Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Ratifica del protocollo n. 15 recante emendamenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
Riferimenti: AC N.1124/XVIII
Serie: Documentazione per l'attività consultiva della I Commissione   Numero: 93
Data: 31/08/2020
Organi della Camera: I Affari costituzionali


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Ratifica del protocollo n. 15 recante emendamenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

31 agosto 2020
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|


Il provvedimento sottoposto al parere della Commissione Affari costituzionali prevede la ratifica e l'ordine di esecuzione del Protocollo n. 15 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013.

Il Protocollo, per la cui entrata in vigore è necessaria la ratifica di tutti gli Stati parte della Convenzione, introduce modifiche alla procedura davanti alla Corte europea dei diritti di Strasburgo prevedendo, in particolare, che il ricorso alla CEDU debba essere presentato entro 4 mesi - in luogo degli attuali 6 mesi - dalla pronuncia definitiva interna; ulteriori novità riguardano il sistema di rinvio della competenza alla Grande Camera, con l'eliminazione del sistema di veto attualmente concesso agli Stati membri e alla vittima.

L'originario progetto di legge C. 35 (Schullian), e l'abbinato disegno di legge del governo C. 1124, prevedevano anche la ratifica del Protocollo n. 16 alla Convenzione di Strasburgo, che configura un meccanismo per certi versi analogo al rinvio pregiudiziale esperibile di fronte alla Corte di giustizia dell'Unione europea, introducendo per le giurisdizioni nazionali la possibilità di chiedere un parere alla CEDU su questioni di principio relative all'interpretazione o all'applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli. Questo profilo degli originari progetti di legge è stato espunto nel corso dell'esame in sede referente.

Contenuto


La Convenzione EDU

La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali è stata ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Il testo della Convenzione, che ha delineato un sistema di protezione dei diritti umani da più parti riconosciuto come la più perfezionata struttura del genere operante al mondo, è stato successivamente integrato e modificato da una serie di Protocolli.

Il sistema ha un carattere sussidiario rispetto alle forme di protezione dei diritti umani esistenti negli ordinamenti degli Stati membri: infatti, l'articolo 26 della Convenzione pone la regola del "previo esaurimento dei ricorsi interni" rispetto all'attivazione del sistema internazionale. L'obiettivo del Consiglio d'Europa, in linea del resto con i princìpi internazionali in materia di tutela dei diritti umani, è infatti quello di assicurare che il rispetto dei diritti umani sia assicurato innanzitutto dagli ordinamenti interni.

