Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Ambiente
Titolo: Disposizioni per la promozione delle attività nel settore dei beni usati e del riuso dei prodotti
Riferimenti: AC N.56/XVIII AC N.56/XVIII AC N.978/XVIII AC N.1065/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 34
Data: 25/09/2018
Organi della Camera: VIII Ambiente, X Attività produttive


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Disposizioni per la promozione delle attività nel settore dei beni usati e del riuso dei prodotti

25 settembre 2018
Schede di lettura


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Le proposte di legge abbinate, che dettano disposizioni per la promozione delle attività nel settore dei beni usati e del riuso dei prodotti, vengono di seguito illustrate congiuntamente per singole questioni tematiche affrontate.


Definizioni (art. 1 C. 56, art. 1 C. 978 e art. 1 C. 1065)

Le proposte di legge A.C. 56, A.C. 978 e A.C. 1065 recano, all'articolo 1, inserito nel Capo I (Disposizioni generali) le definizioni di:

 

  • beni usati, intesi come i beni mobili materiali non registrati, già utilizzati e suscettibili di essere reimpiegati nello stato originario di fatto, previa preparazione per il riutilizzo, come definito dal successivo art. 7, comma 1, delle tre proposte di legge.

 

Si ricorda che l'art. 812, comma 3, del codice civile, definisce in via residuale i beni mobili come i beni non rientranti nella categoria dei beni immobili (che, ai sensi dell'art. 812, comma 1, comprende il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo) o dei beni reputati come immobili (i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti saldamente assicurati alla riva o all'alveo e destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, ai sensi dell'art. 812, comma 2).

Si ricorda che il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse", all'art. 36, dedicato al regime fiscale per i beni usati, gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione, fa riferimento ai "beni mobili usati, suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione".

Si segnala, inoltre, che della categoria dei "beni usati" si rinviene una definizione nel Regolamento (CE) n. 2223/96 del 25 giugno 1995, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità. Al capitolo 3, punto 3.147, dell'allegato A, i "beni usati" sono definiti come i "beni che hanno già avuto un utilizzatore (fatta eccezione per le scorte)". In base al successivo punto 3.148 rientrano nella categoria dei beni usati: a) i fabbricati usati e gli altri beni usati che sono venduti da alcune unità di produzione ad altre unità per essere riutilizzati nelle condizioni in cui si trovano o per essere demoliti o smantellati; i prodotti che ne derivano vengono per lo più utilizzati come materie prime (ad esempio, rottami di ferro) per la produzione di beni nuovi (ad esempio, acciaio); b) gli oggetti di valore venduti da una unità all'altra; c) i beni di consumo durevoli usati che sono ceduti dalle famiglie o dalle amministrazioni militari ad altre unità per essere riutilizzati nelle condizioni in cui si trovano o per essere demoliti e trasformati in materiali di demolizione; d) i beni non durevoli usati (per esempio, carta straccia, vecchie bottiglie, stracci, ecc.) ceduti da una qualsiasi unità per essere riutilizzati o per diventare materie prime per la produzione di beni nuovi (beni di recupero).

A livello regionale, si segnala la delibera della giunta regionale dell'Emilia-Romagna n. 1382/2017, che fornisce una dettagliata classificazione dei beni usati.

 

Il requisito della previa preparazione per il riutilizzo, che le proposte di legge A.C. 56 e A.C. 1065 sembrano considerare obbligatorio, è invece un requisito aggiuntivo ed eventuale nella proposta di legge 978, che premette la specificazione "anche" alla locuzione "previa preparazione all'utilizzo".

 

Il comma 1 fa salve le disposizioni di leggi speciali applicabili ad alcune tipologie di beni.

Occorrerebbe specificare le categorie di beni ai quali risulterebbero applicabili le normative speciali (ad esempio, beni preziosi, oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione).

 

  • operatori dell'usato, intesi come i soggetti la cui attività è riferibile alla distrazione, raccolta, selezione, riparazione, restauro, preparazione per il riutilizzo, commercializzazione per conto di terzi, all'ingrosso e al dettaglio di beni usati, nonché all'organizzazione, sotto forma di organismi collettivi, di fiere e di mercati dell'usato, identificati con un codice ATECO specifico per settore.

Occorrerebbe al riguardo valutare l'opportunità di precisare il significato del termine "distrazione" e, se del caso, coordinarlo con la disciplina riferita ai beni mobili suscettibili di occupazione di cui agli artt. 923 ss del codice civile.

Il codice ATECO è una combinazione alfanumerica che identifica una ATtività ECOnomica. Le lettere individuano il macro-settore economico mentre i numeri (da due fino a sei cifre) rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le specifiche articolazioni e sottocategorie dei settori stessi. Dal 1° gennaio 2008 è in vigore la nuova classificazione Ateco 2007, approvata dall'ISTAT in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate, le Camere di Commercio, istituzioni e associazioni imprenditoriali interessate. Con i codici Ateco 2007, viene pertanto adottata la stessa classificazione delle attività economiche per fini statistici, fiscali e contributivi, in un processo di semplificazione delle informazioni gestite dalle pubbliche amministrazioni ed istituzioni. Come evidenziato nella relazione illustrativa, l'introduzione di un codice di attività specifico ATECO risponde alla finalità di "circoscrivere in maniera chiara e definita i soggetti su cui vanno a ricadere provvedimenti in materia fiscale, commerciale, urbanistica e ambientale, nonché i beneficiari di agevolazioni e di politiche di promozione".

 

 


Organismo di promozione e coordinamento: consorzio o tavolo di lavoro (art. 2 C. 56; art. 2 C. 1065; art. 2 C. 978)

L'art. 2 delle proposte di legge C. 56 e C. 978 prevede l'istituzione del Consorzio nazionale del riuso, quale organismo senza scopo di lucro avente personalità giuridica di diritto privato, e ne disciplina la composizione, le funzioni e le modalità di funzionamento.

L'art. 2 della pdl C. 1065 prevede invece l'istituzione del Tavolo di lavoro permanente sul riutilizzo presso il Ministero dell'ambiente e ne disciplina la composizione e le funzioni, che sono analoghe a quelle attribuite al Consorzio dalle proposte C. 56 e C. 978.

  

Composizione dell'organismo

In base al comma 1 dell'art. 2 delle pdl C. 56 e C. 978, nonché al comma 2 dell'art. 2 della pdl C. 56, il Consorzio è composto:

- da rappresentanti degli operatori dell'usato;

- da un rappresentante, con diritto di voto, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. 

In base a quanto disposto dall'art. 2, comma 1, della pdl C. 1065, invece, al "Tavolo" partecipano rappresentanti del medesimo Ministero e dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) nonché delle associazioni più rappresentative a livello nazionale del settore dell'usato e dei principali operatori del settore, distinti per categoria.

Modalità di funzionamento e finanziamento dell'organismo

In base al comma 1 dell'art. 2 delle pdl C. 56 e C. 978, il Consorzio è retto da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Nella pdl C. 978 viene altresì specificato che tale decreto dovrà essere emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro 120 giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

Lo stesso Consorzio, inoltre, provvede ai mezzi finanziari necessari per la sua attività attraverso i contributi dei consorziati nonché mediante proventi derivanti dalle diverse attività promosse.

Tale disposizione, nell'A.C. 978, si trova contenuta nel comma 2 dell'art. 2.

  
Funzioni dell'organismo

Il comma 3 dell'art. 2 delle pdl C. 56 e 978, così come il comma 2 dell'art. 2 della pdl C. 1065, affida all'organismo funzioni di promozione, indirizzo e coordinamento. In particolare, in base alle citate disposizioni, l'organismo in questione:

a) promuove (ai fini del riuso, specifica l'A.C. 978) la differenziazione nella gestione dei rifiuti favorendo, d'intesa (di concerto, secondo quanto prevede l'A.C. 978) con le pubbliche amministrazioni interessate, la selezione e la diversificazione degli oggetti, in modo da permettere agli operatori dell'usato (nonché ad altre categorie interessate, secondo la previsione delle pdl C. 56 e C. 978) un più facile accesso ai beni riutilizzabili;

b) fornisce pareri in materia di riutilizzo (e preparazione per il riutilizzo, secondo quanto dispone l'A.C. 1065) e mercati dell'usato al Ministero dell'ambiente;

L'A.C. 978 prevede un obbligo di motivazione, da parte del Ministero, in caso di decisione difforme dai pareri forniti.

c) fornisce indicazioni utili per l'aggiornamento del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti;

In realtà, nelle proposte di legge C. 56 e C. 978, tale funzione non viene svolta direttamente dal Consorzio, ma da un tavolo di lavoro istituito presso il Ministero dell'ambiente e a cui il Consorzio partecipa.

In attuazione dell'art. 29 della direttiva quadro sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE), richiamata dalla disposizione in esame, che prevede che gli Stati membri adottino programmi di prevenzione dei rifiuti entro il 12 dicembre 2013, il Ministero dell'ambiente ha emanato il decreto direttoriale 7 ottobre 2013 di adozione e approvazione del  Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (PNPR). La citata norma della direttiva è stata recepita nell'ordinamento nazionale con l'art. 180, comma 1- bis, del D.Lgs. 152/2006, che ha altresì previsto che il Ministero dell'ambiente presenti alle Camere, entro il 31 dicembre di ogni anno, a decorrere dal 2013, una relazione recante l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti. In attuazione di tale disposizione, il Ministero dell'ambiente ha presentato le relazioni recanti l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti aggiornate al 2014, 2015 e 2016 ( Doc. CCXXIV).

Con riferimento all'art. 2, co. 3, lett. c) della pdl C. 978, si valuti l'opportunità di richiamare anche l'art. 9, par. 1, lett. d), della direttiva 2008/98/CE  in cui si prevede che, ai fini della prevenzione dei rifiuti, gli Stati membri adottano misure che "incoraggiano il riutilizzo di prodotti e la creazione di sistemi che promuovano attività di riparazione e di riutilizzo, in particolare per le apparecchiature elettriche ed elettroniche, i tessili e i mobili, nonché imballaggi e materiali e prodotti da costruzione" nonché il punto 16 dell'Allegato IV della medesima direttiva (che, tra gli esempi di misure di prevenzione dei rifiuti di cui all'articolo 29, menziona espressamente la  "promozione del riutilizzo e/o della riparazione di determinati prodotti scartati, o loro componenti, in particolare attraverso misure educative, economiche, logistiche o altro, ad esempio il sostegno o la creazione di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo, specialmente in regioni densamente popolate").

d) predispone e coordina la definizione di accordi di programma con regioni, enti locali, consorzi e aziende municipalizzate operanti nella gestione dei rifiuti, al fine di favorire la valorizzazione dei mercati dell'usato e la creazione di un sistema integrato per la distrazione, il trasporto e lo stoccaggio di rifiuti e di beni destinati alla filiera del riuso;

Si valuti l'opportunità di chiarire l'espressione "altri consorzi", in quanto essa non è richiamata in altre parti del testo. 

Si ricorda, in proposito, che l'art. 7- sexies del D.L. 208/2008 (di cui è prevista la riscrittura da parte dell'art. 6 dell'A.C. 978) prevede che il Ministero dell'ambiente conclude con le regioni, le province ed i comuni, in sede di Conferenza unificata, un accordo di programma, che può prevedere la partecipazione di associazioni particolarmente rappresentative a livello territoriale, al fine di regolamentare, a fini ecologici, la rinascita e lo sviluppo, in sede locale, dei mercati dell'usato.

e) favorisce (o garantisce, a seconda della pdl considerata) il necessario raccordo tra le associazioni di categoria, gli operatori economici e le pubbliche amministrazioni;

f) favorisce la costruzione e la ristrutturazione di filiere locali dell'usato nonché la costruzione di reti commerciali in grado di assorbire i prodotti degli impianti di preparazione per il riutilizzo o dei centri del riuso accreditati;

g) organizza, in accordo con Stato, regioni, enti locali e pubbliche amministrazioni interessate, campagne dirette a favorire la conoscenza del riuso, favorendo la corretta partecipazione dei cittadini alle attività degli operatori dell'usato;

h) predispone accordi di programma, iniziative e azioni diretti all'orientamento professionale e alla formazione professionale continua nonché azioni dirette alla comunicazione e all'educazione ambientale.

