Tutela dei marchi storici nazionali di alto valore territoriale 9 aprile 2019 |
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Presupposti normativi|Contenuto| |
Presupposti normativiIl marchio è un segno distintivo dei prodotti o dei servizi, realizzati o distribuiti da un'impresa: attraverso la sua registrazione, è oggetto di protezione quale titolo di proprietà industriale. La disciplina del marchio è fondata in generale sulle norme del codice civile (artt. 2569-2574) e in via speciale sulle norme del Codice della proprietà industriale D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005 (artt.7-28), come da ultimo modificate dal D.Lgs. n. 15/2019, di recepimento della direttiva (UE) 2015/2436. L'originaria normativa sui marchi contenuta nel Codice del 2005 è stata, nel corso degli anni, in più punti modificata al fine di un adeguamento della stessa alla disciplina europea nel frattempo intervenuta. A questo proposito, appare opportuno rilevare come sussista una competenza concorrente tra disciplina statale e disciplina europea sulla materia, ai sensi del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Nel dettaglio, il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea TFUE, all'articolo 118, prevede che "nell'ambito dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscano le misure per la creazione di titoli europei al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione, di coordinamento e di controllo centralizzati a livello di Unione". Sulla base delle previsioni del Trattato, parallelamente all'istituzione di un sistema di protezione europeo dei marchi - il cd. marchio dell'UE, valido in tutto il territorio dell'Unione europea, di cui al Regolamento (UE) n. 2017/1001/UE, come integrato dal Reg. delegato UE 2018/625 e attuato dal Regolamento di applicazione UE n. 2018/626 - il legislatore europeo è dunque intervenuto, da ultimo con la Direttiva (UE) 2015/2436, dettando norme di armonizzazione dei sistemi nazionali di protezione dei marchi d'impresa esistenti all'interno dei diversi Stati membri. Le norme europee di armonizzazione riguardano i requisiti per la registrazione di un segno come marchio d'impresa, le tipologie di marchio, la legittimazione alla registrazione del marchio, le forme di tutela del marchio, le cause di estinzione del marchio e, tra esse, la decadenza (cfr. Capo II, Sez. IV, artt. 19-21 Direttiva (UE) 2015/2436). Si ricorda, inoltre, che l'Italia, oltre ad essere uno Stato membro dell'Unione europea, fa parte dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ha ratificato numerose convenzioni internazionali concernenti la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, tra i quali l'Accordo TRIPs (1994), il Trattato sul diritto dei marchi (1994), sottoscritti anche dalla stessa Unione Europea. In particolare, la sezione 2 della Parte II (art. 15-21) del TRIPs, stabilisce un livello minimo vincolante di protezione, definendo cosa può costituire un marchio, quali sono i diritti conferiti dalla registrazione, nonché le possibili limitazioni, la durata della protezione e ulteriori requisiti. Ciò significa che ciascuno Stato parte della World Trade Organization deve garantire una tutela almeno pari a quella prevista all'interno dell'Accordo TRIPS, potendo tuttavia anche aumentare i livelli di protezione, ad esempio, per la durata. Si ricorda poi in questa sede come coesista anche la possibilità di registrazione internazionale di un marchio, gestita dall'Ufficio internazionale dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI-WIPO), con sede a Ginevra. La registrazione internazionale dei marchi è regolata da due distinti trattati internazionali: l'Accordo di Madrid e il Protocollo di Madrid, la cui applicazione è disciplinata da un Regolamento di esecuzione comune. Il Protocollo di Madrid concernente la registrazione internazionale dei marchi è vigore dall'aprile 1996, è stato sottoscritto da molti paesi di tutto il mondo, tra cui la maggior parte degli Stati europei, Italia inclusa, gli Stati Uniti, il Giappone, l'Australia, la Cina, la Russia, nonché, nell'ottobre 2004, l'Unione europea in quanto tale. La registrazione internazionale non dà luogo a un marchio sovranazionale, ma ad un sistema di deposito centralizzato, con efficacia equivalente a quella di una serie di domande di deposito nazionale, ciascuna sottoposta alla disciplina ed alla giurisdizione del paese designato, tra i 120 Paesi aderenti all'Unione di Madrid (Accordo di Madrid e Protocollo di Madrid). La registrazione internazionale nei primi 5 anni dalla data di registrazione è vincolata alle sorti della registrazione nazionale di base. Alla scadenza di tale periodo di 5 anni, la registrazione internazionale ottenuta a norma dell'Accordo, diventa indipendente dalle vicende che possono interessare la registrazione nazionale di base. |
