Sulla pubblicità dei lavori:
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DECRETO-LEGGE N.35 DEL 2013 RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER IL PAGAMENTO DEI DEBITI SCADUTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, PER IL RIEQUILIBRIO FINANZIARIO DEGLI ENTI TERRITORIALI, NONCHÉ IN MATERIA DI VERSAMENTO DI TRIBUTI DEGLI ENTI LOCALI
Audizione di rappresentanti di CONFAPI.
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 3
Casasco Maurizio , Presidente confederale di CONFAPI ... 3
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 7
Causi Marco (PD) ... 7
Bernardo Maurizio (PdL) ... 8
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 8
Grillo Giulia (M5S) ... 8
Castelli Laura (M5S) ... 8
Sorial Girgis Giorgio (M5S) ... 9
Lanzillotta Linda ... 9
Di Salvo Titti (SEL) ... 10
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 10
Romani Paolo ... 10
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 11
Casasco Maurizio , Presidente confederale di CONFAPI ... 11
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 13
Marazziti Mario (SCPI) ... 13
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 14
Barbanti Sebastiano (M5S) ... 14
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 14
Audizione di rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI:
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 14
Saitta Antonio , Presidente dell'UPI e presidente della provincia di Torino ... 14
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 18
Delrio Graziano , Presidente dell'ANCI e sindaco di Reggio Emilia ... 19
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 22
Rughetti Angelo (PD) ... 22
Sangalli Gian Carlo ... 23
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 24
Molinari Francesco ... 24
Pesco Daniele (M5S) ... 24
Cariello Francesco (M5S) ... 25
Ruocco Carla (M5S) ... 25
Zanetti Enrico (SCPI) ... 25
Marazziti Mario (SCPI) ... 25
Marcon Giulio (SEL) ... 26
Tabacci Bruno (Misto-CD) ... 27
Pesco Daniele (M5S) ... 27
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 27
Legnini Giovanni (PD) ... 27
Bernardo Maurizio (PdL) ... 28
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 28
Saitta Antonio , Presidente dell'UPI e presidente della provincia di Torino ... 28
Delrio Graziano , Presidente dell'ANCI e sindaco di Reggio Emilia ... 31
Saitta Antonio , Presidente dell'UPI e presidente della provincia di Torino ... 32
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 32
Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome:
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 33
Caldoro Stefano , Presidente della Regione Campania ... 33
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 35
Molinari Francesco ... 35
Barbanti Sebastiano (M5S) ... 35
Pisano Girolamo (M5S) ... 35
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 35
Garavaglia Massimo , Assessore all'economia della Regione Lombardia ... 35
Polverini Renata (PdL) ... 36
Cancelleri Azzurra Pia Maria (M5S) ... 37
Causi Marco (PD) ... 37
Di Salvo Titti (SEL) ... 39
Uras Luciano ... 39
Legnini Giovanni (PD) ... 39
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 40
Caldoro Stefano , Presidente della Regione Campania ... 40
Garavaglia Massimo , Assessore all'economia della Regione Lombardia ... 41
Caldoro Stefano , Presidente della Regione Campania ... 42
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 43
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI PIER PAOLO BARETTA
La seduta comincia alle 11,05.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti di CONFAPI.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del decreto-legge n. 35 del 2013 recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della Pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, l'audizione di rappresentanti di CONFAPI.
Inizia oggi il ciclo delle audizioni previste nell'ambito di una breve indagine conoscitiva di carattere istruttorio, deliberata dalle Commissioni speciali costituite presso la Camera e il Senato, relativa al decreto-legge n. 35 del 2013.
Come concordato nei rispettivi Uffici di presidenza integrati dai rappresentanti dei Gruppi delle Commissioni speciali, le rispettive presidenze hanno provveduto ad articolare i tempi delle audizioni nei termini che sono stati riferiti pochi minuti fa all'Ufficio di presidenza. Qualora qualcuno lo richiedesse, sono pronto a ripetere i tempi, ma comunque verrà distribuito adesso il testo e, quindi, potrete regolarvi. Ovviamente, chiediamo la collaborazione di tutti per rispettare il contingentamento previsto.
La prima delle audizioni previste per la giornata di oggi e per l'intero ciclo è l'audizione dei rappresentanti di CONFAPI, nelle persone del presidente confederale Maurizio Casasco e del direttore generale Eugenio Sergio Feroldi.
Do immediatamente la parola al presidente confederale, chiedendogli di tenersi, se possibile, in un arco di tempo che non superi i venti minuti. La ringrazio.
MAURIZIO CASASCO, Presidente confederale di CONFAPI. Buongiorno a tutti, onorevoli senatori e deputati. Ringrazio a nome di CONFAPI per questa audizione. Non è mio costume, da bresciano pragmatico, introdurre una polemica, ma osservo che sarebbe stato opportuno convocare CONFAPI prima dell'emanazione del decreto-legge. Tuttavia, «piuttosto che niente è meglio piuttosto», diceva Totò.
CONFAPI rappresenta, in base alla certificazione di marzo del direttore generale dell'INPS, 100 mila aziende e oltre un milione di lavoratori. Chiediamo sostanzialmente il diritto di poter sopravvivere in questo Paese come industriali e come piccoli industriali. Esistiamo dal 1947, con otto contratti di lavoro stipulati con le tre sigle sindacali, e chiediamo il rispetto non solo di poter portare alcune idee, ma anche di poter sopravvivere nel tessuto economico vero del nostro Paese.
Sentiamo parlare dal lunedì al venerdì di piccola e media impresa, ma poi, di Pag. 4fatto, la piccola e media impresa non viene considerata o, quanto meno, viene considerata una verticale, magari di Confindustria o di altre categorie. La piccola e media impresa italiana rappresenta, invece, il 95 per cento dei lavoratori e l'industria media e piccola è rappresentata da CONFAPI nella sua produttività, ma anche nella sua drammaticità di oggi.
Quando vedo titoli di giornale come «Facciamo presto», «Perdiamo tempo», trovo queste affermazioni quanto meno banali. Credo, infatti, che il tempo sia già scaduto. Noi denunciamo tutto ciò, ma purtroppo non siamo ascoltati. Non siamo ascoltati perché spesso siamo fornitori e subfornitori di grandi aziende, oltre che della Pubblica amministrazione.
Quello che oggi si deve dichiarare è che spesso si fallisce per credito. Una volta si falliva per debito mentre oggi i piccoli e i medi industriali falliscono per credito. In altre parole, il debitore e il creditore non sono messi sullo stesso piano.
Quando una piccola o media azienda deve ricevere soldi dallo Stato o dalla grande azienda di cui è fornitrice o subfornitrice, che riceve con più facilità accesso al credito dall'istituto finanziario e bancario, operazione difficile invece per la piccola e media impresa, è evidente che il ritardo del pagamento alla grande impresa da parte della Pubblica amministrazione o il ritardo del pagamento da parte della grande industria privata alla piccola e media impresa mette quest'ultima in grande difficoltà di circolante.
Pertanto, oggi le piccole e medie imprese italiane, che sono il tessuto connettivo, falliscono, signori, per credito. Questo è il dramma di cui non ci si rende conto in tutte le parti del Paese.
Per quanto riguarda il discorso del debito e del credito da parte della Pubblica amministrazione, ritengo innanzitutto di dover svolgere una premessa. Da quando ero piccolo e in base a quanto mi ha insegnato mio padre, ma anche questo Paese, ho sempre creduto che un debito sia un debito d'onore. Il debito è un debito d'onore.
Oggi stiamo disquisendo sulle possibilità di restituire il debito da parte dello Stato a un'impresa o a un cittadino, ma il debito, che venga da un privato o dallo Stato, è un debito d'onore. Non stiamo facendo assolutamente un intervento straordinario, stiamo facendo onestamente ciò che un cittadino, e a maggior ragione lo Stato, deve fare.
Lo Stato deve pagare, o avrebbe dovuto programmare di pagare, questo debito. Non mi riferisco ai 40 miliardi di euro, sui quali poi farò un discernimento specifico, perché credo che il debito debba essere pagato per intero.
CONFAPI, quindi, richiede sostanzialmente 80 miliardi di euro. Forse sono 91 miliardi o anche di più, perché non abbiamo oggi la certezza dell'ammontare del debito, ma chiediamo almeno 80 miliardi di euro, e non 40 miliardi, per le piccole e medie imprese.
Bisogna avere più coraggio: non possiamo sempre abbassare l'asticella dai 91 miliardi di euro ai 40 miliardi, dai 40 miliardi di euro ai 7 miliardi. Non sappiamo quando arriveranno gli altri 33 miliardi di euro, anche perché mi sembra che circa 7 miliardi siano di IVA.
CONFAPI reclama con forza che il pagamento, come atto d'onore, venga effettuato dallo Stato, così come lo Stato lo richiede ai cittadini quando debbono pagare le tasse. Il principio nella nostra Costituzione e nel nostro Stato democratico è che il debito è un debito d'onore.
Pertanto, noi stiamo discutendo di come fare a erogare ciò che dovremo pagare per onore. Ritengo che questa sia una questione importante, un primo passo importante. L'ho dichiarato sabato scorso sul Corriere della Sera e al TG 5: si tratta di un primo passo importante, ma non sappiamo oggi chi, quanto e quando si potrà riscuotere.
Credo che, quando si approva una legge, essa debba essere chiara. La legge non deve essere scritta come ai tempi di don Abbondio e dell'Azzeccagarbugli, al punto che anche il tecnicismo diventa una complicazione nell'interpretarla. E non si tratta di una complicazione solo per l'industria Pag. 5o per le piccole e medie imprese, che avrebbero bisogno magari di un tecnico o di un commercialista, perché neanche il commercialista la capisce.
Oggi stiamo disquisendo su tutti i giornali, a partire da Il Sole 24 Ore, in tutte le confederazioni grandi e piccole, per interpretare e capire come questo decreto-legge possa essere attuato e, soprattutto in che tempi. Traducendo, lo dico proprio alla bresciana, non si capisce in quale momento le piccole e medie imprese possano incassare ciò che è loro dovuto, perché non lo sappiamo e non sappiamo neanche come si fa.
Quindi, la chiarezza legislativa, al di là delle problematiche dei deficit e dei Patti di stabilità, è necessaria; credo sia necessario sapere quando questo denaro verrà pagato, in che tempi e chi lo potrà riscuotere. Oggi non lo sappiamo.
Ricapitolando, chiediamo, in primo luogo, 80 miliardi di euro e, in secondo luogo, immediatezza e chiarezza legislativa, che sono fondamentali.
Come terzo punto, credo sia fondamentale anche stabilire una flessibilità per i comuni, i quali sono a loro volta in difficoltà nell'interpretare la legge. Credo, infatti, che anche il Patto di stabilità debba essere una questione estremamente considerata.
Siamo troppo rigidi, siamo diventati troppo tedeschi. Siamo diventati tedeschi quando è necessaria, invece, una flessibilità interpretativa, come il Commissario Rehn e il Commissario Tajani hanno stabilito ed espresso in una circolare, in cui è specificato che, al momento, il debito precedente al 31 dicembre 2012 non rientra nel Patto di stabilità e che solo il deficit deve essere considerato dovendosi stabilizzare nella misura del 3 per cento del PIL.
Credo che la sovranità italiana debba essere affermata con grande forza anche a livello europeo. Possiamo fare questo solo se abbiamo un Governo, un Governo forte, un Governo unito. Quindi, il mio invito forte a tutte le forze politiche è di costituire per l'Italia una forza che ci consenta di andare in Europa e di non soggiacere ad alcuni diktat forse un po’ teutonici, in cui questa flessibilità non viene considerata per quanto riguarda l'Italia, mentre l'Italia è stata flessibile con la Germania nel momento della stabilità dell'unione delle due Germanie.
Credo che un Governo sia necessario per poter imporre una condizione che oggi è fondamentale per il nostro Paese. L'Europa si deve rendere conto che non può rimanere legata a parametri di tipo matematico e che la stabilità non può essere imposta solo da una nazione, indubbiamente forte, come la Germania, perché, se l'Italia va in criticità, va in criticità non solo un organo del corpo, ma anche tutto il corpo. Anche la flessibilità e la snellezza procedurale diventano, dunque, un fatto fondamentale.
Il quarto punto è indubbiamente l'ampliamento del rapporto tra debito e credito nella Pubblica amministrazione. Esiste in uno Stato democratico l'obbligo che il rapporto tra Stato e impresa sia equiparato. Si tratta di un problema non solamente di giustizia, ma anche di democrazia. È impossibile che lo Stato metta le ganasce a chi non può pagare per obbligo, perché non ne ha la possibilità, mentre di fatto l'impresa non può mettere le ganasce allo Stato.
Io credo – è un'espressione un po’ forte – che il patto di equilibrio tra Paese e Stato deve essere riportato in termini di equità, di politica, di giustizia e di democrazia ad una situazione di parità; quanto meno le sanzioni tra Stato e impresa devono essere equiparate.
Chiediamo, quindi, un ampliamento delle compensazioni e sostanzialmente di poter scontare i crediti, in particolar modo per le piccole e medie imprese, non perché le rappresento, ma perché ne hanno, signori, la necessità. Voi avete, come me, la fortuna oggi di essere qui, ma in questo momento ci sono i piccoli e i medi imprenditori, quelli che hanno dai 10 ai 15 dipendenti, che si stanno sporcando le mani tutti i giorni e che non hanno la possibilità di portare avanti non la loro famiglia, ma la loro impresa, che è importante al pari della loro famiglia.Pag. 6
Se non abbiamo questa attenzione, non ne usciremo. Occorre lasciare Roma e andare a vedere i territori in cui i piccoli imprenditori lavorano per rendersi conto di cosa fanno. Nessuno licenzia il proprio dipendente nella piccola e media impresa, se non è costretto. Impegna la propria famiglia, la propria casa, il proprio capannone, la propria azienda, ma non c’è un piccolo o medio imprenditore che metta in cassa integrazione o cacci via qualcuno che fa parte della sua famiglia.
Spesso, infatti, nella piccola e media impresa il lavoratore e l'imprenditore sono la stessa famiglia, sono un bene comune che nasce da una cultura italiana di tanti anni che noi stiamo dissolvendo. Non sarà facile ricostituire quel tessuto, se lo perdiamo.
La piccola e media impresa non ha finanziamento dal sistema del credito e non ha aiuto da parte dello Stato. Noi e voi stiamo lasciando sola la piccola e media impresa. Confindustria ha un grande appoggio e anche grandi necessità, ma le piccole e medie imprese come le nostre, come gli agricoltori e gli artigiani, non hanno aiuti. Sul territorio il direttore di banca inserisce i dati in un computer e, di fatto, non concede loro credito.
CONFAPI – ho il piacere intanto di annunciarlo – sta costituendo per la prossima settimana un grande portale con una grande società italiana che va a scontare il credito della Pubblica amministrazione tramite la cessione pro soluto e pro solvendo, per sommare, attraverso questo portale, i crediti di tutti i piccoli imprenditori nei riguardi della Pubblica amministrazione. L'obiettivo è di poter realizzare un'azione comune nei riguardi dei diversi enti come massa più importante.
Vi è, infatti, il problema che la nostra realtà italiana è diversa da quella europea. La piccola e media impresa italiana è diversa da quella tedesca. Io ho un grande rapporto col presidente tedesco delle medie imprese, ma le medie imprese tedesche hanno 300-400 dipendenti. Le piccole aziende italiane hanno sostanzialmente 10, 12, 15 dipendenti, ma sono comunque industrie. Non stanno delocalizzando, anzi stanno difendendo il lavoro.
Il pagamento della Pubblica amministrazione è fondamentale, ma lo è nella sua complessità. Non possiamo fermarci a discutere sui ruoli o sulle possibilità aritmetiche di un Governo e sulle procedure che, dal punto di vista tecnico, non vengono risolte o capite.
Pertanto, credo sia fondamentale non solo pagare il credito della Pubblica amministrazione, ma anche dotare l'Italia di una politica industriale, che oggi manca. Noi non sappiamo da che parte andare. Il pagamento della Pubblica amministrazione è un fatto fondamentale e doveroso, ma è altrettanto doveroso pensare alla crescita e a un progetto industriale. La crescita viene con la semplificazione e il sostegno all'industria manifatturiera, in particolar modo alla piccola e media, e il lavoro si ottiene attraverso questo sostegno.
CONFAPI e tutte le parti sociali – CGIL, CISL e UIL – sono compatte nel pensare al lavoro come a un bene comune, ma ritengo che il Governo debba pensare fondamentalmente alla crescita attraverso un piano industriale a medio e a lungo termine.
Ben vengano, quindi, i pagamenti della Pubblica amministrazione: semplifichiamoli e amplifichiamo le compensazioni. Sappiamo anche di doverci impegnare tutti, doverosamente, in una responsabilità nei riguardi dei nostri figli e del nostro futuro, perché abbiamo la responsabilità di far sopravvivere un tessuto connettivo che oggi è rimasto solo. Abbiamo la necessità di assumerci tutti questa responsabilità.
Occorre l'ampliamento della Cassa depositi e prestiti in una banca nazionale pubblica importante. Credo che la Cassa depositi e prestiti debba ampliarsi almeno di cinque, otto o dieci volte.
Se abbiamo la necessità, portiamo anche un sistema banco posta nel sistema creditizio per il sostegno alle piccole e medie imprese. Rompiamo pure alcuni equilibri all'interno delle istituzioni finanziarie Pag. 7e bancarie. Abbiamo, però, la necessità di una banca pubblica che sostenga la piccola e media impresa a livello nazionale e per quanto riguarda l’export.
Non ho altre considerazioni da fare, se non queste: ho parlato di responsabilità, di chiarezza legislativa, di semplificazione procedurale, di amplificazione del rapporto debito e credito nel rapporto dello Stato, di un equilibrio che passa oltre l'aspetto economico e incide fondamentalmente sul livello costituzionale e democratico. Occorre, infine, l'ampliamento di una banca pubblica.
Vi prego di avere attenzione visitando – e siamo disponibili ad accogliervi – la piccola e media industria reale. Si tratta di imprenditori – lo ripeto – che si sporcano le mani ogni giorno, che difendono il lavoro con i denti, che non hanno sostegno da parte né delle istituzioni finanziarie né dello Stato e che, soprattutto, non dispongono di una procedura semplificata per comprendere ciò che si deve fare e ciò che deve essere incassato.
Lo ripeto: fallire per credito è terribile. Pretendiamo, quindi, che lo Stato paghi questo debito di 80 miliardi di euro come atto dovuto, ma anche che, altrettanto dovutamente, attivi una politica industriale e un progetto industriale.
Noi siamo disponibilissimi, anche se spesso non siamo chiamati a farlo, a portare, per quanto possiamo, il nostro contributo, per quanto è nelle nostre possibilità, a un Governo e allo Stato, in cui crediamo. Si tratta, però, di un Governo che si deve fare, di un Governo che, secondo me, si sarebbe dovuto costituire ieri e non oggi e che è fondamentale per combattere questa situazione e per difendere il nostro Paese.
Noi siamo disponibili, ma ognuno – lo ripeto – si deve assumere le proprie responsabilità, non solo a parole, come non solo a parole si deve parlare di piccola e media impresa, abbandonandola poi continuamente.
PRESIDENTE. Grazie, presidente.
Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
Ricordo che i gruppi Partito Democratico, Popolo della Libertà e Movimento 5 Stelle hanno cinque minuti complessivi per Camera e Senato; i Gruppi Scelta Civica, Sinistra Ecologia Libertà e Lega Nord e Autonomie hanno tre minuti; i Gruppi Per le Autonomie-PSI, Grandi autonomie e libertà, Misto e Fratelli d'Italia hanno due minuti.
Ha chiesto la parola l'onorevole Causi del Partito Democratico. Se parla anche per il Senato, ha cinque minuti, altrimenti è un problema che deve risolvere nell'ambito del suo Gruppo.