Volontarietà dell'adesione al Consorzio

Gli operatori dell'usato che non intendono aderire al Consorzio possono, in base a quanto disposto dal comma 4 dell'art. 2 dell'A.C. 56, organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei beni usati nell'intero territorio nazionale, presentando al Ministero dell'ambiente il progetto relativo al sistema che intendono istituire.

Si fa notare che la disciplina relativa al Consorzio, dettata dall'articolo 2 delle proposte nn. 56 e 978 prende spunto da quella attualmente vigente (contenuta nei titoli II e III della parte quarta del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell'ambiente) per i consorzi di gestione degli imballaggi e per quelli istituiti per la gestione di particolari categorie di rifiuti (oli usati, polietilene, ecc.).
Con riferimento alla possibilità di organizzazione autonoma di sistemi alternativi al consorzio, nelle norme del Codice dell'ambiente viene fissato un termine, usualmente di 120 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dello Statuto.
Si ricorda altresì che il Codice dell'ambiente non prevede la diretta approvazione dello statuto, bensì l'approvazione iniziale di uno statuto-tipo, sulla base del quale dovrà essere adottato lo statuto del Consorzio e degli eventuali sistemi alternativi (si veda, a titolo di esempio, l'art. 223, comma 2, o l'art. 234, comma 3).

Ciò premesso, si valuti l'opportunità di fissare, anche nell'articolo in esame, un termine per l'adesione a sistemi alternativi.

Si valuti, inoltre, la possibilità di prevedere uno statuto-tipo, in linea con la disciplina prevista per i Consorzi di gestione degli imballaggi e dei rifiuti.


Modifiche al regime amministrativo per l’esercizio di attività di vendita di beni usati (art. 3, co. 1- 3 PDL C. 56 e C. 1065, art. 3, co. 2 PDL C. 978)

Premessa: regime amministrativo vigente applicabile all'esercizio di attività di vendita di beni usati
Il D. Lgs. 5 novembre 2016, n. 222 (c.d. SCIA 2), provvede alla mappatura e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso, e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.
Si ricorda comunque in proposito che la segnalazione certificata di inizio attività, ai sensi dell'articolo 19, comma 1 della legge n. 241/1990 è sostitutiva di "ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi". Il medesimo articolo, al comma 3, altresì dispone che " l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla sopra citata disposizione, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata".
La normativa vigente, contenuta nella citata legge n. 241 è stata integrata e modificata da ultimo dal D.Lgs. n. 216/2016 e dal D.Lgs. n. 222/2016. Essa prevede ora che, se per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, l'interessato presenta un'unica SCIA (cd. SCIA unica, ex art. 19- bis, comma 2) e prevede altresì la cd. SCIA ad efficacia posticipata, il cui avvio dell'attività è condizionato all'acquisizione di atti di assenso o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero all'esecuzione di verifiche preventive, nel caso in cui l'inizio dell'attività è subordinato al rilascio degli atti medesimi (ex art. 19- bis, comma 3),
 
Sulla base di tale disciplina quadro, il D.Lgs. n. 222/2016 attraverso l'allegata Tabella A - che presenta una struttura articolata in tre sezioni distinte: 1) Sezione " Attività commerciali e assimilabili"; 2) Sezione "Edilizia"; 3) Sezione "Ambiente" – ha indicato per ciascuna delle attività ivi elencate il regime amministrativo di riferimento con i relativi riferimenti normativi, contenuti, per l'esercizio delle attività commerciali di vendita, precipuamente nel D.Lgs. n. 114/1998.
Dunque, secondo la citata tabella e il D.Lgs. n. 114/1998 per l'apertura di un esercizio commerciale per l'attività di vendita si applica.
  • per il commercio in esercizi di vicinato il regime amministrativo della SCIA di cui all'articolo 19 della legge n. 241/1990, come modificato dallo stesso D.Lgs. n. 222/2016. Inoltre, In caso di attività che prevede anche un'occupazione di suolo pubblico, è necessaria le relativa concessione.
  • per la media struttura di vendita (con superficie totale lorda inferiore a 400 mq) il regime amministrativo dell'autorizzazione-silenzio assenso (decorsi 90 giorni). Se la superficie è superiore a 400 mq, è necessaria la SCIA prevenzione incendi, ovvero
  • per la grande struttura di vendita, il regime amministrativo dell'autorizzazione-silenzio assenso decorsi 180 giorni + SCIA prevenzione incendi.
 
Mentre, per l'esercizio del commercio su area pubblica su posteggio, si prevede il regime amministrativo della autorizzazione rilasciata contestualmente alla concessione del posteggio, il quale viene dato in concessione per dieci anni (combinato disposto dell'articolo 28, comma 3 del D.Lgs. n. 114/1998 e del D.Lgs. n. 222/2016, Tabella A).
L'articolo 28, comma 3 dispone, in particolare, che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita sulle aree pubbliche mediante l'utilizzo di un posteggio è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal sindaco del comune sede del posteggio ed abilita anche all'esercizio in forma itinerante nell'ambito del territorio regionale
 
Sulla disciplina del commercio al dettaglio su aree pubbliche incide la disciplina di recepimento della Direttiva Servizi (cd. Direttiva Bolkestein), contenuta nell'articolo 16 e nell'articolo 70 del D.Lgs. n. 59/2010.
In particolare, ai sensi dell'articolo 28, comma 13 del D.Lgs. n. 114/1998, come modificato dal testé citato articolo 70 del D.Lgs. n. 59/2010, le Regioni stabiliscono i criteri generali ai quali i comuni si devono attenere per la determinazione delle aree e del numero dei posteggi da destinare allo svolgimento dell'attività, per l'istituzione, la soppressione o lo spostamento dei mercati che si svolgono quotidianamente o a cadenza diversa, nonché per l'istituzione di mercati destinati a merceologie esclusive. Stabiliscono, altresì, le caratteristiche tipologiche delle fiere, nonché le modalità di partecipazione alle medesime prevedendo in ogni caso il criterio della priorità nell'assegnazione dei posteggi fondato sul più alto numero di presenze effettive.
 
Spetta invece ai Comuni, ai sensi dell'articolo 28, comma 15, del D.Lgs. n. 114/1998, sulla base delle disposizioni emanate dalla regione, stabilire l'ampiezza complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività, nonché le modalità di assegnazione dei posteggi, la loro superficie e i criteri di assegnazione delle aree riservate, in misura congrua sul totale, agli imprenditori agricoli che esercitano la vendita diretta. Al fine di garantire il miglior servizio da rendere ai consumatori i comuni possono determinare le tipologie merceologiche dei posteggi nei mercati e nelle fiere.
 
Ai sensi del comma 16, nella deliberazione comunale vengono individuate altresì le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio del commercio di cui al presente articolo è vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette.
 
Inoltre, sempre con riferimento alle concessioni, si ricorda che l'articolo 16 del D.Lgs. n. 59/2010 ha previsto che, nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurare la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l'imparzialità.
Il D.Lgs. n. 59/2010, all'articolo 70, comma 5 ha poi demandato a un'intesa in sede di Conferenza unificata, anche in deroga all'articolo 16 del medesimo decreto legislativo, relativo alle procedure di selezione tra diversi candidati, l'individuazione, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell'impresa, dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e delle disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della norma citata e a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all'applicazione di tali disposizioni transitorie.
In applicazione dell'articolo 70, comma 5, in sede di Conferenza unificata è stata adottata l'Intesa n. 83/CU del 5 luglio 2012, avente ad oggetto i criteri da applicare nelle procedure di selezione per l'assegnazione di posteggi su aree pubbliche, nonché le relative disposizioni transitorie. Con il successivo Accordo raggiunto in sede di Conferenza Unificata il 16 luglio 2015, è stata sancita un'interpretazione univoca dell'applicazione alle attività artigianali, di somministrazione di alimenti e di rivendita di quotidiani e periodici svolte sulle aree pubbliche dei criteri dell'Intesa del 5 luglio 2012 stessa
L'avvio di tali procedure di selezione e la connessa durata delle concessioni già in essere è stata posticipata da vari interventi legislativi. Da ultimo, la legge di bilancio 2018 (L. 27 dicembre 2017, n. 205) ha ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2020 il termine delle concessioni per commercio su aree pubbliche con scadenza anteriore alla predetta data e in essere alla data di entrata in vigore della legge medesima, al fine di garantire che le procedure concorrenziali per l'assegnazione delle medesime concessioni fossero realizzate in un contesto temporale omogeneo (art. 1, comma 1180).
La medesima legge di bilancio (art. 1, comma 1181) ha poi previsto che le amministrazioni interessate prevedano specifiche modalità di assegnazione per coloro che nel biennio precedente l'entrata in vigore della norma avessero direttamente utilizzato le concessioni quale unica o prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, anche in deroga a quanto previsto dalla disciplina delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche e delle connesse concessioni di posteggio di cui all'articolo 16 del D.lgs. 59/2010.
 
Per ciò che concerne l'avvio dell' esercizio del commercio su area pubblica in forma itinerante, il combinato disposto dell'articolo 28, comma 4 del D.Lgs. n. 114/1998, anch'esso modificato dall'articolo 70 del D.Lgs. n. 59/2010, di recepimento della Direttiva Bolkestein e del D.Lgs. n. 222/2016 prevede il regime amministrativo dell' autorizzazione.
Inoltre, l'articolo 28, comma 5 del D.Lgs. n. 114/1998 dispone che nella domanda l'interessato dichiara:
a) di essere in possesso dei requisiti di accesso all'attività previsti dall'articolo 5 del D.Lgs. n. 114 stesso;
b) il settore o i settori merceologici e, qualora non intenda esercitare in forma itinerante esclusiva, il posteggio del quale chiede la concessione.
 
In generale, ai sensi del comma 6 dell'articolo 28, l' autorizzazione all'esercizio dell'attività sulle aree pubbliche abilita alla partecipazione alle fiere che si svolgono sia nell'ambito della regione cui appartiene il comune che l'ha rilasciata, sia nell'ambito delle altre regioni del territorio nazionale.
 
Inoltre, si evidenzia che per la vendita al dettaglio di cose preziose si deve rispettare il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773/31). Il combinato disposto del D.Lgs. n. 222/2016, Tabella A e del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al R.D. n. 773/1931, artt. 127, c.1 e 128 prevede dunque la SCIA per l'avvio dell'esercizio di vicinato più l'autorizzazione per la vendita di oggetti preziosi.
Il citato articolo 128 del T.U.L.P.S. ha disposto che chi fa commercio di cose antiche o usate è obbligato a detenere un registro delle operazioni compiute giornalmente, in cui sono annotate le generalità di coloro con i quali le operazioni stesse sono compiute e le altre indicazioni prescritte dall'art. 247 del R.D. 635/40.
Il regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S. (R.D. 06/05/1940, n. 635, articolo 2), come integrato dal successivo articolo 2 del D.P.R. n. 311/2001 precisa che il registro delle operazioni si applica al commercio di cose usate quali gli oggetti d'arte e le cose antiche, di pregio o preziose, nonché al commercio ed alla detenzione da parte delle imprese del settore, comprese quelle artigiane, di oggetti preziosi o in metalli preziosi o recanti pietre preziose, anche usati. Esso non si applica per il commercio di cose usate prive di valore o di valore esiguo.
Modifiche proposte dalle proposte di legge

Tutte le proposte di legge all'esame (articolo 3, comma 2 delle PDL A.C. 1065 e PDL A.C. 56, articolo 3, comma 1 PDL 978) dispongono che l'attività di vendita di beni usati è libera e non necessita dell'autorizzazione prevista dall'articolo 28, comma 4 del D.Lgs. n. 114/1998. In suo luogo, si prevede la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

L'articolo 28, comma 4 del D. Lgs. n. 114/1998, segnatamente, riguarda l'attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma itinerante.

