XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 27 di Lunedì 3 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE LEGISLATIVA ED AMMINISTRATIVA

Audizione del presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Giovannini Giorgio , presidente del Consiglio di Stato ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 10 
Mucci Mara (M5S)  ... 10 
Tabacci Bruno , Presidente ... 10 
Giovannini Giorgio , presidente del Consiglio di Stato ... 10 
Tabacci Bruno , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 17.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa, l'audizione del presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini.
  Con l'audizione del presidente del Consiglio di Stato concludiamo le sedute odierne di questa indagine conoscitiva, che ci sta impegnando da diverse settimane. Come è noto, il Consiglio di Stato ha funzioni sia consultive, sugli atti del Governo, sia giurisdizionali e, quindi, è chiamato a confrontarsi quotidianamente con i problemi della semplificazione in tutte le sue accezioni.
  Ringrazio il presidente Giovannini, anche per il corposo documento che ci ha lasciato, e gli cedo la parola.

  GIORGIO GIOVANNINI, presidente del Consiglio di Stato. Grazie, presidente. Naturalmente la ringrazio per avermi invitato stasera in questa sede. Ho suddiviso la mia esposizione sostanzialmente in due parti: la semplificazione a livello normativo e la semplificazione a livello amministrativo.
  Per quanto riguarda la semplificazione a livello normativo, sono partito, nel mio documento, dalla Costituzione e da un argomento che è un po’ all'attenzione di tutti, ossia quello della riforma del Titolo V della Costituzione.
  L'altro giorno sono stato all'inaugurazione dell'anno giudiziario dinanzi alla Corte costituzionale. In quell'occasione, il presidente della Corte costituzionale Silvestri faceva presente che, già nel 2012, e tale dato è stato confermato nel 2013, i giudizi in via principale hanno superato, come numero, i giudizi in via incidentale. Poiché i giudizi in via principale sono prevalentemente costituiti dai conflitti tra Stato e regioni, come diceva il presidente Silvestri, ciò significa evidentemente che i parametri che definiscono le competenze dello Stato, da una parte, e quelle delle regioni, dall'altra, sono evidentemente parametri non troppo affidabili e non troppo certi.
  Ricordo che l'articolo 117 della Costituzione ha stabilito un sistema che prevede competenze legislative esclusive statali in determinate materie specificamente indicate, competenze concorrenti in altre materie e, infine, con una clausola generale, una competenza regionale residuale in tutte le materie non rientranti negli ambiti sopra indicati.
  L'assetto definito dalla riforma del Titolo V della Costituzione ha posto, nella fase di attuazione, una serie di problematiche messe in rilievo anche dalla Commissione per le riforme costituzionali, che ha terminato i suoi lavori a settembre 2013.
  In relazione alle competenze legislative sono sorti numerosi problemi. Questo perché Pag. 4il legislatore costituzionale ha assegnato alla competenza concorrente Stato-regioni determinate materie, quali, per esempio, quella dell'energia e delle grandi reti di trasporto e di navigazione, per le quali si impone una regolazione unitaria a livello nazionale. Ciò ha comportato un intervento di supplenza della Corte costituzionale, che ha creato le cosiddette competenze sussidiarie: si attraggono a livello centrale le funzioni amministrative e, per garantire il rispetto del principio di legalità, si regolano tali funzioni con legge dello Stato.
  Tutto questo sarebbe semplice, ma non lo è, in quanto, proprio perché formalmente si tratta di competenze concorrenti, lo Stato deve ricercare un'intesa o, comunque, deve coinvolgere le regioni, con ripercussioni in alcuni casi negative sul meccanismo di funzionamento delle fonti di produzione normativa. L'esigenza di trovare un accordo, soprattutto in situazioni particolari di urgenza con l'ente regionale, può determinare veri e propri arresti procedimentali che impediscono la regolazione di settori nevralgici per la vita del Paese. Si tenga conto, inoltre, che le leggi sussidiarie rimangono in vigore fino a quando esiste l'esigenza unitaria, dopodiché si riespande la competenza regionale, con evidente incidenza negativa sul principio della certezza del diritto.