La Convenzione è articolata in tre parti: il Titolo I, che enuncia una serie di diritti delle singole persone; il Titolo II sulla Corte europea dei diritti dell'uomo e il Titolo III che contiene disposizioni diverse e stabilisce gli obblighi degli Stati contraenti.
Con l'entrata in vigore del Protocollo n. 11 (ratificato dall'Italia con la legge 28 agosto 1997, n. 296) è stato riformato radicalmente il sistema europeo di protezione dei diritti umani costituito dalla Convenzione. L'esigenza di tale riforma scaturiva dal notevole incremento dei ricorsi sottoposti agli organi di tale sistema nonché dall'aumento del numero dei paesi membri della Convenzione.
I due aspetti più rilevanti introdotti dal Protocollo n. 11 sono stati:
a) la generalizzazione del diritto di ricorso individuale, in precedenza previsto da una clausola opzionale e che si impone invece ora a tutti gli Stati parte, collocando il ricorrente individuale sullo stesso piano dello Stato;
b) la soppressione del potere decisionale spettante all'organo politico del Consiglio d'Europa, il Comitato dei ministri, che ha completato la giurisdizionalizzazione del sistema.
La riforma prevede una Corte unica (fondendo così la Corte e la Commissione europea dei diritti dell'uomo in un unico organo) con la possibilità, su ricorso, di un riesame del giudizio di primo grado. Inoltre, contrariamente a quanto avveniva nel passato, i giudici sono ora permanenti, mentre la loro elezione, come nel passato, è effettuata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Viene altresì mantenuto il filtro della ricevibilità dei ricorsi, effettuato da un Comitato di tre giudici che decide all'unanimità, come anche la prassi del regolamento amichevole. Il collegio giudicante, detto Sezione, è normalmente composto da sette giudici, tra i quali il cosiddetto "giudice nazionale". Una volta emessa la sentenza, le parti possono chiederne, entro tre mesi, il riesame, che avviene da parte di una Sezione allargata, composta da diciassette giudici. Un collegio di cinque giudici (Grande Chambre) valuta la ricevibilità del ricorso, che deve essere sostenuto da gravi motivi. La Grande Chambre, di cui fanno parte il Presidente della Sezione ed il giudice nazionale, può anche essere investita dell'esame di primo grado di un ricorso, nel caso in cui la Sezione decida di spogliarsene. In tal caso non si avrà la possibilità del riesame ed è perciò previsto che il potere della Sezione di spogliarsi del caso sia subordinato alla non opposizione delle parti.
Come sopra accennato, negli anni successivi al 1950, alla Convenzione sono stati aggiunti dei protocolli, alcuni dei quali prevedono ulteriori diritti, oltre a quelli già delineati dalla Convenzione:
  • il Protocollo n. 1 (o Protocollo addizionale, Parigi, 20 marzo 1952), ratificato dall'Italia con la stessa legge della Convenzione, ha aggiunto alla Convenzione l'enunciazione dei diritti individuali al rispetto dei beni e della proprietà nonché all'istruzione, ed ha sancito l'obbligo delle Parti contraenti di organizzare periodicamente libere elezioni a scrutinio segreto;
  • il Protocollo n. 4 (Strasburgo, 16 settembre 1963) che garantisce ulteriori diritti individuali: a non essere privato della libertà per il solo fatto di non essere in grado di adempiere ad un'obbligazione contrattuale; alla libera circolazione nel Paese in cui regolarmente ci si trova; alla libertà di entrare e di uscire dal proprio Stato. Vieta inoltre le espulsioni collettive di stranieri. Non esiste legge di autorizzazione alla ratifica da parte dell'Italia; ma l'esecuzione è stata disposta con D.P.R. 14 aprile 1982, n. 217;
  • il Protocollo n. 6 (Strasburgo, 28 aprile 1983), ratificato dall'Italia con legge 2 gennaio 1989, n. 8, prevede l'abolizione della pena di morte in tutti gli Stati contraenti, tranne che per atti commessi in tempo di guerra o in pericolo imminente di guerra;
  • il Protocollo n. 7 (Strasburgo, 22 novembre 1984), ratificato dall'Italia con legge 9 aprile 1990, n. 98, contiene garanzie contro l'espulsione dello straniero; il diritto del condannato in un giudizio penale all'appello ad una giurisdizione superiore; il diritto all'indennizzo per l'errore giudiziario e al ne bis in idem nei procedimenti penali; il principio dell'eguaglianza dei diritti tra i coniugi;
  • il Protocollo n. 12 (Roma, 4 novembre 2000) prevede un divieto generale contro ogni discriminazione. Le norme sulla non discriminazione previste dall'articolo 14 della Convenzione, infatti, sono circoscritte al godimento di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione. Il Protocollo, che elimina tale limitazione, è entrato in vigore a livello internazionale il 1° aprile 2005, ma non è stato ancora ratificato dal nostro Paese;
  • il Protocollo n. 13 vieta il ricorso alla pena di morte qualsiasi sia il reato commesso, compresi i crimini commessi in tempo di guerra o nel pericolo imminente di un conflitto. Il Protocollo è stato ratificato dall'Italia con la legge 15 ottobre 2008, n. 179;
  • il Protocollo n. 14 - ratificato dall'Italia con la legge 15 dicembre 2005, n. 280 - ha apportato modifiche come l'introduzione di un nuovo criterio di ricevibilità, il trattamento di casi che si ripetono o di casi chiaramente inammissibili, per un più efficace funzionamento della Corte europea dei Diritti dell'Uomo. Sulla base del Protocollo, il Comitato dei Ministri, sulla base di una decisione presa a maggioranza dei due terzi, riceve maggiori poteri per avviare un'azione giudiziaria davanti alla Corte in caso di inottemperanza alla sentenza da parte di uno Stato; nonché di chiedere alla Corte l'interpretazione di una sentenza. Questa facoltà è destinata ad assistere il Comitato dei Ministri nel suo compito di supervisione dell'attuazione delle sentenze, in particolare nel determinare quali misure siano necessarie per ottemperare ad una sentenza. Gli altri provvedimenti previsti nel Protocollo vertono sulla modifica dei termini del mandato dei giudici ad un unico mandato di nove anni, e su una norma che consenta l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione.
Altri Protocolli che, come più sopra specificato, avevano invece modificato il testo della Convenzione, sono stati sostituiti dal Protocollo n. 11:
  • il Protocollo n. 2 (Strasburgo, 6 maggio 1963), ratificato dall'Italia con legge 13 luglio 1966, n. 653, conferiva alla Corte europea dei diritti dell'uomo la competenza ad emettere pareri consultivi su materie diverse dal rispetto dei diritti stabiliti dalla Convenzione (per cui la Corte potrebbe invece essere investita con i ricorsi previsti dalla Convenzione stessa);
  • il Protocollo n. 3 (Strasburgo, 6 maggio 1963), ratificato dall'Italia con legge 13 luglio 1966, n. 653, modificava la procedura dei ricorsi alla Commissione europea dei diritti dell'uomo; il Protocollo n. 5 (Strasburgo, 20 gennaio 1966), ratificato dall'Italia con legge 19 maggio 1967, n. 448, conteneva modifiche alle norme sulla nomina dei membri della Commissione europea dei diritti dell'uomo e della Corte europea dei diritti dell'uomo;
  • il Protocollo n. 8 (Vienna, 19 marzo 1985), ratificato dall'Italia con legge 27 ottobre 1988, n. 496, apportava cambiamenti nella procedura della Commissione europea per i diritti dell'uomo, consentendo la formazione di sottocommissioni (dette "Camere") per snellire procedimenti, prevedendo requisiti ed incompatibilità per i membri della Commissione ed altre disposizioni procedurali.
  • Inoltre, il Protocollo n. 9 (Roma, 6 novembre 1990), ratificato dall'Italia con legge 14 luglio 1993, n. 257, che riconosceva il diritto del ricorrente individuale ad adire direttamente la Corte di Strasburgo in relazione a ricorsi dichiarati ricevibili dalla Commissione europea dei diritti dell'uomo, è stato abrogato dal Protocollo n. 11. Tale abrogazione è da correlare alla scelta, operata dallo stesso Protocollo n. 11 e alla quale si è accennato, di istituire una Corte unica. Infine, il Protocollo n. 10 (Strasburgo, 25 marzo 1992), ratificato dall'Italia con legge 2 gennaio 1995, n. 17, che incideva, in alcuni casi, sui meccanismi decisionali del Comitato dei ministri, non entrato in vigore, ha perso validità dal momento dell'entrata in vigore del Protocollo n. 11 che ha fatto venire meno la competenza del Comitato dei ministri a pronunciarsi sul merito delle competenze.