MARCO CAUSI. Grazie, presidente. Parlerò meno di cinque minuti.
Vorrei porre alcune domande. Innanzitutto ringrazio il presidente di CONFAPI e gli ricordo che la lamentela che ha espresso deve essere rivolta al Governo più che al Parlamento, perché noi, come Parlamento, cominciamo in pratica da oggi l'esame di questo decreto-legge e abbiamo deciso di tenere un ampio spettro di audizioni.
Lei è il primo a essere audito e la ringraziamo molto. Cercheremo anche di recuperare eventuali momenti di concertazione che non siano avvenuti nelle fasi precedenti di costruzione di questo decreto-legge. Siamo molto disponibili, dunque, a recuperare le mancate fasi di concertazione precedente.
Da questo punto di vista, le pongo due domande molto precise.
In questa operazione di pagamento dei debiti commerciali della Pubblica amministrazione andiamo a coinvolgere, come lei sa, un'emissione di debito pubblico e, quindi, accolliamo all'intera collettività, imprese e famiglie, il ripagamento di un aumento del debito pubblico. Si tratta, quindi, di una questione molto rilevante, come è molto rilevante immettere velocemente questa liquidità nell'economia. È altrettanto rilevante, però, che questa liquidità Pag. 8vada ai soggetti che ne hanno davvero diritto, attraverso un meccanismo di certificazione e validazione.
A noi sembra, alla prima lettura di questo decreto-legge, che si prevedano meccanismi molto farraginosi e complessi. Credo che uno dei temi che abbiamo all'attenzione – mi rivolgo ai colleghi e alle colleghe delle Commissione speciali – sia quello di capire come semplificarli.
Un modo per semplificare sarebbe quello di proporre una procedura centralizzata di pagamento, se non per tutta la massa dei debiti, soltanto per alcuni, quelli più standardizzati. La prima domanda che le pongo è, dunque, se, secondo CONFAPI, meccanismi di centralizzazione dei pagamenti possano ridurre la farraginosità e la complessità delle procedure.
Passo alla seconda domanda. A questo punto, naturalmente, ciascuna amministrazione da cui poi dipende il debito deve avere un meccanismo, anch'esso semplice, ma impegnativo dal punto di vista della responsabilità amministrativa, di certificazione e validazione. Infatti, è chiaro che, se si crea una piattaforma centrale di pagamenti, non basta che a questa piattaforma arrivino le fatture, ma deve anche arrivare dagli enti preposti la validazione certificata che si tratta di fatture certe, esigibili e da pagare.
Le mie due domande ruotano intorno a un punto: che suggerimenti ci fornisce CONFAPI per semplificare centralizzando, ma, al tempo stesso, garantendo naturalmente che questa non diventi una sanatoria per qualsiasi debito che oggi sia più o meno nascosto nei bilanci degli enti pubblici italiani ?
MAURIZIO BERNARDO. Sapendo che i colleghi presenti oggi, sia della Camera sia del Senato, conoscono il testo, perché abbiamo avuto modo anche in altre occasioni di ritrovarci, ho una domanda che vorrei porre al presidente di CONFAPI.
Sottolineo un aspetto rispetto al passato: quando abbiamo esaminato provvedimenti importanti, la prassi era quella di arrivare, come relatori, a proporre prima la relazione e successivamente dare spazio alle audizioni. Questa volta, invece, proprio per l'importanza del provvedimento, comprendendo il momento – sono considerazioni che potremmo svolgere all'unisono tutti, indipendentemente dalle magliette che indossiamo –, abbiamo deciso di ribaltare il metodo e partire dall'ascolto del sistema produttivo, degli enti locali, del sistema delle banche.
Con il Governo e con alcuni uffici all'interno, in particolar modo del Ministero dell'economia e delle finanze, ovviamente ci ritroveremo e credo che saranno diverse le domande che porremo, soprattutto in alcuni incontri, per fare chiarezza, ma una chiarezza diversa rispetto al passato.
Concludendo, vorrei capire, da lei e da voi, come semplificare. Noi abbiamo ben chiara la difficoltà da parte del mondo delle imprese, ma per il ruolo degli enti locali abbiamo bisogno di passaggi pratici che ci consentano di avere spunti utili per quanto ci riguarda come Parlamento. Su questo provvedimento mi sento di dire, infatti, che il ruolo del Parlamento sarà fondamentale.
A voi chiediamo, entrando nel merito e avendo messo in risalto in generale le difficoltà che ravvisate in un atto tanto importante, aggiungendomi anche all'onorevole Causi, come immaginate alcune risposte che vi attendete, copartecipando, nel rispetto dei ruoli, a una scrittura utile e necessaria per il sistema Paese.
PRESIDENTE. Per il Movimento 5 Stelle hanno chiesto la parola i colleghi Sorial, Grillo e Castelli. Ovviamente dovranno autogestire i cinque minuti all'interno del tempo a disposizione.
GIULIA GRILLO. Grazie della parola, presidente. Vorremmo sapere, dottor Casasco, se le vostre stime sul numero di imprese coinvolte corrispondono con quelle del Ministero dell'economia e delle finanze e se è possibile fare una classificazione di questi dati in base agli enti locali debitori.
LAURA CASTELLI. Buongiorno. La nostra domanda riguarda anche la diversa Pag. 9natura dei crediti. Chiediamo, quindi, cosa si può fare per tentare di utilizzare strumenti che garantiscano equità per quei crediti che sono diversi. Sappiamo, infatti, che se un soggetto è creditore di un ente commissariato, in dissesto finanziario o che presenta alcune problematiche rispetto ad altri, è un po’ discriminato rispetto a un creditore di un comune o di un ente locale in salute. Quindi, vorremmo chiedere a lei se ha suggerimenti per inserire nel decreto-legge una forma di garanzia rispetto ai creditori che possono essere definiti diversi.
Inoltre, abbiamo sentito nelle sue parole la proposta di una banca pubblica. Lei sa che il Movimento 5 Stelle va verso questa direzione e che l'ha sempre espresso. Ci chiediamo, quindi, se voi potete aiutare tutti coloro che lo vorranno.
Lei sosteneva che oggi un Governo non c’è. In realtà, ce n’è uno. Certo, quello nuovo si dovrà formare, ma si può lavorare con le Commissioni permanenti. È una scelta politica. Tuttavia, volevamo chiederle se questo potrebbe essere davvero l'inizio di una riforma del sistema bancario che abbia un più largo respiro e che metta al centro l'economia reale e non l'economia fatta dalla finanza.
GIRGIS GIORGIO SORIAL. Mi permetto di aggiungere alcune considerazioni, sempre ringraziando il dottor Casasco per la relazione, all'interno della quale abbiamo visto che ci sono punti specifici proprio in merito ai diversi articoli.
Innanzitutto, accogliamo la sua critica diretta a quello che è definito da lei e da noi, come tutti sanno, un diktat teutonico in merito alla flessibilità che noi abbiamo sempre avuto all'interno dell'Europa, senza però vedere oggi gli altri Stati flessibili nei nostri confronti.
Anche noi del Movimento 5 Stelle ci auguravamo di poter effettivamente pagare per intero la somma dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti di tutte le imprese. Ciò fa assolutamente parte del nostro programma, perché capiamo l'importanza delle piccole e medie imprese e il fatto che il tessuto industriale italiano è costituito soprattutto da queste aziende.
Richiederemo anche al Ministro Grilli, in un'altra occasione, la possibilità di aprire un tavolo per dibattere, ridiscutere e ragionare su una strategia economica e su come vogliamo interporci a livello europeo per riacquistare una nostra sovranità nelle nostre decisioni. In particolar modo, ci interessa la ridiscussione dei Trattati.
In merito all'articolo 9 del decreto-legge – e, in tal caso, parlo direttamente con lei, dottor Casasco –, per quanto riguarda la compensazione tra certificazioni e crediti tributari, dal momento che avete avanzato una proposta, volevo chiederle quali sono, secondo lei, effettivamente gli strumenti per la semplificazione della compensazione, visto che, comunque, per l'ampliamento di questa compensazione ci sarà una notevole complessità. Occorre, quindi, trovare insieme uno strumento operativo di semplificazione per poter garantire la compensazione a tutte le aziende.
LINDA LANZILLOTTA. Signor presidente, credo che oggi noi siamo qui, come ha potuto sentire il nostro interlocutore, per identificare insieme alcune soluzioni – ritengo, infatti, che sia assolutamente comune la volontà di ottimizzare questo intervento, che riteniamo certo non risolutivo della crisi, ma necessario almeno per immettere della liquidità – e per trovare anche le modalità per aumentare il volume dell'intervento.
Chiediamo al direttore generale di fornirci indicazioni molto concrete e operative su alcuni punti critici, quelli citati e altri che riguardano la modalità di identificazione dei crediti certi ed esigibili, così come chiede il decreto-legge.
Le chiediamo anche in che misura e in che forma lei crede che le associazioni di impresa, in un processo di centralizzazione e semplificazione, potrebbero svolgere una funzione sussidiaria e di intermediazione tra imprese e Stato per accelerare e rendere più semplici gli interventi e le procedure amministrative per piccole Pag. 10imprese che, prese singolarmente, evidentemente avrebbero più difficoltà ad accedere alle procedure amministrative indicate dal decreto-legge.
TITTI DI SALVO. Signor presidente, anch'io ringrazio il dottor Casasco per la sua relazione e svolgo una breve affermazione di premessa, solo a livello di titoli, per via del breve tempo concesso, infine porrò una domanda.
Comincio con le affermazioni. A me fa piacere dire che sono molto d'accordo con quello che lei asseriva, dottor Casasco, sulla necessità, per uscire dalla crisi, di una politica industriale vera, anzi di una politica industriale, visto che fino a oggi non c’è stata.
Condivido anche, e mi ha fatto altrettanto piacere sentirla, un'altra affermazione, ossia l'accento sincero col quale lei metteva in evidenza il rapporto tra imprenditore e lavoratori e lavoratrici in una piccola impresa. In altre parole, il problema del Paese non è inventare un modo per licenziare di più, il problema del Paese è attuare una politica industriale e sostenere gli investimenti. Non si tratta di licenziare, e questa è un'affermazione molto importante.
Aggiungo a queste affermazioni generali la necessità per le piccole imprese di avere un sistema universale di ammortizzatori sociali in questa fase di crisi.
Passo ora alla domanda. Lei citava quattro capitoli grandi dentro i quali le sarebbe piaciuto che il decreto-legge si inserisse, essendo sentito prima e non dopo. Parlava di responsabilità, di chiarezza, di semplificazione e poi, a cappello di tutto, mostrava un'esigenza forte di avere un Governo, un nuovo Governo, senza il quale tutte le considerazioni che io ho svolto prima e quelle che ha svolto lei non si possono realizzare. Occorre un nuovo Governo.
Le volevo chiedere se potesse circostanziare di più le sue osservazioni rispetto, per esempio, al tema della semplificazione e al merito del decreto-legge. In che modo il decreto-legge dovrebbe aiutare ad andare nella direzione di una maggiore semplificazione ? Le chiedo un'indicazione concreta, incrociando la sua disponibilità, prima esposta, a essere parte di una posizione di emendamento, di proposta correttiva del decreto-legge.
PRESIDENTE. Onorevole Romani, ha un minuto e mezzo di residuo.
PAOLO ROMANI. Signor Presidente, cerco di utilizzarlo al meglio. Incrociando la relazione verbale che lei ha svolto con quella scritta, non trovo traccia di due questioni.
La prima riguarda l'articolo 4 del decreto-legge. Ho l'impressione che sia un articolo sul quale dovremmo fare un ragionamento e vedo che non ne chiedete quanto meno la soppressione. Infatti, così come è scritto, a me sembra che sia di difficilissima applicazione, tenuto conto che si fa riferimento a un bilancio regionale che rappresenta una situazione di equilibrio strutturale passato, che non si sa bene cosa voglia dire. Ciò determinerà notevoli possibilità di fraintendimento.
Quanto alla seconda questione, vedo che voi, come CONFAPI, su 90 mila aziende circa, ne avete 20 mila nel campo dell'edilizia, che è, quindi, un comparto molto importante della vostra associazione. Immagino che, trattandosi di piccole aziende, esse vadano a seguire nella filiera, nella catena produttiva, rispetto ai grandi lavori, alle grandi opere. Le grandi opere sappiamo essere quelle maggiormente penalizzate, perché riguardano le famose spese in conto capitale.
Tenuto conto che esiste questa suddivisione, alla quale crediamo, che è stata effettuata in sede europea, tra l'80 per cento di spesa in parte corrente e il 20 per cento in conto capitale, vediamo che le spese in conto capitale, guarda caso, vanno a finire sul deficit, dove c’è una procedura di infrazione che dovrebbe chiudersi – l'ha detto ieri Olli Rehn – ma che comunque esiste ancora. Sul debito, invece, non siamo in procedura d'infrazione e, quindi, ci sono i fattori attenuanti che ci consentono oggi di pagare questi benedetti 40 miliardi di euro.Pag. 11
Tuttavia, se vi è la possibilità di pagare le spese in conto capitale per il 2013 con un incremento dello 0,5 per cento, dal 2,4 al 2,9 per cento, il DEF, che lei troverà online oggi e che sarà oggetto di dibattito in Parlamento, non prevede per il 2014 un incremento simile che consenta in tale anno di pagare le stesse somme previste per il 2013.
Ho l'impressione che, per la vostra associazione in particolare, questo possa essere un gigantesco problema, perché investe l'ANCE in prima istanza, ma anche voi per la tipologia classica delle imprese che rappresentate.
PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.
MAURIZIO CASASCO, Presidente confederale di CONFAPI. Presidente, innanzitutto ricordo che il 70 per cento delle nostre aziende sono di tipo meccanico, sono piccole aziende meccaniche di 10-15 dipendenti.
Cerco di riassumere tutte le risposte. Per noi è fondamentale avere il Governo, perché con il Governo, un Governo vero, forte e sostenuto, possiamo andare in Europa e ottenere quello che in questo momento non riusciamo a ottenere, cioè una flessibilità che, di fatto, in parte ci è già concessa, ma che non riusciamo, proprio per la nostra debolezza in questo momento, ad attuare. La prima cosa necessaria, dunque, è il Governo.
In secondo luogo, occorre sicuramente una possibilità immediata di immettere un debito, che ho definito d'onore, sul sistema Paese e, a tal fine, abbiamo chiesto 80 miliardi di euro. Sicuramente i parametri non potranno essere perfetti, probabilmente non potranno essere giusti o equi in questo momento, ma è fondamentale immettere liquidità nel Paese, pur con alcuni errori.
Sicuramente ci saranno errori, ma è importante intanto, in mezzo ad alcuni errori che poi avranno le loro conseguenze successive, dare a chi deve ricevere ciò che gli spetta di diritto e che sta aspettando da anni. Soprattutto è importante dargli la possibilità di riceverlo subito.
I comuni devono censire quanto dovuto al 31 dicembre 2012. Ma pensate che i comuni riusciranno entro il 30 aprile a censire ciò che è dovuto al 31 dicembre 2012 con correttezza ? Non ce la faranno. Le regioni dovranno ripianificare con manovre di stabilità e via elencando.
Se aspettiamo queste manovre, ci blocchiamo. Bisogna semplificare e andare a certificare il debito, questo è fondamentale sicuramente. Occorre escludere situazioni che possano coinvolgere la malavita o altre situazioni, indubbiamente, ma, una volta certificato, il debito deve essere pagato in una misura percentuale del 50 per cento. Bisogna sbloccare immediatamente i comuni quanto meno per poter pagare le regioni e per poter pagare ciascuno il suo, avendo un parametro basato su una certificazione del credito.
Questa certificazione del credito può essere realizzata in diversi modi, stabiliamolo nella migliore possibile delle condizioni, ma andiamo a erogare immediatamente i finanziamenti, perché le aziende non sanno quando li riceveranno e quali sono le procedure. Non abbiamo i tempi. Non c’è più il tempo di andare a costituire procedure.
Dobbiamo commettere alcuni errori, che – lo ripeto – saranno sanzionati, per carità, dal sistema giudiziario e politico, ma dobbiamo immettere immediatamente liquidità per coloro che ne hanno diritto. Ci sarà un 5-10 per cento di errore, ma stabiliamo la certificazione del credito e poi andiamo a erogare immediatamente questo debito.
Dopodiché, le associazioni sicuramente possono svolgere un ruolo importante nel certificare – lo dico tra virgolette – la storia dell'imprenditore, anche con una parziale assunzione di responsabilità, che può essere persino totale, da parte delle piccole e medie imprese. Infatti, della FIAT e dell'Ilva si sa tutto o quasi, ma dei piccoli imprenditori non si conosce la storia.
Conosco imprenditori che hanno centocinquant'anni di storia alle spalle, che pagano le tasse, i lavoratori, il loro capannone, le materie prime, ma non hanno Pag. 12i soldi per pagare completamente le tasse e stanno fallendo perché aspettano un sacco di soldi dalla Pubblica amministrazione oppure dalle grandi aziende. Se volete, vi posso anche citare i nomi, ma non mi sembra il caso in questo contesto.
L'associazione, quindi, può svolgere un ruolo fondamentale nella certificazione o nella partecipazione alla certificazione della storia dell'imprenditore. Come CONFAPI – lo ripeto – dalla prossima settimana avremo un portale in joint venture con Officine CST Spa., una delle prime società partecipate dagli istituti di credito per scontare il credito della Pubblica amministrazione e per massificare gli importi di tutti i creditori. Questi ultimi inseriscono il loro credito per poterlo poi discutere, come massa, insieme alla Pubblica amministrazione attraverso decreti ingiuntivi, oppure anche per riposizionarlo pro soluto su terzi istituti.
Questo è quanto sta facendo CONFAPI. La prossima settimana ci sarà già un portale attivo, sottoscritto e funzionante con questo sistema. CONFAPI, inoltre, può anche andare a certificare e ad aiutare la Pubblica amministrazione, ma deve esserci una collaborazione stretta.
La semplificazione, quindi, avviene attraverso la flessibilità immediata e le rotture di alcuni patti obbligati con le amministrazioni locali e regionali. Per carità, ci può essere anche un passaggio centralizzato, ma non possiamo centralizzare tutto, altrimenti rischiamo la paralisi. Occorre commettere errori, ma pagare agli imprenditori ciò che è loro dovuto.
Non si può fare solamente amministrazione. È bellissimo fare amministrazione. Non l'abbiamo fatta per qualche decennio e adesso di colpo, negli ultimi due o tre anni, abbiamo scoperto che dobbiamo sottostare ai parametri della signora Merkel, quando invece la stessa Germania – lo ripeto – con l'unificazione ha rotto ogni Patto di stabilità e noi stessi, come Italia, abbiamo favorito la flessibilità in seguito all'unione delle due Germanie.
Oggi l'Europa deve capire che l'Italia è nella stessa situazione e che tutto ciò può rappresentare un danno per tutta l'Europa, compresa la stessa Germania. Non possiamo permetterci che, in questa crisi, le nostre aziende falliscano; e loro fanno shopping, specialmente al nord, sulle aziende che falliscono e sono poi finanziate o acquistate da realtà straniere.
Abbiamo la necessità di un Governo forte che inizi questa operazione. Eroghiamo, con una rottura, il 50 per cento immediatamente, senza dover guardare con troppa facilità e con troppa attenzione ai debiti al 31 dicembre certificati dai comuni attraverso i diversi passaggi. Indubbiamente dobbiamo correre qualche rischio, ma, se non abbiamo coraggio, moriremo tutti. Ci vuole coraggio.
Quando, purtroppo, ci sono i tempi dell'emergenza e della guerra, certe questioni saltano e certi rischi si devono prendere. Pertanto, anche la classe politica si prenda i rischi che gli imprenditori, piccoli e medi, si prendono tenendo i loro lavoratori anche quando non lo potrebbero fare, perché hanno un rapporto, una coscienza e una responsabilità forte nei riguardi dei propri lavoratori e delle famiglie che rappresentano.
Mi sono trovato la settimana scorsa, a Cagliari, a un convegno con il segretario della CGIL Camusso e sembrava che dicessimo le stesse cose. Perché, quindi, non pensiamo alla crescita e al lavoro assicurati attraverso il finanziamento della piccola e media impresa ? La grande impresa è in grande difficoltà e deve essere aiutata, ma ce la fa nei rapporti con gli istituti di credito. La piccola e media impresa, invece, non ce la fa, né con la Pubblica amministrazione né con la grande impresa.
Quando parlo di un piano industriale, di un progetto industriale – l'ho proposto, ne abbiamo parlato –, non si può pensare di escludere da questo sistema economico le iniziative per la piccola e media impresa.
Ne cito tre. Con riguardo all'IRES, ho chiesto più volte perché non possa essere applicata gradualmente, come avviene in Spagna, in Olanda, in America, in Inghilterra, dove l'IRES è al 27,5 per cento. Perché non ci può essere una gradualità Pag. 13per l'IRES ? La piccola e media azienda ne ha necessità. Anche l'ACE può essere graduata.
Del contratto fino a dieci dipendenti ne abbiamo parlato più volte: è uguale che il settore sia tessile, meccanico o chimico, facciamolo anche dimensionale. La flessibilità nei tempi di lavoro per chi lavora per la grande azienda o per la Pubblica amministrazione deve essere considerata.
In Italia non consideriamo mai la piccola e media azienda nella realtà dei suoi problemi. Oggi questa ha necessità di credito, non solo per pagare i propri dipendenti o le tasse, ma ha necessità di credito per poter sopravvivere. Non c’è più spazio.
Quindi, la mia soluzione pratica è la seguente: paghiamo, commettiamo errori, abbiamo coraggio, rompiamo alcuni patti anche di flessibilità. Abbiamo coraggio anche ad affrontare l'Europa in questa emergenza, come ha fatto la Germania a suo tempo. Di fatto voglio vedere cosa può succedere.
Noi falliamo, stiamo fallendo. Sto parlando in progress. Non posso permettermi di non portare ottimismo. Resistiamo, siamo sul Piave. Noi stiamo resistendo, come piccole e medie aziende. Dateci la possibilità di sopravvivere, perché, distrutto questo tessuto connettivo, non ci sarà più la possibilità per il corpo dell'azienda italiana e per il futuro italiano. Saremo, e siamo già, terra di conquista.
Noi stiamo resistendo. Non ce la facciamo più. Abbiamo bisogno che si commettano alcuni errori, ma che vengano immessi gli 80 miliardi di euro sul mercato e che venga attuata una politica industriale.
Noi facciamo la nostra parte attraverso l'organizzazione che stiamo attivando con la piattaforma che ho citato, ma siamo disponibili con il Governo ad assumerci le nostre responsabilità nel fornire informazioni nella maniera più chiara possibile sulle aziende che sono nostre associate.
Non lo faremo a sostegno di tutte, perché chi non merita di essere aiutato non può essere aiutato e deve essere chiuso, ma chi merita di essere aiutato deve essere sostenuto. Non eroghiamo finanziamenti a pioggia. Diamo un'interpretazione sicuramente storica di quello che può essere il passaggio nel tempo per essere pagati, ma forniamo anche alcuni parametri.
Esiste, per esempio, una direttiva europea del 2003 che prevede l'erogazione nella misura del 70-80 per cento alle piccole e medie imprese. Non vorrei che questi soldi non arrivassero poi alle piccole e medie imprese perché non hanno forza politica e che esse non potessero, non dico essere privilegiate, ma avere la stessa attenzione che è dovuta alle altre. Rappresentano il tessuto connettivo. La testa non può reggere – io sono medico – se distruggiamo il corpo. Stiamo distruggendo tutte le particelle, tutte le cellule del tessuto connettivo italiano, che è composto di imprese al di sotto dei dieci dipendenti.
Lo ripeto, diamo amplificazione al rapporto debito-credito, che, secondo me, deve essere amplificato al 100 per cento. Qual è il problema ? Amplifichiamolo al 100 per cento.
Per questo motivo abbiamo bisogno di un Governo forte, che dica all'Europa queste cose: l'Italia non ci sta, non può morire e non può essere terra di conquista solo perché l'Europa non offre questa possibilità. Bisogna avere la forza di imporsi con un Governo forte e l'invito è immediato e rivolto a tutte le forze politiche.
Inoltre – lo ripeto – i comuni e le regioni possono, di fatto, non soggiacere a tutta una serie di procedure e di storie, ma affidiamo anche responsabilità agli amministratori, perché ci sono sindaci, presidenti di regione, consigli, giunte. Ognuno si assuma le proprie responsabilità e faccia la sua parte.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente di CONFAPI. Dichiaro conclusa l'audizione.
L'onorevole Marazziti ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori.
MARIO MARAZZITI. Presidente, volevo semplicemente riferire che ho letto ora sul sito lastampa.it che quest'Aula in questo Pag. 14momento è occupata dal Movimento 5 Stelle. C’è un intero articolo sull'argomento.
Poiché io, invece, penso che sia estremamente utile e interessante che ci siano in questa sede tanti colleghi del Movimento 5 Stelle ad ascoltare i nostri lavori, sarebbe opportuno mandare una smentita, perché l'Aula non è occupata. È un punto molto importante e chiederei di precisarlo subito.
PRESIDENTE. Onorevole Marazziti, l'Aula non è occupata per la semplice ragione che, ai sensi dell'articolo 38 del Regolamento, qualsiasi deputato può partecipare ai lavori di tutte le Commissioni.
Ha chiesto di intervenire, sempre sull'ordine dei lavori, l'onorevole Barbanti.
SEBASTIANO BARBANTI. Presidente, ovviamente cercheremo di mandare la correzione, ma allora penso che lei convenga con me sull'abolizione del finanziamento all'editoria, dal momento che si sta strumentalizzando anche questa questione.
PRESIDENTE. Come sapete, è prevista a mezzogiorno l'audizione dei rappresentanti di ANCI e UPI.
Penso sia opportuno che venga chiarito questo aspetto formale, potendo dare incarico all'Ufficio stampa della Camera di comunicare che si stanno regolarmente svolgendo i lavori delle Commissioni riunite.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 11,55, è ripresa alle 12,05.
Audizione di rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del decreto-legge n. 35 del 2013 recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della Pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, l'audizione di rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI.
I rappresentanti dell'ANCI hanno annunciato di avere un leggero ritardo di un quarto d'ora.
Sono presenti, invece, per l'UPI il presidente Saitta, presidente anche della provincia di Torino, il componente dell'Ufficio di presidenza e presidente della provincia di Milano Guido Podestà, il componente dell'Ufficio di presidenza e presidente della provincia di Padova Barbara Degani, il presidente del Consiglio direttivo dell'UPI e presidente della provincia di Treviso Leonardo Muraro, il direttore generale Antonelli, il direttore delle Unioni regionali lombarde Rigamonti, il vicedirettore Giovannini, i dottori Gottardi e Palombelli dell'Ufficio studi e Pierluigi dell'Ufficio stampa.
Li ringrazio di aver accolto l'invito e do subito la parola al presidente Saitta, che ha un quarto d'ora o venti minuti. Se riesce a stare nei tempi, ci aiuta.
ANTONIO SAITTA, Presidente dell'UPI e presidente della provincia di Torino. Grazie, presidente, e grazie a voi.
Per le amministrazioni provinciali questo è un appuntamento importante, perché conosciamo perfettamente le opinioni diffuse sulle province. Noi non siamo qui per riprendere un tema che sarà poi oggetto del dibattito parlamentare, ma perché rappresentiamo il sistema delle amministrazioni provinciali e soprattutto i servizi che gestiamo.
Sicuramente molti di voi sanno che noi complessivamente gestiamo una spesa di circa 11 miliardi e 200 milioni di euro. Si tratta di una spesa che viene utilizzata per i servizi che voi conoscete: tutto il sistema della viabilità del nostro Paese, il sistema della scuola media superiore, con più di 5.000 edifici, in molte regioni la formazione professionale, in molte il trasporto locale e i centri per l'impiego. Si tratta di servizi importanti per il nostro territorio. Pag. 15Quando si parla di pagamenti e di Patto di stabilità, dunque, evidentemente l'effetto è quello sui servizi.
Volevo soltanto precisare questo. Non è una difesa della casta, come normalmente si dice, ma ciò che viene deciso in ordine a questi temi provoca evidentemente una riduzione dei servizi che vengono forniti.
Per quanto riguarda il decreto, noi abbiamo alcune osservazioni che riguardano in modo particolare l'articolo 1 del decreto-legge, quello sui pagamenti, e l'articolo 10, relativo al tema della ripartizione dei tagli delle province per il 2013, taglio che avrebbe dovuto essere apportato a febbraio e che adesso viene inserito nel decreto.
Per quanto riguarda l'articolo 1, quello sui pagamenti, vorrei sottoporvi un'osservazione di carattere generale. C’è naturalmente un apprezzamento per la volontà da parte del Governo e del Parlamento di procedere in questo senso. Noi abbiamo alcuni suggerimenti di semplificazione, ma vorrei farvi notare che si pone anche un problema contestuale, che è il tema più generale ancora dei vincoli del Patto di stabilità.
L'operazione dei pagamenti è sicuramente utile per il sistema economico, perché si immette liquidità, ma si corre il rischio di ricadere immediatamente negli stessi problemi di oggi e in ogni caso non viene assolutamente sbloccata la questione della grande contrazione degli investimenti che noi abbiamo avuto come sistema degli enti locali. Per quanto riguarda le province, noi abbiamo avuto, dal 2008 al 2012, una contrazione degli investimenti del 45 per cento. È chiaro che essa è frutto anche di un pregiudizio nei confronti delle province, perché i tagli sostanzialmente sono stati più forti rispetto ad altri comparti. Ma in ogni caso, se non si interviene su quello, noi abbiamo contrazioni in questi investimenti.
Già adesso abbiamo difficoltà. Oggi non siamo nelle condizioni di poter mantenere come si deve il sistema stradale, costituito di 130.000 chilometri di strade. Del sistema scolastico, che consta di oltre 5.000 edifici scolastici, non siamo in grado di garantire la manutenzione come sarebbe necessario. Inoltre, tanti procuratori in Italia ci inseguono perché richiedono giustamente le norme di sicurezza che noi non siamo in grado di realizzare, perché la contrazione agli investimenti non ci consente di farlo.
La situazione in cui viviamo è, dunque, di questo tipo. Con riferimento alla sicurezza nelle scuole, oggi c’è una grande opportunità – questo lavoro sicuramente può consentirlo – di affrontare questo tema, che normalmente viene affrontato in tutti i dibattiti in cui si afferma di volere che i nostri ragazzi siano sicuri a scuola, ma il tema vero è che per poterlo fare occorrono risorse. Lo stesso ragionamento vale anche per quanto riguarda la sicurezza delle strade.
Vi espongo il mio pensiero. Affrontiamo pure, è giusto e doveroso, il tema della liquidità e dei pagamenti, ma noi chiediamo contemporaneamente di affrontare anche il tema dei vincoli del Patto di stabilità, cioè di prevedere la possibilità di riprendere gli investimenti.
Oggi noi paghiamo, ma dobbiamo riprendere a fare investimenti. Credo che molti di noi che stanno preparando i bilanci vi possano assicurare – sono presenti colleghi da Milano a Padova – che noi non siamo nelle condizioni di garantire concretamente la sicurezza.
Si aggiunge il problema che oggi siamo inseguiti dai procuratori con avvisi di garanzia, rivolti non soltanto a noi, ma anche ai nostri dirigenti. È bene che si sappia che c’è un problema di emergenza.
Per quanto riguarda in modo particolare il tema dei pagamenti, noi siamo in una situazione diversa rispetto alle amministrazioni comunali. Per via dei vincoli, infatti, complessivamente noi abbiamo cassa che non abbiamo potuto utilizzare. La norma che è stata prevista ci consente di pagare, ma faccio notare che ha indicato che si può pagare solo il 13 per cento delle giacenze nella Tesoreria unica.
Porto il caso di Torino, solo per esemplificare. Le giacenze di Torino sono di 54 milioni, ma la norma ci consente di pagare solo 6,5 milioni. Se questa soglia fosse più Pag. 16alta, noi potremmo pagare molto di più. Con riferimento sempre a Torino, su 54 milioni di avanzo in Tesoreria con il 13 per cento noi paghiamo 6,5 milioni circa. Se anziché il 13 per cento si trattasse del 50 per cento, pagheremmo molto di più.
Questo è un grande limite. Potenzialmente, il sistema delle province sarebbe in grado di immettere liquidità per oltre un miliardo di euro, se venisse concessa la possibilità di utilizzare completamente i fondi che abbiamo in Tesoreria.
Si tratta poi di verificare se il tetto dei 5 miliardi di euro previsti dall'articolo 1 viene garantito, ma il tema della cassa, ossia dell'utilizzo dei soldi di cui già disponiamo e che abbiamo accantonato per i contratti che abbiamo siglato e per i quali le imprese hanno già eseguito i lavori, potrebbe essere affrontato diversamente.
La situazione non è uguale in tutto il sistema degli enti locali, ma in ogni caso, dal punto di vista macroeconomico, questa possibilità consentirebbe immediatamente, in attesa del completamento del processo, di immettere delle risorse e, quindi, per il sistema economico vorrebbe dire una somma di circa un miliardo di euro.
Questa è la prima osservazione. Si tratta di rivedere la soglia del 13 per cento, che è molto bassa.
Si pone poi un altro problema: noi abbiamo trasferimenti di parte capitale bloccati e destinati ai comuni intorno ai 300 milioni di euro. Anche in questo caso, se la soglia venisse innalzata, noi potremmo pagare i comuni e i comuni potrebbero pagare le imprese che hanno eseguito i lavori, perché si tratta sempre di contributi per investimenti.
Voglio far notare ancora che i residui attivi che le province devono avere dalle regioni ammontano a 1,9 miliardi di euro per la parte corrente e a 2,1 miliardi di euro per la parte di investimenti. Nel decreto, all'articolo 1, si fa riferimento soltanto alla parte corrente e non alla parte in conto capitale. Io credo che sia opportuno estendere il decreto anche alla parte in conto capitale, perché anche questi trasferimenti dalle regioni a noi sono relativi a opere che sono state realizzate e per le quali dobbiamo pagare le imprese.
Si tratta di suggerimenti tutti finalizzati ad allargare la base dei pagamenti, utilizzando le norme che sono state introdotte nel decreto, ma rivedendone le soglie. Questa è la situazione dal punto di vista sostanziale.
Complessivamente, il procedimento individuato è molto complesso. Si pone un tema di forte responsabilità in relazione a norme di difficile applicazione. I nostri dirigenti finanziari avranno difficoltà ad applicare tutto ciò che prevede il decreto, tra cui la responsabilità individuale.
Vengono anche introdotte figure giuridiche nuove, che in passato non esistevano: e quando si introducono elementi nuovi, è chiaro che il ragioniere, prima di assumersi la responsabilità, se ne accerta bene. Si rischia, pertanto, di arrestare, perlomeno nella fase di avvio, un processo che invece potrebbe essere immediatamente attivabile.
Io credo che convenga attivarlo, perché in ogni caso nella fase di avvio, nelle more del processo completo, si incomincia a fornire una risposta, e c’è il tempo poi di intervenire nella fase conclusiva. Le questioni sono essenzialmente queste.
Emerge poi un tema che ci riguarda, ossia quello delle province in pre-dissesto, quelle che hanno definito un Piano di risanamento pluriennale, ai sensi dell'articolo 243 del Testo unico, che sono tre: Catania, Potenza e Chieti. A questi enti viene chiesto un ulteriore aggravamento sia dal lato dei tagli, sia dal lato della ristrutturazione di tali Piani. Occorre che le procedure di esame e verifica di tali Piani da parte del Ministero e della Corte dei conti vengano congelate, per tenere conto della tempistica prevista nel decreto. Queste sono le osservazioni in termini essenziali per quanto riguarda il decreto.
Vi è poi il tema delle compensazioni. Molti imprenditori sono venuti a chiederci informazioni in queste settimane. Quello della compensazione è un tema che sicuramente ci interessa e chi richiama quello della semplificazione del sistema e dell'allargamento della base per poter pagare.Pag. 17
Per quanto riguarda, invece, l'articolo 10 del decreto, quello che ripartisce 1 miliardo e 200 milioni di euro, che è il taglio previsto nel precedente provvedimento del Parlamento sulle province, si evidenzia che il rapporto tra le spese effettuate dai comuni e quelle delle province è normalmente di 7 a 1: il rapporto è questo, tenuto conto dei bilanci. Vedendo, invece, i tagli, emerge una situazione molto semplice, ossia che per il 2013 le province, la cui spesa è un settimo di quella dei comuni, avranno un taglio di 1 miliardo e 200 milioni mentre i comuni, la cui spesa equivale a sette volte quella delle province, ne avranno uno di 2 miliardi e 200 milioni. La spesa delle province, che rappresenta l'1,3 per cento della spesa pubblica complessiva, subisce tagli del 25 per cento. Ciò è iniquo. Noi non siamo nelle condizioni di potere redigere i bilanci.
La ripartizione che viene fatta dal Governo riguarda 1 miliardo e 200 milioni e tiene conto di alcuni elementi che noi abbiamo suggerito. Inizialmente, infatti, il Governo pensava di considerare consumo intermedio tutta la spesa corrente e la spesa per il personale, mentre tutto il resto sarebbe stato tagliabile, dimenticando che, invece, noi spesso svolgiamo funzioni vincolate per conto delle regioni. C’è una sistemazione in questo senso. C’è l'accoglimento di un principio, ma in ogni caso la coperta è sempre stretta e con 1 miliardo e 200 milioni di euro di tagli io credo che il 70-75 per cento delle province italiane non sarà in grado di rispettare il Patto di stabilità.
Non si tratta soltanto di un tema dell'amministrazione, ma anche di un tema dei servizi. Dobbiamo bloccare assolutamente tutto. Per molte province, lo affermo con molta chiarezza, si pone anche un problema di pagamento dei nostri dipendenti, che sono 57-60.000 in tutta Italia. Quando si parla di province, si pone questo tema.
Ci rendiamo conto che si tratta di un decreto che riguarda i pagamenti, ma, poiché non si riescono a redigere i bilanci, noi cogliamo questa occasione per vedere se sia possibile contenere questo taglio. La nostra proposta è di 400 milioni di euro. Siamo perfettamente convinti che bisogna lavorare in questo senso, ma con 1 miliardo e 200 milioni di euro non ce la facciamo. Se questo non avverrà, di fatto si porrà un tema complessivo che riguarderà questo settore importante della finanza italiana.
Queste sono, in sintesi, le nostre osservazioni. È chiaro che per noi, che facciamo in gran parte investimenti, perché questa è una delle nostre attività prevalenti, sussiste l'enorme preoccupazione che prima citavo in termini complessivi e che ora voglio riprendere in termini anche piuttosto puntuali.
Alla fine il comparto complessivo degli enti locali è quello che realizza gli investimenti nel nostro Paese. Mi appello evidentemente al vostro ruolo. Se venisse alleggerito il Patto, oltre alla questione dei pagamenti, noi saremmo nelle condizioni di poter procedere immediatamente all'appalto di lavori, non di lavori qualunque, ma di strade e scuole per le province. Parliamo di strade e scuole.
Se il Parlamento dovesse decidere di considerare alcune deroghe per quanto riguarda alcune tipologie di investimenti, si porrebbe come argomento principale la sicurezza nelle scuole. Si ragiona su questo tema. Noi abbiamo già i progetti elaborati perché, nonostante le tante parole di questi anni, gli accordi nazionali e con le regioni e il CIPE, non è arrivato assolutamente nulla sul sistema scolastico. Parlo delle scuole medie superiori, ma credo che la situazione sia simile anche per il resto del settore.
Non aggiungo altro. Ho voluto sintetizzare un po’ le questioni. Abbiamo una nota precisa. Noi faremo pervenire emendamenti puntuali, ma all'interno di questa filosofia: chiediamo al Parlamento un aiuto a utilizzare le risorse che già abbiamo per potere fare gli investimenti. Se questo non avverrà, al di là delle decisioni che un giorno saranno prese sulle province, molti di noi sono ormai nella situazione di non voler restare a prendere avvisi di garanzia, assumersi responsabilità Pag. 18e rispondere di problemi, che sicuramente ci interessano, perché riguardano le nostre comunità, ma per risolvere i quali non abbiamo assolutamente gli strumenti.
In passato, negli ultimi tempi, c’è stato un pregiudizio nei confronti delle province. Mi pare che ci sia ancora oggi. Si dice che, abolendo le province, si risparmierebbero 12 miliardi di euro. Il costo degli amministratori è di 68 milioni di euro. Invito a leggere i siti esistenti, quelli del Ministero: 12 miliardi di euro è la spesa per le funzioni. Se i servizi non sono erogati dalle province, qualcuno li deve erogare comunque. Il tema delle province sarà rimandato, ma in ogni caso parliamo di servizi. Li erogherà il comune o la regione, ma, se non si finanziano, il problema resta comunque. È bene pensare a questi temi.
Per quanto riguarda le province, aggiungo un'ultima osservazione. Poiché noi siamo convinti delle nostre buone ragioni e di non essere il male di questo Paese – il male e il bene ci sono da tutte le parti – vi proponiamo una scheda sui costi degli amministratori, partendo dal Parlamento fino ad arrivare alle province. Avrete così il peso del tema di cui stiamo parlando.
Siamo convinti delle nostre buone ragioni. Se il Parlamento dovesse decidere, e io spero che lo faccia, di istituire un'apposita Commissione sui costi della Pubblica amministrazione, e auspico che sia fondata non su un pregiudizio, ma su dati tecnici e sui bilanci, noi siamo disponibili a dire «sì» al risultato di un lavoro serio. Oggi abbiamo dovuto resistere a un pregiudizio che non siamo riusciti a contrastare, perché il tema era quello. Abbiamo studi fatti svolgere dalla Bocconi e da altri istituti scientifici. Siamo disponibili, purché il tema non sia soltanto questo, e soprattutto, ed è il motivo per cui abbiamo affermato a un certo punto che l'accorpamento delle province avrebbe potuto essere un'occasione, riteniamo che quella delle province avrebbe potuto essere un'occasione per la riorganizzazione dello Stato. Si sarebbero accorpati anche gli uffici periferici dello Stato. È questo il grande tema.
Invito a considerare non soltanto quello degli enti locali come un sistema che può essere sempre contenuto. Ormai sono anni che si tiene, si tiene, si tiene e non si tocca, invece, l'organizzazione dello Stato, che mi sembra un grande tema. Se il tema riguarda tutti, io credo che il vantaggio sia complessivo. Altrimenti, si rischia di fare una battaglia nel nome del fatto che le province vanno abolite, che si riduce la spesa dell'1,3 per cento e che si risparmiano 60 milioni di euro, ma non si capisce che cosa capita ai servizi. Rivediamo invece l'organizzazione e si possono eventualmente rivedere anche le province, le funzioni e gli accorpamenti. Il problema è che venga introdotto qualche elemento di razionalità in questo Paese e non si seguano opinionisti che continuano a ripetere un dato, quello dei 12 miliardi di euro.
Volevo soltanto precisare che il discorso dei 12 miliardi di risparmi deriva esclusivamente dal fatto che a un certo punto un'associazione economica importante nel nostro Paese ha rilasciato un comunicato stampa sostenendo che, abolendo le province, si sarebbero risparmiati 12 miliardi di euro. Quella cifra non è stata mai verificata e viene ritenuta per vera. Anche opinionisti seri la prendono tale e quale. Se, però, guardate i bilanci, vi renderete conto che non è assolutamente attendibile. In ogni caso noi siamo disponibili anche a metterci in discussione.
Per quanto riguarda il decreto, queste sono le nostre osservazioni. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, presidente Saitta.
Ci ha raggiunto nel frattempo l'ANCI, rappresentata dal presidente Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia, accompagnato dal sindaco di Ascoli Piceno e delegato alla finanza locale Guido Castelli, dal segretario generale dell'ANCI Veronica Nicotra, dalla responsabile dell'area finanza locale Silvia Scozzese e dal responsabile ANCI Rivista Matteo Valerio.
Se il presidente Delrio è d'accordo, gli darei immediatamente la parola, in maniera tale da completare l'introduzione in Pag. 19quindici o venti minuti, se riesce a stare nel tempo. Poi potremo passare alle richieste di domande e interventi. Grazie.
GRAZIANO DELRIO, Presidente dell'ANCI e sindaco di Reggio Emilia. Grazie, presidente. Buongiorno agli onorevoli. Grazie di questa occasione di poter rappresentare le opinioni dei comuni in relazione a questo decreto-legge.
In premessa mi preme di sottolineare di nuovo, come ha già fatto anche il presidente Saitta, il fatto che il nostro contributo al risanamento finanziario in questi ultimi cinque anni è stato di una rilevanza tale che non ha assolutamente precedenti in nessun altro periodo della nostra Repubblica.
Nel quinquennio 2007-2011, mentre il saldo di bilancio della Pubblica amministrazione è peggiorato di quasi 37 miliardi di euro, il bilancio del comparto comunale ha registrato, invece, un miglioramento di 850 milioni di euro. Ciò significa che qualcuno ha apportato tagli, ha risparmiato e ha realizzato positività. In particolare, noi abbiamo contribuito per oltre 15 miliardi di euro al risanamento della finanza pubblica dal 2007 al 2014, come contributo finanziario tra tagli e saldo di Patto di stabilità. Solo nel 2013 destineremo ben 4,5 miliardi di euro di saldo finanziario positivo attraverso il Patto di stabilità, ossia sostanzialmente l'avanzo da mettere a disposizione.
Alla domanda sul motivo per cui il pareggio di bilancio non si applichi anche ai comuni e noi dovremmo dare un avanzo, dal momento che teoricamente dovremmo essere tutti in equilibrio e che, quindi, nessuno dovrebbe dare avanzi, la risposta è perché altri comparti non riescono a farlo.
Questa filosofia della compensazione a carico dei comuni del mancato lavoro svolto da altri comparti a noi pare una filosofia da abbandonare immediatamente, così come ci appare da abbandonare immediatamente il tema delle attuali regole del Patto di stabilità. Il decreto corregge una situazione che si è venuta a creare, ma occorre anche che cerchiamo di eliminare le cause di questa situazione.
Tra le cause principali, per quanto riguarda i comuni in particolare, esiste, come sapete, il tema della competenza mista nel Patto di stabilità, ossia il fatto che i nostri investimenti vengono in sostanza penalizzati. Teniamo presente che avremo un calo di circa il 50 per cento dal 2007 a oggi. Io penso che gli investimenti del 2013 non saranno superiori ai 10 miliardi di euro, mentre erano di 15 miliardi e 600 milioni di euro nel 2007. Si tratta di una variazione importante, più volte denunciata dalla Corte dei conti. Più volte la Corte dei conti ha sottolineato come le attuali regole del Patto di stabilità impediscano la spesa produttiva, ossia la spesa per investimenti, e abbiano, invece, posto sotto controllo in maniera insufficiente la spesa cosiddetta improduttiva, ossia la spesa corrente.
Questa diminuzione degli investimenti ha comportato un grave degrado delle città in cui anche voi onorevoli vivete, come potete notare dallo stato delle manutenzioni ordinarie e straordinarie delle nostre comunità, ma ha inciso anche su alcune altre questioni, come le opere di prevenzione del dissesto idrogeologico, le scuole, a cui ha già accennato il presidente Saitta, e le infrastrutture. Sono mancate anche operazioni di messa in sicurezza di edifici pubblici e di manutenzione degli stessi.
Il prezzo sociale di queste regole è altissimo. È un prezzo sociale che va modificato, altrimenti quello dei pagamenti ritardati rischia di diventare un tema che si risolve una tantum, ma che poi ricomincia a ripresentarsi immediatamente dopo.
Il fatto che il Patto di stabilità abbia creato una situazione anomala nei comuni è dimostrato dalla circostanza per cui noi abbiamo una disponibilità di fondo di cassa di oltre 13 miliardi di euro. Questo è un elemento assolutamente importante. Abbiamo residui passivi per oltre 45 miliardi di euro.
Modificando le regole del Patto di stabilità e facendo partire piccole opere nei comuni con somme già disponibili, si potrebbe Pag. 20provocare un incremento del PIL e delle opere pubbliche assolutamente significativo, senza che ciò determini particolari aggravi, ossia senza nuovo indebitamento. Si potrebbe fare semplicemente utilizzando le risorse che già vi sono. Molti comuni in relazione a questo aspetto hanno sollecitato lo sblocco di queste risorse.
Noi consideriamo il decreto una vittoria, come l'abbiamo definito, di tutta l'Italia che lavora e che produce e registriamo anche con piacere il fatto che il Governo abbia finalmente fornito una risposta a questo problema, più volte sollevato.
Crediamo, però, e lo ripeto, che, per poter risolvere in maniera strutturale il problema, non ci sia bisogno solo di una deroga una tantum al Patto di stabilità, ma anche di modificare la regola del Patto di stabilità per quanto riguarda gli investimenti. Si potrebbe fare tranquillamente come è stato fatto in Germania o in altri Paesi.
Vorrei ricordare, per chi non lo sapesse, che queste regole del Patto di stabilità non sono dettate dall'Europa. Dall'Europa, come avete potuto notare, sono dettati solamente i saldi. Come si raggiungono gli obiettivi sono «cavoli» di ogni Paese – scusate le mie parole, forse troppo dirette – e, quindi, non c’è alcun bisogno di bloccare gli investimenti. Peraltro alcuni investimenti ridurrebbero in maniera stabile la spesa corrente. Pensate semplicemente a un grande piano di efficientamento energetico degli edifici pubblici o a un grande piano sul dissesto idrogeologico. Ogni anno spendiamo circa 2 miliardi di euro per riparare i danni delle piogge primaverili. Basterebbe un miliardo di euro all'anno di investimenti pubblico-privati. I consorzi delle bonifiche hanno già presentato con noi diverse proposte in questa direzione e l'Associazione dei costruttori ha già dimostrato che metterebbe a disposizione risorse private per questo scopo. Il 60 per cento degli edifici pubblici sono in classe energetica ultima, pessima, con patrimonio immobiliare vetusto. Liberare risorse esistenti solo nelle città metropolitane italiane consentirebbe di compiere investimenti per quasi 4 miliardi di euro. Come sapete, lo sviluppo dei Paesi avviene essenzialmente grazie agli investimenti in innovazione e in sviluppo che si svolgono negli agglomerati urbani.
Noi chiediamo con forza ancora un ripensamento di questa misura. Anche il Parlamento precedente ha più volte all'unanimità approvato risoluzioni e ordini del giorno che andavano in questa direzione, ma che non sono stati assolutamente recepiti dal Governo.
Questa è la situazione in cui ci troviamo, che è anche frutto di una rigidità sicuramente giustificata dalla situazione della finanza pubblica di un anno e mezzo fa. D'altro canto, visto che abbiamo ottenuto risultati tanto brillanti dal punto di vista delle entrate, grazie all'IMU e a un efficace controllo della spesa, non si capisce perché nel 2013-2014 debbano continuare a esistere vincoli di questo tipo, in un momento in cui la recessione è tanto grave e il Paese soffre fortemente.
Per quanto riguarda il decreto-legge in particolare, Presidente, cerco di essere rapidissimo. Per noi è un decreto importante, io lo continuo a ripetere, un decreto che è un successo di tutta l'Italia che lavora, produce e ha necessità di questi soldi. Una volta le imprese fallivano perché avevano debiti. Adesso falliscono perché hanno crediti. Farle fallire perché hanno crediti con la Pubblica amministrazione pare francamente un'assurdità. Per quanto riguarda questo decreto, dicevo, noi avremmo voluto più spazi finanziari, perché la nostra disponibilità di cassa è, lo ripeto, di oltre 13 miliardi di euro. Questa disponibilità non c’è stata per i problemi che voi sapete, relativi al rispetto del rapporto deficit-PIL. A differenza di quelli delle regioni, infatti, i pagamenti che noi effettuiamo sono in conto capitale e, quindi, vanno sulla cassa e sul rapporto deficit-PIL. Non è nuovo debito, ma esiste quel limite. Noi avremmo voluto più disponibilità, considerando quella che abbiamo.
Soprattutto, però, si pone un problema, ossia che la dizione dell'articolo 1 del decreto rischia di penalizzare esattamente Pag. 21i comuni virtuosi. Prestiamo molta attenzione a questo aspetto. Noi chiediamo che si svolga una riflessione ulteriore su questo punto.
Molti comuni, proprio in virtù della necessità di osservare il Patto di stabilità, hanno programmato una riduzione importante degli investimenti. Hanno continuato, cioè, non a dilazionare i pagamenti, ma a ridurre gli investimenti. Si sono adeguati a un livello molto basso di investimenti e non hanno agito come alcune altre amministrazioni, che invece hanno continuato a emettere fatture che poi non pagavano.
Bisogna prestare attenzione affinché questo provvedimento non si riveli di fatto un condono per coloro che hanno agito con troppa leggerezza. Bisogna che sia permesso ai comuni che hanno assunto obbligazioni nel 2012, ossia che hanno assunto alcuni impegni e hanno anticipato spese in conto capitale a carico delle regioni, perché le regioni li avrebbero poi pagati, di poter effettuare a loro volta alcuni pagamenti. Occorre, cioè, che sia lo stato di avanzamento lavori, ossia l'obbligazione assunta prima dell'entrata in vigore del decreto, a fare fede e non semplicemente i debiti certi ed esigibili, se tale elemento viene interpretato come fatturazione.
Noi insistiamo molto su questo punto perché non vorremmo che poi vi fosse una discrepanza di trattamento. Rischiamo di avere comuni che sono in pre-dissesto o in dissesto e che hanno pagamenti molto vecchi da effettuare, che vengono favoriti rispetto a comuni che hanno ben amministrato e non si trovano poi a dover pagare le loro imprese. Si tratta di una situazione da tenere molto presente. Basterebbe una piccola attenzione su una frase. Ciò potrebbe consentire un equilibrio molto importante.
Molto rapidamente passo alla questione delle sanzioni a carico dei responsabili dei servizi. Poiché questa norma – svolgo solo un ragionamento generale – serve per effettuare i pagamenti, se vi si inseriscono disposizioni relative al Fondo di accantonamento, sanzioni a carico dei responsabili, o ancora il tema del Fondo svalutazione crediti ulteriormente incrementato, queste misure rischiano di ottenere l'effetto contrario. Se ci sono da applicare sanzioni, si applichino a carico dell'ente, dichiarandolo inadempiente ai fini del Patto. Non si vada a una sanzione personale. Questo mi parrebbe scorretto. Non si carichino ulteriori aggravi nei confronti di coloro che ottengono l'anticipazione del fondo, perché rischiamo poi di avere un effetto contrario, ossia che nessuno vada a chiedere l'anticipazione del fondo e che nessuno si assuma le responsabilità.
Poiché abbiamo la necessità di effettuare i pagamenti, e subito, per via della situazione drammatica delle imprese – tutti i giorni ci sono uno, due o tre imprenditori che entrano nei grandi comuni e sequestrano un dipendente comunale, che si vogliono buttare giù da un balcone, che si incatenano a un cancello; questa è la situazione – dobbiamo fare molto presto e intervenire subito. Evitiamo che norme penalizzanti in maniera specifica determinino un rallentamento, un'eccessiva burocratizzazione o addirittura una non fruizione del provvedimento.
Da ultimo, permettetemi di sottolineare che noi abbiamo un problema molto serio relativamente a due questioni. La prima è quella dell'IMU e la seconda quella della TARES. Non so, presidente, se ho ancora due minuti per svilupparle.
Quanto alla questione dell'IMU, vorrei sottolineare ai presenti che noi abbiamo subìto un taglio occulto, oltre ai tagli già certificati dal Ministro dell'economia e delle finanze, di quasi un miliardo di euro. Voi sapete che noi abbiamo subìto i tagli al fondo sulla base del gettito presunto IMU. Peccato che nel presunto gettito IMU sia stato calcolato il gettito degli immobili di nostra proprietà per 300 milioni di euro. Noi insistiamo – ovviamente noi non paghiamo l'IMU a noi stessi; non si è mai verificato questo gettito – che questi 300 milioni vengano tolti dal calcolo degli introiti IMU, perché semplicemente non ci sono.
Mi rendo conto di segnalarvi una questione surreale, ma noi abbiamo subìto Pag. 22tagli su un gettito che non si è mai verificato e che mai si verificherà. Inoltre, il taglio era considerato sulla base del delta tra il gettito ICI e il gettito IMU. L'aggiornamento del gettito ICI avrebbe dovuto essere basato sull'ultima rilevazione ISTAT presente. Allora era un determinato gettito, poi è cambiato, cioè è stato aumentato e, quindi, il delta si è ridotto di circa 400 milioni di euro. Noi abbiamo subìto, dunque, tagli aggiuntivi per 400 milioni di euro che in sede di verifica del gettito effettivo IMU avrebbero dovuto essere stornati e restituiti ai comuni, il che non si è verificato. In più, ci sono altri 200 milioni di euro di gettito non risultato.
Noi stiamo discutendo, per usare un eufemismo, con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Ragioneria generale dello Stato perché questo miliardo di euro che avrebbe dovuto essere gettito dei comuni non si è verificato, ma noi abbiamo subìto comunque i tagli.
Auspichiamo che almeno i comuni che hanno immobili di loro proprietà, come quelli che hanno un grande patrimonio pubblico per l'edilizia residenziale e sociale, non subiscano oltre al danno anche la beffa. Hanno il danno di dover gestire un grande patrimonio pubblico, il che è un impegno che, come voi sapete, non comporta un guadagno, e poi subiscono addirittura la beffa di avere un ulteriore taglio rispetto ai loro colleghi che non hanno patrimonio pubblico. È veramente una situazione insostenibile.
La seconda questione, telegraficamente, è il tema della TARES. L'ANCI ha sempre chiesto il rinvio al 2014 della TARES per una questione di principio. La TARES fu concepita – noi ne discutemmo, anch'io personalmente, con il precedente Governo – come tassa che avrebbe dovuto servire a finanziare i servizi indivisibili dei comuni, perché non esisteva l'IMU prima casa. Essendoci ora l'IMU prima casa, la TARES filosoficamente avrebbe perso significato. Se, però, ne ha uno, se lo deve avere, che almeno non sia una tassa che determina un deficit di liquidità, come stava accadendo per le casse dei comuni e delle aziende che raccolgono i rifiuti.
Noi salutiamo come il miglior compromesso possibile, attualmente, il fatto che la TARES sia stata rinviata a dicembre, ma continuiamo a sostenere che occorre un ripensamento sulla natura del tributo, sulla sua utilità e sul fatto che rimanga in carico ai comuni, come tutta l'IMU dovrebbe rimanere in carico ai comuni per definizione. Credo che questo supplemento di riflessione vada svolto, ragion per cui noi insistiamo perché il tributo venga rimandato al 2014.
