Norme in materia di ricercatori universitari e di programmazione triennale del personale nelle università 15 aprile 2019 |
PremessaLa proposta di legge, composta da 9 articoli, reintroduce la figura del ricercatore universitario a tempo indeterminato – attualmente, ad esaurimento –, affiancandola a quella del ricercatore a tempo determinato, di cui modifica però la disciplina anche con riguardo alle modalità di reclutamento. Inoltre, interviene sulla disciplina relativa alla programmazione triennale del personale delle università (docente e non docente). |
Cenni al quadro normativo vigenteLa disciplina in materia di ricercatori universitari
Il
ruolo dei ricercatori universitari è stato istituito dal
DPR 382/1980, il cui art. 32 aveva attribuito ai ricercatori, nell'ambito della didattica, unicamente "
compiti didattici integrativi dei corsi di insegnamento ufficiali".
Il principio di affidamento ai ricercatori universitari di attività didattiche solo integrative era stato poi superato dall'art. 12 della
L. 341 del 1990 – poi abrogato dalla
L. 230/2005 –, che aveva previsto che i ricercatori adempivano anche a
compiti didattici in tutti i corsi di studio. In particolare, ferma restando per i professori la responsabilità didattica di un corso relativo ad un insegnamento, le strutture didattiche, secondo le esigenze della programmazione didattica, potevano attribuire ai ricercatori, con il consenso dell'interessato, l'affidamento e la supplenza di ulteriori corsi o moduli.
Successivamente, l'art. 1, co. 11, della
L. 230/2005 – poi abrogato dalla
L. 240/2010 – aveva disposto che ai ricercatori che avevano svolto 3 anni di insegnamento ai sensi dell'
art. 12 della L. 341/1990 erano affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico,
corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici, nonché compiti di tutorato e di didattica integrativa. Agli stessi era attribuito il titolo di
professore aggregato per il periodo di durata dei medesimi corsi e moduli.
Ancora in seguito, l'art. 24 della
L. 240/2010 – modificato, da ultimo, dall'
art. 1, co. 635, della L. 205/2017 (L. di bilancio 2017) – ha disposto che le università, al fine di svolgere attività di
ricerca, di
didattica, di
didattica integrativa e di
servizio agli studenti, possono stipulare contratti per
ricercatore a tempo determinato, disponendo, al contempo, la
messa ad esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato.
Parallelamente, l'art. 6 della stessa legge ha continuato a prevedere che ai ricercatori a tempo indeterminato che hanno svolto 3 anni di insegnamento ai sensi dell'
art. 12 della L. 341/1990, sono affidati, con il loro consenso,
corsi e moduli curriculari compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici, e che ad essi è attribuito il titolo di
professore aggregato per l'anno accademico in cui essi svolgono tali corsi e moduli.
Più nello specifico, l'
art. 24 della
L. 240/2010 ha stabilito che le università possono stipulare
contratti di lavoro subordinato
a tempo determinato di due tipologie, cui segue, eventualmente, il passaggio al ruolo dei
professori associati, previo conseguimento dell'
abilitazione scientifica nazionale (ASN).
La prima tipologia (ricercatore a tempo determinato di
tipo A) prevede
contratti di durata triennale, prorogabili per due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte. Possono stipulare tale tipo di contratto i possessori del titolo di
dottore di ricerca o
titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di
specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo. Sono esclusi i soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio. I contratti possono prevedere il regime di
tempo pieno o di
tempo definito.
La seconda tipologia (ricercatore a tempo determinato di
tipo B) prevede
contratti triennali riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti a tempo determinato di
tipo A, o che hanno conseguito l'
ASN, o che sono in possesso del titolo di
specializzazione medica, ovvero che, per almeno 3 anni anche non consecutivi, hanno usufruito di
assegni di ricerca o di
borse post-dottorato, oppure di contratti, assegni o borse analoghi in università straniere (nonché, ai sensi dell'
art. 29, co. 5, della medesima L. 240/2010, a candidati che hanno usufruito per almeno 3 anni di contratti a tempo determinato stipulati in base all'
art. 1, co. 14, della L. 230/2005). I contratti sono stipulati esclusivamente con regime di
tempo pieno.
In base al medesimo art. 24, l'
impegno annuo complessivo dei ricercatori (di tipo A e di tipo B) per lo svolgimento delle attività di
didattica, di
didattica integrativa e di
servizio agli studenti è pari a
350 ore per il regime di
tempo pieno e a
200 ore per il regime di
tempo definito.
Quanto ai
ricercatori di ruolo (assunti in base alla normativa previgente), l'
art. 6 della stessa
L. 240/2010 ha disposto che il regime di impiego è a
tempo pieno o a
tempo definito.
