Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Lavoro
Titolo: D.L. 4/2019 Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni
Riferimenti: AC N.1637/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 91/2
Data: 01/03/2019
Organi della Camera: XI Lavoro, VI Finanze

Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni

D.L. 4/2019 A.C. 1637

 

 

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Progetti di legge n. 91/2

 

 

 

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D19004b

 


INDICE

 

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Istituzione del Reddito di cittadinanza)....................................... 3

§  Articolo 2 (Beneficiari).................................................................................. 8

§  Articolo 3 (Beneficio economico)................................................................ 21

§  Articolo 4 (Patto per il lavoro e Patto per l'inclusione sociale).................. 26

§  Articolo 5 (Richiesta, riconoscimento ed erogazione del beneficio)........... 33

§  Articolo 6, commi 1-8 (Piattaforme digitali per l'attivazione e la gestione dei Patti)    40

§  Articolo 6, commi 8-bis e 8-ter (Requisiti per l'autorizzazione all'esercizio di assistenza fiscale da parte dei CAF)......................................................................................... 42

§  Articolo 7 (Sanzioni).................................................................................... 44

§  Articolo 7-bis (Sanzioni in materia di infedele asseverazione o visto di conformità)     49

§  Articolo 8 (Incentivi per assunzioni di beneficiari del Rdc)........................ 53

§  Articolo 9 (Assegno di ricollocazione)........................................................ 60

§  Articolo 9-bis (Disposizioni in materia di patronato)................................. 64

§  Articolo 10 (Monitoraggio).......................................................................... 65

§  Articolo 11 (Modifiche alla disciplina del Reddito di inclusione)............... 66

§  Articolo 11-bis (Fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua)    75

§  Articolo 12 (Disposizioni finanziarie per l’attuazione del programma del Rdc)  76

§  Articolo 13 (Disposizioni transitorie e finali).............................................. 81

§  Articolo 14, commi 1-10 (Disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi)............................................. 82

§  Articolo 14, commi 10-bis_10-septies (Assunzioni Ministero della giustizia) 87

§  Articolo 14-bis (Facoltà assunzionali di Regioni ed Enti locali)................ 91

§  Articolo 14-ter (Utilizzo delle graduatorie concorsuali)............................. 92

§  Articolo 15 (Anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento anticipato indipendente dall'età anagrafica. Decorrenza con finestre trimestrali)........................... 93

§  Articolo 16 (Opzione donna)........................................................................ 95

§  Articolo 17 (Lavoratori precoci)................................................................. 98

§  Articolo 18 (Ape sociale)........................................................................... 102

§  Articolo 18-bis (Sospensione della prestazione previdenziale a taluni soggetti condannati e a soggetti evasi o latitanti)............................................................................ 107

§  Articolo 19 (Termine di prescrizione dei contributi previdenziali ed assistenziali per le amministrazioni pubbliche)........................................................................ 109

§  Articolo 20 (Norme in materia di riscatti di periodi a fini pensionistici).. 111

§  Articolo 21 (Esclusione opzionale dal massimale contributivo dei lavoratori che prestano servizio in settori in cui non sono attive forme di previdenza complementare compartecipate dal datore di lavoro)......................................................................................... 114

§  Articolo 22 (Fondi di solidarietà bilaterali).............................................. 116

§  Articolo 23 (Trattamenti di Fine Servizio)................................................. 119

§  Articolo 24 (Detassazione TFS)................................................................. 127

§  Articolo 25 (Ordinamento degli Enti previdenziali pubblici).................... 129

§  Articolo 25-bis (Disposizioni per i giornalisti in servizio presso gli uffici stampa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome).............................................. 133

§  Articolo 25-ter (Trasparenza in materia di trattamenti pensionistici)...... 134

§  Articolo 26 (Fondo di solidarietà del trasporto aereo)............................. 135

§  Articoli 26-bis e 26 ter (Disposizioni in materia di CIGS)........................ 138

§  Articolo 26-quater (Trattamenti di integrazione salariale in deroga)...... 141

§  Articolo 26-quinquies (Trattamento pensionistico del personale ENAV). 142

§  Articolo 26-sexies (Sostegno al reddito dei lavoratori del settore del call center)    144

§  Articolo 27 (Disposizioni in materia di giochi)......................................... 145

§  Articolo 28 (Disposizioni finanziarie)........................................................ 153

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Istituzione del Reddito di cittadinanza)

 

L’articolo in esame istituisce il reddito di cittadinanza, descrivendolo “quale misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, nonché a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione, alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.”

L’istituto assume la denominazione di “pensione di cittadinanza” nel caso di nuclei familiari “composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, adeguata agli incrementi della speranza di vita (vedi infra), fermi restando gli stessi requisiti di accesso e le stesse regole di definizione previsti per il reddito di cittadinanza, salva differente previsione. Nel caso di nuclei già beneficiari del Rdc, la Pensione di cittadinanza decorre dal mese successivo a quello del compimento del sessantasettesimo anno del componente del nucleo più giovane.

In particolare, dette misure costituiscono “livello essenziale delle prestazioni”, nei limiti delle risorse disponibili,[1] e decorrono dal mese di aprile dell’anno in corso.

 

Con riferimento ai “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP), si ricorda che, in Italia, l'assistenza sociale è realizzata attraverso un complesso di interventi nazionali, regionali e comunali, che rivestono le forme della prestazione economica e/o del servizio alla persona. A differenza di quanto avviene in campo sanitario, dove i Livelli essenziali di assistenza (LEA) indicano nel dettaglio le prestazioni erogate attraverso il Servizio sanitario nazionale, le politiche sociali sono interpretate diversamente a seconda della regione o anche del comune di riferimento: ciò in relaziona al fatto che le risorse per le politiche sociali provengono dal finanziamento plurimo dei tre livelli di governo (Stato, Regioni e Comuni), secondo dotazioni finanziarie presenti nei rispettivi bilanci.

La legge quadro sull'assistenza (legge 328/2000) ha stabilito che i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEP) corrispondono all'insieme degli interventi garantiti, sotto forma di beni o servizi, secondo le caratteristiche fissate dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, e attuati nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Più precisamente, l'art. 22 individua l'area del bisogno (per esempio: povertà, disagio minorile, responsabilità familiare, dipendenze, disabilità) e quindi le prestazioni e gli interventi idonei a soddisfare quei bisogni, senza giungere tuttavia a una definizione puntuale dei servizi. In tal senso, tuttavia, la legge 328/2000 non è stata pienamente attuata, in quanto non si è provveduto né a disegnare una programmazione nazionale dei servizi e degli interventi, né a fissare risorse certe e strutturali per i Fondi rivolti alle politiche sociali (FNPS), tali da rendere possibile il finanziamento dei diritti soggettivi. Il Piano Nazionale Sociale del triennio 2018-2020, emanato in allegato al Decreto 26 novembre 2018 di riparto del FNPS, ha sottolineato come risulti difficile definire i LEP in un quadro economico in cui le risorse dedicate alle politiche sociali risultano fortemente limitate. Pertanto, il Piano si configura come lo strumento di programmazione nazionale dell'utilizzo delle risorse del FNPS, il cui compito principale, più che la definizione immediata dei livelli essenziali delle prestazioni, è quello di individuare il percorso verso obiettivi condivisi in maniera da garantire maggiore uniformità territoriale. Nel Piano si sottolinea come il quadro territoriale della spesa sia fortemente disomogeneo, a volte all'interno di una stessa regione; per questo si ritiene impossibile individuare un nucleo di spesa comune in tutto il Paese che possa costituire l'embrione di livelli essenziali da erogare uniformemente. Pertanto, si sottolinea come il Piano 2018-2020 debba essere considerato "di transizione", e per questo in grado di lasciare un margine di libertà alle Regioni ed ai territori nell'utilizzo delle risorse. In sede di prima applicazione, il Piano rinvia infatti alla matrice di macro-livelli e aree di intervento su cui dal 2013 le Regioni programmano le risorse del Fondo e richiede che, per non più del 40% della quota trasferita, l'unico limite all'utilizzo del FNPS sia rappresentato dal complesso degli interventi e dei servizi sociali come delimitato dalla medesima matrice. Inoltre, il Piano richiede che almeno il 40% delle risorse del FNPS trasferite alle Regioni sia utilizzato a copertura delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza. 

Precedentemente, la materia era stata innovata dalla legge 33/2017 "Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali", collegata alla legge di bilancio 2016, che ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti:

a) l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà e dell'esclusione sociale, individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale articolata in una componente economica e in una componente di servizi;

b) il riordino delle prestazioni di natura assistenziale sottoposte alla prova dei mezzi finalizzate al contrasto della povertà, fatta eccezione per le prestazioni rivolte alla fascia di popolazione anziana non più in età di attivazione lavorativa, per le prestazioni a sostegno della genitorialità e per quelle legate alla condizione di disabilità e di invalidità del beneficiario;

c) il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, al fine di garantire, su tutto il territorio nazionale, i livelli essenziali delle prestazioni, nell'ambito dei princìpi di cui alla legge n. 328/2000. A tal fine, la legge delega 33/2017 ha previsto un organismo di coordinamento degli interventi e dei servizi sociali, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS), la Rete della protezione e dell'inclusione sociale (art. 21 del D.Lgs. 147/2017 istitutivo del REI).

In attuazione della delega, è stato pubblicato il D. Lgs. 15 settembre 2017, n. 147 "Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà". Il decreto ha istituito a decorrere dal 1° gennaio 2018, il Reddito di inclusione (ReI), quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale. Il ReI è finanziato nei limiti delle risorse del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, istituito dalla legge di stabilità 2016 (legge 208/2015). Il Fondo, a carattere permanente e con risorse certe, è finalizzato alla copertura del beneficio economico collegato al ReI, ma una sua quota (quota servizi) è destinata al rafforzamento e alla programmazione degli interventi e dei servizi sociali indirizzati ai nuclei familiari beneficiari.

A fronte di risorse certe e programmate, il ReI costituisce livello essenziale delle prestazioni, come esplicitamente dichiarato dal decreto istitutivo (art. 2, comma 16, del D. Lgs. 147/2017). Conseguentemente, sono considerati livelli essenziali delle prestazioni anche i servizi e gli interventi che accompagnano il nucleo familiare dal momento della richiesta del ReI all'affrancamento dalla condizione di povertà ed esclusione sociale: dall'accesso ai servizi, alla valutazione della condizione di bisogno, alla progettazione personalizzata fino all'individuazione dei sostegni per il nucleo familiare e degli impegni assunti dai suoi membri. Il D. Lgs. 147/2017 ha definito livello essenziale delle prestazioni anche l'offerta integrata di interventi e servizi secondo modalità coordinate definite dalle regioni e dalle province autonome.

In ultimo si ricorda che la legge di bilancio 2019 (art. 1, comma 255, della legge 145/2018) ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Fondo per il reddito di cittadinanza. La norma provvede a stanziare le risorse per l'istituzione dei richiamati istituti, demandando l'attuazione degli stessi ad appositi provvedimenti normativi nei limiti delle risorse stanziate, che ne costituiscono il relativo limite di spesa. Il terzo periodo del comma 255 è volto a garantire il riconoscimento delle prestazioni del Reddito di inclusione di cui al D. Lgs. 147/2017, fino alla piena operatività delle nuove misure da introdurre. Se ne dispone, pertanto, la prosecuzione, confermandone i limiti di spesa e disponendo che essi concorrano, in base alle procedure indicate per l'erogazione delle prestazioni, al raggiungimento del limite di spesa complessivo previsto per il Reddito di cittadinanza.

 

 

Adeguamento dell’età pensionabile agli incrementi di speranza di vita

Nell'ambito degli interventi volti al progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici per il diritto all'accesso dei trattamenti pensionistici, grande rilievo assumono i provvedimenti volti ad adeguare i requisiti anagrafici per l'accesso al sistema pensionistico all'incremento della speranza di vita (accertato dall'ISTAT).

Il principio è stato originariamente introdotto dal comma 2 dell'articolo 22-ter del D.L. 78/2009. Tale disposizione aveva disposto un intervento di portata generale rivolto a tutti i lavoratori, sia pubblici sia privati. Esso stabiliva che a decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti anagrafici per l'accesso al sistema pensionistico italiano dovessero essere adeguati all'incremento della speranza di vita accertato dall'ISTAT e convalidato dall'EUROSTAT, con riferimento ai 5 anni precedenti, con modalità tecniche demandate ad un apposito regolamento di delegificazione, da emanare entro il 31 dicembre 2014.

Successivamente la normativa in questione è stata interessata, pur in un breve periodo temporale, da numerosi interventi (articolo 12, commi 12-bis - 12-quinquies, del D.L. 78/2010; articolo 18, comma 4, del D.L. 98/2011; articolo 24, commi 12-13, del D.L. 201/2011) che ne hanno modificato ed integrato la struttura (peraltro non sempre intervenendo con la tecnica della novella del D.L. 78/2010).

Attualmente, sulla base di quanto disposto da tali ulteriori interventi, il primo adeguamento è stato anticipato al 1° gennaio 2013; allo stesso tempo, è stato anticipato al 2011 (in luogo del 2014) l'obbligo per l'ISTAT di rendere disponibili i dati relativi alla variazione della speranza di vita. Inoltre, è stato posticipato al 31 dicembre di ciascun anno (in luogo del 30 giugno) l'obbligo per l'ISTAT di rendere disponibile il dato relativo alla variazione.

Sulla base di quanto disposto da tali ulteriori interventi normativi, il primo adeguamento è stato anticipato al 1° gennaio 2013 (in luogo del 1° gennaio 2015), mentre è stato posticipato al 31 dicembre di ciascun anno (in luogo del 30 giugno) l'obbligo per l'ISTAT di rendere disponibile il dato relativo alla variazione della speranza di vita nel triennio precedente.

Inoltre, sono stati previsti adeguamenti nel 2016 e nel 2019, mentre successivamente si avranno aggiornamenti con cadenza biennale.

In relazione all'adeguamento previsto nel 2019, l'ISTAT rende disponibile, entro il 31 dicembre 2017, il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all'età corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia.

Per valori del requisito anagrafico superiori a 65 anni è stato contestualmente disposto l'adattamento dei coefficienti di trasformazione, al fine di assicurare trattamenti pensionistici correlati alla maggiore anzianità lavorativa maturata.

Si segnala che in attuazione della disciplina legislativa sono stati fino ad ora emanati i decreti direttoriali 6 dicembre 2011, 16 dicembre 2014 e 5 dicembre 2017, i quali hanno aumentato i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici, rispettivamente, di tre mesi, quattro mesi e (a decorrere dal 2019) cinque mesi.

Da ultimo, la legge di bilancio per il 2018 (L. 205/2017, art. 1, c. 146-153) è nuovamente intervenuta sulla materia, sia modificando il meccanismo di adeguamento alla speranza di vita, sia escludendo dall'adeguamento specifiche categorie di lavoratori  e i lavoratori impegnati nelle cd. attività usuranti.

In primo luogo, per l'adeguamento dell'età pensionabile agli incrementi della speranza di vita si dispone:

§  che si dovrà fare riferimento alla media dei valori registrati nei singoli anni del biennio di riferimento rispetto alla media dei valori registrati nei singoli anni del biennio precedente;

§  che gli adeguamenti (a decorrere da quello operante dal 2021) non possono essere superiori a 3 mesi (con recupero dell'eventuale misura eccedente in occasione dell'adeguamento o degli adeguamenti successivi);

§  che eventuali variazioni negative devono essere recuperate in occasione degli adeguamenti successivi (mediante compensazione con gli incrementi che deriverebbero da tali adeguamenti).

In secondo luogo, si dispone l'esclusione dall'adeguamento all'incremento della speranza di vita (pari a 5 mesi e decorrere dal 2019) per specifiche categorie di lavoratori (individuate dall'allegato B della richiamata L. 205/2017) e per i lavoratori impegnati nelle cd. attività usuranti.

Con il D.M. 5 febbraio 2018 sono state disciplinate le modalità attuative della norma richiamata, con particolare riguardo all'ulteriore specificazione delle professioni di cui all'allegato B e alle procedure di presentazione della domanda di accesso al beneficio e di verifica della sussistenza dei requisiti da parte dell'ente previdenziale.


 

Articolo 2
(Beneficiari)

 

L’articolo in esame riconosce ai nuclei familiari in possesso di taluni requisiti l’accesso al Reddito di cittadinanza (Rdc) e alla Pensione di cittadinanza (con alcune espresse e limitate esclusioni), regolando, altresì, i rapporti tra il beneficio in esame ed altri strumenti di sostegno al reddito.

 

In particolare, per l’accesso al beneficio concorrono cumulativamente diversi requisiti, con riferimento al criterio della residenza e del soggiorno, del reddito e del patrimonio e del godimento di beni durevoli (comma 1)

 

 

Requisito della residenza e del soggiorno

Con riferimento a questo requisito, il componente richiedente il beneficio deve essere - in modo cumulativo, come specificato nel corso dell’esame al Senato:

1.   in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, ovvero suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Nel corso dell’esame al Senato, si è specificato che per il termine “familiare” suddetto si applichi la definizione di familiare di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30[2];

2.   residente in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo;

 

 

Le modalità di esercizio del diritto soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dell’Unione europea previste dall’ordinamento sono diverse da quelle dei cittadini di Paesi terzi.

 

Cittadini UE

Il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea è regolato in particolare dal D.Lgs. 30/2007, di attuazione della direttiva 2004/38/CE.

I cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, purché siano in possesso di un documento d'identità valido per l'espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno la cittadinanza. Il diritto di soggiorno si estende anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che accompagnano o raggiungono il cittadino dell'Unione, in possesso di un passaporto in corso di validità.

Per periodi superiori a tre mesi il soggiorno è ammesso, in particolare, quando il cittadino dell'Unione:

o  è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;

o  dispone per se stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria;

o  è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi un corso di studi o di formazione professionale e dispone di risorse economiche sufficienti e di un'assicurazione sanitaria.

Anche in questo caso il diritto si estende anche ai familiari, cittadini o no dell’Unione, che accompagnano un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi dei punti precedenti.

Il cittadino dell'Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno se è temporaneamente inabile al lavoro - a seguito di una malattia o di un infortunio – o se è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata o se segue un corso di formazione professionale.

Ai familiari del cittadino dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciata dalla questura competente per territorio di residenza la «Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'Unione» con validità di 5 anni.

Il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente non subordinato alle condizioni viste sopra. Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi.

Anche il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione.

Una attestazione di soggiorno permanente per i cittadini dell'Unione europea è rilasciata, a richiesta dell'interessato, dal comune di residenza.

I cittadini dell'Unione e i loro familiari che hanno il diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente possono esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria, riserva ai cittadini italiani. Inoltre, fatte salve le disposizioni espressamente previste dal Trattato CE, ogni cittadino dell'Unione che risiede nel territorio nazionale gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

La legge prevede altresì che, in deroga al principio di parità di trattamento, il cittadino dell'Unione ed i suoi familiari non godono del diritto a prestazioni d'assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, comunque, in caso di ingresso per ricerca di lavoro.

 

Cittadini Paesi terzi

Possono soggiornare nel territorio dello Stato i cittadini stranieri provenienti da Paesi non appartenenti alla Unione europea entrati regolarmente nel territorio italiano, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno in corso di validità. La richiesta di permesso di soggiorno è effettuata alla questura competente entro 8 giorni dall’ingresso in Italia. La durata del permesso di soggiorno varia a seconda dei motivi del soggiorno; per motivi di lavoro subordinato non può essere di durata superiore a due anni (D.lgs. 286/1998, art. 5).

Alla scadenza, il permesso di soggiorno può essere rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con il rilascio iniziale e sempre che permangano i requisiti previsti per il rilascio.

 

La materia del soggiorno di lungo periodo degli stranieri provenienti da Paesi terzi è disciplinata dalla direttiva 2003/109/CE, recepita nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. 3/2007 che ha novellato il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998, artt. 9 e 9-bis).

I cittadini di Paesi terzi, soggiornanti legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro, acquistano lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto ad un permesso di soggiorno speciale detto "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo", che ha sostituito la "carta di soggiorno", dal contenuto analogo, prevista in precedenza.

Ai fini del rilascio del permesso lo straniero deve dimostrare, salvo determinati casi, la disponibilità di un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio.

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato, salva revoca o perdita a date condizioni, ed è rilasciato entro novanta giorni dalla richiesta. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato (D.lgs. n. 286/1998, art. 5).

Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è rilasciato anche agli stranieri titolari dello status di protezione internazionale.

Il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, tranne alcuni casi specificamente previsti (quale il permesso di soggiorno rilasciato per lo svolgimento di attività di ricerca e quello per lo straniero titolare di protezione internazionale).

 

 

In proposito, si ricorda che i soggiornanti di lungo periodo sono equiparati ai cittadini dello Stato membro in cui si trovano ai fini, tra l’altro, del godimento dei servizi e prestazioni sociali (art. 11  della direttiva 2003/109/CE) e che si riconosce ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo di poter «usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale» (art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3).

Anche sulla base della normativa ora richiamata, la giurisprudenza costituzionale (si veda da ultimo la sentenza n. 106 del 2018) ha evidenziato come lo status di cittadino non sia di per sé sufficiente al legislatore per operare nei suoi confronti erogazioni privilegiate di servizi sociali rispetto allo straniero legalmente risiedente da lungo periodo.

La Corte in diverse occasioni ha infatti rilevato che le politiche sociali ben possono richiedere un radicamento territoriale continuativo e ulteriore rispetto alla sola residenza (sentenza n. 432 del 2005; ordinanza n. 32 del 2008) ma ciò sempreché un tale più incisivo radicamento territoriale, richiesto ai cittadini di paesi terzi ai fini dell'accesso alle prestazioni in questione, sia contenuto entro limiti non arbitrari e irragionevoli (sentenze nn. 222 del 2013, 133/2013 e 40/2011). In particolare, al legislatore, sia statale che regionale, sarebbe consentito attuare una disciplina differenziata per l'accesso a prestazioni eccedenti i limiti dell'essenziale, al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse economiche da destinare al maggior onere conseguente, purché i canoni selettivi adottati rispondano al principio di ragionevolezza, in quanto «è consentito [...] introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa" normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n. 432 del 2005).

Se la determinazione del lasso di tempo necessario all'effettiva equiparazione tra cittadino e straniero residente di lungo periodo è lasciata alla discrezionalità del legislatore anche in relazione al tipo di servizio pubblico, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto irragionevoli alcune disposizioni che richiedono come requisito necessario una permanenza nel territorio di molto superiore a quella necessaria all'ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo (5 anni).

Con la sentenza n. 168 del 2014, in riferimento ad una legge della Regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste, la Corte ha avuto modo di affermare che «la previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio».

Da ultimo, con la sentenza 106/2018 la Corte è intervenuta sulla previsione della legge regionale della Liguria che richiedeva un periodo di residenza di 10 anni nel territorio della regione per il migrante intenzionato ad accedere all'assegnazione di un alloggio popolare rilevando in tale caso una irragionevolezza e mancanza di proporzionalità risolventesi in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari.

Per le prestazioni non rientranti all'interno dei livelli essenziali, ex art. 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione la giurisprudenza della Corte riconosce dunque al legislatore la facoltà di sottoporre l'erogazione del beneficio allo straniero a requisiti molto stringenti, come, ad esempio, una residenza sul territorio superiore ai 5 anni ma in ogni caso il controllo a cui tali norme sono sottoposte è quello del principio di ragionevolezza piena.

 

Sotto una diversa angolatura ed in riferimento a differenti misure di carattere assistenziale, deve essere richiamata anche la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale, nei casi in cui si versi in tema di provvidenze destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona, qualsiasi discriminazione tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondata su requisiti diversi dalle condizioni soggettive per essere ammessi, «finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», per come in più occasioni interpretato dalla Corte di Strasburgo (sentenza n. 187 del 2010).

Con una serie di pronunce la Corte ha affrontato il tema di misure destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona e discriminazioni tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato (ex plurimis, le sentenze nn. 230/2015; 22/2015; 40/2013; 329/2011, 187/2010, 11/2009 e 306/2008). In queste sentenze, la Corte ricorda che «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU» (sentenza n. 40 del 2013).

Nella sentenza n. 4 del 2013, in relazione a provvidenze a tutela dei non autosufficienti, la Corte ha affermato che «non è possibile presumere in modo aprioristico che stranieri non autosufficienti, titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo - in quanto già presenti in precedenza sul territorio nazionale in base a permesso di soggiorno protratto per cinque anni - versino in stato di bisogno o disagio maggiore rispetto agli stranieri che, sebbene anch'essi regolarmente presenti nel territorio nazionale, non possano vantare analogo titolo legittimante». Pertanto, secondo la Corte «mentre è possibile subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni sociali, non dirette a rimediare a gravi situazioni di urgenza, alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero alla permanenza nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, una volta che il diritto a soggiornare alle predette condizioni non sia in discussione, l'accesso a una misura sociale non può essere differenziato in ragione della “necessità di uno specifico titolo di soggiorno” o di “particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale”».

Con la sentenza n. 22 del 2015, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all’art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 (Legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e dell’indennità in favore dei ciechi parziali, di cui all’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508, osservando che la specificità dei connotati invalidanti delle persone non vedenti rendeva ancora più arduo, rispetto alle altre invalidità, subordinare la fruizione del beneficio al possesso della carta di soggiorno, cioè a un requisito di carattere meramente temporale, del tutto incompatibile con la indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni.

Ancora, la sentenza n. 230 del 2015 ha dichiarato incostituzionale in parte qua l’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, che condizionava la concessione agli stranieri, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, della pensione di invalidità civile per sordi e della relativa indennità di comunicazione al requisito della titolarità della carta di soggiorno. La Corte ha ritenuto che tale requisito fosse censurabile sotto una pluralità di profili. L’erogazione condizionata allo straniero di «prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull’esigenza di assicurare (…) un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l’ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento», a un requisito come quello di soggiorno di lunga durata nel territorio dello Stato, è risultata in contrasto anzitutto con il principio di uguaglianza sostanziale, perché frustrava le «esigenze di tutela che, proprio in quanto destinate al soddisfacimento di bisogni primari delle persone invalide, appaiono per sé stesse indifferenziabili e indilazionabili sulla base di criteri meramente estrinseci o formali». La norma, inoltre, comprometteva anche i doveri di solidarietà sociale, che in una prospettiva costituzionalmente orientata sono inderogabili; la tutela del diritto alla salute, «anche nel senso dell’accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla»; nonché una «protezione sociale più ampia e sostenibile». La Corte ha invece confermato la legittimità della scelta di condizionare l’erogazione della pensione di invalidità in esame alla «presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa», nonché all’accertamento che il soggiorno dello straniero «risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale».

 

 

Requisito del reddito e del patrimonio

Il nucleo familiare deve possedere:

1)   un valore dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) inferiore a 9.360 euro;

A questo proposito, il comma 7 dell’articolo in esame, stabilisce che, ai soli fini dell’accertamento dei requisiti per il mantenimento del Rdc, al valore dell’ISEE di cui al comma 1, lettera b), numero 1), è sottratto l’ammontare del Rdc percepito dal nucleo beneficiario eventualmente incluso nell’ISEE, rapportato al corrispondente parametro della scala di equivalenza. Per l’accesso al Rdc, sono parimenti sottratti, nelle medesime modalità, gli ammontari eventualmente inclusi nell’ISEE relativi alla fruizione del sostegno per l’inclusione attiva, del reddito di inclusione ovvero delle misure regionali di contrasto alla povertà oggetto d’intesa tra la regione e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di una erogazione integrata con le citate misure nazionali.

2) un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000;

3) un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000 per ogni componente con disabilità, come definita a fini ISEE, presente nel nucleo;

4) un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4. La predetta soglia è incrementata ad euro 7.560 ai fini dellaccesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia è incrementata a 9.360 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE.

Il comma 1-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, dispone che i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea - fatte salve le eccezioni di cui al successivo comma 1-ter, anch’esso inserito al Senato - debbano produrre, ai fini del conseguimento del Reddito di cittadinanza, una certificazione, rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, sui requisiti di reddito e patrimoniali e sulla composizione del nucleo familiare. La certificazione deve essere presentata in una versione tradotta in lingua italiana e legalizzata dall'autorità consolare italiana (che ne attesta la conformità all'originale). In base al comma 1-ter, sono esclusi dall'obbligo suddetto di certificazione:

-     i soggetti aventi lo status di rifugiato politico. Sembrerebbe opportuna una più chiara definizione di tale fattispecie, considerato che la normativa reca una nozione generale di rifugiato[3];

-     i casi in cui le convenzioni internazionali dispongano diversamente;

-     i soggetti nei cui Paesi di appartenenza sia impossibile acquisire le certificazioni (la definizione dell'elenco di tali Paesi è demandata ad un decreto ministeriale).

Ai sensi del comma 4 dell’articolo in esame, il parametro della scala di equivalenza, di cui al comma 1, lettera b), numero 4, è pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di età maggiore di anni 18 e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,1. Per un'ipotesi specifica di riduzione del parametro, cfr. infra, sub il comma 3.

Il comma 6 dell’articolo in esame, precisa, altresì, che, ai soli fini del Rdc, il reddito familiare, di cui al comma 1, lettera b) numero 4), è determinato[4]al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’ISEE ed inclusivo del valore annuo dei trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti il nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi (non correlate, in sostanza, alla condizione di reddito personale e familiare).

Nel valore dei trattamenti assistenziali non rilevano le erogazioni riferite al pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, le erogazioni a fronte di rendicontazione di spese sostenute, ovvero le erogazioni in forma di buoni servizio o altri titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Ai fini del decreto, non si include tra i trattamenti assistenziali l’assegno di cui all’articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014[5]. I trattamenti assistenziali in corso di godimento di cui al primo periodo sono comunicati dagli enti erogatori entro quindici giorni dal riconoscimento al Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS), di cui all’articolo 24 del decreto legislativo n. 147 del 2017[6], secondo le modalità ivi previste.

 

Si ricorda che l’Indicatore della situazione patrimoniale (Isee), istituito dal D.Lgs. 109/1998, è l'indicatore che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari che intendono richiedere una prestazione sociale agevolata. L'accesso a queste prestazioni, infatti, come ai servizi di pubblica utilità a condizioni agevolate (telefono fisso, luce, gas, ecc.) è legato al possesso di determinati requisiti soggettivi e alla situazione economica della famiglia.

Il decreto-legge Salva Italia (art. 5, D.L. 201/2011) ha previsto la riforma dell'indicatore con l’obiettivo di rendere più corretta la misurazione della condizione economica delle famiglie, e quindi migliorare l'equità nell'accesso alle prestazioni. Il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159 di revisione dell'Indicatore è entrato in vigore l'8 febbraio 2014 e il Decreto 7 novembre 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione ha reso pienamente operativa la riforma dell'ISEE a partire dal 1° gennaio 2015.

Il nuovo ISEE ha conseguentemente introdotto le seguenti disposizioni innovative:

o  nella nozione di reddito sono stati inclusi – a fianco del reddito complessivo ai fini IRPEF – tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (quali cedolare secca sugli affitti, premi di produttività) e tutti i redditi esenti, compresi tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica Amministrazione, quali: assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento; i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari. Viceversa sono sottratte, dalla somma dei redditi, spese e franchigie riferite al nucleo familiare;

o  per quanto riguarda la componente patrimoniale, riferita ai costi dell'abitare: il valore della prima casa è stato abbattuto a due terzi e ed è stato considerato solo il valore dell'immobile eccedente il valore del mutuo ancora in essere;

o  la scala di equivalenza è stata modificata con un ammontare crescente al numero di figli;

o  con riferimento alla disabilità: sono state introdotte tre distinte classi di disabilità - media, grave e non autosufficienza - e franchigie che corrispondono a diversi trattamenti economici. Più in particolare, per le persone con disabilità media è stata prevista una franchigia pari a 4.000 euro, incrementate a 5.500 se il disabile è minorenne; per le persone con disabilità grave, è stata prevista una franchigia pari a 5.500 euro, incrementata a 7.500 se minorenne; per persone non autosufficienti, è stata prevista una franchigia pari a 7.000 euro, incrementata a 9.500 euro se minorenne;

o  per quanto riguarda le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria: si è prevista la possibilità per il disabile adulto convivente con la famiglia di origine, di costituire nucleo anagrafico a sé stante;

o  è stato introdotto l'ISEE corrente, riferito ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni significative in corso d'anno dell'indicatore della situazione reddituale dovute a modifiche della situazione lavorativa (licenziamenti/cassa integrazione);

o  per le prestazioni agevolate rivolte a beneficiari minorenni: è stato stabilito il principio secondo il quale il genitore non convivente nel nucleo familiare, non coniugato con l'altro genitore, che abbia riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio, a meno che non sia coniugato con persona diversa dall'altro genitore o vi sia legale separazione;

o  per le prestazioni erogate nell'ambito del diritto allo studio universitario: sono di regola considerati come facenti parte dello stesso nucleo familiare i genitori dello studente richiedente non conviventi, salvo eccezioni, puntualmente enunciate;

o  il sistema dei controlli sulla veridicità dei dati utili per il calcolo ISEE è stato rafforzato affidando un ruolo centrale all'INPS che, al fine di rilevare la veridicità di quanto autocertificato dai cittadini, può avvalersi di controlli incrociati con le banche dati dell'Agenzia delle Entrate e degli archivi amministrativi delle altre amministrazioni pubbliche. In relazione ai dati autodichiarati, l'Agenzia delle entrate, sulla base di controlli automatici, individua e rende disponibili all'INPS, l'esistenza di omissioni o difformità.

Successivamente l'articolo 2-sexies del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42 ha introdotto transitoriamente una nuova modalità di calcolo dell’indicatore della situazione economica equivalente relativo ai nuclei familiari con componenti con disabilità, anche ai fini del riconoscimento di prestazioni scolastiche agevolate, in attesa dell’adozione delle modifiche al regolamento vigente volte a recepire le recenti sentenze del Consiglio di Stato. Per tali soggetti, il calcolo è effettuato escludendo dal reddito disponibile ai fini ISEE, tutti i trattamenti della pubblica amministrazione già esenti dalla tassazione ai fini IRPEF, percepiti in ragione della condizione di disabilità e prevedendo un unico parametro di maggiorazione della scala di equivalenza con riferimento alle spese e alle franchigie per i soggetti disabili o non autosufficienti, indipendentemente dalla loro età anagrafica.

Per i soggetti che percepiscono i predetti trattamenti per ragioni diverse dalla condizione di disabilità viene stabilita, inoltre, anche con riferimento a prestazioni per il diritto allo studio universitario, una specifica modalità di calcolo ai fini ISEE da parte degli enti erogatori, per l’accertamento dei requisiti economici soggettivi che danno diritto al mantenimento dei benefici.

Da ultimo, con il comunicato del 13 febbraio del 2018, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche della famiglia ha rivalutato per l'anno 2018 la misura e i requisiti economici dell'assegno per il nucleo familiare numeroso e dell'assegno di maternità, rispettivamente pari a 142,85 euro (valore dell'indicatore della situazione economica equivalente non superiore a 8.650,11 euro) e a 342,62 euro (valore dell'indicatore della situazione economica equivalente non superiore a 17.141,45 euro).

Per una ricognizione dettagliata della disciplina dell’indicatore della situazione patrimoniale si rinvia alla scheda di lettura Riforma ISEE del Servizio Studi della Camera dei deputati e alle schede presenti sulla pagina web ISEE del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

 

Requisito del godimento dei beni durevoli

Con riferimento a questo requisito:

-     nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, fatti salvi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente;

-     nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, numero 171[7].

 

Con Regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 sarà, infine, possibile integrare i casi di accesso alla misura, “in caso di eccedenza di risorse”, sulla base di indicatori di disagio socioeconomico, prevedendo anche misure a carattere non monetario in funzione di agevolazione all’uso del trasporto pubblico, di sostegno alla casa, alla istruzione e alla tutela della salute (comma 2).

 

Secondo la versione originaria del comma 3 del presente articolo 2, sono esclusi dal diritto al Reddito di cittadinanza i nuclei familiari che abbiano tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie, con riferimento ai dodici mesi successivi alla data delle dimissioni e fatte salve le dimissioni per giusta causa. Come disposto nel corso dell’esame al Senato, fermo restando il periodo di tempo in oggetto, l'esclusione viene limitata al componente disoccupato (del nucleo familiare) che abbia presentato le dimissioni volontarie, riducendo nella misura di 0,4 punti il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 4.

Con riferimento alla definizione di “nucleo familiare”, il comma 5 dell’articolo stabilisce che, ai fini dell’accesso alla misura, il nucleo familiare è definito ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013 e che, in ogni caso, anche per la richiesta di prestazioni sociali agevolate diverse dal Rdc, ai fini della definizione del nucleo familiare, valgono le seguenti disposizioni, la cui efficacia cessa dal giorno di entrata in vigore delle corrispondenti modifiche del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013:

a)   i coniugi permangono nel medesimo nucleo anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione. Nel corso dell’esame al Senato è stato disposto che, qualora la separazione o il divorzio sia avvenuto successivamente al 1° settembre 2018, l'eventuale cambio di residenza sia certificato da apposito verbale della polizia locale;

b)   il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini IRPEF, non è coniugato e non ha figli.

 

Infine, si stabilisce (comma 8) che il Rdc è compatibile con il godimento della NASpI, di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.22, e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni di cui al presente articolo. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina dell’ISEE.

 

Si ricorda, brevemente, che la NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego) è uno strumento di sostegno al reddito istituito dal D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22. In particolare, l'art. 3, comma 1, lettere b) e c) è riconosciuta ai lavoratori dipendenti (con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, nonché degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato) che abbiano perso involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:

o  stato di disoccupazione;

o  almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione;

o  30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione.

Qualora sussistano tali requisiti, il trattamento NASpI spetta anche ai lavoratori per i quali la contribuzione dovuta non sia stata versata, in base al cosiddetto principio di automaticità delle prestazioni (cfr. il paragrafo 2.2 della circolare INPS n. 94 del 12 maggio 2015)[1].

Ai percettori di NASpI privi di occupazione da almeno quattro mesi, l’art. 23, c. 1, del D.Lgs. 150/2015 riconosce la fruizione dell’Assegno di ricollocazione.

 

 


 

Articolo 3
(Beneficio economico)

 

L’articolo 3 disciplina le modalità di calcolo del reddito e della pensione di cittadinanza, la relativa durata e decorrenza, nonché gli effetti sul godimento del beneficio economico derivanti da eventuali variazioni della composizione del nucleo familiare o della situazione occupazionale.

 

Preliminarmente si ricorda che, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, i requisiti per l’accesso alla Pensione di cittadinanza e le regole di definizione del relativo beneficio economico sono le medesime del Reddito di cittadinanza (salvo dove diversamente specificato).

 

Composizione e calcolo

Il Reddito e la Pensione di cittadinanza (così come finora previsto anche per il Reddito di Inclusione) sono costituiti da un beneficio economico, su dodici mensilità, con un importo variabile a seconda della numerosità del nucleo familiare, erogato mensilmente attraverso una carta di pagamento elettronica (Carta RdC)

Più nel dettaglio, il RdC è composto da (commi 1, 2 e 3):

-     un’integrazione del reddito familiare (definito ai sensi dell’art. 2, c. 6 – vedi supra) fino alla soglia di 6.000 euro annui per un singolo (7.560 in caso di pensione di cittadinanza) riparametrata sulla base della composizione del nucleo familiare per mezzo della scala di equivalenza (pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare, incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,1). Il suddetto parametro della scala di equivalenza non tiene conto (comma 13) dei soggetti che si trovano in stato detentivo e di quelli ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali;

-     un’integrazione del reddito dei nuclei familiari residenti in abitazione in locazione, pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto di locazione (come dichiarato a fini ISEE), fino ad un massimo di euro 3.360 annui (1.800 se il nucleo risiede in casa di proprietà per la quale sia stato concesso un mutuo o in caso di pensione di cittadinanza).

 

Quindi, l’importo dell’integrazione annua dovuta si ottiene sottraendo il proprio reddito familiare dal reddito familiare massimo (determinato sulla base della composizione del proprio nucleo familiare e dei predetti parametri della scala di equivalenza) e aggiungendo l’eventuale canone di locazione annuo o il mutuo (entro i suddetti limiti massimi).

 

 

Limiti e decorrenza

Fatto salvo il possesso dei requisiti richiesti, il beneficio economico del Rdc, esente dal pagamento dell’IRPEF (ai sensi dell’art. 34, c. 3, del D.P.R. 601/1973): non può essere superiore ad una soglia di 9.360 euro annui, moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza e ridotta per il valore del reddito familiare; non può essere inferiore a 480 euro annui, cifra che costituisce pertanto il valore minimo del beneficio sotto il quale non è possibile scendere (nel senso che anche qualora, dall’applicazione dei suddetti parametri, risultasse un beneficio di importo inferiore, comunque questo sarebbe portato al suddetto valore minimo) (comma 4).

