XVII Legislatura

Commissioni Riunite (Commissione speciale per l'esame di atti del Governo della Camera e Commissione speciale per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge e di altri provvedimenti urgenti presentati dal Governo del Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 22 aprile 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bubbico Filippo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Bubbico Filippo , Presidente ... 3 
Beschi Mauro , Coordinatore del dipartimento politiche economiche della CGIL ... 4 
Bubbico Filippo , Presidente ... 7 
Petriccioli Maurizio , Segretario confederale per il settore fisco e previdenza della CISL ... 7 
Bubbico Filippo , Presidente ... 8 
Foccillo Antonio , Segretario confederale della UIL ... 8 
Bubbico Filippo , Presidente ... 10 
Centrella Giovanni , Segretario generale della UGL ... 10 
Bubbico Filippo , Presidente ... 11 
Santini Giorgio  ... 11 
Taranto Luigi (PD)  ... 11 
Polverini Renata (PdL)  ... 12 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 13 
Barbanti Sebastiano (M5S)  ... 13 
Ciprini Tiziana (M5S)  ... 14 
Buttiglione Rocco (SCPI)  ... 14 
Marazziti Mario (SCPI)  ... 15 
Di Salvo Titti (SEL)  ... 16 
Giorgetti Alberto (PdL)  ... 17 
Bubbico Filippo , Presidente ... 18 
Baretta Pier Paolo (PD)  ... 18 
Bubbico Filippo , Presidente ... 19 
Barbi Danilo , Segretario confederale della CGIL ... 19 
Bubbico Filippo , Presidente ... 19 
Barbi Danilo , Segretario confederale della CGIL ... 19 
Petriccioli Maurizio , Segretario confederale per il settore fisco e previdenza della CISL ... 20 
Bubbico Filippo , Presidente ... 21 
Foccillo Antonio , Segretario confederale della UIL ... 21 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 22 
Bubbico Filippo , Presidente ... 22 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 22 
Centrella Giovanni , Segretario generale della UGL ... 22 
Bubbico Filippo , Presidente ... 23 

Audizione di rappresentanti di Confagricoltura, Cia, Alleanza delle cooperative italiane-settore agroalimentare, Coldiretti e Copagri (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):
Bubbico Filippo , Presidente ... 23 
Guidi Mario , Presidente di Confagricoltura ... 23 
Bubbico Filippo , Presidente ... 25 
Castiglione Ezio , Segretario nazionale economico-sindacale della Coldiretti ... 25 
Bubbico Filippo , Presidente ... 27 
Cenni Susanna (PD)  ... 27 
Lupo Loredana (M5S)  ... 28 
Bubbico Filippo , Presidente ... 29 
Lupo Loredana (M5S)  ... 29 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 29 
Marazziti Mario (SCPI)  ... 29 
Bubbico Filippo , Presidente ... 30 
Guidi Mario , Presidente di Confagricoltura ... 30 
Castiglione Ezio , Segretario nazionale economico-sindacale della Coldiretti ... 33 
Bubbico Filippo , Presidente ... 34

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI DISEGNI DI LEGGE DI CONVERSIONE DI DECRETI-LEGGE E DI ALTRI PROVVEDIMENTI URGENTI PRESENTATI DAL GOVERNO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA FILIPPO BUBBICO

  La seduta comincia alle 15,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  I nostri lavori si concluderanno alle 16.40. Successivamente avrà luogo, per le stesse finalità, l'audizione di rappresentanti di Confagricoltura, Cia, Coldiretti e Copagri.
  Ritengo che, anche in considerazione dell'elevata partecipazione all'odierna seduta, sia opportuno provvedere a disciplinare i tempi riservati agli interventi dei deputati e dei senatori.
  Propongo, pertanto, di articolare come segue i tempi riservati agli interventi dei parlamentari:
   Partito Democratico, Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Movimento 5 Stelle: 6 minuti da ripartire tra i gruppi di Camera e Senato;
   Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Ecologia e Libertà (gruppo Camera e componente prevalente gruppo Misto al Senato), Misto (Camera), Lega Nord e Autonomie: 4 minuti da ripartire tra i componenti dei gruppi di Camera e Senato e tra le componenti politiche del gruppo Misto;
   per le Autonomie – PSI (Senato), Grandi Autonomie e Libertà (Senato): 2 minuti per ciascun gruppo.

  Per la CGIL sono presenti Danilo Barbi, segretario confederale, Mauro Beschi, coordinatore del Dipartimento politiche economiche, e Riccardo Sanna, responsabile dell'ufficio economia.
  Per la CISL sono presenti Luigi Sbarra, segretario confederale del dipartimento industria, e Maurizio Petriccioli, segretario confederale per il settore fisco e previdenza.
  Per la UIL è presente Antonio Foccillo, segretario confederale, e per l'UGL Giovanni Centrella, segretario generale, Fiovo Bitti, dirigente confederale, Francesca Novelli, dirigente confederale, e Cecilia Pocai, dirigente confederale.
  Vorrei pregare i rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL di contenere i propri interventi in un massimo di otto-dieci minuti e di decidere in quale ordine intervenire.Pag. 4
  Do la parola a Mauro Beschi della CGIL.

  MAURO BESCHI, Coordinatore del dipartimento politiche economiche della CGIL. Egregio Presidente, onorevoli senatori e deputati, la CGIL ritiene che l'analisi della crisi, degli squilibri macroeconomici e dell'evoluzione del contesto economico finanziario e sociale a livello nazionale come internazionale, nonché il quadro delle previsioni macroeconomiche di finanza pubblica dei diversi elaborati che compongono il Documento di economia e finanza per il triennio in corso siano complessivamente sbagliati.
  La CGIL continua a sostenere, insieme alla Confederazione europea dei sindacati, che il fiscal compact vada cambiato e non condivide le scelte di economia pubblica del Governo all'insegna dell'austerità, volte a mantenere il pareggio di bilancio in termini strutturali per l'immediata stabilità finanziaria a scapito della crescita, dell'equità, della coesione sociale e del lavoro.
  La CGIL, inoltre, visti i recenti cambiamenti dettati dai principali protagonisti dello scenario globale, l'intensità della crisi, l'inadeguatezza della governance europea, il pesante impatto e la prolungata ricaduta sul sistema Italia, ritiene che gli obiettivi programmatici di politica economica e di finanza pubblica contenuti nel Programma di stabilità dell'Italia, insieme alle riforme avviate e alle linee di avanzamento contenute nel Programma nazionale di riforma, debbano essere rivisti e ridefiniti dal prossimo Governo.
  La CGIL, in diversi appuntamenti istituzionali, anche nell'ambito delle pratiche di consultazione previste dal cosiddetto metodo di coordinamento aperto europeo, ha presentato un'analisi della crisi, formulato alcune priorità dell'economia pubblica ed elaborato specifiche proposte di riforma del modello di sviluppo italiano ed europeo, nella convinzione che la via della ripresa sia possibile solo fondando nel lavoro e nella creazione di occupazione la ricerca della nuova crescita e della sostenibilità finanziaria, sociale e ambientale. Di recente, la CGIL ha elaborato un Piano del lavoro fondato su un cambiamento della politica economica e su un ventaglio di riforme necessarie.
  Il Documento di economia e finanza riporta un'analisi articolata degli squilibri microeconomici e macroeconomici nazionali, privilegiando, però, le determinanti della stabilità finanziaria. Di conseguenza, il quadro delle previsioni di finanza pubblica appare condizionato da un'incompletezza dell'analisi di base e da un'erronea scelta delle priorità di politica economica su cui si devono misurare scostamenti e avanzamenti.
  Non vengono, peraltro, rimessi in discussione i criteri di valutazione e di scelta delle strategie di politica economica del Governo, neanche di fronte ai certificati e reiterati errori previsionali del quadro macroeconomico. Gli stessi obiettivi programmatici per il 2013 e per gli anni successivi sembrano prescindere da una compiuta analisi della crisi e dei suoi effetti sul contesto italiano ed europeo.
  Il DEF sembra più una giustificazione delle azioni compiute dal Governo che un vero e proprio documento programmatico per il futuro. Esso rimanda tutto al prossimo Governo, cercando di accreditare l'idea, avanzata da Mario Draghi, che sia stato inserito il pilota automatico di un volo, che, però, va nella direzione sbagliata.
  La disoccupazione esplode in Europa e in Italia, con l'aggravante del suo impatto sulla componente giovanile e dell'allungamento della sua durata media, con conseguenze sull'ulteriore caduta dei redditi, sull'aumento della disgregazione sociale e sulla distruzione di competenze professionali e di capitale umano. In Italia il tasso di disoccupazione è cresciuto, nella crisi, dal 7 al 12 per cento – quello di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 36,5 per cento – mentre nel Mezzogiorno è pari al 17,1.
  Lo scenario complessivo è impressionante e molti indicatori ci dicono che la situazione rimane assai critica: l'Eurozona è decresciuta dello 0,4 per cento nel 2012 ed è prevista stagnare intorno allo 0,2-0,4 Pag. 5per cento nel 2013, mentre negli ultimi cinque anni il PIL europeo ha avuto una caduta cumulata dell'1 per cento.
  Tale spirale recessiva, rincorsa da avanzo primario e deflazione salariale, caduta della domanda e dei redditi, deficit e debito fuori controllo, non può portare in alcun modo ai risultati auspicati. Per alcuni Paesi l'intensità del decremento – in Italia, sommando il 2012 e il 2013, si arriva a un meno 3,9 per cento – rende più appropriata la parola «depressione».
  Questa crisi risulta peggiore di quella degli anni Trenta, sia nell'evoluzione del PIL, con un meno 5,1 per cento allora e un meno 6,9 oggi, ma soprattutto e drammaticamente nel caso degli investimenti, con un meno 12,8 per cento allora e un meno 27,6 oggi.
  Il debito pubblico, nonostante i 110 miliardi di tagli della spesa pubblica cumulati nei quattro anni e il fatto che dal 2013 al 2015 siano previsti per il fiscal compact ulteriori 80 miliardi di tagli alla spesa e di aumento generalizzato delle tasse, sta volando al 130 per cento del PIL in poco più di un anno.
  Appare allora evidente che il perseguimento di un ulteriore avanzo sarà realizzato con altri tagli alla spesa pubblica o aumenti delle tasse, come descritto anche nel DEF, trascurando l'impatto in termini sia di sviluppo sia di equità e di efficienza che queste misure fiscali riportano sui ceti sociali con bassi redditi e alta propensione al consumo.
  Di queste concrete condizioni economiche e sociali nel DEF non si vede traccia, concentrato com’è nell'autocompiacimento per l'attuazione delle cosiddette riforme di struttura, che dovrebbero avere progressive e magnifiche ricadute sulla crescita. Mentre il Ministro Grilli annuncia che la ripresa si comincerà a profilare nella seconda metà del 2013, la BCE lo gela, affermando che – forse, aggiungiamo noi – se ne parlerà nell'anno seguente.
  Anche l'operazione del pagamento dei crediti delle imprese avrà un impatto debole sull'economia, sia per l'incertezza applicativa, che, al di là della farraginosità delle norme, deve scontare un vincolo del deficit al 2,9 per cento del PIL, sia per la depressione della domanda, che non renderà facile la trasformazione della nuova liquidità in investimenti.
  La CGIL ritiene che, oltre a evitare la stretta fiscale sui redditi fissi prevista tra giugno e luglio, il rapido pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese sia necessario per evitare di bloccare i cantieri e la produzione di beni e servizi e, quindi, per difendere l'occupazione.
  La CGIL richiede che, nell'erogazione delle risorse sbloccate dal Governo, sia resa esplicita la priorità dell'utilizzo di tali fondi per il mantenimento dei posti di lavoro e, in generale, per la difesa del lavoro.
  In sostanza, non si vedono né i necessari mutamenti strutturali verso nuovi investimenti e creazione di lavoro né la volontà di aggredire le emergenze sociali, a partire dalla garanzia per gli ammortizzatori sociali e per gli esodati. Inoltre, la CGIL, unitamente a CISL e UIL, ritiene necessario e urgente individuare una normativa ad hoc per far sì che non si interrompano dopo il 31 luglio i tanti contratti di tipo precario nelle pubbliche amministrazioni.
  Sono, invece, riproposte dal DEF le vecchie ricette dei tagli lineari, delle liberalizzazioni e, ancora una volta, dell'accanimento verso il lavoro pubblico, riducendone occupazione e reddito.
  Si tratta, quindi, di un DEF molto autoreferenziale, che non toglie i dubbi sulla necessità di nuovi aggiustamenti e, ancor di più, che propone un insufficiente profilo di crescita, tale da aggravare le preoccupazioni sulle conseguenze derivanti dall'applicazione del fiscal compact.
  La CGIL, constatando l'inefficacia delle politiche di austerità espansiva, ritiene che occorra cambiare strada a partire proprio dal Programma di stabilità e dal Programma nazionale di riforma, soprattutto alla luce dell'evidenza empirica che ha portato il Fondo monetario internazionale a porre l'accento sugli errori previsivi dei moltiplicatori fiscali e sugli effetti perversi Pag. 6che i Piani di consolidamento aggressivi, attuati durante la crisi, hanno generato.
  La CGIL ritiene che il cambio di rotta debba essere profondo, per assumere l'idea di una nuova grande trasformazione del modello di sviluppo, fondando la nuova crescita proprio sulla creazione di lavoro e sulla sua valorizzazione. Il Piano del lavoro che la CGIL propone è un progetto di medio e lungo termine i cui obiettivi sono la crescita attraverso la riorganizzazione del modello di sviluppo e la piena occupazione in Italia e in Europa.
  A tal fine, oggi occorre scegliere fra due alternative di fondo, che determineranno due diverse visioni dell'Italia nei prossimi anni.
  La prima, che ispira l'attuale DEF, consiste nel competere sui costi, deflazionando i redditi e la spesa per le prestazioni sociali, precarizzando il lavoro, diminuendo la spesa pubblica o aumentando le tasse, puntando esclusivamente al pareggio di bilancio.
  La seconda mira a rilanciare la crescita a partire dal livello europeo, sostenendo, da un lato, la domanda interna – investimenti e consumi – l'occupazione e i redditi da lavoro e, dall'altro, l'offerta, per agire di riflesso sulla domanda, attraverso un nuovo intervento pubblico in economia, che passi inevitabilmente per la riqualificazione, e non la mortificazione, delle pubbliche amministrazioni.
  Per la CGIL solo una di queste due alternative guarda al futuro, solo una può funzionare, ed è la seconda.
  Occorrono anche necessarie politiche di riforma in Europa. La prima proposta avanzata dalla CGIL è quella di europeizzare il debito pubblico, regolare l'attività bancaria e le attività finanziarie, cominciando con il separare le attività commerciali dalle operazioni di investimento e con l'implementazione della tassa sulle transazioni finanziarie, e mutare il segno delle politiche di rigore verso misure sovranazionali di carattere espansivo.
  Qualcosa si sta muovendo ed è evidente che anche negli altri Paesi il dibattito è aperto. Una proposta interessante viene dal sindacato tedesco DGB, il quale invita tutti alla costruzione di un nuovo Piano Marshall che metterebbe in campo risorse per 260 miliardi di euro.
  Occorre poi recuperare uno standard retributivo europeo in grado di promuovere un tasso di crescita delle retribuzioni reali almeno pari al tasso della crescita della produttività del lavoro, favorendo così anche il riequilibrio tra i Paesi in surplus e i Paesi in deficit con l'estero, nonché riformare la BCE.
  Concludo ritornando al Piano del lavoro. Lasceremo poi una nota più organica che contiene i contenuti del Piano del lavoro e il Piano stesso. Mi soffermo soltanto su un ultimo punto: lo studio dell'impatto macroeconomico che il Centro Europa Ricerche ha condotto sugli effetti del Piano del lavoro. Rispetto allo scenario di base, l'attivazione del Piano del lavoro in un triennio potrebbe generare, in termini cumulati, una nuova crescita del PIL pari a 3,1 punti percentuali, 2,9 punti di nuova occupazione, sulla base di nuovi investimenti (più 10,3 per cento), un aumento del reddito disponibile (più 3,4 per cento) e dei consumi delle famiglie (più 2,2 per cento), insieme a un ulteriore incremento delle esportazioni (più 1,8 per cento), riducendo il tasso di disoccupazione nel 2015 al livello pre-crisi.
  C’è un dato molto interessante, che può essere anche non sorprendente per coloro che non sono condizionati da pregiudizi, ma che emerge dalla simulazione, ossia che, accanto ai benefici in termini di crescita e di occupazione, la spinta proveniente dall'intervento pubblico riduce anche il debito pubblico.
  Tutte queste nuove evidenze sottolineano come, ancor di più di fronte al fallimento delle politiche economiche convenzionali, sarebbe necessario un approccio meno ideologico e conservatore, senza il quale noi temiamo che la crisi sarà ancora lunga e assai più pesante.
  Spetta a questo nuovo Parlamento definire un grande progetto di cambiamento per rispondere alle drammatiche sfide poste dalla crisi e dalla sofferenza di un Paese percorso da domande troppo a lungo disattese.Pag. 7
  Chiedo di depositare agli atti i documenti che ho richiamato e il Piano del lavoro.

