Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Deleghe al Governo in materia di semplificazione e codificazione
Riferimenti: AC N.1812/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 192
Data: 18/09/2019
Organi della Camera: I Affari costituzionali

Deleghe al Governo in materia di semplificazione e codificazione

A.C. 1812

 

 

 

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Dossier n. 161

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 192

 

 

 

 

 

 

 

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AC0284.docx

 


INDICE

 

Schede di lettura

Articolo 1 (Istituzione di una Commissione permanente per la semplificazione) 3

Articolo 2 (Riordino dell'Unità per la semplificazione)................................ 15

Articolo 3 (Deleghe per la semplificazione e la codificazione).................... 19

Articolo 4 (Coordinamento delle attività di semplificazione........................ 50

e codificazione)................................................................................................... 50

Articolo 5 (Attività economiche e sviluppo economico)................................ 53

Articolo 6 (Energia e fonti rinnovabili)........................................................... 55

Articolo 7  (Servizio civile universale)............................................................. 60

Articolo 8 (Deleghe in materia di giustizia amministrativa)........................ 67

Articolo 9 (Disposizioni finanziarie)................................................................ 72

Schede di approfondimento

Le diverse stagioni della semplificazione in Italia..................................... 75

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Istituzione di una Commissione permanente per la semplificazione)

 

L’articolo 1 del disegno di legge delega il Governo ad adottare, entro un anno, un decreto legislativo per l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di una Commissione permanente per la semplificazione. All’istituenda Commissione – di cui fanno parte 10 componenti (quale numero massimo) – è attribuito il compito di “assicurare in concreto” l’attuazione delle misure di semplificazione.

 

I principi e criteri direttivi della delega attengono alla composizione e ai poteri attribuiti alla Commissione, nonché ad alcune caratteristiche del procedimento che si instaura dinanzi alla stessa.

Il legislatore delegato è chiamato, in primo luogo, a prevedere che la Commissione sia nominata (rectius istituita) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri, e che sia composta da (non oltre) dieci componenti (comma 1, lettera a)).

I componenti devono essere individuati tra: i magistrati delle giurisdizioni superiori; gli avvocati dello Stato con almeno otto anni di servizio; i professori ordinari di materie giuridiche con almeno otto anni di servizio; i pubblici dipendenti con qualifica non inferiore a quella di dirigente di prima fascia o equiparati con almeno otto anni di servizio; i consiglieri parlamentari con almeno otto anni di servizio; gli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori con almeno venti anni di esercizio professionale ed esperti di chiara fama internazionale nella materia: La Commissione è presieduta da un magistrato che svolge funzioni di livello non inferiore a presidente di sezione nelle giurisdizioni superiori. La disposizione non specifica se il presidente della Commissione sia nominato ovvero scelto all’interno dei suoi componenti.

Se appartenenti ai ruoli delle pubbliche amministrazioni, il presidente e i componenti sono collocati in aspettativa o fuori ruolo, secondo i rispettivi ordinamenti.

 

La nuova Commissione è chiamata ad esprimersi sulla conformità alla legge e alle altre disposizioni normative degli adempimenti e degli oneri regolatori, inclusi quelli amministrativi e informativi, richiesti da provvedimenti amministrativi, da atti amministrativi generali e da atti normativi di rango secondario (lettera b)).

Alla Commissione non è pertanto assegnato un generale controllo di legittimità degli atti, bensì una verifica di legalità riguardante gli adempimenti e gli oneri regolatori previsti nei provvedimenti amministrativi e negli altri atti ivi indicati.

L’espressione ‘oneri regolatori’ è atecnica e, pertanto, nel linguaggio comune, di senso molto ampio. All’interno di tale categoria, per esplicita previsione della proposta di legge, vi rientrano gli oneri amministrativi e gli oneri informativi, categorie che in altri contesti normativi sono già state utilizzate e definite dal legislatore.

 

In particolare, l’art. 3 del D.L. 5/2012 specifica cosa debba intendersi per ‘oneri amministrativi’, individuandoli nei “costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione”.

In modo analogo, già in precedenza, ai sensi del comma 5-bis dell’art. 14 della L. 246/2005, come introdotto dall’art. 6 della L. 180/2011, nonché dell’art. 6, co. 2, lett. b), n. 5, del D.L. 70/2011, era stata utilizzata l’espressione ‘onere informativo’ per indicare “qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione”.

A tale riguardo, si ricorda che l’articolo 7 del c.d. statuto delle imprese (L. 180/2011) dispone che i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché i provvedimenti amministrativi a carattere generale adottati dalle amministrazioni dello Stato, al fine di regolare l'esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l'accesso ai servizi pubblici ovvero la concessione di benefici, devono recare in allegato l'elenco di tutti gli oneri informativi gravanti sui cittadini e le imprese introdotti o eliminati con gli atti medesimi.

Pertanto, la legge prevede l'obbligo di redigere l'elenco degli oneri informativi, di allegarlo al provvedimento, nonché di pubblicarlo sul sito web dell'amministrazione che lo emana. Le modalità per la pubblicazione degli oneri sono state definite con D.P.C.M. n. 252/2012.

La finalità della norma è duplice:

a) responsabilizzare le amministrazioni nell'individuazione, per ciascun atto, degli adempimenti introdotti o eliminati per cittadini e imprese, in modo da prevenire l'introduzione o il mantenimento di oneri sproporzionati o non necessari rispetto alle esigenze di tutela degli interessi pubblici;

b) rendere immediatamente conoscibili ai cittadini e alle imprese tali adempimenti, in modo da assicurare certezza sull'interpretazione delle disposizioni adottate e da rendere verificabile l'operato dell'amministrazione pubblica nell'ambito della sua azione di semplificazione e di riduzione degli oneri.

 

Il principio di delega, di cui alla lettera b), definisce lo scrutinio della Commissione con riguardo agli oneri previsti da:

§  provvedimenti amministrativi;

Il provvedimento amministrativo è l’atto fondamentale e terminale del procedimento amministrativo, mediante la pubblica amministrazione dispone in ordine all’interesse pubblico affidato alla sua cura, esercitando la propria autorità e incidendo sulle situazioni soggettive dei privati. Il provvedimento, di regola, dispone in ordine a un caso concreto e si rivolge a uno o più soggetti determinati (ad es. autorizzazioni, concessioni, dinieghi, sanzioni). È sempre impugnabile dinanzi al giudice.

§  atti amministrativi generali;

Gli atti amministrativi generali sono atti formalmente e sostanzialmente amministrativi, i cui effetti riguardano una pluralità di destinatari, non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili a posteriori (ad es. direttive, gli atti con cui vengono fissate le tariffe o i livelli dei servizi, bandi di gara e di concorso, gli atti con i quali vengono approvati moduli e prospetti informativi, i codici di comportamento, ecc.). Trattandosi di atti sostanzialmente amministrativi, anche gli atti generali possono essere impugnati come ogni provvedimento amministrativo e sono soggetti ai provvedimenti di autotutela come la revoca e l’annullamento d’ufficio.

§  atti normativi di grado secondario.

Gli atti normativi di rango secondario sono espressione del potere normativo attribuito dalla legge alle amministrazioni centrali (regolamenti governativi e ministeriali) o territoriali (regolamenti regionali e degli enti locali) o ad altri enti autonomi (autorità amministrative indipendenti). Essi disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma comunque innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano i caratteri della generalità e dell'astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell'applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono (si v. Cons. St., 14 marzo 2011, n. 200).

Sotto il profilo del procedimento, gli atti amministrativi generali e gli atti normativi non sono soggetti all’obbligo di motivazione (art. 3, L. 241/1990), all’accesso (art. 24, L. 241/1990) ed alla disciplina in materia di partecipazione al procedimento (art. 13, L. 241/1990).

Gli atti normativi della pubblica amministrazione possono essere impugnati davanti al giudice amministrativo immediatamente o congiuntamente all’atto applicativo a seconda che si tratti di regolamenti direttamente lesivi ovvero di regolamenti che producono un pregiudizio solo per effetto di un atto di applicazione. In caso, invece, di regolamenti misti, contenenti sia prescrizioni di carattere programmatico che statuizioni immediatamente lesive, il regime di impugnazione varierà a seconda della natura delle stesse.

 

L’ampiezza dell’ambito oggettivo del controllo affidato alla Commissione è determinata altresì dal fatto che, stante la formulazione letterale della disposizione, il controllo attribuito alla Commissione sembrerebbe riguardare i provvedimenti e gli altri atti adottati da qualunque pubblica amministrazione (statale, regionale, locale), ivi incluse le autorità amministrative indipendenti.

 

Con riferimento all’attribuzione di un potere di controllo affidato ad un organo della Presidenza del Consiglio, vengono in particolare in rilievo i principi di autonomia amministrativa e normativa degli enti territoriali, costituzionalmente tutelati ai sensi dell’art. 5 della Carta fondamentale. Forme particolari di autonomia sono poi riconosciute alle autorità amministrative indipendenti, che sono appunto non legate al potere Esecutivo e alle quali la legge affida funzioni di controllo e di regolazione in settori specifici. Pertanto andrebbe valutata l’opportunità di definire maggiormente il perimetro delle funzioni assegnate alla Commissione, con particolare riferimento ai soggetti controllati e tenendo conto dei principi costituzionali che vengono in rilievo.

 

In base ai principi di delega il procedimento dinanzi alla Commissione può essere attivato:

§  d’ufficio;

§  su segnalazione dell’Unità per la semplificazione (riformata ai sensi dall’articolo 2 del disegno di legge in esame in funzione di supporto al Ministro delegato per la pubblica amministrazione per la definizione e l’attuazione delle politiche di semplificazione amministrativa);

§  su istanza da chiunque proposta.

Non è stabilito alcun termine per l’avvio del procedimento dinanzi all’istituenda Commissione.

 

Nel documento di osservazioni, allegato al parere negativo reso sul provvedimento in esame dalla Conferenza unificata, la Conferenza delle Regioni esprime perplessità sulle previsioni in esame in quanto si verrebbe ad introdurre “una sorta di ricorso amministrativo gerarchico improprio di carattere generalizzato, che può intralciare qualsiasi azione amministrativa. L’oggetto della valutazione della Commissione, poi, potrebbe impattare su contenuti di merito degli atti esaminati. Peraltro la Commissione non avrebbe un termine per agire rispetto alla data del provvedimento”.

 

L’istanza o la segnalazione può determinare la sospensione dei termini in corso e di ogni altro effetto pregiudizievole solo in casi determinati e limitatamente alla parte istante.

La sospensione si protrae fino alla decisione della Commissione sulla prosecuzione dell’efficacia di tale misura cautelare, da adottarsi entro un termine prefissato (rimesso alla decisione del legislatore delegato). La decisione cautelare può essere demandata ad un solo componente della Commissione che, in caso di manifesta infondatezza dell’istanza, può proporre alla Commissione l’immediata archiviazione senza ulteriore istruttoria (lettera c)).

A tale riguardo, la disposizione non individua espressamente i casi e i criteri nei quali la Commissione può disporre la sospensione, la cui determinazione è pertanto rimessa al legislatore delegato.

 

Si richiama al riguardo la disciplina sulla sospensione amministrativa prevista dalla L. 241/1990. L’articolo 21-quater della legge generale sul procedimento amministrativo stabilisce che l’efficacia ovvero l’esecuzione di un provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. In ogni caso la sospensione del provvedimento amministrativo non può essere disposta o perdurare oltre i termini per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di cui all'art. 21-nonies, L. 241/1990. Pertanto, un provvedimento amministrativo non può essere sospeso oltre un termine ragionevole o comunque oltre diciotto mesi dalla sua adozione, ove si tratti di provvedimento di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.

 

Andrebbe valutata al riguardo l’opportunità di definire in sede di delega i criteri per l’esercizio del potere sospensivo da parte della Commissione, alla luce della rilevanza degli effetti sui procedimenti, nonché di prevedere espressamente la possibilità di impugnare l’atto sospensivo.

 

In presenza di un numero eccessivo di istanze, si prevede che la Commissione ferma l’immediatezza delle decisioni cautelari – possa esaminare prioritariamente, nel merito, le istanze relative agli atti regolamentari, con facoltà del presidente di anteporre la trattazione degli affari che abbiano più elevato numero di soggetti coinvolti o maggior rilievo economico, ovvero che presentino peculiare valenza nomofilattica per le future condotte delle amministrazioni, nonché di stabilire ulteriori criteri, modificabili e derogabili, circa l’ordine di trattazione degli affari (lettera d)).

Tale previsione appare connessa al fatto che l’ambito di intervento della Commissione riguarda gli atti regolamentari, gli atti amministrativi generali ed i provvedimenti amministrativi adottati dal complesso delle pubbliche amministrazioni ed il numero di istanze e segnalazioni potrà quindi, nel concreto e con il decorrere del tempo, risultare molto ampio.

 

I principi e criteri di delega prevedono due diversi sviluppi procedimentali nel caso in cui la Commissione verifichi una illegittimità degli oneri, a seconda che essa riguardi provvedimenti amministrativi ovvero atti amministrativi generali e atti normativi.

Nel primo caso, la lettera e) delega il Governo a prevedere che, se la Commissione ritiene fondata l’istanza o la segnalazione in relazione ai provvedimenti amministrativi, fissa un termine entro il quale l’Amministrazione deve adeguarsi. Se l’Amministrazione non provvede nel termine assegnato dalla Commissione, il Governo dovrà prevedere l’applicazione del reato di rifiuto o omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.), «senza bisogno di ulteriore diffida».

 

Si ricorda che l’art. 328 c.p. punisce:

·         il delitto di rifiuto di atti urgenti (primo comma) con la reclusione da sei mesi a due anni. Il delitto è commesso dal pubblico ufficiale (o dall'incaricato di un pubblico servizio) che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia (emanazione o esecuzione di provvedimenti giurisdizionali, o comunque attinenti allo svolgimento di attività giudiziarie) o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico (esigenze di cosiddetta tranquillità pubblica e pace sociale) o di igiene e sanità (ragioni ispirate alla salvaguardia delle condizioni della pubblica salute e alla prevenzione di malattie di ogni genere, per l'uomo, gli animali, le piante), deve essere compiuto senza ritardo;

·         l’ipotesi residuale di rifiuto di atti d'ufficio, il c.d. delitto di «messa in mora», con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Il delitto è commesso dal pubblico ufficiale (o dall'incaricato di un pubblico servizio) che, se non ricorre la prima più grave ipotesi, entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo. La richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di 30 giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa (secondo comma).

La condotta illecita, in entrami i commi dell'art. 328, presenta la medesima struttura, e consiste nel fatto di rifiutare il compimento di un atto d'ufficio. Rifiuto si ha ogni qualvolta l'agente, volontariamente, non compie un atto che gli è stato richiesto di compiere, quando egli sia anche consapevole di tale richiesta.

 

Nonostante venga richiamato tutto l’art. 328 c.p., presumibilmente il disegno di legge intende prevedere l’applicazione del solo delitto punito dal secondo comma dell’art. 328, e dunque dell’ipotesi residuale di omissione di atti d’ufficio, che scatta a seguito di una messa in mora da parte dell’interessato. All’interessato, privato cittadino, nel caso di specie si sostituirebbe la Commissione per l’attuazione delle misure di semplificazione.

 

Attualmente la giurisprudenza accorda la tutela penale a «chi vi abbia interesse», intendendo riferirsi alla titolarità di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, con esclusione di un mero interesse di fatto» (Cass., Sez. VI, 2 ottobre 2013).

Per quanto riguarda la possibilità che tra i soggetti "interessati" legittimati a presentare la richiesta ex art. 328, 2° co. possano anche farsi rientrare soggetti pubblici, e quindi anche una pubblica amministrazione tramite l'organo che la rappresenta, in giurisprudenza prevale la risposta negativa. In particolare, la Corte di Cassazione (Sez. VI, sentenza n. 19180 del 28 febbraio 2001) ha affermato che «l’'interpretazione letterale, sistematica e costituzionalmente corretta dell’art. 328/2° C.P. induce a ritenere non applicabile questa norma, in linea di massima, ai rapporti tra Pubbliche Amministrazioni. Il testo normativo, infatti, è chiaramente finalizzato ad apprestare tutela all'interesse del privato cittadino; al limite, l'operatività dell'art. 328/2° C.P. può riguardare rapporti tra Pubbliche Amministrazioni solo nel caso in cui un determinato Ente, diverso dall'amministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che deve compiere un determinato atto, ha un interesse proprio a quest'ultimo, che va ad incidere sulla realizzazione dei suoi fini istituzionali, interesse diverso da quello generico all'assolvimento del dovere di compiere l'atto finale del procedimento e concretantesi in una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo o di interesse diffuso tutelabile» (v. anche Cass., Sez. VI, 6 marzo 2000; Cass., Sez. VI, 30 novembre 1998; Cass., Sez. VI, 6 febbraio 1998).

Analogamente, Cass., Sez. VI, 11 ottobre 1999, n. 12547, afferma che «Resta estraneo all'ambito di operatività della norma in questione, il rifiuto di ottemperare a un ordine impartito dal superiore gerarchico al subordinato, nell'ambito dello stesso ente pubblico, ove tale condotta si concretizzi in una mera violazione dei doveri d'ufficio, eventualmente censurabile nella competente sede disciplinare, ma senza che di essa si abbia una rilevanza negativa esterna».

 

Appare suscettibile di valutazione la previsione che riconduce l’inadempimento dell’Amministrazione (rispetto alla richiesta della Commissione) a forme di responsabilità penale, che appaiono configurate in via automatica e senza che sembri configurata la possibilità di un contraddittorio.

 

Il provvedimento con il quale la Commissione fissa un termine entro il quale l’Amministrazione deve intervenire per correggere il provvedimento amministrativo, rendendolo conforme alle misure di semplificazione, svolge le funzioni dell’istanza scritta di cui all’art. 328, secondo comma, senza che sia necessaria un’ulteriore messa in mora allo spirare del termine per provvedere.

In merito, si ricorda che, essendo la responsabilità penale personale, per poter applicare tale delitto occorrerà che la Commissione individui all’interno dell’Amministrazione interessata all’adempimento il soggetto effettivamente responsabile a provvedere. Occorrerà, infatti, che il funzionario sia consapevole della richiesta rivoltagli (non si può dire, infatti, che rifiuti di fare qualcosa chi ometta di farla senza rendersi conto di esserne stato richiesto) e abbia il potere giuridico di compiere l'atto richiesto (non si può dire che il soggetto rifiuti di agire, se egli non è anche consapevole del proprio potere giuridico di farlo); il suo rifiuto di provvedere, inoltre, deve essere doloso.

 

E trattandosi di reati omissivi propri, perché l'agente sia in dolo occorre che egli:

·         sia consapevole dell'aspetto sostanziale (elementi di fatto da cui deriva il dovere di agire) e dell'aspetto formale (richiesta) della situazione tipica;

·         sia consapevole del proprio dovere extrapenale di agire (che il compimento dell'atto rientra tra i suoi doveri giuridici);

·         sia consapevole di avere il potere giuridico di agire (ossia: del fatto che il compimento dell'atto rientri tra i suoi poteri giuridici);

·         sia consapevole di essere materialmente in grado di compiere l'atto richiesto;

·         volontariamente, infine, ometta di compiere l'atto.

 

L’art. 328 c.p. è procedibile d’ufficio e dunque, alla scadenza del termine posto dalla Commissione, nell’inerzia dell’Amministrazione, il disegno di legge ipotizza che maturino tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.

In base all’art. 333 c.p.p., ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio può farne denuncia. La Commissione per l’attuazione delle misure di semplificazione sarà invece tenuta a denunciare il reato in base all’art. 331 c.p.p., per non incorrere a sua volta nel delitto di omessa denuncia di reato (artt. 361 e 362 c.p.).

 

La lettera f) delega il Governo a prevedere che nel caso in cui la Commissione ritenga fondata l’istanza in relazione ad atti amministrativi generali e atti regolamentari, ne possa sospendere gli effetti, dandone comunicazione all’autorità amministrativa emanante affinché si adegui alle indicazioni della Commissione.

Rispetto alle indicazioni della Commissione, l’amministrazione può:

§  emanare un provvedimento in cui esplicitamente dichiara di non accogliere la proposta della Commissione. In tale caso, la disposizione di delega stabilisce che quest’ultima e gli interessati possono ricorrere al giudice amministrativo. A tale riguardo, andrebbe valutata l’esigenza di chiarire cosa si intende con l’espressione “interessati” e a quale tipo di interesse si faccia riferimento, anche considerato che nessun interesse qualificato viene richiesto dalla disposizione in esame per l’attivazione del procedimento di controllo da parte della Commissione;

§  restare inerte. In tal caso, la Commissione propone dinanzi al giudice azione di annullamento dell’atto.

 

La disposizione di delega, pertanto, riconosce in capo alla Commissione la legittimazione ad agire innanzi al giudice amministrativo.

In proposito, si ricorda che nel nostro ordinamento la legittimazione ad impugnare un atto dinanzi al giudice amministrativo deve essere di norma direttamente correlata ad una situazione giuridica sostanziale che sia lesa dal provvedimento e postula l’esistenza di un interesse attuale e concreto all’annullamento dell’atto, non essendo ammessa un’azione popolare, ossia un’azione volta ad ottenere un mero controllo oggettivo della legittimità dell’atto amministrativo da parte del giudice.

 

Il fondamento di tale ricostruzione è rappresentato dall’art. 103 Cost. secondo il quale il Consiglio di Stato e gli altri organi della giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi.

 

Negli anni più recenti, il legislatore ha talvolta operato un riconoscimento ex lege della legittimazione a ricorrere a prescindere dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva, come sembra accadere nel caso di specie.

 

Si pensi, ad esempio. alla legittimazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), ai sensi dell’art. 21-bis della L. 287/1990, ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.

O ancora, all’art. 52-ter, D.L. n. 50/2017 che ha introdotto nel Codice dei contratti pubblici una disposizione in base alla quale l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

In tali casi, il fondamento della legittimazione a proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo sta nel riconoscimento ex lege di un interesse pubblico, particolare e differenziato (ad es. tutela della concorrenza) che sarebbe affidato alla cura del soggetto pubblico a cui la legge riconosce il potere di ricorrere in via giurisdizionale.

Negli esempi richiamati, la legge prevede che l'Autorità, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme, emette, entro un termine specifico (60 giorni), un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma in un termine che è massimo di sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare il ricorso, entro i successivi trenta giorni.

Come rilevato da C.d.S., Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246, e da Sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2294, siffatte disposizioni prevedono una legittimazione straordinaria dell'Autorità, che si inserisce in un sistema nel quale rileva il principio di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, secondo il quale l'assetto di interessi creato dall'atto amministrativo - salvo l'esercizio dei poteri di autotutela - deve consolidarsi dopo il decorso di un termine di impugnazione perentorio e non prorogabile. Tale esigenza si pone anche di fronte ad una legittimazione straordinaria al ricorso, come quella prevista da simili disposizioni.

A sua volta, nella sentenza 14 febbraio 2013, n. 20, la Corte costituzionale, con riferimento all’art. 21-bis della L. 287/1990, ha evidenziato come in tal caso non si può parlare di «nuovo e generalizzato controllo di legittimità», là dove la norma prevede un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato». Esso si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso.

La detta disposizione, dunque, ha un perimetro ben individuato (quello, per l’appunto, della concorrenza), compreso in una materia appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), concernente anche la potestà regolamentare, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, primo periodo, Cost..

 

Appare opportuno, alla luce della giurisprudenza testè richiamata, valutare le previsioni in esame che introducono, in particolare, un potere di sospensione immediata e di denuncia all’autorità penale, alla luce del principio di leale collaborazione tra Stato ed enti territoriali.

 

Si ricorda, in particolare, che secondo l’art. 29 della legge n. 241 del 1990, nel testo vigente a seguito delle modifiche operate, da ultimo, dal d.lgs. n. 126 del 2016, «[a]ttengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti» (comma 2-bis). In base al comma 2-ter, «[a]ttengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano». Il comma 2-quater dispone poi che «[l]e regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela».

 

In relazione alla formulazione della lettera f), andrebbe valutata l’opportunità di definire una scansione temporale per la richiesta di riesame da parte della Commissione all’autorità emanante l’atto, che dovrebbe indicarne gli specifici profili delle violazioni.

 

Per le ipotesi previste dal criterio di delega di cui alla lettera f) viene stabilita la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (lettera g)).