 

Pertanto, secondo la formulazione proposta dalle PDL, l'attività di vendita di beni usati sembrerebbe libera e non soggetta ad alcun regime amministrativo, autorizzatorio, di silenzio assenso, o di comunicazione o altrimenti denominato, fatta eccezione per la vendita di beni usati in forma itinerante per la quale opera - in luogo dell'autorizzazione amministrativa, prevista dalla disciplina vigente, dall'articolo 28, comma 4 del D.Lgs. n. 114/1998 - la disciplina della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

 

Per la PDL A.C. 978 rimane comunque salva la facoltà degli operatori dell'usato di chiedere l'autorizzazione all'attività di vendita presso aree pubbliche mediante l'utilizzo di un posteggio, assegnato dal comune ai sensi della disciplina contenuta nell'articolo 28, comma 3, del D.Lgs. n. 114 del 1998.

A tale proposito, per consentire una univoca interpretazione della norma, si valuti l'opportunità di precisare che la richiesta di autorizzazione per chi intende esercitare la predetta attività non è facoltativa, ma costituisce un onere ai sensi della disciplina testé citata.

 

Tale previsione, contenuta nel secondo periodo del comma 1 dell'articolo 3, appare dunque mantenere - per la vendita mediante posteggio su aree pubbliche - il regime amministrativo vigente, che consiste nella autorizzazione da parte dell'amministrazione comunale connessa alla concessione di posteggio (l'autorizzazione è abilitante anche all'attività itinerante).

Dunque, nella PDL 978 il principio da essa sancito secondo cui l'attività di vendita di beni usati è libera trova una ulteriore eccezione, che si aggiunge a quella, pure contenuta nella PDL, della SCIA per l'attività di vendita di beni usati in forma itinerante.

 

La PDL A.C. 978, all'articolo 3, comma 2, ma anche la PDL A.C. 56, all'articolo 3, comma 3, definiscono la figura dell'operatore ambulante dell'usato, disponendo che esso possa operare:

a) attraverso le concessioni di posteggio individuale;

b) in forma itinerante esclusiva, attraverso la partecipazione a manifestazioni e a mercati organizzati dagli enti o dagli organismi collettivi organizzatori del mercato (quali associazioni, cooperative, ONLUS) di cui al medesimo articolo 3 delle PDL.

 

Dunque, anche la PDL A.C. 56, in virtù del richiamo all'articolo 28, comma 3  del D.Lgs. n. 114/1998, mantiene, per il commercio di beni usati su posteggi, il regime della concessione di posteggio individuale con la connessa autorizzazione.

 

Tutte le proposte di legge intendono incidere sul regime amministrativo delle attività di commercio, introducendo previsioni specifiche per ciò che attiene al settore del commercio di beni usati, senza modificare esplicitamente la normativa vigente, ed in particolare, non modificano né si coordinano con l'articolo 28 del D.Lgs. n. 114/1998 e la Tabella A del D.Lgs. n. 222/2016.

Inoltre, si osserva che la disciplina generale della SCIA, contenuta nell'articolo 19 della legge n. 241/1990 presuppone l'esercizio di un'attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipende esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e per le quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.

Nel caso del commercio in forma itinerante, con la partecipazione degli operatori a mercati e fiere, ma anche nel caso dell'attività di commercio su posteggio, atteso che tali attività presuppongono l'adozione da parte delle amministrazioni territoriali competenti di strumenti programmatori (cfr. supra, articolo 28, commi 13-15 del D.Lgs. n. 114/1998), queste pertanto sono attualmente assoggettate ad autorizzazione. Nel caso poi di commercio su posteggi il legislatore prevede che l'autorizzazione sia rilasciata contestualmente alla concessione del posteggio, fissando una durata predeterminata per quest'ultima e l'obbligo di indizione di procedure non discriminatorie per il suo rilascio, in ottemperanza a quanto previsto dalla disciplina attuativa della Direttiva servizi (D.lgs. n. 59/2010).

Alla luce della ricostruzione normativa, si valuti l'opportunità di prevedere un regime libero o sottoposto a SCIA anche per le tipologie di vendita di cui sopra. Si valuti inoltre l'opportunità di coordinare le previsioni circa il regime specale di vendita dei beni usati contenute nell'articolo 3 delle PDL con quelle contenute nell'articolo 1, comma 2, delle PDL stesse, in cui si precisa che l'ambito di applicazione della disciplina ivi contenuta riguarda sia la vendita all'ingrosso che la vendita al dettaglio.

La PDL 1065 specifica, all'articolo 3, comma 3, che - nel caso dei mercati dell'usato e di libero scambio - la SCIA è presentata dall'organizzatore del mercato.

Si valuti l'opportunità di precisare, in tal caso, se si intenda introdurre nell'ordinamento un nuovo tipo di SCIA, presentata collettivamente, nonché di valutare la sua compatibilità con la normativa vigente che configura la SCIA stessa come onere per l'esercizio del diritto di impresa da parte del singolo soggetto giuridico interessato.

 

L'organizzatore del mercato, inoltre, deve dichiarare quanti operatori sono presenti durante la manifestazione e trascriverne gli estremi identificativi in appositi registri.

Tali documenti devono essere messi a disposizione delle autorità in caso di controlli durante i mercati o le manifestazioni e sono conservati per i cinque anni successivi. In caso di violazione delle disposizioni di cui sopra la licenza è revocata.

 

La PDL A.C. 1065 e la PDL A.C. 56, all'articolo 3, comma 1, dispongono, inoltre, che le attività esercitate dagli operatori dell'usato possono comprendere attività di carattere artigianale, commerciale e di servizi.

 

Si valuti l'opportunità di specificare le attività di carattere artigianale e commerciale e di servizi ai quali si fa riferimento nonché di esplicitarne il relativo regime amministrativo.

 

La PDL A.C. 978, all'articolo 3, comma 5, e anche la PDL A.C. 56, all'articolo 3, comma 7, definiscono la figura dell'operatore dell'usato hobbista quale colui che ha ricavi - dalla vendita di beni usati (specifica la sola PDL A.C. 56) – inferiori a duemila euro annui. Tale operatore ha diritto di partecipare fino ad un massimo di dodici manifestazioni nel corso dell'anno.

Le citate proposte di legge dispongono inoltre in merito al regime fiscale degli hobbisti (art. 4, co. 6 PDL A.C. 978, e art. 10, co. 2 PDL A.C. 56, alla cui sche di lettura si rinvia).

Si ricorda che l'articolo 28, comma 13 del D.Lgs. n. 114/1998 demanda alle regioni di stabilire i criteri generali ai quali i comuni si devono attenere per la soppressione o lo spostamento dei mercati che si svolgono quotidianamente o a cadenza diversa, nonché per l'istituzione di mercati destinati a merceologie esclusive. Stabiliscono, altresì, le caratteristiche tipologiche delle fiere, nonché le modalità di partecipazione alle medesime prevedendo in ogni caso il criterio della priorità nell'assegnazione dei posteggi fondato sul più alto numero di presenze effettive. Ai sensi del successivo comma 15, i comuni, sulla base delle disposizioni emanate dalla regione, stabiliscono l'ampiezza complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività, nonché le modalità di assegnazione dei posteggi, la loro superficie e i criteri di assegnazione delle aree riservate, in misura congrua sul totale, agli imprenditori agricoli che esercitano la vendita diretta . Al fine di garantire il miglior servizio da rendere ai consumatori i comuni possono determinare le tipologie merceologiche dei posteggi nei mercati e nelle fiere.

Non risulta chiaro se l'operatore dell'usato hobbista, esercitando comunque attività commerciale di vendita di beni usati, debba soggiacere alle stesse regole previste per la partecipazione a mercati e fiere dalla disciplina vigente (articolo 28, commi 3 e 4 e 13 e 15 del D.Lgs. n. 114/1998), ovvero se si intende introdurre una disciplina differenziata. In tal caso, si valuti l'opportunità di introdurre una norma definitoria e di tener conto delle competenze dei diversi livelli territoriali sulla materia.


Istituzione della figura dell’operatore dell’usato di fascia debole (art. 3, co. 3 e 4 PDL C. 978 e art. 3, co. 4 e 5 PDL C. 56)

L'articolo 3, commi 4 e 5, della proposta A.C. 56 e l'articolo 3 della proposta A.C. 978 istituiscono (nell'ambito degli operatori dell'usato, come specificato nell'A.C. 56) la figura dell'operatore dell'usato di fascia debole, regolamentata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

Nelle more dell'emanazione del suddetto decreto, tale figura coincide con quella di lavoratore svantaggiato come definita dal Regolamento (UE) n. 651/2014.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 2, n. 4, del richiamato Regolamento, lavoratore svantaggiato è chiunque soddisfi una delle seguenti condizioni: non avere un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; avere un'età compresa tra i 15 e i 24 anni; non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale o aver completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non avere ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito; aver superato i 50 anni di età; essere un adulto che vive solo con una o più persone a carico; essere occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 % la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato; appartenere ad una minoranza etnica di uno Stato membro e avere la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un'occupazione stabile.

Alla figura così istituita viene comunque richiesto:

  • il possesso dei medesimi requisiti previsti per l'accesso alle prestazioni sociali agevolate (previsto dall'A.C. 56);
  • che il volume di affari sia esiguo e che vi sia uno stato di necessità che rende impossibile al soggetto di dotarsi della forma giuridica d'impresa (previsto dall'A.C. 978);
  • che i ricavi derivanti dall'eventuale attività di commercio di beni usati non superino l'importo di 5.000 euro annui (previsto da entrambe le proposte di legge)

 

Il comma 5 dell'articolo 3 dell'A.C. 56 prevede, inoltre, la possibilità che l'operatore dell'usato di fascia debole sia autorizzato allo scambio di beni usati attraverso programmi di autopromozione, di inclusione e di coesione sociale gestiti da associazioni, in apposite aree dei mercati di nuova apertura ovvero nelle aree di libero scambio. Tali operatori possono essere inseriti in programmi assistenziali di lavoro appositamente predisposti, al fine di accedere ai contributi stanziati in favore dei lavoratori svantaggiati.


Occupazione di suolo pubblico a scopo di commercio di beni usati (art. 3, co. 6, PDL C. 56 e art. 3, co. 4 PDL C. 978)

L'art, 3, comma 6, dell'A.C. 56 e l'articolo 3, comma 4 dell'A.C. 978 dispongono che per i mercati di nuova apertura, ai fini della valorizzazione ecologica dei mercati dell'usato, l'occupazione di suolo pubblico a scopo di commercio di beni usati può essere estesa in favore di associazioni, cooperative, organizzazioni non lucrative di utilità sociale e organismi di carattere collettivo, in qualità di enti organizzatori del mercato stesso.

Tali enti, in accordo con la pubblica amministrazione e con il Consorzio nazionale del riuso di cui all'articolo 2 delle PDL stesse, s'impegnano a garantire criteri di trasparenza e di equità nell'insediare i singoli operatori.

Le regioni e gli enti locali interessati stabiliscono i criteri per l'assegnazione degli spazi e le regole per l'uso degli stessi, previo accordo con il Consorzio.

 

Si valuti l'opportunità di precisare l'esatta portata normativa della disposizione, in particolare specificando se si intenda intervenire sulla nozione di soggetto passivo dell'imposta sull'occupazione di suolo pubblico.

 

La PDL A.C. 978 richiama l'articolo 7-sexies del D.L. n. 208/2008, che disciplina la valorizzazione a fini ecologici del mercato dell'usato che provvede contestualmente a modificare (articolo 6 della PDL, cfr. infra).

 

Si ricorda qui brevemente che la citata norma demanda ad un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente con le regioni, le province ed i comuni, in sede di Conferenza unificata Stato regioni e autonomie locali, per la regolamentazione, a fini ecologici, la rinascita e lo sviluppo, in sede locale, dei mercati dell'usato. Sulla base di tale accordo, gli enti locali, a partire dal 2009, provvedono all'individuazione di spazi pubblici per lo svolgimento periodico dei mercati dell'usato.
La norma demanda altresì ad un decreto di natura regolamentare del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'interno, la definizione degli standard minimi che tali mercati devono avere a tutela dell'ambiente e della concorrenza, ferme per il resto le competenze delle regioni e degli enti locali in materia di commercio.

 

La stessa PDL A.C. 978 dispone poi che le regioni e gli enti locali interessati stabiliscono i criteri per l'assegnazione degli spazi e le regole per l'uso degli stessi, previo accordo con il Consorzio nazionale del riuso, anche in deroga a quanto disposto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 114/1998.

