Sulla pubblicità dei lavori:
Taricco Mino , Presidente ... 3
SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SETTORE FISCALE
Audizione dei professori Pietro Boria e Giuseppe Marini.
Taricco Mino , Presidente ... 3
Boria Pietro , professore di diritto tributario presso l'università di Roma «La Sapienza» ... 3
Taricco Mino , Presidente ... 5
Marini Giuseppe , professore di diritto tributario presso l'Università di Roma Tre ... 5
Boria Pietro , professore di diritto tributario presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 8
Taricco Mino , Presidente ... 8
Petrenga Giovanna (FdI-AN) ... 8
Marini Giuseppe , professore di diritto tributario presso l'università di Roma Tre ... 8
Petrenga Giovanna (FdI-AN) ... 9
Taricco Mino , Presidente ... 9
Boria Pietro , professore di diritto tributario presso l'università di Roma «La Sapienza» ... 9
Taricco Mino , Presidente ... 10
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MINO TARICCO
La seduta comincia alle 13.15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione dei professori Pietro Boria e Giuseppe Marini.
PRESIDENTE. La seduta di oggi è dedicata all'audizione dei professori Pietro Boria e Giuseppe Marini, docenti di diritto tributario, rispettivamente, presso l'università di Roma «La Sapienza» e l'università di Roma 3.
Abbiamo a disposizione soltanto 45 minuti, poiché alle 14 l'Assemblea della Camera è convocata per l'informativa urgente del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sulla situazione in Venezuela.
Sono sicuro che sfrutteremo il tempo nel migliore dei modi grazie alla competenza dei nostri ospiti, che pregherei di intervenire per non oltre 15 minuti ciascuno.
Do quindi la parola al professor Boria.
PIETRO BORIA, professore di diritto tributario presso l'università di Roma «La Sapienza». Grazie. Ho preparato un breve documento perché all'Università di Roma «La Sapienza» abbiamo costituito un gruppo di studio per una serie di progetti di riforma tributaria e le semplificazioni hanno costituito, naturalmente, uno dei settori oggetto di studio.
Quel documento, che vi sarà inviato per posta elettronica, contiene, da un lato, un ragionamento, dall'altro, delle ipotesi normative attraverso la predisposizione di uno specifico articolato. Molto brevemente, vorrei dire che quello delle semplificazioni, a nostro avviso, è un tema articolato su due binari. Quello delle semplificazioni formali e procedimentali è il tema che, di solito, risulta oggetto di discussione, come ho potuto scorgere anche dall'indice dei lavori della presente indagine conoscitiva, e su cui viene principalmente focalizzata l'attenzione. A me, personalmente, questo sembra solo il precipitato o il corollario dell'altra questione principale, che è quella rappresentata dalle semplificazioni sostanziali.
Un fisco semplice non è solamente una questione di procedure, ma è una questione di regole semplici, quindi il grande problema è che abbiamo regole troppo complesse, con particolare riguardo al settore delle imposte sui redditi, che, come sapete, è il più importante. Su circa 450 miliardi di entrate tributarie, 300 sono contributi e tariffe, di cui 175-180 sono imposte dirette, che rappresentano nettamente il tributo più importante. Mi sto riferendo solo all'IRPEF perché, considerando anche l'IRES, si arriva a circa la metà del prelievo complessivo.
Ora, il problema è semplificare questo meccanismo. Come sapete, in questo momento – come è dato leggere sui giornali – è in corso di svolgimento il dibattito sulla flat tax, che sembra diventare il tema centrale. Al di là della questione relativa alla flat tax, che costituirebbe una forma di semplificazione, ci siamo concentrati sul Pag. 4modo di funzionamento delle imposte dirette.
Le imposte dirette comprendono, come voi sapete, in grandissima parte la tassazione sui redditi da lavoro dipendente e in piccola parte quella sui redditi da capitale, quindi non creano problemi e sono semplicissime perché c'è il meccanismo del sostituto e della ritenuta.
Poi abbiamo, invece, il vero grande problema di cui tutti discutono in ordine alla semplificazione, quello cioè del reddito di impresa e del reddito da lavoro autonomo, costituiti da circa 5 milioni di partite IVA. Il 95 per cento di queste – si tratta di un'approssimazione per difetto perché, probabilmente, il valore è anche più elevato – rientra nel meccanismo degli studi di settore.
La nostra idea è stabilizzare un meccanismo, ma tenete presente che la tendenza è viceversa quella di abbandonare gli studi di settore perché, come sapete, si sta passando agli indici di collaborazione e di lealtà fiscale. Gli studi di settore possono invece diventare un vero e proprio catasto delle imprese e la proposta contenuta nel nostro documento è appunto quella di realizzare un catasto delle imprese, il che consentirebbe ad ognuno di pagare un importo predeterminato. Qualora si combinasse tale misura a quella di un abbonamento tributario, ciò significherebbe che il 95 per cento dei titolari di partita IVA pagherebbe un importo di cui verrebbe anticipatamente a conoscenza in relazione ad un triennio; in più, abbiamo immaginato un meccanismo di stabilizzazione che consenta al titolare di mensilizzare il versamento dell'importo: in altre parole, invece di avere il problema di dover pagare 20.000 euro all'anno, il titolare di partita IVA pagherebbe 1.550 euro al mese.
Si introdurrebbero in tal modo tutta una serie di semplificazioni perché questo meccanismo del catasto azzererebbe i problemi di contabilità, salvo i registri IVA, e i problemi di accertamento, salvo le sopravvenienze passive, le plusvalenze, gli oneri straordinari e le operazioni fraudolente, ma stiamo naturalmente parlando di minuzie.
Per quanto concerne quel 95 per cento, sulla base di specifici indicatori – come sapete, ad effettuare il monitoraggio degli studi di settore è la SOSE Spa – è stato calcolato che nel lungo periodo il tasso di scostamento degli studi di settore, come affermato dall'amministratore delegato della SOSE stessa, è del 10 per cento, ragion per cui, nel 90 per cento dei casi, gli studi di settore sono ritenuti affidabili.
Allora, prendere quei dati e costruire su di essi un catasto delle imprese significa avere un tasso di approssimazione molto basso e semplificare davvero, per cui non ci sarebbero più problemi: i dipendenti e la grandissima quantità di micro imprese e micro lavoratori non avrebbero più problemi di compliance, di documentazione, di accertamenti e di controlli e questo diventerebbe un sistema molto semplice e funzionante.
Inoltre, lavorando sui dati macroeconomici si potrebbe tranquillamente fare una manovra perché basterebbe affermare che si aumenta la base imponibile del 5 per cento. A fronte della pace fiscale, probabilmente, tutti accetterebbero una simile affermazione e si avrebbe a disposizione un sistema per cui non si discute più di importi e di flussi, come tale caratterizzato da elementi di grande semplicità.
La proposta che vi facciamo è quindi essenzialmente la seguente: catasto delle imprese e abbonamento tributario. Dopodiché, c'è il tema degli ulteriori interventi sulla parte procedimentale, su cui abbiamo realizzato una serie di studi.
Esistono infatti, oltre a quelle che voi conoscete in quanto se ne discute da molto tempo, ulteriori questioni irrisolte e complesse.
Come sapete, il nostro è l'unico tra i Paesi occidentali ad avere la Guardia di finanza, il che comporta una duplicazione nelle attività di accertamento. C'è infatti l'istruttoria che finisce con un processo verbale e poi si duplica l'attività con l'Agenzia delle entrate, che esegue l'accertamento, mentre negli altri Paesi c'è un unico controllo perché non esiste la Guardia di finanza e il soggetto che svolge i controlli è Pag. 5anche quello che accerta. Ma tutto ciò ha un senso?
La nostra proposta è pertanto quella di attribuire il potere di accertamento alla Guardia di finanza.
Tenete presente che, nel 90 per cento dei casi, i processi verbali sono fatti insieme all'Agenzia delle entrate o, comunque, sono acriticamente ripresi dall'Agenzia stessa. Ripeto: che senso ha tutto ciò?
La complessità dei tempi si traduce in una diseconomia complessiva. Anche in questo caso, il nostro periodo di accertamento era di quattro anni più uno, mentre ora è di cinque anni più uno. Abbiamo risolto il problema del raddoppio allungando l'accertamento, ma siamo ritornati da dove eravamo partiti perché, quando nel 1997 furono inserite le dichiarazioni telematiche, si ridusse di un anno l'accertamento mentre adesso abbiamo aumentato il periodo di riferimento.
In tutti gli altri Paesi europei, il tempo è breve: le partite si giocano sulla capacità di assicurare certezza del diritto e di ridurre i tempi. Con gli strumenti informatici che abbiamo, è mai possibile mantenere un periodo di incertezza di cinque anni?
La nostra idea è pertanto la seguente: riduciamo l'incertezza e portiamola a tre anni, ma predisponiamo strumenti concreti, evitando così le duplicazioni.
Nel documento abbiamo proposto una serie di interventi di questo genere. Alla fine, il nostro progetto di studio intende intervenire in maniera radicale, non in maniera chirurgica.
Purtroppo, l'abitudine di questo Paese è fare interventi, come si legge a proposito della flat tax, che insistono su valori decimali. Tutte le nostre grandi riforme tributarie riguardano il tentativo di recuperare qualcosa sull'IRAP ovvero si assiste adesso agli interventi sul costo del lavoro che dovrebbero pesare per il 3 per cento, ma il Paese non cambia perché il sistema non si cambia con interventi limitati ai valori decimali.
Questo è un altro discorso che attiene alla flat tax e alla struttura del tributo, ma vale anche per le semplificazioni perché, se noi facciamo un elenco di casi lunghissimo e diciamo: «cambia qua, cambia il giorno o lì c'è un errore», pensate che questo semplifichi il Paese? Il nostro è un Paese in cui le leggi di semplificazione hanno creato complessità e complicazioni, per cui non può essere quello il modo corretto di agire: la semplificazione è un intervento di struttura e la nostra idea è intervenire sulla struttura sostanziale e procedimentale per renderla davvero funzionante.
Tra l'altro, c'è poco da inventarsi e basta studiare ciò che avviene negli altri Paesi. Non dobbiamo necessariamente concepire invenzioni autonome e indipendenti, perché è sufficiente osservare ciò che funziona negli altri Paesi.
Spero di essere stato breve.
PRESIDENTE. Grazie anche per la sintesi. Do ora la parola al professor Marini.
GIUSEPPE MARINI, professore di diritto tributario presso l'Università di Roma Tre. Ringrazio l'onorevole presidente e gli onorevoli componenti della Commissione per il gradito invito a partecipare a quest'audizione, nel corso della quale vorrei accennare, ovviamente nei limiti di tempo che mi sono stati assegnati, a quattro interventi nell'ottica della semplificazione a mio avviso auspicabili.
Il primo tema è quello relativo alla tassazione della casa. Ora, l'imposizione patrimoniale sugli immobili è una delle più diffuse forme impositive del nostro sistema tributario. Si tratta di un'imposizione che comprende, oltre all'ICI-IMU e all'IVIE (Imposta sul valore degli immobili situati all'estero), anche le tassazioni cosiddette «cripto-patrimoniali» presenti nelle imposte sui redditi.
È quantomeno opportuno ricordare che, ai fini della tassazione immobiliare reddituale, è tassato il fabbricato concesso in comodato ed è tassato il fabbricato sfitto ubicato nello stesso comune, ma non è attribuita rilevanza alla morosità del conduttore, nel caso di locazioni a uso commerciale, con una disparità di trattamento rispetto alle locazioni abitative, quindi, se io loco un immobile a fini commerciali e non vengo pagato dal conduttore, ciononostante Pag. 6 devo versare le imposte al fisco. Tutte queste circostanze comportano che la tassazione reddituale sugli immobili non sia altro che una tassazione patrimoniale.