Intanto abbiamo ottenuto che almeno i cittadini sappiano che questo è un tributo totalmente dovuto allo Stato. Occorre che sia chiaro che chi riscuote e chi incassa non sono i comuni, ma lo Stato. Questo ci pare un compromesso accettabile. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, presidente. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
ANGELO RUGHETTI. Ringrazio il presidente Delrio e il presidente Saitta per l'esposizione puntuale e dettagliata dei temi nelle relazioni.
A me sembra che il problema di questo decreto-legge sia un po’ nell'oggetto, perché tratta di debiti scaduti e non si preoccupa di andare a utilizzare questo 0,5 per cento in più di indebitamento netto per ampliare gli spazi del Patto di stabilità interno. Da questo, secondo me, nascono alcune difficoltà nell'impostazione del decreto stesso, che non coglie appieno le esigenze che ci sono sul territorio e nelle amministrazioni locali.
Ho sentito che uno dei temi è quello delle amministrazioni virtuose, perché in questo modo i comuni che hanno effettuato un allineamento tra cassa e competenza non utilizzano i benefici del decreto, mentre altri comuni che hanno compiuto questa operazione godono di tale vantaggio.
Volevo sapere se è disponibile un'analisi della ripartizione territoriale degli Pag. 23eventuali enti beneficiari, perché abbiamo letto sui giornali negli scorsi giorni che qualcuno ha definito questo un decreto anti-Sud, o qualcosa del genere.
E ci domandiamo se non sarebbe opportuno rivedere, secondo voi, la norma, perché paradossalmente, con questo decreto accadrebbe che alcune imprese che hanno fatturato il 29 dicembre 2012 potrebbero accedere al beneficio, mentre imprese che hanno fatturato il 3 gennaio non accederebbero, pur trattandosi in entrambi i casi di debiti scaduti, certi ed esigibili.
L'altra questione che volevo sottoporre riguarda la definizione. Nel decreto viene individuata una definizione, all'articolo 1, comma 1, piuttosto puntuale, che però potrebbe essere forse migliorata. Vorrei sapere se su questo punto sono stati svolti esercizi dalle associazioni per proporre emendamenti puntuali che non alterino ovviamente i saldi di finanza pubblica, ma abbiano effetti concreti sia sugli enti che possono rientrare nel decreto, sia sulle imprese che possono accedere.
L'ultima questione riguarda le procedure. A me sembra che il decreto sia impostato secondo una logica molto formalistica. C’è poca cultura dell'obiettivo, del risultato, e molta normativa. Ci si preoccupa di fare in modo che un comma coincida con l'altro, ma non di capire se poi effettivamente i pagamenti verranno eseguiti o meno. Vorrei capire se avete proposte in termini di semplificazione della procedura e se una procedura così complessa possa essere gestita da tutte le amministrazioni comunali e locali, perché io ho l'impressione che ci sia una difficoltà oggettiva, operativa, che rischia di far sì che questo decreto, che ha tante potenzialità, alla fine non abbia modo di essere gestito.
GIAN CARLO SANGALLI. Ringrazio gli intervenuti per la loro esposizione. Io seguo le considerazioni del mio collega.
La percezione che si ha di questo decreto, soprattutto sul versante delle imprese, è che ci sia un atteggiamento che tutela molto l'amministrazione, molto procedurale, molto cautelativo, e che si sposti molto dell'onere, non solo dell'incasso, ma anche della prova, su coloro che sono creditori.
C’è molta effervescenza. In realtà, si tratta di un decreto presentato con l'idea di essere una rottura con la situazione precedente, basato su rapidità ed efficienza, con determinate scadenze che vengono fissate, ma che rischia di rimanere appeso a una situazione in cui non passa il passato e non arriva il futuro. È la situazione tipica della burocrazia italiana.
Nel decreto ci sono scadenze molto precise. Per esempio, al 30 giugno 2013 le amministrazioni sono tenute a fornire l'elenco completo dei debiti da onorare e a comunicare alle imprese creditrici il piano dei pagamenti, nonché a registrarsi nella piattaforma elettronica, costituita presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, nella quale pare non si sia registrato praticamente nessuno o pochissimi, per il rilascio della certificazione dei debiti.
È possibile che ciò si faccia ? Avverrà, o ci troveremo come nella precedente registrazione alla piattaforma elettronica, nella quale non si è registrata se non qualche situazione marginale ?
Lo domando perché, condividendo molto le parole soprattutto del presidente Delrio, ho l'impressione che, se non troviamo nel decreto un meccanismo che metta a posto i conti con le imprese il più rapidamente possibile, attraverso un metodo compensativo di debiti e crediti con le pubbliche amministrazioni, per immettere liquidità con la maggiore rapidità possibile, se ci infiliamo in tutta questa situazione come primo asse di intervento, rischiamo di non arrivare a nulla, o comunque non in tempi tali da salvare quella quantità di imprese che questo intervento non sussidia. Questo intervento, infatti, paga debiti delle amministrazioni verso creditori, che hanno il diritto di esercitare la funzione creditrice. Credo che ci sia davvero di che preoccuparsi.
Sono d'accordo con il presidente sul tema del Patto di stabilità. È una questione politica rilevante e noi dovremmo Pag. 24approfittare di questa situazione per modificare sostanzialmente la visione del nostro Paese in merito a tale Patto.
Dobbiamo intervenire con l'idea che ci sono le possibilità di pagare queste risorse e che esse debbano essere messe in campo il prima possibile, non facendo incorrere gli amministratori in rischi eccessivi. Contemporaneamente, tali erogazioni vanno fatte, non velleitariamente, ma con procedure molto semplici e con le giuste distinzioni tra buone e cattive amministrazioni. Diversamente, tutto diventa uguale e nel tutto uguale è la cattiva amministrazione che vince sulla buona, perché è sempre l'erba cattiva che vince sulla migliore.
PRESIDENTE. Per il Movimento 5 Stelle hanno chiesto di intervenire i colleghi Cariello, Pesco, Molinari, Ruocco, che dispongono complessivamente di sei minuti.
FRANCESCO MOLINARI. Sarò molto telegrafico, anche per non rubare tempo agli altri miei colleghi. Naturalmente noi abbiamo accolto ben volentieri l'invito alla riduzione complessiva dei costi della macchina burocratica, che è il nostro obiettivo principale, evitando duplicazioni inutili, che aggravano soltanto i costi complessivi. Parlo sia della parte statale, sia di quella degli enti locali.
La questione che, però, a me premeva sottolineare, per restare sull'oggetto e non entrare adesso in discorsi più complessivi, era quella di capire che l'obiettivo cui noi vogliamo mirare è che questi soldi, pochi e maledetti, arrivino subito alle imprese. Poiché il presidente Saitta aveva esposto nella sua relazione queste difficoltà di applicazione, noi vorremmo capire, dato che il nostro intervento come legislatori dovrebbe essere quello di eliminare queste difficoltà, a quali si riferisce esattamente e su quali ritiene sia utile intervenire nella fase emendativa di questo decreto-legge, proprio per consentire che questi soldi, pochi e maledetti, arrivino immediatamente alle imprese.
DANIELE PESCO. Signor presidente Delrio, l'UPI dichiara che è necessario rivedere i tagli alle province previsti nel decreto, in quanto riguardano i consumi intermedi e precisamente i servizi ai cittadini, come la manutenzione, la messa in sicurezza delle strade e delle scuole, la difesa del territorio, i servizi per il lavoro e per la formazione e la gestione dei rifiuti. Voi proponete un taglio equo, nel senso che lo Stato centrale debba farsene carico, ma non sarebbe opportuno che siano gli stessi enti locali a indicare allo Stato le voci di spesa sulla quale è corretto tagliare ?
Approfitto della domanda per precisare che la posizione del Movimento 5 Stelle non è assolutamente per tagliare le province in toto. Noi siamo per risparmiare sulla gestione delle province e, quindi, sulla classe politica, perché pensiamo che una riorganizzazione delle province possa sicuramente portare un forte contributo in termini di risparmio. Voi parlate di 68 milioni di euro. Secondo noi, le cifre sono un po’ più alte. Perché non condividere i calcoli ? Facciamoli insieme per vedere quale sia il risparmio effettivo.
Volevo aggiungere che in Parlamento ci sono diversi dipendenti pubblici, tra cui il sottoscritto e alcuni colleghi di altre forze politiche. Secondo noi, è importante aprire un tavolo anche per la riorganizzazione dei servizi delle province, riorganizzazione alla quale noi avremmo già potuto mettere mano, se fossero partite le Commissioni permanenti, che non sono ancora partite. Avremmo sicuramente portato un forte supporto alla Commissione affari costituzionali, la quale, invece, purtroppo non è partita.
Mi dilungo ancora un attimo per osservare, come provincia di Milano, che i tagli, se ci sono già stati, sono stati forti, grazie anche alle leggi dello Stato. Io mi occupo di edilizia e devo dirvi che sulla manutenzione straordinaria non si spende più nulla. Si spendono solo pochi soldi sulla manutenzione ordinaria. Penso che la situazione sia la stessa anche in altre province. La situazione è già abbastanza critica.
FRANCESCO CARIELLO. Mi rivolgo all'Associazione dei comuni. Nell'ottica della certificazione dei debiti e della semplificazione delle procedure dei pagamenti, il Movimento 5 Stelle richiede all'ANCI di predisporre un piano di risorse che ogni singolo comune possa mettere a disposizione della comunità intera. Domanda, inoltre, che dello stesso piano sia data opportuna pubblicità a cittadini e imprese, in modo tale da divulgare il più possibile l'indicazione di quali risorse si occuperanno della certificazione.
Il Movimento 5 Stelle, inoltre, vi chiede in che modo l'ANCI possa supportare gli stessi comuni nell'attività di certificazione dei debiti.
CARLA RUOCCO. Intervengo relativamente alla TARES e mi rivolgo all'ANCI. Sulla criticità emersa riguardo la TARES, volevo porre una domanda specifica. Mi domandavo, cioè, se fosse collegata anche alla mancata mappatura degli immobili da parte di molti comuni, oppure al non aggiornamento delle rendite catastali e che cosa si intenda fare per superare queste criticità.
ENRICO ZANETTI. Innanzitutto: il tema del limite del 13 per cento, per quanto riguarda l'utilizzo immediato delle somme per chi ha giacenza di cassa, pare basso anche a me. Però bisognerebbe anche capire, con riferimento alla distribuzione del miliardo di euro e dei 13 miliardi di euro rispettivamente per province e comuni, se elevare troppo tale limite non finisca eventualmente per determinare situazioni di sperequazione tutto sommato eccessiva. Sarebbe interessante capire come sono distribuiti i residui di cassa complessivi cui voi avete fatto cenno.
Dopodiché, mi pare giustissima l'osservazione sull'importanza di correggere il criterio puro e semplice dell'anzianità, come criterio preferenziale nell'ordine dei pagamenti, perché senza una correzione si può incorrere in quel rischio che sottolineavate, ossia di penalizzare i comuni più virtuosi. Spero che ci siano anche alcune indicazioni tecniche, di cui sicuramente potremo fare tesoro.
Per quanto riguarda gli aspetti legati ai funzionari e alle sanzioni, francamente non sono d'accordo. In questo senso vorrei ricordare anche a tutti i colleghi che, se siamo di fronte a un sistema tutto sommato un po’ farraginoso, è perché ci troviamo ad attuare un sistema di pagamenti in un contesto in cui la contabilità pubblica non è in grado di comunicarci già la mappatura della situazione. Quindi semmai bisogna spingere perché si arrivi attraverso questa norma anche a una messa a regime di un'informativa contabile nazionale più puntuale, proprio per evitare in futuro di seguire altre procedure farraginose di questo tipo. In questo momento, però, francamente credo che alcune sanzioni anche personali, nell'istante in cui vediamo, come la storia ci insegna, che anche sulla certificazione telematica solo pochissime pubbliche amministrazioni si sono accreditate, debbano esserci e debbano essere difese.
Un discorso collegato è quello sul Patto di stabilità. Sono d'accordissimo, ma mi sembra evidente che anche questa sia una questione collegata. Di fatto il Patto di stabilità in Italia è declinato sulla base della consapevolezza che, poiché non siamo in grado di dominare il nostro bilancio pubblico, bisogna porre tutta una serie di paletti. Di fatto il Patto di stabilità è un costo sociale scaricato sui cittadini per l'incapacità dello Stato di avere un quadro chiaro delle sue posizioni debitorie e di costo. Anche su questo punto credo che bisogna svolgere una riflessione importante e sono questi i termini della questione: vi è l'inefficienza indegna nella gestione del bilancio pubblico dello Stato, che scarica sui cittadini vincoli che nemmeno l'Europa richiede.
Questi sono i termini con cui vogliamo andare a risolvere il problema. Non voglio neanche sentir parlare di togliere le già troppo basse sanzioni che in questo momento sono previste nel presente procedimento.
MARIO MARAZZITI. Concordo con il collega Zanetti.Pag. 26
Vorrei solo ringraziare i presidenti Saitta e Delrio per le loro comunicazioni e osservare che sicuramente va tenuto almeno il rinvio a dicembre della TARES. Penso sia da accogliere, o almeno da sostenere, l'ipotesi di una reinterpretazione della flessibilità nel Patto di stabilità interno, magari anche in chiave di investimento, nel caso in cui ciò serva ad arginare fonti regolari di spesa. L'esempio del dissesto idrogeologico e altri che sono stati citati, mi sembravano pregnanti.
Bisogna, però, sottolineare l'ultimo fatto che evidenziava il collega Zanetti, ossia che l'informatizzazione e l'informativa contabile nazionale sono a un livello ancora da principianti. Solo 1.700 enti su 20.000 hanno cominciato ad aderire ed è certificato un debito solo per 300 milioni di euro a fronte di 90 miliardi di euro. Bisogna cogliere questa occasione per compiere uno sforzo gigantesco per mettersi in linea. Chiederei all'ANCI e alle province di indicare anche loro che cosa si può fare in questo tempo, nell'arco di questo lavoro, per raggiungere questo obiettivo.
Infine, sul tema, fortemente sottolineato, delle province e del taglio dei costi, volevo rilevare che il problema del taglio dei costi non può essere quantificato solo nei costi puri della macchina amministrativa, cioè i circa 104 milioni di euro. Il problema in Italia – e chiudo – è quello di ridurre il numero dei livelli di rappresentanza politica, che non debbono necessariamente coincidere con i livelli di rappresentanza e di gestione amministrativa. Questo aspetto rappresenta un vero costo e un peso per la macchina dello Stato, per la sua complessità, e addirittura, alla fine, anche la chiusura al merito dei cittadini, i quali restano tagliati fuori dalle competizioni politiche.
GIULIO MARCON. Anch'io ringrazio i presidenti Saitta e Delrio per le loro comunicazioni. Noi riteniamo che le valutazioni che hanno svolto, relativamente alla necessità di rivedere il Patto di stabilità, per poter fare investimenti e spendere i soldi che hanno in cassa, siano assolutamente condivisibili. Crediamo che tali valutazioni vadano sostenute e, da questo punto di vista, le proposte che in particolare l'ANCI ha presentato con gli emendamenti contenuti nel documento che ci è stato distribuito sono, per quanto ci riguarda, condivisibili. Faremo nostra, dunque, la gran parte degli emendamenti che l'ANCI ci ha consegnato e che, lo ripeto, ci sembra assolutamente condivisibile. Porteremo gli emendamenti in sede di discussione e di modifica del decreto, attraverso proposte specifiche che riprendano il senso e anche la lettera delle proposte avanzate dall'ANCI.
Crediamo anche che le valutazioni che faceva il presidente Saitta sulla necessità di rivedere il Patto di stabilità, per esempio, allo scopo di promuovere una sorta di piano, o comunque una serie di interventi che possano essere caratterizzati come piccole opere, sia anche a sua volta assolutamente condivisibile. A ogni legge di stabilità, e poi con i provvedimenti del CIPE, noi stanziamo tanti soldi per grandi opere che o non si realizzano, o non partono. Questo è un Paese che ha drammaticamente bisogno di piccole opere: pensiamo alle scuole, alle strade, al riassetto ideologico del territorio. Da questo punto di vista, noi riteniamo che bisogna effettuare un'inversione di rotta e magari liberare un po’ di risorse destinate alle grandi opere, che non servono e non partono, per permettere ai comuni e alle province di spendere i soldi che hanno per realizzare le piccole opere di cui il nostro Paese ha drammaticamente bisogno. Anche su questo punto noi sosteniamo le proposte e le valutazioni che l'ANCI e l'UPI hanno svolto.
Sollevo due questioni. Pongo la prima al presidente Saitta, il quale tinteggiava un quadro fosco rispetto agli attuali tagli a regime che le province subiscono e parlava di stipendi che potrebbero non essere pagati e di opere essenziali che non possono essere portate avanti. Vorrei chiedere se l'UPI ha una simulazione, se il suo Ufficio studi ha già delineato che cosa può succedere quest'anno o il prossimo anno Pag. 27con i tagli previsti e con la situazione di finanza locale che voi ci avete presentato.
A entrambi, invece, sia al presidente Delrio, sia al presidente Saitta, vorrei riproporre un punto che ha sollevato il senatore Sangalli sulle procedure per la certificazione dei crediti. Nel decreto è indicata una tempistica, una procedura. Volevo sapere se potete meglio approfondire il vostro giudizio sulle procedure previste, se, secondo voi, possono funzionare nei tempi previsti e se, come UPI e ANCI, avete proposte diverse, alternative o integrative, rispetto alle procedure che il decreto prevede.
BRUNO TABACCI. Ovviamente gli interventi dei due presidenti hanno allargato il campo, ma la discussione su questo decreto è molto stringente e non consente di affrontare questioni istituzionali o di finanza locale in senso più ampio.
Non c’è dubbio che, anche per ragioni di rispetto, le province non siano il male del Paese, ma è anche vero che quattro livelli di governo sono troppi e che il nostro sistema istituzionale non li regge più. È una constatazione di cui dovremmo prendere coscienza.
Con riferimento alle questioni poste dal presidente Delrio, concordo sul fatto che l'alleggerimento del Patto di stabilità, per riavviare un'efficace politica di investimento degli enti locali, sia il prossimo passo che si deve compiere all'interno di una revisione complessiva del rapporto tra Stato ed enti locali in materia di finanza locale, nel quale entrano anche le finalizzazioni legate alla gestione dell'IMU e della TARES.
Tuttavia, siamo di fronte a un decreto molto specifico, che ha attinenza col pagamento di debiti scaduti della Pubblica amministrazione. Tutto quanto è possibile e necessario fare per accelerare queste procedure è fondamentale, perché questi quattrini vengono comunque stanziati con tale finalizzazione.
Dovremmo porci, però, e ho concluso, anche una domanda su come si sono formati questi debiti verso i fornitori. In merito ho trovato le spiegazioni di Delrio parziali. Io credo che ci siano altri due punti sui quali conviene andare in profondità. Il primo è la gestione opaca e strumentale dei residui nei bilanci degli enti locali e il secondo riguarda le entrate sovrastimate che hanno coperto e giustificato l'assunzione di impegni di spesa, che non erano nella disponibilità degli enti locali.
Questi sono due elementi fondamentali che attengono alla gestione del bilancio degli enti locali e di cui bisogna prendere piena consapevolezza. Diversamente, il provvedimento di oggi sarebbe un tampone, ma si riproporrebbe nel tempo, perché nel frattempo si riaccumulerebbero i debiti nei confronti dei fornitori.
DANIELE PESCO. Forse le mie parole di prima sono state fraintese. La posizione del Movimento 5 Stelle è ferma sull'abolizione delle province. Siamo comunque certi che i servizi per i cittadini debbano essere svolti da altri enti o da altre entità.
PRESIDENTE. Brevissimamente do la parola ai relatori, che avevano chiesto di intervenire.