 

Come già sopra ricordato, l'articolo 28, comma 13 del D.Lgs. n. 114/1998 dispone che le Regioni stabiliscono i criteri generali ai quali i comuni si devono attenere per la soppressione o lo spostamento dei mercati che si svolgono quotidianamente o a cadenza diversa, nonché per l'istituzione di mercati destinati a merceologie esclusive. Stabiliscono, altresì, le caratteristiche tipologiche delle fiere, nonché le modalità di partecipazione alle medesime prevedendo in ogni caso il criterio della priorità nell'assegnazione dei posteggi fondato sul più alto numero di presenze effettive.
Spetta invece ai Comuni, ai sensi dell'articolo 28, comma 15, del D.Lgs. n. 114/1998, sulla base delle disposizioni emanate dalla regione, stabilire l'ampiezza complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività, nonché le modalità di assegnazione dei posteggi, la loro superficie e i criteri di assegnazione delle aree riservate, in misura congrua sul totale, agli imprenditori agricoli che esercitano la vendita diretta. Al fine di garantire il miglior servizio da rendere ai consumatori i comuni possono determinare le tipologie merceologiche dei posteggi nei mercati e nelle fiere.
Ai sensi del comma 16, nella deliberazione comunale vengono individuate altresì le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio del commercio di cui al presente articolo è vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette.

Obblighi in materia di tracciabilità dei dati (art. 4 C. 56 e C. 1065; art. 5 C. 978)

L'articolo 4 delle proposte A.C. 56 e A.C. 1065 e l'articolo 5 dell'A.C. 978 stabiliscono obblighi di raccolta, da parte degli operatori dell'usato, di specifici dati identificativi dei venditori di beni usati.

In particolare, gli articoli 4 e 5, rispettivamente, dell'A.C. 56 e dell'A.C. 978,  presentano analoga formulazione. Essi pongono i predetti obblighi di raccolta con riferimento ai dati anagrafici (nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza) e del recapito telefonico dei danti causa (ovvero coloro dai quali viene acquistato a titolo derivativo il diritto sul bene), che debbono essere raccolti in caso di cessione di beni usati in conto proprio per un valore complessivo superiore a 300 euro per singola transazione e, in ogni caso, per un valore di 50 euro per ogni bene trattato.

Non appare chiaro dalla formulazione del testo se il riferimento al valore dei 50 euro per ogni singolo bene (che obbliga l'operatore alla raccolta dei dati) vada invece riferito ad un valore pari o superiore a 50 euro.

Si ricorda, in proposito, che nella recente prassi è divenuta comune l'ipotesi della vendita per conto terzi, che ha luogo qualora il titolare dell'attività non mette in vendita beni mobili che ha acquistato e di cui è proprietario, ma beni di proprietà di un privato, di cui ha la custodia.

Si valuti l'opportunità di chiarire se la locuzione "cessioni di beni usati" vada intesa in senso atecnico (volendo, cioè, riferirsi alla vendita dei beni da parte del privato all'operatore dell'usato) oppure se con tale termine si intendano le cessioni all'operatore di beni usati "in conto vendita". 

La formulazione degli articoli 4 e 5 delle due proposte di legge  – con il riferimento ai soli beni ceduti "in conto proprio" - esclude dall'obbligo di raccolta dei dati identificativi le cessioni dei beni effettuate per conto terzi. Non sembra, quindi, che in tali ipotesi debbano essere raccolti né i dati di chi materialmente cede i beni all'operatore dell'usato, né quelli dell'effettivo proprietario.

Infine, la disposizione in esame comporta la raccolta di dati personali, in relazione ai quali si potrebbe valutare un riferimento agli obblighi previsti dalla disciplina sul trattamento di tali dati, contenuta nel Regolamento 2016/679/UE e nel cd. Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003).

Rispetto alle altre due proposte, l'articolo 4 dell'A.C. 1065:

- chiarisce che i destinatari degli obblighi sono i soggetti diversi dagli operatori per conto di terzi;

- richiede che tra i dati raccolti vi sia anche il numero di un documento di identità in corso di validità;

- pone diverse soglie di valore per l'applicazione degli obblighi di raccolta: in particolare, essi operano ove vi sia un valore di 100 euro per ogni singolo bene trattato, eccettuati i soggetti vulnerabili coinvolti nelle aree di libero scambio, che devono fornire tali dati per le cessioni di beni usati per un valore superiore a 40 euro;

- estende agli operatori per conto di terzi, compresi i soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche, l'obbligo della tracciabilità previsto dall'articolo 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.

Si rammenta che ai sensi dell'articolo 115 TULPS, le agenzie di prestiti su pegno e le altre agenzie di affari, per l'apertura e l'esercizio, richiedono la preventiva comunicazione in Questura. Il titolare della licenza è tenuto a comunicare preventivamente all'ufficio competente al rilascio della stessa l'elenco dei propri agenti, indicandone il rispettivo ambito territoriale, ed a tenere a disposizione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza il registro delle operazioni. I suoi agenti sono tenuti ad esibire copia della licenza ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza ed a fornire alle persone con cui trattano compiuta informazione della propria qualità e dell'agenzia per la quale operano.

A richiesta, i dati identificativi – da conservare per almeno 5 anni - sono messi a disposizione dell'autorità di pubblica sicurezza.

Scopo della norma è prevenire i reati di ricettazione e di riciclaggio.

L'art. 648 c.p. (Ricettazione), fuori dei casi di concorso nel reato, punisce con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 a 10.329 euro chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare. Un aumento di pena fino a un terzo è previsto se si tratta di ricettazione di denaro o cose provenienti da delitti di rapina ed estorsione aggravate (artt. 628, terzo comma e 629, secondo comma, c.p.) nonché di furto di rame e altro materiale metallico (art. 625, primo comma, n. 7, c.p.). Pene minori sono previste se il fatto è di particolare tenuità.
L'art. 648-bis c.p. (Riciclaggio), fuori dei casi di concorso nel reato, punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 a 25.000 euro chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa. La pena è aumentata fino a un terzo quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale ed è diminuita (nella stessa misura) se i beni riciclati provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

In relazione al periodo minimo di 5 anni dell'obbligo di conservazione dei dati da parte degli operatori dell'usato, si segnala che l'art. 5 del citato Regolamento 2016/679/UE stabilisce che i dati personali siano conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati "per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati".


Mercati dell’usato (art. 5 C. 56, art. 6 C. 978 e art. 5 C. 1065).

I mercati dell'usato sono disciplinati dall'articolo 5 della proposta di legge A.C. 56, dall'articolo 6 della proposta di legge A.C. 978 e dall'articolo 5 della proposta di legge A.C. 1065.

In particolare, le proposte di legge introducono norme sostanzialmente analoghe, seppure con tecniche normative differenti. Solo la proposta di legge C. 978, infatti, all'art. 6, comma 1, opera una novella alla normativa vigente sostituendo integralmente la norma del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208 – recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione – relativa alla valorizzazione a fini ecologici del mercato dell'usato (art. 7-sexies del D.L.).

Più in dettaglio, l'art. 5, comma 1, della proposta di legge C. 56, l'art. 6, comma 2, della proposta di legge C. 978 e l'art. 5, comma 1, della proposta di legge C. 1065, definiscono mercati dell'usato:

a)     i mercati storici, esistenti da almeno cinquanta anni e caratterizzati da una continuità merceologica dell'usato;

b)     le fiere e i mercati caratterizzati da varietà merceologica dell'usato;

c)     le fiere e i mercati caratterizzati dall'unitarietà merceologica dell'usato, quali fiere e mercati del libro, del fumetto, del disco e del design;

Sono inoltre considerati mercati dell'usato (art. 5, comma 1, lett. d) della proposta di legge C. 56 e art. 6, comma 2, lett. d) della proposta di legge C. 978) le aree di libero scambio con finalità di inclusione sociale e realizzate per permettere l'attività degli operatori dell'usato di fascia debole (su cui v. infra: art. 3, comma 4, della proposta di legge C. 978 e art. 3, comma 2, della proposta di legge C. 978). La proposta di legge C.1065 (art. 5, comma 1, lett. d)) include invece nella definizione di "mercati dell'usato" le aree di libero scambio realizzate per consentire l'attività di soggetti vulnerabili che non svolgono attività commerciali, facenti capo agli organismi collettivi ai quali l'art. 1 della stessa proposta di legge C. 1065 demanda l'organizzazione di fiere e mercati dell'usato. Si specifica, poi, che per svolgere la propria attività nelle aree di libero scambio, tali soggetti devono essere in possesso di un'attestazione idonea, ai sensi della normativa vigente, a certificare che il loro reddito familiare calcolato ai fini dell'indicatore della situazione economica equivalente non sia superiore a 9.000 euro.

 

L'erogazione di molti servizi sociali è effettuata in base alla situazione economica del nucleo familiare del richiedente, una misura che comprende valori reddituali e patrimoniali, ponderati attraverso l' Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), istituito nel 1998 e successivamente riformato nel 2011 per migliorare l'equità nell'accesso alle prestazioni agevolate. L'ISEE viene calcolato sulla base di una Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) e vale annualmente per tutti i membri del nucleo familiare e per tutte le prestazioni sociali, anche se richieste ad enti erogatori diversi (v. qui un approfondimento).

Si fa presente, con riferimento all'attuale assetto costituzionale delle competenze, che la materia del commercio è attribuita alla competenza residuale (e quindi esclusiva) delle Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.), ma presenta altresì profili inerenti alla materia della tutela della concorrenza, che la Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.).

I mercatini dell'usato sono disciplinati autonomamente dai regolamenti comunali in materia.

In tale contesto, si ricorda che l'art. 7-sexies del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208 già è intervenuto sulla valorizzazione a fini ecologici del mercato dell'usato, prevedendo la conclusione, in sede di Conferenza unificata, di un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni, le province e i comuni, che può prevedere la partecipazione di associazioni particolarmente rappresentative a livello territoriale, al fine di regolamentare, a fini ecologici, la rinascita e lo sviluppo in sede locale dei mercati dell'usato. Sulla base di tale accordo, gli enti locali provvedono all'individuazione di spazi pubblici per lo svolgimento periodico dei mercati dell'usato. Gli accordi sono aperti alla partecipazione delle associazioni professionale ed imprenditoriali interessate. Si demanda poi a un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'interno, la definizione degli standard minimi che tali mercati devono avere a tutela dell'ambiente e della concorrenza, ferme per il resto le competenze delle regioni e degli enti locali in materia di commercio.

Ai sensi del vigente art. 7-sexies del DL n. 208/2008, il compito di valorizzare il mercato dell'usato, attraverso la stipula di un accordo di programma con regioni, province e comuni in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d. lgs. n. 281/1997, è riconosciuto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Si ricorda, altresì, il modello rappresentato dalla disciplina in materia di gestione di rifiuti di imballaggi di cui all'art. 224, co. 5, del D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente), a norma del quale il Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) - anch'esso configurato come organismo con personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro - stipula con i Comuni specifiche convenzioni sulla base di un Accordo quadro nazionale tra lo stesso CONAI e l'ANCI.

La proposta di legge C. 56 (art. 5, commi da 2 a 5) e la proposta di legge C. 978 (art. 6, comma 1, che sostituisce integralmente il citato art. 7-sexies del D.L. n. 208/2008) dettano poi disposizioni in materia di valorizzazione a fini ecologici del mercato dell'usato, consentendo al Consorzio nazionale del riuso di avviare progetti per il recupero e lo sviluppo dei mercati dell'usato, provvedendo altresì a segnalare eventuali spazi pubblici per realizzare nuovi mercati. Al riguardo, si segnala che, mentre la proposta di legge C. 56 prevede che il Consorzio avvii tali progetti di recupero e sviluppo "di intesa" con le amministrazioni regionali, provinciali e comunali competenti, la proposta di legge C. prevede che i progetti siano avviati "di concerto" con le citate amministrazioni.

La proposta di legge C. 978 (art. 6, comma 1, nel testo novellato dell'art. 7-sexies del D.L. n. 208/2008) dispone poi che i progetti siano aperti alla partecipazione delle associazioni professionali e imprenditoriali interessate e che vi possano partecipare, in qualità di espositori, tutti gli operatori dell'usato (la proposta di legge A.C. 56, all'art. 5, comma 2, limita invece tale possibilità di partecipazione agli operatori dell'usato iscritti al Consorzio).