Ai fini della rendicontazione dei progetti di ricerca, la
quantificazione figurativa delle attività annue di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori, di verifica e organizzativi, è pari a
1.500 ore a
tempo pieno e a
750 ore a
tempo definito.
I ricercatori di ruolo svolgono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico e, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti di
didattica integrativa e di
servizio agli studenti, inclusi l'orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell'apprendimento, fino a un
massimo di 350 ore in regime di
tempo pieno e fino ad un
massimo di 200 ore in regime di
tempo definito.
La programmazione del reclutamento del personale delle università
L'
art. 4 del
d.lgs. 49/2012 – come, da ultimo, modificato dal
d.lgs. 10/2016 – ha individuato, in attuazione dell'
art. 5 della L. 240/2010, i principi per la predisposizione da parte delle università, nell'ambito della loro autonomia didattica, di ricerca e organizzativa, di
piani triennali per la programmazione del reclutamento di professori, ricercatori, dirigenti e tecnico-amministrativi (a tempo indeterminato e a tempo determinato).
In particolare, i piani triennali devono essere predisposti tenendo conto dell'effettivo fabbisogno di personale, assicurando la sostenibilità della spesa di personale nell'ambito del piano economico-finanziario triennale (di cui all'art. 3) e il rispetto del limite massimo alle spese di personale (di cui all'art. 5).
Inoltre, gli
indirizzi della programmazione di ateneo sono stati individuati per il primo triennio dal medesimo
d.lgs. 49/2012 e, per i trienni successivi, con
DPCM.
Il medesimo art. 4 ha disposto, inoltre, che i piani triennali sono
adottati e
aggiornati annualmente dal
consiglio di amministrazione, con riferimento a ciascun triennio di programmazione, in sede di approvazione del bilancio unico d'ateneo di previsione triennale. La programmazione triennale è
comunicata al MIUR per via telematica ed è
condizione necessaria per indire procedure concorsuali, procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e conferire contratti a ricercatori a tempo determinato.
Per completezza, si ricorda anche che l'
art. 18, co. 4, della
L. 240/2010 ha stabilito che ciascuna università statale, nell'ambito della programmazione triennale, vincola le risorse corrispondenti ad
almeno un quinto dei posti disponibili di
professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio
non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca ovvero iscritti a corsi universitari
nell'università stessa.
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ContenutoAttività svolte dai ricercatori
L'articolo 1, co. 1, dispone che, per attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, le università possono avvalersi di ricercatori a tempo determinato e a tempo indeterminato. I ricercatori svolgono le suddette attività secondo modalità stabilite dalle singole università, sulla base dei regolamenti di ateneo.
Rispetto alla normativa vigente, dunque, le attività svolte dai ricercatori restano invariate. Status giuridico dei ricercatori a tempo determinato
Le disposizioni in materia di status giuridico dei ricercatori a tempo determinato sono contenute negli articoli 1 e 2.
Innanzitutto, si stabilisce che i contratti di ricerca a tempo determinato hanno durata triennale, prorogabile per due anni (art. 1, co. 2, lett. a)).
Le università, però, possono stipulare tale tipo di contratti, previa autorizzazione del MIUR, unicamente per particolari esigenze legate ai programmi di ricerca o per compiti didattici, e in misura non superiore al 20% del totale dei ricercatori a tempo indeterminato risultanti nell'organico dell'ateneo (art. 1, co. 4).
La
relazione illustrativa evidenzia che la disposizione ha l'obiettivo di arginare l'abuso di contratti precari.
I contratti di ricerca a tempo determinato sono stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno. L'impegno annuo complessivo dei ricercatori a tempo determinato per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti può corrispondere ad un massimo di 350 ore e ad un minimo di 250 ore (art. 2, co. 3).
Come nella normativa vigente, i contratti di ricerca a tempo determinato non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli accademici e amministrativi. Si continua a prevedere che gli stessi costituiscono titolo preferenziale nei concorsi per l'accesso alle pubbliche amministrazioni, ma – rispetto alle disposizioni vigenti – si precisa ora che ciò è valido solo per l'accesso ai ruoli di settori equipollenti. Resta inoltre confermato che i dipendenti pubblici beneficiari di contratti di ricerca a tempo determinato sono collocati in aspettativa o in posizione fuori ruolo per tutto il periodo di durata dei contratti, senza assegni, né contribuzioni previdenziali (art. 2, co. 2).
Per quanto non diversamente disposto, ai ricercatori a tempo determinato si applica, per quanto compatibile, l'art. 6 della L. 240/2010, che, come già visto nel quadro normativo, disciplina, tra l'altro, lo stato giuridico dei ricercatori di ruolo (art. 2, co. 4).
