XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Mercoledì 17 dicembre 2014

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 

Audizione di Rosario Priore:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 
Priore Rosario  ... 5 
Grassi Gero (PD)  ... 6 
Priore Rosario  ... 6 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 
Priore Rosario  ... 8 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 11 
Priore Rosario  ... 11 
Grassi Gero (PD)  ... 11 
Priore Rosario  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Priore Rosario  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Priore Rosario  ... 12 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 12 
Priore Rosario  ... 12 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 12 
Priore Rosario  ... 12 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 12 
Priore Rosario  ... 12 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 13 
Priore Rosario  ... 13 
Pini Gianluca (LNA)  ... 14 
Priore Rosario  ... 14 
Pini Gianluca (LNA)  ... 15 
Priore Rosario  ... 15 
Pini Gianluca (LNA)  ... 15 
Priore Rosario  ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Pini Gianluca (LNA)  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Priore Rosario  ... 16 
Pini Gianluca (LNA)  ... 16 
Priore Rosario  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Pini Gianluca (LNA)  ... 16 
Priore Rosario  ... 16 
Corsini Paolo  ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Priore Rosario  ... 16 
Corsini Paolo  ... 16 
Priore Rosario  ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Priore Rosario  ... 17 
Corsini Paolo  ... 17 
Priore Rosario  ... 17 
Compagna Luigi  ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Compagna Luigi  ... 18 
Priore Rosario  ... 18 
Compagna Luigi  ... 19 
Priore Rosario  ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 
Grassi Gero (PD)  ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 
Grassi Gero (PD)  ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20 
Grassi Gero (PD)  ... 20 
Priore Rosario  ... 20 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20 
Priore Rosario  ... 20 
Grassi Gero (PD)  ... 21 
Priore Rosario  ... 21 
Grassi Gero (PD)  ... 21 
Priore Rosario  ... 21 
Grassi Gero (PD)  ... 21 
Priore Rosario  ... 21 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 21 
Priore Rosario  ... 21 
Grassi Gero (PD)  ... 22 
Priore Rosario  ... 22 
Grassi Gero (PD)  ... 22 
Priore Rosario  ... 22 
Grassi Gero (PD)  ... 22 
Priore Rosario  ... 22 
Grassi Gero (PD)  ... 22 
Priore Rosario  ... 23 
Grassi Gero (PD)  ... 23 
Priore Rosario  ... 23 
Grassi Gero (PD)  ... 23 
Priore Rosario  ... 23 
Grassi Gero (PD)  ... 23 
Priore Rosario  ... 23 
Grassi Gero (PD)  ... 24 
Priore Rosario  ... 24 
Grassi Gero (PD)  ... 24 
Priore Rosario  ... 24 
Grassi Gero (PD)  ... 25 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 25 
Grassi Gero (PD)  ... 25 
Priore Rosario  ... 25 
Grassi Gero (PD)  ... 25 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 25 
Grassi Gero (PD)  ... 25 
Priore Rosario  ... 25 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 25 
Carra Marco (PD)  ... 25 
Priore Rosario  ... 26 
Carra Marco (PD)  ... 26 
Priore Rosario  ... 27 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 28 
Priore Rosario  ... 28 
Fornaro Federico  ... 28 
Priore Rosario  ... 28 
Fornaro Federico  ... 28 
Priore Rosario  ... 28 
Gotor Miguel  ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Gotor Miguel  ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 29 
Fornaro Federico  ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Fornaro Federico  ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 29 
Priore Rosario  ... 29 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Grassi Gero (PD)  ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Fornaro Federico  ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Gotor Miguel  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Gotor Miguel  ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Gotor Miguel  ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 30 
Priore Rosario  ... 30 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 31 
Fornaro Federico  ... 31 
Priore Rosario  ... 31 
Fornaro Federico  ... 31 
Priore Rosario  ... 31 
Fornaro Federico  ... 31 
Priore Rosario  ... 31 
Fornaro Federico  ... 31 
Priore Rosario  ... 31 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 32 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 32 
Priore Rosario  ... 32 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 33 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 33 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 33 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 33 
Priore Rosario  ... 33 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 33 
Priore Rosario  ... 33 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34 
Priore Rosario  ... 34 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 34

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 21.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che i tre magistrati designati dal Comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura hanno prestato il loro consenso a collaborare con la Commissione. Si tratta della dottoressa Antonietta Picardi, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dell'Aquila, della dottoressa Antonia Giammaria, magistrato distrettuale requirente della Procura generale presso la Corte di appello di Roma e del dottor Massimiliano Siddi, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo. Come concordato nella precedente riunione, per il perfezionamento dell'incarico si procederà ad informare il Ministro della giustizia e a richiedere con urgenza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura, chiedendo altresì che i suddetti magistrati possano iniziare il proprio incarico già nelle more dell'iter autorizzatorio.
  Nel corso della riunione odierna l'Ufficio di presidenza ha deliberato di avvalersi altresì della collaborazione del dottor Gianfranco Donadio, già Procuratore nazionale antimafia aggiunto, allo stato fuori ruolo presso la Commissione monocamerale di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali. La collaborazione è a tempo parziale in pendenza del suo attuale incarico presso la citata commissione monocamerale e successivamente a tempo pieno. Al pari dei precedenti, anche l'incarico al dottor Donadio non comporta la corresponsione di indennità, salvo i rimborsi spese.
  L'Ufficio di presidenza, nella riunione odierna, ha inoltre deliberato di incaricare il tenente colonnello dei Carabinieri Massimo Giraudo di riprendere e completare le indagini sul caso Moro già condotte per la Commissione stragi fino al 2001, in modo da ultimare il lavoro intrapreso allora e fornire alla Commissione ulteriori elementi di informazione.
  Sempre nel corso dell'odierna riunione dell'Ufficio di presidenza si è convenuto di affidare alla dottoressa Tintisona, collaboratrice della Commissione, il compito di interessare i competenti uffici della Polizia di Stato (e, in particolare, la polizia scientifica) affinché verifichino quali accertamenti è possibile esperire con riferimento alle vetture coinvolte nella strage di via Fani delle quali la Commissione ha acquisito la disponibilità. Si tratta, in particolare, della Fiat 128 «giardinetta» con targa diplomatica utilizzata dai brigatisti, della Fiat 130 a bordo della quale viaggiava Aldo Moro e dell'Alfa Romeo «Alfetta» utilizzata dagli uomini della scorta.
  Comunico inoltre che il Nucleo speciale della Guardia di finanza presso le Commissioni parlamentari d'inchiesta ha messo a disposizione della Commissione, a decorrere dal 1o gennaio 2015, il maresciallo capo Giovanni Maceroni, che – come convenuto nell'odierna riunione dell'Ufficio di presidenza – sarà addetto alla gestione dell'archivio della Commissione in aggiunta ai marescialli capi Andrea Casertano e Bonifacio Stoduto.
  Ricordo che, come concordato nella seduta del 2 dicembre scorso, i componenti della Commissione che intendono formulare quesiti al senatore Flamigni possono trasmetterli alla segreteria della Commissione. Sino ad oggi sono pervenuti Pag. 4solo i quesiti del deputato Grassi. L'invio di tutti i quesiti pervenuti avverrà il prossimo venerdì 19 dicembre.
  Comunico che, con lettera del 5 dicembre scorso, pervenuta il successivo 9 dicembre, il Ministero dell'interno ha comunicato che sono state definite le procedure di declassifica di sette note del SISDE, consegnate dal Ministro Alfano nel corso della sua audizione del 19 novembre. Tali note, già classificate «segrete», sono pertanto ora liberamente consultabili.
  Comunico altresì che, con nota pervenuta il 9 novembre, l'archivio storico della Camera ha trasmesso gli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2 che, in base agli indici pubblicati, riguardano il caso Moro, nonché l'indice della documentazione prodotta o acquisita dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sui risultati della lotta al terrorismo e sulle cause che hanno impedito l'individuazione dei responsabili delle stragi, che ha operato nella IX legislatura (presieduta dall'onorevole Bianco). Tale documentazione è liberamente consultabile.
  Con nota pervenuta il 16 dicembre 2014, il Presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ha trasmesso la documentazione richiesta con riferimento al segreto di Stato sul caso Toni-De Palo. Ai sensi dell'articolo 37, comma 2, della legge n. 124 del 2007 tale documentazione è classificata segreta.
  Con nota pervenuta il 16 dicembre 2014, l'ispettore Enrico Rossi ha trasmesso una memoria di sintesi dell'attività di indagine svolta con riferimento alla lettera anonima inviata nel 2010 al quotidiano La Stampa. Considerato che la memoria contiene riferimenti alla vita privata di persone, tale documentazione è classificata segreta.
  Informo che in data odierna è stata trasmessa dalla segreteria del Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura una nota di Achille Lucio Gaspari concernente il caso Moro. La nota è liberamente consultabile.
  Per quanto riguarda il programma delle prossime audizioni, segnalo infine che il Ministro della giustizia, Andrea Orlando, ha dato la propria disponibilità ad intervenire in audizione per mercoledì 21 gennaio 2015, alle ore 14.30, mentre l'audizione del senatore Ferdinando Imposimato avrà luogo giovedì 29 gennaio 2015, alle ore 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Rosario Priore.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Rosario Priore, che ringraziamo per la cortese disponibilità – anche in orario serale – con cui ha accolto l'invito a intervenire nella nostra Commissione.
  Il dottor Priore ha iniziato a occuparsi del caso Moro già in occasione della prima inchiesta il 13 maggio 1978, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo a via Caetani. All'epoca venne nominato un pool di magistrati, tutti giudici istruttori, del quale facevano parte, oltre al dottor Priore, i dottori Gallucci, Imposimato, Amato e D'Angelo. Successivamente ha seguìto le istruttorie del processo Moro-bis, con il collega Imposimato, e poi, da solo, quelle dei processi Moro-ter e Moro-quater sino all'agosto del 1990.
  Il dottor Priore ha acquisito dunque, nel corso della sua attività professionale, una conoscenza dettagliata del caso Moro, che ha avuto modo di approfondire nei suoi diversi profili sia nazionali che internazionali. Ricordo, solo per citare alcuni esempi già riferiti nel corso delle sue audizioni dinanzi alla Commissione stragi, le indagini che portarono all'iniziale collaborazione di Elfino Mortati, un esponente del comitato regionale toscano, che aveva dichiarato di essere stato a Roma durante il sequestro Moro e di essere stato ospitato in un appartamento del ghetto di Pag. 5Roma; i tentativi di identificare tale appartamento nel quale, secondo un'ipotesi investigativa, Moro sarebbe stato detenuto negli ultimi giorni di vita; gli accertamenti effettuati sul ruolo dello studente sovietico Sergej Sokolov, che secondo alcuni sarebbe lo stesso menzionato nel dossier Mitrokhin; una rogatoria spedita in Francia dalla quale emerse che già nel febbraio del 1978 i servizi d'Oltralpe erano a conoscenza dell'organizzazione del rapimento di un uomo politico italiano.
  Con l'audizione di questa sera la Commissione intende approfondire, con il contributo di un testimone diretto, gli avvenimenti di quei giorni, nel tentativo di chiarirne e di farci indicare, ove possibile, gli aspetti ancora oscuri o quelli non sufficientemente investigati.
  Faccio presente al dottor Priore che se nel corso della sua audizione lo riterrà necessario i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Nel ringraziarlo ancora, gli cedo la parola.

  ROSARIO PRIORE. Buonasera a tutti voi. Tenterò di ricordare il più possibile, proprio perché è passato tanto tempo dal maggio del 1978, in cui cominciammo questa avventura, chiamiamola così, che mi ha portato in tanti Stati, presso tante giurisdizioni. Ricordo a mio merito che sono stato il primo che è riuscito a entrare nella Stasi. Feci una rogatoria presso la Gauck Organisation, che gestiva le carte che erano state del servizio della Germania democratica. Sono stato il primo, ho avuto la possibilità di leggere un'infinità di carte. Quando chiedevo gli atti, le carte su un determinato oggetto, quei signori erano capaci di portarmi interi carrelli di fascicoli, purtroppo scritti in tedesco, lingua che io non conosco assolutamente. Mi mettevano allora a disposizione tre traduttori: uno del vecchio servizio della Germania democratica, cioè della Stasi, e due dei servizi nuovi della Germania che a quel tempo si chiamava ancora Germania di Bonn. Così abbiamo lavorato tantissimo. Ho letto moltissime carte e ne sono stato ben felice. Ma non solo di questo, perché sono stato in Francia diverse volte, negli Stati Uniti più volte, un po’ dappertutto alla ricerca di quella che poteva sembrare una strada per la verità sul caso Moro. Purtroppo, non credo che ancora si sia arrivati a delle conquiste concrete.
  Vorrei che voi faceste delle domande, anche se a me piacerebbe fare una piccola premessa, in quanto vorrei che si parlasse piuttosto del Moro politico che delle stranezze giudiziarie (così io le chiamo) che riguardano ad esempio il fioraio e tante piccolezze che noi abbiamo esaminato e, credo, abbiamo sviscerato, ma sulle quali ancora non c’è sicurezza.
  A monte di tutto questo, a me piacerebbe che si facesse una riflessione sulle possibili cause per cui si è arrivati a individuare Moro. Voglio ricordare che a noi è stato sempre detto, forse per minimizzare quella scelta, che fino all'ultimo le Brigate Rosse, in particolare il comitato esecutivo, sono state incerte sulla scelta tra tre uomini della Democrazia Cristiana. Il progetto, quello che ci fu in un certo senso rivelato in Francia, riguardava un grosso attentato, un sequestro, diciamo un'attività delittuosa a carico di un personaggio rilevante della Democrazia Cristiana. La scelta era limitata – lo hanno sempre ripetuto le Brigate Rosse – ad Andreotti, Moro e Fanfani. Hanno spiegato le ragioni per cui hanno trascurato gli altri due e hanno scelto Moro. Questo per minimizzare, per dire che non c'era una progettazione così decisa, così incisiva per sequestrare Moro.
  La tesi è assurda, perché noi abbiamo accertato, per quel poco che si è potuto fare, che le attività di preparazione sono state così impegnative che non si poteva progettare all'ultimo momento la scelta del candidato al sequestro, ma bisognava tenere in considerazione un'infinità di cose. Abbiamo accertato che per il sequestro Moro sono state rubate dalle venti alle trenta autovetture. Già la cura di queste venti-trenta autovetture richiedeva un servizio imponente all'interno del settore logistico delle Brigate Rosse: bisognava dislocarle, avvicinarle a quei piccoli depositi Pag. 6che si stabilivano nella città, bisognava progettare poi il rientro sia delle macchine sia delle armi. Tutto questo non poteva essere fatto all'ultimo momento, anche perché Fanfani abitava a via Platone, sotto Monte Mario, Andreotti abitava al centro, a Corso Vittorio Emanuele, e Moro era nella zona alta di via Trionfale, quindi era tutt'altra zona. Pertanto, bisognava in un certo senso progettare anche la dislocazione di quelle automobili.
  Noi abbiamo lavorato molto su questo aspetto e ancora non siamo certi di ciò che è stato deciso in quei mesi, però non possiamo dire che la scelta di Moro sia avvenuta all'ultimo momento. È impossibile, bisognava tener conto di tante cose, in particolare delle armi che dovevano essere usate. Lo abbiamo visto: hanno usato armi che poi, alla resa dei conti, cioè quando si è trattato di impiegarle sul terreno, addirittura quasi tutte si sono inceppate. L'unica ben funzionante è stata quella posseduta dall'uomo che sparava dalla destra del corteo di macchine, quindi stava sul marciapiede di destra, l'unico che è riuscito a colpire il maresciallo Leonardi con un'infinità di colpi sul fianco destro del suo corpo. Ricordo ancora le fotografie delle autopsie e ricordo che il maresciallo è stato crivellato. Era leggermente spostato, forse tentava di proteggere Moro, però gli è stato sparato dalla destra, dal marciapiede. Degli altri non si sa perché tutti hanno detto che si è inceppata l'arma e non sono riusciti a sparare. I colpi sparati dalle altre armi sono una quantità in un certo senso di gran lunga minore di quelli che sono stati sparati da quell'uomo, che sparava bene, aveva un'arma efficientissima e ha subito ucciso il maresciallo Leonardi. Degli altri, forse c’è stato qualcuno che ha sparato dalla sinistra. Hanno sparato dalla sinistra quelli che sono riusciti a uccidere l'unico agente che era riuscito a uscire dalla macchina.