GIOVANNI LEGNINI. Signor presidente, in premessa condivido il fatto che a questo provvedimento andrebbe accompagnato un altro intervento serio, che elimini le cause che hanno generato questa situazione. Naturalmente ciò porta dritto al tema rilevantissimo della modifica del meccanismo del Patto di stabilità, che tra le tante questioni permette di spendere senza pagare. Questo è uno dei motivi per cui ci troviamo in questa situazione.
Pur tuttavia, credo che la situazione politico-istituzionale nella quale ci troviamo e i tempi che abbiamo di fronte difficilmente ci possano consentire di ampliare il contenuto di questo decreto in quella direzione. Essa richiederà un intervento riformatore molto approfondito, che mi auguro possa avvenire nel più breve tempo possibile, quando ci sarà un Governo operativo a pieno titolo.
Ho detto questo perché noi abbiamo bisogno, sia nei confronti del sistema delle Pag. 28autonomie locali e delle regioni, sia del sistema delle imprese, di evitare una posizione in base alla quale il decreto va bene, come hanno affermato il sindaco Delrio e il presidente Saitta, ma non abbiamo risolto il problema. Incassiamo, cioè, un decreto ben confezionato ed efficiente, ma poi dobbiamo impegnarci tutti a intervenire sul resto. Questa è la mia opinione. Mi piacerebbe conoscere anche la vostra opinione su questo punto.
In secondo luogo, se l'impostazione sommaria che riferivo dovesse essere condivisa da tutte le componenti, noi dovremmo concentrarci su come rendere più efficienti le misure contenute nel decreto e io ritengo che ci siano margini di miglioramento in abbondanza.
Su un punto volevo porvi una domanda. Il mondo delle imprese ci chiede di eliminare tutti gli adempimenti intermedi, le programmazioni, gli intralci, tutto ciò che ha reso difficilmente attuabile il vecchio regime. Ci hanno chiesto di mettere al centro dell'intervento normativo il creditore, l'impresa, la necessità di pagare subito.
Questa esigenza, condivisibile, potrebbe aprire, però, come hanno detto alcuni colleghi, tra cui Causi, in altra circostanza, ed altri, un rischio sanatoria. È evidente che, se dovesse prevalere la tesi di eliminazione di tutti gli adempimenti intermedi o comunque di forte attenuazione, a presentazione della fattura, del titolo di credito o di qualunque altro titolo noi dovremmo effettuare conseguentemente il pagamento. Qual è la vostra posizione su questo punto ?
Inoltre, siete in grado voi autonomie, poiché siamo in un contesto nel quale non ci sono dati – si parla di 90 miliardi di euro, ma non si sa come sono composti; speriamo entro l'anno di arrivare a un punto – di fornire dati relativi alla distinzione tra debiti correttamente contratti e debiti fuori bilancio ? A questo fine avrebbe un rilievo il debito fuori bilancio a tutti gli effetti, se riconosciuto; sta dentro questo intervento. Esistono stime in questa direzione ?
Vengo al terzo punto e finisco, presidente. Sarò lapidario. Si dice che esiste un allarme liquidità da parte degli enti locali e che ci sono 13 miliardi di euro giacenti. Quale delle due affermazioni è vera ? Ci sono enti locali, comuni – le province sappiamo come sono messe, perché ce l'ha riferito il presidente Saitta – che hanno un problema di liquidità serio, attualissimo, oppure no ? Come si supera il tema della discriminazione dei comuni virtuosi, posto che noi difficilmente possiamo trasformare questo in un decreto di nuova spesa ? Come affrontiamo questo serio problema della discriminazione degli enti locali virtuosi ?
MAURIZIO BERNARDO. Pongo velocemente due domande. Sul tema della fattibilità delle procedure di pagamento, che più volte avete richiamato voi, nella sua difficoltà complessiva: come immaginare di semplificare ?
Come seconda questione, rispetto alla quantificazione e a ciò che abbiamo letto nel decreto sui miliardi assegnati agli enti locali, voi ritenete che sia una cifra congrua ? Anche rispetto alla destinazione, avete un'idea in merito alla tipologia di imprese sul territorio tra Nord e Sud e in quale direzione andare ?
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
ANTONIO SAITTA, Presidente dell'UPI e presidente della provincia di Torino. Il tema di carattere generale che è stato sollevato in molti interventi verte sulla dimensione del limite che è stato indicato, ossia della soglia dei 5 miliardi di euro. La sensazione è che, in base alle stime che possiamo far avere alla Commissione, sicuramente quei 5 miliardi sono insufficienti. In più, non c’è alcuna indicazione per il 2014. So anche quali sono le motivazioni. Il provvedimento è biennale, ma c’è soltanto un'indicazione di 5 miliardi di euro per il 2013.
Io credo, come affermava poco fa l'onorevole Legnini, che probabilmente la dimensione complessiva del debito della Pag. 29Pubblica amministrazione non è nota (non dico «con precisione»; dico che non è nota, non qualifico il dato).
Ho l'impressione, quindi, che il provvedimento, per come è stato strutturato, con alcune barriere in entrata e alcuni limiti, serva a dimensionare complessivamente il fenomeno, per poi procedere.
In base ai dati che abbiamo, 5 miliardi di euro sono insufficienti. È una piccola somma. Vedrete che alla fine, in base ai dati che abbiamo, emergerà che il comparto degli enti locali è in grado di utilizzare una cifra sicuramente superiore. Si parlava di 9 o 10 miliardi di euro, una cifra comunque consistente.
Per quanto riguarda le procedure, è chiaro che, trattandosi di pubbliche amministrazioni, non possono che essere corrette, facendo assumere la responsabilità a chi ne ha le competenze, ossia ai dirigenti. La legge Bassanini vale sempre, ormai. Io credo che si possano diversificare le procedure. Si potrebbe adottare una prima procedura semplificata, nella fase di avvio, da utilizzare nelle more del sistema definitivo, che poi diventi elemento di conoscenza del Ministero dell'economia e delle finanze. Nelle more del sistema definitivo io credo che ci possa essere un processo semplificato di autocertificazione.
Il limite che è stato indicato, poiché non si prevede di pagare tutto anche se c’è disponibilità di cassa, implica che poi servirà un momento di verifica successiva. Sicuramente, se l'autocertificazione fosse errata, verrebbe poi scoperta, in quanto tale.
Si potrebbero, quindi, prevedere due procedure, una nella fase di avvio, nelle more dell'applicazione, per immettere subito liquidità, con l'autocertificazione come elemento di riferimento per poter partire, e un'altra, nella fase conclusiva, in cui viene assegnata la quota ente per ente, nella quale si richiederanno atti più forti che non la semplice autocertificazione. Bisogna fidarsi, in sostanza. In fondo, siamo Pubblica amministrazione tutti. C’è anche un rapporto di carattere fiduciario.
È stato chiesto qual è il quadro nazionale. Un errore che normalmente viene commesso nella lettura dei fenomeni che riguardano gli enti locali è rappresentato dal darne una lettura nazionale. La situazione è diversificata, perché ci sono storie diverse, regioni diverse, competenze diverse. Per questo motivo qualunque modalità che voglia affrontare in modo corretto questo tema richiede un'analisi. Alcuni lavori sono stati svolti. Il Parlamento ne è in possesso. Penso ai costi standard. C’è un gran lavoro piuttosto preciso che potrebbe mettere finalmente in moto un meccanismo che normalmente noi immaginiamo virtuoso, ma la cui interpretazione è soggettiva. Ognuno legge come meglio ritiene il significato del termine virtuoso. Ci sono elementi importanti, come il rapporto della spesa per il personale sulla spesa corrente. Sono elementi di virtuosità che si potrebbero introdurre. Probabilmente, in attesa di un sistema molto articolato, un elemento di buonsenso si può cominciare a introdurre. Non so se lo si possa fare in questo contesto, sto parlando di un ragionamento complessivo.
Chiederei, dunque, di evitare una lettura generalizzata, come anche l'onorevole Tabacci faceva, in ordine al fenomeno. Ci sono sicuramente situazioni diversificate e la buona e la cattiva politica, continuo a ripeterlo, sono diffuse in tutto il sistema pubblico, dal Governo nazionale al livello locale. Le modalità sono diverse.
Io penso, quindi, a una sorta di autocertificazione per partire. Lo dico perché mentre preparavo questo incontro, è uscito il decreto-legge e come provincia di Torino l'abbiamo esaminato per vedere che cosa potessimo pagare subito. Abbiamo lavorato – avevamo avuto la bozza in precedenza – per due giorni intensi con tutta la struttura. Essendo presidente dell'UPI, mi sono avvalso di alcune conoscenze in più e, dopo due giorni, i nostri dirigenti hanno firmato e sono partiti 7 milioni di mandati di pagamento.
È stata una sofferenza che non vi racconto, in cui mi sono anche assunto alcune responsabilità dirette. Troverei assurdo, Pag. 30infatti, che, avendo soldi in cassa, io non paghi e aspetti l'interpretazione della norma.
Adesso siamo arrivati a un punto in cui bisogna assumersi alcune responsabilità, altrimenti l'operazione non funziona. Non vorrei che avessimo suscitato attese, e poi stabilito vincoli, per motivi magari di determinazione del monte complessivo, ma che non permettano poi di utilizzare quanto abbiamo in cassa. Il motivo è questo.
Mi permetto di aggiungere anche un altro tema, che sarà oggetto anche di un nostro emendamento, sempre per allargare la base. Nelle norme precedenti di un anno fa, mi pare, era previsto che le plusvalenze, ossia ciò che si introita vendendo gli immobili, processo che è ormai in corso perché si sono contenute le spese per potere fare investimenti e anche per fare funzionare gli enti, potessero essere utilizzate per pagare. È presente il presidente della provincia di Milano, che mi suggeriva questo punto. Utilizzare le plusvalenze è una modalità che consente di allargare la base. Noi siamo alla ricerca di modalità per allargare la base, sapendo che ci sono alcuni limiti. È un modo per potere pagare.
In ogni caso c’è un elemento che a me sembra complesso, su cui inviterei il Parlamento a riflettere. Si tratta dei canali di comunicazione fra i sistemi. Ci sono 5 miliardi per gli enti locali e si può iniziare a utilizzare quel 13 per cento. Chi non ha cassa, può attingere al fondo dei 2 miliardi per il 2013-2014. La regione ha il suo fondo alimentato e può pagare le province e gli enti locali.
Il sistema di per sé, però, mi sembra un po’ a compartimenti stagni: se non partono le regioni perché hanno difficoltà, non si liberano quote di Patto agli effetti degli enti locali. È stato svolto probabilmente un esame attento comparto per comparto, ma, poiché il sistema è interconnesso, richiede una verifica di praticabilità tra tutti i soggetti interessati a compiere questa operazione, essendoci poi un punto di convergenza.
Questo mi sembra un elemento che potrebbe aiutare a pervenire alla semplificazione e, in ogni caso, ad allargare subito la base. Se non si allarga subito la base con questa modalità, noi pagheremo complessivamente – questa è la stima che noi ci sentiamo di fare, e che Il Sole 24 Ore riprendeva, tenendo conto di quello che c’è in Tesoreria – il 3-6 per cento dei debiti nella fase di avvio. Arriviamo forse al 10, ma significa che passeranno ancora quattro o cinque mesi in cui non si farà assolutamente nulla. Questa è la preoccupazione che noi abbiamo.
Passo all'ultima questione. So che non è il tema di oggi, ma, per rispondere all'onorevole del Movimento 5 Stelle, noi siamo disponibili volentieri a partecipare a un incontro e a vedere. Accettiamo la sfida. Non si può avere un pregiudizio per cui, essendoci quattro sistemi di governo, si affermi, senza aver verificato i conti, che sono da abolire le province e non le regioni, come se in esse ci fosse la virtuosità e noi fossimo non virtuosi. Occorre una riflessione completa e in questo senso noi accettiamo la sfida. Io credo che ci sia la necessità di evitare sovrapposizioni. Siamo noi i primi a dirlo. Una semplificazione, un accorpamento è sicuramente da compiere, probabilmente ritornando all'articolo della Costituzione che recita che le regioni hanno competenze legislative e non amministrative, mentre in questo Paese il Governo fa amministrazione, le regioni fanno amministrazione e coloro che dovrebbero fare amministrazione sono pestati da tutti gli altri.
Il sistema non funziona, ma io inviterei, ed è un appello finale a questa riflessione, soltanto a guardare i numeri. Chi fa opinione, magari un opinionista di un grande quotidiano, si pronuncia senza aver verificato i numeri. Noi abbiamo fornito risposta a lui, ma credo che dobbiamo fornire risposte alle nostre comunità, che mi sembra la questione più interessante. Ma sicuramente il Parlamento di ciò è perfettamente convinto.
Vi ringrazio.
GRAZIANO DELRIO, Presidente dell'ANCI e sindaco di Reggio Emilia. Cerco di essere telegrafico e, quindi, mi scuso con gli onorevoli per l'approssimazione delle mie risposte.
Il tema è quello dell'efficienza del decreto e di che cosa prevediamo. Intanto i nostri sono soldi presenti in cassa. Entro il 15 maggio noi abbiamo tutti gli spazi finanziari disponibili. I comuni stanno già certificando in gran parte questi soldi e li erogheranno appena arriverà il testo definitivo, a seconda anche di come uscirà, a fronte di questi debiti certi ed esigibili.
Noi non abbiamo problemi di tempi sulla parte in conto capitale. La farraginosità delle procedure è per coloro che non hanno soldi in cassa e riguarda soprattutto la gran parte degli altri pagamenti. Per quanto riguarda noi, concerne la parte dei 2 miliardi di euro.
Noi sottolineiamo, però, con forza che su questi miliardi, che verranno immediatamente pagati, perché il 15 maggio ci sarà la certificazione degli spazi finanziari, non si penalizzino le amministrazioni virtuose, come veniva ricordato nei primi interventi dall'onorevole Rughetti e poi da altri.
Prestiamo attenzione a fare in modo che questa interpretazione, come è scritto nel nostro emendamento, venga applicata anche allo stato di avanzamento lavori, per evitare che chi ha fatturato il 29 dicembre sia pagato e chi ha fatturato giorni dopo no. È un elemento che può creare gravissime disparità.
Qualcuno ha parlato di distribuzione geografica. C’è una distribuzione geografica diversa della cassa: il Centro-Nord ha sicuramente più cassa rispetto al Sud e, quindi, i pagamenti probabilmente vi avverranno più celermente, perché l'altra modalità richiede l'accesso al fondo.
Concentrandoci sulla prima parte, per noi è importante che non vengano penalizzate le amministrazioni virtuose e che gli stati di avanzamento lavori vengano inclusi e, quindi, che si riesca a non rendere più difficile la questione per coloro che hanno lavorato bene in questi anni, o che comunque hanno seguito le regole.
Per quanto riguarda il resto, invece, le mie osservazioni erano esattamente tese a suggerire come si potrebbe rendere più fruibile il resto. Il punto non è che non vogliamo la responsabilità individuale. Assolutamente, c’è la responsabilità, però, poiché si pone il tema che la sanzione avviene anche se la richiesta fatta dal ragioniere non è sufficiente o congrua, tale fatto rischia di provocare quello che ha descritto il presidente Saitta poco fa, ossia che i ragionieri si siedano e abbiano paura a certificare una richiesta sufficiente o congrua. Auspico che almeno si faccia in modo che i procedimenti siano basati su elementi accertabili. Siamo d'accordissimo che poi l'ente vada punito, se inadempiente.
La seconda questione, sempre rispetto al tema della liquidità, è stata sollevata dall'onorevole Legnini e da altri. Noi abbiamo un gravissimo deficit di liquidità nei comuni e, quindi, l'anticipazione di Tesoreria è molto importante. L'utilizzo della maggiore anticipazione vincola una quota corrispondente delle entrate IMU. Quindi c’è già un vincolo. Il decreto, però, chiede di vincolare una parte dell'IMU, anche se ci carichiamo già degli interessi. Ora o l'uno, o l'altro: se ci carichiamo già degli interessi e li garantiamo, perché anche vincolare ? Le questioni della liquidità non si risolvono mai.
La mia osservazione, rispetto al Fondo svalutazione crediti, è legata al fatto che si tratta di un ulteriore aggravio sul comune e che non si realizza lo scopo di erogare liquidità, se poi si deve accantonare ciò che si ha. Queste condizioni, secondo noi, rendono più difficile l'applicazione del decreto.
L'onorevole Tabacci è andato via, e me ne dispiace. Come lui sa benissimo, noi abbiamo l'obbligo dell'armonizzazione dei bilanci al 2014, quindi non ci saranno più discrepanze tra competenza e cassa. Si sta preparando una grande pulizia dei residui attivi con le nuove regole. Siamo in una condizione in cui non conosciamo i debiti fuori bilancio. Formalmente non sono disponibili. Noi sappiamo che ci sono debiti a oggi certificati e procedure che indicano Pag. 32che i comuni hanno questo tipo di debiti. Vorrei solamente rilevare qui, perché rimanga a memoria, che i debiti dell'intero comparto comunale rappresentano il 2,7 per cento del debito pubblico italiano. Prestiamo attenzione a non fare di un moscerino un elefante. Se noi abbiamo 50 miliardi di euro di debiti, più o meno, come intero comparto dei comuni, capite bene la proporzione rispetto alla somma complessiva del debito pubblico. Mi pare un po’ difficile che le opere di risanamento avvengano sempre sulle briciole e che il grosso rimanga inosservato.
Noi non abbiamo problemi né sul piano delle risorse, né di certificazione, né di supporto ai comuni, che noi abbiamo sollecitato. Abbiamo attivato numeri verdi. Comunque i comuni hanno l'obbligo in pochissimo tempo, entro il 30 aprile, di mandare i documenti. Quindi per il conto capitale il problema non sussiste. Se volete che funzioni bene l'accesso al fondo, secondo noi ci sono quelle misure che vi ho già ricordato più volte, ma ovviamente sta al vostro lavoro.
Sulla TARES vorrei svolgere una considerazione molto breve e semplice. Noi non abbiamo il problema delle superfici catastali. La TARES si applica sulle superfici calpestabili. Abbiamo, invece, un altro problema, ossia che la TARES si riscuote sulla produttività teorica, in base a un decreto emanato nel 1999. Come conseguenza, ristoranti, bar e attività commerciali avrebbero un aggravio enorme della tassa, insieme alle famiglie numerose. Quei criteri vanno rivisti, come per l'IMU. Ciò significa che alcuni ristoranti pagheranno il 400 per cento in più e che le famiglie numerose pagheranno il 500 per cento in più. Prestiamo attenzione all'applicazione. Sottolineiamo questo punto.
Noi ripetiamo che la nostra posizione è che venga svolta una riflessione più complessiva e, quindi, più attenta sul tema. Crediamo di essere coloro che per primi immetteranno liquidità nel sistema proprio perché i nostri 5 miliardi di euro sono immediatamente disponibili e spendibili. Tutto quello che, lo ripeto, permette un pieno utilizzo di questo plafond e un aumento del tema degli stati di avanzamento lavori e delle obbligazioni assunte, secondo noi, sarebbe assolutamente importante e urgente.
Credo, presidente, di avere più o meno risposto. Se ho omesso qualcosa, me lo ricordi.
ANTONIO SAITTA, Presidente dell'UPI e presidente della provincia di Torino. Grazie, presidente, aggiungo soltanto una brevissima considerazione, perché non sono riuscito forse a rendere l'importanza dell'articolo 10, oltre che dell'articolo 1, quello sui tagli alle province di 1 miliardo e 200 milioni di euro. Ripeto ciò che ho detto. Indipendentemente dai pagamenti, esso crea già da subito problemi alla formazione dei bilanci. La nostra proposta è di contenere tali problemi.
