente deficitarie gli enti locali che presentano gravi ed incontrovertibili condizioni di squilibrio rilevabili dall’apposita tabella, da allegare al rendiconto della gestione (relativo al penultimo esercizio precedente quello di riferimento), contenente parametri obiettivi dei quali almeno la metà presentino valori deficitari. I parametri obiettivi, e le modalità per la compilazione della tabella, sono fissati con decreto del Ministro dell'interno di natura non regolamentare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (per il triennio 2019-2021: D.M. 28 dicembre 2018).

Nella Relazione illustrativa all’articolo in esame si sottolinea che la BDAP, una volta acquisiti rendiconti ed allegati dagli enti locali, provvederà a trasmettere al Ministero dell’Interno, con procedura informatica, sia le tabelle dei parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale che il piano degli indicatori e dei risultati di bilancio, ora, per l’appunto, entrambi allegati allo schema di rendiconto che gli enti locali sono tenuti a trasmettere alla citata banca dati con le modalità previste dal DM 12 maggio 2016.

 

Per le medesime considerazioni, la lettera b) del comma 1 modifica altresì le disposizioni dei commi 5 e 6 dell’articolo 243 del TUEL, che disciplina i controlli cui sono soggetti gli enti locali strutturalmente deficitari, al fine di eliminare, all’interno delle misure sanzionatorie, i riferimenti al soppresso certificato di bilancio e di rendiconto e sostituirli con quello al rendiconto della gestione ed all’invio dello stesso a BDAP, secondo la previsione dell’articolo 13 della legge n. 196/2009.

 

In base all’articolo 243 del TUEL, gli enti locali che risultano strutturalmente deficitari sono soggetti al controllo centrale sulle dotazioni organiche e sulle assunzioni di personale, nonché ai controlli in materia di copertura del costo di alcuni servizi (in particolare, quelli a domanda individuale, di acquedotto e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati), tesi a rilevare che il costo complessivo della gestione di tali servizi sia stato coperto in via prioritaria con le relative tariffe, in misura non inferiore ad una determinata percentuale ivi indicata. Agli enti che non rispettano i suddetti livelli minimi di copertura dei costi di gestione è applicata una sanzione pari all'1 per cento delle entrate correnti risultanti dal certificato di bilancio di cui all'articolo 161.

 

In sostanza, con le novelle apportate dalla lettera b) del comma in esame:

§  si modifica il comma 5 dell’art. 243 del TUEL, al fine di precisare che la sanzione da applicare agli enti in condizioni strutturalmente deficitarie che non rispettano i livelli minimi di copertura dei costi di gestione è ora commisurata all’1 per cento delle entrate correnti risultanti dal rendiconto della gestione, anziché di quelle risultanti dal certificato di bilancio, del penultimo esercizio finanziario precedente a quello in cui viene rilevato il mancato rispetto dei predetti limiti minimi di copertura. Laddove non risultasse inviato alla BDAP il rendiconto della gestione del penultimo anno precedente, si fa riferimento all'ultimo rendiconto presente nella stessa banca dati o, in caso di ulteriore indisponibilità, in quella dei certificati di bilancio del Ministero dell’interno;

§  si riformula il comma 6 dell’art. 243, nel senso di prevedere l’assoggettamento in via provvisoria ai controlli centrali in materia di copertura del costo dei servizi anche degli enti locali: a) che non abbiano provveduto, nei termini di legge, alla deliberazione del rendiconto della gestione (fattispecie peraltro già prevista dal previgente comma 6), b) che non inviino il rendiconto della gestione alla BDAP entro 30 giorni dal termine previsto per la sua deliberazione (il testo previgente prevedeva l’attivazione dei controlli in caso di mancata presentazione del certificato al rendiconto).

Il comma 2 modifica la disposizione – di cui al comma 142 della legge di bilancio 2019 – la quale, in relazione ai contributi assegnati ai comuni per investimenti di messa in sicurezza del territorio[10], indica come requisito essenziale per l’attribuzione dei contributi medesimi, la trasmissione alla banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP) del rendiconto di gestione e del Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio. Ciò in quanto le informazioni finanziarie utili ai fini della definizione dell’ammontare da attribuire a ciascun ente, sono desunte, secondo il dettato della norma, dal prospetto dimostrativo del risultato di amministrazione allegato al rendiconto della gestione (e dal quadro generale riassuntivo), trasmessi alla banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP).

La modifica riguarda, in particolare, la disposizione che si riferisce ai comuni per i quali sono sospesi i termini di approvazione del rendiconto di gestione, precisando che per essi le informazioni finanziarie utili per l’assegnazione del contributo siano desunte dall'ultimo rendiconto della gestione trasmesso alla citata banca anziché dall'ultimo certificato di conto consuntivo trasmesso al Ministero dell'interno.


 

Articolo 49, comma 1
(Revisione priorità investimenti)

 

 

L’articolo 49 dispone misure volte ad ampliare l’utilizzo di risorse assegnate alle regioni per interventi territoriali e alla sicurezza della rete ferroviaria nazionale.

 

Nello specifico, il comma 1 reca modifiche all’articolo 1, commi 134 e 135, della legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n.145), al fine di estendere l’ambito degli investimenti, ivi previsti per il periodo 2021-2033, a favore delle regioni a statuto ordinario, anche al settore dei trasporti e della viabilità, con la finalità di ridurre l’inquinamento ambientale, e di favorire investimenti finalizzati alla rigenerazione urbana, alla riconversione energetica verso fonti rinnovabili, ad infrastrutture sociali e alle bonifiche ambientali.

 

La lettera a) del comma 1, che modifica il comma 134 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019, prevede l’estensione dei contributi assegnati, per il periodo 2021-2033, alle regioni a statuto ordinario, per investimenti finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio, anche ai seguenti interventi:

§  viabilità, messa in sicurezza e sviluppo di sistemi di trasporto pubblico, anche con la finalità di ridurre l’inquinamento ambientale;

§  rigenerazione urbana e riconversione energetica verso fonti rinnovabili,

§  infrastrutture sociali;

§  bonifiche ambientali dei siti inquinati.

 

L’articolo1, comma 134 della legge di bilancio 2019 assegna alle regioni a statuto ordinario, per il periodo 2021-2033, contributi per la realizzazione di opere pubbliche per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio, pari complessivamente a circa 3,2 miliardi di euro (135 milioni di euro annui dal 2021 al 2025, 270 milioni per il 2026, 315 milioni annui dal 2027 al 2032 e 360 milioni per il 2033).

Il comma 135 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019 chiarisce che i contributi disposti dal comma 134 sono assegnati ogni anno dalle regioni ai comuni del proprio territorio per almeno il 70%, entro il 30 ottobre dell'anno precedente al periodo di riferimento, a favore di investimenti per la messa in sicurezza:

a)   del territorio a rischio idrogeologico;

b)   di strade, ponti, e viadotti;

c)   nonché degli edifici, con precedenza per gli edifici scolastici, e altre strutture di proprietà dei comuni.

La lettera b), che modifica la lettera b) del citato comma 135, estende agli interventi in viabilità e trasporti i contributi previsti per la messa in sicurezza di strade, ponti e viadotti, anche con la finalità di ridurre l’inquinamento ambientale.

La medesima lettera b), che aggiunge al comma 135 le lettere c-bis)-c-quinquies), introduce i seguenti ulteriori interventi cui è destinata l’utilizzazione dei previsti contributi:

c-bis) messa in sicurezza e sviluppo di sistemi di trasporto pubblico di massa finalizzati al trasferimento modale verso forme di mobilità maggiormente sostenibili e alla riduzione delle emissioni climalteranti;

c-ter) progetti di rigenerazione urbana, riconversione energetica e utilizzo fonti rinnovabili;

c-quater) infrastrutture sociali;

c-quinquies) bonifiche ambientali dei siti inquinati.

 

I commi 134-148 dell’art. 1 della legge di bilancio 2019 prevedono due distinti programmi - gestiti rispettivamente dalle singole regioni e dal Ministero dell’interno - aventi però la medesima finalità di consentire la realizzazione di opere pubbliche per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio. Per la realizzazione di tali programmi sono assegnati ai comuni, per il periodo 2021-2033, mediante riparto effettuato dal soggetto gestore, contributi per un importo complessivo di circa 8,1 miliardi di euro.

Oltre alle procedure per la concessione dei contributi ai comuni, sono disciplinati l’utilizzo dei risparmi derivanti da eventuali ribassi d'asta nonché il monitoraggio degli investimenti effettuati.

 

Si ricorda, come indicato nella relazione illustrativa del provvedimento in esame, che nella NADEF 2019 il Governo ha sottolineato che nel quadro della strategia del Green New Deal i piani di investimenti pubblici dovranno porre al centro la protezione dell'ambiente anche attraverso il miglioramento dei parametri e dei livelli di inquinamento ambientali, il progressivo ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici ed il miglioramento della qualità dell'aria.

Sul fronte degli investimenti pubblici, nella NADEF 2019 si è annunciata l'introduzione, nella prossima legge di bilancio, di due fondi, assegnati a Stato e Enti territoriali, per un ammontare complessivo di 50 miliardi di euro su un orizzonte di 15 anni, che si affiancheranno e daranno continuità ai fondi costituiti con le ultime tre leggi di bilancio. I fondi serviranno ad attivare progetti di rigenerazione urbana, riconversione energetica e di incentivo all'utilizzo di fonti rinnovabili. Il Governo ha precisato che tale impegno non pregiudicherà la realizzazione di interventi necessari alla tutela del territorio e alla difesa della biodiversità, e di quelli relativi alle reti di comunicazione e di connessione. In materia di trasporto pubblico locale, il Governo intende sostenere la mobilità locale e urbana attraverso adeguati investimenti per il trasporto rapido di massa e per il rinnovo del parco autobus, anche con risorse per contribuire alla sostituzione dei mezzi pubblici allo scopo di incentivare la sicurezza dei trasporti e diminuire le emissioni di CO2.


 

Articolo 49 comma 1-bis
(Criteri premiali)

 

 

L’articolo 49, comma 1-bis, introdotto dalla Camera, modifica il Codice dei contratti pubblici, al fine di introdurre, tra i criteri premiali previsti per il rilascio del rating di impresa (cd. strumento di valutazione dei requisiti reputazionali di affidabilità dell’impresa nei contratti pubblici), la valutazione dell’impatto generato in termini di beneficio comune previsto per le società benefit.

 

La lettera a) del comma 1-bis dell’art. 49 modifica l’art. 83, comma 10, introducendo - tra i criteri premiali relativi al rating di impresa - anche la valutazione dell’impatto generato, come disciplinato per le società benefit in base all’articolo 1, comma 381 lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), anche qualora l’offerente sia un soggetto diverso dalle società bene?t.

La disposizione oggetto di modifica prevede l’istituzione presso l'ANAC del sistema del rating di impresa e delle relative premialità, attraverso il quale si rilascia apposita certificazione agli operatori economici, su richiesta.

Il suddetto sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l'affidabilità dell'impresa.

In tale ambito, l'ANAC definisce i requisiti reputazionali e i criteri di valutazione degli stessi, nonché le modalità di rilascio della relativa certificazione, mediante linee guida adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. L’11 maggio 2018 è stato presentato da ANAC per la consultazione pubblica un documento di proposta di Linee guida.

I requisiti reputazionali alla base del rating di impresa di cui al comma 10 dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici tengono conto, in particolare, dei precedenti comportamenti dell'impresa, con riferimento al mancato utilizzo del soccorso istruttorio, all'applicazione delle disposizioni sulla denuncia obbligatoria di richieste estorsive e corruttive, nonché al rispetto dei tempi e dei costi nell'esecuzione dei contratti e dell'incidenza e degli esiti del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara sia in fase di esecuzione del contratto.

 

La lettera b) del comma 1-bis introduce, inoltre, l’indicazione del suddetto criterio premiale nel bando di gara, nell’avviso o nell’invito, da parte della stazione appaltante, in novella all’art. 95 del Codice dei contratti pubblici, sostituendo il comma 13, che individua i criteri premiali che le stazioni appaltanti intendono applicare alla valutazione dell'offerta.

 

Il vigente comma 13 dell’art. 95 del Codice dei contratti pubblici prevede che, compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, le amministrazioni aggiudicatrici indicano nel bando di gara, nell'avviso o nell'invito, i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell'offerta in relazione al maggior rating di legalità e di impresa dell'offerente, nonché per agevolare la partecipazione alle procedure di affidamento per le microimprese, piccole e medie imprese, per i giovani professionisti e per le imprese di nuova costituzione. La stessa norma che le amministrazioni aggiudicatrici indicano altresì il maggior punteggio relativo all'offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull'ambiente ivi inclusi i beni o prodotti da filiera corta o a chilometro zero.

Si ricorda che le società benefit sono società che, nell'esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse (art. 1, comma 376 della legge di stabilità 2016). Le società diverse dalle società benefit, qualora intendano perseguire anche finalità di beneficio comune, sono tenute a modificare l'atto costitutivo o lo statuto, nel rispetto delle disposizioni che regolano le modificazioni del contratto sociale o dello statuto, proprie di ciascun tipo di società (art. 1, comma 379, legge di stabilità 2016).

La società benefit redige annualmente una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio societario e che include, tra l’altro, la valutazione dell'impatto generato utilizzando lo standard di valutazione esterno con caratteristiche descritte nell'allegato 4 annesso alla legge di stabilità 2016 e che comprende le aree di valutazione identificate nell'allegato 5 annesso alla medesima legge (art. 1, comma 382, lett. b)).

 

Lo standard di valutazione esterno (allegato 4) utilizzato dalla società benefit deve essere:

1.   esauriente e articolato nel valutare l'impatto della società e delle sue azioni nel perseguire la finalità di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse;

2.   sviluppato da un ente che non è controllato dalla società benefit o collegato con la stessa;

3.   credibile perché sviluppato da un ente che: a) ha accesso alle competenze necessarie per valutare l'impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso; b) utilizza un approccio scientifico e multidisciplinare per sviluppare lo standard, prevedendo eventualmente anche un periodo di consultazione pubblica.

4.   trasparente perché le informazioni che lo riguardano sono rese pubbliche, con particolare riferimento a: a) i criteri utilizzati per la misurazione dell'impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso; b) le ponderazioni utilizzate per i diversi criteri previsti per la misurazione; c) l'identità degli amministratori e l'organo di governo dell'ente che ha sviluppato e gestisce lo standard di valutazione; d) il processo attraverso il quale vengono effettuate modifiche e aggiornamenti allo standard; e) un resoconto delle entrate e delle fonti di sostegno finanziario dell'ente per escludere eventuali conflitti di interesse.

 

La valutazione dell'impatto (allegato 5) deve comprendere le seguenti aree di analisi:

1.   governo d'impresa, per valutare il grado di trasparenza e responsabilità della società nel perseguimento delle finalità di beneficio comune, con particolare attenzione allo scopo della società, al livello di coinvolgimento dei portatori d'interesse, e al grado di trasparenza delle politiche e delle pratiche adottate dalla società;

2.   lavoratori, per valutare le relazioni con i dipendenti e i collaboratori in termini di retribuzioni e benefit, formazione e opportunità di crescita personale, qualità dell'ambiente di lavoro, comunicazione interna, flessibilità e sicurezza del lavoro;

3.   altri portatori d'interesse, per valutare le relazioni della società con i propri fornitori, con il territorio e le comunità locali in cui opera, le azioni di volontariato, le donazioni, le attività culturali e sociali, e ogni azione di supporto allo sviluppo locale e della propria catena di fornitura;

4.   ambiente, per valutare gli impatti della società, con una prospettiva di ciclo di vita dei prodotti e dei servizi, in termini di utilizzo di risorse, energia, materie prime, processi produttivi, processi logistici e di distribuzione, uso e consumo e fine vita.

 

 

 


 

Articolo 50, commi 1-3
(
Tempi di pagamento dei debiti commerciali della P.A.)

 

 

L’articolo 50 detta, ai commi da 1 a 3, disposizioni in materia di tempi di pagamento dei debiti commerciali della P.A..

 

Il comma 1 modifica la disciplina introdotta in materia dalla legge di bilancio per il 2019.

 

L’articolo 1, commi 849-872 della legge n.145/2018 (legge di bilancio per il 2019), ha introdotto specifiche disposizioni volte ad assicurare la riduzione dei tempi di pagamento dei debiti commerciali da parte della P.A.

I commi da 849 a 856 ampliano le possibilità per gli enti locali, le regioni e le province autonome di richiedere anticipazioni di liquidità finalizzate al pagamento di debiti maturati alla data del 31 dicembre 2018, relativi a somministrazioni, forniture, appalti e a obbligazioni per prestazioni professionali. In particolare, si prevede che le banche, gli intermediari finanziari, la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e le istituzioni finanziarie dell'Unione europea possano concedere ai comuni, alle province, alle città metropolitane, alle regioni  e alle province autonome, anche per conto dei rispettivi enti del Servizio sanitario nazionale (SSN), anticipazioni di liquidità da destinare al pagamento di debiti, certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2018, relativi a somministrazioni, forniture, appalti e a obbligazioni per prestazioni professionali. Le anticipazioni di cassa agli enti locali sono assistite, quale garanzia del pagamento delle rate di ammortamento, da una delegazione di pagamento a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio di previsione. L'anticipazione di liquidità per il pagamento di debiti fuori bilancio è subordinata al riconoscimento della legittimità dei debiti stessi ad opera della deliberazione del consiglio dell'ente. Viene fissato al 28 febbraio 2019 il termine entro il quale la richiesta di anticipazione di liquidità deve essere presentata agli istituti finanziari. Il pagamento dei debiti per i quali è stata ottenuta l'anticipazione deve avvenire entro 15 giorni dalla data di erogazione (30 giorni nel caso di debiti degli enti del SSN). Il rimborso delle anticipazioni deve avvenire entro il momento dell'avvenuto ripristino della normale gestione di liquidità, e comunque non oltre il 15 dicembre 2019. In caso di mancato rimborso entro i termini stabiliti, gli istituti finanziatori possono chiedere la restituzione dell'anticipazione, anche attivando le garanzie previste.

I commi da 857 a 872 disciplinano una serie di misure di garanzia richieste agli enti pubblici al fine di garantire il rispetto dei tempi di pagamento dei debiti commerciali.

In particolare, si prevede che quando si verifichino determinate condizioni - ossia insufficiente riduzione del debito  commerciale (riduzione inferiore al 10% rispetto a quello del secondo esercizio precedente) o presenza di un indicatore di ritardo annuale dei pagamenti non in linea con i termini di pagamento delle transazioni commerciali[11] - le amministrazioni sono tenute, entro il 31 gennaio[12], a stanziare, nella parte corrente del proprio bilancio, un accantonamento, denominato Fondo di garanzia debiti commerciali, sul quale non è possibile disporre impegni e pagamenti, che a fine esercizio confluisce nella quota libera del risultato di amministrazione. L’accantonamento riguarda una quota (crescente dall’1 al 5 per cento in relazione al crescere del ritardo medio dei pagamenti registrati nell’esercizio precedente) degli stanziamenti relativi alla spesa per acquisto di beni e servizi nell’esercizio in corso (comma 862[13]).

Ai sensi del comma 861 i tempi di pagamento e ritardo sono elaborati mediante la Piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni (PCC) (di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 35 del 2013).

Infine, il comma 857 dispone che nell'anno 2020 le misure di garanzia, ossia gli accantonamenti richiesti alle amministrazioni in presenza di una insufficiente riduzione del debito commerciale o di un indicatore di ritardo annuale dei pagamenti non in linea con la legislazione vigente, sono raddoppiate nei confronti degli enti che non hanno richiesto l'anticipazione rispettando il termine del 28 febbraio 2019 o che (dopo averla richiesta) non hanno effettuato il pagamento entro il termine di 15 giorni dalla data di erogazione.

 

In primo luogo viene abrogato l’articolo 1, comma 857 della legge 145/2018, che prevede il raddoppio nel 2020 delle misure di garanzia richieste agli enti per il mancato rispetto dei termini di pagamento delle transazioni commerciali e di mancata riduzione del debito commerciale residuo, nel caso in cui gli enti medesimi non abbiano richiesto l’anticipazione di liquidità nei termini previsti o, pur avendola richiesta, non abbiano effettuato i relativi pagamenti nei tempi fissati (lettera a)).

Si prevede, quindi, che, limitatamente all’esercizio 2019, gli indicatori relativi al ritardo annuale dei pagamenti e al debito commerciale residuo, da prendere a riferimento per l’applicazione delle misure di garanzia, possono essere quelli elaborati dall’ente, sulla base delle informazioni presenti nelle proprie registrazioni contabili e non quelli elaborati dalla Piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni (PCC) (come previsto dal comma 861). Qualora l’ente decida di avvalersi di tale facoltà, deve effettuare la comunicazione alla stessa PCC dello stock di debito commerciale residuo al 31 dicembre 2019 anche se utilizza gli strumenti dispositivi dei pagamenti resi disponibili dall’applicativo SIOPE+ (lettere b) e c)).

Infine, viene posticipato (dal 31 gennaio) al 28 febbraio il termine (previsto dal comma 862) entro il quale gli enti che adottano la contabilità finanziaria e presentano indicatori di ritardo annuale dei pagamenti e di debito commerciale residuo non in linea con quanto richiesto, devono adottare la delibera di costituzione del Fondo garanzia debiti commerciali (lettera d)).

 

Il comma 2 anticipa (dal 30 aprile) al 31 gennaio il termine entro il quale le amministrazioni pubbliche sono tenute[14] ad effettuare la comunicazione annuale PCC (Piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni) dell’elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre dell’esercizio precedente.

 

Il comma 3 stabilisce che entro il 1° gennaio 2021 le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009[15], che si avvalgono dell’Ordinativo Informatico di Pagamento (OPI), sono tenute ad inserirvi la data di scadenza della fattura. A decorrere dalla medesima data del 1° gennaio 2021 viene meno per le stesse amministrazioni l’obbligo di comunicare mensilmente sulla PCC i dati relativi ai debiti commerciali non estinti e scaduti[16]

 

Nella relazione illustrativa si afferma che tale adempimento assicurerà una migliore registrazione dei pagamenti delle fatture sulla PCC.


 

Articolo 50, comma 3-bis
(Adeguamento di ordini e collegi professionali ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica)

 

 

Il comma 3-bis dell’articolo 50, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, attenua gli obblighi, a carico di ordini e collegi professionali, di adeguamento ai principi in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.

 

In particolare, la disposizione modifica l’articolo 2-bis del decreto-legge n.101/2013, il quale prevede che “gli ordini e i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”[17] […]  “e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanto enti non gravanti sulla finanza pubblica”.

 

La disposizione in esame attenua, per tali enti, l’obbligo di adeguarsi a tale normativa, specificando:

§  per quanto riguarda il decreto legislativo n. 165/2001, che l’obbligo di adeguamento riguarda i “soli principi” (e non, semplicemente, i “principi”, come attualmente previsto);

§  per quanto riguarda i principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, che l’obbligo di adeguamento riguarda unicamente i principi “ad essi relativi” (ovverosia – dovrebbe intendersi -  i principi formulati con specifico riferimento a ordini e collegi professionali, e non già i principi formulati con riferimento al settore pubblico).


 

Articolo 50-bis
(Pagamento dei compensi per prestazioni di lavoro straordinario effettuate dalle Forze di polizia e dal Corpo nazionale
dei vigili del fuoco nel 2018)

 

 

L’articolo 50-bis, introdotto dalla Camera, autorizza la spesa, per il 2019, di 180 milioni di euro per il pagamento dei compensi per prestazioni di lavoro straordinario riferiti alle annualità precedenti al 2019 e svolte dagli appartenenti alle Forze di Polizia e dal personale del Corpo dei vigili del fuoco, anche in deroga al limite dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale delle amministrazioni pubbliche.

 

Nel dettaglio, il comma 1 prevede che, al fine di consentire il pagamento di compensi per prestazioni di lavoro straordinario, riferiti ad annualità precedenti il 2019 e non ancora liquidati, è autorizzata per il predetto anno (2019) la spesa complessiva di 180 milioni di euro, al lordo degli oneri a carico dell'amministrazione.

Tale importo è ripartito come segue:

§  175 milioni di euro agli appartenenti alle Forze di polizia, di cui all'articolo 16 della L. 121/1981, ossia Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia penitenziaria;

§  5 milioni di euro al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del D.Lgs. 127/2018.

 

La legge prescrive che l'autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario del personale dei Vigili del fuoco è disposta annualmente con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro i limiti dei fondi stanziati in bilancio (art. 16 del D.Lgs. 97/2017, come sostituito dall’art. 10, comma 1, del D.Lgs. 127/2018).

Il decreto-legge 53/2019 (c.d. decreto sicurezza-bis, art. 8-ter) ha disposto, per fronteggiare imprevedibili e indilazionabili esigenze di servizio, l’aumento dell’attribuzione annua di ore di lavoro straordinario per il personale operativo del Corpo dei Vigili del fuoco fissandola a 259.890 ore per l’anno 2019 e di 340.000 ore a decorrere dal 2020. La copertura finanziaria è stata valutata in 380.000 euro per l’anno 2019 e in 1.910.000 euro a decorrere dal 2020.

In precedenza, l’art. 11 della legge 246/2000 aveva previsto, sempre al fine di fronteggiare esigenze di servizio imprevedibili ed indilazionabili, che l'attribuzione annua di ore di lavoro straordinario fosse fissata a 240.000 ore a decorrere dal 2001).

 

La disposizione dispone la deroga al limite dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale delle amministrazioni pubbliche fissato dal D.Lgs. 75/2017 nella misura pari all’importo destinato alle medesime finalità per il 2016.

 

Il D.Lgs. 75/2017 (adottato in attuazione della legge di riforma della pubblica amministrazione, L. 124/2015) ha previsto, tra l’altro, una progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale contrattualizzato delle amministrazioni pubbliche, demandata alla contrattazione collettiva (per ogni Comparto o Area di contrattazione) e realizzata attraverso i fondi per la contrattazione integrativa, all’uopo incrementati nella loro componente variabile.

A tal fine, si specifica che la contrattazione collettiva opera, tenendo conto delle risorse annuali destinate alla contrattazione integrativa, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione (distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale) delle risorse finanziarie destinate all'incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione (art. 23, comma 1, D.Lgs. 75/2017).

Nelle more dell’attuazione di tale convergenza, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi, e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell'azione amministrativa (assicurando comunque l'invarianza della spesa), l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001), dal 1° gennaio 2017 non può superare il corrispondente importo determinato per il 2016 (art. 23, comma 2, D.Lgs. 75/2017).

Sempre dal 1° gennaio 2017 viene contestualmente abrogato l’articolo 1, comma 236, della L. 208/2015, che limita – nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 11 e 17 (concernenti il riordino della dirigenza pubblica e della disciplina del lavoro alle dipendenze delle P.A.) della L. 124/2015, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche - a decorrere dal 2016, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche precedentemente individuate. Tali risorse, in particolare, non possono superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 e, allo stesso tempo, sono automaticamente ridotte in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa vigente.

 

La relazione illustrativa dell’emendamento del Governo che ha introdotto la disposizione in esame evidenzia che gli appartenenti alle Forze di polizia hanno svolto, nel solo anno 2018, prestazioni di lavoro straordinario non liquidate per complessivi 175 milioni di euro, di cui 36 milioni la Polizia di Stato; 84 i Carabinieri; 43 la guardia di finanza; 12 la Polizia penitenziaria.

Per quanto riguarda i Vigili del fuoco, la medesima relazione illustrativa chiarisce che la disposizione in esame consente la copertura degli oneri pregressi, maturati per effetto delle attività disciplinate dall’articolo 28 del Contrato collettivo del 24 aprile 2002 (integrativo del CCNL 24 maggio 2000) e riguardano le cosiddette “ore guida” dei mezzi dei Vigili del fuoco che costituiscono attività lavorativa e come tali, qualora rese fuori dall’orario ordinario, danno luogo a lavoro straordinario.

Si ricorda infine che un incremento di spesa a partire dal 2018, pari a 38.091.560 euro, per il pagamento degli straordinari delle Forze di Polizia, è stato disposto dal decreto-legge 113/2018 (c.d. “decreto sicurezza”, art. 33).

 

Si ricorda inoltre che il disegno di legge di bilancio 2019, all’esame del Senato (A.S. 1586) reca ulteriori incrementi delle risorse per il pagamento del lavoro straordinario delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco.

In particolare, l’articolo 14 del ddl autorizza un incremento di 48 milioni - a decorrere dall'anno 2020 - della spesa per compensare prestazioni di lavoro straordinario svolte dagli appartenenti delle Forze di polizia.

A sua volta, l’articolo 15 del ddl autorizza un incremento di 2 milioni - a decorrere dall'anno 2020 - della spesa per compensare prestazioni di lavoro straordinario svolte per esigenze di servizio "imprevedibili e indilazionabili" del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame provvede alla copertura finanziaria degli oneri conseguenti al comma 1, quantificati in 180 milioni di euro cui si fa fronte:

§  quanto a 124 milioni di euro mediante utilizzo delle risorse iscritte sul Fondo per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell'istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi istituto presso il Ministero dell’economia e delle finanze dall'articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 5/2009;

§  quanto a 56 milioni, a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 365, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017) e, in particolare, per 41,8 milioni a valere sulla quota assegnata alla finalità di cui alla lettera b) e per 14,2 milioni sulla quota assegnata alla finalità di cui alla lettera c).

La legge di bilancio 2017 ha istituito, con l’articolo 1, comma 365, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo per il pubblico impiego, volto a finanziare:

§  la contrattazione collettiva nel pubblico impiego e il miglioramento economico del personale non contrattualizzato (lettera a);

§  le assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, inclusi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (lettera b);

§  l'attuazione degli interventi normativi previsti in materia di reclutamento, stato giuridico e progressione in carriera del personale delle forze di polizia, delle forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (lettera c).

Il Fondo è stato ripartito con il D.P.C.M. 27 febbraio 2017 per l’anno 2017 e a decorrere dall’anno 2018.


 

Articolo 51, commi 1 e 2
(
Attività informatiche in favore di organismi pubblici)

 

 

L’articolo 51 prevede che la SOGEI possa offrire servizi informatici, da erogare tramite apposite convenzioni, alla Presidenza del Cconsiglio, al Consiglio di Stato, Avvocatura dello Stato, Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto, INVIMIT SGR e alla società per la gestione della piattaforma tecnologica dei pagamenti alle pubbliche amministrazioni (pagoPA).

 

La disposizione, secondo quanto indicato nell’articolo in esame, è finalizzata a:

§  migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa;

§  favorire la sinergia tra processi istituzionali afferenti ambiti affini;

§  favorire la digitalizzazione dei servizi e dei processi attraverso interventi di consolidamento delle infrastrutture, razionalizzazione dei sistemi informativi e interoperabilità tra le banche dati, in coerenza con le strategie del Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione.

 

Il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione fissa gli obiettivi e individua i principali interventi di sviluppo e gestione dei sistemi informativi delle p.a. (art. 14-bis CAD). Il Piano è redatto dall'AgID, che ne cura anche la verifica dell'attuazione, e approvato dal Presidente del Consiglio, o dal ministro delegato per l'informatizzazione. Nel marzo 2019 è stato varato il Piano triennale 2019-2021.

 

A tali fini, il comma 1 prevede che la società di cui all’articolo 83, comma 15, del D.L. 112/2008 (ossia SOGEI), può offrire servizi informatici strumentali al raggiungimento degli obiettivi propri delle pubbliche amministrazioni e delle società pubbliche da esse controllate indicate al comma 2). L’oggetto e le condizioni della fornitura dei sevizi saranno definiti con apposite convenzioni.

 

I commi da 8 a 15 del citato art. 83 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recano un complesso di disposizioni eterogenee riguardanti l’attività di controllo e di accertamento, l’organizzazione delle Agenzie fiscali e la SOGEI. Il comma 15, per quanto rileva in questa sede, dispone che i diritti dell’azionista della società di gestione del sistema informativo dell’amministrazione finanziaria, vale a dire la SOGEI, siano esercitati da parte del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Si ricorda, in breve, che SOGEI - Società generale d’informatica s.p.a, è stata costituita nel 1976 come società a prevalente partecipazione pubblica anche in considerazione della necessità di realizzare l’anagrafe tributaria, necessaria alla luce della riforma fiscale del 1974.

Attualmente, la SOGEI è una società per azioni a totale partecipazione pubblica le cui azioni appartengono al Ministero dell’economia e finanze.

Ai sensi dell'art. 4 dello statuto del 29 dicembre 2016, la SOGEI ha per oggetto sociale, prevalente, almeno per l’80% di fatturato, la prestazione di servizi strumentali all'esercizio delle funzioni pubbliche attribuite al MEF Ministero e alle Agenzie fiscali, e segnatamente:

§  ogni attività, compresa quella industriale, finalizzata alla realizzazione, allo sviluppo, alla manutenzione e alla conduzione tecnica del sistema informativo della fiscalità per l'amministrazione fiscale;

§  ogni altra attività connessa, direttamente o indirettamente, con quella di cui sopra, comprese il supporto, l'assistenza e la consulenza all'amministrazione fiscale per lo svolgimento delle funzioni statali ad essa spettanti;

§  le attività informatiche riservate allo Stato, ai sensi del D.Lgs. 414/1997, nonché le attività di sviluppo e gestione dei sistemi informatici ivi comprese le attività di supporto, assistenza e consulenza collegate con le attività di cui sopra;

§  ogni altra attività di carattere informatico in aree di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze.

La SOGEI, può, inoltre, svolgere le ulteriori attività conferite in base a disposizioni legislative e regolamentari, per conto di regioni, enti locali, società a partecipazione pubblica, anche indiretta, di organismi ed enti che svolgono attività di interesse pubblico o rilevanti nel settore pubblico, nonché di istituzioni internazionali e sovranazionali e di amministrazioni pubbliche estere, comprese le attività verso l’Agenzia per l’Italia digitale.

 

La SOGEI eroga servizi informatici, oltre che per il Ministero dell’economia e delle Agenzie fiscali, anche in favore di altre amministrazioni, in virtù di specifici provvedimenti. Tra queste si ricordano:

§  Ministero dell’interno: l’articolo 1, comma 306, della legge 228/2012 (Legge di stabilità 2013), prescrive che il Ministero dell’interno si avvale di SOGEI per la progettazione, implementazione e gestione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR). Il Ministero dell’interno si avvale di SOGEI anche per quanto riguarda anche l'archivio nazionale informatizzato dei registri di stato civile tenuti dai comuni, confluito nell’ANPR (si veda in tal proposito l’articolo 10, comma 2, del D.L. 78/2015);

§  Ministero della giustizia: l’articolo 3, comma 7 del D.L. 59/2016 (come modificato dall’articolo 16-bis del D.L. 119/2018) prevede che “Il Ministero della giustizia, in attuazione degli obiettivi di cui al presente decreto, per la progressiva implementazione e digitalizzazione degli archivi e della piattaforma tecnologica ed informativa dell'Amministrazione della giustizia, in coerenza con le linee del Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione di cui all'articolo 1, comma 513, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, può avvalersi, per i servizi accessori alla digitalizzazione della giustizia e alla gestione dei sistemi informativi sviluppati dal Ministero della giustizia, della società di cui all'articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Ai fini della realizzazione dei predetti servizi di interesse generale, la società provvede, tramite CONSIP S.p.A., all'acquisizione dei beni e servizi occorrenti”;

§  Dipartimento per le politiche della famiglia: il decreto del Ministro per la famiglia e le disabilità 27 giugno 2019 (art. 3, comma 6), prevede che il Dipartimento possa avvalersi della SOGEI per le attività connesse al rilascio della Carta della famiglia;

§  Ministero per i beni e le attività culturali: il D.P.C.M. 15 settembre 2016, n. 187 (Regolamento recante i criteri e le modalità di attribuzione e di utilizzo della Carta elettronica, prevista dall'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e successive modificazioni) prevede che il Ministero per i beni e le attività culturali, si avvale dell'Agenzia dell'Italia digitale, della SOGEI e della CONSAP - Concessionaria servizi assicurativi pubblici S.p.a. per l’implementazione della Carta elettronica prevista dal “Bonus cultura” in favore dei diciottenni.

 

Attualmente, SOGEI ha in corso attività con diverse altre amministrazioni, quali ad esempio l’Agenzia per la coesione territoriale e l’Avvocatura di Stato, sulla base di specifiche convenzioni.

Per un aggiornamento sull’attività contrattuale di SOGEI si veda Corte dei conti, Sez. controllo sugli enti, Relazione SOGEI per l’esercizio 2017, 24 ottobre 2018, 23 luglio 2019, DOC. XV, n. 192.

 

Inoltre, la SOGEI svolge una attività trasversale in favore di tutte le amministrazioni centrali in quanto è incaricata di realizzare “uno dei poli strategici per l'attuazione e la conduzione dei progetti e la gestione dei dati, delle applicazioni e delle infrastrutture delle amministrazioni centrali di interesse nazionale” previsti dal piano triennale di razionalizzazione dei centri di elaborazione dati (CED) delle pubbliche amministrazioni (comma 4-ter dell’art. 33-septies del D.L. 179/2012, introdotto dall’art. 61, comma 5, del D.Lgs. 179/2016).

 

Dal 2012 sono state trasferite a SOGEI le attività informatiche riservate allo Stato ed esercitate da CONSIP nonché le attività di sviluppo e gestione dei sistemi informatici delle amministrazioni. Contestualmente, è stato stabilito che SOGEI – sulla base di apposita convenzione – si avvale di CONSIP nella sua qualità di centrale di committenza, per le acquisizioni di beni e servizi (si veda articolo 4, commi 3-bis e 3-ter, D.L. 95/2012).

 

La SOGEI, dunque, è società per azioni partecipata interamente dal Ministero dell’economia e delle finanze e opera sulla base del modello dell’in house providing.

 

Secondo il modello organizzativo dell’in house providing è necessario che il soggetto affidatario, anche se dotato di autonoma personalità giuridica, abbia caratteristiche tali da giustificare la sua equiparazione a un ufficio interno dell'amministrazione affidante, in modo che quest’ultima possa esercitare nei suoi confronti un controllo analogo.

In materia di in house, rilevano, in particolare, le disposizioni contenute agli articoli 5 e 192 del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) oltre alle previsioni recate dalla normativa dell’Unione europea sulla materia.

L’articolo 5 del codice dei contratti pubblici stabilisce, in particolare, le condizioni per escludere una concessione o un appalto pubblici dall’ambito di applicazione del codice, individuando tre requisiti:

§  controllo analogo, ossia l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

§  attività prevalente: oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore;

§  partecipazione pubblica al capitale sociale del soggetto in house: nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

L’articolo 192 del codice detta uno speciale regime per gli affidamenti in house, prevedendo l’istituzione presso l’ANAC di un apposito elenco delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti in house (comma 1), stabilendo l’obbligo di una valutazione preventiva di congruità e di motivazione da parte delle amministrazioni che intendono procedere ad un affidamento in house (comma 2) e individuando obblighi di trasparenza e pubblicazione degli atti connessi all’affidamento medesimo (comma 3). Attualmente, tale elenco è in corso di elaborazione da parte dell’ANAC.

Tali principi sono ribaditi dal testo unico in materia delle società a partecipazione pubblica (D.Lgs. 175/2016, art. 16). Per le società in house si richiede che:

§  per ricevere affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi non deve esservi partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata;

§  gli statuti devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.

 

L’ANAC, intervenendo relativamente ad una norma che prevedeva “una specifica disciplina degli accordi tra soggetti pubblici, quale istituto già previsto in passato e in linea generale dall'art. 15 della l. 241/1990 ai sensi del quale «anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune" (delibera ANAC n. 567 del 31 maggio 2017). In tale sede l’ANAC ha evidenziato che si tratta di un modello convenzionale di svolgimento delle pubbliche funzioni, finalizzato alla collaborazione tra amministrazioni pubbliche. La conclusione di tali accordi, tuttavia, deve avvenire nel rispetto delle finalità perseguite dalle direttive europee in tema di contratti pubblici e concessioni, vale dire la libera circolazione dei servizi e la libera concorrenza; pertanto, detti accordi devono avere ad oggetto attività non deducibili in contratti d'appalto (in tal senso Cons. Stato n. 3849/2013)".

 

In particolare l'Autorità ha specificato che "i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l'accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno". In conclusione l'Autorità ha specificato che "qualora un'amministrazione si  ponga rispetto all'accordo come un operatore economico (ai sensi di quanto  stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 23 dicembre 2009, in C-305/08),  prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il  riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è  possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di  funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi. Negli accordi tra amministrazioni pubbliche ex art. 15 l. 241/1990, dunque, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una ‘sinergica convergenza’ su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione".

 

In relazione alla possibilità per un ente che opera con modalità in house di poter svolgere la propria attività anche nei confronti di una amministrazione diversa da quella proprietaria (c.d. in house orizzontale), alcune indicazioni sono inoltre dettate dalle “Linee Guida per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house” adottate dall’ANAC (delibera 15 febbraio 2017, n. 2356).

Le Linee guida stabiliscono l’adozione da parte degli organismi in house nei cui confronti si vogliono operare affidamenti diretti di una clausola statutaria (come si è visto sopra presente nello statuto di SOGEI) che prevede che più dell’80% del fatturato sia svolto in favore dell’ente pubblico o degli enti pubblici soci e che la produzione ulteriore rispetto a detto limite sia consentita solo se assicura economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale della società partecipata.

Proprio in riferimento alla SOGEI, l’ANAC è intervenuta in merito all’affidamento diretto ad essa dei servizi di supporto alle strutture del Ministero dell’ambiente per il monitoraggio del sistema Sistri. In tale occasione l’ANAC ha ritenuto che “l’organismo in house di un ministero non può essere considerato di per sé, a priori, come soggetto in house di un altro dicastero e addirittura dell’intera pubblica amministrazione centrale. A tal  fine, l’ANAC ha evidenziato come occorra, in ogni caso, un’espressa disposizione normativa che lo consenta – come l’art. 1, comma 306, della legge 228/2012 (Legge di stabilità 2013), che  ha previsto che il Ministero dell’Interno si avvalga di SOGEI per la  progettazione, implementazione e gestione dell’Anagrafe Nazionale della  Popolazione Residente (ANPR) – oppure è necessario che ricorrano in concreto le condizioni legittimanti la configurazione di un rapporto in house, in senso orizzontale o verticale, tra soggetto affidante e soggetto affidatario.

Nel caso di specie (ANAC, delibera 16 novembre 2016, n. 1192) l’ANAC evidenziò che, in assenza di un rapporto di immedesimazione organica tra Ministero affidante e società affidataria, non è possibile qualificare SOGEI alla stregua di soggetto in house del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM). “Si ritiene, pertanto, che non sussistono le condizioni per l’affidamento diretto a SOGEI dei servizi di supporto alle strutture del MATTM per il monitoraggio del nuovo sistema SISTRI, in base al modello dell’in house providing

Si segnala, peraltro, che la stessa ANAC, in precedenza, aveva ritenuto che: “se l’in house providing si applica anche quando un’amministrazione aggiudicatrice aggiudica un appalto allo Stato o ad un altro soggetto giuridico controllato dallo Stato, e tenuto conto che i Ministeri sono organi dello Stato, facenti capo allo stesso e dallo stesso controllati, tra i quali non sussiste rapporto di terzietà, è possibile ritenere che una società in house di un Ministero, sia organismo in house di tutto l’apparato statale e di tutti i Ministeri. Pertanto, nel caso di specie, l’Agenzia Industrie Difesa, in quanto società in house del Ministero della Difesa, può essere affidataria di un contratto pubblico da parte del Ministero dell’Interno, senza ricorrere alla procedura di evidenza pubblica” (ANAC, delibera 28 giugno 2016, n. 712).

Nel parere del Consiglio di Stato, Sex. II, 22 aprile 2015 n. 1178, relativo all’esclusione dell’applicabilità del codice dei contratti pubblici agli accordi di gestione del patrimonio immobiliare pubblico stipulati con l’Agenzia del demanio, viene messa in luce l’esigenza pubblicistica (nel caso di specie, di valorizzare il territorio) a prescindere dalla natura demaniale o patrimoniale dei beni oggetto di convenzione. 

Come osserva anche la Corte dei conti nella Relazione su Sogei, dunque, la questione rimane aperta “anche se va considerato che l’art. 19, comma 5, del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ha consentito l’affidamento, da parte di più Amministrazioni a società in house del MEF, come Invitalia e CONSAP. Dette società operano quindi in un regime di “pluricommittenza pubblica”, (il cosiddetto in house orizzontale) quali soggetti strumentali in house di amministrazioni centrali dello Stato”. (Corte dei conti, Sez. controllo sugli enti, Relazione SOGEI per l’esercizio 2016, 24 ottobre 2018, Doc. XV, n. 73).

 

Il comma 2 individua i soggetti pubblici che possono avvalersi di SOGEI. Si tratta di:

§  la Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di completare e accelerarne la trasformazione digitale, assicurando la sicurezza, la continuità e lo sviluppo del sistema informatico;

§  il Consiglio di Stato, al fine di assicurare la sicurezza, la continuità e lo sviluppo del sistema informatico della giustizia amministrativa;

§  l’Avvocatura dello Stato, con il medesimo fine indicato per il Consiglio di Stato, ed anche in relazione ai processi telematici nei quali è chiamata a patrocinare dinanzi alla giustizia contabile e alla giustizia tributaria;

§  il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, a decorrere dal 1° gennaio 2020, al fine di rendere effettive le norme relative all’istituzione di un “sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale” ivi incluso il sistema denominato Port Management and Information System (PMIS) inerente alla digitalizzazione dei procedimenti amministrativi afferenti alle attività portuali, da realizzarsi a cura dell’amministrazione marittima, nonché di sviluppare, mediante utilizzo degli ordinari stanziamenti di bilancio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, i sistemi informativi a supporto delle attività della stessa amministrazione marittima;

§  Investimenti Immobiliari Italiani Sgr S.p.A. (Invimit Sgr), al fine di assicurare e implementare le possibili sinergie con i sistemi informativi del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Agenzia del demanio;

§  la società per la gestione della piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati (pagoPA).

 

Per quanto riguarda l’Avvocatura dello Stato, si rileva che essa già utilizza i servizi di SOGEI, attraverso la convenzione stipulata il 29 novembre 2017 finalizzata all’erogazione di servizi informativi specialistici per l’attuazione del progetto “Avvocatura dello Stato 2020, finanziato nell’ambito del Piano operativo nazionale (PON) Governance e capacità istituzionale 2014-2020 (Corte dei conti, Sez. controllo sugli enti, Relazione SOGEI per l’esercizio 2017, 24 ottobre 2018, 23 luglio 2019, DOC. XV, n. 192).

 

Per quanto riguarda le Capitanerie di porto, con il D.Lgs 7 gennaio 2016 n. 4 è stata data attuazione della direttiva 2014/100/UE, di modifica della precedente direttiva 2002/59/CE (recepita con D. Lgs. n. 195/2005) che ha istituito un Sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e dell'informazione, che consente di dare accesso ad informazioni relative, ad esempio, alle posizioni delle navi, ai carichi pericolosi o all'inquinamento. Il Comando Generale delle Capitanerie di Porto ha provveduto alla realizzazione di una complessa "rete nazionale" per la ricezione delle informazioni AIS (Automatic Identification System) trasmesse dalle navi. Del Sistema di monitoraggio europeo fa parte il sistema SafeSeaNet avviato nell'ottobre 2004 dall'Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA): una piattaforma per lo scambio telematico di dati tra le amministrazioni marittime degli stati membri dell’UE, la Norvegia e l’Islanda. Le finalità del sistema sono la sicurezza marittima e portuale, la protezione dell’ambiente marino e l’efficienza del traffico e del trasporto marittimo; esso è formato da una rete di sistemi nazionali, ciascuno sotto la responsabilità di un'autorità nazionale competente (il Comando Generale delle Capitanerie) e da una banca dati centrale di raccordo che collega tutti i sistemi SafeSeaNet nazionali. Lo scambio e la condivisione dei dati avviene tramite l'interazione con sistemi pubblici e privati. Sistema centrale e sistemi nazionali devono essere conformi ai requisiti previsti dalla direttiva per ciò che concerne la riservatezza delle informazioni e i principi in materia di sicurezza descritti dal Documento di controllo dell'interfaccia e delle funzionalità (IFCD).

Il Sistema PMIS (Port Management Information System) è uno dei sistemi che contribuiscono alla creazione di un unico Sistema nazionale di monitoraggio della logistica (SiNaMoLo) come previsto la legge n. 124 del 2017 (Legge annuale per la concorrenza, art. 1, co. 188). Esso è già operativo ed è impiegato dal personale delle Capitanerie di Porto sia nello svolgimento delle pratiche amministrative collegate all’arrivo e alla partenza delle navi, sia per la supervisione del traffico all’interno delle acque portuali.

 

La Società Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio società per azioni (Invimit SGR S.p.A.), interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, è stata istituita con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione (fondi di fondi). Al fine di conseguire la riduzione del debito pubblico, la Invimit SGR può istituire anche fondi a gestione diretta di asset pubblici, di enti territoriali e previdenziali (fondi diretti). Sono previsti, infine, fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. fondi difesa).

La legge di bilancio per il 2019 ha previsto un Piano straordinario di dismissioni di immobili pubblici, definito nel perimetro e nelle modalità attuative dal decreto MEF del 28 giugno 2019. La Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2019 al riguardo rileva che al conseguimento degli obiettivi di proventi da dismissioni fissati per il 2019-2021 sono destinati anche i proventi derivanti dalla dismissione degli immobili pubblici conferiti ai fondi immobiliari gestiti da Invimit Sgr per un importo stimato complessivamente in 610 milioni, di cui 500 milioni attraverso la cessione, entro l’anno, di quote dei fondi e 110 milioni attraverso la vendita diretta di immobili con procedura di asta.

 

La piattaforma pagoPA è la piattaforma per la gestione del sistema dei pagamenti pubblici, che consente a privati e aziende di effettuare pagamenti elettronici alla PA. Il Sistema pagoPA è stato realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale in attuazione dell’articolo 5 del CAD, il quale precisa che l’Agenzia per l’Italia Digitale mette a disposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, una piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare, attraverso strumenti condivisi di riconoscimento unificati, l’autenticazione certa dei soggetti interessati all’operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.

L’articolo 8 del D.L. 135/2018 ha trasferito, dall'Agenzia per l'Italia Digitale alla Presidenza del Consiglio dei ministri, i compiti relativi alla piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento. A tale fine si prevede la costituzione, entro 120 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, di una società per azioni interamente partecipata dallo Stato per lo svolgimento delle suddette attività. Al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuite le funzioni di indirizzo, coordinamento e supporto tecnico delle pubbliche amministrazioni per assicurare la massima diffusione delle forme di pagamento con strumenti elettronico.


 

Articolo 51, commi 2-bis-2-quater
(Acquisizione dei dati delle tasse automobilistiche
al Pubblico Registro Automobilistico)

 

 

I commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’articolo 51, introdotti dalla Camera dei deputati, prevedono l’acquisizione dei dati delle tasse automobilistiche al sistema informativo del Pubblico Registro Automobilistico. L’Agenzia delle entrate, le Regioni e le Province autonome dovranno far confluire i dati dei propri archivi delle tasse automobilistiche in tale sistema informativo.

 

In dettaglio, con il comma 2-bis si prevede che al sistema informativo del Pubblico Registro Automobilistico vengano acquisiti anche i dati delle tasse automobilistiche, per assolvere transitoriamente alla funzione di integrazione e coordinamento dei relativi archivi, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 30 dicembre 1982 n. 953 (convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1983, n. 53).

Tale ultima norma che viene richiamata contiene numerosi disposizioni fiscali, tra cui, in tema di tasse automobilistiche, la previsione che “a decorrere dal 1° gennaio 1983 i veicoli e gli autoscafi sono soggetti alle tasse stabilite dalle tariffe annesse alla L. 21 maggio 1955, n. 463, per effetto della loro iscrizione nei rispettivi pubblici registri.” Si tratta quindi della disposizione che prevede il pagamento della tassa di iscrizione nei pubblici registri.

Si ricorda che il Pubblico Registro Automobilistico (PRA) contiene le iscrizioni, le trascrizioni e le annotazioni relative agli autoveicoli, ai motoveicoli e ai rimorchi, in quanto "beni mobili registrati" secondo le norme del codice civile. La gestione del PRA è affidata in esclusiva ad ACI fin dal 1927, ai sensi dell’articolo 11 del R.D.L. n. 436/1927 (conv. dalla L. n. 510/1928). L’archivio del PRA è unico a livello nazionale ed è informatizzato. A seguito dell’iscrizione nel PRA del veicolo, il proprietario riceveva un certificato attestante la titolarità della proprietà dell’autoveicolo il certificato di proprietà (l’ACI peraltro nel 2015 ha operato una dematerializzazione di tale certificato, rendendolo digitale). Il Ministero dei Trasporti gestisce, invece, l’archivio nazionale dei veicoli (ANV), istituito, ai sensi del Codice della Strada presso la Direzione Generale della Motorizzazione Civile; in tale registro sono iscritti i dati relativi alle caratteristiche tecniche dei veicoli autorizzati alla circolazione in Italia. Anche l’archivio ANV, come il PRA, è completamente informatizzato. A seguito della registrazione dell’autoveicolo nell’ANV, gli Uffici periferici della Motorizzazione Civile rilasciano la carta di circolazione. Le banche dati dell’ANV e del PRA sono interconnesse dal punto di vista informatico ed il D.P.R. n. 358/2000 ha individuato i soggetti abilitati ad accedere telematicamente ad esse ed ad inserirvi i dati, registrando le formalità: si tratta degli Sportelli Telematici dell’Automobilista (STA) che possono essere pubblici (quelli istituiti presso gli UMC e presso gli Uffici provinciali dell’ACI che gestiscono il PRA) ovvero privati (quelli presso le “delegazioni ACI”, ovvero presso gli altri studi di consulenza automobilistica di cui alla L. n. 264/1991).

Si ricorda anche che il decreto legislativo 29 maggio 2017 n. 98, ha recentemente previsto in materia una semplificazione amministrativa, prevedendo che la carta di circolazione costituisca il documento unico di circolazione dei veicoli e che sia pertanto soppresso il certificato di proprietà. Il Documento Unico sarà rilasciato dalla Motorizzazione civile o tramite lo Sportello telematico dell'automobilista (STA), che comprende anche gli uffici di ACI-PRA. L'entrata in vigore della disciplina, originariamente fissata al 1° luglio 2018 è stata differita dalla legge di bilancio per il 2018 (art. 1, comma 1140) al 1° gennaio 2019 e, successivamente, dalla legge di bilancio per il 2019 al 1° gennaio 2020 (articolo 1, comma 1135, lettera b)).

 

Il comma 2-bis prevede altresì che l’Agenzia delle entrate, le Regioni e le Province autonome provvedano a far confluire in modo simultaneo e sistematico i dati dei propri archivi delle tasse automobilistiche nel predetto sistema informativo e che a tali stessi soggetti siano resi disponibili i dati confluiti nell’archivi integrato nel sistema del PRA.

Come finalità della disposizione si indicano sia quelle del comma 1 (migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa; favorire la sinergia tra processi istituzionali afferenti ambiti affini; favorire la digitalizzazione dei servizi e dei processi), nonché quelle dell’eliminazione di duplicazioni, del contrasto all'evasione delle tasse automobilistiche e del conseguimento di risparmi di spesa.

 

Le competenze in materia di tasse automobilistiche, dal 1° gennaio 1999, sono state trasferite dalla legge alle Regioni a Statuto Ordinario ed alle Province Autonome di Bolzano - Alto Adige e di Trento. Tali Regioni e Province possono affidare a terzi le attività di controllo e di riscossione delle tasse automobilistiche, mentre tali funzioni per alcune Regioni a Statuto Speciale sono svolte dal MEF (articolo 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449). Il successivo decreto ministeriale n. 418 del 1998 ha stabilito le modalità con le quali le regioni a statuto ordinario, svolgono la riscossione, l'accertamento, il recupero, i rimborsi, l'applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo alle tasse automobilistiche non erariali.  Mediante convenzione, inoltre, le regioni possono affidare a terzi, mediante procedure ad evidenza pubblica, l'attività di controllo e riscossione delle tasse automobilistiche. Detto regolamento stabilisce che il controllo e la riscossione delle tasse automobilistiche siano effettuati direttamente dalle regioni, anche ricorrendo all'istituto dell'avvalimento, o tramite concessionari individuati dalle stesse secondo le modalità e le procedure di evidenza pubblica previste dalla normativa comunitaria e nazionale in tema di appalti e di servizi. Inoltre le regioni a statuto ordinario ed il Ministero delle finanze definiscono con protocollo d'intesa le modalità di costituzione, gestione, aggiornamento e controllo degli archivi regionali e dell'archivio nazionale delle tasse automobilistiche; col medesimo protocollo d'intesa sono individuate le procedure per la definizione dei flussi informativi, delle modalità di trasmissione dei dati e l'interconnessione tra gli archivi.  Gli archivi di cui al comma 1 sono costituiti sulla base dei dati, per ciascun veicolo, inerenti alla proprietà, alle scadenze di pagamento delle tasse, alle eventuali sospensioni, riduzioni od esenzioni d'imposta ed agli altri dati tecnici necessari. L'aggiornamento degli archivi è effettuato con i dati trasmessi in via telematica dal pubblico registro automobilistico, dalla motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, dal Ministero delle finanze, dalle regioni, nonché dai concessionari della riscossione, dai soggetti abilitati alla riscossione e dagli altri soggetti aventi requisiti che consentono il collegamento con gli archivi in forza di disposizioni di legge o regolamento, statale o regionale. Resta ferma la facoltà di ogni regione di costituire, gestire e aggiornare, a decorrere dal 1° gennaio 1999, anche ricorrendo all'istituto dell'avvalimento o tramite i soggetti concessionari del controllo e della riscossione spontanea, un proprio archivio regionale, acquisendo autonomamente le informazioni occorrenti e assicurando in ogni caso l'aggiornamento dell'archivio nazionale delle tasse automobilistiche.

Sulla base delle richiamate norme, alcune regioni hanno sottoscritto con l’ACI apposite convenzioni relative alla gestione delle tasse automobilistiche e dei relativi archivi.

Il comma 2-ter dell’articolo 51, prevede che l'Agenzia delle entrate, le Regioni e le Province autonome continuino a gestire i propri archivi delle tasse automobilistiche, anche mediante la cooperazione del soggetto gestore del Pubblico Registro Automobilistico, quindi dell’ACI. Si prevede che tale cooperazione sarà regolata da apposito disciplinare e che avverrà acquisendo i relativi dati con le modalità di cui all'articolo 5, comma 4 del richiamato decreto ministeriale 25 novembre 1998, n. 418, anche al fine degli aggiornamenti di cui al comma 2-bis.

L’articolo 5, comma 1 del decreto ministeriale, come già anticipato, prevede che le regioni a statuto ordinario ed il Ministero delle finanze definiscano con protocollo d'intesa, le modalità di costituzione, gestione, aggiornamento e controllo degli archivi regionali e dell'archivio nazionale delle tasse automobilistiche. Al comma 5 in particolare si prevede che l'aggiornamento di tali archivi sia effettuato con i dati trasmessi in via telematica dal PRA, dalla motorizzazione civile, dal Ministero delle finanze, dalle regioni, nonché dai concessionari della riscossione, dai soggetti abilitati alla riscossione e dagli altri soggetti aventi requisiti che consentono il collegamento con gli archivi in forza di disposizioni di legge o regolamento, statale o regionale. Tale modalità sarà utilizzata anche al fine della realizzazione degli aggiornamenti di cui al comma 2-bis, sopra descritto.

Il comma 2-quater reca la clausola di neutralità finanziaria disponendo che dall'attuazione dei commi 2-bis e 2-ter non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli enti interessati provvederanno agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 52
(Incentivi per l'acquisto dei dispositivi antiabbandono)

 

 

L'articolo 52, modificato nel corso dell’esame presso la Camera, prevede, al comma 1, che le agevolazioni fiscali previste all’articolo 3 della legge n. 117 del 2018, in materia di introduzione dell'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi, sono concesse nella forma anche di contributo. Il comma 2, novellando il comma 296 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2019, prevede l’istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di un apposito fondo e stabilisce la concessione di un contributo di 30 euro per ciascun dispositivo di allarme acquistato, fino ad esaurimento delle risorse complessivamente disponibili pari a 15,1 milioni di euro per l’anno 2019 e, a seguito di una modifica effettuata dalla Camera, a 5 milioni di euro per l’anno 2020. Si demanda ad un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'individuazione delle modalità attuative della disposizione, anche al fine di garantire il rispetto del limite di spesa.

Con una modifica introdotta dalla Camera, inoltre, è stata differita al 6 marzo 2020 l’applicabilità delle sanzioni per la mancata installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi.

 

Il comma 1, in dettaglio, novella l’articolo 3, comma 1, della legge, n. 117 del 2018 - che ha recato norme per l'introduzione dell'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi - prevedendo che le agevolazioni fiscali ivi previste sono concesse nella forma anche di contributi.

La legge n. 117 del 2018 reca l'Introduzione dell'obbligo di installazione di dispositivi per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi.

L'articolo 3 reca Incentivi per l'acquisto dei dispositivi, e, nel testo previgente alla novella in esame, ha previsto che al fine di agevolare l'acquisto di dispositivi di allarme volti a prevenire l'abbandono dei bambini nei veicoli, previsti dall'articolo 172, comma 1-bis, del codice della strada, con appositi provvedimenti legislativi possono essere previste, nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di Stato, agevolazioni fiscali limitate nel tempo.

Si tratta dei veicoli delle categorie M1, N1, N2 e N3 immatricolati in Italia, o immatricolati all'estero e condotti da residenti in Italia, quando si trasporta un bambino di età inferiore a quattro anni assicurato al sedile con il sistema di ritenuta indicato, per i quali il conducente ha l'obbligo di utilizzare apposito dispositivo di allarme volto a prevenire l'abbandono del bambino, rispondente alle specifiche tecnico-costruttive e funzionali stabilite con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (ai sensi dell'articolo 172, comma 1-bis, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dall'articolo 1, comma 1, della citata legge n. 117). Il conducente del veicolo è tenuto ad assicurarsi della persistente efficienza dei dispositivi in questione. In base agli obblighi normativi, sui veicoli delle categorie M1, N1, N2 ed N3 sprovvisti di sistemi di ritenuta: a) i bambini di età fino a tre anni non possono viaggiare; b) i bambini di età superiore ai tre anni possono occupare un sedile anteriore solo se la loro statura supera 1,50 m.

Si ricorda che per le nuove disposizioni antiabbandono la normativa ha previsto la applicazione decorsi centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo recante le caratteristiche tecnico-costruttive e funzionali del dispositivo e comunque a decorrere dal 1° luglio 2019 (art. 1, co. 3, l. 117).

 

Il comma 2 interviene sul comma 296 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2019, novellandone completamente il testo.

Il comma 296 stanziava, per la copertura degli oneri connessi all'attuazione dell'articolo 3 della legge 1° ottobre 2018, n. 117, la spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020.

La nuova norma prevede che:

§  per le finalità di cui al richiamato articolo 3 della legge n. 117 del 2018, è istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un apposito fondo ed è autorizzata la spesa di:

-     15,1 milioni di euro per l’anno 2019

-     e di 5 milioni di euro per l’anno 2020. Tale somma risulta incrementata di 4 milioni di euro rispetto alla formulazione iniziale (che prevedeva lo stanziamento di un solo milione di euro per il 2020) a seguito di una modifica introdotta dalla Camera.

 

In conseguenza di tale incremento di risorse si prevede l’introduzione di un nuovo comma 2-bis che dispone la copertura finanziaria dell’intervento mediante una corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019 allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

Per la copertura finanziaria delle ulteriori disposizioni dell’articolo in esame, si veda l'articolo 59, comma 3 (su cui si veda la relativa scheda).

 

§  Le agevolazioni di cui all’articolo 3 della legge n. 117, per l’anno 2019 e 2020, consistono nel riconoscimento di un contributo, fino ad esaurimento delle risorse previste, contributo pari a 30 euro per ciascun dispositivo di allarme acquistato.

§  Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze sono disciplinate le modalità attuative della presente disposizione, anche al fine di garantire il rispetto del limite di spesa.

Si segnala che il termine previsto per l'adozione di tale decreto ministeriale è stabilito in quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge qui in esame.

 

Nel corso dell’esame presso la Camera è stato aggiunto all’articolo in commento il comma 01, con il quale viene modificato l’articolo 1 della legge 1° ottobre 2018, n. 117.

Con il nuovo comma 3-bis dell’articolo 1 della legge 1° ottobre 2018, n. 117 si prevede che le sanzioni per la violazione dell’obbligo di utilizzo dei dispositivi anti abbandono si applichino a decorrere dal 6 marzo 2020. Ciò allo scopo di consentire una corretta informazione dell’utenza e l’attuazione da parte dei produttori delle previsioni del decreto ministeriale contenente le disposizioni attuative della normativa concernente i dispositivi citati.

 

Per comprendere la ratio della disposizione si ricorda che è stato pubblicato, nella G.U. n. 249 del 23 ottobre 2019, il Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 2 ottobre 2019, n. 122, recante il Regolamento di attuazione dell'articolo 172 del Nuovo codice della strada in materia di dispositivi antiabbandono di bambini di età inferiore a quattro anni. Tale decreto, costituito da 7 articoli e 2 allegati, definisce le caratteristiche tecnico-costruttive e funzionali dei dispositivi di allarme, introdotti dalla L. n. 117 del 1° ottobre 2018, per prevenire l'abbandono di bambini nei veicoli chiusi.

In conseguenza dell’entrata in vigore di tale decreto (il 7 novembre 2019), sono divenute applicabili le disposizioni previste dalla legge n.117 del 2018.

Infatti l’articolo 1, comma 3, della citata legge stabiliva che: “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano decorsi centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2 e comunque a decorrere dal 1° luglio 2019”.

Posto che alla data del 1° luglio 2019 non era stato ancora completato l’iter di emanazione del regolamento di attuazione, il Ministero dell’interno aveva comunicato ai propri uffici competenti che ...attesa la necessità di evitare l’applicazione di una norma in ragione dell’impossibilità dei destinatari di conformarsi alle misure previste, nelle more dell’adozione del citato decreto ministeriale, la violazione dell’obbligo previsto dal comma 1-bis dell’articolo 172 del codice della strada non può essere oggetto di sanzione da parte di organi accertatori”.

In considerazione di tale elemento e della formulazione dell’articolo 1, comma 3, una volta entrato in vigore il decreto ministeriale di attuazione, ed essendo decorso il termine del 1° luglio 2019, l’obbligo di utilizzo di tali dispositivi è divenuto vigente.

Con riferimento all'iter di emanazione del Regolamento, che ha visto la previa trasmissione del testo al Tris, il sistema di informazione sulle regolamentazioni tecniche della Commissione europea, che aveva inizialmente formulato rilievi su profili tecnici, sottolineando in particolare la necessità di salvaguardare la libera circolazione dei prodotti, si veda da ultimo la relativa scheda di trasmissione dello schema di D.M. e quanto riportato nel parere del Consiglio di Stato n. 2526/19; depositato il 27 settembre 2019.


 

Articolo 53, commi da 1 a 5
(Disposizioni in materia di trasporto)

 

 

L'articolo 53 stanzia per l’anno 2019 ulteriori risorse, pari a complessivi 12,9 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, per gli investimenti da parte delle imprese di autotrasporto al fine di accrescere la sicurezza del trasporto su strada e di ridurre gli effetti climalteranti derivanti dal trasporto merci su strada. Le risorse sono destinate al rinnovo del parco veicolare delle imprese attive sul territorio italiano che siano iscritte al Registro elettronico nazionale e all’Albo nazionale degli autotrasportatori, tramite contributi destinati agli investimenti per il rinnovo dei veicoli che siano effettuati fino al 30 settembre 2020, finalizzati alla radiazione, per rottamazione, dei veicoli a motorizzazione termica fino a euro IV, adibiti al trasporto merci e di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 3,5 tonnellate, con la contestuale acquisizione - anche mediante locazione finanziaria - di autoveicoli, nuovi di fabbrica, che abbiano una trazione alternativa a metano, gas naturale liquefatto, ibrida e elettrica ovvero che siano a motorizzazione termica e conformi alla normativa euro VI.

I contributi concessi non possono essere cumulati con altre agevolazioni, relative alle medesime tipologie di investimenti. L'entità del contributo può variare da un minimo di 2 mila euro ad un massimo di 20 mila per ciascun veicolo, in ragione della massa complessiva a pieno carico del nuovo veicolo e della sua modalità di alimentazione. Si demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture dei trasporti di stabilire le modalità e i termini di presentazione delle domande di contributo, i criteri di valutazione delle domande, l’entità del contributo massimo riconoscibile nonché le modalità di erogazione dello stesso, anche al fine di garantire il limite di spesa; si prevede che i criteri di valutazione delle domande devono assicurare la priorità del finanziamento degli investimenti relativi alla sostituzione dei veicoli a motorizzazione termica maggiormente inquinanti.

 

La norma al comma 1 stabilisce che al fine di accrescere la sicurezza del trasporto su strada e di ridurre gli effetti climalteranti derivanti dal trasporto merci su strada, in aggiunta alle risorse previste dalla vigente legislazione per gli investimenti da parte delle imprese di autotrasporto, sono stanziate ulteriori risorse, pari a complessivi 12,9 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020.

 

Tali risorse sono destinate al rinnovo del parco veicolare delle imprese attive sul territorio italiano che siano iscritte al Registro elettronico nazionale (R.E.N.) e all’Albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi.

Sul sito del MIT è consultabile la sezione dedicata all'accesso al Registro Elettronico Nazionale e accesso alla professione di autotrasportatore merci. Si ricorda che le imprese che intendono esercitare il trasporto di merci su strada devono iscriversi all’albo provinciale degli autotrasportatori di cose per conto terzi tenuto presso l’Ufficio Motorizzazione Civile competente per territorio, in base a quanto riportato sul sito del MIT.

 

Il comma 2 prevede che i contributi di cui al comma 1 sono destinati a finanziare, anche ai sensi di quanto previsto dall’articolo 10, commi 1 e 2, del Regolamento (CE) n. 595/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009, gli investimenti avviati a far data dall’entrata in vigore della presente disposizione e che siano finalizzati alla radiazione, per rottamazione, dei veicoli con le seguenti caratteristiche: si tratta dei veicoli a motorizzazione termica fino a euro IV, adibiti al trasporto merci e di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 3,5 tonnellate. L'investimento implica la contestuale acquisizione - anche mediante locazione finanziaria - di autoveicoli, nuovi di fabbrica, adibiti al trasporto merci e di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 3,5 tonnellate, che abbiano una trazione alternativa a metano (CNG), gas naturale liquefatto (GNL), ibrida (diesel/elettrico) e elettrica (full electric) ovvero che siano a motorizzazione termica e conformi alla normativa euro VI di cui al predetto Regolamento (CE) n. 595/2009.

 

Il regolamento (CE) n. 595/2009 relativo all’omologazione dei veicoli a motore e dei motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (euro VI) e all’accesso alle informazioni relative alla riparazione e alla manutenzione del veicolo fissa prescrizioni comuni per l’omologazione di veicoli a motore, dei loro motori, e delle parti di ricambio dei veicoli pesanti (camion, autobus, corriere) per quanto riguarda le emissioni prodotte.

Il regolamento stabilisce inoltre regole per la conformità in servizio di veicoli e motori, la durabilità dei dispositivi di controllo dell’inquinamento, i sistemi di diagnostica di bordo (OBD), l’accessibilità delle informazioni sulla diagnostica di bordo e sulla riparazione e manutenzione dei veicoli, la misura del consumo di combustibile e di emissioni di CO2.

Il regolamento si applica ai veicoli a motore delle categorie M1, M2, N1 e N2 con una massa di riferimento che supera i 2.610 kg e a tutti i veicoli a motore delle categorie M3 e N3, come definiti nell’allegato II della direttiva 2007/46/CE che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli.

E' obbligo del costruttore dimostrare che tutti i veicoli e i nuovi dispositivi di ricambio di controllo dell’inquinamento, venduti, immatricolati o messi in servizio nell'Unione europea siano stati oggetto di una procedura di omologazione CE in conformità al regolamento e delle relative misure di attuazione. I costruttori devono inoltre adottare misure tecniche che garantiscano che le emissioni dallo scarico del veicolo siano effettivamente limitate per tutto il periodo di vita dei veicoli in condizioni normali di impiego.

L'art. 10 stabilisce al par. 1 che gli Stati membri possono introdurre incentivi finanziari per l’acquisto di veicoli a motore prodotti in serie conformi al regolamento. Tali incentivi dovevano tuttavia cessare di essere applicati entro e non oltre il 31 dicembre 2013. Prevede inoltre che gli Stati membri possano concedere incentivi finanziari per l’adeguamento a posteriori di veicoli in servizio al fine di garantire il rispetto dei valori limite d’emissione e per la demolizione di veicoli non conformi al regolamento e alle relative misure di attuazione. Per ogni tipo di autoveicolo, gli incentivi finanziari non devono superare il costo supplementare dei dispositivi tecnici utilizzati per soddisfare i limiti delle emissioni, compresi i costi d’installazione sul veicolo (par. 2).  La Commissione deve essere informata dei progetti per introdurre o modificare gli incentivi finanziari di cui ai paragrafi 1 e 2 (par. 4).

Si valuti di chiarire il riferimento normativo recato dalla disposizione in esame all'articolo 10, commi 1 e 2 del regolamento (CE) n. 595/2009, in relazione alla tempistica ivi indicata.

 

La Commissione ha adottato le seguenti misure di attuazione:

§  il regolamento (UE) n. 582/2011, il quale stabilisce specifici requisiti tecnici per l’omologazione dei veicoli pesanti riguardo alle emissioni e all’accesso alle informazioni relative alla riparazione e alla manutenzione del veicolo;

§  il regolamento (UE) 2017/2400, il quale stabilisce le norme per: la certificazione dei componenti dei veicoli che hanno un impatto sulle emissioni di CO2 e sul consumo di carburante; il rilascio di licenze per eseguire simulazioni al fine di determinare le emissioni di CO2 e il consumo di carburante di veicoli nuovi che vengono messi in vendita, immatricolati o messi in servizio nell’UE; l’utilizzo di strumenti di simulazione e dichiarazione delle emissioni di CO2 e dei valori del consumo di carburante che essi determinano.

Si ricorda che il regolamento (UE) 2018/956 concernente il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di CO2 e del consumo di carburante dei veicoli pesanti nuovi mira a: consentire alle imprese di trasporto di prendere decisioni di acquisto informate, dando loro accesso a informazioni standardizzate sul consumo di carburante per confrontare i diversi modelli di camion, autocarri e autobus; incoraggiare i costruttori a sviluppare veicoli pesanti più efficienti sotto il profilo energetico; consentire alle autorità pubbliche di elaborare e attuare politiche volte a promuovere veicoli pesanti più efficienti in termini di consumo di carburante, ad esempio attraverso la tassazione e il pedaggio autostradale.

Il regolamento prevede che:

§  a partire dal 1° gennaio 2019, e per ogni anno civile successivo, gli Stati membri procedano al monitoraggio di alcuni dati di registrazione dei nuovi veicoli pesanti immatricolati per la prima volta nell’Unione;

§  dal 2020, gli Stati membri presentino ogni anno tali dati alla Commissione europea secondo una procedura di comunicazione standard;

§  i produttori monitorino e comunichino ogni anno alla Commissione i valori relativi alle emissioni di CO2 e al consumo di carburante, nonché ulteriori dati pertinenti, per ogni nuovo veicolo pesante, come stabilito a norma del regolamento (UE) 2017/2400.

La Commissione monitorerà i risultati delle prove su strada, effettuate a norma del regolamento (CE) n. 595/2009, al fine di verificare che i valori relativi alle emissioni di CO2 e al consumo di carburante riflettano correttamente le prestazioni dei veicoli pesanti.

La Commissione può infliggere un’ammenda qualora constati che i dati comunicati dal produttore non corrispondono ai dati determinati a norma del regolamento (CE) n. 595/2009 o se i dati non sono presentati entro il termine applicabile. Tale ammenda deve essere efficace, proporzionale e dissuasiva e non superare i 30.000 euro per ogni veicolo pesante coinvolto.

 

Il regolamento (CE) n. 595/2009 e il regolamento (UE) 2018/956 sono stati da ultimo modificati dal regolamento (UE) 2019/1242 che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 dei veicoli pesanti nuovi.

Finalità del regolamento è contribuire a raggiungere l’obiettivo dell’Unione di ridurre del 30 %, entro il 2030, le sue emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 2005 nei settori contemplati dall’articolo 2 del regolamento (UE) 2018/842 e raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Stabilisce quindi i requisiti di prestazione in materia di emissioni di CO2 per i veicoli pesanti nuovi, in virtù dei quali le emissioni specifiche di CO2 del parco dei veicoli pesanti nuovi dell’Unione siano ridotte rispetto ai valori delle emissioni di CO2 di riferimento come segue:

§  del 15 % per i periodi di riferimento a partire dall’anno 2025;

§  del 30 % per i periodi di riferimento a partire dall’anno 2030, salvo altrimenti stabilito sulla base del riesame di cui all’articolo 15.

Le emissioni di CO2 di riferimento si basano sui dati di monitoraggio comunicati ai sensi del regolamento (UE) 2018/956 per il periodo dal 1° luglio 2019 al 30 giugno 2020, esclusi i veicoli professionali.

Si tratta di obiettivi vincolanti e i costruttori di autocarri che li violeranno subiranno una sanzione finanziaria sotto forma di indennità per emissioni in eccesso.

 

Il comma 3 dispone che i contributi sono erogati fino a concorrenza delle risorse disponibili, escludendo che gli stessi possano essere cumulati con altre agevolazioni, relative alle medesime tipologie di investimenti, incluse quelle concesse a titolo de minimis ai sensi del Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013.

 

L'Articolo 107 del TFUE stabilisce che, salvo deroghe, sono incompatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, che falsifichino o minaccino di falsificare la concorrenza (par. 1). Fanno eccezione gli aiuti "de minimis" accordati da uno Stato a un'impresa unica ai sensi del regolamento (UE) n. 1407/2013, il cui importo complessivo non deve superare i 200.000 euro per tre anni consecutivi (con alcune eccezioni spedicate dalla norma). Tali misure di aiuto non costituiscono aiuti di stato ai sensi del trattato e per essi non si applica l'obbligo di notifica di cui all'articolo 108, par. 3.

 

Il comma 4 stabilisce che l’entità del contributo concesso è compreso tra un minimo di 2 mila euro ed un massimo di 20 mila per ciascun veicolo; essa varia in ragione della massa complessiva a pieno carico del nuovo veicolo e della sua modalità di alimentazione.

 

Il comma 5 dispone che le modalità e i termini di presentazione delle domande di contributo, i criteri di valutazione delle domande, l’entità del contributo massimo riconoscibile nonché le modalità di erogazione dello stesso, saranno stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture dei trasporti. Inoltre, lo stesso comma stabilisce che i criteri di valutazione delle domande devono assicurare la priorità del finanziamento degli investimenti relativi alla sostituzione dei veicoli a motorizzazione termica maggiormente inquinanti al fine di ridurre l’impatto ambientale prodotto dai veicoli.

 

Per la copertura degli oneri, si veda l'articolo 59, comma 3 (su cui si veda la relativa scheda).

 

 


 

Articolo 53, comma 5-bis
(
Incentivi per il trasporto merci su idrovie interne
e per vie fluvio marittime
)

 

 

L’articolo 53, comma 5-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, autorizza una spesa di 2 milioni di euro per l’anno 2020 e 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, per la valorizzazione del trasporto merci su idrovie interne e per vie fluvio marittime.

 

L’autorizzazione di spesa è a valere sulle risorse individuate dall’articolo 1, comma 235, della legge di bilancio per il 2019, a copertura della disposizione di cui all’articolo 1, comma 234 della medesima legge, che viene contestualmente abrogato.

L’articolo 1, comma 234 della legge di bilancio per il 2019 prevedeva che lo stanziamento quindicennale di 20 milioni € per l’innovazione del trasporto merci, dello sviluppo delle catene logistiche e dell’intermodalità per le autostrade del mare, nonché per il cabotaggio marittimo e per i processi di ristrutturazione aziendale, per l'innovazione tecnologica e per interventi di miglioramento ambientale (previsto a decorrere dal 2006 dall’art. 3, comma 2-ter del DL 209/2002), fosse utilizzabile anche per il trasporto per vie d’acqua navigabili interne.

Il comma 235, richiamato dalla presente disposizione, stabiliva che all'attuazione delle disposizioni di cui al comma 234 si provvede nel limite di spesa di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e di 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021.

 

La finalità della disposizione in commento è il miglioramento ambientale e la promozione dello sviluppo di forme di trasporto merci più sostenibili.

 

Nel conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti (anni 2017 e 2018) si dà conto del fatto che il sistema di trasporto sulle acque interne (in particolare quello fluviale e fluvio marittimo oggetto dell’intervento) si concentra nelle regioni settentrionali e si sviluppa essenzialmente attorno al corso naturale del Po. Tale rete idroviaria tuttavia assicura una quota pari solo al 5% dei trasporti merci nazionali, ancorché attraversi regioni di grande industrializzazione e fortemente popolate.

Tale sistema idroviario (il Sistema idroviario padano veneto) oltre al bacino del Po e i relativi affluenti e canali concerne anche la laguna di Venezia e i porti marittimi di Ravenna, Chioggia, Venezia, Monfalcone e Trieste. L’Agenzia interregionale del fiume Po (AIPo) si occupa del coordinamento delle attività tra le diverse regioni bagnate dal fiume Po nonché di importanti attività operative (manutenzioni infrastrutture, gestioni di servizi, controllo e sorveglianza portuale, ecc.).

Quanto alla quantità di merci trasportate sul sistema idroviario padano-veneto il documento dà conto di 434.439 tonnellate di merci (60.751.368 tonnellate chilometro) trasportate nel 2017 e 447.896 tonnellate (67.478.000 tonnellate chilometro).

Completa il sistema di trasporto merci fluviale italiane un canale artificiale di 14 km che collega il porto di Livorno a quello di Pisa.

 


 

Articolo 53, commi 5-ter e 5-quater
(Tassa automobilistica in caso di locazione a lungo termine di veicoli senza conducente)

 

 

Il comma 5-ter dell’articolo 53, introdotto durante l'esame presso la Camera, estende le disposizioni di pagamento cumulativo della tassa automobilistica, già previste per i veicoli concessi in locazione finanziaria, anche alle ipotesi di veicoli concessi in locazione a lungo termine senza conducente.

Il nuovo comma 5-quater, anch’esso introdotto dalla Camera, inserisce nelle disposizioni che individuano i soggetti passivi delle tasse automobilistiche il riferimento ai contratti di locazione a lungo termine senza conducente.

 

Più in dettaglio, il comma 5-ter prevede in dettaglio una serie di modifiche alla legge n. 99 del 2009, in particolare all’articolo 7, che reca norme di semplificazione e razionalizzazione della riscossione della tassa automobilistica dovuta su veicoli concessi in locazione finanziaria.

La disciplina vigente consente alle singole regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano di stabilire le modalità con le quali le imprese concedenti possono provvedere ad eseguire cumulativamente, in luogo dei singoli utilizzatori, il versamento delle tasse dovute per i periodi di tassazione compresi nella durata dei rispettivi contratti.

Le modifiche introdotte dal comma 5-ter sono le seguenti:

a)    si estende la possibilità di consentire il versamento cumulativo della tassa automobilistica regionale, già prevista per i contratti di locazione finanziaria di veicoli, anche ai contratti di locazione a lungo termine senza conducente (modifica al comma 1 dell’articolo 7);

b)    viene introdotto un nuovo comma 1-bis all’articolo 7, che contiene la definizione di contratto di locazione di veicoli a lungo termine senza conducente, ai fini dello stesso articolo 7, intendendosi per tale un contratto di durata pari o superiore a dodici mesi. Si prevede inoltre che, qualora lo stesso veicolo sia oggetto di contratti di locazione consecutivi di durata inferiore a un anno conclusi fra le stesse parti, comprese le proroghe degli stessi, la durata del contratto sia data dalla somma di quelle dei singoli contratti;

c)    si modifica il comma 2-bis dell’articolo 7, il quale attualmente assoggetta al pagamento della tassa automobilistica regionale gli utilizzatori a titolo di locazione finanziaria, sulla base del contratto annotato al PRA e fino alla data di scadenza del contratto. Con le modifiche apportate si dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2020, gli utilizzatori di veicoli in locazione a lungo termine senza conducente, sulla base del contratto annotato nell’archivio nazionale dei veicoli, ai sensi dell’articolo 94, comma 4-bis, del codice della strada, siano tenuti in via esclusiva al pagamento della tassa automobilistica regionale con decorrenza dalla data di sottoscrizione del contratto e fino alla scadenza del medesimo.

A tale proposito si ricorda che il richiamato comma 4-bis dell’articolo 94 del Codice della strada (D.L gs n. 285 del 1992), relativamente alle formalità necessarie per il trasferimento di proprietà dei veicoli prevede che gli atti,  da cui derivi una variazione dell'intestatario della carta di circolazione ovvero che comportino la disponibilità del veicolo, per un periodo superiore a trenta giorni, in favore di un soggetto diverso dall'intestatario stesso, nei casi previsti dal regolamento sono dichiarati dall'avente causa, entro trenta giorni al fine dell'annotazione sulla carta di circolazione, nonché della registrazione nell'archivio nazionale dei veicoli presso il Dipartimento per i trasporti terrestri del MIT e che in caso di omissione si applichi la sanzione amministrativa da euro 728 ad euro 3.636;

d)    si inserisce nello stesso comma 2-bis il riferimento alle società di locazione a lungo termine senza conducente per limitare, anche nei confronti di tali soggetti, la responsabilità solidale con l’utilizzatore per il pagamento della tassa. La responsabilità solidale per il pagamento della tassa opera infatti solo qualora le società abbiano provveduto al pagamento delle tasse con modalità cumulative, per i periodi compresi nella durata del contratto;

e)    viene novellato il comma 3 dell’articolo 7 per inserirvi, in coerenza con le altre modifiche, il riferimento ai contratti di locazione a lungo termine senza conducente. Di conseguenza, anche per tali contratti la competenza ed il gettito della tassa automobilistica sono determinati in ogni caso in relazione al luogo di residenza dell'utilizzatore.

 

Il nuovo comma 5-quater modifica l’articolo 5, comma trentaduesimo del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953.

Si ricorda che il trentunesimo comma del richiamato articolo assoggetta i veicoli e gli autoscafi alle tasse automobilistiche (stabilite dalle tariffe annesse alla L. 21 maggio 1955, n. 463) per effetto dell’iscrizione nei rispettivi pubblici registri. Tale disposizione si applica, tra l’altro, alla tassa regionale di circolazione.

Il richiamato comma trentaduesimo dispone che soggetti passivi delle tasse automobilistiche (cui sono assoggettati i veicoli e gli autoscafi, ai sensi del precedente comma trentunesimo) siano coloro che, alla scadenza del termine di pagamento previsto dalla legge, risultino proprietari, usufruttuari, acquirenti con patto di riservato dominio, ovvero utilizzatori a titolo di locazione finanziaria dal pubblico registro automobilistico, per i veicoli in esso iscritti, e dai registri di immatricolazione per i rimanenti veicoli ed autoscafi. La predetta disposizione assoggetta alle medesime tasse i proprietari, gli usufruttuari, gli acquirenti con patto di riservato dominio, nonché gli utilizzatori a titolo di locazione finanziaria dei ciclomotori, degli autoscafi non iscritti nei registri e dei motori fuoribordo applicati agli autoscafi, nonché dei veicoli e degli autoscafi importati temporaneamente dall'estero; per i veicoli, gli autoscafi ed i motori fuoribordo applicati agli autoscafi, l'obbligo del pagamento sussiste solo per i periodi di imposta nei quali vengono utilizzati.

Per effetto delle modifiche in esame si inserisce nel comma trentaduesimo il riferimento anche ai veicoli in locazione a lungo termine senza conducente, iscritti nei relativi registri di immatricolazione.

 


 

Articolo 53-bis
(Agevolazioni fiscali per i veicoli elettrici e
a motore ibrido utilizzati dagli invalidi
)

 

 

L'articolo 53-bis, inserito dalla Camera:

§  estende l'applicazione dell'aliquota IVA super ridotta al 4 per cento alla cessione di autoveicoli e motoveicoli ad alimentazione ibrida ed elettrica (comma 1), se effettuata nei confronti di soggetti con ridotte o impedite capacità motorie permanenti, soggetti non vedenti e soggetti sordomuti e ai loro familiari, nonché alle prestazioni rese dalle officine per adattare tali veicoli;

§  prevede, per i già menzionati veicoli ibridi ed elettrici ceduti ai soggetti diversamente abili e ai loro familiari, l’esenzione dalla imposta erariale di trascrizione, dell'addizionale provinciale all'imposta erariale di trascrizione e dell'imposta di registro sugli atti traslativi o dichiarativi.

 

Più in dettaglio, il comma 1 modifica il n. 31 della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972 - D.P.R. IVA -, che riporta l'elenco dei beni e servizi soggetti ad aliquota IVA super ridotta al 4 per cento.

Il menzionato numero 31) annovera tra i beni soggetti all’aliquota agevolata una serie di mezzi di locomozione, motoveicoli e autoveicoli ceduti a soggetti con ridotte o impedite capacità motorie permanenti, a soggetti non vedenti e sordomuti, ovvero ai familiari di cui essi sono fiscalmente a carico; sono agevolate anche le prestazioni rese dalle officine per adattare i predetti veicoli, se effettuate nei confronti di tali soggetti.

Con le modifiche in commento, tra i beni e servizi ai quali si applica l’aliquota super-ridotta al 4 per cento vengono sono incluse le cessioni di veicoli con motore ibrido, di potenza non superiore a 150 kW se con motore elettrico, nei confronti dei soggetti diversamente abili o dei loro familiari, nonché le prestazioni di servizi resi dalle officine per adattare tali veicoli.

 

Il comma 2 modifica l’articolo 1 della legge n. 97 del 1986, che disciplina l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta ai veicoli adattati ad invalidi.

Con le modifiche in esame, si chiarisce che l’agevolazione vale anche nel caso di importazione dei veicoli ibridi e a motore elettrico aventi le predette caratteristiche di potenza. Si ricorda che il comma 2 dell’articolo 1 consente di estende l’agevolazione anche agli acquisti e alle importazioni successivi di un veicolo del medesimo tipo di quello acquistato o importato in precedenza con l'aliquota ridotta, a condizione che siano trascorsi almeno quattro anni dalla data dell'acquisto o della importazione precedente. L’agevolazione può essere fruita nuovamente entro il quadriennio dall’acquisto ove il veicolo risulti cancellato dal PRA.

 

In questa sede si ricorda che l’IVA è disciplinata a livello europeo dalla cosiddetta direttiva IVA (ora direttiva 2006/112/CE), che ha istituito il Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.

In materia di aliquote, l’articolo 97 della direttiva stabilisce che l’aliquota normale d’imposta fissata da ciascun Paese membro non può essere inferiore al 15 per cento. L’aliquota normale viene fissata da ciascuno Stato membro ad una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi (articolo 96).

Gli articoli 98 e 99 consentono agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte. Tale facoltà è ammessa esclusivamente per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell’allegato III della direttiva. Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi forniti per via elettronica. In ogni caso, la misura dell’aliquota ridotta non può essere inferiore al 5 per cento. In deroga alle regole normali, alcuni Stati membri sono stati autorizzati a mantenere aliquote ridotte, comprese le aliquote super-ridotte e le aliquote zero, in alcuni ambiti, a condizione che tali aliquote fossero già in vigore al 1° gennaio 1991 e che la loro applicazione risponda a ben definite ragioni di interesse sociale (articolo 110).

In Italia, le aliquote IVA sono disciplinate dall’articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante l’istituzione e la disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. Nel dettaglio:

§  l’aliquota normale è stabilita nella misura del 22 per cento;

§  l’aliquota ridotta del 10 per cento (che può essere modificata in aumento o in diminuzione per tutti i beni interessati) si applica per una serie di beni e servizi elencati nella parte III della Tabella A del D.P.R. n. 633 del 1972;

§  l’aliquota ridotta del 5 per cento (introdotta dalla legge n. 208 del 2015) si applica per i beni e servizi elencati nella parte II-bis della Tabella A del D.P.R. n. 633 del 1972;

§  - l’aliquota super-ridotta del 4 per cento (che non può essere modificata in quanto oggetto di deroga specifica al momento della emanazione della prima direttiva IVA) per le operazioni aventi per oggetto i beni e i servizi elencati nella parte II della Tabella A allegata al citato D.P.R. n. 633.

 

Il comma 3 estende ai già menzionati veicoli ibridi e a motore elettrico ceduti ai soggetti diversamente abili e ai loro familiari l’esenzione dalla imposta erariale di trascrizione, dell'addizionale provinciale all'imposta erariale di trascrizione e dell'imposta di registro sugli atti traslativi o dichiarativi prevista dall'articolo 8, comma 4, della legge n. 449 del 1997.

 

Il comma 4 quantifica gli oneri derivanti dalle agevolazioni fiscali introdotte dalle norme in esame, in termini di minori entrate per lo Stato, prevedendone la copertura finanziaria a valere sul Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE).

Tali oneri derivanti dalle norme sono quantificati in 4,86 milioni di euro a decorrere dal 2020, fermo restando la copertura anche degli ulteriori importi a valere sul FISPE.

 

 


 

Articolo 54 - ABROGATO
(
Alitalia)

 

 

L’articolo 54 prevedeva la concessione per l’anno 2019 di un finanziamento a titolo oneroso di 400 milioni € della durata di sei mesi, in favore di Alitalia S.p.A. e delle altre Società del gruppo in amministrazione straordinaria, per le loro indilazionabili esigenze gestionali. Tale articolo è stato abrogato dall’articolo 1, comma 6 del decreto legge 2 dicembre 2019, n. 137 recante “Misure urgenti per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. e Alitalia Cityliner S.p.A. in amministrazione straordinaria”, in vigore dal 3 dicembre 2019.

Il presente articolo risulta abrogato a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 137/2019.


 

Articolo 55
(
Misure a favore della competitività delle imprese italiane)

 

 

L'articolo 55, comma 1, reca novella all'articolo 537-ter del Codice dell'Ordinamento militare sostituendone il comma 1, al fine di autorizzare il Ministero della difesa - d'intesa con il MAECI e il MEF - a svolgere anche attività contrattuale nell'ambito degli "accordi GtoG" volti a soddisfare esigenze di acquisizione di materiali d'armamento prodotti dall'industria nazionale di Stati esteri, con i quali siano in vigore accordi di cooperazione e di assistenza tecnico-militare. Tale attività contrattuale viene svolta dal Ministero della Difesa tramite proprie articolazioni e senza assunzione di garanzie di natura finanziaria verso lo Stato richiedente o verso l'industria produttrice.

Durante l'esame presso la Camera, è stato introdotto il comma 1-bis il quale novella alcune disposizioni concernenti i destinatari di contributi in materia di finanziamento dei crediti all'esportazione, al fine di contribuire al rafforzamento degli strumenti a sostegno delle esportazioni.

 

Il comma 1, dunque, integra l'attuale previsione secondo cui il Ministero della Difesa può svolgere solo attività di supporto tecnico-amministrativo nell'ambito dei suddetti accordi, nel rispetto della normativa nazionale sull'esportazione dei sistemi d'arma.

Dalla relazione tecnica si evince che per lo svolgimento delle attività di natura contrattuale il Ministero della Difesa agirà attraverso le stazioni appaltanti specializzate in procurement militare facenti capo al Segretariato Generale della Difesa e Direzione Nazionale degli Armamenti e provvederà con risorse disponibili a legislazione vigente.

Secondo la relazione illustrativa, la novella avrebbe l'intento di chiarire che il soddisfacimento delle esigenze dello Stato estero è finanziato con risorse finanziarie tratte dal bilancio di quel Paese.

La relazione illustrativa ricorda altresì che operazioni tipicamente associate alle attività di export dell’operatore economico che produce il sistema d'arma sono le eventuali operazioni di credito all'esportazione (a cura di SACE) o di prestito (a cura di CDP). Queste ultime hanno la finalità di assicurare verso l’industria esportatrice il cd. “rischio Paese” e di adeguare, su richiesta del Paese acquirente, il profilo finanziario dell’operazione di acquisto alle disponibilità di bilancio di quello Stato: le citate operazioni svolte da SACE e da CDP sono neutre rispetto alla gestione finanziaria che il Ministero della difesa italiano effettua per il soddisfacimento dell’esigenza dell’omologo estero. Quella gestione finanziaria, chiarisce la novella, deve essere effettuata in maniera da non generare assunzione di garanzie di natura finanziaria verso lo Stato richiedente o verso l’industria produttrice. Ciò significa, da un lato, che la disponibilità delle risorse dello Stato acquirente viene ricondotta a strumenti (del tipo deposito a garanzia) che assicurino la segregazione della provvista finanziaria dello Stato estero per la realizzazione dell’acquisto di cui si tratta e, dall’altro lato, che nelle intese tra Stati e nei contratti con le industrie produttrici vengano inserite, come da prassi consolidata, clausole che assicurino l’assenza di responsabilità della stazione appaltante nazionale per gli eventuali inadempimenti degli obblighi facenti capo, rispettivamente, all’industria italiana e all’acquirente estero. Per tutte queste considerazioni, la relazione illustrativa evidenzia l'opportunità del coinvolgimento del MEF fin dall'inizio.

 

Si ricorda che nel 2013 il D.L. per il rilancio dell'economia (D.L. n. 69/2013) ha inserito, nel Codice dell'ordinamento militare (COM), l'art. 537-ter, rubricato "Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale", in cui per la prima volta è stata introdotta nell'ordinamento italiano la previsione di una forma di attività Government to Government svolta dallo Stato italiano nei confronti di altri Stati in materia di fornitura di materiali d'armamento, seppur limitata al supporto tecnico-amministrativo. In dettaglio, l'attuale formulazione dell'art. 537-ter del COM stabilisce che il Ministero della difesa, nel rispetto della legge n. 185/90, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, può svolgere per conto di altri Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, e tramite proprie articolazioni, attività di supporto tecnico-amministrativo per l'acquisizione di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale e per le correlate esigenze di sostegno logistico e assistenza tecnica, richiesti dai citati Stati[18].

La disciplina esecutiva e attuativa è stata recata dal D.P.R. n. 104/2015 che, all'art. 4, ha dettagliato le attività che la Difesa può svolgere e ha escluso espressamente le trattative commerciali. In dettaglio, la disciplina vigente prevede che il Segretariato generale, tramite le proprie articolazioni ed eventualmente avvalendosi anche dell'Agenzia Industria Difesa, svolge per conto dello Stato estero richiedente l'attività di supporto tecnico-amministrativo curando - se richiesto dallo Stato estero e nei limiti di quanto stabilito nella medesima intesa - anche gli aspetti di gestione finanziaria dell'intera operazione di acquisto. L'attività di supporto tecnico-amministrativo può implicare lo svolgimento delle funzioni connesse con le procedure di selezione del contraente, nonché il coordinamento della contrattualistica per tutte le fasi dei procedimenti, ad esclusione delle trattative commerciali.

Il tema dell'esportazione di sistemi d'arma ha formato l'oggetto di affari assegnati alla Commissione Difesa del Senato nella XVII legislatura (Affare assegnato 912, "Normativa in materia di esportazione di sistemi d'arma") e nella XVIII legislatura, Affare assegnato n. 56 "Prospettive dell'export italiano di materiali per la difesa e la sicurezza"; a conclusione di quest'ultimo la Commissione difesa del Senato ha approvato in data 3 luglio 2019 la Risoluzione DOC XXIV n. 10. Tale Risoluzione, in sintesi, impegna il governo a: 1) predisporre le opportune iniziative al fine di permettere allo Stato italiano di svolgere anche attività contrattuale; 2) introdurre, nell'ambito degli accordi di cui all'art. 537-ter COM, anche per i Paesi terzi (e non solo per gli Stati membri dell'UE e della NATO) lo strumento autorizzativo della licenza globale di progetto di cui all'art. 13 della legge n. 185/90; 3) a modificare conseguentemente la normativa di attuazione recata dal D.P.R. n. 104/2015; 4) a prevedere adeguate forme di coordinamento istituzionale a sostegno del comparto dell'industria difesa anche attraverso "cabine di regia" interministeriali; 5) a prevedere un nucleo tecnico-operativo di ausilio alla struttura di coordinamento di cui all'impegno 4 che costituisca l'interfaccia tra i vertici del Governo e il sistema delle imprese.[19]

 

Il comma 1-bis introdotto durante l'esame presso la Camera modifica l'art. 15 del decreto legislativo n. 143 del 1998 recante disposizioni in materia di commercio con l'estero.

L'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 143 citato, stabilisce che il soggetto gestore (v. infra) del Fondo di cui all'articolo 3 della legge 28 maggio 1973, n. 295, corrisponde contributi agli interessi a fronte di operazioni di finanziamento di crediti anche nella forma di locazione finanziaria, relativi a esportazioni di merci, prestazioni di servizi, nonché esecuzione di studi, progettazioni e lavori all'estero. I contributi sono concessi a valere sul Fondo il quale - in virtù del medesimo d.lgs. n. 143 del 1998 - è gestito dalla SIMEST[20]. L'art. 15, comma 1, lettere a), b) e c), individua i destinatari di tali contributi. Si tratta dei seguenti soggetti:

a)   operatori nazionali che ottengano finanziamenti all'estero anche per il tramite di banche nazionali; a queste ultime, secondo la novella proposta, si aggiungono le banche estere e gli intermediari finanziari autorizzati;

b)  le banche, nazionali o estere, che concedano finanziamenti agli operatori nazionali o alla controparte estera; in analogia alla precedente modifica, la novella aggiunge gli intermediari finanziari autorizzati;

c)   gli acquirenti esteri di beni e servizi nazionali, nonché i committenti esteri di studi, progettazioni e lavori da eseguirsi da imprese nazionali; tale categoria di destinatari non è oggetto di modifica.

 

Per "intermediari finanziari" devono comunque intendersi i soggetti autorizzati all'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti ai sensi del decreto legislativo n. 385 del 1993 (TUB - testo unico bancario). Si tratta dei soggetti iscritti all'apposito albo tenuto dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 106 del TUB medesimo.

 

 

 

 

 

 


 

Articolo 55-bis
(Misure relative all'assegnazione delle classi di merito)

 

 

L’articolo 55-bis, introdotto dalla Camera dei deputati, estende l’obbligo per l'impresa di assicurazione di assegnare al contratto relativo a un ulteriore veicolo, anche di diversa tipologia, la medesima classe di merito risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato, anche in tutti i casi di rinnovo di contratti già stipulati in precedenza (non solo per la stipula di un nuovo contratto).

 

In particolare l’articolo in esame modifica alcune disposizioni del comma 4-bis dell’articolo 134 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209) in materia di fruizione della classe di merito più favorevole.

 

La lettera a) reca disposizioni volte a garantire agli assicurati virtuosi, anche in sede di rinnovo di contratto, la possibilità di assicurare più veicoli sulla base della classe di merito più favorevole risultante dall’attestato di rischio in loro possesso. La lettera pertanto estende l’obbligo per l'impresa di assicurazione di non assegnare al contratto relativo a un ulteriore veicolo una classe di merito più sfavorevole, rispetto a quella risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato, anche in tutti i casi di rinnovo di contratti già stipulati in precedenza (non solo per la stipula di un nuovo contratto), purché la persona fisica interessata al rinnovo non sia responsabile esclusivo, principale o paritario di un sinistro da almeno cinque anni.

 

Si ricorda che il vigente comma 4-bis prevede che l'impresa di assicurazione, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto, relativo a un ulteriore veicolo della medesima tipologia, acquistato dalla persona fisica già titolare di polizza assicurativa o da un componente stabilmente convivente del suo nucleo familiare, non può assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato e non può discriminare in funzione della durata del rapporto garantendo, nell'ambito della classe di merito, le condizioni di premio assegnate agli assicurati aventi le stesse caratteristiche di rischio del soggetto che stipula il nuovo contratto.

 

La lettera b), modificando ulteriormente il comma 4-bis, assicura che il beneficio della classe di merito più favorevole si applichi a qualsiasi ulteriore veicolo, anche di diversa tipologia rispetto a quello già assicurato o da assicurare.

Viene meno, pertanto, la limitazione prevista a legislazione vigente che consente l’accesso alla classe di merito più favorevole solo per assicurare un ulteriore veicolo della medesima tipologia.

 

Il comma 2 specifica che per i contratti già stipulati anteriormente alla conversione in legge del decreto in esame le disposizioni richiamate al comma 1 lettera a), per la fruizione della classe di merito più favorevole, si applicano in sede di rinnovo dei medesimi contratti.

 

 


 

Articolo 55-ter
(Disciplina prodotti fitosanitari da parte degli utilizzatori non professionali)

 

 

L’articolo 55-ter modifica il regolamento sulle misure dei prodotti fitosanitari per un uso sicuro da parte degli utilizzatori non professionali adottato con decreto del Ministero della salute n. 33 del 2018.

 

Le modifiche riguardano l’estensione di alcuni termini provvisori relativi all’impiego da parte di utilizzatori non professionali di prodotti per la cura sia di piante ornamentali (sigla PFnPO), sia di piante edibili (sigla PFnPE). Entrambe le sigle devono essere riportate accanto al nome commerciale del prodotto.

 

In proposito si ricorda che in attuazione del Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (agrofarmaci) disposto dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 150/2012 che ha recepito la direttiva 2009/128/CE sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi, sono stati previsti appositi decreti in materia, differenziati per competenze ministeriali, tra cui il citato DM. 33/2018 per le parti di competenza del Ministero della salute. Il decreto in esame detta anche le definizioni (articolo 2) dei due prodotti da utilizzare, rispettivamente, per la difesa fitosanitaria: PFnPO, piante ornamentali in appartamento, balcone e giardino domestico e per il diserbo di specifiche aree all'interno del giardino domestico compresi viali, camminamenti e aree pavimentate; PFnPE, piante edibili, destinate al consumo alimentare come pianta intera o in parti di essa compresi i frutti, e per il diserbo di specifiche aree all'interno della superficie coltivata.

 

Con riferimento ai prodotti impiegabili per piante ornamentali (lett. a), b e c)), viene modificato l’articolo 7, commi 1 e 2, del citato decreto n. 33/2018, estendendo (da 24 mesi) a 42 mesi dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto (1° maggio 2018) l’autorizzazione all’uso provvisorio da parte di utilizzatori non professionali di tali prodotti. La nuova data di scadenza deve risultare dall’etichetta del prodotto fitosanitario, indicando eventuali termini per prodotti già autorizzati entro date di scadenza antecedenti alla data modificata.

Viene inoltre specificato che le disposizioni di cui all’allegato al decreto in esame non si applicano nella fase transitoria, rimanendo validi gli atti e i provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti che si sono prodotti, nonché i rapporti giuridici sorti, sulla base dei medesimi commi 1-5 dell’articolo 7 oggetto di modifica.

Con riferimento ai prodotti fitosanitari impiegabili per le piante edibili, la lett. d) prevede anche in questo caso una estensione (da 24) a 42 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in esame (1° maggio 2018) del termine provvisorio per l’impiego dei medesimi prodotti da parte di utilizzatori non professionali, se già pronti per l'uso ovvero in formulazione da impiegare con aggiunta di acqua.

Anche con riferimento a tali prodotti (lett. e)) viene specificato che le disposizioni di cui all’allegato al decreto in esame non si applicano nella fase transitoria, rimanendo validi gli atti e i provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti che si sono prodotti, nonché i rapporti giuridici sorti, sulla base delle disposizioni di cui ai commi 1-5 dell’articolo 8 oggetto di modifica.

 

 


 

Articolo 56
(
Compensazione Fondo perequativo IRAP)

 

 

L’articolo 56 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, a decorrere dal 2019, un fondo destinato a compensare stabilmente le regioni delle eventuali minori entrate destinate al fondo perequativo regionale. Per l’anno 2019 la consistenza del fondo è pari a 16 milioni di euro. Per gli anni successivi gli stanziamenti saranno quantificati annualmente con legge di bilancio.

 

I commi 1-3 prevedono che per il 2019 il fondo ha una consistenza di 16 milioni di euro a compensazione delle minori entrate a titolo di IRAP realizzate negli anni 2017-2018, mentre per la quantificazione degli stanziamenti eventualmente necessari negli anni successivi si procede annualmente con la legge di bilancio.

 

Il Fondo perequativo regionale, istituito dall’articolo 3, comma 2, della legge n. 549/1995 (recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”), nello stato di previsione del MEF, è poi stato confermato dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 68/2011, attuativo del federalismo fiscale, il quale - nel disporre la soppressione di tutti i trasferimenti statali in conto corrente e in conto capitale alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 2013, e la loro sostituzione con le entrate derivanti dall'incremento dell'addizionale IRPEF - ha espressamente escluso dalla soppressione i trasferimenti del fondo perequativo istituito per compensare le minori entrate del gettito dell'accisa sulle benzine, poi inglobato nel gettito dell'IRAP [21].

In merito, la relazione illustrativa ricorda che, nel 2016, la riduzione del gettito dell’IRAP aveva comportato la mancata erogazione di quota parte del fondo perequativo a favore di alcune regioni a statuto ordinario. Tale situazione era stata sanata con l’articolo 1, comma 808, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018), che ha attribuito alle regioni un contributo (pari 18 milioni di euro) a titolo di compensazione della quota di fondo perequativo non attribuita nell’anno 2016, a causa del minor gettito derivante dalle agevolazioni in materia di IRAP introdotte dalla legge di stabilità per il 2015[22].

A tal fine, sono state utilizzate le somme iscritte in conto residui sul capitolo 2862 (“Somme da erogare alle regioni a statuto ordinario a titolo di compartecipazione all'IVA”), per un ammontare pari a 18 milioni di euro, che sono state pertanto versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate su apposito capitolo di spesa del medesimo stato di previsione.

 

Secondo la relazione, analoga carenza di gettito IRAP, per un importo pari a 16 milioni di euro, si è registrata negli anni 2017 e 2018.

 

A tal fine, l’articolo in esame istituisce un apposito fondo, diretto a compensare le regioni delle eventuali minori entrate destinate al finanziamento dell’ex fondo perequativo, che viene iscritto su apposito piano gestionale del capitolo 2862, relativo alle “Somme da erogare alle regioni a statuto ordinario a titolo di compartecipazione all'IVA”, dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Il comma 4 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze a ricorrere ad anticipazioni di tesoreria per garantire alle Regioni la tempestiva erogazione della quota di fondo perequativo non assicurata dal gettito IRAP, con ordini di pagamento a valere sulle risorse stanziate sul nuovo fondo.

 

 


 

Articolo 57, commi 1-1-ter
(
Criteri di riparto del Fondo di solidarietà comunale)

 

 

L’articolo 57, al comma 1 interviene sulla disciplina di riparto del Fondo di solidarietà comunale (FSC), riducendo dal 60 al 45 per cento la percentuale delle risorse del Fondo da redistribuire nell’anno 2019 tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, ed allungando fino al 2030 il periodo di transizione per il raggiungimento del 100 per cento della perequazione, da attuarsi mediante un progressivo aumento della suddetta percentuale di riparto nella misura del 5 per cento ogni anno a partire dal 2020.

È inoltre prevista una revisione della metodologia per la determinazione della differenza tra le capacità fiscali e il fabbisogno standard - che costituisce il criterio di riparto della quota perequativa del Fondo - da parte della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, ai fini della neutralizzazione della componente rifiuti.

Per quel che concerne, infine, la perequazione della capacità fiscale, l'ammontare complessivo della capacità fiscale perequabile dei comuni delle regioni a statuto ordinario resta confermato, fino all'anno 2019, nella misura del 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare, prevedendo che, dall’anno 2020, tale quota sia incrementa del 5 per cento annuo, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall'anno 2029.

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, ridetermina la dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale a partire dall’anno 2020, con un incremento di 5,5 milioni di euro annui. L’incremento di risorse è finalizzato ad introdurre un meccanismo correttivo del riparto del Fondo in favore dei piccoli comuni, con popolazione fino a 5.000 abitanti, che presentino, successivamente all’applicazione dei criteri di riparto, un valore negativo del Fondo di solidarietà. Il comma 1-ter provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’incremento del Fondo di solidarietà.

 

Il comma 1 riformula il comma 449 dell’articolo 1 della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017), che reca i criteri di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale a decorrere dal 2017, modificandone la lettera c) che disciplina, in particolare, le modalità di distribuzione della quota parte delle risorse del Fondo di solidarietà destinata a finalità perequative.

 

Si rammenta che il Fondo di solidarietà comunale costituisce il fondo per il finanziamento dei comuni anche con finalità di perequazione, alimentato con una quota del gettito IMU di spettanza dei comuni stessi. Per quel che concerne le modalità di ripartizione, si ricorda che nella dotazione del Fondo di solidarietà comunale vi sono due componenti: a) una componente “ristorativa”, determinata in 3.767,5 milioni di euro annui, costituita dalle risorse necessarie al ristoro del minor gettito derivante ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna per le esenzioni e le agevolazioni IMU e TASI previste dalla legge di stabilità 2016, che viene ripartita tra i comuni sulla base del gettito effettivo IMU e TASI derivante dagli immobili esentati relativo all’anno 2015; b) una componente “tradizionale”, determinata in 464,1 milioni per i comuni delle regioni Siciliana e della Sardegna e in 1.885,6 milioni per i comuni delle regioni a statuto ordinario, destinata al riequilibrio delle risorse storiche, parte della quale viene annualmente accantonata e ripartita tra i comuni delle RSO secondo criteri di tipo perequativi.

Per approfondimenti sul tema della composizione e del riparto del Fondo di solidarietà comunale, si rinvia al Tema: “Le risorse per i comuni: il Fondo di solidarietà comunale”.

 

Relativamente al riparto secondo criteri di tipo perequativo, si rammenta che la lettera c) del citato comma 449 prevede un aumento progressivo negli anni della percentuale di risorse da distribuire tra i comuni con i criteri perequativi, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, come approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard entro il 30 settembre dell'anno precedente.

In base alla normativa vigente, dunque, il riparto del Fondo di solidarietà comunale, in coerenza con un principio di gradualità nella sostituzione del modello vigente, prevede l’attribuzione di una quota delle risorse, inizialmente maggioritaria, in base al metodo storico, mentre l’attribuzione della restante quota - progressivamente crescente - viene demandata al sistema perequativo basato su fabbisogni e capacità fiscali.

Tale percentuale – che è stata applicata nella misura del 20 per cento nel 2015, del 30 per cento nel 2016 e del 40 per cento per l'anno 2017 - è stata fissata dal citato comma 449, come successivamente modificato dalla legge di bilancio per il 2018 (art. 1, comma 884, legge n. 205/2017), al 45 per cento per l'anno 2018, al 60 per cento per l'anno 2019, all’85 per cento per l'anno 2020, fino al raggiungimento del 100 per cento a decorrere dall'anno 2021, con una configurazione a regime dei meccanismi perequativi di riparto della componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale.

Da ultimo, la legge di bilancio per il 2019 (art. 1, comma 921, legge n. 145/2018) - nel confermare, per l'anno 2019, la ripartizione del Fondo di solidarietà comunale sulla base dei medesimi importi indicati nel D.P.C.M. 7 marzo 2018 (riparto delle risorse spettanti per l'anno 2018), in deroga agli ordinari criteri di riparto - di fatto ha determinato la sospensione dell'incremento della percentuale di risorse oggetto di perequazione, che nel 2019 era prevista crescere al 60% rispetto al 45% del 2018.

Con la riformulazione introdotta dal comma 1 in esame, si riduce la percentuale di riparto su base perequativa prevista per l’anno 2019, dal 60 al 45 per cento, ridefinendo, al contempo, un percorso più graduale, nei prossimi anni, del meccanismo perequativo, la cui applicazione a regime, con il raggiungimento del 100 per cento della perequazione, viene posticipata all’anno 2030, in luogo dell’anno 2021 (prima previsto dalla lettera c) del comma 449 della legge di bilancio del 2017).

A tal fine, la norma prevede un incremento graduale negli anni della quota percentuale del Fondo da distribuire tra i comuni su base perequativa del 5 per cento annuo a partire dall’anno 2020 rispetto alla percentuale del 45 per cento fissata per il 2019 (e quindi, 50% nel 2020), sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall’anno 2030.

La previsione di accantonamenti percentuali via via crescenti nell’ambito del Fondo di solidarietà comunale da ripartirsi tra i comuni secondo logiche di tipo perequativo, avviata nel 2015[23], è finalizzata a consentire il passaggio graduale dal principio della spesa storica ad una distribuzione delle risorse basata su fabbisogni e capacità fiscali.

Il progressivo rafforzamento della componente perequativa ha peraltro comportato la necessità di prevedere, al contempo, meccanismi in grado di contenere il differenziale di risorse, rispetto a quelle storiche di riferimento, che si determina con l’applicazione del meccanismo stesso della perequazione.

Dapprima con l’articolo 1, comma 3, del D.L. 24 giugno 2016, n. 113 e, poi, con il comma 450 della legge di bilancio per il 2017 (legge n. 232/2016) è stato definito un meccanismo correttivo da applicare nel caso in cui i criteri perequativi di riparto determinino una variazione, in aumento e in diminuzione, delle risorse attribuite a ciascun comune rispetto alle risorse di riferimento, tra un anno e l'altro, superiore ad una determinata percentuale, fissata, da ultimo, al 4% con il D.L. n. 50/2017 (art. 14), attenuando dunque gli effetti derivanti dall'applicazione dei fabbisogni standard e della capacità fiscale nel riparto della quota del Fondo di solidarietà comunale destinata a finalità perequative, soprattutto per quei comuni che presentano una capacità fiscale superiore ai propri fabbisogni standard.

Con il D.L. n. 50/2017, il meccanismo per la mitigazione della perequazione è stato ulteriormente stabilizzato con la previsione di un correttivo aggiuntivo, per gli anni dal 2018 al 2021, l’impiego di un ammontare di risorse per massimo 25 milioni di euro derivanti da fondi comunali non utilizzati, per evitare, nel periodo di transizione, eccessive penalizzazioni.

 

La nuova formulazione introdotta dall’articolo 57, comma 1, in esame, mantiene fermo il criterio perequativo di ripartizione del Fondo, che resta indicato nella differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard entro il 30 settembre dell'anno precedente a quello di riferimento. Si dispone, tuttavia, che ai fini della determinazione della predetta differenza, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard deve prevedere una metodologia per la neutralizzazione della componente rifiuti, anche attraverso l'esclusione della predetta componente dai fabbisogni e dalle capacità fiscali standard.

La norma prevede altresì che tale metodologia sia recepita nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto delle risorse del Fondo di solidarietà comunale.

La legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, commi da 29 a 34) ha semplificato la procedura per l'approvazione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard, con l'istituzione della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS) e la soppressione della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). La Commissione tecnica per i fabbisogni standard, istituita con D.P.C.M. 23 febbraio 2016, agisce come organo tecnico collegiale con l'obiettivo principale di validare la metodologia da utilizzare per l'individuazione dei fabbisogni standard e di validare l'aggiornamento della base dati utilizzata. Le metodologie predisposte ai fini dell'individuazione dei fabbisogni possono essere sottoposte alla CTFS anche separatamente dalle elaborazioni relative ai fabbisogni standard. Conseguentemente la nota metodologica ed il fabbisogno standard per ciascun comune e provincia possono essere adottati con D.P.C.M., anche distintamente tra loro. Il parere parlamentare è richiesto solo per l'adozione della nota metodologica, e non più per la sola adozione dei fabbisogni standard.

La prima stima delle capacità fiscali dei comuni delle regioni a statuto ordinario è stata compiuta con il D.M. 11 marzo 2015 (Atto del Governo n. 140). Con il D.M. 13 maggio 2016 (A.G. 284) si è proceduto ad un primo aggiornamento della nota metodologica e della stima delle capacità fiscali per singolo comune, al fine di tener conto delle variazioni normative intervenute (eliminazione della TASI sulle abitazioni principali non di lusso ed estensione del novero dei terreni agricoli esenti da IMU). Successivamente con il D.M. 2 novembre 2016 è stata adottata la stima delle capacità fiscali 2017 per singolo comune, rideterminata tenendo conto dei mutamenti normativi intervenuti, del tax gap nonché della variabilità dei dati assunti a riferimento. Da ultimo, con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 16 novembre 2017 è stata adottata la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e la stima della capacità fiscale 2018 dei comuni delle regioni a statuto ordinario; la revisione dei criteri metodologici utilizzati per la stima della capacità fiscale dei comuni ha riguardato in particolare la componente relativa al gettito IMU e TASI: oltre ad aggiornare la base dati del gettito (anno 2015) sono stati adottati criteri finalizzati a depurare la quota di gettito ad aliquota di base dalle variazioni (positive o negative) deliberate da ciascun comune (aliquote, detrazioni, esenzioni, agevolazioni).

Si rammenta che le componenti della capacità fiscale si riferiscono a due principali tipologie di entrata. Nella prima categoria (Imposte e tasse) rientrano l'IMU, la Tasi, l'addizionale comunale Irpef e le imposte e tasse minori (imposta di scopo, imposta sulla pubblicità, Tosap). Nella seconda categoria rientra la Tari.

Per quel che concerne il peso della componente rifiuti nella determinazione della capacità fiscale, si segnala che la nota metodologica ricorda che il gettito della tariffa per raccolta e smaltimento rifiuti non andrebbe incluso nel calcolo della capacità fiscale in quanto risulta a totale copertura del costo; tuttavia tale voce è inclusa nel calcolo dei fabbisogni standard e la sua esclusione dalla capacità fiscale avrebbe condotto ad una errata stima delle risorse perequabili. Pertanto, al fine di sterilizzare la componente dei rifiuti nell'ambito della perequazione delle risorse assegnate attraverso il Fondo di solidarietà comunale, nel calcolo della capacità fiscale è stato considerato anche tale costo, in misura pari al fabbisogno standard.

 

Inoltre, ai fini dell’applicazione dei criteri perequativi, viene rideterminato l'ammontare complessivo della capacità fiscale perequabile dei comuni delle regioni a statuto ordinario, ora stabilito nella misura del 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare (c.d. target perequativo).

La capacità fiscale di un comune, si rammenta, rappresenta la misura della sua capacità di prelievo che non risente dello sforzo fiscale. Ai fini del riparto perequativo viene confrontata con le risorse standard, calcolate in base ai fabbisogni standard e alla popolazione.

 

Con la nuova formulazione, il suddetto “target perequativo” viene confermato nella misura del 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare per l’anno 2019, prevedendosi che tale quota percentuale, a decorrere dall’anno 2020, venga via via incrementa del 5 per cento annuo, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall’anno 2029.

Con la modifica disposta dal comma 1 in esame, pertanto, a regime, a decorrere dal 2030, la quota del Fondo distribuita in base a fabbisogni e capacità fiscale sarà pari al 100 per cento delle capacità fiscali comunali delle RSO.

 

In merito al riparto del Fondo di solidarietà comunale, occorre ricordare che la componente riferita al sistema perequativo si articola in due parti, la prima finalizzata a colmare il divario (positivo o negativo) tra i fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e le capacità fiscali, la seconda idealmente finalizzata alla perequazione in base alle sole capacità fiscali riferite alle funzioni non fondamentali. Nel modello perequativo, le due parti vengono combinate con pesi diversi, attualmente fissati rispettivamente all’80% e al 20%.

Date le risorse da destinare alla perequazione (il totale delle capacità fiscali dei comuni RSO) e le percentuali – l’80% per il divario tra i fabbisogni e le capacità fiscale standard e il 20% per il gap tra la capacità fiscale media e quella comunale – il cosiddetto “target perequativo” stabilisce la misura con cui entrambi i divari saranno perequati. Questo target, attualmente fissato al 50% del totale delle capacità fiscali, fa sì che nel 2019, la quota del Fondo distribuita in base a fabbisogni e capacità fiscali sarà pari al 50% del totale, mentre la restante metà resterà regolata dal criterio di invarianza delle risorse storiche attribuite a ciascun ente.

Con le modifiche disposte dal comma in esame, si avvia un percorso che aumenta progressivamente la quota delle capacità fiscali comunali da perequare, fino al 100 per cento nel 2029.

Per approfondimenti sul tema della perequazione, si rinvia sito IFEL: https://www.fondazioneifel.it/banche-dati/perequazione.

 

Infine, la nuova formulazione della lettera c) del comma 449 della legge di bilancio 2017, mantiene inalterati i criteri di ripartizione della restante quota percentuale del FSC – quella cioè non ripartita con il sistema perequativo, ma sulla base del criterio della compensazione della spesa storica – stabilendo che, sino all’anno 2029, sia distribuita assicurando a ciascun comune un importo pari all'ammontare algebrico della medesima componente del Fondo di solidarietà comunale dell'anno precedente, eventualmente rettificata, variato in misura corrispondente alla variazione della quota di fondo non ripartita secondo i criteri perequativi.

 

Il comma 1-bis, introdotto dalla Camera, ridetermina la dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale a partire dall’anno 2020, con un incremento di 5,5 milioni di euro annui.

L’incremento di risorse è finalizzato ad introdurre un meccanismo correttivo del riparto del Fondo in favore dei piccoli comuni, con popolazione fino a 5.000 abitanti, che presentino, successivamente all’applicazione dei criteri di riparto, un valore negativo del Fondo di solidarietà.

Si rammenta che con la legge di bilancio per il 2017 (art. 1, commi 446-452, legge n. 232/2016), è stata definita una disciplina a regime del Fondo di solidarietà comunale, che quantifica annualmente le risorse del Fondo specificandone i criteri di riparto in favore dei comuni. In particolare, la dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale è definita per legge, dall’articolo 1, comma 488, della legge n. 232/2016, ed è in parte assicurata attraverso una quota dell'imposta municipale propria (IMU), di spettanza dei comuni, che in esso confluisce annualmente. In particolare, l’alimentazione del fondo deriva dalla trattenuta del 22,43 per cento del gettito IMU standard che Agenzia delle Entrate effettua per ogni comune.

Il successivo comma 449, alle lettere da a) a d-bis), disciplina la ripartizione delle risorse del Fondo tra i comuni, sulla base di criteri di tipo compensativo rispetto all’allocazione storica delle risorse, ovvero di tipo perequativo.

 

In particolare, con la lettera a) si ridefinisce la dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale - intervenendo sul comma 448 dell’articolo 1 della legge n. 232/2016 - mantenendola nell’importo di 6.208,2 milioni di euro per gli anni 2018 e 2019 ed aumentandola a 6.213,7 milioni a decorrere dall'anno 2020, con un incremento di 5,5 milioni annui dal 2020.

 

Contestualmente, con la lettera b), si modifica il successivo comma 449 della medesima legge n. 232/2016, che reca i criteri di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, introducendo la previsione di un meccanismo correttivo della distribuzione delle risorse del Fondo, in favore dei comuni fino a 5.000 abitanti che presentano un valore negativo del Fondo.

 

In particolare, il comma 1-bis - mediante l’inserimento della lettera d-ter) al comma 449 – destina una quota parte del FSC, nel limite massimo di 5,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020, in favore dei comuni fino a 5.000 abitanti che, a seguito dell’applicazione dei criteri di riparto del Fondo, di cui alle lettere da a) a d-bis) del comma 449, presentino un valore negativo delle risorse a titolo di Fondo di solidarietà.

 

Come sopra ricordato, il Fondo di solidarietà comunale è alimentato esclusivamente con una quota predeterminata del gettito standard IMU (22,43%) di competenza comunale. Il valore negativo del Fondo di solidarietà riguarda quei comuni delle regioni a statuto ordinario che contribuiscono al fondo più di quanto ricevono. Tra questi, alcuni enti contribuiscono in misura superiore alla quota di alimentazione (c.d. incapienti). In sostanza, stante le vigenti modalità di alimentazione e di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, vi sono comuni che beneficiano e comuni che contribuiscono alla perequazione operata dal Fondo di Solidarietà. Il prelievo negativo o il trasferimento positivo che giunge al comune consiste nella somma algebrica dell’alimentazione e della quota di perequazione: se positiva, il comune beneficia della perequazione, se negativo ne è contributore.

 

Il contributo è attribuito sino a concorrenza del valore negativo del fondo di solidarietà comunale, al netto della quota di alimentazione del fondo stesso, e, comunque, nel limite massimo di euro 50.000 per ciascun comune.

In caso di insufficienza delle risorse, il riparto avviene in misura proporzionale al valore negativo del fondo di solidarietà comunale considerando come valore massimo ammesso a riparto l'importo negativo di euro 100.000. In caso contrario, l'eventuale eccedenza delle risorse è destinata a incremento del correttivo di cui alla precedente lettera d-bis) del comma 449 medesimo.

Tale lettera, si rammenta, disciplina un ulteriore meccanismo correttivo, operativo per gli anni dal 2018 al 2021, introdotto dall’art. 14, comma 1, lettera 0b) del D.L. n. 50/2017 con l’impiego di un ammontare massimo di risorse pari a 25 milioni di euro, volto a limitare le variazioni in diminuzione nella dotazione del Fondo di solidarietà, rispetto a quella storica di riferimento tra un anno e l’altro, per effetto dell'applicazione dei criteri perequativi di cui alla lettera c), anche successivamente all'attuazione del correttivo di cui al comma 450[24] della legge n. 232/2016, da ripartire tra gli enti interessati in misura proporzionale e nel limite massimo della variazione stessa.

L’importo di 25 milioni di euro è destinato, a decorrere dall'anno 2022, al finanziamento delle fusioni dei comuni.

 

Il comma 1-ter reca la copertura finanziaria degli oneri recati dal comma precedente, pari a 5,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2020, cui si provvede:

-    quanto a 5,5 milioni di euro per l'anno 2020 a valere sul Fondo speciale di parte corrente, allo scopo utilizzando per 3,5 milioni di euro l’accantonamento relativo al Ministero dell’economia e per 2 milioni di euro l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno,

-    quanto a 5,5 milioni di euro a decorrere dall’anno 2021, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE).

 

Si segnala, per completezza, che sulla dotazione del Fondo di solidarietà comunale interviene anche l’articolo 98 del disegno di legge di bilancio per l’anno 2020 (A.S. 1586, all’esame del Senato), il quale ne ridetermina la dotazione annuale a partire dall’anno 2020 in riduzione di circa 14,2 milioni di euro annui (da 6.208,2 milioni a 6.194 milioni), novellando a tal fine il comma 448 della legge n. 232/2016.

La riduzione è riferita al minor ristoro dovuto ai comuni per il maggior gettito ad essi derivante dalla nuova IMU, in conseguenza dell’unificazione di tale imposta con la TASI.

Di conseguenza, si modifica anche la lettera a) del successivo comma 449 della medesima legge n. 232/2016, che quantifica la quota parte delle risorse del Fondo di solidarietà da assegnare a titolo di ristoro delle minori entrate derivanti ai comuni dalle esenzioni e agevolazioni IMU e TASI introdotte dalla legge di stabilità 2016, rideterminandone l’importo da ripartire a decorrere dal 2020 con la riduzione di 14,2 milioni di euro (da 3.767,5 a 3.753,3 milioni di euro).


 

Articolo 57, comma 1-quater
(Utilizzo delle risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione
di mutui e dal riacquisto dei titoli obbligazionari)

 

 

Il comma 1-quater dell’articolo 57, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, estende fino al 2023 l’applicazione della norma che consente agli enti territoriali di utilizzare senza vincoli di destinazione le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui e dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi.

 

A tal fine la disposizione in esame modifica l’articolo 7, comma 2, del D.L. n. 78 del 2015, che, nel testo vigente, attribuisce agli enti locali tale facoltà limitatamente al periodo 2015-2020.

Il citato comma 2, si ricorda, è stato oggetto di numerose novelle. La facoltà originariamente limitata al 2015 era stata estesa, con l'art.4, comma 1-bis, del D.L. 210/2015, al 2016 e con l'art.1, comma 440, della legge 232/2016 (legge di bilancio per il 2017) al 2017. Successivamente, con la legge di bilancio per il 2018 (art. 1, co. 867, legge n. 205/2017), la predetta facoltà è stata estesa fino al 2020.

 

Si rammenta che i commi 1 e 2 dell'articolo 7 del D.L. n. 78/2015 contengono disposizioni in materia di mutui degli enti locali, finalizzate da un lato a favorire l'accesso alle operazioni di rinegoziazione promosse da Cassa depositi e prestiti e, dall'altro, a garantire una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei risparmi derivanti dalla rinegoziazione.

In particolare, l’eliminazione del vincolo di destinazione disposto dal comma 2 consente agli enti locali di utilizzare le risorse che si liberano dalla rinegoziazione dei mutui anche per operazioni di copertura delle spese correnti, senza vincolarle necessariamente al finanziamento della spesa in conto capitale o all’estinzione di mutui.

I risparmi di linea capitale, infatti, pur in assenza di disposizioni restrittive espresse in tal senso, a differenza di quelli sulla linea interessi, dovrebbero essere destinati esclusivamente alla riduzione del debito o a nuovi investimenti.

Sul punto, si ricorda che diversi pronunciamenti della Magistratura contabile hanno indicato obblighi di utilizzo dei risparmi in questione a riduzione del debito, delineando una prassi non modificabile se non per via normativa.

 

Con riferimento al tema dei vincoli di destinazione dei proventi da rinegoziazione delle posizioni debitorie, prima dell’entrata in vigore della disciplina di cui al citato articolo 7, comma 2, del D.L. n. 78/2015, era affermata l’interpretazione, anche sostenuta dalla Cassa depositi e prestiti (si veda in proposito la circolare n. 1283 del 28 aprile 2015, richiamata anche da una nota congiunta dell’11 maggio 2015 sottoscritta dal Direttore generale della CdP e dal Segretario generale dell’Anci), secondo cui le economie derivanti dal minore esborso annuale in linea capitale (conseguenti alla rinegoziazione dei mutui) devono essere destinate dagli enti locali alla copertura di spese di investimento o alla riduzione del debito. Gli eventuali risparmi in linea interessi non sono invece soggetti ad alcun vincolo e, pertanto, possono essere destinati alla spesa corrente.

Analoga interpretazione è stata condivisa in più occasioni dalla Corte dei Conti, che ne ha rilevato la coerenza con i principi di sana gestione finanziaria. Il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile è nel senso di ritenere dette economie come ontologicamente assoggettate al vincolo di destinazione del finanziamento degli investimenti posto dall’art. 119, comma 6, della Costituzione. Trattandosi di economie su risorse derivanti da indebitamento, infatti, soggiacciono agli stessi vincoli gravanti in origine sulle risorse stesse e, pertanto, devono essere destinate a spese in conto capitale, restando esclusa la possibilità di procedere con esse ad un automatico incremento della spesa corrente (in tal senso, tra le altre, Sezione controllo Piemonte n. 190/2014; Sezione controllo Emilia Romagna n. 145/2014, Sezione controllo Umbria n. 122/2015 e da. Ultimo, Sezione Controllo Marche, n. 12/2019)[25].

Tuttavia, l'esigenza di agevolare gli enti territoriali nel pareggio della (sempre più sofferente) parte corrente del bilancio, impiegando i risparmi delle quote di ammortamento dei mutui rinegoziati, ha spinto il legislatore a consentire l'utilizzo libero delle risorse. Trattasi, tuttavia, secondo la Corte, di una norma di natura eccezionale e temporanea, dovuta all’esigenza di introdurre misure di “alleggerimento” delle gestioni e che conferma la sussistenza del menzionato vincolo al di fuori delle ipotesi, temporalmente limitate, rientranti nella deroga.


 

Articolo 57, commi 2 e 2-bis
(
Disapplicazione di obblighi di contenimento
delle spese di regioni e enti locali
)

 

 

L’articolo 57, commi 2 e 2-bis, escludono l’applicazione, a decorrere dal 2020, di una serie di disposizioni per il contenimento delle spese delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e dei loro organismi ed enti strumentali.

 

Il comma 2 esclude l’applicazione, a decorrere dal 2020, di una serie di disposizioni per il contenimento delle spese delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e dei loro organismi ed enti strumentali.

 

La disposizione richiama l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.118/2011, ove si prevede che per enti strumentali si intendono gli enti sui quali l’ente abbia determinati poteri di indirizzo o controllo[26]; mentre per organismi strumentali delle regioni e degli enti locali si intendono le loro articolazioni organizzative, anche a livello territoriale, dotate di autonomia gestionale e contabile, prive di personalità giuridica.

 

Le disposizioni di cui si prevede la disapplicazione sono le seguenti:

§  articolo 27, comma 1, del decreto legge n.112/2008 (cd. “taglia-carta”), che impone alle PA una diminuzione della spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni;

§  articolo 6 del decreto n.78/2010, che introduce alcune norme di riduzione dei costi degli apparati amministrativi, limitatamente ai seguenti commi:

-  comma 7, che prevede la riduzione della spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni;

-  comma 8, che prevede la riduzione delle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza;

-  comma 9, che prevede la riduzione delle spese per sponsorizzazioni;

-  comma 12, che prevede la riduzione delle spese per missioni;

-  comma 13 che prevede la riduzione delle spese per attività di formazione (si fa presente che il comma 2 del testo originario del decreto-legge in esame prevedeva la disapplicazione, per i medesimi enti territoriali, del solo comma 13 del D.L. n.78/2010[27])

§  articolo 5, comma 2, del decreto-legge n.95/2012, che prevede la riduzione delle spese per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi.

§  articolo 5, commi 4 e 5, della legge n.67/1987, che prevede l’obbligo di comunicazione al Garante delle telecomunicazioni delle spese pubblicitarie effettuate nel corso di ogni esercizio finanziario, con deposito di un riepilogo analitico[28];

§  articolo 2, comma 594, della legge n.2004/2007, che prevede l’obbligo di adozione, ai fini del contenimento delle spese di funzionamento, di piani triennali per l'individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell'utilizzo delle dotazioni strumentali che corredano le stazioni di lavoro nell'automazione d'ufficio, delle autovetture di servizio, dei beni immobili ad uso abitativo o di servizio;

§  articolo 12, comma 1-ter, del decreto-legge n. 98/2011, che prevede l’obbligo di attestare con idonea documentazione, da parte del responsabile del procedimento, che gli acquisti di immobili siano indispensabili e non dilazionabili;

§  articolo 24 del decreto-legge n. 66/2014, che prevede specifici obblighi per la riduzione, anche attraverso il recesso contrattuale, delle spese per locazione e manutenzione di immobili;

 

Si fa presente che talune delle disposizioni sopra richiamate sono indicate anche tra le norme di cui l’articolo 72 (Allegato    A) del disegno di legge di bilancio per il 2020 (attualmente all’esame del Senato – A.S. 1586) prevede, a decorrere dal 2020, la disapplicazione (peraltro a fronte dell’introduzione di un nuovo metodo di definizione dei livelli di riduzione della spesa richiesti).

 

Per finalità di coordinamento normativo vengono poi abrogate, dal comma 2-bis, introdotto dalla Camera dei deputati, alcune disposizioni (art.21-bis, comma 2, del decreto-legge n.50/2017 e articolo 1, comma 905, della legge n.145/2018) che già prevedono, in determinate circostanze (anche con finalità premiali a fronte di comportamenti virtuosi degli enti), la disapplicazione di parte delle disposizioni sopra elencate.

In particolare, il comma 905 della legge n. 145/2018 prevede un trattamento normativo più favorevole per i comuni (e le loro forme associative) che approvano i bilanci entro i termini previsti dal TUEL (Testo unico enti locali di cui al decreto legislativo n. 267/2000), ossia il bilancio consuntivo entro il 30 aprile dell’anno successivo e il bilancio preventivo entro il 31 dicembre dell'anno precedente all’esercizio di riferimento[29]. A tal fine si prevede che, a decorrere dall’esercizio 2019, a tali enti non si applicano una serie di disposizioni che prevedono obblighi di riduzione e contenimento di alcune tipologie di spese.

 

 

 

 


 

Articolo 57, commi 2-ter e 2-quater
(Esonero dall’obbligo di contabilità
economico-patrimoniale per i piccoli comuni)

 

 

I commi 2-ter e 2-quater dell’articolo 57, introdotti nel corso dell’esame presso la Camera, esonerano definitivamente gli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti dall’obbligo di tenere la contabilità economico-patrimoniale. Inoltre, semplificano talune procedure relative alle attività di controllo svolte dal tesoriere dell’ente.

 

I commi 2-ter e 2-quater modificano in più parti il Testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000 - TUEL).

In primo luogo, attraverso la modifica dell’articolo 232 del TUEL, si introduce, a regime (e non già fino all’esercizio 2019, come attualmente previsto), la possibilità per gli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti di non tenere la contabilità economico-patrimoniale; gli enti che si avvalgono di tale facoltà sono tenuti unicamente ad allegare al rendiconto una situazione patrimoniale al 31 dicembre dell’anno precedente.

 

L’articolo 232 del TUEL concerne la Contabilità economico-patrimoniale e dispone, al comma 1, che gli enti locali garantiscono la rilevazione dei fatti gestionali sotto il profilo economico-patrimoniale nel rispetto del principio contabile generale n. 17 della competenza economica e dei principi applicati della contabilità economico-patrimoniale. Il comma 2, in particolare, consente agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di non tenere la contabilità economico-patrimoniale fino all'esercizio 2019. Con riferimento all’esercizio 2019, i comuni che si avvalgono della facoltà di rinviare la contabilità economico patrimoniale devono allegare al rendiconto 2019 una situazione patrimoniale al 31 dicembre 2019, secondo modalità semplificate determinate da un decreto del MEF, da emanare entro il 31 ottobre 2019. Si ricorda che tale termine deriva da un rinvio di due anni (ossia dall'esercizio 2017) dell’obbligo della tenuta della contabilità economico-patrimoniale per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti operato dall’articolo 15-quater del D.L. n. 34/2019 (cd. Decreto Crescita).