  PRESIDENTE. Do la parola a Maurizio Petriccioli della CISL.

  MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale per il settore fisco e previdenza della CISL. Signori presidenti, onorevoli senatori e deputati, anche noi depositiamo un documento organico per ragionare sul DEF e sul PNR. Occorrerebbe ben più tempo e, quindi, rimandiamo alla lettura delle considerazioni ivi contenute. L'intervento e alcuni ragionamenti che vogliamo presentare, però, vogliono rendere un po’ il senso del documento che abbiamo presentato.
  Il ragionamento che noi facciamo parte da una presa d'atto, evidente agli occhi di tutti: siamo in una morsa di instabilità e recessione, con una crisi economica grave, che determina, il che è ormai chiaro, una grave crisi sociale.
  Si tratta di una crisi sociale che, lo ricordo, già il DEF dell'anno scorso preannunciava. Purtroppo, i risultati, con oltre 3 milioni di disoccupati e una cassa integrazione che corrisponde a un numero di 400-600 mila persone, ci dicono chiaramente che nel nostro Paese, come già ho ascoltato, la ripresa si allontana ancora di più rispetto a quello che si preannuncia essere lo scenario degli altri Paesi europei.
  Va preso atto che le famiglie italiane stanno sperimentando una riduzione fortissima dell'occupazione dipendente e che questo porta a una riduzione del reddito disponibile e a una caduta in verticale dei consumi. Siamo avvitati in questa morsa, lo ripeto, recessiva.
  Un unico aspetto è positivo, se abbiamo un Governo che utilizzerà questo spazio: il mantenimento dell'obiettivo di pareggio, che si evince anche dal DEF, potrebbe consentire un'azione di governo. Dal momento che la procedura per deficit eccessivo non ci vedrà più coinvolti, potrebbe prefigurarsi un'azione del nostro Governo per ottenere, nelle more di una negoziazione con l'Europa, una serie di flessibilità e di disponibilità. Noi proviamo a mettere in fila almeno tre temi che potrebbero essere utili.
  Il primo è scorporare dai vincoli gli investimenti produttivi, il secondo prevedere un Fondo europeo straordinario per lo sviluppo – parliamo di infrastrutture, energia, innovazione e ricerca – e il terzo istituire un Fondo straordinario per l'assunzione giovanile, un problema particolare per il nostro Paese, ma che certamente, purtroppo, accomuna anche tutto il resto dell'Europa. Noi crediamo che, come è ormai evidente, senza crescita non ci sia occupazione e che aumenti, invece, la disoccupazione.
  Anche noi oggi siamo critici rispetto a un DEF e a un PNR che sostanzialmente fanno il punto sulle riforme strutturali iniziate e su quelle che si stanno avviando, ma non danno assolutamente conto di quelle che sono le riforme necessarie a portare il Paese fuori da queste secche.
  Noi sperimentiamo, indichiamo e sviluppiamo particolarmente tre misure, che avremmo voluto vedere più organicamente inserite all'interno del DEF. Come non osservare oggi che ci sono emergenze sul lavoro che rispondono alla necessità, anzi all'improrogabilità, di una copertura finanziaria per la cassa integrazione in deroga ? Sappiamo che servono 1,5 miliardi di euro entro domani, perché 18 regioni del nostro Paese non hanno più i fondi e non potranno più sostenere la cassa integrazione in deroga.
  Avremmo voluto trovare la continuazione di una progressiva soluzione per la questione degli esodati, così come avremmo voluto vedere una restituzione dei debiti delle pubbliche amministrazioni alle imprese senza inutili complicazioni e aggravi amministrativi, che ci sembrano eccessivi per le imprese, per come è stato articolato il decreto-legge.
  È necessaria poi, se vogliamo aiutare il Paese e le piccole e medie imprese, la rimozione delle difficoltà rispetto all'accesso al credito e lo sblocco delle risorse, che nei comuni e negli enti locali ci sono ma continuano a trovarsi vincolate dal Patto di stabilità interno. Queste misure Pag. 8per l'emergenza dovrebbero riconfermarsi all'interno di una programmazione che veda centrale il settore industriale, per rinnovare fortemente i nodi strutturali che lo tengono fermo.
  Il secondo punto che sviluppiamo riguarda le misure di carattere fiscale. Noi riteniamo che la via fiscale sia l'unica in grado di garantire l'uscita dal meccanismo di recessione nel quale ci siamo avvitati. Noi sosteniamo che occorre una riforma fiscale strutturale che sposti la pressione fiscale dal lavoro e dall'impresa verso i consumi, le rendite, i patrimoni.
  Le direttrici di questo intervento dovranno essere la riduzione del prelievo fiscale attraverso l'IRPEF, il potenziamento degli strumenti di sostegno alla famiglia, l'introduzione di un'imposta negativa per gli incapienti e la realizzazione di una maggiore selettività per la riduzione della pressione fiscale sulle imprese, perché dobbiamo aiutare le imprese che fanno innovazione, che si capitalizzano, che vogliono effettivamente crescere e che offrono occupazione, altrimenti aiutiamo tutti per non aiutare nessuno. Mi riferisco anche alle ultime misure con le quali abbiamo ridotto l'IRAP alle imprese, senza effettuare alcuna selettività.
  È chiaro che queste misure devono essere finanziate. Noi indichiamo la necessità di proseguire nell'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale e il contrasto di interessi come una strada che deve essere almeno sperimentata. La redistribuzione del peso del fisco deve andare verso le grandi manifestazioni della ricchezza, dei consumi e delle rendite finanziarie, perché chi ha di più in questa fase può dare qualcosa di più.
  Vanno ridotti i sistemi di agevolazione fiscale. Ci sono studi, più volte se n’è parlato, ma ancora non vediamo risultati in questo senso. Crediamo, però, che in una riorganizzazione delle tax expenditure possano esserci risorse sufficienti per mirare meglio la pressione fiscale.
  Vanno tagliati i costi impropri della politica, uscendo da un'idea che è stata praticata a lungo, quella dei tagli lineari, ed entrando in un'idea dei fabbisogni e dei costi standard per rivedere la spesa storica.
  In ultimo, ma certo non come ultimo, pensiamo che il PNR avrebbe forse avuto la necessità di ragionare anche attorno alla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, non perché questo sia un problema di architettura istituzionale, ma perché siamo convinti che bisogna intervenire al suo interno per realizzare un complessivo risanamento della spesa pubblica e una riorganizzazione della macchina pubblica.
  Tutto ciò è possibile, certamente attraverso una concertazione con gli enti locali, ossia interistituzionale, ma anche, noi sosteniamo, con il contributo delle parti sociali.

  PRESIDENTE. Grazie. È stato molto sintetico, offrendo un contributo importante, al pari di quello che ci è stato offerto da Beschi.
  Do la parola ad Antonio Foccillo della UIL.

  ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Buonasera, Presidente. Buonasera a tutti gli onorevoli senatori e deputati presenti.
  Anche noi abbiamo preparato un documento che depositeremo e che parte addirittura dal momento in cui si è votato, intitolato «Cinque proposte per far ripartire l'Italia».
  Credo di non dover aggiungere molto rispetto alle considerazioni sul DEF e sulla difficoltà economica che il nostro Paese sta vivendo: basta leggere tutti i giorni le dichiarazioni del Fondo monetario internazionale, dell'OCSE, dell'ISTAT e della Banca d'Italia. Io credo che il Paese stia vivendo una situazione di crisi da Paese del dopoguerra e andrebbe risollevato da questa situazione con una serie di interventi che diano fiducia agli italiani e facciano riprendere lo sviluppo.
  Noi siamo preoccupati dalle dichiarazioni rese dal Governo in carica, quando afferma che le prossime manovre, per rispettare il fiscal compact e portare al 60 Pag. 9per cento il rapporto debito-PIL in Italia, andranno da 20 miliardi di euro all'anno, se si toglie l'IMU, a 60 miliardi di euro all'anno. La preoccupazione è che, di fronte a questa situazione, immaginiamo già quali possano essere i processi e quindi crediamo che questo nostro Paese, se così dovesse essere, vivrà ancora di più in una fase di recessione che alimenterà i conflitti e sarà accompagnata da questo clima di sfiducia e di impotenza che gli italiani hanno già dimostrato in mille occasioni negli ultimi tempi.
  Anche noi pensiamo che bisognerebbe intervenire e crediamo che il futuro Governo abbia l'autorevolezza per farlo, sia con misure strutturali, con misure di prospettiva, sia con misure immediate e quotidiane per fornire le prime risposte.
  Sul piano generale, io credo che bisognerebbe fare una grande operazione in Europa, affinché l'Europa stessa diventi, da un lato, democratica, con un Governo eletto dai cittadini, senza che sia la burocrazia di Bruxelles a stabilire le tappe con cui devono fare i conti i cittadini di tutta l'Unione, ma soprattutto che la Banca centrale abbia tutte le credibilità di una banca che emette moneta. Ricordo a questo proposito che l'euro è una delle poche monete che non ha un padrone o comunque un soggetto che la stampi. Occorre, dunque, che la banca sia in grado di stare sulle oscillazioni dei mercati, di emettere moneta e di aiutare l'occupazione e lo sviluppo.
  Il terzo punto è modificare i trattati. I trattati non sono stati scritti sulle pietre sacre, ma sono norme emanate in momenti e situazioni particolari. Oggi svincolare, come hanno proposto i colleghi, gli investimenti che vanno a favorire innovazione, ricerca e occupazione dal rapporto deficit/PIL potrebbe essere una misura da attuare immediatamente. Io credo che anche nell'ambito europeo questa convinzione si stia determinando.
  Sul piano delle questioni immediate e vicine, noi abbiamo pensato che un'opera di programmazione debba essere compiuta su tre filoni fondamentali.
  Il primo è difendere e creare il lavoro. Come si fa ? Utilizzando le risorse che abbiamo, che possano accompagnare le imprese e soprattutto fornire loro la possibilità di rilanciare la capacità di investire attraverso il pagamento, così come è stato deciso dall'attuale Governo, di tutti i crediti che la pubblica amministrazione ha con le imprese stesse. Occorre, però, semplificare il procedimento, perché a noi sembra che, così com’è, la normativa sia piuttosto pesante e anche difficile da comprendere.
  Il secondo punto è favorire il credito, cioè creare un rapporto fra imprenditori, istituzioni del credito e le altre parti sociali, in modo che ci sia un migliore utilizzo del credito e soprattutto a tassi agevolati.
  Il terzo punto è defiscalizzare gli investimenti in ricerca e occupazione, soprattutto in occupazione stabile, e quindi alleggerire, come si è già detto, il Patto di stabilità interno per i comuni che sono in una situazione positiva e che hanno risorse che possono essere messe in circuito e alimentare così la crescita.
  La crescita avviene se il sistema produttivo riparte. Bisogna riconoscere che una parte del sistema produttivo è riuscita a stare sul mercato, anche in momenti di difficoltà come questi. La situazione economica, almeno da questo punto di vista, ha grandi lati oscuri, ma anche alcune positività.
  Inoltre, occorre intervenire, come accennavo prima, sulla difesa del lavoro. Noi oggi abbiamo la cassa integrazione, ma anche tante forme di precariato che andrebbero riviste, perché se n’è abbondantemente usufruito. In passato venivano presentate come forme in grado di rilanciare le imprese, ma ci sembra che fino a oggi questo non sia avvenuto.
  Come dicevano i colleghi, abbiamo mandato una lettera al Presidente della Camera e del Senato e a tutti i Presidenti dei gruppi della Camera e del Senato, perché, se non si interviene immediatamente, fra luglio e dicembre usciranno 360 mila precari dalla pubblica amministrazione, a cui si aggiungono i 240 mila Pag. 10dipendenti che ne sono già usciti in generale e gli ulteriori 200 mila previsti per la spending review. Ci troveremmo con una pubblica amministrazione che rischia di perdere complessivamente in questi anni quasi un milione di lavoratori, con gravi rischi soprattutto per i servizi e per l'efficienza.
  Ancora, occorre cercare di aumentare il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni o attraverso il fisco, o rinnovando i contratti. Anche in questo caso ci sono un bel numero di dipendenti, sia pubblici sia privati, che non hanno rinnovato i contratti. Bisognerebbe favorire tale rinnovo, in modo da poter rilanciare i consumi, considerato che la domanda interna incide per il 70 per cento nel nostro sistema produttivo.
  Portavo prima l'esempio della pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione ha contratti bloccati da quattro anni e non ha neppure la possibilità di utilizzare il salario di produttività defiscalizzato, perché nella pubblica amministrazione ciò non è possibile.
  Un'ultima questione riguarda la pubblica amministrazione. Anche noi siamo convinti che bisognerebbe ammodernarla e liberarla un po’ dagli sprechi, che pure ci sono – ci sono tante misure che potremmo indicare, ma le abbiamo messe nel documento che vi faremo avere –, e soprattutto dalla corruzione, che è uno dei fenomeni che incidono maggiormente sul piano della capacità di produzione di questo Paese. La Corte dei conti ha anche quantificato tale fenomeno nello sperpero che si compie attraverso la corruzione.
  È necessario poi procedere alla semplificazione di tutte le procedure e di tutte le decisioni che vengono prese nella pubblica amministrazione e valorizzarne l'efficienza anche attraverso chi ci lavora.
  Molto sinteticamente, Presidente, abbiamo voluto indicare alcune questioni che abbiamo messo su carta, che vi faremo avere come proposta complessiva. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Aspettiamo il documento, ma il contributo ci pare importante da registrare.
  Do la parola per l'UGL a Giovanni Centrella.