Il Rdc decorre dal mese successivo a quello della richiesta e il suo valore mensile è pari ad un dodicesimo del valore su base annua (comma 5).

 

 

Durata ed erogazione

Il beneficio economico del Rdc è riconosciuto per il periodo durante il quale il beneficiario si trova in una delle condizioni previste dall’articolo 2 e, comunque, per un periodo continuativo non superiore ai diciotto mesi.

Il Rdc può essere rinnovato, previa sospensione della sua erogazione per un periodo di un mese prima di ciascun rinnovo. La sospensione non opera nel caso della Pensione di cittadinanza (comma 6).

Si ricorda che, nel parere sul presente decreto, la 1a Commissione del Senato ha chiesto, come condizione, di chiarire se esistano limiti al numero di rinnovi possibili.

Viene demandata (comma 7) ad apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze), da adottarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, la definizione delle modalità di erogazione del Rdc suddiviso per ogni singolo componente maggiorenne del nucleo familiare a decorrere dal nuovo affidamento del servizio di gestione della Carta Rdc (ex art. 5, c. 6), mentre la Pensione di cittadinanza è suddivisa in parti uguali tra i componenti il nucleo familiare.

Vengono poi disciplinati i casi di interruzione della fruizione del beneficio (comma 14). In particolare:

-     se l’interruzione dipende da ragioni diverse dall’applicazione di sanzioni, il beneficio può essere richiesto nuovamente per una durata complessiva non superiore al periodo residuo non goduto;

-     se l’interruzione dipende dal maggior reddito derivato da una variazione della condizione occupazionale e sia decorso almeno un anno nella nuova condizione, l’eventuale successiva richiesta del beneficio equivale a prima richiesta.

 

Oltre a specificare (comma 15) che il beneficio è ordinariamente fruito entro il mese successivo a quello di erogazione, viene demandata ad apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito, come specificato nel corso dell’esame al Senato, il Garante per la protezione dei dati personali, da adottarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto) la definizione delle modalità con cui, mediante il monitoraggio dei soli importi complessivamente spesi e prelevati sulla Carta Rdc (come specificato nel corso dell’esame al Senato, in luogo del monitoraggio delle spese effettuate sulla Carta), si verifica la fruizione del suddetto beneficio, le possibili eccezioni, nonché le altre modalità attuative.

Vengono, inoltre, previste delle penalizzazioni nel caso in cui il beneficio non sia speso interamente:

-     dal mese successivo alla data di entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale, l’ammontare di beneficio non speso ovvero non prelevato (ad eccezione di arretrati) è sottratto, nei limiti del 20% del beneficio erogato, nella mensilità successiva a quella in cui il beneficio non è stato interamente speso;

-     attraverso una verifica in ciascun semestre di erogazione, è comunque decurtato dalla disponibilità della Carta Rdc l’ammontare complessivo non speso ovvero non prelevato nel semestre (fatta eccezione per una mensilità di beneficio riconosciuto).

 

Variazioni delle condizioni occupazionali e patrimoniali

La variazione della condizione occupazionale da parte di uno o più componenti il nucleo familiare nel corso dell’erogazione del Rdc comporta una rideterminazione del relativo beneficio economico.

Nel caso di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato (comma 8), il maggior reddito da lavoro viene considerato, ai fini della determinazione del beneficio economico, nella misura dell’80%, a decorrere dal mese successivo a quello della variazione e fino a quando il maggior reddito non è ordinariamente recepito nell’ISEE per l’intera annualità.

Il suddetto reddito da lavoro dipendente è individuato attraverso le comunicazioni obbligatorie (di cui all’articolo 9-bis del D.L.510/1996) che, conseguentemente, dal mese di aprile 2019, devono contenere l’informazione relativa alla retribuzione o al compenso.

L’avvio dell’attività di lavoro dipendente, a pena di decadenza dal beneficio, è comunicata all’INPS dal lavoratore (attraverso la Piattaforma digitale per il Patto per il lavoro ovvero di persona presso i Centri per l’Impiego) entro trenta giorni dall’inizio dell’attività stessa.

In caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato, il richiamato art. 9-bis del D.L. 510/1996 dispone l’obbligo per gli enti pubblici economici e per i datori di lavoro privati (compresi quelli agricoli) di darne comunicazione al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, indicando, tra l’altro, il trattamento economico e normativo applicato.

Nel caso di avvio di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo (sia in forma individuale che di partecipazione), a pena di decadenza dal beneficio, la stessa è comunicata all’INPS (attraverso la Piattaforma digitale per il Patto per il lavoro ovvero di persona presso i Centri per l’Impiego) entro trenta giorni dall’inizio dell’attività.

Il reddito è individuato secondo il principio di cassa come differenza tra i ricavi e i compensi percepiti e le spese sostenute nell’esercizio dell’attività ed è comunicato entro il quindicesimo giorno successivo al termine di ciascun trimestre dell’anno.

A titolo di incentivo, per le due mensilità successive a quella di variazione della condizione occupazionale il beneficio economico del RdC non subisce variazioni (fermi restando i limiti di durata) ed è successivamente aggiornato ogni trimestre (avendo a riferimento il trimestre precedente) (comma 9).

Si valuti l’opportunità di specificare la portata della previsione di cui al presente comma 9, con riferimento all’analogo incentivo previsto dall’art. 8, c. 4 (alla cui scheda di lettura si rinvia); in particolare, dalla lettera della norma non è chiaro se i due incentivi siano alternativi o si possano cumulare.

In caso vi siano componenti del nucleo familiare in possesso di redditi da lavoro non rilevati per l'intera annualità nell'ISEE in corso di validità utilizzato per l'accesso al beneficio, le suddette comunicazioni (di cui ai commi 8 e 9) sono effettuate all'atto della richiesta del beneficio secondo modalità definite nel provvedimento dell’INPS con cui, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame, è approvato il modulo di domanda, nonché il modello di comunicazione dei redditi per la richiesta di Rdc (sul punto, si veda la scheda di lettura relativa all’art. 5, c. 1) (comma 10).

Il beneficiario ha l’obbligo di comunicare all’ente erogatore, nel termine di quindici giorni, ogni variazione patrimoniale che comporti la perdita dei requisiti reddituali richiesti per l’accesso al Rdc (comma 11).

 

 

Variazioni della composizione del nucleo familiare

Fermo restando il mantenimento dei requisiti, in caso di variazioni nella composizione del nucleo familiare, rispetto a quanto dichiarato a fini ISEE, i nuclei familiari sono tenuti a presentare una DSU (Dichiarazione sostitutiva unica[8]) aggiornata entro due mesi dalla variazione, a pena di decadenza dal beneficio nel caso in cui la variazione produca una riduzione del beneficio medesimo.

I limiti temporali di durata del godimento del RdC (di cui al comma 6) si applicano al nucleo familiare modificato, ovvero a ciascun nucleo familiare formatosi a seguito della variazione.

Ad eccezione delle variazioni conseguenti a decessi e nascite, la prestazione decade d’ufficio dal mese successivo a quello della presentazione della dichiarazione a fini ISEE aggiornata, contestualmente alla quale i nuclei possono comunque presentare una nuova domanda di Rdc (comma 12).

 


 

Articolo 4
(Patto per il lavoro e Patto per l'inclusione sociale)

 

Il presente articolo dispone che il Reddito di cittadinanza sia subordinato alla dichiarazione, da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, di immediata disponibilità al lavoro nonché alla sottoscrizione, da parte dei medesimi, di un Patto per il lavoro ovvero di un Patto per l'inclusione sociale. Le suddette condizioni non concernono (oltre che i minorenni) alcune categorie di soggetti, individuate dal comma 2; ulteriori ipotesi di esonero, di cui al comma 3, sono valutate da parte dei servizi competenti. Ai fini della valutazione preliminare rispetto alla stipulazione di uno dei Patti, il richiedente il Reddito di cittadinanza è convocato dai centri per l'impiego ovvero, a seconda delle caratteristiche dei membri del nucleo familiare, dai servizi comunali competenti per il contrasto della povertà (commi 5 e 11). In base all'esito della suddetta valutazione preliminare, e a prescindere dalla sede in cui essa sia stata effettuata, i beneficiari sottoscrivono un Patto per il lavoro ovvero un Patto per l'inclusione sociale, nel caso in cui, rispettivamente, i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti siano prevalentemente connessi alla situazione lavorativa ovvero siano complessi e multidimensionali (comma 12). Gli obblighi inerenti al Patto per il lavoro e al Patto per l'inclusione sociale - relativi alla ricerca attiva del lavoro, all'orientamento lavorativo, alla formazione o riqualificazione professionale, alle accettazioni delle offerte di lavoro congrue, alla partecipazione a progetti dei comuni - sono definiti dai commi 8, 9 e 15 (nonché dal comma 9-bis, inserito dal Senato in prima lettura). I commi 15-bis e 15-ter - inseriti dal Senato in prima lettura - prevedono un obbligo di comunicazione a carico dei centri per l'impiego, delle agenzie per il lavoro e degli enti di formazione.

 

Più in particolare, il comma 1 specifica che i due Patti costituiscono un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale, che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti (intesi all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale).

Le suddette condizioni (ai fini del beneficio del Reddito di cittadinanza) di dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro nonché di sottoscrizione di un Patto per il lavoro ovvero di un Patto per l'inclusione sociale non concernono i membri del nucleo familiare che (comma 2):

-     siano minorenni. Si valuti l’opportunità di chiarire quali siano gli obblighi e la relativa procedura per il caso in cui, durante il periodo di godimento del beneficio in esame, un membro del nucleo diventi maggiorenne;

-     siano già occupati o frequentino un regolare corso di studi o di formazione. Si valuti l’opportunità di chiarire la nozione di occupazione, con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente a termine o a tempo parziale ed alle attività lavorative diverse da quelle subordinate;

-     siano titolari di un trattamento pensionistico diretto (l'esclusione non concerne, quindi, i titolari di un trattamento in favore dei superstiti) o siano, in ogni caso, di età pari o superiore a 65 anni;

-     rientrino nelle nozioni di disabilità di cui all'art. 1 della L. 12 marzo 1999, n. 68, e successive modificazioni, fatti salvi ogni iniziativa di collocamento mirato e gli obblighi di cui alla medesima L. n. 68, relativa al diritto al lavoro dei disabili; sempre con riferimento a questi ultimi soggetti, una modifica approvata dal Senato in prima lettura ha inserito nel comma 2 un richiamo generale all'applicazione della disciplina (in materia di collocamento obbligatorio), di cui alla suddetta L. n. 68.

Inoltre, ai sensi del comma 3, possono essere esonerati i componenti con carichi di cura, valutati con riferimento alla presenza, nel nucleo familiare, di soggetti minori di tre anni di età ovvero con disabilità grave o non autosufficienza (come definiti ai fini dell'ISEE). Tali soggetti sono in ogni caso esonerati dall'obbligo di partecipazione ai progetti comunali di cui al successivo comma 15. Riguardo ai soggetti competenti alla suddetta valutazione, cfr. sub il successivo comma 6. Al fine di assicurare omogeneità di trattamento, sono definiti, con accordo in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, principi e criteri generali a cui i servizi competenti devono attenersi in sede di valutazione degli esoneri.

In base al combinato disposto dei commi 4 e 6, le ipotesi di esonero di cui al presente comma 3 riguardano anche l'obbligo della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, qualora l'esonero intervenga prima della scadenza del termine per la dichiarazione medesima; appare opportuna, in ogni caso, una più chiara definizione di tale profilo (cfr. anche infra).

Ai sensi del comma 4, il richiedente il Reddito di cittadinanza e gli altri membri maggiorenni del nucleo (fatte salve le ipotesi di esclusione di cui al comma 2) sono tenuti a rendere dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, con le modalità indicate nel medesimo comma 4 e nel comma 6, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio. Il Senato, in prima lettura, ha modificato la disciplina delle modalità di cui al comma 4, prevedendo che la dichiarazione possa essere resa, oltre che mediante la piattaforma digitale di cui al successivo articolo 6, comma 2 (come già stabilito dal testo originario), secondo le fattispecie di dichiarazione (di immediata disponibilità al lavoro) già previste dalle norme ivi richiamate, mentre si sono espunte le ipotesi di effettuazione della dichiarazione per il tramite degli istituti di patronato convenzionati oppure presso i centri per l'impiego. Quest'ultima ipotesi è ancora presente nel successivo comma 6. Riguardo ai termini temporali, si segnala che, secondo il comma 6, la dichiarazione, da parte dei membri del nucleo familiare diversi dal soggetto che ha partecipato al primo incontro presso il centro per l'impiego, può essere resa entro 30 giorni dal medesimo incontro. Appare opportuno, in merito, definire un coordinamento tra i due commi nonché specificare il termine di decorrenza per i casi in cui il primo incontro sia svolto presso i suddetti servizi comunali (cfr. anche infra).

Entro il termine di 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, il suddetto richiedente è convocato dai centri per l'impiego, nel caso in cui tale soggetto o almeno un membro del suo nucleo familiare (non escluso dagli obblighi ai sensi del comma 2) rientri in una delle ipotesi (relative all'occupazione, al mercato del lavoro, agli ammortizzatori sociali o all'età anagrafica) di cui al comma 5. Qualora non si rientri in alcuna di tali fattispecie, il richiedente, ai sensi del comma 11, è invece convocato, entro lo stesso termine temporale, da parte dei servizi comunali competenti per il contrasto della povertà (cfr. infra).

Il comma 6 prevede, tra l'altro, che la valutazione delle eventuali situazioni di esonero di cui al comma 3 sia operata dai centri per l'impiego nella sede suddetta del primo incontro. Il presente articolo non reca una norma analoga per il caso in cui il primo incontro sia svolto presso i servizi comunali summenzionati. Occorrerebbe chiarire, per tale fattispecie, quale sia la procedura di valutazione.

Ai sensi del citato comma 6, il richiedente, qualora rientri in una delle condizioni di esclusione o esonero di cui ai commi 2 e 3, comunica al centro per l’impiego il nome del componente del nucleo che lo sostituisca nel primo incontro. Si segnala che il comma 11 non reca una norma analoga per il caso in cui il primo incontro debba svolgersi presso i servizi comunali.

Come accennato, in base all'esito della valutazione preliminare, e a prescindere dalla circostanza che essa sia stata effettuata presso il centro per l'impiego o (ai sensi del comma 11) presso i servizi comunali competenti per il contrasto della povertà, i beneficiari (se interessati dagli obblighi di cui al presente articolo) sottoscrivono un Patto per il lavoro ovvero un Patto per l'inclusione sociale, nel caso in cui, rispettivamente, i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti siano prevalentemente connessi alla situazione lavorativa ovvero siano complessi e multidimensionali (comma 12).

Ai sensi del comma 7, il Patto per il lavoro è sottoscritto presso i centri per l'impiego, ovvero - laddove previsto da provvedimenti regionali - presso gli altri soggetti accreditati come servizi per il lavoro - il riferimento ai provvedimenti regionali è stato inserito dal Senato in prima lettura, in sostituzione del riferimento, presente nel testo originario del decreto, alle sole leggi regionali -. Il medesimo comma 7 demanda ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito l'ANPAL e previa intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, la definizione di appositi indirizzi e modelli nazionali per la redazione del Patto per il lavoro, anche in esito al primo periodo di applicazione del Reddito di cittadinanza.

La sottoscrizione del Patto per l’inclusione sociale avviene mediante il coinvolgimento, oltre che dei centri per l’impiego e dei servizi sociali, degli altri servizi territoriali di cui si rilevi, in sede di valutazione preliminare, la competenza (comma 12 citato). Il Patto, ove non diversamente specificato, assume le caratteristiche del progetto personalizzato, di cui all'articolo 6 del D.Lgs. 15 settembre 2017, n. 147, e deve includere, oltre agli interventi per l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, gli interventi e i servizi sociali di contrasto della povertà, di cui all’articolo 7 del medesimo D.Lgs. n. 147, e successive modificazioni, i quali, conseguentemente, si intendono riferiti al Reddito di cittadinanza (comma 13).

In ogni caso, gli interventi e i servizi sociali di contrasto della povertà sono attivati, ove opportuni e richiesti, anche in favore dei beneficiari che sottoscrivono il Patto per il lavoro (comma 13 citato).

Gli obblighi inerenti al Patto per il lavoro e (come specificato anche dal comma 13) al Patto per l'inclusione sociale - relativi alla ricerca attiva del lavoro, all'orientamento lavorativo, alla formazione o riqualificazione professionale, alle accettazioni delle offerte di lavoro congrue, alla partecipazione ai progetti dei comuni - sono definiti dai commi 8, 9 e 15. Per i termini secondo i quali l'inadempimento degli obblighi determini la riduzione o la decadenza dal beneficio, si rinvia alla scheda di lettura del successivo articolo 7.

Riguardo agli obblighi inerenti alla ricerca attiva del lavoro, le modifiche approvate dal Senato in prima lettura recano alcune specificazioni.

Riguardo alla nozione di offerta di lavoro congrua, il comma 8 fa rinvio ai criteri individuati ai sensi dell'articolo 25 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150 - criteri attualmente posti dal D.M. 10 aprile 2018 -, relativamente alla coerenza (dell'offerta) con i profili professionali, alla tipologia contrattuale ed alla misura della retribuzione proposte - criteri integrati dal comma 9-bis del presente articolo 4, comma inserito dal Senato in prima lettura - (cfr., in merito, infra). I criteri di congruità sono posti dal comma 9 (criteri che, quindi, sostituiscono, per il Reddito di cittadinanza, quelli di cui al citato D.M. 10 aprile 2018) e, in linea generale, prendono in considerazione la distanza della residenza del beneficiario dal luogo di lavoro proposto (lett. a), b) e c)) nonché, esclusivamente nel caso di prima offerta entro i primi dodici mesi, anche il tempo di percorrenza massimo, stabilito in cento minuti, della suddetta distanza (lett.a), prima parte).

In particolare, i criteri relativi alla distanza, diventano meno selettivi (fino a comprendere, in ipotesi, l'intero territorio italiano) al crescere della durata del godimento del Reddito di cittadinanza ed in relazione al numero di offerte rifiutate. Inoltre, in alcune fattispecie, ai fini della valutazione della congruità della distanza, rileva anche la circostanza che nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità (come definita ai fini dell'ISEE) oppure - secondo la modifica approvata dal Senato in prima lettura - siano presenti figli minori. Per l'ipotesi di presenza di disabili, il testo approvato dal Senato in prima lettura prevede in termini generali, e non solo per la prima offerta, che la congruità sussista solo qualora la distanza non sia superiore ai cento chilometri (cfr. lett.d)).

A questo riguardo, con riferimento alla presenza di soggetti disabili nel nucleo familiare, si valuti l’opportunità di chiarire, sulla base della formulazione della lettera a) del comma 9, relativa alla congruità della prima offerta, e del testo della lettera d) dello stesso comma, approvato dal Senato in prima lettura, se tale congruità possa sussistere anche qualora il luogo della prestazione di lavoro sia in ogni caso raggiungibile entro cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici. Per l'ipotesi di presenza di figli minori (ivi compresa la fattispecie in cui i genitori siano separati legalmente), il testo approvato dal Senato in prima lettura prevede che, per i primi 24 mesi di fruizione del Reddito di cittadinanza, la terza offerta sia congrua solo qualora la distanza non sia superiore a duecentocinquanta chilometri.

Ai sensi del comma 10, qualora sia accettata un'offerta relativa ad un luogo di lavoro situato ad oltre duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario, il medesimo continua a percepire il Reddito di cittadinanza, a titolo di compensazione delle spese di trasferimento sostenute, per i successivi tre mesi dall’inizio del nuovo impiego, elevati a dodici mesi nel caso in cui siano presenti nel nucleo familiare componenti di minore età ovvero componenti con disabilità (come definita ai fini dell'ISEE). Si valuti l’opportunità di chiarire se tale prosecuzione riguardi l'intero beneficio economico, per i casi in cui esso sia suddiviso tra i vari membri del nucleo ai sensi dell'articolo 3, comma 7.

Riguardo ai criteri di congruità di cui al citato D.M. 10 aprile 2018, si ricorda che:

-     la coerenza (dell'offerta) con i profili professionali è rappresentata, nei primi 6 mesi di disoccupazione, dall'aderenza all'area di attività o alle aree di attività, nell'ambito del processo di lavoro del settore economico professionale individuato nel Patto; nei successivi 6 mesi, la coerenza è costituita dall'aderenza alle aree di attività comprese nel processo di lavoro del settore economico professionale di riferimento o ad aree di attività afferenti ad altri processi del settore economico professionale, in cui vi sia continuità dei contenuti professionali rispetto alle esperienze e competenze comunque maturate, come definite nel Patto; per il periodo successivo, la coerenza è rappresentata dall'aderenza ad una delle aree di attività comprese in tutti i processi di lavoro descritti nel settore economico professionale o ad aree di attività afferenti ad altri settori economico professionali, in cui vi sia continuità dei contenuti professionali rispetto alle esperienze e competenze comunque maturate, come definite nel Patto;

-     riguardo alla tipologia contrattuale e alla misura della retribuzione, l'offerta si considera congrua quando ricorrono contestualmente i seguenti requisiti: si riferisca ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato oppure determinato o di somministrazione di durata non inferiore a tre mesi; si riferisca ad un rapporto a tempo pieno o con un orario di lavoro non inferiore all'80 per cento di quello dell'ultimo contratto di lavoro; preveda una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, e superiore (al netto dei contributi a carico del lavoratore) al 20 per cento del trattamento di disoccupazione percepito. In merito a quest'ultimo parametro, il comma 9-bis, inserito dal Senato in prima lettura, fa riferimento, nel caso di titolari di Reddito di cittadinanza, al 10 per cento della misura massima del beneficio fruibile dal singolo individuo (sempre comprensiva, ai fini in esame, della componente ad integrazione del reddito prevista per i nuclei residenti in abitazione in locazione, a prescindere dalla sussistenza, nel caso concreto, di quest'ultima ipotesi).

Riguardo ai suddetti progetti comunali, il comma 15 prevede che i comuni predispongano le procedure amministrative utili per l'istituzione - nell'ambito delle proprie competenze - di progetti relativi a settori culturali, sociali, artistici, ambientali, formativi e di tutela dei beni comuni. La partecipazione a tali progetti, ove attivati presso il comune di residenza, è obbligatoria per i beneficiari del Reddito di cittadinanza, in coerenza con il profilo professionale e con le competenze acquisite in ambito formale, non formale e informale, nonché in base agli interessi e alle propensioni emersi nel corso del colloquio (sostenuto presso il centro per l'impiego ovvero presso i servizi dei comuni). Con riferimento a tali progetti, i beneficiari sono tenuti a mettere a disposizione, nell'ambito del Patto per il lavoro o del Patto per l'inclusione sociale, un numero di ore compatibile con le altre loro attività e comunque non inferiore ad otto ore settimanali, aumentabili - su consenso di entrambe le parti - fino a sedici ore settimanali - il Senato in prima lettura ha così modificato il testo originario, il quale prevedeva che il numero di ore, fermo restando il criterio di compatibilità summenzionato, fosse non superiore ad otto ore settimanali -. Resta fermo il carattere facoltativo della partecipazione per i soggetti che rientrino nelle fattispecie summenzionate di esclusione o esonero dagli obblighi in oggetto. Come detto, ai sensi del comma 3, la partecipazione ai progetti non costituisce un obbligo per tutti i soggetti con i carichi di cura ivi indicati, a prescindere dalle valutazioni dei servizi competenti.

In base ad una norma inserita dal Senato in prima lettura nel comma 15, gli oneri derivanti dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e dall'assicurazione per la responsabilità civile, inerenti alla partecipazione dei soggetti in esame ai progetti di cui al comma 15, sono a carico delle risorse finanziarie relative al Reddito di cittadinanza.

Il comma 14 specifica che il Patto per il lavoro, il Patto per l’inclusione sociale, i sostegni in essi previsti e la valutazione multidimensionale (precedente la stipulazione del Patto per l'inclusione sociale) costituiscono livelli essenziali delle prestazioni, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.

I commi 15-bis e 15-ter - inseriti dal Senato in prima lettura - prevedono che i centri per l'impiego, le agenzie per il lavoro e gli enti di formazione registrino nelle piattaforme digitali di cui al successivo articolo 6 le competenze acquisite dal beneficiario del Reddito di cittadinanza in ambito formale, non formale ed informale.

 


 

Articolo 5
(Richiesta, riconoscimento ed erogazione del beneficio)

 

L’articolo 5 individua le modalità di richiesta, riconoscimento ed erogazione del Reddito di cittadinanza

 

Richiesta del beneficio

Il Rdc può essere richiesto, dopo il quinto giorno di ciascun mese, sulla base del modulo di domanda e del modello di comunicazione dei redditi in caso di variazione, predisposti con apposito provvedimento dell’INPS[9], sentiti, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, come precisato nel corso dell’esame al Senato, anche il Garante per la protezione dei dati personali, (comma 1):

-     presso gli uffici postali abilitati, cui è affidata la gestione del servizio integrato delle Carte acquisti (ex art. 81, c. 35, lett. b), del D.L. 112/2008)[10];

-     mediante modalità telematiche, alle medesime condizioni stabilite in esecuzione del servizio affidato;

-     presso i Centri di assistenza fiscale (di cui all’art. 32 del D.Lgs. 241/1997), previo convenzionamento con l’INPS;

-     presso gli istituti di patronato e di assistenza sociale, come specificato nel corso dell’esame al Senato, qualora la domanda concerna la Pensione di cittadinanza (come definita dal precedente articolo 1). In tale ipotesi, ai fini del finanziamento degli istituti di patronato, alla relativa pratica si applica il medesimo punteggio concernente le pratiche inerenti agli assegni sociali.

Le informazioni contenute nella domanda sono comunicate all’INPS entro dieci giorni lavorativi dalla richiesta.

Con riferimento alle informazioni già dichiarate dal nucleo familiare a fini ISEE, il modulo di domanda rimanda alla corrispondente DSU (Dichiarazione sostitutiva unica[11]), a cui la domanda è successivamente associata dall’INPS.

 

Con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito, come precisato nel corso dell’esame al Senato, il Garante per la protezione dei dati personali, possono essere individuate modalità di presentazione della richiesta del Rdc anche contestualmente alla presentazione della DSU a fini ISEE e in forma integrata, tenuto conto delle semplificazioni conseguenti all’avvio, a decorrere dal 2019, della precompilazione della DSU medesima (ex art. 10 del D.Lgs. 147/2017)[12]. Inoltre, come specificato nel corso dell’esame al Senato, in sede di prima applicazione e nelle more dell’adozione del predetto decreto ministeriale, per favorire la conoscibilità della nuova misura si autorizza l’INPS ad inviare comunicazioni informative ai nuclei familiari che, a seguito dell’attestazione dell’ISEE, presentino valori dell’indicatore o di sue componenti compatibili con i requisiti reddituali e patrimoniali richiesti (cfr. art. 2, c. 1, lett. b)) per l’accesso al beneficio economico del Rdc (comma 2).

 

Riconoscimento e verifica del beneficio

Il Rdc è riconosciuto dall’INPS che, a tal fine, entro cinque giorni lavorativi dalla data di comunicazione delle informazioni contenute nella relativa domanda, verifica il possesso dei requisiti richiesti per l’accesso al beneficio economico sulla base delle informazioni pertinenti (come disposto nel corso dell’esame al Senato) disponibili nei propri archivi e in quelli delle amministrazioni titolari dei dati, acquisendo (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) dall’Anagrafe tributaria, dal Pubblico Registro Automobilistico e dalle altre amministrazioni pubbliche detentrici dei dati le informazioni necessarie (come precisato nel corso dell’esame al Senato, in luogo di quelle rilevanti), ai fini della concessione del Rdc. Nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che la tipologia dei dati, le modalità di acquisizione e le misure a tutela degli interessati, ove non già disciplinati, sono definite con provvedimento dell’INPS, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.

In ogni caso il riconoscimento da parte dell’INPS avviene entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all’Istituto (comma 3). Si ricorda che, nel parere sul presente decreto, la 1a Commissione del Senato ha chiesto, come condizione, di chiarire se, nell’ipotesi di mancata adozione dell’atto entro il suddetto termine, si applichi l'istituto del silenzio-assenso (di cui all'articolo 20 della L. 241/1990) ovvero quello del silenzio-rifiuto (il quale trova applicazione, ai sensi dell'articolo 7 della L. 533/1973, per le domande in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie).

Nelle more del completamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente[13], la verifica della sussistenza dei requisiti di residenza e di soggiorno richiesti spetta ai comuni, che devono comunicarne l’esito all’INPS per il tramite della Piattaforma digitale istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del SIUSS (Sistema informativo unitario dei servizi sociali), finalizzata al coordinamento dei comuni (sul punto, si veda la scheda di lettura sull’articolo 6, comma 1). L’ANPR mette comunque a disposizione della medesima piattaforma le informazioni disponibili sui beneficiari del Rdc, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (comma 4).

Si valuti l’opportunità di specificare il termine entro il quale i comuni devono comunicare all’INPS l’esito della suddetta verifica.

 


 

 

Attività procedurali previste:

1. entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, predisposizione da parte dell’INPS del modulo di domanda del Rdc;

2. entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta del Rdc, le informazioni contenute nella domanda sono comunicate all’INPS;

3. entro 5 giorni lavorativi dalla comunicazione delle informazioni contenute nella relativa domanda, l’INPS verifica il possesso dei requisiti richiesti

4. i comuni (nelle more del completamento dell’ANPR) comunicano all’INPS l’esito della verifica della sussistenza dei requisiti di residenza e di soggiorno;

5. in caso di esito positivo delle verifiche e di rispetto delle altre condizioni richieste, il beneficio viene erogato attraverso la “Carta Rdc”.

 

Validità dei requisiti

I requisiti economici di accesso al Rdc (comma 5) si considerano posseduti per la durata della attestazione ISEE in vigore al momento di presentazione della domanda e sono verificati nuovamente solo in caso di presentazione di nuova DSU (ferma restando la necessità di aggiornare l’ISEE alla scadenza del periodo di validità dello stesso)[14].

Gli altri requisiti si considerano posseduti sino a quando non via sia una comunicazione contraria da parte delle amministrazioni competenti alla verifica degli stessi, nel qual caso l’erogazione del beneficio è interrotta a decorrere dal mese successivo a tale comunicazione e ne è disposta la revoca del beneficio (fatto salvo quanto previsto all’art. 7, alla cui scheda di lettura si rimanda).

Resta salva, in capo all’INPS, la verifica dei requisiti autocertificati in domanda.

 

Carta Rdc

Il beneficio economico è erogato attraverso la Carta Rdc (comma 6), la cui emissione, in sede di prima applicazione e fino alla scadenza del termine contrattuale, avviene in esecuzione del servizio affidato ai sensi dell’art. 81, c. 35, lett. b), del D.L. 112/2008 relativamente alla Carta acquisti, alle medesime condizioni economiche e per il numero di carte elettroniche necessarie per l’erogazione del beneficio[15]. In sede di nuovo affidamento del servizio di gestione, il numero di carte deve comunque essere tale da garantire l’erogazione del beneficio suddivisa per ogni singolo componente maggiorenne del nucleo familiare (sulla base delle modalità individuate dal DM di cui all’art. 3, c. 7). La consegna della Carta Rdc presso gli uffici del gestore del servizio integrato avverrà esclusivamente dopo il quinto giorno di ciascun mese.

La Carta Rdc permette di soddisfare le esigenze previste per la carta acquisti, nonché di effettuare prelievi di contante entro un limite mensile non superiore a 100 euro per un individuo singolo (moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza determinato in base alla composizione del nucleo familiare, di cui all’art. 2, c. 5), nonché di effettuare un bonifico mensile in favore del locatore indicato nel contratto di locazione ovvero dell’intermediario che ha concesso il mutuo nel caso delle integrazioni previste dal presente provvedimento per i nuclei familiari residenti in abitazione in locazione o in proprietà (di cui all’art. 3, c 1, lett. b) e c. 3).

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze) possono essere individuate ulteriori esigenze da soddisfare attraverso la Carta Rdc, nonché diversi limiti di importo per i prelievi di contante. In ogni caso, è vietato utilizzare il beneficio economico per giochi che prevedono vincite in denaro o altre utilità; riguardo a tale divieto, nel corso dell’esame al Senato, è stato introdotto il riferimento alla finalità di prevenire e contrastare fenomeni di impoverimento e l'insorgenza del disturbo da gioco d'azzardo (DGA) (in luogo del riferimento al contrasto di fenomeni di ludopatia). Non sono previste, in ogni caso, procedure di verifica dell'utilizzo del contante né sanzioni relative al suddetto divieto.

Come specificato dal Senato, le informazioni sulle movimentazioni sulla Carta Rdc, prive dei dati identificativi dei beneficiari,  possono essere utilizzate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a fini statistici e di ricerca scientifica.

Il decreto-legge 112/2008 ha istituito la Carta acquisti ordinaria: un beneficio economico, pari a 40 euro mensili, caricato bimestralmente su una carta di pagamento elettronico. La Carta acquisti è riconosciuta agli anziani di età superiore o uguale ai 65 e ai bambini di età inferiore ai tre anni, se in possesso di particolari requisiti economici che li collocano nella fascia di bisogno assoluto. Inizialmente, potevano usufruire della Carta acquisti ordinaria soltanto i cittadini italiani; la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha esteso la platea dei beneficiari anche ai cittadini di altri Stati dell'Ue e ai cittadini stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, purché in possesso dei requisiti sopra ricordati. La Carta è utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche. I negozi convenzionati, che supportano il programma, accordano ai titolari della Carta uno sconto del 5%. Gli enti locali possono aderire al programma Carta acquisti estendendone l'uso o aumentando il beneficio a favore dei propri residenti (decreto n. 89030 del 16 settembre 2008). La gestione della Carta acquisti è centralizzata. L'Inps procede all'accredito delle somme sulla carta elettronica, dopo aver ricevuto le domande e verificato i dati dei richiedenti.

Come indicato dal XVII Rapporto annuale INPS, il numero di beneficiari della Carta Acquisti nel 2017 è stato pari a 571.639 (nel 2016 sono stati 560.844), il 19,31% dei quali risiedeva in Campania, il 18,84% in Sicilia, il 10,27%in Lombardia,  l'8,4 in Puglia, l'8,2% nel Lazio e il 5,84% in Calabria.

Ai sensi dell'art. 19 del D. Lgs. 147/2017, dal 1° gennaio 2018, ai nuclei familiari con componenti minorenni beneficiari della Carta acquisti che abbiano fatto richiesta del Reddito di Inclusione (REI), il beneficio economico connesso è erogato sulla medesima carta, che in questo caso viene denominato Carta REI, assorbendo integralmente il beneficio della Carta acquisti eventualmente già riconosciuto (circolare INPS 22 novembre 2017, n. 172). Di conseguenza, i risparmi a valere sulle risorse attribuite al Fondo carta acquisti dall'art. 1, comma 156, della legge 2014/190, sono confluite nel Fondo Povertà, conseguentemente integrato per 55 milioni di euro nel 2018 e per 93 milioni di euro annui a decorrere dal 2019.

 

Agevolazioni tariffe gas ed elettricità

Ai beneficiari del Rdc sono estese le agevolazioni relative (comma 7):

-     alle tariffe elettriche riconosciute alle famiglie economicamente svantaggiate;

Si ricorda in proposito che l’art. 1, c. 375, della L. 266/2005 ha previsto l’applicazione ai clienti economicamente svantaggiati delle tariffe elettriche agevolate (c.d. “bonus elettrico”, consistente in uno sconto sulla bolletta, al fine di assicurare un risparmio sulla spesa per l’energia alle famiglie in condizione di disagio economico e fisico e alle famiglie numerose), demandando a un decreto ministeriale, al fine di completare il processo di revisione delle tariffe elettriche, la definizione dei criteri per l'applicazione delle tariffe agevolate ai soli clienti economicamente svantaggiati, prevedendo in particolare la revisione della fascia di protezione sociale tale da ricomprendere le famiglie economicamente disagiate[16].

-     alla compensazione per la fornitura di gas naturale.

L’art. 3, c. 9, del D.L. n. 185/2008 (L. n. 2/2009, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale) ha esteso alle famiglie economicamente svantaggiate, a decorrere dal 1° gennaio 2009, le agevolazioni relative alla compensazione per la fornitura di gas naturale (c.d. bonus gas), riconoscendo altresì la tariffa agevolata per la fornitura di energia elettrica, di cui al citato D.M. 28 dicembre 2007, anche ai clienti domestici presso i quali sono presenti persone che versano in gravi condizioni di salute[17].

Si ricorda inoltre che l’art. 1, c. da 75 a 77, della L. 124/2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza) ha demandato a un decreto del MiSE, sentita l’AEEGSI, la disciplina relativa all’erogazione del bonus elettrico e del bonus gas, ai fini di un migliore coordinamento delle politiche di sostegno ai clienti economicamente svantaggiati e ai clienti domestici presso i quali sono presenti persone che versano in gravi condizioni di salute, tali da richiedere l’utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche, alimentate ad energia elettrica, necessarie per il loro mantenimento in vita. Tale decreto disciplina le modalità di erogazione dei benefici economici individuali, anche alternative rispetto alla compensazione della spesa, con eventuale individuazione di una corresponsione congiunta delle misure di sostegno alla spesa per le forniture di energia elettrica e di gas naturale. Con il medesimo decreto si provvede a rimodulare l’entità dei benefici, tenendo conto dell’ISEE.  Le disposizioni relative ai bonus elettrico e del gas sono vigenti fino alla data di entrata in vigore del decreto del MiSE (che non risulta ancora emanato).

Si valuti l’opportunità di specificare se le modalità di attivazione delle suddette agevolazioni siano identiche a quelle previste per i beneficiari della Carta acquisti ovvero siano diverse.


 

Articolo 6, commi 1-8
(Piattaforme digitali per l'attivazione e la gestione dei Patti)

 

I commi in esame - nei quali il Senato in prima lettura ha operato un complesso di precisazioni e riformulazioni - dispongono l'istituzione di due piattaforme digitali, rispettivamente presso l'ANPAL e presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di consentire l’attivazione e la gestione dei Patti per il lavoro e dei Patti per l’inclusione sociale, connessi al Reddito di cittadinanza, e per finalità di analisi, monitoraggio, valutazione e controllo del medesimo istituto del Reddito di cittadinanza. Il testo approvato dal Senato specifica che le due piattaforme operano nell'ambito del Sistema informativo del Reddito di cittadinanza, facente capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La piattaforma istituita presso l'ANPAL è intesa al coordinamento dei centri per l'impiego, mentre l'altra concerne il coordinamento dei comuni - in forma singola o associata, come specificato dal Senato -. Le piattaforme rappresentano strumenti per rendere disponibili le informazioni alle amministrazioni centrali ed ai servizi territoriali coinvolti - nel rispetto, come aggiunto dal Senato, dei princìpi di minimizzazione, integrità e riservatezza dei dati personali -.

La riformulazione del comma 1 operata dal Senato demanda ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti l'ANPAL ed il Garante per la protezione dei dati personali, oltre che la predisposizione di un piano tecnico di attivazione ed interoperabilità delle piattaforme, come già previsto dal testo originario del decreto, l'individuazione delle misure appropriate e specifiche a tutela degli interessati, nonché di modalità di accesso selettivo alle informazioni necessarie per il perseguimento delle specifiche finalità e di adeguati tempi di conservazione dei dati.

Il comma 3 prevede che l'INPS metta a disposizione del sistema informativo in oggetto i dati, ivi indicati, relativi ai membri dei nuclei familiari beneficiari dell'istituto in esame. La piattaforma presso l'ANPAL e quella presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali condividono, rispettivamente, con i centri per l’impiego e con i comuni, le informazioni suddette relativamente ai beneficiari (del Reddito di cittadinanza) residenti nei territori di competenza.

Ai sensi del comma 4, le due piattaforme costituiscono il portale delle comunicazioni (inerenti ai dati ivi indicati) effettuate dai centri per l’impiego, dagli altri soggetti accreditati come servizi per il lavoro e dai comuni all’ANPAL e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, per il loro tramite, all’INPS - secondo i termini e le modalità definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 1, come specificato dal Senato -.

Il comma 5 specifica che le due piattaforme rappresentano uno strumento utile al coordinamento dei servizi a livello territoriale - secondo i termini e le modalità definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 1, come specificato dal Senato - ed elenca le funzioni svolte dalle medesime (anche mediante il dialogo tra di esse).

