Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3
Audizione del Capo Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfredo Storto, del Capo Ufficio legislativo, Paolo Carpentieri, e del Direttore generale per i rapporti con il Parlamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Daniele Ravenna, sulla semplificazione normativa
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati)
Tabacci Bruno , Presidente ... 3
Storto Alfredo ... 3
Carpentieri Paolo , Capo Ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 7
Ravenna Daniele , Direttore generale per i rapporti con il parlamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 11
Tabacci Bruno , Presidente ... 15
Sottanelli Giulio Cesare (SCpI) ... 15
Taricco Mino (PD) ... 15
Fucksia Serenella ... 16
Mucci Mara (Misto-AL) ... 16
Tabacci Bruno , Presidente ... 16
Storto Alfredo ... 17
Carpentieri Paolo , Capo Ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 17
Ravenna Daniele , Direttore generale per i rapporti con il parlamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ... 17
Tabacci Bruno , Presidente ... 18
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI
La seduta comincia alle 8.20.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del Capo Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfredo Storto, del Capo Ufficio legislativo, Paolo Carpentieri, e del Direttore generale per i rapporti con il Parlamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Daniele Ravenna, sulla semplificazione normativa.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Capo Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfredo Storto, del Capo Ufficio legislativo, Paolo Carpentieri, e del Direttore generale per i rapporti con il Parlamento del Ministero dei beni e attività culturali e turismo, Daniele Ravenna, sulla semplificazione normativa. Il consigliere Storto è accompagnato dal dottor Massimo Nardini e dall'avvocato Giuseppe Mazzotta.
Dal consigliere Alfredo Storto sarebbe utile avere una fotografia della tenuta del codice ambientale, se si sia rivelato uno strumento utile, se si possa immaginare di integrarlo e implementarlo, ovvero di affiancarlo ad altri strumenti di riordino settoriali.
Analoga domanda rivolgo ai consiglieri Carpentieri e Ravenna, anche considerando che il Ministero dei beni culturali vanta diverse esperienze di riordino normativo, con riguardo alla tenuta del testo unico dei beni culturali, e se si possa immaginare di integrarlo e implementarlo, ovvero di affiancarlo ad altri strumenti di riordino settoriali.
A tutti sollecito infine una riflessione sulle potenzialità della banca dati Normattiva e sull'utilità dello strumento del testo unico compilativo ai fini del riordino normativo; su quali altri accorgimenti potrebbero prendersi tra Parlamento e Governo per evitare frammentarietà e volatilità delle decisioni legislative; sull'eventualità di inserire nella Costituzione la categoria delle leggi organiche, attribuendo magari tale rango anche ai codici.
Do la parola al Capo Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfredo Storto.
ALFREDO STORTO, Capo Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Grazie, presidente. Voglio ringraziare anche a nome del Ministro lei e tutta la Commissione per aver voluto sentire in questo ciclo di audizioni anche il punto di vista del Ministero dell'ambiente.
Il Ministero dell'ambiente ha più di una specificità in materia di semplificazione, ha delle peculiarità che probabilmente riassumono i vari banchi di prova di tutti lemmi del vocabolario della semplificazione. Mi spiego velocemente.
Innanzitutto i princìpi giuridici della materia ambientale sono quasi interamente di derivazione europea e sovranazionale, Pag. 4il linguaggio regolatorio che viene usato è un linguaggio pesantemente intriso, commisto, contaminato da categorie molto tecniche, da un lessico che prende a piene mani dalla scienza, dalla tecnica, usa formule molto complesse.
L'interesse ambientale è (come quello finanziario, abbiamo notato) macroscopicamente trasversale, cioè pervade tutte le materie, è diffuso nel multilivello di Governo ed è ancora percepito come un freno allo sviluppo. Nonostante sia storicizzata in ambiente internazionale da tanto tempo, a noi non sembra – da questo primo anno di esperienza al Ministero dell'ambiente – che l'idea dello sviluppo sostenibile abbia trovato un seguito concreto.
Cosa deriva da tutto questo ? Deriva innanzitutto che ci sono margini ridotti non solo per costruire le norme, ma soprattutto per destrutturarle in senso semplificatorio. Il primo riferimento è ai procedimenti di Valutazione d'impatto ambientale (VIA) nazionale e soprattutto regionali che sono annosi nella loro durata e che è difficile rimodulare in senso semplificato. Emerge l'esigenza di avere una programmazione molto forte a monte delle politiche ambientali e di scolpire preventivamente regole di produzione delle regole.
Si tratta di un equilibrio molto difficile tra una materia tecnica che si evolve molto rapidamente, un quadro normativo internazionale in evoluzione altrettanto rapida e un'esigenza di mantenere un quadro di riferimento fermo per gli operatori.
Noi speriamo che l'integrazione della normativa ambientale sia un'integrazione della cultura ambientale in tutte le materie e le tecniche, che ci sia una sorta di pervasività genetica nelle materie regolatorie soprattutto dello sviluppo e dell'economia.
La denuncia dei mali più vistosi probabilmente è quella dell'involuzione dei linguaggi, dell'inquinamento delle regole con continui innesti episodici, dell'inespugnabilità delle fonti e dell'incertezza dei precetti. Cosa fare ? È stato fatto un primo passo e il presidente ci ha stimolati a parlare di uno dei prodotti della politica di semplificazione, di abrogazione e di utilizzo dei testi unici come strumento semplificatorio.
Da questa esperienza, nel 2006, è germinato il codice dell'ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), sforzo encomiabile ma che comunque è stato il frutto di una ricomposizione di articoli di legislazione vigente, che sono stati raccolti non sempre in maniera organica, per cui nel corso degli anni questo codice ha mostrato e mostra ancora oggi in maniera macroscopica una debolezza strutturale, perché, oltre alle fisiologiche ingiurie del tempo, ha subìto una miriade di modifiche legislative soprattutto episodiche (raramente sono state organiche), dettate dalle contingenze.
Queste ne hanno minato la base, questo ruolo di stabilizzazione delle regole in ossequio al principio della certezza del diritto. Altro elemento che lo ha fortemente destrutturato è stato proprio la caratteristica della normativa ambientale, configurata come un diritto ormai quasi interamente eteronomo. Viene dall'Europa, il diritto europeo e il diritto internazionale influenzano pesantemente le scelte del legislatore nazionale. Noi abbiamo recepito centinaia di direttive di settore nel codice, abbiamo dato seguito a decine di regolamenti di immediata attuazione.
Tutto questo ha creato un quadro completamente diverso da quello originario e ci ha consegnato l'esigenza di ripensare un codice in termini non più tradizionali, l'unico libro che abbiamo davanti.
È inoltre cambiata l'interpretazione della Corte costituzionale. Nel 2006, quando venne varato il codice, l'ambiente era una materia sostanzialmente concorrente, ma con le sentenze nn. 367 e 378 del 2007 della Corte costituzionale è diventata sostanzialmente una materia esclusiva: oggi le regioni devono essere autorizzate a integrare l'ordinamento ambientale nazionale.
Sono intervenuti atti attuativi, sono stati modificati interi settori, è cambiato il quadro scientifico, è cambiato il lessico Pag. 5scientifico, se pensiamo a tutta la filiera di trattamento dei rifiuti. C'erano altri assetti anche industriali, tecnologici, quindi molte norme non hanno più il grip nella realtà produttiva.