  GERO GRASSI. Iozzino.

  ROSARIO PRIORE. Questo volevo dirvi all'inizio. Io, insieme agli altri colleghi, in primo luogo Amato, che ha lavorato tantissimo e ha avuto poco. Ricordate una cosa: i brigatisti ci dicevano che facevamo quei processi perché volevamo andare al Parlamento, cioè che ci servivano per la scalata al Parlamento. In certi casi hanno avuto ragione, ma nella maggior parte dei casi no. Francesco Amato è rimasto sempre in servizio alla Corte d'assise, D'Angelo lo stesso, io sono stato in servizio qui tanto tempo, perché ho lavorato con le Commissioni presiedute dal senatore Pellegrino (la prima, e la seconda solo metà) e, prima, con le due presiedute dal senatore Gualtieri. Ho passato molto tempo qui, ma sempre lavorando contemporaneamente anche a piazzale Clodio e al cosiddetto bunker di piazza Adriana.
  Il problema che ci siamo posti riguarda la ragione della scelta, che credo che debba essere a monte di ogni indagine sul caso Moro. Perché le Brigate Rosse hanno scelto lui ? Perché – questo è ciò che più mi arrovella – le persone che sempre s’è detto fossero al di sopra di loro hanno dato quella indicazione ? A parer mio, la scelta di Moro non è autonoma delle Brigate Rosse, ma potrebbe essere stata dettata da un livello superiore, che potrebbe non essere in Italia.
  Moltissimi Paesi erano interessati alla morte di Moro. Era un periodo in cui c'era una sorta – è brutto dirlo – di politica del far sparire tutti coloro che seguivano un certo orientamento. Ricordiamoci che il caso Moro avviene quasi in coincidenza con l'uccisione del capo del governo spagnolo, l'ammiraglio Carrero Blanco, a Madrid. Fu un attentato clamorosissimo, in quanto si era riusciti a piazzare una carica di esplosivo eccezionale in un determinato tombino sopra il quale doveva passare l'auto di Carrero Blanco. Tutti dicevano che erano stati soltanto quelli dell'ETA, ma io non ci ho mai creduto, poiché è stato un attentato raffinato, in un certo senso organizzato bene (anche se è brutto dire che un attentato è organizzato bene, potrebbe sembrare cinico). Quello che a me ha fatto impressione è che Carrero Blanco seguiva una politica che si avvicinava molto a quella di Moro. Era un Pag. 7filoarabo, forse come il suo superiore, il Caudillo: lo stesso Francisco Franco infatti aveva tendenze filoarabe.
  Quindi, c'era forse una certa necessità di condurre una campagna contro i governanti che propendevano per scelte filoarabe. Ricordo sempre la campagna che si ebbe allorché emerse la necessità di bombardare Belgrado e quindi la necessità di cambiare tutti i Presidenti del Consiglio che forse non avrebbero accettato scelte del genere. Ricordo le parole di Cossiga che disse a D'Alema: «Adesso devi venire a fare il Presidente del Consiglio». Forse, nella sua stranezza, Cossiga pensava che D'Alema fosse l'unico Presidente del Consiglio in grado di poter bombardare una capitale europea.
  Si sentiva una certa esigenza, negli anni 1977 e 1978, di eliminare tutti i personaggi che facevano pendere la bilancia delle politiche estere in un determinato senso. Moro – non devo dirlo a voi che ne sapete mille volte di più – è stato a lungo Ministro degli affari esteri; è stata quindi la persona che ha indirizzato la politica estera italiana. Noi abbiamo avuto sempre un particolare comportamento (l'ho scritto pure in sentenza, quindi posso ripeterlo): abbiamo dovuto seguire una linea che ci voleva fedeli alla moglie, che era americana, e nel contempo continuare ad avere un'amante, che a volte era l'amante libica, a volte l'amante palestinese, a volte l'amante di qualsiasi altra etnia.
  Certe volte mi vergogno di fare questi prologhi così lunghi, perché mi sembra di abusare della vostra pazienza e anche di abusare di una certa conoscenza minima di questi affari, nel riferirli a voi che di politica ne sapete mille volte più di me.
  Ebbene, avevamo il problema, da una parte, di dover essere osservanti del Patto atlantico. Noi eravamo una nazione atlantica, seguivamo quella politica, dovevamo rispettare i dettami dell'Alleanza. Ne so io qualche cosa, che con Ustica ho visto quante volte ci venivano dati col contagocce quei dati radaristici che ci avrebbero permesso di capire chi era in volo quella notte. Addirittura si è sostenuto – e credo che si sostenga ancora – che è stata un'esplosione interna, quando quella notte c'era una sarabanda di aerei nei cieli del Mediterraneo. Il punto più difficile di quella notte è che non si capiva chi avesse la titolarità della polizia sul Mediterraneo. Noi tentammo di inseguire due aerei libici, però arrivò subito l'ordine di rientrare. C'erano aerei francesi che tentavano di inseguirli, poi alla fine l'opera di polizia fu monopolizzata dagli aerei americani. Quindi, tutto quello che è successo prima, poco prima, dopo è stato in un certo senso nelle mani degli aerei americani.
  Questa era la situazione a quel tempo. Chi si opponeva a quel monopolio americano forse era Moro, che, con le sue grandi capacità, era riuscito ad aprire uno spazio anche al nostro Paese. Questo, però, c’è da crederlo, gli sarebbe costato caro.
  Più che parlare io, vorrei far parlare le carte che abbiamo sequestrato. Noi abbiamo trovato nel portafoglio di Senzani un documento importantissimo, che abbiamo definito «l'olografo di Senzani», nel quale egli fa la storia della politica di quel tempo e ci dice quali erano le potenze che giocavano una grande partita nel Mediterraneo e quindi facevano guerre anche sul nostro territorio. Questa è una storia di guerre – non c’è niente da fare – per il dominio del Mediterraneo, per impedire che altri si interessassero al petrolio della zona, per fare in modo che determinate formazioni di resistenza potessero avere un certo spazio.
  A monte di tutto questo c’è il lodo Moro, su cui abbiamo lavorato più che su ogni altra cosa. Il lodo Moro ha determinato in un certo senso la nostra esistenza per decine di anni. Moro aveva assicurato alle formazioni della resistenza palestinese combattente una sorta di via libera sul nostro territorio, ovvero libertà di movimento. Il lodo Moro riceve un colpo formidabile quando, per un caso strano, sicuramente non voluto da coloro che erano al governo a quei tempi, vengono fermate tre persone a Ortona. Ricordiamoci che Ortona ha una conformazione particolare, con strade così strette che durante la seconda guerra mondiale addirittura i carri armati americani e inglesi Pag. 8non riuscivano a passare per il suo vecchio centro e si dovette costruire una strada per superare la città. Ortona era il punto più orientale della linea Gustav. Qui ci sono degli storici che ricordano che la linea Gustav andava da Ortona fino a Terracina; era una linea di difesa di resistenza dell'esercito tedesco.
  Ebbene, noi abbiamo intercettato – a volte uso «noi» in modo improprio ma voi mi intendete – tre autonomi, a Ortona, che stavano trasportando alcuni missili, attesi da persone del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Si fece un processo dinanzi al Tribunale di Chieti, competente per territorio; quelle persone, tre di Autonomia operaia e un palestinese, nonostante gli aiuti dati anche dai nostri servizi che mandavano ufficiali in Corte d'assise perché si avesse pietà e misericordia specialmente del palestinese – era stato arrestato un palestinese rappresentante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina – furono condannate. Ebbene, in quel momento si ruppe il lodo Moro e ne sono conseguenze a non finire.
  Ricorderò quello che è stato accertato da una precedente Commissione, cioè quello che successe quando la pressione del Fronte popolare era diventata così forte che l'Italia ha veramente tremato. E noi come la risolviamo ? La risolviamo con una forma che ai vecchi colleghi sicuramente sarà sembrata strana. Noi mandiamo Sica nel Medioriente – lo avete letto nelle vostre carte – a trattare. Sica va a Beirut, bussa alla sede dell'OLP, ma quelli dell'OLP dicono che loro non c'entrano niente con i missili di Ortona e che si deve andare un po’ più giù, lungo quel viale di Beirut dove c'era la sede del Fronte popolare. Sica va lì e parla. Sica era un magistrato, non aveva poteri di governo, non rappresentava il Governo, però comunque tratta col Fronte popolare la liberazione di Abu Anzeh Saleh, quello di via delle Tovaglie a Bologna, che era il rappresentante in Italia del Fronte popolare.
  Abu Anzeh Saleh era un uomo di un certo peso. Noi lo trattavamo come un delinquente comune e lo tenevamo in carcere. Ovviamente, trasportava dei missili e per questo era stato imprigionato. Ma, mentre era in carcere, era diventato il rappresentante del Fronte popolare per l'intera Europa e non poteva perdere neanche mezz'ora stando in carcere. Allora, noi – non io personalmente, è ovvio – gli assicurammo che sarebbe uscito nel giro di pochissimo tempo. Riceveva un'infinità di permessi per venire a Roma, tanto che addirittura mi sembra gli sia stata trovata anche una tessera dell'ATAC, una tessera per una linea che dal centro andava verso Forte Braschi, il 46, che mi pare porti a via della Pineta Sacchetti. Non possiamo fare illazioni...

  PRESIDENTE. Lo prendevo anch'io per andare al Policlinico Gemelli.

  ROSARIO PRIORE. Non possiamo fare illazioni di nessun tipo, però io ho visto fare illazioni, in certi processi, che fanno impressione. Questa non è un'illazione: ho semplicemente detto che aveva la tessera per un autobus che portava da quelle parti, non ho detto che andava a Forte Braschi.
  Però è venuto tante volte a Roma, addirittura per mostrare i monumenti romani alla madre che era una anziana signora giordana e che non so quanto interesse potesse avere ai monumenti romani. Ma queste sono cattiverie mie, me ne prendo la colpa.
  A quest'uomo si promette che sarà scarcerato a settembre. Sica mi pare fosse andato a luglio. Addirittura per quest'uomo – lo dico ai magistrati qui presenti – la Corte di cassazione si riunisce il 14 agosto, in un periodo «ferialissimo», per dargli la libertà.
  Quando gli viene comunicato che di lì a poco sarà libero, Abu Anzeh Saleh comincia a dire che il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno, che aveva organizzato un piccolo buffet con i compagni detenuti e che non sapeva come dir loro che l'Italia gli aveva concesso la libertà inopinatamente, perché non si era mai vista una riunione della Cassazione il 14 agosto per giudicare un caso di libertà Pag. 9personale che non appariva straordinario. Queste sono considerazioni mie che però dimostrano quale fosse l'atteggiamento nostro nei confronti specialmente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
  Quei tre uomini vi dico che sono stati arrestati casualmente, perché sono intervenute delle pattuglie di metronotte di Ortona che sono state attirate dalla confusione che quei signori facevano. Se si fosse trattato di altre forze più «istituzionali» non si sarebbe fatto nemmeno un mezzo rapporto, non si sarebbe fatto nulla. C'era una tale acquiescenza al trasporto di armi sul nostro territorio, perché ce lo imponeva il lodo Moro, che nessuno si sarebbe mai lamentato.
  Gli appartenenti al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, in primo luogo George Habash, che ne era il capo, affermavano che quei missili erano di loro proprietà e che noi avevamo concesso loro la potestà di portarli ovunque fosse possibile nel nostro Paese.
  Il nostro Paese era un deposito di armi. Voi siete giovani, non ve lo ricordate, ma noi avevamo depositi nel Monte Lula, in Sardegna, e nel Trentino-Alto Adige. Tutte armi che erano state scaricate qui e che erano a disposizione di queste formazioni, non nostra. Una parte, i nostri – dico una cosa che non fa «onore» – se le andavano a rubare. Mi hanno detto che Senzani ogni tanto se ne prendeva alcune. Il problema della Sardegna è un problema grosso e che dura da decenni. Noi inseguiamo ancora le casse di mille fucili che furono sbarcati nel Golfo di Orosei, di cui non si è saputo più niente, negli anni sessanta.
  Comunque, se non ci fossero stati i metronotte di Ortona, la vicenda sarebbe stata chiusa in un battibaleno. Nessuno avrebbe sequestrato quelle armi, né avrebbe fatto rapporti giudiziari, si sarebbe dato credito alla storia che si trattava di cannocchiali, nessuno avrebbe, in un certo senso osato, mettere in discussione il lodo Moro.
  Io parlo sempre del lodo Moro perché cerco di capire qual è stata la politica estera di Moro e quali possono essere stati i motivi per cui si è scelto lui, per cui si è scelta la sua uccisione. Quali nervi sensibili delle politiche estere di diversi Paesi europei – e anche non europei – aveva toccato ? E quelli che dettero luogo al «liscio e busso» che gli fece Kissinger, quando andò in America ?
  C’è qualche cosa che non torna e secondo me – sono l'ultimo a poter dire una cosa del genere – potrebbe essere un compito gravoso, proprio di una Commissione parlamentare, che è più capace di tanti altri giudici ordinari e straordinari di giudicare sulle ragioni politiche dell'uccisione di Moro, indagare su tutto ciò. Chi ha dato l'ordine ? L'ordine sicuramente non viene da Moretti, ma da un livello più alto, però io non so dove collocare questo livello più alto.
  In prima battuta posso dirvi – e ne possiamo anche discutere – che proveniva dalla Francia. Noi qui abbiamo trovato gente con missili di una grossa capacità, due Strela che erano già stati destinati ad essere collocati su basi rudimentali e dovevano colpire il Procuratore generale del Trentino, che abitava a piazza Mazzini, ma dovevano colpire anche il Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana a piazza Sturzo. Se avessero sparato quei missili, io non so dove sarebbe finita l'Italia. Annientare il Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, mentre siede a piazza Sturzo, uccidendo decine e decine di persone, non so quali conseguenze avrebbe avuto. L'uomo che ha progettato tutto questo, quando lo abbiamo arrestato, ha detto: «Fatemi parlare con l'Eliseo, io sono qui per l'Eliseo». Era un progetto istituzionale, di un altro stato. Quando mi fu detto questo, rimasi stupito del fatto che un uomo dell'Eliseo fosse lì per prendere dei missili e per costruire delle basi di lancio che erano già in parte costruite, artigianali, da usare contro il partito di maggioranza, durante il Consiglio nazionale, a piazza Sturzo, oppure contro l'abitazione di un Procuratore generale che a quei tempi era un personaggio piuttosto famoso.
  Non bisogna dimenticare che si era nel pieno della «Campagna di primavera», che aveva come fine assoluto la distruzione Pag. 10della Democrazia Cristiana, cuore e supporto massimi di quel S.I.M. nemico assoluto di ogni organizzazione comunista combattente, in primo luogo le nostrane BR. Questo è il panorama in cui avviene la storia che voi dovete giudicare.
  Potrei portarvi l'olografo di Senzani, che ci dice tutto quello che è successo e stava succedendo in Europa, Medio Oriente e vicinanze. Senzani aveva assistito a un incontro, un «forum internazionale» che era presieduto addirittura da Abu Ayad, il secondo dell'OLP, che riferisce quello che è successo in Italia. Insomma, questi sanno sull'Italia molto più di noi e ci dicono che esiste un terzo giocatore, cioè le linee governative socialdemocratiche, che vogliono frapporsi tra gli Stati capitalisti e gli Stati comunisti, e che si propongono di dare l'appoggio a questo terzo giocatore. È un personaggio di rilievo, in Europa, perché collega Olof Palme a Mitterrand e a tutte le socialdemocrazie europee: era una linea che doveva prendere, in un certo senso, delle direttive nuove. Però Olof Palme viene ucciso ed era stato – se non erro – il segretario di quel grande diplomatico svedese, Hammarskjöld, ma certo era stato il segretario del primo ministro svedese, che ha seguito sempre, Tage Erlander, entrando quindi in possesso di un'infinità di notizie. Cominciò a seguire la politica svedese sin dal tempo in cui gli svedesi si frapposero tra la Germania nazista e i Paesi occidentali, quindi conosceva tanti di quei segreti che forse noi non accumuleremmo nemmeno in dieci vite.
  Ecco, cerco di ritornare sul perché è stato scelto Moro. Il mio dubbio amletico è che non so se è una centrale francese o una centrale moscovita. Non si va altrove, non c’è possibilità. Chi ha preso in carico questo ? I servizi francesi o i servizi dell'Unione Sovietica ? Questo è ciò che noi dobbiamo cercare di appurare con i pochi mezzi che abbiamo. Ho trovato moltissimi documenti. È una storia che risale, a parer mio, addirittura agli attentati fatti a Trieste nel 1970, quando i grandi terminali degli oleodotti che collegavano il Mediterraneo alla Germania furono attaccati da palestinesi collegati con italiani e francesi. Era un oleodotto strategico e lo fecero saltare.
  Nella data di oggi, tanti anni fa, nel 1973 è successo un attentato gravissimo, che nessuno ricorda più: a Fiumicino morirono trentacinque persone per effetto di bombe al magnesio. Voi siete così giovani che forse non ricordate, fu il primo attentato di Fiumicino. Era il 17 dicembre del 1973, eravamo in prossimità della Convenzione di Ginevra. A Ginevra si doveva parlare del problema della Palestina, c'era qualcuno che non voleva che l'incontro avvenisse e allora fece in modo di realizzare quel grave attentato, che colpì praticamente noi. Devo dire, però, che spesso gli attentati fatti in Italia sono stati eseguiti con armi che non venivano portate dai palestinesi o da altri, ma con armi che gli attentatori trovavano in Italia e le trovavano nei vari passaggi dell'aeroporto.
  C’è stato poi all'aeroporto di Lod un attentato gravissimo, che nemmeno gli arabi hanno avuto il coraggio di fare, e hanno voluto affidarlo ai giapponesi, perché era un attentato quasi kamikaze. Non ricordate l'attentato all'aeroporto di Tel Aviv, in cui morirono ventiquattro persone ? Si salvarono però due dei tre giapponesi, che poi furono trasferiti in Libia.
  Ecco quello che dico a proposito dei «miei» attentati. Il primo, il cui anniversario ricorre oggi, fu fatto da persone che hanno trovato le armi a Roma. Non le hanno portate, perché hanno raggiunto Roma con vari voli e pertanto, se avessero portato le armi con sé, sarebbero stati intercettati. Le armi le hanno prese qui. Ogni volta che hanno operato a Roma non hanno trovato nessuna resistenza.
  Ricordiamoci del secondo attentato di Fiumicino, nel 1985, quello ai banchi della El Al e della TWA, in cui, sebbene ci fossero due autoblindo all'ingresso della sala, sebbene ci fosse una postazione dei carabinieri a livello superiore che controllava l'intera area della sala passeggeri, sebbene gli attentatori sparassero con granate a mano, causando un rumore fortissimo, quelli che stavano fuori e quelli che Pag. 11stavano sopra non hanno sentito nulla. Mi dispiace dirlo, ma gli unici che hanno reagito erano quei quattro del Mossad che son venuti qui e hanno «fatto fuori» gli attentatori che sparavano all'impazzata nella nostra sala di Fiumicino.
  Sono cose che, ripeto, non posso non attribuire alla presenza del lodo Moro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Priore per questa introduzione che pone l'accento sull'aspetto del perché della scelta di Moro, fornendo la risposta che abbiamo ascoltato.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  A scanso di equivoci, non potendo fare domande su brevi cenni sul mondo, ritorniamo al motivo dell'audizione del dottor Priore e quindi poniamo domande precise, non sulla storia d'Italia. Domande sulla storia d'Italia vengono dalla presidenza ritenute inammissibili.

  PAOLO BOLOGNESI. Innanzitutto la ringrazio di questa lunga chiacchierata anche un po’ sulla storia del mondo, non soltanto sul tema in oggetto.
  Le pongo alcune domande che riguardano l'oggetto dell'inchiesta di questa Commissione. Lei, nel libro-intervista scritto con Giovanni Fasanella, intitolato Intrigo internazionale, nel capitolo dedicato al conflitto tra giustizia e ragion di Stato, a pagina 189, ha scritto: «Il Governo italiano venne quasi subito esautorato di ogni potere nella gestione del sequestro perché il caso era stato avocato a sé dalla rete Gladio della NATO. Rete che in quel momento era gestita da un direttorio composto da Germania federale, Francia e Gran Bretagna. Non dimentichiamo che, proprio per le caratteristiche del personaggio Moro e per le conoscenze anche documentali di cui poteva disporre, una sua eventuale collaborazione con i carcerieri avrebbe potuto mettere a repentaglio segreti militari sensibili e lo stesso sistema difensivo atlantico. Sarebbe interessante ricostruire tutte le fasi del lavoro svolto da quel direttorio durante i cinquantacinque giorni del sequestro».
  Poiché la nostra Commissione è interessata a conoscere il lavoro svolto da quel direttorio durante i cinquantacinque giorni, le chiedo quali suggerimenti ci può dare, quali indicazioni di lavoro ci consiglia. Lei cosa farebbe per ricostruire tutte le fasi di quel direttorio ?
  Soprattutto le sue deduzioni per cui si è arrivati all'avocazione da parte della Gladio internazionale sono piuttosto precise. Se ci fosse qualche indicazione ben precisa anche in questa situazione, sarebbe importante.

  ROSARIO PRIORE. Che cosa si potrebbe fare ? Noi restammo interdetti quando ci fu detto dall'ammiraglio Martini – e credo che l'abbia detto a una delle precedenti Commissioni parlamentari d'inchiesta, non ricordo se fosse quella presieduta da Pellegrino o quella presieduta da Gualtieri – che la cosa più strana che capitò in quel periodo fu la scoperta al Ministero della difesa che l'armadio dove erano contenuti i piani di difesa del nostro Paese, i piani di reazione anche delle forze come la Gladio, era completamente vuoto. Lo trovò completamente vuoto ed ebbe quasi una sorta di mancamento. Non siamo mai riusciti a spiegarlo.
  Sono indagini che, secondo me, meglio di me e di tanti altri giudici potrebbe fare una Commissione parlamentare, perché si tratta di vedere chi fosse il ministro in quel periodo, chi disponesse delle chiavi di quell'armadio; perché c’è stato un incarico, secondo alcuni dato da Moro, a qualche ministro di sua fiducia di aprire quegli armadi e di consegnare quelle carte non sappiamo a chi. Ricordo che Martini lo raccontava, come un'esperienza impressionante: addirittura prendere tutto quello che è conservato, che riguarda i piani di difesa del Paese, per darli a chi ? A chi sono stati dati ? Dopo qualche tempo, tutte le carte sono tornate al loro posto. Come al solito, infatti, le carte importanti entrano, escono, si fotocopiano e poi si cerca anche di metterle al loro posto. È successo perfino con le carte di Moro.

  GERO GRASSI. Di che anno sta parlando ?

Pag. 12

  ROSARIO PRIORE. Stiamo parlando del periodo in cui era in corso il sequestro, nel corso del quale le carte della difesa del Paese scompaiono dall'armadio del Ministero della difesa.

  PRESIDENTE. Così dichiara Martini.

  ROSARIO PRIORE. Così dichiara Martini. Certo, io non c'ero.

  PRESIDENTE. Era solo una precisazione. Lo dichiara Martini. Non abbiamo prove né che quei documenti scomparvero né che ritornarono.

  ROSARIO PRIORE. Questa è la situazione.

  PAOLO BOLOGNESI. Mi scusi, ma con tutti i precisi riscontri che ho letto, che ha scritto lei – non sono solo mie deduzioni – d'accordo che le carte sono scomparse da quell'armadio, ma lei come fa a dedurre che i magistrati sono stati spogliati delle indagini dalla Gladio internazionale ? Come fa a dedurlo ? Come se lo spiega ?

  ROSARIO PRIORE. Non lo deduco, perché non capisco che indagini dovessero fare i magistrati sulle carte della difesa nazionale.

  PAOLO BOLOGNESI. Lei scrive: «Il Governo venne quasi subito esautorato da ogni potere nella gestione del sequestro, perché il caso era stato avocato a sé dalla rete Gladio della NATO». Un'affermazione di questo tipo dovrebbe avere dei supporti. Mi dica quali possono essere i suoi.

  ROSARIO PRIORE. All'epoca, notavamo che in un certo senso le posizioni italiane venivano completamente esautorate, non prese in considerazione. Il problema è che in Europa si era formata una sorta di direttorio tra i Paesi di maggior peso, che avocavano a sé anche una questione così importante, di rilievo, come il sequestro Moro. Dobbiamo sempre ricordare, infatti, e io lo ricordo a me stesso, che il sequestro Moro è un fatto di valore di internazionale, qualcosa che è stato voluto a livello internazionale. Probabilmente, è stato gestito a livello internazionale. Noi non avevamo né le forze né le possibilità di seguire non dico le indagini, che sono qualcosa di molto collaterale – abbiamo fatto le autopsie, sentito le persone, cercato di capire cosa fosse successo – ma il complesso del sequestro Moro, il rilievo che poteva avere sull'alleanza militare, che aveva interesse a che le carte relative alla difesa non sparissero. In un certo senso, già cominciava all'epoca una sfiducia nei confronti dell'Italia. Questo è quello che abbiamo colto.
  Non ho colto soltanto io, ma anche i miei colleghi, che alcune indagini, come quelle della scomparsa delle carte dagli armadi di via XX Settembre, andavano al di là delle indagini giudiziarie. Il giudice ordinario non può mettersi a fare indagini di questo genere quando coloro che possono aver preso le carte sono persone di un alto livello italiano e le persone a cui sono state date sono di alto livello di altro Paese. Chi le ha chieste ? A chi le abbiamo date ?
  Sono come le carte di Moro: chi le ha prese ? A chi sono state date, quando lì c'erano fior fiori di magistrati dinanzi alla porta ? Questo è il problema. Ci sono delle cose che in un certo senso travalicano i limiti della giurisdizione ordinaria. Dobbiamo dircelo e non sono io il primo, che sono appunto un giudice. Non è che io possa cercare di indagare sul perché le carte della difesa nazionale siano state date a qualcun altro o sul perché le carte di Moro siano state date a qualcun altro.

  PAOLO BOLOGNESI. Ma lei è un magistrato che ha indagato sulla vicenda. Nel momento in cui un magistrato in una fase successiva all'indagine fa affermazioni come quelle che ho citato, presumo che abbia qualcosa di estremamente concreto. Lei non dice «forse» o «per caso», ma afferma che le indagini sono state avocate dalla Gladio della NATO. È un'affermazione...

  ROSARIO PRIORE. Non le indagini...

Pag. 13

  PAOLO BOLOGNESI. «Il Governo italiano venne quasi subito esautorato di ogni potere nella gestione del sequestro, perché il caso era stato avocato a sé dalla Gladio della NATO». Siccome come magistrati non hanno approfondito questo tema, ma è una fase successiva, vuol dire che nella fase successiva è arrivato qualcosa...

  PRESIDENTE. A me sembra di cogliere due aspetti. Lei, onorevole Bolognesi, cita l'intervista del dottor Priore in una fase in cui non era più magistrato e mi sembra di comprendere dal combinato disposto della sua domanda e della risposta del dottor Priore, che se il dottor Priore avesse avuto prove, le avrebbe scritte nelle ordinanze. Ha fatto una riflessione a consuntivo della sua esperienza di vita su quel punto. Alla domanda se avesse prove, ha fatto un ragionamento e non ha detto di aver trovato riscontri precisi.
  In secondo luogo, sulla scomparsa e ricomparsa delle carte riferita da Martini ha detto con grande chiarezza che non hanno indagato perché non era loro competenza indagare se quelle carte fossero state prese da autorità preposta del nostro Paese ed eventualmente date ad altra autorità preposta. È un'idea che hanno maturato sulla base dei dati che sono stati loro riferiti, ma non hanno indagato perché non li riguardava. Credo che in questo contesto vadano considerate le riflessioni del dottor Priore.

  PAOLO BOLOGNESI. Le faccio un'altra domanda, che ha due o tre sfaccettature.
  Nella sua relazione, ha parlato di quando è andato in Francia e le è stato rivelato che si stava preparando un attentato, qualcosa di grosso nei confronti di un politico italiano, e ci ha fatto tre nomi: Andreotti, Fanfani e Moro. Si è dilungato su questo. Sempre nell'ambito della questione francese, cosa può dirci dell'Hyperion, di com’è nato ? Tra l'altro era tutto un concentrato di fuoriusciti dall'Italia, che avevano precedenti penali, almeno in gran parte, di un certo tipo.
  Inoltre, qual è la sua opinione sulle facilitazioni che quei personaggi hanno avuto stando a Parigi ? Anche considerando la figura dell'Abbé Pierre, il difensore dell'Hyperion, cosa pensa del fatto che le istituzioni francesi abbiano potuto agevolare il terrorismo italiano delle Brigate Rosse ? Tutta la costruzione che ci ha descritto anche prima può avere questa conseguenza ?
  Le pongo una domanda anche molto aperta su questo aspetto.

  ROSARIO PRIORE. Vorrei chiarire anzitutto che conoscemmo solo a distanza di mesi che in Francia si sapeva già da febbraio che sarebbe stato sequestrato un eminente politico del partito di maggioranza. Andammo in Francia, Imposimato e io, nell'ambito di una commissione rogatoria, che quindi nasce addirittura dopo la formalizzazione del processo. I fatti erano già successi. Non venimmo avvisati che stava per essere realizzato un attentato di quel genere. Era già un fatto del passato.
  I francesi già a febbraio sapevano, quindi ne erano a conoscenza in anticipo, e non so cosa abbiano fatto, perché queste sono attività di governo. Il servizio riferisce al proprio Governo e il Governo francese decide in un modo o nell'altro di trasmettere la notizia al Governo italiano. Non c'entrano niente i magistrati.
  Il magistrato lo ha appreso nell'ambito di una commissione rogatoria, che forse si colloca a giugno o a luglio di quell'anno, quando i fatti erano già successi da diversi mesi. A noi non competeva più assolutamente. Avremmo dovuto poi indagare su cosa avevano saputo, come abbiamo fatto, ma erano indagini di una grossa difficoltà perché investivano in pieno i servizi, che in Francia non sono come quelli italiani. Hanno un'autonomia eccezionale, trattano le cose con modalità completamente diverse.
  Ho avuto la ventura di conoscere moltissimi capi dei servizi francesi. Ho conosciuto De Marenches, il quale mi disse – ero andato per fare indagini sull'attentato al Papa – che aveva già parlato con una giornalista italiana, del quotidiano la Repubblica, e che confermava tutto quello Pag. 14che aveva detto su come erano andate le cose. Aggiunse che forse, poiché ero un giudice, avrei voluto conoscere da lui la fonte delle sue notizie, e che però, essendo egli un capo dei servizi, non me l'avrebbe mai rivelata. Mi disse anche: «Ho saputo che si occupa di Ustica, su cui le metterò a disposizione tutte le carte del mio servizio, il servizio militare. Deve trovarmi una carta in cui io do l'ordine di uccidere Gheddafi, cosa che avrei potuto e dovuto fare».
  Scommetto che nessun capo dei servizi italiani si azzarderebbe a dire una cosa del genere. I servizi francesi, che all'epoca del conflitto con l'Algeria addirittura riempivano la Senna di cadaveri di resistenti algerini, erano fatti di una pasta un po’ diversa da quella degli italiani. Erano i servizi di un grande Paese, di un impero. Addirittura, si adiravano quando andavamo a fare le rogatorie in Tunisia e ci dicevano che quello era territorio dell'impero. Rispondevo: «Quale impero ? L'impero è cessato da diversi decenni». Hanno una sicumera, una prepotenza completamente fuori dall'ordine delle nostre visioni. Bisogna metterselo in testa. Un capo dei servizi francesi non è una persona che ha paura a ogni passo di ricevere una comunicazione giudiziaria. I grandi capi dei Servizi francesi hanno detto menzogne a non finire, specialmente su Ustica, quando dicevano che la base di Solenzara, da cui partivano gli aerei di nostro interesse e dove c'erano i radar che vedevano il Tirreno, chiudeva alle 17. Non hanno proprio battuto ciglio, sia nella menzogna sia, in un certo senso – scusate il termine – nella protervia che hanno mostrato. Abbiamo avuto a che fare, quindi, con persone di un altro stampo.
  Parlo poi di questo benedetto gruppo di nazioni, che non sono quelle vincenti, perché c’è la Germania, ci sono la Francia, l'Inghilterra, i Paesi più grandi d'Europa. È un modo completamente diverso di ragionare. Purtroppo, dico a ogni piè sospinto che abbiamo ancora il peso della disfatta. Non ce ne rendiamo conto. Non ci vogliono persone che ci incitino a essere orgogliosi, ma sentiamo ancora il peso della disfatta e ci muoviamo come un Paese che è stato sconfitto, cosa che non fa la Germania.

  GIANLUCA PINI. Abuserò con delle domande secche, non con dei retroscena, della conoscenza e della disponibilità del nostro ospite.
  Ha detto in maniera molto chiara cosa sia di fatto il lodo Moro, cui gira attorno buona parte della storia. Ci sono dei documenti che attestano in qualche modo l'esistenza del lodo Moro ? Se esistono, come immagino – nella sua esperienza avrà visto qualcosa – dove sono ? Si possono recuperare ?
  Le risulta poi che durante la fase del sequestro ci siano state delle trattative tra qualche organizzazione palestinese e le Brigate Rosse per la liberazione di Moro ? Specificamente, le risulta anche che un parente di Moro fosse pronto a partire per recarsi in Medio Oriente per seguirle direttamente ?

  ROSARIO PRIORE. Nello Yemen del Sud. Non ripeterò questa storia, perché sono stato definito paranoico al riguardo di questo problema da Carlos, secondo cui il giudice Priore è un paranoico perché parla sempre di quelle persone che dovevano andare nello Yemen del Sud a trattare. Non mi sono querelato perché ritornare sempre su queste problematiche sarebbe potuto apparire quasi un complimento. Torno sempre sul viaggio del figlio di Moro e mi sembra di ricordare che pure Carlos se la sia presa, dice che sono paranoico su questo, che non è vero.
  Quello della liberazione di Moro, però, era una questione, che veniva seguita da un'infinità di Servizi. Dovete rendervi conto che, quando si era in procinto dell'attesa liberazione, Cossiga dice che attendeva al Viminale insieme a Signorile, perché Moro doveva arrivare da un momento all'altro. Preventivamente un Executive dei nostri servizi avrebbe dovuto prendere a bordo i quattro terroristi della RAF chiesti in cambio che la Germania aveva acconsentito, dietro le pressioni del nostro Governo, a liberare. Costoro avevano Pag. 15preso un treno che attraversava la Jugoslavia, che forse non era stata avvisata o forse volle mandare a monte l'operazione e li arrestò. Martini vi si precipitò con un aereo che, come si dice – sono voci – gli fu prestato da Berlusconi, per interrogare questi quattro e chiedere loro come mai si fossero fatti arrestare. Stavano andando in Medioriente. Noi avevamo mandato, come detto, un aereo perché da Beirut non c'erano collegamenti aerei frequenti con lo Yemen del Sud e non appariva opportuno che quei personaggi viaggiassero su aereo di linea. Questo piano era stato concepito dal capo del servizio segreto della Germania orientale, cioè il famoso Wolf. Era lui che presiedeva a quel piano. Tenete presente che il piano era stato seguito anche dal nostro servizio militare, quindi da Martini, e avrebbe dovuto funzionare alla perfezione. Poi l'imprevisto arresto dei quattro della RAF che andavano come merce di scambio ha buttato all'aria tutto il piano, che secondo alcuni era addirittura sotto la supervisione – non voglio che questo attiri «frecce» o critiche sul piano – del Mossad israeliano. Erano tutti i grandi servizi che si stavano adoprando per quel progetto di liberazione: «dare qualcosa in cambio della liberazione di Moro». Cossiga ha sempre ripetuto che egli aspettava al Viminale che da un momento all'altro apparisse Moro. Qualche cosa, ripeto, è andata storta.
  Potrei anche fare delle illazioni, non ho le prove. In genere, i magistrati, però, fanno anche delle illazioni. Forse coloro che erano dell'ala dura delle Brigate Rosse, la prima posizione, i militaristi, coloro che si opponevano a trattative e ai cosiddetti movimentisti, a Morucci e Faranda, hanno ripreso la situazione in mano – vi dico anche i nomi: Gallinari e Moretti – procedendo d'iniziativa all'uccisione di Moro, proprio per mandare a monte quel progetto di trattativa. Era l'ala dei contrari alla trattativa. La grande trattativa sul piano internazionale va a monte per un arresto di cui non si capisce la ragione. Forse quei quattro tedeschi che viaggiavano su un treno jugoslavo davano nell'occhio.
  Teniamo presente, però, che non sono cose che dico io, ma sono state dette da tutti i grandi dei servizi, i grandi del Governo, Cossiga e altri. Cerchiamo di riflettere su quel progetto di liberazione di Moro.

  GIANLUCA PINI. Mi scusi, forse l'ultima domanda ha coperto le altre, ma ribadisco le prime due.

  ROSARIO PRIORE. Ho dimenticato di rispondere a qualcosa ?

  GIANLUCA PINI. Capita, e colgo l'occasione per ribadirle la prima domanda. Ci sono documenti, o lei ha visto documenti, o questa Commissione sarebbe in grado di acquisire documenti che in qualche modo certificano l'esistenza del lodo Moro ? Se sì, dove ?
  Inoltre, visto che in un passaggio, relativamente a una fase delicatissima dei rapporti legati al lodo Moro, ha citato Bologna, c’è qualche collegamento con la strage di Bologna ?

  ROSARIO PRIORE. Posso dirle che avevo fatto un elenco delle persone che parlano del lodo Moro. Personalmente, e in genere ho una buona memoria, ricordo un rapporto di tipo giudiziario che poi è scomparso, che non ho trovato mai più, in cui si parlava addirittura delle persone che avevano preso parte ai lavori per formulare il lodo Moro.
  In ogni caso, per quanto riguarda testimoni, ne abbiamo a bizzeffe e delle dichiarazioni ci sono i verbali. Avevo un elenco, che ora non trovo, ma mi riservo di esibirlo: ci sono palestinesi, arabi, in genere che parlano del lodo Moro e sono persone di prima grandezza, come ci sono tantissime persone di prima grandezza italiane che ne parlano, come Scalfaro. Mi riservo di esibire elenchi di persone e documenti.
  Voglio fare, però, una piccola considerazione. Non è che solo noi avessimo il lodo Moro, perché c'era anche il lodo Mitterrand che prevedeva le stesse larghezze nei confronti della resistenza palestinese. Pag. 16C'era sicuramente in Spagna, che con la gestione di Carrero Blanco ha molto concesso alla resistenza palestinese. C'erano tantissime strade che portavano a tanti piccoli e grandi lodi nazionali. Addirittura la Germania federale restituì gli arrestati per i fatti di Monaco.
  Ricordo di un fatto clamoroso in India, dove un cuoco italiano, mi pare, a Nuova Delhi, si era salvato, in occasione di gravi incidenti, dicendo di essere italiano, perché gli italiani erano ben visti dagli indiani, forse perché facevano favori sottobanco. Quel cuoco suggerì a un inglese, che stava per essere arrestato e fucilato, di dire che era italiano: l'inglese, nella sua protervia, rispose che era inglese e che avrebbe detto sempre di essere inglese, ma quando vide che si avvicinavano e cercavano di catturarlo, disse di essere italiano e si salvò. C’è nel mondo la consapevolezza che in Italia quasi tutto si aggiusta, e quindi c’è un certo favore nei nostri confronti. L'episodio dell'inglese in India che stavano per prendere e forse trucidare mi ha colpito moltissimo, perché era orgoglioso, voleva proclamarlo di essere inglese, non di essere italiano, ma si è salvato dicendo di essere italiano su consiglio del cuoco. La saggezza del cuoco lo ha salvato.

  PRESIDENTE. Bene, adesso siamo alle divagazioni e ai cenni sulle negoziazioni nel mondo...
  Onorevole Pini, non le sto togliendo la parola. Sto solo dicendo che anche su questo il dottor Priore, se vorrà, ci fornirà testimonianze. Riferisce, per ritornare ai fatti, di un rapporto di un'autorità giudiziaria, che non si è più trovato, che parlava di coloro che avevano steso il presunto lodo Moro, e di una serie di personaggi italiani ed esteri che ne hanno parlato.

  GIANLUCA PINI. Ogni autorità giudiziaria ha una sede. Ho chiesto se, eventualmente, ricorda quale, quale tribunale, quale procura.

  PRESIDENTE. Ricorda quale autorità fosse ?

  ROSARIO PRIORE. Secondo me, si trattava di atti di procedimenti romani.

  GIANLUCA PINI. Ritiene, quindi, che nei vari procedimenti dedicati a Bologna non ci siano atti che possano richiamare in qualche modo il lodo Moro.

  ROSARIO PRIORE. Bologna viene richiamata dall'olografo di Senzani, quindi dovremmo parlare di tutto un altro discorso.

  PRESIDENTE. Capiamo l'origine geografica dell'onorevole Pini, però noi ci occupiamo di Moro, non siamo anche Commissione stragi.

  GIANLUCA PINI. Certo, ma se si parla del lodo Moro...

  ROSARIO PRIORE. In ogni caso, tutti coloro che parteciparono alla redazione erano personaggi di alto livello delle istituzioni.

  PAOLO CORSINI. Sono rimasto molto colpito da un passaggio della sua introduzione, che forse ho persino frainteso ed è per questo che le rivolgerò la domanda.
  A un certo punto, lei ipotizza l'esistenza di un terzo personaggio, che suppongo non sia una singola persona, ma può essere un apparato, un'istituzione...

  PRESIDENTE. Per precisione, se non ho capito male, parla dell'interposizione tra la politica di tipo comunista e quella di tipo capitalista, cioè, esemplificando, di un'intermediazione con creazione di spazio politico delle forze socialdemocratiche. Questo è il terzo personaggio cui fa riferimento con l'analisi geopolitica.

  ROSARIO PRIORE. Non un personaggio, ma una forza, un terzo giocatore.

  PAOLO CORSINI. Ancora, nel corso dalla sua esposizione, a un certo punto dice che nel corso delle sue indagini condotte in Francia – se non mi sbaglio, si è occupato a lungo anche di Molinari, dell'Hyperion, Pag. 17di quella componente dell'estremismo radicale di sinistra – ha constatato l'esistenza di un piano che prevedeva di lanciare dei missili contro il Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana riunito; quindi ci sarebbero state tracce di possibili attentati provenienti dalla Francia.
  Poi ha aggiunto, e non ho capito se questo sia il frutto di sue verifiche e convinzioni rette sulla base di riscontri materiali e documentari, un riferimento all'ex Unione Sovietica: potrebbe, per favore, approfondire questa seconda anta del suo discorso ? Quali sono i dati cui fa riferimento, qual è la tipologia di questo soggetto, quali solo i piani che questo soggetto intende preordinare, che rapporto diretto hanno con la vicenda italiana che riguarda l'onorevole Aldo Moro ?

  ROSARIO PRIORE. Per quanto riguarda la Francia, non sono illazioni, perché abbiamo trovato addirittura le rampe di lancio artigianali preparate proprio per collocarle sotto piazza Sturzo, dove aveva sede il Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana qui a Roma. Abbiamo visto e fotografato gli incontri di colui che era qui a Roma con quest'incarico insieme a Senzani, con il quale ne aveva discusso. La preparazione dei grossi attentati qui a Roma, quindi, c'era ed è dimostrata.
  Per quanto riguarda l'Unione Sovietica, il discorso è un po’ più complicato, ma a parte quello che si è trovato nel dossier Mitrokhin, al quale molti non danno credito, mentre per me ha un credito ed è fondato, ci sono stati anche personaggi qui in Italia che hanno operato. Ne ho incontrati diversi.
  Menziono Sokolov, quello che si è messo alle spalle di Moro, che lo seguiva in tutte le sue lezioni, si accertava di quale fosse la sua protezione e se Moro avesse macchine con vetri blindati, chiedeva informazioni sugli orari, su quando sarebbe tornato a fare la lezione. Era un uomo che Moro aveva invitato alla presentazione del Governo, che doveva ricevere la fiducia proprio quel giorno o il giorno successivo, non ricordo.

  PRESIDENTE. Quel giorno.

  ROSARIO PRIORE. Moro lo aveva invitato, ma Sokolov non si è recato nemmeno a prendere il biglietto, perché è andato via immediatamente. Era un giovane che aveva legami anche qui di affetto, s'era affezionato a Moro in un certo senso, ma non andò nemmeno a ritirare il biglietto di invito alla seduta alla Camera dei deputati per la fiducia al Governo Andreotti, se non ricordo male.
  È scomparso, è ritornato a Mosca, ha lavorato lì, ma sarebbe ritornato dopo qualche tempo, quando tutti noi ne avevamo perso la memoria. Era un uomo che bene o male...

  PAOLO CORSINI. Mi scusi, è tornato in Italia ?

  ROSARIO PRIORE. È tornato in Italia, ma dopo qualche anno. In Italia le cose si dimenticano facilmente. Non c'era un processo penale contro di lui, quindi non c'era nemmeno la possibilità che risultasse da qualche carta di processo. È stato alle spalle di Moro a lungo.
  Devo anche fare un po’ mente locale sulle altre questioni, però anche da parte dell'Unione Sovietica c’è stata un'attenzione forte su Moro – e non poteva essere altrimenti  – come c'era da tutto il mondo orientale attenzione sull'altro che lavorava con Moro, cioè Berlinguer. Sono stato in Bulgaria e mi sono recato proprio sui luoghi in cui era previsto un attentato a Berlinguer, quello di cui si è parlato a lungo; tirato fuori, questo progetto, dal senatore Macaluso. L'attentato ci fu. Sono andato a vedere se i luoghi corrispondessero a come erano stati descritti. In quel tempo – lo stato dei luoghi è cambiato perché hanno allargato l'aeroporto di Sofia – sulla strada percorsa dalla autovettura che aveva a bordo Berlinguer c'era una visibilità totale. Non ci si poteva sbagliare. Il camion che ha preso la macchina Pag. 18di Berlinguer l'ha deliberatamente colpita e ha tentato di buttarla fuoristrada. Si è detto che nella macchina ci fossero anche dei gerarchi del Partito comunista bulgaro, ma erano avversari di Zivkov, e che costui, con quell'attentato, forse avrebbe preso più piccioni con una fava. Si trattò di un attentato clamoroso. Berlinguer si rifiutò di salire sugli aerei messi a disposizione dal presidente bulgaro, perché aveva paura che i bulgari realizzassero l'attentato ai suoi danni con altre modalità, addirittura lo facessero cadere in mare. Berlinguer aveva un timore grande della capacità della gerarchia bulgara di portare a termine un attentato contro di lui e contro l'Italia.

  LUIGI COMPAGNA. Nell'introduzione che ci ha fatto, mi pare che da parte del dottor Priore l'intesa di fatto che avrebbe garantito quasi l'impunità, almeno nel rapporto con le armi, non necessariamente usate, ma possedute e custodite da parte delle organizzazioni palestinesi, sia datata grosso modo prima del tragico rapimento e sequestro dell'onorevole Moro. Si ha, quindi, la sensazione che questo dato di fatto, entrato nel senso comune come lodo Moro e che poi in quei drammatici cinquantancinque giorni riaffiorerà più volte nella corrispondenza pubblica dell'onorevole Moro, sia qualcosa di ben radicato nella sua biografia politica.
  A me, francamente – posso sbagliare – non solo non risulta così, ma risulta addirittura il contrario. Quando i missili colpiscono a Fiumicino e da parte dell'Italia c’è moltissima indulgenza, quasi pronosticando, preannunciando quella che il dottor Priore chiama l'incredibile – dal punto di vista istituzionale – missione del dottor Sica sulla libertà del rappresentante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Moro sembra del tutto assente. Quando approda alla Farnesina con il Governo Rumor, Moro non brilla per eccessi di zelo filopalestinese. Mi permetto anche di ricordare che, quando Moro approda a Palazzo Chigi, dopo il centrosinistra – siamo nell'inverno del 1974 – il suo Vicepresidente del Consiglio è l'onorevole Ugo La Malfa, storicamente non simpatizzante della resistenza palestinese e amico dello Stato di Israele. Il Presidente del Consiglio italiano, onorevole Moro, riceve nella primavera del 1975 l'invito del Presidente di Israele a partecipare all'inaugurazione del Padiglione Weizmann a Gerusalemme, la grande fondazione di ricerca scientifica. In quell'occasione, Moro, Presidente del Consiglio, valuta attentamente la questione in più di un Consiglio dei ministri e decide, deludendo i fronti politici e diplomatici italiani, che erano quanto meno per la non partecipazione dell'Italia, di inviare lì non il Ministro degli esteri, che sarebbe stato troppo impegnativo, non il Vicepresidente del Consiglio La Malfa, che sarebbe stato forse egualmente troppo impegnativo, ma il Ministro per i beni culturali Giovanni Spadolini, amico e storiografo della causa sionista e capace di essere addetto stampa di se medesimo sui grandi giornali con molta intensità. Spadolini sta una settimana in Israele e rilascia una serie di interviste come ministro stimato e benvoluto dal Presidente del Consiglio Moro.
  Allora, com’è possibile che si possa accreditare una sfrenata libertà di armi dell'organizzazione di resistenza della Palestina in Italia ? Tra l'altro, era l'organizzazione in quel momento più debole. Lei stesso ha ricordato che, quando Sica va a Beirut, si rivolge al quartier generale di quegli altri, quelli di Arafat, che dicono: «No, non siamo noi. Sono quegli altri».
  Com’è possibile...

  PRESIDENTE. Senatore Compagna, arriviamo alla domanda senza confutare le idee del dottor Priore. Andiamo al sodo.

  LUIGI COMPAGNA. La mia domanda è: i fatti che le cito le fanno modificare l'idea sulla circostanza che fosse tutta pienamente e soltanto riconducibile ad Aldo Moro la sfrenata libertà di organizzazione armata del movimento palestinese a cui lei ha dedicato gran parte della sua introduzione ?

  ROSARIO PRIORE. Ho dimenticato di dire che nel patto era concessa alle organizzazioni Pag. 19di resistenza anche la possibilità di fare attentati, purché fossero contro americani o israeliani o ebrei di nascita. In un certo senso, c'era questa precisa classificazione. Ne sono stati fatti tanti. A volte ce ne dimentichiamo. Ci sono stati atti che giuridicamente sono stati definiti come stragi, come il lanciare una bomba al Café de Paris, alla British Airways, in cui morirono solo una o due persone. Questi atti erano consentiti, in un certo senso.
  Ho trovato nelle tasche dei nostri brigatisti studi per uccidere l'addetto militare israeliano qui a Roma. C'era un fiorire di iniziative, non dico una sfrenata libertà, ci mancherebbe. Dopotutto, c'era sempre un ordinamento giuridico da proteggere. Questi però erano dei vulnera molto gravi all'ordinamento giuridico, non dimentichiamolo.
  C’è, però, un intero mondo che fiorisce non dico protetto, ma alle spalle non so se di una consapevolezza che esistesse una protezione eccezionale dello Stato italiano. Questo bisogna accertare, perché ho visto sotto i miei occhi una serie di stragi compiute anche da ragazzi dell'Intifada, che venivano a Roma a lanciare bombe al Café de Paris, e da altri che attaccavano l'American Express. C’è stata addirittura gente che usciva di casa con i lanciamissili sulle spalle, andava a piazza Verdi e tirava contro l'abitazione dell'ambasciatore o di un alto diplomatico giordano. Sparavano come se Roma fosse una nuova Beirut; poi sbagliavano piano e la persona che abitava all'altro piano si è vista, mentre era nella sala da pranzo, passare davanti agli occhi un missile.
  Era un mondo completamente diverso, che non dico fosse autorizzato dal lodo Moro, ma che riceveva una particolare attenzione, perché era la resistenza per eccellenza di un popolo che aveva molto sofferto. C'erano moltissime motivazioni. Si poteva benissimo motivare.
  Quelle che lei richiama sono le relazioni di buon vicinato, le relazioni di cortesia internazionale tra i vari Paesi. Certo, non è che se si è invitati all'Accademia di Gerusalemme o di Tel Aviv, si rigetta e non si accetta di essere invitati perché ci si sporcherebbe ad andare alla cerimonia di apertura dell'università ebraica. Quelle sono le buone relazioni tra gli Stati. Non dobbiamo dimenticarlo.
  Dobbiamo, però, ricordare la politica sotto il tavolo, perché essa esiste. Ci sono rapporti di potenza, di inimicizia, di conflittualità. Non possiamo dimenticarlo.
  Penso questo. Non so se sono stato esaustivo.

  LUIGI COMPAGNA. Non mi ha convinto, perché allora non riesco a capire perché nel secondo scenario, e passato qualche anno, a un certo punto ci parla di quel piano di liberazione dell'onorevole Moro che non giunge a buon fine per l'inopinato arresto dei quattro terroristi tedeschi, in cui però mi colpisce lo scenario di totale ecumenismo. Ci sono i brigatisti della Rote Armee Fraktion che vengono liberati, c’è dentro il servizio... Tutta questa lotta ecumenica servirebbe a salvare Moro ?

  ROSARIO PRIORE. Forse il Governo italiano si era mosso bene in questo caso, grazie anche a Martini, che si era adoprato presso gli omologhi di altri Paesi.

  PRESIDENTE. Ormai, questo è un dibattito di politica estera affidato alla storia e alle riflessioni.

  GERO GRASSI. La ringrazio per la sua disamina e anche per il contributo alla storia d'Italia che hanno dato i colleghi. Cercherò di essere molto secco e preciso nelle domande.
  Per la storia, ricordo che il Ministro della difesa del quale parlava si chiamava Attilio Ruffini.

  PRESIDENTE. Quando Martini dice che sparirono le carte e poi riapparvero.

  GERO GRASSI. Sempre per la storia, fu un ministro subentrante in corso di legislatura per un ministro dimissionato, che si chiamava Lattanzio e che fu sostituito per il caso Kappler.Pag. 20
  Chiusa la parentesi, andiamo alla domanda.
  Non sono interessato a sapere se lei – inizio con un po’ di autoironia – sia il gatto o la volpe. Lei comprende a cosa voglia riferirmi.

  PRESIDENTE. No, o fa domande che comprendono tutti o...

  GERO GRASSI. Ci arrivo, ma devo spiegarlo. «Il gatto e la volpe» è la definizione dello Spinella per Imposimato e per il giudice Priore quando furono fotografati in via Caetani da sopra la chiesa dei Funari perché stavano seguendo la pista di Efisio Mortati.
  A un certo punto, Mortati interrompe la collaborazione. C’è un articolo di Paglia su La Nazione di Firenze, ma c’è anche da parte di Mortati una certa ritrosia a collaborare, perché vi ha portati in un porto nevralgico del caso Moro, cioè via Castani. Secondo lei, c’è qualche ulteriore elemento che può aggiungere sulla vicenda che ruota intorno all'asse Firenze – via Caetani ?

  ROSARIO PRIORE. Chi erano il gatto e la volpe ?

  PRESIDENTE. Lei e Imposimato.

  ROSARIO PRIORE. È vero, «il gatto e la volpe». L'impressione che ho avuto riguardo a Mortati è che fosse rimasto deluso dalla rozzezza delle nostre considerazioni. Era preparatissimo in fatto di marxismo, di dottrina comunista e così via, e quando parlava, non dico con me – non vorrei né lodarmi né vituperarmi – ma con altri, si chiedeva come fosse possibile che sapessero così poco sul marxismo. Allora, gli venne quasi una sorta di ribrezzo nei nostri confronti. Si disse che con noi non avrebbe collaborato più perché non capivamo niente di quello che era stato il suo travaglio, la sua militanza, le ragioni di quella sua scelta.
  In effetti, penso a distanza di tempo, con il senno di poi, che ci avesse messo su una buona strada, perché tutte e tre le abitazioni che ci aveva indicato erano, ovviamente, nei pressi di palazzo Caetani e di via Caetani.
  Quello è un problema grosso, su cui bisogna ancora lavorare. Se ce la faccio, compirò ancora delle ricerche e forse potrò dare una certa risposta, che ovviamente comunicherò subito ai titolari delle inchieste, perché non spetta a me trovare quale fosse il luogo in cui era ristretto Moro.
  Posso dirvi che la prigione di via Montalcini mi ha sempre convinto poco. Non posso credere che un uomo piuttosto alto potesse essere stato in una specie di bugigattolo di dimensioni limitatissime, in cui non poteva nemmeno stendere le gambe, per tutta la durata del sequestro. Morucci e Moretti si sono sempre vantati di aver predisposto quella sorta di prigione così ben camuffata, per cui nessuna persona avrebbe potuto mai individuarla, a meno che non avesse avuto le piante catastali di quel palazzo. Come è possibile stare lì un periodo di oltre cinquanta giorni e non avere nessun danno al corpo ? Si dice, infatti, che Moro fosse, al momento della morte, eutonico in tutte le parti del corpo. L'unica cosa che notai al tempo era che gli era cresciuta una rada barba, ma credo che l'avesse lasciata crescere dopo aver avuto la notizia, a breve distanza dall'esecuzione, che non sarebbe stato liberato. Prima, infatti, lo avevano illuso che sarebbe stato liberato e quindi aveva ripreso, in una struttura diversa da quella di via Montalcini, a scrivere in un modo regolare, normale.
  Poi non bisogna mai dimenticare che i nostri brigatisti hanno organizzato il sequestro di Moro a imitazione del sequestro Schleyer. Hanno preso lezioni da quelli della RAF, hanno agito scegliendo un palazzo con vano garage dotato di un ascensore che portava ai piani, hanno operato usando una grande cesta. Hanno fatto un «doppione» del sequestro Schleyer. L'industriale tedesco però stava in una sala grande, aveva un tavolo enorme, su cui poteva scrivere: leggeva le domande, consultava libri e rispondeva con ogni probabilità per iscritto. Era un uomo Pag. 21quasi libero. Una volta, infatti, colui che lo aveva in custodia fu redarguito perché aveva dimenticato la pistola sul tavolo e Schleyer avrebbe potuto impadronirsene, sparare e andarsene.
  Nel sequestro Schleyer hanno funzionato meccanismi diversi, perché l'imprenditore tedesco non cadde minimamente nella sindrome di Stoccolma, riuscì anzi a contrastare le teorie di quelli che lo interrogavano e li aveva quasi convinti della bontà del sistema occidentale, cosa che non è successa per Moro. Moro, purtroppo, mi dispiace dirlo, non ha mai fatto menzione, nei lunghi cinquantacinque giorni, degli uomini della scorta, che erano, come sapeva, sicuramente morti. La prima cosa chiesta da Schleyer a quelli della RAF è stata che fine avessero fatto i suoi uomini, se fossero feriti o morti. Si è preoccupato dei suoi uomini di scorta, cosa che non ha fatto Moro.

  GERO GRASSI. O non sappiamo se lo abbia fatto.

  ROSARIO PRIORE. No, i brigatisti lo avrebbero detto. Invece non l'hanno detto. Non è che i brigatisti siano degli orchi, sono persone con cui si discute, si parla. Sono persone che, addirittura, potrebbero continuare a dare una mano. L'organizzazione del sequestro non è una cosa così semplice e alcuni sono ancora possessori della scienza dell'organizzazione del sequestro e potrebbero dare in un futuro vicino un ulteriore contributo a ricostruire meglio quello che è successo.
  Cerchiamo di capire anche la collaborazione con la RAF. I nostri brigatisti si vedevano con quelli della RAF quasi una volta o due ogni due settimane. Discutevano, parlavano, apprendevano, facevano manifesti in comune. La RAF ha insegnato ai nostri come si gestisce un sequestro e agiva in pieno dominio del servizio della Germania orientale; quando facevano attentati, erano uomini della Germania democratica che li indirizzavano alle strutture militari della NATO. Si trattava di strutture che nessuno di noi conosce, come il comando supremo dell'aeronautica NATO o il comando della regione della Renania. Erano attentati effettuati su ordinazione, era un terrorismo pilotato. Dobbiamo saperlo.
  Forse altri servizi hanno tentato con il nostro, ma non credo che il tentativo abbia dato grandi risultati, anche se molti credono che i servizi fossero tutti là, in via Fani e dintorni, quella mattina.

  GERO GRASSI. In un'occasione, lei ha sostenuto che intorno al tavolo sul quale si è decisa la morte di Moro ci fossero personaggi che non c'entravano con le Brigate Rosse. A me non interessa sapere, come pure si è detto, che quel giorno mangiarono tortelli con la zucca, ma vorrei sapere da lei...

  ROSARIO PRIORE. Non so cosa abbiano mangiato.

  GERO GRASSI. Va bene. Lo so io.
  Ha un'idea di questa gente che era terza rispetto alle Brigate Rosse ?

  ROSARIO PRIORE. È un po’ difficile l'idea sulla gente terza rispetto alle Brigate Rosse. Le Brigate Rosse, come forse avete letto in tante altre carte, frequentavano molto bene, cioè erano invitate nelle migliori sedi, nei migliori salotti. C'erano le signore che facevano a gara per avere...

  PRESIDENTE. Prestiamo attenzione a questa parte della dichiarazione del dottor Priore.

  ROSARIO PRIORE. Facevano a gara per avere a cena i brigatisti. Dobbiamo sempre ricordarlo. C'era nei confronti delle Brigate Rosse una forte attrazione, una forte comprensione, e non si riusciva a capire perché facessimo i processi contro le Brigate Rosse. I miei colleghi mi chiedevano chi me lo facesse fare, perché non si sapeva chi avrebbe vinto. Questo mi dicevano i colleghi. Tale era l'incertezza in quei tempi.
  Quando andavamo a fare le perquisizioni – ricordo quella a viale Giulio Cesare, dove c'erano le armi di Morucci e Pag. 22Faranda – i segretari che ci accompagnavano camminavano sull'altro marciapiede, perché pensavano che da un momento all'altro ci arrivassero delle raffiche di armi da fuoco. Erano tempi completamente diversi da quelli attuati. Adesso, camminiamo tranquillamente su qualsiasi marciapiede.
  Bisogna collocarsi in quel tempo. I brigatisti avevano amicizie di alto livello, per cui poi si è pensato anche a conti, duchi, palazzi e via dicendo, ma qui facciamo illazioni troppo forti. Andavano, però, nelle migliori case. Non siamo mai riusciti a capire quale fosse la casa del quartiere Prati dove si riunirono con Morucci e altri. Non tutto si è riuscito a scoprire. Al contrario, penso che si sia scoperto ancora poco.

  GERO GRASSI. A me risulta che lei, riferendosi a un noto personaggio, abbia ripreso una frase di Lenin: «Io sono a capo di una rivoluzione, ma contemporaneamente sono anche al soldo dei tedeschi». Lei ha collegato questa frase a Giovanni Senzani. L'ha detto il 9 marzo 1995 alla Commissione terrorismo e stragi.
  Prima lei ha affermato che Moretti non sembra essere l'apicale delle Brigate Rosse: come vede il ruolo di Senzani in questa vicenda ?

  ROSARIO PRIORE. Dalle mie parole si capiva che paragonavo Senzani a Lenin, che lavorava per lo Stato maggiore tedesco mentre faceva il capo della rivoluzione ?

  GERO GRASSI. Se vuole le leggo...

  ROSARIO PRIORE. Può darsi che abbia detto una cosa del genere, ma Senzani – ricordo sempre quest'episodio che mi ha colpito – una volta che andava a visitare la colonna delle Marche con Buzzati, una persona che si è pentita e nel cui pentimento molto sincero credo, gli disse: «Vedi quello ? Quello è un capo dei Servizi, che lavora con noi. È uno che lavora per la sinistra. È un uomo che sa tutto sulla strage di Bologna».

  GERO GRASSI. Musumeci.

  ROSARIO PRIORE. Bravo. Ma cos’è successo ? Quello fa un identikit, che è la fotografia di Musumeci, ma a un certo punto si ha un taglio della statura di quell'uomo – Musumeci era un bell'uomo, alto oltre 1,85 metri – che diventa di 1,65 metri. Dicono che forse si erano sbagliati, che era sul marciapiede, che non avevano capito bene le stature.
  Mi ha fatto sempre impressione che Senzani dicesse che quello era uno dei servizi che lavorava con loro e per loro e che sapeva tutto sulla strage di Bologna. Buzzati chiese perché non lo si sequestrava per farsi dire come erano andate le cose a Bologna.
  Non so se ricordate che nell'immediatezza di queste stranezze apparve una falsa lettera firmata da un sedicente ufficiale, il quale mandava a dire, su carta intestata, mi pare, l'Unità – era una lettera al generale – «Eccellenza, abbiamo fatto tutto quello che ha lei voluto. Speriamo di aver fatto bene». Su quella lettera non si è mai indagato né si è capito chi ne fosse l'autore. Era un falso marchiano. Usavano la carta del quotidiano l'Unità per scrivere una lettera di quel genere. Forse lo ricordate.

  GERO GRASSI. Dottor Priore, le rivolgo un'ultima domanda doppia. Lei disse alla Commissione terrorismo e stragi, e io condivido pienamente, che sarebbe cambiata la storia d'Italia se in via Gradoli si fosse operato con maggiore prudenza e cautela.
  Poi disse, e anche in questo caso condivido – ma vorrei capire qualcosa di più – che la Braghetti di fatto per via Montalcini fu messa sull'avviso, che la polizia si era recata sul posto a prendere notizie su di lei, dopodiché la Braghetti lo seppe, fece un accertamento al PRA dopo aver annotato la targa di un'automobile; l'auto al PRA non risultò, la Braghetti capì che era della polizia e a quel punto se ne andò.
  Tenga presente che quello che lei disse è stato riferito nel corso degli interrogatori Pag. 23anche dall'ingegner Manfredi, che abitava in via Montalcini. La moglie dell'ingegner Manfredi si rifiuta di riprendere l'argomento, perché sulla morte dell'ingegner Manfredi c’è ancora un grande mistero; è morto, anche in condizioni abbastanza strane.
  Tra la scoperta del covo di via Montalcini e l'arrivo delle forze di polizia passano tre o quattro mesi e la Braghetti se ne va. In quei tre o quattro mesi vengono interrogati i condomini; tutti sanno che lì c’è un covo, ma nessuno interviene. Su questa vicenda e sulla cautela avuta in via Gradoli – siccome via Gradoli e via Montalcini sono due parti centrali del caso Moro – vorrei sapere da lei cosa pensa e se può aggiungere qualcosa.

  ROSARIO PRIORE. Dopo il grosso disastro di via Gradoli, abbiamo imparato – non noi, ma i carabinieri e la polizia – a compiere dei fermi di covi scoperti in modo che dall'esterno non si capisse che erano stati scoperti. Si faceva in modo che, via via che i brigatisti o altri associati entravano in quella casa, fossero poi immediatamente arrestati e portati nelle carceri. Il sistema ha funzionato per diversi anni. In quel modo sono state scoperte e arrestate moltissime persone. Non ha funzionato per via Gradoli, perché lì si verificò immediatamente quella confusione, con i pompieri, le macchine della polizia e dei carabinieri. Si agì in un modo forse ancora un po’ rozzo. Non eravamo abituati, non solo noi di Roma, ma nemmeno i milanesi o i torinesi, che si è sempre detto che, quanto a terrorismo, ne sapevano mille volte più di noi. Il sistema ha cominciato a funzionare forse proprio da via Monte Nevoso in poi, che ricordi io: sorvegliare il covo nell'attesa che qualcun altro capiti lì per catturarlo e avviarlo verso le carceri. Per via Gradoli è successo di tutto. Ricordo stormi di fotografi che passavano, sirene di ogni genere, giornalisti.
  Per l'altro covo, mi aiuti a ricordare.

  GERO GRASSI. Via Montalcini, l'episodio della Braghetti che viene individuata ma non viene arrestata subito, ma passano quattro mesi e lei se ne va.

  ROSARIO PRIORE. Chiedo scusa, ma individuata in che veste ? A quei tempi, non è che fosse chiaro cosa fosse successo.

  GERO GRASSI. Se vuole, le leggo quello che lei ha dichiarato.

  ROSARIO PRIORE. Riguardo a via Montalcini ?

  GERO GRASSI. Via Montalcini, certo. Ha dichiarato: «Vorrei tornare sulla questione Braghetti. Nelle indagini sulla Braghetti, vi sono stati dei ritardi nel passaggio tra la denuncia della signora che abitava nel condominio e l'effettiva messa in moto delle indagini di polizia giudiziaria, che avviene addirittura dopo il 15 giugno. Vi sono poi state le cosiddette ferie della Braghetti, la quale si allontana e non può essere più pedinata. Le indagini furono riprese nel mese di settembre-ottobre, quando la donna tornò nella casa di via Montalcini, ma ormai tutti sapevano che la polizia la cercava, anche lei, perché aveva individuato la macchina della polizia».
  Praticamente, da giugno a settembre-ottobre, passano quattro mesi, nessuno arresta la Braghetti, che va via e addirittura vende la casa.

  ROSARIO PRIORE. È una delle grosse falle dell'inchiesta, delle indagini di polizia giudiziaria.
  Adesso, viviamo in un periodo di grande serenità, faccio per dire, ma all'epoca morivano tre o quattro persone a settimana. Dovevamo correre da una parte all'altra. Ricordo una settimana in cui furono uccisi tre magistrati nell'ambito di sette giorni. Non si riusciva a seguire tutto. C'erano poi attività affidate alla polizia giudiziaria, che aveva il compito di procedere.
  A me non risultava, per esempio, che la Braghetti fosse andata in ferie e che nessuno la seguisse più. Quella era un'indagine affidata alla polizia. Non voglio Pag. 24lavarmi le mani dalle responsabilità – ci mancherebbe – anche perché abbiamo sempre lavorato bene sia con i carabinieri sia con la DIGOS. Il problema è che certe volte capita...

  GERO GRASSI. Chiedo scusa, ma non mi riferivo alla magistratura. Guardi che la lacuna, nel caso di specie, non è della magistratura. L'ingegner Manfredi, del quale le parlavo prima, il giorno dalla partita Brasile-Italia ai Mondiali del 1978, avverte l'UCIGOS che nella casa di via Montalcini insieme con la Braghetti ci sono alcune persone sospette, ma non interviene nessuno. Il problema non è la magistratura.

  ROSARIO PRIORE. Sa qual è il problema ? Lei non immagina quanti avvisi di quel genere arrivassero alla polizia giudiziaria. La persona che vedeva da dietro i vetri della finestra un personaggio che non le aggradava, faceva subito una denuncia. Le denunce partivano a bizzeffe. Pensi che non si è sfondata la porta di quella casa da cui veniva il ticchettio di una sorta di sistema radio, dove viveva la Mokbel, cognome che è tornato adesso alla ribalta.
  In questi casi, la polizia non deve fermarsi dinanzi alla porta di una casa in cui non si risponde. Ci sono le asce. A un certo punto, le abbiamo adoprate quando abbiamo dovuto procedere contro determinate organizzazioni che si barricavano in casa. Ci sono stati degli ingressi di forza. Mai come in questo caso forse doveva seguirsi questa procedura. Purtroppo, le vie delle inchieste sono lastricate anche di intenzioni che non vengono realizzate.
  La Braghetti, però, poi cadde, perché era un personaggio molto addentro alle Brigate Rosse, partecipava in un modo molto intenso alle attività. Ha scontato una lunga pena. Non credo che, da quel punto di vista, si sarebbe potuto procedere molto più in là, ma stiamo facendo delle illazioni sulle possibilità.

  GERO GRASSI. Io rispetto la sua posizione, ma tenga presente che, mentre in via Monte Nevoso a Milano i carabinieri, dopo aver sparato sulla porta blindata – correndo anche un rischio perché i colpi sono rimbalzati – con una bomba hanno fatto saltare la porta, a via Gradoli, il 18 marzo 1978, dopo la segnalazione di Lucia Mokbel, il problema, come lei ha detto all'epoca, non era chi fosse dentro, ma chi stava fuori. Mentre, infatti, ha sostenuto in Commissione che bisognava sfondare la porta ed entrare, il Presidente Andreotti ha detto: «Non potevamo sfondare tutte le porte». E lei ha replicato: «Se avessimo sfondato la porta, sarebbe cambiata la storia d'Italia».
  Vorrei ricordare a lei e alla Commissione che chi bussava a quella porta non era uno qualsiasi, ma un vice commissario di polizia che aveva una tessera particolare e che qualche anno dopo diventò il vice di Grassini al SISDE. Non è che le porte, quindi, si aprissero e si chiudessero a seconda delle volontà. Il punto era chi stava fuori e chi stava dentro. Allora, io cerco di sapere da lei con quale superficialità sia stato fatto tutto questo. Questo è il senso della domanda.

  ROSARIO PRIORE. A me sembra che la ragione di tanta superficialità dipendesse dal fatto che non sapevamo quasi nulla di quest'organizzazione e mancavano totalmente persone inserite nelle Brigate Rosse. Non avevamo, infiltrati in quel periodo; cominciarono solo dopo un certo periodo di tempo.
  Noi troviamo l'olografo di Senzani, il quale ci parla anche degli infiltrati. Ci dice che la Russia – o meglio, l'URSS, la chiama Russia perché è legato alla dizione antica – aveva degli infiltrati nelle Brigate Rosse, ma non rivela chi fossero.
  Noi abbiamo fatto un conto al contrario. Quando c'erano scontri a fuoco, quelli che si salvavano probabilmente erano gli infiltrati. Ci sono stati tanti scontri a fuoco con persone che si sono salvate per miracolo, che correvano via e che non venivano raggiunte dai colpi.
  Queste sono effettivamente, lo ripeto, anche per me illazioni. Cerchiamo di attenerci a quello che avevamo al tempo, che Pag. 25era molto poco. Avevamo forze di polizia in numero ristrettissimo, forze di polizia che si prendevano le vacanze a luglio e che poi ritornavano al lavoro a settembre, o addirittura a ottobre, come ha detto lei... Anche questo però mi sembra strano. La polizia che seguiva la Braghetti ha «staccato» – per usare una brutta parola romana – e ha ripreso a ottobre ?

  GERO GRASSI. No, è la Braghetti che ha «staccato».

  PRESIDENTE. Il dottor Priore ritiene che la Braghetti sia stata seguita anche in vacanza e, quindi, chiede se lei ha una fonte che dimostra che la polizia non l'ha seguita.

  GERO GRASSI. La mia fonte è il dottor Priore, che ha dichiarato ciò alla Commissione. Io ho letto la sua dichiarazione alla Commissione terrorismo e stragi.

  ROSARIO PRIORE. Chi ne era il presidente ?

  GERO GRASSI. Nel 1999 era il senatore Pellegrino.

  PRESIDENTE. Riepilogando, lei, onorevole Grassi, ha posto una domanda. La spiegazione del dottor Priore è che ritiene che, allo stato degli atti, della situazione che c'era e della preparazione che avevano, molta di quella che può sembrare sciatteria e superficialità può essere dovuta semplicemente a elementi di impreparazione. Questa è l'opinione del dottor Priore. Anche se ripetiamo la domanda tredici volte, il dottor Priore non acquisisce un ulteriore elemento di chiarezza nei nostri confronti.

  GERO GRASSI. Scusi, presidente, solo per la storia ricordo al dottor Priore e a me stesso che è accertato con sentenza che durante il sequestro Sossi le Brigate Rosse erano infiltrate. Erano infiltrate – lo dice un collega del dottor Priore all'epoca – da un pescivendolo di Quarto Oggiaro, in provincia di Milano. Al giudice lo dicono Franceschini e Germano Maccari durante un interrogatorio. Poiché il sequestro Sossi è avvenuto prima di quello di Moro, le Brigate Rosse erano infiltrate prima di Moro.
  Questo soltanto per la storia.

  ROSARIO PRIORE. Bisognerebbe chiedere a Senzani. Lui sa chi erano gli infiltrati.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Carra. Adesso dovete essere sintetici, perché l'ora «volge al desio»: sono le 23.

  MARCO CARRA. Come ci ricorda sempre il presidente, non è possibile confutare le opinioni degli auditi, ma io penso che affermare che a quell'epoca tutto sia accaduto in nome del dilettantismo e dell'impreparazione sia fuorviante, come ha dimostrato poco fa, con una testimonianza diretta, l'onorevole Grassi. Certo, probabilmente c'erano anche dilettantismo e incapacità, ma c'erano anche altre questioni che hanno condizionato quella vicenda.
  Io ho tre domande. Una deriva da quanto ci ha detto il dottor Priore, nella sua tesi, ovviamente confortata da fatti e da un lavoro condotto, che ritroviamo – pari pari – nel libro che ha scritto insieme a De Prospo, Chi manovrava le Brigate Rosse, laddove si fa riferimento al terzo giocatore, ossia alla socialdemocrazia. Si tratta di un'affermazione suffragata anche da alcuni fatti, ma piuttosto impegnativa. Tuttavia, essa conferma una regia estranea, o esterna, rispetto all'Italia, in netta contrapposizione con la teoria morettiana per cui le Brigate Rosse e la vicenda Moro erano un fatto tutto italiano.
  Nelle parole del dottor Priore qui sono state richiamate due capitali, Parigi e Mosca. Io ne aggiungo altre due, che non ho sentito: Washington e Roma, perché il Viminale e il ruolo di Cossiga sono elementi che appureremo.
  Lei, a un certo punto, questa sera ci ha detto che l'ordine di uccidere Moro non viene da Moretti. Poco dopo, però, descrivendo quella trattativa piuttosto complicata Pag. 26che chiamava in causa i servizi segreti più disparati, ci ha riferito che a un certo punto sono Moretti e Gallinari che decidono di interrompere la trattativa e di ammazzare il presidente Moro.
  La mia domanda – senza un punto interrogativo – è: mi aiuti a capire. Se lei dice che l'ordine non viene impartito da Moretti, io colgo un elemento di contraddizione (probabilmente non ho compreso bene io) rispetto all'affermazione che secondo cui a un certo punto sono Moretti e Gallinari che decidono di ammazzare Moro.

  ROSARIO PRIORE. Sono gli esecutori, ma l'ordine viene da un pulpito diverso, da un'istanza diversa, da una sede diversa. Nessuno di noi crede più alle parole di Moretti, secondo cui il nostro terrorismo sarebbe un fenomeno da cortile. Hanno sempre tentato di dire che il nostro terrorismo fosse un fenomeno tutto nostro e in un certo senso, da cortile.
  A un certo punto, con l'operazione Moro, le Brigate Rosse assumono dimensioni tali per effetto delle quali le altre organizzazioni, quelle internazionali, con una sede internazionale, che si riunivano a Parigi, sentono il bisogno di ossequiare le Brigate Rosse, di invitarle a farsi avanti e a compiere un intervento pesante in tutto il terrorismo internazionale. C’è una considerazione diversa. Le nostre Brigate Rosse, con l'operazione Moro, assumono una dimensione completamente diversa.
  In un certo senso diversi potrebbero essere coloro che impartiscono gli ordini e le persone che li eseguono, ma dobbiamo metterci in testa che le Brigate Rosse sono cresciute con l'operazione Moro. Mentre prima quasi non le conosceva nessuno, dopo l'operazione Moro tutti hanno riconosciuto le loro capacità militari. Sostengono che hanno fatto qualcosa di grande. Le BR vengono ossequiate all'interno di quella sorta di forum internazionale in cui partecipavano gli arabi, i palestinesi, i molucchesi e tanti altri. Tutte le resistenze e le forze rivoluzionarie erano rappresentate in quel forum internazionale che sedeva a Parigi, in cui si discuteva anche se fosse il caso di far ribellare i corsi e avviare una rivoluzione in Corsica.
  Quando io portai queste carte al procuratore generale di Parigi, le prese e le chiuse, dicendo che si trattava di problemi politici. L'insurrezione della Corsica sarebbe stata risolta dal prefetto di Ajaccio, non dal giudice di Ajaccio. Ci sono concezioni completamente diverse. Noi pretendiamo di portare tutto dinanzi a un giudice, ma questa è una concezione tipicamente italiana. La decisione sull'insurrezione corsa fu presa dal ministro, il quale chiuse le carte e disse che non se ne parlava. Io osservai che quei soggetti stavano attentando all'unità e all'indipendenza della Francia, beni che i francesi ben sanno difendere. Mi disse che si trattava di problemi politici. Il Ministro della giustizia francese, me lo ricordo, scrisse sul fascicolo: «Visto: non si proceda».
  Non esiste lì l'azione penale obbligatoria. Altri Paesi non la conoscono, come non conoscono l'appello. L'appello non lo conosce quasi nessuno. Negli altri Paesi il giudizio lo emette la giuria. La giuria è un'espressione del popolo. Uno può andar davanti a un altro popolo e fare l'appello ? Che significa, nel diritto anglosassone, «fare l'appello» ? Si passa da un popolo e ci si rivolge a un altro ? La giuria rappresenta il popolo ! Da noi c’è un sistema che fa acqua da tutte le parti e a cui nessuno ha il coraggio di mettere mano. Il sistema nostro non funziona. Non si può appellare la sentenza di una giuria: è contro la ragione. Io ricevo dai giurati una decisione del popolo e poi mi appello a quale popolo ? C’è un secondo popolo che sta più in alto ? Sono questioni inconcepibili in altri Paesi, come è inconcepibile negli altri Paesi l'obbligatorietà dell'azione penale.

  MARCO CARRA. Come seconda domanda, dottor Priore, vorrei sapere quale collaborazione c’è stata tra la magistratura romana e quella toscana, facendo riferimento alle vicende che sono già state qui indicate, ossia a quello che è accaduto a Firenze durante il sequestro.Pag. 27
  La domanda, collegata a questa, è relativa all'attività degli uffici giudiziari romani nel periodo che va dal pentimento di Peci all'arresto di Moretti, durato circa un anno. Il pentimento di Peci è del 1980 e l'arresto di Moretti è del 1981.
  Posso porre subito l'ultima domanda, che si ricollega a quella che aveva già posto il collega Grassi. Mi piacerebbe sentire, se possibile, qualcosa di più sul ruolo di Senzani, anche durante la vicenda Moro. Vorrei avere l'opportunità di sapere che cosa ci può essere dietro i soggiorni all'estero di Senzani. Anch'io ho recuperato un po’ di materiale dagli atti della Commissione sul caso Moro. Ci sono anche appunti privi di date, senza riferimenti precisi, in cui si parla di presenza all'estero di Senzani. Pare, però, che durante il sequestro Moro Senzani fosse qui in Italia, al contrario di alcune voci che erano circolate, e che probabilmente sono state fatte circolare ad arte.
  Riepilogando, le chiedo della questione Senzani, del rapporto con la magistratura fiorentina e di quello che è accaduto tra il pentimento di Peci e l'arresto di Moretti.

  ROSARIO PRIORE. All'epoca addirittura non erano previsti incontri, come poi invece sarà previsto per legge. C'erano iniziative delle singole procure, dei singoli uffici. Noi abbiamo indetto per più anni riunioni quasi mensili, alle quali partecipavano tutte le magistrature delle più importanti città toccate dal fenomeno terroristico. Per Firenze c'era Vigna, che insegnava a tutti noi come dovessero essere condotte le indagini, perché era un uomo che aveva una grande esperienza. C'era Chelazzi, il quale però morirà nell'ambito di pochi mesi. Spesso i magistrati che fanno queste indagini muoiono prematuramente. Spesso capita, come è capitato a Roma. C'era poi anche un altro giudice toscano che era molto attivo; credo che fosse Tindari Baglione, ma i nomi non li ricordo con esattezza. Erano riunioni che si svolgevano alla Casa del mutilato, a Piazza Adriana, che aveva locali molto ampi. Ricordo che riuscivamo ad avere oltre 30-40 colleghi che sedevano attorno a grandi tavoli in quel palazzo e si discuteva delle novità per ogni sede.
  In una sede c'erano due pentiti, per esempio, i quali avevano detto determinate cose e sapevano molte cose anche su Roma e sulle Marche. Il collega delle Marche e il collega di Roma si avvicendavano, quindi, in questa sorta di reciproca resa di informazioni e passavano all'operativo. Andavano nelle loro sedi e continuavano. Ricordo, a proposito di un processo che si era addormentato nelle Marche, che riprese quota proprio grazie a quelle riunioni che venivano indette da noi in forma privata. Non c'era nulla che ci obbligasse a farle. I miei colleghi non avevano alcun obbligo di parteciparvi, ma tutti vi partecipavano perché sapevano di trarre dalla lettura insieme delle perizie, dei verbali testimoniali e dei verbali di interrogatorio utili notizie anche per le proprie inchieste. È andata bene anche con le tre grandi città che furono investite per prime dal fenomeno terroristico, quelle del triangolo industriale, ossia Torino, Milano e Genova, che ebbero modo di riversarci tutto il sapere acquisito nelle prime indagini. Apprendevamo notizie che per noi erano preziose proprio da Caselli e altri colleghi torinesi, che erano più avanti nelle esperienze e negli studi perché le loro città erano state colpite da tempo dalla lotta armata, e dai colleghi di Milano. Questo era un fatto prettamente privato, era un'iniziativa privata. Ci si vedeva ogni mese, in linea di massima, e ci si scambiava un'infinità di notizie. A quelle riunioni partecipavano anche, in una prima o in una seconda parte, gli esponenti delle polizie giudiziarie, ossia gli ufficiali dei Carabinieri, i funzionari della DIGOS e gli ufficiali della Guardia di finanza di quelle città. Erano riunioni che, secondo me, hanno ottenuto risultati molto utili. Rappresentavano l'unico modo di contatto tra uffici giudiziari e sono state alla base delle legislazioni che ne sono derivate.
  Non è vero che ci siano stati contrasti. Non ce ne sono stati mai. Possono essere sorti per un periodo brevissimo con Milano, quando ci fu la questione del memoriale Pag. 28di Moro, perché non si capiva bene chi lo avesse in forma integrale. Nelle materie di maggiore delicatezza, però, ricordo che intervenivano spesso i consiglieri istruttori, che erano all'epoca i capi degli uffici istruzione, i quali riuscivano anche a ottenere molto più di noi.
  Comunque, tutti noi siamo andati dappertutto. Abbiamo girato, non solo in Italia, ma anche all'estero. La pista dei Lupi Grigi nell'attentato al Papa è emersa proprio per un'attività compiuta in Svizzera dai Lupi grigi, di cui non si sapeva nulla. Anche su quella noi abbiamo acquisito molti atti, anche se molto negativi nei nostri confronti. Per esempio, la figlia del capo dei Lupi Grigi ha scritto un bellissimo libro sul padre, che morì in un incidente stradale a Istanbul mentre si trovava con il ministro dell'interno e il capo della polizia (il capo dei Lupi Grigi aveva queste frequentazioni) e con la sua amante, che era una bella ballerina turca. Morirono tutti e quattro perché arrivò un camion, che li uccise. La figlia ha scritto un bellissimo libro, in cui un capitolo è dedicato alla giustizia all'italiana.

  PRESIDENTE. Ci avrà riempito di contumelie.

  ROSARIO PRIORE. Anche i turchi si lamentano della nostra giustizia. È una cosa assurda. La nostra giustizia è scesa a livelli così bassi che perfino i turchi parlano di «giustizia all'italiana».

  FEDERICO FORNARO. Pongo domande molto veloci.
  Lei nell'audizione del 1999 fa cenno a una vicenda legata a un veggente olandese che avrebbe fornito delle indicazioni. Ovviamente, sappiamo che l'utilizzo dei veggenti, in realtà, nasconde spesso...

  ROSARIO PRIORE. Il passaggio di notizie che non si possono dire.

  FEDERICO FORNARO. Rispetto all'obiettivo che noi ci siamo posti in queste audizioni su possibili piste da approfondire o elementi su cui poter provare ancora a verificare se ci sono informazioni, rispetto a questo, vorrei sapere se ha qualcosa da aggiungere rispetto al 1999.

  ROSARIO PRIORE. Il veggente fiammingo, od olandese, disse cose molto interessanti. Descrisse palazzo Caetani in modo molto preciso, ma descrisse particolari che risultano anche a chi passa davanti al portone di palazzo Caetani: ci sono due leoni e c’è una fontana. Tuttavia, aggiunse un particolare che dall'esterno non si vede, ossia l'esistenza di un passo carraio che porta direttamente dai cortili di palazzo Caetani a via Caetani e quindi ci fornì un'indicazione piuttosto interessante.
  A questo proposito ho visto che si è già trattato di materia analoga nell'audizione del presidente Pellegrino. Noi avemmo l'occasione di andare all'interno di palazzo Caetani e di vedere come fosse fatto. In effetti, trovammo che coincideva tutto: i due leoni, la fontana, il passo carraio. Chiedemmo, però, se in quella casa, a somiglianza del palazzo Caetani Lovatelli, che è in fondo alla strada, ci fosse un appartamento segreto. In fondo a via Caetani c’è un palazzo che si chiama Caetani Lovatelli. Abbiamo visto tutti le fotografie di Tompkins, l'uomo dell'OSS venuto in Italia durante la seconda guerra mondiale per costituire una rete di spionaggio degli Stati Uniti. Costui viveva in un appartamento completamente nascosto a chi si trovasse nell'appartamento principale, perché aveva un ingresso camuffato. Dietro l'ingresso c'era un vero e proprio appartamento senza aperture verso l'esterno. Tompkins è stato per molto tempo, fino a quando Roma non è stata liberata, nascosto lì dentro e da lì organizzava già la rete del servizio americano.
  Nella casa in cui noi siamo stati l'ospitante ci disse che non c'era niente di simile. Noi chiedemmo di poter vedere se dietro il camino ci fosse qualcosa e trovammo un grande appartamento all'interno di palazzo Caetani, completamente nascosto, perché non aveva alcun affaccio all'esterno.Pag. 29
  Nessuno di noi crede che Moro sia stato tenuto a palazzo Caetani, perché nell'edificio il movimento di persone è tale che non si può facilmente credere che una persona sequestrata possa esservi nascosta. Tuttavia, palazzo Caetani è stato visitato dai nostri servizi mentre Moro era ancora vivo. Lì si è presentato il colonnello... Mi sfugge il nome.

  MIGUEL GOTOR. Fattorini.

  ROSARIO PRIORE. Fattorini era il capo del centro ed era un personaggio di grande rilievo. Il colonnello, però, era un altro.

  PRESIDENTE. Non è Giovannone, non è Cornacchia e non è Guglielmi.

  ROSARIO PRIORE. Non ci viene in mente.

  MIGUEL GOTOR. Mi sembra di ricordare che il responsabile fosse Fattorini.

  ROSARIO PRIORE. Fattorini è il capo centro.

  PRESIDENTE. Il dottor Priore ci dice che non è fisicamente colui che si è recato sul posto. Avrà mandato qualcuno, ma credo che il senatore Fornaro, se non ce lo ricordiamo, non si offenda.

  ROSARIO PRIORE. Adesso ci verrà in mente.
  Lì succedono cose un po’ strane. In questi appartamenti c’è sempre qualcuno che viene sequestrato o che deve scomparire. Io, però, non credo che Moro sia stato a palazzo Caetani.
  Adesso apparirà un altro libro di Fasanella che parlerà dell'oasi di Ninfa. Vedremo che cosa verrà fuori. Penso alla gramigna dell'oasi di Ninfa e a come viene fatta crescere in determinati punti, orientando la luce del sole. È interessantissimo, perché l'oasi di Ninfa è stata frequentata da tutti, da Moro ad Andreotti. Tutti i grandi della Repubblica sono stati ospiti dell'oasi di Ninfa, che è un giardino meraviglioso della famiglia Caetani.
  Ora ricordo: era il colonnello Cogliandro che andò a bussare a palazzo Caetani.

  PRESIDENTE. Il colonnello Cogliandro, però, non guardò l'appartamento nascosto dietro il camino, che hanno visto, invece, il dottor Priore e altri.

  FEDERICO FORNARO. Mi ricollego al colonnello Cogliandro per chiederle qualcosa di più sull'archivio Demetrio.

  ROSARIO PRIORE. Era l'archivio del colonnello Cogliandro, ma si riferisce a prima o dopo l'andata in pensione ?

  FEDERICO FORNARO. Dopo.

  ROSARIO PRIORE. Sì, quello lo sequestrai io. Il colonnello faceva ancora indagini di tipo privatistico e poi riferiva ai suoi vecchi capi. Questo gli è stato addebitato, ma, secondo me, non c'era niente di male. Non era l'archivio del KGB o quello della CIA. A quanto ricordo si trattava di ritagli dei giornali, di stampa nazionale.

  PRESIDENTE. Il senatore Fornaro vuole sapere, dottor Priore, se si ricorda se in questo archivio ci sia qualcosa che valga la pena per noi di andare a vedere o che sia di rilievo per la vicenda Moro, che lei rammenti.

  ROSARIO PRIORE. È interessante. Vi posso dire che sull'archivio Demetrio sono successe cose strane. Io ne avevo ordinato il sequestro. Gli esecutori del provvedimento di sequestro tagliavano i fogli e prendevano solo la parte che ritenevano fosse di interesse per me. Io dicevo che mi dovevano sequestrare tutto quello che c'era scritto sopra o sotto. Allora dovemmo riprendere tutti i frammenti e ricostruirli. Secondo me, però, non c'erano questioni di grande interesse.
  Cogliandro, ricordiamocelo sempre, è andato a bussare a palazzo Caetani mentre Moro era ancora vivo.

Pag. 30

  PRESIDENTE. Perché è andato a bussare lì ?

  ROSARIO PRIORE. Perché c'era qualcuno che lo indirizzava.

  GERO GRASSI. Perché Pecorelli scrisse un articolo.

  ROSARIO PRIORE. Scrisse del balcone della duchessa, perché Pecorelli sapeva moltissime cose che a noi sono sempre sfuggite o sono state nascoste. Pecorelli conosceva addirittura il balcone da cui si affacciava la duchessa Caetani, Topazia, che è stata l'ultima della famiglia. La famiglia si è estinta con lei. Ed è stata la moglie di Igor Markevitch.

  PRESIDENTE. Adesso, onde evitare di passare anche a questioni araldiche, andiamo alla terza domanda, se possibile.

  FEDERICO FORNARO. Lei, con grande sicurezza, in più di un'occasione, in particolare nell'audizione del 1999, alla domanda se, a suo giudizio, esistesse un canale di ritorno tra la prigione di Moro e la famiglia, rispose che c'era sicuramente. Credo che questo sia uno dei temi più importanti.

  ROSARIO PRIORE. Lo dissi secondo logica, non perché sapessi qualche cosa.

  PRESIDENTE. Mi interessa sapere se il canale di ritorno sia suffragato da qualche atto, da qualche prova, o solo da deduzioni logiche.

  ROSARIO PRIORE. Da deduzioni logiche, perché le lettere andavano e venivano, avevano delle risposte. Il problema è chi andava su e giù. Molti hanno pensato che fosse don Mennini con la Vespetta di Morucci. Dicevano tutti che i due andavano travisati, nel senso di incappucciati. A me vedere un prete incappucciato su una Vespa sembra un po’ una cosa strana. Anche don Mennini ha visto, quindi, con probabilità sapeva dove stava. Abbiamo tentato di interrogarlo più volte, ma ci è stato negato, perché aveva la qualità di diplomatico della Santa Sede.

  PRESIDENTE. Ha ancora la qualità di diplomatico. È nunzio in Inghilterra.

  MIGUEL GOTOR. Non so se ho capito bene, ma si può approfondire questo particolare su don Mennini che andava sulla Vespetta di Morucci. Ho sentito bene ? Lei è un ex magistrato.

  PRESIDENTE. Il dottor Priore ha riferito voci.

  ROSARIO PRIORE. Si è sempre detto che andassero giù a via Montalcini, ma a me sembra assurdo che don Mennini andasse sulla Vespa con Morucci.

