Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Ambiente |
Titolo: | Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualita' dell'aria e proroga del termine di cui all'articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229 |
Serie: | Progetti di legge Numero: 214 |
Data: | 21/10/2019 |
Organi della Camera: | VIII Ambiente |
Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria e proroga del termine di cui all'articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229
D.L. 111/2019 – A.S. 1547
Servizio Studi
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Dossier n. 175
Servizio Studi
Dipartimento Ambiente
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Progetti di legge n. 214
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Articolo 2 (Misure per incentivare la mobilità sostenibile nelle aree metropolitane)
Articolo 3 (Disposizioni per la promozione del trasporto scolastico sostenibile)
Articolo 4 (Azioni per la riforestazione)
Articolo 6 (Pubblicità dei dati ambientali)
Articolo 7 (Misure per l'incentivazione di prodotti sfusi o alla spina)
L'articolo 1 disciplina l'approvazione del programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell'aria, delineandone i contenuti e definendo l'obbligo delle amministrazioni pubbliche di conformarsi agli obiettivi fissati da esso.
In particolare, il comma 1 stabilisce che il programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell'aria sia approvato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministro della salute e gli altri Ministri interessati.
Nel programma saranno individuate le misure nazionali volte ad assicurare la corretta e piena attuazione della direttiva 2008/50/CE e a contrastare i cambiamenti climatici. Per ciascuna misura il piano dovrà identificare le risorse economiche disponibili a legislazione vigente e indicare la relativa tempistica attuativa.
La direttiva 2008/50/CE stabilisce gli obiettivi di qualità dell’aria volti a migliorare la salute dell’uomo e la qualità dell’ambiente fino al 2020. Specifica inoltre le modalità per valutare tali obiettivi e assumere eventuali azioni correttive in caso di mancato rispetto delle norme. Prevede che il pubblico venga informato in proposito.
Tra gli elementi chiave:
• vengono stabiliti soglie, valori limite e valori-obiettivo per la valutazione di ogni inquinante compreso nella direttiva: biossido di zolfo, biossido di azoto, particolato, piombo, benzene e monossido di carbonio (allegato XI della direttiva);
• le autorità nazionali assegnano compiti di valutazione a organismi specifici che utilizzano dati raccolti in punti di campionamento selezionati;
• laddove i livelli di inquinamento in una determinata area siano superiori alle soglie, devono essere introdotti piani per la qualità dell’aria che correggano la situazione. Tali piani possono comprendere misure specifiche a tutela di gruppi sensibili di popolazione, quali i bambini;
• se esiste il rischio che i livelli di inquinamento possano superare le soglie, devono essere attuati piani d’azione a breve termine per arrestare il pericolo, volti ad esempio a ridurre il traffico stradale, le opere di costruzione o determinate attività industriali;
• le autorità nazionali devono garantire che non solo il pubblico, ma anche le organizzazioni ambientali, dei consumatori e di altro tipo, fra cui organismi di assistenza sanitaria e federazioni industriali, vengano informati sulla qualità dell’aria (ossia dell’aria esterna) nella loro zona;
• i governi dell’Unione europea devono pubblicare relazioni annuali sugli inquinanti compresi nella normativa.
La direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano con Decreto legislativo 13 agosto 2010. n. 155 che ha istituito un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente, accorpando in un unico testo disposizioni prima contenute in diversi decreti, contestualmente abrogati.
Tale D. Lgs. conferisce funzioni alle Regioni prevedendo in capo ad esse il compito di svolgere le attività di valutazione e di pianificazione volte a conoscere il contesto nazionale e ad identificare le misure più efficaci per il rispetto dei valori di qualità dell'aria e ad assicurarne l'attuazione. In particolare prevede che esse:
• provvedano alla suddivisione del territorio in zone e agglomerati ai fini della valutazione della qualità dell'aria ambiente,
• provvedano alla valutazione della qualità dell'aria ambiente,
• elaborino, di concerto con gli enti locali interessati, i piani di qualità dell'aria e le misure necessarie ai fini del rispetto dei valori limite,
• adottino piani per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite,
• adottino misure necessarie per il rispetto dei limiti di polveri ultrasottili e di ozono,
• adottino provvedimenti necessari ad informare tempestivamente il pubblico sul superamento delle soglie di allarme,
• comunichino i dati relativi al mancato rispetto dei valori limite.
L'azione di coordinamento è affidata ad un organismo cui partecipano i Ministeri dell'ambiente, della salute, le regioni e le province autonome l'UPI, l'ANCI, le agenzie e gli istituti tecnici con competenza in materia ambientale (tra cui l'ENEA e il CNR).
Il Governo svolge un'azione di indirizzo, volta a garantire un costante supporto alle amministrazioni locali, assicurando che la valutazione della qualità dell’aria avvenga sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio nazionale.
Allo scopo presso il Ministero dell'ambiente è stato istituito un Tavolo permanente di lavoro nel quale lo Stato e le Regioni scambiano informazioni e strumenti per migliorare il livello di conoscenza e la capacità di gestire i fenomeni di inquinamento atmosferico.
Per quanto riguarda il bacino padano, è attivo da mesi un confronto periodico con le regioni che ne fanno parte.
In relazione alla direttiva 2008/50/CE l'Unione europea ha aperto nei confronti dell'Italia due procedure di infrazione legate al superamento, in alcune zone, dei valori limite di biossido di azoto (N02) e di polveri sottili (PM10): la n. 2014/2147 e la n. 2015/2143.
Procedura di infrazione n. 2014/2147
La Commissione europea ha contestato all’Italia la violazione degli articoli 13 e 23, nonché l'allegato XI della direttiva 2008/50/CE, recante l’obbligo per gli Stati membri di evitare eccessive concentrazioni nell'aria di sostanze inquinanti, fra cui le polveri PM10. In particolare, l'art. 13 della direttiva impone agli Stati UE il rispetto di soglie massime (come definite dal predetto allegato), cui si può derogare, ai sensi dell’art. 22 della direttiva, qualora sussistano determinate circostanze le quali rendano particolarmente difficoltoso, per alcune zone, il rientro al di sotto dei valori limite suindicati.
Tale deroga, tuttavia, era stata consentita dalla direttiva non oltre la data dell'11 giugno 2011 e a condizione che lo Stato membro richiedente approntasse un "piano di gestione dell'aria", recante, tra l’altro, gli accorgimenti finalizzati alla messa in regola entro il tempo concesso, rispetto ai parametri stabiliti dal già citato allegato XI. La stessa direttiva, all’articolo 13, prevede che, in ogni caso in cui il superamento dei valori limite non sia legittimo (perché non può applicarsi il regime di deroga, o in quanto lo stesso, già applicato, sia scaduto), lo Stato membro responsabile deve, comunque, approntare un "piano di gestione dell'aria", recante tra l’altro la descrizione delle misure "appropriate" per ripristinare i valori limite “entro il più breve tempo possibile”.
Si segnala che l'inottemperanza, da parte dell'Italia, alle norme sulle concentrazioni massime di PM10 (e altri inquinanti gassosi) nell'aria ambiente ha già costituito oggetto di una procedura di infrazione (n. 2008/2194 del 02/02/2009) a seguito della quale la Corte di giustizia ha accertato l’inadempimento dell’Italia. La procedura è stata archiviata il 20 giugno 2013, dietro promessa, da parte italiana, dell'adozione di un pacchetto di misure volto a ripristinare il rispetto dei massimali da essa previsti.
In base alle relazioni annuali presentate dall'Italia, risulta che - per il periodo 2008-2012 - ancora 13 zone/agglomerati hanno continuato a sforare i valori limite. La Commissione contestava il fatto che a tali situazioni "storiche" di criticità si aggiungerebbero altre sei zone, in cui si registrerebbe una violazione dei valori limite "giornalieri" e 3 nuove zone per le quali resterebbero violati i valori limite annuali (per l’elenco completo delle zone che, secondo la Commissione europea, hanno superato i limiti si rinvia al ricorso introduttivo della causa C-644/18).
La Commissione europea, dopo aver inviato all’Italia un parere motivato ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, ha presentato ricorso il 13 ottobre 2018 presso la Corte di giustizia per fare dichiarare l’Italia inadempiente. In particolare, con il primo motivo del proprio ricorso, la Commissione ritiene che i dati ottenuti sulla concentrazione di PM10 nell’aria dimostrino l’esistenza di una violazione sistematica e continuata del combinato disposto dell’art. 13 e dell’allegato XI (secondo il quale il livello di concentrazione di dette sostanze non può superare determinati limiti, giornalieri ed annuali). Secondo la Commissione europea detti limiti sarebbero stati violati senza alcuna interruzione per più di dieci anni.
Con il secondo motivo del ricorso, la Commissione europea considera che l’Italia sia venuta meno agli obblighi di cui all’art. 23, par. 1, della direttiva (da solo e in combinato disposto con l’allegato XV) della direttiva 2008/50/CE, poiché:
- i piani per la qualità dell’aria, adottati in seguito al superamento dei valori limite di concentrazione di PM10, non permettono né di conseguire detti valori limite, né di limitare il loro superamento al periodo il più breve possibile;
- molti di questi piani sarebbero privi delle informazioni obbligatoriamente richieste ai sensi dell’articolo 23 della succitata direttiva.
Procedura di infrazione n. 2015/2043
La Commissione europea ha contestato all’Italia la violazione di una serie di disposizioni della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria ambiente, con riferimento alla situazione esistente, in diversi "agglomerati" e "zone" del territorio italiano, in ordine alle concentrazioni di biossido di azoto (NO2) nell'aria.
In particolare, la Commissione ritiene l'Italia inadempiente agli obblighi di cui all’articolo 13 della direttiva (relativo ai valori limite delle sostanze inquinanti), in quanto si è verificato che, nel triennio 2010-2013, riguardo a 12 "zone", i valori limite "annuali" della concentrazione di NO2 sono stati pressoché continuamente superati, mentre, nello stesso triennio, risultano quasi continuamente oltrepassati i valori limite "orari" di NO2 per un "Agglomerato" (per l’elenco completo delle zone che, secondo la Commissione europea, hanno superato i limiti si rinvia al ricorso introduttivo della causa C-573/19).