 

Per giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si intende quel tipo di giurisdizione in cui il g.a. conosce, in relazione a determinate materie indicate dalla legge, oltre che di interessi legittimi, anche di diritti soggettivi (art. 103, comma 1, Cost.; artt. 7 e 133 D.Lgs. 104/2010). Tale forma di giurisdizione deroga al tradizionale criterio di riparto delle giurisdizioni fondato sulla natura della situazione giuridica dedotta in giudizio (interesse legittimo o diritto soggettivo). La Corte costituzionale, nella sentenza n. 204 del 2004 ha chiarito che le materie nelle quali può essere prevista la giurisdizione esclusiva del g.a. sono quelle nelle quali la p.a. agisce come titolare di un potere amministrativo in senso proprio e nelle quali la tutela dei diritti soggettivi è ancillare rispetto a quella degli interessi legittimi.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire maggiormente come le decisioni adottate dalla istituenda Commissione si configurano rispetto agli attuali strumenti previsti dall’ordinamento per la tutela in sede amministrativa (ricorso gerarchico; ricorso in opposizione; ricorso al Presidente della Repubblica).

In tale quadro si valuti altresì l’opportunità di chiarire maggiormente il regime e l’ambito di “ricorribilità” davanti al giudice amministrativo degli atti della istituenda Commissione.

 

Come già ricordato, nel documento allegato al parere negativo reso sul provvedimento dalla Conferenza unificata, si osserva che l’articolo 1 introduce “una sorta di ricorso amministrativo gerarchico improprio di carattere generalizzato”.

 

Tra gli ulteriori principi di delega si stabilisce che per l’accesso alla Commissione sia prevista la corresponsione di diritti di segreteria, integrata con una maggiorazione, anticipata o posticipata, per i casi di manifesta infondatezza dell’istanza, secondo criteri che siano volti a prevenire e scoraggiare abusi. Il legislatore delegato può individuare ulteriori meccanismi di disincentivazione volti a realizzare la stessa finalità (lettera h)).

 

La Commissione può “segnalare all’amministrazione interessata” i casi di reiterati interventi nei confronti delle stesse amministrazioni al fine di ridurre i trasferimenti previsti a loro favore. Il legislatore delegato deve determinare misura e modalità di tali riduzioni (lettera i)).

Appare opportuno specificare a quale soggetto sono destinate le segnalazioni della Commissione, soggetto che sembrerebbe poi responsabile della determinazione dell’entità della sanzione (consistente nella riduzione dei trasferimenti) e della definizione delle relative modalità.

 

Nell’esercizio della delega, la dotazione organica della struttura di supporto della Commissione è stabilita nei limiti delle risorse disponibili, di cui al comma 4 dell’articolo in esame (lettera l)).

Per quanto riguarda il procedimento di adozione del decreto legislativo (comma 2), è previsto che:

§  sia adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delegato per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze;

§  sullo schema è acquisito il parere della Conferenza Unificata e del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione dello schema, decorso il quale il Governo può comunque procedere;

§  lo schema è trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri della Commissione parlamentare per la semplificazione e delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato.

È poi prevista la disposizione sullo “scorrimento dei termini” che dispone che se il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari cade nei 60 giorni che precedono la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega o successivamente, la scadenza medesima è prorogata di 120 giorni.

Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente il testo alle Camere con le proprie osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di 10 giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, il decreto può comunque essere adottato.

Entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, il Governo può adottare, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura di cui al medesimo art. 1, uno o più decreti legislativi integrativi e correttivi (comma 3).

Da ultimo, si prevede che agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 1, relativi alla Commissione e alla sua struttura di supporto, stimati pari a 2 milioni di euro per l’anno 2019 e a 8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020, si provvede ai sensi dell’articolo 9, alla cui scheda si rinvia (comma 4).

Articolo 2
(Riordino dell'Unità per la semplificazione)

 

 

L'articolo 2 reca delega legislativa per una ridefinizione dei compiti dell'Unità per la semplificazione.

La Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione è stata istituita dal decreto-legge n. 181 del 2006 come convertito in legge, all'articolo 1, comma 22-bis, il quale ne disciplina la composizione.

Essa è collocata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il d.P.C.m del 12 giugno 2013 ne definisce organizzazione e compiti, tra i quali figura la promozione e il coordinamento delle attività di semplificazione e di riassetto della normativa vigente.

 

L'articolo in commento dispone che sia effettuata una rideterminazione dei compiti della Unità per la semplificazione - tale la nuova denominazione che esso viene a prevedere. E prevede che siffatta rideterminazione avvenga con atto primario (decreto legislativo delegato), non già con strumento regolamentare.

Si verrebbe così a 'legificare' la disciplina delle funzioni della Unità.

 

Il termine per l'esercizio della delega è un anno dall'entrata in vigore del presente provvedimento.

Quale criterio direttivo di delega circa l'attività della Unità, figura la previsione che essa espleti le seguenti attività:

ü  supporto al Ministro delegato per la pubblica amministrazione, per la definizione ed attuazione delle politiche di semplificazione amministrativa;

ü  coordinamento dell'attuazione delle misure di semplificazione, compresa la raccolta e diffusione delle migliori pratiche e degli errori applicativi (secondo direttive del Dipartimento della funzione pubblica);

ü  monitoraggio circa il funzionamento della Commissione per l'attuazione delle misure per la semplificazione (v. infra, articolo 1 del presente disegno di legge);

ü  individuazione di specifici percorsi formativi e di aggiornamento, in materia di semplificazione amministrativa ("in coordinamento" con la Scuola nazionale dell'Amministrazione).

Non figura, tra i criteri direttivi di delega, una previsione espressa circa la composizione della Unità.

Tale composizione parrebbe pertanto rimanere fuori della materia delegata, con permanenza in vigore della previsione già recata dall'articolo 1, comma 22-bis del decreto-legge n. 181 del 2006 - secondo il quale della Unità fa parte il capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ed i componenti sono scelti tra professori universitari, magistrati amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari, avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione all'albo professionale, dirigenti delle amministrazioni pubbliche ed esperti di elevata professionalità. Se appartenenti ai ruoli delle pubbliche amministrazioni, gli esperti e i componenti della segreteria tecnica possono essere collocati in aspettativa o fuori ruolo, secondo le norme e i criteri dei rispettivi ordinamenti.

 

Il decreto legislativo delegato è previsto oggetto di proposta del Ministro delegato per la pubblica amministrazione.

Le Commissioni parlamentari competenti - e tra queste la Commissione parlamentare per la semplificazione - rendono parere entro 45 giorni dalla trasmissione dell'atto (che può comunque essere emanato, nel caso di vano decorso di quel termine).

Se il termine previsto per il parere parlamentare cade in prossimità (trenta giorni) del termine per l'esercizio della delega, o successivamente, il medesimo termine per il parere parlamentare è posticipato di 90 giorni.

 

È prevista una clausola di invarianza finanziaria.

La relazione illustrativa del disegno di legge ricorda che per il finanziamento dell'Unità è prevista attualmente - a carico del capitolo 131 dello stato di previsione 2019 del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, la somma complessiva di 826.543 euro.

 

La disposizione di delega mantiene ferme le competenze del Dipartimento della funzione pubblica.

 

Il Dipartimento della funzione pubblica è struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri. Esso fu istituito dalla legge n. 93 del 1983 (legge-quadro sul pubblico impiego), articolo 27 (attuato con il regolamento dapprima recato dal d.P.R. n. 536 del 1984 indi sostituito dal d.P.C.m. n. 597 del 1993).

Le funzioni attribuitegli dalla legge sono: l'attività di indirizzo e di coordinamento generale in materia di pubblico impiego; il coordinamento delle iniziative di riordino della pubblica amministrazione e di organizzazione dei relativi servizi; il controllo sulla efficienza e la economicità dell'azione amministrativa; il coordinamento delle iniziative riguardanti la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei pubblici dipendenti; la individuazione dei fabbisogni di personale e la programmazione del relativo reclutamento; le attività connesse con il funzionamento della Scuola superiore della pubblica amministrazione. Una puntuale determinazione di compiti del Dipartimento è stata poi resa dall'articolo 14 di d.P.C.m del 1° ottobre 2012 recante "Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri".

Ancora, la legge 56 del 2019 – recante "Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell'assenteismo" - prevede (all'articolo 1) l’istituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica di un "Nucleo della concretezza", preposto alla verifica della realizzazione delle azioni concrete - da determinarsi in un apposito piano triennale - per il miglioramento dell'efficienza della pubblica amministrazione.

 

La disposizione del disegno di legge in commento menziona - in tema di percorsi formativi - la Scuola superiore della pubblica amministrazione.

Essa (SNA: originariamente era denominata Scuola superiore della pubblica amministrazione, SSPA) è un’istituzione di alta cultura e formazione, posta nell’ambito e sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio.

Istituita nel 1957, essa è stata soggetta a diversi riordinamenti, tra i quali rilevante quello operato con il decreto legislativo n. 178 del 2009.

La Scuola svolge attività di formazione post-laurea per i dipendenti pubblici. Tra i compiti primari della Scuola sono da ricordare:

·         il reclutamento dei dirigenti e dei funzionari dello Stato;

·         l’attività formativa iniziale dei dirigenti dello Stato;

·         la formazione permanente dei dirigenti e dei funzionari dello Stato;

·         la formazione, con gli oneri a carico dei committenti, di dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali, di soggetti gestori di servizi pubblici e di istituzioni ed imprese private;

·         lo svolgimento di attività di ricerca, analisi e documentazione finalizzata al perseguimento dell'eccellenza nell'attività di formazione legata ai processi di riforma ed innovazione della pubblica amministrazione.

La legge individua tra gli organi della Scuola, il presidente, unitamente al comitato di programmazione, al comitato di gestione e al dirigente amministrativo.

Spetta al presidente di assicurare lo svolgimento delle attività istituzionali; egli è responsabile dell’attività didattica e scientifica della Scuola e nomina le commissioni esaminatrici per i concorsi e i corsi.

L’attività di formazione è svolta da un gruppo di 19 docenti stabili, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, docenti universitari, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, esperti - italiani o stranieri - di comprovata professionalità. La Scuola può, inoltre, avvalersi di docenti incaricati, anche temporaneamente, di specifiche attività di insegnamento e conferire a persone di comprovata professionalità specifici incarichi finalizzati alla pubblicazione di ricerche e studi.

La Scuola superiore dell'amministrazione è stata intesa quale 'capofila' del Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica, istituito dal regolamento adottato con d.P.R. n. 70 del 2013 in attuazione dell’articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012, il quale ultimo aveva autorizzato il Governo ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione al fine di individuare idonee forme di coordinamento tra le scuole pubbliche di formazione, gli istituti di formazione e le altre strutture competenti e di riformare il sistema di reclutamento e di formazione dei dirigenti e dei funzionari pubblici.

Successivamente, peraltro, è intervenuto l'articolo 21 del decreto-legge n. 90 del 2014, il quale ha disposto la soppressione di cinque scuole di formazione delle pubbliche amministrazioni (la Scuola superiore dell’economia e delle finanze, l’Istituto diplomatico «Mario Toscano»; la Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno; il Centro di formazione della difesa; la Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche; delle sedi distaccate della medesima Scuola nazionale dell’amministrazione prive di centro residenziale) e la contestuale assegnazione delle funzioni di reclutamento e di formazione alla Scuola nazionale dell’amministrazione.


 

Articolo 3
(Deleghe per la semplificazione e la codificazione)

 

L’articolo 3 reca una serie di deleghe legislative al Governo per la “semplificazione e la codificazione” da adottare entro 2 anni dalla data di entrata in vigore della legge delega. È altresì prevista la facoltà di adottare decreti integrativi e correttivi entro un anno.

I settori su cui possono intervenire le deleghe sono indicati al comma 1 e riguardano ambiti di materie, quali le attività economiche, l’energia, l’edilizia e il governo del territorio, l’ambiente, l’acquisto di beni e servizi dalle p.a., l’innovazione digitale, il servizio civile e il soccorso alpino, la prevenzione della corruzione e la trasparenza nelle p.a., la giustizia tributaria e il sistema tributario e contabile dello Stato, l’ordinamento e il funzionamento del servizio sanitario.

Sono previsti criteri e principi generali (commi 2 e 3) volti, in gran parte, a dare attuazione a finalità di coordinamento, razionalizzazione, ricognizione, semplificazione, ampliamento dell’ambito delle attività liberamente esercitabili, monitoraggio del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti.

Sono dettati poi alcuni criteri specifici in materia di edilizia; governo del territorio; sportello unico delle attività produttive; acquisto di beni e servizi da parte delle p.a.; cittadinanza e innovazione digitale.

 

I criteri e le finalità generali

Le finalità delle deleghe sono dettate in via generale dal comma 1:

-          codificare le disposizioni legislative vigenti;

-          semplificare le attività amministrative;

-          ridurre gli oneri regolatori su cittadini e imprese;

 

L’intervento del legislatore delegato è previsto al fine di migliorare la qualità e l’efficienza dell’azione amministrativa, nonché garantire la certezza dei rapporti giuridici e la chiarezza del diritto.

 

In via preliminare all’esame dei singoli principi e criteri di delega, può essere opportuno ricordare i più recenti orientamenti del Consiglio di Stato in materia di codificazione, semplificazione, qualità della regolazione "formale" e chiarezza del linguaggio normativo.

Il miglioramento della regolazione (c.d. better regulation) - tema prioritario in ambito sovranazionale e comunitario, oltre che nazionale (attraverso le leggi annuali di semplificazione e i piani di azione per la semplificazione, la cui cadenza temporale non è sempre rispettata) - costituisce un "valore" più volte ricordato dal Consiglio di Stato nell’esercizio delle sue funzioni consultive (v. Cons. St., sez. norm., 18-24 febbraio 2016, n. 343).

La "codificazione" è concetto che si è evoluto rispetto alla sua concezione ottocentesca, presentandosi ora soprattutto la necessità di inserire nei codici, oltre al mero consolidamento formale, anche elementi che comportino una effettiva semplificazione sostanziale [sempre parere 18-24 febbraio 2016 n. 343].

Il miglioramento della qualità della regolazione costituisce l'obiettivo finale rispetto al quale è strumentale la semplificazione, nelle sue tipologie di semplificazione amministrativa (e, segnatamente: organizzativa e procedimentale) e di semplificazione normativa, nei suoi molteplici strumenti.

Si è fatta strada una nozione di "qualità della regolazione" riferita non solo e non tanto alla "qualità formale" dei testi normativi (che devono essere chiari, intelleggibili, accessibili), quanto e soprattutto alla "qualità sostanziale delle regole", che devono essere delle "buone regole" nella sostanza (v. anche Cons. St., ad. gen., 25 ottobre 2004, n. 2/2004).

Una "buona legge" è (Cons. St., sez. norm., 1 aprile 2016, n. 855):

- una legge "necessaria", nel senso che non vi sono altre alternative (nelle leggi già vigenti o negli strumenti amministrativi, o nella deregolamentazione e autoregolamentazione);

- una legge chiara e comprensibile;

- una legge completa;

- una legge sistematica (Cons. St., sez. norm., 21 maggio 2007, n. 2024, reso sul piano di azione per la semplificazione).

 

La delega può essere esercitata nei seguenti settori, (ma è prevista la “facoltà per il Governo di intervenire anche limitatamente a specifiche attività o gruppi di attività intersettoriali” sulla base della verifica dell’impatto della regolamentazione):

a)       attività economiche e sviluppo economico;

b)      energia e fonti rinnovabili

c)       edilizia e governo del territorio;

d)      ambiente;

e)       acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni;

f)       cittadinanza e innovazione digitale;

g)      servizio civile universale e soccorso alpino;

h)      prevenzione della corruzione, obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni;

i)        giustizia tributaria e sistema tributario e contabile dello Stato, nel rispetto dei princìpi e dei criteri previsti dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196;

j)        ordinamento e funzionamento del Servizio sanitario nazionale, controlli sanitari per la sicurezza alimentare.

Per tutti i citati ambiti di materie sono previsti principi e criteri direttivi generali all’articolo 3. Per alcuni settori sono altresì stabiliti principi e criteri specifici (si v. art. 3, co. lettere da l) a p), nonché art. 5, 6 e 7).

Per altri ambiti di materia oggetto di delega legislativa, quali “ambiente”, “giustizia tributaria e sistema tributario e contabile dello Stato”, “prevenzione della corruzione, obblighi di pubblicità e trasparenza”, “ordinamento e funzionamento del Servizio sanitario nazionale, controlli sanitari per la sicurezza alimentare” si applicano solo i criteri e le finalità generali.

 

La giurisprudenza della Corte costituzionale relativa alla determinazione dei "principi e criteri direttivi" delle disposizioni di delega ha posto in evidenza come le norme deleganti debbono essere idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l'attività normativa del Governo, non potendo esaurirsi in mere enunciazioni di finalità né in disposizioni talmente generiche da essere riferibili a materie vastissime ed eterogenee (sentenza n. 156/1987).

Al contempo, nella sentenza n. 224 del 1990 la Corte ricorda che i “principi e criteri direttivi” presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata, che oscilla da ipotesi in cui la legge delega pone finalità dai confini molto ampi e sostanzialmente lasciate alla determinazione del legislatore delegato a ipotesi in cui la stessa legge fissa “principi” a basso livello di astrattezza, finalità specifiche, indirizzi determinati e misure di coordinamento definite o, addirittura, pone principi inestricabilmente frammisti a norme di dettaglio disciplinatrici della materia o a norme concretamente attributive di precise competenze.

Allo stesso tempo la Corte ha da tempo riconosciuto, e confermato nella sentenza n. 98 del 2008, che “la varietà delle materie riguardo alle quali si può ricorrere alla delega legislativa comporta che neppure è possibile enucleare una nozione rigida valevole per tutte le ipotesi di “principi e criteri direttivi”, quindi “il Parlamento, approvando una legge di delegazione, non è certo tenuto a rispettare regole metodologicamente rigorose” (sentenze nn. 340 del 2007; n. 250 del 1991). La considerazione per cui “il livello di specificazione dei principi e criteri direttivi può in concreto essere diverso da caso a caso, anche in relazione alle caratteristiche della materia e della disciplina su cui la legge delegata incide” (così ancora ordinanza n. 134 del 2003) non ha peraltro impedito alla Corte, in varie occasioni, di sollecitare una maggiore precisione da parte del legislatore delegante (ordinanza n. 134/2003, sentenza n. 53/1997, sentenza n. 49/1999).

Nella sentenza n. 158 del 1985, la Corte ha rilevato come il precetto costituzionale dell’art. 76 sui principi e criteri direttivi sia da ritenersi soddisfatto allorché sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalità e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre, allo stesso legislatore delegato, è demandata la realizzazione, secondo modalità tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalità e degli interessi considerati dal legislatore delegante. Le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata, ma, dall’altro, devono consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare. In particolare, la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità, inidonee o insufficienti ad indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato. Ciò che non può essere validamente ammesso come principio e criterio direttivo è un generico rinvio alla stessa discrezionalità del Governo: come affermato nella sentenza n. 68 del 1991 e ribadito nella sentenza n. 340 del 2007, per quanta ampiezza possa a questo riconoscersi, “il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega”.

 

I princìpi e criteri direttivi validi per tutte le deleghe nei settori menzionati al comma 1 sono così enunciati (al comma 2):

§  organizzare le disposizioni per settori omogenei o per specifiche attività o gruppi di attività, ove possibile intervenendo mediante novella di codici o testi unici di settore già esistenti;

§  coordinare sotto il profilo formale e sostanziale il testo delle disposizioni legislative vigenti anche di recepimento e attuazione della normativa europea, apportando le opportune modifiche volte a garantire o migliorare la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa;

§  assicurare l’unicità, la contestualità, la completezza, la chiarezza e la semplicità della disciplina relativa a ogni attività o gruppi di attività;

§  adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;

§  indicare esplicitamente le norme da abrogare, fatta salva comunque l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile.
Costituisce infatti criterio della better regulation il primato dell'abrogazione espressa, rimessa all’univoca volontà della legge, rispetto a quella tacita, rimessa all'opinabile e mutevole opera dell'interprete.

 

In relazione ai citati principi di delega, si ricorda che l’articolo 13-bis della L. 400/1988 stabilisce alcuni principi in materia di chiarezza dei testi normativi. È affidato al Governo, nell'ambito delle proprie competenze, il compito di provvedere a che:

a) ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate;

b) ogni rinvio ad altre norme contenuto in disposizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione, contestualmente indichi, in forma integrale o in forma sintetica e di chiara comprensione, il testo ovvero la materia alla quale le disposizioni fanno riferimento o il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare.

Tali disposizioni in materia di chiarezza dei testi normativi costituiscono princìpi generali per la produzione normativa e non possono essere derogate, modificate o abrogate se non in modo esplicito.

Per quanto concerne la codificazione, la stessa disposizione prevede periodicamente, e comunque almeno ogni sette anni, l'aggiornamento dei codici e dei testi unici adottando, nel corpo del testo aggiornato, le opportune evidenziazioni. La Presidenza del Consiglio dei ministri adotta atti di indirizzo e coordinamento per assicurare che gli interventi normativi incidenti sulle materie oggetto di riordino, mediante l'adozione di codici e di testi unici, siano attuati esclusivamente mediante modifica o integrazione delle disposizioni contenute nei corrispondenti codici e testi unici.

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 17-bis della L. 400/1988 (introdotto dalla L. 69/2009) prevede la possibilità per il Governo, senza necessità di alcuna delega specifica, di organizzare le normative settoriali in testi unici compilativi, la cui elaborazione può anche demandare al Consiglio di Stato.

In via analoga, l’articolo 17, co. 4-ter della stessa legge autorizza permanentemente il Governo «al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete».

In riferimento alle deleghe per il riassetto normativo, si ricorda infine che la sentenza n. 170 del 2007 della Corte costituzionale ha consentito l’inserimento di disposizioni innovative solo nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato, cioè il Governo.

 

Il comma 3 indica ulteriori principi e criteri direttivi generali da applicare in quanto compatibili. Alcuni di questi presentano carattere trasversale ai diversi settori materiali, indicati al comma 1 (co. 3, lett. da a) ad i) e lett. q)). Altri criteri riguardano solo i settori specificamente individuati (co. 3, lettere da l) a p)).

Quanto ai primi, il legislatore delegato è tenuto a:

§  tipizzare e individuare le attività soggette ad autorizzazione o comunicazione, espressamente contemplate e regolate da norme di rango primario e, conseguentemente, affermare il libero svolgimento di tutte le altre (lettera a));

§  eliminare i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea o quelli a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti (lettera b));

§  semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, agli adempimenti e alle misure che restano in vigore ai sensi della lettera b), in modo da ridurne il numero delle fasi e delle amministrazioni intervenienti, anche eliminando e razionalizzando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, individuando discipline e tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti (lettera c));

§  estendere l’ambito delle attività liberamente esercitabili senza bisogno di alcun adempimento, ivi inclusi quelli di mera comunicazione, da parte dei privati (lettera d));

 

Con riguardo ai criteri di delega di cui alle lettere da a) a d), è utile richiamare le norme più recenti approvate al fine di liberalizzare alcune attività e di semplificare i procedimenti amministrativi.

In particolare, la legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni (legge n. 124/2015) ha introdotto alcune disposizioni volte a semplificare i procedimenti amministrativi in favore dei cittadini e delle imprese. Con tale finalità, ha previsto infatti (art. 5):

1.      la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;

2.      l'introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.

In sede di attuazione, sono stati adottati due decreti legislativi. Il primo di essi (D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 126) contiene alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione espressa (c.d. SCIA 1). Nel decreto è stata anche introdotta una clausola in base alla quale le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o non specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere.

Ulteriore novità di rilievo è rappresentata dalla introduzione di una disciplina per le ipotesi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, ovvero atti di assenso o pareri da parte di altre amministrazioni. Per evitare che la stessa SCIA diventi più complicata del procedimento ordinario a causa dei numerosi atti presupposti, lo schema di decreto prevede una concentrazione dei regimi amministrativi.

L'attuazione della delega è proseguita con il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), che provvede alla mappatura e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.

In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi. Le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive competenze, possono ricondurre le attività non espressamente elencate nella tabella, anche in ragione delle loro specificità territoriali, a quelle corrispondenti, pubblicandole sul proprio sito istituzionale (art. 2, co. 6, D.Lgs. 222/2016).

La ricognizione può essere integrata e completata con decreti successivi, previsti dalla legge delega. Inoltre, si prevede che la tabella sia aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro delegato per la pubblica amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata, al fine di tener conto delle disposizioni di legge intervenute successivamente (art. 2, co. 7, D.Lgs. 222/2016). Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, devono adeguarsi ai livelli di semplificazione e alle garanzie assicurate ai privati dal decreto, nonché possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione.

 

§  prevedere, nelle situazioni in cui sia necessario autorizzare interventi potenzialmente identici, la facoltà per l’amministrazione competente di adottare provvedimenti a carattere generale (lettera e));

§  eliminare i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea, salvo che la loro perdurante necessità sia motivata dall’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) dei relativi decreti legislativi (lettera f));

 

Si ricorda che, in base all’articolo 14, commi da 24-bis a 24-quater, della L. 28 novembre 2005, n. 246 (poi ripreso dall’art. 32 della L. 234 del 2012), gli atti di recepimento di direttive europee non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salva l'ipotesi in cui l'amministrazione dia conto delle circostanze eccezionali in relazione alle quali si renda necessario il superamento del livello minimo di regolazione europea. Quest'ultima fattispecie deve essere previamente valutata nella suddetta AIR o comunque, per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, in base ai metodi di analisi adottati (per la redazione dell'AIR e della VIR) con direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In particolare, secondo il comma 24-ter del citato articolo 14, costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee:

a) l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive;

b) l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;

c) l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive.

I commi 5 e 8 del citato articolo 14 della L. n. 246, e successive modificazioni, ed il regolamento di cui al D.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169, individuano i casi di esclusione dell'AIR, tra cui l'ipotesi in cui l'amministrazione proponente chieda al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri) l'esenzione in relazione al ridotto impatto dell'intervento.

 

Considerata l’ampiezza dei settori ed istituti oggetto del presente principio di delega (di cui alla lettera f)) – che riguarda l’attività di codificazione - potrebbe essere ritenuto opportuno chiarirne i termini di applicazione, con riferimento ai decreti legislativi già vigenti non corredati da AIR. Sembrerebbe inoltre opportuno chiarire se il principio si applichi anche ai casi in cui le disposizioni di recepimento delle norme europee siano poste da atti diversi dai decreti legislativi.

 

§  prevedere l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di rendere facilmente conoscibili e accessibili le informazioni, i dati da fornire e la relativa modulistica, anche adeguando, aggiornando e semplificando il linguaggio, nonché adottando moduli unificati e standardizzati che definiscono esaustivamente, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati (lettera g));

§  assicurare, per tipologie omogenee di procedimento, l’uniformità delle modalità di presentazione delle comunicazioni, delle dichiarazioni e delle istanze degli interessati, nonché le modalità di svolgimento della procedura (lettera h));

 

Disposizioni per garantire l'informazione di cittadini e imprese

In relazione ai criteri di delega di cui alle lettere g) e h), è opportuno ricordare che il D.Lgs. 126/2016 è intervenuto sulla materia, in attuazione della L. 124 del 2015, al fine di rafforzare l'obbligo per le amministrazioni di predisporre moduli unificati e standardizzati che definiscono, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni, nonché i contenuti della documentazione da allegare.

I moduli sono adottati dalle amministrazioni statali con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. Mentre sono necessari accordi o intese in sede di Conferenza unificata, per adottare una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all'edilizia e all'avvio di attività produttive.

In sede di attuazione, sono stati raggiunti in sede di Conferenza unificata gli accordi del 4 maggio e del 6 luglio 2017 sulla modulistica unificata e semplificata per le attività commerciali, artigianali ed edilizie (per attività quali esercizi di vicinato e di vendita, bar, ristoranti, attività di acconciatore e/o estetista, panifici, tintolavanderie, autorimesse e autoriparatori). Successivamente, l'accordo in sede di Conferenza unificata del 22 febbraio 2018 ha adottato ulteriori moduli unificati e semplificati relativi ad altre attività commerciali ed assimilate (commercio all'ingrosso, alimentare e non alimentare; facchinaggio; imprese di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione; agenzie di affari di competenza del Comune). Secondo quanto emerge dal Rapporto di monitoraggio per la semplificazione 2018-2020, tutte le regioni hanno adeguato, in relazione alle specifiche normative regionali, i contenuti informativi dei moduli.

Per le amministrazioni destinatarie di istanze, segnalazioni e comunicazioni è introdotto l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale i moduli e, per ciascuna tipologia di procedimento, l'elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell'Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione (art. 2, co. 2). L'obbligo di pubblicazione si intende assolto anche attraverso il link alle piattaforme telematiche in uso o alla modulistica adottata dalle regioni. Tale regime di pubblicità si affianca agli altri obblighi di trasparenza concernenti i procedimenti amministrativi disciplinati in generale dal cd. Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs. n. 33/2013, in particolare art. 35).

In caso di omessa pubblicazione dei moduli e della relativa documentazione, il decreto prevede l'attivazione di poteri sostitutivi tra i diversi livelli amministrativi (art. 2, co. 3).

A garanzia dei privati e dei principi di semplificazione e trasparenza del procedimento, è fatto divieto all'amministrazione procedente di chiedere informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati nei moduli pubblicati sul sito istituzionale, nonché di richiedere documenti in possesso di una pubblica amministrazione. Eventuali richieste integrative di documentazione all'interessato possono essere rivolte solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, della segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati a quanto indicato nei moduli pubblicati sul proprio sito (art. 2, co. 4).

Infine, il decreto ha introdotto le sanzioni per la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti indicati, nonché per la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, stabilendo che tali fattispecie "costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi" (art. 2, co. 5).

Nell'ambito della disciplina generale delle attività private non soggette ad autorizzazione espressa, il D.Lgs. n. 126/2016 (art. 3) ha inoltre introdotto alcune disposizioni generali sulle modalità di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni, inserendo a tal fine una disposizione specifica nella legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990).

Il nuovo articolo 18-bis, L. 241/1990 stabilisce l'obbligo per le amministrazioni di rilasciare una ricevuta dell'avvenuta presentazione dell'istanza, comunicazione o segnalazione, anche in via telematica.

Il rilascio deve essere immediato e la ricevuta deve attestare l'avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione o della comunicazione, nonché indicare i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza.

 

§  prevedere che, per gli atti normativi di iniziativa governativa, il costo derivante dall’introduzione di oneri regolatori, inclusi quelli informativi e amministrativi ed esclusi quelli che costituiscono livelli minimi per l’attuazione della regolazione europea, qualora non compensato con una riduzione stimata di oneri di pari valore, sia qualificato di regola come onere fiscalmente detraibile ((lettera i)).

 

Sul piano della formulazione della disposizione, andrebbe chiarito se nella locuzione "atti normativi di iniziativa governativa" siano compresi anche gli atti normativi ministeriali ed interministeriali.

Inoltre, la disposizione fa riferimento "all'introduzione" di oneri regolatori, e dunque andrebbe chiarito se il principio della detraibilità fiscale di nuovi o maggiori oneri non oggetto di compensazione possa applicarsi anche rispetto al livello di oneri già previsti a normativa vigente nelle stesse materie.

Infine, per l'applicazione del meccanismo dettato dalla disposizione, va valutata l’opportunità di definire i criteri per la determinazione, da parte delle norme di rango primario e di quelle di rango secondario, della quantificazione degli oneri regolatori non compensati che si convertono in detrazione fiscale.

Si ricorda che il criterio direttivo in esame è contenuto anche in altri disegni di legge governativi presentati nell’attuale legislatura (A.S. n. 1252, A.S. n. 1312, A.S. 1338), ugualmente recanti deleghe al Governo.

 

Il principio della compensazione degli oneri regolatori, informativi e amministrativi è contenuto nell'articolo 8 della L. 11 novembre 2011, n. 180, e successive modificazioni. In esso si afferma che "negli atti normativi e nei provvedimenti amministrativi a carattere generale che regolano l'esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l'accesso ai servizi pubblici o la concessione di benefici, non possono essere introdotti nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati senza contestualmente ridurne o eliminarne altri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale". Le amministrazioni statali sono inoltre tenute a trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una relazione sul bilancio complessivo degli oneri amministrativi, a carico di cittadini e imprese, introdotti e eliminati con gli atti normativi approvati nel corso dell'anno precedente, ivi compresi quelli introdotti con atti di recepimento di direttive dell'Unione europea che determinino livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime, come valutati nelle relative analisi di impatto della regolamentazione (AIR).

Sempre secondo l'articolo 8 della L. n. 180, per oneri amministrativi si intendono "i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione".

In base all'articolo 14, comma 5-bis, della L. 28 novembre 2005, n. 246 (comma introdotto dalla citata L. n. 180), per onere informativo si intende qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.

 

La novità del criterio di delega in esame consiste nella qualificazione (di regola) come onere fiscalmente detraibile attribuita ad un nuovo onere regolatorio, qualora quest'ultimo non trovi compensazione con una riduzione di oneri di pari valore. Si prospetta dunque un beneficio fiscale, derivante dalla mancata compensazione dell’onere regolatorio.

 

§  prevedere l’obbligo, per le pubbliche amministrazioni, di procedere al monitoraggio e al controllo telematico a consuntivo del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza, anche al fine di permettere (lettera q)):

o  l’immediata verifica dell’efficacia, anche in termini di risultati ottenuti, delle soluzioni organizzative adottate e la rilevazione di eventuali anomalie;

o  la confrontabilità dei risultati organizzativi da parte delle diverse amministrazioni operanti sul territorio con le stesse competenze, attraverso la pubblicazione sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione delle informazioni relative ai tempi di conclusione dei procedimenti;

o  l’adozione di misure di intervento, “anche di tipo reputazionale”, risarcitorio e, “se del caso”, disciplinare, in relazione al numero di procedimenti conclusi e al rispetto dei tempi previsti.

 

La previsione del “se del caso” appare suscettibile di valutazione alla luce della sentenza n. 340 del 2007 della Corte costituzionale riguardante la previsione di principi e criteri direttivi di delega che lasciano al libero apprezzamento del legislatore delegato la scelta tra le diverse opzioni.

 

Si collega a tale criterio la previsione di cui al comma 10 dell’articolo in commento, che prevede l’istituzione, nello stato di previsione del MEF, di un fondo da ripartire per il finanziamento degli investimenti informatici necessari per consentire il monitoraggio telematico del rispetto dei termini procedimentali, “nonché l’interoperabilità e l’accessibilità delle banche di dati pubbliche”. La dotazione del fondo è di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021. Previsa ricognizione dei fabbisogni, l’utilizzo delle risorse del fondo è disposto con appositi d.P.C.M.

 

In merito al criterio in commento, è utile richiamare che, in base alla L. 190 del 2012 (art. 1, co. 9) le pubbliche amministrazioni sono tenute nel piano di prevenzione della corruzione a definire le modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti. Altra disposizione della stessa legge impone alle amministrazioni di provvedere comunque al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. I risultati del monitoraggio devono essere consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione (art. 1, co. 28).

 

Si ricorda in proposito che i tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi sono disciplinati in via generale dalla L. 241 del 1990 (art. 2), sulla quale il legislatore è intervenuto più volte al fine di ridurre i termini ed assicurare l'effettività del loro rispetto da parte delle amministrazioni. All'esito delle modifiche introdotte dalla legge n. 69/2009, l'articolo 2 della legge proc. stabilisce che l’amministrazione statale fissa i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza con singoli regolamenti adottati nella forma di decreto del Presidente della Consiglio su proposta del Ministro competente. In ogni caso, il termine non può eccedere i 90 giorni. Anche gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza, sempre nel limite dei 90 giorni.

In mancanza di determinazione di termini, il procedimento deve concludersi entro 30 giorni, a meno che un diverso termine sia stabilito per legge.

La legge ammette, inoltre, anche la possibilità di prevedere termini superiori ai 90 giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i 180 giorni (ad esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione) e per l’adozione del relativo regolamento è necessaria sia la proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sia la previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Contestualmente, al fine di abbreviare e dare maggiore certezza ai tempi di conclusione della fase consultiva nell'ambito dell'istruttoria procedimentale, la legge 69/2009 ha modificato la disciplina generale relativa all'acquisizione di pareri. Pertanto, a seguito della modifica dell'articolo 16 della L. 241/1990, il termine assegnato agli organi delle pubbliche amministrazioni per il rilascio dei pareri obbligatori è stabilito in 20 giorni dalla richiesta, a fronte dei 45 precedentemente previsti. Un'ulteriore novità è data dall'obbligo di trasmissione del parere con mezzi telematici. Contestualmente, è stata eliminata la possibilità di sospensione del procedimento per l'ipotesi in cui l'emanazione dell'atto sia sottoposta alla previa richiesta di pareri.

L'articolo 1, co. 38, della L. 190/2012, con una modifica all'art. 2, co. 1, della L. 241, prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di concludere il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata qualora ravvisino "la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda". La semplificazione consiste nel fatto che la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo. In tal modo, s'intendono fornire gli strumenti per attuare correttamente l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, già sancito dall'articolo 2 della L. 241, nei casi in cui si riscontri l'assoluta mancanza dei presupposti per l'avvio della stessa istruttoria, al fine di realizzare un'ulteriore semplificazione ed accelerazione dell'attività amministrativa.

Oltre a stabilire una rideterminazione dei termini procedimentali, il legislatore, con l'obiettivo di dare effettività a tali disposizioni, ha disciplinato le conseguenze del ritardo nel provvedere da parte dell'amministrazione, sia nei riguardi dei cittadini destinatari dell'azione amministrativa, sia nei riguardi dei dirigenti ai quali si possa far risalire la responsabilità del ritardo medesimo. Tali disposizioni sono state introdotte dalla legge n. 69/2009 ed ulteriormente rafforzate dalle previsioni del D.L. 5/2012. Sotto il primo aspetto, l’articolo 2-bis della legge 241 (introdotto dalla legge 69/2009) prevede, a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l'obbligo del risarcimento del danno ingiusto cagionato al cittadino in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Con una piena riformulazione del comma 9 dell'art. 2 della legge 241, il D.L. 5/2012, ha precisato che l'inerzia dell'amministrazione costituisce elemento ai fini della valutazione della responsabilità disciplinare, della performance individuale e della responsabilità amministrativo-contabile. Le fattispecie di responsabilità sorgono non unicamente nell'ipotesi di mancata emanazione del provvedimento nei termini, ma altresì in caso di tardiva adozione del provvedimento. La responsabilità non è limitata al dirigente, ma si estende anche al funzionario inadempiente.

L'articolo 1 del D.L. 5/2012 (c.d. decreto semplificazioni), ha introdotto una forma di potere sostitutivo, interno alle amministrazioni, da attivarsi in caso di mancata conclusione dei procedimenti entro i termini prestabiliti. Ai sensi degli art. 2, da 9-bis a 9-quinquies, L. 241/1990, infatti, qualora il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, l’interessato può rivolgersi ad una figura interna all’amministrazione, titolare del potere sostitutivo, che appunto si sostituisce al dirigente o al funzionario inadempiente e concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario. In ogni caso, il provvedimento finale dovrà essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto.

Si ricorda, infine, che ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. 33 del 2013 (Codice della trasparenza delle p.a.), le pubbliche amministrazioni pubblicano, per ciascuna tipologia di procedimento di propria competenza, tra le altre informazioni, anche il termine fissato in sede di disciplina normativa del procedimento per la conclusione con l'adozione di un provvedimento espresso e ogni altro termine procedimentale rilevante.

Si segnala, infine, che il DPR 12 settembre 2016, n. 194, adottato in attuazione della legge delega di riforma delle amministrazioni pubbliche (art. 4, L. n. 124/2015), ha introdotto norme per la semplificazione e l'accelerazione di procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l'avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull'economia o sull'occupazione.

La semplificazione ed accelerazione sono attuate attraverso due strumenti: la riduzione dei termini dei procedimenti e l'esercizio di un potere sostitutivo da parte del Presidente del Consiglio in caso di mancato rispetto dei termini.

 

I settori di intervento e le disposizioni di delega specifiche

Edilizia

La lettera l) del comma 3, per la materia edilizia, prevede princìpi e criteri direttivi volti alla razionalizzazione e semplificazione dei titoli abitativi edilizi, diversificando la disciplina per diverse tipologie di intervento edilizio, e all’ampliamento della casistica definita come edilizia libera, per assicurare livelli minimi ulteriori di semplificazione.

Nello specifico, sono previsti i seguenti criteri e principi direttivi:

1) razionalizzare e semplificare i titoli abilitativi edilizi, anche diversificando gli interventi edilizi ai fini della loro sottoposizione a regimi sostanziali, procedimentali, contributivi e sanzionatori differenziati, in ragione della loro natura e del carico urbanistico prodotto;

2) ampliare i casi di edilizia libera per assicurare in tale ambito livelli minimi ulteriori di semplificazione, anche individuando gli interventi di trasformazione urbanistico-edilizia e di conservazione realizzabili senza necessità di provvedimenti autorizzatori.

 

In materia di edilizia, recentemente, con il Glossario delle opere di edilizia libera (DM 2 marzo 2018), adottato in attuazione dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 222 del 2016 (cd. SCIA 2), è stato individuato un elenco, non esaustivo, per le opere edili che non necessitano di alcun titolo abilitativo.

L’art. 1, comma 2 de, nelle more del completamento del glossario unico da adottarsi con successivi decreti in relazione alle opere edilizie realizzabili mediante CILA, SCIA, permesso di costruire e SCIA in alternativa al permesso di costruire, ha previsto l’adozione del glossario unico, contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, con l'individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte, ai sensi della tabella A di cui all'articolo 2 del medesimo decreto legislativo.

L’art. 5 del D.lgs. 222/2016 prevede altresì che le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, fermi restando i livelli di semplificazione e le garanzie assicurate ai privati dal decreto legislativo medesimo, possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione.

Il regime giuridico a cui un’opera edilizia è sottoposta è rappresentato dal Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001).

Tra gli interventi legislativi che hanno modificato il Testo Unico si evidenzia il DL 133/2014, che ha inserito con l’art. 17 i lavori di “frazionamento e accorpamento” nel regime giuridico della manutenzione straordinaria eseguibile con la CILA anziché con la SCIA ed ha previsto con l’art. 17-bis l’adozione, attraverso accordi o intese tra Stato, regioni e autonomie locali, di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti; tali accordi, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m) della Costituzione, costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi.

Con l’Intesa del 20 ottobre 2016, a cui ha contribuito il tavolo tecnico per le semplificazioni in materia di edilizia, è stato quindi approvato lo schema di regolamento edilizio tipo (allegato 1) e i relativi allegati recanti le definizioni uniformi (allegato A) e la raccolta delle disposizioni sovraordinate in materia edilizia (allegato B), che formano parte integrante della intesa.

Il Testo unico è stato poi modificato dal citato decreto legislativo 222/2016 (cd. SCIA 2), che ha ridotto a cinque le procedure edilizie (edilizia libera, permesso di costruire, Scia, Cila e Scia alternativa al permesso di costruire).  Il decreto legislativo SCIA 2 ha definito le categorie di intervento (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, ecc.) e il relativo regime giuridico ma non ha esplicitato i singoli interventi facenti parte della categoria. Il Glossario unico, quindi, esplicita gli interventi che rientrano nelle categorie individuate dal decreto legislativo SCIA 2 e riporta il relativo titolo abilitativo, assicurando un regime giuridico omogeneo su tutto il territorio nazionale, fermi restando il rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e di tutte le normative di settore sulle attività edilizie e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

Di seguito una breve descrizione dei titoli abilitativi disciplinati dal vigente TUE (D.P.R. 380/2001):

Comunicazione di inizio lavori asseverata (art. 6-bis) prevista per: interventi che non ricadono tra quelli soggetti a permesso di costruire o a SCIA e che non rientrano nell'attività edilizia libera;

Segnalazione certificata di inizio di attività (art. 22) prevista per: gli interventi di manutenzione straordinaria qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; gli interventi di restauro e di risanamento conservativo qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; gli interventi di ristrutturazione edilizia diversi da quelli assoggettati a permesso di costruire;

Permesso di costruire (art. 10) previsto per: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni;

Segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire (art. 23) prevista per: a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c); b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati; c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

Attività edilizia libera (art. 6) prevista per:  a) gli interventi di manutenzione ordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a); a-bis) gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a 12 Kw; b) gli interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio; c) le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato; d) i movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari; e) le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola; e-bis) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale; e-ter) le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati; e-quater) i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444; e-quinquies) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.

 

Governo del territorio

La lettera m) del comma 3 dell’articolo 3, in materia di governo del territorio, prevede i seguenti criteri direttivi:

-         procedere alla ricognizione delle funzioni amministrative esercitate dallo Stato;

-         procedere alla ricognizione della normativa in materia di interventi speciali dello Stato in favore di ambiti territoriali interessati da condizioni di squilibrio economico e sociale.

 

Sotto il profilo del riparto di competenze costituzionali, si ricorda che nella materia "governo del territorio" rientrano i profili tradizionalmente appartenenti all'urbanistica e all'edilizia (sentenze della Corte costituzionale n. 303 e 362 del 2003) e, in linea di principio, tutto ciò che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti e attività (sentenza n. 307 del 2003). In tale materia, ricompresa nel novero delle materie di legislazione concorrente di cui al terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, "spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione esclusiva dello Stato". Conseguentemente, in tale materia spetta altresì alle regioni la potestà regolamentare.

Ai sensi del comma 5 dell’art. 119 della Costituzione, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

 

Si ricorda altresì che il D.Lgs. n. 112 del 1998 ha previsto il trasferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti amministrativi anche in tema di «territorio e urbanistica», senza tuttavia fornire definizioni delle materie interessate (art. 51). Lo stesso decreto legislativo riserva peraltro allo Stato, in quanto aventi “rilievo nazionale”, “i compiti relativi alla identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla difesa del suolo e alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle aree metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del paese” (art. 52, comma 1).

Sulla disciplina relativa agli interventi speciali dello Stato in favore di ambiti territoriali interessati da condizioni di squilibrio economico e sociale, un intervento fondamentale è costituito dal D.Lgs. 88/2011 che reca la disciplina in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42 in cui sono elencati i criteri e i principi direttivi per l’emanazione dei decreti legislativi in materia di federalismo fiscale con riferimento all'attuazione del citato articolo 119, quinto comma, della Costituzione

Nel citato D. Lgs 88/2011 (art. 2) si prevede l’utilizzo di risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione e di finanziamenti a finalità strutturale dell'Unione europea accompagnati dai relativi cofinanziamenti nazionali, esclusivamente destinati alla spesa in conto capitale per investimenti anche finalizzati, secondo le modalità stabilite per l'impiego dei fondi comunitari, a rimuovere le disuguaglianze di capacità amministrativa per l'equilibrata attuazione del Titolo V della Costituzione nonché alle spese per lo sviluppo ammesse dai regolamenti dell'Unione europea, sulla base di determinati principi e criteri (tra cui rilevano, la leale collaborazione istituzionale tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, la destinazione dei fondi a favore delle zone più svantaggiate e la programmazione pluriennale). 

 

Sportello unico delle attività produttive

La lettera n) contiene il principio e criterio direttivo dell’aggiornamento della disciplina relativa allo sportello unico per le attività produttive (SUAP), alle agenzie per le imprese e allo sportello unico dell’edilizia, con talune specificazioni sul contenuto delle relative disposizioni di semplificazione e codificazione.

 

In particolare, la disposizione in esame specifica che l’aggiornamento della disciplina relativa al SUAP, alle agenzie per le imprese e allo sportello unico dell’edilizia ha luogo attraverso:

·        l’attivazione, presso ciascuno sportello, di un servizio di assistenza per i procedimenti da concludere mediante l’adozione di provvedimenti espressi, con il compito di assistere i presentatori di istanze dall’avvio alla conclusione dei procedimenti, anche attraverso la comunicazione di tutte le informazioni relative alla normativa applicabile e agli adempimenti necessari;

 

Si ricorda in proposito che l’art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 222/2016 (c.d. “SCIA 2”, su cui v. supra), attuativo della L. n. 124/2015 prevede che le amministrazioni procedenti forniscano gratuitamente la necessaria attività di consulenza funzionale all’istruttoria agli interessati, fatto salvo il pagamento dei soli diritti di segreteria previsti dalla legge.