ContenutoLe proposte di legge A.C. 1631 e A.C. 1518 recano disposizioni concernenti la tutela dei marchi storici nazionali di alto valore territoriale e introducono disposizioni finalizzate a valorizzare le eccellenze produttive nazionali collegate a uno specifico luogo di produzione, nonché a preservare la continuità produttiva e l'insediamento nel territorio di origine. L'articolo 1 dell'A.C. 1631 individua l'oggetto della proposta di legge nella tutela e valorizzazione delle eccellenze produttive nazionali collegate a uno specifico luogo di produzione, al fine di preservarne la continuità produttiva e l'insediamento nel territorio di origine, ai sensi di quanto previsto dall'art. 41 della Costituzione, che sancisce il principio di libertà dell'iniziativa economica privata, al quale il principio di tutela della concorrenza è sotteso (comma 1). La proposta di legge è finalizzata alla salvaguardia delle imprese storiche italiane di eccellenza mediante l'individuazione dei marchi nazionali di alto valore storico (su cui v. infra, art. 2),collegati al luogo di produzione e attraverso l'introduzione di norme che subordinano la possibilità di utilizzazione di tali marchi al mantenimento delle strutture produttive principali nei territori di origine. L'articolo 2 dell'A.C. 1631 definisce marchio storico nazionale di alto valore territoriale il marchio registrato:
Si evidenzia come
l'ordinamento, europeo e nazionale, non conosca la tipologia di "marchio storico", bensì tuteli – in modo rinforzato - il marchio che gode di "rinomanza", prevedendo (art. 20, comma 1, del Codice della proprietà industriale:
D.Lgs. n.30/2005) che il titolare del marchio "ha diritto di vietare un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda dello stato di rinomanza e se l'uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi".
Si valuti l'opportunità di precisare se il termine di cinquant'anni decorra da una certa data ovvero debba essere computato a ritroso dalla data di entrata in vigore della legge o da altra data specificamente indicata. L'articolo 3 dell'A.C. 1631 istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico l'elenco dei marchi storici nazionali di alto valore territoriale, tenuto dalla Direzione generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio italiano brevetti e marchi. L'articolo 4 dell'A.C. 1631 demanda a un regolamento adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico - del quale il successivo articolo 6 disciplina modalità di adozione e contenuto - l'istituzione, presso il Ministero dello sviluppo economico, del Comitato per il controllo sui marchi storici di alto valore territoriale, con il compito di vigilare sui livelli produttivi degli stabilimenti principali delle imprese titolari di marchi storici e sulle conseguenze dell'eventuale apertura di nuovi stabilimenti in altre aree, in relazione alle ipotesi di decadenza del marchio previste dall'articolo 5. La composizione e il funzionamento del Comitato, nonché gli obblighi di informazione nei riguardi di tale organo a carico delle imprese titolari dei marchi storici, sono disciplinati dal regolamento (comma 1). Per lo svolgimento delle funzioni ad esso attribuite, il Comitato si avvale di personale e dotazioni della Direzione generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio italiano brevetti e marchi, secondo quanto stabilito nel richiamato regolamento di cui all'articolo 6. Dall'istituzione del Comitato non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Si valuti l'opportunità di definire criteri e parametri per l'esercizio dei potere di vigilanza e accertamento attribuiti al Comitato per il controllo sui marchi storici di alto valore territoriale, atteso che, come si dirà, l'esercizio di tale potere produce riflessi su interessi tutelati dagli articoli 41 e 42 della Costituzione, relativamente ai profili della libertà di aprire nuovi stabilimenti industriali e di disporre del marchio in modo conforme alla disciplina nazionale ed europea in materia, nonché in condizioni di parità rispetto agli operatori che soggiacciono alla stessa disciplina.
L'articolo 5 dell'A.C. 1631 e l'articolo unico dell'A.C. 1518, con discipline in parte analoghe, sono volti ad introdurre nell'ordinamento nuove fattispecie di decadenza del marchio.