Oltre a quanto già ricordato, l'
art. 6 della
L. 240/2010 disciplina, in particolare, le modalità per l'autocertificazione e la verifica dell'effettivo svolgimento dell'attività didattica e di servizio agli studenti, e le cause di
incompatibilità.
Con riguardo a quest'ultimo aspetto, dispone che la posizione di ricercatore di ruolo è incompatibile con l'
esercizio del commercio e dell'industria, fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di
spin off o di
start up universitari (artt. 2 e 3 del
d.lgs. 297/1999) e che l'attività a
tempo pieno è incompatibile con l'esercizio di
attività libero-professionale.
Relativamente ai contratti di ricerca a tempo determinato ex art. 24 della L. 240/2010, si dispone che questi non possono essere più stipulati, i contratti di tipo A, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, e i contratti di tipo B, a decorrere dal tredicesimo mese successivo alla medesima data (art. 1, co. 3).
Accesso ai contratti di ricerca a tempo determinato
Anche le modalità di accesso ai contratti di ricerca a tempo determinato sono contenute negli articoli 1 e 2.
In particolare, i contratti di ricerca a tempo determinato possono essere sottoscritti unicamente da candidati in possesso del dottorato di ricerca (art. 1, co. 2, lett. a)). Questa rappresenta una novità rispetto alla normativa vigente, in base alla quale – come si è visto – costituisce titolo per l'accesso, oltre al dottorato di ricerca, anche i titoli equivalenti e, per i settori interessati, il diploma di specializzazione medica.
L'
art. 74 del
DPR 382/1980 prevede che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, su conforme parere del CUN, possono essere stabilite eventuali
equipollenze con il titolo di dottore di ricerca dei
diplomi di perfezionamento scientifico rilasciati dall'Istituto universitario europeo, dalla Scuola normale superiore di Pisa, dalla Scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento di Pisa, dalla Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste e da altre scuole italiane di livello post-universitario e che siano assimilabili ai corsi di dottorato di ricerca per strutture, ordinamento, attività di studio e di ricerca e numero limitato di titoli annualmente rilasciati.
La disciplina per il rilascio dei provvedimenti di equipollenza è stata emanata con
DM 6 agosto 1998.
Inoltre, il medesimo art. 74 ha previsto che coloro che hanno conseguito il titolo di dottore di ricerca o analoga certificazione accademica presso
università non italiane possono chiederne il riconoscimento.
Dal momento che i requisiti per l'accesso a tale tipologia di contratti sono indicati, oltre che all'art. 1, co. 2, lett. a), anche all'art. 2, co. 1, lett. e), si valuti l'opportunità di unificare le disposizioni.
I ricercatori sono selezionati mediante procedure pubbliche concorsuali bandite dalle università e da queste disciplinate con proprio regolamento emanato nel rispetto dei princìpi della Carta europea dei ricercatori, di cui alla Raccomandazione 2005/251/UE della Commissione, dell'11 marzo 2005, dello statuto di ateneo, e dei criteri indicati dalla pdl (art. 2, co. 1). Tali disposizioni sono confrontabili con quanto previsto dall'art. 24, co. 2, della L. 240/2010, che disciplina l'accesso ai contratti di ricercatore a tempo determinato (di entrambe le tipologie). Nello specifico, alcuni dei criteri ricalcano, a volte con piccole modifiche, quelli previsti dalla disciplina vigente; altri costituiscono una novità. Si tratta di:
L'introduzione di un titolo preferenziale costituisce una novità rispetto a quanto previsto dalla L. 240/2010.
Nel merito, si ricorda, preliminarmente, che l'
art. 51, co. 6, della L. 449/1997 e l'
art. 4 della L. 398/1989 sono stati entrambi
abrogati dall'
art. 29, co. 11, della L. 240/2010.
Infatti, l'
art. 22 della
L. 240/2010 ha modificato la disciplina per il conferimento di
assegni di ricerca, disponendo che le università, le istituzioni e gli enti pubblici di ricerca e sperimentazione, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), l'Agenzia spaziale italiana (ASI), nonché le istituzioni il cui diploma di perfezionamento scientifico è stato riconosciuto equipollente al titolo di dottore di ricerca, possono conferire, nell'ambito delle relative disponibilità di bilancio, assegni per lo svolgimento di attività di ricerca.