Il Protocollo n. 15

Il processo che ha portato all'adozione del Protocollo n. 15 (e del n. 16) è derivato, anzitutto, dalla consapevolezza delle Criticità nel funzionamento della Cortecriticità nel funzionamento della Corte europea dei diritti dell'uomo che, nel tempo, ha accusato notevoli problemi di arretrato, col rischio di realizzare essa stessa una violazione di uno dei diritti fondamentali da essa stessa tutelati, quello alla durata ragionevole del processo (art. 6, par. 1, CEDU). E' apparso inoltre necessario adeguare la struttura e le procedure della Corte a un'utenza potenziale che raggiunge ormai circa 800 milioni di cittadini. Constatando l'insufficienza della risposta venuta dal Protocollo n. 14 (v. supra), e in particolare di misure come l'introduzione di un giudice unico chiamato a decidere i casi manifestamente inammissibili, l'ampliamento delle competenze attribuite ai comitati composti di soli tre giudici e l'aggiunta di un criterio di ammissibilità per il quale la Corte può rifiutare i ricorsi in mancanza di un pregiudizio importante dei diritti del ricorrente, il dibattito sulla riforma della Corte europea dei diritti umani è culminato nella La Conferenza di BrightonConferenza di Brighton dell'aprile 2012.

Sulla scia della dichiarazione finale di Brighton - in particolare dell'obbligo degli Stati di provvedere all'attivazione della Convenzione, rafforzando tuttavia il principio di sussidiarietà e il principio del margine di apprezzamento nel rapporto delle rispettive giurisdizioni con la Corte europea - è stato redatto il Protocollo n. 15. Si ricorda che il margine di apprezzamento è costituito dall'ambito in cui la Corte riconosce agli Stati libertà di azione e di manovra, prima di dichiarare che una misura statale di deroga, di limitazione o di interferenza con una libertà garantita dalla CEDU configuri una concreta violazione della Convenzione stessa.