  GIOVANNI CENTRELLA, Segretario generale della UGL. Saluto il Presidente e gli onorevoli deputati e senatori presenti oggi.
  Il Documento di economia e finanza a noi sembra un documento che serve più per giustificare ciò che è stato fatto dal Governo attuale fino a oggi, secondo i suoi rappresentanti anche bene, che non per programmare il futuro. A noi sembra un documento lontano dalla realtà del Paese.
  È un documento che non tiene conto che quasi il 9 per cento dei nuclei familiari non ha le risorse sufficienti per sopravvivere. È un documento che non tiene conto che nel nostro Paese le piccole e medie imprese falliscono per i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione e che lo stesso sistema creditizio non fa il proprio mestiere, ossia quello di erogare i prestiti necessari per investire sulle attività produttive. È un documento che non tiene conto delle emergenze attuali del Paese riguardo agli esodati e al rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Non tiene conto dello sbocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, non tiene conto della perdita del potere d'acquisto delle famiglie, non tiene conto che c’è bisogno del rilancio dell'occupazione, in particolare di giovani, donne e lavoratori maturi. Non tiene conto che c’è bisogno di un rilancio dell'economia, a iniziare dal Mezzogiorno, e non tiene conto che noi abbiamo un fisco rapace con alcuni, a iniziare dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, e lassista con altri. È un documento che non tiene conto che c’è una mancanza di adeguati servizi per l'infanzia e la cura dei non autosufficienti, ma vede invece i risparmi certificati della pubblica amministrazione, i quali derivano esclusivamente dal blocco della contrattazione collettiva per il personale dipendente e dalla limitazione del turnover, senza tener conto, però, che i dipendenti pubblici accusano una perdita del loro potere d'acquisto reale valutabile intorno al 15-20 per cento.Pag. 11
  È un documento che, allo stesso tempo, parla tanto delle riforme che sono state effettuate rispetto alla disciplina delle pensioni e del lavoro, senza capire che tali riforme hanno creato gli esodati di cui parlavamo prima. I colleghi citavano un numero, che però è altamente superiore. Quanto alla riforma del lavoro, è una riforma che ha reso non solo più difficile assumere, ma anche più facile licenziare.
  È un documento che non tiene conto che ormai la situazione del Paese è in uno stato tale che c’è bisogno di riforme, ma che siano riforme vere.
  Noi pensiamo – abbiamo depositato un documento, ragion per cui non mi dilungo molto – che questo documento non tenga conto di quella che avrebbe dovuto essere la prima cosa da fare: una riforma fiscale vera, una riforma che, secondo noi, deve essere indirizzata verso il quoziente familiare e verso un alleggerimento degli oneri sia sul lavoro, sia nella direzione di portare più soldi in tasca ai cittadini italiani.
  C’è bisogno che il futuro Governo faccia qualcosa per il Paese. Se vogliamo rilanciare l'economia, la produzione e l'occupazione, c’è bisogno di mettere più soldi in tasca ai cittadini. Con più soldi in tasca spendono di più e, se si spende di più, ci sono più produzione, più crescita e più occupazione. Questo si può realizzare partendo da una riforma delle infrastrutture e da una riforma fiscale vera. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a Giovanni Centrella, anche per la sintesi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO SANTINI. Signor Presidente, vorrei porre solo alcune domande di approfondimento, condividendo il giudizio generale espresso nelle relazioni dei rappresentanti sindacali per cui il DEF si occupa più di quello che si è fatto piuttosto che di quello che si dovrà fare.
  La prima domanda riguarda le modalità di superamento della politica europea. Vorrei chiedere a tutti gli intervenuti un giudizio sulle decisioni del Consiglio europeo di marzo e sulle misure di flessibilità individuate. Chiedo se, a loro avviso, sono sufficienti rispetto all'obiettivo di cominciare a superare la politica di austerità e del vincolo del debito.
  Passando alla seconda questione, come è stato notato negli interventi, nel DEF si fa molto affidamento per la crescita del PIL sulla domanda interna, ma non si dice nulla sul modo in cui sostenerla. Eventualmente vorrei chiedere se c’è un'idea su questo punto.
  Quanto alla terza questione, sull'occupazione il giudizio e i numeri sono, come abbiamo visto, molto negativi. Giustamente, oltre ad auspicare il rifinanziamento della parte, purtroppo, mancante degli ammortizzatori sociali, volevo chiedere ai sindacati se si riesce a individuare una misura prioritaria per il sostegno dell'occupazione da mettere in campo nell'immediato.
  Per quanto riguarda il riferimento alla riforma del Titolo V, io sono d'accordo. Credo che la riforma della Costituzione – chiedo un approfondimento a chi ne ha parlato – debba, per essere incisiva anche nei fattori di spesa pubblica, allargarsi forse anche alle forme della politica e, quindi, al tema del superamento del bicameralismo e di tutto ciò che vi è collegato. Grazie.

  LUIGI TARANTO. Ringrazio per gli interventi precedenti.
  Provando a riassumere, mi pare che si possa dire che c’è una forte consonanza sull'analisi dei fenomeni in corso, la quale vede un processo di revisione della misura standard dell'impatto delle politiche di disciplina fiscale e, rispetto a questa revisione, conferma sostanzialmente la tesi, ormai da tempo avanzata dal Fondo monetario internazionale, secondo cui, per esprimersi con autorevolissime e sintetiche parole, il processo di risanamento dei conti pubblici va condotto non con lo scatto bruciante di un centometrista, ma con il passo cadenzato del maratoneta. Tutto questo conferma che senza più crescita non vi è neanche risanamento strutturale della finanza pubblica.Pag. 12
  Quanto alle politiche per la crescita, si confrontano all'ingrosso due tesi che non sempre si integrano. Da una parte vi è una tesi per la quale una maggiore crescita anche per il nostro Paese non può essere perseguita se non facendo leva sulla dinamica delle esportazioni. Dall'altra, ma sono correnti ancora minoritarie, si sostiene che è, invece, sulla domanda interna per investimenti e consumi delle famiglie che occorre fare maggiormente leva.
  Mi pare interessante, da questo punto di vista, in particolare la notazione che ho avuto modo di leggere scorrendo rapidamente il documento della CGIL. Esso propone un'integrazione tra politiche di sostegno alla domanda e politiche di riqualificazione dell'offerta per via di investimenti pubblici.
  Guardando a questi due elementi, andamento della domanda interna e investimenti pubblici, vorrei chiedere, ad avviso dei rappresentanti del sindacato, qual è il livello di emergenza e di urgenza con cui andrebbe affrontata dal Governo che verrà la questione dell'aumento dell'IVA di un punto a partire dal prossimo mese di luglio.
  Passo alla seconda domanda. Guardando alla questione degli investimenti e al punto più critico della nostra realtà italiana, cioè alla situazione del Mezzogiorno, qual è il loro giudizio sull'accelerazione dell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea realizzata attraverso le tappe del Piano d'azione per la coesione ? In particolare, giudicano sufficiente, rispetto all'accelerazione di questo intervento, l'ampliamento della misura del cofinanziamento statale previsto proprio nell'ambito del decreto-legge n. 35 del 2013 in materia di sblocco dei crediti delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni ?

  RENATA POLVERINI. Signor Presidente, ringrazio gli autorevoli esponenti delle organizzazioni sindacali. Io non svolgerò un intervento. Vorrei semplicemente fare alcune domande, anche perché negli interventi mi pare di aver ascoltato molte considerazioni che abbiamo già udito sul decreto-legge per i pagamenti della pubblica amministrazione. Mi riferisco, in particolare, al fatto che, anche rispetto a quel decreto, si ravvisi più la messa a sistema di azioni già messe in campo, piuttosto che la presenza di elementi di novità.
  Mi pare di capire che tutte le organizzazioni abbiano ribadito la necessità di integrare, già dal Documento di economia e finanza, la cassa integrazione, ma di questo abbiamo parlato nei giorni scorsi. Vi è poi la questione che investe gli esodati, nella consapevolezza, che ci è stata ribadita anche in questa fase, che non c’è un'assoluta certezza dei numeri, in particolare se andiamo a integrarli con quelli della scuola, che, a maggior ragione, sono piuttosto incerti. Mi pare di capire anche, ma ci eravamo già posti il problema, Presidente, che il decreto-legge sui debiti della pubblica amministrazione non possa attendere tempi lunghi e magari viaggiare insieme al DEF.
  Viene anche ribadito quanto già detto sullo sblocco del Patto di stabilità interno, che sicuramente può garantire, da parte degli enti locali, un nuovo circuito in termini economici, e sulla necessità di lavorare alla questione dell'accesso al credito. Prendiamo atto che ci sono alcune criticità sulle quali convergono tutti: imprese, sindacati e tutti i soggetti che abbiamo ascoltato.
  Vorrei porre due domande. Ho ascoltato da due organizzazioni, mi pare UIL e UGL, la necessità di sbloccare i fondi per la contrattazione dei dipendenti della pubblica amministrazione, che credo sia ormai ferma da oltre tre anni. Volevo capire se anche per gli altri questo è un elemento prioritario.
  Vorrei capire anche, rispetto alla domanda già posta dal senatore Santini, se tra gli strumenti utili per la messa in moto di nuova occupazione si possono riprendere strumenti che hanno già mostrato nei precedenti anni di funzionare, come il credito di imposta, in attesa che inventiamo altre soluzioni, magari più nuove.
  Vorrei, inoltre, capire se loro hanno un'idea di ciò che sta accadendo nelle Pag. 13pubbliche amministrazioni in applicazione del decreto-legge sulla spending review, che prevede la chiusura delle società degli enti locali, delle regioni e delle province e soprattutto che cosa succede laddove si sta andando avanti con questo provvedimento, in termini sia economici, sia soprattutto di occupazione.
  Qualcuno parla di riassumere, ma sappiamo bene che c’è il blocco dei concorsi. Al tempo stesso, si pongono numerose grandi questioni che riguardano proprio l'erogazione dei servizi da parte degli enti locali e delle regioni, che, venendo meno queste società, effettivamente rischia di fermarsi o comunque di andare verso un peggioramento.
  Come ultima domanda, non ho capito bene – probabilmente ero poco attenta – ma ho sentito un collegamento tra i costi della politica e i costi standard. Non capisco quale sia il collegamento fra questi due elementi, perché, a mio modesto parere, parliamo di due questioni assolutamente diverse. Forse ho capito male io. Mi pare di averlo ascoltato dal rappresentante della CISL. Grazie.

  CLAUDIO COMINARDI. In primo luogo, noi teniamo a precisare che condividiamo quanto esposto dalle parti sindacali rispetto ai diktat europei e alle politiche di austerity, con l'obiettivo di riappropriarci della sovranità monetaria. Chiediamo se i sindacati stiano considerando la possibilità di proporre un reddito di cittadinanza, di dignità o di esistenza, in linea con la raccomandazione 92/441/CEE, che sia in grado di garantire il sostentamento a tutte le persone che a oggi non vengono tutelate.
  Chiediamo, quindi, se avete pensato a un piano per affrontare la questione dei diversamente penalizzati, che mette a rischio la coesione sociale. Ci riferiamo alla questione degli esodati, dei nuovi salvaguardati, dei contributori volontari e degli esuberati, di cui troppo poco ci si sta occupando.
  Aggiungo un'altra considerazione rispetto al mercato del lavoro. È indicativo di questo sistema economico basato sul consumismo il fatto che buona parte del PIL, ovvero del lavoro dell'uomo, sia dedicata alla realizzazione di prodotti destinati all'obsolescenza programmata. In conseguenza di ciò, un'altra gran parte del PIL è impegnata a manutenere gli stessi prodotti e non a sostituirli.
  È, altresì, indicativo il dato che, grazie al progresso tecnologico degli ultimi decenni, che ha portato nel settore industriale un forte impiego dell'automazione, la produttività pro capite del lavoratore sia aumentata a livello esponenziale, riducendo di gran lunga l'apporto del lavoro.
  Va da sé che tra le forme per mantenere l'occupazione in chiave inclusiva sia necessario ripensare all'orario massimo di lavoro inteso come numero di ore lavorate a settimana, in modo tale da incentivare la piena occupazione, riducendo così l'apporto oneroso degli ammortizzatori sociali. La flessibilità del lavoro porterebbe così a volgere verso orari legati al carico di lavoro, in modo tale da garantire occupazione per tutti, restituendo dignità al bisogno primario dell'essere umano, il tempo, e utilità sociale al lavoro, come l'articolo 41 della Costituzione prevede.
  Chiediamo se si stia facendo una seria riflessione sul concetto di crescita economica rispetto ai bisogni della collettività. Grazie.

  SEBASTIANO BARBANTI. Signor Presidente, abbiamo visto come il DEF sia stato stilato in segno di continuità, ma ci chiediamo rispetto a che cosa, visto che ci aspetterà una nuova manovra; visto che il Governo avrebbe dovuto riformare il mercato del lavoro per aumentare la flessibilità e ridurre la segmentazione, mentre in realtà abbiamo avuto solo precariato; visto che la politica di sviluppo nazionale per l'imprenditoria avrebbe dovuto favorire l'innovazione e l'internalizzazione e, invece, abbiamo avuto la delocalizzazione; visto che la riforma delle pensioni avrebbe dovuto rendere il sistema previdenziale italiano uno dei più sostenibili in Europa e, invece, abbiamo soltanto gli esodati.
  Tutto ciò si pone all'interno di un quadro molto contraddittorio. Ci sono, da Pag. 14un lato, le bellissime dichiarazioni di intenti all'interno dell’Euro Plus Pact, oppure delle Flagship Initiative, che sono bellissime, ma contrastano, dall'altro lato, con la realtà cruda del fiscal compact, del MES e del prossimo Two Pack, che ci metteranno le mani praticamente in tasca.
  Siamo d'accordo anche noi con il dottor Beschi. Anche noi auspichiamo il cambiamento, ma sembra che di primo acchito, alla prima opportunità che abbiamo avuto, di cambiamento, esso sia stato rigettato. Sembra che il cambiamento lo vogliamo solo noi e voi.
  Da questo punto di vista, siamo tutti d'accordo sul fatto che bisogna rimettere mano ai trattati europei e alla riforma della BCE. È una considerazione che stiamo facendo da tantissimo tempo, in cui adesso sembra che alcuni altri movimenti politici ci stiano cominciando a seguire.
  Vi chiediamo se avete già alcuni aspetti in particolare da sottoporre a revisione per quanto riguarda i trattati europei e anche quali sono le leve politiche per fare ciò. Grazie.

