Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Iniziativa legislativa popolare e referendum |
Riferimenti: | AC N.1173/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 48/2 |
Data: | 06/03/2019 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali |
Servizio Studi
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Dossier n. 72/2
Servizio Studi
Dipartimento Istituzioni
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Progetti di legge n. 48/2
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( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea
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Parte I: Contenuto dell'A.S. n. 1089
SINTESI INTRODUTTIVA..................................................................... 7
UNA INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE 'RINFORZATA'...... 10
LE SOTTOSCRIZIONI.......................................................................... 12
AMMISSIBILITA' DEL REFERENDUM SUL PROGETTO POPOLARE................................................................................................................ 14
Rispetto della Costituzione...................................................................... 16
Iniziativa legislativa riservata................................................................. 18
Intese o accordi presupposti................................................................... 19
Procedura o maggioranza speciali di approvazione............................... 20
Mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri......................................... 20
Contenuto omogeneo.............................................................................. 22
Alterità di referendum approvativo e referendum abrogativo: un limite implicito?................................................................................................ 23
Il giudizio di ammissibilità PRESSO LA CORTE COSTITUZIONALE.............................................................................. 23
SVOLGIMENTO DEL REFERENDUM; SUO QUORUM (VALEVOLE ANCHE PER IL REFERENDUM ABROGATIVO)............................... 26
IL ‘POST-REFERENDUM’................................................................... 31
UNA LEGGE ATTUATIVA (DA APPROVARSI A MAGGIORANZA QUALIFICATA).................................................................................... 32
Parte II: Testo a fronte
Articoli 71 e 75 della Costituzione.......................................................... 37
Articolo 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953.................................. 39
Parte III: Ricognizione della disciplina vigente
La presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare.................... 43
La procedura di raccolta delle sottoscrizioni per la richiesta di referendum abrogativo ex. art. 75 Cost...................................................................... 46
I limiti di ammissibilità dei referendum abrogativi................................... 50
Il controllo dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione. Il controllo della Corte Costituzionale.................................. 54
I Comitati promotori dei referendum abrogativi nella giurisprudenza costituzionale.......................................................................................... 58
Parte IV: momenti del dibattito parlamentare
I lavori dell’Assemblea Costituente sull’articolo 71, secondo comma della Costituzione............................................................................................ 63
Le proposte di riforma costituzionale per il rafforzamento della partecipazione popolare........................................................................... 66
Parte V: Elementi di legislazione comparata
Spunti comparativi.................................................................................. 77
Iniziativa legislativa popolare e referendum in Francia, Germania e Spagna.............................................................................................. 78
La democrazia diretta in Svizzera e California.......................................... 86
Iniziative dell’Unione europea per promuovere la partecipazione dei cittadini............................................................................................. 96
Parte VI: Allegati
Proposte di legge iniziativa popolare presentate nella XVIII legislatura. 107
Referendum abrogativi svolti (dal 1974 ad oggi).................................. 111
Giunge all'esame del Senato - trasmesso dalla Camera dei deputati, che l'ha approvato in prima lettura il 21 febbraio 2019 - il disegno di legge costituzionale A.S. n. 1089, recante Disposizioni in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum.
Questo disegno di legge:
Ø modifica l'articolo 71 della Costituzione, là dove disciplina l'iniziativa legislativa popolare;
Ø modifica l'articolo 75 della Costituzione, là dove disciplina il quorum del referendum abrogativo;
Ø modifica la legge costituzionale n. 1 del 1953, là dove disciplina il vaglio preventivo di ammissibilità delle richieste di referendum condotto dalla Corte costituzionale;
Ø demanda a legge ordinaria da approvarsi a maggioranza qualificata, la disciplina di alcuni ulteriori profili relativi all'iniziativa legislativa popolare.
In particolare, il disegno di legge viene ad allestire per l'iniziativa legislativa popolare una procedura ‘rinforzata’, ossia tale da concludersi (al verificarsi di alcune condizioni di ammissibilità) con lo svolgimento di una consultazione referendaria.
Questo, qualora l'iniziativa legislativa popolare sia sorretta da un numero di sottoscrizioni di almeno 500.000 elettori.
Qualora invece l'iniziativa legislativa popolare presenti un numero di sottoscrizioni inferiore (ma comunque di almeno 50.000 elettori, requisito di sua procedibilità costituzionalmente già previsto) non si attiva la procedura ‘rinforzata’, suscettibile di approdo a referendum.
Innanzi alla iniziativa legislativa popolare qualificata (ossia recante almeno 500.000 sottoscrizioni), si viene inoltre a prevedere che non rimanga esclusiva la potestà legislativa del Parlamento.
Infatti, in tal caso il Parlamento:
ü o ‘ratifica’ quel progetto di legge popolare, entro diciotto mesi dalla sua presentazione, ed allora quest'ultimo si avvia verso la promulgazione (nulla si prevede circa il rinvio del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione);
ü o modifica in modo "non meramente formale" quel progetto di legge, ed allora sono i "promotori" (la cui figura verrebbe così costituzionalizzata) dell'iniziativa legislativa popolare a ‘disporre’ dell'ulteriore procedimento, o accettando la deliberazione parlamentare modificativa o di contro persistendo nell'attivazione del referendum. In questo secondo caso, il referendum ha ad oggetto esclusivamente l'approvazione di quel progetto d'iniziativa popolare. Solo in caso di responso referendario di reiezione del progetto popolare (o di non raggiungimento del quorum), il disegno di legge approntato dal Parlamento è sottoposto a promulgazione.
Ancora, è oggetto di modifica il quarto comma dell'articolo 75 della Costituzione, nella parte in cui richiede la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto, per l'approvazione (a maggioranza dei voti validamente espressi) della proposta soggetta a referendum abrogativo.
Ebbene si viene a modificare il quorum di validità della consultazione referendaria: non già la maggioranza bensì un quarto, degli aventi diritto.
Permane beninteso quale quorum della deliberazione referendaria la maggioranza dei voti validamente espressi (ferma restando la condizione che si esprima favorevolmente almeno un quarto degli aventi diritto).
Siffatta nuova previsione circa il quorum - si è detto, almeno un quarto degli aventi diritto al voto favorevoli - viene a valere sia per il referendum abrogativo (oggetto dell'articolo 75 della Costituzione come novellato) sia per il neo-istituito referendum approvativo della iniziativa legislativa popolare qualificata (oggetto dell'articolo 71 della Costituzione come novellato).
Si ricorda che per tutti i diversi referendum (a livello statale o ‘macro’ regionale) fin qui previsti dalla Carta costituzionale - ossia abrogativo di legge o atto avente valore di legge (articolo 75); approvativo di legge di revisione costituzionale o altra legge costituzionale (articolo 138); approvativo di modifica del territorio delle Regioni (articolo 132) - la determinazione di un quorum perché il referendum produca i suoi effetti, è stabilita in Costituzione.
Altresì è integrata la legge costituzionale n. 1 del 1953, con l’attribuzione alla Corte costituzionale della competenza su un giudizio - di nuova previsione - di ammissibilità sul referendum previsto dalle nuove disposizioni introdotte nell'articolo 71 della Costituzione ossia il referendum approvativo di progetto di legge d'iniziativa popolare sottoscritto da almeno 500.000 elettori.
Così come è prevista - in modo inedito - l'attribuzione alla Corte costituzionale di un vaglio (antecedente l'eventuale "rinunzia dei promotori") che la proposta approvata dalle Camere non possa essere sottoposta a promulgazione, per mancata conformità con il novello articolo 71, quarto comma, della Costituzione, il quale viene a prevedere le condizioni di ammissibilità del referendum approvativo.
IL REFERENDUM NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
La Costituzione prevede, quali forme di consultazione referendaria a livello statale: Ø il referendum abrogativo, in tutto o in parte, di legge o atto avente valore di legge, disciplinato dall'articolo 75; Ø il referendum (richiesto da un quinto dei membri di una Camera o da 500.000 elettori o da cinque Consigli regionali) confermativo di legge di revisione costituzionale o altra legge costituzionale, la quale non sia stata approvata nella seconda votazione conforme di ciascuna Camera a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, secondo l'articolo 138.
Solo dietro previsione di un'apposita legge costituzionale (legge 3 aprile 1989, n. 2) ed in un unico caso, si è ricorso all'istituto del referendum di indirizzo. Si svolse il 18 giugno 1989 - contestualmente alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo - con un quesito ‘consultivo’ relativo al conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo.
Nella Costituzione figura inoltre una consultazione referendaria avente oggetto delimitato - le modificazioni territoriali delle Regioni - e tale da coinvolgere solo una parte del corpo elettorale (quello territorialmente interessato). L'articolo 132, primo comma, disciplina infatti la fusione o creazione di Regioni (purché con minimo di 1 milione di abitanti, e su richiesta di tanti Consigli regionali che rappresentino almeno un terzo della popolazione interessata). La proposta di modificazione territoriale si perfeziona solo dietro approvazione con referendum, da parte della maggioranza delle popolazioni interessate. Analoga consultazione referendaria (con il medesimo quorum di deliberazione, per le popolazioni interessate) è previsto dall'articolo 132, secondo comma, per consentire (con legge statale, sentiti i Consigli regionali) il passaggio di Province o Comuni da una Regione ad altra.
Distinta previsione costituzionale concerne lo strumento di partecipazione popolare a livello regionale. L'articolo 123 della Costituzione demanda infatti agli Statuti regionali la disciplina dei referendum regionali, riguardanti "leggi e provvedimenti amministrativi della Regione". Così come prevede un referendum confermativo eventuale (su richiesta di un cinquantesimo degli elettori della Regioni o di un quinto dei componenti del Consiglio regionale), per l'approvazione (a maggioranza dei voti referendari validi) degli Statuti delle Regioni ordinarie. |
Il vigente articolo 71 della Costituzione attribuisce, al primo comma, l'iniziativa legislativa al Governo, a ciascun membro delle Camere e agli altri organi ed enti cui sia attribuita da legge costituzionale (e quindi al CNEL, articolo 99 Cost., ed ai Consigli regionali, articolo 121, secondo comma, Cost.; inoltre hanno iniziativa legislativa i Consigli comunali per le proposte di legge volte al mutamento delle circoscrizioni provinciali o l'istituzione di nuove Province, articolo 133, primo comma, Cost.).
Il secondo comma dell'articolo 71 della Costituzione attribuisce il potere di iniziativa legislativa anche ad almeno cinquantamila elettori, con l’unico vincolo della proposta di un progetto redatto in articoli.
Le modalità di presentazione di tali proposte, che possono essere sia ordinarie sia costituzionali, sono disciplinate dalla legge n. 352 del 1970 (v. infra la Parte III del presente fascicolo).
L'INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE IN PARLAMENTO
In base al vigente quadro normativo, l’esame parlamentare dei progetti di legge di iniziativa popolare si svolge sulla base delle procedure previste per l’esame dei progetti di legge presentati alle Camere. Al Senato, peraltro, a seguito dell’approvazione della riforma regolamentare del 20 dicembre 2017, è previsto che l'esame in Commissione di tali progetti di legge debba essere concluso entro tre mesi dall'assegnazione, decorsi i quali il disegno di legge viene iscritto d'ufficio nel calendario dei lavori dell'Assemblea. In questo caso, considerato che ciò avviene prima che la Commissione abbia concluso il proprio esame, l'Assemblea discuterà sul testo dei proponenti e non trovano spazio questioni incidentali, ad eccezione di quelle ammesse dalla Presidenza in quanto giustificate da nuovi elementi emersi dopo l'inizio del dibattito (art. 74). Resta ferma la previsione di una procedura accelerata per l’inizio dell’esame in sede referente: le competenti Commissioni debbono avviare l’esame dei progetti di iniziativa popolare entro un mese dal deferimento. Il Regolamento della Camera, a sua volta, richiama i progetti di legge di iniziativa popolare nelle disposizioni relative alla programmazione dei lavori (art. 24, comma 4), prevedendo che degli stessi non si tenga conto ai fini del calcolo della quota del tempo disponibile per gli argomenti indicati dai gruppi dissenzienti e di opposizione. I Regolamenti di Senato e Camera prevedono inoltre procedure particolari per l’esame dei progetti di legge d'iniziativa popolare, che siano stati presentati nella precedente legislatura senza conclusione dell'esame. Tali progetti si considerano automaticamente presentati nella successiva legislatura, e per il loro esame si possono applicare le procedure accelerate previste in via generale per l’esame di progetti già approvati nella precedente legislatura. |
Il disegno di legge in esame inserisce quattro nuovi commi nell’articolo 71 della Costituzione.
Rimane immodificato il vigente testo dell’articolo 71 nei suoi due commi disciplinanti l’iniziativa legislativa e la presentazione di progetti di legge di iniziativa popolare da parte di 50.000 elettori.
Al contempo è integrato il contenuto dell'articolo 71 con l'introduzione di una fattispecie di iniziativa legislativa popolare ‘rinforzata’, per i progetti di legge di iniziativa popolare che siano sottoscritti da almeno 500.000 elettori.
A seguito della presentazione della iniziativa legislativa popolare, sottoscritta da tal numero di firme, si innesta un procedimento che porta all’approvazione del testo da parte delle Camere entro 18 mesi oppure - nel caso in cui, nello stesso arco di tempo, le Camere non abbiano concluso l’iter parlamentare od abbiano approvato un testo con modifiche "non meramente formali" (e i proponenti non rinunzino al proprio) o abbiano respinto il progetto d'iniziativa popolare – ad una consultazione referendaria.
Dunque il disegno di legge introduce una nuova specie di referendum: quello approvativo di un progetto di legge di iniziativa popolare che sia sottoscritto da almeno 500.000 elettori.
Siffatto referendum si svolge ‘automaticamente’, nel caso di (reiezione o) mancata approvazione nel termine previsto del progetto popolare da parte del Parlamento.
Lo svolgimento del referendum è invece ‘eventuale’, nel caso di approvazione da parte del Parlamento del progetto popolare ma con modifiche "non meramente formali". Spetta in questo caso ai promotori dell'iniziativa legislativa popolare la decisione se accettare la rivisitazione del testo effettuata in sede parlamentare o di contro persistere nella via referendaria.
I promotori verrebbero così a configurarsi titolari di una funzione pubblica costituzionalmente garantita, all'interno del procedimento legislativo, in corso di svolgimento.
Infine, indizione del referendum non si ha, nel caso di modifiche solo formali da parte del Parlamento del progetto popolare.
Il vaglio circa il carattere solo formale o meno delle modifiche parlamentari è demandato ad un organo terzo, da individuarsi con la legge ordinaria attuativa della presente legge costituzionale.
Parrebbero suscettibili di approfondimento determinatezza e implicazioni della espressione: "modifiche non meramente formali" - profilo dalla cui ‘latitudine’ dipende in ultimo l'indicibilità del referendum (qualora ammissibile e se non vi sia rinunzia da parte dei promotori).
Secondo la disciplina vigente, per quanto concerne il referendum abrogativo ex articolo 75 della Costituzione, in caso di modifiche legislative che intervengano sulla disciplina oggetto di referendum, spetta ad un organo terzo - l’Ufficio centrale per i referendum della Corte di cassazione - sentiti i promotori, la valutazione se il referendum ‘si trasferisca’ dalla legislazione precedente alla legislazione sopravvenuta (sentenza n. 68 del 1978 della Corte costituzionale).
Perché si avvii la procedura ‘rinforzata’ sopra accennata, è richiesta la sottoscrizione del progetto di legge da parte di almeno 500.000 elettori.
La raccolta delle sottoscrizioni e le modalità di presentazione delle iniziative legislative popolari sono già disciplinate dalla legge n. 352 del 1970.
Essa prevede che i promotori dell'iniziativa debbano presentarsi - in numero non inferiore a 10 e muniti di certificato di iscrizione nelle liste elettorali – alla cancelleria della Corte di cassazione, per dichiarare la volontà di avviare l'iniziativa, indicando il titolo del progetto di legge.
La cancelleria redige un verbale di presentazione e provvede a far pubblicare l'annuncio dell'iniziativa nella Gazzetta Ufficiale (articolo 7, commi primo e secondo, della legge n. 352 del 1970).
In base alla legislazione vigente (v. infra la relativa scheda di approfondimento) sono soggetti abilitati ad autenticare le firme per i referendum e per le proposte di legge popolare: i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello dei tribunali, i segretari delle procure della Repubblica, i presidenti delle province, i sindaci metropolitani, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i componenti della conferenza metropolitana, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia, i consiglieri provinciali, i consiglieri metropolitani e i consiglieri comunali che comunichino (in forma scritta) la propria disponibilità, al presidente della provincia e al sindaco.
A tal proposito l'A.S. n. 859 (approvato in prima lettura dalla Camera l’11 ottobre 2018), recante norme in materia elettorale e di referendum, interviene sulla disciplina delle autenticazioni delle sottoscrizioni per i referendum previste dall'articolo 14, della legge n. 53 del 1990 e dalla legge n. 352 del 1970 (che rinvia, per le sottoscrizioni delle proposte di legge di iniziativa popolare, alla disciplina dettata sui referendum).
In particolare quel disegno di legge prevede che siano competenti alla suddetta autenticazione anche i cittadini designati dai promotori del referendum, tra coloro che siano in possesso dei requisiti previsti per lo svolgimento delle funzioni di Presidente di seggio elettorale.
Lì si prevede che a tal fine almeno tre promotori comunichino alla Corte di appello competente per territorio l'elenco dei soggetti designati, corredato dalle dichiarazioni sostitutive sul possesso dei requisiti (ai sensi degli articoli 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000).
Sono inoltre aggiunti, quali soggetti competenti alla autenticazione delle sottoscrizioni, gli avvocati che comunichino la propria disponibilità all'ordine professionale, e i consiglieri regionali.
Sotto un profilo redazionale, potrebbe rilevarsi come la disposizione venga ad utilizzare, circa la iniziativa popolare, l'espressione: “proposta di legge”. Diversamente, il vigente articolo 72 della Costituzione tratta di “ogni disegno di legge” presentato ad una Camera, ed il vigente articolo 71 menziona la “proposta di un progetto redatto in articoli” - senza dunque vi si faccia riferimento ad una “proposta di legge” (espressione che ricorre nel Regolamento della Camera dei deputati, non già nel Regolamento del Senato).
Le Camere dispongono dunque di diciotto mesi di tempo per approvare il progetto di legge di iniziativa popolare ‘rinforzata’.
Viene così previsto un termine massimo, entro il quale il Parlamento sia tenuto a concludere l’esame.
Spirato quel termine, la decisione ultima sul progetto può spettare al corpo elettorale mediante referendum.
Il termine di diciotto mesi per il Parlamento decorre, secondo la formulazione della previsione, dalla “presentazione” del progetto popolare.
Parrebbe suscettibile di approfondimento se la decorrenza del termine di diciotto mesi sia o meno ‘al netto’ del periodo (di fatto non brevissimo) occorrente per la verifica delle firme e dei relativi certificati elettorali (posto che non si utilizzano qui, per il dies a quo di decorrenza del termine, espressioni come “assegnazione” del progetto o “verifica della validità della presentazione” del progetto).
L'indizione di un referendum che approvi o respinga quel progetto popolare si innesta allorché:
ü il Parlamento non abbia approvato il progetto entro il termine di diciotto mesi
ovvero
ü il Parlamento abbia approvato il progetto entro il termine, tuttavia in un testo (non solo formalmente) diverso.
In questo secondo caso, il referendum ha luogo - sul testo d'iniziativa popolare - qualora “i promotori non vi rinunzino”.
È rimessa così alla determinazione dei promotori la valutazione - discrezionale, pare di intendere - della rispondenza di un testo legislativo approvato dal Parlamento, al contenuto ed alle finalità del progetto di iniziativa popolare.
Ma l'indizione del referendum è altresì condizionata ad altro riguardo: che la Corte costituzionale lo abbia giudicato ammissibile.
Il giudizio di ammissibilità ex ante - che è cosa diversa dal giudizio di legittimità costituzionale ex post - è effettuato dalla Corte costituzionale prima della presentazione del progetto alle Camere, purché il progetto popolare abbia raccolto almeno duecentomila firme.
L'ammissibilità si giudica dunque solo dopo il raggiungimento di 200.000 sottoscrizioni.
E l'ammissibilità si giudica secondo i parametri previsti dal nuovo quarto comma dell'articolo 71 della Costituzione.
Ove si abbia giudizio di non rispondenza ai parametri di ammissibilità, il referendum è precluso.
Parrebbe suscettibile di approfondimento se, in tal caso di inammissibilità referendaria rilevata dalla Corte costituzionale, l'iniziativa legislativa popolare cessi, di fatto, di essere ‘rinforzata’ e di differenziarsi (benché recante un più elevato numero di sottoscrizioni) dalla iniziativa popolare ‘ordinaria’, o sia piuttosto da ritenersi improcedibile tout court.
Il perimetro della ammissibilità - vale a dire l'ambito materiale precluso alla competenza referendaria - è tracciato nel modo che segue.
Si ha non ammissibilità della richiesta referendaria qualora:
Ø il progetto popolare non rispetti la Costituzione.
Ø verta su disciplina ad iniziativa riservata;
Ø verta su disciplina che presuppone intese o accordi;
Ø verta su disciplina richiedente una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione;
Ø non provveda ai mezzi per far fronte a conseguenti maggiori oneri;
Ø non abbia contenuto omogeneo.
Questa enumerazione parrebbe ‘riavvicinare’ - in certa misura - l'ambito di ammissibilità entro cui possa muovere il novello referendum approvativo a quello proprio del referendum abrogativo di cui all'articolo 75 della Costituzione. Questo dispone espressamente che il referendum "non è ammesso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali". Peraltro le cause di inammissibilità di quel referendum sono state ampliate dalla Corte costituzionale nella sua giurisprudenza (a partire dalla sentenza n. 16 del 1978), talché esso è inammissibile, tra l'altro, anche per alcune altre leggi (ad esempio quelle "a contenuto costituzionalmente vincolato", non citate nell'enumerazione del nuovo articolo 71). Il giudizio di ammissibilità è stato configurato dalla Corte costituzionale da un'angolatura logico-sistematica, nel convincimento che "esistono in effetti valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum".
Il progetto d'iniziativa popolare qualificata non può collidere con la Costituzione (rectius: disposizione costituzionale). Se ciò accada, nella rilevazione preventiva (che così acquista una maggiore latitudine) della Corte costituzionale, non è indicibile su di esso il referendum approvativo.
Siffatta delimitazione importa - per riportare un mero esempio - la non ammissibilità del referendum approvativo su materie attribuite alla competenza esclusiva o concorrente delle Regioni. Qui si tratta di iniziativa popolare di legge statale, la quale incontra il limite del riparto di competenze tracciato dall'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.
Così come si ha insuscettibilità di sottoposizione a referendum del progetto popolare che non sia rispettoso dei "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali", di cui all'articolo 117, primo comma, della Costituzione.
Sull’articolo 117, primo comma, della Costituzione (quale riscritto dalla legge di riforma del Titolo V: legge costituzionale n. 3 del 2001) si è sviluppata un’ampia giurisprudenza costituzionale, riguardo sia al sistema dei rapporti con l'ordinamento internazionale come definiti dall'articolo 10 della Costituzione sia al regime delle limitazioni di sovranità previsto dall'articolo 11 della Costituzione.
Dall’evoluzione della giurisprudenza costituzionale emerge in particolare come nei “vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea” rientrano sia il contenuto dei Trattati sia il c.d. ‘diritto derivato’ dell’Unione europea (cioè tutte le norme poste in essere dalle istituzioni dell’Unione in attuazione dei Trattati quali regolamenti e direttive; si veda ex multis la sentenza n. 129 del 2006)
La Corte ha evidenziato che “le norme dell'Unione europea vincolano in vario modo il legislatore interno, con il solo limite dell’intangibilità dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili dell’uomo, garantiti dalla Costituzione” (ex plurimis sentenze n. 102 del 2008; nn. 349, 348 e 284 del 2007; n. 170 del 1984). I principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano (sentenza n. 238 del 2014) come un "limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione" (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operano quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale (per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988).
Ma se valicano quel controlimite e fanno ingresso nell'ordinamento, le norme europee si fanno, secondo la forza formale lor conferita dalla fonte che le pone, cogenti per il legislatore italiano. Nella sentenza 129 del 2006 la Corte ha evidenziato che: “(..) le direttive fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all'art. 117, primo comma, Cost. La norma costituzionale citata, collocata nella Parte seconda della Costituzione, si ricollega al principio fondamentale contenuto nell'art. 11 Cost. e presuppone il rispetto dei diritti e dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana”.
Con la sentenza n. 227/2010 la Corte infine chiarisce che l’articolo 117, primo comma della Costituzione ha "confermato espressamente, in parte ciò che era stato già collegato all’art. 11 Cost., e cioè l'obbligo del legislatore, statale e regionale, di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario".
Dal versante dell'istituzione europea, può valere ricordare come nella 17a Dichiarazione relativa al primato, allegata all'Atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, si richiamasse espressamente il Parere del Servizio giuridico del Consiglio del 22 giugno 2007 in base al quale “dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. (…) Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia”. “Da ciò discende che il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa comunità”.
Parrebbe suscettibile di approfondimento se sia sottoponibile a iniziativa legislativa popolare ‘rinforzata’ la disciplina della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa europea.
Per quanto concerne i vincoli non già comunitari ma internazionali, rimane fermo che la Costituzione italiana all’articolo 10 dispone, al primo comma, che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle “norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”.
Quest'ultima nozione è stata ricondotta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 69 del 1976) ai “principi comuni alla generalità degli ordinamenti statuali moderni”.
Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale sviluppata in relazione ai "vincoli derivanti dagli obblighi internazionali", l'orientamento accolto dalla Corte costituzionale a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 è che il parametro costituzionale di riferimento per le norme internazionali pattizie sia l’articolo 117, primo comma, della Costituzione il quale conferisce alle norme pattizie una forza di resistenza maggiore rispetto alle leggi interne successive (sent. n. 348 del 2007), senza peraltro attribuire loro il rango costituzionale (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).
La Corte ha altresì fatto riferimento ad “un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta”: “al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire la Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma” (sent. n. 349 del 2007).
La Corte costituzionale ha altresì, in tale quadro, chiarito che le norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) "integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall'articolo 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali" (ex plurimis, ordinanze n. 21 del 2014, n. 286 del 2012, n. 180 del 2011 e n. 163 del 2010). Il significato delle disposizioni della CEDU e dei suoi Protocolli va tratto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), purché consolidata (sentenza n. 49 del 2015).
Il progetto d'iniziativa popolare qualificata non può condurre a referendum qualora verta su disciplina la cui iniziativa sia “riservata” ad altro soggetto.
Il referendum è dunque precluso su:
ü disegni di legge di conversione di decreto-legge (articolo 77 della Costituzione: iniziativa riservata al Governo).
ü legge di bilancio e rendiconto consuntivo (articolo 81, quarto comma della Costituzione: iniziativa riservata al Governo);
ü istituzione di Commissioni parlamentari d'inchiesta (articolo 82, deliberazione riservata a ciascuna Camera).
Relativamente al limite previsto per il referendum abrogativo ex articolo 75 della Costituzione delle “leggi tributarie e di bilancio”, le pronunce di inammissibilità della Corte costituzionale hanno svolto alcune argomentazioni fondate sul criterio di stretta connessione con le leggi di bilancio.
Secondo la Corte, a tale principio (in particolare sentenze n. 2 del 1994 e n. 12 del 1995) deve farsi ricorso per valutare, nei singoli casi, se le leggi che assumono funzione di provvedimenti ‘collegati’ alla (allora) legge finanziaria, al di là della loro qualificazione formale, di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum, presentino "effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività" delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa.
Questo stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l'indispensabile equilibrio finanziario. Si tratta di leggi che non si limitano a porre discipline ordinamentali prive di diretti effetti finanziari ma che, incidendo in modo rilevante nell'ambito di operatività delle leggi di bilancio, non sono suscettibili di valutazioni frazionate ed avulse dal quadro delle compatibilità generali, quali inevitabilmente risulterebbero da una determinazione referendaria che si esprime su un solo elemento del quadro complessivo.
Nella sentenza n. 11 del 1995, la Corte ha sostenuto la evidente inscindibile connessione del meccanismo normativo del sostituto d'imposta, oggetto di richiesta referendaria, con l'imposta sul reddito e, di conseguenza, con le disposizioni legislative che la disciplinano. Peraltro lì si trattava di referendum abrogativo, per il quale vige il limite delle leggi, oltre che di bilancio, tributarie.
Parrebbe suscettibile di approfondimento se la dicitura "iniziativa legislativa riservata" - non essendo scritto: "costituzionalmente riservata" - si riferisca anche ad iniziative legislative riservate al Governo da disposizione di legge ordinaria (ad esempio: la legge europea e la legge di delegazione europea, ai sensi della legge n. 234 del 2012, articolo 29; la legge annuale per il mercato e la concorrenza, ai sensi della legge n. 99 del 2009, articolo 47).
Nemmeno può aversi referendum approvativo qualora la disciplina
abbia presupposti "intese o accordi".
Questa delimitazione pare precludere il referendum su:
ü leggi di recepimento degli accordi con la Santa Sede per la modifica dei Patti Lateranensi, di cui all’articolo 7 della Costituzione;
ü leggi di recepimento delle intese con confessioni religiose diverse dalla cattolica, di cui all’articolo 8 della Costituzione;
ü leggi che autorizzano la ratifica di trattati internazionali, ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione;
ü leggi di attuazione di intese con le Regioni per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Il riferimento pare essere a:
ü le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione;
ü le leggi di amnistia e d'indulto, ai sensi dell’articolo 79 della Costituzione;
ü l'autorizzazione al ricorso all'indebitamento (riservata alle Camere, che deliberano a maggioranza assoluta dei componenti, secondo l'articolo 81, secondo comma della Costituzione);
ü la legge che definisce il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 81, sesto comma, della Costituzione);
ü le già richiamate (v. supra) leggi per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, le quali devono essere approvate dalla Camere a maggioranza assoluta dei componenti (sulla base di intesa con le Regioni interessate);
ü le leggi sulle variazioni territoriali di cui all'articolo 132, secondo comma (trasferimento di Comune o Provincia da una Regione ad altra) ed all'articolo 133, primo comma (mutamento di circoscrizione provinciale o istituzione di nuova Provincia) della Costituzione;
ü la legge di disciplina del novello referendum approvativo (secondo la modificazione qui disposta dell'articolo 71 della Costituzione), per la quale sarebbe prevista un'approvazione a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
L’espressione riprende la formulazione del terzo comma dell’articolo 81 della Costituzione (“ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”).
Pertanto, per effetto della regola di copertura, ogni norma - anche di iniziativa legislativa popolare qualificata - che comporti una nuova o maggiore spesa o una riduzione di entrate, deve essere corredata di una clausola finanziaria che identifichi i mezzi per compensare i relativi effetti onerosi.
Dall'obbligo costituzionale di copertura discende la necessità di una corretta determinazione degli oneri derivanti da ciascuna norma, in termini quantitativi come qualitativi (spesa capitale o corrente) e temporali (esercizi finanziari nei quali si manifesteranno gli oneri).
E se rispetto alla delimitazione di ammissibilità valevole per il referendum abrogativo ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione, il novello referendum approvativo si discosta per non escludere le leggi tributarie, tuttavia l'iniziativa legislativa popolare ancorché ‘rinforzata’ non è del tutto franca in questa materia, perché sottoposta al vincolo della copertura finanziaria.
Nel giudizio di ammissibilità del referendum approvativo, la Corte costituzionale è chiamata dunque a valutare altresì la congruità della quantificazione e copertura degli oneri finanziari.
È rimessa alla legge attuativa della presente legge costituzionale la disciplina delle “modalità di verifica dei mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri anche in relazione al loro adeguamento da parte dei promotori”.
Quest’ultima previsione tiene conto del fatto che le fonti di copertura finanziaria individuate dal progetto di iniziativa popolare sono destinate presumibilmente a variazione e rimodulazione una volta trascorso il termine previsto perché possa adirsi il referendum (nel caso in cui le Camere non approvino od approvino un testo diverso rispetto a quello di iniziativa popolare qualificata).
In attuazione dell'articolo 81 della Costituzione, la legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) disciplina, all'articolo 17, gli strumenti e le modalità per la corretta determinazione degli oneri e dei relativi mezzi di copertura.
La quantificazione e copertura dell'onere sono affidati ad analisi da svolgere all'interno di uno specifico procedimento, i cui esiti sono oggetto di verifica tecnica in sede parlamentare. Il procedimento di quantificazione è essenzialmente incentrato sulla relazione tecnica, ossia su un documento, predisposto dal Governo e sottoposto a verifica da parte dei competenti organi parlamentari, con il quale si dà conto degli oneri e delle coperture e, più in generale, dell'impatto sulla finanza pubblica delle nuove normative oggetto di esame presso le Camere.
La verifica parlamentare delle quantificazioni è svolta principalmente nel quadro dell'attività consultiva delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, ove le quantificazioni operate dalla relazione tecnica sono sottoposte a verifica al fine di valutarne la coerenza sul piano del procedimento logico-matematico, dell'attendibilità delle ipotesi e della validità dei metodi adottati, dell'affidabilità dei dati utilizzati, della rispondenza delle stime al contenuto delle norme. Sulla base dell'istruttoria tecnica svolta e degli ulteriori elementi raccolti, la Commissione Bilancio formula un parere, adottato mediante una votazione. Gli effetti dei pareri espressi dalla Commissione Bilancio sono disciplinati dai Regolamenti parlamentari.
In base all'articolo 17 della legge n. 196 del 2009, la copertura finanziaria dei nuovi o maggiori oneri può avvenire esclusivamente attraverso:
- utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel triennio compreso nel bilancio pluriennale;
- modifica o soppressione dei parametri che regolano l'evoluzione della spesa, da cui derivino risparmi di spesa;
- riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;
- modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate.
La copertura delle leggi è soggetta a verifica in Parlamento con riguardo all'impatto di ciascuna norma su tre saldi di finanza pubblica: il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e l'indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni.
Il progetto popolare è suscettibile di condurre a referendum solo se presenti "contenuto omogeneo".
L’omogeneità di contenuto è requisito di ammissibilità del referendum abrogativo sin dalla sentenza n. 16 del 1978 (v. infra, entro la Parte III del presente fascicolo).
Tale requisito deve dunque esser tenuto presente anche ai fini della presentazione del progetto di iniziativa popolare.
Esso può assumere altresì rilievo nel corso del relativo iter parlamentare di esame, con riguardo sia alle proposte di legge eventualmente da abbinare sia ai requisiti di ammissibilità delle proposte emendative.
Il requisito dell’omogeneità di contenuto è prescritto per la decretazione d’urgenza: a tacere delle previsioni dell’articolo 15 della legge n. 400 del 1988, la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 22 del 2012) ha fatto riferimento ad “una intrinseca coerenza delle norme”, dal punto di vista oggettivo e materiale o funzionale e finalistico, della decretazione d'urgenza.
Si ricorda che, per quanto riguarda il referendum abrogativo, la Corte costituzionale ha avuto modo (fin dalla sentenza n. 16 del 1978) di ravvisare una condizione di ammissibilità nella "matrice razionalmente unitaria" del quesito referendario.
Invero il testo non esclude espressamente la possibilità che l’iniziativa legislativa popolare ‘rinforzata’ disponga l’abrogazione di una legge o di un atto avente valore di legge.
La medesima procedura potrebbe essere pertanto utilizzata (in assenza di specifiche limitazioni) anche per la mera “abrogazione, totale o parziale, di una legge o di atto avente valore di legge”?
La disciplina costituzionale posta dall'articolo 75 per il referendum abrogativo e dal novellato articolo 71 per il referendum approvativo invero non collimano, posta la non coincidenza di ambiti materiali su cui possano intervenire e la possibilità solo per il secondo di un giudizio di ammissibilità ‘anticipato’, ossia una volta raccolte 200.000 sottoscrizioni.
Parrebbe suscettibile di approfondimento se il procedimento referendario ex articolo 75 della Costituzione sia o meno ‘assorbibile’ dalla procedura in esame.
Oltre ai richiamati parametri di ammissibilità, il nuovo articolo 71 della Costituzione, definito dal disegno di legge in commento, non pone limiti di materia per l’iniziativa legislativa popolare ‘rinforzata’ e per il testo oggetto di votazione referendaria.
In assenza di ulteriori limiti di materia, il progetto di legge da sottoporre a consultazione referendaria nel termine di 18 mesi (salvo che il Parlamento lo abbia approvato o che i promotori vi rinunzino) potrebbe dunque vertere, a titolo esemplificativo, su materie quali fattispecie penali, disciplina fiscale, difesa e sicurezza, ed anche le modalità di elezione del Parlamento.
Il giudizio di ammissibilità del referendum approvativo del progetto popolare è attribuito alla Corte costituzionale.
A tal fine viene novellata la legge costituzionale n. 1 del 1953, recante “Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale”.
Già il vigente articolo 2 di tale legge costituzionale sancisce che alla Corte costituzionale competa giudicare se le richieste di referendum abrogativo, presentate a norma dell'articolo 75 della Costituzione, siano ammissibili.
Alla legge che disciplina lo svolgimento del referendum popolare (è la legge n. 352 del 1970) spetta la definizione delle modalità di tale giudizio.
La modifica costituzionale ora prospettata aggiunge, tra le competenze della Corte costituzionale, il giudizio sull’ammissibilità delle richieste di referendum a norma dell’articolo 71 della Costituzione.
Le modalità del giudizio sono da stabilirsi con la legge attuativa, cui rinvia il novello ultimo comma dell'articolo 71 della Costituzione.
Tale giudizio sull’ammissibilità è previsto svolgersi “prima della presentazione della proposta di legge alle Camere, purché siano state raccolte almeno 200.000 firme”.
Per quanto riguarda la verifica del “raggiungimento di 200.000 sottoscrizioni” si ricorda che attualmente, per il referendum abrogativo ex articolo 75 della Costituzione, dopo la raccolta di 500.000 sottoscrizioni si svolge un duplice vaglio: il controllo di legittimità-regolarità, condotto dall'Ufficio centrale per il referendum, presso la Corte di Cassazione; il giudizio di ammissibilità (quanto ad oggetto e contenuto della richiesta di referendum), condotto dalla Corte costituzionale (v. infra, entro la Parte III).
In particolare – in base al vigente art. 28 della legge n. 352 del 1970 – sono depositati presso la cancelleria della Corte di cassazione tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi. Tale deposito deve essere effettuato da almeno tre dei promotori, i quali dichiarano al cancelliere il numero delle firme che appoggiano la richiesta. Alla scadenza del 30 settembre, l'Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione esamina tutte le richieste depositate, allo scopo di accertare che esse siano conformi alle norme di legge, esclusa la cognizione dell'ammissibilità, ai sensi del secondo comma dell'articolo 75 della Costituzione, la cui decisione è demandata alla Corte costituzionale.
Per i progetti di legge di iniziativa popolare invece una volta raccolte le firme e i relativi certificati elettorali, il progetto è presentato ad una delle due Camere; dell’avvenuta presentazione è data comunicazione all’Assemblea. La stampa del progetto di legge e la sua assegnazione sono invece subordinate alla successiva verifica e al computo delle firme, necessarie per accertare la regolarità dell'iniziativa (articolo 48, secondo comma, della legge n. 352 del 1970) e compiute dalla Camera in cui è presentato il progetto.
Il novello ultimo comma dell'articolo 71 quale ora inserito rinvia ad una legge attuativa ‘rinforzata’ - da approvarsi “a maggioranza assoluta da entrambe le Camere” - la definizione delle modalità di attuazione della nuova disciplina.
Ebbene, è demandata a quella sede la determinazione del soggetto competente alla verifica e al computo delle firme nella prima fase (una volta raccolte 200.000 firme, ai fini del giudizio di ammissibilità del referendum).
Come pare demandato a quella legge attuativa stabilire se al medesimo soggetto, per assicurare uniformità in sede applicativa, competa altresì la verifica della regolarità delle successive 300.000 firme, nel caso di esito positivo del giudizio della Corte costituzionale.
Potrà in tale quadro esser chiarito - secondo profilo innanzi già richiamato nell'esposizione - se un giudizio negativo di ammissibilità sull’eventuale referendum faccia derivare un’improcedibilità per il progetto di iniziativa popolare qualificata (che quindi non potrebbe neanche essere presentato alle Camere ai fini dell’iter ordinario previsto dal vigente articolo 71, secondo comma, della Costituzione) o soltanto una sua ‘assimilazione’ a progetto di iniziativa popolare non qualificata.
È infine previsto che il giudizio sull’ammissibilità del referendum che compete alla Corte costituzionale sia anche sul testo approvato dalle Camere.
Tale giudizio si colloca dopo il vaglio (da parte di organo da individuarsi con la legge attuativa) del carattere "non meramente formale" delle modificazioni parlamentari e rima della eventuale rinuncia da parte dei promotori.
I parametri di ammissibilità sono i medesimi del progetto d'iniziativa popolare qualificata, quali definiti dal novello quarto comma dell’articolo 71 della Costituzione (v. supra).
Invero, la ratio della previsione di tale vaglio sul testo parlamentare era agevole da intendere - nella volontà di una ‘paritaria’ configurazione delle due iniziative legislative - sulla scorta della previsione (originariamente contenuta nell'A.C. n. 1173) di un possibile ‘ballottaggio’ referendario tra due testi, popolare e parlamentare. Sulla scorta della previsione infine approvata dalla Camera dei deputati nella prima lettura del presente provvedimento, secondo cui il referendum è invece solo sul testo popolare (ed in caso di esito negativo referendario, si avvia a promulgazione il testo parlamentare), parrebbe meno intuitivo un vaglio di ammissibilità del referendum su un testo, quello parlamentare, che oggetto direttamente di deliberazione referendaria non può essere. D'altro canto, potrebbe ritenersi che la deliberazione referendaria abbia altresì ad oggetto, seppur implicitamente, il testo (eventualmente) predisposto dal Parlamento, o che si voglia ‘garantire’ i promotori dell'iniziativa popolare circa una sorta di omogeneità, rispetto al loro progetto, del testo parlamentare - posto che il vaglio su quest'ultimo da parte della Corte costituzionale si colloca prima della eventuale rinuncia da parte dei promotori.
Quale che sia la ratio della previsione di siffatto vaglio circa l'ammissibilità del testo parlamentare, parrebbe suscettibile di approfondimento se le disposizioni approntate dal Parlamento ‘in alternativa’ a quelle d'iniziativa popolare qualificata possano o meno essere recate, ad esempio, da un disegno di legge di bilancio od un disegno di legge di conversione di decreto-legge - sempre che non si intenda che la specialità della decretazione per motivi di necessità ed urgenza sia tale da ‘travolgere’ il raccordo procedimentale delle due iniziative, popolare e parlamentare, quale congegnato dal testo.
Se referendum sia stato indetto (per mancata approvazione parlamentare nel termine di diciotto mesi del progetto popolare, o per difforme approvazione parlamentare senza che i promotori rinunzino al proprio testo), esso si svolge sul progetto popolare.
Quest'ultimo risulta approvato se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi, purché “superiore a un quarto degli aventi diritto al voto”.
Ai sensi dell’articolo 48 della Costituzione “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”. L’articolo 75 della Costituzione dispone (per il referendum abrogativo) espressamente che “hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati”.
Considerando i dati relativi alle ultime elezioni politiche (4 marzo 2018) gli aventi diritto al voto per le elezioni della Camera dei deputati sono stati 46.604.925 (dati Ministero dell’interno).
Su quel dato, la soglia per l’approvazione del referendum corrispondente ad “un quarto degli aventi diritto al voto”, sarebbe pari a 11.651.231 voti validi favorevolmente espressi.
La formulazione del disegno di legge in esame circa l'oggetto del referendum approvativo è stata assai modificata rispetto a quella originaria (dell'A.C. n. 1173, non già dell'A.C. n. 726, l'altra proposta presentata su tale riforma costituzionale) durante l'esame presso la Camera dei deputati.
Quella originaria proposta infatti prevedeva - per il caso di approvazione da parte delle Camere di un testo diverso da quello d'iniziativa popolare qualificata e di non rinunzia al proprio testo da parte dei promotori - che il referendum fosse indetto su “entrambi i testi” (parlamentare e popolare).
E l’elettore esprimentesi a favore di ambedue i testi, avrebbe potuto indicare una preferenza per un testo.
Sarebbe stato promulgato il testo che avesse “ottenuto complessivamente più voti” (nel caso in cui entrambi i testi fossero stati “approvati” dal corpo referendario).
Era dunque previsto una sorta di ‘ballottaggio’ referendario tra i due testi, popolare e parlamentare.
Tale previsione è stata superata dalla deliberazione dell'Assemblea della Camera dei deputati in prima lettura.
La nuova previsione è che il referendum approvativo abbia ad oggetto esclusivamente il testo popolare.
Qualora il referendum dia esito negativo - ossia a favore del testo popolare non si siano espressi almeno un quarto degli aventi diritto e la maggioranza dei voti validi espressi - si intende (tacitamente) approvato dal corpo referendario il testo parlamentare.
In base agli articoli 73 e 74 della Costituzione:
ü “le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione”;
ü “il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.
Parrebbe suscettibile di approfondimento se e in che termini tale previsione costituzionale circa il rinvio da parte del Presidente della Repubblica possa trovare applicazione per i progetti di iniziativa popolare che abbiano conseguito un esito favorevole nel referendum svolto ai sensi del nuovo articolo 71 della Costituzione.
UNA SUGGESTIONE SVIZZERA L’impostazione del ‘ballottaggio’ referendario tra i due testi, popolare e parlamentare, evocava il modello svizzero (su cui v. anche infra, entro la Parte V del presente fascicolo). Nell’ordinamento svizzero – per le iniziative di modifica della Costituzione –l’articolo 76 della Legge federale sui diritti politici disciplina il voto in caso di Controprogetto diretto approvato dal Parlamento (unitamente alle previsioni dell’art. 139b della Costituzione federale) disponendo che: “Se l'Assemblea federale adotta un controprogetto, ai votanti sono poste sulla stessa scheda tre domande. Ogni votante può dichiarare senza riserve: a. se preferisce l'iniziativa popolare al diritto vigente; b. se preferisce il controprogetto al diritto vigente; c. quale dei due testi dovrà entrare in vigore nel caso in cui Popolo e Cantoni li abbiano preferiti entrambi al diritto vigente. La maggioranza assoluta è accertata separatamente per ogni domanda. Non è tenuto conto delle domande lasciate senza risposta. Se risultano accettati sia l'iniziativa sia il controprogetto, è determinante l'esito della terza domanda. Entra in vigore il testo che, secondo le risposte a questa domanda, ha raccolto il maggior numero di voti del Popolo e dei Cantoni. La scheda elettorale è così formulata: Più nel dettaglio, in Svizzera se i cittadini propongano una modifica della Costituzione federale, affinché tale iniziativa possa essere sottoposta a votazione è necessario raccogliere 100.000 firme ed è necessario istituire un Comitato d’iniziativa. Un’iniziativa può essere presentata sotto forma di testo già elaborato o di proposta generica, sebbene sia più frequente il primo caso. Il Parlamento decide se l’iniziativa rispetta i principi di unità della forma e di unità della materia, nonché le disposizioni cogenti del diritto internazionale. In caso contrario, può dichiararla nulla. Se il Parlamento la dichiara valida, l’iniziativa popolare è sottoposta al voto popolare. Il Consiglio federale e il Parlamento possono, tuttavia, decidere di contrapporle, direttamente o indirettamente, un altro progetto. Nel primo caso il Parlamento può proporre una diversa modifica della Costituzione. Se il Comitato d’iniziativa non ritira la sua iniziativa, il controprogetto è sottoposto a votazione contemporaneamente all’iniziativa popolare in questione. Nel secondo caso, il Parlamento non propone una modifica della Costituzione, ma una modifica di legge o una nuova legge. Se il Comitato non ritira la sua iniziativa, il controprogetto indiretto entra in vigore qualora l’iniziativa venga rifiutata. L’iniziativa viene quindi sottoposta al voto del popolo e dei cantoni (a meno che i fautori non la ritirino). Per essere accettata deve ricevere l’approvazione della maggioranza del corpo elettorale e dei cantoni (cosiddetta “doppia maggioranza”). Per la maggioranza dei Cantoni si considerano i risultati ottenuti nei singoli Cantoni. Se la maggioranza dei votanti di un Cantone ha votato sì, anche il voto del Cantone in questione sarà un sì. Maggioranza dei Cantoni significa che è stata raggiunta la maggioranza dei voti dei Cantoni. Qualora la maggioranza dei votanti e dei cantoni sia favorevole tanto all’iniziativa quanto al controprogetto, si applica una regola speciale. Determinante in questo caso è la cosiddetta “domanda risolutiva”, ossia la terza domanda posta sulla scheda di voto. Rispondendo a questa domanda, i votanti indicano se, nel caso in cui entrambi i progetti siano approvati, preferiscono l’iniziativa o il controprogetto. Entra in vigore il progetto a cui la maggioranza dei votanti e dei cantoni ha dato la preferenza nella domanda risolutiva. È possibile per l’elettore non rispondere alla domanda risolutiva, nel qual caso il voto dato all’iniziativa e al controprogetto rimane tuttavia valido[1]. Non è necessario raggiungere un quorum o una partecipazione minima al voto. Il risultato dell’iniziativa è giuridicamente vincolante e comporta la modifica della Costituzione. Il Parlamento conserva un margine di manovra nel momento di elaborazione delle leggi di applicazione dell’iniziativa. |
Il quorum previsto dalla novella disposizione - ossia l'approvazione a maggioranza dei voti validi espressi, purché superiore ad un quarto degli aventi diritto al voto - è disposto valga anche per il referendum abrogativo disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione.
Pertanto è soppressa la vigente previsione che richiede per quel referendum un quorum partecipativo pari alla “maggioranza degli aventi diritto”.
In luogo di essa, è introdotto - per l’approvazione della proposta soggetta a referendum - il requisito della maggioranza dei voti validi “purché superiore ad un quarto degli aventi diritto al voto”.
Nella tabella che segue sono confrontati i dati relativi a corpo elettorale, votanti, voti validi e non, schede bianche, delle elezioni politiche svolte dal 2001 al 2018.
Quanto ai dati della partecipazione ai referendum abrogativi svolti dal 1974 ad oggi, si rinvia a successiva apposita sezione del presente dossier.
|
|
2001 |
2006 |
2008 |
2013 |
2018 |
Elettori |
Camera |
49.256.295 |
46.997.601 |
47.041.814 |
46.905.154 |
46.604.925 |
Senato |
44.499.794 |
42.232.467 |
42.358.775 |
42.270.824 |
42.871.428 |
|
Votanti |
Camera |
40.085.397 |
39.298.497 |
37.874.569 |
35.270.926 |
33.923.321 |
(81,38%) |
(83,62%) |
(80,51%) |
(75,2%) |
(72,93%) |
||
Senato |
36.189.394 |
35.262.679 |
34.058.405 |
31.751.350 |
31.231.814 |
|
(81,32%) |
(83,50%) |
(80,40%) |
(75,11%) |
(72,84%) |
||
Voti validi |
Camera |
37.122.776 |
38.153.343 |
36.457.254 |
34.005.755 |
32.840.055 |
Senato |
33.871.262 |
34.162.615 |
32.774.339 |
30.617.901 |
30.213.874 |
|
Voti non validi |
Camera |
1.274.012 (3,17%) |
705.868 (1,79%) |
931.445 (2,45%) |
869.892 (2,46%) |
692.855 (2,04%) |
Senato |
1.035.616 (2,86%) |
637.709 (1,80%) |
835.559 (2,45%) |
761.148 (2,39%) |
644.686 (2,06%) |
|
Schede bianche |
Camera |
1.688.609 |
439.286 |
485.870 |
395.279 |
389.441 |
Senato |
1.282.516 |
462.355 |
448.507 |
369.301 |
376.765 |
Quanto alla disciplina vigente sul periodo di svolgimento del referendum abrogativo, si ricorda infine che in base all’articolo 31 della legge n. 352 del 1970, "non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime".
