XVII Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 9 di Giovedì 3 aprile 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Di Gioia Lello , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FUNZIONALITÀ DEL SISTEMA PREVIDENZIALE PUBBLICO E PRIVATO, ALLA LUCE DELLA RECENTE EVOLUZIONE NORMATIVA ED ORGANIZZATIVA, ANCHE CON RIFERIMENTO ALLA STRUTTURAZIONE DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Audizione del professor Felice Roberto Pizzuti e del professor Angelo Pandolfo.
Di Gioia Lello , Presidente ... 3 
Pizzuti Felice Roberto  ... 3 
Di Gioia Lello , Presidente ... 5 
Pandolfo Angelo  ... 5 
Di Gioia Lello , Presidente ... 7 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal professor Felice Roberto Pizzuti ... 8

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LELLO DI GIOIA

  La seduta comincia alle 16.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Felice Roberto Pizzuti e del professor Angelo Pandolfo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato alla luce della recente evoluzione normativa e organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare, del professore Felice Roberto Pizzuti e del professore Angelo Pandolfo.
  Come sapete, stiamo conducendo un'indagine conoscitiva per ciò che riguarda i problemi della previdenza sia di primo sia di secondo pilastro. Nella prossima settimana procederemo inoltre alla costituzione di un «tavolo tecnico» dove discuteremo principalmente dei fondi pensione e della possibile utilizzazione delle risorse finanziarie detenute dagli stessi in progetti di investimento e di crescita per il Paese, e per i cui lavori è previsto anche il vostro autorevole contributo.
  Proporrei quindi che nel corso della odierna seduta illustraste le vostre relazioni, dopodiché le opportune osservazioni da parte dei commissari potranno avere luogo nel corso degli ulteriori incontri che avremo sin dalla prossima settimana.