La riformulazione del comma 6 operata dal Senato ha inserito nel medesimo comma una norma che, nel testo originario del decreto, era posta dall'articolo 8, comma 2. Essa prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, possa stipulare convenzioni con la Guardia di finanza per le attività di controllo nei confronti dei beneficiari del Reddito di cittadinanza nonché per il monitoraggio delle attività degli enti di formazione di cui al citato articolo 8, comma 2. Per le suddette finalità ispettive, la Guardia di finanza accede al sistema informativo di cui al presente articolo 6, comma 1. Il testo originario del comma 6, oltre a prevedere una norma sull'accesso parzialmente simile a questa suddetta, prevedeva invece che i centri per l’impiego ed i comuni segnalassero alle piattaforme dedicate l’elenco dei beneficiari per cui fosse stata osservata una qualsiasi anomalia nei consumi e nei comportamenti, dalla quale si potesse dedurre un'eventuale non veridicità dei requisiti economici, reddituali e patrimoniali dichiarati e la mancanza del diritto al beneficio. La stessa disposizione prevedeva che il medesimo elenco venisse comunicato dall’amministrazione responsabile della piattaforma cui fosse pervenuta la comunicazione all’Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza, affinché ne tessero conto nella programmazione dell’attività di accertamento.

Il comma 7 reca una clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica ed una norma di chiusura, sempre di carattere finanziario.

Il comma 8 specifica che, al fine di attuare il Reddito di cittadinanza anche attraverso appropriati strumenti e piattaforme informatici, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può avvalersi di enti controllati o vigilati da parte di amministrazioni dello Stato o di società in house, previa convenzione approvata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

 


 

Articolo 6, commi 8-bis e 8-ter
(Requisiti per l'autorizzazione all'esercizio di assistenza fiscale da parte dei CAF)

 

I commi in esame, inseriti dal Senato in prima lettura, modificano la normativa riguardante i requisiti per l'autorizzazione all'esercizio di assistenza fiscale da parte dei centri di assistenza fiscale (CAF). In particolare, viene soppresso il requisito riguardante il numero minimo di dichiarazioni validamente trasmesse da ciascun CAF.

 

L'articolo 7, comma 2-ter, del decreto del Ministero delle finanze n. 164 del 31 maggio 1999 (Regolamento recante norme per l'assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza fiscale per le imprese e per i dipendenti, dai sostituti d'imposta e dai professionisti ai sensi dell'articolo 40 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241) reca uno dei requisiti che devono essere soddisfatti dai Centri di assistenza fiscale (CAF) ai fini del rilascio dell'autorizzazione da parte dell'Agenzia delle entrate. Il comma è stato inserito dall'articolo 35 del decreto legislativo n. 175 del 2014 e modificato dall'articolo 1, comma 951, della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015).

In particolare, si richiede che l'Agenzia delle entrate verifichi annualmente che la media delle dichiarazioni validamente trasmesse da ciascun centro di assistenza fiscale nel triennio precedente sia almeno pari all'uno per cento della media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio. Per i centri di assistenza fiscale riconducibili alla medesima associazione od organizzazione o a strutture da esse delegate ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, il requisito indicato nel presente comma è considerato complessivamente.

 

Tale requisito è stato confermato per i CAF autorizzati successivamente al 13 dicembre 2014 dall'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 175 del 2014, così come modificato dall'articolo 1, comma 949, lettere i) e l) della legge di stabilità 2016, il quale prevede tuttavia un margine di flessibilità ai fini del rispetto del requisito pari a uno scostamento massimo del 10 per cento. La stessa norma estende il requisito ai CAF autorizzati prima del 13 dicembre 2014 limitatamente alle dichiarazioni trasmesse negli anni 2015, 2016 e 2017.

 

I commi in esame dispongono la soppressione del suddetto requisito, e quindi l'abrogazione dell'articolo 7, comma 2-ter, del decreto del MEF n. 164 del 1999, nonché delle sue successive modificazioni recate dall'articolo 35, comma 3 del decreto legislativo n. 175 del 2014 e dall'articolo 1, comma 949, lettere i) e l), e comma 951, lettera c) della legge di stabilità 2016.

 

Conseguentemente vengono soppressi i riferimenti al medesimo requisito contenuti nell'articolo 10, comma 3, del decreto del MEF n. 164.

 


 

Articolo 7
(Sanzioni)

 

Il presente articolo stabilisce le cause di decadenza dal Reddito di cittadinanza, ovvero di riduzione del medesimo, e alcune sanzioni penali in materia, oltre a prevedere alcuni obblighi di comunicazione e di controllo da parte di pubbliche amministrazioni.

 

Il comma 1 punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) con la reclusione da due a sei anni chiunque, al fine di ottenere indebitamente il Reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute.

Si valuti l’opportunità di chiarire se nel delitto rientri anche - in conformità con la terminologia e le previsioni di cui al successivo comma 2 - l'ipotesi in cui la finalità consista nel conseguimento di una misura più elevata del beneficio.

Riguardo alla pena di cui al comma 1, si osserva che essa è più elevata anche rispetto a quelle generali previste per le fattispecie delittuose di falso commesse da un pubblico ufficiale (cfr. gli articoli 476 e 479 del codice penale, relativi ai casi di falso materiale ed ideologico commessi da un pubblico ufficiale in atti pubblici). Potrebbe essere ritenuta opportuna una valutazione di tale profilo, considerato che le ipotesi di falso commesse da privati sono ordinariamente oggetto di sanzioni meno gravi rispetto alle corrispondenti ipotesi di falso commesse da pubblici ufficiali.

Il comma 2 prevede che l’omessa comunicazione della variazione del reddito o del patrimonio, anche se proveniente da attività irregolari, o di altre informazioni, dovute entro i termini ivi richiamati e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio, è punita con la reclusione da uno a tre anni. Si valuti l’opportunità di chiarire il richiamo alle attività irregolari, considerato che né i precedenti articoli 2 e 3 né il comma 1 del presente articolo 7 fanno riferimento a tale nozione.

Il comma 3 dispone che alle condanne in via definitiva per le fattispecie di cui ai commi 1 e 2, o per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (di cui all'articolo 640-bis del codice penale) - o, secondo quanto disposto nel corso dell’esame al Senato, alla condanna in via definitiva per le altre fattispecie penali inserite nel comma 3 - o alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (per i medesimi reati), consegua la revoca del Reddito di cittadinanza con efficacia retroattiva (con il conseguente obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite) e che il beneficio medesimo non possa essere di nuovo richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna. Si valuti l’opportunità di specificare se quest'ultimo termine decorra dalla condanna in via definitiva oppure dal momento in cui la condanna emessa sia divenuta definitiva. Il suddetto termine dilatorio sembrerebbe riguardare tutti i componenti del nucleo familiare; si valuti l’opportunità di chiarire esplicitamente tale profilo (in conformità con la formulazione letterale del successivo comma 11).

Il comma 4 stabilisce - ferme restando le previsioni di cui al comma 3 - la revoca del Reddito di cittadinanza per i casi in cui l'INPS accerti la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento della domanda ovvero l’omessa comunicazione di qualsiasi intervenuta variazione del reddito, del patrimonio e della composizione del nucleo familiare. La revoca ha efficacia retroattiva (con il conseguente obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite).

Ai sensi del comma 5, la sanzione di decadenza (non retroattiva) è prevista qualora uno dei membri del nucleo familiare:

-     non effettui la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero);

-     non sottoscriva il Patto per il lavoro ovvero il Patto per l’inclusione sociale, di cui al precedente articolo 4 (ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero);

-     non partecipi, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione (in materia di mercato del lavoro), di cui all’articolo 20, comma 3, lettera b), del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150, e all’articolo 9, comma 3, lettera e), del presente decreto;

-     non aderisca ai progetti di cui all'articolo 4, comma 15, secondo le modalità e le condizioni ivi stabilite e qualora il comune di residenza li abbia istituiti;

-     rifiuti tre offerte di lavoro congrue, ovvero, indipendentemente dal numero di offerte precedentemente ricevute, rifiuti un'offerta congrua dopo l'eventuale rinnovo (ai sensi dell'articolo 3, comma 6) del beneficio. Si valuti l’opportunità di chiarire se, ai fini della sanzione in esame, le ipotesi di rifiuto di offerte di lavoro congrue da parte di diversi membri del nucleo familiare si sommino tra di esse;

-     non effettui le comunicazioni di cui all’articolo 3, comma 9, ovvero effettui comunicazioni mendaci, alle quali consegua un beneficio economico (del Reddito di cittadinanza) in misura maggiore (riguardo a quest'ultimo profilo, cfr. pure sub il comma 6 del presente articolo 7);

-     non presenti una DSU (dichiarazione sostitutiva unica ai fini dell'ISEE) aggiornata, ai sensi dell'articolo 3, comma 12, in caso di variazione del nucleo familiare;

-     sia trovato, nel corso delle attività ispettive svolte dalle competenti autorità, intento a svolgere attività di lavoro dipendente - o di collaborazione coordinata e continuativa, come specificato nel corso dell’esame al Senato, in assenza delle comunicazioni obbligatorie ivi richiamate, ovvero altre attività di lavoro autonomo o di impresa in assenza delle comunicazioni di cui al precedente articolo 3, comma 9.

La sanzione di decadenza si applica anche (comma 6) nel caso in cui il nucleo familiare abbia percepito il beneficio economico in misura maggiore rispetto a quanto gli sarebbe spettato, per effetto di dichiarazione mendace in sede di DSU ovvero in sede di altro atto nell’ambito della procedura di richiesta del beneficio (incluse le comunicazioni di cui all’articolo 3, comma 10). In tal caso, si dispone altresì il recupero delle somme corrisposte in eccesso.

Il comma 7 prevede alcune riduzioni (in misura crescente) del beneficio economico e l'eventuale successiva decadenza (non retroattiva) per le ipotesi di mancata presentazione - da parte anche di un solo membro del nucleo familiare - alle convocazioni (effettuate dai servizi competenti) di cui all'articolo 4, commi 5 e 11, e sempre che non sussista un giustificato motivo. La decadenza è prevista per il terzo caso di mancata presentazione. Si valuti l’opportunità di chiarire se, ai fini dell'applicazione delle sanzioni di cui al presente comma, le ipotesi di mancate presentazioni da parte di diversi membri del nucleo si sommino tra di esse.

In modo analogo, i commi 8 e 9 stabiliscono alcune riduzioni (in misura crescente) del beneficio economico e l'eventuale successiva decadenza (non retroattiva) per le ipotesi, rispettivamente: di mancata partecipazione - da parte anche di un solo membro del nucleo familiare - alle iniziative di orientamento di cui all'articolo 20, comma 3, lettera a), del citato D.Lgs. n. 150 del 2015; di mancato rispetto degli impegni previsti nel Patto per l’inclusione sociale (di cui all'articolo 4), relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne ovvero alla tutela della salute (impegni di prevenzione o cura individuati da professionisti sanitari). Anche in tali casi, si valuti l’opportunità di chiarire se le ipotesi di mancate partecipazioni o di violazioni (successive ai richiami formali) degli impegni da parte di diversi membri del nucleo si sommino tra di esse.

Il comma 10 specifica che l'irrogazione delle sanzioni di cui al presente articolo (diverse da quelle penali) ed il recupero dell'indebito competono all'INPS, con le modalità ivi previste o richiamate, e che i medesimi indebiti (al netto delle spese di recupero) sono riversati all'entrata del bilancio dello Stato, ai fini della riassegnazione al Fondo per il Reddito di cittadinanza.

Ai sensi del comma 11 e fatti salvi i diversi termini dilatori di cui al comma 3, la domanda per il Reddito di cittadinanza può essere di nuovo presentata, dal medesimo richiedente ovvero da altro membro del nucleo familiare, solo decorsi diciotto mesi dalla data del provvedimento di revoca o di decadenza - ovvero decorsi sei mesi, nel caso in cui facciano parte del nucleo familiare soggetti minorenni o con disabilità, come definita ai fini ISEE -.

Il comma 12 stabilisce - con riferimento alle informazioni sui fatti suscettibili di dar luogo alle sanzioni di cui al presente articolo e con riferimento agli eventuali conseguenti provvedimenti di decadenza - obblighi di comunicazioni tra i centri per l’impiego, i comuni e l'INPS. In merito, nel corso dell’esame al Senato, è stato elevato il termine temporale per alcune comunicazioni.

Ai sensi del comma 13, la mancata comunicazione dell'accertamento dei fatti suscettibili di dar luogo alle sanzioni di decurtazione o decadenza dal Reddito di cittadinanza determina responsabilità disciplinare e contabile a carico del funzionario.

Il comma 14 prevede che, nei casi di dichiarazioni mendaci e di conseguente accertato illegittimo godimento del Reddito di cittadinanza, i centri per l’impiego, i comuni, l’INPS, l’Agenzia delle entrate, l'Ispettorato nazionale del lavoro trasmettano, entro dieci giorni dall’accertamento, all'autorità giudiziaria la documentazione completa del fascicolo oggetto della verifica.

Il comma 15 specifica che i comuni sono responsabili delle verifiche e dei controlli anagrafici, attraverso l’incrocio delle informazioni dichiarate ai fini ISEE con quelle disponibili presso gli uffici anagrafici, quelle raccolte dai servizi sociali e con ogni altra informazione utile all'individuazione di omissioni nelle dichiarazioni o di dichiarazioni mendaci (intese al riconoscimento del Reddito di cittadinanza).

Il comma 15-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, estende ai casi di impiego, in forma di lavoro subordinato, di soggetti beneficiari del Reddito di cittadinanza, da parte di datori privati, senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto, la maggiorazione, nella misura del venti per cento, di alcune sanzioni amministrative pecuniarie, maggiorazione già prevista nell'ordinamento (per la medesima fattispecie di mancata comunicazione) con riferimento ad altre categorie di lavoratori[18].

Per garantire una efficace vigilanza sulla sussistenza di circostanze che comportino la decadenza o la riduzione del beneficio (nonché su altri fenomeni di violazione in materia di lavoro e legislazione sociale), il comma 15-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, dispone che il personale dirigenziale ed ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro ha accesso a tutte le informazioni e banche dati (sia in forma analitica che aggregata), trattate dall'INPS già a disposizione del personale ispettivo dipendente dal medesimo Istituto e, in ogni caso, alle informazioni e banche dati individuate nell'allegato A del provvedimento in esame (che potrà essere integrato con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali), tenuto conto di quanto previsto dal D.Lgs. 149/2015 in materia di personale dell’Ispettorato e di obblighi di comunicazione dei dati da parte di INPS e INAIL (vedi infra). L’individuazione delle categorie di dati, delle modalità di accesso, delle misure a tutela degli interessati e dei tempi di conservazione dei dati è demandata ad apposito provvedimento del Direttore dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, da adottarsi entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentiti l'Inps e il Garante per la protezione dei dati personali.

Si ricorda che il richiamato art. 6, c. 3, del D.Lgs. 149/2015 prevede, a decorrere dal 2017, la possibilità di incrementare la dotazione organica dell’Ispettorato, ogni 3 anni, per un numero di posti corrispondente alle facoltà assunzionali previste dalle disposizioni vigenti in materia di turn-over del personale, ma solamente in relazione ai risparmi di spesa derivanti dal progressivo esaurimento del ruolo del personale ispettivo degli Istituti previdenziali.

Infine, l’art. 11, c. 5, del medesimo D.Lgs. 149/2015 dispone che L'INPS, l'INAIL e l'Agenzia delle entrate sono tenuti a mettere a disposizione dell'Ispettorato, anche attraverso l'accesso a specifici archivi informatici, dati e informazioni, sia in forma analitica che aggregata, utili alla programmazione e allo svolgimento dell'attività di vigilanza e di difesa in giudizio, al fine di orientare l'azione ispettiva nei confronti delle imprese che evidenzino fattori di rischio sul piano del lavoro irregolare ovvero della evasione od omissione contributiva e al fine di una maggiore efficacia della gestione del contenzioso.

 


 

Articolo 7-bis
(Sanzioni
in materia di infedele asseverazione
o visto di conformità)

 

L’articolo 7-bis, inserito al Senato, modifica la disciplina delle sanzioni previste in materia di infedele asseverazione o visto di conformità nel caso di presentazione della dichiarazione precompilata effettuata mediante CAF o professionista.

 

In particolare, il comma 1, lettera a), sostituisce la lettera a) dell'articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, in materia di dichiarazione dei redditi, disponendo che ai responsabili dei centri di assistenza fiscale (Caf) e ai professionisti che rilasciano un visto infedele relativamente a una dichiarazione dei redditi di possessori di redditi di lavoro dipendente e assimilati presentata con le modalità previste dalla disciplina per l'assistenza fiscale, non si applica la sanzione amministrativa prevista per il rilascio del visto di conformità, ovvero di asseverazione, infedele (da euro 258 ad euro 2.582); essi sono invece tenuti al pagamento di una somma pari al 30 per cento della maggiore imposta riscontrata, sempre che il visto infedele non sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

 

L’articolo 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, comma 1, lettera a), prevede che salvo il caso di presentazione di dichiarazione rettificativa, se il visto infedele è relativo alla dichiarazione dei redditi presentata con le modalità di cui all'articolo 13, del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164 (disciplina per l'assistenza fiscale resa dai centri di assistenza fiscale e dai professionisti) i soggetti indicati sono tenuti nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore al pagamento di una somma pari all'importo dell'imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente, sempre che il visto infedele non sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Si ricorda, inoltre, che secondo l’articolo 35 del richiamato decreto legislativo il responsabile dell'assistenza fiscale rilascia il visto di conformità sui dati delle dichiarazioni predisposte dal centro alla relativa documentazione e alle risultanze delle scritture contabili, nonché di queste ultime alla relativa documentazione contabile e assevera che gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all'amministrazione finanziaria e rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore corrispondono a quelli risultanti dalle scritture contabili e da altra documentazione idonea. In pratica con questi due istituti viene attribuita dal legislatore un’attività di controllo sulla corretta applicazione delle norme tributarie a soggetti estranei all’amministrazione finanziaria.

Si segnala, infine, che secondo l’articolo 3 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, in materia di modalità di presentazione ed obblighi di conservazione delle dichiarazioni, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni sono:

a)    gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro;

b)    i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;

c)    le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell'articolo 32, comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;

d)    i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;

e)    gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

La nuova lettera a) del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, come modificata, prevede inoltre che qualora il centro di assistenza fiscale o il professionista trasmettano una dichiarazione rettificativa del contribuente, ovvero, se il contribuente non intende presentare la nuova dichiarazione, trasmettano una comunicazione dei dati relativi alla rettifica, e sempreché l'infedeltà del visto non sia già stata contestata con una comunicazione in via telematica da parte dell'Agenzia delle entrate, la somma dovuta è ridotta secondo la disciplina del ravvedimento.

 

Si segnala che la disciplina vigente prevede che nel caso di dichiarazione rettificativa la somma dovuta è pari all'importo della sola sanzione riducibile secondo la disciplina del ravvedimento.

L’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in materia di ravvedimento, la sanzione è ridotta, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza:

a) ad un decimo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione;

a-bis) ad un nono del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell'omissione o dell'errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso; 

b) ad un ottavo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;

b-bis) ad un settimo del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall'omissione o dall'errore;

b-ter) ad un sesto del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall'omissione o dall'errore;

b-quater) ad un quinto del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione.

 

Infine, la predetta lettera a) dell’articolo in commento introduce un nuovo periodo alla lettera a) dell’articolo 39, disponendo che le sanzioni previste nel comma in esame non sono oggetto della maggiorazione di cui all'articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472  ovvero dell’aumento fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole o in dipendenza di adesione all'accertamento di mediazione e di conciliazione.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo in esame, al fine di coordinamento con le norme della nuova lettera a) dell’articolo 39, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sopprime le lettere a-bis) e a-ter) dello stesso articolo, che disponevano rispettivamente che se il visto infedele è relativo alla dichiarazione dei redditi presentata con le modalità previste dalla disciplina per l'assistenza fiscale resa dai centri di assistenza fiscale e dai professionisti non si applica la sanzione amministrativa e che nell'ipotesi di dichiarazione rettificativa il contribuente è tenuto al versamento della maggiore imposta dovuta e dei relativi interessi.

 

Il comma 2 dell’articolo, infine, modifica il comma 3 dell'articolo 5, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, in materia di semplificazioni fiscali, disponendo che è a carico del contribuente il pagamento delle maggiori imposte e degli interessi dovuti a seguito del controllo formale non innovando la disciplina del controllo della dichiarazione precompilata.

Resta quindi fermo che nel caso di presentazione della dichiarazione precompilata, anche con modifiche, effettuata mediante CAF o professionista, il controllo formale è effettuato nei confronti di tali ultimi soggetti anche con riferimento ai dati relativi agli oneri forniti da soggetti terzi indicati nella dichiarazione precompilata e che il controllo della sussistenza delle condizioni soggettive che danno diritto alle detrazioni, alle deduzioni e alle agevolazioni è effettuato nei confronti del contribuente.

 

 


 

Articolo 8
(Incentivi per assunzioni di beneficiari del Rdc)

 

L’articolo 8 introduce alcuni incentivi a favore dei datori di lavoro che assumono, a tempo pieno e indeterminato, anche mediante contratto di apprendistato, come specificato nel corso dell’esame al Senato, soggetti beneficiari del Reddito di cittadinanza, a favore degli enti di formazione accreditati, qualora questi concorrano all’assunzione dei suddetti beneficiari, nonché ai beneficiari del Rdc che avviano un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del RdC.

 

Più nel dettaglio, il comma 1 riconosce ai datori di lavoro (presumibilmente privati), che comunicano le disponibilità dei posti vacanti alla Piattaforma digitale dedicata al Rdc istituita presso l’Anpal e che su tali posti assumono a tempo pieno ed indeterminato il beneficiario di RdC, anche attraverso l’intermediazione di un soggetto accreditato (ex art. 12 del D.Lgs. 150/2015[19]) e ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni previdenziali, l’esonero dal versamento dei contributi dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL).

Il suddetto esonero è riconosciuto:

-     nel limite dell’importo mensile del RdC percepito dal lavoratore all’atto dell’assunzione;

-     per un periodo pari alla differenza tra 18 mensilità e quello già goduto dal beneficiario stesso (e nella misura fissa di 5 mensilità nel caso di rinnovo);

-     per un importo comunque non superiore a 780 euro mensili (comunque nel limite dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore assunto per le mensilità incentivate, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL) e non inferiore a cinque mensilità.

 

Si prevede poi una sanzione in caso di licenziamento ingiustificato del beneficiario di Rdc. Al riguardo, come specificato nel corso dell’esame al Senato, tale fattispecie è limitata ai casi in cui il licenziamento avvenga nei trentasei mesi successivi all'assunzione

Più in particolare, nell'ipotesi di licenziamento, salvi i casi in cui questo avvenga per giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell’incentivo fruito maggiorato delle sanzioni previste (dall’art. 116, c. 8, lett. a) della L. 388/2000) per i casi di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, ossia il pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti.

Il datore di lavoro, contestualmente all’assunzione del beneficiario di RdC stipula, presso il Centro per l’impiego, ove necessario, un patto di formazione, con il quale garantisce al beneficiario un percorso formativo o di riqualificazione professionale.

Si valuti l’opportunità di chiarire il motivo per cui si prevede che il suddetto patto di formazione venga stipulato solo con il Centro per l’impiego e non anche con il soggetto accreditato, se l’assunzione è avvenuta attraverso l’intermediazione di questo e qualora le norme regionali prevedano la possibilità di conclusione di un patto di formazione presso i medesimi soggetti privati.

 

Il comma 2 dispone che se la suddetta assunzione avviene a seguito del percorso formativo e di riqualificazione professionale, svolto a favore del beneficiario di Rdc dagli Enti di formazione accreditati - che hanno stipulato presso i CPI, nonché presso i soggetti accreditati se tale possibilità è prevista da provvedimenti regionali (come specificato nel corso dell’esame al Senato, in sostituzione del richiamo alle sole leggi regionali), un Patto di Formazione[20] -, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni previdenziali, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL) è riconosciuto sia al datore di lavoro che assume, sia all’Ente di formazione accreditato (sotto forma di sgravio contributivo applicato ai contributi previdenziali e assistenziali dovuti per i propri dipendenti sulla base delle stesse regole valide per il datore di lavoro che assume il beneficiario di RdC).

Con una modifica introdotta durante l’esame al Senato, si prevede che, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali, il Patto di formazione possa essere stipulato anche dai fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua, mediante specifici avvisi pubblici. Per quanto concerne i suddetti fondi, l’articolo 11-bis, introdotto anch’esso nel corso dell’esame al Senato, reca alcune novelle alla relativa disciplina concernente i suddetti fondi (cfr. la relativa scheda di lettura). 

 

Il summenzionato esonero contributivo è riconosciuto, per ciascuno dei predetti soggetti (datore di lavoro ed Ente di formazione accreditato):

§  nel limite della metà dell’importo mensile del RdC percepito dal lavoratore all’atto dell’assunzione;

§  per un periodo pari alla differenza tra 18 mensilità e quello già goduto dal beneficiario stesso (e nella misura fissa di 6 mensilità per metà dell’importo del Rdc nel caso di rinnovo);

Si valuti l’opportunità di specificare se il suddetto periodo di fruizione dell’esonero previsto esplicitamente dalla lettera della norma per il datore di lavoro, sia il medesimo anche per l’Ente di formazione accreditato.

§  per un importo comunque non superiore a 390 euro mensili (comunque nel limite dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore assunto per le mensilità incentivate, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL) e non inferiore a 6 mensilità per metà dell’importo del Rdc.

 

Anche per lo sgravio riconosciuto dal comma 2 (così come per quelli di cui al comma 1) si prevede che, nell'ipotesi di licenziamento, salvi i casi in cui questo avvenga per giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell’incentivo fruito maggiorato delle sanzioni previste per i casi di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, ossia il pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti. Anche in questo caso, nel corso dell’esame al Senato, la fattispecie è stata limitata ai casi in cui il licenziamento avvenga nei trentasei mesi successivi all'assunzione. 

Durante l’esame al Senato, la disposizione contenuta nell’ultimo periodo del comma 2, che riconosce la facoltà per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze) di stipulare convenzioni con la Guardia di finanza per le attività di controllo nei confronti dei beneficiari del Rdc e per il monitoraggio delle attività degli Enti di formazione, è stata soppressa e inserita al comma 6 dell’articolo 6 del provvedimento in esame.

 

Il comma 3 dispone che le suddette agevolazioni si applicano a condizione che il datore di lavoro realizzi un incremento occupazionale netto del numero di dipendenti nel rispetto, con riferimento esclusivamente ai lavoratori a tempo indeterminato, del criterio di fruizione degli incentivi all’occupazione (di cui all’art. 31, c. 1, lett. f), del D.Lgs. 150/2015) secondo cui il calcolo si effettua mensilmente, confrontando il numero di lavoratori dipendenti equivalente a tempo pieno del mese di riferimento con quello medio dei dodici mesi precedenti (avuto riguarda alla nozione di "impresa unica" di cui all'articolo 2, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 1408/2013), escludendo dal computo della base occupazionale media di riferimento i lavoratori che nel periodo di riferimento abbiano abbandonato il posto di lavoro a causa di dimissioni volontarie, invalidità, pensionamento per raggiunti limiti d'età, riduzione volontaria dell'orario di lavoro o licenziamento per giusta causa.

In ogni caso, il comma 3 specifica che il diritto alla predette agevolazioni è subordinato al rispetto degli altri principi generali di cui al citato art. 31 del D.Lgs. 150/2015.

L'articolo 31 definisce i principi generali di fruizione degli incentivi, al fine di garantire un'omogenea applicazione degli stessi. Oltre al richiamato principio enunciato dalla lett. f), gli altri principi dispongono che:

a)    gli incentivi non spettano se l'assunzione costituisce attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva, anche nel caso in cui il lavoratore avente diritto all'assunzione viene utilizzato mediante contratto di somministrazione;

b)   gli incentivi non spettano se l'assunzione viola il diritto di precedenza, stabilito dalla legge o dal contratto collettivo, alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine, anche nel caso in cui, prima dell'utilizzo di un lavoratore mediante contratto di somministrazione, l'utilizzatore non abbia preventivamente offerto la riassunzione al lavoratore titolare di un diritto di precedenza per essere stato precedentemente licenziato da un rapporto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine;

c)    gli incentivi non spettano se il datore di lavoro o l'utilizzatore con contratto di somministrazione hanno in atto sospensioni dal lavoro connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale, salvi i casi in cui l'assunzione, la trasformazione o la somministrazione siano finalizzate all'assunzione di lavoratori inquadrati ad un livello diverso da quello posseduto dai lavoratori sospesi o da impiegare in diverse unità produttive;

d)   gli incentivi non spettano con riferimento a quei lavoratori che sono stati licenziati nei sei mesi precedenti da parte di un datore di lavoro che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro che assume o utilizza in somministrazione, ovvero risulta con quest'ultimo in rapporto di collegamento o controllo;

e)    con riferimento al contratto di somministrazione i benefici economici legati all'assunzione o alla trasformazione di un contratto di lavoro sono trasferiti in capo all'utilizzatore e, in caso di incentivo soggetto al regime de minimis, il beneficio viene computato in capo all'utilizzatore.

 

Il comma 4 riconosce ai beneficiari del Rdc un beneficio addizionale (in un’unica soluzione) corrispondente a sei mensilità di RdC (nel limite massimo di 780 euro mensili) nel caso di avvio di un'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del RdC.

La definizione delle modalità di richiesta e di erogazione del beneficio addizionale sono demandate ad un decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dello Sviluppo Economico) (per il quale non viene specificato il termine di emanazione).

Si valuti l’opportunità di specificare la portata della previsione di cui al presente comma 4, con riferimento all’analogo incentivo previsto dall’art. 3, c. 9 (alla cui scheda di lettura di rimanda); in particolare, dalla lettera della norma, non è chiaro se i due incentivi siano alternativi o si possano cumulare.

 

Il comma 5, subordina la fruizione degli incentivi per assunzioni di cui all’articolo in esame al possesso, da parte dei datori di lavoro, del DURC (Documento unico di regolarità contributiva), di cui all’art. 1, c. 1175, della L. 296/2006. come specificato nel corso dell’esame al Senato, si dispone l'esclusione dagli incentivi in esame per i datori di lavoro che non siano in regola con gli obblighi di assunzione (relativi alle categorie protette) di cui all'articolo 3 della L. 12 marzo 1999, n. 68, e successive modificazioni, fatta salva l'ipotesi in cui l'incentivo medesimo sia inerente ad un'assunzione di un soggetto (naturalmente beneficiario del Reddito di cittadinanza) iscritto nelle liste di cui alla citata L. n. 68.

 

Il richiamato comma 1175 ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefìci normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti.

Per completezza, si ricorda che le cause ostative al rilascio del DURC sono attualmente previste dal D.M. 30 gennaio 2015 (che ha sostituito il precedente DM 24 ottobre 2007), adottato sulla base di quanto disposto dal successivo comma 1176 della legge finanziaria per il 2007, che demandava ad apposito decreto ministeriale, tra l’altro, la definizione delle tipologie di pregresse irregolarità previdenziali e relative al rapporto di lavoro che non impediscono il rilascio della certificazione.

L’articolo 8 del suddetto DM 30/01/2015 dispone che sono ostative alla regolarità del DURC le violazioni di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro (individuate nell'allegato A del DM) da parte del datore di lavoro o del dirigente responsabile, accertate con provvedimenti amministrativi o giurisdizionali definitivi.

 

Il comma 6 prevede che le suddette agevolazioni siano riconosciute entro i limiti e secondo le disposizioni dei Regolamenti (UE) 1407/2013, 1408/2013 e 717/2014, concernenti i cosiddetti aiuti de minimis da parte degli Stati membri, con riferimento anche al settore agricolo e al settore della pesca e dell’acquacoltura.

Gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo sono regolati, in particolare, dal Reg. (UE) 18 dicembre 2013, n. 1408, mentre per il settore della pesca e dell’acquacoltura, dal Reg. (UE) 27 giugno 2014, n. 717.

Si tratta di quegli aiuti di importo complessivo non superiore a 15.000 euro nel settore agricolo e a 30.000 euro in quello della pesca e dell’acquacoltura nell'arco di tre esercizi finanziari che, per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e, dunque, non suscettibili di provocare un'alterazione della concorrenza tra gli operatori economici. Tale importo è di gran lunga inferiore a quello fissato (200.000 euro) nel regolamento UE n. 1407/2013, sugli aiuti de minimis (nel periodo di programmazione 2014-2020) alla generalità delle imprese esercenti attività diverse da:

a)    pesca e acquacoltura;

b)   produzione primaria dei prodotti agricoli;

c)    trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti:

1.    qualora l'importo dell'aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate;

2.    qualora l'aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;

d)   aiuti per attività connesse all'esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l'attività d'esportazione;

e)    aiuti subordinati all'impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d'importazione.

 

Il comma 7 dispone che le suddette agevolazioni alle assunzioni sono compatibili e aggiuntive rispetto all’incentivo disposto dall’art. 1, c. 247, della Legge di bilancio per il 2019 per le assunzioni nel Mezzogiorno nel biennio 2019-2020 (vedi infra).

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia esaurito gli esoneri contributivi in forza della predetta legge, gli sgravi contributivi disciplinati dal presente articolo sono fruiti sotto forma di credito di imposta per il datore di lavoro, le cui modalità di accesso sono demandate ad un successivo decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze), da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.

Il richiamato art. 1, c. 247, della L. 145/2018 prevede che i programmi operativi nazionali e regionali e quelli operativi complementari possano stabilire per il 2019 e il 2020, nell’ambito degli obiettivi specifici contemplati dalla relativa programmazione e nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, misure per favorire l’assunzione con contratto a tempo indeterminato, nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, di soggetti che non abbiano compiuto i 35 anni di età ovvero di soggetti di età pari o superiore alla suddetta soglia, purché privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi.

Tali misure possono consistere anche in un esonero contributivo integrale della quota di contribuzione a carico del datore di lavoro privato (fatti salvi i premi e contributi relativi all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), entro il limite massimo di un importo pari a 8.060 euro su base annua (anche in deroga a norme vigenti relative a divieti di cumulo con altri esoneri o riduzioni della contribuzione).

La rimodulazione in esame dei suddetti programmi operativi non può essere superiore a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020. Le azioni di rimodulazione sono adottate con le procedure previste dalla disciplina vigente.

 


 

Articolo 9
(Assegno di ricollocazione)

 

L’articolo 9 dispone che, fino al 31 dicembre 2021, il beneficiario del Rdc riceva l’Assegno di ricollocazione previsto dalla normativa vigente.

 

Allo scopo di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro, nella fase di prima applicazione della disciplina contenuta nel decreto in esame e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il beneficiario del RdC è tenuto a stipulare, ai sensi del precedente articolo 4, comma 7, il Patto per il lavoro con il centro per l’impiego, decorsi 30 giorni dalla data di liquidazione della prestazione, riceve dall’ANPAL l’assegno di ricollocazione (AdR) (di cui all’art. 23 del D.Lgs. 150/2015 – vedi infra) da spendere presso i centri per l’impiego o presso i soggetti accreditati[21] (comma 1). La norma in esame non concerne i soggetti che siano tenuti a stipulare il Patto per il lavoro esclusivamente ai sensi del successivo comma 12 del suddetto articolo 4.

 

A pena di decadenza dal beneficio del Rdc, entro 30 giorni dal riconoscimento dell’AdR i suddetti soggetti devono scegliere il soggetto erogatore del servizio di assistenza intensiva[22], che ha una durata di sei mesi, prorogabile di ulteriori sei mesi qualora residui parte dell’importo dell’assegno; se entro 30 giorni dalla richiesta, il soggetto erogatore scelto non si attiva nella ricollocazione del beneficiario, questo deve rivolgersi ad altro soggetto erogatore (comma 2).

 

I commi da 3 a 6 dettano disposizioni (analogamente a quanto previsto dalla disciplina vigente, v. infra), circa gli elementi che devono essere previsti dal servizio di assistenza alla ricollocazione e circa le modalità operative e l’ammontare dell’AdR.

In particolare, il comma 3 dispone che il servizio di assistenza alla ricollocazione deve prevedere:

§  l'affiancamento di un tutor al soggetto beneficiario, con l’onere per quest’ultimo di svolgere le attività individuate dal tutor e di accettare l'offerta di lavoro congrua ai sensi di quanto previsto dal decreto in esame all’art 4;

§  il programma di ricerca intensiva della nuova occupazione e la relativa area;

§  l'obbligo per il soggetto erogatore del servizio di comunicare al centro per l'impiego e all'ANPAL il rifiuto ingiustificato, da parte della persona interessata, di svolgere una delle attività individuate dal tutor, o di una offerta di lavoro congrua, al fine dell'irrogazione delle sanzioni previste dal decreto in esame all’art. 7;

§  la sospensione del servizio nel caso di assunzione in prova, o a termine, con eventuale ripresa del servizio stesso dopo l'eventuale conclusione del rapporto entro il termine di sei mesi.

 

Il Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro dà immediata comunicazione dell’utilizzo dell’AdR presso un soggetto accreditato al centro per l'impiego con cui è stato stipulato il Patto per il Lavoro (o a quello nel cui territorio risiede il beneficiario) (comma 4).

 

Si dispone (comma 5) che il Consiglio di amministrazione dell’ANPAL (previa approvazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) definisce le modalità operative e l’ammontare dell’assegno sulla base di determinati principi previsti dalla normativa vigente[23].

Gli esiti della ricollocazione sono oggetto dell’attività di monitoraggio e valutazione comparativa dei soggetti erogatori del servizio.

 

Si dispone (comma 6) che l’ANPAL monitori l’andamento delle risorse, fornendo relazioni mensili al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base delle quali (tenendo anche conto della percentuale di successi occupazionali), l’ANPAL sospende l’erogazione di nuovi assegni quando si manifesti un rischio, anche prospettico, di esaurimento delle risorse.

Il finanziamento dell’assegno di ricollocazione è a valere sul Fondo per le politiche attive del lavoro, istituito dall’art. 1, c. 215, della L. di stabilità n. 147/2013 per la realizzazione di iniziative, anche sperimentali, volte a potenziare le politiche attive del lavoro, tra le quali la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il comma 6-bis che, allo scopo di permettere all’Istituto nazionale di statistica di effettuare le rilevazioni e le previsioni di cui al precedente comma 6 e delle altre necessarie, consente agli uffici di statistica del Sistema statistico nazionale (Sistan) di continuare a fornire agli altri enti e uffici di statistica del Sistema i dati informativi (anche in forma individuale) relativi all’amministrazione di appartenenza, ovvero da questa detenuti in ragione della propria attività istituzionale o raccolti per finalità statistiche, necessari per i trattamenti statistici previsti dal programma statistico nazionale, nonché, previa richiesta in cui siano esplicitate le finalità perseguite, quelli necessari per i trattamenti statistici strumentali al perseguimento delle finalità istituzionali del soggetto richiedente.

La comunicazione dei suddetti dati è effettuata fatte salve le riserve previste dalla legge.

Come specificato nella Relazione del Governo all’emendamento presentato al Senato, tale modifica (apportata all’art. 6, c. 1, lett. b), e c. 4, del D.Lgs. 322/1989) si è resa necessaria a seguito dell’abrogazione dell’art. 8 del Codice di deontologia, disposta dal Garante per la protezione dei dati personali con delibera 514/2018 che non consente la comunicazione tra i soggetti del Sistan dei dati personali qualora questi siano richiesti per effettuare un trattamento statistico non compreso nel programma statistico nazionale e la medesima comunicazione non sia disciplinata da una specifica norma di legge o di regolamento.

 

Infine, si dispone (comma 7) la sospensione fino al 31 dicembre 2021 dell’erogazione dell’assegno di ricollocazione ai soggetti di cui all’art. 23, c. 1, del D.Lgs. 150/2015, ossia i disoccupati percettori di NASpI e disoccupati da più di quattro mesi.

Al riguardo, dalla lettera del comma 8, parrebbe desumersi che i soggetti percettori di NASpI che non usufruiscano del RdC - nell’ipotesi siano oltre la soglia ISEE determinata dal presente decreto per l’accesso al beneficio medesimo (ex art. 2, c. 8) - siano privati dell’AdR durante il periodo di sospensione di cui al richiamato comma 8.

Sembrerebbe, inoltre, opportuno chiarire se la sospensione si applichi anche ai soggetti per i quali sia già in corso di godimento l'assegno medesimo.

 

 

Assegno di ricollocazione

L’assegno di ricollocazione è stato istituito dall’art. 23 del D.Lgs. 150/2015 (decreto attuativo della legge delega in materia di lavoro n. 183/2014), riconosciuto ai soggetti disoccupati percettori della NASpI (Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego), la cui durata di disoccupazione eccede i quattro mesi, e, in base a quanto disposto dalla legge di bilancio per il 2018 (art. 1, c. 136, L. 205/2017), anche ai lavoratori coinvolti negli Accordi di ricollocazione rientranti negli ambiti e profili a rischio di esubero previsti dall'Accordo stesso

L’AdR consiste in una somma (che non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale e assistenziale), graduata in funzione del profilo personale di occupabilità, spendibile presso i centri per l'impiego o i servizi accreditati.