Destinatari degli assegni possono essere
studiosi in possesso di
curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca. E' facoltà dei soggetti che conferiscono gli assegni di introdurre nel bando, quale requisito obbligatorio per l'ammissione, il possesso del titolo di dottore di ricerca (o di un titolo equivalente conseguito all'estero) ovvero, per i settori pertinenti, di un titolo di specializzazione di area medica, corredato da adeguata produzione scientifica. In assenza di tale disposizione, i suddetti titoli costituiscono titolo preferenziale ai fini dell'attribuzione degli assegni. Non possono essere destinatari degli assegni di ricerca i dipendenti di ruolo delle istituzioni che emanano i bandi.
Inoltre, ha stabilito che gli assegni possono avere una
durata compresa fra 1 e 3 anni e sono rinnovabili fino ad un limite massimo complessivo di 4 anni.
Alla luce del quadro descritto, si valuti, dunque, l'opportunità di considerare titolo preferenziale anche aver beneficiato di assegni di ricerca ai sensi dell'art. 22 della L. 240/2010.
Si tratta di un criterio parzialmente diverso da quello omologo contenuto nella L. 240/2010.
In particolare, la
L. 240/2010 (art. 24, co. 2, lett.
c), primo periodo) include esplicitamente nella produzione scientifica oggetto della valutazione preliminare solo la tesi di dottorato e dispone che i criteri e i parametri per la medesima valutazione, riconosciuti anche in ambito internazionale, sono individuati con decreto del Ministro, sentiti l'ANVUR e il CUN.
Si rilevano alcune differenze rispetto a quanto previsto dalla L. 240/2010.
Rispetto alla normativa vigente (art. 24, co. 2, lett.
c),
L. 240/2010), infatti, non è più prevista la possibilità di prevedere un numero massimo di pubblicazioni – comunque non inferiore a 12 – che ciascun candidato può presentare, e non è più contemplata la possibilità di prevedere una prova orale volta ad accertare l'adeguata conoscenza da parte del candidato di una lingua straniera;
Anche in questo caso si tratta di un criterio parzialmente diverso da quello omologo della L. 240/2010.
In particolare, l'art. 24, co. 2, lett.
d), della
L. 240/2010 dispone che la proposta di chiamata è formulata con voto favorevole della
maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia e approvata con
delibera del consiglio di amministrazione.
Status giuridico dei ricercatori a tempo indeterminato
L'articolo 4 concerne lo status giuridico dei ricercatori a tempo indeterminato.
In particolare, si dispone che i contratti a tempo indeterminato possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito. L'impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti corrisponde a un massimo di 350 ore per il regime di tempo pieno e a un massimo di 200 ore per il regime di tempo definito. Dunque, rispetto a quanto si dispone per i ricercatori a tempo determinato, per i ricercatori a tempo indeterminato si fissa solo il numero massimo di ore annue (e non anche quello minimo) da destinare allo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti. Si valuti l'opportunità di un chiarimento, ovvero di omogenizzare le disposizioni.
I ricercatori a tempo indeterminato sono collocati a riposo a decorrere dall'inizio dell'anno accademico successivo alla data di compimento del sessantacinquesimo anno di età.
Lo stesso art. 4 prevede che "ai ricercatori che hanno optato per il regime di tempo pieno e svolgono le attività didattiche ai sensi della legge 4 novembre 2005, n. 230" sono affidati, fermi restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curricolari, compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici. Ad essi viene attribuito il titolo di professore di terza fascia per l'anno accademico in cui svolgono tali corsi e moduli.
Si valuti l'opportunità di chiarire il riferimento allo svolgimento di attività didattiche ai sensi della L. 230/2005. Inoltre, dal momento che, in base alla proposta di legge, i ricercatori a tempo indeterminato svolgono (tutti) attività di didattica, si valuti l'opportunità di chiarire quale sia il requisito necessario per l'attribuzione del titolo di professore di terza fascia.
Si stabilisce, altresì, che lo stato giuridico dei ricercatori universitari a tempo indeterminato è disciplinato, per quanto non diversamente previsto, dalle norme relative allo stato giuridico degli assistenti universitari (ruolo che, si ricorda, è stato trasformato ad esaurimento).
Le norme sullo stato giuridico ed economico degli
assistenti universitari di ruolo – ruolo trasformato ad esaurimento dall'
art. 3 del D.L. 580/1973 (
L. 766/1973) – sono contenute nella
L. 349/1958.
In base alla legge citata, gli
assistenti ordinari, che coadiuvano il professore nella ricerca scientifica e nell'attività didattica, con particolare riguardo alle esercitazioni, erano nominati dal Ministro in seguito a pubblico concorso per titoli ed esami.