 

Inoltre, attraverso la modifica degli articoli 216 (di cui vengono abrogati i commi 1 e 3) e 226 (di cui viene abrogata la lettera a) del comma 2), vengono eliminate, con finalità di semplificazione procedurale, alcune attività di controllo del tesoriere in ordine al rispetto da parte dell’ente dei limiti di bilancio.

 

L’articolo 216 del TUEL prevede, al comma 1, che “I pagamenti possono avere luogo nei limiti degli stanziamenti di cassa. I mandati in conto competenza non possono essere pagati per un importo superiore alla differenza tra il relativo stanziamento di competenza e la rispettiva quota riguardante il fondo pluriennale vincolato. A tal fine l'ente trasmette al tesoriere il bilancio di previsione approvato nonché tutte le delibere di variazione e di prelevamento di quote del fondo di riserva debitamente esecutive riguardanti l'esercizio in corso di gestione. Il tesoriere gestisce solo il primo esercizio del bilancio di previsione e registra solo le delibere di variazione del fondo pluriennale vincolate effettuate entro la chiusura dell'esercizio finanziario”. Il comma 3 dispone che “I mandati in conto residui non possono essere pagati per un importo superiore all'ammontare dei residui risultanti in bilancio per ciascun programma”.

 

L’articolo 226, comma 2, del TUEL, indica i documenti che il tesoriere deve allegare al conto della gestione di cassa (che egli è tenuto a rendere all’ente locale entro 30 giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario e a trasmettere alla Corte dei conti entro 60 giorni dall’approvazione del rendiconto). In particolare, la lettera a) (oggetto di abrogazione da parte del decreto-legge in esame) include tra la documentazione da allegare “gli allegati di svolgimento per ogni singola tipologia di entrata, per ogni singolo programma di spesa”.


 

Articolo 57, commi 2-quinquies e 2-sexies
(Certificazione attestante il rispetto del pareggio di bilancio)

 

 

I commi 2-quinquies e 2-sexies dell’articolo 57, introdotti dalla Camera, intervengono sulla disciplina relativa alla documentazione che gli enti territoriali devono produrre per attestare il conseguimento del pareggio del bilancio.

 

In particolare, il comma 2-quinquies prevede, in deroga alla disciplina vigente, che per il solo anno 2017, nel caso in cui la certificazione trasmessa sia difforme dalle risultanze del rendiconto di gestione, gli enti sono tenuti ad inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente, entro il termine perentorio del 31 gennaio 2020.

 

L’articolo 1, commi da 463 a 482, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017) ha introdotto le nuove regole del pareggio di bilancio per gli enti territoriali ai fini del loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. L’intervento consegue alle modifiche recentemente intervenute sulla disciplina dell’equilibrio di bilancio di regioni ed enti locali contenuta nella legge n.243/2012 di attuazione del principio del pareggio di bilancio. Il conseguimento del pareggio del bilancio per gli enti locali e le regioni consiste nel saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali.

Il comma 470 stabilisce che ciascun ente, ai fini della verifica del rispetto dell’obiettivo di saldo, debba inviare alla Ragioneria generale dello Stato, entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento una certificazione dei risultati conseguiti, firmata dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dall'organo di revisione economico-finanziaria. La mancata trasmissione della certificazione entro tale termine costituisce inadempimento all’obbligo del pareggio di bilancio (con applicazione delle conseguenti sanzioni).

In particolare, il comma 473 (rispetto al quale la disposizione in esame introduce una deroga, per il solo anno 2017) impone la corrispondenza tra i dati contabili rilevanti ai fini del conseguimento del saldo e le risultanze del rendiconto di gestione. Nel caso in cui la certificazione trasmessa sia difforme dalle risultanze del rendiconto di gestione, gli enti sono tenuti ad inviare una nuova certificazione a rettifica della precedente, entro il termine perentorio di sessanta giorni dall'approvazione del rendiconto e, comunque, non oltre il 30 giugno del medesimo anno per gli enti locali e il 30 settembre per le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Il comma 2-sexies prevede che agli oneri derivanti dal precedente comma 2-quinquies si provvede con le risorse non utilizzate di cui all’articolo 1, comma 479, lettera b), della legge n.232/2016.

L’articolo comma 479, lettera b), della legge n. 232/2016 ha introdotto, a decorrere dall'anno 2018, un sistema premiale in favore degli enti territoriali che oltre al conseguimento del pareggio di bilancio conseguono una serie di risultati. Gli incentivi sono di due tipi: una premialità monetaria e un alleggerimento dei vincoli alla spesa del personale. In particolare, a città metropolitane, province e comuni che rispettano il pareggio sono assegnate, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 30 luglio di ciascun anno, le eventuali risorse derivanti dalla riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale e dai versamenti e recuperi, effettivamente incassati, per essere destinate alla realizzazione di investimenti. L'ammontare delle risorse per ciascuna città metropolitana, provincia e comune è determinato d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

 

 

 

 

 

 

 


 

Articolo 57, comma 2-septies
(Disapplicazione di sanzioni agli enti locali per violazioni
del patto di stabilità e del pareggio di bilancio)

 

 

Il comma 2-septies dell’articolo 57, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, amplia le ipotesi di disapplicazione delle sanzioni previste per gli enti locali in caso di mancato rispetto del pareggio di bilancio, con riferimento agli enti locali in stato di dissesto, qualora il mancato raggiungimento del saldo obiettivo sia diretta conseguenza del pagamento dei debiti residui.

 

La disposizione, in particolare, modifica l’articolo 1, comma 829, della legge n. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019), prevedendo che agli enti locali in stato di dissesto, i quali hanno adottato la procedura semplificata di accertamento e liquidazione dei debiti, non vengano applicate le sanzioni previste per il mancato raggiungimento del saldo obiettivo nel caso in cui questo sia diretta conseguenza del pagamento dei debiti residui, a prescindere dal fatto che tale pagamento avvenga (come attualmente richiesto) mediante utilizzo di una quota dell’avanzo accantonato.

 

L’articolo 1, commi da 827 a 830, della legge n.145/2018 (legge di bilancio per il 2019) ha escluso, in specifiche ipotesi, l’applicazione delle sanzioni previste a carico degli enti locali per le violazioni della normativa sul patto di stabilità interno e sul pareggio di bilancio

In particolare, il comma 829 dispone, per gli enti locali in stato di dissesto, i quali hanno adottato la procedura semplificata di accertamento e liquidazione dei debiti (di cui all’articolo 258 del TUEL), la disapplicazione delle sanzioni previste dall’articolo 1, comma 475, della legge n. 232/2016[30] nel caso in cui il mancato raggiungimento del saldo obiettivo sia diretta conseguenza del pagamento dei debiti residui mediante utilizzo di una quota dell’avanzo accantonato.

 


 

Articolo 57, comma 2-octies
(Formazione del personale dei comuni montani)

 

 

L’articolo 57, comma 2-octies, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera, prevede che l'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM) organizzi le attività strumentali volte a promuovere la capacità dei comuni dei territori montani di dare attuazione a talune recenti leggi, utilizzando a tal fine il contributo dello 0,9 percento del sovracanone annuo pagato dai concessionari di grandi derivazioni d'acqua per produzione di forza motrice, le cui opere sono situate nell'ambito del perimetro imbrifero montano.

 

La disposizione prevede che l’UNCEM organizzi le attività strumentali necessarie a consentire l'avvio e la prosecuzione dei servizi, anche di formazione del personale, finalizzati a fornire adeguati strumenti formativi e conoscitivi per una efficace azione dei comuni dei territori montani, delle unioni montane dei comuni e delle comunità montane per l'attuazione dei disposti di cui:

§  alla legge n.158/2017 (Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni);

§  al decreto legislativo n. 34/2018 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali);

§  alla legge n.221/2015 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali).

 

A tal fine, l'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM) organizza le relative attività strumentali.

L’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani è l’organizzazione nazionale unitaria, presente in ogni realtà regionale con proprie delegazioni, che raggruppa e rappresenta i Comuni interamente e parzialmente montani e le Comunità montane, e le Unioni montane di Comuni, oltre ad associare varie amministrazioni ed enti (province, consorzi, camere di commercio) operanti in montagna.

 

Per tale scopo, il comma dispone che venga impiegato il contributo dello 0,9 per cento del sovracanone - di cui all'articolo 1 della legge 959 del 27 dicembre 1953 - dovuto dai concessionari di derivazione d’acqua per produzione di forza motrice le cui opere di presa ricadenti nel perimetro dei bacini imbriferi montani (BIM).

Con il termine di bacino imbrifero montano, introdotto dalla legge 27 dicembre 1953 n. 959, si intende il territorio delimitato da una cintura montuosa o collinare che funge da spartiacque, ubicato al di sopra di una certa quota assoluta stabilita bacino per bacino.

La stessa legge ha disposto la costituzione dei Consorzi BIM quali consorzi obbligatori di Comuni che si costituiscono, su richiesta di non meno di 3/5 dei comuni stessi, per una gestione associata delle entrate derivanti dai sovracanoni, previsti espressamente dall’art. 1 comma 8 della medesima legge, a favore delle comunità locali che sopportano uno sfruttamento dell’acqua presente sul proprio territorio ai fini di produzione energetica.

Qualora non si raggiunga la maggioranza prevista, il sovracanone è versato direttamente ai comuni.

Il sovracanone è dovuto – ai sensi del comma 8 - dai concessionari di derivazione d’acqua per produzione di forza motrice, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nel perimetro dei bacini imbriferi montati.

La legge 925/1980 ha disposto all’articolo 1 che la misura del sovracanone, dovuto ai sensi dell'ottavo comma dell'articolo 1 della legge n. 959/1953, dai concessionari di derivazioni d'acqua per produzioni di forza motrice, con potenza nominale media superiore a chilowatt 220, fosse oggetto di rivalutazione e che tale rivalutazione fosse aggiornata con decreto ministeriale ogni 2 anni.

Si ricorda, infine, che il comma 137 dell'articolo unico della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), con decorrenza dal 1° gennaio 2013, ha previsto l'estensione dei sovracanoni idroelettrici BIM a tutti gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori dei comuni compresi in un bacino imbrifero montano già delimitato.

I sovracanoni sono estesi – dispone il comma – per consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei comuni e dei bacini imbriferi montani. Successivamente, la legge n. 221/2015 (articolo 62, che ha inserito un nuovo comma 137-bis alla legge n. 228/2012), ha annullato la ripartizione in due scaglioni differenziati della misura del sovracanone BIM e ha disposto che lo stesso sovracanone sia comunque dovuto, anche se non funzionale alla prosecuzione degli interventi infrastrutturali.

Recentemente la Corte di Cassazione (Cassazione sentenza n. 16157/2018) ha ritenuto che il sovracanone BIM richiesto al concessionario di utenza idrica configura una prestazione patrimoniale imposta a fini solidaristici e ha, pertanto, natura tributaria; infatti la legislazione statale (articolo 1, quattordicesimo comma, legge 959/1953) prevede la destinazione del sovracanone a un Fondo comune gestito dai consorzi per finalità di promozione dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate e per la realizzazione delle opere che si rendano necessarie per rimediare alla alterazione del corso naturale delle acque.

Con Decreto 21 dicembre 2017, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha fissato la misura del sovracanone annuo per il biennio 1 gennaio 2018 - 31 dicembre 2019, in € 30,67 per ogni kW di potenza nominale media concessa.

 

Le modalità per l'effettuazione dei suddetti servizi e per l'attribuzione delle risorse devono essere disciplinate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

 

 

 

 

 


 

Articolo 57, comma 2-novies
(Contributo alla Fondazione IFEL)

 

 

L’articolo 57, comma 2-novies, introdotto nel corso dell’esame in presso la Camera, autorizza la spesa di 4 milioni per l’anno 2019 e 1 milione per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023 a favore della Fondazione IFEL (Istituto per la finanza e l’economia locale).

 

Il contributo a favore della Fondazione IFEL è autorizzato per il finanziamento di interventi di supporto ai processi di investimento comunali, di sviluppo della capacità di accertamento e riscossione, di prevenzione delle crisi finanziarie.

 

Si ricorda che la Fondazione IFEL, è stata costituita dall’ANCI in data 16 marzo 2006, ai sensi del D.M. Economia del 22 novembre 2005, in attuazione del comma 2-ter del D.L. n. 7/2005, che ha attribuito all’ANCI l’obbligo di proseguire i servizi finalizzati a fornire adeguati strumenti conoscitivi per una efficace azione accertativa dei Comuni, nonché per agevolare i processi telematici di integrazione nella pubblica amministrazione ed assicurare il miglioramento dell’attività di informazione ai contribuenti. Conformemente a quanto previsto dal citato decreto attuativo del 22 novembre 2005, l’IFEL è succeduta in tutti i rapporti attivi e passivi del Consorzio ANCI-CNC per la fiscalità locale, costituito in data 22 febbraio 1994, sulla base del decreto legislativo 504 del 1992, con cui è stata istituita l'Imposta Comunale sugli Immobili (ICI)[31].

In particolare, l’articolo 10, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992, e successive modificazioni, nell’assegnare all’ANCI tali compiti ha previsto un contributo originariamente pari allo 0,6 per mille del gettito ICI, posto a carico dei concessionari del servizio nazionale della riscossione, e ribadito nell’articolo 3 del D.M. Economia 22 novembre 2005. L’ammontare del predetto contributo è stato successivamente elevato – tramite apposite novelle al comma 1 dell’articolo 3 del decreto 22 novembre 2005 - allo 0,8 per mille del gettito ICI dall’articolo 1, comma 251, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), poi, all’1 per mille dell’ICI per effetto dell’articolo 1, comma 23, lettera b), della legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010), che ha affidato all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), attraverso l’IFEL, ulteriori compiti relativi all’analisi dei bilanci e della spesa locale al fine di individuare i fabbisogni standard dei comuni, e successivamente per l’anno 2012, dall’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 16/2012, nella misura dello 0,8 per mille del gettito IMU (in luogo dell’ICI, sostituita dall’imposta municipale propria dal 1° gennaio 2012, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 del D.L. n. 201 del 2011), da versarsi all’IFEL a carico dei comuni e non più dei concessionari della riscossione. Infine, il comma 386 della legge n- 228/2012 ha rideterminato il contributo destinato al finanziamento dell’Istituto per la finanza e l’economia locale (IFEL) per gli anni 2013 e 2014, fissandolo nella misura dello 0,6 per mille del gettito dell’IMU spettante ai comuni, con riferimento alla quota di gettito relativa agli immobili diversi da quelli destinati ad abitazione principale e relative pertinenze. Con l’entrata in vigore dell’IMU e l’obbligatorietà della delega F24, il contributo è trattenuto dalla Struttura di Gestione, di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, a valere sulla quota dei versamenti dell’imposta municipale propria.

 

Resta comunque fermo, per la Fondazione IFEL, l’obbligo del riversamento all’entrata del bilancio dello Stato, entro il 2019, delle somme dovute in attuazione della normativa, applicabile anche agli enti dotati di autonomia finanziaria, volta alla riduzione dei costi amministrativi.

 

La norma in esame si riferisce alle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 3, del D.L. n. 95/2012, che ha previsto l’obbligo, per gli enti inseriti nell’elenco ISTAT[32] di adottare interventi di razionalizzazione e riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare determinati risparmi; le somme derivanti da tale riduzione sono versate, da ciascun ente, ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno.

L’articolo 6 del D.L. n. 78/2010 prevede inoltre varie misure di riduzione dei costi degli apparati amministrativi. Si tratta, in particolare,  del comma 3 (riduzione indennità, compensi, gettoni, retribuzioni e altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle PA ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo), comma 6 (riduzione compensi dei componenti degli organi di amministrazione e di quelli di controllo nelle società inserite nel conto della PA e nelle società possedute direttamente o indirettamente in misura totalitaria), comma 7 (riduzione spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni), comma 8 (spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza), comma 9 (spese per sponsorizzazioni), comma 11 (riduzione di spesa per studi e consulenze, per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché per sponsorizzazioni sostenute da società inserite nel conto della PA), comma 12 (spese per missioni), comma 13 (spese per attività di formazione).

Il comma 21, con specifico riferimento agli enti dotati di autonomia finanziaria (tra cui rientra IFEL) prevede il versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme provenienti dalle riduzioni di spesa effettuate ai sensi dall’articolo 6.

Si fa presente che tali disposizioni sono contenute tra le norme di cui l’articolo 72 (Allegato     A) del disegno di legge di bilancio per il 2020 (attualmente all’esame del Senato – A.S. 1586) prevede, a decorrere dal 2020, la disapplicazione (a fronte dell’introduzione di un nuovo metodo di definizione dei livelli di riduzione della spesa richiesti).

 

Alla copertura degli oneri si provvede:

a)   quanto a 4 milioni per il 2019, mediante corrispondente riduzione del Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione (istituito dall’articolo 1, comma 200, legge n. 190/2014);

b)  quanto a 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2020, 2021, 2022 e 2023, mediante riduzione del Fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del MEF per il 2019, allo scopo utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’economia e delle finanze.


 

Articolo 57, commi 2-decies-2-quaterdecies
(Contributo a favore di comuni interamente
confinanti con Paesi non UE)

 

 

I commi da 2-decies a 2-quaterdecies dell’articolo 57, introdotti nel corso dell’esame presso la Camera, prevedono l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, di un Fondo con una dotazione pari a 5,5 milioni di euro per l'anno 2019, destinato al pagamento dei debiti, esigibili al 31 ottobre 2019, contratti da comuni italiani interamente confinanti con Paesi non appartenenti all'Unione europea con enti e imprese aventi sede legale in tali Paesi. Una quota del Fondo, non inferiore a 3 milioni, viene riservata all'incremento della massa attiva della gestione liquidatoria destinata al pagamento dei suddetti debiti contratti dai comuni che hanno deliberato il dissesto finanziario entro il 31 dicembre 2018 e che sono interamente confinanti con i medesimi Paesi.

 

Più in dettaglio, il comma 2-decies istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'interno un Fondo con una dotazione di 5,5 milioni di euro per l'anno 2019.

Tale Fondo è destinato al pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 ottobre 2019 contratti con enti e imprese aventi sede legale in Paesi non appartenenti all'Unione europea da parte di comuniinteramente confinanti” con i medesimi Paesi (comma 2-undecies).

 

Le parole “interamente confinanti” sembrano configurare la fattispecie dell’exclave, in questo caso interna a Paesi non UE. La disposizione sembrerebbe riguardare unicamente il comune di Campione d’Italia, in quanto completamente circondato dal territorio della Confederazione Elvetica. In tal caso sarebbe opportuno fare esplicitamente riferimento, nel testo, a tale comune.

 

Il comma 2-duodecies destina una quota del Fondo, non inferiore a 3 milioni di euro per l'anno 2019, all'incremento della massa attiva della gestione liquidatoria di comuni, interamente confinanti con Paesi non appartenenti all'Unione europea, che hanno deliberato il dissesto finanziario entro il 31 dicembre 2018, per il pagamento dei debiti da essi contratti con enti e imprese aventi sede legale in Paesi non appartenenti all'Unione europea.

Si ricorda che il comune di Campione d'Italia ha deliberato il dissesto finanziario nel giugno 2018 e con D.P.R. 12 luglio 2018 è stato nominato il Commissario straordinario di liquidazione, per l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregresso e per l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti del comune (per approfondimenti si rinvia al box successivo).

 

Il comma 2-terdecies prevede la ripartizione del Fondo tra i beneficiari di cui ai commi 2-bis e 2-ter con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 28 dicembre 2019.

 

Posto che l’unico beneficiario del Fondo sembrerebbe il comune di Campione d’Italia, il decreto di riparto sembrerebbe finalizzato unicamente ad individuare le somme da assegnare al Commissario straordinario di liquidazione (in misura minima pari a 3 milioni) per l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregresso, e quelle da assegnare al Comune di Campione per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 ottobre 2019 (in misura massima pari a 2,5 milioni).

 

Il comma 2-quaterdecies provvede alla copertura dell’onere, pari a 5,5 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo del Fondo di parte corrente relativo ai residui passivi perenti reiscritti in bilancio, dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (costituito ai sensi del comma 5 dell'articolo 34-ter della legge di contabilità n. 196/2009).

 

Si ricorda che, di recente, con il D.L. n. 34/2019 (cd. Decreto crescita) e, prima ancora, con il D.L. n. 119/2018 (articolo 25-octies) e con la legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 570, legge n. 145/2018), il legislatore è intervenuto per dare sostegno finanziario al comune di Campione d’Italia, a seguito della situazione di grave squilibrio finanziario dell’ente conseguente al fallimento della Casa da gioco, imputabile, secondo quanto rilevato dalla Corte dei conti (deliberazione della Corte dei conti n. Lombardia/101/2018/PRSP del 6 aprile 2018), principalmente alla mancata riscossione delle somme accertate verso la Società Casinò di Campione d’Italia S.p.a., società a totale partecipazione comunale costituita per la gestione della casa da gioco, i cui proventi, al netto dei costi, sono destinati al comune socio.

Di conseguenza, il comune di Campione d'Italia ha deliberato il dissesto finanziario nel giugno 2018 e con D.P.R. 12 luglio 2018 è stato nominato il Commissario Straordinario di Liquidazione, per l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregresso e per l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti del comune.

Secondo la normativa vigente (di cui all’articolo 10-bis del D.L. n. 174/2012), la gestione della casa da gioco di Campione d’Italia è affidata ad una società per azioni - la Società Casinò di Campione d’Italia S.p.A., costituita in data 31 luglio 2014 - soggetta a certificazione di bilancio, il cui socio unico è il Comune di Campione d’Italia; la stessa società è sottoposta al controllo dei Ministeri dell’interno e dell’economia e delle finanze, attraverso la nomina di 2 rappresentanti nel collegio sindacale. A valere sui proventi annuali della casa da gioco - al netto del prelievo fiscale - viene quantificato il contributo finalizzato al finanziamento del bilancio del comune di Campione d’Italia.

A seguito del ridimensionamento degli introiti della casa da gioco e del conseguente squilibrio finanziario del comune, con l’articolo 1, comma 763, della legge n. 208/2015 è stato attribuito al comune di Campione d’Italia un contributo di 9 milioni di euro per l’anno 2016 e, successivamente, in sede di riparto del Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali solo in termini di saldo netto da finanziare (istituito dal comma 433, dell’art. 1 della legge n. 232/2016), con il D.P.C.M. 10 marzo 2017 è stato costituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’interno (cap. 1379), con dotazione nel limite massimo di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, in considerazione delle particolari condizioni geo-politiche del comune[33].

Più di recente, con il cd. D.L. Crescita (D.L. n. 34/2019, articolo 38, comma 2-quinquies) è stato corrisposto al comune di Campione d’Italia un contributo fino alla misura massima di 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019, per le esigenze di bilancio del comune, finalizzato a riportare in equilibrio di bilancio del comune di Campione d’Italia, che, a seguito del fallimento e della conseguente chiusura della casa da gioco non è più nelle condizioni di erogare i servizi pubblici essenziali e di pagare dipendenti e fornitori a causa delle mancate entrate in precedenza garantite dalla Casa da gioco stessa.

Inoltre, per il rilancio di Campione d’Italia, si ricorda quanto disposto dall’art. 25-octies del D.L. n. 119/2018, come modificato dal comma 570 della legge di bilancio 2019 (legge n.145/2018), che ha previsto:

§  la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un commissario straordinario incaricato di elaborare un programma di risanamento del gestore ovvero di valutare la sussistenza delle condizioni per l'individuazione di un nuovo soggetto giuridico per la gestione della casa da gioco nel comune di Campione d'Italia, in particolare anche attraverso la costituzione di una nuova società interamente partecipata con capitale pubblico, che potrebbe operare in deroga a talune disposizioni[34] del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175). Il Commissario è chiamato a predisporre, entro 45 giorni, un piano degli interventi da realizzare, anche in raccordo con gli enti locali e territoriali della regione Lombardia, al fine di superare la crisi sociale e occupazione del territorio, soggetto all’approvazione del Ministero dell’interno. Al Commissario non spettano compensi, gettoni o altri emolumenti;

§  numerose modifiche al regime fiscale di persone fisiche e società di Campione d'Italia, cui sono state concesse specifiche agevolazioni (in particolare, consistenti nella riduzione delle imposte sui redditi e dell’IRAP).

 

 

 


 

Articolo 57, commi 2-quinquiesdecies e 2-sexiesdecies
(Esenzione delle unioni di comuni dall’imposta
sul reddito delle società)

 

 

Il comma 2-quinquiesdecies dell’articolo 57 inserisce le unioni di comuni tra gli enti che non sono soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES) per entrate di carattere commerciale.

 

In particolare, la norma interviene sull’articolo 74, comma 1, TUIR.

 

Si ricorda che l’articolo 74 del testo unico delle imposte sui redditi (T.U.I.R.), di cui al D.P.R. n. 917/1986 elenca, al comma 1, gli organismi pubblici non soggetti all’imposta sul reddito delle società. Si tratta, in particolare di:

§  gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica,

§  i comuni,

§  i consorzi tra enti locali,

§  le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo,

§  le comunità montane,

§  le province,

§  le regioni.

 

Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 74 non costituiscono esercizio dell'attività commerciale

a) l'esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici;

b) l'esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le aziende sanitarie locali nonché l'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria.

 

Con la modifica normativa proposta, quindi, le unioni di comuni vengono ricomprese tra gli enti esclusi dall’IRES.

 

Il comma 2-sexiesdecies prevede la copertura finanziaria degli oneri recati dal comma 2-quinquiesdecies, in termini di minori entrate per lo Stato derivanti dalla riduzione dell'ambito di applicazione dell'IRES.

Alle minori entrate, che vengono valutate in 100.00 euro per l’anno 2021 e in 56.000 euro a decorrere dal 2022, si provvede mediante la corrispondente riduzione del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE).

Articolo 57-bis
(Modifiche alla disciplina della TARI e bonus sociale rifiuti)

 

 

Il nuovo articolo 57-bis, introdotto dalla Camera, proroga la modalità di misurazione della Tari da parte dei Comuni sulla base di un criterio medio-ordinario e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti; fissa al 30 aprile il termine di deliberazione delle tariffe Tari per l’anno 2020; prevede l’accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati agli utenti domestici che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate; consente, dal 1° gennaio 2021, l’accesso in modo automatico al bonus sociale.

 

Il comma 1, lettera a), proroga, fino a diversa regolamentazione disposta dall'ARERA e in attesa di una revisione complessiva del DPR 158/1999, recante le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, la modalità di misurazione della Tari da parte dei Comuni sulla base di un criterio medio-ordinario (ovvero in base alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte) e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti. A tal fine è modificato l’articolo 1, comma 652, della legge di stabilità 2014 (legge n.147 del 2013).

 

In base al comma 652 della legge di stabilità per il 2014, il comune, in alternativa ai criteri previsti dal metodo normalizzato, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti.

Tale disciplina conferma la facoltà già prevista dall’articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013 di commisurare le tariffe della Tares, alternativamente al metodo normalizzato di cui al D.P.R. n. 158 del 1999, alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. In base a quest’ultima norma, quindi, viene confermata la modalità di commisurazione della TARI basata su un criterio medio-ordinario e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti.

Si rammenta che l'articolo 14 della direttiva 2008/98/CE applica al settore della gestione dei rifiuti il principio "chi inquina paga", di cui all'articolo 191, par. I, seconda alinea, Trattato FUE, stabilendo che i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. Gli Stati membri possono decidere che i costi della gestione dei rifiuti siano sostenuti parzialmente o interamente dal produttore del prodotto causa dei rifiuti e che i distributori di tale prodotto possano contribuire alla copertura di tali costi.

L’utilizzo del criterio medio-ordinario, prorogato nel tempo, è stato da ultimo esteso al 2019 dall'art. 1, comma 1093 dalla legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018).

 

In sostanza, la norma consente ai Comuni di adottare i coefficienti di cui alle tabelle 2, 3a, 3b, 4a e 4b dell'allegato 1 dello stesso DPR, in misura inferiore ai minimi o superiori ai massimi ivi indicati del 50 per cento, al fine di semplificare l'individuazione dei coefficienti di graduazione delle tariffe Tari, evitando altresì cambiamenti troppo marcati del prelievo su talune categorie almeno fino a diversa regolamentazione da parte dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente - ARERA.

 

Con la lettera b) del comma 1, si intende assicurare ai Comuni un ordinato processo di deliberazione delle tariffe Tari per l’anno 2020, il cui termine viene fissato al 30 aprile, anziché collegato alla data di deliberazione del bilancio di previsione.

 

La deroga è legata alla recente emanazione della prima direttiva ARERA sui costi del servizio rifiuti in base alla quale dovranno essere formulati o riformulati i piani finanziari relativi al 2020 e si applica anche in caso di esigenze di modifica a provvedimenti già deliberati.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 683, della citata legge di stabilità 2014 prevede che consiglio comunale deve approvare, entro il termine per l'approvazione del bilancio di previsione, le tariffe della Tari in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso ed approvato dal consiglio comunale o da altra autorità competente a norma delle leggi vigenti in materia.

Le tariffe Tari devono essere quindi aggiornate coerentemente ai piani finanziari di gestione dei rifiuti urbani predisposti ed inviati all’ente locale da parte del soggetto che svolge il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. L’impossibilità di acquisire tempestivamente il piano finanziario di gestione ha spesso esposto i Comuni al rischio di non potere approvare per tempo le tariffe Tari (o non poterle compiutamente aggiornare). Separando il termine di approvazione delle tariffe Tari da quello di approvazione del bilancio comunale, si concede, pertanto, ai Comuni più tempo per la ricezione dei piani finanziari la cui tempistica di acquisizione non è nella disponibilità dell’ente locale e per il conseguente aggiornamento della disciplina del prelievo.

 

Il comma 2 prevede l’accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati agli utenti domestici che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate. Gli utenti beneficiari sono individuati in analogia ai criteri utilizzati per i bonus sociali relativi all’energia elettrica, al gas e al servizio idrico integrato.

La declinazione delle modalità attuative è rimandata ad appositi provvedimenti dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, adottati tenuto conto del principio del recupero dei costi efficienti di esercizio e di investimento, sulla base dei principi e i criteri individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Gli oneri derivanti dall’accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati da parte dei soggetti in condizioni economico-sociali disagiate sono coperti facendo ricorso ad apposite componenti perequative.

Si ricorda, al riguardo, che il D.M. 28 dicembre 2007 ha definito i criteri per la definizione delle compensazioni della spesa sostenuta per la fornitura di energia elettrica per i clienti economicamente svantaggiati e per i clienti in gravi condizione di salute, da coprire tramite una componente tariffaria a carico di tutti gli utenti del sistema elettrico, prevedendo anche la modulazione delle componenti a copertura degli oneri di sistema.

 

Il comma 3 consente di estendere ai beneficiari del reddito di cittadinanza anche il c.d. bonus sociale idrico (o “bonus acqua”), oltre ai già previsti bonus elettrico e gas.

L’art. 60, comma 1, della L. 221/2015 ha previsto che l’ARERA – sentiti gli enti di ambito e sulla base dei princìpi e dei criteri individuati con apposito D.P.C.M. – assicura agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Al fine di assicurare la copertura dei conseguenti oneri, il successivo comma 2 dispone che l’Autorità definisce le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

In attuazione di tali disposizioni è stato emanato il D.P.C.M. 13 ottobre 2016, recante “Tariffa sociale del servizio idrico integrato”, che prevede, in particolare, un quantitativo minimo di acqua vitale necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali fissato in 50 litri per abitante al giorno e, con riferimento a tale quantitativo, un “bonus acqua” per tutti gli utenti domestici residenti, ovvero nuclei familiari, di cui sono accertate le condizioni di disagio economico sociale.

Con la deliberazione 21 dicembre 2017, n. 897/2017/R/IDR s.m.i. è stato approvato il testo integrato delle modalità applicative del bonus sociale idrico per la fornitura di acqua agli utenti domestici economicamente disagiati.

Nella sezione “bonus acqua” del sito internet dell’ARERA viene sottolineato che “i soggetti che sono titolari del reddito di cittadinanza (o pensione di cittadinanza) hanno diritto ad accedere al bonus per le forniture elettrica e gas. Possono richiedere anche il bonus acqua, qualora la loro soglia di ISEE sia entro il limite di 8.107,5 euro”.

 

Il comma 4 prevede che il citato bonus idrico venga esteso anche alla fornitura dei servizi di fognatura e depurazione, in tal modo ricomprendendo nel sistema di tutele da garantire alle utenze domestiche maggiormente vulnerabili anche gli ulteriori servizi che compongono il servizio idrico integrato.

In base alla definizione recata dall’art. 141, comma 2, del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006), il servizio idrico integrato (SII) è costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue.

L’articolo 5 del testo integrato delle modalità applicative del bonus sociale idrico per la fornitura di acqua agli utenti domestici economicamente disagiati (contenuto nell’allegato A alla deliberazione 21 dicembre 2017, 897/2017/R/IDR, come modificato e integrato con deliberazioni 227/2018/R/IDR e 165/2019/R/COM) stabilisce che il bonus sociale idrico è riconosciuto dal gestore agli utenti diretti, in bolletta, mediante l’applicazione, pro-quota giorno, di una componente tariffaria compensativa, a decurtazione dei corrispettivi relativi alla quota variabile del servizio di acquedotto.

Nelle premesse della deliberazione 21 dicembre 2017, n. 897/2017/R/IDR s.m.i., l’ARERA ha sottolineato che, nell’ambito del processo di consultazione che ha portato all’emanazione della delibera, è stata evidenziata “l’opportunità di estendere la misura di tutela all’insieme dei servizi che compongono il SII, al fine di tenere conto anche della spesa per i servizi di fognatura e depurazione”.

 

Le disposizioni di cui al comma 5 sono volte a consentire, con decorrenza dal 1° gennaio 2021, l’accesso in modo automatico al bonus sociale per le forniture di energia elettrica e gas naturale e servizio idrico integrato a tutti i soggetti il cui Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) in corso di validità sia ricompreso entro i limiti stabiliti dalla legislazione vigente.

L'ARERA, con propri provvedimenti, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, definisce le modalità di trasmissione delle informazioni utili da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) al Sistema informativo integrato gestito da Acquirente Unico S.p.A. L’ARERA definisce, altresì, le modalità applicative per l’erogazione delle compensazioni, nonché, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, le modalità di condivisione delle informazioni relative agli aventi diritto ai bonus tra il Sistema informativo integrato e il Sistema di gestione delle agevolazioni sulle tariffe energetiche (Sgate) al fine di assicurare il pieno riconoscimento ai cittadini delle altre agevolazioni sociali previste.

 

Infine, il comma 6 prevede che l’ARERA stipuli un’apposita convenzione con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) al fine di assicurare una capillare diffusione ai cittadini delle informazioni relative ai bonus sociali relativi alla fornitura dell’energia elettrica e del gas naturale, al servizio idrico integrato e al servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati.

 

 

 

 


 

Articolo 57-ter
(Organo di revisione economico-finanziario degli enti locali)

 

 

L’articolo 57-ter, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, interviene sulla disciplina in materia di nomina dei revisori dei conti degli enti locali.

 

A tal fine viene novellato il comma 25 dell’articolo 16 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, il quale reca la normativa attualmente vigente per la scelta dei soggetti che possono svolgere la funzione di revisori dei conti degli enti locali, che ha sostituito la disciplina prevista nell’articolo 234 del TUEL (cfr. box seguente).

 

In base alla normativa vigente – recata, come detto, dal comma 25 dell’articolo 16 del D.L. n. 138/2011 – dal 2012 i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante estrazione a sorte da un elenco articolato a livello regionale, nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei revisori legali, nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

Il D.M. Interno 15 febbraio 2012, n. 23, che ha dato attuazione alla suddetta normativa istituendo l’elenco dei revisori dei conti presso il Ministero dell'interno, prevede che tale elenco sia articolato a livello regionale, precisando a tal fine, all’articolo 1, comma 2, che l'inserimento dei soggetti richiedenti nell'elenco avviene con l'iscrizione a livello regionale, in relazione alla residenza anagrafica di ciascun richiedente.

 

Tale disciplina viene modificata dalla lettera a) del comma 1 dell’articolo in esame, al fine di precisare che l’elenco da cui vengono estratti i revisori dei conti degli enti locali sia articolato su base provinciale e non più regionale.

 

Si ricorda che una norma del tutto analoga a quella qui in esame è contenuta all’articolo 13 della proposta di legge (A.C. 1356), attualmente all’esame della V Commissione bilancio della Camera. Nella proposta di legge - secondo quanto esposto in merito nella relazione illustrativa - si rileva la necessità di tale modifica in quanto l’attuale normativa, che prevede che l’elenco dei revisori dei conti degli enti locali si formi su base regionale, può determinare, in caso di regioni molto estese, elevati costi di trasferta (che non possono eccedere la metà del compenso spettante, ai sensi dell’articolo 241, comma 6-bis, del TUEL), ritenendosi pertanto opportuno delimitare tale ambito alla provincia di residenza dei revisori dei conti.

 

La nomina dell’organo di revisione economico-finanziaria negli enti locali

Le disposizioni riguardanti le funzioni dell'organo di revisione degli enti locali sono contenute principalmente nella parte seconda, titolo VII del D.Lgs 267/2000 (Tuel) e fanno riferimento agli articoli dal 234 al 241: la nomina è rimasta prerogativa dell'organo di indirizzo politico (articolo 234 del TUEL) mentre il meccanismo di scelta è stato riformato dall'articolo 16, comma 25, del DL n. 138/2011, che ha previsto la scelta dei revisori dei conti degli enti locali mediante estrazione a sorte da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel Registro dei revisori legali (di cui al D.Lgs. n. 39/2010) nonché gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il Regolamento contenuto nel D.M. Interno 15 febbraio 2012 n. 23 che disciplina i criteri per la formazione dell’elenco, i requisiti dei soggetti che possono farvi parte e l’aggiornamento del suddetto elenco (G.U. 20 marzo 2012, n. 67). L’elenco dei revisori dei conti degli enti locali è istituito presso il Ministero dell’interno ed è articolato in sezioni regionali, in relazione alla residenza anagrafica dei soggetti iscritti, nonché in tre fasce di enti locali, individuate in relazione alla tipologia e alla dimensione demografica degli stessi. Per l'inserimento nell'elenco dei revisori dei conti degli enti locali, i richiedenti devono essere in possesso di determinati requisiti per ciascun raggruppamento di fascia di enti locali. L'iscrizione nell'elenco è effettuata nella fascia di enti locali per la quale è stato dichiarato il possesso dei requisiti previsti (per il 2019, si veda il decreto del 20 dicembre 2018, e le successive integrazioni al predetto elenco disposte con decreti ministeriali del 5 febbraio 2019, del 27 febbraio 2019, del 25 marzo 2019, del 19 aprile 2019, del 10 maggio 2019 e del 28 maggio 2019).

La procedura prevede che gli enti locali sono tenuti a dare comunicazione della scadenza dell'incarico del proprio organo di revisione economico finanziario alla Prefettura-Ufficio territoriale del governo della provincia di appartenenza. L’estrazione è effettuata dalla Prefettura competente per territorio dell'ente locale che deve rinnovare l'organo di revisione. Nel giorno fissato e in seduta pubblica, alla presenza del Prefetto o di un suo delegato, si procede all'estrazione a sorte, con procedura informatica, dall'articolazione regionale dell'elenco ed in relazione a ciascuna fascia di enti locali dei nominativi dei componenti degli organi di revisione da rinnovare. Per ciascun componente dell'organo di revisione da rinnovare sono estratti tre nominativi, il primo dei quali è designato per la nomina di revisore mentre gli altri subentrano, nell'ordine di estrazione, nell'eventualità di rinuncia o impedimento ad assumere l'incarico da parte del primo.

Avuta comunicazione dalla Prefettura dell'esito dell'estrazione, l’ente locale procede alla nomina dei soggetti estratti con delibera del consiglio, previa verifica di eventuali cause di ineleggibilità o incompatibilità. Nei casi di composizione collegiale dell'organo di revisione, le funzioni di presidente del collegio sono svolte dal componente che risulti aver ricoperto il maggior numero di incarichi di revisore presso enti locali e, in caso di egual numero di incarichi ricoperti, ha rilevanza la maggior dimensione demografica degli enti presso i quali si è già svolto l'incarico.

A partire dall’entrata in vigore di tale nuova procedura, basata sulla formazione dell'elenco apposito e sul suo periodico aggiornamento, non trovano più applicazione le disposizioni di cui all'articolo 234, comma 2, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (TUEL), il quale prevedeva che i componenti del collegio dei revisori fossero scelti: a) uno tra gli iscritti al registro dei revisori contabili, il quale svolge le funzioni di presidente del collegio; b) uno tra gli iscritti nell'albo dei dottori commercialisti; c) uno tra gli iscritti nell'albo dei ragionieri.

 

Con la lettera b) del comma 1 viene introdotta una disposizione di deroga alla suesposta disciplina per quel che riguarda la scelta del componente con funzioni di presidente, nei casi di composizione collegiale dell’organo di revisione economico-finanziario.

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 234 del TUEL prevede, per i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane, nonché per le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali dei comuni che ne fanno parte, un collegio di revisori composto da tre membri. Soltanto nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti e nelle comunità montane, ovvero nelle unioni di comuni che non esercitano tutte le funzioni in forma associata, la revisione economico-finanziaria è affidata ad un solo revisore.

In merito, l’articolo 6 del citato D.M. interno 15 febbraio 2012, n. 23 stabilisce che, nei casi di composizione collegiale dell'organo di revisione economico finanziario, le funzioni di presidente del collegio siano svolte dal componente, tra i tre estratti a sorte, che risulti aver ricoperto il maggior numero di incarichi di revisore presso enti locali e, in caso di egual numero di incarichi ricoperti, ha rilevanza la maggior dimensione demografica degli enti presso i quali si è già svolto l'incarico.

 

La deroga disposta dal comma in esame – introdotta mediante l’inserimento del nuovo comma 25-bis nel citato art. 16 del D.L. n. 138/2011 - prevede che, nei casi di composizione collegiale dell’organo di revisione,  i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane, e le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali, eleggono, a maggioranza assoluta dei membri, il componente dell’organo di revisione con funzioni di presidente, scelto tra i soggetti validamente inseriti nella fascia 3), di cui al regolamento di cui al D.M. 15 febbraio 2012, n. 23, o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale, in caso di modifiche al citato regolamento.

 

Si rammenta, al riguardo, che, in base all’all’art. 1, co. 3, del citato D.M. n. 23/2012, l'iscrizione dei soggetti interessati nell'elenco dei revisori avviene, una volta accertato il possesso dei requisiti, in relazione alla tipologia e alla dimensione demografica degli enti locali, raggruppati, a tal fine, nelle seguenti fasce:

a) fascia 1: comuni fino a 4.999 abitanti;

b) fascia 2: comuni con popolazione da 5.000 a 14.999 abitanti, unioni di comuni e comunità montane;

c) fascia 3: comuni con popolazione pari o superiore a 15.000 abitanti, nonché province.

Per l'inserimento nell’elenco, i richiedenti devono essere in possesso di determinati requisiti per ciascun raggruppamento di fascia di enti locali. In particolare, nella fascia 3) sono inseriti i richiedenti in possesso dei seguenti requisiti[35]:

a)   iscrizione da almeno 10 anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;

b)  aver svolto almeno due incarichi di revisore dei conti presso enti locali, ciascuno per la durata di tre anni;

c)   conseguimento, nel periodo 1° gennaio-30 novembre dell'anno precedente, di almeno 10 crediti formativi per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali i cui programmi di approfondimento ed i relativi test di verifica siano stati preventivamente condivisi con il Ministero dell'interno.

 

Il comma 2, infine, dispone la modifica da parte del Governo del decreto del Ministro dell’interno 15 febbraio 2012, n. 23, che disciplina la formazione e l’aggiornamento dell’elenco dei revisori, al fine di prevedere che l’inserimento dei soggetti nell’elenco dei revisori dei conti degli enti locali, di cui all’articolo 1, comma 2, del citato D.M. avvenga a livello provinciale (anziché regionale)

 

Al riguardo si rileva, l’opportunità di individuare espressamente il Ministero competente alla modifica del decreto n. 23/2012 e le relative procedure.


 

Articolo 57-quater
(Indennità di funzione per l’esercizio della carica
di sindaco e per i presidenti di provincia)

 

 

L’articolo 57-quater, introdotto dalla Camera, incrementa l’indennità di funzione dei sindaci dei comuni fino a 3.000 abitanti fino all’85% della misura dell’indennità spettante ai sindaci dei comuni fino a 5.000 abitanti.

Inoltre, prevede l’attribuzione di una indennità in favore del presidente della provincia, pari a quella del sindaco del comune capoluogo, in ogni caso non cumulabile con quella di sindaco.

 

Indennità di funzione dei sindaci dei comuni fino a 3.000 abitanti

Il comma 1 modifica l’articolo 82 del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) introducendo un nuovo comma 8-bis che incrementa l’indennità di funzione spettante ai sindaci dei comuni fino a 3.000 abitanti fino all’85% dell’indennità spettante ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti che è pari a 1.952,21 euro mensili, secondo quanto stabilito dalla tabella A del D.M. 119/2000. Pertanto l’incremento risulta essere pari al massimo a 1.659,38 euro mensili (l’85% di 1.952,21 euro).

Attualmente l’indennità dei sindaci dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti è pari a 1.162,03 euro mensili, mentre quella dei sindaci tra 1.000 e 3.000 abitanti è pari a 1.301,47 euro.

Per effetto della disposizione in esame, le due classi demografiche verrebbero unificate e l’indennità di funzione dei sindaci dei comuni rientranti in entrambe viene elevata nella misura sopra indicata.

 

A titolo di concorso per la copertura del maggior onere sostenuto dai comuni per la corresponsione dell’incremento dell’indennità, il comma 2 dispone l’istituzione presso il Ministero dell’interno di un apposito fondo con una dotazione di 10 milioni a decorrere dal 2020.

La dotazione è dunque a titolo di concorso per la copertura dei costi dell’incremento delle indennità poste a carico dei comuni fino all’eventuale raggiungimento della percentuale di cu sopra.

 

Al finanziamento del fondo si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 13, della L. 208/2015.

Si fa presente che il richiamato articolo 1, comma 13, della legge n. 208/2015 (utilizzata a copertura dell'intervento), non reca una autorizzazione di spesa).

 

La ripartizione del fondo tra i comuni interessati è demandata ad un decreto del Ministro dell’interno, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali (comma 3).

 

Si ricorda che l'ammontare dell'indennità degli altri amministratori locali è proporzionale a quella dei sindaci. Lo stabilisce l’articolo 82, comma 8, lett. c) del TUEL che, nel rinviare la determinazione della misura dell’indennità di funzione degli amministratori locali al decreto del Ministero dell’interno dispone che “l’articolazione dell'indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vice sindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori, in rapporto alla misura della stessa stabilita per il sindaco e per il presidente della provincia”.

 

Andrebbe dunque valutata l’opportunità di specificare se la disposizione in esame è destinata a riverberarsi anche sulla determinazione dell’indennità degli altri amministratori locali, alla luce di quanto previsto dall’articolo 82 del TUEL.

 

Il trattamento economico degli amministratori locali è costituito dall’indennità di funzione e dai gettoni di presenza (articolo 82 TUEL).

L’indennità di funzione è corrisposta per le cariche di sindaco, presidente del consiglio comunale e assessori. I gettoni di presenza sono corrisposti ai consiglieri comunali per la partecipazione alle sedute. La loro corresponsione è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni.

Per effetto di quanto disposto dall’art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56, sono esercitate a titolo gratuito le funzioni attribuite alle cariche delle città metropolitane (comma 24), delle province (comma 84) e delle unioni di comuni (comma 105 e art. 32 T.U. n. 267/2000).

 

L'articolo 82 del TUEL introduce alcuni parametri relativi al trattamento economico degli amministratori locali, demandando ad un decreto del Ministero dell'interno la determinazione monetaria del trattamento. La disposizione è stata attuata con il D.M. 4 aprile 2000, n. 119. L'ammontare base delle indennità dei sindaci e dei gettoni di presenza dei consiglieri comunali è indicato nella Tabella A del citato D.M. 119 del 2000 (a tali importi è stata operata una decurtazione del 10% con la L. 266/2005).


 

Indennità mensile del sindaco (Tab. A D.M. 119/2000 e art. 1, comma 54, L. 266/2005)

Abitanti del comune

Importo DM 119/2000

Importo ridotto 10%

Fino a 1.000

1.291,14

1.162,03

da 1.001 a 3.000

1.446,08

1.301,47

da 3.001 a 5.000

2.169,12

1.952,21

da 5.001 a 10.000

2.788,87

2.509,98

da 10.001 a 30.000

3.098,74

2.788,87

da 30.001 a 50.000

3.460,26

3.114,23

da 50.001 a 100.000 e cap. di provincia fino a 50.000

4.131,66

3.718,49

da 100.001 a 250.000 e cap. di provincia da 50.001 a 100.000

5.009,63

4.508,67

da 250.001 a 500.000 e cap. di provincia da 100.001 a 250.000

5.784,32

5.205,89

Oltre 500.000, compresi i cap. di regione e comuni di cui all’art. 22 del TUEL con oltre 250.000

7.798,50

7.018,65

 

L'ammontare dell'indennità degli assessori è proporzionale a quella dei sindaci, in una misura che varia dal 10% al 65% in rapporto alla classe demografica dell’ente locale.

 

Successivamente, è intervenuto il D.L. 78/2010 che, oltre a sopprimere la parametrazione dell’indennità dei sindaci al trattamento economico fondamentale del segretario generale (art. 5, co. 6, lett. b), ha ridotto l’indennità di funzione di sindaci, assessori ed altri amministratori locali, per un periodo non inferiore a tre anni, di una percentuale pari a: 3% per i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti; 7% per i comuni con popolazione tra 15.001 e 250.000 abitanti; 10% per i restanti comuni (art. 5, co. 7). Nell’operare la riduzione dell’indennità, il D.L. 78/2010 ha rinviato ad un nuovo decreto ministeriale che non risulta ancora approvato e “deve pertanto ritenersi ancora vigente il precedente meccanismo di determinazione dei compensi” (Corte dei conti, Sezione riunite, deliberazione 24 novembre 2012, n. 1; si veda da ultimo Corte dei conti, Sez. di controllo regione Sardegna, parere 23 settembre 2019, n. 58). Per gli importi dell’indennità è dunque necessario fare riferimento a quelli indicati nella tabella A del D.M. del 2000, diminuiti del 10% ad opera della L. 23 dicembre 2005 n. 266 (art. 1, comma 54).

 

A sua volta l'articolo 1, commi 135-136, della L. 56/2014 (c.d. legge Delrio) ha previsto un aumento del numero massimo di consiglieri e degli assessori nei comuni fino a 10.000 abitanti con invarianza della spesa.

In particolare (comma 135), nei comuni fino a 3.000 abitanti, il numero dei consiglieri comunali, oltre al sindaco, è elevato da 6 a 10 e il numero massimo degli assessori è stabilito in 2 (come previsto per i comuni da 1.000 a 3.000 abitanti, mentre sotto i 1.000 non era previsto alcun assessore). Nei comuni da 3.000 a 10.000 abitanti, il numero dei consiglieri comunali, oltre al sindaco, è elevato a 12 (in precedenza era di 7 per i comuni da 3.000 a 5.000 abitanti e di 10 per i comuni da 5.000 a 10.000 abitanti) e il numero massimo degli assessori è stabilito in 4 (come previsto per i comuni da 5.000 a 10.000 abitanti, mentre tra i 3.000 e 5.000 abitanti era stabilito in 3). Al fine di assicurare l'invarianza di spesa connessa all'aumento di cui sopra, i comuni interessati provvedono, prima di applicarla a rideterminare gli oneri connessi allo status degli amministratori locali (indennità, rimborsi spese ecc.), previa specifica attestazione del collegio dei revisori dei conti (comma 136).

 

L'art. 61, comma 10, del D.L. 112/2008 ha previsto che, a decorrere dal 1º gennaio 2009, le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell'articolo 82 del TUEL, venissero rideterminati con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008 per gli enti indicati nel medesimo articolo 82 che nell'anno precedente non avessero rispettato il patto di stabilità. Inoltre, il D.L. 112 ha eliminato la facoltà per gli organi degli enti locali di incrementare, con delibera del consiglio o della giunta, le indennità di funzione (art. 76, comma 3).

 

Si ricorda inoltre che, ai sensi dell’art. 82 TUEL:

§  l’indennità di funzione è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non hanno richiesto l’aspettativa non retribuita (comma 1);

§  le indennità di funzione non sono tra loro cumulabili. L’interessato opta per la percezione di una delle due indennità ovvero per la percezione del 50% di ciascuna (comma 5);

§  agli amministratori che percepiscono l’indennità di funzione non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali del medesimo ente, né di commissioni che di quell’organo costituiscono articolazioni interne ed esterne (comma 7);

§  ai soli fini dell’applicazione delle norme relative al divieto di cumulo tra pensione e redditi, le indennità di funzione ed i gettoni di presenza non sono assimilabili a redditi da lavoro di qualsiasi natura (comma 3).

 

In relazione alla formulazione del testo, il riferimento all’indennità di funzione “minima”, alla rubrica, andrebbe valutato alla luce del contenuto del testo del comma 1, che dispone l’incremento dell’indennità fino ad una misura massima.

 

Indennità di funzione del presidente della provincia

Il comma 4 reintroduce la corresponsione dell’indennità del presidente della provincia, a carico del bilancio della provincia, il cui importo è fissato nella misura pari a quella del sindaco del comune capoluogo [della provincia] ed è in ogni caso non cumulabile a quella di sindaco.

A tal fine, viene modificata la legge 56/2014 e segnatamente l’articolo 1, comma 84 che ha stabilito la gratuità dell’esercizio di una serie di incarichi di amministratore locale, tra cui quello di presidente di provincia. Resta ferma la gratuità dell’esercizio delle altre cariche di cui al comma 84: consigliere provinciale e componente dell'assemblea dei sindaci; nonché di quelle indicate al comma 24: sindaco metropolitano (carica ricoperta di diritto dal sindaco del comune capoluogo), consigliere metropolitano e componente della conferenza metropolitana).

Viene modificato altresì il comma 59 dell’articolo 1 della medesima legge 56/2014, che disciplina la durata in carica del presidente della provincia (fissata 4 anni) integrandolo con l’individuazione dell’importo dell’indennità nella misura della indennità del sindaco del comune capoluogo e prevedendo che essa non sia in ogni caso cumulabile con quella del sindaco.

Si ricorda, in proposito che la legge 56 ha introdotto un sistema elettorale di secondo grado per le provincie, secondo il quale il presidente è un sindaco della provincia eletto dai sindaci e consiglieri comunali della medesima provincia.

La disposizione sembrerebbe applicarsi dunque, in particolare, nel caso la carica di presidente di provincia sia ricoperta da un sindaco di comune diverso da quello del capoluogo di provincia.

 

Si ricorda che la legge Delrio reca una disciplina per il riordino delle province (art. 1, comma 51, L. 56/2014), che si applica, come per le città metropolitane, direttamente nelle regioni a statuto ordinario. La legge definisce le province quali enti di area vasta e stabilisce l'elezione di secondo grado per tali enti.

In base al nuovo assetto ordinamentale, gli organi della provincia sono:

§  il presidente della provincia; è eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia; sono eleggibili i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni. Il presidente della provincia, che resta in carica quattro anni, ha la rappresentanza dell'ente, convoca e presiede il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici ed esercita le funzioni attribuite dallo statuto;

§  il consiglio provinciale; è composto dal presidente della provincia e da un numero di consiglieri variabile in base alla popolazione residente;

§  l'assemblea dei sindaci: è composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia. È competente per l'adozione dello statuto e ha potere consultivo per l'approvazione dei bilanci; lo statuto può attribuirle altri poteri propositivi, consultivi e di controllo.


 

Articolo 57-quinquies
(Capacità fiscale dei comuni, delle province
e delle città metropolitane)

 

 

L’articolo 57-quinquies reca, al comma 1, alcune modifiche alla disciplina per l’adozione della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e alla stima delle capacità fiscali dei comuni, delle province e delle città metropolitane, prevedendo, in particolare, che il relativo decreto del Ministro dell’economia sia adottato previa approvazione della nota metodologia e della stima da parte della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard.

Il comma 2 introduce, inoltre, il previo parere tecnico della suddetta Commissione tecnica per i fabbisogni standard, anche per l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale.

Il comma 3 trasferisce alla Commissione Tecnica per i fabbisogni standard le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

 

In particolare, il comma 1 modifica il procedimento per l’adozione della nota metodologica riferita alla procedura di calcolo e alla stima delle capacità fiscali per i singoli comuni, province e città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, che costituiscono uno dei criteri perequativi per la ripartizione di quota parte del Fondo di solidarietà comunale.

A tal fine è sostituito il comma 5-quater dell'articolo 43 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133.

 

Secondo la normativa vigente, la nota metodologica e la stima delle capacità fiscali, utili ai fini del riparto a fini perequativi del Fondo di solidarietà comunale, sono adottate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (da pubblicare in Gazzetta Ufficiale), previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Lo schema di decreto con la nota metodologica e la stima è trasmesso alle Camere dopo la conclusione dell'intesa (ovvero in caso di mancata intesa) perché su di esso sia espresso, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Il Ministro, se non intende conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette alle Camere una relazione con cui indica le ragioni per le quali non si è conformato ai citati pareri.

Nel caso di adozione delle sole capacità fiscali, rideterminate al fine di considerare eventuali mutamenti normativi e di tenere progressivamente conto del tax gap nonché della variabilità dei dati assunti a riferimento, lo schema di decreto è inviato alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali per l'intesa. Qualora l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza, il decreto.

 

Rispetto alla normativa vigente, la nuova formulazione del citato comma 5-quater è sostanzialmente volta ad introdurre la previsione che le metodologie e le elaborazioni relative alla determinazione delle capacità fiscali dei comuni, delle province e delle città metropolitane, sono definite dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze e da esso sottoposte alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard[36]  (anche separatamente) per l'approvazione.

 

Per quel che concerne la successiva procedura di approvazione della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e alla stima delle capacità fiscali per singolo comune, la nuova formulazione del comma ribadisce sostanzialmente quanto già previsto dalla normativa vigente.

In particolare, viene confermato che la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e la stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario, per la ripartizione di quota parte perequativa del Fondo di solidarietà comunale, sono adottate, anche separatamente, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Rispetto alla normativa vigente è peraltro richiesta la previa approvazione da parte della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard.

 

Lo schema di decreto è inoltre trasmesso alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per l'intesa; qualora ricorra la condizione di cui al comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (quando cioè l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, ed il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata) il decreto medesimo è comunque inviato alle Camere.

Il quarto periodo del presente comma prevede che lo schema di decreto, con la nota metodologica e la stima, è trasmesso alle Camere dopo la conclusione dell'intesa, ovvero in caso di mancata intesa, affinché su di esso sia espresso, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per materia.

Decorso tale termine, il decreto può comunque essere adottato. Il Ministro, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, è tenuto a trasmettere alle Camere una relazione con cui indica le ragioni per le quali non si è conformato ai citati pareri.

 

Viene inoltre confermata la disposizione in base alla quale, nel caso di adozione delle sole capacità fiscali, rideterminate al fine di considerare eventuali mutamenti normativi e di tenere progressivamente conto del tax gap nonché della variabilità dei dati assunti a riferimento, lo schema di decreto è inviato alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali per l'intesa; qualora ricorra la condizione di cui al già citato comma 3, dell'articolo 3, del D.Lgs. n. 281/1997, il decreto medesimo è comunque adottato.

In merito alla riformulazione del comma 5-quater dell'articolo 43 del D.L n. 133/2014, proposta dal comma in esame, si segnala che mentre nel primo periodo si fa riferimento alla “determinazione delle capacità fiscali dei comuni, delle province e delle città metropolitane”, nel periodo successivo, che disciplina la procedura di adozione della nota metodologica e della stima delle capacità fiscali, ci si riferisce invece alle “capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario solamente ai comuni”.

 

I successivi commi 2 e 3 dell’articolo modificano inoltre:

§  il comma 451 dell'articolo 1 della legge n. 232/2016, al fine di introdurre, ai fini dell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, il previo parere tecnico della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (comma 2);

In particolare, il citato comma 451 prevede che i criteri di riparto del Fondo di solidarietà comunale siano stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, previo accordo da sancire in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 15 ottobre dell’anno precedente a quello di riferimento, da emanare entro il 31 ottobre dell’anno precedente a quello di riferimento. In caso di mancato accordo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è, comunque, emanato entro il 15 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento.

§  il comma 34 dell'articolo 1 della legge n. 208/2015, al fine di trasferire alla Commissione Tecnica per i fabbisogni standard le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ora svolte dai competenti uffici della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del D.Lgs. n. 281/1997 (comma 3).

Si rammenta che il citato comma 34 della legge n. 208/2015 ha disposto la soppressione della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e il trasferimento delle funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prima svolte dalla predetta Commissione, ai competenti uffici della Conferenza unificata.

 

 

 


 

Articolo 58
(
Quota versamenti in acconto)

 

 

L’articolo 58 modifica la misura dei versamenti della prima e seconda rata dell’acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle società, nonché dell’imposta regionale sulle attività produttive, per i soggetti ISA e per i soci di società con redditi prodotti in forma associata o in regime di trasparenza fiscale, prevedendo due rate di pari importo da versare nei termini ordinari.

 

In particolare la disposizione in esame prevede che (a decorrere dal 27 ottobre 2019) per i soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli indici sintetici di affidabilità fiscale e per quelli che partecipano a società, associazioni e imprese con redditi prodotti in forma associata (articolo 5 TUIR), nonché in quelle che consentono di optare per il regime di cd. trasparenza fiscale (articoli 115 e 116 TUIR) i versamenti di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle società e quelli relativi all’imposta regionale sulle attività produttive sono effettuati in due rate ciascuna nella misura del 50 per cento.

 

Si ricorda che l’articolo 9-bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, ha previsto l’istituzione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) per gli esercenti attività di impresa, arti o professioni. con l’obiettivo di favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili e di stimolare l'assolvimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti e il rafforzamento della collaborazione tra questi e l'Amministrazione finanziaria, anche con l'utilizzo di forme di comunicazione preventiva rispetto alle scadenze fiscali. Gli indici, elaborati con una metodologia basata su analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d'imposta, rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili, ed esprimono su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente, anche al fine di consentire a quest'ultimo, sulla base dei dati dichiarati entro i termini ordinariamente previsti, l'accesso a uno specifico regime premiale. Gli indici si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2018 (comma 931 della legge n. 205 del 2017). Contestualmente all'adozione degli indici cessano di avere effetto, al fine dell'accertamento dei tributi, le disposizioni relative agli studi di settore (articolo 7-bis del decreto legge n. 193 del 2016). Il decreto ministeriale del 28 dicembre 2018 ha stabilito l’esclusione dal regime dei contribuenti che hanno dichiarato ricavi ovvero compensi di  ammontare superiore a 5.164.569 euro.

Per una panoramica completa della disciplina si rinvia alla scheda informativa dell’Agenzia delle entrate, che individua anche gli ISA approvati nonché la circolare n.17 del 2 agosto 2019 dell’Agenzia: Indici sintetici di affidabilità fiscale – periodo di imposta 2018 – primi chiarimenti.

 

Si ricorda inoltre che il regime di trasparenza fiscale si applica alle società di capitali che scelgono di tassare il proprio reddito imputandolo direttamente ai soci per trasparenza, adottando, cioè, lo stesso sistema previsto per le società di persone ovvero società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato (art. 5 TUIR). Il regime di trasparenza si applica:

§  alle società di capitali partecipate da altre società di capitali (art. 115 TUIR);

§  alle società a responsabilità limitata a ristretta base azionaria (art. 116 TUIR).

 

La norma in esame pertanto modifica la misura dei versamenti, rimodulandola in due rate di pari importo, ma non i termini che rimangono quelli ordinari previsti dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435.

 

Si ricorda che l’articolo 17 del dPR 7 dicembre 2001, n. 435 stabilisce che i versamenti di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche, nonché quelli relativi all'imposta regionale sulle attività produttive, sono effettuati in due rate salvo che il versamento da effettuare alla scadenza della prima rata non superi 103 euro. Il quaranta per cento dell'acconto dovuto è versato alla scadenza della prima rata e il residuo importo alla scadenza della seconda. Il versamento dell'acconto è effettuato, rispettivamente:

a) per la prima rata, nel termine previsto per il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all'anno d'imposta precedente;

b) per la seconda rata, nel mese di novembre, ad eccezione di quella dovuta dai soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche e all'imposta regionale sulle attività produttive il cui periodo d'imposta non coincide con l'anno solare, che effettuano il versamento di tale rata entro l'ultimo giorno dell'undicesimo mese dello stesso periodo d'imposta.

 

L’articolo in esame dispone infine che viene fatto salvo quanto eventualmente già versato per l’esercizio in corso con la prima rata di acconto con corrispondente rideterminazione della misura dell’acconto dovuto in caso di versamento unico.

Pertanto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 è fatto salvo l’eventuale versamento della prima rata di acconto ed è dovuta, quindi, la seconda rata, comunque, nella misura del 50 per cento, ovvero l’unica rata nella misura del 90 per cento.

 

Nella relazione tecnica gli effetti della disposizione per il 2019 sono stimati in una perdita di gettito di 1.460 milioni di euro, che vengono recuperati nel 2020.

Articolo 58-bis
(Investimenti Fondi pensione)

 

 

L’articolo 58-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Cameraistituisce una sezione speciale del Fondo per la garanzia delle PMI di cui all’articolo 2, comma 100 della legge n. 662 del 1996 (sul quale si rinvia alla scheda sub art. 41, comma 1, per approfondimenti) per far fronte alla concessione delle garanzie richieste dai Fondi pensione che, a partire dal 1° gennaio 2020, intendano investire risorse per la capitalizzazione e la ripatrimonializzazione delle micro, piccole e medie imprese, nell’ambito di apposite iniziative avviate dalle pubbliche amministrazioni.

 

Nel dettaglio, la sezione speciale ha una dotazione pari a 12 milioni di euro dal 2020 al 2034 ed è prevista, a fronte della concessione della garanzia, una commissione di accesso, a parziale copertura delle spese del predetto Fondo (comma 1).

Le “apposite iniziative avviate dalle amministrazioni pubbliche” (di cui all’art. 1, c. 2, del D.Lgs. 165/2001[37]), nell’ambito delle quali investono i suddetti Fondi pensione, sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del Lavoro, e delle politiche sociali, il Ministro dell’Economia e delle finanze e il Ministro dello Sviluppo economico, sentita la COVIP, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge (comma 3); a far data dalla entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, decorrono trenta giorni per la emanazione del decreto del Ministro della Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, con il quale sono definiti i criteri, le modalità e condizioni di accesso alla sezione speciale di cui al comma 1. La predetta garanzia non afferisce all’entità della prestazione pensionistica, ma alla singola operazione finanziaria (comma 2).

Per le finalità indicate sopra, il Ministro del lavoro e delle Politiche sociali si avvale anche delle attività di analisi e studio del Comitato per la promozione e lo sviluppo della previdenza complementare denominato “Previdenza, Italia”[38], con la partecipazione dei rappresentanti delle Associazione dei Fondi pensione.

In particolare, il predetto Comitato:

§  potrà, se richiesto, supportare i soggetti interessati con analisi e valutazioni delle operazioni di capitalizzazione e internazionalizzazione delle piccole e medie imprese nonché con l’attivazione e il coordinamento di iniziative di promozione e informazione, anche allo scopo di favorire la costituzione di consorzi volontari per gli investimenti dei Fondi pensione (in particolar modo se non sono in grado di attivare autonomamente in modo efficace gli investimenti medesimi);

§  dovrà realizzare iniziative di informazione e formazione finanziaria, previdenziale. assistenziale e di welfare destinate ai medesimi soggetti, nonché alla generalità della collettività, anche in età scolare, ed in generale, qualsiasi iniziativa finalizzata a favorire la crescita del numero di soggetti che aderiscono alle forme complementari di previdenza, assistenza e welfare.

Per il funzionamento del predetto Comitato è stanziato un contributo pari a 1,5 milioni di euro per il 2020 e 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2021 e fino al 2034 (commi 4 e 5).

Agli oneri derivanti dalle predette disposizioni, quantificate in 13,5 milioni di euro per il 2020 e in 14 milioni annui di euro dal 2021 al 2034 si provvede (comma 6):

§  quanto a 1,5 milioni di euro dal 2021 al 2034, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero;

§  quanto a 12 milioni di euro dal 2020 al 2034, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte capitale iscritto nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 

Con propri decreti, il Ministro della Economia e delle Finanze apporta le occorrenti variazioni al bilancio (comma 7).

Funzionamento e investimenti dei Fondi pensione

Nel nostro ordinamento, la materia delle forme pensionistiche complementari è disciplinata dal D.Lgs. 252/2005, come sostanzialmente modificato dal D.Lgs. 28/2007.

Oggetto della disciplina sono, in particolare: le forme pensionistiche di origine contrattuale; le forme pensionistiche aperte, promosse da intermediari bancari, finanziari e assicurativi; le forme pensionistiche individuali e le forme pensionistiche preesistenti. L'esercizio dell'attività dei fondi pensione è subordinato alla preventiva autorizzazione da parte della COVIP, cui consegue l'iscrizione in un apposito Albo istituito presso la Commissione medesima. Alle forme di previdenza complementare possono aderire: i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, quelli autonomi e liberi professionisti, i soci lavoratori di cooperative, anche unitamente ai lavoratori dipendenti delle cooperative interessate ed i soggetti destinatari del "Fondo di previdenza per le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari" (D.Lgs. 565/1996). Alle forme pensionistiche complementari individuali (fondi aperti o PIP) possono aderire anche soggetti diversi da quelli sopra elencati, non sussistendo alcuna preclusione in merito alla platea dei potenziali destinatari. I fondi pensione chiusi sono istituiti dalla contrattazione collettiva, quelli aperti sono promossi da una banca o da una Compagnia di assicurazione.

Per il proprio funzionamento il fondo individua:

§  un "gestore finanziario", un soggetto esterno esperto nella gestione finanziaria (banca, società di intermediazione mobiliare, compagnia di assicurazione, società di gestione del risparmio) con cui stipula apposite convenzioni per la gestione del patrimonio del fondo;

§  una "banca depositaria" presso cui sono depositate le risorse del fondo affidate in gestione;

§  una "società di servizi amministrativi e contabili" necessaria a garantire il funzionamento del fondo a livello amministrativo e contabile;

§  una o più società di assicurazione, con cui stipula apposita convenzione, per l'erogazione delle prestazioni ai propri iscritti (qualora il fondo stabilisca di non provvedere direttamente).

Per quanto attiene, più precisamente, al regime delle prestazioni e modelli gestionali, il D.M. 166/2014 ha individuato i criteri ed i limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione nonché le regole in materia di conflitti di interesse, precisando, in primo luogo che nella gestione delle loro disponibilità i fondi pensione (tranne specifichi requisiti richiesti per forme particolari, come i fondi pensione che coprono rischi biometrici) debbano osservare i seguenti criteri:

§  ottimizzazione della combinazione redditività-rischio del portafoglio nel suo complesso;

§  adeguata diversificazione del portafoglio;

§  efficiente gestione finalizzata a ottimizzare i risultati.

È fatto divieto ai fondi pensione di assumere o concedere prestiti, prestare garanzie in favore di terzi, o, ricorrendo determinate condizioni, investire le disponibilità di competenza in azioni o quote.

Fermo restando il suddetto divieto, le disponibilità dei fondi possono essere investite in strumenti finanziari nel rispetto di specifici criteri e limiti, quali, ad esempio:

§  effettuare operazioni di pronti contro termine ed il prestito titoli, ai fini di una gestione efficiente del portafoglio;

§  detenere liquidità, in coerenza con quanto previsto dalla politica di investimento adottata;

§  utilizzare derivati.

I fondi pensione perseguono l'interesse degli aderenti e dei beneficiari della prestazione pensionistica, osservando i seguenti criteri gestionali.

In particolare, per quanto attiene ai limiti agli investimenti, fermi restando i limiti in precedenza richiamati, le disponibilità del fondo pensione sono investite in misura prevalente in strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati; l'investimento in strumenti finanziari non negoziati nei mercati regolamentati e in OICR alternativi (FIA) è mantenuto a livelli prudenziali (complessivamente è contenuto entro il limite del 30% delle disponibilità complessive del fondo pensione). L'utilizzo di derivati è adeguatamente motivato dal fondo pensione in relazione alle proprie caratteristiche dimensionali, alla politica di investimento adottata e alle esigenze degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni pensionistiche.


 

Articolo 58-ter
(Finanziamento CIGS per cessazione di attività)

 

 

L’articolo 58-ter introdotto nel corso dell’esame presso la Camera – prevede una diversa allocazione delle risorse già stanziate per la proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS) concesso per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà, destinandone una parte, pari a 45 milioni di euro per il 2019, per la proroga della CIGS per cessazione di attività.

 

Preliminarmente, va ricordato che l’articolo 9-bis del D.L. 101/2019 (conv. in L. n.128/2919) ha incrementato, per il 2019, le risorse destinate alla proroga della CIGS concessa per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà (di cui all’art. 22-bis del D.Lgs. 145/2018 – vedi infra) per un importo pari a 90 milioni di euro.

Successivamente - come riportato nella Relazione illustrativa alla proposta emendativa che ha introdotto l’articolo in esame – dal monitoraggio delle istanze pervenute al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, relativamente al 2019, è emerso che, mentre l’incremento per la proroga della suddetta CIGS è sufficiente nella misura di 45 milioni di euro (in luogo dei 90 attualmente previsti), vi è la necessità di un ulteriore stanziamento di risorse finalizzate all’accesso alla CIGS per cessazione di attività (di cui all’art. 44, c. 1, del D.L. 109/2018 – vedi infra).

L’articolo in esame, dunque, provvede alla riallocazione delle suddette risorse, pari a 90 milioni di euro per il 2019, dividendole in parti uguali per ciascuna delle suddette causali di CIGS.

Più nel dettaglio, il 50 per cento viene destinato al finanziamento della CIGS per cessazione di attività e viene confermato l’utilizzo dei restanti 45 milioni di euro per la proroga della CIGS per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà (comma 1).

Conseguentemente, lo stanziamento previsto dal richiamato art. 22-bis del D.Lgs. 145/2018 per quest’ultima CIGS (per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà) viene ridotto di un importo pari a 45 milioni di euro per il 2019, passando a 225 milioni di euro in luogo dei 270 milioni attualmente previsti (commi 2 e 3).

 

CIGS per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà e CIGS per cessazione attività – Quadro normativo

L’articolo in esame fa riferimento ai trattamenti straordinari di integrazione salariale riconducibili a due diverse causali.

La CIGS concessa per riorganizzazione, crisi aziendale o contratto di solidarietà è disciplinata dall’art. 22-bis del D.Lgs. 145/2018 (come modificato, da ultimo, dall’art. 9-bis del D.L. 101/2019) che consente, per il triennio 2018-2020, una deroga ai limiti massimi di durata della CIGS. Tale deroga è ammessa per le imprese che presentino una rilevanza economica strategica, anche a livello regionale, e notevoli problematiche occupazionali, con esuberi significativi nel contesto territoriale. In tale ambito, la deroga è subordinata sia alla stipulazione in sede governativa di un accordo - presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la presenza della regione o delle regioni interessate -, sia alla presentazione, da parte dell'impresa, di piani di gestione intesi alla salvaguardia occupazionale - che contemplino specifiche azioni di politiche attive - concordati con la regione o le regioni interessate, sia alla sussistenza di una delle seguenti ipotesi:

1.   il programma di riorganizzazione aziendale comprenda investimenti complessi, non attuabili nel limite temporale di durata del trattamento straordinario, pari a 24 mesi;

2.   il medesimo programma contenga piani di recupero occupazionale (mediante la ricollocazione delle risorse umane) e azioni di riqualificazione non attuabili nel suddetto limite temporale;

3.   per la causale contratto di solidarietà, qualora permanga, in tutto o in parte, l'esubero di personale già dichiarato nell'accordo;

4.   il piano di risanamento presenti interventi correttivi complessi, intesi a garantire la continuazione dell’attività aziendale e la salvaguardia occupazionale, non attuabili nel limite temporale di 12 mesi.

Per le ipotesi da 1 a 3 si prevede che la proroga possa essere concessa fino ad un limite di 12 mesi, mentre per la quarta ipotesi si ammette un limite massimo di 6 mesi.

Per il complesso delle suddette proroghe è fissato un limite massimo di spesa pari a 100 milioni di euro per il 2018, di 270 milioni di euro per il 2019 e di 50 milioni di euro per il 2020, a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione.

La CIGS concessa per cessazione di attività è disciplinata dall’art. 44, c. 1, del D.L. 109/2018 che prevede la possibilità di autorizzare - a decorrere dal 29 settembre 2018 e fino al 31 dicembre 2020, entro un limite temporale di 12 mesi e previo accordo stipulato in sede governativa - un intervento di cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale qualora l'azienda cessi o abbia cessato l'attività produttiva, anche in deroga ai limiti generali di durata vigenti (pari a 24 mesi in un quinquennio mobile per la cassa integrazione ordinaria e a 12 mesi, anche continuativi, per quella straordinaria) e sussista una delle seguenti ipotesi:

§  risultino concrete prospettive di cessione dell’attività, con conseguente riassorbimento occupazionale;

§  sia possibile realizzare interventi di reindustrializzazione del sito produttivo;

§  siano svolti specifici percorsi di politica attiva del lavoro, posti in essere dalla regione interessata e relativi ai lavoratori dell'azienda in oggetto.


 

Articolo 58-quater
(Accademia dei Lincei)

 

 

L’articolo 58-quater, introdotto dalla Camera incide sul regime fiscale dell’Accademia dei Lincei, al fine di esentare da imposizione, oltre alle attività istituzionali, anche le attività strumentali dalla stessa esercitate non in regime di impresa.

 

A tale scopo, la norma introdotta (comma 1) esenta da imposizione, oltre alle attività istituzionali, anche le attività strumentali esercitate dalla stessa Accademia non in regime di impresa.

Resta ferma l’esenzione fiscale in favore dell’Accademia dei Lincei disposta, in origine, dall’articolo 3 del decreto luogotenenziale n. 359 del 1944 e successivamente ribadita dall’articolo 1, comma 328 della legge di bilancio 2018, modificato dalla norma in esame, per tutti i tributi erariali, regionali e locali vigenti, nonché per ogni altro tributo di nuova istituzione, fatta salva espressa deroga legislativa, con riferimento alle attività istituzionali svolte dalla medesima Accademia non in regime di impresa;

 

Si ricorda che il richiamato articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 359/1944 al comma 1, dispone l’esenzione dell'Accademia “da ogni imposta o tassa generale o locale, presente o futura”, salvo espressa deroga legislativa.

Il comma 2 prevede, ai fini dell’imposta di registro, l’applicazione agli atti dell'Accademia del medesimo trattamento tributario agevolato stabilito per gli atti stipulati dallo Stato.

Con la risoluzione del 13 giugno 2007, n. 2/DPF, l’allora Dipartimento per le politiche fiscali ricordava come la Corte di Cassazione in alcune sentenze (tra cui Sent. n. 7166 del 16 maggio 2002, n. 10490 del 3 luglio 2003, e n. 18964 del 20 novembre 2003) avesse ravvisato l'avvenuta abrogazione della disposizione, limitatamente alle imposte di registro ed ipotecarie e catastali: riferiva il MEF che le argomentazioni della Corte di Cassazione si basavano sulla circostanza che il legislatore della riforma tributaria del 1972 avesse voluto dettare una nuova disciplina delle esenzioni in materia di imposte indirette, con la preventiva abrogazione di ogni norma che prevedesse esenzioni o agevolazioni di qualsiasi natura. L’articolo 78 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e l'art. 23 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, hanno stabilito espressamente che le esenzioni e le agevolazioni relative ai tributi erariali in questione “previste da leggi vigenti alla data del 31 dicembre 1972” si applicassero fino alla data che sarebbe stata indicata da disposizioni successive, e comunque non oltre il 31 dicembre 1974 (Cass. Sent. n. 7166 del 2002).

Di conseguenza sul punto è intervenuta, da ultimo, la legge di bilancio 2018 (articolo 1, comma 328 della legge n. 205 del 2017) la quale ha confermato l’esenzione fiscale disposta in favore dell’Accademia dei Lincei dall’articolo 3 del decreto luogotenenziale n. 359 del 1944 per tutti i tributi erariali, regionali e locali vigenti, nonché per ogni altro tributo di nuova istituzione, fatta salva espressa deroga legislativa, nell’ambito delle attività istituzionali svolte dalla medesima Accademia non in regime di impresa.

 

Si chiarisce che l’esenzione prevista dalle norme in esame opera in deroga alle disposizioni agevolative riguardanti i tributi erariali, regionali e locali vigenti.

 

In base allo statuto, l’Accademia Nazionale dei Lincei è istituzione di alta cultura, che, ai sensi dell’art. 33 della Costituzione, si dà i propri ordinamenti e assolve i compiti istituzionali nell’osservanza delle leggi dello Stato e nei limiti da queste stabiliti. Essa ha lo scopo di promuovere, coordinare, integrare e diffondere le conoscenze scientifiche e, in particolare, si compone di due Classi: Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali; Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Ai fini indicati, l’Accademia, in particolare, tiene assemblee e adunanze delle Classi riunite o delle singole Classi, organizza congressi, conferenze, convegni e seminari nazionali e internazionali; partecipa con i propri soci ad analoghe manifestazioni italiane e straniere e può assumere la rappresentanza anche internazionale di consimili istituzioni culturali; promuove e realizza attività e missioni di ricerca; conferisce premi e borse di studio; pubblica i resoconti delle proprie tornate e le note e memorie in esse presentate nonché gli atti dei congressi, convegni e seminari e di altre iniziative da essa promosse. Fornisce - su richiesta e anche di sua iniziativa - pareri ai pubblici poteri nei campi di propria competenza; eventualmente formula proposte.
Per l’attuazione delle proprie finalità, può accogliere lasciti e donazioni e istituire fondazioni.

È sottoposta alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, che si esplica attraverso la nomina, da parte dello stesso Ministero e del Ministero dell’economia e delle finanze, di alcuni componenti dell’organo di controllo contabile, nonché attraverso la approvazione, da parte del Mibact, dei regolamenti interni, dei bilanci preventivi e consuntivi annuali, nonché dei documenti di programmazione pluriennale, il cui contenuto viene valutato dallo stesso Mibact al solo fine di accertare la congruità tra le risorse utilizzate ed i programmi di attività autonomamente elaborati.

 

Il comma 2 stima le minori entrate derivanti dalle norme in esame in un milione di euro per l'anno 2019 e 490.000 euro annui a decorrere dall'anno 2020. Il comma 3 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 58-quinquies
(Coefficienti per il calcolo della tassa rifiuti
per gli studi professionali)

 

 

L’articolo 58-quinquies, introdotto durante l'esame presso la Camera, modifica la disciplina del metodo normalizzato per la determinazione della tassa per la gestione dei rifiuti urbani (TARI) al fine di equiparare (in termini di coefficienti da utilizzare per il calcolo della tassa) gli studi professionali alle banche e agli istituti di credito.

 

La disciplina del metodo normalizzato a cui si fa riferimento è contenuta nell’allegato 1 al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani).

L’articolo 6 di tale decreto dispone, in ordine al calcolo della tariffa per le utenze non domestiche, che:

§  per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell'ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3 dell'allegato 1 al presente decreto;

§  per l'attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze. Gli enti locali non ancora organizzati applicano un sistema presuntivo, prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per mq ritenuta congrua nell'ambito degli intervalli indicati nel punto 4.4 dell'allegato 1.

 

L’articolo in esame provvede a modificare i punti 4.3 e 4.4 dell’allegato 1, ove sono indicate le varie categorie produttive con i relativi intervalli, costituiti dai coefficienti presuntivi minimi e massimi di produzione dei rifiuti.

La modifica consiste nell’eliminare gli studi professionali dalla categoria “uffici, agenzie, studi professionali” in cui sono attualmente contenuti, per inserirli nella categoria che attualmente riguarda “banche ed istituti di credito”.

Poiché i coefficienti massimi previsti dai citati punti 4.3 e 4.4 per la categoria “banche ed istituti di credito” sono sempre inferiori a quelli minimi previsti dai medesimi punti per la categoria “uffici, agenzie, studi professionali”, lo spostamento in questione sembrerebbe determinare una riduzione della TARI per gli studi professionali.

Articolo 58-sexies
(Parità di genere nelle società quotate)

 

 

L’articolo 58-sexies, introdotto dalla Camera dei deputati, proroga da tre a sei i mandati in cui trovano applicazione, per gli organi apicali delle società quotate, le disposizioni in tema di tutela del genere meno rappresentato previste dalla legge n. 120 del 2011 (legge Golfo-Mosca).

 

Parità di genere nelle società quotate

Per un’analisi della tematica generale della parità di genere, si rinvia alla documentazione pubblicata sul sito internet della Camera ed al relativo dossier di documentazione e ricerca.

 

Con particolare riferimento alle società quotate, la legge n. 120 del 2011 (cd. "legge Golfo – Mosca") ha apportato significative modifiche al TUF, Testo unico della finanza (di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998), allo scopo di tutelare la parità di genere nell'accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati. L'articolo 3 della legge estende il campo di applicazione di tali disposizioni anche alle società controllate da pubbliche amministrazioni (società pubbliche).

Scopo delle norme del 2011 è affrontare la situazione di cronico squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle posizioni di vertice delle predette imprese e riequilibrare l'accesso agli organi apicali.

A tal fine è stato previsto che:

§  per le società quotate in mercati regolamentati, la disciplina in materia di equilibrio di genere sia recata puntualmente dalle disposizioni di rango primario;

§  per le società a controllo pubblico, i principi applicabili rimangono quelli di legge, mentre la disciplina di dettaglio è affidata ad un apposito regolamento, con la finalità di garantire una disciplina uniforme per tutte le società interessate. Tale regolamentazione è contenuta nel D.P.R. 30 novembre 2012, n. 251.

L'articolo 1 della legge n. 120 del 2011 ha introdotto il comma 1-ter all'articolo 147-ter del TUF, le cui disposizioni hanno imposto la modifica degli statuti societari degli emittenti azioni quotate, al fine di prevedere un riparto degli amministratori da eleggere che sia effettuato in modo tale da assicurare l'equilibrio tra i generi, dovendo il genere meno rappresentato ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti.

In caso di mancato rispetto dei predetti criteri di equilibrio dei generi l'autorità di vigilanza è stata dotata di significativi strumenti di intervento. In primo luogo, la CONSOB diffida la società inottemperante affinché si adegui entro il termine massimo di quattro mesi. L'inottemperanza alla diffida comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa (da 100.000 euro a 1 milione di euro) e la fissazione di un ulteriore termine di tre mesi per adempiere. L'inosservanza di tale ultima diffida comporta, infine, la decadenza dei membri del consiglio di amministrazione. Le norme affidano allo statuto societario la disciplina delle modalità di formazione delle liste e dei casi di sostituzione in corso di mandato, al fine di garantire l'equilibrio dei generi. Le disposizioni in materia di equilibrio di genere sono applicabili (per l'inserimento, all'articolo 147-quater del TUF del comma 1-bis che rinvia all’articolo 147-ter) anche al consiglio di gestione, ove costituito da almeno tre membri.

La legge n. 120 del 2011 ha introdotto anche il comma 1-bis dell'articolo 148 TUF, per effetto del quale si prevede che l’atto costitutivo delle società quotate disciplini il riparto dei membri anche con riferimento al collegio sindacale secondo i già commentati criteri di tutela del genere meno rappresentato. In caso di mancato rispetto di tali previsioni è prevista l'attivazione di un'apposita procedure di diffida da parte della Consob in caso di inottemperanza, con eventuale applicazione di una sanzione pecuniaria (da 20.000 a 200.000 euro) e, in ultima istanza, la decadenza dei membri del collegio sindacale della società inottemperante.

Le norme sulla parità di genere negli organi apicali delle società quotate hanno trovato applicazione (articolo 2 della legge n. 120 del 2011) dal primo rinnovo degli organi societari interessati successivo al 12 agosto 2012 (ovvero un anno dall'entrata in vigore delle norme stesse). Sono state previste disposizioni transitorie per il primo mandato degli organi eletti secondo le nuove prescrizioni, al fine di renderne graduale l'applicazione: almeno un quinto degli organi amministrativi e di controllo societario dovevano essere riservati al genere meno rappresentato.

In base alla loro formulazione, le norme in esame sono state concepite per avere un’efficacia temporanea. Per le società quotate (articoli 147-ter e 148 del TUF) il criterio di riparto degli organi apicali volto a tutelare la parità di genere è operativo per tre mandati consecutivi (articolo 147-ter, comma 1-bis; articolo 148, comma 1-bis).

Come già anticipato, le disposizioni in materia di equilibrio di genere (articolo 3 della legge) si applicano anche alle società a controllo pubblico non quotate, demandando però a un regolamento la definizione di termini e modalità di attuazione delle prescrizioni in tema di equilibrio dei generi negli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche.

In merito, il richiamato DPR n. 251 del 2012 ha esteso agli statuti delle società pubbliche non quotate l'obbligo di prevedere modalità di nomina degli organi di amministrazione e di controllo, se a composizione collegiale, tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo. Anche in tali ipotesi gli statuti disciplinano la formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalità di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge. Anche in tale ipotesi, per il primo mandato degli organi apicali la quota riservata al genere meno rappresentato deve essere pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell'organo.

La vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di parità di genere è stata affidata al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità, con presentazione al Parlamento di apposita relazione triennale. Anche la disciplina del richiamato D.P.R. n. 251 è stata introdotta con un’efficacia limitata nel tempo: l’articolo 3 del provvedimento prevede infatti che il rispetto della composizione degli organi sociali sia assicurata per tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo al 12 febbraio 2013 (data di entrata in vigore del D.P.R.).

Successivamente, la disciplina è stata oggetto di intervenuto da parte del Testo Unico sulle società a controllo pubblico (decreto legislativo n. 175 del 2016) che all’articolo 11, comma 4 ha disposto, a regime, che nella scelta degli amministratori di tali società le amministrazioni devono assicurare il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d'anno. Ove la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto prevede che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge n. 120 del 2011. La nozione di controllo è quella stabilita dall'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile. Il D.P.R. n. 251 del 2012 ha esplicitamente previsto che la parità di genere sia tutelata sia negli organi di amministrazione, sia in quelli di controllo delle società pubbliche, ancorché in via temporanea. Il TU sulle società a partecipazione pubblica prevede invece che il rispetto dell’equilibrio di genere, applicabile a regime, riguardi esclusivamente gli organi di amministrazione e non anche quelli di controllo; inoltre, a regime non sono previste specifiche conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto dell’equilibrio di genere.

 

Le norme proposte dall’articolo 58-sexies in commento

Più in dettaglio, l’articolo in esame:

§  al comma 1 sostituisce il comma 1-ter dell’articolo articolo 147-ter del TUF, che disciplina la composizione del consiglio di amministrazione delle società quotate e, attraverso il rinvio effettuato dall’articolo 147-quater, comma 1-bis, riguarda anche il consiglio di gestione: la modifica proroga da tre a sei i mandati in cui trovano applicazione le disposizioni in tema di tutela del genere meno rappresentato;

§  il comma 2 sostituisce il comma 1-bis dell’articolo 148 del TUF, concernente il collegio sindacale, al fine di estendere anche per tale organo da tre a sei i mandati in cui trovano applicazione le disposizioni in tema di tutela del genere meno rappresentato.

 

Le norme in  commento sostanzialmente riproducono il contenuto di alcune proposte di legge, assegnate alle competenti Commissioni permanenti di Camera e Senato (A.S. 1095, A.S. 1028, A.C. 1481) intese a prorogare nel tempo l'operatività delle norme  introdotte dalla legge 12 luglio 2011, n. 120. La 6a Commissione finanze del Senato ha avviato l'esame degli A.S. 1095 e 1028.


 

Articolo 58-septies
(Fondo per le emergenze nazionali)

 

 

L’articolo 58-septies, introdotto dalla Camera dei deputati, incrementa di 40 milioni di euro la dotazione relativa all’anno 2019 del Fondo per le emergenze nazionali, al fine di fronteggiare le emergenze connesse con gli eccezionali eventi meteorologici occorsi nei mesi di ottobre e novembre in diverse regioni del territorio nazionale.

 

L’incremento del fondo per le emergenze nazionali per l’anno 2019, autorizzato dal comma 1 dell'articolo in esame, è finalizzato a fronteggiare le emergenze connesse con gli eccezionali eventi meteorologici che nei mesi di ottobre e novembre 2019 hanno colpito i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto.

Si ricorda che il Fondo per le emergenze nazionali è disciplinato dall’art. 44 del D.Lgs. 1/2018 (Codice della protezione civile). In particolare il comma 1 di tale articolo dispone che per gli interventi conseguenti agli eventi calamitosi relativamente ai quali il Consiglio dei ministri delibera la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, si provvede con l'utilizzo delle risorse del Fondo per le emergenze nazionali, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile.

Relativamente alle calamità in questione si ricorda che, alla data del 30 novembre 2019, risultano pubblicate sulla Gazzetta ufficiale le seguenti delibere del Consiglio dei ministri di dichiarazione dello stato di emergenza:

- delibera 14 novembre 2019, recante “Dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio del Comune di Venezia interessato dagli eventi meteorologici verificatisi a partire dal giorno 12 novembre 2019”. Con la successiva ordinanza 16 novembre 2019, n. 616, sono state dettate disposizioni urgenti per disciplinare la gestione dell’emergenza in questione;

- delibera 14 novembre 2019, recante “Dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio della Provincia di Alessandria interessato dagli eventi meteorologici verificatisi nei giorni 19 e 22 ottobre 2019”. Con la successiva ordinanza 16 novembre 2019, n. 615, sono state dettate disposizioni urgenti per disciplinare la gestione dell’emergenza in questione;

- delibera 21 novembre 2019, recante “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nel periodo dal 14 ottobre all'8 novembre 2019 nel territorio della Città metropolitana di Genova e delle Province di Savona e di La Spezia.

 

È stata emanata anche la delibera 21 novembre 2019, recante “Dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio colpito delle Province di Agrigento, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani interessato dagli eventi meteorologici verificatisi a partire dal mese di settembre 2019”.

 

Il comma 2 disciplina la copertura degli oneri derivanti dal rifinanziamento in questione, disponendo che agli stessi si provvede:

a) quanto a 21 milioni di euro per l’anno 2019, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero;

b) quanto a 19 milioni di euro per l’anno 2019, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del MEF per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al MEF per 9 milioni di euro e l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per 10 milioni di euro.

 

 


 

Articolo 58-octies
(Interventi in materia di sicurezza degli edifici scolastici pubblici)

 

 

L’articolo 58-octies, introdotto dalla Camera dei deputati, istituisce un’apposita sezione del Fondo unico per l’edilizia scolastica, le cui risorse – pari a € 5 mln per il 2019 e a € 10 mln annui dal 2020 al 2025 – sono destinate alla messa in sicurezza e riqualificazione energetica degli edifici scolastici pubblici.

 

Il Fondo unico per l’edilizia scolastica è stato istituito nello stato di previsione del MIUR (cap. 7105) dall’art. 11, co. 4-sexies, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012). In base alla norma istitutiva, nel Fondo devono confluire tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica.

Nei fatti, le linee di finanziamento degli interventi per l’edilizia scolastica sono numerose: si veda, al riguardo, la pagina web dedicata nell’ambito del sito del MIUR[39].

In base al ddl di bilancio per l'anno 2020 e il triennio 2020-2022 (A.S. 1586) lo stanziamento del Fondo unico per l’edilizia scolastica ammonta a € 343,5 mln per il 2020, € 136,5 mln per il 2021 e 144,5 mln per il 2022.

 

In particolare, l’apposita sezione del Fondo unico è destinata a finanziare le esigenze urgenti e indifferibili di messa in sicurezza e riqualificazione energetica degli edifici scolastici pubblici, incluse quelle emerse a seguito delle verifiche di vulnerabilità sismica effettuate ai sensi dell'art. 2, co. 3, della OPCM 20 marzo 2003, n. 3274 (per le zone 3 e 4) e dell'art. 20-bis del D.L. 8/2017 (L. 45/2017) (per le zone 1 e 2).

L’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 ha previsto innanzitutto la classificazione del territorio nazionale (demandata in concreto alla regioni) in 4 zone a pericolosità sismica decrescente: zona 1 (la zona più pericolosa, in cui possono verificarsi fortissimi terremoti); zona 2 (in cui possono verificarsi forti terremoti); zona 3 (in cui possono verificarsi forti terremoti ma rari) e zona 4 (la zona meno pericolosa, in cui i terremoti sono rari). Nel sito del Dipartimento della Protezione civile è disponibile l'elenco dei provvedimenti di classificazione adottati a livello regionale.

Inoltre, l'art. 2, comma 3, dell'O.P.C.M. ha introdotto l'obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso.

In seguito, l’art. 20-bis del D.L. 8/2017 (L. 45/2017) – come modificato dagli artt. 6, co. 3-quinquies e 11-ter del D.L. 91/2018 (L. 108/2018) – ha destinato alle verifiche di vulnerabilità sismica degli edifici scolastici pubblici situati nelle zone sismiche a maggiore pericolosità (zone sismiche 1 e 2), nonché alla progettazione dei relativi, eventuali interventi di adeguamento antisismico, le risorse di cui all’art. 1, co. 161, della L. 107/2015[40], come accertate con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca[41]. Ha, altresì, disposto che almeno il 20% di tali risorse doveva essere destinato agli enti locali che si trovano nelle quattro regioni interessate dagli eventi sismici del 2016 e del 2017.

Aveva, inoltre stabilito che, entro il 31 dicembre 2018, ogni immobile adibito ad uso scolastico situato nelle zone sismiche 1 e 2 doveva essere sottoposto a verifica di vulnerabilità sismica.

Infine, ha previsto che gli interventi di miglioramento e adeguamento sismico degli edifici scolastici che risultano necessari all'esito delle verifiche di vulnerabilità sismica sono inseriti nella programmazione triennale nazionale predisposta in attuazione dell'art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) per essere finanziati con le risorse annualmente disponibili della medesima programmazione triennale, ovvero con altre risorse che si rendano disponibili[42].

 

Le disposizioni attuative, incluse le modalità di accesso alle risorse e le priorità degli interventi, sono stabilite con decreto del Ministro dell’istruzione, della ricerca e dell’università, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, sentiti i competenti dipartimenti della Presidenza del consiglio dei ministri.

 

Alla copertura degli oneri, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di conto capitale iscritto nello stato di previsione del MEF, allo scopo utilizzando l’accantonamento relativo allo stesso MEF.


 

Articolo 59
(
Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 59 incrementa, al comma 1, il Fondo per la riduzione della pressione fiscale e, al comma 2, il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali. Il comma 3 provvede alla quantificazione degli oneri recati dal provvedimento in esame e al reperimento delle risorse da porre a copertura. Il comma 4 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio e, qualora necessario, previa richiesta dell'amministrazione competente, a disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria. Nel corso dell’esame in alla Camera, l’articolo è stato integrato per la copertura degli oneri derivanti dall’articolo 32-ter (Imposta sul valore aggiunto con aliquota agevolata su prodotti igienico-sanitari), effettuata in parte tramite le maggiori entrate dell’articolo 32-ter e in parte a carico del Fondo per interventi strutturali di politica economica.

 

Il comma 1 incrementa il Fondo per la riduzione della pressione fiscale di 5.337,946 milioni di euro per l'anno 2020, di 4.381,756 milioni di euro per l'anno 2021, di 4.181,756 milioni di euro per l'anno 2022, di 4.180,756 milioni di euro per l’anno 2023, di 4.166,516 milioni di euro per l'anno 2024 e di 4.168,136 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025. Tali risorse sono destinate al raggiungimento degli obiettivi programmatici della manovra di finanza pubblica.

Si ricorda che la legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, commi 431-435) ha istituito il Fondo per la riduzione della pressione fiscale, utilizzando le risorse derivanti dai risparmi di spesa prodotti dalla razionalizzazione della spesa pubblica, nonché le risorse che si stima di incassare, in sede di Documento di economia e finanze, a titolo di maggiori entrate, rispetto alle previsioni di bilancio, dalle attività di contrasto all'evasione fiscale. La legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017, commi 1069-1070), intervenendo sulla legge n. 147 del 2013, ha modificato i requisiti di contabilizzazione richiesti per assegnare le maggiori entrate derivanti dal contrasto all'evasione al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, al fine di renderne più flessibile l'utilizzo. Sono stati inoltre ridotti gli appostamenti su tale Fondo per gli anni 2018-2021.

Nel predetto Fondo è altresì eventualmente iscritta una dotazione corrispondente al maggior gettito prevedibile, per ciascun esercizio finanziario, derivante dall'emersione di base imponibile indotta dalla presentazione della dichiarazione integrativa speciale, sulla base di valutazione effettuata dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze. Nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza viene data adeguata evidenza del maggior gettito valutato nei predetti termini.

 

 

Il comma 1-bis, introdotto dalla Camera, incrementa di 2,7 milioni per l’anno 2020 il Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE), istituito nello stato di previsione del MEF dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282/2004.

 

Il comma 1-ter, introdotto dalla Camera, reca la copertura degli oneri derivanti dagli articoli 32-bis e 32-ter (Imposta sul valore aggiunto con aliquota agevolata su prodotti igienico-sanitari) del decreto-legge, pari a 12,3 milioni di euro per l’anno 2020, 9,6 milioni di euro per l’anno 2021, a 15,86 milioni di euro per l’anno 2022 e a 13,24 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023.

 

A tali oneri si provvede:

a) quanto a 12,3 milioni di euro per l’anno 2020 e a 2,1 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021, mediante utilizzo delle maggiori entrate di cui all’articolo 32-ter. Tale articolo, in adeguamento ad una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 20 giugno 2019, sottopone all'applicazione dell'IVA le cessioni di piattaforme di perforazione offshore;

 

b) quanto a 7,5 milioni di euro per l’anno 2021, a 13,76 milioni di euro per l’anno 2022 e a 11,14 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE).

 

Il comma 2 incrementa il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali di 26 milioni di euro per l'anno 2020, 25 milioni di euro per l'anno 2021 e 21 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023.

Si ricorda che il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione in termini di sola cassa, dall’articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 154/2008.

 

Il comma 3 quantifica gli oneri derivanti dagli articoli 19, 21, 22, comma 1, 38, 41, 42, 52, 53, 54, 56, 58, dai commi 1, 2 e 3 (lettere a) e d)) dell’articolo 59 in esame, e provvede al reperimento delle relative coperture.

Gli oneri complessivi vengono valutati in 2.637 milioni di euro per l'anno 2019, a 5.436,296 milioni per l'anno 2020, 4.493,216 milioni per l'anno 2021, a 4.289,976 milioni per l'anno 2022, a 4.290,236 milioni per l'anno 2023, a 4.279,236 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024.

Tali oneri aumentano, ai fini della compensazione degli effetti in termini di indebitamento netto e di fabbisogno a 5.464,296 milioni di euro per l'anno 2020, a 4.526,716 milioni di euro per l'anno 2021, a 4.319,476 milioni di euro per l'anno 2022, a 4.319,736 milioni di euro per l'anno 2023 e a 4.287,736 milioni di euro annui a decorrere dal 2024.

 

Ad essi si provvede:

 

a) quanto a 3.089,310 milioni di euro per l'anno 2019 e, in soli termini di fabbisogno e indebitamento netto, a 14,7 milioni di euro per l'anno 2020, mediante riduzione delle dotazioni di competenza e di cassa relative alle missioni e ai programmi di spesa degli stati di previsione dei Ministeri come indicate nell'elenco 1 allegato al decreto in esame.  Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad accantonare e a rendere indisponibili tali somme.  Entro venti giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, su proposta dei Ministri competenti, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, gli accantonamenti di spesa possono essere rimodulati nell'ambito dei pertinenti stati di previsione della spesa, fermo restando il conseguimento dei risparmi di spesa realizzati in termini di indebitamento netto della pubblica amministrazione. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

La tabella seguente riassume le riduzioni delle dotazioni finanziarie dei Ministeri, che l’Elenco 1 esplicita a livello di missioni e programmi per ciascuno stato di previsione.

(milioni di euro)

Ministero

Riduzioni spese 2019

di cui predeterminate per legge

economia e finanze

2.896,1

704,0

sviluppo economico

31,0

21,0

lavoro e politiche sociali

15,0

15,0

giustizia

15,4

10,0

affari esteri

7,0

6,0

istruzione

0,6

0,0

interno

32,9

32,2

ambiente

2,5

1,5

infrastrutture e trasporti

36,0

5,0

difesa

12,0

0,0

politiche agricole

26,1

19,0

beni culturali e turismo

0,8

0,0

salute

14,0

10,0

totale

3.089,3

823,7

 

Si segnala inoltre che il prospetto riepilogativo degli effetti finanziari del provvedimento, allegato alla relazione tecnica, suddivide tale riduzione di spesa in 2.123,2 milioni di euro di parte corrente e 966,1 milioni di euro di conto capitale.

 

La riforma della legge di contabilità operata nel corso del 2016 ha integrato il processo di revisione della spesa nel ciclo di bilancio, nell'ottica di un rafforzamento della programmazione finanziaria e del raggiungimento di un maggior grado di strutturazione e sistematicità del processo stesso di revisione della spesa.

 In base al nuovo articolo 22-bis, comma 1, della legge n. 196/2009, sulla base degli obiettivi programmatici indicati nel Documento di economia e finanza e di quanto previsto dal cronoprogramma delle riforme indicato nel suddetto documento programmatico, entro il 31 maggio di ciascun anno, con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze (previa deliberazione del Consiglio dei Ministri) sono definiti gli obiettivi di spesa di ciascun Dicastero riferiti al successivo triennio.

In relazione a tali obiettivi, definiti in termini di limiti di spesa e di risparmi da conseguire, i Ministri definiscono la propria programmazione finanziaria, indicando gli interventi da adottare con il successivo disegno di legge di bilancio.

Dopo l'approvazione della legge di bilancio, entro il 1°marzo di ciascun anno, il Ministro dell'economia e ciascun Ministro di spesa stabiliscono in appositi accordi (definiti con decreti interministeriali) le modalità e i termini per il monitoraggio del conseguimento degli obiettivi di spesa. Negli accordi sono quindi indicati gli interventi che si intende porre in essere per la loro realizzazione e il relativo cronoprogramma.