 

Si ricorda che la Conferenza unificata ha espresso sul provvedimento in esame, in data 16 maggio 2019, parere negativo.

Con particolare riferimento all’art. 3, comma 3, lettera n), la Conferenza ha formulato le seguenti osservazioni: “Considerato che lo sportello unico per le attività produttive è un istituto complesso che è stato ri-disciplinato  con D.P.R. n. 160/2010 e attuato a livello regionale, anche in modo differenziato, in collaborazione con i comuni e gli altri enti coinvolti, ogni proposta di modifica è opportuno sia coordinata con tali soggetti e sia effettuata sul testo del D.P.R. n. 160/2010, per evitare problemi di applicazione. Si segnala l'opportunità che il disegno di legge prenda in considerazione l'unificazione dei procedimenti tra il D.P.R. n. 380/2001 e quelli previsti per i SUAP, nonché disponga in merito alla costituzione di una banca dati relativa agli immobili e alle connesse attività produttive: a fronte della costituzione di tali banche dati, laddove contenenti dati personali, sarà necessario valutarne la compatibilità con la disciplina della privacy.

Si segnala in particolare che la previsione di attivazione presso ciascuno Sportello unico di un servizio di assistenza, a supporto dei richiedenti, dall’avvio alla conclusione dei procedimenti, pare sovrapporsi a quanto previsto dall’art. 1, comma 3, del D. Lgs. n. 222/2016 in tema di necessaria attività di consulenza funzionale all’istruttoria. Inoltre è importante sottolineare, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, che il ruolo della regione non può che essere quello di garantire l’adeguato funzionamento del servizio, già inquadrato come livello essenziale delle prestazioni. Relativamente ai titoli edilizi, che risultano in corso di definizione anche su altri Tavoli, rileva l’opportunità del raccordo tra i testi di delega”.

 

·        la possibilità per il presentatore di istanza, in caso di mancata istituzione del servizio di assistenza, di rivolgersi alla regione territorialmente competente affinché quest’ultima assicuri l’assistenza e l’informazione, anche attraverso i servizi istituiti presso altri sportelli unici ubicati nel proprio territorio;

·        la possibilità che, in presenza di procedimenti complessi in ragione del numero delle amministrazioni interessate o della particolare rilevanza degli interessi pubblici coinvolti, le funzioni attribuite dalle disposizioni vigenti allo sportello unico per le attività produttive o allo sportello unico per l’edilizia siano conferite alle regioni; in conformità ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione e previa intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del D. Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.

 

Sul punto si ricorda che la Conferenza Unificata, nel citato parere del 16 maggio 2019, ha evidenziato l’opportunità di un confronto con i comuni e gli altri enti coinvolti, alla luce dell’attuazione differenziata dell’istituto in questione, sia a livello regionale sia a livello locale.

 

 

 

Lo sportello unico per le attività produttive-SUAP e le Agenzie per le imprese

 

Lo sportello unico per le attività produttive-SUAP è il soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività. Le competenze degli enti locali in merito al SUAP sono delineate nel D.lgs. n. 112/1998. In particolare, l’art. 23 ha attribuito ai Comuni le funzioni amministrative concernenti gli impianti produttivi e l’art. 24 ha prescritto che tali funzioni debbano essere esercitate attraverso uno sportello unico. L’art. 25, stabilendo che in materia di impianti produttivi il procedimento amministrativo deve essere unico, ha delegato il Governo a emanare uno o più regolamenti per la disciplina dell’organizzazione e del funzionamento del SUAP. In applicazione di tale ultima norma è stato emanato il D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, “Regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione di impianti produttivi” (c.d. “Regolamento SUAP”), successivamente modificato dal D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive (sul quale v. infra).

Lo Sportello unico ha il compito di gestire l’intero procedimento per la realizzazione e/o la trasformazione dell’impianto produttivo. A tal fine esso coordina le pubbliche amministrazioni chiamate a esprimere pareri tecnici o a rilasciare autorizzazioni. Lo Sportello deve anche garantire l’accesso degli interessati a tutte le informazioni relative ai procedimenti, nonché a quelle relative agli interventi di assistenza e sostegno predisposti a favore delle imprese e dei lavoratori.

L’art. 38, comma 3, lett. c) del D. L 112/2008 ha demandato a un regolamento la semplificazione e il riordino della disciplina dello SUAP. In attuazione di tale norma è stato emanato il nuovo Regolamento dello Sportello unico per le attività produttive, D.P.R. n. 160/2010, mentre in attuazione del successivo comma 4 dell’art. 38 è stato emanato il D.P.R. n. 159/2010, che ha disciplinato la procedura di accreditamento delle agenzie per le imprese, nonché le forme di vigilanza sulle stesse. Le agenzie per le imprese sono soggetti privati, dotati di personalità giuridica e costituiti anche in forma societaria, che, per l'esercizio delle attività di cui al Regolamento SUAP le Agenzie devono ottenere l'accreditamento ai sensi del citato D.P.R. n. 159/2010.

Il D.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, all’art. 25 ha previsto che il regolamento di cui all’art. 38, comma 3, del citato D.L. n. 112/2008 assicuri l'espletamento in via telematica di tutte le procedure necessarie per poter svolgere le attività di servizi attraverso lo sportello unico per le attività produttive.

Con più specifico riferimento al D.P.R. n. 160/2010, esso prevede che il SUAP sia l’unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi e quelli relativi alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, nonché cessazione o riattivazione delle suddette attività. Nel caso di mancata istituzione del SUAP, l'esercizio delle relative funzioni è delegato alla camera di commercio territorialmente competente. I comuni possono esercitare le funzioni inerenti al SUAP in forma singola o associata tra loro, o in convenzione con le camere di commercio.

In tale contesto si sono inseriti i più recenti interventi del legislatore che hanno confermato la tendenza verso la liberalizzazione delle attività economiche, con il conseguente massiccio superamento delle autorizzazioni espresse (e tacite), ossia dei controlli ex ante, a beneficio di SCIA, mere comunicazioni e nulla osta e, quindi, dei controlli ex post. In particolare, la legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni (legge n. 124/2015) ha introdotto, come già sopra evidenziato, alcune disposizioni volte a semplificare i procedimenti amministrativi in favore dei cittadini e delle imprese. In sede di attuazione, sono stati adottati due decreti legislativi: il D. Lgs. n. 126/2016, c.d. “SCIA 1”, nonché il D. Lgs. n. 222/2916, c.d. “SCIA 2” (sui quali cfr. più diffusamente il box ricostruttivo relativo all’art. 3, comma 3, lett. d)).

 

Lo sportello unico per l’edilizia

 

Lo sportello unico per l’edilizia è disciplinato dall’art. 5 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, come successivamente modificato, da ultimo, dal citato D.Lgs. n. 222/2016 (c.d. “SCIA 2”), che, lasciando ferma la competenza del SUAP, prevede che le amministrazioni comunali, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, provvedano, anche mediante esercizio in forma associata delle strutture, ovvero accorpamento, disarticolazione, soppressione di uffici o organi già esistenti, a costituire uno sportello unico per l'edilizia, con il compito di curare “tutti i rapporti fra il privato, l'amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine all'intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di segnalazione certificata di inizio attività”.

Lo sportello unico acquisisce presso le amministrazioni competenti, anche mediante conferenza di servizi, gli atti di assenso, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, dell'assetto idrogeologico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità. Lo sportello provvede, inoltre: alla ricezione di atti di assenso in materia di attività edilizia; a fornire le suddette informazioni anche mediante predisposizione di un archivio informatico contenente i necessari elementi normativi; all'adozione, nelle medesime materie, dei provvedimenti in tema di accesso ai documenti amministrativi in favore di chiunque vi abbia interesse; al rilascio dei permessi di costruire, nonché delle certificazioni attestanti le prescrizioni normative e le determinazioni provvedimentali a carattere urbanistico, paesaggistico-ambientale, edilizio, idrogeologico.

 

Acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni

La lettera o) reca i principi e criteri direttivi per l'emanazione delle disposizioni di semplificazione e codificazione relative all’acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni.

In particolare, il Governo è tenuto ad armonizzare e coordinare la normativa concernente la razionalizzazione della spesa per acquisti delle pubbliche amministrazioni, al fine di superare la disorganicità delle fonti esistenti e di consentire alle amministrazioni la cognizione e la corretta applicazione della normativa rilevante.

 

 

La razionalizzazione della spesa per acquisti delle p.a.

Oltre vent’anni fa, nel 1997, è stata istituita la Consip, società per azioni, partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che costituisce attualmente la centrale nazionale per gli acquisti pubblici.

Inizialmente l’azienda gestiva le attività informatiche dell'Amministrazione statale in materia finanziaria e contabile. Nel 2000 è stata attribuita a Consip anche l'attuazione del Programma per la razionalizzazione degli acquisti della PA, previsto dalla Legge finanziaria per il 2000 con l’obiettivo di rendere più efficiente e trasparente l'utilizzo delle risorse pubbliche, fornendo alle amministrazioni strumenti e competenze per gestire i propri acquisti. Secondo i dati forniti dalla Consip, annualmente 80mila punti ordinanti e 90mila fornitori hanno concluso quasi 700.000 transazioni tramite il portale www.acquistinretepa.it, corrispondenti a contratti di acquisto per circa 9 miliardi di euro. Si tratta dunque di uno strumento particolarmente rilevante nell’ambito dei processi di governo e razionalizzazione della spesa pubblica.

Nell’ambito del Programma sono stati progettati e avviati una serie di strumenti di acquisto a disposizione delle pubbliche amministrazioni:

§  Convenzioni

§  Accordi quadro

§  Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione (Mepa)

§  Sistema dinamico di acquisto della Pubblica Amministrazione (Sdapa)

§  Gare su delega e gare in ASP (Application Service Provider)

Gli strumenti di acquisto sono oggetto di obbligo/facoltà di utilizzo da parte delle PA, con diversi profili dipendenti dalla tipologia di amministrazione (centrale, regionale, territoriale, ente del servizio sanitario nazionale, scuola/università, organismo di diritto pubblico), di acquisto (sopra soglia comunitaria o sotto soglia comunitaria) e dalla categoria merceologica.

Il MEF e Consip hanno elaborato, per orientare e facilitare le pubbliche amministrazioni nell'acquisto di beni e servizi, la cosiddetta “tabella obbligo/facoltà”, attraverso la quale le pubbliche amministrazioni possono individuare la normativa applicabile caso per caso.

Con la nascita del Programma, la Legge Finanziaria per il 2000 ha assegnato al Ministero dell’economia e delle finanze il compito di stipulare Convenzioni quadro per l’approvvigionamento di beni e servizi (attraverso l’espletamento di procedure a evidenza pubblica, avvalendosi di una società che il Ministero ha individuato, con D.M. 24 febbraio 2000, nella Consip), a cui le Amministrazioni Pubbliche possono ricorrere, ovvero utilizzarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse. Un successivo sviluppo del Programma di razionalizzazione si è avuto con l'introduzione nell’ordinamento della disciplina del Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione per gli acquisti di importo inferiore alla soglia comunitaria, secondo quanto introdotto dalla Legge Finanziaria 2007 (art. 1, commi 449-450), che ha introdotto un sistema di obblighi di ricorso alle Convenzioni quadro e al Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione a carico delle Amministrazioni, e poi dall’art. 328 del D.P.R. 207/2010. Tale disciplina è stata successivamente integrata dal D.L. n. 52 del 2012 (primo decreto sulla Spending Review), dal D.L. n. 95/2012 (secondo decreto sulla Spending Review), dalla L. n. 228 del 2012, dal D.L. n. 90 del 2014 e dalla L. n. 208/2015.

A partire dall'aprile 2008 - con l'attuazione del decreto interministeriale che dà avvio al Piano nazionale d'azione sul Green Public Procurement (GPP), coordinato dal Ministero dell'Ambiente con la collaborazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Consip - è stato dato un maggiore impulso agli acquisti sostenibili con l’obiettivo di integrare considerazioni di carattere ambientale all’interno dei processi di acquisto delle Pubbliche Amministrazioni e di orientare le scelte di acquisto delle P.A. verso beni, servizi e lavori che presentino minori impatti ambientali. Gli acquisti verdi, o rappresentano uno dei punti cardine del Programma per la Razionalizzazione degli Acquisti. Le Pubbliche Amministrazioni possono effettuare acquisti verdi attraverso tutti gli strumenti messi a disposizione dal Programma, nel rispetto della conformità ai CAM (Criteri Ambientali Minimi), valorizzando i criteri di sostenibilità ambientale dei fornitori nell’ambito dell’offerta dei loro prodotti e servizi specifici.

Nell’ambito della disciplina del Programma di razionalizzazione rileva, poi, il D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (il cui articolo 9 è stato attuato con il d.P.C.M. 24 dicembre 2015) che contiene misure volte a favorire la centralizzazione degli acquisti delle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche, predisponendo un sistema di acquisizione di beni e servizi mediante Soggetti Aggregatori.

Viene istituito, nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, di un elenco dei Soggetti Aggregatori, di cui fanno parte la Consip ed una centrale di committenza per ciascuna regione, qualora costituita, nonché altri soggetti che svolgono attività di centrale di committenza e che richiedono l’iscrizione al relativo elenco. La stessa disposizione prevede, poi, l’istituzione di un Tavolo tecnico dei Soggetti Aggregatori, coordinato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con compiti in tema, tra l’altro, di pianificazione e armonizzazione delle iniziative di acquisto.

La Legge di Stabilità 2016 (L. n. 208/2015) ha introdotto ulteriori importanti disposizioni relative alla disciplina del Programma di razionalizzazione, ampliando il perimetro dell’attività di Consip, stabilendo che gli strumenti di acquisto e negoziazione di Consip possono avere a oggetto attività di manutenzione e intervenendo sulla disciplina del benchmark, ossia i parametri di qualità e prezzo che tutte le Amministrazioni devono rispettare per gli acquisti autonomi di beni e servizi disponibili anche in Convenzione. Tra l’altro, l’obbligo di rispetto del benchmark è esteso anche alle società controllate dallo Stato e a quelle controllate dagli enti locali che siano organismo di diritto pubblico. Inoltre, la medesima legge ha introdotto una disciplina specifica per l’acquisizione centralizzata dei beni ICT e di connettività, da ultimo modificata dalla Legge di Bilancio per il 2017 (L. n. 232/2016).

La citata Legge di Stabilità per il 2017 contiene ulteriori disposizioni rilevanti in tema di Programma di razionalizzazione, prevedendo l’avvio di un’analisi da parte del MEF, tramite Consip, volta ad individuare nuovi strumenti di acquisto per l’acquisizione di beni durevoli e la successiva concessione degli stessi, nonché di una sperimentazione sulla cui base il MEF procede come acquirente unico per le merceologie dell'energia elettrica e del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto, per il medesimo Ministero e per il Ministero dell'interno e le loro rispettive articolazioni territoriali.

L’infografica seguente riassume l’evoluzione del Programma di razionalizzazione degli acquisti, con l’implementazione dei nuovi strumenti sopra descritti.

 

Fonte: www.acquistinretepa.it

 

La disciplina in questione si intreccia con le disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) relative alla qualificazione delle stazioni appaltanti, volte a disciplinare la programmazione e l’effettuazione degli acquisti di beni e servizi.

L’art. 21, in particolare, dispone, tra l’altro, che le amministrazioni aggiudicatrici adottano il programma biennale degli acquisti di beni e servizi nonché i relativi aggiornamenti annuali, ove sono indicati gli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato pari o superiore a 40.000 euro.

In base all’art. 29, ove sono enucleati i principi regolatori in materia di trasparenza, tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi e forniture, … devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione "Amministrazione trasparente", con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nonché sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sulla piattaforma digitale istituita presso l'ANAC, anche tramite i sistemi informatizzati regionali e le piattaforme regionali di e-procurement interconnesse tramite cooperazione applicativa.

Di rilievo sono altresì le norme recate dagli articoli da 37 a 43 (costituenti il titolo II della parte II del Codice) che, proprio nell’ottica di razionalizzare e migliorare l’efficienza delle procedure di spesa, introducono la qualificazione delle stazioni appaltanti (quale requisito per poter procedere autonomamente all'acquisizione di forniture e servizi di importo superiore a 40.000 euro[1]), nonché misure di semplificazione delle procedure di gara svolte da centrali di committenza.

L’art. 41 prevede l’emanazione di un apposito D.P.C.M. (su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, previa consultazione di CONSIP S.p.A. e dei soggetti aggregatori) con cui  “sono individuate le misure di revisione ed efficientamento delle procedure di appalto, degli accordi quadro, delle convenzioni e in genere delle procedure utilizzabili da CONSIP, dai soggetti aggregatori e dalle centrali di committenza, finalizzate a migliorare la qualità degli approvvigionamenti e ridurre i costi e i tempi di espletamento delle gare, promuovendo anche un sistema di reti di committenza volto a determinare un più ampio ricorso alle gare e agli affidamenti di tipo telematico e l'effettiva partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese, nel rispetto delle disposizioni stabilite dal presente codice e dalla normativa dell'Unione europea”. Lo stesso articolo dispone che l’individuazione delle misure citate è effettuata, “tenendo conto delle finalità di razionalizzazione della spesa pubblica perseguite attraverso l'attività di CONSIP e dei soggetti aggregatori, sulla base dei seguenti criteri: standardizzazione di soluzioni di acquisto in forma aggregata in grado di rispondere all'esigenza pubblica nella misura più ampia possibile, lasciando a soluzioni specifiche il soddisfacimento di esigenze peculiari non standardizzabili; aumento progressivo del ricorso agli strumenti telematici, anche attraverso forme di collaborazione tra soggetti aggregatori; monitoraggio dell'effettivo avanzamento delle fasi delle procedure, anche in relazione a forme di coordinamento della programmazione tra soggetti aggregatori; riduzione dei costi di partecipazione degli operatori economici alle procedure”.

 

Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), dunque, affronta il tema dell’aggregazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi e della riduzione del numero delle stazioni appaltanti, pur senza razionalizzare la frammentata legislazione precedente.

Nel disciplinare le procedure di affidamento, il Codice dedica una apposita sezione alle tecniche e agli strumenti per gli appalti elettronici e aggregati. Nella sezione II del capo I del titolo III della parte II del Codice sono infatti contenuti gli articoli da 54 a 58 che disciplinano gli accordi quadro, i sistemi dinamici di acquisizione, le aste elettroniche, i cataloghi elettronici e le procedure svolte attraverso piattaforme telematiche di negoziazione.

 

L’art. 3 del Codice, dedicato alle definizioni, chiarisce la differenza tra strumenti di acquisto e strumenti di negoziazione (definiti, rispettivamente, dalle lettere cccc) e dddd) di tale articolo), stabilendo che:

- sono «strumenti di acquisto» gli strumenti di acquisizione che non richiedono apertura del confronto competitivo. Rientrano tra gli strumenti di acquisto:

1) le convenzioni quadro di cui all'art. 26 della L. 488/1999, stipulate, ai sensi della normativa vigente, da CONSIP S.p.A. e dai soggetti aggregatori;

2) gli accordi quadro stipulati da centrali di committenza quando gli appalti specifici vengono aggiudicati senza riapertura del confronto competitivo;

3) il mercato elettronico realizzato da centrale di committenza nel caso di acquisti effettuati a catalogo;

- sono «strumenti di negoziazione» gli strumenti di acquisizione che richiedono apertura del confronto competitivo. Rientrano tra gli strumenti di negoziazione:

1) gli accordi quadro stipulati da centrali di committenza nel caso in cui gli appalti specifici vengono aggiudicati con riapertura del confronto competitivo;

2) il sistema dinamico di acquisizione realizzato da centrali di committenza;

3) il mercato elettronico realizzato da centrali di committenza nel caso di acquisti effettuati attraverso confronto concorrenziale;

4) i sistemi realizzati da centrali di committenza che comunque consentono lo svolgimento delle procedure ai sensi del medesimo Codice.

 

Si segnala che, annualmente, viene presentata al Parlamento una relazione (Doc. CLXV) concernente i risultati ottenuti in materia di razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni e servizi per le pubbliche amministrazioni. L’ultima disponibile è la Relazione per l’anno 2018.

Per quanto riguarda la spending review, si rinvia al tema dell’attività parlamentare curato dal Servizio Studi “Il controllo della spesa pubblica e la spending review”.

Con riferimento alla materia sanitaria, si rinvia per approfondimenti al tema dell’attività parlamentare “La spending review sanitaria”, e in particolare al paragrafo dedicato all’acquisto di beni e servizi , dato che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è responsabile di un terzo di tutta la spesa della Pubblica Amministrazione in beni e servizi. Si tratta di un volume di circa 30 miliardi di euro (di cui 22 miliardi di spesa gestita attraverso Consip) su un totale di quasi 90.

 

Cittadinanza e innovazione digitale

La lettera p) reca i principi e criteri direttivi per l'emanazione delle disposizioni di semplificazione e codificazione inerenti la cittadinanza e l'innovazione digitale (di cui alla lettera f) del comma 1 del presente articolo).

Una prima serie di principi e criteri direttivi (numero 1)) mira a diffondere la cultura digitale e a favorire la partecipazione di cittadini e imprese ai procedimenti amministrativi, "innanzitutto attraverso dispositivi mobili".

A tal fine devono essere individuate:

ü  azioni di divulgazione e di educazione all'uso dei servizi digitali pubblici e privati;

ü  misure che incentivino le amministrazioni pubbliche a sviluppare progetti di digitalizzazione e innovazioni.

La norma di delega richiama espressamente la necessità di informare le azioni delle amministrazioni pubbliche, nello sviluppo della digitalizzazione e dell'innovazione, alle tecniche di gestione di progetto (project management).

Rimane fermo il rispetto della disciplina in materia di tutela dei dati personali e si deve tener conto delle esigenze di sicurezza cibernetica.

La delega incide su materia oggetto di codificazione (o di Testo unico), senza peraltro essere espressamente declinata in termini di loro modificazione e integrazione.

 

L'art. 41 del CAD reca disposizioni relative alla digitalizzazione del procedimento amministrativo. Vi si prevede che i procedimenti amministrativi siano gestisti dalle pubbliche amministrazioni "utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione". A tale fine gli atti, i documenti e i dati del procedimento sono raccolti nel fascicolo informatico.  Esso stabilisce esplicitamente che le modalità di costituzione del fascicolo informatico garantiscano l'esercizio in via telematica dei diritti previsti dalla legge n. 241 del 1990 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e dall'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33 del 2013 (accesso civico).

In tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi, l'art. 59 del Testo unico in materia di documentazione amministrativa (d.P.R. n. 445 del 2000) stabilisce che ai fini dell'esercizio di tale diritto "possono essere utilizzate tutte le informazioni del sistema di gestione informatica dei documenti anche mediante l'impiego di procedure applicative operanti al di fuori del sistema e strumenti che consentono l'acquisizione diretta delle informazioni da parte dell'interessato".

Sul tema della protezione dei dati personali si menziona qui solamente l'emanazione del decreto legislativo n. 101 del 2018,  di adeguamento del quadro normativo interno al Regolamento 2016/679 UE. Si rinvia, per approfondimenti, alla pagina internet dedicata al relativo temaweb del sito della Camera dei deputati.

Quanto al tema della sicurezza cibernetica, si menziona qui brevemente l'adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 31 marzo 2017, del Piano nazionale  per  la  protezione cibernetica e la sicurezza informatica. Ai sensi dell'articolo 51, comma 2, del CAD, l'AgID attua, per quanto di competenza e in raccordo con le altre autorità competenti, il Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico e il suddetto Piano nazionale, coordinando, in tale ambito, le iniziative di prevenzione e gestione degli incidenti di sicurezza informatici tramite il CERT- PA (Computer Emergency Response Team Pubblica Amministrazione) e promuovendo le opportune intese con gli omologhi organismi internazionali. Il mancato rispetto delle regole tecniche applicabili è segnalato dall'AgID al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.

 

La lettera p), n. 2), prevede che ogni dato o informazione necessaria alla pubblica amministrazione sia fornito una sola volta da parte di cittadini e imprese. Conseguentemente, l'amministrazione che necessiti di un dato già fornito, potrà richiederlo solamente ad altra amministrazione che lo ha già ottenuto. A tal fine occorre prevedere una gestione uniforme delle banche dati pubbliche informata ai principi della sicurezza, dell’interoperabilità e dell’accessibilità.

Rimane fermo il rispetto della disciplina in materia di tutela dei dati personali.