Da ultimo, il
DPR 382/1980 (artt. 50-52) ha previsto l'
inquadramento nel ruolo dei professori associati degli assistenti universitari del ruolo ad esaurimento,
previo superamento di un giudizio di idoneità scientifico-didattica espresso da apposite commissioni nazionali. In caso di diniego a sottoporsi al giudizio o di mancato conseguimento dell'idoneità,
è consentito agli interessati il mantenimento del proprio status giuridico ed economico.
Inoltre, anche ai ricercatori a tempo indeterminato si applica, per quanto compatibile, il già citato art. 6 della L. 240/2010, ma ad eccezione, questa volta, dei commi 3 e 4, nonché del comma 2 (che, tuttavia, non sembrerebbe potersi applicare comunque ai ricercatori).
Le disposizioni citate disciplinano, infatti, rispettivamente, le attività dei
professori
di ruolo (
co. 2) e dei
ricercatori di ruolo (
co. 3), nonché la possibilità di affidare a
ricercatori a tempo indeterminato, che hanno svolto tre anni di insegnamento ai sensi dell'
art. 12 della L. 341/1990, con il loro consenso, corsi e moduli curricolari.
Alla luce di quanto descritto, si valuti l'opportunità – anche al fine di evitare dubbi interpretativi – di definire ex novo lo stato giuridico dei ricercatori universitari a tempo indeterminato.
Accesso al ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato
I requisiti per l'accesso al ruolo di ricercatore a tempo indeterminato sono stabiliti – peraltro, in termini non del tutto identici – in tre diverse disposizioni della proposta di legge (articolo 1, co. 2, lett. b); articolo 3, co. 2; articolo 3, co. 3, lett. c)). In particolare, possono (sicuramente) accedere al ruolo i candidati che:
Quanto ai beneficiari di assegni di ricerca, borse post-dottorato o equivalenti, i termini non sono del tutto concordi, specie in relazione al requisito temporale minimo richiesto.
E' necessario, dunque, operare un coordinamento, valutando altresì l'opportunità di unificare le disposizioni.
La rimanente disciplina è recata dall'articolo 3. In particolare, si stabilisce che i ricercatori sono selezionati mediante concorso pubblico, bandito su base nazionale, nel rispetto dei princìpi della già citata Carta europea dei ricercatori.
In base alla
relazione illustrativa, il concorso bandito su base nazionale mira a ridurre al minimo l'influenza dei professori nell'ateneo di appartenenza.
Il concorso – che è bandito con cadenza annuale – accerta l'idoneità scientifica e didattica del candidato. Nello specifico, esso è indetto con un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che prevede:
L'
art. 13 del
DPR 382/1980 ha previsto che il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa nei casi di elezione al Parlamento nazionale o europeo, nonché di nomina ad incarichi di Governo, a componente delle istituzioni dell'Unione europea, a componente di organi e istituzioni specializzate delle Nazioni Unite che comporti un impegno incompatibile, a presidente o vicepresidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, in organi regionali o provinciali (per le posizioni specificamente indicate), alle cariche di presidente e di amministratore delegato di enti pubblici, anche economici, e di società a partecipazione pubblica, a direttore, condirettore e vicedirettore di giornale quotidiano o a posizione corrispondente nell'informazione radio-televisiva, a presidente o segretario nazionale di partiti rappresentati in Parlamento, agli incarichi dirigenziali a tempo determinato;
Si evidenzia, tuttavia, che, a fronte di tali previsioni – recate dall'art. 3, co. 3, lett. p), q) ed r) – l'art. 3, co. 1, fa riferimento unicamente alla discussione dei titoli presentati dal candidato e allo svolgimento di una prova didattica nell'ambito di una disciplina della classe di concorso connessa ai titoli medesimi. E' dunque necessario definire in maniera univoca l'articolazione della procedura, in particolare stabilendo le prove che il candidato è tenuto a sostenere. Inoltre, si valuti l'opportunità di unificare le disposizioni.
Al riguardo, si valuti l'opportunità di chiarire con quale modalità verranno inseriti nella graduatoria nazionale di merito i candidati che di anno in anno superano il concorso;
Al riguardo, andrebbe valutata l'opportunità di distinguere l'atto con cui si fissano i principi generali della procedura, dall'atto con cui si bandisce annualmente il concorso nazionale.
Alle spese necessarie per lo svolgimento delle procedure concorsuali si provvede nell'ambito delle risorse del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).
Il
Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), istituito nello stato di previsione del MIUR (cap. 1694) dall'art. 5, co. 1, lett.
a), della
L. 537/1993, è; relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica, ad eccezione della quota destinata ai progetti di ricerca di interesse nazionale – destinata a confluire nel Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) (
art. 1, co. 870, L. 296/2006) – e della spesa per le attività sportive universitarie.
Con riguardo alle assunzioni, si stabilisce che le università bandiscono procedure di accesso ai ruoli ed effettuano la copertura dei posti vacanti – previa verifica delle eventuali richieste di trasferimento – attraverso l'assunzione dei ricercatori che, avendo avanzato domanda, risultino aver conseguito il miglior punteggio nella graduatoria nazionale di merito per lo specifico settore scientifico-disciplinare. Se l'università non provvede in tal senso, perde il budget corrispondente, che rientra nelle disponibilità finanziarie del MIUR.
Trasferimenti e mobilità dei ricercatori
Per i trasferimenti e la mobilità, l'articolo 5 dispone (unicamente) che si applica quanto previsto dall'art. 7 della L. 240/2010. La relazione illustrativa precisa, invece, che tale disciplina si applica ai soli ricercatori a tempo determinato, mentre per i ricercatori a tempo indeterminato si applica quanto previsto dall'art. 3 della L. 210/1998. Una conferma di ciò sembrerebbe rinvenirsi, peraltro, nell'articolo 3, co. 4, in cui si dispone che le università possono procedere alle assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato attingendo alle graduatorie nazionali previa verifica delle eventuali richieste di trasferimento "di cui all'articolo 3 della legge 3 luglio 1998, n. 2010".
L'
art. 7 della L. 240/2010 – come modificato, da ultimo dalla
L. 147/2013 (L. di stabilità 2014) – ha disposto, per quanto qui maggiormente interessa, che, al fine di incentivare la
mobilità interuniversitaria del personale accademico, ai ricercatori che prendono servizio in atenei con sede in altra regione rispetto a quella della sede di provenienza, o nella stessa regione, se previsto da un accordo di programma approvato dal Ministero, ovvero, a seguito di procedure di fusione o federazione fra atenei, in sede diversa da quella di appartenenza, possono essere attribuiti
incentivi finanziari, a carico del FFO.
Ha previsto, inoltre, la possibilità di effettuare
trasferimenti di ricercatori
consenzienti attraverso lo scambio contestuale di docenti in possesso della stessa qualifica fra due sedi universitarie, previo assenso delle università interessate.
A sua volta, l'
art. 29, co. 10, della
L. 240/2010 ha previsto che ai
ricercatori a tempo indeterminato si applica la disciplina dei trasferimenti recata dal già citato
art. 3 della
L. 210/1998, che ha stabilito che i regolamenti universitari disciplinano i trasferimenti assicurando la
valutazione comparativa dei candidati secondo criteri generali predeterminati e adeguate forme di pubblicità della procedura, nonché l'effettuazione dei medesimi esclusivamente a domanda degli interessati e
dopo tre anni accademici di loro permanenza in una sede universitaria, anche se in aspettativa.
Al fine di evitare incertezze interpretative, sembrerebbe dunque necessario coordinare le disposizioni, specificando anche se si debba continuare ad applicare l'art. 29, co. 10, della L. 240/2010.
Trattamento economico dei ricercatori
Le disposizioni in materia di trattamento economico dei ricercatori sono contenute nell'articolo 6.
In particolare, si prevede che il trattamento economico dei ricercatori a tempo determinato è pari al trattamento iniziale spettante al "ricercatore confermato" – ovvero al ricercatore assunto in base alla normativa previgente la L. 240/2010 e soggetto alla conferma in ruolo 3 anni dopo l'immissione (art. 31, DPR 382/1980) – a regime di impegno a tempo pieno. Ai ricercatori a tempo indeterminato compete il medesimo trattamento economico spettante al "ricercatore confermato", con le stesse modalità applicative.
La
L. 240/2010 ha disposto, all'
art. 24, co. 8, che il trattamento economico spettante ai ricercatori a tempo determinato di tipo A è pari al trattamento iniziale spettante al
ricercatore confermato a seconda del regime di impegno, e che, per i ricercatori a tempo determinato di tipo B, il trattamento annuo lordo omnicomprensivo è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo pieno elevato fino a un massimo del 30%.
Al contempo, l'
art. 8 della stessa
L. 240/2010 ha previsto l'adozione di regolamenti di delegificazione per la
revisione del trattamento economico dei professori e dei ricercatori universitari.
E' dunque intervenuto il
regolamento emanato con
DPR 232/2011, che ha definito, da ultimo, il trattamento economico dei professori e dei ricercatori assunti secondo il regime previgente e quello dei professori e dei ricercatori a tempo determinato assunti ai sensi della stessa
L. 240/2010.
Si valuti l'opportunità di aggiornare la terminologia, ad esempio riferendosi ai "ricercatori a tempo indeterminato assunti in base alla normativa previgente la L. 240/2010".
Passaggio dei ricercatori a tempo indeterminato al ruolo di professore associato
L'articolo 7 disciplina il passaggio dei ricercatori a tempo indeterminato al ruolo di professore associato.
Preliminarmente, si evidenzia che le disposizioni sono parzialmente raffrontabili con quanto dispone la normativa vigente in materia di passaggio dei ricercatori a tempo determinato di tipo B al ruolo di professore associato.
L'
art. 24, co. 5, della
L. 240/2010 stabilisce che, nel
terzo anno del contratto di ricercatore a tempo determinato di
tipo B, l'università, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione,
valuta il titolare del contratto che abbia conseguito l'
ASN, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato. Se la valutazione ha esito positivo, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato. In base all'
art. 18, co. 2, della stessa
L. 240/2010, la programmazione triennale assicura la
copertura finanziaria degli oneri derivanti.
In particolare, si dispone che l'università, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, valuta il ricercatore a tempo indeterminato, a decorrere dal sesto anno di inquadramento nel ruolo – purché abbia conseguito l'abilitazione scientifica nazionale e abbia prestato servizio in regime di tempo pieno per almeno tre anni –, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato "ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lett. e)" della L. 240/2010. In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La programmazione triennale assicura la disponibilità delle risorse necessarie.
L'
art. 18 della
L. 240/2010 – come modificato dall'
art. 49 del D.L. 5/2012 (
L. 35/2012) – prevede che le università disciplinano, con proprio
regolamento, nel rispetto del codice etico, nonché dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, la
chiamata dei professori di prima e seconda fascia, secondo
criteri ivi definiti, tra cui:
Nel richiamare la sola lett. e) del co. 1 dell'art. 18 della L. 240/2010, l'intenzione sembrerebbe, dunque, quella di prevedere unicamente che la formulazione della proposta di chiamata del ricercatore a tempo indeterminato sia effettuata con voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia da parte del dipartimento e l'approvazione della stessa proposta con delibera del consiglio di amministrazione.
Rispetto agli ulteriori principi recati dall'art. 18 della L. 240/2010, infatti, si stabilisce ora che:
Si valuti l'opportunità di specificare la cadenza temporale con cui si provvede all'aggiornamento dei criteri per la valutazione dei candidati.
Programmazione triennale del personale delle università
L'articolo 9 stabilisce una nuova disciplina in materia di programmazione triennale del personale delle università. A tal fine, sostituisce integralmente l'art. 4 del d.lgs. 49/2012.
Innanzitutto, rispetto alla normativa vigente, stabilisce che, in linea di principio, le università devono predisporre e approvare i piani triennali per la programmazione del reclutamento del personale tenendo conto anche delle variazioni della popolazione studentesca nei diversi corsi di studio e dei programmi di ricerca.
Più nello specifico, il piano triennale stabilisce:
Al riguardo, sembrerebbe opportuno chiarire (anche con riguardo al punto successivo), se ci si riferisca a entrambe le tipologie di ricercatori (a tempo determinato e a tempo indeterminato);
Dal tenore letterale del testo – che fa riferimento specifico ai "ricercatori a tempo determinato con contratti di lavoro subordinato di durata triennale, prorogabili per soli due anni, a cui possono accedere i candidati in possesso del dottorato di ricerca" –, tale limite massimo sembrerebbe riferito unicamente ai ricercatori a tempo determinato assunti in base alla nuova disciplina (e non anche a quelli assunti in base all'art. 24 della L. 240/2010). Si valuti, dunque, l'opportunità di un chiarimento;
L'
art. 4 del
D.L. 120/1995 (
L. 236/1995) ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, le università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d'ateneo,
collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre (
CEL) (in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza) con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università, secondo i rispettivi ordinamenti.
Al riguardo, la
relazione illustrativa – ricordato che alcuni atenei utilizzano
ditte esterne per l'espletamento dei servizi amministrativi, di uscierato, e di
front-office – evidenzia che la disposizione intende colmare un vuoto normativo che permette ad alcune università di dichiarare una spesa per il personale in servizio inferiore rispetto a quella effettiva.
In particolare, si dispone anche che, a decorrere dall'entrata in vigore della legge, le università non possono più affidare servizi e compiti di ufficio attraverso procedure di appalto esterne, ad esclusione dei servizi di pulizia e di assistenza agli studenti disabili. Inoltre, si stabilisce, che il ricorso a contratti atipici è concesso solo per esigenze amministrative legate a fattori temporanei ed eccezionali.