La decadenza è considerata dalla dottrina come un'ipotesi di estinzione del marchio e dunque determina, per il suo titolare, una cessazione anticipata del diritto al marchio stesso rispetto al termine di scadenza diversamente previsto dalla legge.Si ricorda in proposito che l'articolo 15, comma 4 CPI dispone che la registrazione dura dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda, salvo il caso di rinuncia del titolare. La rinnovazione si effettua per periodi di dieci anni, ai sensi dell'articolo 16, comma 2 del medesimo Codice. Le ipotesi di decadenza del marchio attualmente previste dal CPI corrispondono a quelle armonizzate, indicate nella disciplina europea di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri (cfr. artt. 19-21 Direttiva UE 2015/2436). Ai sensi dell'articolo 26 del Codice della proprietà industriale, il marchio decade: a) per volgarizzazione, ai sensi dell'art. 13, comma 4, C.P.I. Tale norma dispone che il marchio decade se, per il fatto dell'attività o dell'inattività del suo titolare, sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio o abbia comunque perduto la sua capacità distintiva. Più in dettaglio, la volgarizzazione consiste nella perdita di capacità distintiva del marchio, ossia nell'acquisizione al linguaggio comune dei produttori e soprattutto dei consumatori, della parola che costituisce il marchio, in modo che questo, divenuto "denominazione generica di un prodotto o merce, abbia perduto nella realtà linguistica qualsiasi collegamenti con l'azienda d'origine e si sia quindi spersonalizzato" (cfr. Cass. civ. sez. I, 28 novembre 1984, n. 6180). b) per illiceità sopravvenuta, ai sensi dell'art. 14, comma 2, C.P.I.; L'articolo 14, comma 2, lett. a) del C.P.I. prevede la decadenza del marchio divenuto "idoneo a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato". L'articolo 14, comma 2, lett. b) del C.P.I. prevede inoltre la decadenza del marchio che sia divenuto contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume. La lettera c) del medesimo articolo dispone la decadenza per l'omessa adozione da parte del titolare delle misure ragionevolmente idonee a prevenire un uso del marchio collettivo o di certificazione non conforme alle condizioni del relativo regolamento d'uso e, in particolare, dei controlli previsti dalle disposizioni regolamentari sull'uso del marchio collettivo o del marchio di certificazione. c) per non uso, ai sensi dell'articolo 24 C.P.I. L'articolo 24 del C.P.I., come modificato dal citato D. Lgs. n. 15/2019, prevede che il marchio, a pena di decadenza, deve formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo. Salvo il caso di diritti acquistati sul marchio da terzi con il deposito o con l'uso, la decadenza non può essere fatta valere qualora fra la scadenza del quinquennio di non uso e la proposizione della domanda o dell'eccezione di decadenza sia iniziato o ripreso l'uso effettivo del marchio. Tuttavia se il titolare effettua i preparativi per l'inizio o per la ripresa dell'uso del marchio solo dopo aver saputo che sta per essere proposta la domanda o eccezione di decadenza, tale inizio o ripresa non vengono presi in considerazione se non effettuati almeno tre mesi prima della proposizione della domanda o eccezione di decadenza; tale periodo assume peraltro rilievo solo se decorso successivamente alla scadenza del quinquennio di mancato uso. Inoltre, neppure avrà luogo la decadenza per non uso se il titolare del marchio non utilizzato sia titolare, in pari tempo, di altro o altri marchi simili tuttora in vigore di almeno uno dei quali faccia effettiva utilizzazione per contraddistinguere gli stessi prodotti o servizi. Ai sensi dell'articolo 27 CPI, se i motivi di decadenza o di nullità di un marchio d'impresa sussistono soltanto per una parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, la decadenza o nullità riguardano solo questa parte dei prodotti o servizi. Le ipotesi di decadenza dei marchi, armonizzate a livello europeo, corrispondono a quelle contemplate dalla stessa disciplina europea sul marchio dell'UE (cfr. art. 58 Reg. (UE) 2017/1001/UE). Il marchio dell'UE costituisce, come accennato nella ricostruzione normativa, una forma di protezione, valida in tutto il territorio dell'Unione, che "vive" in parallelo a quella nazionale. Si ricorda, inoltre, come coesista anche la possibilità di registrazione internazionale