  TIZIANA CIPRINI. Abbiamo apprezzato gli interventi dei sindacati, in particolare in riferimento al concetto di equità e al rinnovo dei contratti nel pubblico impiego. Chiediamo, pertanto, ai sindacati se condividono la proposta di agire per un intervento di maggiore equità in materia di retribuzioni nel pubblico impiego tra personale delle diverse categorie e dirigenza.
  Il blocco retributivo sta, infatti, penalizzando esclusivamente il personale delle categorie, il cui trattamento retributivo è rimasto fermo dal 2011, mentre il trattamento del personale dirigenziale o titolare di incarichi direttivi apicali in tantissime amministrazioni ha subìto notevoli incrementi, grazie alle retribuzioni di posizione e di risultato. Attraverso incrementi di funzioni, i dirigenti hanno potuto beneficiare di incrementi considerevoli delle retribuzioni di posizione. Inoltre, per i dirigenti è possibile aggirare il blocco retributivo attraverso il ricorso agli incarichi ad interim.
  In sostanza, ancora una volta il prezzo più alto della crisi sta ricadendo sulle spalle delle categorie professionali più basse. Occorrono, pertanto, azioni di riequilibrio sociale per evitare che, specialmente in periodi di crisi, le risorse economiche rimangano concentrate nelle mani di pochi.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, ringrazio di cuore i rappresentanti sindacali.
  Ci sono alcune questioni che non ho capito. C’è una parola che ricorre piuttosto frequentemente all'interno del DEF, ma che non ho sentito risuonare spesso negli interventi dei nostri sindacalisti. Si tratta della parola «produttività», unita alla parola «competitività».
  Difficilmente noi riusciremo ad avere più lavoro se non supereremo uno spread, il vero spread pericoloso, che non è quello fra il rendimento dei titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi, ma quello fra la produttività del lavoro italiano e quello di altri Paesi omogenei con l'Italia, con i quali siamo in competizione sui mercati. Aggiungo, anzi, anche i Paesi che non ci sono omogenei, ma che ci stanno raggiungendo e, speriamo, non superando, provenendo da condizioni di grandissima sofferenza sociale.
  Che cosa pensate sul tema della produttività e della competitività ? Che cosa possiamo fare per migliorare la produttività e la competitività del lavoro italiano ?
  Noi possiamo calcolare che esiste un differenziale di produttività fra noi e Paesi simili concorrenti di circa il 30 per cento. Di questo 30 per cento, un 5 per cento è competitività del lavoro, un 25 per cento è competitività complessiva dei fattori. Quando il prodotto esce dalla fabbrica, siamo alla pari con i tedeschi. Se poi contiamo le poste che non funzionano tanto bene, le ferrovie che arrivano un po’ tardi, le autorizzazioni che fanno cilecca e la possibilità di smaltire i rifiuti, scopriamo che siamo molto meno competitivi.
  Molti di questi elementi fanno perno sulla produttività ed efficienza della pubblica amministrazione. Qual è la posizione Pag. 15del sindacato su questi temi ? Credo che sia importante. Il lavoro non verrà perché noi lo invochiamo, non verrà per i provvedimenti presi dal Governo, se non ci sarà competitività. Lascio da parte il fatto che la stabilità è condizione prima di competitività.
  Pongo una seconda domanda. Non ho capito bene che cosa deve fare il Governo italiano e che cosa deve fare l'Unione europea. Un grande piano per il rilancio della produttività in Europa e, quindi, del lavoro in Europa è una questione a cui stiamo lavorando, ma è difficile che lo possa attuare il Governo italiano fuori di un contesto europeo.
  Sono due anni che il Governo italiano sta lavorando all'idea di voltare pagina. Garantita la stabilità, che non può mai venir meno, si tratta ora di aprire il discorso sulla competitività e, quindi, sul lavoro di buona qualità, che è legato all'economia della conoscenza, da promuovere. Su tutto questo noi vorremmo una posizione forte dei sindacati, non solo di quelli italiani, ma anche di quelli europei, perché queste iniziative si assumono in Europa. È inutile chiedere al Governo italiano. Si può chiedere che il Governo italiano si dia da fare perché in Europa si agisca, ma all'interno dell'Unione il Governo italiano deve stare dentro un sistema di vincoli che vale per noi e per gli altri e che non è tanto facile da allentare per iniziativa unilaterale. Lo si può cambiare, ma secondo le procedure e attraverso la lotta politica inevitabilmente europea. Peraltro, nel 2014 ci saranno le elezioni europee. Dovrebbero essere, spero, una grande occasione per parlare di tutte queste tematiche.
  Infine, passando dai massimi sistemi a una questione molto puntuale, vedo con qualche preoccupazione il tentativo del Governo di non esaurire le graduatorie dei concorsi che bandisce. I concorsi si possono non fare, ma, se si fanno, coloro che li vincono acquisiscono una legittima aspettativa di essere assunti. Sarebbe anche sbagliato tenere nuovi concorsi o creare nuovi percorsi per inserire il personale nell'amministrazione, fin quando vi sono tanti, giudicati idonei nei concorsi precedenti, che non sono stati assunti.

  MARIO MARAZZITI. Ringrazio le organizzazioni sindacali.
  Vorrei semplicemente insistere su un punto toccato dall'onorevole Buttiglione. Il paragrafo IV.1 della Sezione III del Documento di economia e finanza dice con molta chiarezza che, secondo le valutazioni della Commissione, un fattore di debolezza è costituito in particolare dal livello elevato rispetto alla media dell'area dell'euro del costo unitario del lavoro, imputabile anche a una dinamica salariale non allineata a quella della produttività. Mi ha colpito, francamente, che nessuna attenzione sia stata rivolta a questo punto nelle introduzioni delle organizzazioni sindacali.
  Io penso che siano sicuramente condivisibili alcune proposte che sono venute – penso al desiderio di allentare in Europa alcuni vincoli per gli investimenti produttivi, all'idea di un Fondo straordinario per l'innovazione e a quella di un Fondo straordinario per l'occupazione giovanile – ma il problema, secondo me, è che noi dobbiamo dare atto, al di là delle impostazioni culturali di provenienza, del fatto che questo documento, questo DEF, è estremamente onesto. Esso non vuole impegnare il Governo, che non c’è, su alcuni temi, ragion per cui io lo trovo non deludente, ma assolutamente onesto, e, al tempo stesso, lascia aperta la linea strategica. Su questa linea strategica io mi permetto di porre una domanda: quali sono, secondo voi, gli strumenti che possono essere più efficaci per un vero rilancio dell'occupazione e dello sviluppo del Paese ?
  Per esempio, c’è il discorso del reddito di cittadinanza universale o di inserimento sociale. Noi di Scelta civica siamo favorevoli a introdurre maggiori misure di protezione in uscita dal lavoro e un sostegno legato anche alla formazione e a un accompagnamento con maggiore flessibilità in entrata e in uscita per tre anni e per particolari categorie, come le donne, le famiglie e i single, ma in un percorso Pag. 16temporaneo, per impedire che la povertà temporanea diventi povertà strutturale.
  Un provvedimento come il reddito di cittadinanza universale rispetto alla creazione di posti di lavoro e di sviluppo vi sembra attuabile, auspicabile, sostenibile ?
  Vi chiedo ancora: la cassa integrazione, che è uno strumento importantissimo, in tempi di recessione rischia, però, di essere ammortizzatore sociale e non elemento di sviluppo. Voi siete favorevoli anche a strumenti alternativi ? Avete proposte in questo senso ? Io credo che queste siano risposte che dobbiamo fornire per orientare il prossimo Governo nella giusta direzione.
  Concludo dicendo che ho sentito da tutti voi e, in particolare, anche da alcuni colleghi in Parlamento l'aspirazione a una rinegoziazione europea. Sono totalmente d'accordo sul fatto che dobbiamo provare a rinegoziare alcune regole di flessibilità – accanto al fiscal compact c’è il growth compact – e anche proporre, per esempio, con la speranza che sia accolta, la possibilità di applicare strumenti di detassazione selettiva. Penso, per esempio, all'incremento di lavoro femminile dal 46 al 60 per cento, in un arco magari di cinque anni. Questo intervento ha alcuni costi, ma potrebbe essere un grande fattore di sviluppo.
  Noi, per esempio, pensiamo che dobbiamo prevedere alcuni interventi per le famiglie. L'applicazione di un fattore familiare come elemento di defiscalizzazione, però, toglie risorse, ragion per cui andrebbe creato un nuovo debito o andrebbero trovate nuove risorse da altre parti.
  Andremmo a rinegoziare tutto questo in Europa. Se i sindacati a livello italiano ed europeo sono compatti su questo, forse possiamo vincere, altrimenti siamo alla wish list.
  Io vorrei da voi un parere. Vorrei capire come possiamo insieme orientare anche il nuovo Governo in una giusta direzione.

  TITTI DI SALVO. Signor Presidente, molte grazie alle organizzazioni sindacali.
  Approfitto per osservare che ci dispiace di non aver avuto modo di sentire la loro opinione con un'audizione dedicata al decreto-legge che stiamo esaminando per il pagamento dei debiti nei confronti delle imprese da parte della pubblica amministrazione. Ci sarebbe piaciuto ascoltare la loro opinione anche su quell'argomento.
  Svolgo tre considerazioni e pongo una domanda. Come prima considerazione, noi condividiamo la valutazione che è stata espressa da tutte le organizzazioni sul Documento di economia e finanza di cui stiamo discutendo. Penso anch'io che sia vera una considerazione che faceva l'onorevole Marazziti, e cioè che nell'attuale testo del DEF pesi la precarietà dell'attuale Governo. Non c’è dubbio che questo elemento ci sia.
  Tuttavia, tale elemento non può nascondere un elemento di valutazione sul carattere della politica economica seguita finora. Insisto nel ribadire una considerazione che ho già svolto precedentemente, in un'altra occasione, trattando del decreto-legge. Il giudizio sulla politica economica seguita finora non è interessante da proporre per un'attenzione al passato, ma per valutare e scegliere la direzione di marcia per il futuro. Questo è il punto. Non si tratta semplicemente di recriminare o di complimentarsi sul passato, ma di decidere se quella direzione oggi è quella giusta, nelle condizioni del Paese e dell'Europa di oggi.
  Su questo punto noi pensiamo, per esempio, che la competitività del Paese e dell'Europa, e soprattutto dell'Italia, nei confronti del mercato interno europeo e globale non si realizzi con tagli lineari, ma aggredendo i nodi strutturali della caduta di competitività: penso al modello di specializzazione maturo, alla dimensione delle imprese, all'assenza, o alla grande debolezza, di investimenti in ricerca e innovazione. Nelle scelte fatte finora non si può che affermare che questa non sia la direzione seguita. Questo è il punto, insisto, non per giudicare il passato, ma per dire come da qui in avanti possiamo incamminarci. Anche l'aumento della produttività Pag. 17del sistema non si realizza senza nuovi investimenti. Questo è il punto. Noi ci misuriamo con questa difficoltà.
  Come seconda considerazione, noi condividiamo e riteniamo a nostro avviso molto importante il riferimento che è stato svolto dalle diverse organizzazioni sindacali, anche se con modalità differenti, al senso e all'utilità di politiche pubbliche che orientino oggi la politica industriale e che siano capaci di stimolare anche investimenti privati, rappresentando un'assunzione di responsabilità rispetto ai nodi strutturali che citavo prima e che imbrigliano il Paese.
  In tutto questo, ed è la terza considerazione, ci sono naturalmente scelte di prospettiva e di strategia e poi emergenze e urgenze che vanno affrontate ora, nemmeno domani mattina, ma ora. Condividiamo il fatto che le emergenze sono quelle che tutti avete indicato, cioè la fine dei finanziamenti nelle 18 regioni per la cassa integrazione in deroga, la scadenza al 31 luglio dei contratti precari nella pubblica amministrazione, senza i quali chiuderanno i pronto soccorso, e gli esodati. Queste sono le tre urgenze.
  Da questo punto di vista, dovremmo decidere, in questo caso noi – non il sindacato, ma le forze politiche e il Parlamento –, se a questa urgenza si risponde ora, nel decreto-legge sui debiti della pubblica amministrazione, o con un decreto ad hoc. Noi pensiamo che una questione regolamentare non possa essere un alibi per non affrontare immediatamente questo tema, che è quello principale.
  Aggiungo una domanda e concludo. È stato svolto, naturalmente, un accenno molto forte da parte delle organizzazioni sindacali e anche degli interventi degli altri colleghi alla dimensione europea dei ragionamenti che stiamo affrontando. Condividiamo tutti il fatto che le catene del fiscal compact europeo vadano allentate. Non si tratta di non rispettare gli impegni, ma di modificarli in modo che, rispettandoli, si possano compiere scelte differenti. Ho sentito ragionare di un Piano Marshall che il sindacato tedesco DGB ha proposto come ipotesi su cui discutere. A me sembra molto interessante e la domanda è esattamente questa: vorrei capire come, rispetto a questa strada, ci sia un impegno del sindacato europeo in questa direzione. Spiego il motivo della domanda. Noi chiederemo, ma non è soltanto un'opinione nostra, che il futuro Governo italiano in prima persona si faccia promotore di una scelta di allentamento del fiscal compact per un'Europa della crescita e un cambio rispetto alle politiche di austerity e di rigore senza crescita. Naturalmente, se questa scelta arriva da un Governo nazionale ma ha il sostegno del sindacato europeo, in questo caso di una sua proposta, si ha una convergenza per poter modificare tale direzione.

  ALBERTO GIORGETTI. Signor Presidente, ringrazio rapidamente anch'io i rappresentanti dei sindacati, che hanno voluto portare il loro contributo, e svolgo una brevissima riflessione.
  È evidentemente complesso, nella fase particolare che sta vivendo il nostro Paese, una fase istituzionale tanto rilevante e straordinaria, riuscire a portare una sintesi sul documento che per eccellenza rappresenta il canovaccio su cui si va a costruire la politica economica e di bilancio e, quindi, sugli interventi che il Governo dovrà attivare nei prossimi mesi e anni per cercare di raggiungere gli obiettivi che vengono fissati soprattutto in chiave europea.
  I temi sono tanti, ma io credo che questo sia un documento, come è stato ricordato da altri, in particolar modo dagli ultimi interventi che hanno preceduto il mio, che scatta una fotografia sostanzialmente onesta di ciò che è accaduto e della situazione del Paese. Ovviamente, c’è una difesa del lavoro svolto da parte del Governo che lascia aperta la strada a indirizzi politici che possono provenire, anche e soprattutto dal Parlamento, per il prossimo Governo.
  Io vorrei fare a voi e ai colleghi, ma anche e soprattutto a chi è audito oggi, una sottolineatura: io credo che noi abbiamo un'occasione importante, a cui non possiamo sottrarci, che è quella, nei prossimi Pag. 18giorni, di confrontarci con buona probabilità, ma non per forza – se dovesse avvenire, ci mancherebbe altro, così sarà – non con il Governo uscente, ma con un Governo entrante. Con esso dovremo confrontarci attraverso una risoluzione parlamentare che avrà caratteristiche di orientamento e di indirizzo che saranno fondamentali per le attività del prossimo Governo.
  Cercando di commisurare la questione alla portata della vicenda, io credo che i relatori tenteranno, insieme ovviamente a tutti i Gruppi parlamentari, di costruire un indirizzo e una risoluzione che siano sufficientemente ambiziosi per affrontare almeno alcuni di questi punti in modo piuttosto dettagliato, fornendo un orientamento preciso.
  Qualcuno ricordava prima che nelle audizioni sul decreto-legge n. 35 del 2013 non abbiamo sentito i rappresentanti sindacali. È verissimo, però il decreto-legge, a mio avviso, è solo una parte di quello che noi dovremmo realizzare. Probabilmente anche rispetto ai debiti della pubblica amministrazione è comunque solo una parte, che dovrà avere altre parti di intervento, magari nello stesso decreto-legge o con altri strumenti.
  Chiudo invitando tutti a essere propositivi. Gli spunti ovviamente sono tanti. Non voglio porre quesiti e domande. I vostri interventi sono stati chiari e ognuno ha sensibilità, io credo, diverse su alcuni temi, che sono stati ricordati dai colleghi.
  Il mio invito è a cercare, se possibile, di svolgere un'ulteriore istruttoria da parte vostra per individuare le priorità più secche e immediate, quelle che ritenete essere strategiche nei prossimi giorni, allo scopo di fornire ulteriori elementi a noi e di poter, quindi, far diventare anche la vostra agenda una realtà. Al di là dei temi posti, che sono moltissimi e non tutti affrontabili in pochi giorni, vi invito a tracciare una scaletta di possibili attività o iniziative che sono state da voi già indicate in modo più ampio e che voi ritenete assolutamente prioritarie, integrando i vostri documenti, se volete, con una sintesi ancora più efficace sulla tempistica e sulle priorità assolute che voi vogliate fornire come stimolo al Parlamento. Se faceste questo, vi ringrazieremmo.

  PRESIDENTE. Concludiamo con l'intervento del vicepresidente Baretta e poi darò la parola per le repliche.

  PIER PAOLO BARETTA. Nella mia qualità di relatore condivido l'ultima osservazione che ha fatto l'onorevole Giorgetti. Penso anch'io che – col Presidente Bubbico se n'era accennato – nelle prossime ore e nei prossimi giorni, sulla base dell'evoluzione delle dinamiche più generali, dovremo tener conto del quadro che si determinerà.
  Comincio con un'osservazione. Mi pare che sia piuttosto matura nel Parlamento, tra le forze politiche, pur con accentuazioni diverse, l'idea che bisogna aprire in Europa un confronto sull'allentamento dei vincoli e sugli spazi. La mia sensazione è che l'esito di questo eventuale successo dovrebbe implicare la possibilità di avere spazi per politiche espansive e riequilibrative, ma non necessariamente per politiche esclusivamente acquisitive. Credo che questo sia un punto che bisognerà approfondire e sui cui occorrerà riflettere seriamente. Bisognerà stabilire la scaletta di priorità che veniva posta da molti. Penso, per esempio, al nodo della pubblica amministrazione, che è stato toccato da alcuni auditi e anche da altri colleghi.
  Io penso che nell'industria avremo di fronte un problema generale di ristrutturazione, ancora non marginale. Il processo di uscita dalla crisi non è un processo rose e fiori. Andrà accompagnato e le politiche espansive non implicano necessariamente politiche di carattere acquisitivo. Questo è un punto che andrà approfondito meglio, ma che non approfondisco adesso. Mi pare di aver dato il segno.
  La domanda è molto secca: esiste un'opinione, o una valutazione, condivisa e realistica delle risorse necessarie per la cassa integrazione in deroga ? Abbiamo sentito troppe cifre. Poiché il Parlamento dovrà pronunciarsi, e vorrebbe pronunciarsi adesso, in questa tornata, esiste una valutazione realistica e condivisa ? Grazie.

Pag. 19

  PRESIDENTE. Do subito la parola a Danilo Barbi e agli altri ospiti per la replica. La preghiera è di contenerla in pochi minuti.

  DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. Parlo in un modo telegrafico, per rispondere solo a una parte delle questioni proposte.

  PRESIDENTE. Ovviamente è possibile fare un'integrazione, come già sollecitato, anche in forma scritta.

  DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. Rispetto alle valutazioni di alcuni onorevoli sull'onestà del DEF presentato dal Governo, vorrei dire che, per onestà, il Governo dovrebbe spiegare perché nel precedente DEF aveva valutato il PIL di chiusura del 2012 intorno allo zero, mentre è del meno 2,4 per cento. Per onestà, io intenderei che ci si dovesse porre la domanda, altrimenti non ho capito che cosa significa la parola «onestà».
  In merito a una delle questioni di fondo di questa discussione, si è chiesto quale è il giudizio sulla Commissione europea, che propone di introdurre una flessibilità. Ne parlava il collega Santini. È un'ammissione di colpa da parte della Commissione europea, tardiva e inadeguata, ma pur sempre un'ammissione di colpa. Perché è tardiva ? Perché non rende conto del fatto che la cosiddetta austerità espansiva è stata depressiva. Questo è il primo fatto. Non tiene conto dei disastri che l'austerità ha già creato in tutta Europa.
  In secondo luogo, non tiene conto di un altro fatto: mentre noi parliamo della flessibilità rispetto all'austerità espansiva, il resto del mondo stampa moneta.
  Vorrei fare presente ai parlamentari che il prezzo dell'oro in poco più di due settimane è crollato del 20 per cento semplicemente a seguito della politica economica del nuovo Governo giapponese, il quale ha programmato la riduzione della moneta giapponese del 20 per cento e l'inflazione dallo 0 al 4 per cento, riossigenando i mercati finanziari di tutto il mondo, che in questo momento seguono chi crea domanda. Mi riferisco ai mercati finanziari reali, se qualcuno ne ha un'idea reale.
  C’è bisogno di un punto di questa natura in Europa. C’è bisogno di una politica di creazione della domanda e tale politica si può fare in due modi: o escludendo alcuni investimenti – si tratta della Golden Rule, ma applicata in un modo significativo – dai vincoli nazionali, oppure creando un Piano straordinario europeo, se alcuni Governi non si fidano degli altri, direttamente di spesa pubblica europea.
  Si può, però, anche finanziarla stampando moneta in Europa. Voglio esprimermi in questo modo. Io non capisco perché l'unico posto al mondo dove questa possibilità non viene presa in esame sia l'Europa. Qualcuno mi dovrebbe spiegare questo fatto. Perché tutti gli altri grandi Paesi industrializzati del capitalismo mondiale lo fanno e l'Europa no ? Se qualcuno mi spiegasse questo concetto, gliene sarei profondamente grato.
  A quest'altezza ormai della crisi, con questa conseguenza recessiva e depressiva dell'economia reale e dell'occupazione e con la catastrofe dell'occupazione giovanile in Europa ci vuole una politica di creazione del lavoro attraverso il lavoro. Si tratta proprio di quell'intervento che qui qualcuno ha negato che si possa fare. È un intervento che appartiene alla politica democratica, che in altre epoche è stato fatto, persino negli Stati Uniti d'America, come è noto; anche da ultimo ci si riprova. Si chiamava «New Deal».
  Se, invece, si butta tutto sull'aumento delle esportazioni e della produttività, mi domando: perché dovremmo poterlo fare solo noi ? Gli altri svalutano la moneta e creano domanda aggiuntiva in questo modo e noi diminuiamo il costo del lavoro come idea generale di competitività ?
  Con chi stiamo competendo ? Con gli americani o con i cinesi ? Questa è la domanda che l'Europa si deve porre. Non ci sono due strade. Se competiamo con i cinesi, fra poco ci supereranno, e allora almeno potremo inseguirli. Se competiamo Pag. 20con le altre aree avanzate, dobbiamo fare una politica di creazione della domanda e di innovazione dell'offerta.
  Noi non abbiamo dubbi su questa proposta e anche sulle questioni che qualcuno poneva sulla crescita. Noi pensiamo che occorra ragionare di una nuova crescita e che le questioni dei beni comuni e di una crescita fortemente green siano l'orizzonte dentro il quale scrivere anche questa mobilitazione degli investimenti pubblici e privati e la creazione di una nuova domanda di lavoro.
  Per concludere, se ci si chiede qual è l'emergenza, noi rispondiamo: esodati, ammortizzatori in deroga – in merito la nostra valutazione è che 1,5 miliardi di euro basterebbero per coprire l'annualità in corso, all'attuale trend – e precari della pubblica amministrazione, parlo dei contratti di giugno, non della questione generale dei precari pubblici. Queste sono, a nostro avviso, le tre emergenze.
  Se ci si parla di priorità, in attesa di un cambiamento della politica economica, noi continuiamo a proporre un piano nazionale per la creazione di occupazione giovanile e femminile in questo Paese, che mobiliti risorse pubbliche e private su alcune produzioni invece che su altre, su consumi collettivi invece che individuali. Questa è una proposta, una linea. Se qualcuno non è d'accordo, deve proporne un'altra, che non sia quella precedente, cioè l'aumento della produttività netta delle ore lavorate, diminuendo il salario e l'occupazione, perché l'abbiamo già percorsa, vorrei dire senza successo.
  Rispetto al salario di cittadinanza, noi preferiamo l'idea del lavoro di cittadinanza. Si tratta di una discussione aperta in tutta Europa. Se si garantiscono 600 o 800 euro a tutti, vorrei capire che senso avrebbe lavorare facendo i turni, guadagnando 1.100 euro al mese. Se io fossi uno di questi lavoratori e vedessi che tutti intorno a me guadagnano 800 euro, francamente mi licenzierei. Ritengo che ci sia del lavoro faticoso da fare, in questo Paese, e per questo sono prudente sul tema del reddito di cittadinanza, e preferisco l'idea del lavoro di cittadinanza, cioè di una politica che crei lavoro di fronte alla grande catastrofe dell'attuale situazione.
  Siamo sempre stati contrari all'aumento dell'IVA e, come CGIL, l'abbiamo sempre dichiarato. In Italia – come è noto – questa misura produce un effetto particolarmente depressivo, al contrario di quanto accade in Germania. Per evitare tale aumento, si potrebbe aumentare il prelievo sulle rendite finanziarie, portandolo dal 20 al 25 per cento. Rimarremmo fra gli ultimi dei 17 Paesi d'Europa, ma non succederebbe niente di grave, visto che un reddito di 1.000 euro paga il 23 per cento, mentre le rendite finanziarie pagano solo il 20 per cento, e non si comprende il motivo. In fondo stiamo parlando di guadagni.
  Ho una considerazione da aggiungere sulle riforme istituzionali, anche questo un tema evidente. Per quanto ci riguarda, siamo a favore di un superamento del bicameralismo in questo Paese, con una sola Camera, non per andare verso il sistema presidenziale – che è un'altra opzione, seppure a parer nostro non adeguata alla storia di questo Paese – ma perché riteniamo che una sola Camera sia più che sufficiente. Grazie.

  MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale per il settore fisco e previdenza della CISL. Signor Presidente, inizio anch'io da una valutazione sull'onestà del documento, che non intendiamo mettere in dubbio. Peraltro, comprendiamo il richiamo in questo senso da parte del Governo che vive un momento di passaggio. Tuttavia, credo sia onesto dire ciò che si pensa e soprattutto ciò che si crede possa essere utile. Pertanto, al di là di quanto è scritto sul DEF, i nostri interventi tendono a dare delle indicazioni al Parlamento per quello che, invece, non è riportato nel documento ma servirebbe a migliorare le condizioni del Paese e ad affrontare meglio il 2013.
  Le domande sono state tantissime, dunque ne sceglierò alcune. Sicuramente quando parliamo – lo chiedeva il senatore Santini, e la ritengo una considerazione Pag. 21centrale – di tre punti da mettere in campo a livello europeo, intendiamo proprio ciò che lui sottolineava, cioè il fatto che già c’è stato un allentamento dei vincoli per chi non incorre in alcune penalità. Abbiamo, quindi, indicato tre princìpi: il tema della golden rule, cioè la possibilità di scorporare dai vincoli di bilancio gli investimenti produttivi; il tema della creazione di un fondo straordinario per le assunzioni giovanili, e vorrei precisare che, per noi, parlare di assunzioni giovanili significa introdurre il credito d'imposta per nuova occupazione e nuovi investimenti in lavoro giovanile, nonché il miglioramento continuo dell'apprendistato; l'istituzione, a livello europeo, di un fondo per lo sviluppo di infrastrutture, energia, innovazione e ricerca.
  L'onorevole Buttiglione ha sollevato il problema della produttività e della competitività, asserendo che, sebbene nel DEF se ne parli molto, noi non ne abbiamo parlato. Nel documento, invece, ci esprimiamo puntualmente a riguardo, ma, poiché in audizione il Presidente ci richiama alla sintesi, non lo abbiamo riferito negli interventi. Vorrei dire agli illustri parlamentari che le parti sociali hanno cercato di mettere in campo alcune risposte sul tema della produttività aziendale, nonostante qualche problema fra loro, affrontando la questione in maniera diversa. Ad esempio, ricordo che nell'ultimo DEF i finanziamenti per la detassazione della produttività aziendale sono andati nella direzione che le stesse parti sociali hanno ispirato. Il tema della produttività del Paese deve essere affrontato dal Parlamento e dal futuro Governo. La richiesta di investimenti per migliorare la pubblica amministrazione, investimenti energetici, investimenti in infrastrutture e strutturali, non è una questione che va posta a noi, sebbene ci riguardi in quanto Paese e dal punto di vista del miglioramento della competitività.
  Il presidente Baretta poneva l'accento su un tema sul quale è bene soffermarci, poiché nel documento non siamo del tutto precisi su questo argomento e possiamo, pertanto, aggiungere qualcosa grazie al collega Sbarra, che segue questa materia. Riferendomi alla richiesta di chiarire i numeri sulla questione emergenziale della cassa integrazione, partiamo dal dato della spesa storica del 2012, cioè 2 miliardi e 300 milioni di euro. Sappiamo che per chiuderla servirebbero ancora 200 milioni di euro e sappiamo che fino ad oggi sono stati destinati 800 milioni di euro per i primi mesi del 2013, che sono già stati affidati alle regioni. Le regioni stesse e i nostri sindacati regionali ci dicono che quei fondi sono già terminati. Considerato che la spesa storica è di 2,3 miliardi di euro, servono pertanto 1,5 miliardi di euro, sapendo anche che qualcuno sostiene che, non agganciando la ripresa come altri Paesi europei probabilmente faranno, potremo trovarci in qualche difficoltà in più.
  Mi piacerebbe intervenire su tanti altri punti, ma non lo faccio perché non è corretto. Aggiungo solamente – non vorrei essere stato compreso in maniera erronea – che un tema sono i costi della politica, e nel documento lo codifichiamo come necessità di rimettere in campo livelli istituzionali riorganizzati, e un altro tema è ovviamente la revisione della spesa, sulla quale sosteniamo l'importanza di affrontarla non con i tagli lineari, ma con i costi e i fabbisogni standard. Grazie.

  PRESIDENTE. Ho il dovere di informarvi che tra tre minuti verrà chiuso il collegamento con il canale satellitare, quindi con dispiacere mi scuso con chi interverrà successivamente.

  ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Intervengo molto velocemente anche per rispetto di chi deve ancora prendere la parola.
  Innanzitutto vorrei rispondere all'onorevole Giorgetti. Ritengo che sia opportuno prendere un impegno su ciò che egli ci suggeriva, ovvero preparare unitariamente, come sindacati, un documento di sintesi delle questioni più immediate da risolvere, proponendole e sottoponendole a un confronto. Credo si tratti di una proposta molto utile, così come mi sembra molto Pag. 22importante la discussione di oggi, della quale vorrei ringraziare i presenti.
  Affronto alcune questioni in modo molto rapido. Ci veniva chiesto, qualora dovessimo scegliere, quali argomenti indicheremmo come più urgenti. Abbiamo tre questioni urgentissime: la cassa integrazione, che è stata quantificata su una stima dell'ipotesi passata e va aggiornata, ma quelle sono le cifre; gli esodati, che sono una delle aberrazioni della politica di austerity, in quanto si tratta di persone che non hanno né lavoro né pensione e chiedono giustamente di avere qualche riconoscimento; il precariato in generale e nella pubblica amministrazione in particolare, perché, se entro luglio o agosto non si predisporrà una norma, questi lavoratori si troveranno senza lavoro, senza la possibilità di ottenere proroghe.
  Tra le altre questioni che vorrei affrontare, una è stata sollevata dall'onorevole Buttiglione e riguarda la produttività e la competitività. Credo che sia giusto partire da questo elemento, che nei documenti tutti abbiamo inserito, poiché tutti riteniamo che sia uno dei problemi dell'Italia.
  La produttività è fatta di innovazione, di infrastrutture, di organizzazione del lavoro, di prodotti competitivi, così come di costo del lavoro e di tutto quello che ne consegue. Le prime questioni sono un problema generale, non soltanto nostro, e bisognerebbe trovare le risorse, mentre le ultime attengono alla necessità di defiscalizzare una parte del costo del lavoro, perché la tassazione è molto alta e questo incide sul costo del lavoro. Riguardo alla produttività, come ripeto, abbiamo già fornito delle proposte e recentemente c’è stato un accordo tra il Governo e le parti sociali per arrivare a migliorare il sistema di produttività. Non abbiamo alcuna remora a discutere di questi argomenti come del tema dell'efficienza della pubblica amministrazione. Il rilancio del sistema produttivo passa, infatti, per una pubblica amministrazione efficiente, semplificata e in grado di accompagnare i cittadini.
  L'ultima questione – concludo affrontando il tema più spinoso – è l'emergenza lavoro. Abbiamo il problema di creare lavoro, a tal fine, bisogna aiutare il sistema produttivo nei modi che abbiamo sinteticamente espresso, ossia accompagnandolo con defiscalizzazioni, con innovazioni e con una spesa, da parte del sistema pubblico, che aiuti il sistema produttivo a migliorare la produttività, la competitività, e a creare ricchezza e poterla distribuire.

  CLAUDIO COMINARDI. Vorrei replicare a quanto detto da Danilo Barbi rispetto al reddito di cittadinanza.

  PRESIDENTE. Onorevole, le darei la parola se si trattasse di un'integrazione di domanda. Avremo modo di esporre le repliche nel corso dei nostri lavori.

  CLAUDIO COMINARDI. Il reddito di cittadinanza esiste in tutta Europa. Grazie.

  GIOVANNI CENTRELLA, Segretario generale della UGL. Siamo favorevoli alla revisione dei parametri dei trattati europei, in particolare di quelli che riguardano il debito.
  Come ho già detto, secondo noi è possibile rilanciare la domanda interna attraverso una riforma fiscale vera. Siamo favorevoli al credito di imposta, al superamento del bicameralismo perfetto, con una Camera alta in rappresentanza non solo del territorio, ma anche delle parti sociali, e riteniamo che l'aumento dell'IVA sarebbe deleterio per le tasche del ceto medio-basso italiano.
  Inoltre, siamo per un'accelerazione dell'utilizzo dei fondi strutturali, grazie al risultato ottenuto nel confronto con il Ministro per la coesione territoriale.
  Rispetto al reddito di cittadinanza, sono d'accordo con il collega della CGIL; sono stato operaio fino a cinque anni fa, percependo uno stipendio di circa 1.200-1.300 euro. Se si garantisse un reddito di cittadinanza di 800-850 euro, nessuno andrebbe a lavorare, ma oltre a percepire il reddito di cittadinanza si andrebbe anche a lavorare in nero. Bisognerebbe combattere prima il lavoro sommerso e poi affrontare il resto.Pag. 23
  Rispetto alla produttività, credo che sia possibile migliorarla attraverso interventi su ricerca, sviluppo, energia e infrastrutture. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio Giovanni Centrella.
  Dichiaro conclusa l'audizione.
  I lavori riprenderanno alle 18 con l'audizione dei rappresentanti delle organizzazioni agricole. Sospendo la seduta.

  La seduta, sospesa alle 16,45, è ripresa alle 18,15.

Audizione di rappresentanti di Confagricoltura, Cia, Alleanza delle cooperative italiane-settore agroalimentare, Coldiretti e Copagri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di economia e finanza 2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti di Confagricoltura, Cia, Alleanza delle cooperative italiane-settore agroalimentare, Coldiretti e Copagri.
  Li ringrazio della presenza. Il presidente Guidi parlerà a nome di Agrinsieme, un network che organizza Confagricoltura, CIA (Confederazione italiana agricoltori) e ACI (Alleanza delle cooperative italiane agroalimentari). Approfitto per segnalare la presenza, oltre al presidente Guidi, di Giorgio Buso, capo dell'area per i rapporti con il Parlamento. Per la CIA è presente Alberto Giombetti, coordinatore della giunta nazionale, e per l'ACI l'avvocato Matteo Milanesi.
  Prima di dare loro la parola, segnalo che, considerato il tempo limitato di cui dispongono le organizzazioni, si può prevedere un tempo massimo di dieci-quindici minuti per ciascuno degli intervenienti.

  MARIO GUIDI, Presidente di Confagricoltura. Signor Presidente, l'analisi del Documento in discussione oggi ci porta a dire che il sistema agricolo è in esso poco presente. Il Documento evidenzia tutti i passaggi che sono stati fatti nel corso del 2012, che però, dal nostro punto di vista, non hanno tenuto in sufficiente considerazione il sistema agricolo in quanto settore economico.
  I riferimenti al settore agricolo contenuti nel Documento riguardano il disegno di legge sul consumo del suolo – che, tuttavia, non ha una prospettiva di sviluppo per il mondo agricolo – e, dal punto di vista fiscale, in termini che noi giudichiamo piuttosto penalizzanti, il tema dell'IMU, che ha colpito pesantemente il settore agricolo.
  Ricordo che, al comma 8, si fa riferimento a un tetto massimo in termini di prelievo fiscale tramite IMU, al quale il settore agricolo doveva essere sottoposto, tetto che è stato ampiamente superato. Inoltre, siamo ancora in attesa di una risposta rispetto ai dati di partenza, ma sappiamo che si tratta di un gettito ben superiore alle previsioni che erano state fatte dal Ministero dell'economia e delle finanze, nella misura di circa 300 milioni di euro in più rispetto a quanto stimato.
  Sarebbe utile comprendere le motivazioni di un errore così grossolano nell'imposizione di una fiscalità completamente nuova per il settore agricolo, poiché va a colpire per la prima volta i fabbricati rurali, che sono beni strumentali funzionali all'attività agricola stessa.
  In aggiunta, sono stati assunti alcuni provvedimenti di inasprimento fiscale per quanto riguarda i redditi agrari e i redditi dominicali, oltre alle agevolazioni sul gasolio agricolo. Il tema che ha tuttavia preoccupato maggiormente il mondo che rappresento rispetto alle intenzioni dell'attuale Governo fa riferimento all'abrogazione delle agevolazioni fiscali per le società agricole, prorogata fino al 2015. Se ricordo bene, nel DEF si accenna con rammarico a tale postergazione. Questo è un intervento che vorremmo assolutamente recuperare perché corrisponde a un modello di agricoltura effettivamente più competitivo, in cui capitale e professionalità Pag. 24vengono messi assieme per poter esercitare un'impresa agricola, oggi molto diversa che nel passato.
  Come Agrinsieme vogliamo essere portatori di un'idea di agricoltura che si proietti decisamente in un percorso di modernità, che parta dalla difesa del mantenimento del budget agricolo destinato dall'Unione europea, pur con un riorientamento delle risorse finalizzato alla stabilizzazione del lavoro e alla crescita economica delle imprese agricole.
  Riteniamo che il settore agricolo ed agroalimentare possa essere un comparto sul quale lo Stato può puntare, ma solo a condizione che si abbandoni una visione del sistema agricolo propria del passato. Occorre, quindi, che si riformulino tutte le iniziative politiche e strategiche sul settore agroalimentare per renderlo molto più efficace rispetto al presente.
  Abbiamo due modelli di agricoltura possibili: il mantenimento di un modello di agricoltura fragile, dipendente dalla contribuzione pubblica e per questo limitato nelle sue capacità di crescita, oppure un modello di agricoltura basato forse su un minor numero di imprese, ma più forti e più strutturate, capaci di dare buona qualità e buon lavoro in termini di qualità e di remunerazione.
  Il settore agroalimentare ha bisogno, peraltro, di una riformulazione degli assetti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, che sia finalmente in grado di interpretare i nuovi bisogni di un'agricoltura che è cambiata nel corso degli anni e che produce anche beni pubblici. Noi ci occupiamo, infatti, di tutela del territorio e del paesaggio, quindi siamo un front office in prima linea rispetto a tutti i temi agro-ambientali. Non per questo, però, possiamo rinunciare a una capacità competitiva che parte dalla revisione degli obiettivi dell'Unione europea e dei trattati internazionali che lo Stato italiano deve sottoscrivere.
  In tale contesto, consideriamo la globalizzazione non in termini negativi, bensì di opportunità per le nostre imprese – recentemente il Vinitaly ha dato dimostrazione di come un settore così importante possa essere ben sviluppato se si confronta con i mercati internazionali – e, pertanto, abbiamo bisogno di essere inseriti nelle logiche di internazionalizzazione di questo Paese, dall'ICE (Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane) a tutti gli strumenti che consentiranno alle imprese di internazionalizzarsi.
  Abbiamo bisogno di un riassetto normativo che modifichi l'intera impalcatura istituzionale dello Stato, di una modifica del Titolo V della Costituzione nella parte che riguarda le materie concorrenti di interesse agricolo, nonché di nuovi strumenti in materia di lavoro.
  È stato difficile interloquire con il Governo e far capire quanto il sistema del lavoro agricolo possa essere ancora più positivo. L'agricoltura ha dimostrato di essere anticiclica e quindi di poter portare buona occupazione, ma naturalmente per far questo ha bisogno di essere interpretata un po’ meno come agricoltura e più come sistema di imprese.
  Ho già parlato del tema del fisco, comunque lasceremo il documento redatto da Agrinsieme per una più agevole e puntuale lettura.
  Abbiamo soprattutto bisogno di strumenti che interpretino il rafforzamento del sistema agroalimentare con modelli aggregativi. Non a caso Agrinsieme è l'unione delle rappresentanze di CIA, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative, in quanto strumento di aggregazione e di crescita competitiva delle imprese.
  All'interno degli strumenti che vengono evidenziati nel DEF non si trova granché traccia di tutto questo, perché la parte agricola nel Documento è sempre considerata come un qualche cosa di marginale. Anche gli strumenti di sviluppo che l'attuale Governo ha messo in campo, quali la premialità dal punto di vista degli investimenti o il rafforzamento della capacità patrimoniale delle imprese, non sono declinati con riferimento alle specificità agricole.
  Il nostro auspicio è, quindi, che la prossima azione di riorientamento dell'economia e della finanza pubblica vada Pag. 25nella direzione di un rafforzamento delle imprese e di una capacità competitiva che le imprese agricole possono oggi avere se meglio inserite nei processi di sviluppo consentiti alle altre imprese.
  Abbiamo bisogno di capitale, di riconoscibilità degli investimenti da parte dello Stato, nonché di essere considerati non un settore marginale ma un comparto che possa portare sviluppo alla strategia di questo Paese.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Guidi per questo contributo, che sarà sicuramente utile per i lavori della Commissione. Ovviamente acquisiremo il testo perché possa essere analizzato e valutato nel corso dei lavori che avranno luogo presso le Commissioni.
  Do la parola al dottor Castiglione, segretario economico di Coldiretti, che è accompagnato dalla dottoressa Paola Grossi, responsabile dell'ufficio legislativo, e parlerà anche a nome di Copagri, che è qui rappresentata da Filippo Pecora.

  EZIO CASTIGLIONE, Segretario nazionale economico-sindacale della Coldiretti. Grazie, signor Presidente. Onorevoli deputati e senatori, sicuramente il Documento di economia e finanza 2013 risente della fase congiunturale nella quale è stato presentato, a ridosso cioè delle elezioni, dell'insediamento di un nuovo Parlamento nonché nella prospettiva della formazione di un nuovo Governo. Leggendo gli atti, si può infatti constatare come il DEF si concentri esclusivamente sull'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio mentre nulla viene detto sul Programma nazionale di riforma, il quale si limita a ripercorrere quello che è già stato fatto dal Governo ed i tempi di attuazione delle riforme dallo stesso effettuate.
  Noi vorremmo invece concentrarci su questo aspetto, poiché riteniamo indispensabile da questo punto di vista un cambiamento nella politica economica, nella chiara consapevolezza del ruolo che il settore agroalimentare può svolgere per lo sviluppo del Paese.
  Nel corso delle ultime elezioni, Coldiretti aveva messo a punto un documento con il quale si è presentata alle forze politiche, «L'Italia che vogliamo», in cui ha identificato i punti ed i temi fondamentali di questo nuovo modello e paradigma di sviluppo.
  Da questo punto di vista, riteniamo che il Programma nazionale di riforma, che rappresenta l'agenda per i prossimi anni, debba essere oggetto di un profondo confronto per capire qual è il modello di sviluppo di cui il Paese si vuole dotare.
  Premessa di questa nuova agenda è innanzitutto ribadire e confermare l'impegno del Governo per ottenere un riequilibrio nel budget a Bruxelles, essendo in corso la riforma della politica agricola comunitaria. Oltre a ciò, il Governo dovrebbe battersi per una riforma della politica agricola comune – gli impegni presi dal Governo italiano riguardano tutto il mondo agricolo – che sia sempre più destinata a chi vive di agricoltura e, quindi, a chi professionalmente esercita questa attività.
  Questa è la cornice all'interno della quale vorremmo che l'agenda per le riforme, e quindi il Programma nazionale di riforma, possa svilupparsi.
  Rispetto ai singoli punti, parafrasando un po’ i titoli presenti all'interno del Programma nazionale di riforma, mi soffermo sul sostegno all'imprenditorialità. È, a nostro avviso, importante individuare forme di incentivazione delle filiere agroalimentari gestite dagli agricoltori e sostenere una vera internazionalizzazione che premi il lavoro, le imprese, il territorio italiano, disincentivando tutte le forme di delocalizzazione.
  Immaginiamo un Piano strategico nazionale per aumentare del 10 per cento in 5 anni la copertura del fabbisogno alimentare nazionale, anche con politiche di salvaguardia del suolo agricolo e delle risorse naturali. È particolarmente rilevante porre il Sud al centro di questo nuovo modello di sviluppo che verta sull'agroalimentare, anche cogliendo l'occasione della nuova programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020.
  Da questo punto di vista, una riflessione sull'impatto della scorsa programmazione Pag. 26non è stata fatta ma sarebbe utile incentrare i prossimi sei anni di programmazione sul modello agroalimentare per il Sud.
  Aggancio a ciò il tema dei processi di internazionalizzazione, rispetto al quale sarebbe utile ragionare sulla creazione di un marchio «100 per cento Italia» da promuovere e tutelare nel mondo.
  Sempre rispetto alle politiche di sostegno all'imprenditorialità, per noi è fondamentale l'accesso al credito e il sostegno del patrimonio dei Confidi agricoli e vigilati, sia attraverso l'estensione del sistema di controgaranzia del Fondo di garanzia per le PMI sia agganciando al Fondo per le PMI anche gli strumenti di garanzia di cui il mondo agricolo oggi è dotato.
  Per quanto riguarda la semplificazione della burocrazia e la trasparenza, riteniamo che lo snellimento burocratico sia fondamentale: dimezzare il tempo degli adempimenti burocratici per noi rappresenterebbe già di per sé una manovra economica.
  Per ciò che concerne la trasparenza a favore dei consumatori, riteniamo utile che del Piano nazionale faccia parte la previsione di un testo unico che definisca per ogni filiera produttiva la riconoscibilità, l'informazione al consumatore, la trasparenza dei processi produttivi, un sistema di controlli e la lotta alla contraffazione sulla traccia di quanto già realizzato con la normativa per la tutela degli olii extravergine.
  Sul tema della legalità, chiediamo che ci sia un rafforzamento della lotta alla contraffazione e alla sofisticazione, così come una lotta alle agromafie, incentivando la collaborazione fra magistratura e forze dell'ordine. Lo sviluppo di questo fenomeno è difatti particolarmente preoccupante al Sud.
  Rispetto alla valorizzazione del patrimonio pubblico e dei beni culturali, chiediamo l'approvazione del disegno di legge sulla valorizzazione delle aree agricole contro il consumo del suolo, l'attuazione della legge sulla dismissione dei terreni agricoli, da diversi anni promulgata ma ancora al palo. Su questo vorremmo trovare delle formule per raddoppiare la quota del PIL destinata alla tutela del patrimonio storico, artistico, agricolo, ambientale e paesaggistico del nostro Paese. Ciò corrisponde al nostro modello di sviluppo per il nostro Paese, del quale agricoltura, paesaggio, turismo e beni culturali rappresentano una componente importante.
  Sulla riforma fiscale, chiediamo di sterilizzare in modo permanente l'aumento di un punto dell'aliquota IVA ordinaria e ridotta.
  Riguardo all'IMU si è già espresso il presidente Guidi e ci troviamo perfettamente d'accordo. Per quanto riguarda la riforma della fiscalità che viene prospettata nel Programma nazionale di riforma, siamo favorevoli a promuovere un fisco più equo che differenzi la tassazione del bene terra e dei fabbricati annessi tra chi li usa come strumento di lavoro e chi vi pone in atto forme di rendita o di hobby.
   Per quanto riguarda il welfare, siamo interessati all'istituzione di un voucher a fiscalizzazione zero come strumento per incentivare o avvicinare i giovani studenti al lavoro manuale, a un'effettiva attuazione del Codice dei contratti pubblici che prevede specifiche priorità nella fornitura di derrate alimentari e prodotti legati alla dieta mediterranea, all'agricoltura biologica e a chilometro zero, all'incentivazione delle attività economiche ad alta sostenibilità sociale, che stanno cominciando ad avere sempre più presa nel Paese, come le fattorie didattiche, gli agriturismi, l'agricoltura sociale e gli agriasilo.
  Siamo altresì interessati a un piano strategico alimentare nazionale a sostegno delle fasce di popolazione a rischio povertà, per garantire che tutti in Italia abbiano cibo a sufficienza. Da questo punto di vista, non credo che il nostro Paese debba fare esclusivamente ricorso al piano comunitario di aiuti per gli indigenti ma che, in questa particolare condizione economica, debba dotarsi di un proprio piano per gli indigenti, così come già avvenuto in passato. Abbiamo anche interesse a promuovere interventi sull'educazione Pag. 27alimentare attraverso un pacchetto integrato di interventi, per sostenere l'educazione alla corretta alimentazione.
  Infine, sul tema delle infrastrutture, le uniche risorse disponibili nel Documento sono finalizzate alla manutenzione delle linee ferroviarie e al MOSE, mentre noi riteniamo utile prevedere la possibilità di avviare un piano di opere e infrastrutture dirette alla messa in sicurezza del territorio contro il rischio di frane e alluvioni – si potrebbero all'uopo utilizzare anche risorse già stanziate che fanno parte delle grandi opere – e un piano di opere per la razionalizzazione e riduzione del consumo delle risorse idriche attraverso l'ammodernamento delle reti irrigue. Tali capitoli mancano del tutto nella parte dedicata alle infrastrutture del Programma nazionale di riforma.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Castiglione per gli utili contributi offerti.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, sui quali il presidente Guidi e il dottor Castiglione, se lo riterranno, potranno quindi replicare.

  SUSANNA CENNI. Signor Presidente, immagino sia un caso che oggi ascoltiamo le associazioni agricole nell'ambito di questo importante dibattito della Commissione proprio nella Giornata della Terra, in cui si celebrano ovunque iniziative legate al rilievo della terra e della produzione di cibo.
  Stiamo discutendo di atti importanti, anche se attraverso una funzionalità particolare del nostro Parlamento, poiché le Commissioni permanenti non sono ancora costituite. In questa sede stiamo ragionando su atti rilevantissimi che abbiamo all'ordine del giorno: il Documento di economia e finanza 2013 ed il Programma nazionale di riforma.
  Francamente condivido alcune sottolineature svolte dalle associazioni agricole circa la scarsa attenzione al mondo agricolo contenuta nel Documento, anche alla luce di un quadro economico che ci richiede indubbiamente attenzione, innovazione, capacità di mettere in campo un nuovo modello di sviluppo e maggiore attenzione anche alla possibilità di costruire nuove ricette per il sostegno del sistema produttivo di questo settore.
  Ciò avviene mentre stiamo vivendo un profondo cambiamento in tutto il mondo agricolo, un profondo cambiamento che sta guardando al mondo agricolo nei comportamenti del sistema economico ma anche individuali, dei cittadini, in tutto il mondo. Mi riferisco all'attenzione verso la produzione di cibo, al tema della tutela del suolo e quindi alla preoccupazione per l'eccessiva cementificazione del suolo agricolo, alla necessità di accorciare le filiere – non penso soltanto alle filiere brevi, ma a tutte le filiere agroalimentari – e alla tracciabilità, quindi anche alla battaglia contro il falso made in Italy e ad un fenomeno che è già in essere e che dobbiamo sostenere con più forza, quello del ritorno alla terra.
  Tutti questi sono – e possono esserlo ancora di più – fattori rilevanti per sostenere l'innovazione del sistema economico del nostro Paese, ma non solo, per accompagnare con maggior determinazione processi virtuosi di qualità e per dare rilievo a nuovi paradigmi dello sviluppo stesso del nostro Paese.
  Voglio ringraziare per alcune sottolineature che sono state espresse e che credo cercheremo di cogliere anche in alcuni emendamenti che presenteremo ai documenti che stiamo discutendo. Fra l'altro, si tratta di temi che più volte nella precedente legislatura abbiamo cercato di porre all'attenzione del Governo, quasi sempre, devo dire, con un atteggiamento unanime da parte delle forze politiche, almeno presso la XIII Commissione della Camera. Mi riferisco, in particolare, alla questione dell'IMU e al paradosso che si è verificato sull'IMU agricola, con un gettito che ha già superato ampiamente le previsioni iniziali. Mi riferisco inoltre alla questione delle agevolazioni per il gasolio agricolo e alla enorme partita relativa alle calamità, che stiamo tuttora cercando di affrontare pur con un'assoluta carenza di risorse per farvi fronte.Pag. 28
  Trovo anche particolarmente giusta – su questo vorrei che tornassero, nella replica, le associazioni – l'osservazione sul tema dell'impalcatura istituzionale, che mi pare un nodo fondamentale in questa fase, affrontato anche nel documento che gli esperti scelti dal Presidente Napolitano hanno predisposto.
  Credo che sia giunto il momento di discutere dello stesso Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, delle sue competenze, della sua organizzazione e di misurarsi con esperienze che altri Paesi europei hanno avviato in questo terreno. Credo, però, che contemporaneamente dobbiamo stare molto attenti a eventuali rimozioni o dimenticanze che sono emerse da quegli stessi documenti e che fanno scomparire, per esempio, dalla possibile riorganizzazione delle Commissioni parlamentari il tema stesso dell'agricoltura. A mio parere, questa sarebbe una circostanza francamente molto grave, in una fase in cui un comparto come questo è l'unico in cui si registra una tenuta occupazionale e in cui contestualmente si registrano particolari livelli di innovazione, nonché di arrivo di giovani imprenditori che si cimentano con la materia.
  Infine, ritengo che ci siano alcune questioni strutturali – va bene se è possibile recuperarle nell'ambito di questi atti, altrimenti si aprono settimane che ci porranno, spero in tempi brevi, di fronte a un nuovo Governo – con le quali dobbiamo fare i conti. Penso, per esempio, che l'ultima volta che il piano irriguo è stato citato e rifinanziato, e quindi è stato visto come tema reale del mondo agricolo, è accaduto con l'ultimo Governo Prodi. Mi sembra che sia già passato un certo numero di anni.

  LOREDANA LUPO. Sono perfettamente d'accordo con quello che è stato espresso anche da parte della collega che mi ha preceduto. L'agricoltura in questi anni è stata sicuramente sottovalutata. Il fatto che si inizi a parlare di un’«eliminazione» della Commissione agricoltura ci atterrisce, perché, in un momento in cui l'Italia necessita di una crescita e di uno sviluppo maggiori, l'agricoltura è il settore principale che dobbiamo considerare.
  Voi fate riferimento a noi per quanto riguarda tutte quelle problematiche che fino adesso sono rimaste un po’ irrisolte, ma anche noi abbiamo diverse domande da porvi in una situazione come questa. Presidente Guidi, lei ha parlato di globalizzazione come di un punto importante di sviluppo per il nostro settore. Questo un po’ ci spiazza, perché la globalizzazione, in un Paese come il nostro, con un'orografia particolare e una produzione tipica, non è stata proprio un incentivo, quindi non riusciamo a comprendere come voi possiate considerarla come uno sviluppo per il futuro.
  Vorremmo dunque che chiariste questo concetto. Gli agricoltori si sono trovati in forte difficoltà nei confronti dei mercati esteri, dunque questo è un punto che dobbiamo discutere, a mio avviso, in maniera molto più dettagliata.
  Altro aspetto importante del quale si è discusso è l'erosione del suolo. Materialmente ci ritroviamo in una condizione in cui all'agricoltura viene rubato suolo e ciò avviene per diverse motivazioni. In particolare, dell'azienda agricola si fa un uso del tutto errato, poiché noi parliamo in genere di un'agricoltura molto frammentata in Italia, mentre essa rappresenta un elemento per custodire il territorio. Secondo me, un termine essenziale nel nostro settore dovrà essere quello legato a un'agricoltura «custode» del territorio italiano.
  Credo che voi abbiate seguito ultimamente il caso, ripreso anche dalle cronache, della clausola di salvaguardia che abbiamo richiesto relativamente al settore degli OGM. Sappiamo che attualmente in Italia la coltivazione degli OGM non è consentita e ci chiediamo come vi porrete in futuro rispetto al nostro territorio, rappresentato in particolare da prodotti tipici che vanno tutelati.
  Altra questione importante per rilanciare l'agricoltura in Italia è rappresentata dai prodotti tipici che, a nostro avviso, Pag. 29avrebbero bisogno di una maggiore tutela rispetto a quella che hanno avuto in questi ultimi anni.
  Un altro argomento che ci preme considerare è quello dell'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, che ha messo in conflitto i Ministeri causando ai produttori primari gravi problemi dal punto di vista dei loro stessi diritti, ad esempio in ordine ai pagamenti. Anche a questo riguardo dobbiamo pertanto trovare una soluzione.
  L'ultimo nodo cruciale è rappresentato dalla nuova PAC...

  PRESIDENTE. Sull'articolo 62, richiamato affinché i nostri ospiti possano rispondere in maniera più compiuta, forse potrebbe essere utile, se possibile, formulare una domanda più precisa.

  LOREDANA LUPO. Stiamo parlando dei termini di pagamento ma il presidente Guidi ha capito di cosa parlo, trattandosi di una questione piuttosto annosa.
  Come dicevo, un nodo cruciale è rappresentato dalla PAC perché sappiamo che l'80 per cento dei fondi della PAC finora è stato destinato alle grandi aziende più che alle piccole, per la questione del disaccoppiamento. Ora dovremmo tentare di indirizzarci verso ciò che rappresenta il nostro futuro, cioè la piccola e media impresa del territorio italiano. Anche in proposito vi chiediamo dunque di porvi in un certo modo nei confronti di queste aziende.
  Vi ringrazio per l'attenzione.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Sull'articolo 62 vorrei sentire, oltre che l'opinione più precisa del presidente Guidi e del dottor Castiglione, anche la sua, Presidente Bubbico, visto che lei è stato relatore di quel decreto-legge e quell'articolo 62 lo conosce alla perfezione.
  Tuttavia, vista la gentilezza dei nostri ospiti, che sono qui soprattutto per essere audìti, vorrei rivolgere loro una domanda più semplice. Nell'ambito dell'iniziativa legislativa all'interno del DEF ci sono proposte specifiche che le vostre categorie intendono rappresentare ai commissari che poi esamineranno questo testo alla Camera e al Senato ? Penso, ad esempio, a una proposta in ordine a un processo di semplificazione che potrebbe essere oggi più facilmente affrontato, ma anche ad altri temi.
  Mi colpisce in particolar modo l'accenno fatto dal presidente Guidi alle necessità di patrimonializzazione delle aziende, oltre che a tutta la parte finanziaria, dai Confidi agli altri strumenti finanziari che, da questo DEF fino ai futuri provvedimenti di carattere economico che il prossimo Governo e questo Parlamento adotteranno, potranno già da oggi costituire la base per un impegno nel quadro di un'utile collaborazione tra le vostre categorie e questo Parlamento.

  MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, ringrazio il dottor Guidi e il dottor Castiglione perché ci confortano in una convinzione che noi abbiamo, ossia che, se non facciamo diventare l'agricoltura asset strategico del nostro Paese, il Documento di economia e finanza farà più fatica a raggiungere gli obiettivi sperati e, forse, non ci riuscirà mai.
  In questo senso, capire quali siano nelle politiche industriali gli asset strategici e fare oggi dell'agricoltura italiana un asset strategico credo che – dopo molti anni in cui abbiamo coltivato idee strane – debba costituire un punto di convergenza assoluta del Parlamento per dare un'indicazione forte al Governo.
  In questa direzione, la mia prima domanda riprende l'ultima formulata dalla collega: avete una o due proposte fondamentali, decisive, come la prima urgente e come la seconda strategica ? In termini concreti, c’è un elemento su cui possiamo lavorare come proposta obiettiva per il futuro Governo ?
  In secondo luogo, penso anch'io che il problema di creare un'unità di visione tra politica energetica, difesa del suolo, sviluppo dell'agricoltura, recupero del marchio «100 per cento Italia», salvaguardia culturale della bellezza e della diversità Pag. 30italiana, rappresenti un tutt'uno. Senza tale prospettiva non possiamo pensare ad alcun piano del Sud né ad alcun piano del Nord. In questa direzione, chiedo se avete ulteriori proposte concrete di tipo legislativo sulla difesa del prodotto italiano e del marchio «100 per cento Italia» e su come crescere di uno o due punti percentuali nel mondo rispetto all’Italian sounding prodotto, se e quali proposte tecniche avete in questo momento per l'accorciamento delle filiere e, anche dal punto di vista culturale, per ricreare la passione per la terra e un'educazione alimentare indispensabili per fare di tutto questo un asset strategico nei prossimi anni.
  Va bene il piano alimentare nazionale ma, secondo me, esiste anche un problema di educazione alimentare, e quindi di cambiamento culturale, che coinvolge tutti i livelli, dai bambini alle scuole e al mondo produttivo.
  Quali sono le azioni fattibili in questo momento, senza gravare particolarmente sull'erario, per avviare questo processo che noi riteniamo fondamentale ?

  PRESIDENTE. Do la parola agli audìti per le repliche.

  MARIO GUIDI, Presidente di Confagricoltura. Grazie molte per la possibilità di un'interlocuzione di assoluto livello. Se posso invertire l'ordine delle domande, per formulare le risposte partirei dall'intervento dell'onorevole Marrazziti.
  Onorevole, noi pensiamo che questo Paese in prospettiva debba decidere qual è la propria strategia di sviluppo e quali sono i settori su cui puntare. Crediamo che uno di questi possa essere il settore agroalimentare, che ha nel suo floor l'agricoltura e che rappresenta il 16 per cento del prodotto interno lordo di questo Paese. Non c’è nessun altro settore considerato come tale o nessun altro mercato che abbia questa dimensione e queste potenzialità di crescita. Altri settori sono sicuramente il turismo e, infine, il modello italiano in termini di design, di capacità e quant'altro.
  All'interno del settore agroalimentare noi mettiamo tutto. Che cosa possiamo chiedere per l'agricoltura ? Le do una risposta inusuale: per il settore agricolo chiederei la banda larga in tutto il Paese. Non costa allo Stato, è efficace, mette in rete le imprese distanti dimensionalmente, accresce – almeno dal punto di vista virtuale – la dimensione competitiva delle imprese e permette a piccole o grandi imprese di affacciarsi al mercato domestico o nazionale.
  Il secondo tema è quello della semplificazione. Si tratta di un tema che abbiamo avuto modo di affrontare e credo che ci sia ancora un ultimo disegno di legge – che rimane nell'ambito del precedente Governo – sulla semplificazione, che conteneva molti dei temi che le organizzazioni agricole e cooperative che noi rappresentiamo ritenevano importanti.
  In termini di semplificazione, continuerei sulla questione posta dall'onorevole Cenni relativamente all'impalcatura istituzionale dello Stato. Abbiamo bisogno di una semplificazione e riteniamo che la stratificazione amministrativa – comune, provincia, regione e Stato – non possa essere più capace di governare sistemi complessi.
  Crediamo che la materia concorrente Stato-regioni debba trovare un momento di sintesi per predisporre una strategia agricola nazionale che venga declinata a livello regionale.
  Riteniamo che macrostrutture come AGEA e i singoli organismi pagatori brucino troppe risorse rispetto alla loro efficienza complessiva in termini di pagamento.
  Vorremmo una «domanda PAC» – spiego per i non addetti che si tratta della domanda che gli agricoltori compilano per avere i contributi comunitari – che possa essere compilata dal singolo agricoltore, a casa, dunque qualcosa di semplice.
  Non vogliamo sovrastrutture burocratiche o amministrative che non ci possiamo più permettere con i tempi moderni. Certo, aver portato il centro decisionale più vicino ai cittadini è stata una buona scelta. Non ho in questo momento Pag. 31elementi più concreti, perché si tratta di un tema importante su cui ragionare, ma ho voluto darvi un flash per dirvi come e dove dobbiamo agire.
  Quanto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, vedo che oggi fare l'agricoltore o fare agricoltura oltre che multifunzionale è multidisciplinare. Nessun settore come quello agricolo ha bisogno di confrontarsi contemporaneamente con diversi Ministeri. Non possiamo avere a riferimento solo il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ma abbiamo bisogno di interloquire anche con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Oggi si fa agricoltura solo se tutti questi elementi convergono in una capacità di impresa che si rapporta con il territorio, tutela l'ambiente e produce prodotti di qualità.
  Ancora una volta sottolineo il concetto di «rete» come strumento moderno per superare le gerarchie istituzionali che rappresentano delle barriere. Addirittura siamo andati oltre e abbiamo parlato di un Ministero dell'agroalimentare perché la produzione agricola, ripeto, è il floor su cui viene costruita la grande industria agroalimentare italiana.
  Rispondo ora alle domande dell'onorevole Lupo. È evidente che anche noi vediamo la globalizzazione come elemento negativo, che l'accordo tra Unione europea e Marocco fa certamente paura e che senz'altro l'invasione dell'Italia e dell'Europa – ormai un colabrodo – ci deve lasciare preoccupati. Tuttavia noi siamo non solo una grande nazione agricola, ma anche una grande nazione agroalimentare. Noi produciamo eccellenze: produciamo vini che vanno in tutto il mondo, produciamo Parmigiano-reggiano, Grana padano, formaggi, ortofrutta. Nella mia Ferrara c’è l'unico posto nel mondo in cui si produce la pera Abate. Abbiamo capacità di produrre un prodotto addirittura curativo – cito perfino gli elementi nutraceutici delle nostre produzioni – come l'olio.
  Tutto questo non basta per il mercato italiano o, meglio, il mercato italiano non basta per la grandezza dell'agricoltura italiana: non basta in termini di capacità di utilizzo, cioè di consumo, soprattutto in un momento di crisi, non basta in termini di remunerazione. Noi dobbiamo fare del made in Italy, come già sta succedendo, la bandiera dell'Italia nel resto del mondo. Ci chiedono made in Italy, prodotti di qualità, e nel rapporto qualità-prezzo abbiamo le migliori chance di sviluppo.
  Vogliamo un'agricoltura che produca valore per gli agricoltori. Se avrà occasione di frequentare i tanti convegni agricoli, vedrà che nessuno parla di reddito per gli agricoltori. Eppure non ho difficoltà a dire che noi facciamo questo lavoro, così come gli altri ne fanno altri, perché vogliamo avere un reddito e questo reddito dobbiamo procurarlo sul mercato.
  Abbiamo bisogno di un'agricoltura che sia resa forte per andare sui mercati. Non è un problema di dimensione perché gli amici del Trentino-Alto Adige ci dimostrano come, posti in aggregazione fra di loro in grandi cooperative, riescono a fare un prodotto di eccellenza, di elevata qualità, come la mela del Trentino o altri marchi che non cito per non fare pubblicità. Credo, tuttavia, che abbiate capito che non è certo un problema di dimensione. Si tratta di creare delle strutture che consentano agli agricoltori di essere performanti.
  Noi agricoltori abbiamo fatto molto: lo 0,6 o forse lo 0,4 di prodotti agricoli senza residui, quindi il miglior prodotto agricolo europeo e mondiale. Siamo bravi – ci piacerebbe che qualcuno volesse riconoscercelo ogni tanto –, molto più bravi di quanto veniamo dipinti sui giornali, dal momento che spesso i media hanno bisogno di scandali piuttosto che di elementi di positività.
  Credo che attrarre un'attenzione positiva sull'agricoltura sia importante. Si tratta di puntare sul made in Italy e di non aver paura della globalizzazione, anzi di cercare di rapportarsi sui mercati internazionali chiedendo reciprocità, così come è stato chiesto in sede di Parlamento Pag. 32europeo. Quanto ai titoli di importazione, è necessario che i prodotti che importiamo siano in una condizione di reciprocità rispetto alla qualità dei nostri prodotti, all'utilizzo dei fitofarmaci, all'utilizzo dei prodotti.
  Se fosse possibile, da agricoltore e da imprenditore vorrei portare le mie pere negli Stati Uniti, perché quello è il miglior mercato, che fa conoscere l'Italia e rappresenta un blasone. Noi leghiamo poi tutto questo al territorio. Non è un caso che l'Italia leghi il territorio alla produzione agricola. Se ci fosse anche una strategia turistica per questo Paese, non accadrebbe che, per puro caso, milioni di individui da tutto il mondo vengano a visitare i nostri monumenti; se facessimo una strategia turistica e l'abbinassimo a quella agricola, magari saremmo più efficaci.
  Ho già detto che noi appoggeremo qualsiasi iniziativa consenta la crescita dimensionale delle imprese agricole. Badate bene, uso l'aggettivo «dimensionale» non in termini spaziali, ma di capacità di reddito. Può essere dimensionalmente efficiente anche una serra di 2 mila metri quadri, se produce avvalendosi di tecnologia.
  Noi siamo per l'innovazione, che non è in contrasto con i prodotti tipici; anzi, molti dei nostri prodotti tipici usano l'innovazione e la tecnologia per essere conservati ed essere esportati nei mercati mondiali. Il Vinitaly è l'esempio più eclatante di come tradizione e innovazione generino prodotti che sono delle eccellenze.
  Gli OGM non sono un tema di questo tavolo né un tema di oggi. Altre sono le priorità per i sistemi agricoli. I prodotti tipici vanno certamente tutelati meglio.
  Vengo al già citato articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012: una buona intuizione, un regolamento che serviva a bilanciare nuovamente gli equilibri nella catena del valore. Il sistema agricolo, per colpa nostra, è un sistema che si confronta in un rapporto di sudditanza rispetto alla grande distribuzione. Nasceva, in quella direzione, una forma di dirigismo sui termini di pagamento che crea qualche difficoltà all'interno di singole specifiche filiere. Tutta la parte relativa all'attività di scontistica che fa la grande distribuzione, alla vendita sotto prezzo, alle pratiche sleali va benissimo. Il contratto scritto va bene perché anche noi dobbiamo evolvere verso sistemi complessi e più razionali. Sui termini di pagamento, crediamo che dovremmo avere tutti quanti il coraggio e la forza di correggere quelle storture che l'articolo 62 ha introdotto, in particolare riguardo ad alcuni settori come il vivaismo e ad aspetti come l'internazionalizzazione.
  Credo che non possiamo però limitarci semplicemente a dire che se tocchiamo l'articolo 62 cade tutta l'impalcatura. Dobbiamo avere la forza di dire che è stata una misura buona e giusta e di modificare ciò che di quell'articolo crea problemi alle aziende.
  Venendo alla PAC, capire da dove vengono quei contributi aiuta a comprendere dove dobbiamo andare. Certamente la riforma della PAC va in una direzione che, dal nostro punto di vista, guardando al futuro si rivolge al passato. Gli strumenti della PAC non sono rivolti al periodo di scarsità che ci aspetta, una scarsità alimentare che farebbe tremare le vene ai polsi se solo qualcuno si fermasse a pensarci.
  Il nostro Paese, senza pensare a forme di autarchia, deve essere in prima linea nei processi di creazione del cibo a livello globale. Anche l'Europa deve essere un player. Questo lo si realizza attraverso un adeguato equilibrio tra la dimensione dell'azienda, la sua efficacia, la sua capacità di creare lavoro e i trasferimenti comunitari, che non devono più essere dati gratis come nel passato, sicuramente, ma devono comunque tener conto degli equilibri per non fare esplodere il sistema.
  Forme di disaccoppiamento hanno generato questo. Cito un esempio molto «agricolo»: il trasferimento dell'interesse delle grandi aziende estensive a prodotti ad elevata intensità di manodopera, come la coltivazione del pomodoro, ha espulso da quest'ultima le piccole aziende. Attenzione, quindi, a gestire gli equilibri tra le Pag. 33dimensioni competitive delle aziende, perché le dimensioni e la capacità di lavoro di ogni singola realtà devono trovare la loro specifica nicchia.
  Spero di aver risposto alla senatrice Bonfrisco per quanto riguarda l'articolo 62 e la questione delle semplificazioni.
  Sulla patrimonializzazione, sintetizzo in questo modo: le aziende agricole oggi hanno bisogno di investimenti, ma per fare investimenti, per essere all'altezza, per sprecare meno acqua, per ridurre gli input, noi dobbiamo produrre il 70 per cento in più di cibo, a parità di input produttivi, e abbiamo bisogno di tecnologie. Chiunque dica il contrario non ha affrontato adeguatamente il tema dell'agricoltura, non conosce la dimensione dell'agricoltura italiana, della zootecnia e quant'altro. Per fare questo abbiamo bisogno di capitale: il capitale in agricoltura ha un valore, soprattutto oggi, pari a quello che ha in un'altra qualsiasi impresa.
  Abbiamo un difetto in più: per fare poco reddito abbiamo bisogno di grandi patrimoni, che sono le superfici agricole. Questo è un difetto dell'agricoltura e per questo motivo l'IMU si attaglia ben poco ai sistemi agricoli rispetto ad altri settori.
  Vorremmo – so che apparirà un eccesso – il meglio di tutto. Forse non lo potremo avere, ma sicuramente l'agricoltura del domani è fatta di imprese che hanno possibilità di investire.
  Delle prossime risorse della PAC, dei prossimi piani di sviluppo rurale, ovvero il secondo pilastro, non possiamo permetterci di perdere nemmeno un euro, perché in questi sette anni dobbiamo costruire un'agricoltura che teoricamente possa fare a meno dei contributi comunitari.

  EZIO CASTIGLIONE, Segretario nazionale economico-sindacale della Coldiretti. Credo che le domande poste dai commissari mi permettano di ritornare sulla mia introduzione, forse troppo breve e succinta. Credo che abbiamo davanti un'occasione, proprio per come è costruito il DEF e per le assenze di un'agenda nel Programma nazionale di riforma.
  Non si tratta di individuare uno, due, tre temi che riguardano l'agricoltura, ma di capire se il modello agroalimentare è una leva di sviluppo di questo Paese. Se questo è l'assunto che viene condiviso, si tratta di declinare, all'interno dei capitoli che sono stati indicati come Programma nazionale di riforma, quello che riguarda il nostro settore.
  Mi sono limitato pertanto a enunciarli brevemente, indicandone i titoli, perché l'assunto da cui partiamo è questo. Nel passato, almeno negli ultimi quindici anni, abbiamo risposto a questa domanda, ossia se c’è una «polvere» di agricoltura in giro nei documenti di programmazione e nella legge finanziaria. Abbiamo ora un'occasione per assumere che l'agroalimentare rappresenta un asset strategico straordinario per questo Paese. Di conseguenza, si tratterà poi di declinare qual è il fisco per questo settore, qual è il tipo di istituzione che deve occuparsene, quali le modalità per l'esportazione, quali le modalità per ridurre le intermediazioni, dal momento che quando parliamo di filiera corta parliamo chiaramente di riduzione delle intermediazioni presenti nel nostro settore.
  Da questo punto di vista, senza voler ripercorrere i temi richiamati prima dal presidente Guidi, vorrei ritornare brevemente sulla globalizzazione. Noi siamo contrari a una globalizzazione che, come è avvenuto nel corso di tutti questi anni, ci ha trasformato in merce. Vogliamo un governo globale delle regole, all'interno del quale il cibo sia considerato tale ed esistano regole condivise. Siamo dunque favorevoli a processi di internazionalizzazione che siano governati da regole condivise.
  Per quanto riguarda il consumo del suolo, siamo favorevoli all'approvazione rapida del disegno di legge concernente tale tema e siamo per l'attivazione della clausola di salvaguardia in relazione agli OGM.
  Quanto ai prodotti tipici, sicuramente va avviata una riflessione sulle denominazioni di origine, sul complesso della loro regolamentazione e su come sono state sviluppate negli ultimi vent'anni. In alcuni Pag. 34casi esse rappresentano infatti dei limiti allo sviluppo; forse ne abbiamo portato avanti una cattiva applicazione, quindi sicuramente occorre una riflessione.
  Per quanto riguarda il richiamato articolo 62, noi siamo a favore e siamo in linea con la risposta che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha dato ai colleghi del Ministero dello sviluppo economico.
  Per quanto riguarda la nuova PAC, sono d'accordo con quanto ha detto prima il presidente Guidi: si deve parlare di reddito e per questo vogliamo che la nuova PAC si indirizzi a chi vive di agricoltura, eliminando tutte le forme di rendita che sono state ad oggi alimentate anche con la PAC. Da questo punto di vista, sono d'accordo con la valutazione che si tratta di una vecchia PAC. Per questa ragione, l'istanza che abbiamo sottoposto al Governo è quella di far sì che si possano aumentare i margini di attuazione per lo Stato membro in modo da coglierne specificità e peculiarità.
  Vedo che nel «trilogo» vengono fatti dei passi avanti, auspichiamo tuttavia che in sede di attuazione della PAC possa esservi maggiore sussidiarietà.
  Per quanto riguarda la finanziarizzazione, come diceva prima il presidente Guidi, abbiamo bisogno di ingenti capitali ma credo che occorra anche razionalizzare la situazione esistente per quanto riguarda il Fondo di garanzia e gli interventi in capitale di rischio che oggi escludono sostanzialmente le imprese agricole.

  PRESIDENTE. Approfitto per segnalare una questione che non rileva ai fini del DEF, ma su cui ci induce a riflettere il livello dei contributi offerti. La questione della preservazione dei suoli, che andrebbe declinata nella logica di preservazione dei suoli fertili, più che un sistema di vincoli richiederebbe l'avvio e la gestione di politiche tese a preservare i suoli fertili.
  In questa fase abbiamo abbandonato l'attenzione sui fenomeni di desertificazione che emergono anche attraverso gli usi impropri, spesso determinati da politiche i cui effetti non vengono misurati in termini di bilancio dei flussi di materia. Si pensi al tema delle agroenergie che tanto incidono sia sul decadimento della fertilità dei suoli sia sull'uso sostenibile delle risorse idriche e sulla loro preservazione.
  La mia è solo una notazione, approfittando dell'autorevolezza dei nostri interlocutori.
  I nostri lavori riprenderanno domani mattina alle ore 9, nell'aula della Commissione Difesa del Senato.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19,10.