Voglio solo far notare, anche in relazione alle domande sul quadro nazionale, che il taglio che noi chiamiamo di 1 miliardo e 200 milioni di euro viene impropriamente denominato taglio, ma è in realtà un'imposta sull'RC Auto che ci viene trattenuta a livello nazionale. Si tratta di un'imposta locale – per molte province è così – che gestiamo noi, ma che viene trattenuta a livello nazionale.
Non so se questo si chiama federalismo, ma è proprio centralismo. Si tratta di trattenere a livello nazionale un'imposta locale. Ci sembra che ci siano tutti i requisiti per discutere e presentare ricorsi, ma è capitato questo: noi avremmo potuto fare affidamento su un'imposta che abbiamo gestito, ma che a un certo punto, con un taglio, è stata presa dal livello nazionale.
Vorrei che questo aspetto venisse tenuto presente, perché può rappresentare la dimensione di contenimento per riequilibrare la situazione. Molte province, grandi o piccole, da Milano a Torino, per citare le più grosse, con questa situazione non riescono proprio a redigere i bilanci.
PRESIDENTE. Ringraziamo i presidenti Saitta e Delrio.
Dichiaro conclusa l'audizione.Pag. 33
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14 con l'audizione dei rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 14,10.
Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del decreto-legge n. 35 del 2013 recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Sono presenti i presidenti Caldoro, De Filippo, Frattura e una nutrita rappresentanza – gradita presenza – di assessori e dirigenti. Per lo svolgimento di questa audizione abbiamo previsto un'ora e mezza. Il presidente Caldoro svolgerà un'introduzione – se fosse possibile contenuta tra i venti minuti e mezz'ora, come termine massimo – dopodiché procederemo alle domande.
Do quindi la parola al presidente Caldoro.
STEFANO CALDORO, Presidente della Regione Campania. Grazie presidente. Penso di utilizzare meno di venti minuti, anche perché lascerò alla presidenza un documento che riassume la posizione delle regioni, con una premessa metodologica di carattere generale sul testo e una prima serie – tengo a precisarlo – di proposte emendative.
Sul piano più generale, premesso che condividiamo pienamente le finalità poste alla base di questo provvedimento, ossia quelle della riduzione delle sofferenze delle imprese e dei diversi soggetti che vantano crediti verso la Pubblica amministrazione, riteniamo tuttavia che questo sia solo un primo passo, peraltro non sufficiente dal punto di vista della quantità delle risorse disponibili rispetto alle necessità del sistema. Ci riserviamo pertanto di valutare successivamente – abbiamo a tale riguardo anche posizioni di dubbio – il reale impatto e l'efficacia di questo strumento.
Naturalmente noi consideriamo tutto ciò nel contesto più generale di un impegno più incisivo che viene chiesto a tutti gli enti coinvolti nel risanamento dei conti pubblici, coniugando da una parte rigore ed equilibrio di bilancio e dall'altra politiche di sviluppo e crescita, nel rispetto di tutti gli impegni che ciascun livello di governo ha con il sistema più complessivo della finanza pubblica.
In tale ambito ciò che mancava era proprio un intervento di questo genere e gli enti locali e le regioni hanno sempre chiesto una misura che avesse le finalità del decreto che è stato varato. Confermo, tuttavia, il giudizio di assoluta riserva e, per alcuni aspetti, anche di critica circa la possibilità che il decreto possa non avere quell'impatto e quell'efficacia pur richiamati dalle sue giuste finalità.
Ci sono problemi più generali che le regioni pongono, ad esempio sul tema antico della discussione svolta con il Governo in merito ai cosiddetti «spazi» previsti dal Patto nell'ambito della filiera istituzionale, i quali, per quanto finalizzati alla riduzione del debito, e quindi del ritardo nei pagamenti del debito commerciale, riguardano i comuni e non il comparto delle regioni.
Più in generale, anche se ci rendiamo conto della complessità di definire uno strumento sufficientemente adeguato, sussiste un elemento di criticità che desta senz'altro preoccupazione. Se infatti la finalità è quella di aggredire una patologia, e nella patologia rientrano l'anzianità e il ritardo dei pagamenti – è evidente poi che si può discutere sulla tipologia del creditore, sulla sussistenza o meno di profili di costituzionalità o su possibili discriminazioni tra creditori, diversamente suddivisi sul piano nazionale – non è tuttavia facile Pag. 34determinare, laddove ci sono responsabilità territoriali e bilanci che vengono visti in maniera troppo rigidamente separata tra le diverse situazioni territoriali, la patologia stessa. Non c’è di fatto un'asticella, se non quella fissata attraverso il criterio dell'anzianità del debito maturato al 31 dicembre 2012.
Occorre dire che la condizione di un debito «certo, liquido ed esigibile» comporta un qualche problema rispetto alla situazione della finanza locale, in considerazione proprio della tipologia del debito; il debito infatti c’è, ma non sempre presenta quelle condizioni particolari, per tanti motivi che non sto qui a discutere ma che tuttavia fanno parte dell'analisi svolta a supporto delle nostre proposte emendative.
Rischiamo cioè di avere il caso di un ammalato che in realtà deve sottoporsi a un intervento chirurgico urgente per una neoplasia – il debito commerciale è diventato ormai insostenibile per la carne, le ossa ed il sangue delle nostre imprese e dei nostri lavoratori – ma al quale nel frattempo viene viceversa curato il menisco. Sicuramente l'ammalato avrà anche questo problema, e magari anche un'unghia incarnita, ma complessivamente manca una definizione della capacità di aggredire una patologia. Devo dire che ciò avviene per problemi oggettivi, non è solo un problema di volontà, ma questo aspetto del problema non ci sembra che sia stato risolto con particolare efficacia.
Per quanto riguarda gli spazi del Patto di stabilità, poiché è un problema che prima o poi dovremo affrontare – esso chiaramente incrocia i contenuti del decreto-legge, pur non costituendone l'oggetto principale – ci è sembrato opportuno richiamarlo anche nel documento che abbiamo presentato.
Un'altra questione che abbiamo evidenziato attiene alla necessità di costruire un raccordo, proprio per le finalità del decreto-legge, volto a rendere compatibili il sistema e le procedure previsti dalla legislazione vigente con quelli introdotti dal decreto medesimo, tenendo altresì conto delle interrelazioni strettamente collegate tra i piani di rientro delle regioni, ad esempio per quanto riguarda la spesa sanitaria ed i relativi piani di pagamento, e i programmi specifici, come quelli di stabilizzazione finanziaria, o altri piani di pagamento delle regioni, i quali hanno regole diverse e, al tempo stesso, all'interno di dette regole presentano condizioni in alcuni casi più stringenti. Ci è stato permesso, sulla base della legislazione vigente, di porre in essere piani di pagamento più «rigorosi» – per quanto non sia mai bello usare questo termine, soprattutto di fronte ai creditori – che potrebbero tuttavia creare un disallineamento, generando peraltro un effetto negativo anche rispetto alla finalità propria del decreto-legge.
Richiamo altresì il tema più generale, cui prima accennavo, della necessità di rendere più virtuoso a livello nazionale – dal punto di vista cioè della capacità di lettura, di impatto e di gestione sul piano nazionale – l'utilizzo della liquidità del sistema, in maniera da non determinare discriminazioni o diversità di rapporti che possono creare seri problemi alla finanza locale e soprattutto all'equilibrio strutturale che pure si chiede a molte regioni e agli enti territoriali, sia a livello istituzionale sia a livello del debitore.
È un tema molto delicato, dunque tale questione va affrontata con il necessario equilibrio. Utilizzo un argomento estremo, se non paradossale: potremmo trovarci nell'incapacità di utilizzare al meglio la liquidità non dico in eccesso ma non immediatamente utilizzabile, e quindi in più, presente nel sistema – ma non dico dove, altrimenti sembra che si voglia riproporre sempre la divisione tra nord e sud – e rendere obbligatorio – perché così dispone il decreto-legge – l'indebitamento degli enti. Il paradosso è che potremmo utilizzare denaro non sul mercato finanziario ma, secondo percorsi complessi e difficili, che normativamente dobbiamo strutturare, attraverso patti orizzontali tra enti locali o comunque una qualche misura che renda possibile l'utilizzo della liquidità ai fini dell'interesse nazionale, e non di un territorio, il tutto a beneficio del Pag. 35creditore e soprattutto ai fini dell'abbassamento della patologia del ritardo dei pagamenti e quindi dell'anzianità del debito, che proprio il decreto pone come finalità propria.
Signor presidente, questa è un'analisi di carattere generale sul testo del provvedimento. Mi sono ovviamente limitato ad accennare al dibattito più complessivo che abbiamo fatto con le regioni, le quali naturalmente discutono sempre in premessa degli elementi del Patto di stabilità interno. In tale quadro negli emendamenti proposti viene indicata tutta una serie di misure migliorative – compatibili con il decreto – tali da poter arrecare complessivamente dei benefici.
In conclusione, nel ribadire il giudizio iniziale, riteniamo che le finalità del decreto-legge siano giuste e rappresentino un primo passo, ma il provvedimento allo stato non ci sembra sufficiente ad affrontare la questione, ed in particolare quella patologia a cui ho fatto riferimento all'inizio.
PRESIDENTE. Grazie, presidente. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCESCO MOLINARI. Ringrazio il presidente per la chiarezza della sua esposizione. Ho trovato molto interessante l'ipotesi avanzata dal dottor Caldoro circa la possibilità – penso che ne abbiate parlato e, in tal caso, le chiedo di chiarire quali opportunità abbiamo di intervenire – di questa eventuale compensazione fra enti che effettivamente hanno delle poste attive ed enti che, invece, presentano problemi di bilancio.
Le chiederei pertanto di illustrarmi meglio la possibilità che si può aprire.
SEBASTIANO BARBANTI. Sappiamo che alcuni enti locali, a seguito di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, non possono ottenere il rilascio della certificazione dei propri crediti. Ciò ovviamente determina una disparità tra i creditori.
Quale soluzione pensate di adottare per sanare questa eventuale disparità ?
GIROLAMO PISANO. Approfitto della duplice posizione del presidente Caldoro per richiamare la posizione di alcune regioni – tra cui la regione Campania – che presentano situazioni debitorie tra le più gravi del Paese, soprattutto riguardo al settore sanitario.
È noto che il tessuto imprenditoriale di queste regioni ha subìto un gravissimo impatto a causa dei debiti della Pubblica amministrazione. I mancati trasferimenti alle ASL e i mancati pagamenti alle aziende, soprattutto quelle convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, hanno causato i danni che sappiamo.
In queste regioni già da anni, attraverso società parallele, come la SoReSa (Società Regionale per la Sanità) in Campania, si sono avviati procedimenti abbastanza complessi – che coinvolgono l'ente locale debitore, l'azienda e la regione, attraverso la SoReSa – di certificazione dei crediti, che nel tempo stanno portando, anche se con una certa fatica, a chiudere determinate situazioni, a fronte di concordati in cui le aziende stesse rinunciano a interessi anche di diversi anni sui crediti che vantavano nei confronti degli enti locali.
Vorrei sapere se le regioni – e, in particolare, la regione Campania – abbiano svolto un'indagine interna per capire quale impatto avrà questo decreto-legge, proprio a fronte delle suddette procedure in corso attraverso aziende come la SoReSa.
PRESIDENTE. Do subito la parola all'assessore Garavaglia, che ha chiesto di parlare nella sua qualità di assessore della regione Lombardia.
MASSIMO GARAVAGLIA, Assessore all'economia della Regione Lombardia. Intervengo in qualità di coordinatore degli assessori al bilancio della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome per chiarire qualche punto, altrimenti la discussione rischia di uscire dal seminato.Pag. 36
In particolare, l'ipotesi che è stata ventilata di compensazione della liquidità è un'ipotesi di scuola che non ha alcun senso. Nel momento in cui c’è la Tesoreria unica, già oggi la liquidità viene utilizzata dallo Stato che evita di emettere BOT. Non vorrei che su questo ci si esercitasse in un film che ci porta un po’ fuori percorso.
Per quanto riguarda le proposte emendative, mi permetterei di soffermarmi su quelle di sostanza. Al di là della valutazione generale della Conferenza circa l'opportunità di rivedere le regole del Patto e quant'altro, richiamo in particolare la considerazione di fondo secondo la quale, nel momento in cui abbiamo definito una norma che prevede il pareggio di bilancio per gli enti locali, questa dovrebbe assorbire un po’ tutto. Questa, però, è una questione che esula da questo decreto, che in realtà si pone il tema dei pagamenti.
Vi espongo ora velocemente gli emendamenti proposti in quest'ottica nella Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in modo da entrare nel merito della questione. Il primo emendamento riguarda la possibilità, anche per le regioni, di avere ulteriori pagamenti in relazione, in particolare, ai residui in conto capitale, così come avviene nel decreto per i comuni.
È inoltre particolarmente importante l'emendamento che riguarda il cosiddetto Patto di stabilità «territorializzato», ossia verticale. Si tratta di un meccanismo automatico di trasferimento di spazi di spesa dalle regioni agli enti locali che permette il pagamento veloce delle imprese. In quest'ottica, quindi, l'emendamento è perfettamente coerente con l'obiettivo del decreto.
Potrete esaminare gli altri emendamenti nel dettaglio, ma questi erano i principali. Cito, ancora, tra i più importanti, quello relativo all'interpretazione, a nostro avviso opportuna, circa la liquidabilità dei debiti, con la proposta di estendere la liquidabilità alla data di entrata in vigore del decreto per superare una serie di problemi che avrebbero altrimenti l'effetto paradossale di ritardare i pagamenti anziché accelerarli.
Questi sono gli emendamenti più importanti. Tenevo a sottolineare tali questioni per entrare nel merito del decreto.
RENATA POLVERINI. Signor presidente, ringrazio i rappresentanti delle regioni. Vorrei partire dall'ultima osservazione espressa dall'assessore Garavaglia rispetto al pareggio di bilancio. Oggi proviamo a dare una risposta organica, a livello nazionale, ad un problema che ci trasciniamo da decenni – questo va pur detto – fino a quando cioè non è stato introdotto il pareggio di bilancio per gli enti locali e le regioni. È una risposta che, indipendentemente da quello che ha fatto il Governo nazionale, le strutture del territorio, e in particolare le regioni, hanno cercato comunque di approcciare mettendo in campo degli strumenti che oggi ritroviamo in questo provvedimento nazionale ma che già sono utilizzati. È opportuno ricordare tale aspetto, altrimenti appare tutto nuovo ciò che nuovo non è.
Veniva citato prima il Patto regionalizzato, che è stato utilizzato nel 2010 da una sola regione, seguita poi ovviamente dalle altre, il quale è diventato uno strumento nazionale. Ci sono regioni che hanno messo in campo degli accordi con la Sace, alla quale poi si sono aggiunte altre banche, per un sistema di certificazione del credito pro soluto che già funziona. Altre regioni ancora hanno messo in campo accordi e pagamenti importanti, anche nel settore sanitario, e mi riferisco in particolare alle regioni più indebitate. Ci sono infine regioni che già hanno messo in campo un sistema di pagamenti nella logica di trasparenza e in particolare in quell'ordine strettamente cronologico che oggi viene richiamato fortemente dal decreto in tutti i settori, a cominciare dalle spese obbligatorie per poi arrivare alla sanità, alle spese vincolate e via dicendo.
Credo di poter dire – anche dopo aver ascoltato oggi gli interventi dei rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome – che questo decreto si muove troppo su situazioni che già esistono perché Pag. 37gli amministratori si sono attivati e non individua, invece, quelle risposte che necessariamente si chiedono e che evidentemente rappresentano la base del problema.
Mi pare quindi di capire che anche le regioni confermano che il problema che riguarda la liquidità non viene assolutamente risolto, nel senso che chi ha liquidità non è nelle condizioni di metterla a disposizione del proprio territorio e chi non ha liquidità ed è indebitato rischia un ulteriore indebitamento, addirittura con un eccesso di penalizzazione che già abbiamo visto negli ultimi anni crescere nei confronti degli amministratori.
È necessario capire dove vogliamo andare: se continuiamo come abbiamo ascoltato nelle audizioni, questo decreto a un certo punto rischia quasi di essere inutile, a parte qualche timido entusiasmo che abbiamo ascoltato nelle prime ore successive al suo varo in Consiglio dei ministri.
Mi pare che, alla fine, la vera questione che questo Paese non ha il coraggio di affrontare – lo hanno detto prima i rappresentanti di ANCI e UPI, lo confermava adesso il presidente Caldoro per le regioni – è quella dell'allentamento dei vincoli del Patto di stabilità.
Se non entriamo nella consapevolezza che questo è il vero problema con il quale ci dobbiamo confrontare, non riusciremo a dare risposte in nessun modo, salvo aggiungere qualche strumento normativo rispetto alle vicissitudini con le quali gli amministratori si confrontano e per le quali trovano comunque delle soluzioni, anche d'intesa – come nel caso di questo decreto – con le aziende che debbono riscuotere molti soldi dalle pubbliche amministrazioni.
L'assessore della Lombardia chiariva che sul Patto regionalizzato le regioni si sono già attivate con gli enti locali. A questo riguardo voglio aggiungere una considerazione rispetto alle province: quando guardiamo al provvedimento di riforma delle province, dobbiamo comprendere che rispetto al Patto regionalizzato, che molte risposte ha dato in questi anni ai territori, il ruolo delle province è stato fondamentale. Oggi giustamente il presidente dell'UPI richiamava altre questioni che riguardano le province, ma su questo esse hanno avuto un ruolo straordinario che ha consentito di non mandare in default comuni in questa regione, nella quale, ad esempio, negli ultimi tre anni per la prima volta non si è registrato alcun comune in default. Come dicevamo prima, ci sono invece realtà del territorio che rispetto allo sforamento del Patto mettono a rischio non soltanto la vita delle amministrazioni, ma anche quella di tante aziende e di tanti lavoratori.
In conclusione, non mi pare ci sia la volontà da parte delle regioni di ampliare a livello nazionale questo Patto regionalizzato, a meno che io non abbia compreso male. Questa è una prima domanda alla quale vorrei fosse data una risposta.
In secondo luogo, chiedo se siete convinti come lo siamo noi – poi discuteremo anche con le imprese circa le procedure, che sembrano troppo farraginose rispetto all'impianto di questo decreto-legge – che alla radice del problema della nostra economia c’è questa battaglia che, ad avviso del Popolo della Libertà, il nostro Paese deve condurre sull'allentamento del vincolo del Patto di stabilità.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Signor Presidente, nell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge si parla di fatture emesse o richieste equivalenti di pagamento. Noi sappiamo che ci sono alcune regioni, come per esempio il Friuli-Venezia Giulia, che hanno posticipato l'emissione di fattura per dare respiro alle proprie aziende creditrici e posticipare almeno l'annoso problema dell'IVA per competenza.
Vorremmo quindi sapere quali tipologie di richieste equivalenti di pagamento potrebbero essere incluse per permettere a questi creditori di ottenere il pagamento e quali tipologie di certificazione sareste in grado di fornire per queste categorie di debito.
MARCO CAUSI. Signor Presidente, rivolgo un'osservazione a tutte le colleghe ed Pag. 38i colleghi che partecipano ai lavori delle Commissioni speciali di Camera e Senato e alle personalità che in questo momento stiamo audendo. Abbiamo deciso sostanzialmente di aumentare il debito pubblico di 40 miliardi di euro – portando il nostro rapporto debito-PIL al 130 per cento, come emerge dal dato più recente del Documento di economia e finanza per il 2013 – per iniettare questi 40 miliardi in liquidità a favore dell'economia e del sistema delle imprese, quindi mettendo in campo, ad occhio, la misura più espansiva mai vista da anni per il nostro sistema economico: a me sembra molto strano che, a fronte di questo, ascoltiamo poi pareri così negativi anche da parte di chi mi ha preceduto poco fa.
