Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3
SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SETTORE FISCALE
Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT) e dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET).
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 ,
Alemanno Riccardo , Presidente nazionale dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT) ... 3 ,
Zambon Giuseppe , Consigliere nazionale e coordinatore commissione fiscalità dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT) ... 4 ,
Tabacci Bruno , Presidente ... 6 ,
Falcone Roberto , Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET) ... 6 ,
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 ,
Sollo Pasquale ... 10 ,
Taricco Mino (PD) ... 11 ,
Falcone Roberto , Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET) ... 11 ,
Alemanno Riccardo , Presidente nazionale dell'Istituto Nazionale Tributaristi (INT) ... 11 ,
Falcone Roberto , Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET) ... 12 ,
Tabacci Bruno , Presidente ... 12
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
BRUNO TABACCI
La seduta comincia alle 13.25.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT) e dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel settore fiscale, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto nazionale tributaristi (INT) e dell'Associazione nazionale tributaristi (LAPET). Ci aspettiamo da voi un contributo importante, visto il vostro ruolo di intermediazione tra i contribuenti e il fisco.
Do quindi la parola al dottor Riccardo Alemanno, Presidente dell'Istituto nazionale tributaristi, che ci ha già fatto pervenire una memoria e utili considerazioni di sintesi sui profili che tratterete. Successivamente daremo la parola al dottor Roberto Falcone, Presidente dell'Associazione nazionale tributaristi.
RICCARDO ALEMANNO, Presidente nazionale dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT). Grazie, presidente Tabacci, dell'invito in audizione, grazie ai componenti della Commissione presenti. Dirò solo due cose in premessa, poi lascerei la parola al consigliere Zambon, che è il coordinatore della Commissione fiscalità, che meglio di me saprà illustrare in sintesi la documentazione che abbiamo presentato.
Evidentemente, come tutti, credo che nessuno sia contrario alla semplificazione, ma una premessa è necessaria, perché la semplificazione, a nostro avviso, deve andare di pari passo con l'equità, per evitare che, attraverso procedimenti definiti semplificatori, si vada ad attribuire funzioni a soggetti terzi, perché siamo convinti che, in ambito fiscale, il contribuente debba riuscire ad adempiere da solo agli obblighi tributari, anche se, a causa delle asimmetrie di carattere informativo tra la norma e la sua applicazione, può rivolgersi volontariamente a un intermediario fiscale.
Ci sono oltre 130.000 professionisti che operano nel nostro Paese e che hanno contribuito anche alla informatizzazione del lavoro dell'Agenzia delle Entrate, ma, come anche evidenziato in questa Commissione, dubito dell'utilità di creare una sorta di ulteriore certificatore per la fattura elettronica, che non è obbligatoria, perché l'Unione europea lo vieta nei rapporti tra privati, e che, ha già, di per sé, la funzione di certificare l'operazione cui si riferisce.
Perdonate se mi infervoro, ma le mie origini contadine a volte mi fanno accalorare di fronte a cose che non capisco.
Detto questo, sottolineo una cosa importante che deve essere considerata preliminare alla semplificazione: una tregua normativa. Noi abbiamo una sedimentazione di norme che sarà impossibile semplificare, un continuo sovrapporsi di disposizioni, anche laddove non c'è un obbligo di legiferare, e spesso si tira in ballo l'Europa, dicendo che ce lo impone l'Europa, cosa a volte vera, a volte, forse, un alibi (scusatemi se utilizzo questo termine). Pag. 4
Anche l'uso della telematica è importantissimo, e, come ho detto, rappresentiamo una parte di intermediari fiscali che hanno contribuito alla sua utilizzazione all'interno del sistema fiscale, però, evidentemente, essa va sviluppata con sistemi consolidati, perché non possiamo buttare allo sbaraglio il contribuente.
Stiamo notando, vivendo a longitudini e latitudini diverse nel nostro bel Paese, che ci sono ancora zone in cui i contribuenti non hanno possibilità di operare con sistemi informatici, perché non hanno la banda larga. Mi chiedo come sia compatibile l'obiettivo della semplificazione con le difficoltà di utilizzo della banda larga. I pescatori greci fanno funzionare il POS collegato telematicamente per i turisti, noi a volte abbiamo difficoltà. Quindi l'uso della telematica, che è inevitabile e auspicabile, deve basarsi su infrastrutture tali da renderla fruibile a tutti nello stesso modo, cosa che ancora non avviene nel nostro Paese.
C'è da sottolineare un'ultima cosa, di cui voi, con questa audizione, state dando atto: il confronto con gli intermediari fiscali. Abbiamo un po'la presunzione di pensare, essendo coloro che agiscono sul campo, che un confronto preventivo, e non solo successivo, rispetto all'emanazione di una norma, forse potrebbe portare qualche risultato in più.
Se siete d'accordo, darei la parola al consigliere Zambon. Grazie.