di un marchio, amministrata dall'Ufficio internazionale dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), con sede a Ginevra. La registrazione internazionale dei marchi è regolata da due distinti trattati internazionali: l'Accordo di Madrid e il Protocollo di Madrid, la cui applicazione è disciplinata da un Regolamento di esecuzione comune. Si ricorda che il protocollo di Madrid concernente la registrazione internazionale dei marchi è vigore dall'aprile 1996, è stato sottoscritto da molti paesi di tutto il mondo, tra cui la maggior parte degli Stati europei, Italia inclusa, gli Stati Uniti, il Giappone, l'Australia, la Cina, la Russia, nonché, nell'ottobre 2004, l'Unione europea in quanto tale. La registrazione internazionale non dà luogo a un marchio sovranazionale, ma ad un sistema di deposito centralizzato, con efficacia equivalente a quella di una serie di domande di deposito nazionale, ciascuna sottoposta alla disciplina ed alla giurisdizione del paese designato, tra i 120 Paesi aderenti all'Unione di Madrid (Accordo di Madrid e Protocollo di Madrid). La registrazione internazionale nei primi 5 anni dalla data di registrazione è vincolata alle sorti della registrazione nazionale di base. Alla scadenza di tale periodo di 5 anni, la registrazione internazionale ottenuta a norma dell'Accordo, diventa indipendente dalle vicende che possono interessare la registrazione nazionale di base.
Si valuti l'opportunità di approfondire se l'introduzione di nuove ipotesi di decadenza nell'ordinamento nazionale sia conforme alla normativa quadro di armonizzazione europea, con particolare riferimento all'esigenza di evitare disparità di trattamento dell'imprenditore che registra un marchio nazionale rispetto all'imprendtore che invece registra un marchio europeo o internazionale, che non soggiace alle stesse condizioni limitative .
L'articolo 5 dell'A.C. 1631, segnatamente, dispone la decadenza dei diritti sui marchi iscritti nell'elenco dei marchi storici nazionali di alto valore territoriale, di cui all'articolo 3, in caso di cessazione della produzione, da parte del titolare del marchio stesso, nel territorio del comune in cui lo stabilimento produttivo principale era situato alla data di registrazione del marchio (comma 1). La norma prevede inoltre che sia sempre consentita l'apertura di nuovi stabilimenti, purché non si determini, in conseguenza di essa, la riduzione della produzione nello stabilimento principale (comma 2). L'articolo unico dell'A.C. 1518 invece novella l'art. 24 del codice di proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005), che reca norme in tema di uso e decadenza del marchio, introducendovi due nuovi commi: il comma 4-bis e il comma 4-ter. In particolare, il nuovo comma 4-bis introduce una nuova ipotesi di decadenza, che si verifica quando il titolare del marchio registrato con domanda di deposito presentata in data antecedente al 1° gennaio 1969 cessa la fabbricazione del prodotto nel comune in cui risultava iscritto alla data di registrazione del marchio. Sarebbe opportuno specificare se la locuzione "risultava iscritto" sia riferibile al titolare dell'impresa e del marchio relativo.
Il nuovo comma 4-
ter dà facoltà alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competente di segnalare le fattispecie di cui al comma 4-
bis all'Ufficio italiano brevetti e marchi, che provvede a darne immediata notizia al titolare del marchio, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il titolare stesso, entro sessanta giorni dalla data di ricevimento della lettera raccomandata, può opporsi alla revoca, con istanza motivata presentata al medesimo Ufficio.
Si ricorda a questo riguardo che la normativa vigente, contenuta nella Sezione 2-bis, del capo IV del Codice della proprietà industriale, dispone che,
fatta salva la proponibilità dell'azione di decadenza e di nullità davanti all'autorità giudiziaria, i soggetti legittimati possono presentare la relativa istanza all'
Ufficio italiano brevetti e marchi per l'accertamento della decadenza o la dichiarazione di nullità di un marchio d'impresa registrato (cfr. art.
184-bis, comma 1). L'istanza di decadenza o di nullità è altresì improcedibile qualora sia stata presentata contestualmente ad una domanda, con il medesimo oggetto, i medesimi fatti costitutivi e fra le stesse parti, proposta davanti all'autorità giudiziaria (cfr. art.