Le proposte di legge C. 56 (art. 5, comma 3) e C. 978 (art. 6, comma 1, nel testo novellato dell'art. 7-sexies del D.L. n. 208/20082) prevedono inoltre la competenza degli enti locali nel provvedere all'individuazione di spazi pubblici per lo svolgimento periodico dei mercati dell'usato, tenendo conto dei mercati già esistenti. Inoltre, la proposta di legge C. 978 prevede che, al fine di favorire la nascita di nuovi mercati dell'usato, ogni comune si impegni a predisporre un'area pari a 15 metri quadrati per ogni 1.000 abitanti. La proposta di legge C. 56 (art. 5, comma 3) mitiga la cogenza della norma prevedendo invece la possibilità per il comune di predisporre tale area.

 

Con riferimento alle disposizioni in commento e alla loro incidenza su una materia di competenza residuale delle regioni, si rinvia a quanto osservato nel paragrafo "Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite".


Le proposte di legge C. 56 (art. 5, comma 4) e C. 978 (art. 6, comma 1, nel testo novellato dell'art. 7-sexies del D.L. n. 208/20082), riproducendo integralmente il contenuto dell'art. 7-sexies, comma 4, del citato D.L. n. 208/2008, demandano a un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'interno, il compito di stabilire i requisiti minimi (la proposta di legge C. 978 fa invece riferimento all'individuazione di "standard minimi") che i mercati dell'usato, a tutela dell'ambiente e della concorrenza. Le norme fanno comunque salve le competenze delle regioni e degli enti locali in materia di commercio.

Le proposte di legge C. 56 (art. 5, comma 5) e C. 978 (art. 6, comma 1, nel testo novellato dell'art. 7-sexies del D.L. n. 208/20082) dispongono che le amministrazioni interessate provvedono all'attuazione delle norme contenute nella disposizione in commento con l'utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. In particolare, la proposta di legge A.C. 56 fa poi salvo l'accesso ai fondi di cui al successivo art. 14.

Infine, la proposta di legge C. 978 (art. 6, comma 3) dispone che, al fine di favorire l'attività e il rinnovamento dei mercati dell'usato, le pubbliche amministrazioni stabiliscano con apposita delibera le quote da riservare agli operatori dell'usato professionisti, hobbisti e di fascia debole (v. infra), allo scopo di permettere la rotazione degli stessi, nel rispetto del fabbisogno territoriale degli operatori e previo accordo con il Consorzio nazionale del riuso. La norma specifica che tale previsione contribuisce a una migliore visibilità del settore.

Sotto il profilo della formulazione del testo, si valuti l'opportunità di fornire le definizioni di tali diverse categorie di operatori dell'usato, al fine di evitare possibili incertezze applicative.

 

 


Tutela dei mercati storici (art. 6 C. 56 e art. 6 C. 1065)

L'articolo 6 della proposta di legge C. 56 e l'articolo 6 della proposta di legge C. 978, inseriti nel Capo II (dedicato alle disposizioni in materia ambientale e urbanistica) recano norme a tutela dei mercati storici. In particolare, si prevede l'obbligo di regioni, province e comuni di stabilire, qualora essi non abbiano già provveduto, criteri idonei per l'attribuzione a un mercato della qualifica di "storico", "a valenza storica di tradizione" o "di particolare pregio". La proposta di legge C. 1065 aggiunge ai soggetti istituzionali che hanno l'obbligo di stabilire tali criteri anche le città metropolitane.

La norma prevede altresì che gli enti stessi siano tenuti a favorire la conservazione della realtà storica, salvaguardando i tratti caratteristici di tali mercati e incentivando la vendita di categorie merceologiche conformi a quelle presenti in passato o caratterizzanti la realtà locale. Si prevede, infine, che le regioni si impegnino a stanziare annualmente parte dei fondi destinati alla valorizzazione della cultura per la promozione dei mercati storici.

 

A tale riguardo, si ricorda che il procedimento per il riconoscimento e per l'iscrizione dei mercati storici nei Registri regionali e negli albi comunali è normato dalla legislazione regionale.

Si fa presente, a titolo esemplificativo, che i mercati storici e di particolare pregio, quali i mercati esistenti ed attivi, sono riconosciuti e tutelati dalla normativa regionale: si pensi alla legge della regione Lombardia 2 febbraio 2010 n. 6 «Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere», che all'art. 18 tutela il riconoscimento e la valorizzazione delle fiere, delle sagre e dei mercati di valenza storica o di particolare pregio su aree pubbliche, prevedendo che la regione favorisca la qualificazione, la valorizzazione e il mantenimento delle aree mercatali delle fiere, delle sagre e dei mercati di valenza storica o di particolare pregio architettonico, urbanistico, merceologico, culturale o sociale. La legge regionale prevede altresì che la Giunta regionale, previo parere della commissione consiliare competente: a) stabilisce i requisiti, le modalità e le procedure per il riconoscimento e la valorizzazione delle fiere, delle sagre e dei mercati di valenza storica o di particolare pregio; b) procede al loro riconoscimento su segnalazione delle associazioni di categoria, delle associazioni dei consumatori, delle CCIAA e degli enti locali e gestisce il relativo elenco; c) individua, in collaborazione con i comuni, specifiche azioni volte alla loro promozione e valorizzazione. I comuni sul cui territorio si svolgono le fiere, le sagre e i mercati di valenza storica o di particolare pregio adottano le misure atte a salvaguardarne le caratteristiche anche merceologiche. Si segnala altresì l'art. 145 della citata legge regionale n. 6/2010, che demanda ai comuni la tutela dell'identità dei luoghi urbani di pregio, anche tramite la valorizzazione delle attività commerciali storicamente presenti nell'area. A tal fine i Comuni possono individuare le attività commerciali espressione delle tipicità locali per valorizzarne le caratteristiche merceologiche nel contesto storico e artistico in cui si sono sviluppate, mediante adeguate forme di sostegno e promozione». Si segnala altresì che con la Delibera della Giunta regionale Lombardia n.8996 del 20/02/2009 sono stati disciplinati i requisiti e le modalità per il riconoscimento dei mercati a valenza storica e dei mercati di particolare pregio, i quali sono definiti in un apposito provvedimento soggetto a parere della competente Commissione consiliare.
Le proposte di riconoscimento di mercati aventi valore storico sono trasmesse alla regione dai Comuni, anche su segnalazione delle Associazioni di categoria del comparto e delle Camere di Commercio. Dalla legislazione regionale sono stati generalmente individuati tre diversi livelli di riconoscimento:
  • "Mercati a valenza storica" in cui l'attività mercatale è svolta da almeno 50 anni, che mantengono inalterate le caratteristiche merceologiche come espressione della tipicità locale del contesto economico e culturale di appartenenza;
  • "Mercati a valenza storica di tradizione" che abbiano origine attestata e documentabile risalente ad almeno 100 anni prima;
  • "Mercati di particolare pregio" in cui l'attività commerciale è svolta da almeno 30 anni, che abbiano una o più delle seguenti caratteristiche: insistenti in strutture coperte o scoperte che conservino i loro elementi di originalità (pregio architettonico); localizzati nel tessuto urbano in modo peculiare e rispettoso del contesto (pregio urbanistico); caratterizzati da elevato livello di specializzazione dell'assortimento dei prodotti in vendita con particolare riferimento alla valorizzazione delle produzioni tipiche locali (pregio merceologico); concomitanti con eventi iniziative, ricorrenze e manifestazioni che attribuiscono al mercato una connotazione culturale di rilievo (pregio turistico-attrattivo).
Si cita, a titolo esemplificativo, anche l'esperienza della regione Lazio: l'art. 32 del Testo unico sul commercio approvato dalla Giunta regione Lazio e attualmente all'esame del Consiglio regionale, prevede che la Regione favorisca la riqualificazione, la valorizzazione e il mantenimento delle aree mercatali e dei mercati di valenza storica o di particolare pregio architettonico, urbanistico, merceologico, culturale o sociale. In particolare, vi si prevede che, nel rispetto dei principi stabiliti dallo Stato, sentite le organizzazioni di categoria delle imprese del commercio maggiormente rappresentative e le associazioni sindacali dei lavoratori, con uno o più regolamenti regionali, fatta salva la potestà regolamentare degli enti locali, sono stabiliti i requisiti e le modalità per l'individuazione dei mercati di valenza storica e le iniziative per la relativa promozione e valorizzazione. I comuni sul cui territorio si svolgono i mercati di valenza storica o di particolare pregio adottano le misure necessarie volte alla salvaguardia delle relative caratteristiche merceologiche.

 

Si rinvia, in proposito, alle osservazioni contenute nel paragrafo "Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite".


 


Raccolta e riutilizzo (artt. 7 e 15 C. 56; art. 7 e 12 C. 1065; art. 7 e 12 C. 978)

Gli articoli 7 e 12 (che corrisponde all'art. 15 dell'A.C. 56) dettano disposizioni relative al riutilizzo e alla preparazione per il riutilizzo, nonché norme per la raccolta dei rifiuti 

Raccolta dei rifiuti

L'art. 7, comma 2, al fine di facilitare la prevenzione nella produzione dei rifiuti garantita dalla filiera degli operatori dell'usato, stabilisce che i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti a uso di civile abitazione - che in base all'art. 184, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 152/2006, richiamato dalla norma in esame, rientrano tra i i rifiuti urbani - restano classificati come rifiuti urbani se conferiti al sistema di raccolta dagli operatori dell'usato.

Si tratta di una disposizione che deroga all'art. 184, comma 3, lettera e), in base alla quale i rifiuti da attività commerciali sono considerati rifiuti speciali.
Non appare chiaro a cosa si riferisca l'espressione "sistema di raccolta", che non è contemplata nè dalla proposta di legge in esame nè dal Codice dell'ambiente. 

La disposizione illustrata compare in maniera analoga in tutte e tre le pdl. Nell'A.C. 978 non compare però la specificazione "anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti a uso di civile abitazione".

Con riferimento agli operatori dell'usato citati nella disposizione in esame, nelle pdl C. 56 e C. 978 si specifica che gli stessi devono essere accreditati mediante un accordo quadro tra l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e il Consorzio nazionale del riuso, mentre nell'A.C. 1065 ci si limita a rinviare alla definizione di "operatori dell'usato" dettata dall'art. 1, comma 2, della presente legge.

Nell'A.C. 978 è presente, nel comma 2 dell'art. 7, un ulteriore periodo secondo cui le modalità di conferimento sono analoghe a quelle previste, dal D.M. Ambiente 8 marzo 2010, n. 65, per i RAEE da parte di distributori, installatori e riparatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche con il vincolo di accertamento della provenienza geografica.

Si ricorda che con il D.M. 65/2010 è stato approvato il "Regolamento recante modalità semplificate di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri di assistenza tecnica di tali apparecchiature".

  

L'art. 7, comma 3, delle pdl C. 56 e C. 1065, dispone che presso ogni centro di raccolta è organizzata un'area apposita destinata alla separazione delle frazioni riutilizzabili, al fine di non riciclare oggetti suscettibili di essere riutilizzati e di garantire il loro non deterioramento. 

Si tratta di una disposizione che ripropone, nella sostanza, quanto già previsto dal testo vigente del comma 1-bis dell'art. 180-bis del Codice dell'ambiente. Si valuti pertanto l'opportunità di un coordinamento della norma in esame con tali disposizioni.