Secondo la Commissione europea è, altresì, violato l’articolo 23 sulla base del quale gli Stati UE, che superino i valori limite predetti, devono comunicare alla Commissione i "piani di gestione dell'aria ambiente" che hanno l’obiettivo di ricondurre, "nel più breve tempo possibile", i valori effettivi entro i limiti previsti dalla direttiva; secondo la Commissione europea i piani di gestioni presentati dall’Italia appaiono lacunosi rispetto alle informazioni richieste obbligatoriamente dalla normativa europea.
La Commissione ritiene inoltre che l’Italia abbia violato l'art. 27 della direttiva (trasmissione di informazioni e relazioni) per non aver comunicato, entro i 9 mesi indicati da tale articolo, la situazione del valore di NO2 circa l'anno 2013, limitandosi ad inviare al riguardo, nel corso del 2015, solo una lacunosa informativa.
La Commissione europea, dopo aver inviato all’Italia un parere motivato ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, ha presentato ricorso il 26 luglio 2019 presso la Corte di giustizia per fare dichiarare l’Italia inadempiente.
In particolare, con il primo motivo del proprio ricorso, la Commissione ritiene che i dati ottenuti sulla concentrazione di NO2 nell’aria dimostrino l’esistenza di una violazione sistematica e continuata del combinato disposto dell’art. 13 e dell’allegato XI della direttiva 2008/50, in base al quale il livello di concentrazione di dette sostanze non può superare determinati limiti di concentrazione annuali; secondo la Commissione europea, in alcune zone, detti limiti sarebbero stati violati senza alcuna interruzione per più di dieci anni.
Con il secondo motivo del ricorso, la Commissione considera che l’Italia sia venuta meno agli obblighi di cui all’art. 23, par. 1, della direttiva, da solo e in combinato disposto con l’allegato XV, punto A, della direttiva 2008/50, in quanto:
i piani per la qualità dell’aria, adottati in seguito al superamento dei valori limite di concentrazione di NO2, non permetterebbero di conseguire detti valori limite, né di limitare il loro superamento al periodo il più breve possibile;
in secondo luogo, molti di questi piani sono privi delle informazioni richieste al punto A, dell’allegato XV, della direttiva, informazioni la cui indicazione è obbligatoria ai sensi dell’art. 23, par. 1, terzo comma di questa direttiva.
La relazione presentata alle Camere ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 234 del 2012[1], in materia di procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea, sottolinea come la responsabilità dell'elaborazione e dell'adozione dei piani di qualità dell'aria, e di conseguenza, anche dell'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani, sia in capo alle Regioni e alle province autonome. Per quanto riguarda il rispetto dei limiti di biossido di azoto rileva che la situazione di inadempimento risulta differenziata sul territorio nazionale: infatti se al centro e al sud Italia il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nelle regioni del nord, specialmente nelle zone del bacino padano, i superamenti sono risultano diffusi su tutto il territorio regionale. Le cause vengono individuate nella difficoltà delle regioni ad adottare piani di intervento efficaci e risolutivi, nonché - rileva la relazione - in problematiche di tipo tecnico che hanno limitato fortemente l'azione dei soggetti in questione. La relazione segnala poi tutte le attività in essere ai fini del contenimento delle emissioni di polveri sottili e di biossido di azoto. Nel 2012 è stato istituito un Gruppo di lavoro formato da esperti nazionali e regionali con il compito di analizzare i principali settori produttivi e individuare le misure specifiche volte a ridurre le emissioni di tali inquinanti. Nel 2013 i Ministeri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e della salute nonché le regioni e province autonome del bacino padano hanno sottoscritto un Accordo di programma finalizzato all'individuazione e all'attuazione di misure coordinate congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano, che costituisce la zona con maggiori criticità quanto al rispetto dei valori limite di qualità dell'aria.
Oltre a tali misure si segnala poi che, con riferimento a tutto il territorio nazionale, nel 2015 è stato siglato dal Ministero dell'ambiente, dalla Conferenza delle Regioni e dall'ANCI il Protocollo di intesa (cd. Protocollo antismog): esso è volto a migliorare la qualità dell'aria, ad incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni, a disincentivare l'uso del mezzo privato, ad abbattere le emissioni e a favorire misure intese ad aumentare l'efficienza energetica. Il Protocollo prevede interventi prioritari nelle città metropolitane, dove si registrano maggiormente livelli polveri sottili e ultrasottili (PM10 e PM2,5) e di biossido di azoto (NO2) superiori ai limiti stabiliti[2].
In considerazione delle due procedure di infrazione, delle conseguenze che eventuali sentenze di condanna da parte della Corte di giustizia potrebbero avere per il nostro Paese, nonché della necessità di adottare interventi addizionali rispetto a quelli previsti sinora per prevenire e fronteggiare il superamento dei valori limite di particolato e biossido di azoto, il 4 giugno scorso il Presidente del Consiglio, sei ministeri, le regioni e le province autonome hanno sottoscritto il "Protocollo aria pulita" che istituisce il "Piano d'azione per il miglioramento della qualità dell'aria" nel quale vengono individuate misure da porre in essere nel breve e medio periodo per contrastare l'inquinamento atmosferico in Italia. Il Protocollo è stato firmato nell'ambito di un incontro bilaterale con la Commissione europea ("Clean air dialogue) svoltosi a Torino dal 4 al 5 giugno scorsi. Le Parti firmatarie del Protocollo, che ha durata di 24 mesi prorogabili, si sono impegnate ad adottare misure di carattere normativo, programmatico e finanziario, nell’ambito delle risorse vigenti, a cooperare nell’individuazione delle future strategie nazionali e a partecipare congiuntamente ai periodici confronti con la Commissione Europea volti alla rappresentazione delle iniziative avviate a livello nazionale. Le misure previste dal Piano d'azione sono articolate in 5 ambiti di intervento, uno trasversale e 4 settoriali. Gli ambiti settoriali sono: agricoltura e combustioni di biomasse; mobilità; riscaldamento civile; uscita dal carbone. Per ogni ambito sono indicate specifiche azioni operative e relative misure attuative. L'ambito di intervento trasversale prevede, tra l'altro, la razionalizzazione dei sussidi ambientalmente dannosi e l'attivazione, entro il 31 dicembre 2019, di un Fondo per il finanziamento del programma nazionale di controllo dell'inquinamento atmosferico cui saranno destinati fino a 400 milioni di euro l'anno.
Per il quadro relativo alle azioni in materia di contrasto al cambiamento climatico e per ulteriori approfondimenti in materia si veda il recente dossier congiunto di Camera e Senato.
Si segnala che il termine di sessanta giorni per l'adozione del D.P.C.M. viene fatto decorrere in base alla disposizione in esame (così come in altre disposizioni del decreto-legge) dall'entrata in vigore del decreto-legge in esame.
Si ricorda che la Corte costituzionale ha ricondotto la tutela della qualità dell’aria alla materia della "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", per la quale lo Stato ha la competenza esclusiva ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Si veda la sent. n. 141 del 2014 nella quale si afferma che "La materia implicata dalla disciplina prevista dalla disposizione oggetto di censura (che attiene alla tutela della qualità dell’aria per porre rimedio al relativo inquinamento) è da ricondursi, infatti, alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», riservata alla competenza statale esclusiva dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (tra le tante, sentenze n. 209 e n. 187 del 2011 e n. 225 del 2009)". La Corte ha peraltro sottolineato in varie occasioni come in tema ambientale spesso rilevi la competenza in materia di salute e di fissazione dei livelli essenziali.
Si segnala come, alla luce dell'impianto normativo vigente in materia, dettato dal D. lgs. n. 155 del 2010 sopra richiamato, sono molteplici le funzioni in capo alle Regioni in materia. Rispetto a tale impianto, il comma 1 in commento non contempla forme di coinvolgimento dei diversi livelli di governo.
Alla luce del quadro normativo di riferimento in materia di funzioni per l'attività in materia di qualità dell'aria e del principio di leale collaborazione, si valuti il profilo del coinvolgimento delle Regioni, attualmente non previsto dalla disposizione in relazione all'emanazione del D.P.C.M. di cui al comma 1. Ciò, anche in considerazione di quanto previsto dal comma 2 della disposizione medesima, in base al quale tutte le pubbliche amministrazioni conformano le proprie attività agli obiettivi indicati in materia di contrasto ai cambiamenti climatici e qualità dell'aria.
Il comma 2 reca l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di conformare le proprie attività al raggiungimento degli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico e al miglioramento della qualità dell'aria.
In base all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo, n. 165 del 2001, per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
L’articolo 2 istituisce un fondo denominato “Programma sperimentale buono mobilità”, per finanziare un “bonus mobilità” per l’acquisto di abbonamenti al trasporto pubblico locale e regionale e di biciclette anche a pedalata assistita, nonché progetti per la creazione, il prolungamento, l’ammodernamento e la messa a norma di corsie preferenziali per il trasporto pubblico locale. La finalità è la riduzione delle emissioni climalteranti.
Di seguito si illustra il dettaglio delle disposizioni.
Buono mobilità per la rottamazione di veicoli e motocicli inquinanti (comma 1)
Il comma 1 dell’articolo 2 istituisce, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un fondo denominato "Programma sperimentale buono mobilità. Il Fondo ha una dotazione finanziaria complessiva di 255 milioni di €, così suddivisa: 5 milioni € per il 2019, 70 milioni € per il 2020, 70 milioni € per il 2021, 55 milioni per il 2022, 45 milioni € per il 2023 e 10 milioni € per l'anno 2024.
A valere su questo stanziamento e fino ad esaurimento delle risorse, si riconosce ai residenti nei comuni italiani interessati alle procedure di infrazione comunitaria per non ottemperanza ai limiti di emissione ambientale (vedi infra), un “buono mobilità” pari a 1.500 euro per le autovetture ed a 500 euro per i motocicli, nel caso di rottamazione entro il 31 dicembre 2021, di autovetture omologate fino alla classe Euro 3 o di motocicli omologati fino alla classe euro 2 ed euro 3 a due tempi.
Il buono potrà essere utilizzato per l’acquisto, anche a favore di persone conviventi, di abbonamenti al trasporto pubblico locale e regionale, nonché di biciclette anche a pedalata assistita, entro i successivi tre anni.
Per quanto riguarda i comuni i cui residenti potranno usufruire del buono, si tratta di quelli oggetto delle procedure di infrazione comunitaria n. 2014/2147 del 10 luglio 2014 e n. 2015/2043 del 28 maggio 2015 per la non ottemperanza dell’Italia agli obblighi previsti dalla Direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria (per una descrizione del contenuto e dello stato delle procedure di infrazione citate si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 1 di questo dossier).
Il comma 1 dispone altresì che il “buono mobilità” non costituisca reddito imponibile del beneficiario e non rilevi ai fini del computo del valore dell’ISEE (indicatore della situazione economica equivalente).
Provenienza delle risorse (comma 1)
Le risorse per il “buono mobilità” proverranno, come detto, dal nuovo fondo “Programma sperimentale buono mobilità”, istituito dallo stesso comma 1, nel limite di spesa ivi definito e fino ad esaurimento delle risorse.
Le risorse per istituire il fondo sono una parte di quelle attribuite, per gli anni dal 2019 al 2024, al Ministero dell'ambiente, quale quota dei proventi delle aste delle quote di emissione di gas serra, per le finalità, contemplate dall’art. 19 del D. Lgs. 13 marzo 2013, n. 30, di ridurre le emissioni dei gas a effetto serra; tale quota è versata dal GSE, il Gestore dei Servizi Energetici a cui vengono versati i proventi delle aste (il GSE è il soggetto responsabile della messa all'asta delle quote per conto dello Stato italiano) ad apposito capitolo del bilancio dello Stato e resta acquisita definitivamente all'erario.
Si ricorda che l’art. 19 del D.Lgs. 30/2013 – di recepimento della direttiva “emission trading” 2009/29/CE che ha modificato la precedente direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra – prevede, tra l’altro, al comma 5, che il 50 per cento dei proventi delle singole aste delle quote di emissioni sia assegnato ad un apposito capitolo di spesa del MISE per il rimborso dei crediti gli operatori di impianti cosiddetti “nuovi entranti” (che nel periodo 2008-2012 non hanno ricevuto quote di emissione di anidride carbonica a titolo gratuito) ed al comma 6 che il 50 per cento sia destinato al finanziamento aggiuntivo (oltre a quello già previsto dalla legislazione vigente) di una serie di ulteriori attività, che sono elencate dalle lettere da a) a i-bis) del medesimo comma 6. Tra queste:
- la lett. b) include le attività per sviluppare le energie rinnovabili al fine di rispettare l'impegno comunitario di utilizzare il 20 per cento di energia rinnovabile entro il 2020 e sviluppare altre tecnologie che contribuiscano alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio sicura e sostenibile e aiutare a rispettare l'impegno comunitario di incrementare l'efficienza energetica del 20 per cento per il 2020;
- la lett f) include le attività per “incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni”.
Il comma 3 dell’art. 19 prevede in generale che le risorse derivanti dai proventi delle aste siano ripartite con decreti del Ministero dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze da emanarsi entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello di effettuazione delle aste, nella misura del 70 per cento a favore del Ministero dell'ambiente e del 30 per cento a favore del Ministero dello sviluppo economico. Sul riparto incidono altresì le disposizioni recentemente introdotte dal comma 6-bis dell’art. 19 (inserito dall'art. 13, comma 1, del D.L. 3 settembre 2019, n. 101, in corso di conversione), che prevede che la quota annua dei proventi derivanti dalle aste, eccedente il valore di 1000 milioni di euro, sia destinata, nella misura massima di 100 milioni di euro per il 2020 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dal 2021, al "Fondo per la transizione energetica nel settore industriale", (istituito dallo stesso DL n. 101/2019 con una modifica all’articolo 27), per finanziare interventi di decarbonizzazione e di efficientamento energetico del settore industriale e, per una quota fino ad un massimo di 20 milioni di euro annui per gli anni dal 2020 al 2024, al "Fondo per la riconversione occupazionale nei territori in cui sono ubicate centrali a carbone", da istituire presso il Ministero dello sviluppo economico. Per la copertura degli oneri relativi a tali fondi si prevede l’utilizzo delle quote dei proventi delle aste assegnate al MISE e, ove necessario, per la residua copertura le quote dei proventi assegnate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Sul riparto incidono altresì le disposizioni recentemente introdotte dal comma 6-bis dell’art. 19 (inserito dall'art. 13, comma 1, del D.L. 3 settembre 2019, n. 101, in corso di conversione).
Disposizioni di attuazione (comma 1)
Il comma 1 dell’articolo 2 demanda ad un apposito decreto ministeriale (decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dello sviluppo economico), la definizione delle condizioni e delle modalità per l’ottenimento e l’erogazione del bonus mobilità. Il decreto dovrà essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
Creazione, prolungamento, ammodernamento e messa a norma di corsie preferenziali per il trasporto pubblico locale (comma 2)
Il comma 2 dell’articolo 2, destina al finanziamento di progetti per la creazione, il prolungamento, l’ammodernamento e la messa a norma di corsie preferenziali per il trasporto pubblico locale, una quota, pari a 20 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2020 e 2021, delle risorse attribuite al Ministero dell'ambiente, quale quota dei proventi delle aste delle quote di emissione di gas serra e destinate alla finalità sopra citate di cui all’art. 19, del D. Lgs. 13 marzo 2013, n. 30.
Presentazione dei progetti ed attuazione (comma 2)
I progetti dovranno essere presentati al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte di uno o più dei comuni, anche in forma associata, che siano stati interessati dalle sopra citate procedure di infrazione comunitaria per la non ottemperanza dell’Italia agli obblighi sulla qualità dell’aria e riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a centomila abitanti.
Per quanto riguarda le modalità ed i termini di presentazione delle domande, si rinvia ad un apposito decreto interministeriale, da adottarsi entro 45 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge.
Il decreto interministeriale dovrà essere emanato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza unificata che si dovrà pronunciare entro trenta giorni, decorso il cui termine il decreto potrà essere emanato anche in mancanza di detto parere.
L’articolo 3 autorizza la spesa di 20 milioni di euro (10 milioni per ciascuno degli anni 2020 e 2021) per il finanziamento di progetti sperimentali – presentati dai comuni interessati dalle procedure di infrazione comunitaria sulla qualità dell’aria e riferiti a un ambito territoriale con più di 100.000 abitanti – per la realizzazione o l’implementazione del servizio di trasporto scolastico con mezzi di trasporto ibridi o elettrici.
Di seguito si illustra il dettaglio delle disposizioni.
Risorse per il finanziamento di progetti di trasporto scolastico sostenibile (comma 1, primo periodo)
Il primo periodo del comma 1, al fine di limitare le emissioni climalteranti inquinanti in atmosfera e migliorare la qualità dell’aria, autorizza la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, per il finanziamento degli investimenti necessari per progetti sperimentali per la realizzazione o l'implementazione del servizio di trasporto scolastico con mezzi di trasporto ibridi o elettrici per i bambini della scuola dell'infanzia statale e comunale e per gli alunni delle scuole statali del primo ciclo di istruzione.
Criteri per la selezione dei progetti (comma 1, primo periodo)
Il primo periodo del comma 1 dispone inoltre che i progetti in questione sono selezionati dal Ministero dell'ambiente in base:
- alla portata del numero di studenti coinvolti;
- e alla stima di riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Copertura degli oneri (comma 1, secondo periodo)
Il secondo periodo del comma 1 precisa che alla copertura degli oneri si provvede mediante corrispondente utilizzo, per ciascuno degli anni 2020 e 2021, di quota parte dei proventi delle aste delle quote di emissione di CO2 (di cui all'art. 19 del D.Lgs. 30/20103) destinata al Ministero dell'ambiente, versata dal GSE ad apposito capitolo del bilancio dello Stato, che resta acquisita definitivamente all'erario.
Per una ricostruzione delle previsioni dell’art. 19 del D.Lgs. 30/2013 – di recepimento della direttiva “emission trading” 2009/29/CE – si rinvia alla scheda sull’articolo 2 del presente dossier.
Progetti finanziabili (comma 2)
Il comma 2 prevede che i progetti da finanziare siano:
- presentati al Ministero dell’ambiente da uno o più comuni, anche in forma associata, interessati dalle procedure di infrazione comunitaria n. 2014/2147 del 10 luglio 2014 e n. 2015/2043 del 28 maggio 2015 per la non ottemperanza dell’Italia agli obblighi previsti dalla Direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria;
Per una descrizione del contenuto e dello stato delle procedure di infrazione citate si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 4.
Una panoramica delle iniziative finora adottate dal Ministero dell'ambiente in materia di tutela della qualità dell’aria è stata fornita dal Ministro dell'ambiente nel corso della sua audizione presso l’VIII Commissione (ambiente) della Camera, svolta nella seduta del 28 maggio 2019.
- e riferiti a un ambito territoriale con più di 100.000 abitanti.
Disposizioni di attuazione (comma 3)
Il comma 3 demanda ad un apposito decreto ministeriale la definizione delle modalità di presentazione delle domande e delle spese ammissibili al finanziamento.
Tale decreto dovrà essere adottato dal Ministro dell’ambiente, entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentiti i Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dell’economia e delle finanze.
L’articolo 4 prevede il finanziamento di un programma sperimentale per la riforestazione delle città metropolitane, per un importo di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 (comma 1). La definizione delle modalità per la progettazione degli interventi da parte delle città metropolitane e il riparto dei fondi sono demandati ad un decreto del Ministro dell’ambiente, tenendo conto, in particolare, dei criteri di selezione della valenza ambientale e sociale dei progetti, del livello di riqualificazione e di fruibilità dell'area, dei livelli di qualità dell'aria e della localizzazione nelle zone oggetto delle procedure di infrazione comunitaria (comma 2). Ciascuna città metropolitana presenta le progettazioni degli interventi, includendo i programmi operativi di dettaglio e i relativi costi, al Ministero dell’ambiente, che approva almeno un progetto per ciascuna città metropolitana, (comma 3).
È previsto altresì che tra i criteri per l’affidamento della realizzazione delle opere di gestione del demanio fluviale e di contrasto al dissesto idrogeologico siano introdotti quelli relativi al rimboschimento delle fasce ripariali e delle aree demaniali fluviali, laddove ritenuto necessario per prevenire il rischio idrogeologico (comma 4).
Il comma 1 prevede il finanziamento di un programma sperimentale di messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane, nelle città metropolitane, in coerenza con quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34, per una spesa di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021.
Alla relativa copertura si provvede mediante corrispondente utilizzo, per ciascuno degli anni 2020 e 2021, di quota parte dei proventi delle aste delle quote di emissione di CO2 di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, destinata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, versata dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ad apposito capitolo del bilancio dello Stato, che resta acquisita definitivamente all'erario.
La legge individua dieci città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, a cui si aggiunge la città metropolitana di Roma capitale (art. 1, comma 5, L. n. 56/2014).
Per una prima analisi dei dati statistici e delle potenzialità economiche degli ambiti territoriali coinvolti, si rinvia al dossier curato dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del consiglio dei Ministri.
La legge dispone l'istituzione delle città metropolitane esclusivamente nelle regioni a statuto ordinario. Nelle regioni a statuto speciale, sulla base delle relative norme di attuazione, sono state sinora istituite altre 4 città metropolitane: Cagliari, Catania, Messina e Palermo. Le città metropolitane sono riconosciute quali enti territoriali di area vasta, con le seguenti finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti il proprio livello, comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al relativo tema web sul sito della Camera dei deputati.
Il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali), recante le norme fondamentali volte a garantire l'indirizzo unitario e il coordinamento nazionale in materia di foreste e di filiere forestali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale ed europeo, individua, tra le finalità perseguite, la protezione della foresta, attraverso la promozione di azioni di prevenzione da rischi naturali e antropici, di difesa idrogeologica, di difesa dagli incendi e dalle avversità biotiche ed abiotiche, di adattamento al cambiamento climatico, di recupero delle aree degradate o danneggiate, di sequestro del carbonio e di erogazione di altri servizi ecosistemici generati dalla gestione forestale sostenibile (art. 2, comma 1, lett. d).
Il decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30 reca disposizioni per la partecipazione al sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas ad effetto serra della UE (ETS), ai sensi della direttiva 2003/87/CE. In particolare, il sistema ETS UE opera secondo il principio della limitazione e dello scambio delle emissioni, fissando un tetto alla quantità totale di alcuni gas serra che possono essere emessi dagli impianti che rientrano nel sistema; tale tetto si riduce nel tempo di modo che le emissioni totali diminuiscono ed, entro tale limite, le imprese ricevono o acquistano quote di emissione che, se necessario, possono scambiare.
Per una ricostruzione delle previsioni dell’art. 19 del D.Lgs. 30/2013 – di recepimento della direttiva “emission trading” 2009/29/CE – si rinvia alla scheda sull’articolo 2 del presente dossier.
Il comma 2 prevede, al fine di un rapido avvio del programma sperimentale, l’emanazione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, di un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la definizione delle modalità per la progettazione degli interventi e per il riparto dei fondi previsti tra le città metropolitane.
Per l’emanazione del decreto ministeriale si prevede altresì l’intesa con la Conferenza unificata e l’istruttoria del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 10 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani).
Il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dall'articolo 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 10, provvede tra l’altro al monitoraggio delle disposizioni della legge 29 gennaio 1992, n. 113 (un albero per ogni neonato) e di tutte le vigenti disposizioni di legge con finalità di incremento del verde pubblico e privato, esprimendo in esito alle stesse, anche a richiesta, le proprie valutazioni tecniche e giuridiche. Il Comitato predispone una relazione annuale al Parlamento in merito alle sue attività.
Nell’ambito delle attività del Comitato, rileva la “Strategia Nazionale del Verde Urbano” del 2018, proposta dal Comitato, d’intesa con la Conferenza Unificata, allo scopo di definire, alla scala nazionale, il quadro di riferimento sullo specifico tema del verde per le Amministrazioni cui compete pianificare il territorio. Il contenuto specifico è rappresentato dai criteri e dalle linee guida per la realizzazione di aree verdi permanenti intorno alle maggiori conurbazioni e di filari alberati lungo le strade, per consentire un adeguamento dell'edilizia e delle infrastrutture pubbliche e scolastiche che garantisca la riqualificazione degli edifici. I criteri e gli indirizzi fissati a livello nazionale nella strategia implicano dunque azioni da realizzare, che hanno contenuto pianificatorio, al livello territoriale più adeguato. La competenza a pianificare può essere regionale (laddove sia il piano paesaggistico regionale a stabilire quali ambiti territoriali sono deputati ad accogliere, ad esempio, aree verdi permanenti intorno alle città), oppure, a seconda dei casi, metropolitana o comunale. Al Comune compete, in ogni caso, la realizzazione materiale delle azioni da porre in essere e la predisposizione dei relativi meccanismi.
Il comma 2 prevede altresì che il decreto ministeriale è emanato d’intesa con la Conferenza unificata che è chiamata a pronunciarsi entro il termine di trenta giorni, decorsi il quale il decreto ministeriale viene emanato anche in assenza di detto parere.
Si ricorda che, in tal caso, il Consiglio dei ministri, ai sensi del combinato disposto dell’art. 9, comma 2 e dell’art. 3, comma 3, del D.Lgs. 281/1997, provvede in modo autonomo con deliberazione motivata qualora l’intesa (cd. “debole”) non si perfezioni nel termine di trenta giorni dalla iscrizione dell’atto all’ordine del giorno della Conferenza. Oltre all’inutile decorso del tempo si può prescindere dall’intesa anche in caso di urgenza, purché, secondo quqnto previsto dagli artt. 3, comma 4, e 9, comma 2, si rispettino alcune condizioni: la motivazione delle ragioni di urgenza che hanno impedito il ricorso al procedimento ordinario, la sottoposizione differita di 15 giorni in Conferenza del provvedimento, l’obbligo del Consiglio dei ministri di esaminare le osservazioni della Conferenza ai fini di deliberazioni successive.
Per la selezione dei progetti, il comma 2 prevede l’applicazione dei seguenti criteri:
- la valenza ambientale e sociale dei progetti;
- il livello di riqualificazione e di fruibilità dell’area;
- i livelli di qualità dell’aria;
- la localizzazione nelle zone oggetto delle procedure di infrazione comunitaria n. 2014/2147 del 10 luglio 2014 e n. 2015/2043 del 28 maggio 2015.
Per la ricostruzione della procedura di infrazione n. 2014/2147 e della procedura di infrazione n. 2015/2043 si veda l'articolo 1 del decreto-legge in esame infra.
Il comma 3 prevede - entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale di cui al comma 2 - la presentazione da parte di ciascuna città metropolitana al Ministero dell’ambiente delle progettazioni corredate dai programmi operativi di dettaglio con i relativi costi.
Il Ministero dell’ambiente approva almeno un progetto per ciascuna città metropolitana, ove ammissibile in base ai requisiti previsti dal suddetto decreto ministeriale, con i relativi programmi operativi di dettaglio, e di ogni eventuale successiva variazione, sulla base di apposite istruttorie effettuate dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico che, a tal fine, può avvalersi, anche per la verifica della fase attuativa dei progetti, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente di cui alla legge 28 giugno 2016, n. 132.
Il comma 4 stabilisce l’introduzione del rimboschimento delle fasce ripariali e delle aree demaniali fluviali, laddove ritenuto necessario per prevenire il rischio idrogeologico, tra i criteri previsti per l’affidamento della realizzazione delle opere da parte delle autorità competenti nella gestione del demanio fluviale e nella programmazione degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico.
Si ricorda che la competenza alla gestione amministrativa del demanio idrico di proprietà statale (art. 144 del D.Lgs. 152/2006 – c.d. Codice dell’ambiente) è stata trasferita alle Regioni con il D.Lgs. 112/1998 (art. 89), che sono chiamate a svolgere determinate funzioni, tra cui, in particolare, quanto previsto alla lettera c): compiti di polizia idraulica e di pronto intervento di cui al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 e al regio decreto 9 dicembre 1937, n. 2669, ivi comprese l'imposizione di limitazioni e divieti all'esecuzione di qualsiasi opera o intervento anche al di fuori dell'area demaniale idrica, qualora questi siano in grado di influire anche indirettamente sul regime dei corsi d'acqua. Le Regioni possono con propria legge assegnare competenze in materia agli enti territoriali e ai proprietari frontisti. A titolo di esempio, nella Regione Lombardia, la competenza sui corsi d'acqua del reticolo idrografico lombardo è esercitata da una pluralità di soggetti (Regione Lombardia, Agenzia Interregionale per il fiume Po - AIPO, Comuni, Consorzi di bonifica), in relazione alle caratteristiche del corso d'acqua stesso.
Si ricorda inoltre che con il D.P.C.M. del 20 febbraio 2019 è stato adottato il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale (Piano ProteggItalia), articolato in vari ambiti di intervento e correlate misure ed azioni attuative. In tale ambito, con la delibera CIPE n.35/2019 è stato approvato il piano stralcio 2019 relativo agli interventi immediatamente cantierabili individuati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per un ammontare complessivo di circa 315 milioni di euro.
L’articolo 5 disciplina la nomina e le attività dei Commissari unici per la realizzazione degli interventi in materia di discariche abusive e di acque reflue attuativi di determinate procedure di infrazione europea. I commi da 1 a 5 dispongono in merito all’attività del Commissario unico in materia di discariche abusive – nominato ai sensi dell’articolo 41, comma 2-bis, della legge n. 234/2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea) – prevedendo che lo stesso possa stipulare specifiche convenzioni con determinati enti e disciplinando il compenso economico del Commissario unico e del personale della struttura di supporto, la procedura di nomina del Commissario unico e la composizione della struttura di supporto.
I commi 6 e 7 disciplinano la nomina del Commissario unico per gli interventi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue e di due sub-commissari.
Il comma 1 consente al Commissario unico per le discariche abusive la possibilità di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, nei limiti della normativa europea vigente, dei seguenti enti:
- società in house delle amministrazioni centrali dello Stato;
- sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente di cui alla legge 28 giugno 2016, n. 132;
- amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e degli enti pubblici dotate di specifica competenza tecnica.