184-bis, comma 11 e, per il procedimento dinnanzi all'autorità giudiziaria, art. 122 CPI).
Con riferimento all'A.C. 1518 e all'articolo 5 dell'A.C. 1631, si rileva l'opportunità di un coordinamento con la normativa vigente, contenuta nel Codice della proprietà industriale, in materia di proponibilità dell'azione di decadenza, nonchè di competenza all'accertamento e alla dichiarazione della decadenza stessa.
Inoltre, in ordine alle stesse previsioni, potrebbe essere opportuno chiarire il
significato di "cessazione della produzione" ovvero "cessazione della fabbricazione", rispettivamente, nel territorio del comune in cui lo stabilimento produttivo principale era situato, ovvero nel comune in cui il titolare del marchio risultava iscritto alla data di registrazione del marchio.
In proposito, è utile ricordare quanto più volte evidenziato dalla Corte costituzionale (cfr., da ultimo, sent. n. 83/2018), secondo la quale una norma (nel caso della sent. n. 83/2018, regionale) che disponga una discriminazione tra imprese sulla base di un mero elemento di localizzazione territoriale, si sostanzierebbe in una forma di "compartimentazione dei mercati a immediato impatto anticoncorrenziale" che, in quanto tale, si rivelerebbe in contrasto con alcuni principi sanciti dalla Carta costituzionale, quali il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; il principio di libertà di iniziativa economica, di cui all'art. 41 Cost. (sentenze n. 124 del 2010, n. 391 del 2008 e n. 64 del 2007); l'art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento europeo in tema di diritto di stabilimento ex art. 49 TFUE, di tutela della concorrenza (sentenza n. 340 del 2010 e n. 180 del 2010). L'art. 6 dell'A.C. 1631 prevede il procedimento di adozione del regolamento di cui all'art. 4, stabilendo che esso sia adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, con il Ministro per gli affari europei e con il Ministro per la pubblica amministrazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Con più specifico riferimento al contenuto, la norma prevede che il regolamento definisca:
Quanto alla cessione dei marchi, si richiama in particolare l'articolo 21 dell'Accordo TRIPs, sottoscritto dall'Italia e dalla stessa Unione europea, che vi ha informato la sua normativa quadro in materia. Tale articolo dispone che i Membri possono determinare le condizioni relative alla licenza e alla cessione dei marchi, restando inteso che il titolare di un marchio registrato ha il diritto di trasferire il marchio contestualmente o meno all'azienda cui il marchio appartiene. A tale proposito, l'articolo 23 del Codice della proprietà industriale dispone, al comma 1, che il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato e, al comma 4, che, in ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico. Tali commi sono simmetrici al disposto dall'articolo 2573, primo comma, del codice civile (relativo appunto al trasferimento del marchio). Il secondo comma di tale norma dispone altresì che quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all'uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l'azienda. Con riferimento alla ditta, l'articolo 2563 cc. dispone che l'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta. La ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dall'articolo 2565 cc. Tale norma dispone che la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda. Nell'ordinamento nazionale e nell'ordinamento europeo, coerente con i principi degli accordi sottoscritti a livello internazionale sulla materia, il marchio d'impresa è dunque segno distintivo coessenziale all'esercizio dell'attività di impresa, oggetto di diritto di proprietà cedibile - in modo separato dall'azienda - a condizione che dal trasferimento non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico (cfr. Capo I, Sez. 5, artt. 22-26 della Direttiva UE). Dunque, relativamente alla disciplina del marchio rilevano due principi oggetto di tutela costituzionale: l'esercizio della libertà di impresa e il diritto di proprietà privata (artt. 41 e 42 Cost.).
Si valuti l'opportunità di prevedere espressamente, con apposita disciplina di rango primario, la definizione dei presupposti normativi per la riassegnazione a terzi del diritto di utilizzo del marchio decaduto, tenendo conto dei profili di compatibilità con gli articoli 42 e 43 della Costituzione , nonché con la disciplina internazionale ed europea in materia, demandando eventualmente alla fonte secondaria la sola definizione di elementi attuativi e di dettaglio.
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