Inoltre "nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse". "I termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365mo giorno successivo alla data della elezione" (articolo 34).
Andrà quindi valutato, da parte del legislatore attuativo, in quale modo le disposizioni che presiedono allo svolgimento del referendum abrogativo, come la citata prescrizione correlata alla piena ‘operatività’ delle Camere, trovino applicazione per il nuovo istituto referendario approvativo di iniziativa legislativa popolare qualificata.
Lo stesso può dirsi per la previsione della legge n. 352 del 1970 (articolo 38) secondo cui, in caso di esito negativo del referendum sul quale sia stato raggiunto il quorum di partecipazione, la medesima proposta di referendum non possa essere nuovamente presentata per cinque anni.
Può valere ricordare come - per quanto riguarda il referendum abrogativo - la Corte costituzionale (già con le sentenze n. 32 e 33 del 1993) abbia evidenziato che il legislatore, pur dopo l’accoglimento della proposta referendaria abrogativa, conservi la facoltà di intervenire nella materia oggetto di referendum, incontrando tuttavia un limite nel “divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare”.
Invero potrebbe sorgere l'interrogativo se dalla iniziativa legislativa popolare ‘rinforzata’ corroborata da esito favorevole conseguito nel referendum approvativo, possa conseguire una qualche maggior ‘resistenza’ a modificazione, rispetto al successivo svolgersi della ordinaria funzione legislativa parlamentare.
Vale ricordare come la sentenza n. 199 del 2012 della Corte Costituzionale abbia dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione in quanto lesiva del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall'articolo 75 della Costituzione.
Così argomentava quella sentenza: "un simile vincolo derivante dall'abrogazione referendaria si giustifica, alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che l'esito della consultazione popolare, che costituisce esercizio di quanto previsto dall'art. 75 Cost., venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l'effetto utile, senza che si sia determinato, successivamente all'abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto".
Viene demandata ad una attuativa legge ordinaria, da approvarsi a maggioranza assoluta da entrambe le Camere, la disciplina dell'attuazione delle nuove disposizioni dell'articolo 71 della Costituzione.
In particolare, viene fatto espresso riferimento (ancorché non esclusivo, pare da intendersi) alla disciplina dei seguenti profili:
ü il concorso di più proposte di legge d'iniziativa popolare;
ü il loro numero massimo (onde disciplinare, può dirsi, l'incidenza e gli effetti tra l'altro sulla programmazione dei lavori delle Camere, che risulterebbe assai incisa nel caso in cui fosse presentato un numero elevato di proposte di legge in un periodo limitato di tempo);
ü le modalità di verifica dei mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri, anche in relazione al loro eventuale adeguamento da parte dei promotori;
ü le modalità per assicurare eguale conoscibilità della proposta d'iniziativa popolare e di quella approvata dalle Camere o della normativa vigente;
ü la sospensione del termine previsto per l'approvazione del progetto popolare, nel caso di scioglimento delle Camere;
ü le modalità del giudizio sull'ammissibilità del referendum approvativo, da parte delle Corte costituzionale;
ü le modalità del vaglio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale, dell'eventuale testo approvato dal Parlamento ‘alternativo’ o comunque sostanzialmente modificativo del progetto d'iniziativa popolare rinforzata;
ü la individuazione di un organo terzo che verifichi se il testo approvato dalle Camere abbia apportato modifiche non meramente formali alla proposta di iniziativa popolare presentata (ai fini della sua sottoponibilità a referendum).
Testo a fronte tra la Costituzione vigente e la legge costituzionale n. 1 del 1953 e l'A.S. n. 1089
Costituzione Testo vigente |
Costituzione A.S. n. 1089 |
Articolo 71 |
Articolo 71 |
L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. |
Identico |
Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli. |
Identico |
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Quando una proposta di legge è presentata da almeno cinquecentomila elettori e le Camere non la approvano entro diciotto mesi dalla sua presentazione, è indetto un referendum per deliberarne l’approvazione. Se le Camere la approvano con modifiche non meramente formali, il referendum è indetto sulla proposta presentata, ove i promotori non vi rinunzino. La proposta approvata dalle Camere è sottoposta a promulgazione se quella soggetta a referendum non è approvata. |
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Il referendum non è ammissibile se la proposta non rispetta la Costituzione, se è ad iniziativa riservata, se presuppone intese o accordi, se richiede una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione, se non provvede ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri che essa importi e se non ha contenuto omogeneo. |
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La proposta sottoposta a referendum è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi, purché superiore a un quarto degli aventi diritto al voto. |
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Con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera sono disciplinati l’attuazione dell’iniziativa legislativa esercitata da almeno cinquecentomila elettori e del relativo referendum, il concorso di più proposte di legge di iniziativa popolare, il loro numero massimo, le modalità di verifica dei mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri anche in relazione al loro eventuale adeguamento da parte dei promotori, le modalità per assicurare eguale conoscibilità della proposta d'iniziativa popolare e di quella approvata dalle Camere o della normativa vigente, nonché la sospensione del termine previsto per l’approvazione della proposta nel caso di scioglimento delle Camere. |
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Articolo 75 |
Articolo 75 |
È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. |
Identico |
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. |
Identico |
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. |
Identico |
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. |
La proposta soggetta a referendum è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, purché superiore a un quarto degli aventi diritto al voto. |
La legge determina le modalità di attuazione del referendum. |
Identico |
L. cost. 1/1953 Testo vigente |
L. cost. 1/1953 A.S. n. 1089 |
Articolo 2 |
Articolo 2 |
Spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell'art. 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso. |
Identico |
Le modalità di tale giudizio saranno stabilite dalla legge che disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare. |
Le modalità di tale giudizio saranno stabilite dalla legge che disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare, prevedendo che la Corte costituzionale giudichi non prima che siano state raccolte almeno duecentomila firme. |
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Spetta, altresì, alla Corte costituzionale giudicare sull’ammissibilità delle richieste di referendum di cui all’articolo 71 della Costituzione. |
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Sull’ammissibilità del referendum di cui all’articolo 71 della Costituzione la Corte costituzionale giudica prima della presentazione della proposta di legge alle Camere, purché siano state raccolte almeno duecentomila firme. |
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Spetta altresì alla Corte costituzionale dichiarare, prima dell'eventuale rinunzia dei promotori, che la proposta approvata dalle Camere non può essere sottoposta a promulgazione, se non è conforme all'articolo 71, quarto comma, della Costituzione. Prima di tale giudizio un organo terzo, individuato dalla legge di cui all'articolo 71, sesto comma, della Costituzione, verifica se il testo approvato dalle Camere abbia apportato modifiche non meramente formali alla proposta di iniziativa popolare presentata. |
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Le modalità dei giudizi di cui al terzo, quarto e quinto comma del presente articolo sono stabilite dalla legge di cui all’articolo 71, sesto comma, della Costituzione. |
L’articolo 71, comma secondo, della Costituzione prevede che il popolo eserciti l’iniziativa delle leggi mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.
Le norme di attuazione di tale disposizione sono state dettate con gli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.
Non sono previste particolari limitazioni al contenuto delle proposte, che potranno pertanto assumere la forma sia di progetti di legge ordinaria, sia costituzionale e riguardare qualsiasi argomento, eccezion fatta per gli ambiti in cui possono incidere esclusivamente progetti di legge ad iniziativa riservata (ad esempio, i progetti di legge di approvazione del bilancio e del rendiconto dello Stato, i progetti di legge di conversione di decreto-legge).
I promotori dell'iniziativa legislativa popolare devono presentarsi - in numero non inferiore a 10 e muniti di certificato di iscrizione nelle liste elettorali – alla cancelleria della Corte di cassazione per dichiarare la volontà di avviare l'iniziativa, indicando il titolo del progetto di legge; la cancelleria redige un verbale di presentazione e provvede a far pubblicare l'annuncio dell'iniziativa nella Gazzetta Ufficiale (art. 7, commi primo e secondo, legge n. 352/1970).
Le firme devono essere raccolte su appositi fogli, in cui è riprodotto il testo del progetto di legge (non è necessario che i predetti fogli riportino anche la relazione illustrativa, che deve comunque essere consegnata all'atto della presentazione alle Camere). Se il testo è troppo lungo per essere contenuto in un unico foglio, possono essere usati più fogli, uniti in modo che non possano essere distaccati (art. 49, commi terzo e quarto, legge n. 352/1970). Nella parte dei fogli dedicata alla raccolta delle firme devono essere indicati nome, cognome, luogo e data di nascita dell'elettore sottoscrittore e il comune nelle cui liste elettorali è iscritto (per i residenti all'estero, l'iscrizione nelle liste elettorali dell'AIRE) (art. 8, commi primo e secondo, legge n. 352/1970). Esempio di modulo per la raccolta delle firme.
Dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'annuncio dell'iniziativa, i fogli devono essere presentati alle segreterie comunali o alle cancellerie degli uffici giudiziari per la loro vidimazione (che consiste nell'apposizione sul foglio del bollo dell'ufficio, della data e della firma del funzionario preposto, art. 7, quarto comma, legge n. 352/1970). In mancanza del bollo, della firma del funzionario o della data, il foglio non è valido e le firme raccolte su di esso sono nulle. Non sono validi i fogli vidimati oltre sei mesi prima della presentazione del progetto di legge alla Camera (art. 49, terzo comma, secondo periodo, legge n. 352/1970).
I fogli devono contenere almeno 50.000 firme di cittadini iscritti nelle liste elettorali o muniti di una sentenza di accoglimento di ricorso avverso le decisioni delle commissioni elettorali (art. 48, commi primo e terzo, legge n. 352/1970.)
Le firme devono essere autenticate da uno dei seguenti soggetti: notai, giudici di pace, cancellieri e collaboratori delle cancellerie delle corti d'appello e dei tribunali, segretari delle procure della Repubblica, presidenti delle province, sindaci metropolitani, sindaci, assessori comunali e provinciali, componenti della conferenza metropolitana, presidenti dei consigli comunali e provinciali, presidenti e vicepresidenti dei consigli circoscrizionali, segretari comunali e provinciali, funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia, consiglieri provinciali, metropolitani e comunali che abbiano comunicato la propria disponibilità (art. 14, comma 1, legge n. 53/1990), consoli (per i cittadini residenti all'estero: art. 8, terzo comma, legge n. 352/1970).
L'autenticazione deve essere datata. Essa può anche essere collettiva (cioè riferita a tutte le firme contenute in ciascun foglio): in questo caso, deve indicare anche il numero di firme contenute nel foglio. Le firme prive di autenticazione sono nulle.
La legge richiede che ai fogli recanti le firme siano allegati i certificati elettorali (anche collettivi) dei cittadini la cui firma è contenuta nei fogli stessi (articolo 8, sesto comma, legge n. 352/1970).
All'atto della presentazione della proposta di legge alla Camera, ciascun foglio vidimato recante le firme deve essere corredato degli originali dei certificati elettorali ad esse riferiti, in modo da rendere quanto più rapido possibile, in sede di verifica della regolarità formale dell'iniziativa, l'abbinamento tra ciascuna firma e il relativo certificato.
Ove la certificazione dell'iscrizione nelle liste elettorali di un comune sia scritta in calce al foglio recante le relative firme, con indicazione del numero di iscrizione, dell'autorità comunale che provvede a tale certificazione, della relativa data e del bollo dell'ufficio non è necessario allegare i certificati elettorali in originale.
Qualora i comuni rilascino i certificati elettorali in formato elettronico, questi potranno essere utilizzati adottando i seguenti accorgimenti:
1) i certificati devono essere trasmessi da un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del comune a un indirizzo PEC dei promotori, e quindi inoltrati all’indirizzo PEC della Camera o del Senato (così che, a fini di garanzia della provenienza e autenticità dei certificati, tutti i passaggi di trasmissione dei medesimi certificati rimangano sempre nel circuito della certificazione elettronica);
2) i messaggi PEC con cui si procede all'inoltro dei certificati elettronici devono consentire l'inequivoca individuazione dei fogli vidimati in cui sono contenute le relative firme;
3) a ciascun foglio vidimato recante le firme deve essere allegata una copia cartacea dei certificati inviati tramite PEC ad esse riferite, indicando che si tratta di "copia di certificato inviato tramite PEC".
La proposta di legge può essere presentata al Senato della Repubblica o alla Camera dei deputati: i promotori, completata la raccolta delle firme e dei relativi certificati elettorali, depositano il progetto di legge, consegnando i fogli vidimati recanti le firme (con allegati i relativi certificati), la relazione illustrativa (se non riprodotta nei fogli) e copia del verbale di presentazione dell'iniziativa alla Corte di cassazione, indicando gli estremi della Gazzetta Ufficiale in cui è stato pubblicato l'annuncio della stessa.
Dell'avvenuta presentazione della proposta di legge è data comunicazione all'Assemblea, con la pubblicazione di un annuncio nell'allegato A ai resoconti della prima seduta successiva.
La stampa del progetto di legge e la sua assegnazione sono invece subordinate alla successiva verifica e al computo delle firme, necessarie per accertare la regolarità dell'iniziativa (art. 48, secondo comma, legge n. 352/1970).
I progetti di legge d'iniziativa popolare il cui iter non si sia concluso nella legislatura in cui sono presentati sono mantenuti all'ordine del giorno delle Camere anche nella legislatura successiva.
L’iniziativa finalizzata al raccoglimento delle 500.000 firme necessarie a portare a compimento la richiesta di referendum abrogativo è avviata da un gruppo di almeno dieci persone, munite del certificato comprovante la loro iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica o nell'elenco dei cittadini italiani residenti all'estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero. Tali persone si devono presentarsi alla Cancelleria della Corte di cassazione che ne da atto con verbale (art.4 l. n. 352/1970).
Di ogni iniziativa è data notizia nella Gazzetta Ufficiale del giorno successivo a quello della sua presentazione.
Successivamente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’iniziativa è possibile chiedere la vidimazione dei fogli sui quali saranno raccolte le firme degli elettori.
Il processo di vidimazione può essere avviato, dai membri del comitato promotore o da un qualsiasi elettore, presso le segreterie comunali o alle cancellerie degli uffici giudiziari. Il funzionario addetto alla vidimazione dei moduli deve completare la procedura entro 48 ore dal giorno in cui ha ricevuto tali fogli. Il timbro con cui vengono vidimati i fogli non può contenere una data antecedente a quella di pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’iniziativa.
È possibile procedere alla raccolta delle firme, su fogli vidimati, solo dopo che l’iniziativa referendaria è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. La raccolta può essere compiuta anche tra i cittadini italiani residenti all’estero (art. 8 cc.2, 3 l. n .353/1970 come novellati dalla l. n. 459/2001). Accanto alle firme devono essere indicati per esteso, il nome, cognome, luogo e data di nascita dei sottoscrittori e il comune nelle cui liste elettorali questi sono iscritti.
Le firme raccolte sui moduli vidimati devono essere autenticate da un soggetto abilitato a farlo (ex. art. 14 l. n, 53/1990, che richiama la legge n. 352 del 1970, e art. 4 l. n. 120/1999.) Sono soggetti abilitati ad autenticare le sottoscrizioni:
§ i notai,
§ i giudici di pace,
§ i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle corti di appello dei tribunali,
§ i segretari delle procure della Repubblica,
§ i presidenti delle province,
§ i sindaci metropolitani,
§ i sindaci, gli assessori comunali e provinciali,
§ i componenti della conferenza metropolitana,
§ i presidenti dei consigli comunali e provinciali,
§ i presidenti e i vice Presidenti dei consigli circoscrizionali,
§ i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia,
§ i consiglieri provinciali, i consiglieri metropolitani e i consiglieri comunali che comunichino (per in forma scritta) la propria disponibilità, al presidente della provincia e al sindaco.
Si ricorda, come già detto, che viene ampliata la platea di soggetti abilitati ad autenticare le sottoscrizioni con il testo, approvato dalla Camera l’11 ottobre 2018, recante norme in materia di procedimento elettorale (C. 543-A, come modificato nel corso dell’esame in Assemblea).
La facoltà di autenticare i moduli contenenti i dati dei sottoscrittori è limitata in relazione alla competenza territoriale del soggetto autenticatore (i notai hanno competenza su tutto il territorio nazionale).
Ai sensi della circolare del ministro dell’interno 51/2013 adottata successivamente al parere della I sezione del Consiglio di Stato n. 2671/2013 la facoltà per gli organi “politici o amministrativi locali” di autenticare le firme è subordinata al ricorrere di due condizioni: a) l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte dei consiglieri comunali e provinciali è efficace se effettuata esclusivamente nel territorio nel quale esercitano il proprio mandato (requisito della territorialità); b) l’ente territoriale di cui i consiglieri fanno parte dev’essere interessato alla consultazione per la quale si raccolgono le firme (requisito della pertinenza).[2] Si osservino in tal senso particolare le pronunce del Consiglio di Stato, 31 marzo 2012 n. 1889, 16 aprile 2012 n. 2180, 8 maggio 2013 n. 2501.
Le limitazioni territoriali all’autenticazione degli organi “politici o amministrativi locali” non devono tenere conto della residenza del cittadino. Un soggetto abilitato all’autenticazione in un determinato territorio può autenticare la sottoscrizione di un qualsivoglia cittadino indipendentemente dal comune di iscrizione elettorale del cittadino stesso.
L'autenticazione deve recare l'indicazione della data in cui avviene e può essere anche collettiva, foglio per foglio; in questo caso, oltre alla data, deve indicare il numero di firme contenute nel foglio.
L’articolo 8 della L. n. 352/1970 stabilisce invece una limitata competenza territoriale all’autenticazione per i soggetti dipendenti dal ministero della giustizia i quali possono autenticare solamente le firme dei sottoscrittori iscritti nelle liste elettorali di un comune ricompreso nel circondario in cui l’autenticatore presta servizio.
Alla richiesta di referendum devono essere allegati i certificati, anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni, ai quali appartengono i sottoscrittori, che ne attestano la iscrizione nelle liste elettorali dei comuni medesimi ovvero, per i cittadini italiani residenti all'estero, la loro iscrizione nell'elenco dei cittadini italiani residenti all'estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero. I sindaci (o i funzionari appositamente delegati dell’ufficio elettorale) debbono rilasciare tali certificati entro 48 ore dalla relativa richiesta. La data della certificazione elettorale deve essere successiva a quella della vidimazione del modulo e dell’autenticazione delle firme.
Tutti i moduli contenenti le sottoscrizioni, i moduli vidimati, autenticati e certificati devono (nella prassi possono) essere consegnati da almeno tre dei promotori presso la cancelleria della Corte di Cassazione entro tre mesi dalla pubblicazione dell’annuncio in gazzetta ufficiale e fatti salvi i limiti temporali disposti dagli artt. 31 e 32 della l. n. 352/1970. Deposito in una data compresa tra il 1 gennaio e il 30 settembre tenendo conto che non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime.
Successivamente al deposito delle sottoscrizioni l’ufficio presso la Corte di Cassazione procede a verificare in primo luogo se le firme validamente raccolte siano in numero pari o superiore a 500.000.
Si ricorda infine che - in occasione della richiesta di accesso, secondo quanto disciplinato dal D.Lgs. 33/2013, alla documentazione relativa al deposito presso la Corte di Cassazione di altre due richieste di referendum inerenti la stessa materia, presentata da parte dei promotori della raccolta firme per lo svolgimento del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 - l’Ufficio centrale della Corte di Cassazione ha svolto alcune precisazioni. In particolare, nel dichiarare inammissibile l'istanza di accesso alla documentazione concernente l'attività di autenticazione delle firme per le richieste referendarie depositate il 14 luglio 2016, ha ricordato che il diritto di accesso ai documenti amministrativi disciplinato dalla l. 241/1990 riguarda esclusivamente quelli detenuti da una pubblica amministrazione e che non possa invece applicarsi «agli atti del processo detenuti, ricevuti o formati (a fini giudiziali) da un organo giurisdizionale, quale indubbiamente è questo Ufficio centrale, allorché decide (come nella specie) sulla legittimità delle richieste referendarie».
In quella circostanza l’Ufficio centrale precisava che la natura giurisdizionale dell'Ufficio era confermata sia dalla composizione dell'organo e dalla sua incardinazione presso la Corte di cassazione, della quale costituisce «una articolazione specializzata», sia dall'oggetto e dalle funzioni che gli sono devolute, sia dalla qualificazione dei suoi provvedimenti in termini di 'ordinanza', sia infine dalla legittimazione riconosciuta dalla Consulta a sollevare questioni di legittimità costituzionale.
L’articolo 75, secondo comma, della Costituzione, individua tre categorie di leggi per le quali non è ammesso il referendum abrogativo:
§ leggi tributarie e di bilancio;
§ leggi di amnistia e indulto;
§ leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.
Alla Corte costituzionale spetta il compito di giudicare preventivamente se le richieste di referendum abrogativo siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell’articolo 75 Cost. (L. cost. 1/1953, art. 2).
Attraverso il giudizio di ammissibilità dei referendum, nel corso degli anni, la Consulta ha provveduto a definirne i limiti, muovendo su tre direttrici: precisando il contenuto dei limiti espliciti elencati dall’art. 75 Cost. e individuando ulteriori limiti, impliciti, riferiti sia all’oggetto del referendum, sia alla formulazione del quesito.
Fondamentale, in tale percorso, la sentenza n. 16 del 1978, alla base dell’orientamento volto a ridefinire ed ampliare l’ambito di applicazione del giudizio di ammissibilità.
Per quanto riguarda i limiti espliciti, con la citata sentenza 16/1978, la Corte ha ritenuto che l’interpretazione letterale delle cause di inammissibilità testualmente descritte nell'art. 75 della Costituzione dovesse essere integrata “da un'interpretazione logico-sistematica, per cui vanno sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa".
Tale criterio è alla base di diverse pronunce riguardanti le leggi di bilancio, che, secondo la Corte, devono ricomprendere, al di là della definizione formale, sia le leggi finanziarie e le leggi collegate alla manovra di finanza pubblica, sia le leggi essenziali per la realizzazione degli equilibri finanziari e di bilancio (sent. 12/1995).
La Corte ha precisato (sent. 6/2015): “con riguardo alla categoria, in particolare, delle «leggi di bilancio», che – se non possono, agli effetti del divieto sub art. 75 Cost., a questa equipararsi «le innumerevoli leggi di spesa» (sentenza n. 16 del 1978), ancorché (e per il solo fatto che) perseguano obiettivi di «contenimento della spesa pubblica» (sentenza n. 12 del 2014) – sono, viceversa, a detta categoria riconducibili quelle leggi che «presentino “effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività” delle leggi di bilancio, da essere sottratte a referendum, diversamente dalle altre innumerevoli leggi di spesa». Con l’ulteriore puntualizzazione che un tale «stretto collegamento si può ritenere sussista se il legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio sia tale che le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l’indispensabile equilibrio finanziario» (sentenza n. 2 del 1994), in modo da rientrare nella «manovra di bilancio» (sentenza n. 35 del 1985)”.
Più articolata la giurisprudenza relativa alle leggi tributarie. In una prima fase, la Corte ha identificato i caratteri distintivi della materia tributaria nella “ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico” e “la loro destinazione allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente impositore”, non essendo sufficiente la presenza di norme “implicanti un sacrificio economico da parte degli elettorali” (sent. 26/1982). Successivamente, con una interpretazione più estensiva, la Corte ha ricompreso nella materia tributaria le “disposizioni che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme. In essa rientrano, pertanto, sia le norme che riguardano il momento costitutivo dell'imposizione sia quelle che disciplinano gli aspetti dinamici del rapporto, e cioè il suo svolgimento nell'accertamento e nell'applicazione del tributo con la riscossione dello stesso” (sent. n. 51 del 2000).
Per quanto riguarda l’esclusione dal referendum delle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, la giurisprudenza costituzionale ha esteso l’inammissibilità anche alle leggi di esecuzione (sent. 16/1978), alle leggi strettamente collegate all’esecuzione dei trattati (sent. 30/1981) e a quelle “produttive di effetti strettamente collegati all’ambito di operatività dei trattati” (sent. 31/1981). “A siffatta conclusione la Corte è pervenuta considerando in primo luogo che dall'abrogazione di tali norme deriverebbe l'esposizione dello Stato italiano a responsabilità nei confronti delle altre parti contraenti a causa della violazione degli impegni assunti in sede internazionale; e aggiungendo inoltre che la Costituzione ha voluto riservare (tale responsabilità) alla valutazione politica del Parlamento, sottraendo le norme in questione alla consultazione popolare, alla quale si rivolge il referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione" (sentenze n. 30 del 1981 e n. 27 del 1997, nonché n. 28 del 1993 e da ultimo 41/2000).
La Corta costituzionale ha individuato ulteriori limiti di materia al referendum abrogativo, ricavabili dall’intero ordinamento costituzionale, a partire dalla citata sentenza 16 del 1978 che ha individuato i seguenti atti che non possono essere sottoposti a referendum:
§ la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali considerate dall'art. 138 Cost.;
§ le leggi “rinforzate”, ossia gli atti legislativi “dotati di una forza passiva peculiare (e dunque insuscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive)”, quali “le norme di esecuzione dei Patti lateranensi” (sent. 16/1978) o le leggi di recepimento di intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica ex art. 8 Cost.;
§ le leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, “il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa o di altre leggi costituzionali” (è il caso del referendum sull’abrogazione dell’intero codice militate di pace, oggetto della medesima sentenza 16/1978, alcune disposizioni del quale si saldano con le corrispondenti disposizioni costituzionali, come ad esempio l’art. 52 cost. sul servizio militare).
La giurisprudenza successiva ha introdotto altri limiti di ammissibilità:
§ le leggi costituzionalmente necessarie (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2005, n. 35 del 1997, n. 29 del 1987, n. 25 del 1981), “l’esistenza e la vigenza delle quali sono indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale della Repubblica (sentenza n. 13 del 2012, e in precedenza sentenze n. 16 e n. 15 del 2008) e che, pertanto, possono essere «modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate» (sentenza n. 49 del 2000). Si tratta, dunque, di leggi ordinarie […] il cui contenuto è frutto della discrezionalità del legislatore, mentre non lo è la loro esistenza “(sent. 12/2014). È il caso delle leggi elettorali che non possono essere oggetto di abrogazione totale, in quanto leggi necessarie al funzionamento degli organi costituzionali (sent. 13/2012). Più recentemente la Corte ha definito legge costituzionalmente necessaria quella “che deve trovare obbligatoriamente una disciplina normativa” (sent. 28/2017);
§ le leggi a contenuto “comunitariamente” vincolato ossia le leggi la cui abrogazione referendaria comporterebbe un mancato adempimento di obblighi comunitari (31, 41 e 45/2000; 24 25 e 27/2011).
Parallelamente alla definizione dei limiti di ammissibilità riguardanti il merito, la Corte costituzionale ha introdotto ulteriori limiti impliciti riguardanti la formulazione del quesito che, a giudizio della Corte, deve essere:
§ omogeneo, ossia non deve contenere “una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell'art. 75 Cost.; discostandosi in modo manifesto ed arbitrario dagli scopi in vista dei quali l'istituto del referendum abrogativo é stato introdotto nella Costituzione, come strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare” (sent. 16/1978 e da ultimo 6/2015);
§ formulato in termini semplici e chiari, “con riferimento a problemi affini e ben individuati” (sent. 16/1978);
§ coerente e completo (sent. 27/1981);
§ univoco ed evidente del fine che vuole realizzare (sent 47/1991; 174/2011) ed idoneo alla realizzazione dello scopo voluto dai promotori (sent. 35, 36 e 37/2000).
La disciplina del procedimento referendario delineata dall'articolo 75 della Costituzione – che demanda la determinazione delle modalità attuative alla legge - è recata dalla legge n. 352 del 1970.
La legge prevede, relativamente alla richiesta di referendum un duplice vaglio:
§ il controllo di legittimità-regolarità, condotto dall'Ufficio centrale per il referendum, presso la Corte di Cassazione;
§ il giudizio di ammissibilità (quanto ad oggetto e contenuto della richiesta di referendum), condotto dalla Corte costituzionale.
L'Ufficio centrale della Cassazione ha una sua peculiare funzione anche per uno specifico riguardo, oggetto dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, definita nel tempo anche sulla base dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale al riguardo.
Tale articolo dispone che: "Se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso".
Il dettato della disposizione deve peraltro essere integrato da quanto sancito dalla Corte costituzionale con la (additiva) sentenza n. 68 del 1978.
La Corte costituzionale era stata adìta dal Comitato promotore di un referendum in sede di conflitto di attribuzione avverso l'Ufficio centrale per il referendum. La medesima Corte sollevò d'ufficio la questione di legittimità dell'articolo 39.
Di questo, la sentenza n. 68 del 1978 (rel. Astuti) veniva a dichiarare la illegittimità costituzionale, "limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative".
Per sciogliere la questione di legittimità che aveva innanzi, la Corte si volse a considerare in quali rapporti si trovino - ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione - le richieste di referendum abrogativo e gli atti legislativi che producano, prima dell'effettuazione dei referendum, l'abrogazione delle leggi o degli atti aventi forza di legge, ovvero l'abrogazione dei singoli disposti, inizialmente indicati dai promotori delle richieste referendarie.
In tale sede la Corte rilevava che "in base all'art. 70 Cost., la funzione legislativa ordinaria è potenzialmente inesauribile: prestandosi a venire esercitata per un indefinito numero di volte, senza limiti di tempo, in tutte le materie di sua competenza che il legislatore ritenga opportuno disciplinare nuovamente". Né l'articolo 75 della Costituzione introduce eccezione alcuna al "principio della continuità della funzione e del potere legislativo". "Di conseguenza, il rispetto delle esigenze che i promotori ritengono lese non pone problemi di legittimità delle leggi, di cui questa Corte possa darsi carico, ma resta demandato alla sensibilità politica del Parlamento". Tuttavia - rilevava la Corte - "fin dalle prime applicazioni della legge n. 352 gli interpreti hanno però rilevato che la formulazione dell'articolo 39 è così ampia ed indiscriminante, da consentire che vengano frustrati gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum abrogativo: prestandosi in tal modo ad eludere o paralizzare le stesse disposizioni dell'articolo 75 della Costituzione".
"Effettivamente, con la previsione e con la garanzia costituzionale del potere referendario non è conciliabile il fatto che questo tipico mezzo di esercizio diretto della sovranità popolare finisca per esser sottoposto - contraddittoriamente - a vicende risolutive che rimangono affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore ordinario: cui verrebbe consentito di bloccare il referendum, adottando una qualsiasi disciplina sostitutiva delle disposizioni assoggettate al voto del corpo elettorale".
Dunque, la Corte si poneva il problema di conciliare, riguardo al procedimento referendario, la permanente potestà legislativa del Parlamento e la garanzia dell'istituto del referendum abrogativo.
La soluzione da essa ravvisata come unica possibile - ed entrata nell'ordinamento mediante la sentenza additiva n. 68 del 1978 - è stata quella di riconoscere che a certe condizioni, il referendum ‘si trasferisca’ dalla legislazione precedente alla legislazione sopravvenuta (oppure alle successive modificazioni di legge, qualora si riscontri che esse s'inseriscono nella previa regolamentazione senza sostituirla integralmente).
Quanto alle condizioni per procedere alla 'traslazione' della richiesta referendaria la Corte distingueva due diverse fattispecie, a seconda che la richiesta referendaria concernesse: l'interezza di una legge (o atto avente valore di legge) come anche di un organico insieme di disposizioni, altrimenti individuato dal legislatore; ovvero disposizioni specifiche di una legge.
Nel primo caso (intera legge): essa ritenne che "l'indagine non possa limitarsi alle affinità od alle divergenze riscontrabili fra le singole previsioni della precedente e della nuova legislazione, ma si debba estendere ai raffronti fra i principi cui s'informino nel loro complesso l'una o l'altra disciplina; sicché il mutamento dei principi stessi può dare adito al blocco delle relative operazioni referendarie, quand'anche sopravvivano - entro il nuovo ordinamento dell'intera materia - contenuti normativi già presenti nell'ordinamento precedente; mentre la modificazione di singole previsioni legislative giustifica l'interruzione del procedimento nella parte concernente le previsioni medesime, solo quando si possa riscontrare che i loro principi informatori non sono più riconducibili a quelli della complessiva disciplina originaria".
Nel secondo caso (singole disposizioni di una legge) "invece, decisivo é il confronto fra i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, senza che occorra aver riguardo ai principi dell'intero ordinamento in cui questi si ritrovino inseriti: appunto perché i promotori ed i sottoscrittori delle richieste di referendum non avevano di mira l'abrogazione di quell'ordinamento considerato nella sua interezza".
Aggiungeva la Corte che "in questi termini, l'Ufficio centrale per il referendum è dunque chiamato a valutare - sentiti i promotori della corrispondente richiesta - se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare, già promossa sulla disciplina preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una conclusione negativa dell'indagine, alla legislazione successiva. Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di verificare se non sussistano eventuali ragioni d'inammissibilità, quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto popolare abrogativo".
La 'rivisitazione' dell'articolo 39 in sede di giurisprudenza costituzionale ha determinato la modificazione e l'ampliamento delle funzioni istituzionali dell'Ufficio Centrale. Ha conferito a quest'ultimo un ‘potere di indagine’ diretto a stabilire se: la legge abrogativa abbia mutato il principio o valore incarnato nella precedente; ovvero se la sopravvenuta disposizione o insieme di disposizioni abbia mutato il contenuto essenziale della disposizione precedente. Conseguentemente ha devoluto all'Ufficio il potere di modificare il quesito, fino al punto di sostituire - ricorrendone le condizioni - le disposizioni in relazione alle quali era stata formulata la richiesta di referendum, con quelle successive.
Né l'articolo 39, come risultante dalla 'revisione' giurisprudenziale, indica limiti di tempo entro cui l'eventuale abrogazione soggetta a richiesta referendaria possa intervenire.
Invero, la Corte si diceva "pienamente consapevole che da questa decisione potranno derivare inconvenienti e difficoltà applicative. Ma i poteri dei quali essa dispone non le consentono altro che di accertare e sanzionare le violazioni delle norme costituzionali, adottando le soluzioni a ciò conseguenti nei soli limiti in cui queste risultino univoche ed indispensabili per assicurare l'osservanza della Costituzione stessa. Le ulteriori modificazioni del procedimento per il referendum abrogativo, di cui le recenti esperienze stanno dimostrando l'opportunità - come la Corte ha già rilevato nella sentenza n. 16 del 1978 - competono invece al Parlamento".
"In particolar modo, al legislatore spetterà di precisare o di riconsiderare i ruoli e le funzioni degli organi competenti ad intervenire nel corso delle procedure referendarie. Inoltre, attraverso una riforma della legge n. 352 del 1970 potranno essere altrimenti regolati i tempi delle relative operazioni: specialmente allo scopo di permettere l'effettuazione del referendum abrogativo oltre il termine finale del 15 giugno[3], allorché le leggi o le disposizioni sottoposte al voto popolare vengano abrogate all'ultima ora, imponendo nuove formulazioni degli originari quesiti ed intralciando gli adempimenti che precedono la data di convocazione degli elettori".
Quanto al periodo di svolgimento, si ricorda infine, che in base all’art. 31 L. 352/1970, "non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime".
Inoltre "nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse". "I termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365mo giorno successivo alla data della elezione" (articolo 34).
Con riferimento ai poteri attribuiti dalla proposta di legge ai Comitati promotori, merita richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale relativa ai poteri dei Comitati promotori dei referendum abrogativi.
Fin dall’ordinanza n. 17 del 1978, la Corte ha infatti riconosciuto, ai promotori di referendum abrogativi la legittimazione a sollevare conflitto ai sensi dell’articolo 134 della Corte costituzionale, con particolare riferimento al secondo comma che prevede che la Corte costituzionale giudica dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato; in altre parole i promotori dei referendum sono riconosciuti come “potere dello Stato”.
Afferma infatti l’ordinanza «che dal punto di vista soggettivo appare ammissibile la legittimazione, ai sensi dell’art. 134 Cost, degli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari d’una richiesta di referendum quale frazione del corpo elettorale identificata dall’articolo 75, titolare dell’esercizio di una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita e non può dubitarsi della competenza dei promotori del referendum a dichiarare, in questa fase, la volontà dei firmatari della richiesta medesima».
Nel caso specifico la Corte legittimava i promotori del referendum a sollevare conflitto di attribuzione contro l’Ufficio centrale dei referendum della Corte di cassazione che aveva dichiarato legittima la richiesta di referendum abrogativo della legge n. 352 del 1975 recante “disposizioni a tutela dell’ordine pubblico” (cd. “legge Reale”) fatta eccezione per l’articolo 5 integralmente sostituito dalla legge n. 533 del 1977. Nella discussione del conflitto la Corte sollevava quindi di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39 della legge n. 352 del 1970, recante la disciplina del referendum abrogativo, nella parte in cui prevedeva che il blocco delle operazioni referendarie si producesse anche quando la sopravvenuta abrogazione fosse accompagnata dalla emanazione di altra normativa che regolasse la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i principi ispiratori della complessa disciplina sottoposta a referendum. La sentenza n. 68 del 1978 dichiarava l’illegittimità costituzionale del richiamato art. 39 limitatamente alla parte in cui appunto non prevedeva che, qualora il Parlamento modificasse gli atti o le singole disposizioni cui si riferiva il referendum, senza però mutare né i principi ispiratori della disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettuasse sulle nuove disposizioni legislative.
Conseguentemente, la sentenza n. 69 del 1978 risolveva il conflitto rimettendo all’Ufficio centrale della Corte di cassazione il compito di valutare se il referendum non dovesse effettuarsi sulla nuova disciplina legislativa.
Nella sentenza n. 69 del 1978 la Corte precisava ulteriormente lo status dei promotori del referendum.
In primo luogo, per quanto concerne la legittimazione ad agire dei firmatari di una richiesta di referendum, la sentenza chiarisce che: «se “poteri dello Stato”, legittimati a proporre conflitto di attribuzione ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione, sono anzitutto e principalmente i poteri dello Stato-apparato, ciò non esclude che possano riconoscersi a tale effetto come poteri dello Stato anche figure soggettive esterne rispetto allo Stato-apparato, quanto meno allorché ad esse l’ordinamento conferisca la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri di organi statuali in senso proprio. Tale è appunto il caso del gruppo di elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari d’una richiesta di referendum abrogativo – istituzionalmente rappresentati dai promotori – a cui l’art. 75 riconosce la potestà di proporre tale richiesta, con l’effetto di rendere costituzionalmente dovuta la convocazione del corpo elettorale».
La sentenza ribadisce anche la capacità, per i promotori del referendum, di rappresentanza di tutti i firmatari della richiesta di referendum.
“Non può del pari dubitarsi della capacità del comitato dei promotori, in numero non inferiore a dieci (cfr. art. 7 […] della legge n. 352 del 1970[4]) a rappresentare gli elettori, in numero non inferiore a 500.000, firmatari della richiesta di referendum, e della facoltà conferita dalla legge ad almeno tre dei promotori di agire in nome e per conto del comitato promotore. Ed invero la legge stabilisce che almeno tre dei promotori possano provvedere: al deposito dei fogli con le firme dei sottoscrittori e dei relativi certificati elettorali (articolo 28); alla sanatoria di eventuali irregolarità della richiesta, e alla presentazione di memorie intese a contestarne l’esistenza (art. 32, terzo comma); alla ricezione da parte dell’Ufficio centrale e di questa Corte, delle notificazioni e comunicazioni dei provvedimenti relativi alla legittimità ed ammissibilità delle richieste di referendum (art. 32, terzo e quinto comma, art. 33, secondo e quinto comma)”.
Ciò ha condotto la dottrina[5] ad equiparare i Comitati promotori dei referendum ai comitati disciplinati dall’articolo 39 del codice civile[6].
Successivamente, la Corte, con l’ordinanza n. 9 del 1997 - che ha dettagliato meglio quanto già affermato nell’ordinanza 27 luglio 1988 - ha precisato i limiti dei poteri dei Comitati promotori del referendum.
Nel caso specifico l’ordinanza negava al Comitato promotore del referendum sull’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti la legittimazione a sollevare conflitto contro il Parlamento che aveva approvato, con la legge n. 2 del 1997 recante “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici”.
Infatti l’ordinanza precisava che la qualifica del Comitato promotore come potere dello Stato “non si traduce affatto […] nella costituzione di un organo di permanente controllo, come tale in grado d’interferire direttamente sulla volontà del Parlamento a garanzia di un corretto rapporto tra i risultati del referendum e gli ulteriori sviluppi legislativi, bensì trova il suo naturale limite nella conclusione del procedimento referendario”.
Il potere di iniziativa legislativa viene esaminato dalla II Sottocommissione nella seduta del 24 ottobre 1946.
La discussione concernente l’iniziativa legislativa popolare si apre sulla proposta del relatore on. Mortati, del seguente tenore: “L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto articolato da parte di un decimo (o di un ventesimo) degli elettori”.
Si delineano due posizioni.
L’on. Lussu non approva l'istituto, “non rispondente ad alcuna sostanziale esigenza democratica”, in quanto le due Camere e le regioni garantiscono, a suo parere, che i cittadini possano esprimere legalmente la loro volontà. Anche l’on. Einaudi ritiene inopportuna l'iniziativa popolare, alla quale preferisce il referendum.
L’on. Mortati, pur riconoscendo che la questione è molto dibattuta e che taluni sostengono che l'intervento diretto popolare costituisca un perturbamento e rappresenti una deviazione della linea direttiva politica approvata dalla maggioranza ed espressa dal Governo, tuttavia ritiene che l'istituto sia opportuno “allo scopo di frenare e limitare l'arbitrio della maggioranza”, in quanto non sempre la maggioranza è espressione della volontà popolare.
Inoltre, ritiene necessario prevedere che se il Parlamento respinga la proposta, questa venga a cadere o si possa provocare su di essa un referendum.
Concordano con il relatore l’on. La Rocca, che rileva la “funzione di pungolo e di eccitamento all'azione del Governo” della iniziativa popolare, e l’on. Bozzi, il quale si domanda però se sia il caso di considerare l'istituto, qualora si stabilisca che l'iniziativa legislativa spetta anche alle regioni.
Si passa poi ad esaminare la questione del numero minimo di sottoscrizione per attivare l’iniziativa legislativa popolare.
Al proposito si delineano due schieramenti, da un lato c’è chi ritiene che non debba richiedersi un numero di proponenti superiore ai 100 mila (on. Conti, on. Einaudi).
Dall’altro, viene rilevato che se si ammette che la non accettazione di una proposta da parte del Parlamento possa provocare un referendum, il numero di presentatori deve essere cospicuo (on. Mortati, on. Perassi). L’on. Perassi ricorda che in Svizzera la proposta deve essere firmata da 30 mila elettori che corrisponderebbe in proporzione a circa 300 mila firme in Italia.
A questo punto viene posto ai voti il principio che, qualora venga negato il corso alla proposta di iniziativa, si debba sulla stessa promuovere un referendum. La proposta è respinta.
Si giunge poi ad un accordo provvisorio in materia di sottoscrizioni su un'aliquota di 300 mila cittadini, in armonia alle osservazioni fatte dall'onorevole Perassi sull'analogo istituto svizzero. Tale cifra verrà poi ridotta a 100.000 firme (seduta del 20 dicembre 1946) per poi ‘attestarsi’ definitivamente a 50.000 del testo definitivo del progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione.
La sottocommissione torna a discutere dell’iniziativa legislativa popolare, in connessione con l’istituto del referendum, nella seduta del 21 gennaio 1947.
Infatti, nell’ambito dei quattro tipi di referendum proposti dall’on. Mortati vi è anche il referendum propositivo contenuto, assieme a quello abrogativo, nell’articolo 3 della sua proposta:
“L'iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto, redatto in articoli, da parte di almeno 100 mila elettori.
Ove tale progetto, che deve essere presentato subito dal Governo al Parlamento, non venga, nel termine di sei mesi dalla presentazione, preso in considerazione, o sia rigettato, o sottoposto ad emendamenti, si deve procedere al referendum su di esso, quando ciò sia stato stabilito originariamente o sia richiesto da almeno un ventesimo (o meglio da un decimo) degli elettori iscritti ed il progetto sia accompagnato dalla relazione di un comitato di tecnici della materia cui esso si riferisce.
Si procede analogamente quando la richiesta degli elettori sia rivolta all'abrogazione di una legge già in vigore (o di singole parti di essa). L'abrogazione produce i suoi effetti dal momento in cui la deliberazione popolare che la dispone sia resa nota”.
Nell’illustrare la proposta, il relatore prospetta anche l’ipotesi che sul referendum richiesto dagli elettori su un progetto di legge di iniziativa popolare si pronunci direttamente il popolo senza passare attraverso il Parlamento.
Contro questa ultima ipotesi si esprimono il Presidente Terrracini, l’on. Einaudi, l’on. Fuschini e l’on Perassi, il quale ritiene che il progetto di legge proposto e redatto in articoli dal popolo debba essere anzitutto sottoposto all'organo rappresentativo, il quale o l'adotta o lo modifica o fa un controprogetto; e che soltanto in un secondo tempo si possa giungere al referendum.
Viene dunque posto ai voti e respinto il principio che possa ammettersi la formazione di una legge direttamente per iniziativa popolare attraverso il referendum, senza ricorso all'esame del Parlamento.
Si passa quindi alla seconda ipotesi, risultante dall'articolo 3 del progetto Mortati, ossia se su un progetto di iniziativa popolare, non preso in considerazione o rigettato dal Parlamento, si possa o meno procedere a referendum. Il Presidente Terracini rileva preliminarmente che il caso di approvazione con emendamenti da parte del Parlamento deve essere considerato equiparato a quello del rigetto.
L’on. Tosato si dichiara favorevole al referendum abrogativo “concepito come un correttivo, nel senso di ammettere il popolo a collaborare alla formazione delle leggi” ma non a quello propositivo così come concepito nella proposta mortati.
Sul punto concorda il Presidente Terracini che “pur ammettendo che lo stimolo popolare sia necessario” ritiene che “non si possa giungere senz'altro alla conclusione che l'iniziativa popolare possa, attraverso il referendum, sboccare direttamente in una legge, senza l'intervento degli organi legislativi”.
A sua volta l’on. Mortati sostiene la sua proposta in quanto ritiene che non debba essere trattato “in modo differente il caso di referendum richiesto su un progetto di legge approvato dal Parlamento da quello di referendum richiesto su un progetto di iniziativa popolare, al quale il Parlamento si sia manifestato contrario. I due casi, infatti, partono dal medesimo presupposto, cioè da una posizione di contrasto tra il Parlamento ed un determinato numero di elettori”.
Infine, posto ai voti, è respinto il principio che sia ammesso il referendum sui progetti di legge di iniziativa popolare respinti dal Parlamento.
Gli istituti della partecipazione popolare al procedimento legislativo attraverso una revisione delle norme costituzionali che disciplinano l’iniziativa legislativa popolare (di cui all’art. 71 Cost.) o gli istituti referendari (art. 75 Cost.) sono stati oggetto di diverse ipotesi di modifica, in particolare a partire dalla IX legislatura, prevalentemente nell’ambito di più generali progetti di riforma costituzionale.
Di seguito si dà conto delle principali proposte ordinandole per legislatura e testo di riferimento[7].
I temi ora ricordati non sono oggetto di proposte di modifica specifiche:
§ nel testo del progetto di legge C. 5386 della XVI legislatura;
§ nelle proposte di legge costituzionali A.C. 553 e abb.-A (c.d. Bozza Violante) discusse nel corso della XV legislatura;
§ nel testo di legge costituzionale di riforma della parte seconda della Costituzione approvata nella XIV Legislatura (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005 e non approvata nel successivo referendum ex art. 138 Cost.). La riforma proponeva la modifica dell’articolo 71, ma solo al fine di specificare che l’iniziativa legislativa parlamentare dovesse esercitarsi nell’ambito delle competenze della Camera di appartenenza.
Il testo approvato dalla Commissione per le riforme istituzionali istituita nella IX Legislatura (c.d. “Commissione Bozzi”) prevedeva la revisione di alcuni articoli della Costituzione afferenti alla iniziativa legislativa e alla disciplina del referendum consultivo.
Da un lato, per quanto riguarda l’iniziativa delle leggi, rispetto all’attuale testo dell’articolo 71, la relazione conclusiva approvata dalla Commissione (1985) prevedeva l’innalzamento del quorum a centomila elettori per la presentazione di progetti di legge di iniziativa popolare presso la Camera dei deputati, nonché la possibilità per un rappresentante dei promotori di assistere alle sedute di Commissione senza diritto di voto.
Il Parlamento deve pronunciarsi sulla proposta entro il termine di 24 mesi, la cui osservanza è garantita da apposite procedure dei regolamenti parlamentari: tale termine vale anche per i progetti di legge presentati dai Consigli regionali ex articolo 121 della Costituzione.
Accanto a ciò, il testo della Commissione proponeva di introdurre in Costituzione la possibilità del referendum consultivo per questioni di alta rilevanza politica, su richiesta del Governo o di un terzo dei parlamentari, approvata dal Parlamento in seduta comune.
Anche nella relazione approvata dal Comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali costituito dal Governo nel 1994 (c.d. “Comitato Speroni”, XII Legislatura) si prefiguravano i contorni per l’introduzione dell’istituto del referendum propositivo-approvativo nel caso in cui, decorso un certo periodo di tempo, il testo di iniziativa popolare non fosse stato approvato dal Parlamento.
L’articolo 15 del Progetto generale ridisegnava l’istituto del referendum popolare di cui all’articolo 75 Cost. passando dal referendum abrogativo al referendum proposito-approvativo o iniziativa referendaria, che intreccia a sua volta l’iniziativa legislativa (pur lasciando inalterato l’articolo 71). Secondo questo tipo di referendum, il corpo elettorale può essere chiamato ad approvare un progetto di legge redatto in articoli proposto da almeno un milione di elettori. Sulla richiesta è previsto il giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale, dopo il quale decorre un termine di centottanta giorni per consentire l’eventuale compimento del procedimento legislativo ordinario del Parlamento. Il referendum non ha luogo nel caso in cui il progetto di legge sia stato approvato integralmente o con modifiche che comunque ne abbiano rispettato i contenuti normativi essenziali.
Il progetto sottoposto a referendum è approvato se alla consultazione ha partecipato la maggioranza degli elettori e se ha espresso voto favorevole la metà dei votanti.