Si rileva quindi un rapporto di vistosa disorganicità fra il quadro giuridico e il quadro fattuale tecnologico e il codice. Rimane l'esigenza semplificatoria di creare uno strumento unitario, attraverso il quale i cittadini soprattutto associati e le imprese possano cogliere l'intero quadro della normativa ambientale. Cosa fare ? L'idea è quella ottocentesca di fare un codice, di realizzare un unico libro.
Per elaborare questo libro in questa epoca rimane l'esigenza di fare ricorso al sistema della digitalizzazione, il cui luogo elettivo è proprio Normattiva. Lo spunto di riflessione che viene dal Ministero dell'ambiente è quello di ripensare non solo una modalità di lettura delle fonti, ma addirittura un metodo di produzione e di pubblicazione delle fonti. La Gazzetta ufficiale, ogni volta che esce un atto, sia esso il codice o un altro atto ambientale, è muta, non ha i riferimenti, non ha l'apparato critico delle note, non ha gli atti attuativi, non contiene le abrogazioni implicite, che sono invece tutt'altro che dettagli nello spostare interi assi industriali produttivi oppure di tutela dei diritti.
L'idea potrebbe essere quella che abbiamo chiamato Codice 2.0, lo spunto potrebbe essere Normattiva come base non solo di conoscibilità, ma anche di verifica se non addirittura di produzione normativa, con una sorta di ipertesto ufficiale, pubblicato ed offerto in maniera open e possibilmente gratuito ai cittadini, da cui emerga l'intero corpus delle regole almeno ambientali.
Può essere un settore di sperimentazione di questo modo di produrre le norme, con un effetto pratico non indifferente anche di sdrammatizzazione delle esigenze di completezza, perché evidentemente c’è tutto. I criteri operativi possibili, quindi, l'ufficialità oggi negata al testo consultabile con gli ipertesti, mantenimento ove possibile e implementazione anche della cosiddetta multivigenza (capire in un certo giorno di tanti anni fa qual era la norma vigente), completezza dell'apparato di norme e di richiami, introduzione di link ufficiali ad altre banche dati, a provvedimenti attuativi, a norme correlate anche regionali, ai rapporti di abrogazione implicita, e in futuro (mi rendo conto che oggi è utopico) alla giurisprudenza, mantenimento della gratuità dell'accesso a questa fonte complessa, che deve rimanere comunque open, e immediatezza dell'aggiornamento. Questo è il Codice 2.0.
Accanto a questa idea ci si può domandare anche se sia necessario avere specifici procedimenti di produzione di queste specialissime regole ambientali. Proprio il fatto già richiamato, che a fianco all'esigenza di certezza c’è una realtà fatta di grandi innesti sovranazionali, di variazione di categorie scientifiche, di velocissime innovazioni tecnologiche, ci induce a proporre una riflessione sulla politica normativa ambientale come un processo in cui stabilire a monte le regole per produrre le regole, e a fianco prevedere, ancora prima dell'atto normativo, una intensa e anche lunga, se necessario, programmazione della politica ambientale.
Qual è il modello di riferimento ? Il modello secondo noi è il modo in cui si fanno le norme ambientali in Europa, nell'Unione europea. L'articolo 191 del Trattato sul funzionamento, infatti, già indica gli obiettivi ambientali da perseguire, i princìpi e i parametri cui è vincolata la politica ambientale dell'Unione. L'articolo 192 si occupa della procedura decisionale per le conseguenti azioni che l'Unione deve intraprendere. Abbiamo quindi un carattere dettagliato, una proiezione pluriennale, propria dei programmi di azione, che consente di evitare quella che a noi è sembrata una erraticità delle decisioni di politica normativa in materia ambientale, che invece è tipica della nostra normazione.
Si potrebbe in questo modo raccogliere e creare un corpus normativo maggiormente condiviso con gli stakeholders, bilanciando gli interessi diversi. Quali sono gli strumenti che sono stati utilizzati ? Da Pag. 6un lato i Piani di azione ambientale fin dal 1972, dall'altro lato i Libri verdi e i Libri bianchi, atti atipici, che non sono disciplinati direttamente, sono menzionati dai trattati. Soprattutto i Libri verdi hanno una forma di comunicazione e lì si fa il punto, si illustra lo stato di un certo settore da disciplinare, si chiarisce il punto di vista di chi dovrà dettare le regole, e poi si passa ai Libri bianchi, che propongono azioni mirate per un settore particolare.
Impostata un'azione di programmazione che non abbia un corto respiro, perché è questo quello che ci manca, rimane da potenziare tutti i profili critici per l’ intervento nel sistema delle fonti (e qui passo a rispondere all'ultimo interrogativo del presidente), costituito dall'introduzione di norme di rango rafforzato. Abbiamo parlato di legge organica, ma parliamo in generale di una disciplina di rango rafforzato rispetto alla legislazione ordinaria.
Si potrebbe in questo modo, a valle di un'ampia programmazione, condizionare la qualità della produzione normativa di settore, senza irrigidirla in vere e proprie fonti di rango costituzionale. Accanto all'indicazione nella Costituzione di principi fondamentali in materia ambientale proprio sul modello dell'Unione europea, si potrebbe valutare la previsione di una disciplina puntuale, che costruisca un procedimento normativo adeguato alle esigenze connesse alla tutela ambientale.
Questo consentirebbe di incidere in maniera efficace sul cuore delle scelte legislative in campo ambientale, e consentirebbe anche un continuo aggiornamento, proprio per la mancata ingessatura di vertice della fonte, anche rispetto al progresso tecnico-scientifico, utilizzando in una sorta di grande circolarità progettuale quello strumento di ipertestualità ufficiale, di cui abbiamo parlato prima.
Nello stesso tempo, la creazione di una corsia speciale e auspicabilmente preferenziale per il varo della legislazione trasversale ambientale potrebbe permettere di valutare in maniera meditata gli specifici interessi di questo settore in tutta la sua complessità, perché noi registriamo che, proprio perché è percepita come un freno, la materia trasversale dell'ambiente non è percepita come un pezzo dello sviluppo sostenibile (l'aggettivo sostenibile manca spesso quando noi lavoriamo) porta a norme antagoniste, a percorsi normativi antagonisti che generano modifiche continue della norma.
Questo consente anche (non voglio dire di imbrigliare) di regolamentare il fenomeno dei portatori di interessi particolari, di ascoltarli perché doverosamente programmazione e posizione di fonte rafforzata significa non solo procedimenti speciali, ma procedimenti che hanno tempi tali da fare sintesi, da determinare una reductio ad unum dei diversi e spesso molto contrapposti interessi che si registrano in questa materia.
Non è una novità, mi limito a citare en passant la legge n. 243 del 2012 sul cosiddetto «equilibrio di bilancio», che non a caso configura una fonte di rango sovraordinato con una resistenza passiva più forte di quella delle leggi ordinarie, norma che, pur parlando di equilibrio di bilancio, procedimentalizza: non parla di numeri, riguarda le fasi di programmazione, implementazione, controllo delle scelte di finanza pubblica. Quel modello, in materia ambientale, potrebbe funzionare.
Un ulteriore beneficio di questa procedimentalizzazione sarebbe quello di acquisire, attraverso la programmazione che sfocia in leggi di tipo organico, rafforzate, una sorta di parametro di riferimento qualitativo, in base al quale valutare tutte le proposte normative emergenziali, per farne uno screening molto rapido e valutare immediatamente il carattere rifondativo o effettivamente emergenziale, recuperando anche i concetti di astrattezza delle norme.