L’assegno è spendibile presso i centri per l'impiego o i soggetti privati accreditati (scelti dal disoccupato titolare dell'assegno di ricollocazione) per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro. Il servizio ha una durata di sei mesi (prorogabile per altri sei nel caso non sia stato consumato l'intero suo ammontare) e deve essere richiesto dal disoccupato, a pena di decadenza dallo stato di disoccupazione e dalla prestazione a sostegno del reddito, entro due mesi dalla data di rilascio dell'assegno.

Il servizio di assistenza alla ricollocazione deve prevedere:

-  l'affiancamento di un tutor al soggetto beneficiario;

-  il programma di ricerca intensiva della nuova occupazione e la relativa area, con eventuale percorso di riqualificazione professionale mirata a sbocchi occupazionali esistenti nell'area stessa;

-  l'assunzione dell'onere del soggetto beneficiario di svolgere le attività individuate dal tutor e di accettare un'offerta di lavoro congrua;

-  l'obbligo per il soggetto erogatore del servizio di comunicare al centro per l'impiego e all'ANPAL il rifiuto ingiustificato, da parte della persona interessata, di svolgere una delle suddette attività, o di una offerta di lavoro congrua, al fine dell'irrogazione delle sanzioni previste;

-  la sospensione del servizio nel caso di assunzione in prova, o a termine, con eventuale ripresa del servizio stesso dopo l'eventuale conclusione del rapporto entro il termine di sei mesi.

In caso di utilizzo dell'assegno di ricollocazione presso un soggetto accreditato, lo stesso è tenuto a darne immediata comunicazione al centro per l'impiego che ha rilasciato al disoccupato l'assegno di ricollocazione. Il centro per l'impiego è di conseguenza tenuto ad aggiornare il patto di servizio.

Con delibera 14/2018, il CdA dell’ANPAL ha definito, tra l’altro, l’ammontare dell’assegno, compreso tra 250 e 5.000 euro, e, dopo la conclusione di una fase di sperimentazione avviata nel 2017, ne ha fissato la messa a regime a decorrere da maggio 2018.


 

Articolo 9-bis
(Disposizioni in materia di patronato)

 

L’articolo 9-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, interviene sulla disciplina in materia di istituti di patronato, modificando taluni limiti da cui dipende la costituzione o lo scioglimento degli istituti medesimi.

 

In particolare, intervenendo sulla L. 152/2001, l’articolo in esame dispone che possono costituire e gestire gli istituti di patronato e di assistenza sociale, su iniziativa singola o associata, le confederazioni e le associazioni nazionali di lavoratori che, tra l’altro, abbiano sedi proprie in un numero di province riconosciute la cui somma della popolazione sia pari ad almeno il 60 per cento della popolazione italiana, come accertata nell'ultimo censimento nazionale, e che abbiano sedi di istituti di patronato in almeno quattro Paesi stranieri (in luogo degli otto attualmente previsti[24])[25].

Inoltre, si prevede che l'istituto di patronato è sciolto ed è nominato un liquidatore nei casi, tra gli altri, in cui l'istituto:

-     abbia realizzato per due anni consecutivi attività rilevante ai fini del finanziamento, sia in Italia sia all'estero (ex art. 13, c. 7, lett. b) della L. 152/2001), in una quota percentuale accertata in via definitiva dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali inferiore allo 0,75% del totale (in luogo dell’1,5% attualmente previsto);

-     non dimostri di svolgere attività, oltre che a livello nazionale, anche in almeno quattro Stati stranieri (in luogo degli otto attualmente previsti), con esclusione dei patronati promossi dalle organizzazioni sindacali agricole.

 


 

Articolo 10
(Monitoraggio)

 

Il presente articolo attribuisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la responsabilità del monitoraggio dell’attuazione del Reddito di cittadinanza e prevede che il medesimo Dicastero, sulla base delle informazioni rilevate nelle piattaforme di cui all’articolo 6, di quelle fornite dall’INPS e dall’ANPAL, nonché delle altre informazioni disponibili in materia, pubblichi un relativo Rapporto annuale.

 

Nel corso dell’esame al Senato, è stato disposto che il Ministero possa avvalersi anche dell'Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP, ex ISFOL) per lo svolgimento dei compiti in oggetto.

L'articolo reca inoltre una clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica.

 


 

Articolo 11
(Modifiche alla disciplina del Reddito di inclusione)

 

L’articolo 11 modifica il D.Lgs. 147/2017 Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà, istitutivo del Reddito di inclusione, misura che, ai sensi dell’articolo 13 del decreto in esame, non potrà più essere richiesta a decorrere dal mese di marzo 2019, e che, a decorrere dal successivo mese di aprile 2019 non sarà più riconosciuta.

 

A coloro ai quali il Reddito di inclusione è stato riconosciuto in data anteriore al mese di aprile 2019, continueranno ad essere erogati il beneficio economico per la durata inizialmente prevista, fatta salva la possibilità di presentare domanda per il Rdc, ed il progetto personalizzato, sottoscritto dai componenti il nucleo familiare beneficiario del ReI (come definito dall’art. 6 del D.Lgs. 147/2017).

Conseguentemente, dal 1° aprile 2019, viene quasi completamente abrogato il Capo II del D.Lgs. 147/2017, dedicato al ReI, misura nazionale di contrasto alla povertà, mentre rimangono in vigore il Capo III, dedicato al riordino delle prestazioni assistenziali finalizzate al contrasto alla povertà e il Capo IV, dedicato al rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali.

 

All’interno del Capo II soltanto gli articoli 5, 6, 7 e 10 non vengono abrogati, subendo tuttavia modifiche funzionali all’istituzione del Rdc. Più in particolare:

-     l’art. 5 del D.Lgs. 147/2017, recante “Punti per l'accesso al ReI e valutazione multidimensionale” viene modificato nelle parti dedicate ai punti di accesso al ReI, istituiti in ogni ambito territoriale, per fornire ai nuclei familiari interessati informazione, orientamento e consulenza sulla rete integrata degli interventi e dei servizi sociali, e qualora ricorrano le condizioni, assistenza nella presentazione della richiesta del ReI (soppressione dei commi 1 e 6, modifiche ai commi 2, 3, 4 e 5). Per coordinamento, vengono poi soppressi i riferimenti ai “beneficiari del ReI” o sostituiti con “beneficiari del Rdc”. Nel disegno del legislatore restano vigenti le parti dedicate alla valutazione multidimensionale finalizzata ad identificare i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti e la successiva presa in carico dei servizi sociali e territoriali. Conseguentemente, la rubrica dell’art. 5 è modificata in “Valutazione multidimensionale”. Vengono quindi soppressi i riferimenti, contenuti nel comma 4, relativi agli esiti delle verifiche dei requisiti di accesso al Rei e dei termini entro i quali deve essere programmata l’analisi preliminare (25 giorni lavorativi). Resta fermo, nel provvedimento in esame, che l’analisi preliminare è effettuata da operatori sociali opportunamente identificati dai servizi competenti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Nel caso in cui, dopo la valutazione preliminare, la situazione di povertà appaia prioritariamente connessa alla sola situazione lavorativa, l’articolo in esame sopprimendo, all’interno dell’art. 5, comma 5, del D. Lgs. 147/2017, i rinvii al patto di servizio o al programma di ricerca intensiva di occupazione, prevede che “i beneficiari (del Rdc) sono indirizzati al competente centro per l’impiego per la sottoscrizione dei Patti per il lavoro connessi al Rdc, entro trenta giorni dall’analisi preliminare”;

 

Si ricorda, che l’analisi preliminare, come configurata dall’art. 5 del D.Lgs. 147/2017, identifica diversi possibili percorsi di presa in carico: 1) un progetto personalizzato in versione semplificata, cui provvede il servizio sociale, quando, in assenza di bisogni complessi, non emerge la necessità di un quadro di analisi approfondito. Invece, quando la situazione di povertà appare prioritariamente connessa alla sola situazione lavorativa, il progetto personalizzato è sostituito dal patto di servizio, ovvero dal programma di ricerca intensiva di occupazione. Il responsabile dell’analisi preliminare verifica l’esistenza del patto o del programma di ricerca intensiva di occupazione e, in mancanza, contatta i centri per l’impiego, affinché gli interessati siano convocati e il patto di servizio venga redatto entro il termine di venti giorni lavorativi dalla data in cui è stata effettuata l’analisi preliminare; 2) un quadro approfondito di analisi in presenza di bisogni complessi, costituzione di un équipe multidisciplinare formata da operatori dei servizi sociali e territoriali, sottoscrizione di un progetto personalizzato entro venti giorni lavorativi dalla data in cui è stata effettuata l’analisi preliminare.

 

-     l’art. 6 del D.Lgs. 147/2017, recante disposizioni in materia di “Progetto personalizzato, viene in parte modificato; rimangono vigenti i termini temporali previsti per la sottoscrizione del progetto personalizzato (che deve essere sottoscritto dai componenti il nucleo familiare entro venti giorni lavorativi dalla data in cui è stata effettuata l’analisi preliminare), mentre vengono soppressi gli obblighi di comunicazione all’INPS. Più precisamente, non viene più previsto che entro il medesimo termine di venti giorni, gli ambiti territoriali comunichino all’INPS, ai fini dell’erogazione del beneficio economico del ReI, la sottoscrizione del progetto, o eventualmente del patto di servizio o del programma di ricerca intensiva dell’occupazione. Non viene nemmeno più previsto che, in assenza di sottoscrizione del progetto, il ReI non sia erogato, fatta salva la deroga in sede di avvio del ReI. Sul punto si ricorda che, per il 2018, l’INPS ha potuto disporre il versamento del beneficio economico pur in assenza della comunicazione dell’avvenuta sottoscrizione del progetto personalizzato. Come previsto dall’art. 25, comma 2, dello stesso D. Lgs. 147/2017, decorsi sei mesi dal mese di prima erogazione, il beneficio è comunque sospeso in assenza della comunicazione dell’avvenuta sottoscrizione. Si ricorda, che l’applicazione di tale norma transitoria è stata estesa al 2019 dalla legge di bilancio 2019 (art. 1, comma 1136, lett. a) della legge 145/2018). Le restanti modifiche sopprimono i riferimenti al ReI, o li sostituiscono con il riferimento al Rdc; resta fermo quanto attualmente previsto in tema di progetto personalizzato.

 

Il D.Lgs. 147/2017 ha previsto che il progetto personalizzato e i sostegni in esso previsti costituiscono livelli essenziali delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. Il progetto personalizzato è definito con la più ampia partecipazione del nucleo familiare, in considerazione dei suoi desideri, aspettative e preferenze, e con la previsione del suo coinvolgimento nel successivo monitoraggio e valutazione. Il progetto è definito, anche nella sua durata, secondo principi di proporzionalità, appropriatezza e non eccedenza rispetto alle necessità di sostegno del nucleo familiare beneficiario; la sua durata può prescindere dalla durata del beneficio economico collegato. All’interno del progetto personalizzato viene individuata una figura di riferimento che ne cura la realizzazione, attraverso il coordinamento e l’attività di impulso verso i vari soggetti responsabili della realizzazione dello stesso. La figura di riferimento, che cura anche il monitoraggio del progetto, viene individuata in base al bisogno prevalente risultante dai sostegni definiti nel progetto (interventi e servizi sociali) di cui si ritiene necessiti il nucleo familiare. Più in particolare, il progetto personalizzato individua, sulla base dei bisogni del nucleo familiare come emersi nell’ambito della valutazione multidimensionale: a) gli obiettivi generali e i risultati specifici che si intendono raggiungere; b) i sostegni, in termini di specifici interventi e servizi, di cui il nucleo necessita, che includono gli interventi e i servizi sociali per il contrasto alla povertà, nonché gli interventi afferenti alle politiche del lavoro, della formazione, sanitarie e socio-sanitarie, educative, abitative, e delle altre aree di intervento eventualmente coinvolte nella valutazione e progettazione; c) gli impegni a svolgere specifiche attività, come condizione per ricevere il beneficio economico (rispetto degli incontri con i competenti servizi responsabili del progetto; atti di ricerca attiva di lavoro e disponibilità al patto di servizio ovvero al programma di ricerca intensiva di occupazione redatto in accordo con i competenti centri per l’impiego; frequenza e impegno scolastico; comportamenti di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, individuati da professionisti sanitari). Al fine di assicurare omogeneità e appropriatezza nell’individuazione degli obiettivi, dei risultati, dei sostegni (interventi e servizi), nonché degli impegni a svolgere specifiche attività, avrebbero dovuto essere approvate Linee guida per la definizione dei progetti personalizzati, redatte anche in esito al primo periodo di applicazione del ReI (emanate con decreto del MLPS, su proposta del Comitato per la lotta alla povertà, e d’intesa con la Conferenza Unificata).

 

-     l’art. 7 del D. Lgs. 147/2017, recanteInterventi e servizi sociali per il contrasto alla povertà”, elenca i servizi per l’accesso e la valutazione nonché i sostegni afferenti al sistema integrato di interventi e servizi sociali da individuare nel progetto personalizzato. Nella parte dedicata ai servizi, ovvero al comma 1, viene modificata la lettera a), escludendo i servizi per l’informazione e l’accesso al ReI (come visto supra si tratta dei punti di accesso al ReI). Sono confermati: il servizio sociale professionale per la presa in carico; i tirocini finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia delle persone e alla riabilitazione; il sostegno socio-educativo domiciliare o territoriale; l’assistenza domiciliare socio-assistenziale; il sostegno alla genitorialità e il servizio di mediazione familiare; il servizio di mediazione culturale nonché il servizio di pronto intervento sociale. La norma ora in esame modifica poi il comma 3 dell’articolo 7, in cui vengono individuate le risorse attribuite agli ambiti territoriali delle regioni per il finanziamento degli interventi sociali attualmente funzionali al ReI, in futuro funzionali al Rdc (la c.d. quota povertà). Il comma 3 precisa che la quota del Fondo Povertà destinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali è pari, in sede di prima applicazione, a:

-     297 milioni di euro nel 2018;

-     347 milioni di euro nel 2019;

-     470 milioni di euro annui a decorrere dal 2020, inclusivi dei 20 milioni per interventi e servizi in favore di persone in condizione di povertà estrema e senza dimora.

Tali quote, nelle intenzioni del provvedimento in esame, sono destinate a rimanere fisse, in quanto viene cancellata la possibilità attualmente prevista (dal secondo periodo del comma 3 che viene abrogato), in esito al monitoraggio sui fabbisogni e sull’utilizzo delle risorse, di poter rideterminare la “quota povertà”, mediante il Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

Per quanto riguarda gli specifici rafforzamenti, finanziabili a valere sulla “quota povertà” attribuita agli ambiti territoriali di ogni regione e nei limiti della medesima, saranno definiti in un atto di programmazione regionale (attualmente sono definiti nel Piano regionale per la lotta alla povertà), sulla base delle indicazioni programmatiche contenute nel Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà[26]

 

Si ricorda che la legge di bilancio 2019 (art. 1, comma 255, della legge 145/2018) ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Fondo per il reddito di cittadinanza. La norma provvede a stanziare le risorse per l'istituzione dei richiamati istituti, demandando l'attuazione degli stessi ad appositi provvedimenti normativi nei limiti delle risorse stanziate, che ne costituiscono il relativo limite di spesa. Il terzo periodo del comma 255 è volto a garantire il riconoscimento delle prestazioni del Reddito di inclusione di cui al D.Lgs. 147/2017, fino alla piena operatività delle nuove misure da introdurre. Se ne dispone, pertanto, la prosecuzione, confermandone i limiti di spesa e disponendo che essi concorrano, in base alle procedure indicate per l'erogazione delle prestazioni, al raggiungimento del limite di spesa complessivo previsto per il Reddito di cittadinanza. A tal fine, le risorse destinate all'erogazione economica del ReI, nei suddetti limiti di spesa, sono trasferite ed accantonate nell'ambito del nuovo Fondo per il reddito di cittadinanza, riducendo, conseguentemente, a decorrere dal 2019, le relative risorse del Fondo povertà previste per la misura. Per l’anno 2019, si ricorda, il limite di spesa previsto per l'erogazione dei benefici economici del Reddito di inclusione (ReI) è stato determinato, all'articolo 20, comma 1, del D.Lgs. n. 147/2017, in 2.198 milioni. Le cifre diminuiscono a 2.158 milioni per il 2020 e 2.130 milioni annui dal 2021. Tali importi sono quelli portati in riduzione del Fondo per la lotta e alla povertà e all'esclusione sociale, sul relativo capitolo di bilancio. Pertanto, sul Fondo Povertà (cap. 3550), dopo la riduzione di risorse disposta per la costituzione dell’accantonamento nell’ambito del Fondo per il reddito di cittadinanza, residuano risorse pari a 347 milioni di euro per il 2019, 587 milioni per il 2020 e a 615 milioni per il 2021, riservate al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali, ai sensi dell’art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2017.

 

-     l’art. 10, recante disposizioni in materia di “ISEE precompilato e aggiornamento della situazione economica”, prevede che, a decorrere dal 2019, la dichiarazione sostitutiva unica a fini ISEE (DSU) sia precompilata a cura dell’INPS, con la collaborazione dell’Agenzia delle entrate. Il termine del 2019 dal quale si potrà accedere alla modalità precompilata deve ancora essere fissato da un decreto interministeriale lavoro/economia. Le modalità tecniche per l’accesso dei cittadini alla dichiarazione precompilata saranno definite “con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti l'INPS, l'Agenzia delle entrate e il Garante per la protezione dei dati personali", secondo quanto previsto dall’articolo 11 del D.L. in esame, come modificato al Senato (il testo originario dell’articolo 11 modificava l’articolo 10, comma 2, nel senso di prevedere che il provvedimento congiunto del Direttore dell’INPS e del Direttore dell’Agenzia delle entrate, previsto dal suddetto articolo 10, fosse adottato sentita non soltanto l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, ma anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali).

 

L'erogazione di molti servizi sociali è effettuata in base alla situazione economica del nucleo familiare del richiedente, una misura che comprende valori reddituali e patrimoniali, ponderati attraverso l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), istituito nel 1998 e successivamente riformato nel 2011 per migliorare l'equità nell'accesso alle prestazioni agevolate. L'ISEE viene calcolato sulla base di una Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) e vale annualmente per tutti i membri del nucleo familiare e per tutte le prestazioni sociali, anche se richieste ad enti erogatori diversi. In relazione alla compilazione della dichiarazione sostituiva unica (DSU), la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014), al comma 314, ha ampliato la sfera delle informazioni che gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare all'Anagrafe Tributaria, includendovi anche il valore medio di giacenza annuo di depositi e conti correnti bancari. Più di recente, l’art. 5 del decreto legge 91/2018[27] (c.d. Decreto milleproroghe), intervenendo proprio sui commi 1, 3 e 4 dell’articolo 10 del D.Lgs. 147/2017, ha prorogato al 2019 il termine (dal 2018 al 2019) della precompilazione DSU da parte dell'INPS, sopprimendo la previsione che, a regime, la modalità precompilata sia l'unica ammessa. Il termine all’interno del 2019 dal quale si potrà accedere alla modalità precompilata in realtà non è stato ancora fissato; un compito lasciato ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che dovrà stabilire la data a partire dalla quale sarà possibile accedere alla modalità precompilata di presentazione della DSU, nonché la data a partire dalla quale sarà avviata una sperimentazione in materia, anche ai soli fini del rilascio dell'ISEE corrente[28]. Con il medesimo decreto saranno stabilite le componenti della DSU interamente autodichiarate e non precompilate, suscettibili di successivo aggiornamento in relazione alla evoluzione dei sistemi informativi e dell'assetto dei relativi flussi d'informazione.

 

Il provvedimento ora in esame modifica anche i termini fissati dall’art. 10, comma 4, del D.Lgs 147/2017 (come di recente modificati dall’art. 5 del decreto legge 91/2018), relativamente ai termini di validità della DSU. In questo caso, la decorrenza della validità viene fatta partir dal 1° settembre 2019 anziché dal 1° gennaio 2019; a partire da quella data, la DSU avrà validità dal momento della presentazione fino al successivo 31 agosto. Le DSU in corso di validità alla data del 1° settembre 2019, restano valide fino al 31 dicembre 2019. I dati su redditi e patrimoni contenuti nella DSU sono comunque aggiornati prendendo come riferimento l’anno precedente.

L’articolo in esame, modificato nel corso dell’esame al Senato, introduce il comma 2-bis, all’articolo 10 facendo salva la possibilità di presentare la DSU in modalità non precompilata e prevedendo, in tal caso, che in sede di attestazione dell’ISEE, siano riportate analiticamente le eventuali omissioni o difformità riscontrate nei dati dichiarati rispetto alle informazioni disponibili nell’Anagrafe tributaria, nel Catasto e negli archivi dell’INPS, incluse eventuali difformità su saldi e giacenze medie del patrimonio mobiliare, secondo modalità definite con il decreto previsto dal precedente comma 2 (provvedimento congiunto del Direttore dell'INPS e del Direttore dell'Agenzia delle entrate, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Garante per la protezione dei dati personali), con il quale sono stabilite le modalità di accesso alla dichiarazione precompilata da parte dei cittadini. Inoltre, il provvedimento di cui sopra sostituisce anche il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per le finalità previste dal comma 3, che viene quindi modificato in tal senso[29].

 

Il testo originario dell’articolo 11, sostituito, come detto, dal nuovo comma 2-bis ha aggiunto due commi (il 2-bis e il 2-ter) nel corpo dell’art. 10 del D. Lgs. 147/2017 in tema di consenso al trattamento dei dati personali, reddituali e patrimoniali. Nei suddetti commi, in particolare, si è stabilito che, ai fini della precompilazione dell’ISEE, i componenti maggiorenni del nucleo familiare debbano esprimere preventivamente il consenso al trattamento dei dati personali, reddituali e patrimoniali[30], come previsto dalla disciplina vigente in materia di protezione dei dati personali. All’atto della manifestazione del consenso, il componente maggiorenne deve indicare i soggetti dichiaranti autorizzati ad accedere alla DSU precompilata. Il consenso può essere manifestato rendendo apposita dichiarazione presso le strutture territoriali dell’INPS ovvero presso i centri assistenza fiscale, nonché in maniera telematica mediante accesso al portale dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate. Il consenso al trattamento dei propri dati personali, reddituali e patrimoniali, espresso secondo le modalità indicate, è comunicato e registrato su una base dati unica gestita dall’Agenzia delle entrate e accessibile ai soggetti abilitati all’acquisizione del consenso. Resta ferma la facoltà, da parte di ciascun componente maggiorenne il nucleo familiare di inibire in ogni momento all’INPS, all’Agenzia delle entrate ed ai centri di assistenza fiscale l’utilizzo dei dati personali ai fini della elaborazione della DSU precompilata. Il comma 2-ter prende invece in considerazione i casi di consenso al trattamento dei dati personali, reddituali e patrimoniali, espresso in maniera non corretta o negato ai fini della elaborazione della DSU precompilata, restando ferma la possibilità di presentare la DSU nella modalità non precompilata. In tal caso, in sede di attestazione dell’ISEE, sono riportate analiticamente le eventuali omissioni o difformità riscontrate nei dati dichiarati rispetto alle informazioni disponibili nell’Anagrafe tributaria, nel Catasto e negli archivi dell’INPS, incluse eventuali difformità su saldi e giacenze medie del patrimonio mobiliare.

 

Infine, a seguito della modifica al comma 2 dell’articolo 10, sopra riportata, cambia, di conseguenza, il riferimento interno del comma 3 alla precedente formulazione del comma 2, talchè adesso tale riferimento deve intendersi al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti l'INPS, l'Agenzia delle entrate e il Garante per la protezione dei dati personali".

 

-     l’art. 24 del D. Lgs. 147/2017, che detta alcune norme procedurali che istituiscono e disciplinano il nuovo sistema informativo dei servizi sociali (NSISS), viene modificato, prevedendo fra le sue articolazioni la Piattaforma digitale del Reddito di cittadinanza per il Patto di inclusione sociale (l’intervento viene attuato inserendo dopo il comma 3, lettera a), numero 2), il seguente: 2-bis).

 

Il D.Lgs. 147/2017 ha istituito il NSISS presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Al NSISS sono attribuiti i seguenti obiettivi:

-    assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali e delle prestazioni erogate dal sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e di tutte le informazioni necessarie alla programmazione, gestione monitoraggio e valutazione delle politiche sociali;

-    monitorare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni;

-    rafforzare i controlli sulle prestazioni indebitamente percepite;

-    disporre di una base unitaria di dati funzionale alla programmazione e alla progettazione integrata degli interventi mediante l’integrazione con i sistemi informativi sanitari, del lavoro e delle altre aree di intervento che risultano rilevanti per le politiche sociali, oltre che con i sistemi informativi di gestione delle prestazioni che già rientrano nelle disponibilità dei comuni;

-    elaborare dati a fini statistici, di ricerca e di studio. Il NSISS è chiamato ad integrare e sostituire il sistema informativo dei servizi sociali ed il casellario dell’assistenza. Entrambi, conseguentemente, vengono soppressi.

Come previsto dall’art. 24 del D. Lgs. 147/2017, il NSISS è articolato nelle seguenti componenti:

§  sistema informativo delle prestazioni e dei bisogni sociali (lett. a)), il quale, a sua volta, è articolato in:

-    una banca dati delle prestazioni sociali (punto 1);

-    una banca dati delle valutazioni e progettazioni personalizzate (punto 2);

§  un sistema informativo dell’ISEE (punto 3);

§  sistema informativo dell’offerta dei servizi sociali (lett. b)), a sua volta articolato in:

-    una banca dati dei servizi attivati;

-    una banca dati delle professioni e degli operatori sociali.

 

In ultimo, viene soppresso il comma 9 dell’art. 24 che definisce la Banca dati del ReI.

 


 

Articolo 11-bis
(Fondi paritetici interprofessionali nazionali
per la formazione continua)

 

L'articolo 11-bis – introdotto nel corso dell’esame al Senato - prevede che i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua possano finanziare, in tutto o in parte, piani di formazione o di riqualificazione professionale previsti dal Patto di formazione di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto-legge in esame (per le modifiche a questo comma, cfr. la scheda di lettura dell'articolo 8). A tal fine, l'articolo 11-bis integra l'articolo 118, comma 1, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001), recante la disciplina dei suddetti fondi. La norma in esame propone inoltre di includere, tra le finalità generali dei medesimi fondi, la promozione dei percorsi formativi o di riqualificazione professionale per i soggetti disoccupati o inoccupati.

 

Il testo vigente del suddetto articolo 118, comma 1, stabilisce che i fondi paritetici possono finanziare, in tutto o in parte, piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali concordati tra le parti sociali, nonché eventuali ulteriori iniziative propedeutiche e comunque direttamente connesse a detti piani concordate tra le parti.

 


 

Articolo 12
(Disposizioni finanziarie per l’attuazione del programma del Rdc)

 

La norma reca la quantificazione e la copertura delle maggiori spese derivanti dalle disposizioni che introducono il Reddito e la Pensione di cittadinanza e degli incentivi alle assunzioni di cui all’articolo 8 del provvedimento in esame, nonché dell’erogazione temporanea del Reddito di inclusione (comma 1); inoltre, essa autorizza la spesa per il conferimento di incarichi di collaborazione con le professionalità necessarie ad organizzare l’avvio del Rdc e la stabilizzazione di personale in favore di ANPAL SpA (commi 3 e 4), nonché per l’assunzione di personale da assegnare alle strutture dell’INPS e per l’adeguamento e della manutenzione dei sistemi informativi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al fine di dare piena attuazione alle disposizioni contenute nel presente decreto (commi 5 e 6). Si individuano, inoltre, risorse per il potenziamento dei sistemi informativi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (comma 7) e sono apportate modifiche alla legge di bilancio per il 2019 (comma 8).

Durante l’esame al Senato, è stato inserito il comma 7-bis, recante un'autorizzazione di spesa in favore dell'INAIL, per l'assunzione di personale.

Infine, si prevedono le necessarie procedure per gli accantonamenti, a carico dell’INPS, delle somme da erogare per il periodo di spettanza del Reddito (o della Pensione) di cittadinanza, in favore dei nuclei familiari beneficiari (comma 9), nonché il relativo monitoraggio, sempre a carico dell’INPS, relativo alla adeguatezza delle risorse accantonate per fare fronte alla erogazione del beneficio (commi 10 e 11).

 

In particolare, ai fini dell’erogazione del beneficio economico del RdC e della Pensione di cittadinanza (di cui agli articoli 1, 2 e 3), degli incentivi alle assunzioni (di cui all’articolo 8), nonché dell’erogazione del Reddito di inclusione (ai sensi dell’articolo 13, comma 1), sono autorizzati limiti di spesa nella misura di 5.894 milioni di euro nel 2019, di 7.131 milioni di euro nel 2020, di 7.355 milioni di euro nel 2021 e di 7.210 milioni di euro a decorrere dal 2022, da iscrivere su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, denominato “Fondo per il reddito di cittadinanza”. Su apposito conto corrente di Tesoreria centrale sono trasferite annualmente all’INPS le risorse necessarie per le finalità di cui al comma 1 e per le attività di cui ai commi 9 e 10, ad eccezione delle risorse necessarie per le finalità di cui all’articolo 13, comma 1 (relativo alle modalità di erogazione del Reddito di inclusione). Da detto conto corrente, il soggetto incaricato del Servizio integrato di gestione della carta acquisti e dei relativi rapporti amministrativi preleva le risorse necessarie all’erogazione del beneficio, previa stipula di apposita convenzione con l’INPS (commi 1 e 2)

Al riguardo, al fine di rispettare i limiti di spesa annuale, si prevede (comma 9) che l’INPS, al momento della concessione del beneficio accantoni somme per un ammontare di risorse pari alle mensilità spettanti nell'anno, per ciascuna annualità in cui il beneficio è erogato, a valere sul conto di tesoreria di cui al comma 2. All'inizio di ciascuna annualità è altresì accantonata una quota pari alla metà di una mensilità aggiuntiva per ciascun nucleo beneficiario nel programma da oltre sei mesi, al fine di tener conto degli incentivi di cui all'articolo 8. In caso di esaurimento delle risorse disponibili per l'esercizio di riferimento ai sensi del comma l, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dall’esaurimento di dette risorse, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione dell'ammontare del beneficio. Nelle more dell'adozione del decreto di cui al secondo periodo, l'acquisizione di nuove domande e le erogazioni sono sospese. La rimodulazione dell'ammontare del beneficio opera esclusivamente nei confronti delle erogazioni del beneficio successive all'esaurimento delle risorse non accantonate.

E’, infine, previsto un monitoraggio relativo alla erogazione dei benefici previsti dal presente decreto (pensione e reddito di cittadinanza nonché incentivi di cui all’articolo 8): entro il 10 di ogni mese, l’INPS invia un rendiconto al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministero delle Economia e delle Finanze in ordine alle mensilità erogate nel mese precedente e le risorse accantonate, segnalando il raggiungimento del 90% delle risorse disponibili (comma 10).

Se, infine, dal suddetto monitoraggio, dovessero risultare minori oneri, le somme derivanti dalla accertata disponibilità di tali risorse confluiscono nel Fondo per il reddito di cittadinanza di cui all’articolo 1, comma 255 della l. 30 dicembre 2018, n.145 (legge di bilancio per l’anno 2019), con conseguente rideterminazione dei limiti di spesa di cui al comma 1, per essere poi destinati al potenziamento dei centri per l’impiego. L’accertamento di tali disponibilità avviene in Conferenza di servizi con cadenza quadrimestrale ed il Ministro dell'Economia e delle Finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, le occorrenti variazioni di bilancio (comma 11).

 

I commi 3 e 4, autorizzano in favore dell’ANPAL SpA, rispettivamente, spese per la stipula di contratti di collaborazione e per la stabilizzazione di personale già dipendente con contratto a tempo determinato, mediante l’espletamento di procedure concorsuali riservate per titoli ed esami, in particolare, nel primo caso, al fine di selezionare e formare figure professionali con il compito di seguire personalmente il beneficiario del reddito di cittadinanza nella ricerca del lavoro nella formazione e nel reinserimento professionale: con modifica introdotta al Senato, si richiede il "previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano", al fine di portare avanti i processi di armonizzazione tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

 

 

Con riferimento alla misura di cui al comma 3 si stanziano 200 milioni di euro per l’anno 2019, 250 milioni di euro per l’anno 2020 e 50 milioni di euro per l’anno 2021, mentre per la misura di cui al comma 4, prima parte, si prevede 1 milione di euro a decorrere dal 2019.

 

Riguardo alla dotazione del Fondo per il reddito di cittadinanza, l'articolo 1, comma 258, della L. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019) dispone che parte delle risorse ad esso destinate siano vincolate a specifici obiettivi, e precisamente, nell’importo fino ad 1 miliardo di euro annui per il biennio 2019-2020 al potenziamento dei centri per l’impiego e un importo fino a 10 milioni di euro per il 2019 al finanziamento del contributo di funzionamento di ANPAL Servizi S.p.A..

Il medesimo comma 258, inoltre, autorizza le Regioni ad assumere fino a 4 mila unità di personale, aumentando le rispettive dotazioni organiche, con decorrenza 2019 e a regime, a valere sulle risorse previste per il potenziamento dei suddetti centri per gli anni 2019 (120 mln di euro) e 2020 (160 mln di euro) e sulle risorse di cui al comma 255, a partire dal 2021 (160 mln di euro).

In riferimento ai contratti di cui al comma 3, si ricorda che l'articolo 1, comma 1131, lett. f), della L. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019) posticipa (dal 1° gennaio 2019) al 1° luglio 2019 l'operatività del divieto per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione, introdotto dagli artt. 5 e 22 del D.Lgs. 75/2017, in base a cui il suddetto divieto opera per quelle collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, con modalità di esecuzione organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

A differenza di quanto stabilito per i rapporti di lavoro privati, per le pubbliche amministrazioni non trova comunque applicazione la norma (di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n.81/2015) che prevede l'automatica applicazione della disciplina del lavoro subordinato in caso di collaborazioni aventi le suddette caratteristiche.

 

Con il comma 5, invece, sono stanziate risorse per le attività dei centri di assistenza fiscale di cui all’articolo 5, comma 1, nonché per le attività legate all’assistenza nella presentazione della DSU a fini ISEE, affidate ai predetti centri di assistenza fiscale,

Il costo della misura di cui alla disposizione in esame è quantificata in 20 milioni di euro per il solo anno 2019.

 

Il successivo comma 6, in deroga a quanto disposto dall’articolo 1, comma 399, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio per il 2019), a decorrere dall’anno 2019 autorizza una spesa di 50 milioni di euro annui per l’assunzione di personale da assegnare alle strutture dell’INPS, nei limiti delle sue dotazioni organiche al fine di dare piena attuazione alle disposizioni contenute nel decreto in esame.

Appare opportuno un chiarimento in ordine alla tipologia delle assunzioni autorizzate dal comma in esame, anche alla luce delle assunzioni a tempo indeterminato disposte con l’articolo 1, comma 301, della legge di bilancio per il 2019.

Si ricorda che il comma 399 dispone, per il 2019, che la Presidenza del Consiglio dei ministri, i Ministeri, gli enti pubblici non economici e le Agenzie fiscali, in relazione alle ordinarie facoltà di assunzione riferite al medesimo anno, non possono effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019.

Inoltre, il comma 301 autorizza assunzioni a tempo indeterminato (anche attraverso avvio di procedure concorsuali) di determinate amministrazioni tra cui l’INPS, nel limite di spesa di euro 8.302.167 per il 2019, 18.679.875 per il 2020 e 24.906.500 annui dal 2021.

 

Il comma 7, stanzia 2 milioni di euro annui, a decorrere dal 2019, per l’adeguamento e la manutenzione dei sistemi informativi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per le attività di competenza di cui all’articolo 6 (con il quale si istituiscono due piattaforme digitali per la attivazione e la gestione dei Patti per il lavoro e per l’inclusione sociale), nonché per attività di comunicazione istituzionale sul programma Rdc.

 

Durante l’esame al Senato, è stato inserito il comma 7-bis, recante un'autorizzazione di spesa in favore dell'INAIL, per l'assunzione di personale. Lo stanziamento è posto a valere sul Fondo destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, da parte delle pubbliche amministrazioni nazionali, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. Le assunzioni di cui al presente comma 7-bis sono effettuate mediante i concorsi pubblici unici, per esami o per titoli ed esami, in relazione a figure professionali omogenee, previsti dall'articolo 1, comma 300, della L. 30 dicembre 2018, n. 145.

 

Il comma 8, introduce alcune modifiche all’articolo 1 della legge30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio).

In particolare:

-     al comma 255, viene modificata la denominazione del “Fondo per il reddito di cittadinanza” in “Fondo da ripartire per l’introduzione del reddito di cittadinanza”

-     al comma 258, primo periodo, invece, con riferimento alle risorse destinate al potenziamento dei Centri per l’impiego, viene rimodulata la quantificazione degli oneri in 480 e 420 milioni di euro, rispettivamente per gli anni 2019 e 2020 (anziché 1 miliardo di euro per ciascuno dei due anni); inoltre, si precisa che la quantificazione dell’onere per il funzionamento dell’ANPAL, pari a 10 milioni di euro, è posto a carico del Fondo per il reddito di cittadinanza;

-     al comma 258, terzo periodo, infine, la disposizione attribuisce la copertura degli oneri previsti per il potenziamento dei centri per l’impiego per l’anno 2020, pari a 160 milioni di euro, nell’ambito delle risorse del Fondo per il reddito di cittadinanza.

 

Al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, di cui all'articolo 4, comma 13 (alla cui scheda, comunque, si rinvia), ivi inclusi eventuali costi per l'adeguamento dei sistemi informativi dei comuni, in forma singola o associata, per effetto di quanto previsto dal presente decreto, si provvede mediante l'utilizzo delle risorse residue della quota del Fondo per la lotta alla povertà e alla esclusione sociale di cui all'articolo l, comma 386, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (comma 12).

 


 

Articolo 13
(Disposizioni transitorie e finali)

 

La norma reca disposizioni di carattere transitorio circa la applicazione del Reddito di inclusione per l’anno 2019

 

In particolare, si stabilisce che “dal l° marzo 2019, il Reddito di inclusione non può essere più richiesto e a decorrere dal successivo mese di aprile non è più riconosciuto, né rinnovato” e che, se riconosciuto in data anteriore al mese di aprile 2019, il beneficio continua ad essere erogato per la durata prevista e secondo le modalità disciplinate dalla disposizioni istitutive (più specificamente, ai sensi dell’art. 9, D.Lgs. 147/2017), salva la possibilità di far domanda per il Reddito di cittadinanza e fermo restando la incompatibilità di contemporanea fruizione del Reddito di cittadinanza e del Reddito di inclusione nell’ambito dello stesso nucleo familiare (comma 1)

Inoltre, sono fatte salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale e alle province di Trento e Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione (comma 2).

 


 

Articolo 14, commi 1-10
(Disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione
con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi)

 

Il presente articolo introduce, in via sperimentale, per il triennio 2019-2021, il diritto a conseguire la pensione anticipata in presenza di un requisito anagrafico pari a 62 anni e di un'anzianità contributiva minima di 38 anni (cosiddetta quota 100). La possibilità viene ammessa in favore dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati - con esclusione di quelli iscritti a forme pensionistiche obbligatorie gestite da soggetti diversi dall'INPS (quindi, di fatto, da soggetti di diritto privato) -, nonché in favore degli altri lavoratori, diversi da quelli subordinati, iscritti alle relative gestioni pensionistiche dell'INPS[31]. Per la pensione anticipata in oggetto vengono stabilite norme specifiche sui termini di decorrenza del trattamento (commi 2, 4, 5, 6 e 7) e sulle limitazioni della possibilità di cumulo con redditi da lavoro (comma 3). Le fattispecie di esclusione dall'istituto in esame sono poste dai commi 9 e 10.

Il comma 7-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, introduce una norma transitoria in materia di concorsi pubblici per docenti di scuola secondaria.

 

L'istituto in esame - introdotto, come accennato, in via sperimentale, per il periodo 2019-2021 - costituisce una nuova fattispecie di conseguimento del trattamento pensionistico, in alternativa alla pensione di vecchiaia (per la quale, attualmente, trova applicazione, secondo la disciplina generale, un requisito anagrafico di 67 anni) ed alle ipotesi già vigenti per le quali l'ordinamento riconosca il diritto alla pensione anticipata (riguardo ad alcune di tali ipotesi, cfr. sub i successivi articoli 15, 16 e 17).

Inoltre, il comma 1 specifica che il diritto alla pensione in base alla nuova fattispecie, conseguito entro il 31 dicembre 2021, può essere esercitato anche successivamente a tale data ed esclude che il relativo requisito anagrafico sia successivamente adeguato secondo la disciplina (ivi richiamata) relativa agli elevamenti di determinati requisiti pensionistici in base agli incrementi della speranza di vita. Da tale esclusione consegue che anche nel 2021[32], cioè nell'anno finale del triennio interessato dal nuovo istituto, il suddetto requisito anagrafico resterà pari a 62 anni.

Il comma 2, in primo luogo, specifica che, ai fini del conseguimento del requisito contributivo summenzionato, è possibile ricorrere all'istituto del cumulo (gratuito) dei periodi assicurativi non coincidenti, con esclusione dei periodi sussistenti in gestioni pensionistiche diverse da quelle per le quali trova applicazione la tipologia in oggetto di pensione anticipata. La possibilità di cumulo, ai fini in esame, è esclusa per i soggetti già titolari di un trattamento pensionistico[33] a carico di una delle gestioni rientranti nell'ambito di applicazione della pensione anticipata in oggetto. La formulazione letterale di tale divieto di cumulo risulta parzialmente diversa rispetto a quella posta dalla disciplina generale del cumulo (per le pensioni di vecchiaia o anticipata), la quale esclude la possibilità di ricorso al cumulo anche per i casi in cui il soggetto sia già titolare di un trattamento pensionistico a carico degli enti di previdenza di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e al D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103.

Il comma 2 in esame non specifica se, ai fini in oggetto, l'iscritto possa ricorrere, in alternativa al cumulo e ove sussistano i presupposti, all'istituto della totalizzazione - con riferimento ai periodi assicurativi non coincidenti relativi alle gestioni interessate dall'ambito di applicazione della pensione anticipata -.

Il medesimo comma 2 rinvia ai successivi commi da 4 a 7 per la definizione dei termini di decorrenza della pensione anticipata in esame e specifica che per i dipendenti pubblici trovano applicazione i termini specifici ad essi relativi (di cui ai commi 6 e 7) a prescindere da quali siano le gestioni pensionistiche presso cui sussistano i periodi assicurativi.

 

La legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, commi 238-249 della L. 228/2012) ha introdotto, a seguito delle criticità emerse dall'applicazione delle nuove norme in materia di ricongiunzione onerosa (che spesso hanno comportato, per i lavoratori interessati, significativi oneri per l'accesso all'istituto), una nuova possibilità di cumulo gratuito dei periodi assicurativi accreditati in diverse gestioni previdenziali, al fine di ottenere un unico trattamento pensionistico.

La nuova modalità di cumulo (alternativa alle discipline esistenti) è volta a consentire ai beneficiari il conseguimento di un'unica pensione, cumulando i periodi assicurativi non coincidenti posseduti presso due (o più) forme di assicurazione obbligatorie (compresa le Gestione separata INPS), a condizione che non siano già titolari di trattamento pensionistico autonomo presso una di esse e non siano in possesso dei requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico.

Tale istituto si differenzia dalla ricongiunzione onerosa (di cui alla L.29/1979 per i rapporti tra le diverse gestioni INPS, e alla L. 45/1990 per i rapporti tra INPS e Casse professionali) sia per la gratuità dell'operazione, sia per la conservazione delle regole di calcolo proprie di ciascuna gestione.

La facoltà di cumulo può essere esercitata esclusivamente per la liquidazione del trattamento pensionistico di vecchiaia (con i requisiti anagrafici e contributivi previsti dall'articolo 24, comma 6 e comma 7, del D.L. D.L. 201/2011), nonché dei trattamenti per inabilità e ai superstiti di assicurato deceduto prima di aver acquisito il diritto alla pensione.

Il pagamento dei trattamenti liquidati avviene secondo le norme sulla totalizzazione. Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento (il che implica un trattamento previdenziale inferiore a quello che sarebbe risultato dalla ricongiunzione).

Il sistema di calcolo da applicare (retributivo, misto o contributivo) è stabilito, ai fini dell'accertamento dell'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995, tenendo conto di quanto complessivamente versato nelle diverse gestioni assicurative (a condizione che i periodi non si sovrappongano temporalmente); la quota di pensione per i periodi successivi al 1° gennaio 2012 è, ad ogni modo, calcolata con il sistema di calcolo contributivo.

Successivamente, l'articolo 1, commi 195-198, della L. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017) ha introdotto significative modifiche alla disciplina del cumulo gratuito, con l'obiettivo di ampliare le categorie di soggetti beneficiarie e di agevolare l'accesso all'istituto da parte dei lavoratori.

In particolare, è stata disposta: la soppressione della previsione che subordinava l'accesso all'istituto al fatto che il soggetto non fosse in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico; l'estensione dell'applicazione dell'istituto ai periodi contributivi maturati presso le Casse professionali privatizzate; la possibilità di accesso al cumulo gratuito per i soggetti che abbiano conseguito il requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendentemente dall'età anagrafica.

La norma, inoltre, interviene sui termini di pagamento dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, dei dipendenti pubblici che si avvalgono del cumulo gratuito, prevedendo che i termini di pagamento previsti dalla disciplina generale in materia iniziano a decorrere solo al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.

Infine, è presente un regime transitorio per i soggetti che hanno presentato domanda di ricongiunzione o di totalizzazione e i cui procedimenti non si siano ancora perfezionati al momento dell'entrata in vigore della legge, al fine di consentire l'accesso alternativo all'istituto del cumulo (sempre che sussistano i relativi requisiti) e di garantire il recupero delle somme eventualmente versate (nel caso di domanda di ricongiunzione onerosa).

 

Il comma 3 prevede che la pensione anticipata in oggetto non sia cumulabile, dal primo giorno di decorrenza e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui[34].

Per i lavoratori privati, il termine di decorrenza della pensione anticipata in esame è posto al primo giorno del quarto mese successivo a quello in cui vengono maturati i requisiti (comma 5); in ogni caso, il termine di decorrenza non può essere anteriore al 1° aprile 2019 (comma 4).

Per i dipendenti pubblici (diversi da quelli di cui al successivo comma 7), il termine di decorrenza in oggetto è posto al giorno seguente il compimento del sesto mese dalla data in cui vengono maturati i requisiti[35] e a condizione che la domanda di collocamento a riposo sia presentata all'amministrazione di appartenenza con un preavviso di almeno sei mesi (comma 6); per i dipendenti pubblici che abbiano maturato i requisiti entro la data di entrata in vigore del presente decreto, la decorrenza è posta al 1° agosto 2019 - fermo restando il termine suddetto di preavviso -. Per i dipendenti pubblici della sezione contrattuale "Istituzioni scolastiche ed educative" e di quella "Istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica" (AFAM), che maturino i requisiti entro il 31 dicembre di un determinato anno, la decorrenza è posta dall'inizio dell'anno scolastico o accademico in cui ricadrà la suddetta data del 31 dicembre (comma 7). Per il personale a tempo indeterminato delle suddette due sezioni, si prevede che, in sede di prima applicazione, possa essere presentata entro il 28 febbraio 2019 la domanda di cessazione dal servizio, con effetto dall'inizio del successivo anno scolastico o accademico[36].

Sul punto, si segnala che il MIUR, con circolare del 1° febbraio 2019, ha definito le modalità operative per le cessazioni dal servizio del personale scolastico dal 1° settembre 2019 a seguito delle disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione anticipata introdotte dal provvedimento in esame.

Per i termini relativi ai trattamenti di fine servizio, comunque denominati, dei dipendenti pubblici titolari della pensione anticipata in esame, cfr. sub il successivo articolo 23.

Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede, al fine di fronteggiare gli effetti derivanti dall'applicazione del presente articolo 14 sul sistema scolastico e di garantire lo svolgimento dell'attività didattica, che nel primo dei concorsi pubblici per docente nella scuola secondaria, bandito secondo le ordinarie procedure successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le graduatorie di merito siano predisposte attribuendo ai titoli posseduti un punteggio fino al 40 per cento di quello complessivo e che al servizio svolto presso le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione (scuole pubbliche e scuole paritarie private) sia attribuito un punteggio fino al 50 per cento di quello attribuibile ai titoli.

Il comma 8 specifica che sono fatte salve le norme già vigenti che prevedono requisiti più favorevoli per l'accesso alla pensione rispetto a quelli di cui al presente articolo.

Il comma 9 esclude che i requisiti posti per il nuovo istituto possano essere considerati ai fini dell'applicazione ai lavoratori degli accordi cosiddetti di isopensione - di cui all'articolo 4, commi da 1 a 7-ter, della L. 28 giugno 2012, n. 92, e successive modificazioni - ovvero degli istituti di assegno straordinario previsti dai fondi di solidarietà bilaterali - di cui all'articolo 26, comma 9, lettera b), e all'articolo 27, comma 5, lettera f), del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148 -; tuttavia, una disciplina specifica, relativa ai suddetti istituti di assegno straordinario, per l'applicazione dei requisiti in esame è posta dal successivo articolo 22 (il cui comma 1 richiama il presente comma 9).

Il comma 10 esclude dall'ambito del nuovo istituto il personale militare delle Forze armate, il personale delle Forze di polizia, di polizia penitenziaria e della Guardia di finanza ed il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

 


 

Articolo 14, commi 10-bis_10-septies
(Assunzioni Ministero della giustizia)

 

I commi in esame - introdotti nel corso dell’esame al Senato - dettano disposizioni volte a rimediare alle scoperture di personale negli uffici giudiziari derivanti dall’attuazione della nuova disciplina sull’accesso anticipato al trattamento pensionistico (cd. quota 100).

 

Nella relazione del Governo all’emendamento presentato al Senato, si rileva che gli effetti delle assunzioni programmate dalla legge di bilancio 2019 (legge 145 del 2018), infatti, non potranno far fronte nell’immediato alle vacanze di organico che già a gennaio dell’anno in corso – senza quindi gli effetti di quota-100 – sono stimate in 9.753 unità (pari al 21,9% della dotazione organica prevista).

L’impatto stimato dal Governo, derivante dalla disciplina di “quota 100” sulla funzionalità degli uffici dell’amministrazione giudiziaria condurrebbe ad una situazione di notevole criticità considerando che, in base ai requisiti maturati nel corso del 2019, gli aventi diritto alla pensione anticipata sarebbero stimati in 7.158 unità.

La stessa relazione indica nel triennio 2019-2021 una platea di beneficiari di “quota 100” pari a 10.865 unità di personale (il 24,4% dell’attuale organico); in assenza di nuove assunzioni, quindi, sommando le attuali, citate scoperture (9.753) si arriverebbe nel triennio a un totale di 20.258 posti scoperti (pari al 46,4% dell’organico).

Nel 2019 – primo anno di applicazione di quota 100 –in assenza di nuovi ingressi in servizio, si arriverebbe ad una scopertura di organico di 16.731 posti (9.753+7.158), per una percentuale di scopertura pari al 38,3%.

In particolare, ferme restando la compromissione del funzionamento del complesso degli uffici giudiziari, la relazione del Governo riferisce che i distretti di corte d’appello che subirebbero le maggiori conseguenze dalle scoperture di organico sarebbero quelli di Roma, Milano, Napoli, Brescia e Genova.

 

Per rimediare alle criticità derivanti dall’attuazione della nuova disciplina sui pensionamenti e assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari – ferme restando le assunzioni previste dall’art. 1, comma 307 della legge di bilancio 2019 - il comma 10-bis, autorizza, fino all’adozione del regolamento di cui all’art. 1, comma 300, della stessa legge di bilancio(v. ultra) e comunque per l’anno 2019, il reclutamento di personale dell’amministrazione giudiziaria. Tale reclutamento potrà avvenire anche in deroga alla disciplina dell’art. 30 del TU pubblico impiego (D.Lgs. 165 del 2001) che prevede il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse.

 

La citata legge di bilancio 2019 (art. 1, comma 307) ha autorizzato, per il triennio 2019-2021, il Ministero della giustizia all’assunzione a tempo indeterminato, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali e nell'ambito dell’attuale dotazione organica, fino a 3.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale. Le finalità dell’intervento risiedono nell’esigenza di potenziare e garantire la piena funzionalità degli uffici giudiziari (nonché di far fronte alle esigenze di funzionamento degli istituti penali minorili). In particolare, le assunzioni programmate riguardano l’amministrazione giudiziaria, nei cui ruoli potranno essere inquadrate 903 unità di Area II nel 2019, 1.000 unità di Area III per il 2020 e 1.000 unità di Area II per il 2021. Le unità di personale potranno essere reclutate: mediante lo scorrimento di graduatorie valide alla data del 1° gennaio 2019 (data di entrata in vigore della legge di bilancio) o mediante procedure concorsuali pubbliche (disciplinate con apposito decreto interministeriale) disposte senza la previa attivazione della procedura di mobilità collettiva, nonché in deroga ai limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente in materia di turn over; mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo). In relazione al personale attinto dalle liste di collocamento, il Ministero deve riconoscere un punteggio aggiuntivo agli iscritti alle liste che abbiano completato il periodo di perfezionamento presso l'ufficio per il processo o comunque completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari. La disposizione intende così riconoscere un titolo di preferenza ai c.d. precari della giustizia, cioè ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari già previsto dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012), ai quali già il legislatore riconosce titoli di preferenza nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione (art. 50 del D.L. n. 90 del 2014).

Il comma 300 della medesima legge di Bilancio dispone che le procedure concorsuali nelle pubbliche amministrazioni sono svolte, secondo i piani di fabbisogno di ciascuna amministrazione, mediante concorsi pubblici unici (per esami o per titoli ed esami, in relazione a figure professionali omogenee) organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica per il tramite della Commissione Interministeriale per l’attuazione del progetto di riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (RIPAM). I suddetti concorsi possono svolgersi secondo modalità semplificate definite con regolamento (Decreto del Ministro per la pubblica amministrazione) da adottare entro il 1° marzo 2019, anche in deroga alla disciplina in materia di modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi (ex D.P.R. 487/1994), di accesso alla qualifica di dirigente (ex D.P.R. 272/2004) e di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione (ex D.P.R. 70/2013). Le suddette procedure concorsuali (e le conseguenti assunzioni) sono effettuate senza il previo svolgimento delle procedure previste in materia di mobilità volontaria.

Il comma 10-ter stabilisce che, al reclutamento del personale previsto dal comma 10-bis, si provvede mediante procedure pubbliche espletate nelle forme del concorso unico di cui all’art. 4, comma 3-quinquies, del DL 101 del 2013 e in deroga alle previsioni dei commi 4 e 4-bis dell’art. 35 del citato TU pubblico impiego.

Il primo riferimento è alle modalità del concorso unico di cui al comma 300 dell’articolo unico della legge di bilancio (v. ante). La deroga all’art. 35 del citato TU concerne, rispettivamente, (comma 4) l’adozione del piano triennale sulla cui base le amministrazioni devono determinare l’avvio delle procedure di reclutamento e la necessaria, relativa autorizzazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia nonché (comma 4-bis) l’applicazione di tale procedura autorizzatoria anche ai reclutamenti a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione e lavoro.

Le concrete modalità di reclutamento prevedono la relativa richiesta al Dipartimento della funzione pubblica del Ministero della pubblica amministrazione che ne cura lo svolgimento con priorità e modalità semplificate. Anche qui si stabilisce la possibilità di deroga al regolamento della disciplina dei concorsi nella pubblica amministrazione (DPR 487 del 1994).

Tale deroga concerne anzitutto la possibilità di nomina e composizione di commissioni e sottocommissioni d’esame (in particolare, queste ultime potranno essere nominate anche per le prove scritte derogando ai requisiti di nomina dei componenti e ad esse dovranno aver assegnati almeno 250 candidati). Sarà inoltre possibile derogare alla disciplina delle prove d’esame in relazione, tra le altre: alla possibilità di far svolgere una prova preselettiva, anche con domande a risposta multipla (da correggere con l’ausilio di sistemi informatici e telematici); di prevedere forme semplificate di svolgimento degli scritti; di far svolgere – per profili tecnici -.anche prove pratiche in aggiunta o in sostituzione di quelle scritte; di prevedere un particolare calcolo del punteggio d’esame.

Un’ultima deroga al DPR del 1994 riguarda la disciplina della formazione delle graduatorie del concorso con l’inclusione tra i vincitori del concorso dei disabili risultati idonei (nei limiti numerici previsti dalla legge); ai fini della deroga, questi ultimi devono, tuttavia, risultare disoccupati al momento di formazione della graduatoria nonchè essere iscritti nell’elenco tenuto dai servizi per il “collocamento mirato” nel cui ambito territoriale si trova la residenza dell'interessato.

 

Il comma 10-quater, stabilisce una disciplina di favore nell’assunzione di personale dell’amministrazione giudiziaria mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo; fatti salvi eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità). Il Ministero della giustizia, in tali casi – analogamente a quanto già previsto dall’art. 1, comma 307, della legge di bilancio 2019 (v. ante) - può riconoscere un punteggio aggiuntivo in graduatoria ai cd. precari della giustizia, ai quali il citato art. 50 del D.L. 90 del 2014 già riconosce titoli di preferenza nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione.

 

Il comma 10-quinquies precisa l’invarianza finanziaria dell’attuazione delle disposizioni ordinamentali sulle assunzioni di cui ai commi 10-ter e 10-quater, dovendo le amministrazioni provvedere con le risorse disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 10-sexies consente al Ministero della giustizia di anticipare al 15 luglio 2019 l’assunzione a tempo indeterminato di personale non dirigenziale (area II e III). nel limite di 1.300 unità.

Viene così derogata la disciplina dell’art. 1, comma 399 della legge di bilancio 2019 - che in relazione alle ordinarie facoltà di assunzione riferite al medesimo anno, impedisce ai Ministeri di effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019.

 

Il comma 399 dell’articolo unico della citata legge di bilancio 2019, dispone, anche per i Ministeri, l’impossibilità di effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019.

La citata relazione tecnica del Governo precisa che la possibilità di anticipare di 4 mesi (15 luglio 2019) le assunzioni di personale amministrativo negli uffici giudiziari (1.000 unità di area II e 300 di area III) - avvalendosi delle ordinarie facoltà assunzionali attraverso lo scorrimento di graduatorie di concorsi già espletati dal Ministero della giustizia o da altre P.A. o (in relazione alla sola area II) mediante avviamento dalle liste di collocamento - comporta un onere di 16,1 mln di euro (al lordo degli effetti fiscali e contributivi).

Infine, in considerazione delle risorse del turnover già iscritte a bilancio, il comma 10-septies quantifica in 8,32 mln di euro per il 2019 i maggiori oneri derivanti dall’assunzione anticipata prevista dal comma 10-sexies. Tali risorse sono reperite riducendo di pari entità il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia dall’art. 6, comma 2, del DL 154 del 2008).


 

Articolo 14-bis
(Facoltà assunzionali di Regioni ed Enti locali)

 

La norma, introdotta nel corso dell’esame al Senato, interviene sulla disciplina vigente in materia di facoltà assunzionali delle regioni  degli Enti locali di cui al decreto legge 24  giugno 2014, n.  90.

 

In particolare:

-     viene modificato l'articolo 3, comma 5, del suddetto decreto 90/2014, prevedendo la possibilità per le Regioni e gli Enti locali di cumulare le risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per un arco temporale non superiore a cinque anni (in luogo dei  tre anni attualmente previsti), utilizzando, altresì, i residui ancora disponibili delle quote percentuali delle  facoltà assunzionali riferite al quinquennio precedente, nel  rispetto della programmazione del  fabbisogno e di quella finanziaria e contabile, con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto in esame: tale decorrenza, secondo la relazione tecnica comporta, conseguentemente, che la possibilità di utilizzare i residui ancora disponibili delle  quote percentuali delle facoltà  assunzionali riferite al quinquennio precedente deve intendersi limitata, nella  fase di  prima attuazione, al periodo compreso tra l'anno 2014 e l'anno 2019, senza possibilità di attingere a residui di annualità precedenti.(comma 1, lett.a) e comma 2);

-     sono aggiunti, dopo il comma 5-quinquies dell’articolo 3, del suddetto decreto 90/2014, i commi 5-sexies e 5-septies: con il primo si  prevede che,  nel triennio 2019-2021, le Regioni e gli Enti locali  possono effettuare nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite  di  un  contingente di  personale complessivamente corrispondente ad una spesa  pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente e nell'anno in corso, precisando, tuttavia, che i reclutamenti possano avvenire soltanto una volta maturata la corrispondente facoltà assunzionale e cioè a seguito delle cessazioni che producono il relativo turn-over; con il secondo si prevede che i vincitori dei  concorsi banditi dalle Regioni e dagli enti locali, anche se  sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di  prima destinazione per un  periodo non inferiore a cinque anni e che tale disposizione costituisce norma non derogabile dai  contratti collettivi [37].

Articolo 14-ter
(Utilizzo delle graduatorie concorsuali)

 

L’articolo 14-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, amplia, rispetto a quanto attualmente previsto, la possibilità di utilizzo delle graduatorie concorsuali per l’accesso al pubblico impiego

 

Con riferimento alle procedure concorsuali delle pubbliche amministrazioni, bandite dopo il 1° gennaio 2019, il comma 1 dispone che – fermi restando i termini di vigenza delle medesime graduatorie e il numero dei posti banditi, nonché nel rispetto dell’ordine di merito - le relative graduatorie siano impiegate non più esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso (come attualmente previsto dall’art. 1, c. 361, della L. 145/2018), ma anche per i posti che si rendono disponibili a seguito della mancata costituzione o della estinzione del rapporto di lavoro con i candidati vincitori.

 

Il comma 2 estende anche al personale educativo degli enti locali la deroga alla disciplina contenuta nei commi da 360 a 364 dell’art. 1 della L. 145/2018 concernente le modalità delle procedure concorsuali per il reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni, deroga già prevista per le assunzioni del personale scolastico (ivi compresi i dirigenti) e del personale delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

 

 


 

Articolo 15
(Anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento anticipato indipendente dall'età anagrafica. Decorrenza con finestre trimestrali)

 

Il presente articolo opera una revisione della disciplina sui requisiti e sui termini di decorrenza della pensione anticipata rispetto al conseguimento dell'età anagrafica per il trattamento di vecchiaia.

 

Le novelle in esame concernono la disciplina generale della pensione anticipata - per altre ipotesi di pensione anticipata, cfr. sub gli articoli 14, 16 e 17 del presente decreto.

La disciplina concerne i lavoratori dipendenti, pubblici e privati - con esclusione di quelli iscritti a forme pensionistiche obbligatorie gestite da soggetti di diritto privato -, nonché gli altri lavoratori, diversi da quelli subordinati, iscritti alle relative gestioni pensionistiche dell'INPS[38].

Le novelle prevedono la conferma fino al 31 dicembre 2026 del requisito per il trattamento in esame operante già nel periodo 2016-2018, consistente in un'anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, ed introducono un termine dilatorio di decorrenza del trattamento. Si prevede infatti che quest'ultimo venga corrisposto a partire dal primo giorno del quarto mese successivo a quello di maturazione del requisito (anziché dal primo mese successivo)[39]. In parziale deroga a tale criterio, i soggetti che abbiano maturato il requisito in esame nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e la data di entrata in vigore del presente decreto hanno diritto al trattamento a decorrere dal 1° aprile 2019 (per i soggetti che abbiano conseguito il requisito prima del 2019, resta fermo il termine di decorrenza dal mese successivo a quello di maturazione).

La normativa fino ad ora vigente prevedeva, per il requisito contributivo in oggetto, il progressivo adeguamento secondo la disciplina relativa agli elevamenti di determinati requisiti pensionistici in base agli incrementi della speranza di vita. Secondo quest'ultima disciplina, il requisito in esame sarebbe risultato pari, nel periodo 2019-2020, a 43 anni e 3 mesi per gli uomini e a 42 anni e 3 mesi per le donne e sarebbe stato suscettibile di ulteriori elevamenti progressivi nei bienni successivi[40]. In base al presente articolo 15, tali adeguamenti biennali opereranno di nuovo dal 1° gennaio 2027.

Per i dipendenti pubblici della sezione contrattuale "Istituzioni scolastiche ed educative" e di quella "Istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica" (AFAM), che maturino i requisiti in oggetto entro il 31 dicembre di un determinato anno, la decorrenza del trattamento è posta dall'inizio dell'anno scolastico o accademico in cui ricadrà la suddetta data del 31 dicembre (comma 4). Per il personale a tempo indeterminato delle suddette due sezioni, si prevede che, in sede di prima applicazione, possa essere presentata entro il 28 febbraio 2019 la domanda di cessazione dal servizio, con effetto dall'inizio del successivo anno scolastico o accademico[41].


 

Articolo 16
(Opzione donna)

 

L’articolo 16 reca disposizioni concernenti l’istituto sperimentale per il pensionamento anticipato delle donne (cd. opzione donna), introdotto dall’articolo 1, comma 9, della L. 243/2004 (v. infra), estendendone la fruizione per le lavoratrici interessate.

 

Più specificamente, si prevede (comma 1) che il diritto al trattamento pensionistico anticipato secondo le regole di calcolo del sistema contributivo[42] venga riconosciuto, nei confronti delle lavoratrici che abbiano maturato, entro il 31 dicembre 2018 (in luogo del 31 dicembre 2015, vedi infra) un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni (per le lavoratrici dipendenti) e a 59 anni (per le lavoratrici autonome). I requisiti anagrafici non sono adeguati agli incrementi alla speranza di vita, di cui all’articolo 12 del D.L. 78/2010 (vedi infra).

 

A tale trattamento si applicano (comma 2) le disposizioni di cui all'articolo 12 del D.L. 78/2010, che ha disposto una decorrenza (cd. finestra) per il pensionamento pari, rispettivamente, a 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e a 18 mesi per le lavoratrici autonome (v. infra).

 

Infine, per il personale delle istituzioni scolastiche e delle Istituzioni di Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) (comma 3) trova applicazione la speciale disciplina delle decorrenze (cd. finestre) dei trattamenti pensionistici (di cui all’articolo 59, comma 9, della L. 559/1997). In base a quest'ultima, per i soggetti che maturino i requisiti entro il 31 dicembre di un determinato anno, la decorrenza è posta dall'inizio dell'anno scolastico o accademico in cui ricadrà la suddetta data del 31 dicembre.

In sede di prima applicazione, entro il 28 febbraio 2019, il relativo personale a tempo indeterminato può presentare domanda di cessazione dal servizio con effetti dall’inizio rispettivamente dell’anno scolastico o accademico.

 

L'articolo 1, comma 9, della L. 243/2004 ha introdotto una misura sperimentale (cd. opzione donna) che prevede la possibilità per le lavoratrici che hanno maturato 35 anni di contributi e 57 anni di età per le lavoratrici dipendenti o 58 anni per le lavoratrici autonome (requisito anagrafico da adeguarsi periodicamente all'aumento della speranza di vita), di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico, a condizione che optino per il sistema di calcolo contributivo integrale.

Tale opzione, per anni poco utilizzata, è stata esercitata invece in maniera più consistente dopo la riforma pensionistica realizzata dal D.L. 201/2011 (cd. Riforma Fornero), che ha notevolmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al trattamento pensionistico, consentendo alle lavoratrici di anticipare di parecchi anni l'uscita dal lavoro, sia pur con una riduzione dell'importo della pensione. La riforma Fornero ha confermato la possibilità di accedere ad un pensionamento anticipato avvalendosi dell'opzione donna, a condizione che le lavoratrici che maturassero i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2015.

La previsione che i requisiti anagrafici e contributivi previsti per l'esercizio dell'opzione donna dovessero essere maturati entro il 31 dicembre 2015 ha posto significativi problemi interpretativi. L'INPS, infatti (con le circolari 35 e 37 del 2012 e con il messaggio 219/2013), ha dato a tale previsione un'interpretazione restrittiva, ritenendo che la data del 31 dicembre 2015 andasse interpretata come termine di decorrenza della prestazione, non essendo sufficiente la semplice maturazione dei requisiti entro tale data. Sulla questione sono intervenute le Commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato che hanno approvato risoluzioni (rispettivamente la 7-00159/2013 e la 7-00040/2013) volte ad escludere l'applicazione della finestra mobile e degli incrementi legati all'aspettativa di vita, ritenendo sufficiente la maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015.

Successivamente, l'articolo 1, comma 281, della L. 208/2015 (Legge di stabilità per il 2016) ha posto fine ai suddetti problemi interpretativi, precisando l'ambito temporale di applicazione dell'istituto (comunque transitorio e sperimentale). La nuova norma ha previsto, infatti, che l'accesso all'istituto è possibile anche qualora la decorrenza del trattamento sia successiva al 31 dicembre 2015, essendo sufficiente la maturazione dei requisiti entro tale data.

Da ultimo, l'articolo 1, commi 222 e 223, della L. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017) ha ulteriormente esteso la possibilità di accedere alla cd. opzione donna alle lavoratrici che non hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 i requisiti richiesti a causa degli incrementi determinati dall'adeguamento dei medesimi all'aumento della speranza di vita. Più specificamente, si estende, a decorrere dal 2017, l'applicabilità dell'istituto alle lavoratrici che, al 31 dicembre 2015, non avessero raggiunto la frazione di 3 mesi (nell'età anagrafica). Di conseguenza, all'istituto possono far ricorso le lavoratrici che, al 31 dicembre 2015, avessero un'età pari o superiore a 57 anni, se dipendenti, o a 58 anni, se autonome (fermi restando il possesso, alla medesima data, di un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e la condizione che la lavoratrice opti per il sistema di calcolo contributivo integrale).

 

L'articolo 12, commi 1-6, del D.L. 78/2010, ha introdotto una serie di misure volte alla riduzione strutturale della spesa pensionistica, incidendo sui requisiti di accesso alla pensione. In particolare, la norma è intervenuta sulla decorrenza dei trattamenti pensionistici (c.d. "finestre"), innalzando il termine a 12 mesi per i lavoratori dipendenti e a 18 mesi per determinate categorie di lavoratori autonomi.

Tale termine è stato successivamente integrato dall'articolo 18, commi 22-ter – 22-quinquies, del D.L. 98/2011, che, per i soggetti richiamati che avessero maturato i requisiti per il diritto al pensionamento indipendentemente dall'età anagrafica (cioè raggiungano i 40 anni di contributi versati), ha disposto il conseguimento del diritto alla decorrenza con un posticipo ulteriore, pari a un mese dalla data di maturazione dei requisiti previsti per i soggetti che maturino i requisiti nel 2012; due mesi per i soggetti che maturino i requisiti nel 2013; tre mesi per i soggetti che maturino i requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Infine, l'articolo 24, comma 5, del D.L. 201/2011, al fine di salvaguardare le aspettative dei lavoratori prossimi al pensionamento, ha disposto, con riferimento esclusivamente ai soggetti che a decorrere dal 1° gennaio 2012 maturino i requisiti per il pensionamento di vecchiaia e anticipato, la non applicazione delle disposizioni del D.L. 78/2010.


 

Articolo 17
(Lavoratori precoci)

 

L’articolo 17 prevede il blocco per uno specifico periodo temporale degli incrementi dell’età pensionabile per effetto dell’aumento della speranza di vita per i cd. lavoratori precoci, prevedendone altresì il diritto al pensionamento trascorsi 3 mesi dalla maturazione degli specifici requisiti richiesti.

 

Più specificamente, dal 1° gennaio 2019 e fino al 31 dicembre 2026, per i soggetti che maturano i requisiti richiesti dall’articolo 1, comma 199, della L. 232/2016 (vedi infra) non trovano applicazione l’articolo 1, comma 200, della L. 232/2016 e l’articolo 1, comma 149, della L. 205/2017, che disponevano la specifica disciplina pensionistica per la richiamata categoria di lavoratori (v. infra); allo stesso tempo gli stessi conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi.

 

Conseguentemente, l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 203 della L. 232/2016, istituita per la fruizione del beneficio pensionistico per i cd. lavoratori precoci, viene incrementata di 31,0 milioni di euro per il 2019, 54,4 milioni di euro per il 2020, di 49,5 milioni di euro per il 2021, di 55,3 milioni di euro per il 2022, 100,0 milioni di euro per il 2023, 118,1 milioni di euro per il 2024, 164,5 milioni di euro per il 2025, 203,7 milioni di euro per il 2026, 215,3 milioni di euro per il 2027 e 219,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2028.

 

L’articolo 1, comma 202, della L. 232/2016 ha demandato ad uno specifico D.P.C.M. (D.P.C.M. 23 maggio 2017, n. 87) le modalità di attuazione delle disposizioni concernenti il beneficio previdenziale per i lavoratori precoci, tra cui l'individuazione di criteri di priorità. Questi ultimi rilevano, ai sensi del comma 203, solamente nel caso in cui dal monitoraggio delle domande emerga uno scostamento, anche in via prospettica, che si risolva nel superamento dei limiti di spesa stabiliti (pari a 360 milioni di euro per il 2017, 550 milioni per il 2018, 570 milioni per il 2019 e 590 milioni annui dal 2020). In quest'ultimo caso, la decorrenza dei trattamenti in oggetto avviene in base ai suddetti criteri di priorità e, a parità degli stessi, in ragione della data di presentazione della domanda, secondo la procedura della conferenza di servizi

 

L’articolo 1, comma 199, della L. 232/2016 ha previsto, in favore di alcune categorie di soggetti, una riduzione (a decorrere dal 1° maggio 2017) a 41 anni del requisito di anzianità contributiva (per la pensione) indipendente dall'età anagrafica (requisito attualmente pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne).

I beneficiari sono costituiti dai soggetti che abbiano almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il compimento del diciannovesimo anno di età (cd. precoci), si trovino in specifiche fattispecie e siano iscritti ad una forma di previdenza obbligatoria di base da una data precedente il 1° gennaio 1996[43]. Le richiamate fattispecie sono:

§  stato di disoccupazione, a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o (nell'ambito della procedura di conciliazione di cui all'articolo 7 della L. 604/1966) risoluzione consensuale, sempre che la relativa prestazione per la disoccupazione sia cessata integralmente da almeno tre mesi;

§  svolgimento di assistenza, al momento della richiesta e da almeno 6 mesi, in favore del coniuge o di un parente di primo grado convivente, con handicap in situazione di gravità;

§  riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, pari o superiore al 74%;

§  svolgimento, al momento del pensionamento, da almeno 6 anni in via continuativa, in qualità di lavoratore dipendente, nell'ambito delle professioni indicate nell’allegato E, di attività lavorative per le quali sia richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltosa e rischiosa la loro effettuazione in modo continuativo (la determinazione delle caratteristiche specifiche di tali attività lavorative è demandata al decreto di cui al comma 202);

§  soddisfacimento delle nozioni di lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, poste, ai fini pensionistici, dall’articolo 1, commi da 1 a 3, del D.Lgs. 67/2011.

 

Il requisito ridotto è soggetto ad adeguamento in base agli incrementi della speranza di vita, secondo il meccanismo generale di adeguamento dei requisiti anagrafici per i trattamenti pensionistici (comma 200). Di conseguenza, il requisito è soggetto ad adeguamento - con decorrenza dal 2019 e, successivamente, con cadenza biennale - mediante decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (mentre l'adeguamento per il triennio 2016-2018 e quelli ancora precedenti sono esclusi).

 

L’articolo 1, commi 147 e 148, della L. 205/2017, ha previsto l’esclusione dall'adeguamento all'incremento della speranza di vita (pari a 5 mesi e decorrere dal 2019) dei requisiti generali di accesso al pensionato di vecchiaia e al pensionamento anticipato per specifiche categorie di lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria (A.G.O.), alle forme sostitutive ed esclusive[44] della medesima e alla Gestione separata INPS ex articolo 2, comma 26, della L. 335/1995. Il successivo comma 149 ha disposto la non applicazione dell’esclusione dell’adeguamento dei requisiti pensionistici all’incremento della speranza di vita al requisito contributivo ridotto per la pensione anticipata, previsto dall'articolo 1, commi 199-205, della L. 232/2016, per i cd. lavoratori precoci (ai quali continuano ad applicarsi gli adeguamenti previsti dal successivo comma 200).

 

Si ricorda che il principio di adeguare i requisiti anagrafici per l'accesso al sistema pensionistico all'incremento della speranza di vita (accertato dall'ISTAT) è stato originariamente introdotto dal comma 2 dell'articolo 22-ter del D.L. 78/2009. Tale disposizione aveva disposto un intervento di portata generale rivolto a tutti i lavoratori, sia pubblici sia privati. Esso stabiliva che a decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti anagrafici per l'accesso al sistema pensionistico italiano dovessero essere adeguati all'incremento della speranza di vita accertato dall'ISTAT e convalidato dall'EUROSTAT, con riferimento ai 5 anni precedenti, con modalità tecniche demandate ad un apposito regolamento di delegificazione, da emanare entro il 31 dicembre 2014.

Successivamente la normativa in questione è stata interessata, pur in un breve periodo temporale, da numerosi interventi (articolo 12, commi 12-bis - 12-quinquies, del D.L. 78/2010; articolo 18, comma 4, del D.L. 98/2011; articolo 24, commi 12-13, del D.L. 201/2011) che ne hanno modificato ed integrato la struttura (peraltro non sempre intervenendo con la tecnica della novella del D.L. 78/2010).

Attualmente, sulla base di quanto disposto da tali ulteriori interventi, il primo adeguamento è stato anticipato al 1° gennaio 2013; allo stesso tempo, è stato anticipato al 2011 (in luogo del 2014) l'obbligo per l'ISTAT di rendere disponibili i dati relativi alla variazione della speranza di vita. Inoltre, è stato posticipato al 31 dicembre di ciascun anno (in luogo del 30 giugno) l'obbligo per l'ISTAT di rendere disponibile il dato relativo alla variazione.

Sulla base di quanto disposto da tali ulteriori interventi normativi, il primo adeguamento è stato anticipato al 1° gennaio 2013 (in luogo del 1° gennaio 2015), mentre è stato posticipato al 31 dicembre di ciascun anno (in luogo del 30 giugno) l'obbligo per l'ISTAT di rendere disponibile il dato relativo alla variazione della speranza di vita nel triennio precedente.

Inoltre, sono stati previsti adeguamenti nel 2016 e nel 2019, mentre successivamente si avranno aggiornamenti con cadenza biennale.

In relazione all'adeguamento previsto nel 2019, l'ISTAT rende disponibile, entro il 31 dicembre 2017, il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita all'età corrispondente a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia.

Per valori del requisito anagrafico superiori a 65 anni è stato contestualmente disposto l'adattamento dei coefficienti di trasformazione, al fine di assicurare trattamenti pensionistici correlati alla maggiore anzianità lavorativa maturata.

Si segnala che in attuazione della disciplina legislativa sono stati fino ad ora emanati i decreti direttoriali 6 dicembre 2011, 16 dicembre 2014 e 5 dicembre 2017, i quali hanno aumentato i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici, rispettivamente, di tre mesi, quattro mesi e (a decorrere dal 2019) cinque mesi.

Da ultimo, la legge di bilancio per il 2018 (L. 205/2017, art. 1, c. 146-153) è nuovamente intervenuta sulla materia, sia modificando il meccanismo di adeguamento alla speranza di vita, sia escludendo dall'adeguamento specifiche categorie di lavoratori e i lavoratori impegnati nelle cd. attività usuranti.

In primo luogo, per l'adeguamento dell'età pensionabile agli incrementi della speranza di vita si dispone:

§  che si dovrà fare riferimento alla media dei valori registrati nei singoli anni del biennio di riferimento rispetto alla media dei valori registrati nei singoli anni del biennio precedente;

§  che gli adeguamenti (a decorrere da quello operante dal 2021) non possono essere superiori a 3 mesi (con recupero dell'eventuale misura eccedente in occasione dell'adeguamento o degli adeguamenti successivi);

§  che eventuali variazioni negative devono essere recuperate in occasione degli adeguamenti successivi (mediante compensazione con gli incrementi che deriverebbero da tali adeguamenti).

 

In secondo luogo, si dispone l'esclusione dall'adeguamento all'incremento della speranza di vita (pari a 5 mesi e decorrere dal 2019) per specifiche categorie di lavoratori (individuate dall'allegato B della richiamata L. 205/2017) e per i lavoratori impegnati nelle cd. attività usuranti.

Con il D.M. 5 febbraio 2018 sono state disciplinate le modalità attuative della norma richiamata, con particolare riguardo all'ulteriore specificazione delle professioni di cui all'allegato B e alle procedure di presentazione della domanda di accesso al beneficio e di verifica della sussistenza dei requisiti da parte dell'ente previdenziale.


 

Articolo 18
(Ape sociale)

 

L’articolo 18 proroga a tutto il 2019 la sperimentazione della cd. APE sociale.

 

L'articolo 1, commi da 179 a 186, della L. 232/2016 ha introdotto, in via sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018 (entro il 10 settembre 2018 il Governo verifica i risultati della sperimentazione e formula proposte ai fini di una sua eventuale prosecuzione), l'istituto dell'APE sociale, consistente in una indennità, corrisposta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni. Successivamente, l'articolo 1, commi 162-167, della L. 205/2017, ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina dell'indennità.

 

Al riguardo, appare opportuno chiarire se il diritto alla indennità, di cui alla disposizione in commento, competa anche ai soggetti che, in possesso dei requisiti per accedere all’istituto dell’APE sociale al 1° gennaio 2019 abbiano successivamente perso i suddetti requisiti prima della data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Conseguentemente l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 186, della L. 232/2016, che ha stabilito i limiti annuali di spesa per la fruizione dell’APE sociale, è incrementata 16,2 milioni di euro per il 2019, 131,8 milioni di euro per il 2020, 142,8 milioni di euro per il 2021, 104,1 milioni di euro per il 2022, 51,0 milioni di euro per il 2023 e 2 milioni di euro per il 2024.