Il citato comma 1- bis dell'art. 180- bis del D.Lgs. 152/2006 (inserito nel testo del Codice dell'ambiente dal c.d. collegato ambientale, L. 221/2015) dispone che, al fine di favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti, "i comuni possono individuare anche appositi spazi, presso i centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm), per l'esposizione temporanea, finalizzata allo scambio tra privati, di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo. Nei centri di raccolta possono altresì essere individuate apposite aree adibite al deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti destinati alla preparazione per il riutilizzo e alla raccolta di beni riutilizzabili. Nei centri di raccolta possono anche essere individuati spazi dedicati alla prevenzione della produzione di rifiuti, con l'obiettivo di consentire la raccolta di beni da destinare al riutilizzo, nel quadro di operazioni di intercettazione e schemi di filiera degli operatori professionali dell'usato autorizzati dagli enti locali e dalle aziende di igiene urbana".
In attuazione di tali disposizioni numerosi comuni hanno attivato i "centri di riuso". Alcune regioni hanno inoltre emanato apposite linee guida per i centri di riuso comunali e non comunali (si veda ad esempio la  deliberazione della Giunta Regionale dell'Emilia-Romagna 25 Settembre 2017, n. 1382). 
Si ricorda altresì che i centri di raccolta, in base alla definizione richiamata, sono aree presidiate ed allestite, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l'attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. La disciplina dei centri di raccolta è stata adottata con il D.M. Ambiente 8 aprile 2008.

Anche l'art. 7, comma 3, dell'A.C. 978 detta una disposizione analoga, che però si differenzia poichè stabilisce che sarà un futuro decreto governativo (da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge e del quale peraltro non si chiarisce l'esatta natura) ad apportare le modifiche necessarie all'articolo 1 del D.M. Ambiente 8 marzo 2010, n. 65, prevedendo che presso ogni centro di raccolta sia organizzata un'area apposita destinata alla separazione delle frazioni riutilizzabili, al fine di non riciclare oggetti suscettibili di essere riutilizzati e di garantire il loro non deterioramento. 

Si valuti l'opportunità di chiarire se le modifiche al D.M. 8 marzo 2010, n. 65 si intendano limitate al solo art. 1 dello stesso (in materia di intercettazione e separazione delle frazioni riutilizzabili), ovvero possano riguardare anche le restanti disposizioni del citato decreto ministeriale con riferimento alle altre fasi della raccolta e del trasferimento dei rifiuti urbani domestici presso centri di raccolta dell'usato.

Lo stesso comma 3 dell'art. 7 dell'A.C. 978 prevede altresì che nei centri di raccolta, oltre alle già previste attività di raccolta mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, di trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati, è previsto lo svolgimento di attività di intercettazione e differenziazione delle frazioni riutilizzabili da avviare a preparazione per il riutilizzo in appositi impianti.

L'art. 7, comma 4, prevede (al primo periodo), in tutte e tre le pdl, che le pubbliche amministrazioni possono promuovere raccolte dedicate o metodi di raccolta che, compatibilmente con le esigenze tecniche ed economiche, consentano la destinazione dei rifiuti alla preparazione per il riutilizzo in attuazione dei criteri di priorità nella gestione dei rifiuti stabiliti dalla legislazione vigente.

A tale scopo, in base al secondo periodo del medesimo comma, possono essere previsti gli adeguamenti tecnici necessari presso i centri di raccolta e l'istituzione di servizi di raccolta innovativi.

L'art. 179 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) dispone che la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia di derivazione europea (v. art. 4 della direttiva 2008/98/CE):
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
e) smaltimento.     

         

Riutilizzo e preparazione per il riutilizzo

L'art. 7, comma 1 (pressoché identico in tutte e tre le pdl), per le finalità del medesimo articolo, introduce le definizioni di riutilizzo e preparazione per il riutilizzo, che riproducono quanto già previsto dal testo vigente dell'art. 183, comma 1, lettere q) ed r) e del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell'ambiente).

In base a tali lettere si definiscono:
- «preparazione per il riutilizzo»: le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento;
- «riutilizzo»: qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti.

Lo stesso comma demanda ad un apposito decreto del Ministro dell'ambiente, che dovrà essere emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la definizione di un catalogo esemplificativo di prodotti e di rifiuti di prodotti sottoposti a riutilizzo o a preparazione per il riutilizzo, nonché all'individuazione di criteri semplificati per la preparazione per il riutilizzo. 

Anche in questo caso si tratta di una disposizione che riproduce disposizioni già vigenti (si veda l'art. 180-bis, comma 2, del Codice dell'ambiente).

Nell'A.C. 978 viene inoltre precisato che il citato decreto dovrà essere emanato previo parere obbligatorio del Consorzio nazionale del riuso e che il Ministro dell'ambiente potrà discostarsi da tale parere solo mediante adeguata motivazione.

 

Ciò premesso, si valuti l'opportunità di un coordinamento con la normativa vigente. 

Il terzo periodo del comma 4 dell'articolo 7 (pressoché identico in tutte e tre le pdl) dispone che i comuni e i gestori del servizio di raccolta dei rifiuti organizzano la filiera locale del riutilizzo in accordo con le reti locali di riutilizzo e di riparazione accreditate, che rappresentano attività commerciali, associazioni di operatori dell'usato, operatori hobbisti, organizzatori di mercati dell'usato, cooperative ed enti di solidarietà.

Si ricorda, in proposito, che l'art. 1 80-bis del Codice dell'ambiente dispone che le pubbliche amministrazioni promuovono, nell'esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti, che possono consistere anche in "misure logistiche, come la costituzione ed il sostegno di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo" (lettera b) del comma 1). La definizione delle modalità operative per la costituzione e il sostegno di tali centri e reti accreditati (ivi compresa la definizione di procedure autorizzative semplificate e di un catalogo esemplificativo di prodotti e rifiuti di prodotti che possono essere sottoposti, rispettivamente, a riutilizzo o a preparazione per il riutilizzo) è stata demandata, dal comma 2 del medesimo articolo, ad uno o più decreti del Ministero dell'ambiente.
Tali decreti non sono tuttavia stati finora emanati.
Si fa notare che nel novembre 2011 è stata costituita l'associazione Rete ONU (Rete Nazionale Operatori dell'Usato, www.reteonu.it), che raccoglie operatori e organizzatori dei mercati storici e delle pulci, delle fiere e delle strade, delle cooperative sociali, delle cooperative di produzione lavoro che lavorano nel sociale, delle botteghe di rigatteria e dell'usato e dei negozi in conto terzi.

Il comma 5 dell'articolo 7 (presente solamente nell'A.C. 1065) prevede l'emanazione (che dovrà avvenire entro 6 mesi dall'entrata in vigore della presente legge) di un apposito decreto del Ministero dell'ambiente, finalizzato alla definizione delle modalità per assicurare il coordinamento delle disposizioni del medesimo articolo con quelle del comma 1-bis dell'art. 180-bis del Codice dell'ambiente e dei provvedimenti adottati ai sensi del medesimo articolo 180-bis.

Si ricorda che, in base al richiamato comma 1- bis, i comuni possono individuare anche appositi spazi, presso i centri di raccolta, "per l'esposizione temporanea, finalizzata allo scambio tra privati, di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo. Nei centri di raccolta possono altresì essere individuate apposite aree adibite al deposito preliminare alla raccolta dei rifiuti destinati alla preparazione per il riutilizzo e alla raccolta di beni riutilizzabili. Nei centri di raccolta possono anche essere individuati spazi dedicati alla prevenzione della produzione di rifiuti, con l'obiettivo di consentire la raccolta di beni da destinare al riutilizzo, nel quadro di operazioni di intercettazione e schemi di filiera degli operatori professionali dell'usato autorizzati dagli enti locali e dalle aziende di igiene urbana".
Del contenuto dei commi 1 e 2 dell'articolo 180- bis e dei relativi provvedimenti attuativi si è già dato conto in precedenza.

Si osserva che il rinvio ad una fonte normativa di rango secondario (decreto ministeriale) non appare idoneo ad assicurare il coordinamento con le disposizioni dettate dall'art. 180-bis del D.Lgs. n. 152/2006, cui occorrerebbe procedere mediante disposizioni di rango legislativo.

L'articolo 12 delle pdl C. 1065 e C. 978 (sostanzialmente identico all'art. 15 dell'A.C. 56) prevede che il Ministero dell'ambiente (d'intesa con il Consorzio nazionale del riuso, secondo quanto previsto dalle pdl C. 56 e C. 978), in conformità alle norme dell'UE, fissa obiettivi quantitativi di riutilizzo e di preparazione per il riutilizzo, nonché di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e del consumo energetico conseguenti allo sviluppo del settore dell'usato e del riutilizzo. A tali fini, le relative attività possono essere accreditate quali certificati verdi o bianchi.

Si osserva che andrebbe eliminato il richiamo al meccanismo dei certificati verdi, posto che tali meccanismi incentivanti hanno operato fino all'anno 2015. Inoltre, si valuti l'opportunità di chiarire il meccanismo attraverso il quale le attività in questione possono essere accreditate quali certificati bianchi.

Si ricorda che l'art. 180 del Codice dell'ambiente ha previsto (al comma 1- bis) l'adozione e l'aggiornamento, da parte del Ministero dell'ambiente, di un programma nazionale di prevenzione dei rifiuti (PNPR) che (ai sensi del comma 1- ter) che deve provvedere, tra l'altro, alla fissazione degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti. Lo stesso articolo (al comma 1- quater) dispone che il Ministero dell'ambiente "individua gli appropriati specifici parametri qualitativi o quantitativi per le misure di prevenzione dei rifiuti, adottate per monitorare e valutare i progressi realizzati nell'attuazione delle misure di prevenzione e può stabilire specifici traguardi e indicatori qualitativi o quantitativi".
In attuazione di tali norme, il Ministero dell'ambiente ha emanato il decreto direttoriale 7 ottobre 2013 di adozione e approvazione del  Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (PNPR). Tale programma è stato aggiornato con le relazioni, predisposte dal medesimo Ministero, relative agli anni 2014, 2015 e 2016 ( Doc. CCXXIV).
L'art. 206-ter del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell'ambiente) prevede la stipula, da parte del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di appositi accordi e contratti di programma aventi ad oggetto, tra l'altro, l'erogazione "di incentivi in favore di attività imprenditoriali di produzione e di preparazione dei materiali post consumo o derivanti dal recupero degli scarti e dei materiali rivenienti dal disassemblaggio dei prodotti complessi per il loro riutilizzo e di attività imprenditoriali di produzione e di commercializzazione di prodotti e componenti di prodotti reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti". Il successivo art. 206-quater prevede, tra l'altro, l'emanazione (da parte del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro dell'economia e delle finanze) di un decreto volto a stabilire, tra l'altro, "gli strumenti e le misure di incentivazione per il commercio e per l'acquisto di prodotti e componenti di prodotti usati per favorire l'allungamento del ciclo di vita dei prodotti".
I Certificati Bianchi (CB), anche noti come Titoli di Efficienza Energetica (TEE), sono titoli negoziabili che certificano il conseguimento di risparmi di energia primaria realizzati attraverso progetti finalizzati all'incremento dell'efficienza energetica negli usi finali dell'energia. La dimensione commerciale di ogni Certificato Bianco è pari a una tonnellata equivalente di petrolio.
L'articolo 7 del D.Lgs. n. 104/2014, come modifcato dal D.Lgs. n. 141/2016, definisce gli obiettivi di risparmio nazionale cumulato di energia finale da conseguire nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2014 e il 31 dicembre 2020 (pari a 25,5 Mtep di energia finale secondo i criteri di cui all'articolo 7 della direttiva 2012/27/UE), individua nel meccanismo dei Certificati Bianchi il regime obbligatorio di efficienza energetica previsto dalla direttiva 2012/27/UE, dal quale derivi entro il 2020 un risparmio non inferiore al sessanta per cento dell'obiettivo di risparmio nazionale cumulato; prevede l'introduzione con decreto ministeriale di misure di potenziamento e di miglioramento dell'efficacia del meccanismo, nel rispetto dei vincoli di bilancio pubblico; nonché l'aggiornamento delle linee guida, per migliorare l'efficacia del meccanismo stesso.
Il Decreto del Ministero dello sviluppo economico 11 gennaio 2017 definisce, in attuazione di quanto sopra previsto, i nuovi obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico per il periodo 2017-2020 da perseguire attraverso il meccanismo dei certificati bianchi e stabilisce le modalità di realizzazione dei progetti di efficienza energetica per l'accesso al meccanismo dei Certificati Bianchi a partire dal 4 Aprile 2017 (articolo 4). Il medesimo decreto definisce tra l'altro la metodologia di valutazione e certificazione dei risparmi conseguiti e le modalità di riconoscimento dei Certificati Bianchi, individua i soggetti che possono essere ammessi al meccanismo dei Certificati Bianchi e le modalità di accesso allo stessi.
Sono ammessi a presentare progetti di efficienza energetica per il riconoscimento dei Certificati Bianchi i soggetti obbligati ai sensi dell'art. 3 del D.M. (distributori di energia elettrica e gas con più di 50.000 clienti finali, o società da essi controllate), i distributori di energia elettrica e gas non soggetti all'obbligo, le società operanti nel settore dei servizi energetici, le imprese e gli enti pubblici e privati che, per tutta la durata della vita utile dell'intervento presentato, sono in possesso della certificazione secondo la norma UNI CEI 11352 o che si dotino di un esperto in gestione dell'energia certificato secondo la norma UNI CEI 11339 o le società dotate di un sistema di gestione dell'energia in conformità ISO 50001 (articolo 5). I Certificati Bianchi sono riconosciuti dal GSE al soggetto titolare del progetto mediante stipula di un contratto conforme al contratto tipo approvato dal Ministero dello sviluppo economico su proposta del GSE.Ai sensi del D.Lgs. 102/14, dal luglio 2016, possono accedere al meccanismo esclusivamente i soggetti ( energy manager) o le società di servizi energetici ( ESCo), certificati UNI CEI 11339 e UNI CEI 11352. I Certificati Bianchi riconosciuti per i progetti di efficienza energetica per cui sia stata presentata istanza di incentivo al GSE dopo il 4 aprile 2017 sono cumulabili con altri incentivi non statali destinati al medesimo progetto, nei limiti previsti e consentiti dalla normativa UE (articolo 10).