Le previste convenzioni coinvolgono i soggetti indicati nell’ambito delle rispettive aree di intervento, utilizzando le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Gli oneri per la stipula delle predette convenzioni sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, paragrafo 6, della direttiva n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici, gli accordi, le decisioni o altri strumenti giuridici che disciplinano i trasferimenti di competenze e responsabilità per la realizzazione di compiti pubblici tra amministrazioni aggiudicatrici o associazioni di amministrazioni aggiudicatrici e non prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione contrattuale sono considerati questioni di organizzazione interna dello Stato membro interessato e, in quanto tali, esulano del tutto dalla direttiva medesima.
In recepimento di quanto dettato dal legislatore europeo, l’art. 5, comma 6, del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) stabilisce che un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito di applicazione del Codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) l'accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;
b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico;
c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.
In base alla delibera ANAC n. 567 del 31 maggio 2017, “la norma contempla, quindi, una specifica disciplina degli accordi tra soggetti pubblici, quale istituto già previsto in passato e in linea generale dall’art. 15 della l. 241/1990, ai sensi del quale anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Si tratta, come è evidente, di un modello convenzionale di svolgimento delle pubbliche funzioni, finalizzato alla collaborazione tra amministrazioni pubbliche. La conclusione di tali accordi, tuttavia, deve avvenire nel rispetto delle finalità perseguite dalle direttive europee in tema di contratti pubblici e concessioni, vale dire la libera circolazione dei servizi e la libera concorrenza; pertanto, detti accordi devono avere ad oggetto attività non deducibili in contratti d’appalto (in tal senso Cons. Stato n. 3849/2013)”.
In particolare l’Autorità specifica che “i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno”.
In conclusione, l’Autorità specifica che “qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come un operatore economico (ai sensi di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 23 dicembre 2009, in C-305/08), prestatore di servizi e verso un corrispettivo, anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi. Negli accordi tra amministrazioni pubbliche ex art. 15 l. 241/1990, dunque, assume rilievo la posizione di equiordinazione tra le stesse, al fine di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune e non di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale; occorre, in sostanza, una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione”.
Procedura di infrazione 2003/2077
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, lamentando la mancata piena esecuzione della sentenza del 26 aprile 2007 (causa C-135/05), relativa alla procedura di infrazione europea n. 2003/2077, con cui la stessa Corte ha dichiarato sussistere la violazione delle Direttive n. 75/442/CEE (sui rifiuti), n. 91/689/CEE (sui rifiuti pericolosi) e n. 99/31/CE (sulle discariche), ha condannato l’Italia, con la sentenza del 2 dicembre 2014 (causa C-196/13) al pagamento delle seguenti sanzioni pecuniarie, ai sensi dell'art. 260 TFUE: euro 40.000.000 di sanzione forfettaria, euro 42.800.000 per il primo semestre di ritardo nell'esecuzione della sentenza ex art. 260 TFUE, a fare data dalla sentenza stessa (02/12/2014), con decurtazione di euro 400.000 per ogni discarica di rifiuti pericolosi e di euro 200.000 per ogni discarica di rifiuti non pericolosi, rispettivamente messe a norma entro il semestre stesso. Per i semestri successivi, la penalità verrà calcolata a partire da un importo base rappresentato dalla somma effettivamente pagata nel semestre precedente, cui verranno applicate le stesse defalcazioni di cui sopra.
In particolare, l’Italia, con la citata sentenza del dicembre 2014 è stata condannata e sanzionata per la presenza sul territorio nazionale di 200 siti di discariche abusive. Ad oggi dopo quattro anni sono stati bonificati o messi in sicurezza 152 siti permanendone ancora 48 da regolarizzare con la conseguente riduzione della sanzione semestrale da euro 42.800.000 del dicembre 2014 agli attuali euro 10.200.00,00 da corrispondere all’Unione Europea ogni sei mesi (Dati al 30 giugno 2019).
Si ricorda, inoltre, che, al fine di far fronte alla citata sentenza del 2 dicembre 2014, il Governo ha esercitato i poteri sostitutivi nei confronti delle Amministrazioni locali inadempienti (comuni, province e regioni) e, secondo quanto previsto dal comma 2-bis dell’art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, ha nominato un apposito Commissario Straordinario con DPCM del 24 marzo 2017.
Le funzioni e i poteri attribuiti al Commissario riguardano: la facoltà di avvalersi di differenti stazioni appaltanti per l’esecuzione dei progetti e dei lavori (art. 10 comma 4 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91); la titolarità dei procedimenti di approvazione e autorizzazione dei progetti, attraverso l’emanazione degli atti e dei provvedimenti e la cura di tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche necessari alla realizzazione degli interventi (art. 10 comma 5 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91); l’autorizzazione rilasciata ai sensi del comma 5 che sostituisce tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo necessario per l'esecuzione dell'intervento, che comporta dichiarazione di pubblica utilità e costituisce, ove occorra, variante agli strumenti di pianificazione (art. 10 comma 6 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91); la titolarità della dotazione finanziaria necessaria per la realizzazione degli interventi attuativi della sentenza di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 disponendo di tutte le risorse finanziarie statali destinate, a qualsiasi titolo, alla messa a norma delle discariche abusive e non impegnate alla data di entrata in vigore del presente articolo, ancorché già trasferite alle Amministrazioni locali e regionali che sono revocate e assegnate al Commissario Straordinario in un conto di contabilità speciale attivato ad hoc per l’esercizio di questi poteri e funzioni (art. 22 del D.L. 24 giugno 2016, n. 113); la titolarità a sottoscrivere specifici accordi ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (art. 22 del D.L. 24 giugno 2016, n. 113) con le Amministrazioni locali e regionali che contribuiscono alle attività di messa a norma delle discariche abusive con proprie risorse.
Per ulteriori approfondimenti in merito alle discariche oggetto di infrazione, agli interventi previsti e alle risorse disponibili, si rinvia al sito del Commissario Straordinario, alla Relazione al Parlamento aggiornata al mese di giugno 2018, alla audizione del 30 gennaio 2019 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e alla recente audizione del 1° ottobre 2019 presso la VIII Commissione ambiente della Camera dei deputati.
Il comma 1 prevede, inoltre, la possibilità di riconoscere al personale di cui si avvale il Commissario, inclusi i membri della Struttura di supporto di cui al successivo comma 3, la corresponsione di compensi per prestazioni di lavoro straordinario, nei limiti delle risorse disponibili, per un massimo di 70 ore mensili pro capite.
Il comma 2 prevede che il Commissario unico sia scelto nei ruoli dirigenziali della pubblica amministrazione, resti in carica per un triennio, e sia collocato in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo, secondo i rispettivi ordinamenti.
In tali casi, il correlativo posto della dotazione organica dell'amministrazione di provenienza è reso indisponibile per la medesima durata, a fini di invarianza finanziaria.
Al Commissario è corrisposto - in aggiunta al trattamento economico fondamentale a carico dell’amministrazione di appartenenza - un compenso accessorio in ragione dei risultati conseguiti, determinato nella misura e con le modalità di cui al comma 3 dell’articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, a valere sulle risorse assegnate per la realizzazione degli interventi.
Il comma 3 dell’articolo 15 del D.L.98/2011 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2012, il compenso dei commissari o sub commissari sia composto da una parte fissa e da una parte variabile. La parte fissa non può superare 50 mila euro, annui; la parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale, non può superare 50 mila euro annui.
Il comma 3 assegna al Commissario unico una struttura di supporto, composta al massimo di 12 membri appartenenti alle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, e all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che cessa al termine del mandato del Commissario unico.
L’articolo 1, comma 2, del D. Lgs. 165/2001 prevede che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
L’articolo 3 del D.Lgs. 165/2001 qualifica come personale in regime di diritto pubblico, in particolare: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Il comma 3 prevede la nomina dei componenti della struttura, posti in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, con decreto del Ministro dell’ambiente, e dispone che essi siano scelti tra soggetti dotati di comprovata esperienza nel settore delle bonifiche e in materia di affidamento dei contratti pubblici, in ragione dell’esperienza maturata e dei compiti di tutela ambientale attribuiti dall’ordinamento.
In caso di collocamento fuori ruolo, il correlativo posto della dotazione organica dell'amministrazione di provenienza è reso indisponibile per la medesima durata, a fini di invarianza finanziaria.
Il comma 4 prevede che il Commissario operi, sulla base di una specifica convenzione, presso il Ministero dell’ambiente, con sede presso il medesimo Ministero, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il comma 5 stabilisce che le risorse finanziarie necessarie per le esigenze operative e per il funzionamento della struttura, compresi gli oneri dovuti per la stipula delle convenzioni previste, siano poste a valere su una quota, non superiore allo 0,5% annuo, delle risorse assegnate per la realizzazione degli interventi.
Il comma 6 prevede la nomina - entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge - con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Ministro dell’ambiente e il Ministro per il sud e la coesione territoriale - di un Commissario unico, al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi di collettamento, fognatura e depurazione di cui all’articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243, e degli ulteriori interventi previsti all’art. 4-septies, comma 1, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32.
Il Commissario unico subentra in tutte le situazioni giuridiche attive e passive del precedente Commissario, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2017, che cessa dal proprio incarico alla data di nomina del nuovo Commissario unico.
Per le inadempienze nell'attuazione della Direttiva europea 91/271/CEE (recepita dall'Italia con il D.Lgs. 152/2006), che prevede che tutti gli agglomerati con carico generato maggiore di 2.000 abitanti equivalenti siano forniti di adeguati sistemi di reti fognarie e trattamento delle acque reflue, l'Italia ha subìto due condanne da parte della Corte di giustizia dell'UE, la C565-10 (procedura di infrazione n. 2004/2034) e la C85-13 (procedura di infrazione n. 2009/2034) ed è stata aperta una ulteriore procedura di infrazione (n. 2014/2059).
Con la successiva sentenza del 31 maggio 2018, causa C-251/17, la stessa Corte ha condannato l'Italia, per non aver adottato tutte le misure necessarie per l'esecuzione della sentenza del 19 luglio 2012 (causa C-565/10), al pagamento di una somma forfettaria di 25 milioni di euro, nonché di una penalità di 30,1 milioni per ciascun semestre di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per ottemperare alla sentenza citata.
Dopo tale sentenza, la Commissione europea ha avviato un'ulteriore procedura di infrazione (n. 2017/2181) per violazione della direttiva 91/271, in particolare, per assenza o non corretta funzionalità dei sistemi di raccolta e/o trattamento dei reflui.
Con il D.P.C.M. 26 aprile 2017, emanato ai sensi dell'art. 2 del D.L. 243/2016 (vedi infra), è stato nominato il prof. Enrico Rolle a Commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle succitate sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'UE.
Successivamente, l’art. 4-septies, comma 1, del D.L. 32/2019 (cd. “sblocca cantieri”), al fine di evitare l'aggravamento delle citate procedure di infrazione in corso n. 2014/2059 e n. 2017/2181, ha attribuito al Commissario unico compiti di coordinamento e realizzazione di interventi funzionali volti a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alla normativa dell'Unione europea dei siti indicati dalle due nuove procedure di infrazione.
L’art. 4-septies, comma 4, del D.L. 32/2019 prevede, poi, che con decreto del Presidente del Consiglio, previa intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni, siano individuati gli interventi, tra quelli per cui non risulti già l'aggiudicazione provvisoria dei lavori, per i quali il Commissario unico assumerà il compito di soggetto attuatore. Si è previsto, inoltre, che entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. 32/2019, i commissari straordinari (nominati ai sensi dell'articolo 7, comma 7, del D.L. 133/2014) cessino le proprie funzioni e che, in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi posti in essere, subentri il Commissario unico.
Il Commissario, per le attività di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione dei lavori e di collaudo, si avvale, attraverso convenzioni onerose a valere sui quadri economici degli interventi, delle società in house delle Amministrazioni dello Stato dotate di specifiche competenze tecniche, degli Enti del sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e degli Enti pubblici che operano nelle aree di intervento, utilizzando le risorse umane e strumentali disponibili, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Una panoramica delle attività commissariali, che dà conto degli agglomerati oggetto di infrazione affidati al Commissario, è contenuta nella relazione presentata dal Commissario nel corso della sua audizione del 12 settembre 2018 presso la VIII Commissione (Ambiente) della Camera e nella audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti svolta nella seduta dell’8 maggio 2019.
Il comma 7 prevede - aggiungendo il comma 8-bis all’articolo 2 del D.L. 243/2016 - la possibilità per il Commissario unico di avvalersi al massimo di due sub commissari, in relazione alla portata e al numero degli interventi sostitutivi. Ai due sub commissari, nominati con D.P.C.M. sentiti il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per il sud e per la coesione territoriale, si applica la disciplina di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 2 del D.L. 243/2016, con oneri a carico del quadro economico degli interventi. Con il medesimo procedimento, è prevista l'eventuale sostituzione o revoca dei sub commissari.
L'art. 2 del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243 reca le norme relative alle procedure di infrazione europee n. 2004/2034 e n. 2009/2034, per la realizzazione e l'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione.
Il comma 1 prevede la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Presidenti delle regioni interessate, di un Commissario unico, scelto tra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, di comprovata esperienza gestionale e amministrativa, che non siano in una situazione di conflitto di interessi, in carica per un triennio e, nel caso in cui si tratti di dipendente pubblico, collocato in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo secondo l'ordinamento applicabile.
Il comma 3 stabilisce che al Commissario venga corrisposto esclusivamente un compenso, composto da una parte fissa e da una variabile; la prima non può superare 50 mila euro, annui; anche la parte variabile, strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale, non può superare 50 mila euro annui, ai sensi del comma 3 dell'articolo 15 del D.L. 98/2011, a valere sulle risorse assegnate per la realizzazione degli interventi.
L’articolo 6 reca disposizioni in materia di pubblicità dei dati ambientali. Il comma 1 stabilisce che debbano essere pubblicati anche i dati ambientali risultanti da rilevazioni effettuate, dai soggetti di cui all'articolo 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e dai concessionari di servizi pubblici. La norma richiama l'attuazione delle previsioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni ambientali, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, specificando che resta fermo il diritto di accesso diffuso dei cittadini singoli e associati alle informazioni ambientali
Si stabilisce che, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, i gestori di centraline e di sistemi di rilevamento automatico dell’inquinamento atmosferico, della qualità dell’aria e di altre forme di inquinamento ed i gestori del servizio idrico pubblicano in rete informazioni sul funzionamento del dispositivo, sui rilevamenti effettuati e tutti i dati acquisiti. I dati e le informazioni di cui ai commi 1 e 2 sono acquisiti con modalità telematica dall’ISPRA; si prevede poi che l'ISPRA provvede ad acquisire e sistematizzare, in formato aperto e accessibile, ogni ulteriore dato ambientale e a renderlo pubblico attraverso una sezione dedicata e fruibile dal sito istituzionale del MATTM denominata «Informambiente», anche nell’ambito della sezione «Amministrazione trasparente», sulla base di una specifica convenzione tra l'ISPRA e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il comma 5, per le finalità di cui al comma 4 in materia di attività dell'ISPRA, autorizza la spesa di 500.000 euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022. La copertura è a valere delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Si autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 1 stabilisce - nell'ambito degli obblighi di cui all'articolo 40 del decreto legislativo n. 33 del 2013 (in materia di diritto di accesso civico e obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) - che debbano essere pubblicati anche i dati ambientali risultanti da rilevazioni.
Si tratta dei dati risultanti dalle rilevazioni effettuate dai seguenti soggetti, ai sensi della normativa vigente:
Ø i soggetti di cui all'articolo 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, disposizione che fa riferimento alle amministrazioni pubbliche come definite dal Testo unico sul pubblico impego, nonché a una serie di altri soggetti che svolgano funzioni di carattere pubblicistico
Ø e i concessionari di servizi pubblici
·
Si riporta più nel dettaglio l'ambito soggettivo definito dall'articolo 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
In particolare, l'articolo 2-bis indica l'ambito soggettivo di applicazione del D. Lgs. n. 33 del 2013, in materia di trasparenza delle informazioni, stabilendo che ai fini del decreto in parola, per "pubbliche amministrazioni" si intendono tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi comprese le autorità portuali, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione (comma 1 dell'articolo 2-bis).
Si ricorda che in base al citato Testo unico del pubblico impiego (in particolare ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo, n. 165 del 2001) per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
In ordine all'ambito di applicazione della normativa su diritto di accesso e trasparenza informativa, si ricorda poi che il comma 2 dell'articolo 2-bis del D. Lgs. n. 33 del 2013 prevede che la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 si applichi anche, in quanto compatibile, ad altri soggetti, quali:
a) agli enti pubblici economici e agli ordini professionali;
b) alle società in controllo pubblico.
Sono invece escluse le società quotate come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera p), dello stesso decreto legislativo, nonché le società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche;
c) alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell'ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell'organo d'amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.
In base al comma 3 dell'articolo 2-bis, la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 si applica, in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, alle società in partecipazione pubblica, e alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici
Si osserva che la norma in esame, pur richiamando l'articolo 40 del D. Lgs. n. 33 del 2013 sulla pubblicazione e l'accesso alle informazioni ambientali, fa riferimento - quanto all'ambito applicativo soggettivo della previsione - oltreché ai concessionari di servizi pubblici, ai 'soggetti di cui all'articolo 2-bis' del medesimo decreto legislativo n. 33: quest'ultima disposizione fa riferimento non solo alle amministrazioni pubbliche come definite dal Testo unico sul pubblico impego, ma anche a una serie di altri soggetti (si veda il comma 2 del suddetto articolo 2-bis citato). Stante la formulazione, la norma in esame sembrerebbe riferirsi non solo alle amministrazioni pubbliche, ma anche ai soggetti di cui al comma 2 dell'articolo 2-bis in questione.
Al riguardo, la relazione tecnica al provvedimento fa riferimento alle autorità pubbliche ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto legislativo numero 195 del 2005, richiamandone la definizione e rilevando che si tratta di obblighi già previsti a legislazione vigente, cui le amministrazioni interessate possono provvedere con le risorse umane strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente. La disposizione in esame contiene tuttavia il riferimento normativo all'articolo 2-bis del D. Lgs. n. 33 del 2013, che annovera una sfera più ampia di soggetti.
Si segnala infine che il comma 3 della norma in esame fa riferimento alle sole pubbliche amministrazioni.
Sotto tale profilo, stante il riferimento normativo contenuto nel comma 1 della norma in esame ai soggetti di cui all'articolo 2-bis del D. Lgs. n. 33 del 2013, si valuti l'opportunità di chiarire l'ambito applicativo della disposizione.
L'accesso all'informazione ambientale
Il decreto legislativo n. 195 del 2005, in attuazione della direttiva comunitaria 2003/4/CEE, ha riconosciuto il diritto di accedere alle informazioni relative all'ambiente in possesso delle Autorità Pubbliche. Per Autorità Pubbliche devono intendersi non solo le Amministrazioni Pubbliche statali, regionali e locali, ma anche le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi, nonché ogni persona fisica o giuridica che svolge funzioni pubbliche connesse alle tematiche ambientali o eserciti responsabilità amministrative sotto il controllo di un organismo pubblico (articolo 2, comma 1, lettera b).
Si ricorda che il decreto legislativo n. 33 del 2013 ha poi recato il Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
L'articolo 40 di tale D. Lgs. reca norme sulla pubblicazione e l'accesso alle informazioni ambientali. Esso ha previsto che in materia di informazioni ambientali restano ferme le disposizioni di maggior tutela già previste dalla legislazione (si tratta dell'articolo 3-sexies del codice dell'ambiente, di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di diritto di accesso alle informazioni ambientali e di partecipazione a scopo collaborativo; della legge 16 marzo 2001, n. 108, recante Ratifica ed esecuzione della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998; nonché del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, che ha attuato nel nostro ordinamento la direttiva 2003/4/CE, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale).