 

Rilevano, a tale proposito, le disposizioni relative agli accertamenti d'ufficio recate dall'art. 43 del Testo unico in materia di documentazione amministrativa (di cui al d.P.R. n. 445 del 2000). Tale articolo stabilisce che le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi siano tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive nonché tutti i dati e i documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato. L'amministrazione procedente opera l'acquisizione d'ufficio, ai sensi del precedente comma, "esclusivamente per via telematica".

L'art. 50 del CAD dispone, inoltre, in ordine alla fruibilità del dato detenuto da una pubblica amministrazione. Il dato trattato da una pubblica amministrazione è reso accessibile e fruibile (senza oneri, salvo la prestazione di elaborazioni aggiuntive) alle altre amministrazioni ai fini dello svolgimento dei compiti istituzionali. Il trasferimento di un dato da un sistema informativo a un altro non ne modifica, peraltro, la titolarità.

Restano ferme le esclusioni dal diritto di accesso poste dalla normativa vigente e le norme relative alla protezione dei dati personali.

Quanto alla sicurezza, l'art. 51, comma 2, del CAD prescrive esplicitamente che i documenti informatici delle pubbliche amministrazioni "devono essere custoditi e controllati con modalità tali da ridurre al minimo i rischi di distruzione, perdita, accesso non autorizzato o non consentito o non conforme alle finalità della raccolta". Ai sensi dell'art. 12, comma 2, del CAD, le pubbliche amministrazioni garantiscono l'interoperabilità dei sistemi e l'integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni. Secondo la definizione di cui all'articolo 1 del CAD, per interoperabilità si indica la caratteristica di un sistema informativo, le cui interfacce sono pubbliche e aperte, di interagire in maniera automatica con altri sistemi informativi per lo scambio di informazioni e l'erogazione di servizi. Per accessibilità si intende "la capacità dei sistemi informatici ivi inclusi i siti web e le applicazioni mobili, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari" (art. 2, comma 1, lett. a), della legge n. 4 del 2004 recante "Disposizioni per favorire e semplificare l'accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici").

Con le Linee guida, emanate ai sensi dell'art. 71 del CAD dall'Agenzia per l'Italia digitale, sono individuate le soluzioni tecniche idonee a garantire la protezione, la disponibilità, l'accessibilità, l'integrità e la riservatezza dei dati e la continuità operativa dei sistemi e delle infrastrutture.

 

La procedura per l’adozione dei decreti legislativi

Il comma 4, stabilisce che i decreti legislativi previsti dall’art. 3, qualora vertano sulle materie di legislazione concorrente (art. 117, co. 3, Cost.), individuano i principi fondamentali e i livelli minimi di semplificazione cui le regioni conformano i propri ordinamenti, ferma restando la possibilità di prevedere discipline ulteriormente semplificate.

Nelle stesse materie i decreti legislativi possono prevedere modelli procedimentali uniformi; in tali casi (appare opportuno chiarire se solo nel caso in cui prevedano modelli uniformi o in tutti i casi in cui vertono su materie di legislazione concorrente), essi sono adottati previa intesa in sede di Conferenza Unificata.

 

Ai sensi del comma 5 il Governo, per individuare le attività su cui intervenire in via prioritaria esercitando le deleghe di cui al comma 1, può procedere alla verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR).

 

Il comma 6 dispone che i decreti legislativi siano adottati entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro delegato per la pubblica amministrazione e dei Ministri con competenza prevalente nella materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri competenti.

Sugli schemi di decreti legislativi è acquisito il parere della Conferenza unificata che è reso nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema, decorso il quale il Governo può comunque procedere, “o, ove occorra,” è acquisita l’intesa della medesima Conferenza ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 281 del 1997 (si veda, in proposito, il comma 4).

 

In proposito si ricorda che nel parere espresso dalla Conferenza Stato-regioni sul disegno di legge in esame, nella seduta del 16 maggio 2019, si evidenzia come la formulazione in questione sembra “esautorare le regioni dal percorso di semplificazione e codificazione su materie per le quali lo Stato non ha competenza”.

Si ricorda inoltre che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 251 del 2016 ha evidenziato come nel caso di decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, che influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali e, in alcuni casi, degli enti locali occorre, anzitutto, verificare se, nei singoli settori in cui intervengono le norme impugnate, fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Quando non è possibile individuare una materia di competenza dello Stato cui ricondurre, in via prevalente, la normativa impugnata, perché vi è, invece, una concorrenza di competenze, statali e regionali, relative a materie legate in un intreccio inestricabile, è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze.

In tale pronuncia - in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente – la Corte ha ritenuto che l’intesa nella Conferenza “costituisca un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati, che il Governo adotta sulla base di quanto stabilito dall’art. 76 Cost. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega, non possono sottrarsi alla procedura concertativa, proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze”.

 

Considerato che la delega investe una serie di materie riconducibili a competenze legislative statali, concorrenti e regionali tra loro strettamente interconnesse, si valuti l’opportunità di prevedere, in via generale, l’acquisizione dell’intesa della Conferenza unificata in ossequio alla più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 251 del 2016) ovvero di specificare nella norma di delega in quali casi sia previsto il parere ed in quali l’intesa sostituendo la dizione “ove occorra”.

 

Gli schemi sono trasmessi al Consiglio di Stato per l’acquisizione del parere da rendere nel termine di 45 giorni. Successivamente è prevista l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari con il meccanismo “rinforzato” della doppia trasmissione alle Camere: il testo è trasmesso per l'espressione dei pareri della Commissione parlamentare per la semplificazione, e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

 

Si segnala in proposito che, nella sentenza n. 261 del 2017, la Corte costituzionale ha confermato che l’avverbio "successivamente" - collocato in fattispecie analoghe a quella descritta - scandisce un ordine procedimentale, in virtù del quale non è tassativo richiedere prima i pareri della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (o, a seconda dei casi, della Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali) e del Consiglio di Stato e soltanto all’esito della formulazione dei medesimi richiedere quelli delle Commissioni parlamentari. Secondo la Corte, l’adempimento procedurale imprescindibile è infatti che queste ultime rendano il parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi dagli altri organi dianzi indicati.

 

Se il termine previsto per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega o successivamente, la scadenza medesima è prorogata di novanta giorni.

Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le proprie osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di 10 giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono comunque essere adottati.

 

Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi (di cui al comma 1), il Governo ha la facoltà di adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto della procedura e dei princìpi e criteri direttivi dell’art. 1, nonché di quelli specifici di riferimento di cui al capo in esame (comma 7).

 

È affidata alla Commissione parlamentare per la semplificazione, la verifica periodica dello stato di attuazione dell’articolo 1 che riferisce ogni sei mesi alle Camere (comma 8).

 

Il Governo, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato adotta le norme regolamentari di attuazione o esecuzione adeguandole alla nuova disciplina di livello primario (comma 9).

 

Fatto salvo quanto previsto dal comma 10 per il monitoraggio telematico dei tempi del procedimento (si v. supra), dall'attuazione delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, agli adempimenti previsti dai relativi decreti legislativi le Amministrazioni provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni.

In conformità all'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono emanati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la legge di bilancio, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie (comma 11).


 

Articolo 4
(Coordinamento delle attività di semplificazione

 e codificazione)

 

 

L’articolo 4 istituisce:

·        un Comitato interministeriale per il coordinamento delle attività di semplificazione e codificazione;

·        una cabina di regia, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

Il comma 1 concerne un "Comitato interministeriale per il coordinamento delle attività di semplificazione e codificazione ", del quale prevede l'istituzione.

Il Comitato interministeriale si configura quale una sede di coordinamento per l'esercizio delle deleghe enumerate dal disegno di legge.

Il Comitato si riunisce con la presenza di almeno due Ministri, oltre al suo presidente, che è il Presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, il Ministro per la pubblica amministrazione (il quale è comunque componente stabile del Comitato).

La disposizione non si sofferma sulla composizione del Comitato, limitandosi a prevedere che partecipino al Comitato - su "invito" del presidente - i Ministri aventi competenza nelle materie e sui provvedimenti all'ordine del giorno.

 

Può ricordarsi come già il decreto-legge n. 4 del 2006 - nel disciplinare "strumenti di semplificazione e qualità nonché di monitoraggio e valutazione della regolazione" - prevedesse l'istituzione di un "Comitato interministeriale per l'attività di indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione".

Esso previde che i componenti del Comitato fossero individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Avrebbero potuto essere invitati a partecipare a riunioni del Comitato, secondo l'oggetto della discussione, altri componenti del Governo, esponenti di autorità regionali e locali e delle associazioni di categoria. Dall'istituzione e dal funzionamento del Comitato non avrebbero dovuto derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Seguiva l'enumerazione delle funzioni del Comitato, il quale si sarebbe potuto avvalere del supporto tecnico fornito dalla "Commissione per la semplificazione e la qualità della regolazione" (di cui all'articolo 3, comma 6-duodecies, del decreto-legge n. 35 del 2005).

 

Il comma 2 prevede che i Ministri possano istituire apposite commissioni per la redazione degli schemi di decreto legislativo attuativi delle deleghe recate dal presente disegno di legge, nelle materie di loro competenza.

Questo, senza maggiori oneri di finanza pubblica.

 

I commi 3 e 4 prevedono l'istituzione (con d.P.C.m.) presso la Presidenza del Consiglio di una "cabina di regia".

La cabina di regia espleta le seguenti funzioni:

ü coordina le attività di predisposizione degli schemi di decreti legislativi per l'esercizio delle deleghe enumerate dal disegno di legge;

ü cura l'omogeneità e coerenza degli interventi di semplificazione nonché l'attuazione delle deleghe legislative;

ü coordina lo svolgimento (da parte delle amministrazioni competenti) dell'analisi e la verifica dell'impatto della regolazione, per gli interventi di semplificazione inerenti all'esercizio delle deleghe legislative;

ü promuove e coordina lo svolgimento (da parte delle amministrazioni competenti) dell'attività di consultazione, per la predisposizione degli schemi di decreto legislativo.

 

La composizione della cabina di regia è così congegnata:

ü presidente è il capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio;

ü coordinatore è un esperto, scelto tra professori universitari, magistrati delle giurisdizioni superiori, avvocati dello Stato, dirigenti di prima fascia, dello Stato. Tale esperto-coordinatore può essere collocato in posizione di fuori ruolo, se richiesto dal Presidente del Consiglio, secondo l'ordinamento di appartenenza;

ü cinque componenti sono 'di diritto': tali il capo dell'ufficio legislativo del Ministro per la pubblica amministrazione; un membro dell'Unità per la semplificazione (su questa v. supra, la scheda relativa all'articolo 2 del disegno di legge); un componente del Gruppo di lavoro AIR (analisi di impatto della regolazione) oggetto del d.P.C.m. 15 luglio 2009 e costituito entro il Nucleo per la valutazione degli investimenti pubblici (quest'ultimo a sua volta istituito presso il Dipartimento per la programmazione ed il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, con d.P.C.m. 25 novembre 2008, sulla scorta della generale previsione posta dall'articolo 1, comma 1 della legge n. 144 del 1999); due designati dalla Conferenza unificata;

ü altri componenti sono 'eventuali', designati dai Ministri - non ne sono maggiormente definiti i requisiti e la soglia numerica, stante la formulazione della disposizione.

Tutti i membri della cabina di regia sono nominati e retribuiti "nei limiti dei contingenti e degli stanziamenti ordinari previsti per le pertinenti amministrazioni".

La cabina di regia è determinata nella composizione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Essa è istituita presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri.


 

Articolo 5
(Attività economiche e sviluppo economico)

 

L’articolo indica gli ambiti di intervento della delega al Governo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), in materia di sviluppo economico.

 

Si ricorda anche in questa sede che la delega concerne l’adozione decreti legislativi per la codificazione delle disposizioni legislative vigenti, la semplificazione delle attività amministrative e la riduzione degli oneri regolatori gravanti sui cittadini e sulle imprese, per migliorare la qualità e l'efficienza dell'azione amministrativa e per garantire la certezza dei rapporti giuridici e la chiarezza del diritto, con facoltà di intervenire anche limitatamente a specifiche attività o gruppi di attività intersettoriali.

 

Ai sensi dell’articolo in esame, la delega in materia di attività economiche e sviluppo economico riguarda, per i profili di competenza statale, i seguenti settori:

a) artigianato, commercio, esposizioni, fiere e mostre, organizzazione dei servizi di produzione, distribuzione e vendita dei generi di monopolio;

b) attività minerarie;

c) produzione e commercio di acque minerali;

d) lotta alla contraffazione;

e) liberalizzazione dei servizi, esclusi quelli di carattere professionale;

f) pubblicità e comunicazioni;

g) produzione industriale e caratteristiche di sicurezza e sanitarie dei prodotti;

h) servizi e strumenti di taratura e di pesatura, comprese le caratteristiche e le modalità di fabbricazione dei relativi strumenti, e disciplina degli organismi notificati;

i) interventi per favorire lo sviluppo economico e delle imprese, esclusi quelli relativi alle disposizioni tributarie e compresi quelli su agevolazioni, contributi e finanziamenti per le imprese;

l) sostegno all'internazionalizzazione delle imprese, assicurazione dei crediti e rischi speciali, tutela dei prodotti nazionali (made in Italy);

m) formazione professionale finalizzata allo sviluppo delle imprese e all'adeguamento infrastrutturale di determinate aree industriali o commerciali;

n) avvio, esercizio, cessione, trasformazione e cessazione delle attività economiche.

 

Gli ambiti oggettivi di intervento da parte del legislatore delegato indicati nell’articolo 5 e sussunti all’interno della materia sviluppo economico sono ampi e diversificati e per essi il legislatore delegato, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera a) può intervenire anche attraverso l’adozione decreti legislativi per la codificazione delle disposizioni legislative vigenti.

 

In proposito, si ricorda come la Corte Costituzionale abbia avuto modo di rilevare che “il riferimento alla normativa preesistente consente di delimitare la potestà del legislatore delegato da esercitarsi in funzione dell’esigenza di raccolta e di coordinamento della disciplina” e “che ciò costituisce, al tempo stesso, finalità da raggiungere e i principi e criteri direttivi da osservare” cfr. C. Cost. sentenza n. 93/2003.

In altra pronuncia, la Corte Costituzionale ha osservato come “Le norme deleganti non possono limitarsi a disposizioni talmente generiche da essere riferibili indistintamente a materie vastissime ed eterogenee, né possono esaurirsi in mere enunciazioni di finalità, ma debbono essere idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l’attività normativa del Governo. Inoltre, la determinazione dei principi e criteri ben può avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purché sufficientemente specifici” cfr. C. Cost. sentenza n.156/1987.

 

Con riferimento all’articolo 5, che indica gli ambiti oggetto di intervento della delega al Governo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), in materia di sviluppo economico, appare suscettibile di valutazione l’esigenza di prevedere - su ciascuno di essi - specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, oltre a fare rinvio a quelli di carattere generale, anche tenendo conto di quanto evidenziato in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale al riguardo.

 


 

Articolo 6
(Energia e fonti rinnovabili)

L’articolo indica gli ambiti di intervento della delega al Governo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), in materia di energia e fonti rinnovabili.

 

Si ricorda anche in questa sede che la delega concerne l’adozione decreti legislativi per la codificazione delle disposizioni legislative vigenti, la semplificazione delle attività amministrative e la riduzione degli oneri regolatori gravanti sui cittadini e sulle imprese, per migliorare la qualità e l'efficienza dell'azione amministrativa e per garantire la certezza dei rapporti giuridici e la chiarezza del diritto, con facoltà di intervenire anche limitatamente a specifiche attività o gruppi di attività intersettoriali.

 

Ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame, la delega in materia di energia e fonti rinnovabili riguarda, per i profili di competenza statale e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, i seguenti settori:

a) politica e strategia energetica nazionale, anche con riguardo a reti di trasporto di energia, infrastrutture energetiche, sicurezza degli approvvigionamenti e gestione dei servizi energetici;

b) energia elettrica e termica;

c) produzione, trasporto e stoccaggio di energia;

d) prodotti da oli minerali e petroliferi;

e) protezione dalle radiazioni ionizzanti e residue attività conseguenti all'avvenuto smantellamento delle ex centrali nucleari;

f) riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra;

g) fonti energetiche rinnovabili, con particolare riferimento a quelle geotermiche, alla produzione di energia da fonte solare, eolica, da biomasse, biometano, biocarburanti e bioliquidi;

h) mercato dell'energia e borsa elettrica;

i) efficienza energetica;

l) liberalizzazione e disciplina del mercato del gas naturale;

m) procedure di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili.

 

Il comma 2 dell’articolo dispone che, nell’esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo, nel rispetto della normativa dell'Unione europea in materia di mercato interno dell'energia, di infrastrutture energetiche di interesse europeo e di tutela della concorrenza, nonché nel rispetto delle competenze delle regioni, si attiene ai princìpi e criteri direttivi generali indicati all'articolo 3 e provvede ad armonizzare, per il settore delle energie rinnovabili, la disciplina vigente sotto il profilo della cumulabilità degli incentivi, stabilendo altresì la misura della loro decurtazione, anche in ragione della potenza degli impianti, nei casi di violazione del divieto di cumulo degli incentivi erogati dal Gestore dei servizi energetici (GSE), nonché, se necessario, le eventuali modalità di recupero delle somme erogate, abrogando le disposizioni vigenti incompatibili.

 

Con la legge costituzionale n. 3/2001, di riforma del Titolo V parte seconda della Costituzione, la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” è ascritta alla competenza concorrente tra Stato e Regioni, ex art. 117, terzo comma Cost.

La Corte Costituzionale ha chiarito che “l’espressione utilizzata nel terzo comma dell’art. 117 Cost. deve ritenersi corrispondente alla nozione di “settore energetico”, così come alla nozione di “politica energetica nazionale””(sentenza n. 383 del 2005). Peraltro, la distinzione tra principi fondamentali e norme di dettaglio, che costituisce il discrimen tra competenza statale e competenza regionale, appare ben chiara in linea astratta, ma comporta taluni problemi interpretativi una volta calata sul piano concreto delle singole e specifiche disposizioni ed in più di un’occasione è stata oggetto di vaglio di costituzionalità

In occasione di tale vaglio, la Corte Costituzionale ha chiarito che il carattere di principio di una norma non è escluso, di per sé, dalla specificità delle prescrizioni, qualora la norma «risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di co-essenzialità e di necessaria integrazione» (sentenze n. 38/2016, n. 44/2014, n. 23/2014, n. 16/2010, n. 237/2009, n. 430/2007).

Dunque “nella dinamica dei rapporti tra Stato e Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia” (sentenze n. 23/2014, n. 16/2010).

Da sottolineare che l'articolo 117 della Costituzione comunque conserva alla potestà esclusiva dello Stato materie connesse al settore energetico, tra le quali i rapporti con l'Unione europea, la tutela della concorrenza, la tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica, la salvaguardia dei livelli minimi delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, nonché la tutela dell'ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Con specifico riferimento ai rapporti con l’Unione europea, si evidenzia che l'articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) introduce una base giuridica specifica per il settore dell'energia, basata su competenze condivise fra l'UE e i Paesi membri.

L'articolo 194 TFUE rende alcuni settori della politica energetica (quali la sicurezza dell'approvvigionamento, il mercato dell'energia, lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili, l'interconnessione delle reti energetiche) materia di competenza concorrente. Ogni Stato membro mantiene, tuttavia, il diritto di «determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico» (articolo 194, paragrafo 2).

La potestà legislativa statale e regionale concorrente in materia energetica risulta quindi circoscritta, oltre che dalle disposizioni costituzionali, dalla legislazione quadro europea, la quale, in vari casi, come per le fonti energetiche rinnovabili, l’efficienza energetica e la liberalizzazione del mercato energetico, costituisce un recepimento della prima.

Sul piano della normazione quadro primaria, successivamente alla riforma del titolo V della Costituzione, la legge n. 239 del 2004 ha provveduto ad un generale riordino dell’intero settore energetico. La legge, come ha avuto modo di rilevare la Corte Costituzionale (sent. n. 383/2005), è intervenuta ridisegnando la ripartizione delle competenze dello Stato e delle Regioni in relazione alle modifiche introdotte dalla riforma costituzionale. I principi fondamentali della legge si muovono anche nel quadro dei principi fondamentali dettati in materia energetica dall’ordinamento dell’Unione europea, oltre che in una direzione costituzionalmente orientata[2].

Con riferimento specifico alle fonti rinnovabili, si ricorda in proposito come viga, ai sensi della disciplina europea vigente in materia, un particolare favor, visto che il loro sostegno si inserisce anche nel quadro della politica dell’Unione in materia di tutela ambientale (Articoli 11 e da 191 a 193 del TFUE).

Il favor – sul piano legislativo - si concretizza in una semplificazione dei procedimenti amministrativi inerenti la costruzione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili e il loro esercizio e nella previsione di un sistema di incentivi alla produzione di energia da tali fonti di diretta discendenza comunitaria (D.Lgs. n. 387/2003 e D.Lgs. 28/2011, di recepimento rispettivamente della Direttiva 201/77/CE e della Direttiva 2009/28/CE).

Il sistema incentivante relativo alle fonti rinnovabili è caratterizzato da una molteplicità di meccanismi, che si sono succeduti nel corso degli anni, la cui disciplina prevede il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali, centrali e territoriali. L’articolo 26 del D.lgs. n. 28/2011 di recepimento della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, reca una disciplina generale quadro relativa alla cumulabilità degli incentivi.

Uno dei cardini della politica dell’Unione in materia di energia è costituito dal garantire il funzionamento del mercato dell'energia e dunque la sua competitività. l’Unione europea ha adottato numerosi interventi sistematici sulla materia[3].

In recepimento del primo pacchetto legislativo europeo, alla fine degli anni novanta, sono stati adottati il D. Lgs. n. 79/1999 (per il settore elettrico, adottato in recepimento della direttiva 1996/92/UE) e il D.Lgs. n. 164/2000, per il settore del gas, adottato in recepimento della direttiva 1998/30/UE. Tali provvedimenti normativi, sono stati successivamente modificati e integrati dai successivi interventi legislativi di recepimento del secondo e terzo pacchetto UE, in particolare, il D.Lgs. n. 93/2011.

Il D.Lgs. n. 79/1999 e il D.Lgs. n. 164/2000, come successivamente modificati ed integrati, recano a tutt’oggi la disciplina, rispettivamente:

·         del servizio di distribuzione di energia elettrica, che si svolge in regime di concessione rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico su ambiti territoriali minimi (per ogni ambito comunale una sola concessione), nel rispetto della normativa nazionale ed europea in materia di appalti, da bandirsi non oltre il quinquennio precedente la scadenza del periodo transitorio, dunque non oltre il 2025 (art. 9, co. 2, D.Lgs. n. 79/1999);

·         e del servizio di distribuzione del gas naturale, che deve essere affidata “esclusivamente mediante gara” (cfr. art. 24, co. 4, D.Lgs. n. 93/2011), unicamente per ambiti territoriali minimi (ATM) (cfr. art. 46-bis del D.L. n. 159/2007). La gara è gestita in via primaria dagli enti locali appartenenti a ciascun ambito.

Il D.Lgs. n. 79/1999 reca altresì la disciplina delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico. La disciplina, contenuta nell’articolo 12, è stata recentemente modificata dal D.L. n. 135/2018.

 

L’Unione europea ha recentemente approvato un nuovo pacchetto di misure legislative "Energia pulita per tutti gli europei" (anche noto come Winter package), che comprende diverse misure nei settori dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e del mercato interno dell'energia elettrica finalizzate al raggiungimento di nuovi traguardi al 2030 in materia di energia e clima. Il nuovo meccanismo di governance dell’energia (delineato nel Regolamento UE n. 2018/1999) è basato sulle Strategie a lungo termine per la riduzione dei gas ad effetto serra, precipuamente, sui Piani nazionali integrati per l'energia e il clima - PNIEC che coprono periodi di dieci anni a partire dal decennio 2021-2030.

 

Con riferimento all’articolo 6, comma 1, che indica gli ambiti oggetto di intervento della delega al Governo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), in materia di energia e fonti rinnovabili, si rinvia a quanto già evidenziato con riferimento all’articolo 5 del disegno di legge relativamente all’esigenza di prevedere - su ciascuno di essi - specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, oltre a fare rinvio a quelli di carattere generale, anche tenendo conto di quanto evidenziato in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale al riguardo.