  FELICE ROBERTO PIZZUTI. Avendo già prodotto alla Commissione una dettagliata relazione, concentrerò il mio intervento all'analisi della previdenza complementare, limitandomi a dire relativamente all'assetto complessivo del sistema previdenziale come per lo stesso pur essendosi conseguito un aggiustamento sotto il profilo della sostenibilità finanziaria grazie alle riforme degli ultimi decenni, permane tuttavia un problema in termini di sostenibilità sociale.
  Per quanto riguarda la parte della previdenza complementare, sulla base del fatto che questa copre un 25 per cento dei lavoratori, rispetto agli obiettivi governativi che erano del 40, e che questa previdenza riesce a coprire categorie che già sono più coperte dal sistema pubblico, cioè persone di una certa età che hanno già una buona anzianità contributiva e buoni risparmi, e quindi c’è un difetto in questo senso, tuttavia uno dei problemi della nostra previdenza complementare è che si inserisce in una specificità del nostro sistema economico e finanziario caratterizzato da un basso numero di imprese quotate in borsa e da una borsa molto ristretta.
  Dal combinato disposto di questi due aspetti deriva che oltre il 70 per cento dei capitali gestiti dalla previdenza complementare è investito all'estero, quindi è risparmio previdenziale che va ad alimentare sistemi economici a noi concorrenti.Pag. 4
  Cosa fare per cercare di attirare un po’ più nel nostro sistema i capitali dei fondi ? Nel dibattito che già si è molto sviluppato, si intravedono due strade o, perlomeno, sono due le strade su cui maggiormente si discute. Pongo a premessa che i fondi pensione di previdenza complementare attualmente gestiscono 113 miliardi di euro e ogni anno questa cifra si incrementa di circa 10 unità per il fatto che esistono nuove contribuzioni. Come dicevo, di questi 113 miliardi, più del 70 per cento va all'estero e la parte rimanente è investita prevalentemente in titoli di Stato.
  Si potrebbe, anzitutto, stimolare i fondi pensione a individuare nuove forme di finanziamento alla pubblica amministrazione, che potrebbe dare delle garanzie di stabilità e sicurezza dei rendimenti. Con questi fondi si potrebbe lavorare in maniera condivisa tra le parti istitutive dei fondi (che per quanto riguarda i negoziali sono imprese e sindacati) e la pubblica amministrazione, dando luogo a un discorso di democrazia economica e istituzionale, di cui più c’è bisogno nel nostro sistema economico per incrementare quelle infrastrutture economiche e sociali da due decenni molto trascurate.
  Un piano del genere avrebbe l'interesse della pubblica amministrazione in quanto fonte aggiuntiva di finanziamento, il che contribuirebbe a ridurre le disponibilità del bilancio pubblico e anche ad abbassare i tassi di interesse visto che i titoli sarebbero allocati nel mercato con un acquirente in più di grande importanza. Dall'altro lato, i fondi avrebbero una sicurezza legata al fatto che questi soldi sarebbero prestati a un imprenditore abbastanza sicuro.
  Naturalmente, questi prestiti dovrebbero essere impiegati in modo da non rientrare nei vincoli comunitari di deficit del debito pubblico. Questo sarebbe possibile se il prenditore di questi prestiti non fosse direttamente un ente pubblico, ma ad esempio Cassa depositi e prestiti.
  In tal caso, le garanzie sarebbero evidentemente abbastanza solide, ma questi soldi che entrassero nella disponibilità della Cassa depositi e prestiti non rientrerebbero in quelli che sono considerati ai fini del deficit del debito pubblico e rappresenterebbero un'entrata per finanziare queste attività infrastrutturali. Questa è la prima strada, che trovo particolarmente interessante.
  Una seconda strada è quella di consentire ai fondi pensione di investire direttamente nel sistema economico, di creare dei credit fund, dei fondi di credito, che acquisterebbero i cosiddetti mini bond, con i quali si potrebbero finanziare piccole e medie imprese. Siamo, infatti, in una situazione in cui specialmente le piccole e medie imprese hanno scarsissima disponibilità di fondi.
  Tuttavia, è evidente che rispetto al primo strumento (prestiti diretti alla pubblica amministrazione) gli elementi di garanzia e di stabilità sarebbero molto meno certi. Inoltre, se i fondi pensione investono direttamente in un fondo comune, è abbastanza probabile che possano innescarsi problemi di conflitti di interesse. Cose del genere, purtroppo, sono già successe in altri Paesi.
  La mia ultima considerazione è che non bisogna mai dimenticare che anche i fondi pensione fanno parte del sistema pensionistico, che fa parte del più generale sistema di sicurezza sociale. Ora, i sistemi di sicurezza sociale, oltre a svolgere funzioni di equità e solidarietà, svolgono anche la funzione economica molto importante di stabilizzazione sociale.
  Quando il ciclo economico va giù, gli stabilizzatori sociali ritirano in qualche misura su l'economia. Se, però, gli stabilizzatori sociali sono alimentati, finanziati dallo stesso canale che alimenta il mercato, quando il mercato va giù, c’è il rischio che anche le fonti di finanziamento e gli stabilizzatori vadano giù e verrebbe meno la possibilità di funzionare da ammortizzatori sociali. Spingere, quindi, i fondi pensione nella direzione di contribuire allo sviluppo dell'economia italiana è auspicabile, ma tenendo conto anche di questo loro importante compito. Pag. 5È per questo che il primo canale, nel mettere insieme pubblica amministrazione, imprese e i sindacati attorno a un tavolo per un discorso di democrazia economica istituzionale, corrisponderebbe anche a questo obiettivo.
  Avrei molte altre cose da aggiungere su come, purtroppo, non funzionano al meglio le regolamentazioni dei fondi pensione, ma voglio accennare almeno a un aspetto. In questo momento, i fondi pensione devono ogni anno comunicare ai propri lavoratori quale sarà la loro pensione. La COVIP obbliga tutti i fondi pensione a un prospetto informativo compilato sulla base di regole secondo le quali, ai soggetti che saranno per 20-30 anni ancora lavoratori, si prospetta una pensione come se i loro risparmi renderanno per tutto il periodo il 4 per cento reale di interesse se investiti in azioni e il 2 per cento reale più inflazione se investiti in obbligazioni.
  Questi rendimenti non stanno né in cielo né in terra. Questo significa che i fondi pensione sono costretti a dire ai lavoratori che la loro pensione sarà molto più cospicua di quanto effettivamente potrà essere. Questo avviene a rischio di essere scambiato per millantato credito, e ritengo quindi che costringere imprese e sindacati a dire ai propri lavoratori una cosa molto lontana dal vero sia molto pericoloso.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Pizzuti per il suo intervento e cedo quindi la parola al professor Pandolfo.

