XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 18 febbraio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ MINORILE

Audizione di rappresentanti del CENSIS.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 
Vaccaro Concetta , responsabile del settore welfare del CENSIS ... 2 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 7 
Mattesini Donella  ... 7 
Vaccaro Concetta , responsabile del settore welfare del CENSIS ... 8 
Zampa Sandra (PD)  ... 9 
Vaccaro Concetta , responsabile settore welfare e salute del CENSIS ... 10 
Zampa Sandra (PD)  ... 10 
Vaccaro Concetta , responsabile settore welfare e salute del CENSIS ... 10 
Iori Vanna (PD)  ... 11 
Vaccaro Concetta , responsabile settore welfare e salute del CENSIS ... 11 
Granaiola Manuela  ... 11 
Vaccaro Concetta , responsabile settore welfare e salute del CENSIS ... 11 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12 

ALLEGATO: La povertà come carenza di opportunità ... 13

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.50.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del CENSIS.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà minorile, l'audizione di rappresentanti del CENSIS.
  Do quindi la parola alla dottoressa Concetta Vaccaro, responsabile del settore welfare del CENSIS, che ringrazio per la partecipazione.

  CONCETTA VACCARO, responsabile del settore welfare del CENSIS. Grazie presidente, sono io che ringrazio voi per questa opportunità, anche perché il tema che state affrontando pur essendo poco di moda, è sempre più di attualità, quindi, è molto importante che si sia scelto di approfondirlo nell'ambito dei lavori parlamentari.
  L'approccio del CENSIS è, in generale, quasi sempre multidimensionale, a maggior ragione per un tema come la povertà, un tema dagli aspetti molteplici, che non possono non essere presi in considerazione tutti insieme. Tuttavia, per brevità ho scelto di soffermarmi su due temi in particolare.
  Nella prima parte del mio discorso vorrei soffermarmi di più sul rapporto fra le condizioni di povertà individuali, dei familiari di minori e delle loro famiglie, considerando altresì le condizioni di svantaggio dei contesti sociali, economici e di vita che caratterizzano i luoghi in cui questi minori vivono, cioè il rapporto biunivoco tra condizioni individuali di povertà e condizioni di disagio, degrado sociale ed economico dei territori di residenza.
  L'altro aspetto attiene ad una definizione di povertà che ho voluto mettere nel titolo del documento, cioè la povertà come carenza di opportunità, talvolta addirittura come assenza di opportunità, laddove la condizione di povertà è in grado di impattare su tante dimensioni della vita quotidiana (anche dimensioni inaspettate possono esserne condizionate).
  Ho messo in evidenza, ad esempio, l'aspetto della condizione di salute, laddove ancora oggi, nell'era del paziente informato, dei progressi della medicina, della sconfitta di situazioni patologiche anche molto gravi, purtroppo, vige ancora la vecchia regola secondo cui la salute è fortemente determinata dalle condizioni sociali ed economiche.
  L'aspettativa di vita, la possibilità di ammalarsi e di superare le malattie dipende moltissimo dalla condizione sociale ed economica delle persone. Questo è un dato strutturale che, nonostante tutti i progressi della scienza medica, non siamo stati in grado di superare. Su questo aspetto focalizzerò la seconda parte dell'intervento, per mettere in luce l'esigenza Pag. 3di sviluppare una serie di piccoli tasselli che contribuiscano a garantire opportunità e a superare il divario sociale che si riflette in tutti gli ambiti della vita quotidiana.
  Immagino conosciate questi dati perché avete già audito l'ISTAT, quindi non mi soffermo sul numero delle famiglie in condizioni di povertà. Ho però portato con me delle slides che mettono a confronto due indicatori, che ora vi mostro. Questa è la condizione italiana rispetto all'incidenza delle famiglie in povertà relativa: le regioni più scure sono quelle in cui l'incidenza è maggiore, mentre l'altra cartina è frutto di uno studio del CENSIS in cui si analizzano le regioni sulla base del loro livello di sviluppo socio-economico. Anche qui, per comodità di lettura, le zone più scure sono quelle dove lo sviluppo è meno elevato. Si constata una quasi sovrapponibilità tra le due cartine, a testimoniare in modo netto come queste 3.232.000 famiglie che vivono in condizioni di povertà relativa siano concentrate in territori in cui lo sviluppo socio-economico, le opportunità di vita e di lavoro sono tendenzialmente meno elevate. Credo che l'immagine sia abbastanza impressiva.
  So che conoscete questi dati, però mi sembrava interessante mettere in luce come il tratto più scuro delle regioni meridionali corrisponda ad un 26 per cento di famiglie in condizioni di povertà relativa (praticamente, più di una famiglia su quattro) e, soprattutto, ci sia un andamento in crescita. Questo trend crescente, infatti, è sempre più marcato, con un impatto delle condizioni di crisi economica che diventa più forte proprio nelle zone più deboli.
  L'altra questione è quella dei minori, tema su cui avete scelto di soffermare l'attenzione. Nelle famiglie numerose l'incidenza della povertà diventa significativamente maggiore rispetto alla media delle famiglie italiane. Nelle famiglie cosiddette «numerose» (ormai quelle con tre figli sono già considerate tali, quindi, mi vanto di appartenere a questa minoranza), le famiglie povere sono il 28,5 per cento, mentre al Sud il 40 per cento delle famiglie «numerose» vive una situazione di povertà relativa. I dati della povertà assoluta non cambiano: voi li avete già, però ci tenevo a focalizzarli attraverso la rappresentazione grafica, perché rendono la gravità della situazione, evidenziando la crescita esponenziale della povertà man mano che cresce il numero di figli e dei minori presenti in famiglia.
  Mi sembrava interessante mettere in luce come anche alcune zone del territorio nazionale, che ci sembravano esenti da queste condizioni di contesto sociale e lavorativo più deprivato, comincino ad essere a rischio. La tabella successiva mostra due graduatorie a confronto: quella che vedete all'inizio, Indicatore sintetico del disagio nella crisi, colloca in una graduatoria, che indica un disagio da zero a cento, alcune province italiane; ci sono anche le province caratterizzate da un tessuto produttivo significativo (Pesaro-Urbino, Livorno, Rieti, Varese, anche province del nord produttivo).
  Si tratta di province in cui l'impatto della crisi si è tradotto in un significativo peggioramento della condizione economica, sociale e produttiva. Nonostante nella graduatoria generale del disagio non siano in una posizione elevata – anzi, stiano ancora abbastanza bene – l'impatto della crisi è stato particolarmente significativo proprio in queste ultime. La corrispondenza tra disagio sociale e povertà individuale, quindi, può essere un rischio anche in zone del territorio nazionale tradizionalmente esenti da questa problematica.
  Vero è – questo grafico lo dimostra in modo estremamente impressivo – che il peso delle condizioni strutturali rimane forte. Questa è l'incidenza della povertà relativa per titolo di studio della persona di riferimento e per ripartizione geografica. Quando un capofamiglia ha un titolo di studio basso o medio-basso, la probabilità che al Sud abbia una condizione di povertà arriva al 34 per cento, contro il 10 per cento circa del Nord e del Centro.
  Quello che secondo me è impressionante è il fatto che anche tra coloro che hanno un titolo di studio elevato (laurea o Pag. 4diploma), la possibilità di essere poveri raggiunga il 15 per cento, contro il 3-3,5 per cento del Nord. Questo dato evidenzia quanto pesi il contesto, in quanto avere un diploma o la laurea al Sud non è sufficiente a evitare il rischio della povertà, sebbene si abbiano strumenti migliori per accedere a un livello di vita e di reddito superiore.
  Poiché dicevamo all'inizio che la povertà è multidimensionale, ho voluto darvi qualche esempio di cosa significhi essere una famiglia economicamente deprivata. Questi sono indicatori europei: si definiscono severamente deprivate da un punto vista economico le famiglie che si trovano in almeno quattro di queste situazioni.
  Anche qui la percentuale di famiglie del Sud è sistematicamente più elevata: qui parliamo di famiglie che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro; il 50 per cento delle famiglie italiane non si può permettere le ferie, avere arretrati per mutuo, affitto, bollette o altri debiti, non riesce a fare un pasto adeguato, non riesce a scaldare adeguatamente l'abitazione. Nel caso in cui siano presenti i minori, queste percentuali sono tendenzialmente più elevate.
  All'inizio mettevamo in luce come la situazione sia sistematicamente peggiore per chi ha più figli. Questa è l'immagine generale, però teniamo conto del fatto che ci sono anche profonde differenziazioni strutturali relative al territorio. Ad esempio, a fronte delle situazioni più gravi delle famiglie meridionali, le più povere delle quali sono quelle con tanti figli, in alcune zone del nord del Paese la situazione è diversa: le più povere sono le famiglie monogenitoriali, ad esempio, frutto delle separazioni.
  Si tratta di un fenomeno articolato, molto condizionato da fattori strutturali, culturali ed economici dei luoghi di residenza. Qui passiamo al secondo aspetto che desidero sottolineare, ossia la definizione di povertà come assenza o carenza di opportunità, che è la chiave per comprendere come la povertà possa impattare su una serie di ambiti che non ci aspetteremmo coinvolti in modo così significativo dalla situazione economica. Questo è un punto sottovalutato. Spesso, infatti, il divario sociale si traduce in un divario di salute che, nonostante i progressi della medicina e i livelli di offerta sanitaria nel nostro Paese, non siamo ancora riusciti a colmare.
  Ho voluto sottolineare un dato che si riferisce a una delle patologie più fortemente condizionate dai fattori sociali, il diabete. Nel grafico in alto si vede la prevalenza del diabete nelle regioni italiane e il gradiente Nord/Sud è molto chiaro: a fronte di una media del 5 per cento, le regioni del Sud hanno tassi di prevalenza del diabete più elevati.
  Se guardiamo l'altro grafico, che riporta la prevalenza di due fattori di rischio importanti, come l'obesità e il sovrappeso, ci rendiamo conto che questa graduatoria risulta di nuovo sovrapponibile, perché le regioni del Sud hanno una quota decisamente più alta di cittadini obesi o in sovrappeso, quindi a rischio di ammalarsi di diabete.
  Mi sembrava interessante mostrarvi i risultati di questo studio del Ministero della salute riguardante i bambini di 8-9 anni che frequentano la terza elementare. Alcune regioni, quelle in rosso, evidenziano in questa fascia d'età un 40 per cento in condizioni di eccesso ponderale, cioè di bambini non necessariamente obesi. La stima è di circa 1.100.000 bambini in eccesso ponderale, di cui 400.000 obesi, ma sono proprio le regioni del Sud ad avere una presenza maggiore di bambini con questo fattore di rischio per la salute.
  Naturalmente, su questo elemento incidono diversi aspetti: in primis l'aspetto economico, ma anche l'aspetto culturale che non va sottovalutato (mia mamma, quando mi sento male, mi chiede sempre se ho mangiato !), come pure una diversa idea del bello, per cui il bambino «cicciotello» viene considerato un bambino in salute.
  L'elemento che volevo mettere in luce è di nuovo quello connesso al tema, cioè la situazione di povertà. Nelle regioni del sud del Paese abbiamo un modello che assomiglia, Pag. 5sempre di più, a quello dei Paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare a favore di un consumo eccessivo del cosiddetto junk food, il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale (per intenderci, quello dei fast food ma non solo), che però ha un costo basso.
  È interessante questo shift che riguarda le nostre regioni meridionali, laddove è come se si sovrapponesse a una tradizione culturale una deriva che ha un'origine economica molto marcata, connessa ai fenomeni di povertà, di maggiore disagio sociale ed economico di queste regioni con il modello del Sud del mondo.
  In questa dimensione è oggi importante la diversa propensione al controllo dei fattori di rischio. Adulti e anziani, giovani e vecchi al Sud in misura maggiore, non fanno alcuna attività fisica, mentre in qualunque cittadina del Nord Italia la mattina si vedono parecchie persone che corrono o camminano velocemente.
  Mi interessa sottolineare, però, non tanto – e non solo – l'aspetto culturale, ma proprio l'aspetto delle opportunità, perché nella scuola primaria si fanno due ore di educazione fisica alla settimana (fatta dalle maestre), tranne il caso di un recente progetto attivato dal MIUR per introdurre nella scuola primaria i docenti di educazione motoria (questa, però, è una sperimentazione, quindi, un'attività ancora limitata).
  Bambini piccoli, proprio per la deprivazione economica, sono quindi totalmente sottratti alla possibilità di fare sport. Questo è uno dei fattori di rischio che impattano su tutta la dimensione di salute, sulla prevalenza di malattie non trasmissibili che sono sistematicamente più elevate in certe condizioni sociali ed economiche.
  Da questo punto di vista, la scuola dovrebbe essere un'opportunità, perché la maggior parte dei bambini italiani pratica attività sportive extrascolastiche, quindi, attività che sono dipendenti dalla disponibilità economica delle famiglie: così, una quota consistente di bambini viene sistematicamente tagliato fuori da queste opportunità.
  Questi sono, infine, i dati ISTAT degli italiani che dichiarano di essere in buona salute o di avere delle malattie. Non c’è una grossa differenza tra le varie zone del Paese rispetto alla quota di italiani che si dichiarano in salute o dichiarano di avere una malattia, ma la differenza sta nella quota di chi dichiara di essere in buona salute nonostante sia un malato cronico: si va dal 46 per cento del Nord-Ovest, al 47 per cento del Nord-Est, al 45 del Centro, al 36 per cento del Sud e al 39 per cento delle isole. La differenza non sta nell'essere ammalati, ma nella capacità di compensare la propria situazione di malattia.
  Dico questo perché esiste un problema nell'offerta sanitaria e socio-assistenziale per compensare questo divario, che è il punto evidenziato anche a proposito della scuola. L'intervento pubblico, che non deve essere settoriale ma deve riguardare tutti i settori di competenza, dovrebbe avere, quando l'obiettivo è rispondere ai problemi di povertà dei minori, l'obiettivo di colmare questo divario ma molto spesso la sanità non ci riesce.
  Questa è l'offerta sanitaria differenziata sul territorio: di nuovo, le regioni marcate in bianco sono quelle che hanno livelli di qualità di offerta meno elevate. Non ci dobbiamo stupire, quindi, che il contesto, congiunto con la condizione economica individuale delle famiglie con minori, abbia un impatto nel determinare le opportunità concrete di vita.
  Questo dato è emerso nella recente indagine dell'Associazione Trentino e Save the children, che stima i bambini di 14-15 anni (una fascia ristretta) in condizione di lavoro. Alcuni di questi bambini lavorano presso le attività dei genitori, ma quote interessanti lavorano anche per conto terzi, in contesti di deprivazione economica, ambiti in cui è più facile il lavoro dei minori (il terziario, l'alberghiero, il bambino che lavora al caffè piuttosto che al negozio).
  Il lavoro minorile, che non è più di moda, è invece un elemento che può impattare sulle opportunità di vita, insieme alla scuola che, spesso, nel nostro Paese, è un'occasione mancata, non riuscendo Pag. 6ad incidere su quel divario sociale che avrebbe tutti gli strumenti per colmare. Vi mostro alcuni indicatori di questa difficoltà di sopperire al disagio sociale. Questo è un dato sugli alunni in ritardo. Quelli più in ritardo sono quelli che hanno maggiori problemi nell'ambito della popolazione scolastica, cioè i bambini non italiani. Quel 23 per cento di ragazzi iscritti alla scuola secondaria di secondo grado, ma in ritardo, costituisce un dato da non sottovalutare, così come gli alunni a rischio di abbandono nella scuola dell'obbligo.
  Qui parliamo di bambini delle scuole medie, essendo a rischio di abbandono tutti gli alunni che non frequentano più da tempo e non hanno dato comunicazione formale della motivazione. Questa è la dizione tecnica del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Di nuovo, si vede la differenza tra le regioni e, di nuovo, drammaticamente, si vede un territorio nazionale in cui, seppure con intensità differenti, c’è un problema di uscita precoce dei minori dal circuito scolastico.
  Questa che vi mostro, invece, è l'uscita precoce di quelli che hanno fatto il salto, cioè hanno provato a iscriversi alla scuola superiore ma sono rimasti dentro il circuito scolastico solo il primo anno, senza poi iscriversi al secondo. Qui, nell'articolazione territoriale c’è una maggiore uniformità e si deve tenere conto anche della dimensione del tessuto produttivo, in quanto è più facile trovare lavoro in certe zone del territorio nazionale senza un titolo di studio elevato, ed è quindi più facile uscire precocemente dai circuiti scolastici, ma con un effetto netto di riduzione delle opportunità.
  Quello era un dato sulla popolazione scolastica, questo che vi mostro ora, invece, è un dato sulla popolazione tout-court: in Italia il 17,6 per cento dei ragazzi dai 18 ai 24 anni ha, al più, la licenza media e non frequenta altri corsi scolastici o altre attività formative. Anche qui, il gradiente Nord/Sud è abbastanza presente; peraltro, l'abbandono scolastico è uno degli indicatori considerati tra gli obiettivi di Europa 2020, quindi, uno dei criteri su cui si valuta la nostra capacità di sviluppare risorse umane e di migliorare la condizione generale del Paese. Tuttavia, siamo nella parte bassa della graduatoria, prima di Portogallo, Malta e Spagna, dove i giovani che hanno abbandonato prematuramente gli studi sono in quota percentuale maggiore.
  L'ultimo dato di questo tipo che vi mostro, di cui si sente parlare sui giornali in questi giorni, riguarda i famosi NEET, cioè i ragazzi non impegnati in alcuna attività, ovvero che non stanno studiando, non stanno lavorando, non stanno facendo attività di formazione, ma stanno a casa o in giro per il mondo.
  Si tratta di un fenomeno in crescita: siamo arrivati, mediamente, al 23,9 per cento nella popolazione tra i 15 e i 29 anni, quindi, oltre 2 milioni di ragazzi si trovano in questa condizione, con la maggiore presenza di ragazzi in questa condizione al Sud, dove il contesto più difficile ha un impatto di sistema.
  Qui vorrei mettere in luce anche una questione di genere perché, mentre i dati sull'abbandono scolastico non fanno registrare una prevalenza netta delle bambine o delle ragazze sui ragazzi, quando si tratta di persone escluse da qualsiasi circuito, sia formativo che lavorativo, si constata come le donne anche nel Nord del Paese si trovino maggiormente in questa condizione indistinta, in questo limbo. Spesso, anche quando hanno studiato, le donne sono spinte di nuovo verso l'ambito domestico: tutto ciò, ancora oggi, per una donna sembra tutto sommato meno grave di quanto non sia per un uomo, con buona pace di tutto quello per cui molti dei presenti hanno lottato.
  Questa è l'ultima diapositiva, perché parlando di povertà come carenza o assenza di opportunità vorrei mettere in luce come questa forte connessione tra elementi strutturali di contesto ed elementi di povertà individuale abbia un impatto che non ci si aspetterebbe. Non si tratta solo delle diverse opportunità quotidiane, perché l'impatto è anche sulla possibilità di Pag. 7vivere più o meno a lungo, che mi sembra il fattore discriminante per antonomasia.
  Qui le donne sono messe meglio, per fortuna, ma per motivi biologici e questo è un dato ottimista calcolato oggi (ma non è detto che con le nuove generazioni si ottenga lo stesso risultato, perché ci potrebbe essere una perdita di anni di vita). Mi pare, però, abbastanza evidente che già oggi la speranza di vita in Campania sia significativamente più bassa rispetto a quello che si rileva nelle altre zone del Paese. Avere minori opportunità significa avere minori opportunità sul serio, anche minori opportunità di anni di vita.
  Proprio per questo impatto multidimensionale su tutti gli aspetti, credo sia importante che qualunque intervento pubblico tenga conto di questa multidimensionalità e, parafrasando quello che l'Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea a proposito della salute, laddove raccomanda «the health in all policies», dico qui che la salute deve entrare in tutte le politiche. Credo che le azioni per i minori e a tutela del disagio dei minori debbano entrare in tutte le politiche, cioè seguendo le mamme dalla fase prenatale al sostegno successivo nei vari contesti di vita, fino alla questione veramente strategica della scuola.
  La scuola in Italia è veramente una grandissima opportunità, ma spesso è un'opportunità mancata, che si ferma in superficie, senza riuscire a diventare un fattore in grado di compensare i gap iniziali. È quindi necessario un percorso multidimensionale, che affronti il tema del disagio e della povertà minorile sotto tutti gli aspetti e che abbia come obiettivo quello di dare a tutti la capacità di prendere in mano la propria vita, cosa che il soggetto pubblico dovrebbe sforzarsi di fare un po’ di più.
  Permettetemi un piccolo richiamo. Voi, meglio di me, conoscete nel dettaglio la rilevanza con cui nel nostro Paese si parla di famiglia, di obiettivi di sostegno alle famiglie e quanto, invece, le nostre politiche familiari, al di là di alcune conquiste importanti (come il congedo parentale), queste siano veramente molto frammentate, molto episodiche, non in grado di sostenere realmente la volontà della coppia, degli individui e delle donne, soprattutto con riferimento alla possibilità per costoro di svolgere una funzione come quella della genitorialità, una funzione sociale che spesso, invece, viene lasciata alla buona volontà dei singoli, i quali solo con le loro risorse talvolta non riescono a fare fronte a questo compito così importante e gravoso. Mi fermerei qui, rimanendo a disposizione per eventuali approfondimenti o domande. Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DONELLA MATTESINI. Questi dati purtroppo coincidono con tante altre ricerche e ci consegnano una realtà che coincide con quanto viviamo, con le note differenziazioni tra regioni.
  Mi interessano molto tre questioni. Una riguarda questa differenza di genere anche sulla povertà, che è poco indagata. Ringrazio, quindi, il CENSIS perché, rispetto a tutte le indagini che ho avuto modo di considerare, è una delle poche volte che tale elemento viene segnalato, mentre sappiamo bene quanto questa differenza segni gli individui.
  Partendo dalle politiche per i minori, pur condividendo il fatto che i minori dovrebbero rappresentare una lente con cui guardare tutte le politiche nello sviluppo della vita di ogni persona, questa della povertà di genere è un punto particolarmente significativo, per cui, forse, varrebbe la pena approfondirla, in quanto riguarda l'accesso alla scuola, ai servizi, riguarda l'organizzazione della vita familiare anche rispetto all'uso del tempo per bambini e bambine.
  L'altra questione riguarda la salute, perché sappiamo da tempo che tale tema è un grande elemento di disuguaglianza, perché a seconda della storia personale e territoriale, la salute, intesa come accesso ai servizi, presenta notevoli differenze. Questo è un tema reale e dovremmo essere capaci di superare quel gap.Pag. 8
  Lei ha citato l'esempio del diabete e, provenendo dalla Toscana, tempo fa ho preso visione di una ricerca fatta dalla Regione secondo cui, facendo un percorso a ritroso nelle fasce di popolazione colpite da malattie mentali o malattie degenerative, ci si imbatte in una povertà di accesso ai servizi.
  Questo è un tema veramente serio, che ha a che fare con i diritti dei bambini ma anche con il futuro del nostro Paese, perché sappiamo quanto la tenuta di compatibilità del sistema sanitario nazionale pubblico sia fondamentale. Forse, anche qui, nel nostro ruolo di commissari, potremmo trovare, proprio partendo dai bambini, un ulteriore elemento di rafforzamento rispetto a questo ragionamento.
  Mi premeva, inoltre, sottolineare che parliamo sempre di povertà materiali o di occasioni mancate ma esiste una povertà straordinaria sulla quale non mi sembra ci sia la debita attenzione: la povertà relazionale e la povertà affettiva dei minori. Questa segna profondamente lo svantaggio, nonché una percezione sbagliata della propria identità, anche perché stiamo analizzando il tema del cyber bullismo e della violenza in generale: il fatto che in età sempre più precoce e in modo sempre più forte si rilevi un atteggiamento di violenza, non solo in gruppo ma anche come difficoltà, dovrebbe essere maggiormente indagato, perché ravviso in questo, prima ancora che nella deprivazione materiale, l'emergenza che stiamo vivendo.
  Non sono soltanto singoli fatti di cronaca a preoccupare, perché l'uso smodato di Internet fa sì che ormai, nascosta dietro al web, ci sia un'inaudita violenza verbale, che non può essere casuale. Se non indaghiamo anche su tale aspetto, partendo dal patrimonio culturale relativo alla costruzione di se stessi, della percezione del rapporto tra stessi e il resto, rischiamo di vanificare le politiche da attuare sulla deprivazione materiale. Se non partiamo dalla persona, rischiamo di offrire delle opportunità che però non diventeranno un tutt'uno con l'individuo che ne beneficia.
  Penso che questo sia un punto importante e vorrei sapere se il CENSIS ha lavorato a ciò o intenda lavorarci. Si tratta, infatti, di un settore sul quale dovremmo tutti ragionare maggiormente, perché nel considerare globalmente la vita di un minore, e quindi la politica in tutti gli aspetti, questo è il DNA dal quale partire.

  CONCETTA VACCARO, responsabile del settore welfare del CENSIS. Intanto, grazie per queste sollecitazioni che mi vengono dal vostro attento ascolto. Ammetto che la differenza di genere sia un mio pallino personale, per ovvi motivi di genere. Anche se lei sa benissimo che l'ISTAT ha tutto un progetto per sviluppare le statistiche di genere, è un tema che, purtroppo, viene tendenzialmente sottovalutato.
  Condivido profondamente quello che lei ha detto sulla questione relativa alla povertà di genere. Cercando di entrare in questa dimensione più ampia e complessa del concetto di povertà e facendo alcuni esempi che riguardano ricerche che abbiamo fatto in vari ambiti, è come se le bambine e le donne avessero minori possibilità, non tanto minori elementi che favoriscano il loro processo di crescita, di avanzamento, di miglioramento delle condizioni di vita. È come se talvolta esse non riuscissero neanche a iscriversi alla gara, che è peggio: è un blocco che parte da prima !
  Il discorso dei NEET mette in luce una specie di rinuncia che riguarda anche le donne. Sapete che i nostri livelli di istruzione sono migliorati negli anni e che le ragazze hanno recuperato e sono più brave, tanto che in alcune facoltà il salto è già avvenuto e le ragazze che si laureano sono più numerose dei ragazzi, però poi il blocco del percorso di crescita individuale e professionale è un elemento che continua a penalizzare in misura maggiore le donne. Non è un caso, infatti, che in questa Commissione ci siano solo donne o comunque siano la maggioranza, perché nel nostro Paese i minori sono ancora una questione che attiene alle donne.
  Se non realizziamo questo salto culturale, non riusciremo a ribellarci al fatto Pag. 9che quelle che restano di più a casa, quelle che non partecipano alla corsa sono proprio le donne. Nel mio mestiere è di estrema importanza provare a sviscerare le differenze di genere, perché queste ultime ci fanno capire il maggior numero di ostacoli e di difficoltà che le donne affrontano quotidianamente. C’è proprio un'ingiustizia esistenziale che si reitera in tutti gli ambiti della vita collettiva.
  Il tema della povertà relazionale e affettiva e del cyber bullismo è un tema assolutamente strategico, uno degli elementi che va posto come priorità. Quando parlavo di scuola, ad esempio, mi riferivo alla scuola come un luogo, non solo di trasmissione dei saperi ma anche di socializzazione. Per questo motivo ritengo che sia una grande occasione talvolta mancata.
  Abbiamo realizzato uno studio sul bullismo in alcune regioni meridionali, perché era un progetto europeo che coinvolgeva le regioni meridionali. Stiamo provando a sviluppare ulteriormente questo tema. Fra l'altro, ho partecipato alle prime attività di un Osservatorio nazionale su bullismo e doping, realizzato da una serie di campioni olimpici, che lavora in accordo con il MIUR e sta provando a sviluppare la cultura dello sport come elemento in grado di aiutare lo sviluppo cognitivo e relazionale dei ragazzi.
  Lo sport è un'occasione per uscire da famiglie talvolta problematiche e provare a migliorare la propria condizione. In questo studio è emerso in modo molto netto quanto lei evidenziava: la vittima non è solo chi subisce l'atto di bullismo ma, nella maggior parte dei casi, anche il piccolo bullo è una vittima a sua volta, è uno che ha paura, che cerca di affermare se stesso nella forza del gruppo e ha subìto violenza, in quanto dietro certi comportamenti c’è una complessità psicologica che andrebbe sicuramente approfondita.
  Noi ci stiamo muovendo su questa strada, anche perché è una delle dimensioni della vita quotidiana dei ragazzi, poveri e non, che viene maggiormente sottovalutata, ma che invece ha la capacità di influire sullo sviluppo cognitivo e relazionale delle future generazioni, quindi, è uno degli obiettivi che ci siamo posti e speriamo di poter sviluppare ulteriormente.
  Molti dei ragazzi che stanno per ore davanti al computer appartengono a famiglie in cui i genitori hanno difficoltà a conciliare i loro impegni lavorativi e le loro attività professionali. Le cito un esempio di vita quotidiana. In passato, ho fatto parte di associazioni di volontariato che si occupavano di bambini a rischio e una delle cose che dovevamo insegnare a questi ragazzi era che la mattina bisognava alzarsi a quell'ora, che avendo preso un impegno erano responsabili di portarlo a compimento, quindi, era un'educazione alla responsabilità e all'impegno, prima di tutto nei confronti di se stessi, una cosa non così automatica in certi contesti sociali e in certe condizioni di deprivazione.
  Ribadisco, quindi, che il percorso deve cominciare dall'inizio e deve essere quanto più possibile articolato, multiforme per essere efficace. Se ci fermiamo a un tassello, forse risolviamo il problema di chi non può riscaldare la casa, ma non riusciamo ad affrontare altre questioni altrettanto gravi.

  SANDRA ZAMPA. Vorrei, innanzitutto, ringraziarla per questa interessante e ricca relazione, che darebbe moltissimi spunti di dibattito tra di noi, anche sulle innumerevoli possibilità di lettura trasversale di questi dati, che tra l'altro coincidono tragicamente con quanto l'ex vice Ministro Guerra ci aveva riferito in questa sede, anche riguardo al fatto che stanno diminuendo le differenze tra NORD e SUD, posto che sta peggiorando la situazione al NORD.
  Sono molto colpita, a questo riguardo, dalla tabella sul rischio trasversale, che però penso sia relativa a dati 2008-2011, laddove vedo che l'indicatore sintetizza variazioni di un set di elementi molto ampio: le confesso che trovare nell'elenco Modena mi sorprende molto, così come anche Pesaro-Urbino, Livorno, Rieti, Varese. Pag. 10Vorrei capire, quindi, se queste rilevazioni riguardino anche famiglie di immigrati.
  La ringrazio molto per avere scorporato il dato di genere, perché è davvero il segno di un grande fallimento. Qui noi abbiamo due segnali di fallimento: uno è quello che ha cominciato a riguardare la scuola, che è stata per molti della mia generazione – certamente, di quella prima della mia – la vera, grande opportunità, corrispondendo davvero a quanto la nostra Costituzione prevede circa la rimozione degli ostacoli.
  Per molti, anche i poveri, andare a scuola ha significato la possibilità di raggiungere posizioni sociali anche di alto livello, mentre oggi questo sta diventando sempre più difficile, probabilmente perché la scuola, a sua volta, è ormai isolata e non c’è più una rete. Questa tabella del rischio trasversale sembra confermarlo, perché se città come Modena rientrano in questo elenco, significa che, evidentemente, c’è anche un grande isolamento, che qualcosa nel sistema del welfare non scatta.
  L'altro segnale di grave fallimento è il dato di genere, perché la discriminazione sulle donne resta ancora molto grande. Benché apparentemente sia l'unica rivoluzione del 1900 ad aver avuto successo, se i nostri bambini e i nostri adolescenti vivono ancora queste disparità, siamo lontani dal poterci dichiarare soddisfatti del punto di arrivo.

  CONCETTA VACCARO, responsabile settore welfare e salute del CENSIS. Sì, sono d'accordo con quanto ha detto e cercherò di illustrare meglio questa tabella, che ho voluto inserire perché mi sembrava importante andare al di là della classica omologazione Sud/disagio/povertà, in quanto anche in alcune zone del nord, più ricco ed evoluto, si rilevano condizioni di deprivazione economica e sociale.
  L'indicatore è costruito sulla base di alcuni indicatori strutturali, però abbiamo fatto una differenziazione temporale, cioè abbiamo analizzato nell'ambito del primo indicatore – quello del disagio da crisi – l'andamento negli anni della crisi, per valutare il livello di peggioramento di situazioni come la disoccupazione, la riduzione del reddito, il tasso di criminalità.
  Per il disagio complessivo di tipo sociale ed economico abbiamo considerato le tendenze di lungo periodo. Abbiamo interpretato i posizionamenti alti nella graduatoria come effetto della crisi, per cui più un territorio partiva da condizioni alte, più ha subìto un impatto in termini di variazioni della propria condizione in negativo. Per Pesaro-Urbino è evidente come ci sia l'effetto della crisi del settore produttivo delle Marche e questa è la logica con cui abbiamo costruito l'indicatore.

  SANDRA ZAMPA. Vorrei farle un'altra domanda. Uno dei problemi che ci viene evidenziato e che comincio a considerare tale è che l'ISTAT non ha una rilevazione specifica sull'infanzia. Vorrei sapere se lei non ritenga necessaria, essendovi una trasversalità di problemi che attraversano l'infanzia e l'adolescenza, una cabina di regia anche a livello di Governo, perché se certamente la Commissione bicamerale è un luogo da cui dovrebbero avere inizio dei percorsi legislativi, in realtà l'Esecutivo è altrove ! Forse, sarebbe necessario enucleare un luogo dove l'insieme degli interventi possa essere pensato.

  CONCETTA VACCARO, responsabile settore welfare e salute del CENSIS. Ritengo che l'approccio debba considerare tutto il percorso di vita, dall'inizio alla fine. In questo senso, le politiche familiari dovrebbero avere un ruolo strategico. Naturalmente, non sono un'esperta, sono un tecnico, però credo che l'approccio con cui si guarda alle politiche familiari sia importante. Nella nostra tradizione legislativa, ad esempio, il primo intervento importante è stato quello degli asili nido, che era un intervento per le donne (è proprio scritto nella dizione legislativa).
  Naturalmente, ben vengano gli asili nido – che mi guardo bene dal considerare un elemento negativo nelle nostre politiche sociali – però è importante questo Pag. 11accenno all'impostazione e per questo temo gli approcci settoriali, perché il rischio è di considerare la questione come una faccenda di bambini, mentre le politiche per la famiglia sono politiche per migliorare la condizione complessiva di tutti i cittadini.
  Considero importante l'occhio con cui si guarda al problema e sono perfettamente d'accordo sull'esigenza di una cabina di regia che ricostruisca il percorso, perché non posso immaginare le politiche per i minori come politiche destinate solo a una fascia di età. Devono invece essere immaginate come politiche destinate a un complesso di interventi, partendo dalle politiche sociali, dalle politiche sanitarie, dalle politiche urbane (non ci dimentichiamo che esiste anche quel problema). La prima volta che ho messo mano a una carrozzina, mi sono accorta di quanto fosse invivibile il contesto urbano, pur non particolarmente deprivato, nel quale vivevo.
  Esiste un problema di contesto generale, che va però visto nell'ottica del mio obiettivo, che è quello di migliorare la condizione dei minori e delle loro famiglie. Considero necessario avere un occhio in grado di guardare ai diversi aspetti. Vedo il rischio della settorializzazione perché, se si considerano tali politiche «da donne» o di «serie B», in quanto politiche della famiglia, non faremo quel passo avanti che lei, giustamente, considera irrinunciabile.