  In relazione alle competenze concorrenti, le criticità risiedono nella difficoltà di individuare, in alcuni casi, la nozione di principio fondamentale e di norma di dettaglio. Alcuni componenti della Commissione per le riforme costituzionali hanno addirittura proposto l'abrogazione delle materie concorrenti. Ho letto proprio stamattina sui giornali che anche importanti esponenti politici sono orientati in questo senso. Questo forse è eccessivo, ma sicuramente si può ridurre l'ambito delle materie concorrenti mediante l'indicazione di quelle per le quali sia effettivamente necessaria una compartecipazione di diversi livelli istituzionali di governo.
  Un ultimo problema è rappresentato dalle competenze residuali delle regioni. Anche in questo caso non tutto è certo e non è chiaro quanto sia ampia quest'area. Forse, anche in tale contesto, sarebbe utile un'indicazione precisa e complessiva di queste competenze, eventualmente con una norma di chiusura finale che faccia chiarezza sulla identificazione delle materie di competenza regionale residuale.
  Passando dal livello costituzionale al livello legislativo primario, si deve rilevare come, negli ambiti di competenza legislativa statale, nel corso degli anni, si siano succedute diverse politiche di semplificazione del quadro normativo.
  La prima fase è stata caratterizzata dall'adozione di un sistema di semplificazione normativa attuata mediante l'adozione di regolamenti di delegificazione, finalizzati essenzialmente a semplificare i procedimenti amministrativi. Non si è proceduto, pertanto, a una riduzione della normativa esistente, bensì a una semplificazione modale, che si è risolta nel solo cambiamento della fonte di produzione giuridica, dalla legge ai regolamenti, con incertezze derivanti dalla possibilità di incidenza di una fonte secondaria in ambiti disciplinati da fonti regionali primarie.
  La seconda fase è stata connotata dall'adozione di testi unici compilativi o innovativi, come previsto dalla legge n. 50 del 1999. Si pensi, nel settore del diritto amministrativo, al testo unico in materia edilizia e a quello in materia di espropriazione, cui il Consiglio di Stato ha apportato un importante contributo.
  La terza fase, ancora vigente, è quella della codificazione finalizzata ad assicurare, mediante l'adozione di codici di settore, la qualità della regolazione sulla base di principi di chiarezza, semplicità, completezza, coordinamento e via elencando.
  La quarta fase, che si aggiunge all'ultima, si caratterizza per l'esigenza di procedere mediante tecniche di semplificazione finalizzate a ottenere la riduzione delle norme vigenti per restituire al sistema normativo coerenza e semplicità.
  Proprio quello della riduzione delle norme vigenti è stato uno dei problemi che hanno creato maggiore difficoltà di coordinamento e di chiarezza. Infatti, il sistema Pag. 5è nato dall'articolo 14 della legge n. 246 del 2005, il quale prevede l'abrogazione automatica, presuntiva e generalizzata di tutte le leggi adottate in data antecedente al 1970, sul presupposto che la loro risalenza nel tempo ne abbia determinato l'esaurimento della funzione normativa. A questo fine, l'articolo ha demandato la loro concreta identificazione a decreti successivi, disponendone però comunque l'abrogazione con il decorso di un dato termine.
  Contemporaneamente, ha disposto la salvezza di talune di queste norme, individuandole però non singolarmente, ma per categorie generali, che hanno fatto sorgere dubbi circa la riferibilità dell'una o dell'altra legge alla categoria salvata. Così, per esempio, sono state dichiarate salve le disposizioni che costituiscono adempimenti imposti dalla normativa europea, il che, stante ormai la nota pervasività raggiunta dal diritto dell'Unione europea, non può non destare incertezze.
  Successivamente, nel 2008, sono stati emanati due decreti-legge, il n. 112 e il n. 200, poi convertiti in legge, che hanno proceduto all'abrogazione espressa di singole leggi, specificamente elencate.
  Successivamente ancora, un anno dopo, nel 2009, è stato emanato, in attuazione proprio della delega prevista dalla legge n. 246 del 2005, il decreto legislativo n. 179, cosiddetto salva-leggi, con cui sono state salvate diverse leggi, con gravi fenomeni di sovrapposizione.