 

Nella sentenza n. 156/1987, in particolare, la Corte Costituzionale ha osservato come “Le norme deleganti non possono limitarsi a disposizioni talmente generiche da essere riferibili indistintamente a materie vastissime ed eterogenee, né possono esaurirsi in mere enunciazioni di finalità, ma debbono essere idonee ad indirizzare concretamente ed efficacemente l’attività normativa del Governo. Inoltre, la determinazione dei principi e criteri ben può avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purché sufficientemente specifici”.

I rilievi della Corte appaiono peraltro tanto più cogenti alla luce del principio direttivo enunciato nell’articolo 6, comma 2, ai sensi del quale il Governo, nell’esercizio della delega di cui al comma 1, opera nel rispetto della normativa dell'Unione europea in materia di mercato interno dell'energia, di infrastrutture energetiche di interesse europeo e di tutela della concorrenza. Al riguardo, andrebbe altresì valutata l’opportunità di citare le principali norme di riferimento.

 

Con riferimento al comma 2 dell’articolo 6, il quale dispone che l’esercizio della delega al Governo di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b) in materia di energia e fonti rinnovabili avvenga nel rispetto delle competenze delle regioni, viene in rilievo quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 261/2017, in cui ha avuto modo di osservare che “qualora il legislatore delegante conferisca al Governo il compito di emanare disposizioni incidenti su ambiti caratterizzati da uno stretto intreccio di materie e competenze statali e regionali, l’intesa si impone quale cardine della leale collaborazione anche quando l’attuazione delle disposizioni statali è rimessa a decreti legislativi adottati sulla base dell’art. 76 Cost. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati quanto alla validità a tutte le indicazioni contenute non solo nella Costituzione ma anche, per volontà di quest’ultima, nella legge di delegazione, vengono attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze”.


 

Articolo 7
 (Servizio civile universale)

 

 

L’articolo 7 reca alcuni principi e criteri direttivi specifici, di delega per la semplificazione in materia di Servizio civile universale.

 

Del presente disegno di legge, l'articolo 3, comma 1, lettera g) prevede che - tra le materie oggetto di delega legislativa per la semplificazione e la codificazione -  figuri altresì "il Servizio civile universale e il soccorso alpino".

L'articolo 7 reca alcuni principi e criteri direttivi, specifici per siffatta delega, limitatamente al Servizio civile universale. Non è fatta menzione del soccorso alpino, richiamato invece in quell'altra disposizione del disegno di legge di cui all’art. 3. Appare dunque opportuno valutare l’esigenza di un coordinamento tra le due disposizioni.

Tali principi e criteri direttivi muovono lungo le seguenti direttrici:

ü  chiarezza e coerenza della disciplina normativa;

ü  trasparenza e centralità della programmazione nei procedimenti, tra cui la presentazione dei programmi di intervento da parte degli enti e l'emanazione dei bandi per la selezione dei volontari da impiegare nei progetti;

ü  snellimento dei procedimenti, con particolare riguardo all'iscrizione degli enti nell'Albo di servizio civile universale;

ü  valorizzazione del ruolo dell'operatore volontario, "al fine di un successivo riconoscimento delle competenze acquisite" nel corso del servizio civile universale;

ü  disciplina del monitoraggio e controllo telematico dei tempi di conclusione dei procedimenti, con verifica dell'efficacia delle soluzioni organizzative adottate;

ü  qualità del coordinamento - nel rispetto del principio di leale collaborazione - con le funzioni delle Regioni e delle Province autonome in materia di servizio civile.

 

Tale delega si direbbe in definitiva porsi quale correttiva e integrativa di quella contenuta nella legge n. 106 del 2016 (recante delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale), alla quale ha dato attuazione, istitutivo del Servizio civile nazionale, il decreto legislativo n. 40 del 2017, cui ha fatto seguito il decreto legislativo correttivo n. 43 del 2018.

 

 

IL SERVIZIO CIVILE: evoluzione NORMATIva

 

Dagli esordi agli anni Duemila

 

Il servizio civile fu istituito nei primi anni Settanta. La legge n. 772 del 1972 riconobbe l’obiezione di coscienza (per "gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all'uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza (...) attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto"). E previde (affidandone l'organizzazione al ministero della difesa) un servizio civile obbligatorio, alternativo e sostitutivo a quello militare.

Il servizio civile fu allora inteso quale istituto alternativo attraverso il quale il cittadino obiettore di coscienza assolvesse all’obbligo di leva ai fini della difesa della Patria, "sacro dovere del cittadino" ai sensi dell'articolo 52, primo comma, della Costituzione, e tale da poter essere adempiuto "anche attraverso adeguate attività di impegno sociale non armato" ebbe a riconoscere la Corte costituzionale (sentenza n. 164 del 1985). Essa dichiarò poi (sentenza n. 470 del 1989) l’illegittimità costituzionale della disposizione della legge del 1972 che prevedeva che i giovani ammessi all’obiezione di coscienza prestassero servizio civile per un periodo superiore di otto mesi alla durata del servizio di leva cui sarebbero stati tenuti.

In prosieguo di tempo, il servizio civile conobbe un suo sviluppo: le domande di adesione divennero più numerose, raggiungendo nel 1999 la cifra di 110.000, e l'offerta di servizio civile aumentò, da poche decine di associazioni dei primi anni Ottanta, ad oltre 3.500 Comuni abilitati a impiegare obiettori, alle Università, ad oltre 200 Unità Sanitarie Locali e a 2.000 associazioni locali di Terzo Settore della fine degli anni Novanta.

Si giunse così alla legge n. 230 del 1998, con la quale l’obiezione di coscienza fu riconosciuta diritto del cittadino e si stabilì che i cittadini che prestavano il servizio civile godessero degli stessi diritti di coloro che svolgevano il tradizionale servizio militare. La medesima legge trasferiva le funzioni di gestione e organizzazione del Servizio civile dal Ministero della difesa alla Presidenza del Consiglio (con l'istituzione presso di essa dell’Ufficio nazionale per il servizio civile).

Al contempo, istituì la Consulta nazionale del Servizio Civile (composta tra rappresentanti degli enti e delle organizzazioni, pubblici e privati, che impiegano volontari del servizio civile nazionale ovvero dei loro organismi rappresentativi, nonché tra rappresentanti dei volontari, delle Regioni e delle amministrazioni pubbliche coinvolte), quale organo permanente di consultazione per l’Ufficio nazionale. Ed istituì, inoltre, il Fondo nazionale per il Servizio Civile - la cui dotazione era, nella legge di bilancio 2015, quantificata in 115,7 milioni per il 2015; 113,4 milioni sia per il 2016 sia per il 2017.

Il 'parallelismo' col servizio militare era destinato a venir meno con la trasformazione dello strumento militare in professionale (oggetto della delega contenuta all’articolo 3, comma 1, della legge n. 331 del 2000, seguita dal decreto legislativo n. 215 del 2001, che all’articolo 7, comma 1, sanciva la sospensione del servizio obbligatorio di leva a decorrere dal 1° gennaio 2007 - data in seguito anticipata al 1° gennaio 2005: articolo 1 della legge n. 226 del 2004).

In correlazione con l'abolizione della leva obbligatoria, fu istituito - dalla legge n. 64 del 2001 - il Servizio civile nazionale, un servizio volontario aperto ai giovani dai 18 ai 26 anni (tale era l'originaria previsione, poi modificata), uomini e donne che intendano fra l’altro “promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli” nonché partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, con particolare riguardo al settore ambientale.

Le aree di intervento nelle quali fosse possibile prestare il Servizio civile nazionale erano riconducibili ai seguenti settori: assistenza; protezione civile; ambiente; patrimonio artistico e culturale; educazione e promozione culturale; servizio civile all'estero.

Gli enti di servizio civile - che presentano progetti e sono tenuti ad assicurare una efficiente gestione del Servizio civile nazionale ed una corretta realizzazione dello stesso progetto - sono le amministrazioni pubbliche, le associazioni non governative (ONG) e le associazioni no profit che operano in quegli ambiti. Per poter partecipare al servizio civile gli enti essere in possesso di determinati requisiti strutturali ed organizzativi. Solo tali enti - iscritti in un apposito albo: l'Albo degli enti accreditati - possono presentare progetti di servizio civile nazionale.

Il decreto legislativo n. 77 del 2002 indi diede attuazione alla delega recata dalla legge n. 64 del 2001, disciplinando il Servizio civile nazionale, innalzando tra l’altro il limite di età a 28 anni (articolo 3, comma 1). Inoltre, alcune funzioni furono trasferite alle Regioni, le quali curano l'attuazione degli interventi di servizio civile secondo le rispettive competenze e istituiscono albi su scala regionale, nei quali possono iscriversi gli enti e le organizzazioni che svolgano attività esclusivamente in àmbito regionale e provinciale. Rimane in capo all’Ufficio nazionale per il servizio civile.

Quel decreto legislativo definiva in particolare: gli organi competenti in materia; i requisiti e le modalità di accesso e di svolgimento del servizio; la programmazione e gestione delle risorse finanziarie; la natura del rapporto di servizio civile ed il relativo trattamento economico e giuridico; la formazione dei giovani assegnati al servizio civile; la valorizzazione del servizio prestato ai fini dello sviluppo formativo e dell’inserimento nel mondo del lavoro; la disciplina del periodo transitorio.

 

 

Il Servizio civile universale

 

"È istituito il servizio civile universale finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma e 11 della Costituzione, alla difesa non armata e nonviolenta della Patria, all'educazione, alla pace tra i popoli, nonché alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli articoli 2 e 4, secondo comma, della Costituzione".

Così recita l'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 40 del 2017.

Esso ha dato attuazione - per la parte relativa al Servizio civile - alla delega contenuta nella legge di riforma del Terzo settore, la legge n. 106 del 2016.

settori di intervento lì individuati in cui si realizzano le finalità del servizio civile universale sono: assistenza; protezione civile; patrimonio ambientale e riqualificazione urbana; patrimonio storico, artistico e culturale; educazione e promozione culturale e dello sport; agricoltura in zona di montagna, agricoltura sociale e biodiversità; promozione della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata; promozione e tutela dei diritti umani; cooperazione allo sviluppo; promozione della cultura italiana all'estero e sostegno alle comunità di italiani all'estero.

Alla base della programmazione del servizio civile universale è collocato il Piano triennale, modulato per Piani annuali.

Tali Piani sono predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sentite le amministrazioni competenti in base al settore (e sono approvati con d.P.C.m., previo parere della Consulta nazionale per il servizio civile universale e intesa della Conferenza Stato-regioni). Il Piano triennale, in particolare, è attuato mediante programmi di intervento proposti dagli enti di servizio civile universale che si articolano, a loro volta, in progetti i quali indicano: le azioni; il numero e la distribuzione degli operatori volontari nelle sedi di attuazione il personale dell'ente coinvolto.

La Presidenza del Consiglio cura l'amministrazione e la programmazione annuale delle risorse del Fondo nazionale per il servizio civile, alimentato con le risorse derivanti dal bilancio dello Stato nonché da altre fonti pubbliche e private, comprese quelle comunitarie. A tal fine elabora ogni anno - previo parere della Consulta nazionale del servizio civile universale e della Conferenza Stato-Regioni - un documento di programmazione finanziaria, che dispone la ripartizione delle risorse occorrenti per la realizzazione del servizio civile.

Quanto alle modalità di presentazione dei programmi di intervento, a seguito di avviso pubblico questi sono presentati da soggetti iscritti all'Albo, e sono approvati dalla Presidenza del Consiglio (alla quale sono trasmessi esclusivamente per via telematica), sentite le regioni interessate. Il decreto con l'elencazione dei programmi è pubblicato sul sito istituzionale.

È consentito alle regioni, agli enti locali, agli altri enti pubblici territoriali e agli enti di Terzo settore di attivare autonomamente progetti di servizio civile con risorse proprie, da realizzare presso soggetti accreditati all'Albo, previa approvazione della Presidenza del Consiglio.

È dunque individuata nella Presidenza del Consiglio l'amministrazione competente a svolgere le funzioni attribuite allo Stato, che riguardano la programmazione, l'organizzazione e l'attuazione del servizio civile universale, nonché l'accreditamento degli enti e le attività di controllo.

Le funzioni svolte dalle regioni e dalle province autonome sono individuate nella partecipazione alle attività di programmazione e di valutazione dei programmi di intervento del servizio civile, nonché, sulla base di specifici accordi con lo Stato, nella formazione del personale e nelle attività di controllo.

Il testo definisce i compiti degli enti di servizio civile nazionale ed è prevista la possibilità che gli stessi costituiscano reti con altri soggetti pubblici e privati.

È stato dunque istituito l'Albo degli enti di servizio civile universale presso la Presidenza del Consiglio e sono stati disciplinati i livelli minimi di capacità organizzativa per la relativa iscrizione.

Sono altresì disciplinati il ruolo ed i compiti assegnati agli operatori volontari del servizio civile nazionale, che sono i giovani ammessi a svolgere il servizio civile universale a seguito di bandi pubblici di selezione e che svolgono le attività previste nell'ambito dei progetti, nel rispetto di quanto stabilito dal contratto. Viene al contempo istituita la Rappresentanza nazionale degli operatori volontari al fine di assicurare in modo costante il confronto tra Stato e operatori.

Il servizio civile universale può essere svolto in Italia o all'estero. In ogni caso, anche i soggetti ammessi a svolgere il servizio civile universale in Italia, possono effettuare un periodo di servizio all'estero entro certi limiti. Sia per i programmi di intervento in Italia sia per quelli all'estero è prevista l'erogazione di contributi finanziari agli enti da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, nei limiti delle risorse annualmente assegnate al Fondo nazionale per il servizio civile, destinati alla parziale copertura delle spese sostenute per le finalità indicate dal testo.

Quanto ai requisiti di partecipazione al servizio civile universale, rimane fermo il requisito anagrafico (età compresa tra 18 e 28 anni) e, oltre ai cittadini italiani, sono ammessi i cittadini degli altri Stati dell'Unione europea nonché – in aderenza con la giurisprudenza costituzionale sul punto – gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

Il decreto legislativo n. 40 definisce quindi lo status di operatore volontario e ne disciplina diritti e doveri, precisando la natura del servizio civile universale. In particolare, la durata è pari a minimo 8 e massimo 12 mesi; è riconosciuto, in capo agli operatori volontari, il diritto-dovere della formazione.

Quanto al monte orario previsto, questo è complessivamente di 25 ore se settimanali; se annuo, corrisponde ad un massimo di 1145 ore, qualora sia calibrato su dodici mesi; ad un massimo di 765 ore, qualora sia su otto mesi.

È disciplinato il trattamento economico e giuridico degli operatori volontari prevedendo, in particolare, la corresponsione di un assegno, da erogare nel rispetto di specifici criteri, la cui quantificazione è demandata al documento di programmazione finanziaria.

A seguito dell'attività svolta viene rilasciato un attestato. Sono infatti riconosciuti una serie di benefici nel campo dell'istruzione e dell'inserimento lavorativo per gli operatori volontari che hanno svolto attività di servizio civile, quali crediti formativi universitari, collocamento nel mercato del lavoro, possibili titoli di preferenza nei concorsi pubblici se previsto dai bandi. La cessazione anticipata del rapporto di servizio civile universale comporta, salvo documentati motivi di salute o forza maggiore, la decadenza da tali benefici.

Alla Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base di uno specifico piano annuale (pubblicato sul sito internet), compete un controllo sulla gestione delle attività degli enti. La Presidenza del consiglio svolge altresì una valutazione concernente l'impatto dei programmi di intervento sui territori e sulle comunità locali interessate; i relativi risultati affluiscono in un rapporto annuale, da pubblicare sul sito istituzionale. Ad essa è inoltre affidato il compito di effettuare verifiche ispettive, da realizzarsi presso gli enti anche per il tramite delle regioni e delle province autonome ovvero del Ministero degli affari esteri per gli interventi all'estero.

    

     È stato indi emanato il decreto legislativo n. 43 del 2018, integrativo e correttivo del decreto legislativo n. 40 dell'anno precedente.

Con il decreto correttivo ed integrativo è stato, in particolare, rafforzato il coinvolgimento delle Regioni in sede di programmazione, e ridefinita la modalità di elezione e rinnovo della Rappresentanza degli operatori volontari nonché la composizione della Consulta nazionale per il servizio civile universale

Le modifiche al decreto legislativo n. 40 del 2017 attengono, in particolare, ai seguenti profili:

Le ragioni dell'intervento erano identificate in particolare in alcune criticità emerse dall'attuazione del decreto legislativo n. 40 del 2017:

·         il ruolo attribuito alle Regioni nell'ambito del sistema, che aveva determinato da parte di alcune (Lombardia e Veneto) l'instaurazione di giudizi di legittimità costituzionale avverso le correlative disposizioni del decreto legislativo n. 40 del 2017 (peraltro la sentenza n. 171 del 2018 ha in seguito dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate da quelle due Regioni);

·         la mancata previsione di alcuni settori di intervento, pur sviluppatisi nel tempo;

·         la difficoltà di attuazione dell'istituzione della Rappresentanza degli operatori volontari;

·         una ridotta partecipazione dei soggetti in seno alla Consulta nazionale per il servizio civile universale;

·         una non adeguata pubblicità della procedura di selezione dei giovani da avviare al Servizio civile universale da parte degli enti iscritti all'Albo.

 

Si ricorda che il Governo è tenuto a presentare ogni anno al Parlamento una relazione sull'organizzazione, sulla gestione e sullo svolgimento del Servizio civile.

Al momento di pubblicazione del presente fascicolo, la più recente relazione - relativa all’anno 2017 - è stata trasmessa il 27 dicembre 2018 (Doc. CLVI, n. 1).

 

Il quadro che vi è tratteggiato evidenzia 43.141 volontari allora già avviati in servizio, di cui: 42.369 in Italia (e in particolare il 48,66% nelle regioni del Sud, isole comprese; il 26,34% e 25,00% rispettivamente nelle regioni del Nord e del Centro);2 772 all'estero (285 volontari avviati in America del sud e America del centro, 215 volontari in Africa, 192 in Europa, 76 in Asia, 4 in Oceania).

Circa i settori d'intervento per i progetti realizzati in Italia, più della metà dei volontari (il 55.30%) sono impegnati nell'ambito dell'assistenza, cui seguono l'educazione e promozione culturale con il 27,15%, il patrimonio artistico culturale con 1'10,98% e i settori dell'ambiente e della protezione civile che si attestano rispettivamente al 3,63% e 2,94%.

Con riferimento al territorio all'estero, il 45,21% dei giovani è stato inserito in progetti del settore cooperazione allo sviluppo, il 17,23% nell'area assistenza, il 18,13% in educazione e promozione della cultura, il 5,83% nel settore area di conflitto e a rischio di conflitto o post conflitto, il 2,98% in attività di cooperazione decentrata, il 4,53% in sostegno della comunità italiani all'estero, il 4,66% nell'ambito ambiente, lo 0,91% in interventi di pace building e di ricostruzione post conflitto, infine lo 0,52% nel settore del patrimonio artistico culturale.

 


 

Articolo 8
(Deleghe in materia di giustizia amministrativa)

 

L’articolo 8 delega il Governo, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, ad attuare le disposizioni della legge di bilancio 2019 relative all’aumento degli organici di magistrati amministrativi e personale amministrativo, a rivedere i carichi di lavoro del personale ed a riformare il procedimento disciplinare dei magistrati amministrativi.

 

In particolare, per quanto riguarda gli organici di magistrati amministrativi e personale amministrativo della giustizia amministrativa (comma 1, lett. a), il Governo dovrà modificare le tabelle organiche (attualmente allegate alla legge n. 186 del 1982) tenendo conto delle assunzioni straordinarie autorizzate dall’ultima legge di bilancio. In particolare, fermi i limiti numerici compatibili con le risorse stanziate, il Governo dovrà distribuire il nuovo personale nelle diverse qualifiche professionali.

Si ricorda, infatti, che l’art. 1, comma 320, della legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018), al fine di migliorare la funzionalità della giustizia amministrativa, ha autorizzato per il triennio 2019-2021, l’assunzione, con conseguente incremento della dotazione organica, di Consiglieri di Stato e Referendari dei Tribunali amministrativi regionali, in aggiunta alle vigenti facoltà assunzionali ed in deroga alla normativa sul turn-over. Per le stesse finalità, il comma 321 ha previsto l’assunzione di un massimo di 26 unità di personale amministrativo non dirigenziale nel triennio 2019-2021.

 

Per le assunzioni dei nuovi magistrati amministrativi è autorizzata la spesa per un onere massimo complessivo di 4,9 milioni di euro per il 2019, 5 milioni per gli anni 2020 e 2021, 5,6 milioni per il 2022, 5,9 milioni per gli anni 2023 e 2024, 6 milioni per il 2025, 6,1 milioni per il 2026 e 7 milioni dal 2027. Per le connesse esigenze di funzionamento della giustizia amministrativa è inoltre autorizzata la spesa di 500 mila euro per il 2019 e di un milione dal 2020. La Relazione tecnica di accompagnamento del disegno di legge di bilancio chiariva che la proiezione decennale della spesa corrisponde ad un contingente di 20 Referendari di T.A.R. e di 12 Consiglieri di Stato.

Per le assunzioni del personale amministrativo non dirigenziale è autorizzata la spesa di 0,6 milioni di euro per il 2019 e 1,12 milioni dal 2020; per tali assunzioni, si configura l’obbligo, per l’amministrazione, di comunicare al Dipartimento della funzione pubblica e alla Ragioneria generale dello Stato i dati relativi al personale assunto e i relativi oneri. La citata Relazione tecnica segnalava che “in considerazione dei tempi tecnici di svolgimento delle procedure concorsuali, il predetto contingente di n. 26 unità di personale sarà verosimilmente assunto non prima del mese di luglio 2019”.

 

Per quanto riguarda i carichi di lavoro della magistratura amministrativa (comma 1, lett. b), il Governo è delegato a modificare la disposizione che oggi demanda al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa il compito di determinare i criteri e le modalità per la fissazione dei carichi di lavoro dei magistrati (art. 13, primo comma, n. 6-bis, della legge n. 186 del 1982).

 

Sulla base di questa disposizione, il 18 gennaio 2013 il Consiglio di presidenza ha individuato carichi di lavoro vincolanti per ciascun magistrato amministrativo, la cui violazione reiterata rileva sotto il profilo disciplinare ed impedisce il conferimento e l’autorizzazione d’incarichi extra istituzionali. In particolare, la delibera del 2013 prevede che tutti i magistrati assegnati a sezioni giurisdizionali debbano depositare, in ogni anno solare, almeno 80 sentenze e che tutti i magistrati assegnati a sezioni consultive debbano depositare, in ogni anno solare, almeno 150 pareri. Quanto alla partecipazione a udienze, la delibera prevede che i magistrati con funzioni giurisdizionali partecipino di norma a 2 udienze mensili intervallate da almeno 10 giorni e che i magistrati addetti alle funzioni consultive partecipino di norma a 3 adunanze mensili intervallate da almeno 8 giorni. Per i consiglieri di Stato assegnati alle sezioni giurisdizionali e i magistrati dei T.a.r., è prevista la partecipazione annuale ad un numero massimo di 21 udienze; per i consiglieri di Stato assegnati alle sezioni consultive è prevista la partecipazione annuale ad un numero massimo di 31 adunanze

 

Nel modificare questa disposizione il Governo dovrà adeguare «i criteri, le competenze e le modalità di determinazione dei carichi di lavoro dei magistrati amministrativi a ragioni di funzionalità e alle attuali maggiori esigenze pubbliche e degli utenti del servizio della giustizia».

Il disegno di legge dunque, demanda al Governo la modifica dell’art. 13 ma non specifica se la competenza a determinare i carichi di lavoro rimarrà attribuita al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa o sarà fatta propria dal legislatore.

 

In merito, si valuti l’opportunità di confermare esplicitamente in capo all’organo di autogoverno della magistratura amministrativa il compito di determinare i carichi di lavoro dei magistrati.

 

Per i magistrati ordinari, infatti, l’art. 11 del d.lgs. n. 160 del 2006, modificato dalla legge n. 111 del 2007, attribuisce al Consiglio Superiore della magistratura il compito di individuare standard medi di definizione dei procedimenti, articolati secondo parametri sia quantitativi sia qualitativi, in relazione alla tipologia dell'ufficio, all'ambito territoriale e all'eventuale specializzazione.

 

Infine, il Governo è delegato a riformare il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi (comma 1, lett. c)).

 

Il procedimento disciplinare è scarnamente disciplinato dal capo IV (Sorveglianza e disciplina) della legge n. 186 del 1982 che, ad esempio, non opera una tipizzazione né degli illeciti né delle correlate sanzioni disciplinari. La normativa vigente, infatti:

·         attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la sorveglianza su tutti gli uffici e su tutti i magistrati amministrativi;

·         prevede che l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi possa essere promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal presidente del Consiglio di Stato per essere decisa dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa;

·         disciplina il procedimento prevedendo che, entro 10 giorni dalla presentazione della richiesta, il Consiglio di presidenza debba affidare il caso a una commissione composta da 3 suoi componenti che hanno tempo 30 giorni per svolgere un’istruttoria. All’esito dell’istruttoria è il plenum del Consiglio a eventualmente contestare i fatti al magistrato che ha, a sua volta, 30 giorni di tempo per presentare le sue giustificazioni. A meno che il Consiglio non decida di archiviare, la commissione ha ulteriori 90 giorni di tempo per approfondire ulteriormente la questione e depositare gli atti presso la segreteria del consiglio di presidenza. Decorsi i 90 giorni il Presidente del Consiglio di Stato fissa la data dell’udienza di discussione dinanzi al Consiglio di presidenza (il relativo decreto dovrà essere notificato all’interessato almeno 40 giorni prima della data fissata). L’interessato potrà prendere visione degli atti e depositare le sue difese (non oltre 10 giorni prima della discussione). Nella seduta fissata per la trattazione, il componente della commissione più anziano nella qualifica svolge la relazione e il magistrato inquisito prende per ultimo la parola; egli può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato (in questo senso ha disposto la Corte costituzionale con la sent. n. 87 del 2009). In base al Regolamento interno per il funzionamento del Consiglio di Presidenza del 2006 il Consiglio assume le sue determinazioni immediatamente dopo la discussione, con deliberazione motivata;

·         rinvia per quanto non espressamente disciplinato alle norme previste per i magistrati ordinari. Ciò comporta, ad esempio, che in base al R.D.Lgs. n. 511 del 1946 (Guarentigie della magistratura) le sanzioni disciplinari irrogabili ai magistrati amministrativi siano l'ammonimento, la censura, la perdita dell'anzianità, la rimozione e la destituzione. Non è infatti applicabile ai magistrati amministrativi il d.lgs. n. 109 del 2006, che ha interamente riordinato la materia disciplinare quanto alla magistratura ordinaria, posto che l’art. 30 del citato decreto ne esclude espressamente l’applicazione alla magistratura amministrativa e contabile.

Inoltre, in base al R.D. n. 1054 del 1924 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), per applicare sanzioni disciplinari ai consiglieri di Stato è necessario il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale e dopo deliberazione del Consiglio dei Ministri. (art. 5).

 

Il disegno di legge, in particolare, delega il Governo:

1.             a distinguere nell’ambito del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, l’organo monocratico titolare dell’azione disciplinare dall’organo collegiale decidente (n. 1). Attualmente, infatti, c’è una sovrapposizione tra la funzione di promovimento del procedimento disciplinare (intestata sia al Presidente del Consiglio dei Ministri che al Presidente del Consiglio di Stato) e di contestazione degli addebiti (affidata all’intero Consiglio), e quella decisoria (rimessa sempre all’intero Consiglio presieduto dal Presidente del Consiglio di Stato);

2.             ad attribuire all’organo monocratico titolare dell’azione disciplinare poteri istruttori comprensivi di poteri ispettivi, idonei a consentirgli di sostenere l’azione in sede di contraddittorio;

3.             ad attribuire analoghi poteri istruttori anche all’organo collegiale decidente;

4.             a semplificare il procedimento; a disciplinare i provvedimenti cautelari rendendoli immediatamente eseguibili sulla base di una deliberazione del Consiglio di presidenza; a limitare la necessità del parere conforme dell’adunanza generale del Consiglio di Stato all’irrogazione delle sanzioni più gravi. Si propone dunque di superare l’anacronistica previsione dell’art. 5 TU C. Stato che prevede il parere dell’Adunanza generale chiamata ad interloquire sulla rilevanza disciplinare di comportamenti la cui sanzionabilità non può che essere prerogativa esclusiva dell’organo di autogoverno, come del resto prescritto, con norma valida per tutte le magistrature, dall’art. 105 Cost.;

5.             a tipizzare gli illeciti disciplinari rimodulando, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni disciplinari applicabili considerando illecito disciplinare anche il reiterato ritardo nella redazione dei provvedimenti oltre a qualsiasi altra condotta – tenuta anche al di fuori dell’esercizio delle funzioni – che risulti lesiva dell’immagine della magistratura amministrativa;

6.             a consentire all’organo monocratico titolare dell’azione disciplinare di avvalersi del personale del Segretariato generale della giustizia amministrativa, opportunamente modificandone l’organizzazione interna.

 

Si ricorda che lo stesso Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, con delibera dell’8 febbraio 2013 (integrata il 6 novembre 2015) ha formulato una proposta di iniziativa legislativa in materia di disciplina dei magistrati amministrativi.

La proposta, che integra la legge n. 186 del 1982, disciplina analiticamente gli illeciti disciplinari, distinguendo quelli che attengono all’esercizio delle funzioni (tra i quali sono inseriti anche «il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni») da quelli che sono commessi al di fuori dell'esercizio delle funzioni o che sono conseguenti a reato e le relative sanzioni (l'ammonimento, la censura, la perdita dell'anzianità, l'incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo, la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni, la rimozione), con l’indicazione di una serie di parametri per la loro applicazione. Viene inoltre disciplinata la riabilitazione del magistrato.

Quanto agli organi del procedimento disciplinare, la proposta del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa attribuisce l’esercizio dell’azione disciplinare al presidente del Consiglio dei Ministri o al Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato; prevede l’istituzione di una sezione disciplinare (presieduta dal Vicepresidente del Consiglio di presidenza) e conferma la commissione istruttoria composta da tre membri diversi dai componenti della sezione disciplinare. La decisione è rimessa alla sezione disciplinare.

 

Il comma 2 dell’articolo 8 delinea il procedimento da seguire nell’attuazione della delega prevedendo:

-              che gli schemi di decreto legislativo siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri;

-              che sugli schemi debba essere acquisito, entro 45 giorni dalla trasmissione, il parere del Consiglio di Stato.

Il disegno di legge non prevede, dunque, il parere delle competenti commissioni parlamentari.

 

Il comma 3 dell’articolo 8 contiene la clausola di invarianza, precedendo che l’attuazione della delega non possa comportare nuovi oneri per la finanza pubblica.


 

Articolo 9
(Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 9 contiene la copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli articoli 1 e 3 del provvedimento, pari a 2 milioni di euro per l’anno 2019, a 13 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 e a 8 milioni di euro annui a decorrere dal 2022.

 

In particolare, a tali oneri si provvede, ai sensi del comma 1, come riepilogato dalla tabella che segue:

(in milioni di euro)

 

2019

2020

2021

Dal 2022

Totale Oneri, di cui:

2

13

13

8

Art. 1: Commissione per l’attuazione delle misure di semplificazione

2

8

8

8

Art. 3, co. 10: Fondo destinato al finanziamento degli investimenti informatici necessari per consentire il monitoraggio e il controllo telematico a consuntivo del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi nonché l'interoperabilità e l'accessibilità delle banche di dati pubbliche

-

5

5

-

Totale risorse poste a copertura, di cui:

2

13

13

8

Art. 9, co. 1, lett. a) Fondo speciale di parte corrente del MEF

2

8

8

8

Art. 9, co. 1, lett. b) Fondo speciale di c/capitale del MEF

-

5

5

-

 

Come precisato nella Relazione tecnica, gli oneri recati dall’articolo 1 derivano dai compensi dei Commissari (pari a 830.280 euro per il 2019 e a 3.321.120 euro a decorrere dal 2020) e dalle spese inerenti la struttura di supporto della Commissione prevista presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da individuarsi anche con incremento della relativa dotazione organica, quantificate prudenzialmente in 4.678.880 annui dal 2020 (di cui 4.308.000 per spese di personale e 370.880 per spese di funzionamento della struttura stessa). Per il 2019, gli oneri sono calcolati su tre mesi, e quindi nella misura di un quarto degli oneri annui.

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


Schede di approfondimento

 


Le diverse stagioni della semplificazione in Italia

 

La qualità della regolazione è divenuta in diversi Paesi europei oggetto di specifiche politiche pubbliche.

Principali strumenti, connessi l'un l'altro pur nella distinzione, possono essere la semplificazione normativa e la riduzione degli adempimenti amministrativi per i cittadini e le imprese (e più in generale la semplificazione amministrativa).

Diversi sono stati gli strumenti per mezzo dei quali il legislatore italiano ha inteso perseguirle. C’è stata dapprima la fase della delegificazione per mezzo di regolamenti; indi quella dei testi unici misti; infine è giunta quella dei codici di settore.

La semplificazione ‘nasce’ come semplificazione amministrativa.

Pur se v'erano state, sul piano legislativo, alcune anticipazioni volte a semplificare i procedimenti della pubblica amministrazione (la legge n. 241 del 1990 includeva tra i principi dell’attività amministrativa quelli della celerità e della economicità, calibrati su istituti quali la conferenza dei servizi o il silenzio-assenso; l’articolo 2 della legge n. 537 del 1993 promuoveva una delegificazione e semplificazione di una serie di procedimenti amministrativi, fino ad allora regolati con legge), era la legge 15 marzo 1997, n. 59 a porsi con maggiore risolutezza in questa direzione.

Essa prevedeva (all'articolo 20) una legge annuale di semplificazione, che individuasse annualmente i procedimenti amministrativi da semplificare, soprattutto attraverso regolamenti di delegificazione.

Si puntava così a predisporre uno strumento legislativo permanente, che in via strutturale rispondesse al problema della eccessiva burocratizzazione della pubblica amministrazione.

Lo snellimento dei procedimenti amministrativi era realizzato per mezzo della delegificazione, sostituente la disciplina legislativa in vigore con altra, approntata e modificabile mediante l'esercizio della potestà regolamentare.

Lo strumento era (ed è) dato dai regolamenti ex articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 (emanati con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato, in materie non riservate alla competenza assoluta della legge), secondo la seguente scansione: la singola legge fissa le “norme generali regolatrici della materia” (pur se poi declinati dal legislatore, in fatto, alla stregua sovente di generiche indicazioni circa obiettivi e finalità); la legge autorizza il potere regolamentare del Governo, e di conseguenza, l’abrogazione della disciplina regolata da fonti primarie, in materie non sottoposte a riserva di legge assoluta; l’effetto abrogativo opera dal momento dell’entrata in vigore della normazione secondaria.

Ma ben presto il legislatore italiano ha cominciato ad usare il termine “semplificazione” in un’accezione più ampia.

Oltre all’individuazione dei procedimenti amministrativi da semplificare, le leggi annuali di semplificazione hanno progressivamente concentrato la loro attenzione sul riordino, sul riassetto del sistema normativo, al fine di coordinare le disposizioni normative vigenti.

Si è passati così da un concetto di semplificazione prevalentemente amministrativa ad altro di semplificazione di plessi normativi.

Quest'ultima è perseguita mediante: la riduzione del numero di regole (soprattutto, poste da fonti di rango primario); il consolidamento e riassetto (mediante la codificazione) delle regole; una maggiore attenzione alla qualità della regolamentazione (anche attraverso un nuovo strumento, l'analisi di impatto della regolamentazione, introdotto dall'articolo 5 della legge n. 50 del 1999).

 

Tale evoluzione passava attraverso una fase per così dire intermedia (ed oramai conclusa), connotata dall’adozione di testi unici misti.

La prima legge annuale di semplificazione (legge 8 marzo 1999, n. 50) investiva infatti il Governo (all'articolo 7, comma 2) di un compito di riordino mediante “l’emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei comprendenti, in un unico contesto e con opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari”.

Era dunque prevista la raccolta, in un unico corpus, di norme sia legislative sia regolamentari, inerenti un’unica materia.

La ratio era quella di offrire ad interpreti e cittadini una raccolta completa ed organica della normazione, onde rinvenire in un unico testo e per una materia determinata, sia la disciplina sostanziale dettata da norme di rango primario sia la disciplina procedimentale contenuta in fonti regolamentari.

Era inoltre prevista, da disposizione della legge n. 59, una clausola di resistenza normativa del testo unico misto, abrogabile o modificabile o derogabile solo in modo esplicito (essa è stata da ultimo abrogata).

I problemi interpretativi suscitati dai testi unici misti e le difficoltà di loro ‘manutenzione’ nel tempo, inducevano il legislatore del 2003 ad abrogare la norma che prevedeva tale istituto, introducendo, quale nuovo strumento principe del riassetto normativo, il codice di settore.

Siffatto cambiamento di prospettiva emergeva in particolare nella legge 23 luglio 2003, n. 229, recante Norme in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione (legge di semplificazione per il 2001).

Indicata già nel titolo, la “codificazione” è qui intesa quale strumento di semplificazione, da condurre mediante decreti legislativi di riforma dei singoli settori.

 

L’articolo 1 della legge n. 229 del 2003 sostituiva integralmente l’articolo 20 della legge n. 59 del 97, anche riguardo ai fini perseguiti con lo strumento della legge annuale di semplificazione (individuando, quale obiettivo, “la semplificazione e il riassetto normativo, volto a definire, per l’anno successivo, gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie di intervento, anche ai fini della ridefinizione dell’area di incidenza delle pubbliche funzioni”).

Ed in effetti, a partire da quella data sono numerosi i codici entrati in vigore, in materie quali: protezione dei dati personali; comunicazioni elettroniche; beni culturali e del paesaggio; proprietà industriale; amministrazione digitale; nautica da diporto; consumo; assicurazioni private; pari opportunità tra uomo e donna; contratti pubblici; ordinamento militare.

Successivamente, per alcuni di questi codici sono state apportate (con appositi decreti legislativi) disposizioni correttive ed integrative - o complessive riscritture, in materia di contratti pubblici.

In controtendenza rispetto a quella che era apparsa come età della de-codificazione, si delinea così un ritorno alla codificazione, con un ‘riordino’ della normazione trascolorante in ‘riassetto’, oltre il mero coordinamento formale, onde operare modifiche anche sostanziali della normativa vigente. Ad ogni modo, codificazione di settore (pur con le problematiche attinenti alla delimitazione dei diversi settori normativi, tra loro e rispetto al codice civile).

In altri casi, si aveva delega legislativa con ad oggetto il “riassetto” normativo di una materia, senza che esso assumesse la configurazione di un codice o testo unico (ad esempio la legge 1° marzo 2005, n. 32, “Delega al Governo per il riassetto normativo in materia di autotrasporto di persone e cose; la legge 3 agosto 2007, n. 123, “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”). In altri casi ancora, la delega ha avuto per oggetto un “coordinamento” normativo, ed insieme l'abrogazione espressa delle disposizioni ritenute non più vigenti (così l'articolo 7 della legge 30 luglio 2007, n. 111, “Modifiche alle norme sull' ordinamento giudiziario”).

Peraltro i codici di settore, essendo decreti legislativi contenenti esclusivamente norme di rango primario, non possono soddisfare l’esigenza di un quadro normativo completo ed unitario a livello di fonti secondarie. Di contro i testi unici misti, di là delle problematiche sollevate, fornivano un quadro organico ed esaustivo della regolamentazione non solo primaria di un dato settore ma anche delle relative norme attuative ed integrative, contenute, di regola, in fonti di rango secondario. A dare risposta a tale esigenza ricognitiva mirava la legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005), che novellando l'articolo 20 della legge n. 59 del 1997 veniva a prevedere (all'articolo 1, comma 1, lettera b)): «il Governo, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, completa il processo di codificazione di ciascuna materia emanando, anche contestualmente al decreto legislativo di riassetto, una raccolta organica delle norma regolamentari regolanti la medesima materia, se del  caso adeguandole alla nuova disciplina di livello primario e semplificandole secondo i criteri di cui ai successivi commi».

 

Le diverse leggi di semplificazione susseguitesi sono state: legge 8 marzo 1999, n. 50 (“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998”); legge 24 novembre 2000, n. 340 (“Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999”); legge 29 luglio 2003, n. 229 (“Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001”); legge 28 novembre 2005, n. 246, “Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”.

La scansione non è stata, dunque, annuale. Né il disegno di legge di semplificazione è stato esclusivo raccoglitore di disposizioni aventi un effetto di riordino normativo (talvolta in esso ricondotte nel corso dell'iter mediante emendamenti).

Ultima della serie delle leggi annuali di semplificazione è stata la citata legge n. 246 del 2005.

Anch'essa, come le precedenti, è intervenuta sull’articolo 20 della legge n. 59 del 1997. In particolare, essa ha aggiunto nuovi principi e criteri direttivi, cui ispirare le deleghe per la semplificazione ed il riassetto normativo. Il Governo deve garantire la “coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa” e farsi promotore dell’esercizio delle competenze normative di Stato, Regioni e Province autonome. Vi si è previsto inoltre, si è ricordato, che il processo di codificazione realizzato attraverso lo strumento della delega legislativa (cui notevole impulso aveva dato la legge n. 229 del 2003) sia accompagnato da una “raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la medesima materia” eventualmente coordinate con la disciplina posta a livello primario. 

Si aggiungevano principi in materia di semplificazione delle funzioni amministrative (richiamando: la generale possibilità per le amministrazioni di utilizzare gli atti di diritto privato, salvo nelle materie in cui l’interesse pubblico possa essere perseguito solo attraverso l’esercizio di poteri autoritativi, ribadendo l’impostazione contenuta nell’articolo 1 della legge n. 241 del 1990, come novellata dalla legge n. 15 del 2005; i principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione e i criteri di autonomia, leale collaborazione, responsabilità e legittimo affidamento nella ripartizione delle competenze tra i vari soggetti istituzionali e nella creazione di sedi stabili di concertazione; ‘uno schema base’ omogeneo per le intese, gli accordi, le conferenze di servizi  e “gli altri atti equiparabili”, al fine  di stabilire in maniera uniforme le responsabilità, le modalità di attuazione e le conseguenze degli eventuali inadempimenti).

     Ancor la legge n. 246 del 2005 recava cinque deleghe di codificazione-riassetto normativo (in materia di: benefici a favore delle vittime del dovere e del terrorismo; gestione contabile e amministrativa degli uffici all'estero del Ministero degli affari esteri; pari opportunità; ordinamento del notariato e degli archivi notarili; adempimenti amministrativi a carico delle imprese).

 Peculiarità della legge di semplificazione 2005 risiedeva nella c.d. ‘norma taglia-leggi’, con cui si intese operare uno sfoltimento complessivo delle norme ritenute obsolete, mediante l’attribuzione all’Esecutivo del compito di individuare (con decreto legislativo) le norme di cui si ritenesse necessaria la permanenza in vigore. Decorso il termine di esercizio della delega, le norme pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970 e non sottratte (dalla norma delegante o dalla norma delegata, quest'ultima poi posta dal decreto legislativo n. 179 del 2009) all'abrogazione automatica generalizzata, erano espunte dall'ordinamento (peraltro alcuni atti furono nel frattempo oggetto di abrogazione puntuale e ‘collettiva’, disposta mediante decretazione d'urgenza: cfr. l'articolo 24 del decreto-legge n. 112 del 2008 e l'articolo 2 del decreto-legge n. 200 del 2008).

Al contempo, la legge n. 246 del 2005 delegava il Governo ad un secondo ordine di operazioni, ossia alla semplificazione e al riassetto delle materie di volta in volta oggetto dello sfoltimento normativo connesso al ‘taglia-leggi’ (articolo 14, comma 15). Il ‘tagliar’ leggi era inteso non come obiettivo in sé stesso bensì come indissolubilmente intrecciato ad un'opera di riassetto e riordino, in cui si giocasse la vera partita della razionalizzazione normativa.

Ad esercitare un vaglio consultivo sull'operato del Governo nel procedimento ‘taglia-leggi’ era chiamata una Commissione parlamentare bicamerale per la semplificazione normativa, appositamente istituita.

La medesima Commissione bicamerale era altresì titolata (secondo la legge n. 244 del 2007: articolo 2, comma 635) a condurre un vaglio consultivo sul procedimento cd. ‘taglia-enti’ (allestito dall'articolo 26 del decreto-legge n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133; indi in parte novellato, in parte integrato da altre disposizioni - volte a ribadire in modo più stringente gli obiettivi di risparmio nonché di contenimento strutturale di spesa - recate dall'articolo 17, commi 1-9, del decreto-legge n. 78 del 2009, come convertito dalla legge n. 102).

Anch'esso era un particolare meccanismo di ‘ghigliottina’, concernente gli enti non espressamente salvati (ossia non riordinati mediante appositi regolamenti: riduzione degli enti e loro riordino erano procedimenti intersecantisi).

Peraltro, mentre il procedimento ‘taglia-leggi’ enucleava una specifica, preliminare fase di ricognizione e censimento degli atti primari vigenti, non così il ‘taglia-enti’, il quale pretermise la considerazione di tale fase istruttoria di individuazione degli enti pubblici esistenti.

    

Una nuova fase di ‘rilancio’ della semplificazione, normativa ed amministrativa, era perseguita dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”.

In quel medesimo periodo si pose altresì il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, il quale (in attuazione della legge n. 15 del 2009) interveniva in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

Tra le disposizioni della legge n. 69 del 2009 figuravano intanto alcune modificazioni dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, avente ad oggetto i regolamenti (entro il capo III, dedicato alla potestà normativa del Governo). Si prevedeva (novellando l'articolo 17, comma 2, della legge n. 400) che per i regolamenti di delegificazione debba esservi, oltre al parere del Consiglio di Stato, anche il previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia (chiamate a pronunciarsi entro trenta giorni dalla richiesta).

Ancora, si prevedeva (introducendo nell'articolo 17 il comma 4-ter) che il Governo proceda (con regolamenti aventi la forma di decreto del Presidente della Repubblica) al riordino periodico delle disposizioni regolamentari vigenti (così come alla ricognizione delle disposizioni regolamentari oggetto di abrogazione implicita, ed all'espressa abrogazione di quelle cessate negli effetti o comunque obsolete: in attuazione intervenne il d.P.R. n. 248 del 2010).

Infine si introduceva nella legge n. 400 l'articolo 17-bis, che autorizza il Governo all'adozione di testi unici compilativi (privi di forza di legge). Tali testi unici, vi si prevede, raccolgono esclusivamente disposizioni aventi forza di legge, per settori e materie omogenei (nel segno del coordinamento formale a fini di coerenza logico-sistematica nonché della ricognizione delle abrogazioni, anche implicite, intervenute). Questo articolo prevede dunque, innovativamente, una autorizzazione in via permanente al Governo per l'adozione di testi unici compilativi.

Così come si prevedeva (introducendo l'articolo 13-bis nella legge n. 400 del 1988: cfr. di questo il comma 3) che periodicamente, e comunque almeno ogni sette anni, si proceda all’aggiornamento dei codici e dei testi unici, con i medesimi criteri e procedure, previste per i testi unici compilativi appena illustrati.

Tali testi unici - compilativi - sono dunque intesi come strumento permanente di aggiornamento dei codici e dei testi unici.

Essi permangono testi unici sprovvisti di forza di legge. In quanto privi, appunto, di valore e di forza paragonabili alle disposizioni che ne formano oggetto, nel caso di contrasto tra le disposizioni contenute nel testo unico compilativo e quelle originarie, sono queste ultime a prevalere.

Ancora, figura tra le novelle alla legge n. 400 allora introdotte la previsione che la Presidenza del Consiglio dei ministri assicuri (tramite atti di indirizzo e coordinamento) che gli interventi normativi incidenti sulle materie oggetto di riordino mediante l'adozione di codici e di testi unici, siano attuati esclusivamente mediante modifica o integrazione delle disposizioni contenute nei corrispondenti codici e testi unici.

La legge n. 69 del 2009 prevedeva altresì che il Governo provveda, nell'esercizio della sua iniziativa legislativa e della sua potestà regolamentare, affinché: a) ogni disposizione abrogativa, sostitutiva, modificativa o derogatoria di altra od altre disposizioni vigenti, indichi queste ultime espressamente; b) ogni disposizione rinviante ad altre, indichi il contenuto (in forma integrale o sintetica) delle disposizioni richiamate.

Siffatte previsioni verrebbero a costituire “principi generali per la chiarezza dei testi normativi”, e sarebbero modificabili o derogabili solo in modo espresso.

Profilo connotante della legge n. 69 del 2009 era l'irradiazione ad ampio spettro delle sue disposizioni sull'azione amministrativa, in tema di tempi di conclusione del procedimento, dichiarazione di inizio attività e silenzio assenso, responsabilità della pubblica amministrazione.

E l'intero capo III della legge n. 69 era integralmente dedicato al “Piano industriale della pubblica amministrazione”.

Le disposizioni contenutevi vertono sulla trasparenza e tempestività nei procedimenti amministrativi e nell'erogazione dei servizi pubblici, e diffusione delle buone prassi; nonché sulla diffusione delle nuove tecnologie nel settore pubblico.

È inoltre a notare, della legge n. 69, come il suo articolo 44 prevedesse (assieme ad altre deleghe legislative) la delega al Governo al riordino della giustizia amministrativa. Più precisamente, l'Esecutivo era delegato al riassetto della disciplina del processo amministrativo, nel rispetto dei seguenti criteri direttivi: lo snellimento e la razionalizzazione; l'adeguamento alla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori; il coordinamento di tale disciplina con quella del processo civile (oggetto di riforma per espressa previsione della medesima legge n. 69 del 2009).

Ne è seguito il decreto legislativo n. 104 del 2010, recante il cd. codice del processo amministrativo. 

 

Da allora è stato non infrequente - al contrario, può dirsi fatto ricorrente - che provvedimenti legislativi volti a incidere sul tessuto economico o recanti ‘manovre’ finanziarie, annoverino al loro interno disposizioni di semplificazione, normativa o amministrativa.

Così fu, ad esempio, per il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica" (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010), che tra l'altro prevedeva la costituzione di "zone a burocrazia zero" nel Mezzogiorno, interveniva sulla conferenza di servizi, introduceva la segnalazione certificata di inizio attività (cd. SCIA) sostituendo la previgente disciplina in materia di dichiarazione di inizio attività, autorizzava il Governo ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione per la riduzione degli oneri amministrativi per le piccole e medie imprese.

Ed anzi l'intento di semplificazione ha concorso a dare impronta unitaria a provvedimenti incidenti, non di rado con decretazione d'urgenza, su ambiti normativi plurimi e frastagliati, sin eterogenei. La semplificazione è parsa una delle leve per promuovere lo sviluppo economico del Paese, talché la connessione, nei proponimenti del legislatore, di semplificazione ed impulso alle attività economiche, ha innervato alcuni provvedimenti. Tale il caso di un novero di provvedimenti, dal decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (come convertito dalla legge n. 106 del 2011) al decreto-legge n. 5 del 2012 (che previde l'adozione di due nuovi programmi di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi e regolatori) ai provvedimenti susseguitisi nella successiva legislatura.

 

Nella scorsa XVII legislatura (2013-2018), la semplificazione ha costituito un elemento costante di policy oggetto delle dichiarazioni programmatiche dei Governi alla loro presentazione in Parlamento. In tutti gli Esecutivi vi è stata la presenza di un ministro responsabile, oltre che per la pubblica amministrazione, anche per la semplificazione.

Alla fine del 2014, l’attuazione delle politiche di semplificazione ha acquisito un nuovo strumento: l'Agenda per la semplificazione, un piano strategico articolato in 37 azioni (individuate all'esito di un processo di condivisione tra i vari livelli istituzionali di governo, con una interlocuzione con i portatori di interessi). Non tutte le azioni richiedevano nuovi interventi normativi (ed anzi l'Agenda era ispirata all'esigenza di dare concreta attuazione a disposizioni legislative già adottate in passato, rimaste sulla carta o non ancora attuate completamente). Tuttavia nei casi in cui un intervento sulla normazione primaria fosse richiesto, si è fatto ricorso (per lo più) a grandi deleghe settoriali, relative alla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, al fisco e alla riforma del mercato del lavoro.

Circa la strumentazione - dalla programmazione degli interventi alla consultazione degli interessati - il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2017, n. 169 ha recato un "Regolamento recante la disciplina sull'analisi dell'impatto della regolamentazione, la verifica dell'impatto della regolamentazione e la consultazione". Ed era intervenuta la riscrittura dell'articolo 9 del Codice dell'amministrazione digitale (da parte del decreto legislativo n. 179 del 2016, modificativo del Codice dell'amministrazione digitale), secondo il quale la partecipazione dei cittadini al processo democratico, la promozione dell'esercizio dei diritti civili e politici e il miglioramento della qualità degli atti della pubblica amministrazione possono essere favoriti anche attraverso l'utilizzo di forme di consultazione preventiva per via telematica sugli schemi di atti da adottare.

Nel corso dunque della XVII legislatura, sono stati adottati quattro nuovi codici ed un testo unico, nelle seguenti materie:

- contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016, intervenuto in un settore già oggetto di una precedente codificazione);

- giustizia contabile (decreto legislativo n. 174 del 2016);

- Terzo settore (decreto legislativo n. 171 del 2017);

- protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2018);

- e vi è stato il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (decreto legislativo n. 175 del 2016).

Sempre nell'ottica di un impiego ordinato delle fonti del diritto, si colloca la legge n. 145 del 2016, la c.d. legge quadro sulle missioni internazionali, volta a porre fine alla concatenazione di decreti-legge in materia di missioni internazionali.

Su altro versante, quello penale, il decreto legislativo n. 21 del 2018 ha introdotto nella parte generale del codice penale il principio della riserva di codice (nuovo articolo 3-bis), in virtù del quale nuove disposizioni che prevedano reati possono essere introdotte nell'ordinamento mediante modifiche del codice penale ovvero se siano inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia. Il medesimo decreto legislativo ha provveduto a darne concreta applicazione rispetto allo stock esistente, abrogando una serie di disposizioni penali contenute in leggi speciali e trasferendone il contenuto all'interno del codice penale. L'operazione ha riguardato, in particolare, delitti riconducibili alla tutela della persona, dell'ambiente, del sistema finanziario e alla lotta alla criminalità.

Nella successione di interventi con intento semplificatorio, si è posto nella scorsa legislatura il decreto-legge n. 69 del 2013, il cui titolo II è appunto dedicato alle semplificazioni.

 

Oltre all'introduzione, in via sperimentale, dell'indennizzo a carico delle pubbliche amministrazioni in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo, ed alla previsione delle date uniche per i nuovi obblighi amministrativi (per cui gli atti normativi del Governo e gli atti amministrativi a carattere generale delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici nazionali e delle agenzie, che introducono obblighi amministrativi a carico di cittadini o imprese, debbano fissarne la data di decorrenza al 1° luglio o al 1° gennaio successivi alla loro entrata in vigore, salvo che ricorrano particolari esigenze di celerità dell'azione amministrativa o derivanti dalla necessità di dare tempestiva attuazione ad atti dell'Unione europea), il decreto-legge n. 69 recava un novero di semplificazioni di specifici procedimenti amministrativi, in materia di:

- edilizia (tra l'altro: presentazione della SCIA invece che del permesso di costruire per gli interventi edilizi che alterano la sagoma degli edifici, a parità di volumetrie e nel rispetto dei vincoli, e per quelli indirizzati al ripristino totale o parziale di edifici eventualmente crollati o demoliti; negli interventi di edilizia libera, eliminazione della dichiarazione del tecnico sull'assenza dei rapporti di dipendenza; proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori; eliminazione del silenzio-rifiuto nei procedimenti di rilascio del permesso di costruire nel caso di vincoli, ambientali, culturali e paesaggistici; introduzione del certificato di agibilità parziale; possibilità di richiedere allo sportello unico le autorizzazioni eventualmente necessarie per la realizzazione dell'intervento edilizio - sismica, paesaggistica, ecc. -, contestualmente alla presentazione della SCIA o della comunicazione di inizio dei lavori di edilizia libera);

- agricoltura (eliminazione della comunicazione di inizio attività per la vendita al dettaglio esercitata in occasione di sagre, fiere, manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico o di promozione di prodotti tipici o locali; possibilità di iniziare la vendita diretta mediante il commercio elettronico contestualmente all'invio della comunicazione al comune del luogo ove ha sede l'azienda di produzione);

- documento unico di regolarità contributiva (DURC) (estensione della sua validità da 90 a 120 giorni; estensione della possibilità di rilascio del DURC con procedura compensativa anche agli appalti pubblici e a quelli privati del settore edile);

- lavoro (semplificazione della modulistica e delle procedure per le attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali; semplificazioni in materia di documento dei rischi da interferenza, DUVRI, necessario quando nello stesso ambiente operano soggetti appartenenti a più imprese; eliminazione delle duplicazioni nella formazione attraverso il riconoscimento dei crediti formativi per la durata e i contenuti già forniti; invio della notifica preliminare per l'avvio di nuove attività per il tramite dello sportello unico; semplificazione nelle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro; modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza, del piano di sicurezza e coordinamento e del fascicolo dell'opera per i cantieri temporanei e mobili; trasmissione in via telematica di numerosi obblighi di comunicazione e notifica contenuti nel testo unico della sicurezza sul lavoro; semplificazione dei modelli per la redazione del piano di sicurezza sostitutivo; semplificazione del procedimento di denuncia infortuni);

- salute (trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza; soppressione di certificazioni sanitarie inutili);

- cittadinanza (semplificazione del procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia);

- paesaggio e ambiente (riduzione del termine per il parere del soprintendente necessario per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in presenza di un piano paesaggistico regionale approvato dal Mibact; semplificazioni in materia di acque emunte ai fini della bonifica dei siti contaminati; utilizzo di terre e rocce da scavo; materiali da riporto; autorizzazioni alle emissioni in atmosfera per attività scarsamente inquinanti, pastazzo di agrumi);

- mediazione civile e commerciale;

- fisco.

 

Anche il successivo decreto-legge n. 90 del 2014 è stato orientato in misura significativa sulla semplificazione (oltre che sullo snellimento del processo amministrativo e l'attuazione del processo civile telematico).

Esso ha previsto l'adozione dell'Agenda per la semplificazione per il triennio 2015-2018. Quest'ultimo ha indicato 37 misure prioritarie di semplificazione attinenti a 5 settori strategici di intervento: cittadinanza digitale, welfare e salute, fisco, edilizia e impresa (lo stato di avanzamento dell'attuazione è stato reso pubblico attraverso il sito www.italiasemplice.gov.it).

 

Siffatte misure si irradiavano su: diffusione del Sistema pubblico di identità digitale (SPID); completamento dell'Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente; informatizzazione del processo civile e penale; informatizzazione del processo amministrativo; diffusione dei pagamenti elettronici; definizione delle modalità di pubblicazione dei dati di bilancio e dei dati sui tempi medi di pagamento delle pubbliche amministrazioni; messa a regime della marca da bollo digitale; riduzione dei tempi per il riconoscimento dell'invalidità/disabilità; eliminazione delle duplicazioni nella richiesta di certificazioni sanitarie per l'accesso ai benefici per le persone con disabilità; accesso multicanale alle prenotazioni sanitarie e accesso on line ai referti sanitari; unificazione dell'imposta sulla casa; messa a regime della dichiarazione dei redditi precompilata per lavoratori dipendenti e pensionati; completamento della dichiarazione dei redditi precompilata con i dati relativi alle spese sanitarie; Presentazione telematica della dichiarazione di successione e delle domande di voltura catastale; semplificazione e razionalizzazione delle comunicazioni tra fisco e contribuenti, riduzione e riorganizzazione degli adempimenti fiscali; controllo fiscale; catalogazioni e schematizzazioni delle delibere comunali; evoluzione delle procedure di aggiornamento delle banche dati catastali tramite canale telematico; per quanto concerne l'edilizia, modelli unici semplificati ed istruzioni standardizzate; operatività dello sportello unico per l'edilizia (SUE) per ridurre i tempi e gli adempimenti; semplificazione dell'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità; semplificazione delle procedure preliminari; pianificazione delle procedure edilizie on line; regolamento edilizio unico; per quanto riguarda le imprese, modulistica di Sportello unico per le attività produttività (SUAP) semplificata e standardizzata e linee guida per agevolare le imprese; semplificazione delle procedure preliminari all'avvio delle attività d'impresa; operatività dell'autorizzazione unica ambientale (AUA) e modello unico semplificato; modulistica standardizzata per gli adempimenti ambientali; verifica di assoggettabilità alla valutazione d'impatto ambientale (VIA); semplificazione e coordinamento dei controlli sulle imprese;  azioni mirate in materia di sanità veterinaria e sicurezza degli alimenti tramite la digitalizzazione.

 

Ulteriori misure di semplificazione sono state inserite nel decreto-legge n. 133 del 2014: semplificazioni procedurali per le infrastrutture strategiche affidate in concessione; semplificazioni per le opere incompiute, per le procedure di scavo e di posa aerea dei cavi; disciplina semplificata del deposito temporaneo e della cessazione della qualifica di rifiuto delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto; ulteriori semplificazioni in materia di edilizia (a partire dall'introduzione del regolamento unico edilizio; semplificazioni delle procedure in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati.

Il tema della semplificazione delle procedure ha avuto poi rilievo nell'attuazione della delega fiscale (a partire dai decreti legislativi n. 175 del 2014 e n. 159 del 2015) e in materia di riforma del mercato del lavoro (con i decreti legislativi n. 149 del 2015 e n. 151 del 2015).

Semplificazioni in materia agricola sono state previste dalla legge n. 154 del 2016 e dai relativi decreti legislativi delegati.

 

Una serie di interventi sistematici di semplificazione amministrativa sono stati indi effettuati dalla legge n. 124 del 2015, recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", e dai decreti legislativi conseguentemente adottati.

In particolare, la riforma è intervenuta su vari profili degli istituti di semplificazione amministrativa disciplinati in via generale dal capo IV della legge n. 241 del 1990, recante "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi".

La legge n. 124 ha introdotto un nuovo strumento di semplificazione: il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici (nuovo articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990), che va ad affiancarsi al silenzio assenso nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e privati (già previsto dall'articolo 20 della medesima legge).

Ancora, la legge n. 124 ha dettato previsioni circa la segnalazione d'inizio attività (SCIA). Sulla base della delega contenuta nel suo articolo, sono stati adottati due decreti legislativi.

 

Il decreto legislativo n. 126 del 2016 (cd. SCIA 1) ha introdotto la disciplina generale applicabile ai procedimenti relativi alle attività private non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa e soggette a SCIA, prevedendo, in particolare: l'adozione e la pubblicazione sul sito istituzionale delle amministrazioni di moduli unificati e standardizzati che definiscano esaustivamente, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni, nonché della documentazione da allegare; l'obbligo per l'amministrazione di rilasciare immediatamente una ricevuta che attesti l'avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione o della comunicazione e indichi i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza; la concentrazione dei regimi amministrativi: se per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni o attestazioni, asseverazioni o notifiche, l'interessato può presentare un'unica SCIA allo sportello unico, ed è compito dell'amministrazione che riceve la SCIA unica trasmetterla alle altre amministrazioni interessate, affinché esse verifichino la sussistenza dei presupposto o requisiti di loro competenza. Nella stessa ottica, nel caso in cui l'attività oggetto di SCIA è condizionata all'acquisizione di atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici o amministrazioni, ovvero all'esecuzione di verifiche preventive, alla presentazione della SCIA fa seguito la convocazione della conferenza di servizi.

Con il successivo decreto legislativo n. 222 del 2016 (c.d. SCIA 2), per ogni attività (ad esempio, afferente all'area del commercio privato, del commercio su area pubblica, della somministrazione di alimenti e bevande, ecc.) è stato associato il corrispondente regime amministrativo (comunicazione, SCIA, silenzio-assenso, titolo espresso). Sulla base del decreto SCIA 2, è stato poi adottato il glossario dell'edilizia libera (con decreto ministeriale del 2 marzo 2018), contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera.

 

Il decreto legislativo n. 127 del 2016 ha riscritto integralmente la disciplina della conferenza di servizi, prevedendo, tra l'altro: la riduzione dei casi in cui la convocazione della conferenza di servizi sia obbligatoria; che la conferenza di servizi decisoria si svolga, di norma, in forma semplificata e in modalità 'asincrona', ossia tramite il semplice scambio telematico di documenti e informazioni tra i rappresentanti delle amministrazioni interessate al rilascio del provvedimento finale, senza bisogno di convocare un'apposita riunione.

 

L’articolo 4 della legge n. 124 del 2015, inoltre, ha autorizzato il Governo ad adottare un regolamento di delegificazione volto a semplificare e accelerare i procedimenti amministrativi riguardanti:

- rilevanti insediamenti produttivi;

- opere di interesse generale;

- avvio di attività imprenditoriali.

In attuazione di tale previsione, il d.P.R. n. 194 del 2016 ha dunque introdotto una procedura velocizzata per la realizzazione di interventi suscettibili di avere effetti positivi sull'economia o sull'occupazione (il c.d. fast track).

Inoltre, al fine di semplificare il sistema normativo e i procedimenti amministrativi e di dare maggiore impulso al processo di attuazione delle leggi, l'articolo 21 della legge n. 124 del 2015 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per: l'abrogazione di disposizioni di legge, entrate in vigore tra il 31 dicembre 2011 e il 28 agosto 2015, che prevedessero provvedimenti non legislativi di attuazione, oramai sprovvisti delle condizioni per essere emanati; la modifica di disposizioni di legge, al fine di favorire l'adozione dei provvedimenti attuativi da esse previsti. In attuazione della delega, il decreto legislativo n. 10 del 2016 ha abrogato quarantasei disposizioni di legge e ne ha modificate sedici.

Infine legge n. 124 del 2015 contiene disposizioni, oltre che in materia di autotutela amministrativa, di delega in materia di revisione e semplificazione delle disposizioni di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, in attuazione della quale è stato adottato il decreto legislativo n. 97 del 2016.

Adottato sulla base di una delega contenuta non nel capo I della legge n. 124 del 2015 bensì nel Capo II in materia di organizzazione dell'amministrazione dello Stato, può menzionarsi altresì il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 98, recante "Razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e di proprietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, finalizzata al rilascio di un documento unico, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera d), della legge 7 agosto 2015, n. 124", che prevede l'introduzione, a decorrere dal 1° gennaio 2019, del documento unico contenente i dati di circolazione e di proprietà degli autoveicoli. 

In attuazione della delega contenuta nell'articolo 1 della legge n. 124 del 2015, è stato adottato il decreto legislativo  n. 179 del 2016, che ha apportato numerose modifiche al Codice dell'amministrazione digitale (il c.d. CAD) di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, finalizzate a garantire ai cittadini e alle imprese, anche attraverso l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il diritto di accedere a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modalità digitale, nonché a garantire la semplificazione nell'accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità dell'accesso fisico agli uffici pubblici.

Tra i princìpi e criteri direttivi erano previste la ridefinizione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, in relazione alle esigenze di celerità, certezza dei tempi e trasparenza nei confronti dei cittadini e delle imprese, mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio «innanzitutto digitale» (digital first), nonché l'organizzazione e le procedure interne a ciascuna amministrazione.

Tra le modifiche apportate al CAD - anche in esito alle numerose correzioni e integrazioni apportate dal decreto legislativo n. 217 del 2017 - possono essere ricordate le seguenti:

- l'accesso tramite identità digitale ai servizi on line offerti dalle pubbliche amministrazioni e dai gestori dei pubblici servizi è qualificato come un diritto. Correlativamente, è sancito il diritto a servizi on line semplici e integrati: chiunque ha diritto di fruire dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni in forma digitale e in modo integrato, tramite gli strumenti telematici messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni e lo SPID, anche attraverso dispositivi mobili;

- pubbliche amministrazioni, gestori di pubblici servizi, società a controllo pubblico, professionisti tenuti all'iscrizione in albi ed elenchi e soggetti tenuti all'iscrizione nel registro delle imprese hanno l'obbligo di dotarsi di un domicilio digitale. Chiunque altro ha facoltà di farlo. A un D.P.C.M. è rimesso il compito di definire la data a decorrere dalla quale le comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni e coloro che non hanno provveduto a eleggere un domicilio digitale avverranno esclusivamente in forma elettronica. Con lo stesso decreto saranno determinate le modalità con le quali ai predetti soggetti sarà messo a disposizione un domicilio digitale e saranno individuate altre modalità con le quali, per superare il divario digitale, i documenti potranno essere consegnati a coloro che non sono in grado di accedere direttamente a un domicilio digitale. Accanto al già esistente Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, sono stati previsti l'Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi e l'Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese;

- al fine di dare attuazione al già previsto obbligo delle pubbliche amministrazioni di accettare i pagamenti con modalità informatiche, è stata demandata all'AgID la predisposizione, attraverso il Sistema pubblico di connettività, di una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati, al fine di assicurare l'autenticazione dei soggetti interessati all'operazione in tutta la gestione del processo di pagamento.

 

La XVIII legislatura registra, all'interno della compagine governativa, la presenza di un ministro per la pubblica amministrazione.

Nel governo Conte I (1° giugno 2018 - 5 settembre 2019) il ministro per la pubblica amministrazione fu titolare di funzioni, delegate dal Presidente del Consiglio, in materia di: a) lavoro pubblico, organizzazione delle pubbliche amministrazioni e sistemi di gestione orientati ai risultati; b) digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni; c) semplificazione normativa e amministrativa (d.P.C.m. 27 giugno 2018).

Nel governo Conte II (dal 5 settembre 2019), al momento di pubblicazione del presente dossier non è ancora pubblicato il decreto di delega delle funzioni al ministro per la pubblica amministrazione.

Tra i provvedimenti assunti nel corso della legislatura, il decreto-legge n. 135 del 2018 ha recato "Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione" (sul quale si rinvia al dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato). Esso è stato convertito con modificazioni dalla legge n. 12 del 2019.

Il Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2019 indi ha approvato dieci disegni di legge di delega al Governo per semplificazioni e codificazioni di settore. Fa parte di tal novero di iniziative il disegno di legge oggetto del presente dossier.

Infine, entro la legge n. 86 del 2019 ("Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione") sono contenute talune previsioni raccolte sotto un Capo III: Disposizioni di semplificazione e sicurezza in materia di sport.

 

 

 



[1]     Le stazioni appaltanti ex articolo 37 comma 1 del nuovo Codice hanno la possibilità di procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro. Per acquisti di importo superiore è necessaria la qualificazione di cui all’art.38 e si procede mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione, mentre ove la stazione appaltante non sia qualificata deve ricorrere ad una centrale di committenza ovvero ad un’aggregazione con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualifica. L’art. 37 dispone, dunque, che le stazioni appaltanti non in possesso della necessaria qualificazione procedono all'acquisizione di forniture, servizi e lavori ricorrendo a una centrale di committenza ovvero mediante aggregazione con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualifica. Una disciplina specifica è dettata per i comuni non capoluogo di provincia (art. 37, comma 4). L’art. 38 del Codice prevede, tra l’altro, che sono iscritti di diritto nell'elenco delle stazioni appaltanti qualificate il MIT, compresi i provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP, INVITALIA, nonché i soggetti aggregatori regionali di cui all'art. 9 del D.L. 66/2014.

[2]     La legge n. 239/2004 è infatti intervenuta in parallelo alla disciplina nazionale già vigente di recepimento e di esecuzione delle normative europee di settore, quali quelle di liberalizzazione dei mercati energetici, di sostegno alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica e di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, operando anche nel senso di imprimere una ulteriore apertura del mercato elettrico a favore dei clienti finali. Anche nella disciplina di recepimento della normativa europea sono declinate e dettagliate talune competenze statali e regionali.

[3]     Si ricorda che il primo pacchetto legislativo europeo in materia di liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica e del gas (direttiva 96/92/UE concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e direttiva 98/30/UE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale) è stato sostituito nel 2003 da un secondo pacchetto legislativo sul mercato interno dell'energia elettrica (direttiva 2003/54/UE), e sul mercato interno del gas (direttiva 2003/55/UE). Nell'aprile 2009, è stato adottato un terzo pacchetto legislativo volto a liberalizzare ulteriormente il mercato interno dell'elettricità e del gas. Sono state così adottate nuove direttive, quella sul mercato interno dell'UE dell'energia elettrica (2009/72/UE che abroga la direttiva 2003/54/UE), e quella sul mercato interno dell'UE del gas (2009/73/UE che abroga la direttiva 2003/55/UE), tutt’ora vigenti.