I Certificati Verdi, fino al 2015, sono stati titoli riconosciuti in misura proporzionale all'energia prodotta da impianti a fonti rinnovabili e da alcuni impianti cogenerativi, che venivano scambiati a prezzi di mercato tra i soggetti aventi diritto e i produttori e importatori di energia elettrica da fonti convenzionali (obbligati a immettere annualmente nel sistema elettrico nazionale una prestabilita quota di elettricità da fonti rinnovabili, quota annullata a partire dal 2016), oppure ritirati dal GSE a prezzi regolati.

A partire dal 2016, agli impianti che hanno maturato il diritto ai Certificati Verdi e per i quali non è ancora terminato il periodo incentivante è riconosciuto, per il periodo residuo di incentivazione, un incentivo sulla produzione netta incentivata aggiuntivo ai ricavi conseguenti alla valorizzazione dell'energia. Il D.M. 6 luglio 2012 ha disciplinato anche le modalità con cui gli impianti già in esercizio passano, a partire dal 2016, dal meccanismo dei certificati verdi a nuovi meccanismi di incentivazione. 


Spazi per l'usato (artt. 8 e 13 C. 56; art. 8 C. 1065; art. 8 e 11 C. 978)

L'articolo 8 disciplina l'insediamento degli operatori dell'usato nel territorio urbano.

Il comma 1 detta una disposizione, analoga in tutte e tre le pdl, secondo cui le attività degli operatori dell'usato possono essere esercitate, a parità di condizioni con gli altri operatori del commercio, in spazi a destinazione urbanistica di tipo produttivo-artigianale (nell'A.C. 978 si aggiunge "tenuto conto della funzione primaria e prevalente di distrazione dallo smaltimento dei rifiuti, di riparazione e di trasformazione di beni usati") finalizzata al mantenimento e all'espansione delle potenzialità economico-produttive del territorio urbano.

Nel p rogramma nazionale di prevenzione dei rifiuti (PNPR) adottato nel 2013 si legge che "per incrementare i volumi di riutilizzo occorre pianificare azioni che rimuovano o contribuiscano a rimuovere gli ostacoli che inibiscono lo sviluppo del settore dell'usato. Oltre al problema logistico e strutturale rappresentato dall'assenza di flussi certi di approvvigionamento, l'usato soffre di gravi problemi legati a sommersione, fiscalità e concessione di spazio pubblico".
Nel comma 1 dell'art. 8 dell'A.C. 978 viene altresì disposto che, ai fini urbanistici, è riconosciuta la natura di pubblica utilità delle attività degli operatori dell'usato.
In merito alla dichiarazione di pubblica utilità, si ricorda che essa attribuisce alle opere, anche qualora private, la natura giuridica di opera pubblica e costituisce presupposto per eventuali procedure espropriative.
Si valuti l'opportunità di precisare gli effetti sugli strumenti urbanistici della previsione dell'art. 8, comma 1, della proposta di legge C.978, secondo cui le attività degli operatori dell'usato sono riconosciute di pubblica utilità a fini urbanistici, tenuto altresì conto che nella vigente legislazione urbanistica l'istituto della dichiarazione di pubblica utilità è, di norma, riferito all'esecuzione di opere e non allo svolgimento di attività sociali o economiche.

Il comma 2 dell'art. 8, presente solo nell'A.C. 978, stabilisce che nell'ambito dei piani regolatori generali, previo parere delle associazioni di categoria, è prevista la localizzazione di aree da destinare a parcheggi, magazzini e altri servizi indispensabili allo svolgimento dell'attività di rivendita e di intermediazione di beni usati nelle zone a matrice produttiva artigianale al fine di favorire l'espansione delle attività degli operatori dell'usato.

L'articolo 13 dell'A.C. 56 (identico all'art. 11 dell'A.C. 978) dispone invece che gli enti locali, d'intesa con il Consorzio (e, aggiunge l'A.C. 978, compatibilmente con gli spazi a disposizione), provvedono a mettere a disposizione zone per il deposito e per lo scambio di beni usati ai fini dell'inclusione sociale.


Agevolazioni fiscali (artt. 9 e 10 C. 56, art. 9 C. 1065 e art. 4 C. 978)

 

Gli articoli 9 e 10 dell' A.C. 56, l'articolo 9 dell'A.C. 1065 e l'articolo 4 dell'A.C. 978  introducono misure agevolative fiscali nel settore del riuso e del commercio di beni usati.

Articoli 9 e 10 dell'A.C. 56

Con riferimento all'A.C. n. 56, l'articolo 9, comma 1, affida agli enti locali il compito di istituire apposite misure di agevolazione, incentivo e defiscalizzazione in favore del riutilizzo, in quanto settore di pubblica utilità, anche al fine di favorire l'emersione dello stesso settore. 

Il comma 2 dispone l'applicazione del meccanismo del reverse charge al'IVA dovuta per l'immissione in commercio di beni usati e per i servizi collegati, analogamente a quanto previsto per i rottami dall'articolo 74 del DPR n. 633 del 1972, tenuto conto del "positivo impatto sull'ambiente e sulla salute umana del riutilizzo", nonché "della sua importanza e strategicità per lo sviluppo socio-economico locale". 

Il richiamato articolo 74, comma 7 del DPR n. 633 del 1972 dispone che per le cessioni di rottami (e per quei beni assimilati dalla legge ai rottami) il pagamento dell'imposta è effettuato dal cessionario, in deroga alle ordinarie regole. La fattura viene emessa dal cedente senza addebito dell'imposta, con l'annotazione "inversione contabile"; essa viene integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta ed è annotata nell'apposito registro.

Si ricorda in questa sede che gli articoli 199 e 199-bis della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, sul sistema comune dell'IVA, elencano tassativamente i casi in cui gli Stati membri possono applicare il meccanismo di inversione contabile, in deroga al principio generale - contenuto nell'articolo 193 della medesima direttiva  - secondo cui debitore dell'IVA è il soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi. Inoltre, l'articolo 199-ter della direttiva disciplina il cosiddetto QRM o quick reaction mechanism, che consente - in casi di imperativa urgenza e conformemente alle prescrizioni della direttiva - di designare il destinatario quale debitore dell'IVA su determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi, in deroga ai richiamati principi generali, per combattere la frode improvvisa e massiccia che potrebbe condurre a perdite finanziarie gravi e irreparabili.

Per maggiori informazioni sul reverse charge di cui all'articolo 199-bis e sul QRM dell'articolo 199-ter, si rinvia al tema web relativo all'IVA.

L'introduzione di ulteriori ipotesi di applicazione del regime di reverse charge è dunque soggetta ad autorizzazione da parte della UE: a norma dell'articolo 395 della direttiva IVA il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a introdurre misure in deroga, allo scopo di semplificare la riscossione dell'IVA o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, tali deroghe devono essere proporzionate e avere una portata limitata (si veda al riguardo la comunicazione della Commissione al Consiglio  COM(2015)214 final).

Si valuti l'opportunità di subordinare l'operatività della previsione dell'inversione contabile in materia di IVA al previo rilascio della predetta autorizzazione, secondo i principi di proporzionalità e limitazione richiamati dalle Autorità europee.

Il comma 3 dispone che, ai fini delle tariffe locali sui rifiuti, gli enti locali tengano conto della valenza ambientale delle attività di riutilizzo in attuazione del principio "chi inquina paga", prevedendo apposite agevolazioni.

Per maggiori informazioni sulla TARI si rinvia alla documentazione predisposta per la XVII Legislatura. In questa sede si ricorda che la legge di stabilità 2016 (comma 27) ha prorogato, per gli anni 2016 e 2017, la modalità di commisurazione della TARI da parte dei comuni sulla base di un criterio medio-ordinario (ovvero in base alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte) e non sull'effettiva quantità di rifiuti prodotti (c.d. metodo normalizzato, nel rispetto del principio "chi inquina paga", sancito dall'articolo 14 della direttiva 2008/98/CE). La legge di bilancio 2018 ha previsto una ulteriore proroga al 2018 (legge n. 205 del 2017, comma 38).

L'articolo 10 reca agevolazioni fiscali in favore degli operatori dell'usato.

Al comma 1 si dispone che gli operatori ambulanti dell'usato, ove esercitino l'attività esclusivamente in forma itinerante e con un reddito annuo non superiore a 15.000 euro, abbiano diritto a un regime fiscale agevolato la cui disciplina è attribuita a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore del provvedimento in commento. 

Si segnala che  sarebbe opportuno individuare puntualmente nella norma primaria le agevolazioni fiscali spettanti a tali soggetti.

In ogni caso si ricorda che la legge di stabilità 2015 (commi 54-89) ha istituito un regime forfetario di determinazione del reddito per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, assoggettato a un'unica imposta sostitutiva con l'aliquota del 15 per cento, senza limiti di tempo. All'interno del nuovo regime è prevista una specifica disciplina di vantaggio per coloro che iniziano una nuova attività: in tal caso l'aliquota è del cinque per cento e può essere utilizzata per cinque anni. L'elenco delle attività agevolabili è contenuto nell'allegato alla medesima legge di stabilità 2015 e ricomprende anche il commercio ambulante, sia di cibi e bevande, sia di "altri prodotti".

Si rinvia all'approfondimento per ulteriori informazioni.

Il comma 2 dispone, per gli operatori dell'usato hobbisti (per cui si veda il commento all'articolo 3, comma 5 dell'A.C. 978, l'articolo 3, comma 7 dell'A.C. 56), l'obbligo di versamento di una somma pari al 25 per cento del totale della tassa sui rifiuti (TARI), in caso di partecipazione a manifestazioni organizzate dai comuni. La somma è versata in anticipo al comune, che provvede a devolvere la quota di competenza allo Stato e alla regione. 

Si ricorda, al riguardo, che, a legislazione vigente, il gettito TARI è integralmente di spettanza comunale.

Si valuti l'opportunità di chiarire se si intenda devolvere parte del gettito del tributo a Stato e Regioni e se tale devoluzione sia riferibile esclusivamente alle manifestazioni che coinvolgono gli operatori dell'usato hobbisti.

L'articolo 3, comma 5 dell'A.C. 978 e l'articolo 3, comma 7 dell'A.C. 56 definiscono la figura dell'operatore dell'usato hobbista quale colui che ha ricavi - dalla vendita di beni usati (specifica la sola PDL A.C. 56) – inferiori a duemila euro annui. Tale operatore ha diritto a partecipare fino ad un massimo di dodici manifestazioni nel corso dell'anno. 

Si valuti al riguardo l'opportunità di effettuare un rinvio esplicito alle norme definitorie citate. 