 

Il richiamato comma 186 ha disposto che il beneficio dell’indennità è riconosciuto, a domanda, entro i seguenti limiti annuali di spesa (già incrementati dall’articolo 1, comma 162, lettera h), della L. 205/2017 a decorrere dal 1° gennaio 2018): 300 milioni di euro per l'anno 2017, di 630 milioni di euro per l'anno 2018, di 666,5 milioni di euro per l'anno 2019, di 530,7 milioni di euro per l'anno 2020, di 323,4 milioni di euro per l'anno 2021, di 101,2 milioni di euro per l'anno 2022 e di 6,5 milioni di euro per l'anno 2023. Qualora dal monitoraggio delle domande presentate ed accolte emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto alle risorse finanziarie disponibili, la decorrenza della indennità è differita, con criteri di priorità (definiti con il D.P.C.M. 23 maggio 2017, n. 88) in ragione della maturazione dei requisiti (e, a parità di requisiti, in ragione della data di presentazione della domanda), al fine di garantire un numero di accessi all’indennità non superiore al numero programmato in relazione alle predette risorse finanziarie.

Contestualmente, viene soppresso l’articolo 1, comma 167, della L. 205/2017, che ha istituito il Fondo APE sociale nell’ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ai fini del concorso al finanziamento dell’istituto.

Il Fondo ha una dotazione pari a 12,2 milioni di euro per il 2019, 7,5 milioni di euro per il 2020, 10,5 milioni di euro per il 2021, 3,6 milioni di euro per il 2022, di 5,3 milioni di euro per il 2023 e di 2,4 milioni di euro annui dal 2024. In tale Fondo confluiscono le eventuali economie emergenti dall’attività di monitoraggio degli oneri conseguenti dal beneficio, l’accertamento delle quali è effettuato entro il 15 novembre 2018 mediante Conferenza dei servizi. Nel Fondo confluisce anche la somma di 44,3 milioni di euro per il 2018 per far fronte ad eventuali esigenze non previste.

 

Infine, le disposizioni di cui al secondo e terzo periodo dell’articolo 1, comma 165, della L. 205/2017 (che semplifica la procedura per l'accesso all’APE sociale), si applicano anche con riferimento ai soggetti che verranno a trovarsi nelle condizioni indicate nel corso del 2019.

In relazione a ciò, i soggetti che possono usufruire dell’istituto possono quindi presentare domanda per il loro riconoscimento entro il 31 marzo 2019, ovvero (in deroga a quanto previsto dal D.P.C.M. 88/2017), entro il 15 luglio 2019. Le domande presentate successivamente a tale data (e comunque non oltre il 30 novembre 2019) sono prese in considerazione solamente nel caso in cui ci siano le risorse finanziarie.

Il richiamato comma 165 semplifica la procedura per l'accesso all’APE sociale, sempre per le attività gravose, prevedendo che non sia più necessario il vincolo dell'assoggettamento alla Tariffa INAIL del 17 per mille, indicato come elemento necessario dal D.P.C.M. 88/2017 ai fini della validità della domanda da inoltrare per la concessione del beneficio.

In particolare, il secondo periodo del comma 165 stabilisce che i soggetti che si trovavano nelle condizioni per la fruizione dell’istituto nel corso dell'anno 2018 dovevano presentare domanda per il loro riconoscimento entro il 31 marzo 2018, ovvero (in deroga a quanto previsto dal D.P.C.M. 88/2017), entro il 15 luglio 2018. Ai sensi del terzo periodo, restava comunque fermo che le domande presentate oltre il 15 luglio 2018 e, comunque, non oltre il 30 novembre 2018 venissero prese in considerazione esclusivamente se all'esito dello specifico monitoraggio e ordinamento delle domande per l’accesso all’istituto e l’eventuale clausola di salvaguardia residuavano le necessarie risorse finanziarie.

 

L'APE sociale è un istituto sperimentale (fino al 31 dicembre 2018) introdotto dall’articolo 1, commi 179-186, della L. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017), consistente in una indennità corrisposta, fino al conseguimento dei requisiti pensionistici, a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni. Successivamente, la L. 205/2017 ha modificato ed integrazioni alla disciplina dell’istituto.

Possono accedere all'APE sociale i soggetti con un'età anagrafica minima di 63 anni e in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti:

§  soggetti in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento (anche collettivo) dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale (avvenuta nell'ambito della procedura di conciliazione di cui all'art. 7 della L. 604/1966 e successive modificazioni) che abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi e siano in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 30 anni. Lo stato di disoccupazione si configura anche nel caso di scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato, a condizione che il soggetto abbia avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi;

§  soggetti che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave (ai sensi dell'articolo 3, c. 3, della L. 104/1992), ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, a condizione di possedere un'anzianità contributiva di almeno 30 anni;

§  soggetti che hanno una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile) e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 30 anni;

§  lavoratori dipendenti al momento della decorrenza dell'APE sociale, che svolgono specifiche attività lavorative "gravose" (indicate negli appositi Allegati) da almeno sette anni negli ultimi dieci ovvero almeno sei anni negli ultimi sette, e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 36 anni. E' stata inoltre semplificata la procedura per l'accesso all'indennità per tali attività, prevedendo che non sia più necessario il vincolo dell'assoggettamento alla Tariffa INAIL del 17 per mille, indicato come elemento necessario dal D.P.C.M. 88/2017 ai fini della validità della domanda da inoltrare per la concessione del beneficio.

 

Inoltre:

 

§  per quanto attiene i requisiti contributivi richiesti per l'accesso all'APE sociale, è stata prevista una riduzione per le donne di 12 mesi per ciascun figlio, nel limite massimo di 2 anni (cd. APE sociale donna);

§  per l'accesso al beneficio dei lavoratori dipendenti operai dell'agricoltura e della zootecnia, è stato assunto come riferimento per il computo integrale dell'anno di lavoro il numero minimo di giornate (pari a 156), relativo all'anno di contribuzione, previsto dalla normativa vigente;

§  è stato istituito il Fondo APE sociale nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, rimodulando contestualmente l'autorizzazione di spesa ai fini del concorso al finanziamento dell'estensione dell'indennità.

 

Sono inoltre esplicitamente previste cause di esclusione dall'erogazione dell'APE sociale:

 

§  mancata cessazione dell'attività lavorativa;

§  titolarità di un trattamento pensionistico diretto;

§  soggetti beneficiari di trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria;

§  soggetti titolari di assegno di disoccupazione (ASDI);

§  soggetti che beneficiano di indennizzo per cessazione di attività commerciale;

§  raggiungimento dei requisiti per il pensionamento anticipato.

 

L'indennità è comunque compatibile con la percezione di redditi da lavoro dipendente o parasubordinato entro 8.000 euro annui e con la percezione di redditi da lavoro autonomo entro 4.800 annui.

 

L'indennità, erogata mensilmente su dodici mensilità all'anno, è pari all'importo della rata mensile della pensione calcolata al momento dell'accesso alla prestazione, non soggetto a rivalutazione, e non può in ogni caso superare l'importo massimo mensile di 1.500 euro.

 

Per i dipendenti pubblici che cessano l'attività lavorativa e richiedono l'APE sociale si prevede che i termini di pagamento delle indennità di fine servizio (comunque denominate) iniziano a decorrere dal raggiungimento del requisito anagrafico previsto per il pensionamento di vecchiaia.

 

Con il D.P.C.M. 88/2017 sono stati definiti i requisiti e le modalità per accedere all'APE sociale.

 

Inoltre, si segnala che l'articolo 53, comma 1, del D.L. 50/2017 attraverso un'interpretazione autentica, definisce le caratteristiche che devono avere determinate attività lavorative ai fini della corresponsione dell'indennità riconosciuta, fino alla maturazione dei requisiti pensionistici, a favore di soggetti che si trovino in particolari condizioni (cd APE sociale). Le attività lavorative gravose si considerano svolte in via continuativa (che, come detto, se svolte da almeno sei anni e insieme al requisito anagrafico di 63 anni, danno diritto all'APE sociale) quando nei sei anni precedenti il momento di decorrenza della predetta indennità le medesime attività lavorative non hanno subito interruzioni per un periodo complessivamente superiore a dodici mesi e a condizione che siano state svolte nel settimo anno precedente la predetta decorrenza per un periodo corrispondente a quello complessivo di interruzione.

 

Si ricorda, infine, che ai sensi dell'articolo 1, comma 150, della L. 252/2017, l'esclusione dell'adeguamento dei requisiti pensionistici all'incremento della speranza di vita per alcune categorie di lavoratori) non si applica ai soggetti che godano, al momento del pensionamento, dell'APE sociale.

 


 

Articolo 18-bis
(Sospensione della prestazione previdenziale a taluni soggetti condannati e a soggetti evasi o latitanti)

 

L'articolo 18-bis – introdotto nel corso dell’esame al Senato - dispone la sospensione del pagamento dei trattamenti previdenziali di vecchiaia o anticipati, erogati dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, per alcuni soggetti condannati che si siano volontariamente sottratti all'esecuzione della pena detentiva nonché per i soggetti evasi o latitanti. Esso disciplina le modalità di adozione dei provvedimenti di sospensione, di comunicazione degli stessi provvedimenti agli enti interessati e di revoca della sospensione. Si prevede l'assegnazione delle risorse derivanti dall'applicazione delle suddette disposizioni al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura nonché agli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

 

Ai sensi del comma 1, la sospensione del pagamento si applica ai soggetti che si siano volontariamente sottratti all'esecuzione della pena:

-     condannati a pena detentiva, con sentenza passata in giudicato, per i seguenti reati: associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (art. 270-bis del codice penale); attentato per finalità terroristiche o di eversione (art.  280 c.p.); sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis c.p.); associazioni di tipo mafioso anche straniere (416-bis c.p.); scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter); strage (art. 422, c.p.)[45];

-     cui sia stata irrogata, in via definitiva, una pena non inferiore a due anni di reclusione per ogni altro delitto.

 

La medesima disposizione si applica, inoltre, in via generale, agli evasi e ai latitanti[46].

 

I provvedimenti di sospensione del pagamento sono adottati, con effetto non retroattivo, dal giudice che abbia dichiarato lo stato di latitanza o dal giudice che abbia emesso l'ordine di esecuzione al quale il condannato si sia volontariamente sottratto. La disposizione si applica anche alle dichiarazioni pronunciate e agli ordini di carcerazione emanati prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame (comma 2).

Il comma 3 stabilisce che i provvedimenti di sospensione del pagamento siano comunicati dal pubblico ministero all'ente gestore del rapporto previdenziale o assistenziale facente capo al soggetto interessato, entro 15 giorni dalla loro adozione, ai fini dell'immediata esecuzione del provvedimento stesso. Si segnala che il testo del comma 3 in esame fa riferimento al solo "soggetto latitante".

Il comma 4 prevede che la medesima autorità giudiziaria che ha adottato il provvedimento di sospensione possa disporne la revoca, al venir meno delle condizioni che abbiano determinato la sospensione medesima. Gli importi dovuti sono ripristinati a domanda dell'interessato, presentata al competente ente gestore della prestazione previdenziale. Alla domanda deve essere allegata la copia autentica del provvedimento di revoca. Il diritto al ripristino della prestazione decorre dalla data di presentazione della domanda e della prescritta documentazione a corredo della stessa. Essa non ha effetto retroattivo sugli importi maturati durante il periodo di sospensione.

Il comma 5 prevede che le risorse derivante dai provvedimenti di sospensione siano versati all'entrata del bilancio dagli enti interessati, con cadenza annuale, indi riassegnati ai capitoli relativi:

-     al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, di cui all'art. 2, comma 6-sexies, del decreto-legge n. 225 del 2010;

-     agli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, di cui alla legge 3 agosto 2004, n. 206.


 

Articolo 19
(Termine di prescrizione dei contributi previdenziali ed assistenziali per le amministrazioni pubbliche)

 

L’articolo 19 dispone la non applicazione fino al 31 dicembre 2021 dei termini di prescrizione contributiva riferiti agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria per i rapporti di lavoro subordinato con le amministrazioni pubbliche afferenti ai periodi di competenza fino al 31 dicembre 2014.

 

Più nel dettaglio, l’articolo in esame, introducendo il comma 10-bis all’articolo 3 della L. 335/1995, dispone che per i rapporti di lavoro subordinato con le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 165/2001, i termini di prescrizione contributiva (di cui ai commi 9 e 10 dello stesso articolo 3, vedi infra), riferiti agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria per le pubbliche amministrazioni afferenti ai periodi di competenza fino al 31 dicembre 2014, non si applicano (più precisamente sono sospesi, come riportato nella relazione tecnica allegata al provvedimento) fino al 31 dicembre 2021, fatti salvi gli effetti di provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato, nonché il diritto all’integrale trattamento pensionistico del lavoratore.

 

Ai sensi dei richiamati commi 9 e 10 dell’articolo 3 della L. 335/1995, le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei seguenti termini (comma 9):

§  10 anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie (compreso il contributo di solidarietà previsto dall'articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 103/1991[47]), ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei 463suoi superstiti;

§  5 anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.

I termini richiamati si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della L. 335/1995, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente. Agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dall'articolo 2, comma 19, del D.L. 463/1983[48], fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso (comma 10).


 

Articolo 20
(Norme in materia di riscatti di periodi a fini pensionistici)

 

I commi da 1 a 5 introducono in via sperimentale, per il triennio 2019-2021, con riferimento ad alcuni soggetti e fattispecie (rientranti nel sistema di calcolo contributivo integrale), la possibilità di riscattare, in tutto o in parte, nella misura massima di cinque anni, anche non continuativi, i periodi, precedenti la data di entrata in vigore del presente decreto, non coperti da contribuzione presso forme di previdenza obbligatoria né soggetti ad alcun obbligo contributivo. Il comma 6 modifica la disciplina del riscatto dei corsi di studio universitario, relativamente a periodi da valutare con il sistema contributivo. I commi 6-bis e 6-ter - inseriti dal Senato in prima lettura - recano norme finanziarie.

 

Più in particolare, il comma 1 introduce in via sperimentale, per il triennio 2019-2021, per alcuni soggetti, rientranti nel sistema di calcolo contributivo integrale, la possibilità di riscattare, in tutto o in parte, nella misura massima di cinque anni, anche non continuativi, i periodi, precedenti la data di entrata in vigore del presente decreto, non coperti da contribuzione presso forme di previdenza obbligatoria, a condizione che tali periodi non siano soggetti ad alcun obbligo contributivo e siano compresi tra la data del primo contributo e quella dell'ultimo contributo comunque accreditati.

Le forme pensionistiche interessate dalle norme in esame sono quelle relative ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e ad agli altri lavoratori, diversi da quelli subordinati, iscritti alle relative gestioni pensionistiche dell'INPS[49]. Si valuti l’opportunità di chiarire, considerato che la norma fa riferimento alle “forme sostitutive ed esclusive”, se siano o meno esclusi dalla possibilità in esame i lavoratori dipendenti iscritti a forme pensionistiche obbligatorie gestite da soggetti diversi dall'INPS (quindi, di fatto, gestite da soggetti di diritto privato).

La possibilità di riscatto concerne i soggetti che non avessero maturato alcun'anzianità contributiva entro il 31 dicembre 1995 (sono esclusi, quindi, i soggetti che rientrino nel sistema contributivo integrale in base alla relativa opzione). La facoltà non è riconosciuta ai soggetti titolari di trattamento pensionistico; si valuti l’opportunità di chiarire se si faccia riferimento ai soli trattamenti diretti e non anche a quelli in favore dei superstiti.

Il comma 2 specifica che l'eventuale successiva acquisizione (come potrebbe verificarsi in base ad una domanda di accredito figurativo o di riscatto) di un'anzianità contributiva precedente il 1° gennaio 1996 determina l'annullamento d'ufficio del riscatto, con conseguente restituzione dei contributi.

Ai sensi del comma 3, la domanda di riscatto può essere presentata dall’assicurato o dai suoi superstiti o dai suoi parenti ed affini entro il secondo grado. La misura dell'onere è determinata secondo i criteri generali validi per il riscatto di periodi nell'ambito del sistema contributivo (riguardo a tali criteri, cfr. sub il successivo comma 6). Il medesimo onere è detraibile dall'imposta lorda sui redditi per una quota pari al 50 per cento, con una ripartizione in cinque quote annuali costanti e di pari importo, nell'anno di sostenimento e in quelli successivi.

Per i lavoratori del settore privato l’onere per il riscatto in esame può essere sostenuto dal datore di lavoro dell’assicurato, mediante la destinazione, a tal fine, dei premi di produzione spettanti al lavoratore medesimo (comma 4). In tal caso, le somme non rientrano nella base imponibile fiscale né del datore né del lavoratore.

In base al comma 5, il versamento dell’onere può essere effettuato ai regimi previdenziali di appartenenza in unica soluzione ovvero in un massimo di 120 rate mensili - 60 rate mensili nel testo originario del decreto, così modificato dal Senato in prima lettura -, ciascuna di importo non inferiore a 30 euro (senza applicazione di interessi). La rateazione dell’onere non è ammessa nei casi in cui i contributi da riscatto debbano essere utilizzati per l'immediata liquidazione della pensione (diretta o in favore di superstiti) o nel caso in cui gli stessi siano determinanti per l’accoglimento di una domanda di autorizzazione ai versamenti volontari; qualora tali ipotesi si verifichino nel corso del periodo di pagamento, la somma ancora dovuta è versata in unica soluzione. Si valuti l’opportunità di chiarire se la locuzione “debbano essere utilizzati” si riferisca ai soli casi in cui i contributi da riscatto siano necessari ai fini del conseguimento del diritto alla pensione oppure se la presentazione della domanda di pensione determini in ogni caso il divieto di rateazione o la decadenza dal medesimo beneficio.

Il comma 6 modifica la disciplina del riscatto dei corsi di studio universitario, relativamente a periodi da valutare con il sistema contributivo. Le norme concernono anche gli iscritti a cui si applichi il sistema di calcolo cosiddetto misto (cioè, sia retributivo sia contributivo, in base al criterio del pro rata), purché, come detto, i periodi oggetto di riscatto siano da valutare secondo il sistema contributivo (quindi, periodi o frazioni di periodo successivi al 31 dicembre 1995[50]); l'ambito di applicazione non comprende i lavoratori autonomi iscritti a forme pensionistiche gestite da soggetti di diritto privato.

La novella prevede che, nel caso in cui la domanda sia presentata entro il compimento del quarantacinquesimo anno di età, l'onere del riscatto sia costituito dal versamento di un contributo pari, per ogni anno da riscattare, al livello minimo imponibile annuo di cui all'articolo 1, comma 3, della L. 2 agosto 1990, n. 233[51], moltiplicato per l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti, vigenti alla data di presentazione della domanda.

Secondo, invece, i criteri ordinari di calcolo del riscatto di periodi da valutare secondo il sistema contributivo, la retribuzione di riferimento è quella assoggettata a contribuzione nei dodici mesi meno remoti rispetto alla data della domanda ed è rapportata al periodo oggetto di riscatto; su tale base si applicano le aliquote contributive di finanziamento vigenti (nel regime ove il riscatto operi) alla data di presentazione della domanda.

Si segnala che, secondo la formulazione letterale della novella, per i soggetti che superino o abbiano superato il quarantacinquesimo anno di età, non sarebbe più possibile presentare la domanda di riscatto dei corsi di studio universitario, relativamente a periodi da valutare con il sistema contributivo.

Si valuti l’opportunità di valutare, anche con riferimento al principio costituzionale della parità di trattamento, le ragioni della diversità dei criteri di calcolo a seconda che il soggetto si trovi al di sotto o al di sopra di una certa soglia anagrafica.

Si segnala, inoltre, che la novella fa riferimento alle sole aliquote di computo delle prestazioni pensionistiche dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti, mentre l'ordinamento prevede il riscatto dei periodi in esame anche per lavoratori diversi da quelli subordinati.

I commi 6-bis e 6-ter - inseriti dal Senato in prima lettura - recano norme finanziarie, in relazione alla modifica operata - sempre dal Senato in prima lettura - al comma 5. Le norme finanziarie in oggetto consistono in riduzioni del Fondo per interventi strutturali di politica economica per gli anni 2019-2023 ed in incrementi della dotazione del medesimo Fondo per gli anni 2024 e successivi.

Articolo 21
(Esclusione opzionale dal massimale contributivo dei lavoratori che prestano servizio in settori in cui non sono attive forme di previdenza complementare compartecipate dal datore di lavoro)

 

Il presente articolo introduce la possibilità, per i dipendenti pubblici che prestino servizio in settori in cui non siano attive forme di previdenza complementare compartecipate dal datore di lavoro, di escludere l'applicazione del limite massimo di imponibile contributivo e di base di calcolo del trattamento pensionistico.

 

Il limite in oggetto, pari nel 2019 a 102.543 euro, concerne i lavoratori a cui si applichi il sistema di calcolo contributivo integrale (cioè lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 e soggetti che abbiano optato per il sistema contributivo integrale).

La possibilità di deroga di cui al presente articolo 21 concerne esclusivamente i dipendenti pubblici - contrattualizzati o in regime di diritto pubblico[52] - privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 (a condizione, come detto, che non sia attiva, per il relativo settore lavorativo, una forma di previdenza complementare compartecipata dal datore).

 

Al riguardo, si segnala che tale deroga concerne i soli dipendenti pubblici e non, come previsto dall’articolo 2, comma 18, della L. 335/1995, i lavoratori iscritti a decorrere dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie (considerato che anche per i dipendenti privati possono non risultare attive forme di previdenza complementare compartecipate dal datore di lavoro).

 

La domanda di esclusione dal limite deve essere presentata entro il termine di sei mesi, decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero decorrente dalla data (se successiva alla precedente) di superamento del limite, oppure dalla data di assunzione.

 

A tal proposito, si valuti l’opportunità di un chiarimento sia in ordine ai profili temporali degli effetti dell'opzione per l'esclusione del massimale sia in ordine alla decorrenza del termine di 6 mesi per i soggetti assunti dopo l’entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Nel nostro ordinamento non esisteva in generale, prima dell'introduzione del sistema contributivo, un limite massimo della retribuzione assoggettabile a contribuzione[53]. In seguito all’entrata in vigore della L. 335/1995, è stato disposto (articolo 2, comma 18, della medesima L. 335) che per i lavoratori privi di anzianità contributiva, che si fossero iscritti a decorrere dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie e per coloro che avessero esercitato l'opzione per il sistema contributivo, si disponesse un massimale annuo della base contributiva e pensionabile, con effetto sui periodi contributivi e sulle quote di pensione successive alla data di prima assunzione, ovvero successivi alla data di esercizio dell'opzione. Questa misura massima viene annualmente rivalutata sulla base dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, così come determinato dall'ISTAT. Per l'anno 2018 il massimale contributivo è pari a € 101.427,00.

Il massimale contributivo è, pertanto, applicabile in due ipotesi: nei confronti dei lavoratori che hanno iniziato il rapporto assicurativo dopo il primo gennaio 1996, nonché nei confronti di coloro che risultassero già iscritti a tale data ad un Fondo Pensioni obbligatorio[54]).

Successivamente, l’articolo 1, comma 280, della L. 208/2015 ha specificato, con un’interpretazione autentica, che il limite massimo di base contributiva e pensionabile, proprio del cosiddetto sistema contributivo integrale, non si applica per i soggetti che - pur iscritti ai regimi pensionistici obbligatori successivamente al 31 dicembre 1995 - godano, su loro domanda, di accrediti contributivi relativi a periodi precedenti il 1° gennaio 1996. L'esclusione del limite massimo opera, in tal caso, dal mese successivo a quello di presentazione della suddetta domanda[55].


 

Articolo 22
(Fondi di solidarietà bilaterali)

 

I commi 1 e 2 del presente articolo introducono la possibilità di una nuova tipologia di trattamento a carico dei fondi di solidarietà bilaterali, consistente in un assegno straordinario in attesa del conseguimento dei requisiti per la pensione anticipata di cui al precedente articolo 14 (cosiddetta quota 100). Il comma 3 prevede, con riferimento ai lavoratori che accedano ad un qualsiasi assegno straordinario a carico di un fondo di solidarietà bilaterale, che quest'ultimo provveda, a suo carico e previo il versamento allo stesso fondo della relativa provvista finanziaria da parte del datore di lavoro, anche al versamento della contribuzione correlata a periodi, utili per il conseguimento di qualunque diritto alla pensione anticipata o di vecchiaia, riscattabili o ricongiungibili. I commi 4 e 5 recano nuove norme sugli obblighi a carico dei datori nell'ambito degli accordi cosiddetti di isopensione e dei summenzionati istituti di assegno straordinario nonché sulle procedure per l'efficacia degli "accordi di cui al presente articolo". Il medesimo comma 5 specifica che le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai fondi bilaterali già costituiti o in corso di costituzione. Il comma 6 concerne il Fondo di solidarietà operante nel settore del lavoro in somministrazione.

 

Si ricorda che i fondi di solidarietà bilaterali sono costituiti per i settori che non rientrino nell'ambito di applicazione delle forme generali dei trattamenti di integrazione salariale (forme di cui al Titolo I del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, e successive modificazioni). La costituzione avviene in base ad accordi e contratti collettivi, anche intersettoriali, delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale[56]

L'ipotesi di assegno straordinario di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo 22 è posta con riferimento ai soggetti che raggiungano i requisiti per l'accesso alla suddetta tipologia di pensione anticipata (di cui all'articolo 14) entro il 31 dicembre 2021. Si ricorda che le ipotesi finora vigenti di assegno straordinario (da parte dei fondi di solidarietà bilaterali) concernono i lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni[57] e che il precedente articolo 14, comma 9 (richiamato dal comma 1 in esame) esclude - ad eccezione, si intende, delle fattispecie disciplinate dal presente articolo 22 - che possano essere considerati i requisiti di cui al medesimo articolo 14 ai fini dell'applicazione degli istituti di assegno straordinario.

La nuova fattispecie di assegno è subordinata alla sussistenza di accordi o contratti collettivi, di livello aziendale o territoriale, sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, nei quali sia stabilito, a garanzia dei livelli occupazionali, il numero di lavoratori da assumere in sostituzione dei lavoratori che accedano all'assegno medesimo.

Resta fermo il principio - richiamato dal comma 1 - secondo cui per l'assegno straordinario è dovuto, da parte del datore di lavoro, un contributo straordinario di importo corrispondente al fabbisogno di copertura del medesimo assegno e della contribuzione correlata[58].

Il comma 3 prevede, con riferimento ai lavoratori che accedano ad un assegno straordinario a carico di un fondo di solidarietà bilaterale, che quest'ultimo provveda, a suo carico e previo il versamento allo stesso fondo della relativa provvista finanziaria da parte del datore di lavoro, anche al versamento della contribuzione correlata a periodi, utili per il conseguimento di qualunque diritto alla pensione anticipata o di vecchiaia, riscattabili o ricongiungibili. La nuova norma si applica a prescindere dalla circostanza che i periodi oggetto di riscatto o di ricongiunzione siano necessari o meno per il conseguimento del diritto all'assegno straordinario. Nell'ambito di applicazione della norma rientrano esclusivamente i periodi (da riscattare o ricongiungere) precedenti l'accesso al fondo di solidarietà.

Le somme versate al fondo ai sensi del presente comma sono deducibili dalla base imponibile fiscale (ai sensi della normativa vigente).

Il comma 4 prevede che, per le prestazioni - con decorrenza successiva al 1° gennaio 2019 - in favore dei lavoratori derivanti dagli accordi cosiddetti di isopensione - di cui all'articolo 4, commi da 1 a 7-ter, della L. 28 giugno 2012, n. 92, e successive modificazioni - ovvero derivanti dagli istituti di assegno straordinario dei fondi di solidarietà bilaterali - di cui all'articolo 26, comma 9, lettera b), e all'articolo 27, comma 5, lettera f), del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148 -, il datore di lavoro abbia l'obbligo di provvedere al pagamento della medesima prestazione al lavoratore anche per i periodi eventualmente intercorrenti tra la maturazione del requisito per il trattamento pensionistico e la prima decorrenza utile del medesimo trattamento, mentre il versamento della contribuzione correlata (ove previsto dagli accordi costitutivi) è dovuto solo fino al raggiungimento del requisito suddetto. L'intervento normativo di cui al presente comma 4 appare connesso all'introduzione - da parte del decreto-legge in esame -, in alcune fattispecie, di termini dilatori per la decorrenza del trattamento pensionistico (rispetto alla data di maturazione del requisito).

Il comma 5 richiede che gli accordi "previsti dal presente articolo", ai fini della loro efficacia, siano depositati in via telematica presso l'Ispettorato nazionale del lavoro entro 30 giorni dalla sottoscrizione. Si valuti l’opportunità di chiarire quale sia l'àmbito degli accordi così richiamati. Il medesimo comma 5 specifica, inoltre, che le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai fondi bilaterali già costituiti o in corso di costituzione. Si valuti l’opportunità di chiarire il termine di decorrenza del deposito in via telematica, qualora quest'ultima norma si riferisca anche ai fondi già costituiti.

Il comma 6 ammette che il Fondo di solidarietà operante nel settore del lavoro in somministrazione versi all'INPS, per periodi non coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa, contributi pari all'aliquota di finanziamento prevista per il regime generale pensionistico dei lavoratori dipendenti, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro. Le modalità di determinazione della contribuzione e di versamento del contributo sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze. Il medesimo comma 6 specifica che rientrano altresì tra le competenze del Fondo suddetto, a valere sulle risorse appositamente previste dalla contrattazione collettiva di settore, i programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, nonché le altre misure di politica attiva stabilite dalla contrattazione collettiva stessa.


 

Articolo 23
(Trattamenti di Fine Servizio)

 

L’articolo 23 prevede, in primo luogo, che i termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici che accedano al pensionamento anticipato ai sensi del precedente articolo 14 (cosiddetta “quota 100”) decorrano dal momento in cui il diritto al trattamento pensionistico sarebbe maturato in base alla pensione di vecchiaia o alle forme di pensione anticipata di cui all'articolo 24 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201[59].   

Lo stesso articolo prevede altresì la possibilità, per i soggetti che accedono al pensionamento con i requisiti della cd. “quota 100” (di cui all’articolo 14) o che accedono al trattamento pensionistico di vecchiaia o anticipato secondo le altre norme summenzionate, di richiedere una somma pari all’indennità di fine servizio maturata, mediante finanziamento bancario agevolato, entro un determinato importo massimo. Il finanziamento (e i relativi interessi) sono restituiti integralmente a valere sull’indennità di fine servizio liquidata al pensionato, secondo la tempistica di liquidazione definita a normativa vigente (articolo 12 del D.L. 78/2010).

Per l’accesso ai richiamati finanziamenti si istituisce - nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze - un apposito Fondo di garanzia, con una dotazione iniziale pari a 75 milioni di euro per il 2019 (come disposto nel corso dell’esame al Senato).

 

Il comma 1 prevede che i termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei lavoratori dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001[60], nonché del personale degli enti pubblici di ricerca, che fruiscano dell’anticipo pensionistico di cui al precedente articolo 14 (alla cui scheda si rimanda) decorrano dal momento in cui il diritto al trattamento pensionistico sarebbe maturato in base alla pensione di vecchiaia o alle forme di pensione anticipata di cui all'articolo 24 del D.L. 201/2011.

 

Sotto il profilo della redazione formale del testo, sebbene il testo faccia riferimento alla indennità di fine servizio “comunque denominata”, si ricorda che quest’ultima è un istituto corrisposto ai soli dipendenti degli enti locali, mentre la platea dei soggetti interessati dall’articolo in esame comprende anche i dipendenti statali (ai quali viene corrisposta l’indennità di buonuscita). Si valuti, quindi, l’opportunità di utilizzare la dizione “trattamenti di fine servizio”, che comprende entrambi gli istituti.

 

Il comma 2 consente ai soggetti che fruiscono dell’anticipo pensionistico “quota 100” già menzionati al comma 1, o che accedono ai pensionamenti di vecchiaia o anticipati in precedenza richiamati (ai sensi dell'articolo 24 del D.L. 201/2011), di richiedere una somma pari all’indennità di fine servizio maturata, mediante finanziamento bancario agevolato. Nel corso dell’esame al Senato, è stato specificato che la normativa riguarda anche i soggetti che abbiano avuto accesso ai suddetti pensionamenti prima dell'entrata in vigore del presente decreto.

Le norme in esame prevedono:

-     che la richiesta di finanziamento sia basata su certificazioni apposite rilasciate dall’INPS;

-     che sia stipulato un accordo quadro tra i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dell’economia e delle finanze, della Pubblica Amministrazione, e l’Associazione Bancaria Italiana, sentito l’INPS, entro 60 giorni dalla data di conversione in legge del provvedimento in esame;

-     che i lavoratori interessati presentino la richiesta di finanziamento di una somma pari all’indennità di fine servizio alle banche o agli intermediari aderenti all’accordo;

-     che, ai fini del rimborso del finanziamento e dei relativi interessi, l’INPS trattenga il relativo importo dall’indennità di fine servizio fino a concorrenza dello stesso. Gli importi trattenuti da INPS, ferme restando le regole generali sulla pignorabilità di somme percepite a vario titolo (articolo 545 c.p.c.), non sono soggetti a procedure di sequestro o pignoramento e, in ogni caso, a esecuzione forzata in virtù di qualsivoglia azione esecutiva o cautelare;

-     che il finanziamento sia garantito dalla cessione, automatica e nel limite dell’importo finanziato, senza alcuna formalità, pro solvendo, dei crediti derivanti dal trattamento di fine servizio maturato, che il soggetto pensionando vanta nei confronti dell’Inps.

Si ricorda che nella cessione pro solvendo il cedente, oltre a garantire la sussistenza e validità del credito, si assume la garanzia per l’eventuale inadempimento del debitore. Se il debitore non paga, sarà il cedente a restituire le somme al cessionario. Al contrario, nella cessione pro soluto il cedente stesso resta liberato da ogni obbligo di pagare il debito se non vi provveda il debitore ceduto.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire se il presente comma 2 si riferisca ai soli dipendenti pubblici - come, letteralmente, sembrerebbe indicare il riferimento, contenuto nel comma 2, ai "soggetti di cui al comma 1". In ogni caso, la norma in esame non riguarda le forme di pensione anticipata previste da fonti normative diverse da quelle richiamate dal comma 2, come quella di cui al precedente articolo 16 (cosiddetta opzione donna).

 

Ai sensi del comma 5, il limite massimo della somma concedibile è pari a 45.000 euro, come disposto nel corso dell’esame al Senato (in luogo di 30.000), ovvero è pari all’importo spettante al personale che richiede il finanziamento, ove l’indennità di fine servizio - comunque denominata - sia inferiore

Il comma 5, inoltre, demanda all’accordo quadro di cui al comma 2 la determinazione del tasso di interesse del finanziamento.

 

Al riguardo, la relazione tecnica chiarisce che l’operazione si presenta come un finanziamento richiesto da un privato a un istituto finanziario; il finanziamento è restituito integralmente a valere sull’indennità di fine servizio dovuta al pensionando, secondo le norme vigenti in tema di liquidazione della stessa.

 

Con il comma 3 si istituisce - nello stato di previsione del Ministero dell'Economia e delle Finanze - un apposito Fondo di garanzia per l'accesso ai finanziamenti di cui al comma 2, con una dotazione iniziale pari a 75 milioni di euro per il 2019, come disposto nel corso dell’esame al Senato (in luogo di 50 milioni).

 

Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa del Fondo per le garanzie rilasciate dallo Stato (istituito dall’articolo 37, comma 6, del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66).

La garanzia del Fondo copre l'80% del finanziamento richiamato e dei relativi interessi. Il Fondo è ulteriormente alimentato con le commissioni, orientate a criteri di mercato, di accesso al Fondo stesso, che a tal fine sono versate sul conto corrente presso la tesoreria dello Stato istituito ai sensi del successivo comma 8. La garanzia del Fondo è a prima richiesta, esplicita, incondizionata, irrevocabile.

Gli interventi del Fondo sono assistiti dalla garanzia dello Stato, avente le medesime caratteristiche di quella del Fondo, quale garanzia di ultima istanza.

La garanzia dello Stato è elencata nell’allegato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze[61].

 

Il finanziamento è altresì assistito automaticamente dal privilegio per le retribuzioni e i contributi dovuti ai lavoratori dipendenti ai sensi dell'articolo 2751-bis, numero 1), c.c.[62].

Inoltre, il Fondo è surrogato di diritto alla banca o all’intermediario finanziario, per l'importo pagato, nonché nel privilegio di cui al citato articolo 2751-bis, numero 1), c.c..

 

Ai sensi del successivo comma 8, la gestione del richiamato fondo è affidata all'INPS sulla base di un'apposita convenzione da stipulare tra lo stesso Istituto e il Ministro dell'Economia e delle Finanze, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministro della Pubblica Amministrazione. Per tale gestione è autorizzata l'istituzione di un apposito conto corrente presso la tesoreria dello Stato intestato al gestore.

 

Il comma 4 esenta le operazioni di finanziamento in parola, nonché le formalità a esso connesse nell'intero svolgimento del rapporto, dalle imposte di registro, di bollo e da ogni altra imposta indiretta, nonché da ogni altro tributo o diritto. Per le finalità relative agli adempimenti antiriciclaggio (di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231), l'operazione di finanziamento è sottoposta a obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela.

L’articolo 25 del D.Lgs. 21/11/2007, n. 231, (antiriciclaggio) prevede che in presenza di un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, i soggetti obbligati possono applicare misure di adeguata verifica della clientela semplificate sotto il profilo dell'estensione e della frequenza degli adempimenti. Ai fini dell'applicazione di tali misure semplificate e fermo l'obbligo di commisurarne l'estensione al rischio in concreto rilevato, i soggetti obbligati tengono conto, tra l'altro, dei alcuni indici di basso rischio, relativi alle tipologie di clienti, alle tipologie di prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione, nonché alle aree geografiche.

 

Il comma 6 chiarisce che gli interessi vengono liquidati contestualmente al rimborso della quota capitale.

 

Infine, ai sensi del comma 7, si dispone che le modalità di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo in esame (nonché gli ulteriori criteri, condizioni e adempimenti, anche in termini di trasparenza ai sensi del Titolo VI del T.U.B., che reca specifiche disposizioni in materia di finanziamenti), per l'accesso al finanziamento, nonché i criteri, le condizioni e le modalità di funzionamento del Fondo di garanzia e della garanzia di ultima istanza dello Stato siano disciplinati con apposito D.P.C.M., da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentiti l’INPS, il Garante per la protezione dei dati personali e l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

 

La rateizzazione del TFR

 

Nel settore pubblico, fino all’emanazione del D.P.C.M. 20 dicembre 1999, che ha introdotto per i nuovi assunti il trattamento di fine rapporto, veniva liquidata l’indennità premio di fine servizio ai dipendenti degli enti locali e l’indennità di buonuscita ai dipendenti statali. I trattamenti di fine servizio si differenziano dal TFR sia per le modalità di calcolo della prestazione (calcolata sull’ultima retribuzione), sia per il suo finanziamento che è caratterizzato anche da una contribuzione del lavoratore alla quale si aggiunge quella dell’amministrazione statale o dell’ente locale.

L’articolo 12, commi 7 e 8, del D.L. n. 78/2010, ha disposto che dal 31 maggio 2010, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche specificamente individuate, il riconoscimento dell’indennità premio di fine servizio, dell’indennità di buonuscita, del TFR e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una tantum comunque denominata, spettante in seguito a cessazione di servizio, venga erogata:

·     in un unico importo annuale, qualora l'ammontare complessivo, al lordo delle trattenute fiscali, sia complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro;

·     in due importi annuali, qualora l'ammontare sia complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato sarà pari a 50.000 euro, il secondo sarà pari all'ammontare residuo;

·     in tre importi annuali, qualora l'ammontare sia pari o superiore a 100.000 euro. In tal caso, il primo importo erogato rata sarà pari a 50.000 euro, il secondo a 50.000 euro ed il terzo all'ammontare residuo.

Resta fermo quanto previsto dalla normativa vigente in relazione alla determinazione della prima scadenza utile per il riconoscimento dei trattamenti di fine servizio di cui al precedente comma, ovvero del primo importo annuale, con conseguente riconoscimento del secondo e del terzo importo dopo, rispettivamente, 12 e 24 mesi dal riconoscimento del primo importo.

Merita inoltre ricordare che l’articolo 3, comma 2, del D.L. n. 79/1997, ha stabilito che alla liquidazione dei TFS, comunque denominati per i dipendenti pubblici, loro superstiti o aventi causa, che ne abbiano titolo, l'ente erogatore provvede decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l'ente provvede entro i successivi 3 mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.