  Questo decreto legislativo, infatti, malgrado il dubbio che lo potesse fare, ha dovuto salvare anche norme abrogate non presuntivamente, ma espressamente, dai decreti-legge del 2008. In alcuni casi addirittura si è verificato che il decreto-legge n. 112 ha abrogato espressamente una norma che è stata salvata dal decreto-legge n. 200 e, poi, abrogata nuovamente dal decreto legislativo n. 179 del 2009.
  Allo stato, pertanto, appare evidente come sia stata resa ardua l'opera dell'interprete per sapere se una determinata legge sia in vigore. Infatti, egli deve verificare se la stessa legge sia stata abrogata espressamente e, se non lo è stata, deve accertare se operi il meccanismo di abrogazione generalizzata e presuntiva disposto dalla legge n. 246 del 2005. A tal fine, dovrà accertare se la legge sia stata inserita nel decreto legislativo cosiddetto salva-leggi del 2009 e, se non vi è stata inserita, sebbene possa nuovamente apparire come una legge attualmente in vigore, sarà necessario verificare se non appartenga a uno dei settori esclusi ex lege dall'abrogazione.
  Se si considera, pertanto, che già il solo sistema di semplificazione del 2005 presentava plurimi profili di criticità e che tali profili si sono accentuati in ragione della sovrapposizione a tale sistema di sistemi diversi, allo stato la soluzione preferibile sarebbe quella dell'adozione di un unico metodo fondato sull'abrogazione espressa assicurata mediante leggi o decreti legislativi. Solo così si eviterebbero estenuanti ricerche e possibili inconvenienti e incongruenze.
  L'attuale stato della normativa statale, caratterizzato da non poche oscurità, incoerenze e lacune, come da più parti lamentato, credo imponga di riprendere il cammino della redazione di testi unici e della codificazione, un cammino indicato già dalla legge n. 59 del 1997, la cosiddetta legge Bassanini.
  In questi ultimi anni gli interventi di codificazione volti a raccogliere e armonizzare la normativa pregressa sono stati relativamente numerosi: basti ricordare il codice delle leggi antimafia, il codice dell'ordinamento militare e il codice delle assicurazioni private. Meno numerosi sono stati i testi unici: possiamo ricordare il testo unico in materia di incandidabilità, il testo unico sull'apprendistato, il testo unico sui servizi audiovisivi e radiofonici. Tuttavia, credo che l'una e l'altra via ovvero l'una o l'altra via meritino di essere ulteriormente percorse, al fine di conferire quella chiarezza e quella coerenza che al quadro normativo appaiono mancare in più parti.
  In effetti, nel disegno di legge del luglio scorso in tema di semplificazione, attualmente all'esame del Senato, è prevista la delega al Governo per la codificazione di Pag. 6varie materie, tra le quali molto importante è quella dell'istruzione, università e ricerca, nonché quella per il riassetto e il completamento del codice dell'ambiente. Altre materie potrebbero forse aggiungersi, quali, per esempio, la disciplina della contabilità dello Stato, ancora legata nelle sue norme fondamentali al vecchio regio decreto del 1923 e al regolamento di un anno dopo, e l'urbanistica. Abbiamo, infatti, un codice dell'edilizia, ma non dell'urbanistica.
  Una prossima occasione potrebbe, poi, essere costituita dall'esigenza di attuare le nuove direttive, recentemente approvate dal Parlamento europeo e ancora, peraltro, in fase di definizione, in materia di contratti e concessioni pubblici. Le nuove direttive richiederanno una profonda modificazione del nostro codice dei contratti pubblici, che imporrà la sua completa rielaborazione, anche al fine di coordinare e meglio armonizzare le numerosissime modifiche intervenute in questi suoi poco più di sette anni di vigenza. Si contano, infatti, circa quarantaquattro modifiche dal 2006.
  Si dovrebbe, in tal caso, tentare anche un approccio meno formalistico alla materia. Sulla base della disciplina esistente, purtroppo, i nostri giudizi amministrativi sono diventati una sorta di teatro di caccia all'errore formale. Le norme prevedono e impongono, infatti, il rispetto di numerose formalità e la presentazione di dichiarazioni e firme varie. La mancanza di talune di queste può portare all'annullamento dell'aggiudicazione della gara. Occorrerebbe, a nostro avviso, valorizzare il cosiddetto soccorso istruttorio, imponendo all'amministrazione di segnalare alle imprese, nel corso della procedura, la presenza nella loro documentazione di errori o carenze e di consentirne, entro un dato termine, la sanatoria.
  Abbandonando il quadro normativo e passando al livello amministrativo, si può distinguere tra semplificazione di carattere organizzativo e semplificazione procedimentale.
  Per quanto riguarda la semplificazione di carattere organizzativo, uno degli istituti più importanti, introdotto peraltro già da tempo, è quello della conferenza di servizi, che mira a far esprimere, in una comune riunione e in riferimento ad essa, le determinazioni di tutte le amministrazioni interessate in un dato procedimento amministrativo.
  L'istituto è nato con riguardo a fattispecie particolari, connotate da particolare urgenza. Si ricorda che uno dei primi casi di previsione di conferenza di servizi fu quello per gli interventi dei campionati mondiali di calcio del 1990. Si tratta di un istituto che ha, poi, acquistato valenza generale con la legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.
  Nel tempo l'istituto ha avuto una profonda evoluzione. Originariamente aveva in sostanza puro valore di snellimento istruttorio, essendo comunque richiesto, ai fini dell'adozione del provvedimento finale, l'assenso di tutte le amministrazioni intervenute, salvo a dare per acquisite quelle delle amministrazioni rimaste assenti alla riunione della conferenza, che non avessero successivamente formulato diniego esplicito.
  Con il tempo la conferenza è mutata in propriamente decisoria, il cui esito, in un primo momento, è stato rimesso al principio di maggioranza, mentre ora, da ultimo, è stata conferita alla stessa amministrazione principale procedente l'adozione del provvedimento finale mediante determinazioni motivate, a seguito, come prevede l'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990, di valutazione delle risultanze della conferenza e delle posizioni prevalenti espresse in essa.
  Tale provvedimento, dice ancora la norma, sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti o, comunque, invitate a partecipare ma risultate assenti alla predetta conferenza.
  La procedura si fa, peraltro, più complessa qualora siano impiegate decisioni che attengono alla tutela della salute, della pubblica incolumità, a quella paesaggistico-territoriale e a quella ambientale, perché, Pag. 7in tali casi, ove vi sia il dissenso dell'amministrazione titolare di tali interessi, la determinazione ultima spetta al Consiglio dei ministri.
  Per questa eventualità e per l'ipotesi che la materia rientri nella competenza regionale, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 179 del 2012, ha imposto un procedimento speciale, concretamente definito dal decreto-legge n. 179 del 2012, al fine di assicurare il coinvolgimento delle regioni. Si tratta, debbo dire, di un procedimento che ha modalità particolarmente complesse.
  La conferenza dei servizi è sicuramente un istituto valido per lo snellimento dei procedimenti amministrativi, in quanto impone alle amministrazioni interessate di definire la propria posizione sollecitamente, entro il termine fissato per la seduta comune conclusiva. D'altro canto, offre all'amministrazione procedente principale il ruolo centrale, perché essa, previa adeguata valutazione e motivazione, può superare i dissensi intervenuti, fatto salvo il caso delle materie particolari prima indicate.
  Credo, quindi, che l'istituto vada reso ancora più incisivo, fissando, per esempio, termini più stretti per l'esaurimento dei lavori della conferenza e delineando precise responsabilità dirigenziali in caso di ritardi che taluna delle amministrazioni provochi. Allo stesso modo, andrebbe forse snellita la faticosa procedura di superamento dei dissensi previsti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nelle materie particolari prima menzionate.
  Inoltre, occorrerebbe impedire o, quantomeno, limitare la possibilità di nuovi interventi da parte delle amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. In concreto abbiamo, infatti, riscontrato casi nei quali qualche comune, avendo visto superato in conferenza il suo dissenso dalla iniziativa, ha vanificato comunque l'esito della procedura, precludendolo attraverso l'adozione di provvedimenti contingibili e urgenti di segno contrario.
  Altro istituto importante è quello degli sportelli unici. Il nostro ordinamento conosce tipi diversi di sportelli unici. Una prima specie è quella, per esempio, prevista per i contratti pubblici, nel cui ambito lo sportello è uno strumento principalmente di informazione circa presupposti, condizioni, clausole e simili dei contratti in via di affidamento. In questo caso si pongono, semmai, problemi di responsabilità o di rimessione in termini nell'ipotesi che le informazioni rese siano inesatte.
  Un altro tipo di sportello unico mira, invece, a costituire per gli interessati l'interfaccia unica con il complesso delle amministrazioni coinvolte nel procedimento. Questa specie di sportello, cioè, si configura come esclusivo punto di riferimento cui singoli e imprese possono rivolgersi e che provvede, poi, a tutti gli incombenti procedimentali richiesti, promuovendoli sia presso l'amministrazione stessa alla quale lo sportello pertiene sia presso le altre amministrazioni chiamate a esprimere il loro assenso, nulla osta, autorizzazione o simili.
  Gli esempi principali sono quelli dello sportello unico dell'edilizia, previsto dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e dello sportello unico per le attività produttive, introdotto con l'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 112 del 1998, entrambi particolarmente considerati dalla legislazione anticrisi di questi due anni.
  Lo sportello unico dell'edilizia è, in specie, interessante perché si combina con l'altro strumento di semplificazione dato dalla conferenza di servizi. Esso, infatti, prevede che, una volta ricevuta l'istanza dell'interessato, il titolare dello sportello indìca la conferenza dei servizi, qualora non siano intervenute le intese, i concerti, i nulla osta e gli assensi comunque prescritti.
  Si tratta di uno strumento, dunque, perfettamente coerente con l'esigenza di semplificazione e che, tra l'altro, ben si presta a contatti tra gli interessati e lo sportello stesso, affidati al rapido mezzo telematico. Meriterebbe, quindi, di essere assunto quale modalità generale di esplicazione dell'attività amministrativa o, Pag. 8quanto meno, di essere esteso a materie ulteriori rispetto alle attuali. Inoltre, anche laddove ora è previsto, meriterebbe di acquisire carattere esaustivo in relazione a tutti gli incombenti richiesti per la realizzazione dell'iniziativa del richiedente. Questo, invece, attualmente non avviene.
  È stato, per esempio, notato che chi voglia avviare un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, dopo essersi procurato l'autorizzazione rilasciata dallo sportello unico, ha ancora bisogno di procedere a effettuare notifica alla ASL per gli aspetti sanitari e di ottenere la licenza fiscale per la somministrazione degli alcolici, la segnalazione certificata di inizio attività per l'installazione di giochi leciti, la concessione per l'occupazione del suolo pubblico e altro ancora. Forse tutta questa semplificazione ancora non c’è.
  Andrebbe poi favorita, anche con interventi finanziari, la creazione delle apposite strutture di sportello. A proposito dello sportello per le attività produttive, secondo la relazione della Sezione di controllo enti della Corte dei conti del novembre 2011, alla fine del 2010, su oltre 8 mila comuni, soltanto 3 mila avevano provveduto all'istituzione dello sportello e 1.139 erano stati surrogati dalle camere di commercio, mentre per i restanti 4 mila comuni la previsione non aveva ricevuto attuazione.
  Naturalmente, dal punto di vista organizzativo, altro elemento di semplificazione, anche se sempre di difficile realizzazione, sta nell'accorpamento delle diverse competenze nel più ristretto numero possibile di autorità pubbliche, accorpamento che ora può trovare giustificazione nel riconoscimento costituzionale del principio di sussidiarietà verticale.
  Analogamente, elemento di semplificazione organizzativa è riferibile alla vera e propria soppressione di enti pubblici, il cui ruolo possa essere adeguatamente svolto da altro ente. Tali enti, nel nostro Paese, in base ai dati dell'ISTAT, ammontano a circa 10 mila, compresi peraltro gli oltre 8 mila comuni. Si tratta di un dato che a me è sembrato sempre un po’ strano, perché l'idea è che gli enti pubblici siano molti di più, comunque questo è quanto risulta dai rilievi dell'ISTAT.
  Passando alla semplificazione procedimentale, una funzione importante è da ascriversi all'utilizzo dei mezzi informatici. A livello di previsioni normative, il nostro ordinamento ha impresso un forte sviluppo a questo strumento, a partire dal codice dell'amministrazione digitale del 2005, ma le numerose norme che si sono succedute in materia, come quelle contenute da ultimo nel decreto-legge n. 69 del 2013, cosiddetto decreto del fare, mostrano come ancora non si sia realizzata una compiuta e soddisfacente situazione di fatto.
  Credo che, in merito, oltre ai problemi che riguardano le infrastrutture, come bande larghe e via elencando, ci sia anche un problema di alfabetizzazione della popolazione. Noi abbiamo vissuto sulla nostra pelle l'informatizzazione del processo amministrativo, iniziato all'inizio degli anni Novanta, e abbiamo avuto difficoltà a far accostare, specialmente, i magistrati meno giovani al mezzo informatico, perché non ne avevano inizialmente alcuna conoscenza. Credo che questo sia un problema che si estende ancora più gravemente a tutta la popolazione.
  Nella stessa ottica semplificatoria vanno, altresì, considerate le autocertificazioni, introdotte nel nostro ordinamento fin dalla legge n. 15 del 1968 e via via implementate ancora nell'ambito della legislazione anticrisi.
  Sempre sul piano procedimentale, mezzi di semplificazione sono costituiti dalla DIA (dichiarazione di inizio attività), ora sostituita dalla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), e dal silenzio-assenso.
  La DIA o la SCIA sono spesso considerate espressioni di liberalizzazione, ma la definizione è in realtà impropria perché l'attività del privato che può usufruirne resta comunque soggetta al regime amministrativo, con l'unica variante data dalla circostanza che l'intervento dell'amministrazione non condiziona il suo avvio, ma Pag. 9avviene successivamente per eventualmente precluderne o limitarne lo sviluppo.
  L'istituto trova la sua regolamentazione di principio nell'articolo 19 della legge n. 241 del 1990, fatto più volte oggetto di modificazioni, fino, da ultimo, nel 2012, con il decreto-legge n. 83, cosiddetto decreto cresci Italia, ed è dichiarato applicabile, in sostanza, per tutte le attività imprenditoriali, commerciali o artigianali la cui esplicazione sia legata a presupposti rigidamente prefissati e salvo che non verta in ambiti particolarmente sensibili, quali quelli in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali ovvero esigenze di sicurezza pubblica e altro ancora. Una disciplina particolare, pur essa nel tempo ripetutamente modificata, è contenuta negli articoli 22 e seguenti del testo unico dell'edilizia.
  L'istituto della DIA o della SCIA presenta sostanzialmente due inconvenienti. Il primo è rappresentato dall'istintiva diffidenza degli interessati di dare avvio a un'attività in assenza di una previa parola certa da parte della pubblica amministrazione, cui comunque pertiene a posteriori il controllo sulla legittimità dell'iniziativa stessa. La congerie di norme che regolano i rapporti di diritto amministrativo è tale che, malgrado l'apporto in sede di presentazione della DIA o della SCIA dei migliori esperti e delle migliori professionalità private, non è sempre prevedibile con certezza l'atteggiamento che sarà assunto dall'amministrazione allorché si pronuncerà ex post sull'iniziativa. Ciò è certamente di scoraggiamento rispetto, quanto meno, all'avvio degli interventi economicamente più onerosi.
  Giustamente, pertanto, in materia edilizia, il decreto-legge n. 69 del 2013, cosiddetto decreto del fare, ha facoltizzato gli interessati, anziché procedere con la presentazione della denuncia di avvio, a richiedere allo sportello unico il preventivo rilascio di tutti gli assensi prescritti. Si tratta di un principio che potrebbe essere esteso in via generale.
  L'altro inconveniente attiene alla difesa dei terzi controinteressati rispetto all'iniziativa. Al riguardo, con la sentenza n. 15 del 2011, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, definendo il mancato esercizio del potere inibitorio dell'amministrazione come provvedimento tacito, aveva dato all'istituto una connotazione che consentiva la piena tutela dei terzi anche in sede cautelare.
  Pochi giorni dopo la pubblicazione di questa sentenza, però, il legislatore, con un intervento sulla legge n. 241 del 1990, ha vanificato tale orientamento, negando al mancato esercizio del potere inibitorio alcuna natura di provvedimento tacito. È, quindi, venuto in essere sul punto un vulnus nei diritti di difesa dei terzi, che richiederebbe il ripristino della situazione antecedente a detto intervento legislativo.
  Più tradizionale è, invece, la figura del silenzio-assenso, che trova la sua disciplina di principio nell'articolo 20 della legge n. 241 del 1990, anch'esso più volte modificato nel tempo. Ribaltando le caratteristiche vigenti in precedenza, con la riforma del 2005 il silenzio-assenso è stato delineato come istituto di carattere generale, anche se con altrettanta estensione la norma enumera le materie e le ipotesi nelle quali esso non è applicabile.
  Nel documento lasciato agli atti della Commissione, ho indicato le varie materie in cui la legge preclude l'applicazione del silenzio-assenso. Al riguardo, ai fini della semplificazione, si potrebbero limitare tali materie, eventualmente allungando il termine di formazione del silenzio.
  C’è, peraltro, da dire che tanto l'istituto della DIA o della SCIA quanto quello del silenzio-assenso denotano indirettamente le attuali difficoltà della pubblica amministrazione a esperire con sollecitudine i compiti che le sono attribuiti, sì da porsi come rimedi succedanei a tale sua carenza. Si tratta, comunque, di rimedi non privi di una loro pericolosità, perché consentono il legittimo avvio, e talora lo stesso completamento, di iniziative non sottoposte al pur doveroso vaglio delle pubbliche autorità e, quindi, quand'anche contrastanti con le regole dell'ordinamento e con i superiori interessi della collettività.
  Tali istituti dovrebbero, pertanto, essere visti come soluzione provvisoria a Pag. 10fronte delle suddette attuali difficoltà della pubblica amministrazione, per essere poi, almeno in parte, auspicabilmente superati allorché, attraverso una profonda riforma strutturale, l'amministrazione sia messa in grado di far fronte con tempestività ai suoi compiti. Si spera che questo non sia soltanto un libro dei sogni.
  Da ultimo, credo che anche in un'ottica di semplificazione possa essere vista l'introduzione, nei rapporti tra i singoli e la pubblica amministrazione, di mezzi di tutela alternativi a quello giurisdizionale, le cosiddette alternative dispute resolution (ADR). È noto che nei rapporti di diritto civile ciò è già avvenuto, su impulso del diritto europeo, attraverso la regolamentazione, sia pure da più parti contrastata, dell'istituto della mediazione. Questo istituto potrebbe trovare corrispondenza, nell'ambito dei rapporti di diritto pubblico, in una strumentazione appositamente studiata, tenendo conto dell'ordinario carattere di indisponibilità delle situazioni soggettive che in tali rapporti vengono in discussione.
  Proprio in relazione a quest'ultima caratteristica inerente tali rapporti, la definizione extragiudiziaria delle controversie non potrebbe essere rimessa a meri contatti a sfondo transattivo tra le parti, ma richiederebbe la decisione di un organismo amministrativo terzo, dotato del massimo grado di autorevolezza e indipendenza.
  Va ricordato che sono presenti nell'ordinamento istituti simili, peraltro ancora operanti primariamente nell'ambito dei diritti e non degli interessi legittimi, come, per esempio, presso la CONSOB, ove esiste una camera di conciliazione e arbitrato competente sulle controversie in tema di servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio. Similmente, in materia di telecomunicazioni, è rimessa alla stessa Autorità per le comunicazioni la competenza di risolvere vertenze su richiesta delle parti in conflitto. Molto interessante è anche l'esperienza dell'arbitro bancario-finanziario, competente per la definizione di controversie correnti tra istituti di credito e finanziari e la loro clientela.
  L'attivazione di un efficiente sistema di ADR gioverebbe sicuramente alla snellezza dei rapporti, perché garantirebbe modalità semplificate e sollecite per la risoluzione delle controversie anche nell'ambito dei rapporti di diritto amministrativo.

  PRESIDENTE. Presidente Giovannini, la ringrazio molto per il documento importante che lei ci ha presentato per conto del Consiglio di Stato. Credo si tratti di un contributo davvero di grande livello, che ci sarà utile nella fase terminale della nostra indagine conoscitiva.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARA MUCCI. Grazie, presidente. Pongo due domande lampo.
  Il presidente Giovannini ha parlato del codice dei contratti pubblici, che è stato modificato numerose volte in sette anni di vigenza. Nella precedente audizione è stata fatta la proposta di bloccare la normazione o, comunque, la legiferazione dopo che è stato creato un testo o una legge, per dare un po’ di parvenza di stabilità. Cosa pensate rispetto a questa proposta ?
  Inoltre, visto che avete parlato di semplificazione anche con riguardo al processo di accorpamento di enti pubblici, osservo che in questi giorni si sta svolgendo l'esame del disegno di legge cosiddetto Delrio sul superamento delle province. Cosa pensate delle città metropolitane ? Non aggiungono un ulteriore step e stratificazione ? Cosa pensate anche della riforma delle province che è stata presentata ?

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giovannini per la replica.

  GIORGIO GIOVANNINI, presidente del Consiglio di Stato. Per quanto riguarda il codice dei contratti pubblici, sicuramente un momento di calma sarebbe utile per tutti, anche perché, parlando con amministratori e dirigenti, vedo che si trovano un po’ in difficoltà ad attuare questa normativa.Pag. 11
  Peraltro, è un problema anche per noi, perché i ricorsi vengono discussi dopo un certo lasso di tempo, anche se non particolarmente ampio, e non è facile andare a ricostruire quale sia stata la normativa vigente in un determinato momento. Spesso, poi, le modifiche che intervengono riguardano minuzie delle varie norme e, quindi, a volte possono creare notevoli problemi di carattere interpretativo.
  Sarebbe bello non dover introdurre nuove modifiche normative in materia. Il fatto è che in Europa sono state predisposte tre nuove direttive proprio nella materia interessata dai contratti pubblici: la prima direttiva riguarda i contratti di appalto ordinari; la seconda riguarda i contratti di appalto dei settori speciali, come acqua, gas ed energia; la terza, infine, riguarda le concessioni pubbliche. Nonostante la buona volontà, saremo necessariamente costretti a rimettere mano a questo codice e dovremo farlo entro i termini che saranno alla fine stabiliti dalla direttiva. Normalmente si tratta di un paio di anni.
  A quel punto, occorrerà certamente approfondire la materia e cercare di creare un codice il più possibile snello. Forse il nostro, che è corposo ed è anche accompagnato da un regolamento ancora più corposo, crea più problemi di quanti non ne risolva. Con un codice snello e soprattutto non troppo orientato sul formalismo, riusciremo a dare alla disciplina una sua stabilità.
  Per quanto riguarda l'abolizione delle province, in un'ottica di semplificazione non possiamo pensarne che bene, nel senso che togliamo di mezzo un ente e togliere di mezzo un ente pubblico significa semplificare i procedimenti. Naturalmente queste competenze dovrebbero essere accorpate in altri enti, preferibilmente nei comuni e forse, in parte, nelle regioni. Ridurre il numero dei soggetti pubblici che sono chiamati a intervenire nei vari procedimenti comporta sicuramente un elemento di semplificazione.

  PRESIDENTE. Mi pare che sia stata molto precisa anche questa risposta ai quesiti posti dall'onorevole Mucci. Ringraziamo molto il presidente per il contributo che ci ha fornito.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.40.