GIUSEPPE ZAMBON, Consigliere nazionale e coordinatore commissione fiscalità dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT). Grazie, presidente. Onorevoli deputati e senatori, da diversi anni ormai si discute di semplificazione, ma ancora siamo sostanzialmente fermi, nonostante qualche passo sia stato fatto in questa direzione.
È di appena qualche giorno fa il rapporto dell'OCSE che lancia l'allarme sull'incertezza dei tributi, e dal quale risulta che il nostro Paese ha modificato ben trentadue volte negli ultimi trenta anni, tra il 1984 e il 2014, la tassazione delle imprese. Solo la Francia ha fatto peggio di noi.
Per attrarre investimenti esteri, secondo l'OCSE occorre, in primis, ridurre la frequenza con cui il Paese modifica la propria legislazione fiscale. Occorre, poi, operare una riduzione del livello di burocrazia, diminuire la complessità della legislazione, allineare le normative nazionali agli standard fiscali internazionali. Non sono così importanti – ci dice l'OCSE – le zone franche o gli incentivi, quanto, più semplicemente, la trasparenza, la certezza del diritto e la pianificazione.
Tra i fattori considerati critici per la scelta eventuale degli imprenditori di localizzare nel nostro Paese stabili organizzazioni (branch), dopo la corruzione e la stabilità politica, c'è il contesto fiscale, nel quale è predominante il costo legato all'attività di adeguamento alla normativa fiscale.
È per questo che la relazione, che abbiamo lasciato agli atti della Commissione, sviluppa sei punti di possibile semplificazione, iniziando proprio dalla tecnica legislativa, che deve essere adeguata agli obblighi costituzionali, delineati da diverse sentenze della Corte costituzionale a partire dal 2003 e approfonditi in uno studio pubblicato dal Senato nel 2001, che rielabora precedenti studi di entrambe le Camere del 1986.
Tutto quindi è già scritto, dovremmo semplicemente riprendere il testo intitolato Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi e farlo diventare un regolamento, un decreto del Presidente della Repubblica, vincolante per il legislatore. Occorre limitare al minimo, nei testi legislativi, il richiamo e il rinvio a leggi, commi, articoli di altre norme, e scrivere a chiare lettere quanto si sta regolamentando.
Ci permettiamo, però, anche di suggerire la costituzione di una Commissione di controllo preventiva dei testi legislativi, come già avviene nella vicina Svizzera, che controlla, prima dell'emanazione dei testi legislativi, la loro formulazione.
Un altro punto importante è la stabilità legislativa in campo fiscale. Come diceva il presidente Alemanno, serve una tregua, è necessario fare sedimentare l'esistente con una serie di testi unici per le diverse imposte, che non vengano modificati nel breve Pag. 5periodo. Sul punto, non posso non citare l'autorevole intervento del direttore dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, alla Luiss Business School l'altro giorno, in cui sollecitava una sistematica riorganizzazione della normativa fiscale, una pausa legislativa quindi, ma anche una sostanziale delegificazione, soprattutto relativamente ai decreti-legge, di cui si è decisamente abusato negli ultimi anni.
Non è più rinviabile, ormai, una effettiva applicazione dello Statuto dei diritti del contribuente, elevando, possibilmente, a rango costituzionale la legge n. 212 del 2000 (lo chiediamo da anni), in modo da evitare il continuo ricorso alla retroattività delle norme fiscali, in deroga allo Statuto stesso.
Un notevole costo e appesantimento burocratico è senz'altro rappresentato dal visto di conformità, che deve essere richiesto per compensare i crediti fiscali eccedenti 15.000 euro, che chiediamo di eliminare, sostituendolo con una semplice comunicazione preventiva all'Agenzia delle entrate, così da consentire all'Agenzia medesima di potere, eventualmente, bloccare l'utilizzo del credito.
La norma esiste, essendo prevista nella legge finanziaria del 2007, ma non ha mai avuto attuazione, perché non sono mai stati emanati i provvedimenti di attuazione, anche a causa delle tecnologie informatiche in dote all'amministrazione dieci anni fa, che sono state reputate non in grado di assolvere ai controlli necessari allo scopo nei tre giorni a disposizione dell'Agenzia delle entrate per bloccare gli eventuali utilizzi di credito.
In alternativa a questa proposta, sembrerebbe comunque opportuno estendere a tutti gli intermediari fiscali, o almeno ai tributaristi qualificati, certificati a norma UNI 11511, la funzione di apporre il visto di conformità, in modo da allargare la platea dei certificatori nell'ottica di una liberalizzazione che permetta anche la riduzione di costi per i contribuenti.
Se, da un lato, chiediamo di superare l'obbligo del visto di conformità, dall'altro, affermiamo ancora con più forza, come diceva il presidente, che è sbagliato istituire nuove certificazioni. Venti giorni fa, in questa Commissione è stata avanzata la proposta di legare la fattura elettronica fra privati a una sorta di certificazione del processo di generazione della stessa, di fatto un altro visto di conformità. Non possiamo che essere contrari a questa logica certificatoria anacronistica, antistorica e legata, come emergerebbe dal contenuto della proposta, addirittura a un riconoscimento professionale di una precisa categoria professionale, che pensavo sinceramente non ne avesse bisogno.
Allo stesso modo, credo che non abbia contenuti professionali l'attestazione che i dati inviati all'Agenzia delle entrate con la fattura elettronica corrispondano al vero e la documentazione di supporto generata effettivamente esista. Questa non è professionalità.
L'Europa viaggia a un'altra velocità, perché è così difficile starle dietro? Entro il 2020 la modalità elettronica sarà quella prioritaria nello scambio dei documenti commerciali, in primis la fattura, allo scopo, dichiarato dall'Unione europea, di maggiore competitività ed efficienza e di risparmio sui costi operativi nel medio e lungo periodo.
Noi cosa facciamo? Dovremmo assoggettare a una certificazione di qualità fiscale l'emissione della fattura elettronica, costringendo il contribuente a nuovi, inutili costi per riconoscere la professionalità a una categoria che forse si sente poco considerata dalle Istituzioni? Perché, poi, certificare la fattura elettronica quando non si è mai fatto nulla per la fattura cartacea, che esiste dal 1973? Si poteva già fare prima, se fosse stata necessaria una certificazione!
Obiettivo della semplificazione dovrebbe essere quello di far sì che il contribuente riesca, con la propria autonomia, ad assolvere gli obblighi fiscali, e che, solo volontariamente, se ne sente il bisogno e la necessità, e non per obbligo, possa ricorrere agli intermediari fiscali nei rapporti con l'amministrazione, potendo però scegliere fra tutti i soggetti a ciò abilitati, senza distinzioni di casacche. Pag. 6
Formulo, quindi, un paio di considerazioni di natura più tecnica relativamente alle nuove comunicazioni telematiche delle fatture ricevute ed emesse e delle liquidazioni IVA, che sono obbligatorie da quest'anno. L'invio delle fatture emesse e ricevute, il cosiddetto «spesometro», è destinato ad avere vita breve, in quanto sostitutivo della fatturazione elettronica e quindi obbligatorio solo per chi non l'adotta.
Infatti, se veramente il 2020 sarà, come dovrebbe essere, l'anno della svolta digitale in Europa e in Italia, solo per tre anni dovremmo adempiere a questo nuovo obbligo. Condividiamo sicuramente lo scopo e la funzione di controllo dello strumento, ma sarebbe auspicabile che, nell'ottica di contemperare le esigenze di controllo con quelle organizzative del contribuente, anche e soprattutto dal punto di vista dei costi, si raggiungesse un giusto equilibrio, che noi dell'Istituto nazionale tributaristi individuiamo nel mantenimento dell'obbligo solo semestrale, già stabilito per il 2017, senza farlo diventare trimestrale nel 2018 e anni successivi.
Trimestralmente poi occorrerà inviare anche le liquidazioni periodiche IVA in via telematica, allo scopo dichiarato di recuperare più velocemente gli omessi versamenti. Si tratta di una finalità sicuramente condivisibile, dal momento che questo invio potrà senz'altro portare a scoprire immediatamente chi non versa l'IVA, senza dover attendere la dichiarazione annuale. Ma, se, di fatto, si debbono inviare i registri IVA – perché, inviando le fatture emesse e ricevute, si invia tutto, anche le relative liquidazioni –, perché, a questo punto, non permettere l'utilizzo di un eventuale credito IVA, mensile o trimestrale, derivante da liquidazione, senza dover inviare anche il modello TR per chiedere di poter utilizzare il credito o di poterne chiedere il rimborso?
Visto che ormai l'Agenzia delle entrate ha in mano tutto (i registri IVA, le liquidazioni), perché non permettere la compensazione di un debito periodico IVA, che oggi non è possibile perché si possono compensare solo i debiti derivanti dalle dichiarazioni e non quelli derivanti dalle liquidazioni periodiche? Se un contribuente non ha versato un debito IVA per carenza di liquidità, perché non dovrebbe poter utilizzare il credito che ha maturato nel trimestre successivo, senza trafile di richieste con il modello TR, senza l'invio di documentazione e quant'altro? L'Agenzia delle entrate acquisisce tutto periodicamente e, quindi, ha tutti gli strumenti per controllare se questo credito esista o meno.
Da ultimo, una problematica di possibile semplificazione riguarda la giurisdizione della contribuzione INPS. Le norme sull'accertamento e sulla riscossione, cioè l'articolo 1 del decreto legislativo n. 462 del 1997, l'articolo 32-bis del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, e anche l'articolo 1, comma 611, della legge di stabilità 2014, oltre alla giurisprudenza di merito – in particolare, la sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Milano n. 5304 del 2013, con riferimento alla causa n. 2297 –, hanno riconosciuto la natura fiscale e la competenza dell'Agenzia delle Entrate per i debiti relativi ai contributi INPS dovuti da commercianti, artigiani e dagli iscritti alla gestione separata, di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, debiti che, di fatto, vengono calcolati nel quadro RR della dichiarazione dei redditi.
A questo punto, perché non trasferire la giurisdizione delle controversie relative a questa tipologia di contributi INPS (solo di questi, ovviamente) alle riformande Commissioni tributarie, lasciando al giudice del lavoro la sola competenza sulla contribuzione relativa al lavoro dipendente, liberando risorse e ottenendo un'immediata semplificazione e riduzione dei costi sia per il contribuente che per l'amministrazione? Grazie, ho concluso, rinvio alla relazione depositata per i restanti argomenti.
PRESIDENTE. Diamo ora la parola al dottor Roberto Falcone, Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET).
ROBERTO FALCONE, Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi Pag. 7(LAPET). Grazie, presidente, grazie, onorevoli deputati e senatori componenti di questa Commissione per aver invitato l'Associazione da me presieduta a partecipare a questa audizione.
Intanto, è ovvio che condivido pienamente quanto hanno già riferito i colleghi prima di me. Sono cose che noi ormai viviamo periodicamente, ma il contribuente le vive in prima persona sulla sua pelle. Per questo, parlare di semplificazione, visto che la burocrazia pervade completamente il Paese, è di particolare importanza, e, quindi, apprezziamo in modo particolare la riflessione condotta da questa Commissione.
Non mi soffermerò su aspetti tecnici, che rinvio alla relazione che abbiamo depositato agli atti della Commissione, dove, con puntualità, interveniamo su alcuni elementi di semplificazione, anche se riteniamo che, come dice giustamente l'OCSE in questi giorni, aver cambiato la tassazione del nostro Paese ben trentadue volte dal 1984 al 2014 chiaramente è un allarme che ci spaventa, ma, d'altra parte, eravamo e siamo consapevoli di tutto questo.
Su questo voglio fermare la mia riflessione. Purtroppo, l'approccio del legislatore fiscale è un approccio molto particolare, perché spesso si parte dall'entità delle entrate e si cerca di legiferare sulla base di questa entità, ma spesso non si tiene conto di ciò che non si è riscosso rispetto a questa previsione di entrate, che costituisce la cosiddetta «evasione fiscale».
Ci accorgiamo che le cose spesso non sono proprio in questi termini, perché l'imposizione fiscale non è una variabile indipendente, che ha come riferimento solamente le aliquote e la numerosità delle imposte, delle tasse che il legislatore introduce, ma, come dice giustamente l'OCSE, oggi noi dobbiamo tenere conto della concorrenza fiscale dei ventotto Paesi dell'Unione europea (senza contare i Paesi extra UE), dove la competizione è determinata non solo dall'entità dell'imposizione fiscale, ma anche dalla certezza del diritto.
La competizione è determinata anche dalla semplificazione nelle procedure, e non a caso, come dice giustamente l'OCSE con un'affermazione molto condivisibile, gli investimenti sono attratti non solo dai Paesi con tassazione meno elevata, ma anche dai Paesi con una tassazione elevata, ma con alti livelli di semplificazione, come nel caso, ad esempio, della Danimarca, citata in questo studio recente dell'OCSE.
Quando parliamo di semplificazione, dobbiamo considerare come non sempre questa sia sinonimo di allentamento nella lotta all'evasione fiscale, cosa che spesso spaventa il legislatore e l'Agenzia delle entrate, che ne è il braccio operativo. Però, dal momento che la legislazione fiscale parte da chi deve introitare le imposte, e le proposte vengono da lì, la semplificazione, che invochiamo come operatori, come professionisti, invocata dalle imprese e dai contribuenti, viene percepita come un tentativo di allentare questa lotta. Ecco perché, ancora oggi, continuiamo a riflettere su un'ipotesi di semplificazione che difficilmente riusciamo a vedere nel nostro Paese, se si pensa anche che, come si diceva prima, continuiamo a produrre quotidianamente norme.
Cerchiamo attraverso queste norme di arginare i cosiddetti «fenomeni di evasione e di elusione» e ormai, su questo, siamo arrivati a dei paradossi, a dover legiferare sull'abuso di diritto, cioè sulla pretesa di intervenire in tutte le fattispecie negoziali, anche quelle tributarie, per limitare il più possibile l'evasione fiscale, che spesso è presunta e non effettiva. Infatti, se si prevede di incassare 1.000 euro e poi, a causa anche della burocrazia fiscale, non si riesce a incassarli tutti, non è detto che i 200 euro non incassati siano dovuti alla volontà del soggetto di non pagare le imposte, perché spesso l'adempimento viene ostacolato da una serie di procedure, come abbiamo illustrato nella relazione depositata agli atti.
Se al grido d'allarme dell'OCSE noi rispondiamo, nel 2017, con 1.000 adempimenti fiscali che sono nell'agenda del contribuente e dei professionisti che, come noi, li assistono, c'è qualcosa che non va.
Nello specifico, interventi particolari dovrebbero farsi per permettere la partecipazione dei rappresentanti dei contribuenti al procedimento di formazione delle norme, e condividiamo pienamente l'esigenza di quel Pag. 8confronto prima richiesto dal Presidente Alemanno, perché questo forse eviterebbe di introdurre una serie di adempimenti che potrebbero essere sostituiti con altri più leggeri, o addirittura potrebbero non essere introdotti, perché già esistono strumenti dimenticati nel tempo. Purtroppo, però, essendoci la voglia di provare che alcuni fenomeni si possono arginare con una norma, la legislazione diventa invasiva.
È ovvio che il legislatore, in questi anni, ha abusato anche della decretazione d'urgenza e, oggi, dei decreti delegati, ma lo ha fatto legittimamente, perché ci sono esigenze di bilancio. Capisco bene che il legislatore e il Governo condividono in pieno i princìpi che come categorie professionali rappresentiamo, il problema di fondo è che il nostro Paese deve convivere ancora con l'emergenza di una recessione economica che non ha certamente allentato la morsa e con dei competitor europei ed anche extraeuropei, che, con norme di favore (anche tributarie) migliori della nostre, creano problemi di concorrenza a causa della tassazione di favore che esiste nei loro Paesi e la cui mancanza nel nostro Paese rappresenta terreno fertile per i loro affari.
Sulla chiarezza delle disposizioni normative ci siamo permessi nella relazione depositata agli atti di portare un esempio recentissimo: la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione tributaria, del 10 marzo 2017, meno di 15 giorni fa, che stabilisce che le spese sono deducibili dal reddito di impresa solo qualora siano inerenti a un'attività potenzialmente idonea a produrre utili. A fronte di questa sentenza, ne abbiamo almeno altre dieci speculari che dicono esattamente l'opposto.
Lo evidenziamo perché, se le norme sono chiare e sono interpretabili per quello che dicono, secondo l'articolo 12 delle preleggi, quindi secondo il loro testo, non si creano queste difficoltà di applicazione e queste disparità di trattamento, laddove alcuni hanno ottenuto una sentenza negativa, ma tanti altri hanno ottenuto un beneficio. Pertanto, la chiarezza delle disposizioni normative dovrebbe essere al primo punto dell'agenda del nostro legislatore.
Vero è che alcuni risultati positivi sono stati evidenziati di recente dall'andamento del total tax rate, che rispetto al 2005 si è ridotto dal 64,8 al 62 per cento, sono diminuite le tasse sui profitti dal 19 al 17 per cento, come si è ridotta la voce Altre tasse, sono diminuite anche le ore impiegate per la gestione degli adempimenti fiscali, passate da 269 a 240, e questo ci fa ben sperare, ma non ci inorgoglisce perché, se poi andiamo a confrontare questi dati con quelli della media europea, con il total tax rate al 40,3 per cento e 164 ore impiegate per gli adempimenti tributari, ci rendiamo conto di essere ancora molto distanti dai traguardi di semplificazione che auspichiamo.
Giudichiamo assolutamente positiva la notizia che è stata rilasciata la tessera n. 1 nell'ambito del programma di Cooperative compliance, cioè del regime di adempimento collaborativo, alla Ferrero, tra l'altro, a una holding del gruppo che ha sede in Lussemburgo. Anche se questo ci fa ben sperare, tra le proposte di semplificazione, però, che vogliamo offrire forse la compliance non dovrebbe riguardare solo le società di grandi dimensioni, ma dovrebbe essere l'istituto dominante nel rapporto fisco/contribuente.
Non possiamo sempre pensare che il contribuente sia un evasore a prescindere, perché il contribuente può avere un atteggiamento assolutamente collaborativo con l'amministrazione finanziaria, qualora però sia posto nelle condizioni di poterlo fare a costi più contenuti e impiegando il minor tempo possibile.
L'auspicio che riteniamo di poter trarre da questa audizione è che sia il preludio di forme di concertazione sulla legislazione fiscale, al fine di una maggiore chiarezza delle disposizioni e di una distensione dei rapporti tra amministrazione finanziaria, contribuenti e consulenti. Grazie.
PRESIDENTE. Bene. Non so se i colleghi abbiano qualche osservazione da fare, ma personalmente, considerando quanto sia importante la vostra attività ai fini del chiarimento dei punti interrogativi che ci sono e che sono di tutta evidenza, vorrei tanto essere aiutato nel cercare di debellare Pag. 9 il doppio mercato, cioè il «lo vuoi con la fattura o senza?».
Questa non è una cosa che capita a me, e, se voi contestate questo fatto, significa che la cosa è veramente grave, e non è un problema di latitudini, è un problema generalizzato. D'altro canto, l'Istat, che ha cominciato ad indagare sul sommerso da non più di dieci anni, perché prima non c'erano statistiche sul sommerso che andassero in profondità, è arrivata a distinguere addirittura tre categorie: l'economia irregolare, l'economia informale e l'economia malavitosa, indagando solo sull'economia irregolare e ritenendo che l'economia informale sia la parte migliore del sommerso.
Mia nonna aveva un orto e un pollaio, se vendeva le uova o l'insalata non emetteva la fattura, questa è l'economia informale. L'economia irregolare è «la vuoi con la fattura o senza?», ma non fatta da mia nonna, diciamo che potremmo identificare molto precisamente anche le categorie di coloro che considerano questa pratica assolutamente normale.
In passato ho proposto più volte di introdurre un meccanismo di contrasto di interessi perché non credendo che il cittadino debba essere virtuoso per definizione, deve essere messo in condizione di non concludere un accordo ai danni dello Stato, perché poi si tratta di questo.
Il problema di portare, in tutto o in parte, in detrazione la spesa mette colui cui si rivolge la domanda «lo vuoi con la fattura o senza?» in condizione di non dover neanche più rispondere, perché può dire: «è meglio che provveda tu perché sai che comunque questa cosa la posso utilizzare». Però non si riesce a introdurre un simile meccanismo perché il problema è quello delle coperture finanziarie necessarie per avviare un'operazione di questo genere, che ha già dato esiti positivi in alcuni campi in cui prevaleva il lavoro nero. Infatti, ad esempio, si è registrata una riduzione dell'evasione fiscale nel settore dell'edilizia privata, solo quando si è introdotta la possibilità di detrarre prima il 33 per cento, e nel caso delle spese per l'energia il 50.
Voi che siete esperti di queste cose non potete pensare di liquidare la questione dell'evasione nel nostro Paese come se fosse un problema da leguleio, un artifizio di carattere giuridico, perché i problemi che abbiamo in Europa sono legati a molti nostri comportamenti. Infatti, ad esempio, i tedeschi, che sono padroni di mezzo Lago di Garda (non cito Taranto piuttosto che la Calabria), vedono come ci comportiamo e, quindi, mettono in dubbio la nostra affidabilità fiscale.
D'altro canto, i dati sul sommerso vanno di pari passo con la questione della ricchezza patrimoniale e finanziaria dei cittadini italiani. Li prendo nel loro complesso, poi dovremmo andare nel dettaglio, ma per fare questo dovremmo far funzionare non solo lo «spesometro», ma anche l'ISEE, in maniera moderna ed efficace. Invece, appena lo abbiamo introdotto, c'è stata la corsa a dire: «ma perché volete mettere nell'ISEE coloro che hanno diritto ad un assegno per invalidità?», ma io voglio vedere com'è la situazione, voglio distinguere quali sono i poveri veri da quelli che sono i poveri finti, voglio vedere quali sono i ricchi e quanto sono ricchi, devo avere una fotografia precisa per poter fare delle politiche sociali e per poter difendere le posizioni più deboli.
C'è una grandissima confusione, per cui i tecnici come voi dovrebbero aiutarci, perché è vero che le leggi le fa il Parlamento, ma ci sono delle mani più o meno invisibili che si introducono all'interno del procedimento legislativo con una continuità, con una passione, con una pervicacia, talvolta anche con una violenza, che è fuori discussione, tentacolare, per cui queste norme... sarà l'Agenzia delle entrate, sarà chi vorrete, però è un fatto che noi viviamo dentro un arcipelago di pressione fiscale che diventa insostenibile per coloro che le tasse le pagano.
Se non ci fosse l'analisi sul sommerso, se il sommerso fosse quello dell'economia informale, non farei questo discorso. Che ci sia un 5-6 per cento di sommerso lo considero del tutto naturale, ma non è naturale, se si stabilizza un 19-20 per cento di economia irregolare, e non cito l'economia Pag. 10malavitosa. Questa è stimata tra il 5 e il 6 per cento del PIL, tanto che l'Istat non la censisce, ma, se andate a vedere i report dell'Autorità anticorruzione vedete le stime, che poi vanno tarate sul livello delle regioni, in ordine al peso, in relazione alle attività malavitose più o meno fiorenti. Quindi il contesto è questo.
Io non sono un pessimista, cerco di essere realista, perché l'idea di farmi prendere in giro non mi piace, voi avete un ruolo decisivo e, tra l'altro, devo dire che la funzione del tributarista, del professionista dei tributi, è anche legata alla confusione, perché giustamente lei ha detto che sarebbe bello che ogni cittadino fosse messo in condizioni di poter fare tutto da solo, ma si sa benissimo che le cose non stanno così e che bisogna sempre delegare attività, e alcune di queste professioni sono cresciute in maniera esponenziale proprio sulla complicazione. Quindi siamo di fronte a questo contesto.
Non lo possiamo modificare con un'indagine conoscitiva, però credo che voi non dobbiate limitarvi solo a fare un ragionamento sulla tecnica legislativa, che è perversa (e ne conosciamo i motivi), perché dobbiamo andare alla sostanza dei problemi, non possiamo essere la maglia rosa nel debito pubblico e la maglia nera nel sommerso, almeno in Europa, dove, a parte la Grecia, siamo quelli che hanno la posizione peggiore.
Queste cose non sono accettabili e mi fanno dire, conclusivamente, che i frati del convento sono ricchi e il convento è povero, e anche questo è inaccettabile perché, se i frati del convento sono ricchi, perché evidentemente non sono trasparenti, il convento è poverissimo.
PASQUALE SOLLO. Come dissi anche l'altra volta, essendo un commercialista, il problema è che si è parlato sempre di semplificazione quando, in realtà, si dovrebbe parlare di azzeramento totale. In che senso? Semplice, perché abbiamo un sistema fiscale così complesso da mandare al manicomio anche noi tecnici del settore con un'innumerevole quantità di norme, con un'innumerevole quantità di tributi, e ogni volta che si è parlato di semplificazione e si è introdotta una disposizione per semplificare, in realtà si è sempre complicato, perché tale disposizione, come corollario, ha bisogno di una serie di adempimenti che, invece di semplificare, rendono ancora più difficili e complessi gli adempimenti fiscali.
La volta scorsa ho detto che può sembrare un'idea utopistica, ma in realtà è molto più semplice di quello che sembra: basterebbe azzerare il nostro sistema fiscale e ripartire da zero, con due grandi tributi, uno diretto e l'altro indiretto, e, considerando quello che prima dicevate voi e poi ha ribadito il presidente sui problemi del sommerso, del nero, della fatturazione o non fatturazione, dare la possibilità a tutti di portare in deduzione e in detrazione qualsiasi spesa, perché, come è emerso anche da altre audizioni, i bisogni in Italia sono completamente cambiati rispetto a 30-40 anni fa, le spese oggi sono diverse, e del resto cambiare l'aliquota IRPEF 32 volte in 34 anni è sintomatico di tali mutamenti.
Nel corso degli anni sono state introdotte varie semplificazioni della normativa semplicemente per fare cassa. Invece, bisognerebbe immaginare un sistema molto più snello, molto più semplice, che però, come totale, comporti più o meno lo stesso gettito fiscale. Anzi, probabilmente il gettito si moltiplicherebbe, perché una cosa è controllare IRAP, IRPEF, IMU, bollo auto, altra cosa controllare un'imposta singola diretta e una singola indiretta. L'imposta diretta dovrebbe essere progressiva sul reddito e, quanto all'imposta indiretta, la sua aliquota dovrebbe variare in base ai prodotti di primo bisogno o di necessità o di lusso.
Questo permetterebbe agli enti accertatori di avere una presa diretta molto più semplice, e il cosiddetto «spesometro» o «redditometro» diverrebbe del tutto naturale, perché, a fronte dell'interesse a scaricare ogni spesa, vi è automaticamente l'interesse dell'altra parte (il professionista, il dentista nel caso più emblematico) a emettere la fattura, perché altrimenti si troverebbe nella posizione contraria, ossia ad avere più spese che ricavi. Pag. 11
Questo è di una semplicità estrema, il problema è che bisogna avere il coraggio di affrontare lo shock di ripartire da zero, mentre invece si è sempre tentato di modificare un sistema che è malato, rispetto al quale l'inserimento di altre norme è solo un palliativo momentaneo per fare gettito, ma nel lungo termine rende la malattia cronica. Dico questo più da tecnico che da politico.
MINO TARICCO. Volevo solo fare una considerazione e porvi una domanda. Recentemente ho avuto modo di vedere uno spaccato degli incassi IRPEF dello Stato e la cosa che mi ha sconvolto è che, se sommiamo il gettito dell'IRPEF dei lavoratori dipendenti e quello dei pensionati, rimane un 7-10 per cento, che mi pare quantomeno contrastare con la realtà che è intorno a noi, nel senso che, almeno nel contesto in cui vivo, il dato ufficiale e il dato reale che tutti conosciamo fanno a pugni quotidianamente.
I procedimenti di telematizzazione e di informatizzazione dei rapporti economici che sono in corso possono diventare, al di là delle semplificazioni che lascerei da parte, uno strumento per rendere meno facilmente aggirabili le norme di quanto non lo siano oggi?
Nella mia precedente vita ero un piccolo imprenditore agricolo e la sensazione che ogni tanto ricavavo è che il livello di fatturazione dei tanti fornitori in tanti ambiti era legato a quello che il commercialista diceva loro di fatturare in quel mese lì, la dico in modo un po’ rude, ma la sensazione che ricavavo chiacchierando, sulla base di una serie di parametri, era questa.
Credo quindi che se non usciamo fuori da questa situazione, è una grande finta nazionale, dietro la quale ognuno gioca un ruolo, ma rapporti con la realtà non ci sono proprio. Un sistema che fosse tutto tracciato e tracciabile potrebbe aiutare a mettere ordine dentro questo marasma?
ROBERTO FALCONE, Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET). Telematizzare, cioè controllare telematicamente gli incassi, sicuramente porterebbe dei vantaggi, è ovvio. Dal 1° aprile, ad esempio, si stanno telematizzando tutte le gettoniere, le vending machine che erogano beni o servizi, e da lì emergerà parecchio, perché, all'atto dello svuotamento della cassetta delle monete, prima uno segnava quello che voleva, se tirava fuori 1.000 euro ne segnava 100 o 50, e nessuno poteva dire niente perché non era assolutamente controllato, così come non lo sono i tassisti, altro grosso problema.
Il tassista scrive infatti quello che vuole, lo studio di settore gli dice che deve stare dentro questa cifra e scrive quella cifra, ma sarà così difficile telematizzare il tassametro? Si fiscalizza la macchinetta che ti dà l'aranciata e non si può fiscalizzare un tassametro?
Lì sicuramente c'è un nero enorme, lo sappiamo tutti, perché scrivono quello che vogliono nel registro dei corrispettivi e non hanno alcun tipo di documento fiscale, ce l'avevano, ma è stato abolito, probabilmente perché la lobby è molto forte. Sarebbe però importante arrivare a controllare telematicamente incassi che oggi non sono nemmeno certificati, perché in alcuni settori in cui è previsto l'obbligo di emissione degli scontrini o della ricevuta si riesce magari verificare qualcosa, ma dove manca il controllo, come avveniva per le macchinette di distribuzione e avviene per i tassisti, si dovrebbe cercare di introdurlo.
RICCARDO ALEMANNO, Presidente nazionale dell'Istituto Nazionale Tributaristi (INT). Io ho inteso parlare anche della possibilità di seguire proprio i pagamenti, attraverso, quindi, l'utilizzo della moneta elettronica. Noi siamo indietro di mille anni: se è stata introdotta una norma che obbliga all'utilizzo del POS anche i professionisti ma senza prevedere alcuna sanzione di fatto, è come non introdurla. Ma – attenzione – oggi c'è la possibilità di acquistare un caffè e pagarlo con il bancomat, e, bene che mi vada, se trovo il titolare del bar gentile, mi dice: «questo è gratis, non venga più da me!», perché il suo costo di commissione sarà più alto del guadagno, mentre in altri Paesi l'utilizzo della moneta elettronica ha annullato i costi. In Italia, invece, il Governo propone una cosa del Pag. 12genere ma cerca di accordarsi con il sistema bancario per ridurre i costi di commissione, quando la norma è già stata emanata.
Anche quello potrebbe quindi essere uno strumento, ma, presidente Tabacci, lei ha perfettamente ragione: io ho fatto l'amministratore in un piccolo comune del Piemonte ed ero rimasto impressionato dall'ISEE zero. È bastato dire, come peraltro previsto dalla norma, che avrei chiesto alla Guardia di Finanza di fare i controlli che ventidue dichiarazioni sono state ritirate. Ciò dimostra, quindi, che c'è anche una volontà di guardare al proprio orticello anziché al bene comune.
Ci sarà qualcosa di retorico, ma, dovremmo iniziare dai ragazzi con degli esempi, visto che anche la mia generazione è segnata da questo egoismo.
Noi avevamo presentato la proposta di poter detrarre sino a 10.000 euro, ovviamente dall'imponibile, di costi per la famiglia, non elencandoli, purché certificati e pagati in modo tracciato, in modo tale che non sarebbe stato necessario specificare se la spesa fosse stata per l'imbianchino o il meccanico. Si stabiliva un ammontare da poter detrarre, perché quello che ha detto il vostro collega prima, il tutto per tutto, in uno Stato come l'Italia, che ha uno stato sociale invidiabile, diventa pericoloso, perché io, che ho un'aliquota marginale al 43 per cento, rischio di essere sempre più ricco e quello che ha un'aliquota marginale inesistente, perché non è capiente, rischia di essere sempre più povero.
Ci deve essere quindi una limitazione, perché la semplificazione non può andare a detrimento dell'equità. Questo è quello che penso io, e l'abbiamo visto in altre situazioni, in cui abbiamo dovuto rincorrere gli incapienti.
Però ventidue dichiarazioni ISEE sono state ritirate solo dicendo che avrei detto al sottotenente della Guardia di Finanza di iniziare i controlli!
ROBERTO FALCONE, Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET). Certamente il ricorso ai sistemi informatici e telematici può contribuire in modo significativo al controllo diretto da parte dell'amministrazione finanziaria, abbiamo già degli esempi in essere, tipo gli scontrini telematici inviati dalla grande distribuzione, la fatturazione elettronica nei confronti della pubblica amministrazione, e via dicendo.
Ne cito anche un altro, lo split payment, che, se da un lato ha dato all'amministrazione finanziaria la possibilità di avere certezza circa l'incasso dell'IVA, dall'altro ha creato un deficit di cassa nelle imprese che anticipano l'IVA due volte. Questi correttivi sono senz'altro importanti, però devono essere equilibrati e, se da un lato ho una serie di informazioni con immediatezza, dall'altro lato, con altrettanta immediatezza, devo restituire quanto è dovuto.
Prima si parlava dei crediti IVA derivanti dalle dichiarazioni ed è chiaro che sono tutte informazioni che oggi l'amministrazione finanziaria acquisisce in tempo reale attraverso l'informatizzazione, però...
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Istituto nazionale Tributaristi (INT) e dell'Associazione Nazionale Tributaristi (LAPET) e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14.15.