Un cenno va fatto al tributo successorio, che finisce per gravare sostanzialmente sui beni immobili, traducendosi quindi in una patrimoniale. Un altro cenno va fatto a quelle imposte, come la TARI e i tributi cosiddetti paracommutativi, il cui presupposto non è la ricchezza dell'immobile, ma che finiscono comunque per incidere sull'immobile. Un cenno, infine, va fatto anche alla TASI, che alla fine non è altro che una imposta patrimoniale in aggiunta all'IMU.
Se osserviamo la politica legislativa degli ultimi anni, oltre alle esigenze di cassa non riesco a individuare alcuna direttiva.
A titolo puramente esemplificativo, posso dire che la IUC, l'imposta unica comunale istituita con la legge di stabilità per il 2014, non esiste ed è una boutade demagogica per far finta che ci sia stata una semplificazione di tre tributi – IMU, TARI e TASI – che non sono unificati in nulla.
Il mandato politico che ha accompagnato l'introduzione della TASI prevedeva di introdurre un tributo che non fosse la copia dell'IMU e che recuperasse il gettito perso con l'IMU sull'abitazione principale. Ora, la TASI non colpisce l'abitazione principale mentre abbiamo due tributi, uno doppione dell'altro, perché IMU e TASI sono due doppioni.
A questo punto, essendoci dei tributi doppione, ovviamente vengono pregiudicate le istanze di semplificazione e quindi, ai fini dell'imposizione immobiliare, suggerirei di abolire la TASI e di non accorpare il prelievo sui rifiuti nell'IMU, perché il prelievo sui rifiuti è retto dal principio per cui chi inquina paga, quindi ci pone dei problemi a livello comunitario. Suggerirei invece di accorpare nell'IMU tutta l'IRPEF sui redditi fondiari non locati, in modo tale da assicurare maggiore logica al sistema e di attribuire rilevanza alla morosità del conduttore, anche nelle ipotesi di locazioni commerciali.
Perché la rilevanza si deve avere solo per le locazioni a uso abitativo e non per quelle a uso commerciale? È vero che la Corte è intervenuta e ha dichiarato la questione non manifestamente infondata, però mi sembra irragionevole che, nel caso di specie, un locatore che non percepisce il corrispettivo per colpa della morosità del conduttore debba comunque pagare le imposte sull'immobile.
Forse, escluderei la tassazione anche sugli immobili non produttivi di reddito perché, se osserviamo il tributo dell'IMU, notiamo che si tratta di una patrimoniale, ma di una patrimoniale spuria perché viene tassato il patrimonio in quanto idoneo a produrre reddito. Ecco perché viene tassato l'usufruttuario e non il nudo proprietario. Allora, quando io tasso l'immobile improduttivo di reddito, inserisco un tributo incoerente con la ratio del tributo.
A mio avviso, questi dovrebbero essere gli interventi auspicabili per quel che concerne la tassazione sulla casa.
Accenno brevemente alle altre tre tematiche, riservandomi di inviarvi il testo scritto. Fermatemi pure se dovessi sforare sui tempi.
Un altro punto è ripensare il criterio di imputazione temporale nella determinazione del reddito di impresa. La via della semplificazione deve sussistere anche nella materia relativa al reddito di impresa: prova ne è la relazione illustrativa al disegno di legge di bilancio per il 2017 che, proprio spiegando le recenti novità in materia di determinazione del reddito delle imprese minori, pone in stretta correlazione l'introduzione di un regime di contabilità semplificata improntata al criterio di cassa con la necessità di semplificare la mole degli adempimenti.
Il passaggio dalla competenza alla cassa non assicura infatti ai piccoli imprenditori – parliamo di oltre 2 milioni di soggetti – un effettivo sfoltimento degli adempimenti contabili, anzi da questo punto di vista ne introduce di altri. Ecco perché c'è la possibilità per questi soggetti di optare per un regime in contabilità ordinaria, nonché la possibilità di incidere e decidere l'imputazione temporale.
Senza entrare nel piano tecnico e nel dettaglio, rinviando in proposito al mio scritto, posso però certamente dire che quest'intervento, anche se guidato dalla volontà Pag. 7 di assicurare l'effettività della capacità contributiva, iniziativa questa di per sé lodevole, d'altro canto sicuramente non semplifica.
Rispetto a tale tematica devono essere anche valutate con attenzione le proposte avanzate in dottrina, volte ad ancorare tutta la determinazione del reddito di impresa, anche per gettiti maggiori, al principio di cassa, ossia al rendiconto finanziario. Sicuramente ciò è attuativo di un principio di capacità contributiva, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale, però, dal punto di vista della semplificazione pone dei problemi di non poco conto e rischia di costituire una modifica strutturale importante da valutare con molta attenzione.
L'altra tematica cui vorrei accennare è quella del superamento dell'IRAP. Anche su Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa si leggeva della possibilità di accorpare l'IRES all'imposta regionale sulle attività produttive, vale a dire l'IRAP. Si parlava, in particolare, di accorpamento e di unificazione.
In qualche modo è improprio parlare di accorpamento e di unificazione perché i tributi sono diversi: da una parte abbiamo il possesso di reddito, dall'altra abbiamo l'esercizio di un'attività autonoma organizzata. Tuttavia, è vero che l'evoluzione che ha avuto questo tributo è tale per cui le basi imponibili coincidono: ai fini dell'IRAP, oggi c'è la deducibilità pressoché integrale del costo del lavoro, cosa che non era nell'originario disegno dell'IRAP, mentre, ai fini delle imposte sui redditi, c'è una limitazione alla deducibilità degli interessi passivi, quindi, alla fine, le due basi imponibili convergono. Convergendo le due basi imponibili, sarebbe opportuna, in qualche modo, l'eliminazione dell'IRAP e magari l'introduzione di un'addizionale regionale.
Certo, per un soggetto poco attento ai bizantinismi del nostro sistema ciò si traduce in un inasprimento della pressione fiscale, però nell'ottica della semplificazione oggettivamente l'eliminazione dell'IRAP rappresenterebbe un passo in avanti.
Laddove non si riesca a disporre la soppressione dell'IRAP, a mio avviso dovrebbe comunque essere in qualche modo individuato in via legislativa il concetto di autonomia organizzativa, che ha dato e continua a dare una serie di problemi.
Vi ricordo che l'articolo 11, comma 2, della legge delega n. 23 del 2014 in qualche modo lo prevedeva, però tale disposizione non è mai stata attuata. A mio avviso, se l'IRAP deve rimanere sarebbe perlomeno opportuno che la citata legge delega fosse di nuovo riesumata e attuata.
L'ultimo punto è quello relativo all'abuso del diritto. Nel 2015 c'è stata la riforma dell'abuso del diritto, che è stata attuata con l'introduzione dell'articolo 10-bis nell'ambito della legge n. 212 del 2000, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, e la contestuale abrogazione della norma dell'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
L'istituto che è stato originato non riveste una particolare novità, nel senso che si tratta di un istituto che ha recepito gli orientamenti della Corte di cassazione e gli orientamenti a livello comunitario. Da ciò, l'interrogativo che ci potremmo porre è se l'istituto rivesta un carattere meramente ricognitivo oppure se, in un certo qual modo, sia innovativo. Considerarlo meramente ricognitivo mi sembrerebbe riduttivo, anche perché, all'interno di questa norma, c'è un passaggio che vi leggo e che dice espressamente: «Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale».
Interpreto tale affermazione come un riconoscimento del legittimo risparmio d'imposta. Vero è che sarebbe opportuno e auspicabile un chiarimento a livello legislativo, o quantomeno da parte dell'Agenzia delle entrate, su quali siano le ipotesi di lecito risparmio d'imposta.
Il decreto legislativo n. 128 del 2015, che ha introdotto la norma di cui al citato articolo 10-bis, è intitolato «Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente». L'attuale nozione di cui all'articolo 10-bis e le incertezze sulla sua portata – per chi è tecnico della materia rinvio, per esempio, ai rapporti che ci sono con l'articolo 20 del testo unico in Pag. 8materia di imposta di registro – finiscono per bloccare il mondo delle imprese, che non ricorrono più a operazioni di fusioni e acquisizioni, che pure sono fondamentali nell'economia reale per avere un sistema produttivo forte e dinamico, proprio in ragione dell'eventualità di contestazioni incentrate sull'elusività dell'operazione.
Auspico pertanto che, a livello legislativo, o quantomeno sulla base di interpretazioni fornite dall'Agenzia delle entrate, vengano individuate in maniera più puntuale, come avveniva già con il citato articolo 37-bis, quali siano le ipotesi di lecito risparmio d'imposta. Grazie.
PIETRO BORIA, professore di diritto tributario presso l'Università di Roma «La Sapienza». Vorrei aggiungere una piccolissima chiosa.
Rispetto alla premessa del ragionamento l'intervento del professor Marini, che è un carissimo amico, è a mio avviso assolutamente in linea. Le università sostengono infatti che le semplificazioni sono interventi di struttura.
Trovo molto intelligenti e calzanti le proposte del professor Marini, che si configurano tutte, appunto, quali interventi di struttura. Dobbiamo comprendere che si semplifica solo se c'è una semplificazione della struttura.
Insisto volutamente su quest'aspetto perché la linea che emerge dall'indice dei vostri lavori e, immagino, dalle audizioni precedenti è invece più calzata sui profili procedimentali. Credo che quella sia una svista e non credo che quello sia un passaggio corretto perché la semplificazione dei procedimenti, se la struttura è viziata, non è una vera semplificazione.
Lo ripeto ogni volta: questo Paese ogni anno fa leggi di semplificazione perché, ogni anno, in ogni manovra, c'è una semplificazione che è rubricata appunto come tale. Si tratta di articoli lunghissimi nei quali si prevede, ad esempio, che «al comma X, intervieni in questo modo e, al comma Y, in quest'altro modo» ovvero che «qui sostituiamo e qui cambiamo il termine». Pensate forse che il sistema sia mai stato semplificato? E questa vostra Commissione esiste proprio perché abbiamo in maniera bizantina solo complicato il sistema, che non funziona perché non è quella la semplificazione.
PRESIDENTE. Grazie.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
GIOVANNA PETRENGA. Inizialmente, lei ha fatto riferimento al fatto che si tratta di una patrimoniale quando si pagano tasse come l'IMU anche, se ho capito bene, su immobili non fittati e non utilizzati che si tengono chiusi, come è ad esempio la casa per le vacanze. Anche se è una cosa che non condivido, ciò sta portando al fatto che molti proprietari trasferiscono la residenza in quei luoghi proprio per risparmiare, diventando quella la prima casa.
Secondo lei, c'è la possibilità di pagare di meno o di non pagare, quando il bene non è produttivo? Lo chiedo perché, altrimenti, quel bene è patrimoniale, come giustamente diceva lei. Si deve cambiare la legge?
GIUSEPPE MARINI, professore di diritto tributario presso l'università di Roma Tre. Ad oggi, per esempio, l'IMU è – lo ripeto – una patrimoniale, però è una patrimoniale atipica perché, se l'IMU fosse una patrimoniale pura e semplice, anche il nudo proprietario dovrebbe pagare l'IMU. La patrimoniale pura e semplice significa che io ho un quadro di Picasso a casa che non mi dà nessun reddito, però sono più ricco di un altro. In attuazione dell'articolo 53 della Costituzione, posso naturalmente chiedere a chi è più ricco di pagare le imposte, quindi la patrimoniale non contrasta con i principi costituzionali ed è del tutto legittima. Tuttavia la patrimoniale, per com'è stata pensata con l'ICI e con l'IMU, è una patrimoniale che tassa il patrimonio in quanto idoneo a produrre reddito.
Se leggiamo all'interno delle leggi relative all'ICI e all'IMU che vengono tassati anche i fabbricati inagibili, inabitabili e, di fatto, non utilizzati, sia pure con una tassazione ridotta, quel principio contrasta con la coerenza del tributo. Posso tassarli e Pag. 9posso tassare tutto quello che manifesta ricchezza ma, se il tributo vuol dire tassare il patrimonio in quanto idoneo a produrre reddito, in quel caso allora non dovrei poterlo fare perché ciò sarebbe incoerente e, da questo punto di vista, a mio avviso anche incostituzionale.
Ci sono non solo in materia di IMU, ma anche in materia di imposte sui redditi, quelle tassazioni cui accennavo prima, le cosiddette «cripto-patrimoniali»: queste sono apparentemente reddituali, ma nella sostanza patrimoniali.
Posso ad esempio avere un immobile che non riesco però ad affittare, per quanto ciò possa essere da stimolo al circuito intero. Oppure, nel caso di morosità del conduttore di un immobile commerciale – o perché ad esempio il conduttore fallisce, oppure perché non ha i soldi o non mi paga – io dovrò comunque intraprendere una domanda giudiziale da cui non ricavo niente. In quel caso, è possibile che io debba comunque pagare le imposte? Tutto ciò non è irragionevole o incostituzionale?
Quello dell'IMU e della TASI in particolare – lo ripeto ancora una volta perché, forse, ho un'avversità nei confronti di quest'ultimo tributo – è un obbrobrio giuridico. La TASI è un mostro giuridico che non ha nessuna ragion d'essere. La TASI poteva avere una ragione d'essere se fosse stata concepita per finanziare i servizi indivisibili, ma non essendo oggi questa la situazione, tanto valeva lasciare l'ICI come era precedentemente.
GIOVANNA PETRENGA. Gli imprenditori e, in modo particolare, i costruttori edili lamentano il fatto di avere immobili invenduti, e quindi un patrimonio sul quale devono comunque pagare.
PRESIDENTE. Vorrei porre una questione, riservandomi di leggere con attenzione il vostro documento, che mi ha molto incuriosito.
La proposta che lei, professor Boria, ci rappresentava in merito ad una sorta di catasto delle imprese ai fini fiscali introdurrebbe – le ripeto che, però, devo ancora leggere la sostanza delle sue riflessioni – una specie di negoziazione preventiva delle imposte programmabili nel tempo.
PIETRO BORIA, professore di diritto tributario presso l'università di Roma «La Sapienza». Assolutamente sì, si tratta proprio di una delle ipotesi che abbiamo provato ad indicare.
È chiaro che noi partiamo dall'ipotesi di un catasto delle imprese e degli studi di settore. Nella nostra idea si può trovare un accordo preventivo per un periodo di 3-5 anni, in cui il contribuente va all'Agenzia delle entrate. Ormai, con gli strumenti telematici, questa procedura può essere gestita molto velocemente, come ha dimostrato la voluntary disclosure: io mando i parametri e addirittura ho un riferimento che è lo studio di settore, sulla base dei quali conciliamo un accordo preventivo per cinque anni.
Nell'accordo preventivo posso inserire l'abbonamento tributario perché, se l'imprenditore – parliamo di esperienze sul campo, di cui sicuramente voi tutti avrete contezza – sa che paga lo Stato per il noleggio delle macchine o l'affitto di un capannone, lo fa. Trattandosi di un importo modesto, paga quelle somme, per cui lo Stato ha la certezza di flussi finanziari e si risolvono i problemi per il 95 per cento dei contribuenti. Considerando i dipendenti con la ritenuta e il catasto delle imprese per il 95 per cento delle partite IVA, il sistema diventa gestibilissimo.
In Inghilterra ci sono sistemi diversi dal nostro ma in qualche modo vicini, perché fino a una certa fascia – che comunque è, in qualche caso, nell'ordine di centinaia di migliaia di euro ovvero di milioni di euro di fatturato e che comunque copre una fetta importante delle piccole imprese, praticamente tutte – si concludono accordi a forfait.
Noi lo potremmo fare in modo anche più evoluto e sofisticato perché abbiamo uno strumento come gli studi di settore: in questo siamo un Paese all'avanguardia perché non ce li ha nessuno e sono vent'anni che li sperimentiamo. Pag. 10
Si tratta di una cosa che si può fare con grandissima semplicità. Ecco, ho usato la parola «semplicità».
PRESIDENTE. Ringrazio molto gli auditi. Sicuramente leggeremo le vostre memorie e ne terremo conto nella stesura del documento conclusivo. Intanto, vi ringrazio veramente di cuore per il vostro contributo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.45.