Dobbiamo un po’ chiarire questo punto perché, se davvero questa misura è così negativa, allora sarebbe bene posporla, non attivarla o aspettare un momento diverso per realizzarla. A me – e anche al mio partito, il Partito Democratico – non sembrava così; sembrava piuttosto che questa fosse la prima delle emergenze da affrontare, con un provvedimento anche molto dispendioso dal punto di vista della liquidità e su cui si era ottenuta, per la prima volta, un'apertura rispetto alle rigide regole comunitarie. Se il Paese, nonostante tutte le difficoltà e la fase di incertezza politica, riuscisse a infilarsi in questo varco e a varare una prima misura espansiva, ne deriverebbe del bene per tutti.
Vorrei pertanto invitare tutti, nella valutazione del percorso di lavoro da portare avanti nei prossimi giorni, a concentrarci sugli effettivi e possibili miglioramenti di questo decreto: ma a me sembra che qui ci sia anche un bambino e non soltanto l'acqua sporca, e questa è una mia considerazione e riflessione che rivolgo a tutti.
Vorrei porre al presidente Caldoro alcune domande precise. In Commissione non abbiamo ancora audito ufficialmente le associazioni imprenditoriali, che verranno audite fra lunedì e martedì. Tuttavia, come gruppo del Partito Democratico – come sapete dalla lettura dei giornali di oggi – abbiamo già proceduto, ieri pomeriggio, a una serie di incontri con Confindustria, R.ETE Imprese Italia, Alleanza delle cooperative.
Posso già anticipare – mi rivolgo alle colleghe e ai colleghi ma anche a lei, presidente Caldoro – alcune cose che abbiamo sentito ieri pomeriggio e sicuramente ci saranno nuovamente riferite ufficialmente in questa sede martedì. Le imprese ci chiedono velocità e compensazioni. Le due questioni che le imprese pongono sono, da un lato, come rendere questo meccanismo veloce, il meno possibile farraginoso, e, dall'altro, ma i due aspetti sono un po’ legati, come introdurre dei meccanismi di compensazione con i loro debiti tributari o paratributari.
Sulla questione della velocizzazione le imprese ci domandano – e noi lo domanderemo al Governo, ma è importante domandarlo anche a voi in questo momento – perché il Governo insieme alle regioni non abbia scelto una strada un po’ più simile a quella utilizzata in Spagna, ossia di definire alcune liste di debitori e una piattaforma centrale per questi pagamenti.
Mi domando se le regioni potrebbero eventualmente ripensare a questo. Mi chiedo inoltre se, sicuramente non nel caso di partite debitorie complicate o di partite debitorie che coinvolgono rapporti fra regioni, comuni, province, e quindi intralocali, ma nel caso di alcuni stock di debiti commerciali più standardizzati, ad esempio molti di quelli sanitari, non fosse possibile pensare a un meccanismo in cui la tesoreria di questi pagamenti si fa al centro per tutti, rendendo così anche più facile – questo è il secondo punto – con la gestione centralizzata dei flussi di pagamento qualche passo avanti sulla questione delle compensazioni dei debiti tributari e paratributari che sono, alla fine, i due punti più caldi e più rilevanti che le imprese stanno ponendo a questa Commissione, al Governo e all'intera Pubblica amministrazione, per essere sicure che questo provvedimento avrà un esito finale.
Infine – ed è l'ultima domanda che le rivolgo – noi qui stiamo procedendo a una misura di grandissimo rilievo per cercare di cominciare a smaltire una massa debitoria Pag. 39che la Pubblica amministrazione ha accumulato in passato. C’è anche il tema di come evitare che questo si riproduca anche in futuro. Come lei sicuramente sa, noi abbiamo già in vigore un importante decreto, che è stato approvato dal Parlamento circa un anno e mezzo fa nell'ambito della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che riguarda l'armonizzazione dei bilanci pubblici e la creazione di una piattaforma integrata dei sistemi contabili pubblici. Si tratta di un decreto molto valido sul piano teorico, che però a noi sembra essere in una fase di attuazione molto lenta. Essendo un decreto in vigore, che quindi non rientra in un'amministrazione non ordinaria, domando alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome a che punto siamo di questa attuazione e quali sono gli indirizzi che il Parlamento può dare al Governo affinché essa si velocizzi.
A me pare che, mentre sistemiamo, con questa importante manovra, la questione del passato, dobbiamo al tempo stesso dare un forte indirizzo affinché, con un sistema contabile armonizzato e con un sistema informatico integrato, questi temi non abbiano in futuro a riproporsi.
TITTI DI SALVO. Sarò brevissima limitandomi a svolgere una considerazione e a formulare una domanda. È vero, noi che da stamattina stiamo audendo i vari soggetti traiamo l'impressione di un giudizio negativo, con gradazioni diverse, da quello espresso da CONFAPI, da ANCI e da UPI a quello manifestato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Questa considerazione va tenuta presente e pone alle forze politiche un problema, in maniera tale da dare origine alla mia domanda.
Lei, presidente Caldoro, ha definito il decreto-legge come non sufficiente – attribuendogli un voto dal sei in giù – con riferimento sia alle quantità sia alle modalità. Pertanto, vorrei capire se il recepimento degli emendamenti indicati dall'assessore Garavaglia sia la condizione per modificare il giudizio o meno, cioè se gli emendamenti indicati dall'assessore siano i soli che, una volta recepiti, potrebbero trasformare il giudizio sul decreto da insufficiente a sufficiente.
LUCIANO URAS. Vorrei porre solo una domanda. L'articolo 11 del decreto-legge interviene su disposizioni specifiche a favore della regione Siciliana e della regione Piemonte. Mi risulta che sia in corso un'interlocuzione tra la regione Sardegna e il Governo, in base alla quale è stato proposto un emendamento al decreto relativamente all'adeguamento del Patto di stabilità interno della regione Sardegna in merito al nuovo regime di entrate che è stato introdotto con l'articolo 8, come riformato, dello Statuto speciale. Poiché ho notato che questo emendamento non rientra tra quelli suggeriti dalla Conferenza, vorrei sapere se questa ne abbia avuto notizia o meno e se esista un'interlocuzione in questo senso.
GIOVANNI LEGNINI. Signor Presidente, le domande da porre sarebbero tante ma noi abbiamo il compito di tentare di rendere più efficace ed efficiente questo provvedimento, se possibile evitando di complicarlo.
A tal fine, rivolgo una sola domanda. Come tutti sappiamo e come voi presidenti di regione sapete molto meglio di noi, da anni vige nel nostro ordinamento un affinato corpus normativo che riguarda i piani di rientro dal deficit e dal debito sanitario. Si tratta di una disciplina speciale – specialissima, direi – mentre il provvedimento che stiamo ora esaminando, seppur intervenuto successivamente, può configurarsi come una disciplina generale volta a fronteggiare la patologia dell'accumulo dei debiti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli enti erogatori del servizio sanitario, nei confronti delle imprese.
Vi siete posti il problema – ed è questa la domanda – del rapporto tra le due discipline ? E a quale conclusione siete pervenuti ? Abbiamo appena ricevuto in distribuzione gli emendamenti, quindi non ho ancora avuto modo di esaminarli. Penso che la risposta a queste domande Pag. 40non sia affatto agevole e abbia rilevanti implicazioni.
In altre parole, presidente Caldoro, lei guida una regione che è sottoposta ad un piano di rientro, se non ricordo male, come lo sono peraltro la regione Lazio e altre regioni, mentre il presidente De Filippo e l'assessore Garavaglia credo rappresentino regioni che non lo sono. Quale impatto ha questo decreto rispetto alle due categorie di regioni, volendo distinguere quelle a gestione normale od ordinaria da quelle a gestione eccezionale o speciale ?
PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.
STEFANO CALDORO, Presidente della Regione Campania. Signor Presidente, all'inizio del mio discorso ho già anticipato alcuni elementi che si riferiscono in particolare all'ultima domanda, in merito cioè al raccordo e all'interrelazione tra i piani di rientro. Noi abbiamo sollevato la questione e nel tempo necessario credo verrà formulata anche una proposta emendativa rispetto a questo problema, che è già evidenziato nel documento.
Il problema vero è rappresentato infatti dal raccordo tra questi due sistemi, tra la legislazione vigente e quella introdotta dal decreto-legge, nonché dalle previsioni di pagamento dei piani di rientro, in tutte le loro tipologie, per fare in modo che siano garantite le finalità del provvedimento, che definisce i livelli di pagamento e di efficacia dello stesso.
I piani di rientro presentano – ripeto – condizioni in alcuni casi anche più «rigorose» rispetto a quelle previste dal presente decreto-legge. Quindi il paradosso è che se noi andassimo ad applicare questa normativa dovremmo allentare i piani di pagamento e le condizioni poste alla loro base. Dobbiamo pertanto raccordare i due sistemi, tema che peraltro ho già posto all'inizio.
Mi limito a richiamare le osservazioni espresse dai parlamentari solo per precisare alcune questioni. Come ha ricordato l'assessore Garavaglia, questa è solamente una prima formulazione emendativa; il documento, che illustra da un punto di vista politico e generale la posizione delle regioni, contiene infatti anche delle proposte emendative.
Come anticipava l'assessore Garavaglia, ci siamo posti il problema, nell'ambito dell'equilibrio tipico di una Conferenza, delle differenze tra le realtà territoriali. Da un lato, vi sono le priorità legate alla crescita, al Patto di stabilità e alla necessità di accelerare i pagamenti; il Patto di stabilità, d'altronde, non riguarda solo gli investimenti ma anche le condizioni per avere la disponibilità di cassa necessaria ai pagamenti. Dall'altro, vi sono regioni dove questa virtuosità è rallentata da questi vincoli e regioni che hanno invece uno squilibrio economico-finanziario strutturale e carenza di liquidità, come ricordava prima l'onorevole Polverini. Queste due esigenze vanno compensate in una logica non tribale ma di coesione nazionale, per garantire alle une di essere sempre più virtuose e alle altre di dare risposte – soprattutto sul piano dei diritti, non solo con riferimento ai livelli LEA e LEP ma, in questo caso, anche in relazione ai creditori – omogenee ed eque sul piano nazionale.
Rispondendo ad alcune questioni di carattere generale, per quanto riguarda la certificazione dei crediti ritengo che questa sia un'azione messa in campo quotidianamente dagli enti locali e dalle regioni, con le condizioni che questa certificazione impone, ovvero la tipologia del credito e tutto il resto.
È stato anche posto il tema del blocco della certificazione per alcune tipologie di pagamenti: da ciò che ho capito si tratta di blocchi legati a mancate certificazioni antimafia ovvero ad ulteriori accertamenti. Anche in questo ambito, tuttavia, esistono leggi molto chiare che identificano le condizioni per poter o meno procedere, laddove – in presenza di azioni ostative derivanti da altre norme – ciò non potrà esser fatto.
Non entro nel merito della vicenda campana di SoReSa, che è stata ricordata, ma non c’è dubbio che ciò che ho detto prima sul sistema del piano dei pagamenti rientra nel tema, al quale ho fatto riferimento Pag. 41anche nella premessa dell'intervento, di come raccordare in maniera efficace l'attuale decreto con la legislazione che regola i piani di rientro.
Il tema delle compensazioni riguarda molto di più lo Stato mentre assume una importanza relativa in riferimento agli enti locali e alle regioni.
Per quanto concerne la questione della velocità, è inutile dire che noi siamo molto interessati a garantire al massimo la velocità, al di là del complesso delle difficoltà oggettive dell'amministrazione pubblica. Infatti, gli enti locali sono a contatto diretto con il creditore ed è evidente che, più degli altri, hanno la necessità di rispondere al problema nel modo più rapido possibile.
Un tema che mi interessa approfondire è stato richiamato con molta chiarezza dal rappresentante del Partito Democratico. Vorrei esprimere un'opinione personale, dopo aver dibattuto anche di questo in Conferenza, dove c’è stata una discussione anche condivisa del problema, al quale deve far seguito la ricerca di una soluzione. In Conferenza ho citato anch'io l'esempio spagnolo, perché credo che, se le finalità del provvedimento sono utili, senz'altro esiste una tipologia di debitore che non può essere rigidamente costretta entro i confini della responsabilità locale. In Conferenza ho fatto l'esempio dei general contractor, ai sensi della vecchia «legge obiettivo», in base alla quale grandi opere nazionali poi sono state allocate, per questioni varie di cui non stiamo ora a discutere, nei tetti di cassa delle regioni. A fronte di un unico general contractor si è così determinata una differenziazione di pagamenti dovuta a disallineamenti o a difficoltà di cassa di una regione rispetto a un'altra. Questa è una tipologia di debitore che potrebbe invece essere gestita diversamente.
Si tratta di una valutazione ancora tutta da affrontare, sulla quale non possiamo impegnare le regioni, ma questo problema esiste. Se nasce una figura di debitore di questo genere, non può non esserci una centrale di pagamento diversa da quella dei tanti differenti enti, la quale deve essere quella dello Stato, che non è la centrale unica dei pagamenti ma la centrale nazionale, laddove lo Stato dovrebbe individuare alcuni tipi di creditori in ritardo con i pagamenti e garantire loro il flusso di cassa attraverso uno strumento diverso. Questo tema racchiude in parte anche la discussione che si è svolta oggi con le regioni e gli enti locali, tra chi è sostenitore di una centralizzazione dei pagamenti più estesa e chi di una centralizzazione limitata ad alcuni tipi di creditori. È una discussione che rimane aperta.
Rispetto all'ultima domanda le regioni hanno dato una valutazione, ma non perché non ritengano che il testo possa essere migliorato. Richiamando la metafora del bambino e dell'acqua sporca, noi siamo ovviamente interessati a che vi sia sempre meno «acqua sporca». Siamo intervenuti con proposte di emendamenti migliorativi al testo del provvedimento che hanno finalità costruttive, tali da permettere in futuro di esprimere su di esso un giudizio migliore di quello attuale.
Signor presidente, confermo in conclusione che questo primo documento della Conferenza che oggi consegniamo, per quanto riguarda almeno la sezione emendativa, contiene solo la prima parte degli emendamenti.
MASSIMO GARAVAGLIA, Assessore all'economia della Regione Lombardia. Rispondo puntualmente alle questioni poste.
Quanto alle osservazioni dell'onorevole Polverini, uno dei principali emendamenti proposti riguarda esattamente l'estensione del patto territoriale verticale, perché lo riteniamo un volano molto importante per accelerare i pagamenti alle imprese. L'attuazione di questa proposta potrebbe garantire in tempi molto rapidi 2 miliardi di euro in più alle imprese in due anni – non sono noccioline – per spese in conto capitale. Proponiamo, tra l'altro, che il 50 per cento sia destinato ai comuni di piccole dimensioni. Si tratta di una proposta oltremodo importante e interessante perché i comuni di piccole dimensioni, a nostro avviso, non sono pronti, in questa fase, a sottoporsi alle regole del Patto di Pag. 42stabilità. Ciò avviene per svariati motivi: ad esempio, un sindaco di un piccolo comune oggi non è culturalmente pronto ad accettare di avere i soldi e di non poterli spendere.
Secondo noi, questa fase transitoria è importantissima, soprattutto per i piccoli comuni, e produce un effetto molto rilevante sui pagamenti alle imprese, senza oltretutto incidere né sul fabbisogno né sull'indebitamento netto. Si tratterebbe, quindi, di un'operazione molto virtuosa dal punto di vista della finanza pubblica.
L'onorevole Causi giustamente si chiede se allora non sia tutto da buttare. Non è così, perché abbiamo comunque 40 miliardi di euro spalmati in due anni che, sebbene ancora non si comprenda bene a quanto ammontino in totale i debiti, costituiscono tuttavia risorse da poter già destinare.
Come ha osservato l'onorevole Di Salvo, il testo può naturalmente essere migliorato attraverso l'approvazione degli emendamenti proposti, in particolare quello sul Patto verticale, ma non solo. Anche altri emendamenti, che poi potrete esaminare puntualmente, sono rilevanti: quello sui tempi di pagamento e sul momento in cui la fattura debba essere ritenuta certa ed esigibile, e quello che riguarda le coperture, tenuto conto che fino al 2014 la copertura è assicurata dalla previsione di una maggiore entrata sull'IVA, mentre successivamente si procede con i tagli ai Ministeri, escluso il FAS. Se si esclude però solo il FAS, ciò significa che i tagli possono riguardare tutto il resto, compresi i trasferimenti agli enti locali; significa cioè che dal 2015 in poi non verranno tagliate le spese dei Ministeri centrali ma si interverrà ancora sulle autonomie locali. Credo dunque che anche questo sia un tema rilevante da porre.
La questione del pagamento centralizzato, sollevata dall'onorevole Causi, non ci trova assolutamente d'accordo. È impossibile che dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome esca una posizione del genere. Cito l'esempio della regione Lombardia, che già oggi paga a trenta giorni: perché dovremmo andare a finire in una centrale unica di pagamento, quando questo decreto sostanzialmente per noi comporta benefici pari a zero ?
Anche la questione del general contractor è vera in linea teorica, poiché già oggi esistono norme che prevedono – in astratto ma anche in pratica – sanzioni di carattere penale a carico del responsabile del servizio finanziario che abbia accettato impegni di pagamento senza avere non solo la competenza, ma anche la cassa e la liquidità pronta. Basterebbe quindi, in sostanza, applicare le norme vigenti.
La questione della Sardegna oggi non è stata esaminata poiché mancava l'assessore sardo, ma ne abbiamo comunque parlato. Conosciamo il tema della Sardegna e personalmente sono d'accordo con l'impostazione sarda: se la regione ha una sua autonomia è giusto che la possa sfruttare fino in fondo.
Infine, l'onorevole Legnini ha richiamato la questione delle regioni in piano di rientro. Anche su questo è stato presentato un emendamento rilevante che riguarda la riserva del 20 per cento delle rate sulle entrate correnti, attualmente prevista solo per il debito sanitario. Ne deriverebbe allora un pasticcio, perché alcune regioni, già sottoposte a piano di rientro sanitario, non avrebbero poi spazio per intervenire diversamente. Noi proponiamo, invece, che la stessa deroga riguardi i vari ambiti, proprio per evitare il verificarsi delle questioni sollevate dall'onorevole Legnini.
Concludo dicendo che la situazione delle regioni è molto differenziata, ma non per una questione territoriale. La Puglia, come la Lombardia e il Veneto, si trova nella situazione di avere cassa ma non poterla spendere a causa del tetto previsto dal Patto di stabilità. Non si tratta quindi di una questione meramente territoriale ma dipende da una regola «stupida», che – in quanto tale – speriamo prima o poi cambi.
STEFANO CALDORO, Presidente della Regione Campania. Intervengo solo per precisare, affinché non ci siano equivoci, Pag. 43che quello che abbiamo riferito oggi e che si riporta nel documento è parte del giudizio comune delle regioni. Per fortuna si discute su tanti elementi e, così come ha ben ricordato l'assessore Garavaglia, se pure esiste una questione territoriale, questa non significa una divisione netta tra nord e sud ma attiene a uno squilibrio tra le regioni sulla liquidità di cassa. È tipico in tal senso l'esempio della Puglia, che è una regione meridionale con eccedenza di cassa.
Vorrei inoltre precisare che sulla questione del modello spagnolo, posta prima dal rappresentante del PD, non c’è una posizione delle regioni contraria o a favore. Il fatto che l'assessore Garavaglia sia contrario e io sia favorevole non significa che non siamo in grado di scrivere una proposta insieme. Ognuno di noi, però, mantiene la propria convinzione, quindi non c’è una posizione contraria della Conferenza sulla centrale unica pagamenti per quel tipo di debitore.
PRESIDENTE. Non siete i soli ad essere articolati, in questo periodo.
Ringrazio del contributo il presidente Caldoro, il presidente De Filippo, il presidente Frattura e l'assessore Garavaglia.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.