Le categorie di leggi escluse dall’iniziativa referendaria sono, oltre a quelle previste dal vigente art. 75 per il referendum abrogativo, anche le leggi costituzionali e quelle che comunque comportino erogazioni finanziarie a vantaggio di determinate categorie di cittadini.
L’istituto dell’iniziativa legislativa popolare era oggetto di modifiche nel testo della riforma (C. 3931-A) elaborato nel corso della XIII Legislatura dalla commissione bicamerale per le riforme costituzionali (c.d. “bicamerale D’Alema”).
Il progetto di riforma costituzionale predisposto nella XIII legislatura, come risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione, prevedeva, in via generale, una valorizzazione degli istituti di democrazia partecipativa. Veniva in particolare introdotto – accanto al referendum abrogativo, che veniva consentito anche per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali - un referendum propositivo o approvativo delle proposte di legge d’iniziativa popolare sottoscritte da almeno 800 mila elettori se entro due anni dalla presentazione le Camere non avessero deliberato su di esse (art. 97). Si specificava che la proposta sottoposta a referendum dovesse avere ad oggetto disposizioni normative omogenee.
Relativamente al giudizio di ammissibilità veniva sancita costituzionalmente la competenza della Corte costituzionale in materia di giudizio di ammissibilità del referendum, come previsto dalla L. cost. n. 1 del 1953.
Si prevedeva inoltre, con la finalità di introdurre un criterio di "razionalizzazione" del giudizio della Corte Costituzionale, che essa si pronunciasse sull’ammissibilità della richiesta referendaria soltanto dopo la raccolta di 100 mila firme (in caso di iniziativa popolare) ovvero dopo che le delibere delle cinque Assemblee regionali siano divenute esecutive.
Nel corso del dibattito presso la Commissione parlamentare bicamerale furono in particolare rappresentati, da taluni, elementi di perplessità in merito all'opportunità di “fare cadere” l’esclusione dal referendum per le leggi di ratifica dei trattati (pag. 2475 e ss). Per quanto riguarda l'introduzione del referendum propositivo, i era sviluppato un dibattito che aveva visto emergere alcune tesi contrarie a tale previsione (pag. 2471 e 2485-6) per tenere conto dell’esigenza di evitare la “proliferazione di referendum su testi elaborati da gruppi di interesse, con ampia capacità di mobilitazione popolare, che potevano in tale modo avere la facoltà di imporre una particolare disciplina giuridica su determinate materie”; al contempo, altri interventi (pagg. 2481 e ss.) evidenziavano come si trattasse di un istituto democrazia diretta che, peraltro, aveva un ambito molto circoscritto (le sole leggi ordinarie e con gli stessi limiti previsti per il referendum abrogativo).
Nel corso della XVI legislatura presso il Senato è iniziato l'esame congiunto di disegni di legge di iniziativa parlamentare recanti Modifiche agli articoli 71 e 75 della Costituzione recanti l'introduzione del referendum propositivo e la revisione del quorum funzionale del referendum abrogativo (A.S. n. 83 ed abbinati). Alcuni prevedevano tra l’altro la possibilità di sottoporre a referendum popolare (referendum propositivo o deliberativo) le proposte legislative di iniziativa popolare qualora le Camere non approvino entro un certo periodo di tempo un progetto di iniziativa popolare ovvero lo approvino con modifiche che ne alterano i princìpi fondamentali; in tal caso si prevedeva la possibilità di avanzare la richiesta, sottoscritta da un milione di elettori, che i princìpi fondamentali contenuti in tale progetto siano sottoposti a referendum. In caso di esito positivo, alle Camere sarebbe spettata l’approvazione della legge che recepisse i principi approvati con il referendum propositivo.
Nelle proposte di riforma discusse o presentate nel corso della XVII legislatura il rafforzamento degli istituti di partecipazione è un tema centrale del percorso di riforme costituzionali, ripreso pochi giorni dopo la seduta iniziale della legislatura con la costituzione, da parte dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di un Gruppo di lavoro sui temi istituzionali, con l’obiettivo di formulare proposte programmatiche di riforma.
Nella Relazione finale del Gruppo, trasmessa il 12 aprile 2013, in particolare nella sezione dedicata ai diritti dei cittadini e partecipazione democratica, il Gruppo di lavoro segnalava l’opportunità di elevare il numero di firme richieste per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare, per tener conto dell’aumento della popolazione rispetto ai dati del 1948 e per dare maggior efficacia politica alla iniziativa. Dalla presentazione del progetto con il numero di firme prescritto deve derivare uno specifico obbligo di deliberazione per le Camere. In particolare, il documento proponeva l’inserimento dei regolamenti parlamentari dell’obbligo di fissare l’esame effettivo in Aula entro tre mesi dal deposito della proposta.
La relazione segnalava altresì cinque interventi che rafforzerebbero l’efficacia del referendum abrogativo come strumento di partecipazione dei cittadini:
a. elevazione del numero delle sottoscrizioni in relazione all’aumento della popolazione (nel 1948 gli italiani erano poco più di 46 milioni);
b. collocare il giudizio di ammissibilità del quesito da parte della Corte Costituzionale non dopo la raccolta di tutte le firme, ma dopo la raccolta di un certo numero, ad esempio 100.000, adeguate a comprovare la serietà della proposta;
c. definire più precisamente i requisiti di ammissibilità anche per fronteggiare il ricorso esasperato alla “tecnica del ritaglio”;
d. definire il quorum di validità del risultato calcolandolo nel 50% più uno della percentuale dei votanti nella più recente elezione per la Camera dei Deputati;
e. vietare, per un periodo determinato, di ripristinare la norma abrogata e comunque di aggirare il risultato referendario.
Successivamente, la Commissione di esperti, denominata Commissione per le riforme costituzionali, istituita dall’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta l’11 giugno 2013 per l’approfondimento delle diverse ipotesi di revisione costituzionale e dei connessi profili inerenti al sistema elettorale, concluse i propri lavori con una Relazione finale trasmessa al Presidente del Consiglio il 17 settembre 2013 e al Parlamento il 15 ottobre 2013 affrontando, sotto diversi aspetti, i principali argomenti oggetto di possibile riforma.
In particolare, l’ultimo capitolo della Relazione è dedicato agli istituti di partecipazione popolare.
All'unanimità la Commissione ha proposto un rafforzamento degli istituti della partecipazione dei cittadini, sia sul fronte della produzione normativa, sia su quello amministrativo. Alcune posizioni nell'ambito della Commissione hanno ritenuto funzionale allo scopo la previsione un istituto denominato iniziativa popolare "indiretta", in cui l'iniziativa popolare si articola in un progetto di legge sul quale si apre un procedimento in cui interviene la Corte costituzionale con funzioni di verifica e il Parlamento con funzione deliberativa che può portare al voto popolare.
In particolare, la proposta della Commissione configurava la seguente articolazione:
a) deposito presso la Corte costituzionale di un progetto di legge redatto in articoli da parte di un numero significativo di cittadini (ad es., 250.000);
b) verifica della Corte circa la costituzionalità della proposta ed il rispetto dei limiti entro i quali è ammesso il referendum abrogativo. A ciò si aggiunge che la proposta non incida né sulle spese né sulle entrate pubbliche;
c) deliberazione in via definitiva del Parlamento sulla proposta nelle forme proprie del procedimento legislativo entro un termine ragionevole (ad es. 6 mesi). Se il Parlamento si pronuncia favorevolmente il procedimento si conclude.
d) votazione popolare nei casi in cui il Parlamento non si pronunci definitivamente entro i termini, respinga o approvi con modifiche che incidono nella sostanza sui principi fondamentali del progetto, secondo i seguenti principi:
1. in caso di rigetto o di inerzia il progetto originario è sottoposto al voto popolare;
2. in caso di approvazione del Parlamento con modifiche sostanziali, sono sottoposti al voto popolare in alternativa il progetto originario e quello approvato in sede parlamentare
In entrambi i casi, al voto popolare si procede ad iniziativa dei promotori sostenuta da un congruo numero di sottoscrizioni (almeno 500.000). Sull’ammissibilità della iniziativa si pronuncia la Corte costituzionale. Ai fini dell’esito del referendum si applicano gli stessi quorum stabiliti per il referendum abrogativo.
Nella Relazione è stata manifestata la riserva di uno dei componenti la Commissione (prof. Ainis) sul procedimento dell’iniziativa indiretta, come proposto dalla maggioranza. Al suo posto è stato prospettato un sistema a tre livelli:
1) la proposta di legge avanzata da 50 mila elettori, secondo la disciplina già vigente;
2) l’iniziativa legislativa popolare «rafforzata», elevando a 500 mila il numero delle sottoscrizioni necessarie, ma ponendo l’obbligo alle Camere di deliberare entro 6 mesi (anche rigettando o modificando la proposta). Viceversa in caso d’inerzia l’iniziativa si trasforma in referendum propositivo, e viene dunque sottoposta al responso del corpo elettorale;
3) il referendum propositivo diretto, attivabile autonomamente quando le sottoscrizioni raggiungano la cifra di un milione.
Contestualmente, per il referendum abrogativo la Commissione proponeva modifiche per il quorum di validità, da fissare in relazione al numero di votanti nelle ultime elezioni politiche, e per anticipare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale (dopo aver raccolto 100.000 firme).
Infine, il testo di riforma costituzionale approvato dal Parlamento nel corso della XVII legislatura (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016), sul quale l’esito del referendum svolto ai sensi dell’art. 138 Cost. non è stato favorevole, prevedeva modifiche agli articoli 71 e 75 della Costituzione. In particolare, all’art. 71 si aumentava a 150 mila il numero delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare stabilendo, al contempo, che “la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d'iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari”.
Relativamente al referendum abrogativo di cui all’art. 75 Cost. si prevedeva che, nel caso in cui il numero di sottoscrizioni raccolte fosse stato pari o superiore a 800.000, il quorum di validità della consultazione veniva abbassato. In questo caso la proposta soggetta a referendum sarebbe stata approvata se alla votazione avessero partecipato la maggioranza degli elettori che avevano partecipato all'ultima elezione della Camera dei deputati, e se fosse stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
Era inoltre previsto che “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”.
Ripercorrendo l’iter parlamentare del testo di riforma costituzionale, si ricorda che il disegno di legge di iniziativa governativa presentato al Senato della Repubblica in data 8 aprile 2014 (A.S. 2614) non prevedeva nessuna modificazione né alla disciplina delle modalità di presentazione dei disegni di legge di iniziativa popolare, né all’istituto del referendum abrogativo.
Nel corso dell’esame parlamentare, prima deliberazione e prima lettura, il Senato della Repubblica introdusse alcune modificazioni al testo presentato dal Governo tese ad innovare gli artt. 71 e 75 della Costituzione. In materia di iniziativa legislativa d’iniziativa popolare, l’emendamento 9.1000/testo 2 adottato dalla 1° Commissione su proposta dei relatori (Sen. Calderoli e Senatrice Finocchiaro), prevedeva l’innalzamento a 250.000 del numero di firme necessarie per la presentazione di una tale proposta di legge. Allo stesso tempo il modificato articolo 71 prevedeva che la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sarebbero dovute essere garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari. Il successivo emendamento 11.5000 approvato dall’Assemblea su proposta dei relatori riduceva a 150.000 il numero di firme necessarie per la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare e introduceva la possibilità che con un’apposita legge costituzionale fossero introdotti nel nostro ordinamento referendum popolari propositivi e d'indirizzo, nonché, eventualmente, altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali.
Sempre nel corso della prima deliberazione, in prima lettura, la 1° Commissione del Senato approvava su proposta dei Relatori l’emendamento 11.0.1000, che sostituiva integralmente l’articolo 75 della Costituzione. La proposta approvata dalla Commissione innalzava ad un milione le firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo prevedendo però un abbassamento del quorum di validità della consultazione. La proposta soggetta a referendum sarebbe stata approvata se alla votazione avessero partecipato la maggioranza degli elettori che avevano partecipato all'ultima elezione della Camera dei deputati, e se fosse stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Si prevedeva inoltre che il giudizio di ammissibilità del quesito referendario fosse effettuato dalla Corte Costituzionale successivamente al raccoglimento di 500.000 firme da in non più di 90 giorni. Il termine per la raccolta delle sottoscrizioni veniva esteso a 6 mesi.
Anche in questo caso nel corso dell’esame in Assemblea il testo approvato in commissione veniva modificato in modo sostanziale.
L’approvazione dell’emendamento dei Relatori 15.5000 (testo 2) riportava a 500.000 il numero di firme da raccogliere necessarie all’attivazione dell’iter referendario e ripristinava il quorum di validità per la consultazione ad una partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto al voto. Allo stesso tempo nel caso in cui il numero di sottoscrizioni raccolte fosse stato pari o superiore a 800.000 il quorum di validità della consultazione veniva abbassato. In questo caso la proposta soggetta a referendum sarebbe stata approvata se alla votazione avessero partecipato la maggioranza degli elettori che avevano partecipato all'ultima elezione della Camera dei deputati, e se fosse stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. L’emendamento 15.5000 testo 2 sopprimeva inoltre le novità introdotte in Commissione circa le modalità e i tempi di raccolta delle sottoscrizioni e all’emanazione del giudizio di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale.
Il successivo esame presso la Camera dei deputati, nonostante la presentazione di numerosi emendamenti sul tema, non modificò il testo approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica. I successivi passaggi parlamentari, seconda lettura e seconda deliberazione in entrambe le Camere non misero in discussione il testo approvato.
Sotto il profilo comparato, alcuni strumenti di democrazia partecipativa sono previsti, con diverse modulazioni, negli ordinamenti dei principali Paesi europei (di seguito sono esaminati quelli di Francia, Germania e Spagna).
Gli istituti di democrazia diretta costituiscono, a loro volta, una peculiarità dell’ordinamento svizzero, dove è possibile, ad esempio, ricorrere al referendum entro un determinato arco temporale successivamente all’approvazione di una legge nonché promuovere un’iniziativa popolare federale per una modifica totale o parziale riguardante la Costituzione federale, da sottoporre al voto del popolo e dei cantoni al ricorrere di alcune condizioni.
In ambito extra-europeo si ricorda l’esempio dello Stato della California, dove è previsto il referendum obbligatorio in caso di modifiche costituzionali o per determinate tipologie di leggi e l’istituto della proposition che può portare una proposta al voto popolare.
A livello di Unione europea, il Trattato di Lisbona (modificando l’articolo 11, paragrafo 4, del Trattato sull’Unione europea) ha introdotto una nuova forma di partecipazione popolare alle decisioni politiche dell'Unione europea: l'iniziativa dei cittadini. La disposizione prevede che un numero di cittadini dell’Unione non inferiore a un milione possa invitare la Commissione europea a presentare una proposta in settori di sua competenza.
L’iniziativa dei cittadini è stata poi disciplinata dal Regolamento (UE) n. 211/2011 del 2011.
Francia
L’istituto del referendum su proposte di legge, in vigore dal 1° gennaio 2015, è stato inserito nell’ordinamento francese dalla Loi constitutionnelle n. 2008-724 du 23 juillet 2008 de modernisation des institutions de la Ve République, che ha modificato in particolare l’art. 11 della Costituzione.
Prima della legge costituzionale del 2008, l’art. 11 Cost. disponeva che il “referendum legislativo”, indetto dal Presidente della Repubblica, potesse essere richiesto unicamente dal Governo, o congiuntamente dalle due assemblee parlamentari, e riguardare soltanto l’approvazione di un disegno di legge su specifiche materie: organizzazione dei poteri pubblici; riforme relative alla politica economica o sociale; ratifica di trattati internazionali che, senza essere contrari alla Costituzione, potessero avere un’incidenza sul funzionamento delle istituzioni.
Con la riforma del 2008 è stata introdotta la possibilità di referendum approvativi anche di alcune proposte di legge. La proposta, che può riguardare solo le materie sopra elencate, con l’aggiunta delle riforme di politica ambientale (nuova misura valevole anche per i referendum sui disegni di legge), deve essere presentata da un quinto dei membri del Parlamento (ossia 185 parlamentari su un totale di 925, considerando il numero massimo possibile di membri delle due Camere) e sostenuta da un decimo degli elettori, che equivalgono attualmente a circa 4,5 milioni di cittadini. Se la proposta non è approvata dal Parlamento entro un termine stabilito da una legge organica, il Presidente della Repubblica la sottopone a referendum e, se essa è respinta, non può esserne presentata una nuova sullo stesso tema nei successivi due anni.
La Loi organique n. 2013-1114 du 6 décembre 2013 portant application de l'article 11 de la Constitution, recante applicazione dell’art. 11 Cost. e in vigore dal 1° gennaio 2015, ha disposto le modalità di presentazione della proposta di legge di iniziativa parlamentare-popolare, il controllo del Consiglio costituzionale sul loro rispetto e alcune norme sulla procedura referendaria. Essa stabilisce innanzitutto che la proposta sia presentata dai parlamentari presso una delle due camere e poi trasmessa al Consiglio costituzionale ai fini della valutazione della conformità alla Costituzione. Con la sentenza n. 2013-681, il Conseil Constitutionnel ha precisato, in particolare, che è suo compito esaminare la conformità della proposta all’art. 40 Cost., con cui è disposto che le proposte di legge e gli emendamenti dei parlamentari non possano prevedere aumenti o diminuzioni di spesa pubblica. Il provvedimento stabilisce poi che, nel mese seguente a quello in cui è pronunciata la dichiarazione di conformità alla Costituzione, i parlamentari firmatari della proposta dispongano di nove mesi per la raccolta delle manifestazioni di sostegno dei cittadini, che avvengono per via elettronica. La proposta deve essere quindi dichiarata ammissibile dal Consiglio in quanto sostenuta da almeno un decimo degli elettori. In seguito alla decisione di ammissibilità da parte del Conseil, la proposta dovrebbe poi essere oggetto di almeno una lettura in ciascuna assemblea parlamentare entro sei mesi, decorrenti dal giorno della pubblicazione in G.U. della decisione dell’Alta Corte. Se la proposta non è esaminata entro tale termine, il Presidente della Repubblica la sottopone a referendum. Il termine dei sei mesi è sospeso tra due sessioni ordinarie e in caso di scioglimento dell’Assemblea nazionale fino al giorno di insediamento della nuova camera. Inoltre, se la proposta è respinta dalla prima camera che la esamina, il suo presidente ne trasmette il testo iniziale all’altra. La Loi n. 2013-1116 du 6 décembre 2013 portant application de l'article 11 de la Constitution, anch’essa di applicazione dell’art. 11 Cost. e in vigore dal 1° gennaio 2015, ha modificato il Code électoral, introducendo un capitolo sul finanziamento delle azioni di supporto o ostacolo alla raccolta delle manifestazioni di sostegno ad una proposta di legge di iniziativa parlamentare-popolare; un capitolo sulle sanzioni penali di atti illeciti compiuti durante tale raccolta; un articolo in cui è indicato che i progetti di legge sottoposti a referendum sono approvati se ottengono la maggioranza dei voti espressi; un capitolo sulle operazioni di conteggio dei voti (cfr. art. L. 558-37 e ss.).
Si rileva inoltre che la Costituzione francese prevede altri tipi di referendum: il cosiddetto “referendum costituente” per l’approvazione definitiva di progetti di legge di revisione costituzionale (art. 89 Cost.); il referendum sui progetti di legge di autorizzazione alla ratifica di trattati relativi all’adesione di un nuovo Stato all’UE (art. 88-5 Cost.); il referendum sui progetti di deliberazione o di atti delle collettività territoriali (art. 72-1 Cost.).
Germania
Nell’ordinamento giuridico tedesco, a livello federale, non è prevista l’iniziativa legislativa popolare. La Legge fondamentale (Grundgesetz) stabilisce, all’art. 76, comma 1, che i progetti di legge possono essere presentati al Bundestag esclusivamente dal Governo federale, dai membri del Bundestag (ma non individualmente) e dal Bundesrat (Camera dei Länder). Parimenti, un istituto come il referendum di tipo propositivo, che vincola il legislatore ad emanare una legge coerente con l’espressione popolare, non trova applicazione nell’ordinamento costituzionale federale, anche se una previsione di petizione o iniziativa popolare (Volksbegehren), nel caso specifico di ridefinizione del territorio federale, è contemplata dall’art. 29, comma 4, della Legge fondamentale, in base al quale “se in un’area economica urbana, precisamente e unitariamente delimitata, ricadente in più Länder e che conti almeno un milione di abitanti, un decimo dei cittadini aventi diritto di voto al Bundestag chiede mediante petizione popolare l’accorpamento di tal area ad un unico Land, una legge federale stabilirà entro due anni se l’appartenenza al Land debba essere modificata secondo quanto previsto al comma 2 ovvero se si debba procedere a referendum nei Länder interessati”. Si evince pertanto che a livello federale il referendum può essere esclusivamente avviato da un’iniziativa popolare volta a ridefinire il territorio federale. In tal caso possono partecipare al voto soltanto i cittadini delle zone interessate alla nuova suddivisione territoriale. Nella storia della Repubblica federale si sono finora svolti su questa tematica, senza successo, otto referendum di iniziativa popolare. Nell’ultimo decennio sono stati presentati senza successo al Bundestag alcuni progetti di legge per introdurre nella Legge fondamentale gli istituti dell’iniziativa legislativa popolare e del referendum[8]. Nel novembre 2013, nel corso delle trattative per la formazione del Governo, SPD e CSU hanno adottato una posizione comune per l’introduzione del referendum su tutto il territorio federale, ma a causa del rifiuto della CDU tale posizione non è stata inserita nell’accordo di coalizione.
Nel caso in cui la ridefinizione del territorio federale sia decisa dal Bundestag o dai parlamenti regionali (Landesparlamente) è previsto un referendum obbligatorio, al quale possono partecipare soltanto i cittadini residenti nei territori interessati. Un referendum di questo tipo ha portato alla costituzione del Land Baden-Württemberg nel 1951, mentre nel 1996 il referendum sulla fusione di Berlino con il Brandeburgo non ha avuto successo.
In tutti i Länder è prevista invece l’iniziativa popolare quale strumento di democrazia diretta che consente ai cittadini di portare all’attenzione di un Parlamento regionale un tema politico o un progetto di legge. I proponenti devono però raccogliere le firme di un determinato numero di elettori entro un termine stabilito. Benché il Parlamento resti libero nella sua decisione di accettare o rifiutare, i cittadini hanno tuttavia la possibilità di promuovere un referendum dopo il rigetto della loro proposta. In Germania la proposta di iniziativa popolare a livello regionale rappresenta quindi l’ultimo passo necessario per un referendum promosso dalla popolazione. Tra i Länder esistono tuttavia alcune differenze riguardo alle questioni in cui è ammissibile un referendum popolare; in tutti però possono svolgersi referendum su semplici leggi di iniziativa popolare e, tranne che in Assia, è possibile interpellare gli elettori in merito a modifiche costituzionali. Nei Länder di Amburgo, di Berlino e dello Schleswig-Holstein è invece possibile promuovere referendum su tutte le questioni oggetto di decisione politica, che però hanno solo carattere di raccomandazione se anche lo stesso Parlamento non può adottare decisioni vincolanti su tali questioni. Nel Brandeburgo si può indire un referendum anche per la convocazione di un’assemblea costituente e, in alcuni Länder, per lo scioglimento anticipato del Parlamento.
Consultazioni popolari in forma di referendum, ovvero votazioni popolari dirette su proposte del Parlamento o del Governo sono possibili soltanto in alcuni Länder. Ad esempio, in Assia e in Baviera tutte le modifiche costituzionali sono sottoposte al voto popolare (obligatorisches Referendum), mentre nel Land di Berlino ciò vale solo per le modifiche degli artt. 62 e 63 della costituzione che riguardano gli istituti di democrazia diretta. Il Land di Amburgo è invece l’unico a prevedere la possibilità di sottoporre a referendum (fakultatives Referendum)[9] una decisione del Parlamento entro tre mesi con le firme del 2,5% dell’elettorato; tale possibilità è però strettamente limitata alle decisioni del Parlamento con le quali si è modificato l’esito di una precedente consultazione popolare. Nei Länder del Baden-Württemberg, della Bassa Sassonia e della Renania-Palatinato possono essere sottoposte a referendum vincolante (konfirmatives Referendum) le leggi approvate dal Parlamento (e in Bassa Sassonia anche una decisione del Governo).
Anche per quanto riguarda le disposizioni relative al quorum sussistono discipline diverse nei vari Länder. Per i referendum relativi a leggi semplici di iniziativa popolare in Assia, Baviera e Sassonia non è di norma previsto alcun quorum, mentre in tutti gli altri Länder questo varia tra il 15% e il 33% dei consensi dell’elettorato. Nella Renania-Palatinato è previsto anche un quorum di partecipazione del 25% degli aventi diritto al voto. Per i referendum relativi a modifiche costituzionali di iniziativa popolare in tutti i Länder, tranne che in Baviera, il quorum è più elevato e varia dal 25% al 50% dei consensi espressi dall’elettorato, con in aggiunta la maggioranza dei 2/3 dei votanti. Soltanto nella Renania settentrionale-Vestfalia e nel Saarland è inoltre previsto un quorum di partecipazione del 50%.
Per le altre consultazioni referendarie, non riconducibili ad un’iniziativa legislativa popolare, non è in genere richiesto alcun quorum essendo sufficiente la maggioranza dei votanti. Solo nel Baden-Württemberg si applicano le medesime disposizioni previste per i referendum sulle iniziative popolari.
Nessun quorum particolare è infine stabilito per la validità dei referendum di cui all’art. 29 della Legge fondamentale sulla suddivisione del territorio federale, siano essi promossi da una decisione parlamentare o da un’iniziativa popolare.