I medesimi accordi possono essere aggiornati, anche in considerazione di successivi interventi legislativi che possano avere effetti sugli obiettivi oggetto dei medesimi accordi.

Il Ministro dell'economia informa il Consiglio dei ministri sullo stato di attuazione degli accordi, sulla base di apposite schede trasmesse da ciascun Ministro entro il 15 luglio. Entro il 1° marzo dell'anno successivo, ciascun Ministro invia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia una relazione – che verrà allegata al DEF - sul grado di raggiungimento dei risultati in riferimento agli accordi in essere nell'esercizio precedente.

La nuova procedura ha trovato attuazione per la prima (e, al momento, unica) volta nell'anno 2017, con riferimento al triennio di programmazione 2018-2020.

L'obiettivo di risparmio stabilito dal Documento di Economia e Finanza 2017 a carico delle Amministrazioni centrali dello Stato e della Presidenza del Consiglio è stato determinato in 1 miliardo per ciascun anno a decorrere dal 2017, in termini di indebitamento netto. In relazione a tale obiettivo è intervenuto il D.P.C.M. 28 giugno 2017, che ha ripartito il suddetto importo tra i vari Ministeri.

Per l'esercizio finanziario 2019, la procedura di programmazione e revisione della spesa dei Ministeri ai sensi dell'articolo 22-bis della legge n. 196/2009 non ha avuto luogo. Tuttavia, la legge di bilancio per il 2019 ha effettuato, nell'ambito dei definanziamenti operati con la Sezione II, misure di razionalizzazione della spesa (spending review), con riduzioni di spesa di oltre 600 milioni di euro annui a decorrere dal 2019 (di cui circa 400 milioni di spesa corrente e 200 milioni di spesa in conto capitale), come indicato nel prospetto riassuntivo degli effetti della Sezione II riportato nella Relazione tecnica aggiornata - presentata in data 9 gennaio 2019 sul testo del disegno di legge di bilancio 2019 come approvato definitivamente dal Parlamento (A.C. 1334-B) - nella Parte II, relativa alla Sezione II.

Si segnala infine che la NADEF 2019, per quanto riguarda le politiche di revisione della spesa (spending review), annette a “misure di efficientamento della spesa pubblica e di revisione e soppressione di disposizioni normative vigenti” un risparmio per il 2020 di oltre 0,1 punti percentuali di PIL, senza tuttavia fornire elementi in ordine agli interventi che si intendono realizzare. Si ricorda che nel DEF 2019 si prospettava un programma di spending review inteso a definire un primo pacchetto di misure nella legge di bilancio per il 2020, con risparmi di spesa corrente pari a 2 miliardi nel 2020 (ammontare invariato rispetto al 2019) a 5 miliardi nel 2021 e a 8 miliardi nel 2022 (valori cumulati).

 

b) quanto a 130 milioni di euro per l'anno 2019, mediante utilizzo delle entrate derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato versate all'entrata del bilancio dello Stato e destinate ad iniziative a vantaggio dei consumatori ai sensi dell'articolo 148, comma 1, della legge finanziaria 2001, che, al 27 ottobre 2019, non sono state riassegnate ai pertinenti programmi di spesa e che sono acquisite, nel predetto limite, definitivamente al bilancio dello Stato;

L'articolo 148 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001 dispone, al comma 1, che le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato siano destinate ad iniziative a vantaggio dei consumatori, facendo salvo quanto disposto dal successivo comma 2. Il comma 2, primo periodo, specifica che le predette entrate possono essere riassegnate anche nell'esercizio successivo - per la parte eccedente l'importo di 10 milioni di euro per l'anno 2018 e di 8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019 - con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ad un apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico (cap.1650/MISE), per essere destinate alle iniziative a vantaggio dei consumatori individuate di volta in volta con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentite le Commissioni parlamentari competenti. Il capitolo di entrata sul quale affluiscono le somme derivanti dalle sanzioni irrogate dall'Autorità è il cap.3592.

Secondo informazioni ricevute per le vie brevi dalla Ragioneria generale dello Stato, alla data del 23 ottobre 2019, sono affluiti al capitolo di entrata complessivi 197 milioni di euro. Decurtati da tale importo i 25 milioni già destinati – dalla legge di bilancio 2019 (L. n. 145/2018)[43] al capitolo di spesa del MISE 1650, i rimanenti 172 milioni di euro sono stati parzialmente utilizzati per circa 18,2 milioni di euro, a copertura di una serie di misure legislative (art. 1, comma 694 della L. n. 205/2017 (L. di bilancio 2018) e artt. 11 e 12 del D.L. n. 101/2019).

 

c) quanto a 90 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo utilizzando quanto a 60 milioni di euro l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze e quanto a 30 milioni di euro l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico;

 

d) quanto a 14,1 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 12, comma 18, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (cosiddetto "decreto Genova").

Si ricorda che il citato l'articolo 12, comma 18 del decreto-legge n.109 del 2018 ("decreto Genova") prevede la copertura delle spese per l'istituzione dell'ANSFISA (Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali), indicando l'attribuzione di risorse pari a complessivi 14.100.000 euro per l'anno 2019, e 22.300.000 euro a decorrere dall'anno 2020. 
Nella risposta all'interrogazione 5-2870 e all'interrogazione 5-02866, resa il 10 ottobre 2019, nella premessa delle quali si dava conto della mancata costituzione dell'Agenzia, il Governo aveva chiarito che "proprio oggi il Consiglio di Stato sta esaminando – ai fini del prescritto parere – sia lo schema di regolamento di amministrazione che lo schema di statuto dell'Agenzia". Ne consegue pertanto che, non essendo ancora operativa la citata Agenzia, le risorse assegnate per il 2019 non sarebbero state utilizzate.

La relazione tecnica al decreto in esame precisa che tale voce di copertura è destinata agli oneri dell’articolo 52, relativo agli incentivi per l'acquisto dei dispositivi antiabbandono;

 

e) quanto a 12 milioni di euro per l'anno 2019, a 5.426,856 milioni di euro per l'anno 2020, a 4.496,666 milioni di euro per l'anno 2021, a 4.293,236 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e a 4.282,236 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024 - che aumentano in termini di fabbisogno e indebitamento netto a 35 milioni di euro per l'anno 2019, a 5.452,856 milioni di euro per l'anno 2020, a 4.530,166 milioni di euro per l'anno 2021, a 4.322,736 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e a 4.290,736 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024 - mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate e delle minori spese derivanti dagli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 20, 24, 26, 27, 28, 29, 31, 32, 33, 36, 37, 38 e 58 del decreto-legge in esame;

 

f) quanto a 30 milioni di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo l’utilizzo delle risorse costituenti il contributo italiano alle spese dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (di cui alla legge n. 848/1957). Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è tenuto a provvedere ai necessari adempimenti, anche sul piano internazionale, per la rideterminazione, nella misura 30 milioni di euro per l’anno 2019, di tale contributo.

Si segnala che un’analoga copertura, per un importo di 20 milioni di euro per l’anno 2018, è stata utilizzata nell’art. 26, comma 3, lett. d) del DL 3 ottobre 2018, n. 119 (“Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria”), convertito, con modificazioni, dalla legge 136/2018.

 

g) quanto a 12,9 milioni di euro, per l'anno 2020, mediante corrispondente utilizzo dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 1 comma 150 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, da imputare alla quota parte del fondo per interventi in favore del settore dell'autotrasporto di cui all'articolo 1, lettera d) del decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti 6 giugno 2019, registrato alla Corte dei Conti il 28 giugno 2019 con n. 1-2304, per il triennio 2019/2021.

L'articolo 1, comma 150 della legge n. 190/2014 aveva autorizzato, a decorrere dal 2015, la spesa di 250 milioni di euro annui per interventi in favore del settore dell'autotrasporto, rendendo strutturale il complesso degli incentivi e dei benefici riconosciuti al settore. Tale importo viene ripartito annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Una quota non superiore al 20 per cento delle risorse di cui al citato comma 150 è destinata alle imprese che pongono in essere iniziative dirette a realizzare processi di ristrutturazione e aggregazione. Tali risorse sono state ridotte a, far data dal 2019, a 240 milioni di euro per anno. 

Il MIT ha comunicato a luglio 2019 che è stato firmato dal Ministro lo schema di decreto ministeriale contenente le modalità di erogazione degli incentivi 2019 all'autotrasporto, pari a 25 milioni di euro, per il rinnovo del parco mezzi. Tuttavia il DM non è stato ancora pubblicato.

La ripartizione dello stanziamento complessivo a favore dell'autotrasporto nel triennio 2019-2021 pari a 240 milioni € è stata definita ad aprile 2019, a seguito di una riunione presso il Ministero del tavolo dell'autotrasporto merci con le associazioni rappresentative del settore, nei seguenti termini: 140 milioni per il rimborso di pedaggi autostradali, 70 milioni per le spese di viaggio non documentate, 25 milioni per investimenti sul rinnovo parco mezzi, 5 milioni per la formazione.

I 25 milioni di euro per il rinnovo del parco mezzi sono così ripartiti:

§  9,5 milioni sono destinati all'acquisizione di autoveicoli nuovi adibiti al trasporto di merci di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 3,5 tonnellate a trazione alternativa a metano CNG, gas naturale liquefatto LNG, ibrida (diesel/elettrico) ed elettrica, nonché per l'acquisizione di dispositivi idonei per la riconversione di autoveicoli per il trasporto merci a motorizzazione termica in veicoli a trazione elettrica. 

§  9 milioni di euro per la radiazione per rottamazione di veicoli pesanti di massa complessiva a pieno carico pari o superiore a 11,5 tonnellate con contestuale acquisizione di veicoli nuovi conformi alla normativa euro VI di massa complessiva a pieno carico a partire da 7 tonnellate, nonché per l'acquisizione di veicoli commerciali leggeri euro 6 di massa complessiva pari o superiore a 3,5 tonnellate fino a 7 tonnellate, in assenza di rottamazione.

§  6 milioni di euro sono destinati all'acquisizione di rimorchi e semirimorchi nuovi per il trasporto combinato ferroviario e marittimo, nonché per trasporti in regime ATP.

§  500.000 euro per l'acquisto di casse mobili e rimorchi o semirimorchi porta casse per facilitare l'utilizzazione di differenti modalità di trasporto in combinazione tra loro senza alcuna rottura di carico.

 

La seguente tabella riepiloga gli oneri e le risorse poste a copertura nel quadriennio 2019-2022, solo per quanto concerne il saldo netto da finanziare.

(milioni di euro)

 

2019

2020

2021

2022

19 (premi scontrini e cashless)

 

50,0

50,0

50,0

21 (Certificazioni fiscali e pagamenti elettronici)

4,0

 

 

 

22 (Credito d’imposta su commissioni pagamenti elettronici)

 

27,0

53,9

53,9

38 (Imposta immobiliare sulle piattaforme marine)

 

8,5

7,6

4,3

41 (Fondo di garanzia PMI)

700,0

 

 

 

42 (Fusioni comuni)

30,0

 

 

 

52 (Incentivi per l'acquisto dei dispositivi antiabbandono)

14,1

 

 

 

53 (Disposizioni in materia di autotrasporto)

12,9

12,9

 

 

54 (Alitalia)

400,0

 

 

 

56 (Compensazione fondo perequativo IRAP)

16

 

 

 

58 (Quota versamenti in acconto)

1.460,0

 

 

 

59 co 1 (Incremento Fondo per la riduzione della pressione fiscale)

 

5.337,9

4.381,8

4.181,8

59 co 2 (Incremento Fondo per l'attualizzazione dei contributi pluriennali)

 

 

 

 

TOTALE ONERI (A)

2.637,0

5.436,3

4.493,3

4.290,0

lett a) Spending review Ministeri

3.089,3

 

 

 

lett b) Sanzioni AGCM

130,0

 

 

 

lett c) Fondo speciale conto capitale (di cui 60 mln tab B MEF e 30 mln tab B MISE)

90,0

 

 

 

lett d) DL Genova

14,1

 

 

 

lett e) maggiori entrate e minori spese DL fiscale

12,0

5.426,9

4.496,7

4.293,2

lett f) contributo ONU

30,0

 

 

 

lett g) autotrasporto

 

12,9

 

 

RISORSE A COPERTURA (B)

3.365,4

5.439,8

4.496,7

4.293,2

DIFFERENZA (B)-(A)

728,4

3,5

3,4

3,3

 

La differenza tra le risorse poste a copertura e gli oneri risulta, sul saldo netto da finanziare, di 728,4 milioni di euro per il 2019, di 3,5 milioni nel 2020, di 3,4 milioni nel 2021 e di 3,3 milioni nel 2022.

In particolare, per il 2019, si tratta della differenza tra le minori spese previste dal decreto in esame (per 1.763,7 milioni di euro) e le minori entrate (per 1.035,3 milioni di euro).

 

Per quanto riguarda il fabbisogno e l’indebitamento netto, si segnala che dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari risultano differenze positive tra risorse poste a copertura e oneri, rispettivamente, di:

§  270 milioni per il 2019, 16,2 milioni per il 2020, 3,4 milioni per il 2021 e 3,3 milioni per il 2022;

§  16,2 milioni per il 2020, 3,4 milioni per il 2021 e 3,3 milioni per il 2022.

 

Il comma 4 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze:

§  ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio;

§  qualora necessario, previa richiesta dell'amministrazione competente, a disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione avviene tempestivamente con l'emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa.

 

 


 

Articolo 59-bis
(Clausola di salvaguardia per le regioni a statuto
speciale e le province autonome di Trento e Bolzano)

 

 

L’articolo 59-bis, introdotto durante l’esame presso la Camera, inserisce la clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, al fine di prevedere che le disposizioni del decreto-legge in esame sono applicabili agli enti a statuto speciale compatibilmente con gli statuti e le relative norme di attuazione.

 

Si ricorda che norme di rango primario, come quelle recate dal decreto-legge, non possono incidere sul quadro delle competenze definite dagli statuti - che sono adottati con legge costituzionale, fonte di grado superiore - e dalle relative norme di attuazione. Le norme di rango primario si applicano pertanto solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di tali enti.

Si tratta di una clausola, costantemente inserita nei provvedimenti che intervengono su ambiti materiali ascrivibili alle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che rende più agevole l'interpretazione delle norme legislative coperte dalla stessa, con un effetto potenzialmente deflattivo del contenzioso costituzionale.

La mancata previsione della clausola potrebbe infatti indurre una o più autonomie speciali ad adire la Corte costituzionale, nel dubbio sull'applicabilità nei propri confronti di una determinata disposizione legislativa (incidente su attribuzioni ad esse riservate dai propri statuti speciali).

La presenza di tale clausola, tuttavia, non esclude a priori la possibilità che una o più norme (ulteriori) del provvedimento legislativo possano contenere disposizioni lesive delle autonomie speciali, quando "singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale"[44].

 

La disposizione specifica, inoltre, che il rispetto degli statuti e delle norme di attuazione è assicurato anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.

 

L'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nello specifico, ha introdotto la cosiddetta clausola di maggior favore nei confronti delle regioni e delle province con autonomia speciale. L'articolo prevede infatti che le disposizioni della richiamata legge costituzionale (e quindi, ad esempio, delle disposizioni che novellano l'art.117 della Costituzione rafforzando le competenze legislative in capo alle regioni ordinarie) si applichino ai predetti enti "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite" e comunque "sino all’adeguamento dei rispettivi statuti".

Tale disposizione attribuisce agli enti territoriali ad autonomia speciale competenze aggiuntive rispetto a quelle già previste nei rispettivi statuti e consente alla Corte costituzionale di valutare, in sede di giudizio di legittimità, se prendere ad esempio a parametro l’articolo 117 della Costituzione, anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa da esso conferita nell'ambito di una determinata materia assicuri una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali.

 


 

Articolo 60
(
Entrata in vigore)

 

 

L’articolo 60 reca le disposizioni sull’entrata in vigore del decreto-legge, che avviene il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (26 ottobre 2019).

 

Il decreto-legge è dunque vigente dal 27 ottobre 2019.

 

 

 

 

 



[1]    Si ricorda che la disciplina del d.lgs. n. 74 del 2000 è stata recentemente modificata dal decreto legislativo n. 158 del 2015 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23).

[2]    Si ricorda che l'ISTAT redige annualmente, ai sensi del comma 3, dell’articolo 1, della legge n. 196/2009, ai fini dell'elaborazione del conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, un elenco degli enti pubblici facenti parte del settore istituzionale della PA (c.d. elenco S13). Per l’anno 2019, l’elenco delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico, è fornito dall’Istat nel Comunicato del 30 settembre 2019 (G.U. n. 229/2019).

[3]    Il contributo non riguarda, si rammenta, gli enti locali appartenenti ai territori delle regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta nonché gli enti locali appartenenti alle province autonome di Trento e Bolzano, in quanto trattasi di territori in cui vige una speciale disciplina per l'attribuzione dei trasferimenti agli enti locali.

[4]    La misura del contributo spettante, inizialmente fissata al 20 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 (art. 20, D.L. n. 95/2012), è stata innalzata al 40 per cento nel 2016 (art. 1, commi 17-18, legge n. 208/2015), al 50 per cento nel 2017 (art. 1, comma 447, legge n. 232/2016) e al 60 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 a decorrere dal 2018 (art. 1, comma 868, legge n. 205/2017). È stato poi previsto un limite massimo al contributo medesimo per ciascun ente beneficiario, che, inizialmente fissato a 1,5 milioni (D.L. n. 90/2014) per le fusioni realizzate dal 2012, è stato rideterminato in misura non superiore a 2 milioni di euro per ciascun beneficiario a partire dal 2016 (art. 1, comma 18, legge n. 208/2015).

[5]    Cfr. ISTAT, Codici statistici delle unità amministrative territoriali, 30 giugno 2019.

[6]    Cfr. ISTAT, Codici statistici delle unità amministrative territoriali - Novità per l'anno 2019, 30 giugno 2019.

[7]    La programmazione nazionale per il triennio 2015-2017 è stata predisposta con DM 29 maggio 2015, n. 322 ed è stata aggiornata, per il 2016, con DM 14 ottobre 2016, n. 790  e, per il 2017, con DM 13 marzo 2018, n. 216.

[8]    Ciò in quanto l’articolo 47 della legge n. 222/1985 stabilisce che la quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, da destinare, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica, è calcolata sull’importo liquidato dagli uffici sulla base delle dichiarazioni dei redditi annuali, relative al relative al terzo periodo d'imposta precedente.

[9]    Si ricorda, a tal fine, che l'approvazione del bilancio di previsione è ordinariamente fissato al 31 dicembre di ogni anno (articolo 151, comma 1, del TUEL), o entro i termini previsti in caso di autorizzazione dell’esercizio provvisorio; l'approvazione del rendiconto è fissato al 30 aprile dell’esercizio successivo a quello di riferimento (articolo 227, comma 2, del TUEL); l'approvazione del bilancio consolidato è fissato al 30 settembre di ogni anno (articolo 151, comma 8, del TUEL).

[10]   Autorizzati nel limite complessivo di 250 milioni di euro annui per gli anni dal 2021 al 2025, di 400 milioni di euro per l'anno 2026, di 450 milioni di euro annui per gli anni dal 2027 al 2031 e di 500 milioni di euro annui per gli anni 2032 e 2033.

[11]   Termini fissati dall’articolo 4 del decreto legislativo n.231/2002.

[12]   31 gennaio dell’esercizio in cui sono state rilevate le suddette condizioni riferite all’esercizio precedente.

[13]   Disposizioni analoghe sono dettate per gli enti che adottano la contabilità economico-patrimoniale (comma 864) e per gli enti del Servizio sanitario nazionale (comma 865).

[14]   Ai sensi dell’articolo 7, comma 4-bis, del decreto-legge n.35/2013.

[15]   Si ricorda che la ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall'ISTAT, con proprio provvedimento, ai sensi del comma 3, dell’articolo 1, della legge n. 196/2009, ai fini dell'elaborazione del conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni. Per l’anno 2019, l’elenco delle amministrazioni pubbliche è fornito nel Comunicato Istat del 30 settembre 2019 (G.U. n. 229/2019).

[16]   Obbligo sancito dall’articolo 7, comma 4-bis, del decreto-legge n. 35/2013.

[17]   “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.”

[18]  Sulla genesi dell'articolo 537-ter, cfr. IAI (a cura di), I regimi di esportazione GtoG di sistemi d'arma: uno studio comparativo, in Osservatorio di politica internazionale, Approfondimenti, n. 131 (maggio 2017).

[19]   Sul tema, cfr. anche ICSA (a cura di), Esportazione dei sistemi d'arma: G2G, modelli comparati, opzioni per l''Italia, in Osservatorio di Politica internazionale, Approfondimenti, n. 150 (luglio 2019).

[20]   SIMEST è società per azioni controllata da Cassa depositi e prestiti S.p.A. attraverso SACE, che detiene il 76% del capitale di SIMEST.

[21]   La compartecipazione regionale al gettito dell'accisa sulle benzine è stata attribuita alle regioni dalla legge 549/1995 (art. 3 commi 12-14) per compensare i trasferimenti statali soppressi a decorrere dal 1996. Secondo le stime di gettito relative alla istituzione della compartecipazione regionale, le somme incassate dall’accisa avrebbero compensano solo in parte la soppressione dei trasferimenti erariali. La legge n. 549/1995 (articolo 3 commi 2-3) aveva perciò istituito contestualmente un fondo perequativo che, insieme ai proventi dell’accisa, doveva garantire che ciascuna regione avrebbe ricevuto dalla trasformazione delle proprie entrate risorse pari a quelle che ciascuna di esse riceveva in base alle leggi “definanziate”. Per gli anni successivi quel fondo perequativo sarebbe stato incrementato al tasso programmato di inflazione. Quel fondo è stato dapprima ridotto del 6 per cento dall’articolo 1, comma 150, della legge n. 662/1996, ed è stato successivamente soppresso ed inglobato nel sistema di perequazione stabilito sulla base del gettito dell’IRAP come stabilito dall'art. 41 del decreto legislativo n. 446/1997, istitutivo dell'IRAP. Questa norma (art. 41 comma 1) è stata poi abrogata dal D.Lgs. 56/2000, ma le risorse corrispondenti al fondo sono attualmente corrisposte a valere sul gettito dell'IRAP (come esplicita l'articolo 8, comma 1 lett. h) della legge 42/2009).

[22]   Si ricorda che il comma 20, nonché i commi da 22 a 25 dell’articolo 1 della legge n. 190 del 2014 introducono alcune agevolazioni in materia di Imposta regionale sulle attività produttive – IRAP, in particolare disponendo l’integrale deducibilità dall’IRAP del costo sostenuto per lavoro dipendente a tempo indeterminato, eccedente le vigenti deduzioni – analitiche o forfetarie – riferibili allo stesso costo, nonché la possibilità a taluni soggetti IRAP di ridurre la base imponibile IRAP di un importo pari alla differenza tra il costo complessivo sostenuto per il personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e l’importo di alcune spese già deducibili ex lege.

[23]   In attuazione della legge di stabilità 2014, a seguito dell’Accordo del 31 marzo 2015 raggiunto in Conferenza Stato-Città.

[24]   Il comma 450 della legge di bilancio per il 2017 (legge n. 232/2016) ha definito un meccanismo correttivo per i comuni delle regioni a statuto ordinario, da applicare nel caso in cui i criteri perequativi di riparto determinino una variazione, in aumento e in diminuzione, delle risorse attribuite a ciascun comune, tra un anno e l'altro, rispetto alle risorse di riferimento, superiore ad una determinata percentuale, fissata, da ultimo, al 4% con il D.L. n. 50/2017 (art. 14), al fine di attenuare gli effetti derivanti dall'applicazione dei fabbisogni standard e della capacità fiscale nel riparto della quota del Fondo di solidarietà comunale destinata a finalità perequative, soprattutto per quei comuni che presentano una capacità fiscale superiore ai propri fabbisogni standard.

[25]   In merito, la Corte dei conti ha ritenuto che la diminuzione delle rate di ammortamento non può essere considerata un risparmio in conseguenza del quale procedere automaticamente a incrementare la spesa corrente, ma che le economie derivanti dalla rinegoziazione del debito debbono essere destinate a spese in conto capitale. In tale senso la Corte dei conti del Piemonte aveva evidenziato che «i risparmi frutto di rinegoziazione non possono essere qualificati quale strumento per offrire risorse immediatamente spendibili in parte corrente dagli enti in “sofferenza”, in quanto l'operazione comporterebbe, tra l'altro, l'irrigidimento dei bilanci futuri “capitalizzando” in senso negativo gli stessi e non offrendo alle generazioni future i benefici di cui potrebbero invece godere, laddove fossero assegnate esclusivamente ad investimenti le spese per indebitamento» (cfr. in tal senso, da ultimo, la Del. n. 12/2019/PAR, Sezione Regionale di Controllo per le Marche).

[26]   Viene definito ente strumentale l'azienda o l'ente, pubblico o privato, nei cui confronti la regione o l'ente locale ha una delle seguenti condizioni:

a) il possesso, diretto o indiretto, della maggioranza dei voti esercitabili nell'ente o nell'azienda;

b) il potere assegnato da legge, statuto o convenzione di nominare o rimuovere la maggioranza dei componenti degli organi decisionali, competenti a definire le scelte strategiche e le politiche di settore, nonché a decidere in ordine all'indirizzo, alla pianificazione ed alla programmazione dell'attività di un ente o di un'azienda;

c) la maggioranza, diretta o indiretta, dei diritti di voto nelle sedute degli organi decisionali, competenti a definire le scelte strategiche e le politiche di settore, nonché a decidere in ordine all'indirizzo, alla pianificazione ed alla programmazione dell'attività dell'ente o dell'azienda;

d) l'obbligo di ripianare i disavanzi, nei casi consentiti dalla legge, per percentuali superiori alla propria quota di partecipazione;

e) un'influenza dominante in virtù di contratti o clausole statutarie, nei casi in cui la legge consente tali contratti o clausole. I contratti di servizio pubblico e di concessione, stipulati con enti o aziende che svolgono prevalentemente l'attività oggetto di tali contratti, comportano l'esercizio di influenza dominante.

Si definisce invece ente strumentale partecipato da una regione o da un ente locale l'azienda o l'ente, pubblico o privato, nel quale la regione o l'ente locale ha una partecipazione, in assenza delle condizioni sopra indicate.

[27]   L’articolo 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010, ha previsto, a decorrere dal 2011, che la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per attività esclusivamente di formazione non deve essere superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009. Si prevede inoltre che le amministrazioni devono svolgere prioritariamente l'attività di formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione, e che gli atti e i contratti posti in essere in violazione del limite suddetto costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale.

[28]   Tali disposizioni prevedono che le amministrazioni statali, le regioni e gli enti locali, e le loro aziende, nonché le unità sanitarie locali che gestiscono servizi per più di 40 mila abitanti, nonché gli enti pubblici, economici e non economici, sono tenuti a dare comunicazione, anche se negativa, al Garante delle comunicazioni delle spese pubblicitarie effettuate nel corso di ogni esercizio finanziario, depositando un riepilogo analitico; sono esentati dalla comunicazione negativa i comuni con meno di 40.000 abitanti.

[29]   A tali enti non si applicano una serie di disposizioni che prevedono:

§  l’obbligo di comunicazione al Garante delle telecomunicazioni delle spese pubblicitarie effettuate nel corso di ogni esercizio finanziario, con deposito di riepilogo analitico (di cui all’articolo 5, commi 4 e 5, della legge n.67/1987);

§  l’obbligo di adozione, ai fini del contenimento delle spese di funzionamento, di piani triennali per l'individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell'utilizzo delle dotazioni strumentali che corredano le stazioni di lavoro nell'automazione d'ufficio, delle autovetture di servizio, dei beni immobili ad uso abitativo o di servizio (articolo 2, comma 594, della legge n.2004/2007);

§  l’obbligo di contenere le spese di missione (che non possono superare il 50% della spesa sostenuta nel 2009 e il 30% della spesa sostenuta nel 2011) e le spese per acquisto, manutenzione e noleggio di autovetture (che non possono superare l’80% della spesa sostenuta nel 2009) (articolo 6, commi 12 e 14, del decreto-legge n. 78/2010 e articolo 5, comma 2, del decreto-legge n.95/2012);

§  l’obbligo di attestare con idonea documentazione, da parte del responsabile del procedimento, che gli acquisti di immobili siano indispensabili e non dilazionabili (articolo 12, comma 1-ter, del decreto-legge n.98/2011);

§  specifici obblighi volti a ridurre, anche attraverso il recesso contrattuale, le spese per locazione e manutenzione di immobili (articolo 24 del decreto-legge n.66/2014).

[30]   In particolare, l’ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato.

[31]   Il Consorzio ANCI-CNC aveva attuato, in dieci anni di attività, nell'ambito dei propri compiti istituzionali, un complesso di servizi finalizzati alla formazione e gestione di anagrafi dei contribuenti tenuti al versamento dell'ICI, assicurando informazioni al Ministero dell'economia e delle finanze, in termini di dati, elaborazioni ed elementi utili per l'applicazione dell’ICI.

[32]   Si ricorda che nell’elenco ISTAT relativo alle unità istituzionali appartenenti al settore delle amministrazioni pubbliche l’IFEL è classificato come “Enti produttori di servizi economici”.

[33]   Per l’utilizzo delle suddette risorse, i commi 7 e 8 dell’articolo 3 del D.P.C.M. 10 marzo 2017, prevedono che, a valere su detto fondo, qualora il tasso di cambio medio del franco svizzero rispetto all'euro dell'anno precedente sia inferiore al valore di 1,31 franchi svizzeri per euro, entro il 28 febbraio dell'anno di riferimento, sia attribuito al Comune di Campione d'Italia un contributo, fino all'importo massimo di 10 milioni di euro annui in caso di parità fra le due valute, in misura direttamente proporzionale allo scostamento del tasso di cambio medio dell'anno precedente dal predetto valore soglia di 1,31. Nel caso contrario - in cui, cioè, il tasso di cambio medio del franco svizzero rispetto all'euro dell'anno precedente superi il valore soglia di 1,31, il Comune versa all'entrata del bilancio dello Stato una somma, fino all'importo massimo di 10 milioni di euro annui in caso di tasso di cambio medio dell'anno precedente di 1,62 franchi svizzeri per euro, in misura direttamente proporzionale allo scostamento del tasso di cambio medio dell'anno precedente dal predetto valore soglia di 1,31.

[34]   Le deroghe riguarderebbero le disposizioni di cui all’articolo 4, commi 1 e 2 (che, in linea generale, consente alle P.A. la costituzione e la partecipazione a società solo per lo svolgimento di attività di produzione di beni e servizi strettamente attinenti al perseguimento delle proprie finalità istituzionali) e dell’articolo 14, comma 6 (ove si prevede che nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita).

[35]   Si riportano, per completezza, i requisiti richiesti per l’iscrizione delle prime due fasce.

Nella fascia 1) degli enti locali sono inseriti i richiedenti in possesso dei seguenti requisiti:

a) iscrizione da almeno 2 anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;

b) conseguimento, nel periodo 1° gennaio-30 novembre dell'anno precedente, di almeno 10 crediti formativi per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali.

Nella fascia 2) sono inseriti i richiedenti in possesso dei seguenti requisiti:

a) iscrizione da almeno 5 anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;

b) aver svolto almeno un incarico di revisore dei conti presso un ente locale per la durata di tre anni;

c) conseguimento, nel periodo 1° gennaio 30 novembre dell'anno precedente, di almeno 10 crediti formativi per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e di gestione economica e finanziaria degli enti territoriali.

[36]   La Commissione tecnica per i fabbisogni standard è stata istituita ai sensi dell’articolo 1, comma 29, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

[37]   Ossia tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie fiscali.

[38]   Il Comitato per la promozione e lo sviluppo della previdenza complementare è stato istituito in data 21 febbraio 2011 anche in considerazione di quanto emerso nel corso di audizioni svolte dalla Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, nel corso della XVI legislatura, sulle problematiche relative alla gestione e all’andamento dei fondi pensione e della previdenza complementare.

[39]   Per ulteriori approfondimenti in materia di edilizia scolastica e sicurezza nelle scuole, si veda l’apposito tema web predisposto dal Servizio Studi della Camera.

[40]   Si trattava delle risorse non utilizzate alla data di entrata in vigore della L. 107/2015 in relazione ai finanziamenti previsti da varie disposizioni (tra cui, l’art. 11 del D.L. 318/1996 –L. 488/1986, l’art. 1 della L. 430/1991 e l’art. 2, co. 4, della L. 431/1996, che hanno autorizzato la Cassa Depositi e prestiti a concedere mutui con oneri a carico dello Stato per interventi di edilizia scolastica), destinate all’attuazione di ulteriori interventi urgenti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici.

[41]   Il MIUR, con D.M. 8 agosto 2017, aveva accertato economie per € 105.112.190,27.

[42]   Successivamente, l’art. 41 del D.L. 50/2017 (L. 96/2017), istituendo nello stato di previsione del MEF un Fondo da ripartire per accelerare le attività di ricostruzione a seguito degli eventi sismici 2016-2017, ha disposto che le risorse dello stesso sono destinate, fra l'altro, al finanziamento delle verifiche di vulnerabilità degli edifici scolastici di cui all'art. 20-bis, co. 4, del D.L. 8/2017 (L. 45/2017), situati nei comuni di cui al D.L. 189/2016 (L. 229/2016: art. 1), nonché di edifici scolastici situati nei Comuni della zona sismica 1, e alla realizzazione di progetti di ripristino e adeguamento antisismico. Qui lavviso pubblico conseguentemente emanato dal MIUR con nota Prot. 8008 del 28 marzo 2018. Qui la graduatoria approvata dal MIUR con D.D. 363 del 18 luglio 2018.

[43]   La legge di bilancio 2019 (L. n. 145/2018) ha previsto, per il triennio 2019-2021, relativamente a ciascuna annualità, lo stanziamento di 25 milioni di euro sul capitolo 1650. A tale proposito, si ricorda che l'art. 23-comma 1-bis della legge di contabilità nazionale (L. n. 196/2009), come inserito dal D.lgs. n. 90/2016, ha introdotto una norma specifica diretta a garantire tempestività nell'erogazione delle risorse provenienti da entrate finalizzate per legge al finanziamento di specifici interventi o attività. La disposizione citata consente pertanto che, con il provvedimento di legge di bilancio di previsione, possano essere iscritte negli stati di previsione della spesa di ciascuna amministrazione e in quello dell'entrata importi corrispondenti a quote di proventi che si prevede di incassare nel medesimo esercizio. L'ammontare degli stanziamenti da iscrivere in bilancio è commisurato all'andamento dei versamenti registrati nei singoli esercizi del triennio precedente a quello di iscrizione. Dunque, con la legge di bilancio 2019, sul cap. 1650/MISE è stato previsto uno stanziamento di 25 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2019-2021, rimasto invariato con il provvedimento di assestamento. Lo stanziamento di 25 milioni per il 2019 è oggetto di riparto ai sensi dello schema di D.M. AG116. L’8 ottobre scorso, la X Commissione attività produttive ha emesso un parere favorevole con osservazioni sullo schema di DM. La Commissione ha in particolare osservato l’opportunità che il Governo adotti le necessarie iniziative, per gli esercizi a venire, finalizzate ad assicurare la piena attuazione dell'articolo 148 della legge n.388 del 23 dicembre 2000.

[44]   Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2016. In altra decisione (la n.191 del 2017) la Corte afferma che occorre "verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale". Sul tema si vedano altresì le sentenze nn.154 e 231 del 2017.