Il contenuto Il contenuto del Protocollo n. 15 consta di un preambolo e 9 articoli, il primo dei quali aggiunge un nuovo "considerando" alla fine del preambolo della Convenzione europea sui diritti umani, nel quale si ribadisce la primaria responsabilità delle Parti contraenti, in conformità al principio di sussidiarietà, nel garantire il rispetto dei diritti e delle libertà definiti nella Convenzione medesima e nei suoi Protocolli. Si ribadisce altresì che le Parti contraenti godono di un margine di apprezzamento nell'attuazione delle disposizioni della Convenzione, sotto il controllo della Corte europea dei diritti umani. L'articolo 2 aggiunge un paragrafo dopo il paragrafo 1 dell'articolo 21 della Convenzione, dedicato alle condizioni per l'esercizio delle funzioni di giudice della Corte europea dei diritti umani: in base alla nuova formulazione, i candidati dovranno avere meno di 65 anni di età alla data in cui la lista dei tre candidati di ciascuna Parte contraente deve pervenire all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, come previsto dal successivo articolo 22 della Convenzione. La relazione introduttiva rileva come la nuova formulazione dell'articolo 21 miri a consentire a giudici altamente qualificati di rimanere in carica per l'intero periodo di nove anni previsto, cosa che nella formulazione vigente (art. 23, par. 2, del quale l'articolo 2 del Protocollo n. 15 prevede la soppressione) è preclusa ai giudici più anziani, dovendo il mandato terminare comunque a 70 anni.

L'articolo 3 prevede la soppressione della parte finale dell'articolo 30 della Convenzione, e segnatamente della possibilità che una delle Parti si opponga alla rimessione alla Grande Camera (Grande Chambre) di una questione oggetto di ricorso innanzi a una Camera della Corte europea, la quale sollevi gravi problemi interpretativi, o la cui soluzione rischi di andare in contrasto con la precedente giurisprudenza della Corte.

L'art. 4 modificando l'art. 35 della Convenzione riduce da 6 mesi a 4 mesi dalla sentenza definitiva nazionale il termine di presentazione del ricorso alla CEDU.

L'articolo 5 interviene ugualmente sull'articolo 35 della Convenzione, ma sul par. 3, lettera b), che riguarda una delle condizioni di irricevibilità di un ricorso da parte della Corte europea, e in particolare la fattispecie per la quale il ricorrente non abbia subito un pregiudizio importante dei propri diritti. L'articolo 5 del Protocollo in esame sopprime l'ultima parte della lettera b), rimuovendo dal giudizio della Corte sull'entità del pregiudizio subito dal ricorrente la preoccupazione di non rigettare ricorsi non debitamente esaminati dai tribunali interni. Tale misure è intesa ad agevolare il giudizio di apprezzamento della Corte sull'entità del pregiudizio subito dal ricorrente.

Infine, gli articoli 6-9 contengono disposizioni finali e transitorie del Protocollo n. 15: depositario del Protocollo sarà il Segretario generale del Consiglio d'Europa, presso il quale verranno depositati gli strumenti di ratifica, accettazione o approvazione delle Parti contraenti. L'entrata in vigore del Protocollo avverrà il primo giorno del mese successivo alla scadenza di tre mesi dalla data in cui tutte le Parti contraenti della Convenzione europea sui diritti umani avranno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo n. 15. Sono previste altresì disposizioni di carattere transitorio riguardanti i candidati alla carica di giudice, le cause già pendenti per le quali si sia proposta la rimessione alla Grande Camera, la finestra temporale entro la quale poter presentare ricorsi alla Corte europea.

Il Protocollo 15, non è ancora in vigore a livello internazionale: è stato sinora firmato da 45 Stati membri del Consiglio d'Europa, 43 dei quali hanno depositato gli strumenti di ratifica (non lo ha fatto ancora, oltre all'Italia, la Bosnia-Erzegovina, che ha sottoscritto il Protocollo l'11 maggio 2018).


Il contenuto del provvedimento di ratifica

A seguito degli emendamenti approvati in sede referente, che hanno soppresso la ratifica del Protocollo n. 16 e, conseguentemente, delle relative disposizioni di adeguamento dell'ordinamento interno, il provvedimento all'esame della Commissione consta di 3 articoli.

Gli articoli 1 e 2 contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 15 e il relativo ordine di esecuzione.

L'articolo 2 precisa, in particolare, che piena esecuzione al Protocollo n. 15 sarà data a decorrere dalla sue entrata in vigore. In base all'art. 7 del Protocollo, lo stesso entrerà in vigore quando tutti gli Stati lo avranno ratificato; in particolare, calcolati 3 mesi dalla data dell'ultima ratifica, il Protocollo entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo.

L'articolo 3 riguarda l'entrata in vigore della legge, che ha luogo il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella in Gazzetta ufficiale.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento costituisce esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di rapporti internazionali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione.