XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

Resoconto stenografico



Seduta n. 108 di Mercoledì 6 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 

Audizione del direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute, Raniero Guerra (Svolgimento e conclusione) :
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 ,
Guerra Raniero , Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute ... 3 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 7 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 7 ,
Guerra Raniero , Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute ... 7 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 8 ,
Guerra Raniero , Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute ... 8 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 9 ,
Guerra Raniero , Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 

(La seduta, sospesa alle 9.25, è ripresa alle 14.10) ... 9 

Audizione di rappresentanti di ENEA e dell'Associazione medici per l'ambiente-ISDE (Svolgimento e conclusione) :
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Mastrantonio Marina , Rappresentante di ENEA ... 10 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 13 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 13 ,
Mastrantonio Marina , Rappresentante di ENEA ... 13 ,
Compagnone Giuseppe  ... 14 ,
Mastrantonio Marina , Rappresentante di ENEA ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Mastrantonio Marina , Rappresentante di ENEA ... 14 ,
Uccelli Raffaella , Rappresentante di ENEA ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Mastrantonio Marina , Rappresentante di ENEA ... 15 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Mastrantonio Marina , Rappresentante di ENEA ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Bai Edoardo , Presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 17 ,
Bai Edoardo , Presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano ... 17 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 17 ,
Bai Edoardo , Presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano ... 17 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO BRATTI

  La seduta comincia alle 8.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute, Raniero Guerra.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute, dottor Raniero Guerra, che ringrazio per la presenza.
  Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente con riferimento all'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, cosiddette PFAS.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Noi stiamo svolgendo un approfondimento su questa vicenda. Nel corso del nostro lavoro sulla regione Veneto ci siamo imbattuti in questa situazione molto complessa e difficile. Abbiamo sentito ormai tutti gli attori, dai sindaci alla regione, dal Ministero dell'ambiente alle procure, dall'ISPRA ad ENEA ed ISDE, che sentiremo nel pomeriggio. Insomma, tutti i soggetti più o meno interessati sono stati sentiti.
  Visto che il Ministero della salute è stato più volte tirato in ballo, le cederei la parola per conoscere il lavoro che avete svolto e il vostro punto di vista. Eventualmente, al termine del suo intervento, le porremo qualche domande. Cedo quindi la parola al direttore Guerra per l'illustrazione della sua relazione.

  RANIERO GUERRA, Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute. Visto che la situazione è alquanto complessa, ho preparato una ricostruzione, anche cronologica, di fatti e misfatti. Ho una documentazione che, per quanto ci riguarda, considero completa e che vi lascio, compresi diversi allegati. La documentazione è piuttosto ponderosa.
  Mi rifaccio al primo momento, determinato da uno studio del CNR che, come sicuramente saprete, è stato effettuato e trasmesso in data 10 maggio 2013, proprio quando il Ministro della salute invia una richiesta di informazione alla regione Veneto sulla base dei risultati dello studio del CNR medesimo. La richiesta mirava a capire quali fossero le determinazioni dell'amministrazione Pag. 4 regionale in merito al monitoraggio e ad eventuali interventi predisposti. Come sapete, la competenza, in questo caso, è dell'azienda sanitaria locale competente territorialmente.
  Questa nostra prima richiesta venne successivamente, a distanza di un mese, compendiata da una richiesta del Ministero dell'ambiente, il quale, in data 10 giugno 2013, scrive alla provincia di Vicenza e all'ARPAV per richiedere, appunto, informazioni e dettagli, dando indicazione di effettuare accertamenti per individuare le fonti di emissione degli PFAS.
  Il Ministero dell'ambiente chiedeva contestualmente al Ministero della salute e all'Istituto superiore di sanità una valutazione in merito alle iniziative necessarie per mitigare il danno e per riuscire a tenere sotto controllo una situazione che, evidentemente, non era stata fino a quel momento individuata. Una prima nota informativa dell'Istituto superiore, su nostra sollecitazione, è del 13 giugno 2013. Questa nota dava una serie di indicazioni abbastanza dettagliate, con un riassunto della conoscenza scientifica presente al momento. Quanto alla questione relativa al dosaggio, su cui i laboratori dell'Istituto avrebbero dovuto darci un'indicazione precisa, ci si diceva che i valori riscontrati dallo studio del CNR erano comunque inferiori alla dose tollerabile giornaliera stimata in quel momento dall'EPA (Environmental Protection Agency), l'ente europeo per la protezione ambientale.
  Il problema è che la sostanza, come sapete, si accumula nell'organismo e non viene smaltita, pertanto da parte nostra veniva assunta la massima cautela nell'esercizio della valutazione dei limiti di tolleranza e veniva data un'istruzione precisa secondo princìpi di massima precauzione, in modo che ci fosse la possibilità di recepire in fasi temporali successive il water safety plan, l'oggetto fondamentale della nuova normativa europea, evidentemente con l'individuazione e la rimozione delle fonti di pressione. Sapete anche che lo studio del CNR non era riferito esclusivamente alla regione Veneto ma valutava la componentistica PFAS in area piemontese, emiliana e toscana. Il problema era che dal contaminate principale piemontese l'immissione nel corpo idrico procurava una diluizione tale della componente nel territorio che i limiti di performance indicati successivamente non venivano superati. Viceversa, in regione Veneto la concentrazione era massiccia e la composizione della struttura idrogeologica del territorio contaminato non soltanto non permetteva la diluizione progressiva nel corpo idrico ma, anzi, si concentrava a tal punto che, successivamente, le indicazioni erano molto chiare sull'inquinamento della falda acquifera, con pozzi e fiumi che, seppure di scarsa dimensione, distribuiti sul territorio delle province coinvolte (Vicenza e Padova, essenzialmente), risultavano interessati in maniera ben più rilevante e massiccia rispetto agli inquinanti presenti in altri territori. Nell'Arno, per esempio, valeva la stessa discussione fatta per il bacino del Po, quindi un importante corpo idrico che procurava una diluizione, prevenendo la concentrazione nel terreno e quindi la successiva infiltrazione della falda.
  Veniva anche raccomandata, in quell'occasione, una verifica della matrice alimentare in modo da poter capire quale fosse l'importanza del contaminante, non solo nella matrice liquida, cioè nella matrice idrica, ma anche nella matrice alimentare, presumendo, infatti, che ci fosse un'ulteriore contaminazione, un'ulteriore possibilità di accumulo che, ovviamente, inquinava non soltanto l'acqua potabile ma anche il cibo, il prodotto alimentare, un fattore che per la regione Veneto ha un'importanza non solo in termini di consumo diretto ma anche di esportazione, con una stima di qualche miliardo di euro di controvalore.
  In quel momento siamo all'attivazione delle misure emergenziali da parte della regione Veneto, con la riunione di tutte le parti coinvolte presso il Ministero dell'ambiente, riunione tenutasi l'11 luglio del 2013. A quel punto viene richiesto all'Istituto in maniera esplicita di fornire, dal punto di vista della valutazione laboratoristica, un'indicazione sui valori di riferimento per le sostanze inquinanti in quel Pag. 5momento nella filiera idropotabile. Il problema è che non abbiamo dei valori di riferimento collegati a un sicuro danno alla salute. Abbiamo dei valori di riferimento che riguardano indici di performance, quindi valori che variano, in questo momento, a livello europeo a seconda del Paese, ovvero dello Stato membro che li adotta. I valori di riferimento sono intorno ai 100 nanogrammi per litro nella Repubblica federale tedesca, ma gli americani, per esempio, utilizzano altri parametri. Noi, sempre per il principio di massima cautela, abbiamo adottato dei limiti a 100 nanogrammi, sulla base dei quali abbiamo sviluppato le richieste successive all'ente tecnico.
  Ripeto: la problematica è che in tutti gli allegati relativi alla normativa che concerne gli inquinanti presenti nei corpi idrici non ci sono tutte le sostanze su cui c'è un possibile interesse. Cito, perché è rilevante dal punto di vista della sperimentazione, il fatto che, per arrivare al pieno recepimento della direttiva europea sui piani di sicurezza delle acque, abbiamo adottato uno sversamento di tallio proveniente dalle miniere dell'alta Lunigiana, con un inquinamento dell'approvvigionamento idrico a Marina di Pietrasanta, su cui lo scorso anno abbiamo avviato, sempre con l'Istituto e con l'amministrazione locale, un'indagine specifica volta a definire la forma e i contenuti del piano di sicurezza idrico, al fine, poi, di recepire in maniera documentata e localmente rilevante questi piani di sicurezza. Il tallio, infatti, è un'altra delle sostanze inquinanti non presente nella lista delle sostanze normate. Tuttavia ci sembrava opportuno procedere a una verifica immediata e urgente per mettere in sicurezza la popolazione e prevenire, evidentemente, ulteriori contaminazioni.
  Passiamo adesso al gennaio del 2014, quando l'Istituto riesce a fornire una revisione di tutta la letteratura relativa ai PFAS e agli aspetti tossicologici legati all'inquinante. In quella data ci viene comunicato che sia l'OMS, sia l'Unione europea – l'ente per la protezione ambientale – avevano lanciato un'attività volta a determinare i limiti pericolosi per la salute umana. In quel caso ci veniva suggerito di attendere per fissare limiti nazionali, dato che la produzione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità tendeva proprio a fissare limiti a valenza europea.
  Nella questione interveniva il noto studio del Mid-Ohio Valley, dove DuPont era stata ritenuta responsabile dell'immissione nell'ambiente di PFOA, a quel punto con una contaminazione di circa 70.000 persone. Quello è il principale studio di riferimento per quanto riguarda il collegamento con un danno anatomico e fisiologico.
  Ci sono delle evidenze con correlazioni patologiche relative a un'ipercolesterolemia, a una manifestazione di colite ulcerosa, patologie tiroidee, tumori del testicolo e del rene, ipertensione in gravidanza e preeclampsia. Queste erano le condizioni cliniche correlate a un'elevata presenza accumulata di queste sostanze. Non veniva invece citato, ma ve lo cito io, un altro studio di discreto interesse, anche se di dimensioni molto limitate, compiuto a Tarragona, in Spagna, in cui veniva dimostrato un accumulo di PFAS a catena corta in fegato, polmoni, ossa, rene e cervello su materiale autoptico derivato da una settantina di cadaveri. Anche in questo caso, quindi, c'è un'evidenza crescente del problema, ma non ancora definitiva e, soprattutto, non dose-collegata. In questo caso, infatti, non ci viene ancora permesso di stabilire un nesso quantitativo e un valore soglia.
  Sapete, tuttavia, che queste sono sostanze non sono presenti in natura ma sono invece determinate essenzialmente dalla produzione industriale. Ripeto, quindi, e sottolineo il fatto che il principio di massima cautela è quello che ci guida.
  Nel 2008, l'EFSA (European Food Safety Authority) aveva fissato, a suo tempo, valori tollerabili per PFOA e PFOS, rispettivamente a 1,5 e 0,15 microgrammi per chilo di peso corporeo al giorno. A quel tempo la conoscenza specifica sull'accumulo progressivo della sostanza nel corpo e sulle evidenze fornite dagli studi che vi ho citato non era ancora consolidata, quindi sono limiti che ammettiamo essere piuttosto Pag. 6 elevati per quanto riguarda le condizioni in cui siamo noi.
  I limiti di performance che l'Istituto ci ha comunicato a quel tempo erano relativi a un quantitativo inferiore o uguale a 0,03 microgrammi per litro per PFOS, inferiore o uguale a 0,5 microgrammi per litro per PFOA, mentre per gli altri PFAS, ancora, inferiore o uguale a 0,5 microgrammi per litro. In quella data, il 29 gennaio 2014, davamo comunicazione alla regione Veneto della formulazione di questi limiti indicativi per determinare una soglia minima al di sopra della quale identificare come inquinata la zona di interesse.
  A seguire, nel maggio del 2014, la regione Veneto stipulava un accordo di collaborazione con l'Istituto superiore di sanità per arrivare alla determinazione quantitativa e qualitativa dell'inquinamento nelle zone di concentrazione, sia per quanto riguardava la filiera idropotabile, sia per quanto riguardava la matrice ambientale. A seguire – è materia relativamente nuova, di quest'anno – questo studio viene esteso alle matrici alimentari ed è ora in fase di costruzione e di attività.
  In quel periodo la Commissione europea, come vi dicevo, inizia a elaborare una verifica e un'indicazione relativa ai valori di contaminazione accettabili o inaccettabili nelle varie matrici. È un'attività piuttosto lunga, elaborata e complessa, proprio per le implicazioni di natura produttiva che evidentemente questo tipo di limiti procurerà e produrrà. La revisione degli allegati della direttiva del 6 ottobre 2015 è peraltro limitata al secondo e al terzo allegato, ma non al primo, dove i parametri verranno stabiliti alla conclusione dello studio e del rapporto di collaborazione che la Commissione ha introdotto con l'Organizzazione mondiale della sanità, in particolare con l'ente di protezione ambientale.
  Cito anche una comunicazione ulteriore che l'Istituto ci fornisce nell'agosto del 2015, in cui l'Istituto ci dichiara, per l'appunto, che le concentrazioni a 0,5 microgrammi per litro non configurano rischi per la salute umana e che pertanto il rispetto di quel limite di performance dovrebbe mettere in garanzia e in protezione l'intero sistema.
  La fase dello studio di biomonitoraggio si conclude il 2 maggio del 2016. La regione Veneto in quella data ci trasmette i risultati e le prime elaborazioni relative alla determinazione della concentrazione di biomarcatori e l'analisi genetica di una variante allelica del trasportatore renale, in qualche modo coinvolto nel metabolismo dei PFAS. Ci comunica, inoltre, che intende aprire un secondo accordo di collaborazione con l'Istituto per quanto riguarda l'identificazione delle matrici alimentari. A quel punto – siamo al 15 giugno del 2016, praticamente due settimane fa – convochiamo una serie di riunioni con tutti gli attori, quindi, regione Veneto, Istituto superiore di sanità e CNR, in modo da cercare di capire a che punto eravamo e in che maniera il Ministero potesse intervenire con elementi normativi e regolatori dirimenti.
  Ripeto e sottolineo il fatto che Commissione europea e OMS, interpellate direttamente da noi, il 13 giugno ci rispondono che la questione è ancora sotto verifica e valutazione da parte dei due enti. Questo, evidentemente, non ci permette di prendere un'iniziativa di governo unilaterale sul territorio nazionale. Ci viene richiesto: a) di esercitare, ripeto, ancora con il principio di massima cautela l'approfondimento tecnico e scientifico che è stato lanciato; b) di attendere, sollecitando l'Unione europea, la Commissione e l'OMS a garantirci l'accesso ai risultati della valutazione quanto prima, in modo da potere normare il tutto.
  Stiamo recependo l'intero pacchetto normativo sull'acqua da parte della Commissione, quindi stiamo per adottare, a seguito della conclusione dell'azione che vi citavo a Marina di Pietrasanta, l'intero pacchetto, che riguarda soprattutto la costruzione dei piani idrici. In questo modo, anche in assenza di parametri certi per i singoli contaminanti, si può attivare una valutazione di rischio preliminare a qualsiasi sversamento in corpi idrici di qualsiasi contaminante, soprattutto se non presente in natura. Credo che questa sia la chiave di volta cruciale per cui, entro la fine di Pag. 7quest'anno, saremo in grado di fornire istruzioni cogenti alle amministrazioni periferiche.
  Non so se vi è stato già illustrato il piano di attività in regione Veneto. Questo è molto complesso e alquanto oneroso, anche dal punto di vista della finanza. Ci sono circa 27.000 abitanti, che sono compresi in nove comuni, per cui lo studio epidemiologico prevede uno screening di primo livello, su 80.000 persone, di secondo livello su un campione più ristretto, con una chiamata attiva della popolazione, quindi, infine, una valutazione secondo biomarker. Questo dovrebbe fornirci ulteriori elementi di discussione e di arricchimento su quanto Commissione europea e OMS stanno eseguendo. Questo è praticamente tutto, dal nostro punto di vista.

  PRESIDENTE. La ringraziamo. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERTO ZOLEZZI. Vorrei sapere se vi risultano possibilità di emissioni anche aeree di sostanze perfluoroalchiliche, chiaramente più a livello delle attività produttive, che comportino rischi di esposizione per i lavoratori. Non ne abbiamo parlato in quest'audizione ma c'è un'azienda accusata di essere la massima produttrice di queste sostanze. Mi interessa quindi capire se, oltre alla produzione primaria, anche altre aziende che utilizzano questi manufatti stanno rilasciando nell'ambiente, secondo voi, sostanze di questo genere. Lei ha fatto riferimento allo studio sulle sostanze perfluoroalchiliche a catena e vorrei capire come ci si pone in questo senso. Si tratta, infatti, della produzione attiva, abbondante, di questo particolare stabilimento, cioè la Miteni. Parliamo sì di studi piccoli, ma perché non c'erano molte persone esposte e non perché il risultato fosse poco significativo. Su queste molecole attualmente in produzione, c'è qualche idea su come dovremmo porci?
  Lei ha citato un discorso sui bilanci: si parla di esportazioni importanti ma, probabilmente, c'è da contemperare anche le spese che si mettono in campo da parte della regione Veneto per le operazioni di messa in sicurezza.

  RANIERO GUERRA, Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute. A noi non risulta un contaminante rilevante disperso nell'aria atmosferica ma parte dello studio riguarda anche cento lavoratori, cento operatori della Miteni, soprattutto i 73 a diretto contatto con i reparti produttivi. Credo, da una parte, che questi siano soggetti da mettere in protezione immediatamente rispetto al resto della popolazione perché hanno un'esposizione chiaramente massiva e continuata nel tempo; dall'altra, questi soggetti rappresentano casi di studio fondamentali per riuscire a capire quali siano gli eventuali effetti sulla salute. Il dato primario è una collaborazione con l'INAIL per ricostruire tutta la storia pregressa e tutta l'anamnesi precedente di queste persone, in modo da capire quale sia stata l'evoluzione nel tempo del profilo di patologia e ricostruire eventuali collegamenti suggestivi con l'esposizione. Direi che i due punti cruciali sono l'inquinamento diretto della matrice alimentare e la filiera idropotabile. Ripeto: la nostra preoccupazione maggiore è l'infiltrazione nella falda. Questo vuol dire che tutta l'acqua generata e utilizzabile in loco deve essere trattata, o comunque rivalutata, come fonte primaria di acqua potabile. Non ci sentiamo, in questo momento, di raccomandare che questo sia il caso. Abbiamo con la regione Veneto raccomandato fortemente di limitare l'approvvigionamento idrico da quelle zone: questo è ovvio. Ci preoccupa molto anche la questione relativa alla matrice alimentare. Ci sono delle evidenze sull'inquinamento delle uova di gabbiano fatte alla foce del Po, ma noi non mangiamo uova di gabbiano, per cui stiamo cercando di capire se questo tipo di contaminazione si estenda in maniera massiccia e su quali matrici. Certamente, il forte dubbio che abbiamo è che queste sostanze entrino anche nel ciclo di produzione del vino, quindi nella contaminazione dell'uva, che ovviamente sarebbe, dal punto di vista della produzione agricola e del valore aggiunto Pag. 8dell'esportazione e del consumo, un fatto particolarmente rilevante.
  Credo che la regione Veneto abbia intrapreso una strada assai virtuosa, nel senso di una messa in protezione delle fonti d'inquinamento e della popolazione che in quelle aree insiste, ma anche, soprattutto, da un certo punto di vista, nel senso di un'informazione estremamente trasparente verso la popolazione stessa. Lancio un grido di dolore: ricostruire e riunificare tutte le fonti di informazione, tutte le competenze disperse che ci sono nell'ambito della gestione e protezione dell'ambiente non è semplice. Vi dico, per esempio, che abbiamo appreso, del tutto casualmente, che il Ministero dell'ambiente sta procedendo al recepimento della direttiva n. 80 del 2014 sulla protezione delle acque sotterranee, che ci viene detto sarebbe in discussione alla Camera ma senza alcun coinvolgimento da parte del Ministero della salute. Siamo un punto di riferimento che non ha competenza completa su tutta la filiera informativa, cioè su tutta la filiera di gestione.
  Quello che la regione Veneto ha stabilito con l'Istituto è un rapporto diretto, che non ha visto il Ministero della salute come intermediario, come indicatore di collaborazione istituzionale. Da un certo punto di vista, è un rapporto di consulenza privatistica che l'Istituto ha inteso fornire alla regione. Ciò va molto bene perché la regione si è avvalsa del massimo organo tecnico-scientifico dell'amministrazione pubblica ma, da un certo punto di vista, dovendo richiedere allo stesso Istituto dei valori di riferimento come elemento terzo nella vicenda, qualche difficoltà nell'interpretazione di quello che potrebbe essere un conflitto d'interesse ce l'abbiamo.
  È chiaro che l'Istituto ha prestato consulenza alla regione. Noi dovremmo chiedere all'Istituto valori di riferimento su cui indicare alla regione che cosa fare. Non c'è niente di illegittimo, naturalmente. Anche dal punto di vista procedurale normativo, infatti, la cosa è del tutto legittima, ma c'è una situazione di incertezza istituzionale dovuta proprio al fatto che aziende sanitarie, ARPA, Ministero dell'ambiente, amministrazione regionale, Ministero della salute e Istituto superiore di sanità sono finora andati avanti secondo una linea abbastanza individuale, senza portarsi a un unico tavolo di concertazione.
  Questo è quello che abbiamo inteso formare con la riunione del giugno 2016, proprio perché non riteniamo che sia opportuno continuare a muoversi in maniera slegata, salvo il fatto di ricostruire – devo dire la verità, con una certa fatica – quanto vi ho esposto sia in termini cronologici, sia in termini di procedura e di responsabilità specifica. Spero di avere risposto.

  PRESIDENTE. Gli stessi soggetti che abbiamo audito noi sono diversi e tanti, ognuno dei quali racconta la sua storia. Abbiamo quindi verificato questo dato. Sempre per quanto riguarda le vostre conoscenze, al di là della gestione dello storico, che non è banale, il tema che ci si pone è come gestire eventuali fonti attive. Oggi quest'azienda ha convertito la produzione su questi prodotti a catena corta, i quali, però, sembra che abbiano, anche questi, un loro impatto. Ora, a voi risulta che esistano altre fonti di inquinamento attive? Altro, infatti, è fare i conti con il pregresso, che non è banale, altro è continuare, comunque, ad avere fonti attive di inquinamento, per cui la situazione non ha mai una fine.

  RANIERO GUERRA, Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute. Non ci risultano, nel senso che, fondamentalmente, abbiamo i risultati degli studi che sono stati compiuti dalla regione Veneto e dall'Istituto superiore di sanità, oltre al pregresso, storicamente il primum movens di tutta questa vicenda, cioè quello del CNR. Personalmente – ovviamente, questa è una comunicazione di valore personale, non istituzionale – credo che catena lunga o catena corta poco importi, nel senso che quello che cambia è il tasso di accumulo, di permanenza nel territorio, nonché l'assorbimento da parte del territorio della catena corta rispetto a quella lunga come durata e come persistenza. Dal punto di vista dell'impatto Pag. 9 sulla salute, ripeto, non abbiamo certezze in questo momento: abbiamo soltanto dei dati di relativa suggestione. Capite bene che prendere provvedimenti coercitivi a fronte di un'incertezza di questo genere, produrrebbe, probabilmente, un'opposizione molto forte e documentata.
  Credo che il punto cruciale siano il recepimento della direttiva e la formulazione dei piani di sicurezza dell'acqua da parte di tutte le amministrazioni periferiche, comprese le amministrazioni locali. È solo in quel momento che abbiamo la possibilità di superare l'impatto determinato dal fatto che la sostanza non è classificata e non è parametrata. Arrivare a una parametrazione per questo tipo di sostanza è una procedura lunga, costosa e con forti incertezze, anche dal punto di vista della metodologia utilizzabile. Avere la possibilità di mettere comunque in sicurezza a titolo cautelativo tutta la sorgente d'acqua e la catena di distribuzione di consumo dell'acqua è un altro discorso. Secondo me questo è il punto di svolta fondamentale: con quello andiamo a prescindere dalla fissazione di limiti ben precisi perché possiamo agire, finalmente, con il principio della massima cautela. Ritengo, quindi, che con questo strumento potremmo superare anche questo tipo di problematica e imporre una cautela ben maggiore di quanto non sia stato fino a questo punto.

  ALBERTO ZOLEZZI. Da notizie di stampa, ENEA – che audiremo – e CNR sono andati avanti, anche per l'accesso che hanno ad alcuni dati ISTAT: a lei risulta, relativamente ai dati epidemiologici apparsi sulla stampa, dove c'è stato un confronto grezzo sulla mortalità nei comuni più impattati rispetto a una popolazione analoga nel Veneto, che ci sia qualcosa di significativo?

  RANIERO GUERRA, Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute. Guardi, abbiamo convocato i colleghi del CNR a giugno proprio per riuscire a capire quale fosse lo stato di avanzamento della conoscenza e quali fossero gli accumuli di letteratura o di attività in corso. Credo che l'azione dirimente sia quella che l'Istituto sta intraprendendo con la valutazione a biomarker sulla popolazione esposta rispetto alla popolazione non esposta. Credo che non sia possibile, in questo momento, dare alcun tipo di informazione supportata da un'evidenza scientifica sufficiente per garantire che quello che diciamo non sia confutabile. Penso che quel tipo di studio, ripeto, elaborato, complesso e oneroso, sia dal punto di vista dei costi dei biomarcatori, sia dal punto di vista dell'impegno di risorse umane, sia quello i cui risultati ci permettono di trarre delle conclusioni. Sottolineo che saranno conclusioni di natura probabilistica, quindi non certe, perché sapete come vengono elaborati questi studi. Siamo però a un livello di potenza sufficiente per farci dire che esiste una correlazione o non esiste. Questo, ovviamente, aprirà molto probabilmente la strada – così mi aspetto – a contenziosi da parte della popolazione nei confronti dell'amministrazione, ma su questo non entriamo perché non abbiamo una competenza diretta.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, ringraziamo il direttore Guerra. Se avremo necessità di ulteriori approfondimenti, la contatteremo nuovamente. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 9.25, è ripresa alle 14.10.

Audizione di rappresentanti di ENEA e dell'Associazione medici per l'ambiente-ISDE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di ENEA, ente per il quale sono oggi presenti la dottoressa Marina Mastrantonio e la dottoressa Raffaella Uccelli, entrambe ricercatrici, accompagnate dalla dottoressa Gabriella Martini e dalla dottoressa Rita Pascucci, del servizio relazioni con le istituzioni. Per l'ISDE – Associazione medici per l'ambiente, è presente il dottor Edoardo Bai, presidente della sezione di Milano. Pag. 10
  Nel ringraziare i nostri ospiti per l'odierna presenza ricordo che la Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente con riferimento all'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS).
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Cedo dunque la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento di una relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  MARINA MASTRANTONIO, Rappresentante di ENEA. Nell'ambito del dipartimento sostenibilità dei sistemi produttive e territoriali, l'ENEA svolge attività di studio, analisi, ricerca, sviluppo, trasferimento e diffusione di tecnologie alle istituzioni e ai cittadini, proprio in un'ottica di utilizzo sostenibile delle risorse, della riduzione, o addirittura dell'eliminazione delle emissioni e dei connessi impatti della gestione del territorio. In particolare, l'Agenzia sviluppa scenari e modelli previsionali, effettua valutazioni degli impatti climatico-ambientali dovuti ai sistemi produttivi, svolge attività di ricerca e innovazione nel settore della salute dell'uomo, anche relativamente alla qualità della risorsa idrica. La correlazione tra tutela dell'ambiente e difesa della salute, infatti, è ormai imprescindibile sia nella consapevolezza di ciascun individuo e di ogni collettività, sia nella comunità scientifica.
  L'indagine che abbiamo effettuato, che riguarda la situazione di criticità imputabile al presunto inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, PFAS, nella regione Veneto, offre degli spunti di riflessione per valutare i possibili effetti sanitari nelle popolazioni residenti sul piano della sostenibilità sanitaria, ambientale, istituzionale e sociale. Passo ora ad alcuni cenni su queste sostanze. Le sostanze perfluoroalchiliche sono un gruppo eterogeneo di composti chimici molto stabili. I più comuni sono il PFOA, l'acido perfluoroottanoico, e il PFOS, il perfluoro octano sulfonato. Queste sostanze sono state ampiamente utilizzate in numerosissimi prodotti, come pesticidi, rivestimenti in carta e cartone, detergenti, cere per pavimenti, vernici, schiume antincendio, oli idraulici e altri prodotti. Le applicazioni commerciali più note sono costituite dai rivestimenti antiaderenti delle pentole, il teflon, e dai trattamenti dei tessuti impermeabili e traspiranti, come il Gore-Tex.
  Di conseguenza, questi PFAS rappresentano una classe emergente di inquinanti ambientali, ubiquitari, altamente persistenti e rilevabili in tutte le matrici: acqua, aria e suolo. Essi sono inoltre soggetti a bioaccumulo lungo la catena alimentare. Nel 2009 il PFOS è stato inserito nell'elenco degli inquinanti organici persistenti, cosiddetti POP, come da allegato B della Convenzione di Stoccolma. Per quanto riguarda le vie di esposizioni, la principale per l'uomo è rappresentata dall'ingestione di acqua potabile e di cibo contaminati. Questi non possono essere metabolizzati dai mammiferi ma solo eliminati mediante escrezione e possono attraversare la barriera placentare. All'interno del corpo si legano alle proteine e si distribuiscono principalmente nel siero del sangue, nei reni, nel fegato e sono stati rilevati anche nel latte materno.
  Il tempo di dimezzamento nell'uomo è compreso tra due e nove anni. L'esposizione prenatale è attualmente considerata particolarmente rischiosa per i possibili effetti tossici, in quanto lo sviluppo embrionale Pag. 11 rappresenta una delle fasi più critiche, più suscettibili. L'esposizione cronica a PFOS e PFOA è in grado di indurre tumore al fegato nei ratti ma, fino ad ora, solo il PFOA è stato classificato dall'International Agency of Research on Cancer (IARC) come possibile cancerogeno per l'uomo e inserito, appunto, nel gruppo 2B.
  Gli studi effettuati su popolazioni esposte a PFAS, soprattutto attraverso la contaminazione di acqua potabile, indicano delle associazioni tra PFOS o PFOA e, per esempio, riduzione della fertilità, sia maschile, sia femminile, ipercolesterolemia, alterazione dei livelli degli ormoni tiroidei, disturbo da deficit di attenzione e iperattività, anche se alcune evidenze sono controverse tra i vari studi. Nelle popolazioni residenti in aree altamente contaminate e nei lavoratori esposti professionalmente sono state rilevate associazioni con l'ipertensione in gravidanza, aumenti del livello di acido urico, arteriosclerosi, ischemie cerebrali e cardiache, infarto miocardico acuto e diabete. Per quanto riguarda le patologie tumorali, incrementi del rischio sono stati evidenziati soprattutto nelle popolazioni professionalmente esposte per il tumore del testicolo, del rene, della vescica, della prostata, dell'ovaio, della mammella, del fegato, del pancreas, linfoma non Hodgkin, leucemie e mieloma multiplo.
  In seguito al ritrovamento di queste sostanze nelle acque superficiali, sotterranee e potabili della provincia di Vicenza e di alcuni comuni di province limitrofe, l'agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto ha effettuato dei campionamenti nei punti di monitoraggio della rete regionale delle acque sotterranee. I risultati di questi campionamenti sono stati presentati in due rapporti dell'ARPA, con i valori della concentrazione di queste sostanze per ogni campionamento.
  In un'ulteriore pubblicazione la regione Veneto ha invece indicato i comuni in cui sono messi in evidenza quelli che hanno presenza o superamento di queste sostanze. Per superamento si intendono valori superiori a quelli di performance indicati dall'Istituto superiore di sanità, che sono stati forniti dall'Istituto su richiesta del Ministero della salute, che li ha poi trasmessi alla regione Veneto. Questi livelli di performance corrispondono a concentrazioni minori o uguali a 30 nanogrammi per litro per quanto riguarda il PFOS, minori o uguali a 500 nanogrammi per litro per quanto riguarda il PFOA e minori o uguali a 500 nanogrammi per litro per la somma dei dieci rimanenti PFAS.
  Su questi livelli ci siamo basati per il nostro studio, che è stato eseguito dall'ENEA in collaborazione con l'Associazione Medici per l'ambiente – ISDE, e si basa sui dati relativi alla qualità delle acque forniti da ARPA Veneto. Abbiamo individuato l'area, costituita da 24 comuni, in cui la regione Veneto, nella sua pubblicazione, indica quali di essi hanno superato i livelli di performance per i PFAS; una seconda area che presenta livelli PFOS superiori a quelli di performance, cioè 30 nanogrammi per litro, e che comprende 19 comuni; vi è poi una terza area, di 70 comuni che ci è servita come controllo, con assenza di contaminazione da parte di queste sostanze.
  I comuni in esame appartengono sia alla provincia di Vicenza, sia a quelle di Padova, Verona e Rovigo. Siamo andati a vedere anche lo stato socio-economico dei residenti di ciascun comune perché in epidemiologia si sa che questo parametro influenza lo stato di salute delle popolazioni e viene misurato attraverso l'indice di deprivazione. I comuni che abbiamo incluso nel nostro studio hanno una notevole omogeneità per quanto riguarda questo parametro perché la maggior parte di essi appartiene al gruppo «molto ricco» o al gruppo «ricco»; solo due dei 70 comuni della zona incontaminata sono stati classificati nel gruppo «medio» e «deprivato». Inoltre, normalmente, quando si effettuano studi epidemiologici geografici, per evitare ulteriori fattori di confondimento, si escludono i comuni capoluoghi di provincia. Pertanto, nello studio non sono stati inclusi i comuni di Padova, Treviso e Vicenza.
  Lo studio è stato fatto utilizzando la banca dati epidemiologica dell'ENEA, che contiene i dati di mortalità di fonte ISTAT relativi a tutto il territorio italiano a livello comunale, codificati secondo la classificazione Pag. 12 internazionale delle malattie, le varie versioni delle Classificazioni internazionali delle malattie (ICD), i censimenti decennali delle popolazioni e le loro interpolazioni annuali.
  Quelli utilizzati sono dati di mortalità, gli unici dati sanitari immediatamente disponibili per tutti i comuni italiani. Il quadro delle cause di morte viene, infatti, considerato un indicatore dello stato di salute dei residenti, che ovviamente può essere influenzato anche da diversi fattori confondenti, come la suscettibilità individuale, lo stile di vita, le condizioni socio-economiche, la mobilità delle popolazioni. Viene comunque utilizzato per studi epidemiologici e geografici a vari scopi, per esempio, per caratterizzare lo stato di salute delle popolazioni residenti in particolari aree geografiche; per confrontare la mortalità per alcune cause di popolazioni residenti in aree a diverso grado di esposizione a particolari inquinanti; per confrontare la mortalità di comuni o loro aggregati con la mortalità attesa sulla base, per esempio, della regione o provincia di appartenenza; per formulare ipotesi sulla presenza di fattori di rischio; per monitorare gli andamenti temporali della mortalità, che possono essere anche utilizzati come indicatore di risposta per valutare l'efficacia di azioni di risanamento intraprese tramite le relative politiche ambientali e/o sanitarie.
  Nel nostro studio abbiamo preso in considerazione un certo numero di patologie, selezionate proprio sulla base delle associazioni emerse dalla letteratura scientifica tra esposizione a PFAS e condizioni patologiche. Sono la mortalità generale, il tumore del fegato, il tumore del rene, il tumore della vescica, del pancreas, le leucemie, i linfomi non Hodgkin, il mieloma multiplo, il tumore della mammella, il tumore delle ovaie, il tumore del testicolo, il tumore della prostata, il diabete, le malattie cerebrovascolari, l'infarto miocardico acuto, la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson.
  È, comunque, opportuno sottolineare che tutte le patologie che ho elencato sono a eziologia multipla, quindi possono essere ascritte anche ad altre esposizioni, legate agli ambienti sia di vita, sia di lavoro (oltre che alla suscettibilità individuale) e che, nell'ambito di uno studio geografico descrittivo come il nostro, non è possibile discriminare. Per ogni causa di morte, abbiamo calcolati i decessi, i tassi standardizzati diretti e i rischi relativi, sia negli uomini, sia nelle donne, per il periodo 1980-2011, con l'esclusione del 2004-2005 perché sono dati non disponibili da parte dell'ISTAT.
  Riguardo al rischio relativo, che se volete potete seguire all'allegato 1, tabella 1, la colonna RR, rischio relativo, indica il rapporto tra i tassi standardizzati della zona in cui c'è stato il superamento delle concentrazioni di PFAS e quella con assenza di PFAS. Se questo valore è maggiore di 1 ed è statisticamente significativo – accanto ci sono gli intervalli di confidenza al 95 per cento – questo indica che c'è una maggiore mortalità nei comuni contaminati rispetto a quelli non contaminati.
  Nella tabella 1, per esempio, abbiamo, in entrambi i sessi, eccessi statisticamente significativi per la mortalità generale: un 9 per cento e un 10 per cento in più, rispettivamente, negli uomini e nelle donne; per le malattie cerebrovascolari, abbiamo 22 e 18 per cento, rispettivamente per uomini e donne; per l'infarto miocardico acuto, abbiamo 11 e 14 per cento. Nelle sole donne, invece, nella tabella di sotto, si sono rilevati eccessi significativi anche per il diabete (32 per cento in più) e la malattia di Alzheimer (23 per cento in più), mentre negli uomini c'è una minore mortalità per tumore del fegato, quindi con un RR inferiore a 1 statisticamente significativo. Questo è il quadro per quanto riguarda la zona con superamento PFAS.
  Nella tabella 2, invece, i dati si riferiscono ai comuni in cui è stato indicato un superamento del PFOS, un sottogruppo di comuni rispetto a quello precedente. In entrambi i sessi, di nuovo, abbiamo eccessi statisticamente significativi per la mortalità generale, per le malattie cerebrovascolari, per l'infarto miocardico acuto. Nelle donne, di nuovo, abbiamo eccessi per il diabete e per la malattia di Alzheimer, ma Pag. 13anche per il tumore del rene. Inoltre, come nel caso dell'esposizione a PFAS, c'è una minore mortalità maschile per il tumore del fegato. Abbiamo, però, un eccesso di mortalità per diabete, molto vicino alla significatività sia nei comuni contaminati da PFAS, sia nel sottogruppo con esposizione a PFOS.
  Passo alle considerazioni finali. Da questo studio emerge che nei comuni contaminati da PFAS ci sono degli eccessi statisticamente significativi della mortalità per alcune cause che non andrebbero sottovalutati. La letteratura scientifica suggerisce, infatti, una possibile associazione tra queste patologie ed esposizione a PFAS. Non ripeterò quali sono, ma è opportuno sottolineare che, essendo questo uno studio epidemiologico su base geografica, quindi descrittivo, non può assolutamente dimostrare nessi causali tra l'esposizione alle sostanze in questione e gli effetti che abbiamo rilevato. Inoltre, poiché i PFAS, come abbiamo visto, sono responsabili anche di patologia a bassa letalità, non mortali, uno studio basato sui dati di mortalità non può essere esaustivo per valutare l'impatto sanitario di questi inquinanti. Per questo motivo sarebbe opportuno un approfondimento dell'indagine mediante impiego di flussi sanitari di incidenza di patologie, come le schede di dimissione ospedaliera, i dati del registro tumori e quelli del registro delle malformazioni congenite, che appunto in Veneto esistono. Sarebbe anche importante procedere con indagini di tipo analitico, impiantando, per esempio, degli studi specifici sulle popolazioni residenti nella zona in esame.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERTO ZOLEZZI. La ringrazio per l'esposizione. Dei comuni che avete preso come riferimento, mi pare di capire che i 70 con assenza di contaminazione siano però, comunque, nelle tre province più impegnate da questo sospetto inquinamento: sono tutti gli altri comuni di queste tre province, ad eccezione, appunto, di quelli impattati? Questo dato può essere, secondo me, interessante perché, tanto più in comuni limitrofi, c'è un interesse anche per altre vie di contaminazione, quale può essere la catena alimentare. Oltretutto, i dati che avete portato sono molto significativi ma, confrontandoli con quelli di comuni che in parte potrebbero essere impattati per altre vie, come la catena alimentare, il valore statistico potrebbe essere anche superiore.
  Oltre a queste esposizioni, in altri studi o per altri motivi, avete valutato l'esposizione alimentare o l'esposizione per via aerea di sostanze perfluoroalchiliche? Forse potrebbe essere più significativa per i lavoratori. Ancora, vorrei chiedere se abbiate assunto dati epidemiologici specifici o di altro genere sui lavoratori, nonché un commento su ciò, che poi chiederò a tutti. Parliamo di un fenomeno complesso: l'inquinamento è sospetto, c'è un'azienda sospetta, che però oggi sta continuando a produrre queste molecole. Vorrei un commento su questa persistenza della produzione.

  MARINA MASTRANTONIO, Rappresentante di ENEA. I comuni con assenza di inquinamento, sulla base delle pubblicazioni dell'ARPA Veneto, sono sia in provincia di Padova (pochi), alcuni in provincia di Rovigo e, la maggior parte, in provincia di Treviso. Altri sono nelle province di Venezia, Verona e Vicenza. Non abbiamo in questo studio, che – ripeto – è uno studio descrittivo, preso in considerazione altre vie di esposizione, come quella derivante dall'assunzione di cibo contaminato, ma solo i valori di concentrazione rilevati nell'acqua utilizzata per consumo umano, cioè nell'acqua potabile. Non abbiamo fatto studi sui lavoratori; questi sono studi di popolazione; si basano sui dati ISTAT di mortalità, elaborati con indici epidemiologici appropriati. Non abbiamo fatto studi sui lavoratori, ma abbiamo letto parecchi studi sui lavoratori esposti a queste sostanze, da cui abbiamo anche appreso gli effetti che queste sostanze hanno sulla salute umana. Le patologie che abbiamo indagato derivano in qualche modo dalle Pag. 14osservazioni fatte da studi, oltre che su popolazioni esposte, soprattutto su lavoratori, della DuPont, della 3M e così via.

  GIUSEPPE COMPAGNONE. Dottoressa, la ringrazio per il buon lavoro svolto. Lei dice che, essendo uno studio descrittivo, non dimostrate il nesso causale tra i dati rilevati e le patologie che si manifestano. Mettendo però a confronto i dati statistici tra le diverse popolazioni, quelle in cui non sono superati determinati limiti e quelle in cui lo sono, con il fatto che nelle popolazioni in cui questi si superano c'è la risultanza di maggiori patologie, si dimostra il nesso causale! Credo che quest'argomento sia importante per capire che cosa fare: questo è dirimente.
  Se infatti dimostriamo questo nesso, possiamo fare due cose: capire dove sono le responsabilità e, al di là del fatto che molte cose si conoscono dopo, comunque prenderne atto, ma, soprattutto, evitare che si continui a fare male, mettendo in campo tutto ciò che può servire per evitare che la situazione si aggravi. Ecco perché credo che questo discorso sia dirimente e fondamentale. Alla luce delle vostre conoscenze e dei vostri rapporti, secondo lei che cosa si può mettere in campo per evitare che ci sia un aggravamento della situazione? Mettendo in campo determinate azioni si può dimostrare ancora di più il nesso causale! Se metto in campo delle azioni mirate, vedrò poi i risultati, per esempio, nell'arco dei cinque anni successivi.

  MARINA MASTRANTONIO, Rappresentante di ENEA. Il punto non è che sia uno studio descrittivo ma, soprattutto, che le patologie per cui vediamo eccessi statisticamente significativi, come dicevo, possono essere anche causate da altri fattori eziologici: non è questo tipo di studi che può dimostrare con assoluta certezza che ci sono nessi di causa ed effetto.
  Certo, parlo da epidemiologa, ogni volta che ci troviamo di fronte a questo tipo di risultati, delle ipotesi comunque vanno fatte e verificate. Per verificarle – rispondo come ricercatrice – si possono fare ulteriori studi di tipo analitico, in cui l'esposizione viene misurata e si sa quali sono le persone. Sono però studi anche abbastanza lunghi e «costosi». Non come ricercatrice, ma come cittadina, direi che comunque andrebbero presi dei provvedimenti sull'acqua.

  PRESIDENTE. Vorrei chiedervi tre cose. Avete pubblicato il lavoro? Se sì, su quale rivista? Il lavoro vi è stato commissionato o vi siete attivati autonomamente come ente perché vi interessava? Siete a conoscenza del fatto che il vostro lavoro sia stato utilizzato in qualche procedimento di carattere giudiziario?

  MARINA MASTRANTONIO, Rappresentante di ENEA. Non l'abbiamo pubblicato ancora. Vorremmo farlo prossimamente, anche arricchendolo. Non ci è stato commissionato da nessuno. È nato dalla collaborazione con i Medici per l'ambiente. Quanto alla terza domanda, a me non risulta.

  RAFFAELLA UCCELLI, Rappresentante di ENEA. Vorrei aggiungere che l'ENEA ha in atto un protocollo d'intesa con l'Associazione Medici per l'Ambiente, per cui operiamo spesso in collaborazione per effettuare degli studi, che chiaramente hanno un interesse sanitario e ambientale, in linea con gli obiettivi che persegue sia l'Associazione medici per l'ambiente, sia l'ENEA.
  È nata questa richiesta e, ben volentieri, con la nostra banca dati epidemiologica ci siamo prestati a effettuare questa valutazione, che è, appunto, uno studio geografico che permette in tempi relativamente brevi di avere una base di partenza per stimare la pericolosità o meno di una situazione, anche se non è in grado, come ha detto la collega, di confermare nessi causali.

  ALBERTO ZOLEZZI. Relativamente alla popolazione esposta e non esposta, credo si parli di circa 600.000 non esposti. Giusto per un criterio statistico, non è che quei comuni considerati avevano magari qualche altro criterio particolare, per cui ne sono stati scelti 70 in tutto il Veneto? Pag. 15Era giusto per avere una rappresentatività del territorio regionale?

  MARINA MASTRANTONIO, Rappresentante di ENEA. Noi ci siamo basati sulle pubblicazioni della regione Veneto e dell'ARPA Veneto per le acque profonde, in cui si indicano per ogni punto di monitoraggio i valori delle concentrazioni di queste sostanze. Da queste due pubblicazioni abbiamo individuato i comuni in cui non c'è assolutamente inquinamento, nel senso di PFAS uguale a zero, nonché di PFOS e PFOA. Questi 70 comuni derivano, quindi, dall'analisi di queste tabelle pubblicate da ARPA Veneto.

  ALBERTO ZOLEZZI. Sono tutti i comuni del Veneto in cui c'è PFAS uguale a zero?

  MARINA MASTRANTONIO, Rappresentante di ENEA. Esatto, dove è stata fatta la misurazione, dove, cioè, ci sono i punti di monitoraggio.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, vi ringraziamo per il contributo. Prima di salutarci do la parola al dottor Edoardo Bai, presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano.

  EDOARDO BAI, Presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano. Per rispondere anche alla sua domanda, vi racconto perché è nato ISDE. Uno dei medici interessati alla questione di Vicenza, che conoscerete tutti, è il dottor Cordiano, presidente ISDE di Vicenza. Costui, siccome aveva studiato la letteratura e si era preoccupato della cosa, ha chiesto ausilio a noi di Milano, precisamente a me, che sono stato direttore del dipartimento di prevenzione dell'ASL di Melegnano, e a Paolo Crosignani, un epidemiologo dell'Istituto tumori. Per questo abbiamo approfittato della convenzione con ISDE. Secondo me vi interessa sapere che le autorità prendevano in mano la situazione nel 2013 e già conducessero, all'epoca, un'indagine sullo stato di salute della popolazione per l'esposizione a questi prodotti per via alimentare. Siccome non ci è stata data risposta, abbiamo preso i primi quattro comuni con un'elevata concentrazione di PFAS e che avevamo sottomano grazie alle pubblicazioni dell'IRSA (Istituto di ricerca sulle acque) e abbiamo fatto un'indagine di mortalità, di carattere descrittivo, come ha già detto la collega: ne sono emersi dati preoccupanti.
  Su questo ho scritto a tutte le autorità, cioè alla regione e all'Istituto superiore di sanità, a tutti i comuni (chi più ne ha, più ne metta), dicendo che non avevamo nessuna volontà, l'ENEA e noi, di dire una parola definitiva (anche perché quattro comuni con 5.000 abitanti sono pochi) ma che quello era un campanello d'allarme. Visto che i soldi sono pochi, avevamo anche suggerito che era possibile fare un'indagine a spesa zero. Se affidata a qualche esperto che non bara, servono 5-10.000 euro per questo. È possibile, infatti, sfruttare i dati sanitari, già tutti informatizzati, le SDO e il registro tumori, non per un'indagine descrittiva come la nostra, ma per un'indagine di incidenza, non solo sulla mortalità ma anche sulla morbilità.
  In realtà, si è orecchiato che questi PFAS sono cancerogeni ma l'effetto principale non è quello cancerogeno, bensì quello di un'altra specificità di questi composti, la quale, al contrario dell'effetto cancerogeno, nessuno mette in dubbio perché già abbondantemente dimostrata: l'essere interferenti endocrini. I danni causati dagli interferenti endocrini sono molto peggiori di quelli del cancro. Sono quelli legati all'attivazione del metabolismo e all'interferenza sul sistema ormonale, già nell'utero. Questa è una cosa preoccupante, che andrebbe indagata. Nell'utero si hanno due effetti principali, di cui uno sul sistema sessuale. Di solito sono degli estrogeni che hanno un'azione di carattere estrogenico, qualcuno anche androgenico, come la diossina. Nascono, infatti, più femmine che maschi a Seveso proprio per quest'attività.
  Il secondo effetto, più preoccupante, è che esse agiscono sulla tiroide, dando delle alterazioni, laddove la tiroide è essenziale per lo sviluppo del sistema nervoso dei Pag. 16bambini in utero. Queste cose vanno accertate. Anche su questo è possibile fare un'indagine con poca spesa. Anche su questo, infatti, esiste un registro delle malformazioni presso le ASL. Abbiamo, quindi, la fortuna di poter fare un'indagine con poca spesa. Era quello che avevo suggerito a tutte le autorità ma non mi hanno neanche risposto (ci sono anche rimasto un po’ male). Non voglio fare io l'indagine, ma vorrei che questa si facesse. Io non posso farla, in quanto questi dati sono tutelati dalla privacy. Noi abbiamo potuto fare solo quella sulla mortalità perché erano gli unici dati che avevamo, altrimenti l'avremmo fatta. Io sono fortemente interessato al tema.
  Un'altra motivazione è che, secondo me, siamo nel quarantesimo anniversario della diossina ma questa vicenda non ci ha insegnato niente. I PFAS sono esattamente come la diossina, un po’ meno tossici, nel senso che la loro tossicità si misura in nanogrammi, che però vuol dire miliardesimi di grammi, mentre quella della diossina si misura in picogrammi, mille volte inferiore. Quella del cromo, però, o degli altri cancerogeni, si misura in microgrammi, quindi mille volte meno tossici di questi composti. Questo è per darvi un'idea.
  Sono state misurate queste sostanze anche nel grasso degli orsi polari, il che vuol dire che hanno ormai invaso il mondo. In realtà, vi è un dato di confondimento, cioè un livello nel sangue di PFAS ritenuto ormai normale perché diffuso in tutto il mondo, che cioè è dappertutto. È, dunque, un inquinante universale.
  Questa cosa è importantissima, tanto che un gruppo di 200 scienziati, che non sono pochi, ha mandato un appello ai Governi nella Carta di Madrid chiedendo di proibire la produzione dei PFAS, anche dei 4C. La Miteni ha prodotto, fino al 1992 se non sbaglio, i PFOA e i PFAS; adesso non li produce più. Si utilizzano dei derivati del butano, cioè del carbonio A4, che tutti dicono siano meno tossici, ma prove non ce ne sono. Nella Carta, infatti, si dice che 4 o 8 non importa per il principio di precauzione.
  Vorrei anche sottolineare che mi ha lasciato perplesso il fatto che il presidente Zaia abbia parlato di cifre come un miliardo di euro per il monitoraggio della popolazione a rischio, circa 400.000 persone con i PFAS nel sangue, dato stimato dall'Istituto superiore di sanità, ma immagino che lo saprete: a me sembra una follia.
  Non so quanto sia vero e non so neanche da parte di chi, ma è stato già fatto un progetto. Pare che con 150 milioni, un costo molto inferiore, si scavino dei pozzi in zone non inquinate. Sarà stata fatta male l'indagine sulle mucche e sui pesci, ma hanno trovato 35.000 nanogrammi, cioè concentrazioni molto alte (in particolare, nelle uova hanno trovato più di 100.000 nanogrammi). Quei quattro prelievi, fatti male, fatti in zona, non sono tranquillizzanti neanche per gli alimenti, oltre che per l'acqua, che è un alimento. Secondo noi di ISDE, l'intervento più urgente, che va fatto prima, anche accanto alle analisi ma anche senza analisi, se siamo convinti di farlo, consiste nell'eliminare alla radice il rischio che questi composti compaiano nell'acqua potabile e negli alimenti, cioè scavando dei pozzi di acqua pulita: non c'è altro da fare. Non importa fare il monitoraggio della popolazione.
  Visto che non ci davano retta, quando sono uscite le analisi dell'ARPAV pubblicamente abbiamo deciso di procedere su un numero più notevole di popolazione, cioè quelle 150.000 persone esposte, esclusi i capoluoghi di provincia, come diceva la collega. Questa cosa ha un peso maggiore. Altro è, infatti, fare un'analisi su 5.000 persone, che può anche venire male per determinati motivi, ma più allarghiamo il numero degli esposti e più quello che emerge è un dato quasi certo (non diciamo certo). Questa seconda analisi, infatti, ha avuto ed ha un peso molto diverso dalla prima: la prima era un campanello d'allarme, questa è un indizio molto forte. L'analisi descrittiva non è definitiva, ma è molto indicativa. In fondo, stiamo parlando di qualcosa come quattro milioni e mezzo di anni/uomo, contando tutti gli esposti dal 1980 al 2011, quindi, un bel numero di anni/uomo. L'osservatorio statistico è potente, Pag. 17 non è qualcosa che può essere ignorato facilmente.
  Abbiamo poi ribadito che, secondo noi, più che la sorveglianza sanitaria sugli esposti, che ci dà solo l'indicazione se vi sono PFAS o meno, non altro, va fatta un'indagine precisa sull'incidenza anche delle malattie che non abbiamo potuto esaminare. Con le indagini dei morti non si vedono, infatti, le malattie che non fanno morire, come le alterazioni della tiroide, le malformazioni dei bambini, il diabete. Questa cosa andrebbe fatta. Per l'ultima domanda, visto che non ci rispondevano le autorità, in realtà sono state fatte, almeno che sappia io, tre denunce alla magistratura: una dal Movimento 5 Stelle, una dai comitati di Vicenza e una da Legambiente a Verona (un po’ troppo, forse, come denunce ed esposti).
  Io ho volentieri consegnato a questi gruppi – l’advocacy è uno dei punti fermi dell'azione dell'ISDE – l'indagine svolta con l'ENEA perché la presentassero per una ragione giuridica. Il procuratore di Vicenza si era già espresso molto chiaramente al riguardo, nel senso che, siccome PFAS e PFOA non hanno un limite di legge, non vi era violazione di legge. Un'altra delle attività che utilizza PFAS per il trattamento sono le pelli. La provincia è piena di pelliccerie ma, in realtà, l'unica fabbrica che utilizza PFAS in grandissime quantità, paragonabile alla Miteni per inquinamento, è la Solvay in Piemonte, che sversa nella Bormida.
  Le analisi nella Bormida hanno rilevato concentrazioni di PFAS anche più alte di quelle ritrovate nella roggia in cui versa adesso il collettore, che dai tre depuratori di zona raccoglie tutte le acque della zona e le porta fino a Cologno Veneto. Hanno quindi riversato questo tubone, come lo chiamano, in Fratta-Gorzone, un piccolo fiumicello...

  PRESIDENTE. Sappiamo tutto.

  EDOARDO BAI, Presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano. Sapete che ci sversano anche le concerie e che, in realtà, quella cosa – l'abbiamo portata anche in televisione – è un versamento del tutto fuorilegge (non so come facciano, non solo la Miteni ma anche tutte le concerie della zona). È una cosa veramente micidiale, ci tenevo a dirlo.

  ALBERTO ZOLEZZI. Per capire, nello studio epidemiologico non c'erano già delle misurazioni anche delle sostanze perfluoroalchiliche a catena corta. Noi dobbiamo anche provare a dare una risposta. Lei, dottor Bai, ha spiegato che anche queste sostanze a catena corta, verosimilmente, avranno gli stessi effetti: c'è già qualche studio relativo alla presenza di sostanze a catena corta nell'ambiente? Essendo anche più solubili, probabilmente arriveranno presto, se non ci sono già.

  EDOARDO BAI, Presidente della sezione ISDE – Associazione medici per l'ambiente di Milano. Gli studi sui C8 sono iniziati nel 1968. I primi sono stati fatti tra gli operai della DuPont e della 3M. A proposito, per rispondere alla sua domanda, c'è un'indagine – ma lo saprete – sugli operai della Miteni, da parte del dottor Costa e della Clinica del lavoro: si sono trovati dei livelli pazzeschi di PFAS nel sangue, il più alto di 90.000. È una cosa che non sta né in cielo né in terra!
  Hanno trovato anche due alterazioni tipiche per l'effetto induttore enzimatico di queste sostanze, ossia la glicemia alta, il diabete e la colesterolemia alta. È per quello che ci siamo preoccupati di accidenti cerebrovascolari e di infarto. Se lei va dal medico e gli dice che ha il colesterolo alto, le dà subito le endostatine perché è a rischio l'apparato cardiocircolatorio. Questa è la catena importante, secondo me la più importante, per l'adulto. Per il nascituro, invece, è un'altra cosa. Quanto ai C4, sono pochissimi: li stanno facendo ma ci sono molti meno dati. Quanto ai C8, conoscete già l'indagine nell'Ohio, nella Virginia, dove è stato trovato un aumento dei tumori del rene e del testicolo – trovato anche da noi – e un aumento di alcune malattie, trovate anche da noi. Questa è un'altra delle cose che ho dimenticato di dire e che rafforzano la potenza dello studio effettuato. Pag. 18 Guarda caso, ci sono due studi soli sull'uomo, due incidenti soli nel mondo – grossi così – e tutti e due danno lo stesso tipo di risposta. Lo IARC classifica lo studio di Virginia 2B di PFAS e questo è già un miracolo perché lo IARC non accetta mai di classificare un composto per un solo studio (per ovvie ragioni, ne servono due).
  L'altro tema che ha interessato l'ISDE, che probabilmente dovrebbe interessare anche voi benché scientifico, è che lo IARC sta rivedendo il parere sui PFAS. L'Italia ha la fortuna, anche se è una disgrazia, di indagare e di dare una risposta quasi definitiva sui PFAS nel momento in cui lo IARC sta rivedendo il giudizio. È evidente quanto questo sia importante dal punto di vista tecnico-scientifico. Questo può cambiare il giudizio 2B, che può diventare 2A (non credo per l'uomo perché ce ne vogliono moltissimi) e anche questo è un elemento, a mio avviso, interessante in questo discorso.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, ringrazio tutti voi per la disponibilità e per la presenza. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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