Recenti sviluppi
Nell’ambito dell’accordo di coalizione (Koalitionsvertrag), che ha portato alla formazione dell’attuale Governo federale (Große Koalition CDU/CSU e SPG) nel marzo 2018, si fa per la prima volta riferimento esplicito alla “democrazia diretta” (cap. XIII, punto 1, p. 163). Nel testo si prospetta l’istituzione di una commissione di esperti per elaborare proposte volte a verificare se e in quale forma sia possibile integrare la democrazia parlamentare con elementi di partecipazione dei cittadini e di democrazia diretta. Dovranno inoltre essere messe in atto iniziative al fine di rafforzare i processi democratici
Sul punto è intervenuta anche l’associazione “Mehr Demokratie” (Più democrazia), impegnata da anni a promuovere una partecipazione più attiva dei cittadini alla vita politica.
Di recente, l’associazione ha riformulato una sorta di proposta risalente al 2001 che prevede alcune modifiche costituzionali (tra cui, in particolare, l’art. 76 della Legge fondamentale) e, in modo più dettagliato, l’introduzione dell’iniziativa popolare (Volksinitiative) a livello federale. Pur non trattandosi, dal punto di vista tecnico-giuridico, di una vera e propria proposta di legge, l’intento di Mehr Demokratie è quello di sollecitare la riflessione delle forze politiche sull’importanza degli istituti di democrazia partecipativa. A tal proposito, si segnala che, successivamente alla riunificazione della Germania, dal 1992 all’inizio dell’attuale legislatura i gruppi parlamentari di volta in volta all’opposizione hanno presentato al Bundestag 13 proposte di legge (l’ultima, del 24 ottobre 2017, da parte del gruppo della Sinistra), che tuttavia non hanno mai superato il vaglio del Parlamento.
Spagna
L’ordinamento giuridico spagnolo prevede l’iniziativa legislativa popolare, escludendola solo per alcune materie. “Una legge organica regolerà le forme di esercizio e i requisiti dell’iniziativa popolare per la presentazione di proposte di legge. In ogni caso si esigeranno non meno di 500.000 firme autenticate. Detta iniziativa non spetterà nelle materie proprie della legge organica, tributaria o di carattere internazionale, né in quella relativa alla prerogativa di grazia” (art. 87, comma 3, Cost.). La legge organica prevista dalla Costituzione è la Ley Orgánica 3/1984, de 26 de marzo, reguladora de la iniciativa legislativa popular, successivamente modificata[10]. Tale iniziativa risulta presente anche negli ordinamenti delle singole Comunità autonome.
La Spagna conosce, a livello nazionale, due tipologie di referendum. L’art. 92 Cost.[11] prevede che le decisioni politiche di speciale importanza possano essere sottoposte a referendum consultivo fra tutti i cittadini. Il referendum è indetto dal Re, mediante proposta del Presidente del Governo, previa autorizzazione del Congresso dei deputati. Una legge organica regola le condizioni e la procedura dei diversi tipi di referendum previsti dalla Costituzione (Ley Orgánica 2/1980, de 18 de enero, sobre regulación de las distintas modalidades de referéndum).
Ai sensi dell’art. 92 Cost. sono stati celebrati due referendum: il referendum sulla permanenza della Spagna nella NATO (30 maggio 1982) e il referendum sulla Costituzione europea (20 febbraio 2005), entrambi con esito positivo.
La seconda tipologia di referendum rientra nell’ambito della procedura di revisione costituzionale (art. 166 Cost.), su iniziativa legislativa del Governo, del Congresso dei deputati e del Senato (art. 87, comma 1)[12]. I progetti di revisione costituzionale devono essere approvati a maggioranza dei tre quinti di ogni Camera. Ove non si raggiunga un’intesa fra queste, si cercherà di conseguirla mediante la costituzione di una Commissione di conciliazione paritetica formata da deputati e senatori, che presenta un testo sottoposto a votazione da parte di entrambe le Camere (art. 167, comma 1). Nel caso in cui non si ottenga l’approvazione mediante tale procedimento, e qualora il testo abbia ottenuto il voto favorevole della maggioranza assoluta del Senato, il Congresso dei deputati può approvare la revisione a maggioranza dei due terzi (art. 167, comma 2). La revisione costituzionale approvata dalle Cortes Generales è sottoposta a referendum per ratifica quando lo richiedano, entro quindici giorni dalla sua approvazione, un decimo dei membri di una delle due Camere (art. 167, comma 3).
Ove venga proposta la revisione totale della Costituzione o quella parziale riferita al titolo preliminare[13], al capitolo secondo, sezione prima[14], del titolo I o al titolo II[15], deve procedersi all’approvazione in via di principio con maggioranza dei due terzi di ogni Camera e quindi all’immediato scioglimento delle Cortes (art. 168, comma 1). Le Camere elette dovranno approvare quanto deciso e procedere all’esame del nuovo testo costituzionale, che dovrà essere approvato con la maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera (art. 168, comma 2). La riforma approvata dalle Cortes Generales deve poi essere sottoposta a referendum per ratifica (art. 168, comma 3).
La Costituzione spagnola del 1978 è stata finora modificata solo due volte[16], in entrambe le occasioni non vi è stata la necessità di ricorrere allo scioglimento delle Camere né è stato richiesto l’intervento referendario.
Al di là di queste due tipologie di referendum nazionali, altri referendum si inseriscono nella procedura di approvazione (o di riforma) degli Statuti delle Comunità autonome, e nei quali è coinvolto il corpo elettorale dell’ente interessato. Tra il 1979 e il 2007 si sono tenute 7 di tali consultazioni popolari: in Andalusia (1980, 1981 e 2007), nei Paesi baschi (1979), in Galizia (1980) e in Catalogna (1979 e 2006)[17], tutte conclusesi con esito positivo.
Per quanto riguarda il referendum nelle singole Comunità autonome, esso è previsto da diversi ordinamenti regionali[18], sebbene spesso disciplinato nella forma generica della “consultazione popolare”. Tra i vari esempi si segnalano: l’art. 29 dello Statuto della Catalogna, che prevede il diritto dei cittadini catalani alla convocazione di consultazioni popolari (consultas populares) da parte della Comunità e dei comuni, sulle materie di rispettiva competenza, nella forma e nelle condizioni previste dalle leggi; l’art. 30 dello Statuto dell’Andalusia, che prevede il diritto a promuovere la convocazione di consultazioni popolari (consultas populares) da parte della Giunta o dei comuni, nei termini stabiliti dalle leggi.
Carattere del tutto eccezionale ha avuto la vicenda del referendum sull’indipendenza della Catalogna, all’interno di una crisi politico-istituzionale inedita. Nel settembre 2017 il Parlamento catalano ha approvato due leggi:
§ la Legge 19/2017 sul referendum di autodeterminazione (Ley 19/2017, de 6 de septiembre, del referèndum de autodeterminación);
§ la Legge 20/2017 di transizione giuridica e costitutiva della Repubblica (Ley 20/2017, de 8 de septiembre, de transitoriedad jurídica y fundacional de la República).
Il quesito referendario di autodeterminazione di cui alla Legge 19/2017 riguardava la scelta per la Comunità autonoma di diventare uno Stato indipendente di forma repubblicana. Nel caso di risultato favorevole, era previsto che il Parlamento, entro due giorni dalla proclamazione del risultato, si riunisse in seduta ordinaria per dichiarare l’indipendenza della Catalogna, mentre nell’ipotesi negativa sarebbero state convocate le elezioni regionali. L’art. 9 della legge fissava la data del referendum al 1° ottobre 2017[19].
Le due leggi sono state dapprima sospese e quindi dichiarate incostituzionali dal Tribunale costituzionale spagnolo.
SVIZZERA
Gli istituti di democrazia diretta costituiscono una delle peculiarità dell’ordinamento svizzero. Oltre al diritto di voto e di eleggibilità, i cittadini svizzeri[20] possono, infatti, far valere le proprie richieste mediante tre strumenti tipici della democrazia diretta, disciplinati nel Titolo quarto, Capitolo secondo (artt. 138-142) della Costituzione:
§ l’iniziativa popolare;
§ il referendum facoltativo;
§ il referendum obbligatorio.
1. L’iniziativa popolare
L’iniziativa popolare permette ai cittadini di proporre una modifica della Costituzione federale[21]. Affinché tale iniziativa possa essere sottoposta a votazione è necessario raccogliere 100.000 firme[22] nell’arco di 18 mesi dalla sua pubblicazione ufficiale. Possono firmare un’iniziativa popolare tutte le persone che hanno diritto di voto in Svizzera, compresi i cittadini svizzeri residenti all’estero. È necessario istituire un Comitato d’iniziativa, composto da un minimo di 7 a un massimo di 27 membri aventi diritto di voto a livello federale. Il Comitato deve redigere il testo dell’iniziativa in una lingua ufficiale[23].
Un’iniziativa può essere presentata sotto forma di testo già elaborato o di proposta generica, sebbene sia più frequente il primo caso.
Il Parlamento[24] decide se l’iniziativa rispetta i principi di unità della forma e di unità della materia, nonché le disposizioni cogenti del diritto internazionale. In caso contrario, può dichiararla nulla in tutto o in parte (art. 139, comma 3, della Costituzione).
Parallelamente l’art. 75 (“Esame della validità”) della Legge federale sui diritti politici, del 17 dicembre 1976, stabilisce quanto segue:
“1. L’iniziativa popolare che non rispetti l’unità materiale o l’unità formale o che violi disposizioni cogenti del diritto internazionale è dichiarata nulla in tutto o in parte dall'Assemblea federale.
2 L’unità materiale è rispettata se le singole parti dell’iniziativa sono intrinsecamente connesse.
3. L’unità formale è rispettata se l’iniziativa riveste esclusivamente la forma di proposta generale o di progetto già elaborato”[25].
In merito ai principi di unità, nel 1977 l’iniziativa popolare “contro il rincaro e l’inflazione” fu dichiarata nulla perché riuniva insieme diversi diritti sociali fondamentali e ampie competenze di natura economico-politica della Confederazione. Nel 1995 fu dichiarata nulla l’iniziativa popolare “per meno spese militari e più politica di pace” poiché la riduzione delle spese per la difesa nazionale proposta veniva collegata all’impiego dei mezzi risparmiati in favore della politica di pace, dell’assicurazione sociale e della ristrutturazione dell’industria dell’armamento.
Per quanto concerne la violazione di disposizioni cogenti del diritto internazionale, tale criterio è stato sancito nella Costituzione con la revisione totale del 1999, ma era già stato riconosciuto in precedenza dalla giurisprudenza, che nel 1996 dichiarava nulla l’iniziativa popolare “per una politica d’asilo razionale” perché violava il principio del “non-refoulement”[26].
Sulla possibilità di definire il “diritto internazionale cogente”, il Consiglio nazionale ha argomentato, nel 2010, che il diritto internazionale cogente è formato da norme valide nell’interesse di tutti gli Stati o degli Stati di una determinata regione. Il diritto internazionale cogente è un insieme strutturato di norme giuridiche internazionali, di diritto internazionale consuetudinario e di applicazioni del diritto realizzatosi nel corso dei secoli. Non può dunque esistere una definizione del concetto precisa dal profilo giuridico. La prassi e anche parte della dottrina ritengono che il concetto di disposizioni cogenti del diritto internazionale si estenda oltre lo ius cogens del diritto internazionale. Il Consiglio federale[27] ha affermato che anche le garanzie intangibili in stato d’emergenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950, e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, costituiscono parte integrante del diritto internazionale cogente richiamato dal diritto nazionale e devono essere considerate come limiti autonomi delle revisioni costituzionali (2013)[28].
Se il Parlamento la dichiara valida, l’iniziativa popolare è sottoposta al voto popolare. Il Consiglio federale e il Parlamento possono, tuttavia, decidere di contrapporle, direttamente o indirettamente, un altro progetto.
Nel primo caso il Parlamento può proporre una diversa modifica della Costituzione. Se il Comitato d’iniziativa non ritira la sua iniziativa, il controprogetto[29] è sottoposto a votazione contemporaneamente all’iniziativa popolare in questione.
Nel secondo caso, il Parlamento non propone una modifica della Costituzione, ma una modifica di legge o una nuova legge. Se il Comitato non ritira la sua iniziativa, il controprogetto indiretto entra in vigore qualora l’iniziativa venga rifiutata.
L’iniziativa viene quindi sottoposta al voto del popolo e dei cantoni (a meno che i fautori non la ritirino). Per essere accettata deve ricevere l’approvazione della maggioranza del corpo elettorale e dei cantoni (cosiddetta “doppia maggioranza”).
Qualora la maggioranza dei votanti e dei cantoni sia favorevole tanto all’iniziativa quanto al controprogetto, si applica una regola speciale. Determinante in questo caso è la cosiddetta “domanda risolutiva”, ossia la terza domanda posta sulla scheda di voto. Rispondendo a questa domanda, i votanti indicano se, nel caso in cui entrambi i progetti siano approvati, preferiscono l’iniziativa o il controprogetto. Entra in vigore il progetto a cui la maggioranza dei votanti e dei cantoni ha dato la preferenza nella domanda risolutiva.
È possibile per l’elettore non rispondere alla domanda risolutiva, nel qual caso il voto dato all’iniziativa e al controprogetto rimane tuttavia valido[30].
Non è necessario raggiungere un quorum o una partecipazione minima al voto.
Il voto dei cittadini deve avvenire non oltre i 34 mesi dalla consegna dell’iniziativa popolare; se vi è una controproposta all’iniziativa popolare, il termine è fissato in 46 mesi[31].
Il risultato dell’iniziativa è giuridicamente vincolante e comporta la modifica della Costituzione. Il Parlamento conserva un margine di manovra nel momento di elaborazione delle leggi di applicazione dell’iniziativa.
La prima iniziativa popolare fu promossa nel maggio 1892, e aveva ad oggetto il “divieto della macellazione rituale”. Le iniziative promosse sono state 461, di cui 116 con esito favorevole e 333 con esito non favorevole, 100 iniziative sono state ritirate, mentre 4 sono state dichiarate nulle. Le iniziative oggetto di una votazione sono state 213, di cui 22 sono state accettate dal popolo e dai cantoni[32].
Si tenga presente che si può chiedere, mediante un’iniziativa popolare federale, una modifica totale o parziale della Costituzione federale, ma non l’introduzione o la modifica di una legge federale. La domanda di modifica di una legge, denominata “iniziativa legislativa”, è invece possibile in diversi cantoni[33].
2. I referendum
Con l’istituto del referendum facoltativo i cittadini possono chiedere di sottoporre a votazione popolare una legge federale, i decreti federali e alcuni trattati internazionali purché avvenga in tempi brevi subito dopo l’approvazione parlamentare. A tal fine è necessario raccogliere 50.000 firme entro 100 giorni dalla pubblicazione del testo di legge (art. 141 della Costituzione)[34].
Un referendum popolare facoltativo può essere promosso da qualsiasi cittadino avente diritto di voto e non è necessario istituire un comitato per il referendum. Se i promotori del referendum hanno raccolto un numero sufficiente di firme valide, il testo deve essere sottoposto a votazione popolare. Non è previsto un termine entro il quale deve svolgersi la votazione. La legge o l’atto entreranno in vigore solo se approvati dalla maggioranza dei votanti.
Alla pagina Indice cronologico dei referendum è possibile consultare l’elenco dei referendum facoltativi tenutisi in Svizzera dal 1875 al 2018. I referendum sono stati 222, di cui 187 con esito favorevole e 35 con esito non favorevole. Il primo referendum si tenne il 9 giugno 1875, sulla “Legge federale pel diritto di voto dei cittadini svizzeri”.
Qualsiasi modifica costituzionale decisa dal Parlamento viene invece sottoposta a referendum obbligatorio. Anche l’adesione della Svizzera ad alcune organizzazioni internazionali è soggetta a referendum obbligatorio. Le modifiche costituzionali entrano in vigore solo se approvate dalla maggioranza del corpo elettorale e dei cantoni (art. 140 della Costituzione)[35].
3. Il diritto di petizione
L’ordinamento svizzero prevede, infine, il diritto di petizione. La petizione può essere presentata e firmata da chiunque, indipendentemente dall’età e dalla nazionalità, e può riguardare qualsiasi attività dello Stato. È possibile rivolgere una petizione alle autorità comunali, cantonali o federali. Sono possibili due modalità di presentazione:
§ petizione su carta;
§ petizione online.
La petizione si compone generalmente di un titolo e di un testo, senza avere un’impostazione predefinita. Non è previsto né un termine di consegna, né un numero minimo di firme.
Secondo l’art. 33 della Costituzione federale chiunque ha il diritto di rivolgere petizioni alle autorità. L’autorità cui è rivolta la petizione è tenuta a prenderne atto, ma non ha l’obbligo di rispondere.
CALIFORNIA
La costituzione dello Stato di California contempla tre istituti di “democrazia diretta”: il referendum, la petizione e la revoca (recall) di cariche pubbliche ricoperte in base a mandati elettivi. In relazione ai primi due istituti è utile, in premessa, considerarne la specifica connotazione nel sistema giuridico californiano, tale da configurarlo come “sistema ibrido” in cui la tradizionale separazione dei poteri è affiancata da processi decisionali fondati sul diretto voto popolare.
Una preliminare distinzione riguarda le votazioni popolari di tipo referendario, differenziate tra (a) quelle obbligatorie o facoltative, ma in ogni caso indette “dall’alto” da un organo politico-rappresentativo (in genere un’Assemblea legislativa), e (b) quelle facoltative, promosse “dal basso” mediante richiesta sottoscritta dagli elettori.
Le consultazioni del primo tipo sono esperite obbligatoriamente in caso di modifica delle costituzioni statali, e come tali sono previste in tutti gli Stati della federazione nell’ambito del processo di revisione costituzionale (tranne il Delaware). La California si connota per la vigenza di un ulteriore referendum “approvativo”, riferito a determinate categorie di progetti di legge di iniziativa parlamentare per i quali è prevista (oltre alla maggioranza parlamentare qualificata) la finale approvazione popolare affinché possano produrre effetti; è il caso delle leggi di spesa che comportino un impegno per l’erario di almeno 300.000 dollari, come previsto dalla costituzione dello Stato (art. XVI, § 1, cost. California).
Le consultazioni del secondo tipo sono previste in diversi Stati (inclusa la California) e consentono agli elettori, in via opzionale, di bloccare una legge approvata dall’organo legislativo, in esercizio di un potere di veto attribuito al corpo elettorale (art. II, § 9, cost. statale). A questa categoria di consultazioni è da riferire l’espressione referendum by petition, che designa la richiesta di votazione popolare sottoscritta dagli elettori per ratificare o respingere una legge (entro 90 giorni dalla sua approvazione parlamentare) oppure un provvedimento amministrativo adottato dall’organo competente. Si tratta, in questo caso, di una forma di consultazione simile al «referendum legislativo» svizzero, poiché tipicamente si svolge prima che entrino in vigore la legge o il provvedimento che ne sono oggetto.
Nel dibattito politico e nelle analisi dottrinali, tuttavia, la “democrazia diretta” è concetto riferito soprattutto alle consultazioni denominate initiatives e, nello specifico caso californiano, propositions.
La proposition (iniziativa propositiva) è una proposta di legge (ordinaria o costituzionale: art. II, § 8 della costituzione californiana) di iniziativa popolare presentata sulla base una raccolta di firme tra gli elettori e, a seguito di tale pubblica sottoscrizione, sottoposta all’approvazione del corpo elettorale.
L’istituto della proposition è radicato nell’esperienza storico-giuridica a far data dagli inizi del XX secolo, e in California trae origine dalla reazione politica che ebbe luogo contro lo strapotere del monopolio ferroviario e la sua capacità di condizionamento della politica locale; reazione che si tradusse, nel 1911, con l’introduzione nella legislazione statale dell’iniziativa propositiva oltre al referendum e al recall. Il modello si è nel tempo diffuso in 27 dei 51 Stati della federazione, i quali hanno adottato forme di iniziativa legislativa direttamente azionabili dal corpo elettorale oppure hanno introdotto, a livello locale, strumenti di partecipazione pubblica alle decisioni delle contee e delle municipalità. Precursori nell’adozione di tali strumenti furono il Sud Dakota nel 1898, lo Utah nel 1900 e l’Oregon nel 1902, Stato che, appena costituito, vide svilupparsi l’interesse per la democrazia diretta grazie al significativo insediamento nel suo territorio di immigrati svizzeri.
Per contro, gli istituti di “democrazia diretta” non riguardano l’ordinamento federale, che in coerenza con l’originaria impostazione dei Framers (in particolare di Adams e di Madison all’Assemblea Costituente del 1787) non prevede forme di partecipazione diretta del corpo elettorale alla determinazione delle politiche nazionali.
Sul piano della procedura, le propositions esperibili in California seguono un iter delineato dalla costituzione statale (art. II, § 8). È previsto che i promotori possano avvalersi dell’ausilio di uffici pubblici allo scopo di redigere il quesito, che può riguardare qualsiasi materia, di rango legislativo o costituzionale, con il solo vincolo dell’unità dell’oggetto (single subject rule, che nella sua applicazione ha tuttavia consentito la presentazione di proposte dal testo esteso e articolato).
La formula della proposta di iniziativa popolare è sottoposta all’esame dell’autorità giurisdizionale (attorney general), che provvede a redigerne la sintesi e ad assegnare il titolo, destinati a figurare sull’opuscolo informativo ufficiale da predisporre per la consultazione referendaria (art. II, § 10, lett. d, cost. statale). Tale pubblicazione, inviata per tempo a tutti gli elettori, oltre alla sintesi riporta il testo integrale della proposta nonché gli argomenti dei sostenitori e degli oppositori (il cui testo è contenuto entro limiti prefissati, con la possibilità di aggiungere successivamente un più breve testo di replica alle opposte argomentazioni).
Per poter essere sottoposto alla decisione elettorale, il quesito è aperto alla pubblica sottoscrizione per un periodo massimo di 150 giorni, e necessita di un quorum di adesioni pari al 5% degli elettori votanti alle precedenti elezioni per il governatore dello Stato ove si tratti di iniziative di legge statutaria (ovvero ordinaria), e dell’8% per le iniziative di modifica costituzionale.
Ottenuta la convalida (qualification) attraverso un numero sufficiente di sottoscrizioni, la proposta è infine sottoposta al giudizio degli elettori (di norma in abbinamento alle elezioni per il Governatore dello Stato o alle primarie) ed è approvata con la maggioranza dei voti espressi. Dopo la sua approvazione popolare, l’atto normativo di rango ordinario può tuttavia essere modificato dalla Camera dei Rappresentanti dello Stato (art. II, § 10, lett. c, cost. statale), mentre l’emendamento costituzionale può a sua volta essere modificato solo da un referendum.
Le fasi e gli adempimenti che scandiscono la procedura per la presentazione di una proposition sono oggetto della guida esplicativa predisposta dal Secretary of State californiano in attuazione della legislazione elettorale statale (Electoral Code).
La proposta approvata è, in ogni caso, sindacabile in sede giurisdizionale e può essere annullata; ciò ha indotto alcuni osservatori a sostenere l’opportunità di un vaglio preliminare della proposta da parte della Corte Suprema dello Stato, per scongiurare il rischio – più volte verificatosi – di vanificare il procedimento di iniziativa popolare appena concluso.
Lo strumento della proposition costituisce tuttora oggetto di analisi critica e di discussione tra gli studiosi. I giudizi espressi in sede giuridica, politologica, economica (talora basati sull’esame di rilevazioni statistiche e di dati empirici) tendono a metterne in luce sia gli aspetti virtuosi sotto il profilo della partecipazione popolare ai processi decisionali, sia le ricadute negative, perlopiù ricondotte proprio alla deroga che detti strumenti partecipativi rappresentano rispetto al tradizionale principio della rappresentanza democratica.
È diffusamente riconosciuto, infatti, il ruolo assolto dagli istituti di “democrazia diretta” nel contrastare l’influenza esercitata da particolari gruppi d’interesse sulle politiche pubbliche e nell’assicurare il controllo sugli amministratori pubblici. Lo strumento della proposition, in particolare, si ritiene abbia consentito ai cittadini di “aggirare” gli organi legislativi e di introdurre direttamente nuove disposizioni di legge o amministrative; e si è positivamente considerata, con analisi svolte nella chiave delle dinamiche e degli equilibri politico-istituzionali, l’interazione della vigenza di tali strumenti con le attribuzioni degli organi rappresentativi.
Per contro, è stato anche rilevato come, specie a livello statale, abbiano fatto ricorso all’iniziativa propositiva proprio quei soggetti (interessi organizzati o lobbies) che, nello spirito e secondo le finalità di tale istituto, avrebbero dovuto essere sottoposti al pubblico e trasparente controllo; ciò anche a causa dell’impiego di risorse richiesto ormai dagli accresciuti costi delle campagne elettorali, determinato proprio dell’emersione di una sorta di una professionale «industria delle iniziative».
Ciò non ha impedito, nell’esperienza californiana, l’approvazione di iniziative propositive specificamente finalizzate a introdurre obblighi di trasparenza nella vita politica. Ad esempio, la proposition 105 del 1988, rimasta in vigore per alcuni anni, ha stabilito l’obbligo dei candidati di rendere pubbliche le principali fonti di finanziamento nelle campagne elettorali; la proposition 140, approvata nel 1990 con l’intento di contrastare il consolidarsi di un ceto politico professionale, ha posto un limite ai mandati nonché ai fondi in dotazione ai parlamentari, riducendoli all’80% del precedente importo. A questo proposito merita notare che, mentre i reiterati ricorsi giurisdizionali per l’annullamento del limite ai mandati non hanno avuto finora accoglimento, hanno invece avuto successo le azioni promosse in giudizio per la revoca di taluni limiti finanziari incidenti sugli accantonamenti pensionistici dei deputati statali.