In base a tale disposizione, le amministrazioni di cui al citato articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 195 del 2005, pubblicano, sui propri siti istituzionali e in conformità a quanto previsto dal medesimo decreto legislativo, le informazioni ambientali (di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195), che detengono ai fini delle proprie attività istituzionali, nonché le relazioni di cui all'articolo 10 del medesimo decreto legislativo. Di tali informazioni deve essere dato specifico rilievo all'interno di un'apposita sezione detta «Informazioni ambientali».
L'articolo 40 fa salvi i casi di esclusione del diritto di accesso alle informazioni ambientali di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.
Il citato decreto legislativo n. 195 del 2005, all'articolo 5, stabilisce i casi di esclusione del diritto di accesso all'informazione ambientale, che è negato nel caso in cui: a) l'informazione richiesta non è detenuta dall'autorità pubblica alla quale è rivolta la richiesta di accesso. In tale caso l'autorità pubblica, se conosce quale autorità detiene l'informazione, trasmette rapidamente la richiesta a quest'ultima e ne informa il richiedente ovvero comunica allo stesso quale sia l'autorità pubblica dalla quale è possibile ottenere l'informazione richiesta; b) la richiesta è manifestamente irragionevole avuto riguardo alle finalità della normativa di riferimento; c) la richiesta è espressa in termini eccessivamente generici; d) la richiesta concerne materiali, documenti o dati incompleti o in corso di completamento. In tale caso, l'autorità pubblica informa il richiedente circa l'autorità che prepara il materiale e la data approssimativa entro la quale detto materiale sarà disponibile; e) la richiesta riguarda comunicazioni interne, tenuto, in ogni caso, conto dell'interesse pubblico tutelato dal diritto di accesso. Ai sensi del comma 2 della norma, l'accesso all'informazione ambientale è negato quando la divulgazione dell'informazione reca pregiudizio: a) alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, secondo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia; b) alle relazioni internazionali, all'ordine e sicurezza pubblica o alla difesa nazionale; c) allo svolgimento di procedimenti giudiziari o alla possibilità per l'autorità pubblica di svolgere indagini per l'accertamento di illeciti; d) alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, secondo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia, per la tutela di un legittimo interesse economico e pubblico, ivi compresa la riservatezza statistica ed il segreto fiscale, nonché ai diritti di proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30; e) ai diritti di proprietà intellettuale; f) alla riservatezza dei dati personali o riguardanti una persona fisica, nel caso in cui essa non abbia acconsentito alla divulgazione dell'informazione al pubblico, tenuto conto di quanto stabilito dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196; g) agli interessi o alla protezione di chiunque abbia fornito di sua volontà le informazioni richieste, in assenza di un obbligo di legge, a meno che la persona interessata abbia acconsentito alla divulgazione delle informazioni in questione; h) alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, cui si riferisce l'informazione, come nel caso dell'ubicazione di specie rare. L'autorità pubblica applica le disposizioni sul diniego in modo restrittivo, effettuando, in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata fra l'interesse pubblico all'informazione ambientale e l'interesse tutelato dall'esclusione dall'accesso.
Specifica la normativa vigente, nei casi di cui al comma 2, lettere a), d), f), g) e h), la richiesta di accesso non può essere respinta qualora riguardi informazioni su emissioni nell'ambiente.
In base alla normativa vigente, l'attuazione degli obblighi di pubblicazione delle informazioni non è in alcun caso subordinata alla stipulazione degli accordi (di cui all'articolo 11 del D. Lgs. n. 195 del 2005) tra Stato, regioni ed enti locali da definire in Conferenza unificata, mentre sono fatti salvi gli effetti degli accordi eventualmente già stipulati, qualora assicurino livelli di informazione ambientale superiori a quelli garantiti dalle disposizioni del decreto n. 33 del 2013. Il D. Lgs. n. 33 fa fermo il potere di stipulare ulteriori accordi, nel rispetto dei livelli di informazione ambientale garantiti dalle disposizioni del medesimo decreto.
La giurisprudenza amministrativa riconosce come il D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195 garantisce il più ampio diritto di accesso nella massima trasparenza possibile per l'intera materia dell'informazione ambientale, definendo questa qualsiasi informazione detenuta dalle pubbliche autorità e disponibile in qualunque forma materiale esistente, concernente lo stato degli elementi costitutivi dell'ambiente inteso in senso generale, i fattori esterni quali energia, rumore, radiazioni, rifiuti o qualsiasi altro rilascio che possano incidere sull'ambiente stesso, le misure politiche ed amministrative che incidono o che possono incidere sugli elementi sopraddetti, le relazioni sull'attuazione della legislazione ambientale, le analisi costi-benefici usate nell'ambito delle misure adottate, lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare (Cons. Stato Sez. V Sent., 20/08/2013, n. 4181), riconoscendo condizione necessaria e sufficiente per l'accesso all'informazione ambientale la sussistenza di un effettivo interesse alla tutela dell'ambiente (Cons. Stato Sez. V Sent., 21/06/2016, n. 2724).
La norma in esame richiama l'attuazione delle previsioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni ambientali, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta il 25 giugno 1998.
La "Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l'accesso alla giustizia in materia ambientale", firmata nella cittadina danese di Aarhus nel 1998, entrata in vigore il 30 ottobre 2001 è stata ratificata a livello nazionale con la legge n. 108 del 2001. L'Unione europea ha sottoscritto tale convenzione, ratificandola con decisione del Consiglio europeo del 2 febbraio 2005, n. 370. La Convenzione si basa sul principio che un maggiore coinvolgimento e una più forte sensibilizzazione dei cittadini nei confronti dei problemi ambientali conduca ad un miglioramento della protezione dell'ambiente.
In estrema sintesi, per raggiungere tale obiettivo, la Convenzione prevede di:
- assicurare l'accesso del pubblico alle informazioni sull'ambiente detenute dalle autorità pubbliche;
- favorire la partecipazione dei cittadini alle attività decisionali aventi effetti sull'ambiente;
- estendere le condizioni per l'accesso alla giustizia in materia ambientale.
Gran parte delle innovazioni contenute nella convenzione di Aarhus sono state riprese nella direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale che tra le finalità proclama espressamente quella di attuare le prescrizioni della Convenzione. Il decreto legislativo n. 195 del 2005 ha attuato nel nostro ordinamento la direttiva 2003/4/CE, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale.
La disposizione specifica poi che resta fermo il diritto di accesso diffuso dei cittadini singoli e associati alle informazioni ambientali.
L'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 ha previsto, ai fini dell'accesso diffuso all'informazione ambientale, che le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni, siano individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l'ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta. Con successivi decreti ministeriali si è provveduto all'individuazione delle associazioni in parola.
Il comma 2 stabilisce che, ai fini di cui al comma 1, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, siano pubblicati in rete informazioni da parte dei seguenti soggetti:
Ø i gestori di centraline e di sistemi di rilevamento automatico dell’inquinamento atmosferico, della qualità dell’aria e di altre forme di inquinamento
Ø ed i gestori del servizio idrico.
Le informazioni da pubblicare in rete riguardano:
- il funzionamento del dispositivo
- i rilevamenti effettuati
- e tutti i dati acquisiti.
Si valuti di specificare le modalità di tale pubblicazioni, chiarendo il in particolare riferimento alla pubblicazione 'in rete', se riferita al relativo sito istituzionale.
In base al comma 3, le pubbliche amministrazioni provvedono a svolgere le attività di cui ai commi 1 e 2 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Si segnala che il comma 3 fa riferimento alle sole 'pubbliche amministrazioni', mentre il comma 1 indica i soggetti di cui all'articolo 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e i concessionari di servizi pubblici (si veda, infra, il comma 1).
Il comma 4 prevede - al primo periodo del comma - che i dati e le informazioni di cui ai commi 1 e 2 sono acquisiti, con modalità telematica, dall’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).
L'ISPRA provvede inoltre, ai sensi della disposizione di cui al secondo periodo del comma, ad acquisire e sistematizzare, in formato aperto e accessibile, 'ogni ulteriore dato ambientale' e a renderlo pubblico attraverso una sezione dedicata e fruibile dal sito istituzionale del MATTM denominata «Informambiente», anche nell’ambito della sezione «Amministrazione trasparente». Si prevede ciò avvenga sulla base di una specifica convenzione tra l'ISPRA e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Si segnala che l'attuale sezione del sito del MATTM, relativa alla amministrazione trasparente, ha una sezione dedicata alle informazioni ambientali, che reca attualmente le seguenti voci:
Informazioni ambientali
Stato dell'ambiente
Fattori inquinanti
Misure incidenti sull'ambiente e relative analisi di impatto
Misure a protezione dell'ambiente e relative analisi di impatto
Relazioni sull'attuazione della legislazione
Stato della salute e della sicurezza umana
Relazione sullo stato dell'ambiente del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio.
L'articolo 28 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 come convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 131, ha istituito l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), sotto la vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, (ISPRA).
Si segnala che attualmente, nella sezione Reportistica, sul proprio sito istituzionale l'Ispra rende consultabili i Report delle interlocuzioni tra ISPRA e la propria utenza relativamente alle richieste di atti amministrativi e informazioni ambientali.
Si ricorda che la normativa vigente detta una definizione ampia della informazione ambientale; in particolare, ai sensi del citato D. Lgs. 195 del 2005, si intende per «informazione ambientale» qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale concernente:
1) lo stato degli elementi dell'ambiente, quali l'aria, l'atmosfera, l'acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica ed i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, e, inoltre, le interazioni tra questi elementi;
2) fattori quali le sostanze, l'energia, il rumore, le radiazioni od i rifiuti, anche quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi ed altri rilasci nell'ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell'ambiente, individuati al numero 1);
3) le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e ogni altro atto, anche di natura amministrativa, nonché le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori dell'ambiente di cui ai numeri 1) e 2), e le misure o le attività finalizzate a proteggere i suddetti elementi;
4) le relazioni sull'attuazione della legislazione ambientale;
5) le analisi costi-benefici ed altre analisi ed ipotesi economiche, usate nell'ambito delle misure e delle attività di cui al numero 3);
6) lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, il paesaggio, i siti e gli edifici d'interesse culturale, per quanto influenzabili dallo stato degli elementi dell'ambiente di cui al punto 1) o, attraverso tali elementi, da qualsiasi fattore di cui ai punti 2) e 3).