Si aggiungerebbe un filtro qualitativo al filtro quantitativo classico, che è quello degli equilibri di finanza pubblica. Si potrebbe stimare un ulteriore vantaggio nella facilità con cui compiere un'operazione che oggi è rarefatta e, dove esperita, è ridotta a un mero simulacro, che è quella della valutazione dell'impatto della regolamentazione, cioè si potrebbe, costruendo Pag. 7un marchingegno molto pensato, avere maggiore facilità nell'impostare e nel trarre risultati sull'operatività, su ciò che le norme hanno prodotto nel mondo reale.
Cosa chiede un quadro di questo tipo ? Chiede chiaramente alla politica una forte capacità strategica e decisionale a monte, sotto il profilo della selezione, che è mancata spesso, dell'assetto finale degli interessi (la famosa domanda «dove vogliamo andare»), e la condivisione in sede politica di questo, e anche di confronto con le parti sociali.
Il risultato di scelte a monte molto chiare, sulla falsariga di quanto accade in ambiente normativo europeo, determinerebbe dei risultati apprezzabili in termini di stabilità e di chiarezza delle regole, ma anche di capacità di rapida risoluzione di processi decisionali che sono imposti da richieste di interventi emergenziali. È uno sforzo ricostruttivo che vale la pena realizzare, uno sforzo affidato a tutte le istituzioni e ovviamente per primo al Parlamento.
PAOLO CARPENTIERI, Capo Ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Grazie, presidente. Anche io ringrazio la Commissione e lei, in particolare, per questa importante occasione di riflessione, perché uno degli aspetti più gratificanti del lavoro di Capo ufficio legislativo, al di là della specifica materia, è quello di poter fare, sebbene spesso non ci sia il tempo per farlo, una riflessione di sistema sul lavoro che si svolge e sul contributo che si dà alla dinamica di evoluzione del sistema normativo.
Per me intervenire è più facile sull'abbrivio dell'ottima illustrazione del consigliere Storto e mi torna facile anche puntualizzare e specificare la posizione della materia dei beni e delle attività culturali (sul turismo diremo qualcosa dopo) per genere e differenza rispetto a quella dell'ambiente, che pure sembra così simile.
Noi siamo simili, ma siamo anche molto diversi, perché noi non dipendiamo dal diritto europeo, forse è una delle poche branche del diritto nazionale che gode ancora (o subisce ancora, a seconda dei punti di vista) di una piena autonomia in forza della cosiddetta «eccezione culturale» che già nel Trattato delle comunità europee, e oggi nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede che si possa fare eccezione alle quattro libertà fondamentali allorquando si tratti di tutelare il patrimonio culturale.
Noi diciamo in ogni sede che i beni culturali non sono merce, adesso abbiamo una discussione dialettica interessante con gli antiquari per le ultime pressioni che provengono dall'esterno per modifiche puntuali al codice di settore.
Noi non dipendiamo dal diritto europeo, siamo molto radicati in una tradizione che reputiamo nobile, tipica del diritto italiano, che data dai primi anni del secolo scorso, dalla legge Nasi del 1902 (la legge n. 185), che ha gettato l'impianto fondamentale della tutela dei beni culturali, tipico di un Paese esportatore che aveva il problema (e lo ha in parte tuttora) di mantenere all'interno dei confini nazionali il suo patrimonio culturale e di evitare gli smembramenti delle collezioni culturali delle famiglie nobiliari, dei casati, degli Stati preunitari.
Abbiamo un impianto di tutela che è quello maturato con le leggi Bottai, le leggi gemelle, quelle sulle bellezze naturali e sulle cose d'arte del 1939 (nn. 1089 e 1497), che secondo la dottrina sono state costituzionalizzate nell'articolo 9 della Costituzione. Successivamente in realtà non si è cambiato moltissimo, abbiamo avuto il testo unico di cui al decreto legislativo n. 490 del 1999, che però era un testo unico compilativo, perché nasceva da una delega molto stretta, che non ha innovato, ma ha raccolto, tanto che nella materia paesaggistica non poté risolvere il problema della dialettica dell'innesto della legge Galasso del 1985 (n. 431) sulla legge Bottai del 1939.
Con il codice del 2004, nato da una legge del 2002, che ha dato al Governo una più ampia delega di riassetto, abbiamo fatto un tipico codice di razionalizzazione della materia, che è il codice contenuto nel Pag. 8decreto legislativo n. 42 del 2004, che ha avuto quattro decreti legislativi integrativi e correttivi: due nel 2006 (decreti legislativi nn. 156 e 157, rispettivamente per la parte seconda, beni culturali, e per la parte terza, beni paesaggistici) e due nel 2008 (decreti legislativi nn. 62 e 63, l'uno per la parte seconda, beni culturali, l'altro per la parte terza, beni paesaggistici). Nell'insieme il Codice dei beni culturali, a differenza del cosiddetto codice ambiente, ha comunque tenuto non solo nel suo impianto fondamentale, ma nella stragrande maggioranza delle sue disposizioni. La parte prima sui princìpi non è mai stata toccata, a parte gli interventi correttivi condivisi.
Si tratta infatti di un codice che ha goduto di un sostegno politico bipartisan, perché è stato fatto dal Governo Berlusconi, allora Ministro Urbani, è stato modificato da un altro Governo Berlusconi, allora Ministro Buttiglione, poi rimodificato dal Governo Prodi II, allora Ministro Rutelli, quindi vi è sempre stata un'ampia condivisione di tutto il Parlamento sull'impianto di questo codice, che anche per questo ha «tenuto» bene nel tempo.
Anche la parte seconda, quella sui beni culturali, ha subìto poche modifiche, che però non hanno cambiato l'asse e l'impianto sostanziale del testo. La parte più esposta alla dialettica degli interessi (poi mi soffermerò sul rapporto non facile con la semplificazione e con le autonomie territoriali e la distribuzione delle funzioni nel sistema del pluralismo autonomistico, che caratterizza il nostro ordinamento), che quindi ha subìto le modifiche più sostanziali, è la terza, quella sul paesaggio.
Oggi è in discussione al Consiglio regionale della Toscana il Piano paesaggistico della Toscana e forse avrete avuto modo di seguire dalle cronache locali quanto sia difficile «fare la quadra» degli interessi e trovare un equo bilanciamento in una logica di sviluppo sostenibile negli assetti territoriali e di tutela e valorizzazione del paesaggio.
È lì che si sono scaricate le più forti tensioni negli ultimi anni, tanto che nella parte seconda le modifiche più importanti sono intervenute nel 2011, con il decreto-legge n. 70, che spostò a 70 anni la soglia di storicizzazione, che è il prerequisito minimo per la sottoposizione a tutela degli immobili pubblici, perché vi fu la pressione del federalismo demaniale. Si disse, infatti, che non era possibile bloccare questo processo riguardo, ad esempio, ad immobili dell'edilizia economica e popolare del secondo dopoguerra, che ormai avevano superato i 50 anni, che è la soglia minima per poter sottoporre a tutela beni immobili e mobili. Quella è stata una modifica che ha suscitato grandi polemiche, ma in definitiva ha tenuto.
Oggi si sta valutando su istanza degli antiquari uno spostamento di questa soglia a 70 anni per tutti i beni, anche per i beni mobili, tema molto difficile che deciderete in Parlamento. È un passaggio molto delicato, che si lega alla ratio fondamentale che era alla base della scelta delle leggi del ’900: un bene per essere dichiarato particolarmente importante e sottoposto a tutela doveva appartenere alla generazione precedente, perché il requisito è la ultracinquantennalità e la non esistenza in vita dell'autore. Oggi che per fortuna la vita si è allungata sarebbe fisiologico immaginare uno spostamento a 70 anni, però questi sono dettagli.
A parte alcune piccole modifiche come quella che abbiamo fatto stipulando un accordo di collaborazione con gli Stati Uniti, che ha consentito di portare a 8 anni la durata dei prestiti all'estero per motivi di ricerca, scientifici e di tutela, di restauro di beni culturali nell'ambito di accordi culturali, a parte quest'altra modifica dei 70 anni e qualche piccola semplificazione, con cui ad esempio abbiamo escluso l'obbligo di denuncia dei trasferimenti del possesso degli immobili, per alleggerire i notai che lo chiedevano, non abbiamo cambiato la sostanza dell'impianto della parte seconda del codice, che è la legge n. 1089 del 1939.
La tensione dialettica è invece sulla parte terza, sul paesaggio, sia sulla pianificazione che soprattutto sull'autorizzazione paesaggistica, il famoso articolo 146, rispetto al quale abbiamo avuto delle modifiche Pag. 9di razionalizzazione sia nel 2011, sia nel 2013, sull'efficacia dell'autorizzazione paesaggistica.
Su questa vicenda siamo intervenuti nel 2010 con un regolamento di delegificazione, il decreto del Presidente della Repubblica n. 139, che attuando il comma 9 dell'articolo 146, prevede un elenco di interventi di lieve entità per i quali si è introdotto un procedimento semplificato, che fondamentalmente dimezza i termini e semplifica i documenti da presentare per il cittadino e l'impresa per ottenere l'autorizzazione paesaggistica.
Con il Ministro Franceschini, insediatosi pochi mesi fa, siamo quasi in dirittura di arrivo dei lavori di un apposito gruppo di lavoro che sta implementando e arricchendo questo regolamento perché sia con il decreto-legge «ArtBonus», il n. 83 del 2014, sia con una correzione introdotta poi con il decreto-legge cosiddetto Sblocca Italia, il n. 133 del 2014, abbiamo previsto non solo un elenco di interventi di lieve entità per i quali c’è il dimezzamento dei tempi e la semplificazione documentale, ma faremo addirittura un elenco di attività libere.
Da un'indagine realizzata dal Dipartimento della semplificazione attraverso una sorta d'inchiesta pubblica con accessi on line dei cittadini è emerso che una delle doglianze molto diffuse dei cittadini e delle imprese riguarda proprio i piccoli interventi e la necessità di doversi assoggettare a un doppio titolo autorizzatorio, perché l'autorizzazione paesaggistica è autonoma e indipendente rispetto al permesso di costruire, alla SCIA, alla CIL o alla CILA, i vari titoli edilizi che sono stati introdotti nel testo unico dell'edilizia di cui al decreto legislativo n. 380 del 2001.
I cittadini che devono cambiare la caldaia, mettere il lucernario, aprire una finestra, fare piccoli interventi di manutenzione straordinaria che sono paesaggisticamente rilevanti, specialmente per le bellezze individue, lamentano quindi l'aggravio derivante dal doppio titolo autorizzatorio e dai tempi non brevi dell'autorizzazione paesaggistica.
Noi stiamo liberalizzando una serie di piccoli interventi. Porteremo questo testo in Parlamento perché, essendo un decreto di delegificazione, emanato a norma dell'articolo 17, comma 2 della legge n. 400 del 1988, sono previsti i pareri delle Commissioni parlamentari di merito, con le quali discuteremo l'elenco degli interventi di cui prevediamo la liberalizzazione. Mi avvio velocemente a chiudere con una veloce riflessione che si aggancia anche all'intervento del consigliere Storto. Noi abbiamo il grande problema della semplificazione e abbiamo anche il grande problema di una discrezionalità tecnica ma in modo molto meno tecnico che nel settore dell'ambiente.
Mentre infatti l'ambiente fa un rinvio dinamico, con i concetti giuridici indeterminati che caratterizzano le loro leggi primarie, a delle scienze esatte, alla chimica, alla fisica e alla biologia perché si occupano della tutela dall'inquinamento delle matrici ambientali, e infatti i loro decreti attuativi sono incomprensibili a chi non sia un tecnico, noi invece abbiamo una discrezionalità tecnica di tutt'altra pasta e fattura, perché rinviamo alle scienze sociali comprendenti, cioè a valori molto opinabili, che non sono neanche sindacabili in modo forte dal giudice amministrativo.
Mentre infatti il giudice amministrativo può con una perizia sostituirsi alla loro valutazione in ordine al sussistere di un inquinamento o all'opportunità di chiudere uno scarico industriale, da noi invece il giudice si arresta giustamente sulla soglia della insindacabilità della discrezionalità tecnica opinabile, cioè della compatibilità o incompatibilità del lucernario con l'immobile del 1700 sottoposto a vincolo storico-artistico oppure in ordine al notevole interesse pubblico paesaggistico di un'area che debba eventualmente essere sottoposta a vincolo.
Per noi c’è quindi una pressione della semplificazione che è ancor più forte rispetto a quella nei confronti del diritto dell'ambiente, perché si percepisce nella collettività anche un'eccessiva discrezionalità degli uffici tecnici, di questa sorta di Pag. 10magistratura tecnica diffusa sul territorio che sono le Soprintendenze, tanto che anche per questo la riforma organizzativa promossa dal Ministro Franceschini mira a garantire l'omogeneità che manca sul territorio delle decisioni delle nostre amministrazioni periferiche, che alle volte confondono la discrezionalità tecnica con il libero convincimento del giudice.
Noi subiamo (è l'unico, vero attacco che subisce il codice) l'erosione della semplificazione, perché siamo convinti che la vera semplificazione sia la liberalizzazione, cioè che lo Stato debba decidere cosa è di interesse generale e deve essere seriamente controllato con procedimenti efficienti ed efficaci e ciò che è di pertinenza del diritto dei privati, che non coinvolge interessi generali, ciò quindi che è escluso dal controllo preventivo dello Stato.
Noi siamo contrari ad esempio a una serie di meccanismi fallimentari del passato come il silenzio-assenso, l'obbligatorietà della Conferenza di servizi come meccanismo quasi estorsivo del consenso dell'amministrazione di tutela, anche tenuto conto del fatto che nel 2010 le Soprintendenze sono state assoggettate a quel meccanismo di assenza-assenso, per cui se non vai è come se dicessi sì, ma, quando l'amministrazione che ha pochi mezzi sul territorio è chiamata da 10 comuni contemporaneamente, è probabile che non riesca ad andare in tutte le Conferenze di servizi.
Riteniamo inopportuno ricorrere a questi meccanismi acceleratori che rischiano di buttare a mare il bambino con l'acqua sporca, perché finiscono per svuotare di efficacia reale la tutela. Il silenzio-assenso è un istituto che finisce per favorire la corruzione, perché il funzionario non ha neanche il problema di dover mettere la faccia sul sì che dice, fa finta di non vedere, si gira dall'altra parte, passano i 20, 30 o 50 giorni e si va avanti. Poi i comitati dei cittadini lo bloccano comunque, per cui è anche sconveniente e non utile per il privato, perché se ti avvali del silenzio-assenso costruisci sulle sabbie mobili dell'incertezza e del contenzioso.
Noi quindi abbiamo sempre osteggiato il silenzio-assenso e abbiamo sempre detto quello che stiamo facendo con il nuovo regolamento sul paesaggio sulla semplificazione per gli interventi di lieve entità: decidiamo che la canna fumaria, salvo che non sia in una bellezza individua, cioè una villa o un parco storico ma sia nella bellezza di insieme, non è affare di cui lo Stato si occupa (sto dicendo per ipotesi, poi stilerete l'elenco voi parlamentari).
È meglio che lo Stato decida cosa è di interesse pubblico e cosa non lo è, ma fare finta che io mi occupo di tutto e non mi occupo di niente finisce per essere controproducente, perché finisce per essere vessatorio per il cittadino perbene che chiede il permesso per mettere – scusate la battuta – Biancaneve e i sette nani nel giardino perché si pone il problema se sia sottoposto ad autorizzazione paesaggistica in zona vincolata, mentre finisce per premiare il cittadino che fa il palazzo abusivo, tanto la Soprintendenza è schiacciata da 10 mila pratiche inutili, perché abbiamo verificato che più del 50 per cento delle pratiche che gravano sulle Soprintendenze sono piccoli interventi manutentivi, a volte significativi ma comunque piccoli.
La logica fondamentale è quindi tracciare una linea di confine chiara tra il privato e il pubblico, e ciò che lo Stato o le autonomie territoriali devono controllare perché è di interesse generale, e devono farlo bene, avendo tempi ragionevoli per farlo, con una pronuncia espressa e motivata, altrimenti è inutile. Questa è la tesi sulla semplificazione, con la quale noi abbiamo una dialettica non sempre facilissima.
Riguardo al codice dei beni culturali vi è una pressione forte – sempre per la parte paesaggistica – anche in ordine alla distribuzione delle competenze tra i vari livelli di governance nel pluralismo autonomistico. Noi abbiamo sempre difeso l'idea della statualità della tutela e invece della distribuzione sul territorio, ai vari livelli di governo, delle funzioni di valorizzazione, di gestione e di apertura alla pubblica fruizione dei beni culturali.Pag. 11
La statualità della tutela deriva dal fatto che siamo convinti che il principio di sussidiarietà verticale, per cui il Governo di prossimità è il livello più vicino al cittadino e quello migliore per gestire e amministrare, valga per le amministrazioni erogatrici di beni e di servizi, ma non per le amministrazioni di tutela, che fanno conservazione e protezione e devono poter mantenere una minima distanza dal conflitto degli interessi locali, al fine di poter avere quell'ampiezza di lungimiranza della scelta strategica di tutela.
Condivido le considerazioni del consigliere Storto per quanto riguarda i meccanismi di rafforzamento di valore o forza passiva delle leggi di settore e dei codici, al fine di prevenire per quanto possibile uno smembramento progressivo di questi mosaici, però devo anche dire che perché questo meccanismo funzioni occorrerebbe una modifica costituzionale che creasse una legge rinforzata, perché quella è l'unica, vera garanzia, altrimenti la equiordinazione della legge ordinaria la lascia inevitabilmente esposta alle modifiche più varie.
Sarebbe auspicabile avere un sistema come quello europeo dei princìpi, come diceva il consigliere Storto, cioè distinguere anche all'interno dei codici di settore i princìpi fondamentali, che dovrebbero essere rinforzati come forza passiva di resistenza alla modifica, dalle disposizioni più di dettaglio, che invece possono mantenere una loro posizione ordinaria.
Mi taccio e cedo la parola al consigliere Ravenna per quanto riguarda Normattiva e tutti gli altri profili che devono ancora essere affrontati, che sono molto interessanti.
DANIELE RAVENNA, Direttore generale per i rapporti con il parlamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. A mia volta ringrazio il presidente e la Commissione. Cogliendo gli spunti segnalati dal presidente, mi permetterò di fornire una serie di rapidissimi flash su una varietà di temi dei quali ho avuto occasione di occuparmi non tanto nella mia ultima veste di dirigente del Ministero dei beni culturali quanto nelle mie precedenti esperienze professionali al Senato e alla Presidenza del Consiglio.
Svolgerò qualche breve considerazione (perdonerete la perentorietà di certe affermazioni, ispirate al desiderio di essere il più sintetico possibile) su tre argomenti: qualità della normazione, codificazione e Normattiva.
A proposito di qualità della normazione sono 4 i punti che vorrei toccare rapidamente: il drafting, l'analisi di impatto della regolamentazione (Air), l'analisi tecnico-normativa (Atn) e la verifica dell'impatto della regolamentazione (Vir); le norme manifesto; il sistema delle fonti. Cominciando dal tema generale della qualità della normazione, le regole del drafting sono le regole preposte alla redazione delle disposizioni normative. Queste regole, ormai abbastanza risalenti, sono scritte – per quanto riguarda l'ordinamento italiano – in tre circolari di identico testo, emanate il 20 aprile 2001 dal Presidente del Senato, dal Presidente della Camera e dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Se andate a vedere queste regole, noterete che hanno una vistosa caratteristica (sia chiaro che sono regole minimali: le leggi devono avere tutti i commi numerati, gli articoli devono avere o tutti o nessuno la rubrica, i riferimenti normativi vanno scritti in un certo modo): queste regole sono state scritte da tecnici per tecnici, avendo in mente un obiettivo prioritario che è la certezza del comando giuridico.
Questo è un dato importante perché in materia vi sono due possibili obiettivi non facilmente conciliabili: da un lato la certezza del comando giuridico, che impone tecnicità del linguaggio giuridico, un linguaggio ridondante, faticoso, di non immediata e facile comprensibilità, dall'altro l'aspetto comunicativo della legge, per cui la legge è innanzitutto un messaggio rivolto alla collettività e bisognerebbe che tutti lo capissero.
Per essere chiari, se voi leggete le circolari sul drafting, sono evidentemente ispirate alla priorità del profilo del comando giuridico; se voi leggete lo Statuto Pag. 12del contribuente, che è nato in Parlamento (legge 27 luglio 2000, n. 212), vedete che è ispirato al secondo di questi obiettivi. È un fatto che la legge è però innanzitutto comando giuridico e che la certezza del diritto è un valore troppo spesso pretermesso, e sotto questo profilo mi permetto di sottolineare l'importanza di queste regole di drafting di cui ho parlato.
C’è un aspetto interessante che vorrei sottolinearvi: queste regole di drafting hanno avuto un'applicazione regolare, costante, metodica e fortemente garantita, benché siano contenute in fonti normative le più flebili possibili quali le circolari dei Presidenti delle Camere, per il semplice motivo che alla loro applicazione presiedono gli apparati delle due Camere e quindi qualunque testo normativo deve passare attraverso il filtro degli uffici delle Camere, i quali sono obbedienti al comando dei Presidenti e fanno sì che tutti i testi normativi siano rigorosamente rispettosi delle regole dettate dai Presidenti stessi.
Non a caso, dal punto di vista organizzativo, le due Camere si sono dotate di appositi uffici per il drafting che non sono in dipendenza gerarchica diretta dagli uffici che approvano gli atti, Commissioni o Assemblea, proprio per mantenere una certa terzietà e una certa dialettica fra chi è nella macchina che «impasta» i testi e chi invece deve curarne la qualità tecnica e la redazione.
Suggerimenti e spunti: 1) fare una manutenzione di queste circolari, aggiornando le regole di redazione dei testi normativi anche al contesto contemporaneo, in cui i testi normativi vivono sulle banche dati digitali e non più sulla Gazzetta Ufficiale cartacea; 2) dare a queste circolari un minimo di copertura nei regolamenti parlamentari, per dare loro una base più solida. Questo però senza fughe in avanti, nel senso di non illudersi che da questo strumento, le regole per la redazione dei testi normativi, ci si possa attendere più di tanto sul piano del miglioramento della qualità della produzione normativa.
Passo al secondo punto: Air, Atn, Vir. Sapete da quanti anni se ne parli; conoscete le finalità di questi istituti e gli obiettivi che ci si proponeva quando si cominciò a sperimentarli e poi furono introdotti in via ordinaria. Le Camere hanno seguito con attenzione questa dinamica, il Senato addirittura si dotò di un apposito Ufficio Air che avrebbe dovuto essere la sponda endoparlamentare delle strutture governative, ma ritengo che fino ad oggi si possa parlare francamente di un sostanziale fallimento rispetto alle aspettative originarie.
Ritengo che possiamo capire perché Air, Atn e Vir fino adesso hanno fallito ponendoli a confronto con una storia di successo, che è la storia dell'articolo 81 della Costituzione e della relazione tecnica bollinata, perché in quel campo è stato costruito un sistema normativo estremamente articolato e strutturato, che parte da una disposizione costituzionale e comprende norme legislative, norme dei regolamenti parlamentari e norme interne al Governo tutte strettamente interconnesse fra loro.
Questo sistema ha dato vita a organi, uffici, procedure a loro volta fortemente strutturati e integrati fra loro. Tutto questo ha fortemente inciso sulla forma di governo (lo sapete benissimo perché lo vivete quotidianamente), nel senso che, per garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, ha dato al Governo poteri di veto in Parlamento, in Parlamento poteri di veto alle Commissioni Bilancio su tutte le altre Commissioni, dentro il Governo poteri di veto al Ministro dell'economia e delle finanze su tutti gli altri colleghi di Governo, all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze potere di veto alla Ragioneria generale dello Stato.
Tutto questo ha modificato parecchio la forma di governo. Se vogliamo avere Air, Atn e Vir efficienti a presidio della qualità della produzione normativa, così come è efficiente lo strumento «relazione tecnica» a presidio dell'articolo 81, dobbiamo costruire un sistema del genere, assegnando poteri di veto a soggetti preposti Pag. 13a questi passaggi procedurali e bisogna essere consapevoli di percorrere questa strada.
Vado rapidissimo a un altro aspetto che nella mia esperienza in Senato e poi al Dipartimento per i rapporti con il Parlamento non poteva non balzare agli occhi: il problema delle norme «manifesto».
Mi permetterò di abusare della vostra cortesia per segnalare che questo è un punto che soggettivamente ritengo grave nel rapporto fra Stato e cittadino e nel rapporto democratico, cioè il fatto che nella nostra legislazione troppo spesso si trovano disposizioni ispirate alle migliori intenzioni, ma che di fatto dal punto di vista giuridico sono vane. Ad esempio, tutte le volte che il legislatore ordinario scrive una disposizione che nelle intenzioni intende vincolare il legislatore futuro scrive qualcosa che è vano, che è – consentitemi – inganno: inganna se stesso e inganna il cittadino che legge quella disposizione.
È impolitico fare casi specifici, ma leggo disposizioni sicuramente ispirate alle migliori intenzioni e nobili negli intendimenti come l’incipit della legge sullo Statuto dei diritti del contribuente: «Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali». Ma cosa succede se il giorno dopo il legislatore deroga tacitamente a questa legge, come del resto ha fatto mille volte ? Succede solo che dimostra che questa disposizione è illusoria, è un inganno.
Purtroppo se ne trovano tante e mi permetto di segnalare che il legislatore, il Governo in primis, che è il principale motore della legislazione, dovrebbe riconoscere che non gli è consentito scrivere disposizioni il cui destinatario sia il legislatore futuro.
A questo si lega il discorso sul sistema delle fonti. Sono già state fatte osservazioni puntuali dai consiglieri Storto e Carpentieri. Il nodo della confusione nel sistema delle fonti è uno dei nodi che a mio avviso incidono negativamente sulla funzionalità di un sistema democratico. Consentitemi di citare solo un caso: le famigerate e frequentissime disposizioni che usano la locuzione «con decreto di natura non regolamentare», ad esempio «con decreto di natura non regolamentare del ministro – che non nomino – sono disciplinati le modalità e i termini per attribuire una certa categoria di contributi».
Cosa vuol dire una disposizione di questo genere ? Vuol dire: sappiamo perfettamente che la disciplina di questi contributi è normazione, quindi ai sensi della legge n. 400 del 1988 andrebbe fatta con regolamento, ma siccome fare un regolamento è lungo e complicato anche se è molto garantito, e io legislatore non voglio fare un regolamento, voglio fare in fretta, asserisco il falso, cioè asserisco che queste disposizioni hanno natura non regolamentare. In realtà sto dicendo un'altra cosa: voglio introdurre una normazione di rango secondario, derogando alle regole in materia dettate in via generale dalla legge n. 400 del 1988.
Anche questo è un meccanismo di autoinganno del legislatore: vuol dire che le regole della legge n. 400, che sono sacrosante quanto ai contenuti, andrebbero presidiate da una resistenza maggiore di quella che non abbiano attualmente. E questo è un altro spunto che mi permetto di offrire.
Passiamo brevemente al tema della codificazione. Ho visto l'attenzione che la Commissione ha dedicato nei suoi documenti al tema dei testi unici compilativi e mi permetto di sottoporvi questa riflessione. Ho avuto l'esperienza del testo unico dei beni culturali, sia seguendo la legge che gli dette vita, sia partecipando alla Commissione che lo scrisse, e poi ho partecipato anche alla redazione del codice dell'università, che in effetti non esiste, perché fu redatto e non piacque.
Per elaborare un codice occorre fare una serie di operazioni logiche, che sono la ricognizione delle fonti, la determinazione dei confini (una volta che ho sul tavolo tutte le fonti possibili devo definire Pag. 14cosa entrerà nel codice e cosa no), tutte operazioni interconnesse, la determinazione della struttura del codice, passaggio di grandissima importanza perché nel redigere un codice si hanno sul tavolo questi materiali normativi che formalmente sono fonti primarie pariordinate, ma nella realtà concettualmente non è così, perché alcune disposizioni hanno un valore di principio.
La struttura non è quella di un'elencazione pariordinata, è una struttura stellare: ci sono delle disposizioni che hanno carattere di principio costitutivo, intorno alle quali si costruisce una trama di relazioni, e delle altre che hanno carattere di corollario, di deroga, di aggiunta. La determinazione della struttura del codice è quindi un'operazione di fondamentale importanza.
La redazione, tema sul quale mi sono sempre applicato, ha molto a che fare con la falegnameria, si tratta di piallare dove c’è troppo, di aggiungere un tassello dove c’è un buco, in maniera che alla fine il mobile venga fuori armonico. Tutte queste attività sono fortemente caratterizzate da una ineliminabile dimensione di creazione del diritto: ergo, se si vuole fare un codice, occorre la delega, quindi la novazione della fonte. Il codice deve essere un quid novi che fa pulizia di tutto quello che c’è prima, se vuole essere davvero un codice.
I testi compilativi a mio sommesso, modestissimo avviso hanno utilità solo e soltanto in quanto siano, come mi pare emerga anche dal vostro documento, la fase di studio prodromica alla realizzazione di un codice vero. Sotto questo profilo consentitemi un'osservazione forse priva di umiltà: non riesco a comprende il significato – sarà un mio limite – della disposizione in materia di codici compilativi, che è stata introdotta non moltissimo tempo fa nella legge n. 400 del 1988 (articolo 17-bis dalla legge n. 69 del 2009). Un codice compilativo in quei termini non ha alcun valore diverso da un codice redatto da dei professori, degli studiosi, da un editore privato. Non riesco a comprendere perché si debba scomodare la Presidenza del Consiglio e il Consiglio di Stato per fare una cosa del genere.
Concludo su Normattiva. Faccio parte del Comitato di governo di Normattiva dall'origine e mi permetto di sottolineare a questa Commissione – sono lietissimo di questa occasione – l'importanza di questo progetto, che nasce da un'intuizione geniale di Nino Andreatta, che fu travasata in una disposizione della legge finanziaria 2001, e fin dall'inizio è stato governato (anche lì grazie all'intuizione del legislatore) congiuntamente da Presidenza del Consiglio, Camera e Senato, e tuttora è così.
Voi sapete che questo progetto, operativamente gestito dal Poligrafico dello Stato, ha l'obiettivo di consentire la ricerca gratuita delle norme vigenti ai cittadini su una banca dati assistita da una connotazione di pubblicità e anche di operare come strumento di riordino. Sinceramente questo secondo profilo fino adesso non ha funzionato, ma il primo sì.
Normattiva non è sufficientemente nota perché non è molto user-friendly, anzi direi francamente che è bruttina, il sito è bruttino. Ha anche il gravissimo limite di non consentire un agevole «copia e incolla», che per qualunque operatore giuridico è fondamentale.
Oggi, però, Normattiva è la più grande raccolta, assistita da una qualche forma di ufficialità, di norme dal 1932 ad oggi, e viene progressivamente arricchita andando a ritroso nel tempo di norme che sono presentate in multivigenza, cioè con la possibilità di visualizzare il testo vigente ad una qualsiasi data, cosa importantissima, per esempio, per la magistratura.
Questo è un carattere unico di Normattiva e il cittadino ha la ragionevole fiducia di potersi fidare di un testo che è redatto dal Poligrafico dello Stato, sotto l'indirizzo e la vigilanza di Presidenza del Consiglio, Camera e Senato.
Limiti di Normattiva: le informazioni che fornisce sono parziali quantitativamente e qualitativamente: quantitativamente perché manca tutto quanto precede il 1932, che è molto costoso recuperare, Pag. 15qualitativamente perché non fornisce una serie di informazioni aggiuntive sui testi, a differenza delle banche dati private.
Questo ha una spiegazione: diversamente dalle banche dati private Normattiva aspira al rispetto di standard, quindi nel momento in cui si decide di fornire un'informazione in più la devi dare su tutto il complesso della banca dati, non puoi fare come certi operatori privati che dicono: vi diamo un'informazione aggiuntiva, ma solo a partire da oggi.
Aspira inoltre ad essere una banca dati pubblica, sostanzialmente ufficiale dei testi formalmente vigenti, quindi per esempio Normattiva non può segnalare le abrogazioni implicite, che sono utilissime, all'operatore interessano moltissimo e possono essere inserite nella banca dati da un privato, il quale può scrivere: «Secondo me questa disposizione è stata abrogata implicitamente da una legge successiva»; una banca dati pubblica, invece, non può dirlo, perché l'abrogazione implicita è un'operazione che spetta solo all'interprete.
Su Normattiva vengono, dunque, al pettine tanti nodi: l'abrogazione implicita è una cosa che dovrebbe avvenire il meno possibile, lo dicono le regole e le raccomandazioni sul drafting, dovrebbe pensarci il legislatore, in primo luogo il Governo.
Chiudo con una segnalazione: l'aspirazione del progetto Normattiva è quella di diventare, fra un decennio, il testo delle leggi vigenti. Considerato che, fin dall'inizio, a Normattiva hanno presieduto la Camera e il Senato, mi permetto di auspicare che il Parlamento e in particolare questa Commissione dedichino a questo progetto una specifica attenzione e un approfondimento e vogliano conferirgli i propri indirizzi. Vi ringrazio ancora.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri interlocutori per la ricchezza dei loro contributi.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, ricordando che alle 9.30 dobbiamo essere in Aula.
GIULIO CESARE SOTTANELLI. Grazie, presidente. I consiglieri Storto, Carpentieri e Ravenna ci hanno fornito molti spunti. Come diceva il presidente, purtroppo alle 9.30 iniziano le votazioni e dobbiamo recarci in Aula.
Una breve riflessione e una domanda al Consigliere Storto. Lei ha esordito dicendo che quasi tutta la legislazione di emanazione del Ministero dell'ambiente è frutto di recepimento del diritto europeo. L'istinto di chi si pone il problema di semplificare il quadro normativo italiano è quello di chiedersi se siano utili tutte quelle leggi che si fanno a livello regionale, se sia ancora utile quel quadro di legislazione regionale o crei problemi ulteriori.
MINO TARICCO. Solo una considerazione. Condivido assolutamente la riflessione sulle questioni paesaggistiche relativamente al fatto che per poter fornire un parere approfondito e motivato, evitando il silenzio-assenso, è necessario ridurre il numero dei casi nei quali il cittadino debba richiedere un pronunciamento.
Mi pare, però, che la prassi ordinaria delle Soprintendenze sul territorio vada in modo assolutamente tangenziale rispetto a questo tipo di approccio, cioè vista dal territorio a volte ci si chiede perché si tutelino cose che nell'accezione comune non hanno alcun valore. In attesa di una definizione molto difficile, perché il termine dei 70 anni in alcuni casi può essere utile e in altri no, in quanto lavoriamo su una materia molto discrezionale, per cui i 70 anni possono essere un riferimento molto ampio o molto stretto, non sarebbe pensabile che la stessa struttura della pubblica amministrazione si dia una sorta di codice di autoregolamentazione, che è difficile immaginare che sia codificato sul piano normativo ?
Se infatti apriamo una discussione in Parlamento per definire come si interpreti quella che è una materia per definizione molto soggettiva, ci infiliamo in un percorso oggettivamente complesso. Non potrebbe essere utile che la stessa struttura tecnica di controllo cercasse di uniformare i propri comportamenti secondo una specie Pag. 16di codice di autoregolamentazione ? Esiste un aggiornamento di questo genere, ed eventualmente in che modalità ?
SERENELLA FUCKSIA. Ringrazio. Mi lascia assai perplessa quanto è stato detto in materia di silenzio-assenso, perché silenzio-assenso non significa che il dirigente responsabile non eserciti comunque una supervisione, un controllo.
Per quanto riguarda la tutela dei beni culturali, il dato temporale mi sembra molto limitativo per il semplice fatto che potrebbe essere un criterio necessario ma non sufficiente. Se pensiamo ai 50 anni, abbiamo strutture degli anni ’60 che sono degli obbrobri ma sui quali non si possono fare interventi ripristinando qualcosa che dal punto di vista architettonico o di valore del paesaggio è sicuramente aggiuntivo, quindi non si può intervenire su qualcosa che era frutto di uno scempio, di un condono edilizio. Ripristinare una linea architettonica in base ai criteri precedenti sarebbe invece un fattore importante.
Torniamo quindi al tema degli uffici tecnici, nei quali non possiamo collocare chi non abbia le competenze rispetto a fior di architetti e ingegneri di strutture private che sono selezionati sotto profili più meritocratici.
Le vorrei porre infine una domanda che avevo già fatto in un'altra occasione a un suo collega del Ministero della giustizia, cioè il suo parere sul recente provvedimento di legge in materia di reati ambientali, che da questo punto di vista rappresenta proprio un obbrobrio. Si è infatti andati contro la codifica di un testo unico che poteva essere migliorato, per intervenire sul codice penale, tra l'altro in modo improprio, perché quando la normativa attiene a degli ambiti altamente specialistici il legislatore, che non è dotato di competenze specifiche e non ha seguito le audizioni, rischia di scrivere degli sfondoni che possono rivelarsi un problema. Grazie.
MARA MUCCI. Sarò molto breve. Si è parlato dei veti incrociati tra Governo, Ragioneria dello Stato e V Commissione sul lavoro del Parlamento, e come parlamentari ci sentiamo ogni tanto esautorati nel nostro potere, limitati, tirati per la giacchetta.
Mi chiedevo se il consigliere Ravenna avesse in mente una soluzione, un terzo organo in grado di controllare il verificarsi di queste situazioni. Effettivamente ci si tira a vicenda per la giacchetta e denotiamo una mancanza di certezza in quello che è effettivamente il nostro potere. Siamo limitati in ciò che facciamo, cosa che può essere giusta, però mi chiedo come l'articolo 81 della Costituzione e le varie relazioni tecniche potrebbero essere gestite in altro modo.
È stato fatto riferimento alla legge n. 400 del 1988 sui regolamenti, cui spesso si deroga con decreti di natura non regolamentare. Cosa accadrebbe però se tutte le volte si facessero dei regolamenti ? Soluzione e problema sono intrinsecamente collegati, quindi mi chiedo se in una situazione che vede già il proliferare delle normative non si finirebbe per assistere a un'esponenziale crescita della normativa, mentre potrebbe essere una soluzione quella di avere un limite, contenendosi nella normazione.
Ultimo spunto. Normattiva è uno strumento molto valido che io utilizzo, contiene meccanismi automatici che possano aiutare nel segnalare l'abrogazione implicita delle norme ? Mi rendo conto che in parte è un fatto interpretativo, però questo potrebbe aiutare molto l'opera di pulizia delle norme. Grazie.
PRESIDENTE. Dovrete fare un esercizio di sintesi estrema. Con riguardo al tema della bollinatura, credo invece che sia stata una storia di successo oggettivo perché, se andiamo a verificare l'andamento delle spinte emendative spesso del tutto scollegato dal problema delle coperture, è come quando in una famiglia c’è chi è bravo a guadagnare e chi è bravo a spendere, il problema è che prima o poi finiscono per accapigliarsi. C’è una miriade di posizioni di questo tipo.
Do la parola agli auditi per una brevissima replica.
ALFREDO STORTO, Capo Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Un minuto. La prima domanda tocca il cuore del problema: probabilmente si richiede un'inversione di prospettiva con riguardo alla dimensione territoriale. La massiccia presenza di diritto sovranazionale ed europeo in particolare trasforma un po’ l'Italia in una regione, se vogliamo, e non a caso dal 2007 la Corte costituzionale raccoglie questo input e dice che è legislazione statale.
La legislazione regionale rimane utile per profili di dettaglio, rimane utile dove, in base alle sentenze del 2007 della Corte costituzionale, è autorizzata dal legislatore statale ad integrare la disciplina statale, e non a caso abbiamo una fioritura intensa di norme, molte utili, molte che noi impugniamo perché violano princìpi dati dal Parlamento nelle leggi statali. Questo è l'assetto, c’è un'inversione dei ruoli.
Quanto ai reati ambientali, il dibattito in un ramo del Parlamento è finito e parte nell'altro, è un argomento molto stressante, però faccio due considerazioni, perché ormai è una valutazione politica, sono usciti i tecnici: la legislazione non è episodica, perché erano ben 21 anni che si tentava di riformare un intero capo del codice, c’è una sensibilità per dire che è necessaria una disciplina specifica in materia ambientale, che sia controversa (e rimarrà controversa nel dibattito nel Paese e tra gli interpreti) è normale.
Mi permetto di sottolineare una cosa che è interessante: è la prima volta che, riformando un intero capo del codice, si cerca di sottrarsi al diritto penale, cioè di dare il precetto penale solo per le grandi fattispecie. È stato un esercizio finalizzato a circoscrivere e non a estendere, a dare l'essenziale, perché si è notato che una macchia penale molto ampia non sempre garantisce l'effettività della persecuzione dei responsabili. Questa era l'ottica. La storia ci dirà se l'applicazione sia giusta o sbagliata. Grazie.
PAOLO CARPENTIERI, Capo Ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Intervengo per dire che siamo totalmente d'accordo sulle circolari applicative, è quello che il Ministro Franceschini ci ha raccomandato di fare per dare omogeneità agli interventi sul territorio.
C’è a monte il problema che più del 50 per cento del territorio è vincolato, ed è un altro tema perché la legge Galasso, che è stata meritoria per certi aspetti, è risultata poi eccessiva per altri. Sul discorso del silenzio-assenso c’è l'obbligo di procedere, per cui non v’è dubbio che l'autorità nei casi di silenzio-assenso debba esaminare l'atto. Ritengo però che un conto è esaminarlo e non dire nulla, altra cosa è dover estendere un provvedimento motivato e firmarlo. Le associazioni ambientaliste o l'impresa avrebbero probabilmente da ridire di fronte al diniego.
Io rimango dell'idea che il controllo ex post significhi liberalizzare, significa la comunicazione di inizio lavori: il silenzio-assenso è una fictio iuris, un atto tacito, una vecchia idea che non dà certezze a nessuno.
Chiudo dicendo che i 50 o i 70 anni sono solo il prerequisito, perché ci vuole la verifica dell'interesse culturale: non è che ogni bene che ha più di 50 anni è tutelato, e specialmente quelli dei privati devono essere sottoposti a verifica o comunque a dichiarazione di interesse particolarmente importante.
DANIELE RAVENNA, Direttore generale per i rapporti con il parlamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Cercherò di essere fulmineo. Relazioni tecniche e altre relazioni: ha appena detto il presidente che la relazione tecnica è una storia di successo, però ha avuto un prezzo, l'azzeramento del potere emendativo dei singoli parlamentari. Dare efficacia a Air e Vir vuol dire ridurre ancora quel potere: dobbiamo pagare quei prezzi, esserne consapevoli.
Legge n. 400 del 1988 e regolamenti. Un'unica battuta: raccomando di ripensare al sistema delle fonti collocando ogni disposizione al livello che le è proprio.
Normattiva: non è possibile purtroppo immaginare di inserire nella banca dati dei meccanismi automatici — che non Pag. 18possono esistere – di rilevazione delle abrogazioni implicite. Si potrebbero forse mettere delle annotazioni in più per arricchirla, ma quello è anche un problema di risorse.
PRESIDENTE. Ci vorrebbe il bollino dell'interesse generale, con un bollino di questa natura probabilmente molti si vergognerebbero di avanzare delle proposte che sono chiaramente in contrasto con l'interesse generale e che perseguono un interesse talvolta vergognosamente particolare.
Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9.35.