Un altro e più recente esempio del rilievo acquisito dallo strumento in esame nella dimensione istituzionale e nelle dinamiche politiche, ora in relazione ai diritti civili (e ad una articolata vicenda giuridica culminata nella celebre sentenza Obergefell pronunciata nel 2015 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti), è rappresentato dalla proposition 22 presentata nel marzo 2000 per stabilire che il matrimonio potesse essere legalmente contratto solo tra un uomo ed una donna. Malgrado l’approvazione della proposta di iniziativa popolare (con una maggioranza del 61,4%), il parlamento californiano disattese tale determinazione, approvando una legge che permetteva il matrimonio omosessuale; alla legge oppose però il diritto di veto, in esercizio delle sue prerogative, il governatore dello Stato Schwarzenegger (il quale, può essere utile ricordare, è stato eletto a seguito del recall del suo predecessore).
Per altro verso, sono state formulate discordanti opinioni circa gli effetti economico-sociali dell’approvazione di talune propositions statali (numerate in modo progressivo a partire dal 1984). Un caso esemplare, a questo riguardo, è rappresentato dalla cosiddetta propositions 13 (in materia di tassazione della proprietà immobiliare) che animò il dibattito politico californiano negli anni 1977-1978 e diede avvio al crescente ricorso a tale strumento registrato negli anni successivi. La proposta popolare approvata in quella occasione, a causa del vincolo posto alla discrezionalità del legislatore e degli squilibri fiscali che ne sono derivati, avrebbe fornito dimostrazione, secondo alcuni osservatori, delle conseguenze pregiudizievoli del ricorso al processo decisionale democratico-diretto in luogo di quello democratico-rappresentativo, e indicato il limite di fondo del primo, da individuarsi nella “irresponsabilità del voto popolare” (quale può manifestarsi nel fenomeno cosiddetto del ballot-box budgeting).
In una diversa prospettiva, è stato ritenuto che gli iniziali benefici derivanti dall’introduzione e dall’esercizio di strumenti di “democrazia diretta” siano destinati a determinare “costi occulti” sul piano della funzionalità delle istituzioni, favorendo un indebolimento delle cariche rappresentative e, in una medesima spirale involutiva, della capacità dei cittadini di selezionare validi rappresentanti.
Secondo altre opinioni - non limitate al caso della California ma riferite a un quadro più ampio -, gli strumenti di democrazia diretta avrebbero effetti virtuosi sulla finanza pubblica, diminuendo la spesa complessiva, trasferendola al livello locale e determinando lo spostamento della fiscalità al pagamento di specifici servizi erogati. Altri osservatori, in termini più generali (ma traendo spunto dall’esperienza tedesca), hanno evidenziato i possibili condizionamenti sulle scelte di interesse pubblico e i conflitti inter-generazionali che potrebbero prodursi per l’effetto combinato dell’invecchiamento della popolazione (e del corpo elettorale) e di un ricorso sistematico alla determinazione delle politiche pubbliche attraverso la leva della “democrazia diretta”.
Una diversa censura mossa all’iniziativa popolare riguarda le modifiche costituzionali che possono esserne oggetto e l’eccessiva flessibilità costituzionale che la loro diffusa utilizzazione determina (dal 1911 al 2014, la costituzione californiana è stata in questo modo emendata 52 volte).
Un ulteriore ordine di critiche, che ha preso corpo in parallelo con l’intensificarsi del ricorso alle propositions nella vita politica californiana, riguardano la complessità dei quesiti e, per alcuni temi, la difficoltà dell’elettore a formarsi e ad esprimere una ponderata opinione. D’altra parte, l’eccessiva frequenza della loro indizione, inducendo effetti “inflattivi” e di disaffezione dell’elettore, rappresenterebbe un motivo della scarsa affluenza elettorale e, conseguentemente, della debole legittimazione politica delle proposte approvate (a tale riguardo è stato segnalato, ad esempio, come due propositions abbinate alle primarie svoltesi in California nel 2014 siano state approvate con il voto del solo 25% degli aventi diritto).
Il Trattato sull’Unione europea (TUE) riconosce all’art. 1 l’obiettivo di creare “un’Unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.
Tale obiettivo è declinato dagli articoli 10 ed 11 del TUE i quali stabiliscono che:
§ il funzionamento dell'Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa, i cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo;
§ ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini;
§ i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell'Unione;
§ le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione;
§ le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile (cfr. paragrafo sul registro sulla trasparenza);
§ al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate;
§ i cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati (cfr. infra paragrafo sul diritto di iniziativa dei cittadini).
Si ricorda che, nella sistematica del Trattato, l’articolo 11 è seguito dall’articolo 12 che disciplina il ruolo dei Parlamenti nazionali nel buon funzionamento dell’Unione (v. scheda il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’UE).
Ai sensi dell’articolo 227 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) qualsiasi cittadino dell’Unione, nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda in uno Stato membro ha il diritto di presentare, individualmente o in associazione con altri cittadini o persone, una petizione al Parlamento europeo (sul diritto di petizione v. infra).
Il Trattato di Lisbona ha introdotto una nuova forma di partecipazione popolare alle decisioni politiche dell'Unione europea, l'iniziativa dei cittadini, modificando l’articolo 11, paragrafo 4, del Trattato sull’Unione europea (TUE). La disposizione prevede che un numero di cittadini dell’Unione non inferiore a 1 milione possa invitare la Commissione europea a presentare una proposta in settori di sua competenza.
L’iniziativa dei cittadini è stata poi disciplinata dal Regolamento (UE) n. 211/2011 del 2011.
La Commissione europea ha presentato, il 13 settembre 2017, una proposta di revisione del regolamento (UE) n. 211/2011, sulla quale il Consiglio dell’UE il 26 giugno 2018 ha raggiunto un accordo e per la quale sono in corso negoziati con il Parlamento europeo nell’ambito della procedura di trilogo, ai fini di un accordo in prima lettura.
Parlamento europeo, Consiglio e Commissione nella dichiarazione congiunta sulle priorità legislative 2018-2019, firmata il 14 dicembre 2017, si sono impegnati a trattare la proposta di revisione del regolamento sull’iniziativa dei cittadini in via prioritaria, per assicurare, se possibile, la sua approvazione prima delle elezioni europee del 2019.
Il regolamento UE n. 211/2011 del 16 febbraio 2011, entrato in vigore il 1° aprile 2012, ha definito norme e procedure che disciplinano questo nuovo strumento. In particolare, il regolamento prevede che 1 milione di cittadini di almeno un quarto degli Stati membri dell'UE (attualmente almeno 7 Stati membri) - secondo una soglia minima fissa stabilita per ciascun Stato membro, pari al numero dei parlamentari europei per quella nazione moltiplicato per 750 (per l’Italia occorrono 54.750 sottoscrizioni) – possa invitare la Commissione europea a proporre atti giuridici.
Gli organizzatori di un'iniziativa, dopo aver costituito un comitato composto da almeno 7 cittadini dell'UE residenti in almeno 7 diversi Stati membri, hanno 1 anno per raccogliere le dichiarazioni di sostegno necessarie. Il numero delle dichiarazioni di sostegno deve essere certificato dalle autorità competenti degli Stati membri.
Possono sostenere l’iniziativa tutti i cittadini dell'UE (cittadini di uno Stato membro) che hanno raggiunto l'età alla quale si acquisisce il diritto di voto per le elezioni al Parlamento europeo (18 anni in ogni paese, salvo l'Austria, dove ne bastano 16).
La Commissione europea è tenuta a:
§ pubblicare senza indugio l’iniziativa dei cittadini sul suo registro;
§ ricevere gli organizzatori a un livello appropriato per consentire loro di esporre in dettaglio le tematiche sollevate dall’iniziativa dei cittadini;
§ esporre, entro tre mesi, in una comunicazione le sue conclusioni giuridiche e politiche riguardo all’iniziativa dei cittadini, l’eventuale azione che intende intraprendere e i suoi motivi per agire o meno in tal senso. La Commissione europea, comunque, non è obbligata a proporre un atto legislativo in seguito alla presentazione di una iniziativa dei cittadini.
Gli organizzatori hanno la possibilità di presentare la loro iniziativa in un'audizione pubblica presso il Parlamento europeo.
La Commissione europea ha attivato un sito internet con tutte le informazioni relative alle iniziative aperte alle firma, a quelle che hanno raggiunto il numero richiesto di dichiarazione di sostegno e al modulo di registrazione di una nuova iniziativa. Sul sito è, inoltre, disponibile una guida all’iniziativa dei cittadini.
A partire dall’aprile 2012, data di entrata in vigore del regolamento sull’iniziativa dei cittadini, al 13 febbraio 2019 risultano:
§ 18 iniziative rifiutate (che esulavano dalle competenze della Commissione previste dai Trattati);
§ 4 iniziative che hanno raggiunto il numero di dichiarazioni di sostegno richiesto;
§ 15 le iniziative ritirate dagli organizzatori.
Dall’entrata in vigore del regolamento riguardante l’iniziativa dei cittadini, le iniziative presentate hanno raccolto complessivamente 9 milioni di dichiarazioni di sostegno.
La Commissione europea ha presentato il 28 marzo 2018 la relazione sull’applicazione del regolamento (UE) n. 211/2011 (COM (2018) 157) riguardante l’iniziativa dei cittadini, istituto introdotto dal Trattato di Lisbona, per il periodo 2015-2018. Il documento è stato esaminato dalla XIV Commissione Politiche dell’UE della Camera, che ha svolto in proposito un ciclo di audizioni e che, in data 13 febbraio 2019, ha approvato un documento finale.
L'obiettivo della proposta, presentata il 13 settembre 2017, è migliorare il funzionamento dell'iniziativa dei cittadini europei (ICE) rendendola più accessibile, meno onerosa e di più facile utilizzo. La nuova proposta dovrebbe contribuire all'obiettivo di accrescere la legittimità democratica nell'UE attraverso maggiore coinvolgimento e partecipazione dei cittadini.
La proposta della Commissione europea è volta ad introdurre, in particolare, i seguenti elementi:
§ miglioramento della procedura di registrazione, compresa la possibilità di registrazione parziale delle iniziative;
§ istituzione di un servizio di help desk presso la Commissione e di una piattaforma collaborativa online per l’ICE quale spazio di discussione e di consulenza e sostegno agli organizzatori;
§ attivazione di un sistema centrale di raccolta elettronica gestito dalla Commissione entro il 1° gennaio 2020;
§ semplificazione dei requisiti in materia di dati per i firmatari e possibilità per tutti i cittadini dell’UE di dare il loro sostegno in base alla nazionalità;
§ introduzione dell’età minima di 16 anni per i firmatari;
§ possibilità per gli organizzatori di scegliere la data di inizio della campagna di raccolta;
§ possibilità per i firmatari di essere informati per e-mail.
A seguito dei negoziati interistituzionali, svoltisi a livello di trilogo, Parlamento europeo, Commissione e Consiglio hanno da ultimo raggiunto il 13 dicembre 2018 un accordo che accoglie sostanzialmente le proposte iniziali della Commissione con le seguenti principali modifiche:
· l'età minima di sostegno per l'ICE (iniziativa dei cittadini europei): il testo di compromesso raggiunto (una maggioranza di Stati membri si era infatti opposta alla proposta della Commissione di portare a 16 anni l'età minima per sostenere una ICE), riprendendo la vigente disposizione sull'età di sostegno per l'ICE di cui al regolamento (UE) n. 211/2011, che fissa come età minima per i firmatari quella alla quale in ogni Stati membro si acquisisce il diritto di voto per le elezioni del Parlamento europeo, aggiunge che gli Stati membri , in accordo con le rispettive norme nazionali, possano fissare l'età minima per i firmatari a 16 anni e in tal caso ne devono informare la Commissione europea;
· per facilitare la transizione verso il nuovo sistema centrale di raccolta delle firme on-line e l'eliminazione della possibilità per gli organizzatori di una ICE di avere un proprio autonomo sistema di raccolta delle firme on-line si prevede la possibilità per gli organizzatori di continuare ad utilizzare un proprio sistema di raccolta fino al 31 dicembre 2022;
· l'allungamento da 3 a 6 mesi dalla data di registrazione di una ICE per la decorrenza del periodo di 12 mesi entro i quali raccogliere le firme necessarie.
Il testo dell'accordo raggiunto in sede di trilogo potrebbe essere approvato dal Parlamento europeo in occasione della plenaria del marzo 2019 e successivamente dal Consiglio dell'UE.
Le disposizioni del nuovo regolamento, una volta approvato definitivamente ed entrato in vigore, si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2020.
L’accordo interistituzionale “Legiferare Meglio” tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione europea firmato il 13 aprile 2016 ed entrato in vigore il 13 maggio 2016 prevede al paragrafo 19 che la consultazione del pubblico e dei portatori di interesse è parte integrante di un processo decisionale e del miglioramento della qualità di tale processo.
L’Accordo prevede che la Commissione, prima di adottare una proposta, conduca consultazioni pubbliche in maniera aperta e trasparente, facendo in modo che le modalità e le scadenze di dette consultazioni permettano una partecipazione quanto più ampia possibile. In particolare la Commissione incoraggia la partecipazione diretta alle consultazioni delle PMI e di altri utenti finali, anche tramite internet. I risultati delle consultazioni del pubblico e dei portatori di interesse sono comunicati senza indugio ai co-legislatori e resi pubblici.
La Commissione europea ha inaugurato a partire dal 2003 il sito La vostra voce in Europa con l’obiettivo di dare accesso a un’ampia gamma di consultazioni, dibattiti e altri strumenti che consentano ai cittadini ed alle parti sociali di partecipare attivamente al processo politico europeo.
Attraverso il sito i cittadini europei hanno la possibilità di:
§ partecipare alle consultazioni avviate dalla Commissione europea;
§ intervenire nelle discussioni dei blog dei Commissari europei;
§ seguire le attività dell’UE attraverso i principali social media.
Alla data del 2 ottobre 2018 risultano essere state svolte 492 consultazioni (di cui ancora aperte 12) su diverse politiche e progetti di atti della Commissione europea.
Ai sensi dell'articolo 227 del TFUE, qualsiasi cittadino dell'Unione europea o residente di uno Stato membro può presentare una petizione al Parlamento europeo, individualmente o in associazione con altri, su una materia che rientra nel campo d'attività dell'Unione europea e che lo concerne direttamente. Il diritto di petizione, garantito dal Trattato, è riconosciuto anche alle società, organizzazioni o associazioni con sede sociale nell'Unione europea.
Il regolamento (UE) n. 390/2014 del Consiglio, del 14 aprile 2014, ha istituito il programma “L’Europa per i cittadini” per il periodo 2014-2020, con una dotazione finanziaria di circa 185 milioni di euro per l’intero periodo.
Il programma ha i seguenti obiettivi:
§ contribuire alla comprensione dell'Unione, della sua storia e diversità da parte dei cittadini;
§ promuovere la cittadinanza europea e migliorare le condizioni per la partecipazione civica e democratica a livello di Unione.
Il regolamento (UE, Euratrom) 1141/2014, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee prevede, tra le altre, le seguenti disposizioni che si applicano a partire dal 1° gennaio 2017:
§ prevede norme minime sull’organizzazione interna dei partiti politici europei tra le quali, in particolare, la definizione di criteri di selezione dei candidati agli organi direttivi e le modalità della loro nomina e della loro revoca dall'incarico;
§ introduce forme di trasparenza e controllo più incisive sulle loro attività e su quelle delle fondazioni, prevedendo in particolare sanzioni per le violazioni dei valori dell’UE e delle disposizioni del regolamento.
§ eleva il tetto delle donazioni individuali ai partiti politici a livello europeo a 18.000 euro su base annuale.
Il regolamento 1141/2014 è stato recentemente modificato dal regolamento 2018/673 del 3 maggio 2018 che in particolare ha previsto:
§ requisiti più rigorosi per la formazione di un partito politico europeo: in futuro soltanto i partiti, e non più i singoli individui, potranno sponsorizzare la creazione di un partito politico. L'adesione a più di un partito sarà proibita;
§ una distribuzione più proporzionale dei finanziamenti: l'importo fisso che ogni partito percepisce dal bilancio dell'UE sarà ridotto dal 15% al 10%; rimane quindi una quota maggiore del bilancio (90%) che sarà assegnata in proporzione al numero di deputati del Parlamento europeo di ogni partito;
§ un accesso più semplice ai fondi: il requisito di cofinanziamento scenderà dal 15% al 10% per i partiti politici europei e al 5% per le fondazioni politiche europee, facilitando il raggiungimento del livello di risorse proprie richiesto;
§ un'applicazione più rigorosa: le nuove norme consentono in certi casi di recuperare i finanziamenti dai responsabili di abusi dei fondi UE. Anche la cancellazione dal registro dei partiti che hanno fornito informazioni false è semplificata;
§ maggiore trasparenza: in futuro i partiti politici europei saranno in grado di ricevere finanziamenti soltanto se i loro partiti membri nell'UE pubblicheranno il logo e il programma del partito politico europeo sui loro siti web.
La Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE che si è svolta a Bratislava il 23 e 24 aprile 2017, tra i punti all’ordine del giorno, ha discusso anche del tema delle migliori prassi per portare l’agenda parlamentare più vicina ai cittadini.
Su tale questione, la Conferenza dei Presidenti nelle conclusioni adottate, in particolare si indica:
§ l’impegno alla più ampia trasparenza ed apertura dei lavori parlamentari, volta a garantire la trasparenza del processo legislativo e la titolarità pubblica dell’informazione parlamentare;
§ il riconoscimento dell’importanza per la democrazia dell’impegno dei cittadini nella vita politica e l’importante ruolo dei Parlamenti nel colmare la distanza tra cittadini ed istanze decisionali a livello politico e nell’attività di comunicazione al pubblico delle politiche europee e nazionali, auspicando a tale proposito una più stretta cooperazione tra i Parlamenti e lo scambio delle migliori prassi;
§ la necessità che tutti i livelli istituzionali, sia a livello europeo che a livello nazionale, facciano uno sforzo maggiore in termine di comunicazione al pubblico sui temi dell’Europa, e sulla storia e i valori condivisi dai cittadini europei;
§ che l’uso delle nuove forme e piattaforme di comunicazione elettroniche può facilitare un maggiore coinvolgimento della società pubblica, e in particolare dei giovani, nel processo decisionale;
§ una maggiore trasparenza, apertura e prossimità del processo politico ai cittadini europei è essenziale per contrastare forme di incitamento all'odio, notizie false e disinformazione che si esprimono sulle piattaforme digitali.
La Commissione europea ha presentato il 28 settembre 2016 una proposta di accordo interistituzionale tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo in merito ad un registro per la trasparenza obbligatorio che contenga in un codice di condotta, le regole e i principi applicabili ai rappresentanti di interesse che agiscono nell’ambito delle istituzioni dell’UE.
La proposta, in corso di negoziazione, intende sostituire, aggiornandolo, il vigente accordo tra Commissione europea e Parlamento europeo in merito al registro sulla trasparenza del 2011 che è stato da ultimo aggiornato il 16 aprile 2014. L’accordo del 2014, a differenza della proposta in discussione, ha natura volontaria e non si applica al Consiglio dell’UE, che al momento, non prevede alcuna regolazione specifica che renda trasparenti i suoi contatti con i rappresentanti di interessi.
La proposta ha l’obiettivo di subordinare certi tipi di interazione da parte di rappresentanti di interesse con la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo alla previa iscrizione nel registro, che quindi diventerebbe de facto una condizione preliminare per la rappresentanza di interessi presso le istituzioni dell’UE allo scopo di influenzare l’elaborazione, l’attuazione e il processo decisionale relativo alla normativa dell’UE.
Si ricorda in proposito che la Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati ha approvato il 26 aprile 2016 la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera.