Il piano triennale è proposto dal senato accademico e approvato e aggiornato annualmente dal consiglio di amministrazione contestualmente al bilancio unico di ateneo di previsione triennale. Il piano triennale deve essere comunicato al MIUR per via telematica, attraverso sistemi certificati, entro 10 giorni dalla sua approvazione, e pubblicato sul sito dell'università.
Il piano "vincola" l'università all'assunzione di professori e di ricercatori a tempo indeterminato, previa determinazione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con apposito decreto. Nulla si precisa circa i contenuti del vincolo, né con riguardo ai ricercatori a tempo determinato, nonché al personale dirigente e tecnico-amministrativo. Si valuti l'opportunità di disciplinare anche tali aspetti.
Al contempo, l'articolo 8 dispone che il contingente nazionale di ricercatori a tempo indeterminato è stabilito con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca entro il 31 gennaio di ogni anno, sulla base della programmazione triennale di ciascun ateneo. Lo stesso decreto determina anche il fabbisogno di ricercatori a tempo indeterminato di ogni università. Si valuti l'opportunità di chiarire se il decreto previsto dall'art. 8 sia lo stesso, autorizzatorio, previsto dall'art. 9.
Infine, l'articolo 3, co. 5, stabilisce che alle università che, alla fine del primo triennio hanno incrementato il numero degli iscritti e dei laureati "sono assegnate ulteriori risorse per nuove assunzioni di ricercatori" – si intenderebbe, a tempo indeterminato, data la collocazione nell'ambito dell'art. 3 –, in misura sufficiente per sostenere le attività formative dei nuovi studenti. L'intenzione è dunque quella di introdurre un meccanismo premiale applicabile, però, solo in sede di prima applicazione. Con riguardo alle ulteriori risorse da assegnare, si valuti l'opportunità di specificare se esse dovranno essere assegnate in sede di riparto del FFO o con un atto diverso. |
Relazioni allegate o richiesteLa proposta di legge è corredata di relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeL'intervento con legge appare necessario perché si verte in ambiti rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, attualmente disciplinati con fonti di rango primario. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteLa materia università non è espressamente citata nell'art. 117 della Costituzione. In materia, tuttavia, l'art. 33, sesto comma, stabilisce che le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 22/1996, l'autonomia di cui all'art. 33 Cost. non attiene allo stato giuridico dei docenti universitari, i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge statale ritiene di adottare. Tale orientamento è stato confermato, in tempi più recenti, con sentenza n. 310/2013.
In particolare, le disposizioni relative ai docenti universitari sono riconducibili, trattandosi di dipendenti dello Stato il cui rapporto di lavoro è disciplinato con norme pubblicistiche, alla materia "ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali", di cui all'art. 117, secondo comma, lett. g), Cost., affidata alla competenza esclusiva statale.
Per completezza, si ricorda anche che la ricerca scientifica è ricompresa tra gli ambiti di competenza concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Al riguardo, tuttavia, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 423/2004, ha evidenziato che essa "deve essere considerata non solo una 'materia', ma anche un 'valore' costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati". Infatti, la Corte ha ritenuto, anzitutto, che "un intervento 'autonomo' statale è ammissibile in relazione alla disciplina delle «istituzioni di alta cultura, università ed accademie», che «hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 33, sesto comma, Cost.). Detta norma ha, infatti, previsto una 'riserva di legge' statale (sentenza n. 383 del 1998), che ricomprende in sé anche quei profili relativi all'attività di ricerca scientifica che si svolge, in particolare, presso le strutture universitarie". |
Rispetto degli altri princìpi costituzionaliL'art. 9 della Costituzione affida alla Repubblica il compito di promuovere la ricerca scientifica e tecnica. |
Incidenza sull'ordinamento giuridico |
Attribuzione di poteri normativiSi prevede l'emanazione di vari atti normativi secondari per i quali si rimanda al par. Contenuto. |
Coordinamento con la normativa vigenteLa pdl modifica la disciplina in materia di ricercatori universitari sotto diversi aspetti, senza, tuttavia, abrogare o novellare le disposizioni vigenti. Al riguardo, si ricorda che la Circolare del Presidente della Camera del 20 aprile 2001, sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, raccomanda che è privilegiata la modifica testuale ("novella") di atti legislativi vigenti, evitando modifiche implicite o indirette, e che è opportuno che ogni atto legislativo contenga una disposizione che indichi espressamente le disposizioni abrogate in quanto incompatibili con la nuova disciplina recata.
Con riguardo alle previsioni relative alla programmazione triennale del personale delle università, invece, interviene novellando le disposizioni che attualmente disciplinano la materia. |
Collegamento con lavori legislativi in corsoNon risultano lavori legislativi in corso sulla materia. |