  VANNA IORI. La slide che lei ci ha presentato apre il tema degli spazi urbani per fare sport. Vorrei chiederle se esistano – se come CENSIS abbiate elaborato o siate in grado di darci qualche indicazione – dati relativi alla fruizione di spazi urbani non edificati, di spazi verdi in cui i ragazzi possano fare sport, dato che ciò sarebbe complementare a questo discorso che stiamo facendo, per valutare se tali ragazzi non pratichino sport per ragioni culturali o per mancanza di condizioni urbanistiche per poterlo fare.

  CONCETTA VACCARO, responsabile settore welfare e salute del CENSIS. Per entrambe le cause ! Noi abbiamo fatto uno studio sulla fruizione degli spazi urbani, che non so a quando risalga ma che sarà mia cura eventualmente farvi pervenire.
  Sulla questione della fruizione dell'attività sportiva credo di aver sottolineato l'importanza di questo aspetto sia da un punto di vista tecnico, che è quello della salute, sia da un punto di vista relazionale e di costruzione della personalità (un aspetto spesso sottovalutato).
  Rispetto alle motivazioni, però, ci sono diversi elementi da mettere in luce. Intanto, per quanto riguarda la scuola, trovo ingiustificabile che non si utilizzi l'opportunità della scuola per intensificare questo tipo di attività, migliorarne la qualità e anche usufruire degli spazi scolastici, i quali, invece, vengono utilizzati per un uso privato. Bisognerebbe mettere a disposizione gli spazi scolastici anche per attività extrascolastiche, non necessariamente a pagamento. Sulla questione, invece, degli spazi urbani tout-court, mi riservo di fare una verifica sul livello di aggiornamento di questi dati per capire se siano utili.

  MANUELA GRANAIOLA. Vorrei avere una precisazione sulla slide relativa al rischio crisi trasversale, che ci ha spaventato. Abito nella provincia di Lucca e questo dato mi lascia davvero sorpresa. L'indicatore sintetizza i dati, ma vorrei chiederle se sia possibile avere delle tabelle in base al tasso di disoccupazione e di immigrazione, se sia cioè possibile avere la specifica di quella che è stata la sintesi.

  CONCETTA VACCARO, responsabile settore welfare e salute del CENSIS. Naturalmente, questa tabella è tratta da un lavoro più generale, che è già riportato nel Libro verde che il CENSIS pubblica ogni anno, di cui posso fare avere copia agli uffici.
  Come tutti gli indicatori sintetici, questo utilizzato ha lo svantaggio di sintetizzare condizioni anche molto diversificate, ma tuttavia coglie la questione, ovvero come la crisi cominci ad avere impatti significativi anche in territori ricchi o con un tessuto produttivo e sociale di alto livello. Questo è il senso dell'indicatore.Pag. 12
  È evidente che in alcuni contesti – la Toscana è sicuramente uno di questi – in cui c’è una concentrazione significativa di popolazione immigrata, ci può essere anche un effetto dovuto alla presenza degli immigrati, i quali peraltro, al nord, hanno avuto il merito di tenere alto il tasso di natalità, che altrimenti sarebbe miseramente crollato negli ultimi anni. Abbiamo, infatti, un tasso di ricambio ridicolo, posto che nell'ultimo anno il rapporto fra nati e morti evidenzia un Paese in declino demografico e questo è un elemento preoccupante quando parliamo di sviluppo e di futuro.

  PRESIDENTE. Grazie, naturalmente metteremo la relazione a disposizione degli altri membri della Commissione. Visto il numero delle indagini conoscitive che abbiamo avviato e la trasversalità del CENSIS su tutti gli argomenti del perimetro entro cui ci muoviamo, credo che le dovremo riformulare un altro invito, perché il contributo che il CENSIS può apportare a questa indagine è molto prezioso.
  Nel ringraziare la dottoressa Concetta Vaccaro, responsabile settore welfare e salute del CENSIS, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

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