  ANGELO PANDOLFO. Anche io mi concentrerò sulla previdenza complementare e, da giurista, formulerò delle considerazioni un po’ di cornice, di quadro normativo, per arrivare a valutazioni che possano essere anche fonte di indicazione per il lavoro da continuare su questa tematica. Sottolineo anche io la considerazione finale del professor Pizzuti sull'aggiustamento del quadro normativo.
  Come parla della previdenza complementare la legislazione o, più in generale, cosa dice di se stesso il sistema normativo relativo alla previdenza nel suo complesso ? A partire dalla riforma Amato, la legislazione dice di se stessa che ci sarà una prestazione pensionistica adeguata in quanto il pensionato avrà un trattamento complessivo risultante dalla somma di una pensione di base più un secondo addendo o la pensione complementare.
  Peraltro, come mi sembra importante sottolineare, la previdenza complementare non soddisfa interessi meramente privati, ma quanto meno interessi socialmente rilevanti. La Corte costituzionale in più occasioni si è espressa in maniera molto impegnativa dal punto di vista della riflessione che da sempre, dall'entrata in vigore della Costituzione, c’è stata a proposito della previdenza sociale, in particolare nell'interpretazione/valutazione dell'articolo 38 della Costituzione.
  Secondo la Corte costituzionale, infatti, i fondi pensione e la previdenza complementare si pongono nell'alveo dell'articolo 38, secondo comma, come ben sappiamo il luogo della previdenza sociale, di quella che deve assicurare ai lavoratori prestazioni adeguate alle esigenze di vita in caso di infortunio o malattia, ma per quanto ci riguarda in questa sede in caso di vecchiaia e la cui adeguatezza realisticamente – dopo la riforma Amato e ancora di più dopo la riforma attuata con la legge n. 335 del 1995 – non può stare su un solo pilastro, ma su due.
  Qui emerge però un grosso problema. Mentre la previdenza dell'INPS è obbligatoria, la previdenza complementare è invece volontaria, e a questa aderiscono maggiormente i lavoratori più vicini alla pensione, che magari hanno buona parte della pensione calcolata col sistema retributivo, e che astrattamente ragionando sarebbero quindi quelli che ne hanno meno bisogno.
  Penso che non si possa assistere passivamente a tale miopia previdenziale dei giovani, tanto più che nell'area dell'occupazione Pag. 6giovanile i rapporti di lavoro sono spesso anche discontinui. A mio modo di vedere, quindi, non si può eludere il problema dei meccanismi; molto è stato fatto con il cosiddetto silenzio/assenso, ma a mio giudizio bisogna fare qualche passo in più, ed è questo un aspetto che può costituire momento di approfondimento e confronto nei successivi incontri che avremo.
  Aggiungo che per il tema della previdenza complementare c’è stato effettivamente un momento magico, con l'ipotesi di messa in campo di specifici incentivi fiscali volti a premiare la fedeltà del lavoratore a forme di contribuzione volontaria, ed è quindi un merito di questa Commissione aver rimesso al centro dei propri lavori un tale tema che era stato un po’ accantonato.
  Vorrei anche sottolineare il legame col sistema degli ammortizzatori. Si parla di nuovo di una riforma degli ammortizzatori sociali. È chiaro che la tentazione di utilizzare, anche quando non c’è il fondo pensione, il TFR come una sorta di ammortizzatore sociale serve a far sopravvivere, nell'attesa di un nuovo posto di lavoro perché si è perso quello precedente, un riscatto alla posizione costituita all'interno del fondo pensione, ed è tanto più forte quanto meno adeguato è l'ammortizzatore sociale in caso di disoccupazione.
  Siccome almeno nella delega ci sarà il problema delle risorse, si parla anche di irrobustimento del livello dell'ammortizzatore sociale in caso di disoccupazione; è chiaro tuttavia che bisogna compiere uno sforzo per ridurre la discontinuità lavorativa e portarla a livelli fisiologici, e andrebbe studiato qualche meccanismo che faccia restare iscritti al fondo anche per un contratto di soli 6 mesi o un anno. Questo è fondamentale, soprattutto se dobbiamo attrarre maggiormente i giovani lavoratori all'interno del sistema complementare.
  Nell'avviarmi alla conclusione, intendo inoltre ricordare che la possibilità dei fondi pensione di investire nell'economia reale, in particolare quella nazionale, è già prevista dal vigente quadro legislativo. L'articolo 6 del decreto legislativo n. 252 del 2005 prevede addirittura delle possibilità di gestione diretta di risorse accumulate presso il fondo pensione.
  Si tratta, è vero, di una gestione diretta per modo di dire perché si tratterebbe di investimenti che non passano attraverso convenzioni di gestione con operatori professionali, ma comunque passerebbero a investimenti in società immobiliari, una formula tutta da interpretare. In ogni caso, sarebbero investimenti vuoti di organismi di risparmio collettivo, chiusi, immobiliari, che comunque sono delle forme di risparmio gestito.
  A mio avviso, evidentemente, bisognerà riflettere anche su questa normativa, rimasta negletta che io sappia, mai attuata, ma che eventualmente, magari con qualche perfezionamento legislativo, potrebbe essere attivata.
  Anche io penso quindi che siano tante le cose da approfondire, ma sottolineo un aspetto evidenziato all'inizio: il problema fondamentale delle adesioni. Visto, infatti, il ruolo rilevante, arrivo a dire quasi pubblico, della previdenza complementare, bisogna individuare dei meccanismi.
  D'altra parte, cosa è successo col silenzio/assenso ? Riporto delle testimonianze anche da valutazioni di COVIP: alla fine, col silenzio/assenso si potrebbe diventare iscritti a un fondo pensione per un automatismo perché ci si è distratti, sono trascorsi 6 mesi e si è diventati iscritti di quel fondo, di fatto senza una scelta volontaria.
  In realtà, il meccanismo dell'adesione tacita ha funzionato in pochi casi, mentre ha costretto soprattutto il lavoratore a riflettere sulla convenienza o meno dell'adesione alla previdenza complementare, per cui sotto questo aspetto il fenomeno è risultato interessante. Non sono state molte, dunque, da questo punto di vista adesioni «inconsapevoli», di chi non sapesse che si stava esaurendo il semestre Pag. 7e si è ritrovato iscritto. Si è costretto, invece, i lavoratori ad aderire esplicitamente e questo è incoraggiante, fermo restando che è chiaro che aderisce più facilmente il lavoratore con un livello retributivo più elevato, ed anche in virtù di ciò va posta la giusta attenzione alla discontinuità lavorativa visti gli effetti che la stessa determina anche sull'adesione o non adesione ai fondi pensione.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i professori Pizzuti e Pandolfo per la loro partecipazione, dispongo che la documentazione prodotta dal professor Pizzuti sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.35.

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