Si segnala che il primo periodo del comma 4 - in base alla formulazione della norma - fa riferimento alla sola acquisizione dei dati, relativamente ai dati di cui ai commi 1 e 2 della norma, non prevedendo per questi la pubblicazione in formato aperto e accessibile, invece prevista dal secondo periodo del comma.
Il comma 5, per le finalità di cui al comma 4, autorizza la spesa di 500.000 euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022. La copertura è a valere delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il comma 6 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L'articolo 7 riconosce, in via sperimentale, un contributo a fondo perduto a favore di esercenti commerciali di vicinato o di media struttura per incentivare la vendita di detergenti o prodotti alimentari, sfusi o alla spina. Il contributo economico è pari alla spesa sostenuta per attrezzare gli spazi dedicati a tale tipo di vendita al consumatore finale. Esso è attribuito, nell'ordine di presentazione delle domande, a copertura della spesa sostenuta e comunque nella misura massima di 5.000 euro. Il contenitore offerto dall'esercente non dovrà essere un contenitore monouso.
Le modalità di attuazione sono demandate ad un decreto ministeriale. Sono quindi previste le norme per la copertura finanziaria, nel limite massimo di spesa pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021. Le disposizioni in esame si applicano nel rispetto della legislazione dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato "de minimis".
Il comma 1 prevede l'istituzione della misura incentivante sopra descritta, con la finalità di ridurre la produzione di rifiuti e contenere gli effetti climalteranti.
L'aiuto economico in parola è riconosciuto agli esercizi di vicinato e alle medie strutture di vendita di cui al decreto legislativo n. 114 del 1998 (recante "Riforma della disciplina relativa al settore del commercio"), art. 4, comma 1, lettere d) ed e). In particolare:
· gli esercizi di vicinato sono definiti quali esercizi aventi superficie di vendita non superiore a 150 m2 nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 m2 nei comuni con popolazione residente superiore (lett. d));
· le medie strutture di vendita, sono definite quali strutture aventi superficie superiore ai limiti di cui alla lettera d) e fino a 1.500 m2 nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 m2 nei comuni con popolazione residente superiore (lett. e)).
Come sopra accennato, il beneficio è concesso a condizione che il contenitore offerto dall'esercente non sia monouso.
Ai sensi del comma 2 della disposizione in esame, le modalità per l'ottenimento del contributo sono fissate da un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico e sentita la Conferenza unificata, entro il termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge.
Il decreto ministeriale dovrà, tra l'altro, prevedere specifiche verifiche che permettano di rilevare che l'attività di vendita in parola sia svolta per un periodo minimo di tre anni, a pena di revoca del contributo.
Il comma 3 stabilisce che alla copertura dell'onere, pari a 20 milioni per il 2020 e per il 2021, si provveda mediante la corrispondente riduzione dei fondi speciali in conto capitale - quali definiti dalla tabella B della legge di bilancio ai fini del bilancio triennale 2019-21 - parzialmente utilizzando l'accantonamento corrispondente al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il comma 5 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le variazioni di bilancio occorrenti.
Il comma 4 specifica che l'incentivo è concesso nel rispetto dei limiti e delle condizioni posti dalle norme europee in materia di aiuti "de minimis".
L'Articolo 107 del TFUE stabilisce che, salvo deroghe, sono incompatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, che falsifichino o minaccino di falsificare la concorrenza (par. 1). Fanno eccezione gli aiuti "de minimis" accordati da uno Stato a un'impresa unica ai sensi del regolamento (UE) n. 1407/2013, il cui importo complessivo non deve superare i 200.000 euro per tre anni consecutivi (con alcune eccezioni spedicate dalla norma). Tali misure di aiuto non costituiscono aiuti di stato ai sensi del trattato e per essi non si applica l'obbligo di notifica di cui all'articolo 108, par. 3.
Si ricorda, in materia di prodotti monouso, che la direttiva (UE) 2019/904, sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, reca misure concernenti la riduzione del consumo (art. 4) e restrizioni all’immissione sul mercato (art. 5) di prodotti di plastica monouso.
In estrema sintesi, gli Stati membri sono chiamati ad adottare Gli Stati membri adottano "misure necessarie per conseguire una riduzione ambiziosa e duratura" del consumo di tazze per bevande (inclusi i relativi tappi e coperchi) e di alcune tipologie di contenitori per alimenti. Inoltre, gli Stati membri sono chiamati a vietare l’immissione sul mercato dei seguenti prodotti di plastica monouso (ove non rientrino nell’ambito di applicazione di altre direttive in materia:
· bastoncini cotonati
· posate
· piatti;
· cannucce,
· agitatori per bevande;
· aste da attaccare a sostegno dei palloncini, con esclusioni;
· contenitori per alimenti in polistirene espanso;
· contenitori per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi;
· tazze per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi.
Il termine di recepimento delle disposizioni qui sopra richiamate è fissato al 3 luglio 2021 dall'art. 17 della direttiva.
L'articolo 8 prevede il differimento dal 15 ottobre 2019 (corrispondente alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame) al 15 gennaio 2020 del termine:
§ per il pagamento dei tributi non versati per effetto delle sospensioni disposte, nel tempo, in seguito agli eventi sismici a far data dal 24 agosto 2016 (previsto dal comma 11 dell’art. 48 del D.L. 189/2016);
§ per l’effettuazione degli adempimenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, sospesi in seguito ai medesimi eventi sismici (successivo comma 13 dell’art. 48 citato).
Con riferimento sia agli adempimenti tributari (comma 11) sia a quelli contributivi (comma 13), le norme in esame dispongono, nel caso di opzione per il pagamento rateale – fermo restando il numero massimo di 120 rate mensili di pari importo – che i soggetti interessati versino l’importo corrispondente al valore della prima rata entro il 15 gennaio 2020 (in luogo delle prime cinque rate entro il termine del 15 ottobre 2019, previsto dalla norma finora vigente).
L'articolo in esame provvede, quindi, alla copertura dei relativi oneri.
L’articolo 48 del D.L. 189/2016 prevede la sospensione dei termini per una serie di adempimenti a favore di soggetti, persone fisiche e imprese, localizzate nei comuni (di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis annessi al medesimo decreto-legge) colpiti dagli eventi sismici dal 24 agosto 2016 e fino al 18 gennaio 2017. Il comma 1 dell'articolo in esame prevede un ulteriore differimento dei termini recati dai commi 11 e 13 di tale articolo 48.
Il comma 11 dell'art. 48, stabilisce, in via generale, che la ripresa della riscossione dei tributi non versati per effetto di talune sospensioni (v. infra) avvenisse entro il 16 dicembre 2017, senza applicazione di sanzioni e interessi. Tuttavia, la ripresa della riscossione dei tributi sospesi da parte dei soggetti diversi dai titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, e diversi dagli esercenti attività agricole decorre, secondo la modifica in esame, dal 15 gennaio 2020 (in luogo del 15 ottobre 2019); ove si sia optato per la rateizzazione del versamento delle somme oggetto di sospensione in 120 rate mensili di pari importo, la ripresa della riscossione decorre con il versamento dell'importo della prima rata entro il 15 gennaio 2020 (in luogo delle prime cinque rate entro il 15 ottobre 2019).
Le disposizioni in commento si applicano alle sospensioni di tributi disposte dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 1º settembre 2016 e dai commi 10 e 10-bis dello stesso art. 48 del D.L. 189/2016.
Il D.M. 1° settembre 2016 ha disposto la sospensione dei termini tributari, ivi inclusa la seconda rata dell’Imu e della Tasi, a favore dei contribuenti che alla data degli eventi sismici avevano la residenza ovvero la sede operativa nel territorio dei comuni colpiti dal sisma.
Per tali adempimenti e versamenti la sospensione dei termini (fissata al 16 dicembre 2016 dal decreto ministeriale) è prorogata fino al 30 novembre 2017 ai sensi del comma 10. Tuttavia, sempre il comma 10 stabilisce che per i soggetti diversi dai titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, nonché dagli esercenti attività agricole (quindi i soggetti interessati dalle modifiche introdotte dal presente decreto-legge) il medesimo termine è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2017. Il comma 10-bis, inoltre, dispone che le sospensioni previste dal D.M. 1° settembre 2016 e dal comma 10, si applicano ai soggetti residenti o aventi sede legale o operativa nei Comuni indicati nell'allegato 2 al D.L. 189/2016, a decorrere dal 26 ottobre 2016. L'Allegato 2 reca l'elenco dei Comuni colpiti dal sisma del 26 e del 30 ottobre 2016 in Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria.
Il comma 13 dell'art. 48 del D.L. 189/2016, prevede la sospensione dei termini relativi agli adempimenti e ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria in scadenza rispettivamente nel periodo dal 24 agosto 2016 al 30 settembre 2017 ovvero nel periodo dal 26 ottobre 2016 al 30 settembre 2017. Tali adempimenti e i pagamenti, sono effettuati entro il 15 gennaio 2020 (secondo la novella del decreto-legge, in luogo del termine del 15 ottobre 2019). Con riferimento alla rateizzazione fino a un massimo di 120 rate mensili di pari importo, si dovrà effettuare il versamento dell'importo corrispondente al valore della prima rata entro la stessa data (secondo la novella, in luogo del versamento delle prime cinque rate entro il 15 ottobre 2019). Non si applicano sanzioni e interessi. Per completezza, si ricorda che la norma in esame prevede la possibilità, a richiesta del lavoratore dipendente subordinato o assimilato, che la ritenuta sia operata dal sostituto d'imposta.
Il comma 2 dell'articolo in esame quantifica l'onere del differimento di termini disposto dal comma 1 in 13,8 milioni di euro per l'anno 2019. Vi si provvede mediante utilizzo delle risorse di cui all'art. 2, comma 107, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008). Si tratta delle risorse previste per la chiusura dello stato di emergenza conseguente al sisma del 1997 che ha colpito i territori delle regioni Umbria e Marche. Il comma 3 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a provvedere con propri decreti alle occorrenti variazioni di bilancio.
[1] Si veda al riguardo il Dossier 52/DE e il più recente Dossier n. 2/DE.
[2] Si veda al riguardo il Dossier 2/DE a cura del Senato.