 

 

I trattamenti di fine servizio

Nel settore pubblico, il lavoratore subordinato ha diritto, all'atto della cessazione dal servizio, ad un trattamento di fine servizio/rapporto. Fino all’emanazione del DPCM 20 dicembre 1999, che ha introdotto per i nuovi assunti il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), veniva liquidata l’indennità premio di fine servizio ai dipendenti degli enti locali e l’indennità di buonuscita ai dipendenti statali.

I Trattamenti di Fine Servizio si differenziano dal TFR sia per le modalità di calcolo della prestazione (calcolata sull’ultima retribuzione), sia per il suo finanziamento che è caratterizzato anche da una contribuzione del lavoratore alla quale si aggiunge quella dell’amministrazione statale o dell’ente locale.

 

Indennità premio di fine servizio

Spetta, all’atto del collocamento a riposo, ai dipendenti degli enti locali, del S.S.N. e degli altri enti iscritti alla ex gestione INADEL (Istituto Nazionale per i Dipendenti degli Enti Locali), assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000.

L’indennità consiste in una somma in denaro erogata “una tantum” e ne hanno diritto gli iscritti che:

·       abbiano risolto, per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro e quello previdenziale (non ha pertanto diritto alla prestazione il dipendente che cessi dal servizio presso un Ente iscritto e sia riassunto, senza soluzione di continuità, presso un altro Ente sempre iscritto all’INPDAP);

·       abbiano almeno un anno di iscrizione all’INPDAP.

Durante il periodo di iscrizione, le amministrazioni datrici di lavoro sono tenute a versare all’INPDAP un contributo pari al 6,10% degli emolumenti utili al calcolo della prestazione, di cui il 3,60 % a loro carico e il restante 2,5% a carico del lavoratore.

La prestazione è pari ad 1/15 dell’80% della retribuzione contributiva degli ultimi 12 mesi di servizio per ogni anno di servizio maturato, comprensiva dell’indennità integrativa speciale (cioè l’indennità di contingenza).

Nei casi di reiscrizione, l'indennità viene riliquidata limitatamente al nuovo servizio prestato, se quello precedente è già stato oggetto di liquidazione.

L’indennità si prescrive nel termine di 5 anni dalla data in cui è sorto il diritto; è soggetta a tassazione separata; non è cedibile; è sequestrabile e pignorabile nei limiti di 1/3 per crediti alimentari e di 1/5 negli altri casi. Attualmente non è consentita, a differenza di quanto previsto per il TFR, la corresponsione di anticipazioni sulla prestazione.

 

 

Indennità di buonuscita

Spetta, all’atto del collocamento a riposo, ai dipendenti statali e gli altri iscritti alla ex gestione ENPAS (Ente nazionale previdenza e assistenza ai dipendenti statali), assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000.

L’indennità consiste, come nel caso dell’indennità premio di fine servizio, in una somma in denaro erogata “una tantum” alla quale hanno diritto gli iscritti in possesso degli identici requisiti di iscrizione all’INPDAP individuati in precedenza.

Durante il periodo di iscrizione le amministrazioni datrici di lavoro sono tenute a versare all’INPDAP un contributo pari al 9,60% degli emolumenti utili al calcolo della prestazione, di cui il 7,10 % a loro carico e il restante 2,50% a carico del lavoratore.

L’indennità di buonuscita è pari a tanti dodicesimi dell’80% dell’ultimo trattamento retributivo, dell’indennità integrativa speciale (nella misura del 60%), della tredicesima mensilità, per quanti sono gli anni utili (periodi di servizio resi con iscrizione al fondo, riscattati, nonché quelli relativi ad anzianità di servizio convenzionali, la cui copertura previdenziale è prevista da apposite disposizioni legislative), computando come anno intero la frazione di anno superiore a sei mesi (quella uguale o inferiore si trascura).

Gli iscritti, inoltre, hanno la facoltà di chiedere, agli effetti della liquidazione della buonuscita, la valutazione dei servizi statali civili e militari prestati, valutabili, riscattabili o comunque riconoscibili ai fini del trattamento di pensione a carico dello Stato, non coperti dal contributo previdenziale obbligatorio.

Come l’’indennità premio di fine servizio, l’indennità di buonuscita si prescrive nel termine di 5 anni dalla data in cui è sorto il diritto; è soggetta a tassazione separata; non è cedibile; è sequestrabile e pignorabile nei limiti di 1/3 per crediti alimentari e di 1/5 negli altri casi. Anche in questo caso non è consentita, a differenza di quanto previsto per il TFR, la corresponsione di anticipazioni sulla prestazione.

 

 

La seguente tabella riassume le differenze di calcolo tra le due indennità e il TFR

 

Prestazione

Calcolo

Contr. lavoratore

Contr. Datore di lavoro

Indennità di buonuscita (Stato)

1/12 dell'80% ultima retribuzione + 48% IIS per anni utili(*)

2,50%

7,10%

Indennità premio di fine servizio (Enti locali, Asl ecc)

1/15 dell’80% ultima retribu­zione annua compresa IIS

2,50%

3,60%

TFR

Somma degli 6,91% accan­tonamenti annui, pari al 6,91% della retribuzione annua utile, rivalutata an­nualmente ad un tasso costituito dall’1,5% + 75% dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo

==

6,91%

(*) Ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del CCNL Comparto Ministeri del 12 giugno 2003 (Quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003), a decorrere dal 1° gennaio 2003 l’IIS cessa di essere corrisposta come singola voce della retribuzione ed è conglobata nella voce stipendio tabellare.

 


 

Articolo 24
(Detassazione TFS)

 

L'articolo 24 riduce l'imposta sul reddito delle persone fisiche sull'indennità di fine servizio (comunque denominata) per la cessazione dal rapporto di lavoro, in misura crescente rispetto al tempo trascorso fra la stessa (o, in caso di cessazione anteriore al 1° gennaio 2019, fra tale data) e la corresponsione della relativa indennità. Tale riduzione si applica sull'imponibile dell'indennità non superiore a 50 mila euro.

 

In particolare, la disposizione (comma 1) in esame determina la riduzione dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle persone fisiche determinata sull’indennità di fine servizio (per approfondimenti sul quale si rimanda alla scheda di lettura sul precedente articolo 23), comunque denominata, ai sensi dell’articolo 19, comma 2-bis del testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).

Tale disposizione prevede che l'aliquota sia determinata con riferimento all'anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all'importo che risulta dividendo il suo ammontare netto, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al decreto legislativo n. 124 del 1993, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici.

 

L'aliquota viene ridotta in misura crescente rispetto al tempo trascorso fra la cessazione del rapporto di lavoro (o, in caso di cessazione anteriore al 1° gennaio 2019, fra tale data) e la corresponsione della relativa indennità.

In particolare, la riduzione è pari a:

-     1,5 punti percentuali per le indennità corrisposte decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;

-     3 punti percentuali per le indennità corrisposte decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;

-     4,5 punti percentuali per le indennità corrisposte decorsi trentasei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;

-     6 punti percentuali per le indennità corrisposte decorsi quarantotto mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data;

-     7,5 punti percentuali per le indennità corrisposte decorsi sessanta mesi o più dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data.

Il comma 2 specifica, inoltre, che tali riduzioni vengono applicate sull’imponibile dell’indennità di fine servizio di importo non superiore a 50.000 euro.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire se le riduzioni di cui al presente articolo trovino applicazione anche per i lavoratori privati, qualora, di fatto, il trattamento di fine rapporto sia ad essi corrisposto oltre i termini temporali contemplati dal medesimo articolo.


 

Articolo 25
(Ordinamento degli Enti previdenziali pubblici)

 

L'articolo 25 reca alcune modifiche alla disciplina sull'ordinamento dell'INPS e dell'INAIL, prevedendo, tra l'altro, la reintroduzione del consiglio di amministrazione tra gli organi di tali enti. Consente, inoltre, che, in fase di prima attuazione, si provveda con decreto ministeriale alla nomina di un soggetto che, nelle more del perfezionamento delle procedure di nomina del nuovo Presidente e del consiglio di amministrazione, assicuri il corretto dispiegarsi dell'attività amministrativa dei due enti dopo la scadenza, la decadenza o la cessazione del mandato del Presidente dell'Istituto.

 

Il comma 1 novella l'articolo 3 del decreto legislativo n. 479 del 1994, incidendo sull'ordinamento dell'INPS e dell'INAIL[63].

Ai sensi del testo finora vigente, sono organi dell'INPS e dell'INAIL: il presidente, il consiglio di indirizzo e vigilanza, il collegio dei sindaci, il direttore generale. Il comma 1, lettera a), inserisce tra gli organi degli enti in oggetto il consiglio di amministrazione. La novella rispristina, quindi, tale organo, già previsto prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale lo aveva soppresso attribuendo le sue funzioni al Presidente dell'ente.

Riguardo al Presidente, la lettera b) del comma 1 ripropone sostanzialmente la disciplina di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 479 del 1994, precedente le modifiche del decreto-legge n. 78 del 2010. Il Presidente ha la rappresentanza legale dell'Istituto, convoca e presiede il consiglio di amministrazione e può assistere alle sedute del consiglio di indirizzo e vigilanza. Quanto alla sua nomina, la novella conferma la disciplina finora vigente. Tale disciplina rinvia alla legge 24 gennaio 1978, n. 14 (che reca disciplina sul parere delle competenti Commissioni parlamentari sulle nomine di enti pubblici), ed alla procedura di cui all'articolo 3 della legge n. 400 del 1988. La nomina avviene con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente. Nel caso in esame, si prevede che la deliberazione del Consiglio dei Ministri sia adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Riguardo ai requisiti stabiliti per la carica di Presidente, cfr. sub la successiva lettera d).

 

La lettera c) interviene sulla disciplina concernente il consiglio di indirizzo e vigilanza.

La novella di cui al numero 1) inserisce la fattispecie della decadenza del Presidente dell'ente tra le ipotesi in cui il medesimo consiglio deve informare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali circa la necessità di nominare un nuovo Presidente.

La novella di cui al numero 2) specifica che, qualora ricorra una delle suddette ipotesi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede alla proposta di nomina del Presidente dell'Istituto.

 

La novella di cui alla lettera d) definisce le funzioni e la composizione del consiglio di amministrazione.

Le norme sulle funzioni ripropongono quanto previsto prima della novella recata dal decreto-legge n. 78 del 2010 (la quale sopprimeva il medesimo consiglio).

All'organo in esame spetta di:

-     predisporre i piani pluriennali, i criteri generali dei piani di investimento e disinvestimento, il bilancio preventivo ed il conto consuntivo;

-     approvare i piani annuali nell'ambito della programmazione;

-     deliberare i piani d'impiego dei fondi disponibili e gli atti individuati nel regolamento interno di organizzazione e funzionamento;

-     deliberare il regolamento organico del personale, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del personale; deliberare l'ordinamento dei servizi, la dotazione organica e i regolamenti di amministrazione e contabilità;

-     deliberare i regolamenti che disciplinano l'organizzazione e le procedure relative all'accertamento, riscossione e accreditamento della contribuzione e dei premi e alla liquidazione ed erogazione delle prestazioni (di cui all'articolo 10 del decreto-legge n. 536 del 1987, convertito dalla legge n. 48 del 1988);

-     trasmettere trimestralmente al consiglio di indirizzo e vigilanza una relazione sull'attività svolta, con particolare riferimento al processo produttivo ed al profilo finanziario, nonché qualsiasi altra relazione che venga richiesta dal consiglio di indirizzo e vigilanza.

Il consiglio di amministrazione esercita inoltre ogni altra funzione che non sia compresa nella sfera di competenza degli altri organi dell'ente.

La novella di cui alla medesima lettera d) prevede che il consiglio di amministrazione sia composto dal Presidente dell'Istituto, che lo presiede, e da quattro membri.

 

Si ricorda che la disciplina previgente rispetto alle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 78 del 2010 prevedeva che il consiglio di amministrazione fosse composto dal Presidente dell'Istituto (che lo presiedeva) e da otto esperti per l'INPS e da sei esperti per l'INAIL.

 

Per i componenti del consiglio (ivi compreso il presidente dell'ente) vengono richiesti - come già nel testo relativo ai previgenti consigli di amministrazione - comprovata competenza e professionalità, nonché indiscussa moralità ed indipendenza. Le novelle in esame (in base alla riformulazione dell'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 479 del 1994, operata dalla precedente lettera b)) non prevedono anche requisiti più specifici per la nomina del Presidente - la disciplina finora vigente faceva riferimento ad alta professionalità, capacità manageriale e qualificata esperienza nell'esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell'ente -.

Si applicano ai membri del consiglio, in base ai richiami contenuti nella novella in esame, le disposizioni riguardanti: gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013); le norme in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico (di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013). Riguardo alle incompatibilità, si stabilisce esplicitamente che la carica di membro del consiglio di amministrazione sia incompatibile con quella di componente del consiglio di indirizzo e vigilanza.

 

La lettera e) integra il comma 8 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 479 del 1994. Si prevede che il consiglio di amministrazione sia nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze. Si valuti l’opportunità, sul piano redazionale, coordinare tale novella con quella di cui alla precedente lettera b), che contempla una procedura parzialmente diversa per la nomina del presidente dell'ente (il quale, come detto, è anche presidente del consiglio di amministrazione).

 

La disciplina sulla nomina del consiglio di amministrazione precedente il decreto-legge n. 78 del 2010 stabiliva che il decreto fosse emanato "di concerto" con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della funzione pubblica.

 

La lettera f) - sostituendo il comma 11 dell'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 479 - demanda ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione degli emolumenti dei Presidenti e dei componenti dei consigli di amministrazione di INPS e INAIL. I relativi costi sono compensati mediante corrispondente riduzione dei costi di funzionamento dei rispettivi enti. A tal fine, ciascun Istituto definisce interventi di riduzione strutturale della spesa - ulteriori rispetto a quanto già previsto a legislazione vigente - entro il 30 aprile 2019. Le suddette misure sono sottoposte alla verifica del collegio dei sindaci dei rispettivi enti previdenziali e comunicate ai Ministeri vigilanti.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame pone una disciplina transitoria, applicabile all'INPS e all'INAIL, nelle more del perfezionamento delle procedure di nomina del Presidente e del consiglio di amministrazione dei medesimi Istituti, al momento della scadenza, della decadenza o della cessazione del mandato del Presidente in carica. In fase di prima attuazione, per assicurare la continuità dell'azione amministrativa dell'INPS e dell'INAIL, si consente la nomina di un soggetto cui sono attribuiti i poteri del Presidente e del consiglio di amministrazione, come individuati nelle disposizioni in esame. La nomina avviene con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Al riguardo, sempre con riferimento alla suddetta fase di prima attuazione, viene esclusa l'applicazione della disciplina sulla proroga temporanea degli organi amministrativi non ricostituiti (di cui all'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 293 del 1994).

 

Il comma 3 abroga il comma 8 dell’articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale attribuiva le funzioni del consiglio di amministrazione al Presidente dell'Istituto.


 

Articolo 25-bis
(Disposizioni per i giornalisti in servizio presso gli uffici stampa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)

 

L'articolo 25-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, stabilisce l'applicabilità, in via transitoria, della disciplina prevista dai singoli ordinamenti degli enti ai giornalisti in servizio presso gli uffici stampa delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, fino a quando, in sede di contrattazione collettiva, tali enti non abbiano definito una specifica disciplina in materia.

 

A tal fine, l'articolo in epigrafe integra l'articolo 9, comma 5, della legge n. 150 del 2000[64]. Tale comma 5 demanda alla contrattazione collettiva nell'àmbito di una speciale area di contrattazione - con l'intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti - l'individuazione e la regolamentazione dei profili professionali negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni.

 

L'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 422 del 2001[65] stabilisce che l'esercizio delle attività di informazione nell'àmbito degli uffici stampa di cui al summenzionato articolo 9 della legge n. 150 del 2001, è subordinato:

-     al possesso dei titoli culturali previsti dai vigenti ordinamenti e disposizioni contrattuali in materia di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni,

-     al possesso del requisito della iscrizione negli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti dell'albo nazionale dei giornalisti[66], per il personale che svolge funzioni di capo ufficio stampa e per il personale che, ove previsto, coadiuva il capo ufficio stampa nell'esercizio delle funzioni istituzionali, ivi compresi i rapporti diretti con la stampa e, in generale, con i media (salvo le disposizioni specifiche previste per l'Amministrazione degli affari esteri dal d.P.R. n. 18 del 1967).


 

Articolo 25-ter
(Trasparenza in materia di trattamenti pensionistici)

 

L’articolo 25-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, formula un principio generale, in base al quale tutti gli enti erogatori di trattamenti pensionistici devono fornire ai soggetti percettori precisa e puntuale informazione circa eventuali trattenute relative alle quote associative sindacali.

Si demanda ad un decreto ministeriale, da emanarsi entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, la definizione delle modalità di attuazione della norma in esame, dalla quale non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 


 

Articolo 26
(Fondo di solidarietà del trasporto aereo)

 

L’articolo 26 reca modifiche alla disciplina del Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo

Il richiamato Fondo speciale (di seguito Fondo) ha lo scopo di favorire il mutamento e il rinnovamento delle professionalità del personale del settore del trasporto aereo, nonché di realizzare politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione dei lavoratori del medesimo settore (vedi infra).

 

L’intervento in esame mira a prorogare per un ulteriore anno alcune disposizioni volte a mantenere l’assetto del Fondo alla normativa antecedente alla L. 92/2012 (e in seguito al D.Lgs. 148/2015, che attualmente disciplina i fondi di solidarietà).

 

Si fa presente, in proposito, che il richiamato Fondo è stato adeguato alle previsioni degli articoli da 26 a 40 del D.Lgs. 148/2015 con il decreto interministeriale 7 aprile 2016, n. 95269, assumendo la denominazione di Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale.

 

Più specificamente si dispone:

-     che dal 1° gennaio 2020 le maggiori somme derivanti dall'incremento della richiamata addizionale siano riversate alla GIAS[67], mentre per l’anno 2019 le stesse somme siano riversate alla medesima gestione nella misura del 50% (nuovo testo del comma 47 dell’articolo 2 della L. 92/2012) (comma 1);

-     l’incremento della richiamata addizionale comunale sui diritti di imbarco di tre euro a passeggero. Tale incremento è destinato fino al 31 dicembre 2018 ad alimentare il Fondo in esame, e, per il 2019, all’alimentazione del Fondo medesimo nella misura del 50% (nuovo testo del comma 48, lettera a), dell’articolo 2 della L. 92/2012) (comma 2).

 

Vengono infine abrogati (comma 3) i commi 5 e 6 dell'articolo 13-ter del D.L. 113/2016.

Tali commi disciplinano il regime dell’addizionale comunale sui diritti d’imbarco per il 2019.

Più specificamente, tali commi stabiliscono che l’addizionale comunale sui diritti d’imbarco, che era stata incrementata, ai sensi dell’articolo 6-quater, comma 2, del D.L. 7/2005 di 3 euro a passeggero (e rispetto alla quale per gli anni 2016-2018 sono applicati gli ulteriori incrementi di cui al citato decreto ministeriale del 29 ottobre 2015, che cessano di operare proprio dal 2019) sia ulteriormente incrementata di 32 centesimi di euro per passeggero (comma 5). Il gettito di tale incremento è acquisito al patrimonio netto dal Fondo speciale (vedi infra).

Inoltre, l’incremento indicato può essere rideterminato in riduzione tenuto conto dell’andamento e delle prestazioni del Fondo speciale e dell’occupazione del personale del settore del trasporto aereo.

 

Il Fondo in esame rientra tra i fondi di solidarietà bilaterali (si veda anche scheda sub articolo 22), istituiti ai sensi dell’articolo 3, commi 4-45, della L. 92/2012 (cd. Riforma del mercato del lavoro) per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale (ordinaria o straordinaria), hanno lo scopo di assicurare ai lavoratori interessati una tutela nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Attualmente, la materia è disciplinata dagli articoli 26-40 del D.Lgs. 148/2015.

Il Fondo speciale in oggetto, istituito ai sensi dell'articolo 1-ter del D.L. 249/2004, è stato adeguato alla normativa vigente con il decreto interministeriale 7 aprile 2016, n. 95269.

Il Fondo speciale è stato istituito con la finalità di favorire il mutamento e il rinnovamento delle professionalità, nonché di realizzare politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione dei lavoratori del settore, mediante: il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale anche in concorso con gli appositi fondi nazionali, territoriali, regionali o comunitari; l’erogazione di specifici trattamenti a favore dei lavoratori interessati da riduzioni dell'orario di lavoro (ivi compresi i contratti di solidarietà), da sospensioni temporanee dell'attività lavorativa o da processi di mobilità secondo modalità da concordare tra azienda ed organizzazioni sindacali.

Il Fondo speciale è alimentato da un contributo sulle retribuzioni a carico dei datori di lavoro di tutto il settore del trasporto aereo pari allo 0,333% e da un contributo a carico dei lavoratori pari allo 0,167% (per un totale quindi pari allo 0,50%). Il fondo è inoltre alimentato da contributi del sistema aeroportuale che gli operatori stessi converranno direttamente tra di loro per garantire la piena operatività del fondo e la stabilità del sistema stesso. Per quanto concerne le risorse volte ad alimentare il Fondo speciale, si fa presente, inoltre, che l’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005 ha aumentato di un euro l’addizionale comunale sui diritti d’imbarco dei passeggeri, (portandola così a 2 euro), destinando le relative risorse, fino al 31 dicembre 2015, al Fondo speciale. Su tale disposizione sono successivamente intervenuti i commi 47 e 48 dell’articolo 2 della legge n.92/2012 i quali hanno previsto che le maggiori risorse destinate al Fondo speciale ai sensi dell’articolo 6-quater del D.L. n. 7/2005 fossero riversate, a partire dal 1°gennaio 2016, all’INPS.

In materia, successivamente alla L. 92/2012, ma prima della riforma seguita al D.Lgs. 148/2015, è intervenuto il D.L. 145/2013.

L’articolo 3, comma 47, lettera c), della L. 92/2012 (abrogato dall’articolo 13, comma 22, del D.L. 145/2013) aveva previsto l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dell’articolo 1-ter del DL 294/2004, in vista della trasformazione del Fondo speciale in Fondo di solidarietà, ai sensi dell’articolo 3, commi 4-21, della richiamata L. 92/2012.

Ai sensi dell’articolo 2, commi 47 e 48, della L. 92/2012 (così come modificati dall’articolo 13, commi 21, lettere a) e b), del D.L. 145/2013), hanno avuto lo scopo di mantenere il richiamato Fondo nell’assetto antecedente alle disposizioni della stessa L. 92/2012 (e delle successive disposizioni del D.Lgs. 148/2015).

Più specificamente, con l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio del Fondo fino al 2018, è stata prolungata di tre anni sia l’operatività delle norme (articolo 2, commi 47, della L. 92/2012) che hanno disposto la devoluzione al Fondo medesimo delle maggiori entrate derivanti dall’incremento dell’addizionale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili (quindi fino al 1° gennaio 2019), sia l’incremento (articolo 2, comma 48, lettera a), della L. 92/2012), di 3 euro a passeggero dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco (quindi fino al 31 dicembre 2018) di cui all'articolo 6-quater, comma 2, del D.L. 7/2005.


 

Articoli 26-bis e 26 ter
(Disposizioni in materia di CIGS)

 

Gli articoli 26-bis e 26-ter, introdotti nel corso dell’esame al Senato, dettano disposizioni in materia di CIGS.

 

L’articolo 26-bis rifinanzia per gli anni 2019 e 2020 le misure in materia di ammortizzatori sociali previste dall’articolo 22-bis del D.Lgs. n. 148 del 2015 e successive modificazioni.

 

In particolare, sono stanziati ulteriori 80 milioni di euro per l’anno 2019 e 50 milioni di euro per il 2020 per la prosecuzione di programmi di CIGS per riorganizzazione, crisi aziendali e contratto di solidarietà.

Detti importi sono a carico del Fondo per l’occupazione e la formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lett. a) del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185.

 

L’articolo 22-bis del D.Lgs. n. 148/2015 (introdotto dall’articolo 1, comma 133, della L. 205/2017 e modificato, da ultimo, dall’art. 25, c. 1, del D.L. 119/2018) ha consentito, per il biennio 2018-2019 una deroga ai limiti massimi di durata del trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS).

La deroga è ammessa per le imprese che presentino una rilevanza economica strategica, anche a livello regionale, e notevoli problematiche occupazionali, con esuberi significativi nel contesto territoriale. In tale ambito, la deroga è subordinata sia alla stipulazione in sede governativa di un accordo - presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la presenza della regione o delle regioni interessate -, sia alla presentazione, da parte dell'impresa, di piani di gestione intesi alla salvaguardia occupazionale - che contemplino specifiche azioni di politiche attive - concordati con la regione o le regioni interessate, sia alla sussistenza di una delle seguenti ipotesi:

§  il programma di riorganizzazione aziendale comprenda investimenti complessi, non attuabili nel limite temporale di durata del trattamento straordinario;

§  il medesimo programma contenga piani di recupero occupazionale (mediante la ricollocazione delle risorse umane) e azioni di riqualificazione non attuabili nel suddetto limite temporale;

§  per la causale contratto di solidarietà, qualora permanga, in tutto o in parte, l'esubero di personale già dichiarato nell'accordo;

§  il piano di risanamento presenti interventi correttivi complessi, intesi a garantire la continuazione dell’attività aziendale e la salvaguardia occupazionale, non attuabili nel limite temporale di durata del trattamento;

Per le prime tre ipotesi, si prevede che la proroga possa essere concessa fino ad un limite di 12 mesi, mentre per la terza ipotesi si ammette un limite massimo di 6 mesi. Per il complesso delle proroghe in esame è fissato un limite massimo di spesa pari a 100 milioni di euro annui, per il biennio 2018-2019. Al relativo onere finanziario si provvede a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione.

 

L’articolo 26-ter autorizza il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in presenza di determinate condizioni occupazionali e finanziarie, a disporre acconti sulla erogazione del trattamento di integrazione salariale al fine di garantire la continuità del sostegno al reddito dei lavoratori sospesi di aziende ricadenti in aree di crisi complessa con organico superiore a 500 unità lavorative

 

In particolare, la norma, che introduce un comma aggiuntivo (1-bis) all’articolo 22-bis del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, è rivolta ai lavoratori  dipendenti di imprese con un rilevante organico (superiore a 500 unità) che hanno in corso dei programmi pluriennali di riorganizzazione in aree in cui è accertata la complessità della crisi, che hanno già stipulato specifico accordo in sede ministeriale per la proroga del periodo  di cassa integrazione guadagni straordinaria, ai sensi del comma l dell'art. 22 bis medesimo.

Accanto al requisito dimensionale dell’impresa e alla sua operatività in aree di crisi, si richiede l’esistenza di difficoltà nella realizzazione dei programmi di riorganizzazione stessi legati al reperimento delle risorse finanziarie.

A seguito di istruttoria degli uffici competenti in ordine alla ricorrenza dei suddetti presupposti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può autorizzare acconti per sei mensilità di integrazione salariale straordinaria, che sono computate nell’ambito delle mensilità autorizzabili dalla disposizione di cui al comma 1[68] e a valere sulle stesse risorse già stanziate dal successivo comma 3 dell’articolo 21-bis sul Fondo per l’occupazione e formazione.

Qualora l'istanza di proroga della CIGS non sia accolta, si prevede, infine, che le somme corrisposte  ai lavoratori saranno recuperate dall'Inps a carico dell'impresa, come avviene nei casi di successiva revoca dei trattamenti di CIGS già autorizzati, ai sensi dell’art. l-bis del decreto-legge n. 108/2002, convertito nella legge n.172/2002[69].


 

Articolo 26-quater
(Trattamenti di integrazione salariale in deroga)

 

Il presente articolo è stato inserito dal Senato in prima lettura. Esso concerne i termini temporali per la presentazione, da parte del datore di lavoro, dei dati necessari per il pagamento, da parte dell'INPS, dei trattamenti di integrazione salariale in deroga, con riferimento ai casi in cui tale pagamento debba essere operato direttamente dall'INPS ai lavoratori.

In particolare, si richiede che i dati suddetti siano inviati, secondo le modalità stabilite dall'INPS, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione (del trattamento medesimo).

La novella prevede inoltre che, qualora il termine (posto a pena di decadenza) decorra inutilmente, il pagamento delle prestazioni e gli oneri ad esse connessi siano a carico del datore di lavoro inadempiente.

Per i trattamenti conclusi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i sei mesi decorrono dalla suddetta data di entrata in vigore.


 

Articolo 26-quinquies
(Trattamento pensionistico del personale ENAV)

 

Il presente articolo è stato inserito dal Senato in prima lettura. I commi da 1 a 3 concernono il requisito anagrafico ed i termini di decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia delle seguenti categorie di dipendenti dell'Ente nazionale di assistenza al volo (ENAV): controllori del traffico aereo, piloti, operatori radiomisure, esperti di assistenza al volo ed esperti meteo. Il comma 4 reca la copertura finanziaria dei conseguenti oneri.

Nella disciplina vigente, il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia per i soggetti in esame - sempre che venga meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per raggiunti limiti di età e gli ordinamenti di settore (che disciplinano il rilascio ed il rinnovo di tale titolo) non ne prevedano l'elevazione[70] - è pari a 60 anni, qualora essi siano stati assunti dall'ENAV entro il 1° gennaio 1996, con l'applicazione dei termini di decorrenza del trattamento (cosiddette finestre) di cui all'articolo 1, comma 5, lettera b), della L. 24 dicembre 2007, n. 247; per i soggetti assunti dopo il 1° gennaio 1996 (i quali sono iscritti al regime generale INPS dei lavoratori dipendenti privati[71]) trovano attualmente applicazione, secondo l'interpretazione seguita dall'INPS[72], i requisiti per la pensione di vecchiaia del regime generale INPS dei lavoratori dipendenti privati.

Le novelle di cui ai commi da 1 a 3 estendono ai soggetti assunti dopo il 1° gennaio 1996 il requisito anagrafico ed i termini di decorrenza già previsti per quelli assunti in data antecedente.

 

In base ai termini già previsti dalla citata lettera b) dell'articolo 1, comma 5, della L. n. 247 del 2007, i soggetti in possesso dei requisiti in esame entro il primo trimestre dell'anno possono accedere al pensionamento dal 1° luglio dell'anno medesimo; i soggetti in possesso dei requisiti entro il secondo trimestre possono accedere al pensionamento dal 1° ottobre dell'anno medesimo; i soggetti in possesso dei requisiti entro il terzo trimestre dell'anno possono accedere al pensionamento dal 1° gennaio dell'anno successivo; i soggetti in possesso dei requisiti entro il quarto trimestre dell'anno possono accedere al pensionamento dal 1° aprile dell'anno successivo.

 

Il comma 4 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle novelle di cui ai commi da 1 a 3, riducendo nelle misure ivi indicate il Fondo per interventi strutturali di politica economica.


 

Articolo 26-sexies
(Sostegno al reddito dei lavoratori del settore del call center)

 

La norma, introdotta nel corso dell’esame al Senato, rifinanzia anche per l’anno 2019 le misure di sostegno al reddito dei lavoratori del settore dei call center previste dal comma 7 dell’articolo 44 del d.lgs. 148 del 2015.

 

In particolare, sono stanziati 20 milioni di euro per l’anno 2019 a valere sul Fondo per l’occupazione e la formazione.

La relazione tecnica precisa che la disposizione si rende necessaria per far fronte al fatto che “alcune realtà aziendali, alle quali è cessata la legislazione ordinaria di riferimento (Fondo integrazione salariale di cui al decreto legislativo 148/2005) si trovano ancora ad affrontare sofferenze occupazionali che possono trovare  soluzioni tramite  l'articolo  in questione, riguardanti circa n.2000 lavoratori.”

 


 

Articolo 27
(Disposizioni in materia di giochi)

 

L'articolo 27 contiene una serie di disposizioni che incidono sulla disciplina in materia di giochi. Il comma 1 aumenta la ritenuta sulle vincite del gioco numerico a quota fissa denominato "10&Lotto". Il comma 2 modifica l'articolo 1, comma 1051, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019), disponendo un ulteriore aumento delle aliquote del prelievo erariale unico (PREU) applicabili agli apparecchi cosiddetti new slot. Il comma 3 subordina il rilascio dei nulla osta di distribuzione ai produttori e agli importatori degli AWP al versamento di un corrispettivo una tantum di 100 euro per ogni singolo apparecchio. Per i concessionari di apparecchi AWP, per il solo anno 2019, il corrispettivo una tantum è fissato in 200 euro per ogni singolo apparecchio. Si chiarisce, inoltre, al comma 4 che l’introduzione della tessera sanitaria per l'accesso agli apparecchi AWP deve intendersi riferita agli apparecchi che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto. Il comma 5 stabilisce che, per il 2019, i versamenti dovuti con riferimento al prelievo erariale unico (PREU) a titolo di primo, secondo e terzo acconto relativi al sesto bimestre sono maggiorati nella misura del 10 per cento ciascuno. Il comma 6 inasprisce le sanzioni applicabili all'organizzazione abusiva del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici. Il comma 7 identifica una nuova sanzione applicabile a chiunque produca o metta a disposizione apparecchi per il gioco lecito non conformi ai requisiti previsti dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

 

Il comma 488 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), al fine di realizzare una tendenziale armonizzazione della misura del prelievo erariale sul Lotto a quella vigente per altri tipi di gioco, ha sostituito le percentuali delle ritenute previste dagli articoli 2, comma 9, della legge n. 699 del 1967 e 17, comma 4, della legge n. 25 del 1986, n. 25, fissando una ritenuta unica del 6 per cento.

 

In seguito, tale misura è stata modificata per effetto dell'articolo 6, comma 2, del decreto legge n. 50 del 2017, che ha aumentato la percentuale della ritenuta all'8 per cento, a decorrere dal 1° ottobre 2017.

 

Il comma 1 dell'articolo in esame, con riferimento al gioco numerico a quota fissa denominato “10&lotto” e ai relativi giochi opzionali e complementari, determina un ulteriore aumento fissandola all’11 per cento a decorrere dal 1° luglio 2019. L'ultimo periodo del primo comma specifica che, per tutti gli altri giochi numerici a quota fissa, resta ferma la ritenuta dell’8 per cento.

 

Il comma 2 modifica l'articolo 1, comma 1051 della legge di bilancio 2019, che ha incrementato a decorrere dal 1° gennaio 2019 dell’1,35 e dell’1,25 per cento le aliquote del prelievo erariale unico (PREU) applicabili agli apparecchi da divertimento e intrattenimento idonei per il gioco lecito identificati dall'articolo 110, comma 6, lettera a), i cosiddetti amusement with prizes (AWP o new slot) e lettera b), le cosiddette videolottery (VLT), del regio decreto n. 773 del 1931 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).

 

Più precisamente, si tratta degli apparecchi dotati di attestato di conformità rilasciato dal Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, slot machine, e di quelli facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa, videolottery.

 

Si ricorda che, da ultimo, l’articolo 9, comma 6, del decreto legge n. 87 del 2018 (cd. decreto dignità), convertito con legge n. 96 del 2018, ha aumentato la misura del prelievo erariale unico sui predetti apparecchi, fissando le aliquote nella seguente modalità:

§ al 19,25 per cento (AWP) e al 6,25 per cento (VLT) dell'ammontare delle somme giocate a decorrere dal 1° settembre 2018;

§ al 19,6 per cento (AWP) e al 6,65 per cento (VLT) dal 1° maggio 2019;

§ al 19,68 per cento (AWP) e al 6,68 per cento (VLT) dal 1° gennaio 2020,

§ al 19,75 per cento (AWP) e al 6,75 per cento (VLT) dal 1° gennaio 2021

§ al 19,6 per cento (AWP) e al 6,6 per cento (VLT) dal 1° gennaio 2023.

 

Il comma 1051 della legge di bilancio 2019 incrementa pertanto le predette aliquote di un ulteriore 1,35 per cento per i cosiddetti amusement with prizes (AWP o new slot) e dell’1,25 per cento per le cosiddette videolottery (VLT) a decorrere dal 1° gennaio 2019.

 

Con il medesimo comma, è stata fissata inoltre la percentuale minima destinata alle vincite (pay-out) rispettivamente al 68 per cento per gli AWP e all'84 per cento per le VLT, specificando che le operazioni tecniche per l'adeguamento della percentuale di restituzione in vincita devono essere concluse entro 18 mesi dall'entrata in vigore della legge di bilancio 2019.

 

L'articolo 27, comma 2, del decreto in esame modifica il suddetto comma 1051, disponendo che l'aumento delle aliquote applicabili alle new slot sia pari al 2 per cento (rispetto all'1,35 per cento disposto dalla legge di bilancio 2019).

 

Si ricorda che è stato l’articolo 39 del decreto-legge n. 269 del 2003, al comma 13, a stabilire che agli apparecchi e ai congegni indicati all'articolo 110, comma 6, del TULPS (R.D. n. 773/1931), vale a dire le newslot (AWP) e le videolottery (VLT) si applichi un prelievo erariale unico fissato originariamente in misura del 13,5 per cento delle somme giocate.

Si segnala, infine, che il comma 5 dell’articolo in esame stabilisce che per il 2019 i versamenti dovuti con riferimento al prelievo erariale unico (PREU) a titolo di primo, secondo e terzo acconto relativi al sesto bimestre sono maggiorati nella misura del 10 per cento ciascuno.

 

Con riferimento al comma 3, si ricorda preliminarmente che l'articolo 38, comma 4, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, rilasci il nulla osta ai produttori e agli importatori degli apparecchi e dei congegni di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del regio decreto n. 773 del 1931 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), nonché ai loro gestori. Si tratta di apparecchi da divertimento e intrattenimento idonei per il gioco lecito, cosiddetti amusement with prizes (AWP o new slot).

Nella richiesta di nulla osta per la distribuzione di un numero predeterminato di apparecchi, ciascuno identificato con un apposito e proprio numero progressivo, i produttori e gli importatori autocertificano che gli stessi apparecchi sono conformi al modello per il quale è stata conseguita la certificazione prevista dal citato articolo 38, comma 3, della legge finanziaria 2001. La certificazione viene rilasciata ad esito della positiva verifica tecnica della loro conformità alle prescrizioni stabilite con l'articolo 110, comma 6, lettera a), del predetto testo unico, e della loro dotazione di dispositivi che ne garantiscono la immodificabilità delle caratteristiche tecniche e delle modalità di funzionamento e di distribuzione dei premi, con l'impiego di programmi o schede che ne bloccano il funzionamento in caso di manomissione o, in alternativa, con l'impiego di dispositivi che impediscono l'accesso alla memoria. La verifica tecnica vale altresì a constatare:

-     che la manomissione dei dispositivi ovvero dei programmi o delle schede, anche solo tentata, risulta automaticamente indicata sullo schermo video dell'apparecchio o del congegno ovvero che essa è dagli stessi comunque altrimenti segnalata;

-     la rispondenza delle caratteristiche tecniche, anche relative alla memoria, delle modalità di funzionamento e di distribuzione dei premi, dei dispositivi di sicurezza, propri di ciascun apparecchio e congegno, ad un'apposita scheda esplicativa fornita dal produttore o dall'importatore in relazione all'apparecchio o al congegno sottoposto ad esame.

I produttori e gli importatori sono tenuti a dotare ogni apparecchio oggetto della richiesta di nulla osta della scheda esplicativa e a consegnare ai cessionari degli apparecchi una copia del nulla osta e, sempre per ogni apparecchio ceduto, la relativa scheda esplicativa. La copia del nulla osta e la scheda esplicativa devono essere altresì consegnate in occasione di ogni ulteriore cessione degli apparecchi.

 

In particolare, il comma 3 stabilisce, al primo periodo, che il rilascio dei nulla osta di distribuzione previsti dall’articolo 38, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 ai produttori e agli importatori degli AWP, venga subordinato al versamento di un corrispettivo una tantum di 100 euro per ogni singolo apparecchio.

 

Il secondo periodo del comma 3 è invece riferito a diverso e specifico regime di concessione di apparecchi AWP, definito dall'articolo 12 del decreto legge n. 39 del 2009 e nuovamente disciplinato dall’articolo 24, commi 35 e 36, del decreto legge n. 98 del 2011. La disposizione in esame stabilisce che, per il solo anno 2019, il corrispettivo una tantum previsto dall’articolo 24, comma 36, del decreto legge n. 98 del 2011 sia fissato in 200 euro per ogni singolo apparecchio.

 

L'articolo 12 del decreto legge n. 39 del 2009 ha definito uno specifico regime di concessione della rete telematica per la gestione degli apparecchi da gioco, ai sensi del quale veniva data facoltà al Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, con propri decreti dirigenziali di attuare la concreta sperimentazione e l'avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali in ambienti dedicati, dalla generazione remota e casuale di combinazioni vincenti, anche numeriche, nonché dalla restituzione di vincite ciclicamente non inferiori all'ottantacinque per cento delle somme giocate.