  MIGUEL GOTOR. Con la vespa di Morucci o con Morucci ?

  ROSARIO PRIORE. Di Morucci. Portava Morucci, ma sono voci.

  PRESIDENTE. La vulgata è che su questa Vespa andavano in due: uno guidava e uno andava incappucciato.

  MIGUEL GOTOR. Io ho una qualche conoscenza delle vulgate. Qui ne stanno uscendo molte. Volevo sapere da lei dove ha acquisito questa vulgata, se lo ricorda, altrimenti mi dice che non se lo ricorda.

  ROSARIO PRIORE. Io ho trovato un'infinità di comunicazioni sul telefono di Santa Lucia. Mi riferisco alle «pizze», molte delle quali...

  PRESIDENTE. Si tratta della parrocchia in cui stava don Mennini.

  ROSARIO PRIORE. Abbiamo dei nastri di intercettazione del telefono di quella parrocchia che sono stati fatti girare a vuoto, ragion per cui non c’è registrato più niente. In altri, invece, appaiono le voci e ci sono discussioni strane. Si sente la voce di don Mennini che chiacchiera con un Pag. 31suo superiore e che si lascia andare a considerazioni piuttosto interessanti. Viene richiamato, infatti, dal maresciallo, il quale chiede ai due prelati: «Come vi permettete di parlare di queste cose per telefono ? La volete smettere ?» Il maresciallo si fa tutore del segreto ecclesiastico e chiede come si permettano di parlare di certe cose per telefono. Era l'unico che avesse un certo senso del segreto. Ci sono diverse «pizze» strane. Io le ho fatte sbobinare tutte.

  PRESIDENTE. Vedremo se le ritroveremo. Noi acquisiremo quelle che sono tra i reperti e ascolteremo quelle che il dottor Priore ha fatto sbobinare.

  FEDERICO FORNARO. Passo all'ultima domanda, che torna di nuovo su un tema e su una città su cui ci siamo soffermati in diverse audizioni, ossia Firenze.
  Lei, nell'audizione del 1999, mette in collegamento la presenza di Senzani a Firenze già durante il sequestro del 1978 con una base «coperta» del SISMI, che verrà poi scoperta nel 1996, in via Sant'Agostino.
  Ricordo a me e ai colleghi che Senzani non riceverà mai neanche una comunicazione giudiziaria sul sequestro Moro. Questa sua presenza a più riprese, già nel 1978, è un elemento, però, sicuramente da approfondire.
  Il collegamento della vicinanza anche fisica tra il luogo di abitazione di Senzani e la base del SISMI è semplicemente una coincidenza, oppure, a suo giudizio, c’è un legame ?

  ROSARIO PRIORE. Mi aiuti nel ricordo. Lei a quale base del SISMI fa riferimento ?

  FEDERICO FORNARO. A via Sant'Agostino a Firenze.

  ROSARIO PRIORE. Invece Senzani dove abitava ?

  FEDERICO FORNARO. A Ognissanti.

  ROSARIO PRIORE. Io non ci ho visto delle coincidenze. Senzani aveva moltissime amicizie nei servizi, come abbiamo visto. Conosceva addirittura quell'uomo che sapeva tutto sulla strage di Bologna e che era uno dei vice capi dei servizi. Questo è sorprendente.
  Quella base del SISMI era una base di ascolto. C'erano armi, ovviamente, ma noi abbiamo trovato depositi di armi anche altrove. Mi ricordo di uno dei collaboratori delle precedenti Commissioni, il generale che predispose l'incontro tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista sui servizi, incontro da cui nacque la legge sui servizi nel 1977 e che organizzò in via degli Avignonesi – questo bisogna ricordarlo, c’è scritto dappertutto – in una casa predisposta dal Servizio. Adesso quel generale è morto, siamo stati ai funerali. Era un collaboratore prezioso delle Commissioni perché sapeva un'infinità di cose. Nella sua abitazione, in un vano nascosto, abbiamo trovato tante di quelle armi che è stato impressionante. In Italia ciascuno si porta le armi a casa e le nasconde nel retrobottega.
  La situazione italiana è molto strana. Quelle armi sicuramente risalivano alla Resistenza, come le armi del SISMI risalivano probabilmente a operazioni di contrasto o di difesa. A Firenze c’è stata una guerra civile che non esiterei a definire ad alta intensità.
  Ricordiamoci che noi, girando per inchieste varie, troviamo tante armi. Penso alle armi dei mediorientali che troviamo a Villa Glori, a Forte Antenne. Troviamo, come ho detto, anche le armi dei vecchi servizi.

  FEDERICO FORNARO. Faccio solo un'ultima battuta, una curiosità che rivolgo all'ex magistrato. A questo punto, visto che la presenza di Senzani nel 1978 è venuta fuori non negli ultimi anni, ma da più tempo, perché non è mai stato perseguito per il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro ?

  ROSARIO PRIORE. Questo bisogna chiederlo alle Procure del tempo. Io non Pag. 32c'ero più. Quali prove abbiamo che lui fosse nella banda ?

  PRESIDENTE. Il senatore Fornaro, per fornirle il quadro, glielo chiede perché stasera sono emerse dalla sua lunga audizione un'altra serie di vicende già uscite fuori, le quali riportano tutte a una pista – noi adesso manderemo il colonnello Occhipinti a fare una missione a Firenze per ricostruirla – legata all'importanza di Senzani, nonché alla colonna fiorentina e toscana delle BR nelle vicende inerenti Aldo Moro.
  Non c’è soltanto questo. C’è anche una serie di altri personaggi che ci porteranno alla scoperta di via Monte Nevoso e che passano e si incrociano comunque per Firenze.
  L'aspetto singolare è che i magistrati di Firenze hanno svolto tante indagini su quella colonna romana. Il problema è che ciò che ha fatto la Procura di Firenze non si è mai confrontato, né sovrapposto in alcun modo con le indagini svolte su Moro dalla Procura di Roma. La domanda del senatore Fornaro era relativa a questo.
  Il dottor Priore dice che le procure non hanno dialogato e che, quindi, a nessuno è venuto in mente di fare quel collegamento.

  CLAUDIO COMINARDI. Dottor Priore, prima, nella sua relazione, lei ha fatto cenno alla figura di Henry Kissinger, allora Segretario di Stato americano. Guerzoni, che fu collaboratore di Aldo Moro, fece alcune dichiarazioni, in una testimonianza giurata, nelle quali diceva che erano state rivolte delle minacce nei confronti di Aldo Moro da parte di Kissinger. Cito testualmente: «O tu cessi la tua linea politica, oppure pagherai a caro prezzo per questo». La stessa moglie di Aldo Moro, Eleonora Chiavarelli, in qualche modo – se posso dirlo – avallò poi questa teoria, perché dichiarò che effettivamente delle pressioni dall'allora Segretario di Stato ci furono.
  Vorrei sapere se lei ha degli elementi in capo alla responsabilità di Henry Kissinger e se ha qualcosa da raccontarci in merito.

  ROSARIO PRIORE. Responsabilità di tipo politico non ne conosco. Responsabilità di tipo giuridico non si possono assolutamente affermare. C’è stata anche questa storia, che spesso torna alla luce. In primo luogo, io e Imposimato, a un certo punto, sapendo che Kissinger era in Italia, decidemmo di interrogarlo. Tra una cosa e l'altra, tra la citazione che parte oggi e la convocazione per domani, però, Kissinger dovette ritornare in America e, quindi, non ci fu possibile (non ne conosciamo le ragioni) sentirlo.
  Kissinger era il Segretario di Stato, all'epoca, di un Paese egemone dell'Alleanza. In un certo senso non dico che si arrogasse dei poteri straordinari, ma quasi. Questo è naturale, perché tra gli Stati valgono i rapporti di potere. Ne abbiamo un esempio oggi. Noi non riusciamo più nemmeno a rispondere all'India, perché l'India, mentre sono successi i fatti relativi ai due militari italiani, si è munita di altre quattro o cinque portaerei. È un Paese in piena espansione, che ha una grande dotazione di armi. Noi crediamo che sia sempre l'India dei racconti di Kipling, ma è diventata una potenza. Ha l'arma atomica, ha diverse portaerei nell'Oceano Indiano e non vuole che nessuno entri in quei mari. Una volta io tentai di portare degli aiuti in occasione di un terremoto o di un maremoto, ma mi dissero che nell'Oceano Indiano non doveva entrare nessuno. L'India è diventata una potenza, ha un potere di fatto. Nei rapporti tra gli Stati valgono le regole del potere.
  Possiamo ritenere che la potenza egemone dell'Occidente, impersonata in questo caso da Kissinger, non possa permettersi di dare dei consigli a un Presidente del Consiglio dei ministri di un piccolo Paese come l'Italia ?
  La differenza è che i consigli che venivano forniti ai Paesi del Patto di Varsavia consistevano nell'invio immediato di colonne corazzate. Questi di Kissinger erano dei piccoli richiami, quasi dei buffetti. Compariamo quello che succedeva a noi con quello che succedeva a un Paese come la Cecoslovacchia. Le colonne di mezzi corazzati avrebbero invaso Praga o Budapest. La reazione nel Patto di Varsavia era completamente Pag. 33diversa. È questa la ragione per cui Berlinguer diceva di preferire vivere qui, che si sentiva più protetto qui, al di là del muro. È la stessa ragione per cui Togliatti di ritorno dall'Est diceva a Nilde Iotti: «Ringraziamo Iddio – dimostrando anche una certa antica educazione religiosa – che siamo di nuovo in Occidente».
  Non possiamo comparare due realtà così diverse. Ci meravigliamo che il Segretario di Stato della guida dell'Alleanza possa dare a un altro dei consigli, ossia avere dei poteri maggiori di un piccolo Paese ? Questa è la regola delle alleanze. Io faccio sempre l'esempio di Atene, che metteva in mare quattrocento quadriremi, e dell'isola di Delo, che metteva una o due biremi. Possibile che l'isola di Delo potesse contare quanto Atene ? La volontà di Atene era sicuramente più pesante, come la volontà di Roma era più pesante di quella di un piccolo paese del Lazio che forniva pochi fanti e ancor meno cavalieri, quando Roma metteva a disposizione diverse legioni, a partire dal foedus Cassianum in poi.

  CLAUDIO COMINARDI. Henry Kissinger è riconosciuto da molti come un criminale di tipo internazionale. Difatti, in un paio di occasioni ha dovuto anche scappare da alcuni Paesi. Un esempio fu anche l'Irlanda.

  PRESIDENTE. Lasciamo da parte le opinioni personali.

  CLAUDIO COMINARDI. Più che consigli, quelli di Kissinger mi sembravano minacce, giusto per mettere i puntini sulle i.

  PRESIDENTE. Per concludere, io avevo preparato alcune domande, ma non la voglio stancare. Ce n’è una, però, che è di un qualche interesse, perché riguarda, sempre in maniera indiretta, la vicenda fiorentina.
  Queste sono fotocopie di sue carte. Il 14 aprile 1979 viene presentata alla Legione Carabinieri di Roma, alla centrale operativa, la denuncia da parte di un cittadino americano, ospite di una famiglia di americani, di aver rinvenuto all'interno di un taxi un borsello contenente una pistola Beretta calibro 9, un caricatore vuoto, nonché una testina rotante per la macchina da scrivere IBM, che poi credo fosse stata riscoperta come di proprietà del brigatista Bonisoli, il quale verrà visto anche sotto il covo di Firenze.
  Mi ha colpito una serie di carteggi che la riguardano. Lei scrive, in data 16 marzo 1984, in relazione al fascicolo relativo al borsello: «A seguito di richiesta verbale, trasmetto in visione il fascicolo processuale n. 7611/83 B, relativo al rinvenimento di un borsello contenente una pistola, documenti vari delle BR con progetti di attentati ad opera di Gilberto, Michael, Anthony più due». Questo lei lo manda alla cortese attenzione del giudice Monastero.
  Arriva a lei, invece, una lettera del 4 aprile 1984 – il fascicolo era assegnato a lei – in cui si dice: «In riferimento alla nota del 16 marzo 1984, comunico che il procedimento 7611/83 B è stato delegato allo scrivente». Questo lo scrive a lei il dottor Ernesto Cudillo, che poi, successivamente, nell'aprile del 1984, lo assegna a se stesso e, quindi, a Monastero.
  Come si spiega questo intervento di Cudillo con un'indagine che aveva lei e perché questa insistenza ?

  ROSARIO PRIORE. Cudillo era il consigliere istruttore. Noi dovevamo rimettere a lui, nel caso di aderire a una richiesta di passaggio.... Io non potevo trasferire direttamente al collega.

  PRESIDENTE. La domanda è perché chiedono di trasferire proprio questo procedimento.

  ROSARIO PRIORE. Perché Monastero si era dimostrato ben intenzionato a sviluppare tutte le carte che stavano lì. Monastero è un ottimo giudice, che ha contributo moltissimo a risolvere i misteri del borsello. Io in quel periodo ero pieno di lavoro su altri fronti, quindi ne fui ben lieto. L'indagine sul borsello, devo dire la verità, languiva, perché non avevo il tempo di dedicarmici. Avevo visto tutto quello che c'era dentro, notai che c'era da fare Pag. 34una quantità di lavoro e allora passai il fascicolo al consigliere Cudillo, che era il capo dell'ufficio, perché lo assegnasse a un altro giudice. Non c’è niente di strano o di misterioso.

  PRESIDENTE. Era una delle poche volte che si poteva stabilire un legame tra il sequestro Moro e Firenze, ma il fascicolo cambia di mano.

  ROSARIO PRIORE. I borselli sono un sistema per dare notizie all'esterno.

  PRESIDENTE. Passo alle ultime due domande rapidissime.
  La vicenda relativa alla scomparsa del rullino fotografico di via Fani avrebbe meritato un maggiore approfondimento rispetto alle motivazioni addotte nell'ordinanza che lei emette il 18 agosto 1990. Ha presente il rullino di via Fani, quello del signore dal balcone ? Lei dice che è inutile fare altre indagini, perché il rullino è stato smarrito e non se ne viene a capo.

  ROSARIO PRIORE. Purtroppo, a mio parere, in quel periodo non c'erano possibilità di fare ulteriori indagini.

  PRESIDENTE. Io chiedevo se lei avesse, nel chiuderle in questo modo, oltre che registrato l'impossibilità di fare ulteriori indagini, avuto anche il sospetto che ci fosse stato qualcosa...

  ROSARIO PRIORE. No. Il borsello è rimasto nella mia stanza per tanto tempo.

  PRESIDENTE. Non mi riferisco al borsello. Sto parlando del rullino.

  ROSARIO PRIORE. Io il rullino non l'ho mai visto.

  PRESIDENTE. Lei non l'ha mai trovato e non si è mai riusciti a rintracciarlo.

  ROSARIO PRIORE. Non l'ho mai cercato perché non ci era mai stato trasmesso il relativo carteggio.

  PRESIDENTE. Anzi, non l'ha mai neanche cercato.

  ROSARIO PRIORE. No, anche perché faceva parte di una serie di carte che, ovviamente, non ci erano state trasmesse. Nella carte della Procura non c'era il rullino.

  PRESIDENTE. Ho un'altra questione, anche questa tratta dalla lettura delle sue carte, sul famoso blackout telefonico di via Fani. Emerge che il blackout di via Fani sarebbe stato causato da un superficiale intervento di un tecnico che poteva aver tagliato i collegamenti telefonici della zona di via Fani. Soltanto più tardi si saprà dal brigatista Savasta che, in realtà, c'era una cellula di BR all'interno della SIP che forse poteva aver operato. Ho guardato tra le varie carte e ho visto che anche questo filone di indagine non è stato mai sviluppato.

  ROSARIO PRIORE. No, anche perché la cellula della SIP non venne fuori mai.

  PRESIDENTE. Lo dichiarò Savasta, ma nessuno seppe fornire notizie.

  ROSARIO PRIORE. Nessuno disse chi fossero i membri della cellula SIP. Pertanto, era impossibile farlo.

  PRESIDENTE. Bene. Se non c’è altro, noi ringraziamo il dottor Priore per la cortesia e concludiamo qui le audizioni. Auguri di buone feste.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 23.45.