(fino al 20 febbraio 2019)
Atto Camera |
Titolo |
Assegnazione in sede referente |
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Data |
Commissione |
A.C. 1 |
Abrogazione dell'articolo 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale |
In corso di esame |
§ X Attività produttive (esame abbinato dei progetti di legge nn. 1, 457, 470, 526 e 587)
|
A.C. 2 |
Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell'eutanasia |
26 giugno 2018
|
§ II Giustizia § XII Affari sociali |
A.C. 3 |
Legge Rifiuti Zero: per una vera società sostenibile |
26 giugno 2018
|
§ VIII Ambiente |
A.C. 4 |
Limiti massimi degli emolumenti dovuti ai Top Manager di società di capitali a titolo di retribuzione e di bonus |
26 giugno 2018 |
§ VI Finanze |
A.C. 5 |
Disposizioni per il divieto del gioco d'azzardo |
26 giugno 2018 |
§ VI Finanze |
A.C. 6 |
Tutela della salute degli individui tramite il riordino delle norme vigenti in materia di giochi con vincite in denaro-giochi d'azzardo |
26 giugno 2018 |
§ VI Finanze § XII Affari sociali |
A.C. 7 |
Contrasto all'indebito arricchimento delle imprese sovvenzionate con contributi pubblici in caso di sciopero attraverso modifiche alla legge 12 giugno 1990, n. 146 |
26 giugno 2018 |
§ XI Lavoro |
A.C. 8 |
Garanzia dei trattamenti dei lavoratori/lavoratrici impiegati nelle filiere degli appalti privati e pubblici, contrasto alle pratiche di concorrenza sleale tra imprese e tutela dell'occupazione nei cambi di appalto |
26 giugno 2018 |
§ XI Lavoro |
A.C. 9 |
Per un fisco più equo e giusto |
26 giugno 2018 |
§ VI Finanze |
A.C. 10 |
Disposizioni per il contrasto alle false cooperative |
26 giugno 2018 |
§ X Attività produttive § XI Lavoro |
A.C. 11 |
Carta dei diritti universali del lavoro. Nuovo statuto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori |
26 giugno 2018 |
§ XI Lavoro |
A.C. 12 |
Norme per la regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio della cannabis e suoi derivati |
26 giugno 2018 |
§ II Giustizia § XII Affari sociali |
A.C. 13 |
Nuove norme per la promozione del regolare soggiorno e dell'inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari |
26 giugno 2018 |
§ I Affari Costituzionali |
A.C. 14 |
Norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura |
26 giugno 2018 |
§ I Affari Costituzionali |
A.C. 549 |
Misure a sostegno dei disoccupati e dell'uscita anticipata dal lavoro |
4 luglio 2018 |
§ XI Lavoro |
A.C. 550 |
Misure a sostegno della maternità e della paternità |
4 luglio 2018 |
§ XI Lavoro |
A.C. 1185 |
Sospensione dell'obbligo vaccinale per l'età evolutiva |
5 dicembre 2018 |
§ XII Affari sociali |
A.C. 1485 |
Insegnamento di educazione alla cittadinanza come materia autonoma con voto, nei curricula scolastici di ogni ordine e grado |
4 gennaio 2018
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§ XII Affari sociali |
Atto Senato |
Titolo |
Assegnazione in sede referente |
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Data |
Commissione |
A.S. 2 |
Indizione di un referendum di indirizzo per la rifondazione di un'Unione europea democratica e federale basata sui popoli e sulle regioni, per l'adesione all'Area Euro limitata ai territori che rispettano il pareggio di bilancio e per il coinvolgimento del popolo nelle procedure di approvazione dei trattati europei |
21 giugno 2018 |
§ 1ª Affari Costituzionali |
A.S. 3 |
Introduzione del principio di ammissibilità per i referendum abrogativi sulle leggi tributarie e di ratifica dei trattati internazionali |
21 giugno 2018 |
§ 1ª Affari Costituzionali |
A.S. 4 |
Indizione di un referendum di indirizzo sull'adozione di una nuova moneta nell'ordinamento nazionale in sostituzione dell'euro |
21 giugno 2018 |
§ 1ª Affari Costituzionali |
A.S. 5 |
Misure urgenti per la massima tutela del domicilio e per la difesa legittima |
24 ottobre 2018 |
Approvato in testo unificato (A.C. 1309)
(esame abbinato dei progetti di legge nn. 199, 234, 253, 392, 412, 563, 652)
|
A.S. 865 |
Modifica dell'art. 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall'insularità |
6 novembre 2018 |
§ 1ª Affari Costituzionali |
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Voti validi |
|||||
Data |
Oggetto del referendum |
Elettori |
Votanti |
Risposta affermativa (SI) |
Risposta negativa (NO) |
|||||
|
|
|
|
% |
|
% |
|
% |
|
|
12.05.1974 |
Scioglimento del matrimonio |
37.646.322 |
33.023.179 |
87,7 |
13.157.558 |
40,7 |
19.138.300 |
59,3 |
|
|
11.06.1978 |
Ordine pubblico |
41.248.657 |
33.489.688 |
81,2 |
7.400.619 |
23,5 |
24.038.806 |
76,5 |
|
|
|
Finanziamento pubblico dei partiti |
41.248.657 |
33.488.690 |
81,2 |
13.691.900 |
43,6 |
17.718.478 |
56,4 |
|
|
17.05.1981 |
Ordine pubblico |
43.154.682 |
34.257.197 |
79,4 |
4.636.809 |
14,9 |
26.524.667 |
85,1 |
|
|
|
Ergastolo |
43.154.682 |
34.277.194 |
79,4 |
7.114.719 |
22,6 |
24.330.954 |
77,4 |
|
|
|
Porto d'armi |
43.154.682 |
34.275.376 |
79,4 |
4.423.426 |
14,1 |
26.995.173 |
85,9 |
|
|
|
Interruzione di gravidanza (proposta radicale) |
43.154.682 |
34.270.200 |
79,4 |
3.588.995 |
11,6 |
27.395.909 |
88,4 |
|
|
|
Interruzione di gravidanza (proposta Mov. per la vita) |
43.154.682 |
34.277.119 |
79,4 |
10.119.797 |
32,0 |
21.505.323 |
68,0 |
|
|
09.06.1985 |
Indennità di contingenza |
44.904.290 |
34.959.404 |
77,9 |
15.460.855 |
45,7 |
18.384.788 |
54,3 |
|
|
08.11.1987[36] |
Responsabilità civile del giudice |
45.870.931 |
29.866.249 |
65,1 |
20.770.334 |
80,2 |
5.126.021 |
19,8 |
|
|
|
Commissione inquirente |
45.870.409 |
29.862.670 |
65,1 |
22.117.634 |
85,0 |
3.890.111 |
15,0 |
|
|
segue 08.11.1987 |
Localizzazione centrali nucleari |
45.869.897 |
29.862.376 |
65,1 |
20.984.110 |
80,6 |
5.059.819 |
19,4 |
|
|
|
Contributi enti locali per impianti di produzione energia elettrica |
45.870.230 |
29.871.570 |
65,1 |
20.618.624 |
79,7 |
5.247.887 |
20,3 |
|
|
|
Partecipazione ENEL impianti nucleari all'estero |
45.849.287 |
29.855.604 |
65,1 |
18.795.852 |
71,9 |
7.361.666 |
28,1 |
|
|
03.06.1990 |
Disciplina della caccia (L. 968/1977) [37] |
47.235.285 |
20.482.359 |
43,4 |
17.790.070 |
92,2 |
1.505.161 |
7,8 |
|
|
|
Accesso dei cacciatori ai fondi privati (art. 842 cod. civ.)[38] |
47.235.471 |
20.274.101 |
42,9 |
17.899.910 |
92,3 |
1.497.976 |
7,7 |
|
|
|
Uso dei pesticidi[39] |
47.232.383 |
20.364.370 |
43,1 |
18.287.687 |
93,5 |
1.270.111 |
6,5 |
|
|
09.06.1991 |
Norme per l'elezione della Camera dei deputati (preferenza unica) |
47.377.843 |
29.609.635 |
62,5 |
26.896.979 |
95,6 |
1.247.908 |
4,4 |
|
|
18.04.1993 |
Competenze delle USL sulla tutela dell'ambiente |
47.946.896 |
36.845.706 |
76,8 |
28.415.407 |
82,6 |
5.997.236 |
17,4 |
|
|
segue 18.04.1993 |
Finanziamento pubblico dei partiti politici |
47.946.896 |
36.896.256 |
77 |
31.225.867 |
90,3 |
3.373.039 |
9,7 |
|
|
|
Droga (uso personale di stupefacenti) |
47.946.896 |
36.911.398 |
77 |
19.255.915 |
55,4 |
15.529.815 |
44,6 |
|
|
|
Soppressione del Ministero delle partecipazioni statali |
47.946.896 |
36.851.158 |
76,9 |
31.234.897 |
90,1 |
3.428.899 |
9,9 |
|
|
|
Nomine bancarie |
47.946.896 |
36.856.051 |
76,9 |
31.046.262 |
89,8 |
3.524.781 |
10,2 |
|
|
|
Norme per la elezione del Senato della Repubblica |
47.946.896 |
36.922.390 |
77,0 |
28.936.747 |
82,7 |
6.034.640 |
17,3 |
|
|
|
Soppressione del Ministero dell'agricoltura |
47.946.896 |
36.868.634 |
76,9 |
24.325.394 |
70,2 |
10.313.117 |
29,8 |
|
|
|
Soppressione del Ministero del turismo e dello spettacolo |
47.946.896 |
36.863.866 |
76,9 |
28.528.528 |
82,3 |
6.143.898 |
17,7 |
|
|
11.06.1995 |
Abolizione totale limiti costituzione rappresentanze sindacali aziendali |
48.458.754 |
27.730.224 |
57,2 |
12.291.330 |
49,97 |
12.305.693 |
50,03 |
|
|
|
Abolizione parziale limiti per la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali |
48.458.754 |
27.702.339 |
57,2 |
15.097.799 |
62,1 |
9.197.089 |
37,9 |
|
|
segue 11.06.1995 |
Rappresentatività sindacale nel pubblico impiego |
48.458.754 |
27.795.464 |
57,4 |
15.676.385 |
64,7 |
8.562.040 |
35,3 |
|
|
|
Disciplina del soggiorno cautelare |
48.458.754 |
27.740.783 |
57,2 |
15.373.288 |
63,7 |
8.768.941 |
36,3 |
|
|
|
Privatizzazione della RAI |
48.458.754 |
27.807.196 |
57,4 |
13.736.435 |
54,9 |
11.286.527 |
45,1 |
|
|
|
Autorizzazioni all'apertura di esercizi commerciali |
48.458.754 |
27.739.462 |
57,2 |
8.741.584 |
35,6 |
15.792.453 |
64,4 |
|
|
|
Trattenute sul salario delle quote sindacali |
48.458.754 |
27.753.466 |
57,3 |
13.945.919 |
56,2 |
10.850.793 |
43,8 |
|
|
|
Abolizione del sistema del doppio turno per l'elezione del sindaco |
48.458.754 |
27.814.402 |
57,4 |
12.154.969 |
49,4 |
12.452.250 |
50,6 |
|
|
|
Orario dei negozi |
48.458.754 |
27.788.647 |
57,3 |
9.348.000 |
37,4 |
15.646.779 |
62,6 |
|
|
|
Concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale |
48.458.754 |
28.133.946 |
58,1 |
11.620.613 |
43,1 |
15.357.997 |
56,9 |
|
|
|
Interruzioni pubblicitarie di trasmissioni televisive |
48.458.754 |
28.164.078 |
58,1 |
11.985.670 |
44,3 |
15.044.535 |
55,7 |
|
|
|
Raccolta pubblicitaria per i programmi radiotelevisivi |
48.458.754 |
28.139.312 |
58,1 |
11.713.935 |
43,6 |
15.161.934 |
56,4 |
|
|
15.06.1997[40] |
Privatizzazione |
49.054.410 |
14.790.505 |
30,2 |
9.539.459 |
74,1 |
3.340.893 |
25,9 |
|
|
|
Obiezione di coscienza |
49.054.410 |
14.860.894 |
30,3 |
9.561.009 |
71,7 |
3.775.660 |
28,3 |
|
|
|
Caccia |
49.054.410 |
14.817.553 |
30,2 |
10.936.576 |
80.9 |
2.581.753 |
19,1 |
|
|
|
Separazione carriere dei magistrati |
49.054.410 |
14.791.735 |
30,2 |
10.786.069 |
83,6 |
2.123.452 |
16,4 |
|
|
|
Ordine dei giornalisti |
49.054.410 |
14.735.795 |
30,0 |
8.322.166 |
65,5 |
4.380.284 |
34,5 |
|
|
|
Incarichi extragiudiziari dei magistrati |
49.054.410 |
14.812.238 |
30,2 |
11.160.923 |
85,6 |
1.879.923 |
14,4 |
|
|
|
Ministero per le politiche agricole |
49.054.410 |
14.742.261 |
30,1 |
8.589.746 |
66,9 |
4.258.863 |
33,1 |
|
|
18.04.1999[41] |
Abolizione del voto di lista per l'attribuzione con metodo proporzionale del 25 per cento dei seggi nelle elezioni della Ca-mera dei deputati |
49.309.060 |
24.447.521 |
49,6 |
21.161.866 |
91,5 |
1.960.022 |
8,5 |
|
|
21.05.2000[42] |
Rimborso spese elettorali |
49.067.694 |
15.796.834 |
32,2 |
10.004.581 |
71,1 |
4.073.688 |
28,9 |
|
|
segue 21.05.2000 |
Abolizione del voto di lista per l'attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi nelle elezioni della Camera |
49.067.694 |
15.918.748 |
32,4 |
11.637.524 |
82,0 |
2.551.963 |
18,0 |
|
|
|
Elezione CSM |
49.067.694 |
15.634.781 |
31,9 |
9.125.465 |
70,6 |
3.805.250 |
29,4 |
|
|
|
Separazione carriere dei magistrati |
49.067.694 |
15.681.225 |
32,0 |
9.237.713 |
69,0 |
4.150.241 |
31,0 |
|
|
|
Incarichi extragiudiziari dei magistrati |
49.067.694 |
15.696.528 |
32,0 |
10.200.692 |
75,2 |
3.360.487 |
24,8 |
|
|
|
Licenziamenti |
49.067.694 |
15.953.385 |
32,5 |
4.923.381 |
33,4 |
9.834.046 |
66,6 |
|
|
|
Trattenute sindacali tramite gli enti previdenziali |
49.067.694 |
15.800.947 |
32,2 |
8.632.445 |
61,8 |
5.331.053 |
38,2 |
|
|
15.06.2003[43] |
Reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati: abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori |
47.246.810 |
12.141.547 |
25,7 |
|
|
|
|
|
|
|
2.307.318 |
503.960 |
21,8 |
|
|
|
|
|
||
segue 15.06.2003 |
49.554.128 |
12.645.507 |
25,5 |
10.572.538 |
86,7 |
1.616.379 |
13,3 |
|
||
|
Servitù coattiva di elettrodotto |
47.246.810 |
12.165.896 |
25,7 |
|
|
|
|
|
|
|
2.307.318 |
501.282 |
21,7 |
|
|
|
|
|
||
|
49.554.128 |
12.667.178 |
25,6 |
10.430.181 |
85,5 |
1.761.558 |
14,4 |
|
||
12.06.2005[44] |
Procreazione medicalmente assistita - limite alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni - Abrogazione parziale |
46.920.894 |
12.191.615 |
26,0 |
|
|
|
|
|
|
|
2.727.579 |
546.003 |
20,0 |
|
|
|
|
|
||
|
49.648.473 |
12.737.618 |
25,7 |
10.743.710 |
88,0 |
1.461.217 |
12,0 |
|
||
|
Procreazione medicalmente assistita - norme sui limiti all'accesso - Abrogazione parziale |
46.920.894 |
12.193.438 |
26,0 |
|
|
|
|
|
|
segue 12.06.2005 |
2.727.579 |
544.959 |
20,0
|
|
|
|
|
|
||
|
49.648.473 |
12.738.397 |
25,7 |
10.819.909 |
88,8 |
1.367.288 |
11,2 |
|
||
|
Procreazione medicalmente assistita - norme sulle finalità, sui diritti dei soggetti coinvolti e sui limiti all'accesso - Abrogazione parziale |
46.920.894 |
12.190.010 |
26,0 |
|
|
|
|
|
|
|
2.727.579 |
544.923 |
20,0
|
|
|
|
|
|
||
|
49.648.473 |
12.734.933 |
25,7 |
10.663.125 |
87,7 |
1.492.042 |
12,3 |
|
||
|
Procreazione medicalmente assistita - divieto di fecondazione eterologa - Abrogazione del divieto |
46.920.894 |
12.141.547 |
25,9 |
|
|
|
|
|
|
|
2.727.579 |
544.825 |
20,0 |
|
|
|
|
|
||
|
49.648.473 |
12.726.136 |
25,6 |
9.391.161 |
77,4 |
2.744.895 |
22,6 |
|
||
12.06.2009[45] |
Elezione della Camera dei deputati - abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste |
46.974.782 |
11.118.401 |
23,67 |
|
|
|
|
|
|
|
3.065.234 |
636.052 |
20,75 |
|
|
|
|
|
||
|
50.040.016 |
11.754.453 |
23,49 |
8.051.259 |
77,63 |
2.320.087 |
22,37 |
|
||
|
Elezione del Senato della Repubblica - abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste |
46.974.782 |
11.135.752 |
23,71 |
|
|
|
|
|
|
|
3.065.234 |
635.571 |
20,73
|
|
|
|
|
|
||
|
50.040.016 |
11.771.323 |
23,52 |
8.048.547 |
77,68 |
2.312.734 |
22,32
|
|
||
|
Elezione della Camera dei deputati - abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione |
46.974.782 |
11.380.928 |
24,23 |
|
|
|
|
|
|
|
3.065.234 |
640.173 |
20,88 |
|
|
|
|
|
||
segue 12.06.2009 |
50.040.016 |
12.021.101 |
24,02 |
9.489.791 |
87 |
1.417.819 |
13 |
|
||
12.06.2011 |
Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica |
47.137.272 |
26.921.505 |
57,11 |
|
|
|
|
|
|
3.293.212 |
767.950 |
23,32 |
|
|
|
|
|
|||
50.430.484 |
27.689.455 |
54,91 |
25.931.531 |
95,34 |
1.266.996 |
4,66
|
|
|||
|
Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito |
47.137.272 |
26.922.838 |
57,12 |
|
|
|
|
|
|
|
3.293.212 |
767.876 |
23,32
|
|
|
|
|
|
||
|
50.430.484 |
27.690.714 |
54,91 |
26.127.814 |
95,79 |
1.148.071 |
4,21
|
|
||
|
Abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare |
47.137.272 |
26.904.624 |
57,08 |
|
|
|
|
|
|
|
3.293.212 |
767.876 |
23,32
|
|
|
|
|
|
||
segue 12.06.2011 |
50.430.484 |
27.672.500 |
54,87 |
25.640.681 |
94,04 |
1.624.032 |
5,96 |
|
||
|
Abrogazione della legge 7 aprile 2010, n. 51 in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri a comparire in udienza penale |
47.137.272 |
26.904.182 |
57,08 |
|
|
|
|
|
|
|
3.293.212 |
769.514 |
23,37 |
|
|
|
|
|
||
|
50.430.484 |
27.673.696 |
54,87 |
25.731.678 |
94,61 |
1.464.934 |
5,39 |
|
||
17.04.2016[46] |
Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in zone di mare entro 12 miglia marine: abrogazione della esenzione da tale divieto per i procedimenti concessori conseguenti e connessi a titoli abilitativi |
46.730.670 |
15.051.118 |
32,2 |
|
|
|
|
|
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|
3.951.021 |
781.297 |
19,77 |
|
|
|
|
|
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|
50.681.691 |
15.832.415 |
31,24 |
13.333.762 |
85,83 |
2.200.704 |
14,17 |
|
||
[1] L’iniziativa popolare per la revisione parziale della Costituzione federale fu introdotta nel 1891. Il Parlamento ha sempre avuto la possibilità di opporre un controprogetto all’iniziativa popolare. Fino al 1987 i votanti potevano respingere entrambi i progetti ma approvarne uno solo; dopo questa data, con la domanda risolutiva è stato introdotto il “doppio sì”.
[2] Si osservi che in caso di referendum abrogativo ogni ente del territorio nazionale è interessato dalla consultazione elettorale.
[3] Il riferimento è all'articolo 34, comma 1 della legge n. 352 del 1090, il quale prevede: "Ricevuta comunicazione della sentenza della Corte costituzionale, il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, indice con decreto il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno".
[4] L’articolo 7 della legge n. 352 del 1970 prevede che al fine di raccogliere le firme necessarie a promuovere un referendum abrogativo, i promotori della raccolta, in numero non inferiore a dieci, devono presentarsi, muniti di certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica o nell'elenco dei cittadini italiani residenti all'estero di cui alla legge in materia di esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero, alla cancelleria della Corte di cassazione, che ne dà atto con verbale, copia del quale viene rilasciata ai promotori.
[5] M. Luciani, Articolo 75 – il referendum abrogativo in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna, Zanichelli 2005.
[6] Nel diritto civile i comitati sono un’organizzazione di persone che promuovono il perseguimento di uno scopo altruistico mediante la raccolta pubblica di fondi
[7] Si ricorda altresì che nel 1991 l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, inviò un messaggio alle Camere sulle riforme costituzionali in cui, tra le altre, definitiva le diverse tipologie di referendum, tra cui il referendum propositivo evidenziando che “secondo una interpretazione che di questo modello è stata data, la procedura si dovrebbe svolgere in tal senso: una certa aliquota di elettori sarebbe legittimata a proporre all’istanza rappresentativa uno o più schemi normativi e qualora tali schemi, dopo un esame da parte di dette istanze, non fossero approvati, ma ottenessero almeno una minoranza qualificata, essi dovrebbero essere sottoposti al voto popolare e se ottenessero la maggioranza diventerebbero leggi”.
[8] L’istituto del referendum era già previsto nella costituzione di Weimar del 1919, ma era solo facoltativo e poteva aver luogo in casi determinati. Esso era ammesso anche nelle costituzioni dei singoli Länder.
[9] Tale referendum viene anche definito “proposta di correzione” (Korrekturgebehren), poiché si rivolge contro una recente decisione del Parlamento allo scopo di ottenere un’abrogazione o una modifica. A livello comunale l’istituto corrispondente al referendum facoltativo è la proposta di annullamento da parte dei cittadini (kassierendes Bürgerbegheren).
[10] Il testo della legge del 1984 incorpora le modifiche introdotte successivamente.
[11] Prima dell’entrata in vigore della Costituzione democratica del 1978 e dopo il franchismo sono stati celebrati in Spagna due referendum: il referendum sulla legge della riforma politica, tenutosi il 15 dicembre 1976, e il referendum per l’approvazione del progetto di Costituzione, tenutosi il 6 dicembre 1978, entrambi con esito favorevole.
[12] Inoltre le Assemblee delle Comunità autonome possono sollecitare al Governo l’adozione di un progetto di legge o rimettere all’Ufficio di Presidenza del Congresso una proposta di legge.
[13] Il titolo preliminare della Costituzione (artt. 1-9) sancisce alcuni principi fondamentali, tra cui la sovranità nazionale, l’unità della Nazione e il diritto all’autonomia, i partiti politici, i sindacati e le associazioni imprenditoriali, il rispetto della legge, la libertà e l’eguaglianza e le garanzie giuridiche.
[14] Tale sezione (artt. 15-29) concerne i diritti fondamentali e le libertà pubbliche, tra cui il diritto alla vita, la libertà ideologica e religiosa, il diritto alla libertà personale, il diritto all’intimità e all’inviolabilità del domicilio, la libertà di residenza e di circolazione, la libertà d’espressione, il diritto di riunione, il diritto di associazione, il diritto di partecipazione, la protezione giudiziale dei diritti, il principio di legalità penale, la libertà d’insegnamento, il diritto all’istruzione e l’autonomia delle Università, la libertà d’associazione e il diritto allo sciopero.
[15] Il titolo II (artt. 56-65) è dedicato alla Corona e disciplina: il Re, la successione al trono, il Principe delle Asturie, la Regina, la reggenza, la tutela del Re, le funzioni del Re, la controfirma degli atti del Re, la Casa del Re.
[16] Con la prima riforma costituzionale (1992) fu modificato l’art. 13 Cost., in materia di diritto elettorale degli stranieri. Con la seconda riforma costituzionale (2011) è stato modificato l’art. 135 Cost., al fine di inserirvi il principio della stabilità di bilancio.
[17] Si veda anche l’apposita pagina del sito del Congresso dei deputati dedicata ai referendum.
[18] Si veda Esther Martín Núñez, “El referéndum y las consultas populares en las comunidades autónomas y municipios”, Revista Vasca de Administración Pública. Herri-Arduralaritzako Euskal Aldizkaria, n. 94, 2012, pp. 95-131.
[19] Il Governo nazionale ha adottato alcune misure di ordine pubblico per impedire lo svolgimento del referendum, che si è tenuto lo stesso il 1° ottobre. Senza contare le urne sequestrate, i votanti sono stati il 43,3% degli aventi diritto, l’89,4% dei quali si è espresso in favore dell’indipendenza.
[20] I cittadini svizzeri ottengono il diritto di voto e di eleggibilità all’età di 18 anni.
[21] La Costituzione federale vigente si basa sulla Costituzione del 1848, che ha fondato lo Stato federale svizzero. Dopo la parziale revisione del 1866, la prima revisione totale del 1874 ha rafforzato le competenze federali e i diritti popolari, nonché introdotto il referendum a livello federale. Negli anni ’90 del XX secolo la Costituzione è stata aggiornata per codificare il diritto costituzionale non scritto (derivante dalla giurisprudenza del Tribunale federale) e per eliminare le disposizioni ritenute incostituzionali. Il 18 aprile 1999 la revisione totale è stata approvata dal corpo elettorale (59,2%) e dai cantoni (12 dei 20 cantoni e 2 dei 6 semicantoni). Ha sostituito la vecchia Costituzione federale del 1874 e ha codificato alcuni diritti fondamentali fino ad allora riconosciuti solo da decisioni del Tribunale federale e dalla dottrina. La Costituzione è entrata in vigore il 1° gennaio 2000.
[22] Fino al 1977 erano sufficienti 50.000 firme. Si tenga presente che la Svizzera ha una popolazione di 8.417.700 abitanti (dati 2017).
[23] Le lingue ufficiali nella Confederazione elvetica sono: tedesco (parlato dal 64% della popolazione), francese (20%), italiano (6,5%) e romancio (0,5%).
[24] L’Assemblea federale (Parlamento svizzero) è formata da due Camere: il Consiglio nazionale (200 seggi) e il Consiglio degli Stati (46 seggi). Nel Consiglio nazionale i seggi sono distribuiti proporzionalmente alla popolazione dei cantoni, per il Consiglio degli Stati ogni cantone ha diritto a due seggi, per i semicantoni un seggio. Ogni decisione del Parlamento deve essere approvata da entrambe le Camere (bicameralismo perfetto).
[25] Il principio dell’unità della materia deve essere adempiuto anche quando la proposta di revisione costituzionale provenga dalle istituzioni: l’art. 194, comma 2, della Costituzione, prevede che ogni revisione parziale, sia essa richiesta dal popolo o decisa dall’Assemblea federale, deve rispettare il principio dell’unità della materia e non può violare le disposizioni cogenti del diritto internazionale.
[26] La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, all’art.33, sancisce il principio di non-refoulement prevedendo che: “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.
[27] Il Consiglio federale è l’organo esecutivo del governo della Confederazione svizzera e rappresenta la più alta autorità del paese. Esso rappresenta l’unico esempio ancora vigente di forma di governo direttoriale. È composto da sette membri, detti consiglieri federali, eletti ogni quattro anni dall’Assemblea federale.
[28] Su tali problematiche si veda “Requisiti per la validità di iniziative popolari. Esame della necessità di una riforma. Rapporto della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati” (agosto 2015).
[29] Per quanto concerne i controprogetti, vi sono di solito molte proposte di testi alternativi da parte di singoli membri del Parlamento, ma la maggior parte di esse è respinta nelle Commissioni o nel plenum delle due Camere. Negli ultimi sei anni si sono avuti sei controprogetti provenienti dal Parlamento che sono stati accettati dal voto popolare. Durante lo stesso periodo vi sono stati 37 votazioni su iniziative popolari.
[30] L’iniziativa popolare per la revisione parziale della Costituzione federale fu introdotta nel 1891. Il Parlamento ha sempre avuto la possibilità di opporre un controprogetto all’iniziativa popolare. Fino al 1987 i votanti potevano respingere entrambi i progetti, ma approvarne uno solo, dopo questa data, con la domanda risolutiva è stato introdotto il “doppio sì”.
[31] Si veda anche “Il percorso di un’iniziativa popolare”.
[32] Si veda anche “Iniziative popolari”.
[33] I cantoni sono gli Stati che compongono la Confederazione elvetica e sono 26. Ogni cantone ha una Costituzione, un Parlamento, un Governo e propri organi giurisdizionali. Tutte le competenze non attribuite esplicitamente alla Confederazione elvetica, in base alla Costituzione, sono esercitate dai cantoni. Questi determinano il grado di autonomia dei comuni, che può variare in maniera considerevole. In alcuni casi sei cantoni sono considerati semicantoni e dunque i cantoni complessivi risultano 23. Tali suddivisioni hanno ragioni storiche e valgono ai fini del numero di seggi nel Consiglio degli Stati e di voto nelle iniziative federali. La Costituzione del 1999 conta i 26 cantoni in maniera separata.
[34] Art. 141 (Referendum facoltativo):
“1 Se 50.000 aventi diritto di voto o otto Cantoni ne fanno richiesta entro cento giorni dalla pubblicazione ufficiale dell’atto, sono sottoposti al voto del Popolo:
a. le leggi federali;
b. le leggi federali dichiarate urgenti e con durata di validità superiore a un anno;
c. i decreti federali, per quanto previsto dalla Costituzione o dalla legge;
d. i trattati internazionali:
1.di durata indeterminata e indenunciabili,
2. prevedenti l’adesione a un’organizzazione internazionale,
3. comprendenti disposizioni importanti che contengono norme di diritto o per l’attuazione dei quali è necessaria l'emanazione di leggi federali”.
[35] “Art. 140 (Referendum obbligatorio):
“1 Sottostanno al voto del Popolo e dei Cantoni:
a. le modifiche della Costituzione;
b. l’adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sopranazionali;
c. le leggi federali dichiarate urgenti, prive di base costituzionale e con durata di validità superiore a un anno; tali leggi devono essere sottoposte a votazione entro un anno dalla loro adozione da parte dell'Assemblea federale.
2 Sottostanno al voto del Popolo:
a. le iniziative popolari per la revisione totale della Costituzione;
b. le iniziative popolari per la revisione parziale della Costituzione presentate in forma di proposta generica e respinte dall’Assemblea federale;
c. il principio di una revisione totale della Costituzione in caso di disaccordo fra le due Camere”.
[36] Le differenze nel numero degli elettori dei singoli referendum sono dovute a discordanze riscontrate dall’Ufficio centrale per il referendum in alcuni verbali.
[37] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[38] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[39] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[40] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[41] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[42] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[43] Alle votazioni per i referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
Alla consultazione referendaria hanno partecipato i cittadini italiani residenti all’estero che hanno scelto, ai sensi della legge 459/2001, di esercitare il diritto di voto nello Stato estero di residenza, utilizzando, per la prima volta in questa occasione, il voto per corrispondenza.
[44] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[45] Alle votazioni per i referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.
[46] Alle votazioni per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto, così come richiesto dall'art. 75 della Costituzione.