Rispetto a tali sistemi, l'articolo 24, comma 35, del decreto legge n. 98 del 2011, ha successivamente stabilito che, entro il 30 settembre 2011, il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato avviasse le procedure occorrenti per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito prevista dall'articolo 14-bis, comma 4, del D.P.R. n. 640 del 1972, prevedendo:

a) l'affidamento della concessione ad operatori di gioco, nazionali e comunitari, di dimostrata qualificazione morale, tecnica ed economica, mediante una selezione aperta basata sull'accertamento di specifici requisiti. I soggetti aggiudicatari sono autorizzati all'installazione dei videoterminali da un minimo del 7 per cento, fino a un massimo del 14 per cento del numero di nulla osta, dichiarati in sede di gara, effettivamente acquisiti ed attivati entro sei mesi dalla data della stipula per apparecchi AWP, e a fronte del versamento di euro 15.000 per ciascun terminale; nel caso in cui risultino aggiudicatari soggetti già concessionari gli stessi mantengono le autorizzazioni alla installazione di videoterminali già acquisite, senza soluzione di continuità;

b) la durata delle autorizzazioni all'installazione dei videoterminali, fino al termine delle concessioni di cui alla precedente lettera a).

 

Il successivo comma 36 dell'articolo 24 (del decreto legge n. 98 del 2011) ha stabilito che il rilascio delle concessioni suddette venisse subordinato al versamento di un corrispettivo una tantum di 100 euro per ogni singolo apparecchio AWP, per il quale è richiesto il rilascio o il mantenimento dei relativi nulla osta. In tale contesto, l'articolo 30, comma 1, secondo periodo, del decreto in esame stabilisce che, per il solo anno 2019, il corrispettivo una tantum previsto dall’articolo 24, comma 36, del decreto legge n. 98 del 2011 sia fissato in 200 euro per ogni singolo apparecchio.

 

Il comma 4 dell'articolo 27 è riferito all'accesso agli apparecchi AWP, che, ai sensi dell'articolo 9-quater del decreto legge n. 87 del 2018, è consentito esclusivamente mediante l'utilizzo della tessera sanitaria al fine di impedire l'accesso ai giochi da parte dei minori. La disposizione in argomento specifica che, in considerazione di quanto previsto dalla legge di bilancio 2019 (comma 569, lettera b), e comma 1098), l'introduzione della tessera sanitaria deve intendersi riferita agli apparecchi AWP che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto.

 

Si ricorda che l'articolo 1, comma 569, lettera b) della legge di bilancio 2019 ha previsto che, al fine di rendere effettive le norme degli enti locali che disciplinano l'orario di funzionamento degli apparecchi AWP e videolottery, ovvero di monitorarne il rispetto e di irrogare le relative sanzioni, le regole tecniche di produzione degli apparecchi AWP che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto, da emanare con decreto del MEF ai sensi dell'articolo 1, comma 943, della legge n. 208 del 2015 (legge di bilancio 2016), devono prevedere la memorizzazione, la conservazione e la trasmissione al sistema remoto dell'orario di funzionamento degli apparecchi medesimi. Tali dati sono messi a disposizione degli enti locali dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, avvalendosi della SOGEI S.p.A. Il citato comma 943 della legge di bilancio 2016, modificato da ultimo dall'articolo 1, comma 1098 della legge di bilancio 2019, prevede che, con decreto del MEF sia disciplinato il processo di evoluzione tecnologica degli apparecchi AWP. I nulla osta per i medesimi apparecchi non possono più essere rilasciati dopo il 31 dicembre 2019 e tali apparecchi devono essere dismessi entro il 31 dicembre 2020. A partire dal 1º gennaio 2017 possono essere rilasciati solo nulla osta per apparecchi che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto, prevedendo la riduzione proporzionale, in misura non inferiore al 30 per cento, del numero dei nulla osta di esercizio relativi ad apparecchi attivi alla data del 31 luglio 2015, riferibili a ciascun concessionario. Le modalità di tale riduzione, anche tenuto conto della diffusione territoriale degli apparecchi, il costo dei nuovi nulla osta e le modalità, anche rateali, del relativo pagamento sono definiti con il citato decreto ministeriale. Il comma 1098 della legge di bilancio 2019 ha inoltre specificato che gli apparecchi che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto non possono presentare parametri di funzionamento superiori ai limiti previsti per gli apparecchi attualmente in esercizio.

 

Il comma 5 dispone che, per il solo anno 2019, i versamenti dovuti a titolo di primo, secondo e terzo acconto relativi al sesto bimestre dovuti a titolo di PREU, sono maggiorati nella misura del 10 per cento ciascuno, mentre il quarto versamento dovuto a titolo di saldo è ridotto dei versamenti effettuati a titolo di acconto, comprensivi delle dette maggiorazioni.

 

Si rammenta che l'articolo 39, comma 13-bis, del decreto legge n. 269 del 2003, aveva demandato al MEF - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) di stabilire con appositi provvedimenti: i periodi contabili in cui è suddiviso l'anno solare; le modalità di calcolo del PREU dovuto per ciascun periodo contabile e per ciascun anno solare; i termini e le modalità con cui i soggetti passivi d'imposta effettuano i versamenti periodici ed il versamento annuale a saldo.

In attuazione della disposizione dell’articolo 39 richiamato, in riferimento alle modalità di assolvimento del prelievo erariale unico dovuto sui sistemi di gioco di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del T.U.L.P.S., sono stati emanati rispettivamente i decreti del Direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato del 12 aprile 2007 e del 1° luglio 2010 che stabiliscono i termini e le modalità per la determinazione e per l'effettuazione dei versamenti del PREU.

In particolare i due decreti direttoriali (articolo 6) dispongono che i concessionari assolvono il PREU, dovuto per ciascun periodo contabile, mediante quattro versamenti da effettuarsi alle seguenti scadenze:

-     il primo versamento, entro il giorno 28 del primo mese del periodo contabile;

-     il secondo versamento, entro il giorno 13 del secondo mese del periodo contabile;

-     il terzo versamento, entro il giorno 28 del secondo mese del periodo contabile;

-     il quarto versamento, entro il giorno 22 del primo mese del periodo contabile successivo. Il quarto versamento del sesto periodo contabile è effettuato entro il giorno 22 gennaio dell'anno solare successivo.

Con riferimento a ciascun anno solare, il concessionario effettua il versamento del PREU, dovuto a titolo di saldo, entro il 16 marzo dell'anno successivo e l'importo di ciascuno dei primi tre versamenti che il concessionario effettua per il singolo periodo contabile è determinato nella misura del 25 per cento dell'ammontare del PREU dovuto per il penultimo periodo contabile precedente.

 

Il comma 6 dell'articolo 27 modifica l'articolo 4 della legge n. 401 del 1989, recante le sanzioni per l'esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, al fine di renderne più efficace il contrasto e disincentivare i fenomeni di disturbo da gioco d’azzardo patologico. Più in particolare:

-     il comma 1, lettera a), aumenta le pene, per chiunque esercita abusivamente l'organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, stabilendo che venga punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da 20.000 a 50.000 mila euro (rispetto al testo previgente che prevede la sola reclusione da sei mesi a tre anni). La stessa pena è applicabile a chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall'Unione italiana per l'incremento delle razze equine (UNIRE);

-     il comma 1, lettera b), prevede la sostituzione del riferimento alla “Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato” con quello alla “Agenzia delle dogane e dei monopoli”;

-     il comma 1, lettera c), inserisce un nuovo comma (4-quater), ai sensi del quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è tenuta alla realizzazione, in collaborazione con la Guardia di finanza e le altre forze di polizia, di un piano straordinario di controllo e contrasto dell'esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa con l’obiettivo di determinare l’emersione della raccolta di gioco illegale.

 

Il comma 7, infine, modifica l’articolo 110, comma 9, del regio decreto n. 773 del 1931 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) che definisce le sanzioni applicabili in materia di apparecchi e congegni da intrattenimento per il gioco lecito ai quali sono associati (comma 6 del citato testo unico) o meno (comma 7) premi in denaro.

In tale contesto, viene inserita una nuova sanzione, prevista dalla lettera f-quater) incisa nel comma 9 dall'articolo 32 del decreto in esame, per chiunque, sul territorio nazionale, produca, distribuisca, installi o comunque metta a disposizione, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli o associazioni di qualunque specie, apparecchi destinati, anche indirettamente, a qualunque forma di gioco, anche di natura promozionale, non rispondenti alle caratteristiche di cui ai commi 6 e 7 dell’articolo 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Per tale fattispecie, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro per ciascun apparecchio e la chiusura dell’esercizio da trenta a sessanta giorni.


 

Articolo 28
(Disposizioni finanziarie)

 

L'articolo 28 prevede l'incremento del Fondo per interventi strutturali di politica economica e reca le norme per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni del decreto-legge, a valere sul Fondo da ripartire per l'introduzione del reddito di cittadinanza e sul Fondo per la revisione del sistema pensionistico, nonché mediante utilizzo delle maggiori entrate e delle minori spese derivanti dal decreto-legge medesimo. Si prevede, altresì, il monitoraggio, da parte dell'INPS, delle domande di pensionamento relative a disposizioni del presente decreto-legge. La rendicontazione degli oneri risultante dall'attività di monitoraggio è inviata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed al Ministero dell'economia e delle finanze. Il presente articolo, inoltre, specifica che, in caso di scostamento rispetto alle previsioni complessive di spesa di cui al decreto-legge in esame, trovano applicazione le norme in materia di salvaguardia finanziaria poste dalla legge di contabilità n. 196 del 2009.

La Commissione in sede referente propone modifiche al presente articolo di carattere meramente formale.

 

Il comma 1 prevede l'incremento di 116,8 milioni di euro per il 2020 e di 356 milioni di euro annui a decorrere dal 2022 del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE), istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 282 del 2004, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Il comma 2 reca la quantificazione degli oneri derivanti dal decreto-legge e stabilisce che a tali oneri (ivi compreso l'incremento del FISPE di cui sopra) si provveda:

   mediante corrispondente riduzione del Fondo da ripartire per l'introduzione del reddito di cittadinanza (art. 1, comma 255, della legge n. 145 del 2018, come modificato dal precedente articolo 12) quanto a 6.527,9 milioni di euro per l'anno 2019; 7.594 milioni di euro per il 2020; 7.535,2 milioni di euro per il 2021 e 7.263 milioni di euro annui a decorrere dal 2022;

   mediante corrispondente riduzione del Fondo per la revisione del sistema pensionistico (art. 1, comma 256, della legge n. 145 del 2018) quanto a 3.968 milioni di euro per l'anno 2019; 8.336 milioni di euro per il 2020; 8.684 milioni di euro per il 2021; 8.143,8 milioni di euro per il 2022; 6.394,1 milioni di euro per il 2023; 3.687,8 milioni di euro per il 2024; a 3.027,9 milioni di euro per il 2025; 1.961,9 milioni di euro per il 2026; 2.439,6 milioni di euro per il 2027 e a 1.936,6 milioni di euro annui a decorrere dal 2028;

   mediante utilizzo delle maggiori entrate e delle minori spese derivanti dal presente decreto-legge quanto a 520,2 milioni di euro per l'anno 2019; 497,9 milioni di euro per il 2020; 505,3 milioni di euro per il 2021; 649,4 milioni di euro per il 2022; 608,6 milioni di euro per il 2023; 870,7 milioni di euro per il 2024; 607,6 milioni di euro per il 2025; 709,4 milioni per il 2026; 602,2 milioni di euro per il 2027 e 633,6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2028.

 

Si ricorda che l'art. 1, commi 255 e 256, della legge di bilancio per il 2019 istituisce due distinti Fondi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con possibilità per gli stessi di utilizzare reciprocamente a compensazione eventuali risparmi realizzati.

Il primo è il "Fondo per il reddito di cittadinanza" - ridenominato "Fondo da ripartire per l'introduzione del reddito di cittadinanza" dal precedente articolo 12 - volto a introdurre nel nostro ordinamento il reddito e la pensione di cittadinanza, con una dotazione (comma 255) pari a 7,1 miliardi di euro per il 2019, 8,055 per il 2020, 8,317 per il 2021, risorse in parte destinate al potenziamento dei centri per l’impiego e al finanziamento di ANPAL Servizi S.p.A..

Il secondo è il "Fondo per la revisione del sistema pensionistico attraverso l’introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani", con una dotazione (comma 256) pari a 3,968 miliardi di euro per il 2019, 8,336 miliardi per il 2020, 8,684 miliardi per il 2021, 8,153 miliardi di euro per l’anno 2022, 6,999 miliardi di euro per l’anno 2023 e 7 miliardi di euro a decorrere dall’anno 2024.

 

Il comma 3 pone in capo all'INPS un obbligo di monitoraggio delle domande di pensionamento relative all'articolo 14 (concernente l'accesso al trattamento di pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi), all'articolo 15 (in materia di pensionamento anticipato indipendentemente dall'età anagrafica) e all'articolo 16 (pensionamento anticipato delle donne, cosiddetta opzione donna).

Il monitoraggio avviene con cadenza mensile nel corso del 2019, indi con cadenza trimestrale. Entro il giorno 10 del mese successivo alla scadenza del periodo di riferimento, l'INPS invia la rendicontazione degli oneri in oggetto, anche a carattere prospettico, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze.

Rimane fermo l'obbligo di monitoraggio finanziario, ai sensi dell'articolo 1, comma 257, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2019), anche sulle altre norme pensionistiche introdotte dal presente decreto.

Il comma 4 specifica che in caso di scostamento - anche in via prospettica- rispetto alle previsioni complessive di spesa di cui al decreto-legge in esame, il Ministero dell'economia adotta le iniziative (di salvaguardia finanziaria) previste dall'articolo 17, commi da 12 a 12-quater e comma 13, della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009).

 

Tali disposizioni dettano una specifica procedura per la compensazione degli oneri che eccedono le previsioni di spesa. Qualora siano in procinto di verificarsi i suddetti scostamenti, quanto all’esercizio in corso, ai sensi del comma 12-bis, in attesa delle iniziative ex comma 12-quater (v. infra), il Ministro dell'economia, sentito il Ministro competente, con proprio decreto provvede alla riduzione degli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero competente, nel rispetto dei vincoli di spesa derivanti da oneri inderogabili. Tuttavia, qualora i suddetti stanziamenti non siano sufficienti alla copertura finanziaria del maggior onere, si dovrà provvedere, su proposta del Ministro dell’economia, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, mediante riduzione degli stanziamenti iscritti negli stati di previsione della spesa anche di altri Ministeri, fermi sempre i vincoli costituiti dagli oneri inderogabili. Nel caso in cui invece gli scostamenti non siano compensabili nel corso dell’esercizio, il comma 12-ter dispone che si debba provvedere ai sensi del comma 13 dell’articolo 17, ovvero tramite iniziative legislative. Per quanto riguarda gli esercizi successivi a quello in corso, ai sensi del comma 12-quater si provvede con la legge di bilancio, attraverso le misure correttive (di cui all'articolo 21, comma 1-ter, lettera f), della legge di contabilità), adottando prioritariamente le correzioni sul lato della spesa. Resta ferma, in ogni caso, la possibilità (comma 13) di ricorrere a iniziative legislative allorché l'attuazione di una legge rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica o in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni suscettibili di determinare maggiori oneri.

 

Il comma 5 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le variazioni di bilancio occorrenti.

Il comma 6 stabilisce che le amministrazioni pubbliche interessate provvedano nei limiti delle risorse (finanziarie, umane e strumentali) disponibili a legislazione vigente, ad eccezione delle attività previste dall'articolo 12 (alla cui scheda si rinvia).

 



[1]     Analogamente a quanto previsto dalla disciplina del Reddito di inclusione (REI), ai sensi dell’art. 2, comma 16, del D.Lgs. 147/2017.

[2]     In base a tale norma, rientrano nella nozione di familiare: 1) il coniuge; 2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; 3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner summenzionati; 4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner summenzionati.

[3]     Cfr. l'art. 2, comma 1, lettere d) ed e), del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25.

[4]     Ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013,

[5]     L'articolo  1, comma 125, della legge n. 190 del 2014 ha introdotto, per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2019 (termine così prorogato, da ultimo, dall'art. 23-quater del decreto legge 119/2018), il riconoscimento di un assegno di importo annuo di 960 euro a condizione che il nucleo familiare abbia un ISEE non superiore a 25.000 euro annui (1.920 euro per le famiglie con ISEE non superiore a 7.000 euro) erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L’importo dell’assegno è incrementato del 20%  per le nascite e adozioni intervenute nel 2019 relativamente ai figli successivi al primo, quindi sarà pari a 2.304 euro fino a 7.000 euro ISEE e 1.152 euro tra 7 e 25 mila euro ISEE. L’assegno attualmente spetta: fino al compimento del primo anno di età o nel primo anno di ingresso nel nucleo familiare (in luogo del terzo anno, come precedentemente previsto fino al 2017); per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno.

[6]     Il SIUSS è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per le seguenti finalità:

a)   assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali e delle prestazioni erogate dal sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e di tutte le informazioni necessarie alla programmazione, alla gestione, al monitoraggio e alla valutazione delle politiche sociali;

b)   monitorare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni;

c)   rafforzare i controlli sulle prestazioni indebitamente percepite;

d)   disporre di una base unitaria di dati funzionale alla programmazione e alla progettazione integrata degli interventi mediante l'integrazione con i sistemi informativi sanitari, del lavoro e delle altre aree di intervento rilevanti per le politiche sociali, nonché con i sistemi informativi di gestione delle prestazioni già nella disponibilità dei comuni;

e)   elaborare dati a fini statistici, di ricerca e di studio.

[7]     La norma citata reca disposizioni in ordine alla definizione delle costruzioni destinate alla navigazione da diporto.

[8]    La dichiarazione con cui i contribuenti attestano i dati relativi al proprio nucleo familiare, nonché al reddito e alla situazione patrimoniale mobiliare o immobiliare al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di presentazione della DSU.

[9] Sul punto, si rinvia all’apposita sezione del sito INPS recentemente aggiornata.

[10]   Sulla base di apposita Convenzione stipulata il 17 settembre 2008 tra il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Poste italiane S.p.A.

[11]   La dichiarazione con cui i contribuenti attestano i dati relativi al proprio nucleo familiare, nonché al reddito e alla situazione patrimoniale mobiliare o immobiliare al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di presentazione della DSU stessa.

[12]   Il richiamato art. 10 dispone che, a decorrere dal 2019, la DSU a fini ISEE sia precompilata a cura dell’INPS, con la collaborazione dell’Agenzia delle entrate. Per la precompilazione della DSU sono utilizzate le informazioni disponibili nell’Anagrafe tributaria, nel Catasto e negli archivi dell’INPS, nonché quelle comunicate all’Anagrafe tributaria dagli intermediari finanziari su saldi e giacenze medie del patrimonio mobiliare dei componenti del nucleo familiare. La DSU precompilata può essere accettata o modificata, fatta eccezione per i trattamenti erogati dall'INPS e per le componenti già dichiarate a fini fiscali, per le quali è assunto il valore a tal fine dichiarato. Laddove la dichiarazione dei redditi non sia stata ancora presentata, le relative componenti rilevanti a fini ISEE possono essere modificate, fatta salva la verifica di coerenza rispetto alla dichiarazione dei redditi successivamente presentata e le eventuali sanzioni in caso di dichiarazione mendace. A decorrere dal 1° gennaio 2019, la DSU ha validità dal momento della presentazione fino al successivo 31 agosto. In ciascun anno, a decorrere dal 2019, all'avvio del periodo di validità fissato al 1° settembre, i dati sui redditi e i patrimoni presenti in DSU sono aggiornati prendendo a riferimento l'anno precedente

[13]   L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), è la banca dati nazionale nella quale confluiranno progressivamente le anagrafi comunali. È istituita presso il Ministero dell’Interno ai sensi dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale - CAD).  ANPR è un sistema integrato che consente ai Comuni di svolgere i servizi anagrafici e di consultare o estrarre dati, monitorare le attività, effettuare statistiche, e diventa un punto di riferimento unico per l'intera Pubblica amministrazione e per tutti coloro che sono interessati ai dati anagrafici, in particolare i gestori di pubblici servizi. Con le modifiche apportate all'art. 62 del Codice si prevede che ANPR contenga, oltre ai dati anagrafici, l'archivio nazionale informatizzato dei registri di Stato civile e i dati delle liste di leva. Gli ultimi dati pubblicati sul sito Agid riportano che al 10 gennaio 2018 hanno completato il subentro 41 Comuni per una popolazione residente di 1.035.030 persone. Sono in fase di pre-subentro 989 Comuni.

[14]   Dal 1° gennaio 2019, la DSU, in base a quanto disposto dall’art. 5, c. 1, del D.L. 98/2018, ha validità dal momento della presentazione fino al 31 agosto dell’anno successivo e vale per tutti i componenti il nucleo familiare. Conseguentemente, il periodo di validità dell’ISEE rimane sempre di 12 mesi e il rinnovo andrà eseguito dal 1° settembre di ciascun anno.

[15]   Si ricorda che il soggetto incaricato del servizio di gestione delle Carte Acquisti è Poste Italiane S.p.A. Il servizio di gestione delle Carte Acquisti, svolto da Poste Italiane in base ad una convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze aggiudicata a seguito di selezione pubblica, prevede un corrispettivo a carico del Fondo Carta Acquisti pari a circa lo 0,1% - 0,2% dell'attuale ammontare del beneficio massimo erogato per ogni Carta acquisti sperimentale, pari a 480 euro. Il costo della Carta è calcolato in proporzione ai giorni effettivi in cui la Carta è attiva nell'anno. Tale costo include la produzione della Carta, la distribuzione al cittadino tramite la rete di uffici postali, nonché l'eventuale sostituzione, l'effettuazione delle ricariche periodiche sulla base delle indicazioni dell'INPS, la stampa dei moduli, l'invio di comunicazioni ai richiedenti e ai titolari della Carta, l'archiviazione delle richieste, la trasmissione telematica all'INPS dei dati in esse contenuti, un servizio di call center gratuito per informazioni sul programma. La convenzione prevede inoltre un corrispettivo "a consumo" nei casi di produzione e recapito di materiale informativo sul programma, effettuato su richiesta dell'Amministrazione.

[16]   In attuazione di tale norma è stato emanato il D.M. 28 dicembre 2007, n. 29998, che reca la determinazione dei criteri per la definizione delle compensazioni della spesa sostenuta per la fornitura di energia elettrica per i clienti economicamente svantaggiati e per i clienti in gravi condizione di salute. L’art. 46, co. 1-bis, del D.L. n. 248/2007 ha in seguito stabilito l’applicazione delle disposizioni di cui al citato comma 375 anche al settore del gas naturale.

[17]   In attuazione di quanto disposto dalla disposizione è stata adottata la Deliberazione 6 luglio 2009, 6 luglio 2009, n. ARG/gas 88/09, sulle Modalità applicative del regime di compensazione della spesa per la fornitura di gas naturale sostenuta dai clienti domestici economicamente svantaggiati. Il recente D.M. 29 dicembre 2016 ha introdotto importanti modifiche, in vigore dal 1° gennaio 2017, alla disciplina del bonus elettrico. In particolare, il valore della compensazione di spesa per la fornitura di energia elettrica a favore dei clienti economicamente svantaggiati è rideterminato dall’Autorità in misura tale da conseguire una riduzione di spesa dell'utente medio, al lordo delle imposte, dell’ordine del 30%. Il decreto prevede altresì un incremento da 7.500 euro a 8.107,5 euro del tetto ISEE per avere accesso alle agevolazioni. Rimane invariato il requisito di accesso per le famiglie numerose (ISEE non superiore a 20.000 euro).

[18]   La fattispecie non concerne i datori di lavoro domestico.

[19]   L’art. 12 del D.Lgs. 150/2015 ha disposto l’istituzione, da parte dell’ANPAL, dell'Albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro (nel quale vengono iscritte anche le agenzie per il lavoro). L'accreditamento è la procedura mediante la quale l'Anpal, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l'idoneità a erogare i servizi al lavoro negli ambiti territoriali di riferimento, nonché la partecipazione attiva alla rete dei servizi per le politiche del lavoro con particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta di lavoro. I criteri per la definizione dei sistemi di accreditamento sono contenuti nel DM 11 gennaio 2018, sulla base dei seguenti principi e criteri.

[20]   Anche mediante il coinvolgimento di Università ed enti pubblici di ricerca, secondo i più alti standard di qualità della formazione e sulla base di indirizzi definiti con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, utilizzando a tal fine, le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

[21]   L’art. 12 del D.Lgs. 150/2015 ha disposto l’istituzione, da parte dell’ANPAL, dell'Albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro (nel quale vengono iscritte anche le agenzie per il lavoro). L'accreditamento è la procedura mediante la quale l'Anpal, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l'idoneità a erogare i servizi al lavoro negli ambiti territoriali di riferimento, nonché la partecipazione attiva alla rete dei servizi per le politiche del lavoro con particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta di lavoro. I criteri per la definizione dei sistemi di accreditamento sono contenuti nel DM 11 gennaio 2018, sulla base dei seguenti principi e criteri.

[22]   Prendendo appuntamento sul portale messo a disposizione dall’ANPAL, anche per il tramite dei centri per l’impiego o degli istituti di patronato convenzionati.

 

[23]   Secondo l’art. 23, c. 7, del D.Lgs. 150/2015 i suddetti principi sono: riconoscimento dell'assegno prevalentemente a risultato occupazionale conseguito; definizione dell’ammontare dell’assegno in modo da mantenere l’economicità dell’attività; graduazione dell'ammontare dell'assegno in relazione al profilo personale di occupabilità; obbligo, per il soggetto erogatore del servizio, di fornire un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, di comunicare le offerte di lavoro effettuate nei confronti degli aventi diritto.

[24]  Tale requisito, per espressa previsione dell’art. 2, c. 1, lett. b), della L. 152/2001, non è necessario per le confederazioni e le associazioni operanti nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

[25]   Per la costituzione degli istituti di patronato alle confederazioni e alle associazioni nazionali di lavoratori sono richiesti anche i seguenti requisiti dall’art. 2 della L. 152/2001:  siano costituite ed operino in modo continuativo da almeno otto anni; dimostrino di possedere i mezzi finanziari e tecnici necessari per la costituzione e la gestione degli istituti di patronato e di assistenza sociale; perseguano, secondo i rispettivi statuti, finalità assistenziali.

[26]   Il Piano è lo strumento programmatico per l’utilizzo della quota del Fondo povertà destinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali procede all’erogazione delle risorse spettanti agli ambiti territoriali di ciascuna Regione una volta valutata la coerenza di un atto di programmazione regionale (attualmente dell’atto di programmazione ovvero del Piano regionale) con le finalità del citato Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà.

[27]   D.L. 25 luglio 2018, n. 91 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative.

[28]   L’ISEE corrente è un aggiornamento dell’ISEE già rilasciato che viene calcolato in seguito alla compresenza di significative variazioni reddituali conseguenti a variazioni della situazione lavorativa di almeno un componente del nucleo.

[29]   Tale decreto stabilisce “la data a partire dalla quale è possibile accedere alla modalità precompilata di presentazione della DSU, nonché la data a partire dalla quale è avviata una sperimentazione in materia, anche ai soli fini del rilascio dell'ISEE corrente ai sensi del comma 5. Con il medesimo decreto sono stabilite le componenti della DSU che restano interamente autodichiarate e non precompilate, suscettibili di successivo aggiornamento in relazione alla evoluzione dei sistemi informativi e dell'assetto dei relativi flussi d'informazione.”

[30]   Compresi i dati di cui all’art. 10, comma 1, del D. Lgs. 147/2017, ovvero le informazioni disponibili nell’Anagrafe tributaria, nel Catasto e negli archivi dell’INPS, nonché quelle comunicate all’Anagrafe tributaria dagli intermediari finanziari su saldi e giacenze medie del patrimonio mobiliare dei componenti del nucleo familiare.

[31]   Si ricorda che il riferimento all'assicurazione generale obbligatoria comprende anche le gestioni speciali INPS relative ai lavoratori autonomi (cfr. la terminologia operata dalla cosiddetta riforma Fornero, di cui all'articolo 24 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni).

Le norme in esame non riguardano, invece, il Fondo INPS di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.   

[32]   Gli incrementi in esame successivi a quelli decorrenti dal 2019 hanno una cadenza biennale, ai sensi dell'articolo 24, comma 13, del citato D.L. n. 201 del 2011, e successive modificazioni.

[33]   La circolare INPS n. 11 del 29 gennaio 2019 chiarisce che la preclusione non concerne i titolari di un trattamento in favore di superstiti.

[34]   Riguardo alla nozione di lavoro autonomo occasionale, cfr. il paragrafo 1.4 della circolare INPS n. 11 del 29 gennaio 2019.

[35]   Cfr. il paragrafo 1.3.2 della circolare INPS n. 11 del 29 gennaio 2019. Qualora il dipendente pubblico sia iscritto ad una gestione INPS diversa da quelle "esclusive", il termine di decorrenza è posto al primo giorno del settimo mese successivo a quello in cui vengono maturati i requisiti.

[36]   Si ricorda che, in base alla disciplina ordinaria, i termini per la presentazione della domanda di cessazione dal servizio da parte del personale in oggetto è fissato ogni anno con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al D.P.R. 28 aprile 1998, n. 351).

[37]    In tal modo si estende anche al personale delle Regioni e degli Enti locali, ancorché privi  di  articolazione territoriale, la disciplina contenuta nell'articolo 35,  comma 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo  2001, n. 165.

[38]   Si ricorda che il riferimento all'assicurazione generale obbligatoria comprende anche le gestioni speciali INPS relative ai lavoratori autonomi (cfr. la terminologia operata dalla cosiddetta riforma Fornero, di cui all'articolo 24 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni). Le norme in esame non riguardano, invece, il Fondo INPS di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.

[39]   Per i dipendenti pubblici, il termine di decorrenza risulta posto al giorno seguente il compimento del terzo mese dalla data di maturazione dei requisiti (cfr. il paragrafo 2 della circolare INPS n. 11 del 29 gennaio 2019). Tuttavia, qualora il dipendente pubblico sia iscritto ad una gestione INPS diversa da quelle "esclusive", il termine di decorrenza è posto al primo giorno del quarto mese successivo a quello in cui vengono maturati i requisiti (cfr. il medesimo paragrafo 2 della circolare INPS n. 11).

[40]   Gli incrementi in esame hanno, infatti, a decorrere dal 2021, una cadenza biennale, ai sensi dell'articolo 24, comma 13, del citato D.L. n. 201 del 2011, e successive modificazioni.

[41]   Si ricorda che, in base alla disciplina ordinaria, i termini per la presentazione della domanda di cessazione dal servizio da parte del personale in oggetto è fissato ogni anno con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del regolamento di cui al D.P.R. 28 aprile 1998, n. 351).

[42]   Così come previste dal D.Lgs. 180/1997, il quale, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 24, della L. 335/1995, ha definito le modalità esplicative in caso di opzione per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo.

[43]    Quest'ultima condizione deriva dal richiamo ai soli soggetti di cui all'articolo 1, commi 12 e 13, della L. 335/1995.

[44]    Le forme sostitutive sono gestite da alcuni Fondi operanti nell'ambito dell'INPS e da altri con propria autonomia gestionale (Es. Fondo per il personale della telefonia e delle aziende elettriche private); le Forme sostitutive sono riferite essenzialmente al trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti e dei dipendenti di alcuni Enti pubblici che hanno optato per esso.

[45]   Si tratta dei reati richiamati dall'art. 2, comma 58, della legge n. 92 del 2012. Tale comma prevede la sanzione accessoria della revoca dell'indennità di disoccupazione, dell'assegno sociale, della pensione sociale e della pensione per gli invalidi civili (o comunque siano denominate tali prestazioni in base alla legislazione vigente) qualora il titolare sia stato condannato per uno dei reati richiamati. Si prevede, inoltre, anche la revoca dei trattamenti previdenziali erogati al condannato, nel caso in cui si accerti, o sia stato già accertato con sentenza in altro procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse ai medesimi reati. Si ricorda che il medesimo comma 2 fa riferimento anche ai "delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni" previste dall'art. 416-bis c.p.

[46]   Lo stato di latitanza è dichiarato dal giudice con il provvedimento previsto dall'art. 296 c.p.p. quando il giudice ritiene esaurienti le ricerche verbalizzate ai sensi dell'art. 295 c.p.p. Si ricorda che, ai sensi dell'art. 296 citato, primo comma, è latitante chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all'obbligo di dimora o a un ordine con cui si dispone la carcerazione. Il medesimo articolo 296 equipara il latitante all'evaso "per ogni effetto".

[47]   Tale comma dispone che fino alla data di entrata in vigore di norme in materia di previdenza integrativa che disciplinino i regimi contributivi cui assoggettare le contribuzioni versate ad enti, fondi, istituti che gestiscono forme di previdenza o assistenza integrativa, e le prestazioni erogate dai fondi stessi, a decorrere dal periodo di paga successivo al 1° giugno 1991, le contribuzioni o le somme del FPLD è dovuto un contributo di solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro nella misura del 10% in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui sono iscritti i lavoratori.

[48]   Tale norma prevede che i termini di prescrizione relativi ai contributi dovuti o la cui riscossione è affidata a qualsiasi titolo all'INPS ed all'INAIL sono sospesi per un triennio dal 12 settembre 1983 è corrispondentemente prolungato il periodo durante il quale il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare i libri paga e di matricola.

[49]   Le norme in esame non riguardano il Fondo INPS di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.

[50]   Il limite temporale iniziale non concerne i soggetti che abbiano optato per il sistema contributivo integrale.

[51]  La norma richiamata concerne il reddito minimo annuo da prendere in considerazione ai fini del calcolo della contribuzione pensionistica a carico degli artigiani e degli esercenti attività commerciali; tale valore minimo, nel 2019, è pari a 15.878 euro. 

[52]   Di cui, rispettivamente, all’articolo 1, comma 2, e articolo 3, del D.Lgs. 165/2001.

[53]   Un limite era previsto esclusivamente per i dirigenti di aziende industriali iscritti all'INPDAI ai sensi dell'articolo 1 della L. 44/1973, limite fissato in euro 143.105,99 e tuttavia abolito con effetto dal 1° gennaio 2003 (ultimo anno di vita della gestione, confluita di seguito nell’INPS).

[54]   A condizione di esercitare l'opzione per il sistema contributivo ai sensi dell'articolo 1, comma 23 della L. 335/1995 per i periodi successivi all'applicazione del massimale stesso.

[55]   La norma, infatti, ha comportato alcuni problemi interpretativi (es. lavoratore che sebbene non risultasse in possesso di anzianità assicurativa al 31 dicembre 1995, in seguito procedesse al riscatto o all'accredito figurativo di periodi di contribuzione antecedenti alla richiamata data, quali ad es., un riscatto di laurea. Al riguardo, l'INPS ha precisato (circolari nn. 42/2009 e 58/2016) che i soggetti che si trovino nelle condizioni richiamate non siano più assoggettati all’applicazione del massimale ex articolo 2, comma 18 della L. 335/95 a partire dal mese successivo a quello di presentazione della relativa domanda di riscatto o accredito figurativo della domanda.

[56]   Le norme in materia di assegni straordinari non concernono il fondo di solidarietà residuale, (cosiddetto fondo di integrazione salariale, di cui agli articoli 28 e 29 del citato D.Lgs. n. 148, e successive modificazioni); tale fondo è relativo ai datori di lavoro che non rientrino né nelle forme generali dei trattamenti di integrazione salariale né in alcun accordo o contratto summenzionato.

[57]   Per il personale del credito, anche cooperativo, trovano applicazione, in via transitoria, requisiti meno stringenti, ai sensi dell'articolo 12 del D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 giugno 2016, n. 119, e successive modificazioni, e dell'art. 1, comma 234, della L. 11 dicembre 2016, n. 232.

[58]   La norma richiamata è posta dall'articolo 33, comma 3, del citato D.Lgs. n. 148 del 2015. Una deroga transitoria a tale principio è prevista dall'articolo 1, comma 235, della L. 11 dicembre 2016, n. 232.

[59]   Convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni.

[60]   L’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 chiarisce che per amministrazioni pubbliche debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300/1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[61]   Di cui all’articolo 31 della L. 196/2009.

[62]   Ai sensi del primo comma, numero 1), del richiamato articolo stabilisce hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile.

[63]   Oltre all'INPS e all'INAIL, rientravano nell'ambito di applicazione del decreto legislativo di riordino l'IPSEMA (soppresso dall'art. 7, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010) e l'INPDAP (soppresso dal decreto-legge n. 201 del 2011, che ne ha trasferito le funzioni all'INPS).

[64]   Recante "Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni".

[65]   Regolamento recante norme per l'individuazione dei titoli professionali del personale da utilizzare presso le pubbliche amministrazioni per le attività di informazione e di comunicazione e disciplina degli interventi formativi.

[66]   Di cui all'articolo 26 della legge 3 febbraio 1963, n. 69. Esso prevede che presso ogni Consiglio dell'Ordine regionale o interregionale e delle province autonome è istituito l'albo dei giornalisti che hanno la loro residenza o il loro domicilio professionale nel territorio compreso nella circoscrizione del Consiglio, ripartito in due elenchi, l'uno dei professionisti l'altra dei pubblicisti.

[67]   La GIAS (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali) è stata istituita, presso l’INPS, dall’articolo 37 della L. 88/1989, per la progressiva separazione tra previdenza e assistenza e la correlativa assunzione a carico dello Stato delle spese relative a quest'ultima. Il finanziamento della gestione è posto progressivamente a carico del bilancio dello Stato.

In generale, sono a carico della gestione: le pensioni sociali; l'onere delle integrazioni all’assegno ordinario di invalidità; c) una quota parte di ciascuna mensilità di pensione erogata dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti, dalle gestioni dei lavoratori autonomi, dalla gestione speciale minatori;  gli oneri derivanti dalle agevolazioni contributive disposte per legge in favore di particolari categorie, settori o territori; gli oneri derivanti dai pensionamenti anticipati; l'onere dei trattamenti pensionistici ai cittadini rimpatriati dalla Libia.

[68]   Per le imprese nelle condizioni descritte nel testo, il comma 1 prevede la possibilità, per gli anni 2018 e 2019, nel limite di spesa di 100 milioni di euro, di una proroga dell'intervento straordinario di integrazione salariale, sino al limite massimo di dodici mesi, qualora il programma di riorganizzazione aziendale di cui al precedente articolo 21, comma 2, sia caratterizzato da investimenti complessi non attuabili nel limite temporale di durata di ventiquattro mesi, ovvero qualora il programma di riorganizzazione aziendale di cui allo stesso articolo 21, comma 2, presenti piani di recupero occupazionale per la ricollocazione delle risorse umane e azioni di riqualificazione non attuabili nel medesimo limite temporale. Alle medesime condizioni e nel limite delle risorse finanziarie sopra indicate, può essere concessa la proroga dell'intervento di integrazione salariale straordinaria, sino al limite massimo di sei mesi, qualora il piano di risanamento di cui all'articolo 21, comma 3, presenti interventi correttivi complessi volti a garantire la continuazione dell'attività aziendale e la salvaguardia occupazionale, non attuabili nel limite temporale di durata di dodici mesi di cui all'articolo 22, comma 2. Alle medesime condizioni e nel limite delle risorse finanziarie sopra indicate, può essere concessa la proroga dell'intervento di integrazione salariale straordinaria per la causale contratto di solidarietà sino al limite massimo di 12 mesi, qualora permanga, in tutto o in parte, l'esubero di personale già dichiarato nell'accordo di cui all'articolo 21, comma 5, e si realizzino le condizioni di cui al comma 2.

[69]  Secondo tale disposizione, in caso di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale, successivamente oggetto di revoca con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per motivi non derivanti da comportamenti illegittimi dei lavoratori beneficiari, questi ultimi non sono tenuti alla restituzione dell'indennità ricevuta anche se corrisposta in forma diretta da parte dell'INPS. Per tali periodi i lavoratori hanno diritto al riconoscimento da parte dell'INPS della contribuzione previdenziale figurativa e alla corresponsione di eventuali prestazioni accessorie. Il recupero dei crediti relativi alle prestazioni erogate a favore dei lavoratori è effettuato dall'INPS direttamente nei confronti dell'impresa

 

[70]   Qualora tali limiti di età possano essere elevati, la deroga (ai requisiti generali per la pensione di vecchiaia) trova applicazione solo nel caso in cui il lavoratore, sottoposto a giudizio di idoneità, non abbia ottenuto il rinnovo del titolo abilitante da parte dell'autorità competente.

[71]   L'iscrizione dei soggetti summenzionati al regime generale INPS è prevista dalla disciplina sulla trasformazione dell'ENAV da azienda autonoma in ente pubblico economico, trasformazione decorrente dal 1° gennaio 1996 (cfr. la L. 21 dicembre 1996, n. 665, e, in particolare, l'art. 8).

[72]   Cfr. il paragrafo 7.1 della circolare INPS n. 86 del 3 luglio 2014.