Il comma 3 esenta dal pagamento dell'IVA e della TARI gli operatori dell'usato di fascia debole (di cui all'articolo 3, comma 4 dell'A.C. 56 e articolo 3, comma 3 dell'A.C. 978), al cui commento si rinvia.  

Anche per tale ipotesi, si valuti l'opportunità di effettuare un rinvio esplicito alle norme definitorie citate.

Si veda inoltre il commento al comma 1 sul regime forfetario.

Articolo 9 dell'A.C. 1065 

L'articolo 9 dell'A.C. 1065 riprende il contenuto dell'articolo 9 dell'A.C. n. 56, al cui commento si rinvia. Fa eccezione il comma 2: quest'ultimo dispone che all'immissione in commercio dei beni usati e dei servizi a esso collegati sia applicata l'aliquota IVA al 10 per cento, analoga a quella prevista per gli oggetti di antiquariato  ai sensi dell'articolo 39 del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41.

Articolo 4 dell'A.C. 978

Nell' A.C. 978 le norme fiscali sono contenute nell'articolo 4, che riprende parzialmente i contenuti dell'articolo 9 e 10 dell'A.C. 56, con specifiche differenze.

In analogia alle altre due proposte in esame, il comma 1 dell'articolo 4 qualifica "di pubblica utilità" il settore dei beni usati e del riuso dei prodotti; sono attribuite specifiche misure di agevolazione, incentivo e defiscalizzazione descritte nell'articolo 4 in commento, anche allo scopo di favorire l'emersione del settore.

Il comma 2 autorizza il Ministro dello sviluppo economico, sentita l'Agenzia delle entrate, ad istituire con proprio decreto uno specifico codice ATECO, nell'ambito del codice ATECO 46.19 relativo agli intermediari del commercio di vari prodotti, per il commercio di beni usati per conto di terzi. Il decreto è emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. 

Si ricorda al riguardo che  dal 1° gennaio 2008 l'Istat ha adottato la classificazione delle attività economiche Ateco 2007, che costituisce la versione nazionale della nomenclatura europea  Nace Rev. 2 , pubblicata sull'Official Journal il 20 dicembre 2006 ( Regolamento (CE) n.1893/2006  del PE e del Consiglio del 20/12/2006).

Il comma 3 reca le agevolazioni TARI. In particolare, per le utenze non domestiche, sulla parte variabile della tariffa sui rifiuti si dispone l'applicazione di un coefficiente di riduzione, proporzionale alle quantità di prodotti che il produttore dimostri di aver ceduto agli operatori dell'usato. L'omogeneizzazione nazionale del coefficiente di riduzione è effettuata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, che individua i criteri omogenei minimi di agevolazione applicabili dagli enti locali. Entro un mese dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame il Governo provvede ad apportare le modifiche necessarie al regolamento TARI sul "metodo normalizzato" (articolo 7 del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158) per adeguarlo alle norme introdotte.

Il comma 4, con finalità di semplificazione, equipara alcuni enti e organizzazioni ai consumatori finali, nei limiti di specifici servizi da essi prestati.

In particolare. sono equiparati ai consumatori finali, ove effettuino, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, di prodotti per l'igiene o la pulizia della casa o della persona, di abbigliamento, di mobilio, di giocattoli e di farmaci, i seguenti enti o persone giuridiche:

- le organizzazioni riconosciute come enti del Terzo settore di natura non commerciale, ai sensi del Codice del terzo settore (di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117);

- le farmacie e le parafarmacie;

- gli esercizi commerciali autorizzati alla vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione (articolo 5, comma 1, decreto-legge n. 223 del 2006);

- i negozi di vendita al dettaglio;

- gli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande;

- i comitati disciplinato dall'articolo 39 del codice civile;

- i comuni.

L'equiparazione ai consumatori è esplicitamente finalizzata, dalla norma, all'applicazione della disciplina sul corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo dei beni ceduti per beneficenza.

Si rammenta che la legge n. 166 del 2016 ha disciplinato la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici (anche per la limitazione degli sprechi); l'articolo 13, comma 1 effettua l'equiparazione ai consumatori finali per i soggetti (ex ONLUS, ormai enti del Terzo settore) con riferimento alla  donazione di medicinali non utilizzati. In sostanza, l'equiparazione ai consumatori finali è volta a facilitare la cessione dei beni indicati, facendo venire meno una serie di obblighi relativi allo stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli stessi, come il corretto stoccaggio, ad esempio, dei beni alimentari (in genere deperibili), le sanzioni in caso di mancanza di controlli sulla qualità e sulla data di scadenza (in particolare per i prodotti farmaceutici), il corretto imballaggio delle confezioni e l'usura delle stesse, il controllo sui rischi derivanti dalla modifica della corretta utilizzabilità dei prodotti usati (in particolare per i giocattoli), il corretto trasporto della merce con gli appositi documenti di accompagnamento, l'osservanza della normativa per la corretta somministrazione di alimenti e bevande.

L'equiparazione ai consumatori finali è estesa anche agli operatori dell'usato, come individuati dallo specifico codice ATECO istituito ai sensi del già commentato comma 1. 

Si segnala che, a differenza delle altre categorie di soggetti enumerati al comma in esame, dal tenore letterale delle norme - che separa, nel comma 4, la menzione degli operatori dell'usato da tutti gli altri enti e persone giuridiche sopra elencati - l'equiparazione degli operatori dell'usato ai consumatori finali non appare legata alla cessione di beni per beneficenza, ma sembra essere disposta a prescindere dal fatto di svolgere tale attività. 

Il comma 5 reca disposizioni in materia di operatori dell'usato ambulanti, riprendendo quanto disposto dall'articolo 10, comma 1 dell'A.C. 56. 

Il comma 6 riproduce il contenuto dell'articolo 10, comma 2 dell'A.C. 56 in tema di operatori dell'usato hobbisti.

Il comma 7 riproduce il contenuto dell'articolo 9, comma 2 dell'A.C. 56 in tema di applicazione del reverse charge a fini IVA per l'immissione in commercio dei beni usati ed i servizi ad esso collegati. 

Il comma 8 esenta gli operatori dell'usato ambulanti di fascia debole dal pagamento di ogni imposta, tassa o tributo, comunque denominati, relativi alla loro attività.

Infine, il comma 9 considera "sussidiarie" all'attività svolta le azioni condotte dall'operatore dell'usato al fine di porre il bene usato nella condizione di poter essere reimmesso nel circuito commerciale. 

Sembra dunque desumersi che dalla qualifica della predetta attività come "sussidiaria" derivi la sua attrazione nel medesimo regime giuridico (e fiscale) previsto per  la rivendita di beni usati, come disciplinata dalla proposta in esame.


Educazione ambientale (art. 12 C. 56; art. 11 C. 1065; art. 10 C. 978)

L'articolo 11 dell'A.C. 1065 (pressoché identico all'art. 12 dell'A.C. 56 e all'art. 10 dell'A.C. 978) detta disposizioni finalizzate all'educazione e sensibilizzazione sui temi dell'usato, affidando i seguenti compiti al Ministero dell'ambiente:

- inserimento (entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge), nei programmi dedicati alla prevenzione della produzione di rifiuti e all'educazione e alla comunicazione ambientali, di azioni e di interventi sulle attività del settore dell'usato, sul riutilizzo e sulla preparazione per il riutilizzo (comma 1);

- individuazione degli strumenti necessari (che, in base alle pdl C. 56 e C. 978, deve avvenire d'intesa con il Consorzio) per favorire l'accesso da parte degli operatori dell'usato a eventuali fondi dell'UE e a ulteriori forme di agevolazioni in materia di politiche culturali, educative e di sensibilizzazione di carattere ambientale (comma 2).


Fondi regionali (art. 14)

L'articolo 14 reca la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della proposta in esame, cui si provvede mediante appositi fondi stanziati dalle regioni con proprie leggi, nonché mediante il prelievo di una somma pari a 0,50 centesimi di euro sulle dichiarazioni dei redditi relativi all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), secondo modalità stabilite con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Consorzio nazionale del riuso di cui all'articolo 2 (al cui commento si rinvia), da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della legge in esame.


Lavoro e formazione (artt. 11 C. 56, 10 C. 1065 e 9 C. 978)

Gli articoli 11 della proposta A.C. 56, 10 della proposta A.C. 1065 e 9 della proposta A.C. 978 dispongono la promozione, attraverso i programmi di orientamento e formazione professionali, di attività volte alla valorizzazione dell'usato e del riutilizzo dei beni usati.

Più nel dettaglio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede ad inserire nei suddetti programmi informazioni adeguate sulle attività del settore dell'usato e sul riutilizzo dei prodotti, nonché a promuovere le suddette attività attraverso il sito web istituzionale dello stesso Ministero, i servizi di orientamento al lavoro e di creazione d'impresa, nonché ogni altro idoneo mezzo di comunicazione (comma 1).

Inoltre, il Ministero è chiamato ad individuare (d'intesa con il Consorzio nazionale del riuso, secondo quanto previsto dalle proposte A.C. 56 e A.C. 978, ma non dalla proposta A.C. 1065) gli strumenti necessari per favorire l'accesso da parte degli operatori dell'usato a eventuali fondi dell'Unione europea e a ulteriori forme di agevolazioni in materia di lavoro e di formazione professionale (comma 2).


Necessità dell'intervento con legge

La materia oggetto delle proposte di legge necessita di un intervento legislativo in quanto risulta in parte già disciplinata dall'art. 180-bis del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) recante disposizioni sul riutilizzo di prodotti e preparazione per il riutilizzo dei rifiuti. Tale disposizione, al comma 1-bis, prevede, in particolare, che i comuni possono individuare appositi spazi, presso i centri di raccolta di cui all'art. 183, comma 1, lettera mm), del Codice dell'ambiente, per l'esposizione temporanea, finalizzata allo scambio tra privati, di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo, nonché aree adibite al deposito preliminare e alla raccolta di beni da destinare al riutilizzo, nel quadro di operazioni di intercettazione e schemi di filiera degli operatori professionali dell'usato autorizzati dagli enti locali e dalle aziende di igiene urbana.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Le proposte di legge contengono disposizioni che riguardano materie riconducibili a competenze legislative statali, concorrenti e residuali ai sensi dell'art. 117 Cost..

Taluni aspetti appaiono, infatti, riconducibili alle seguenti materie di legislazione esclusiva dello Stato:

  • «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lett. s). Cost.) per quanto attiene ai profili che interferiscono con i settori della prevenzione e della gestione dei rifiuti e alle previsioni sul contributo del settore dell'usato alla riduzione delle emissioni inquinanti;
  • «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.);
  • «sistema tributario e contabile dello Stato»  «previdenza sociale» (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.), con riguardo, rispettivamente, alle disposizioni in materia fiscale e previdenziale recate dalle proposte di legge;
  • «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.), limitatamente alle previsioni in materia di tracciabilità dei beni usati.

Altri profili sono riconducibili alle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni  «professioni», «governo del territorio»«valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali».

Ulteriori profili, quali in particolare quelli relativi alla disciplina del commercio e all'artigianato, sono infine ascrivibili alla competenza legislativa residuale delle Regioni.

In proposito, la Corte costituzionale ha ricordato (sentenza n. 50 del 2005) che in caso di interferenze tra norme rientranti in materie di competenza statale ed altre di competenza concorrente o residuale regionale, "può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l'adozione di principi diversi". I principi enucleati dalla Corte son il principio di prevalenza, che può applicarsi "qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre" (nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 114 del 2017, n. 44 del 2014, n. 118 del 2013, n. 334 del 2010, n. 237 del 2009), ed il principio di leale collaborazione, "che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni" ed impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze (nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 71 del 2018, n. 44/2014, n. 234/2012, n. 187/2012, n. 88/2009, n. 50/2008, n. 213/2006, n. 133/2006, n. 231/2005, n. 219/2005).

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Le proposte di legge contengono disposizioni per le quali vengono in rilievo l'art. 41, primo comma, Cost. (libertà dell'iniziativa economica privata e rinvio alla legge per la determinazione dei programmi e dei controlli opportuni affinché l'attività economica pubblica e privata sia indirizzata e coordinata a fini sociali) e l'art. 45, secondo comma, Cost. (secondo cui la legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato).