Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI
Audizione dell'Ispettore generale capo dell'Ispettorato Generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato, Salvatore Bilardo, del dottor Alessandro Pajno, Consigliere di Stato, e del professor Giovanni Tria.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato Generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato ... 3
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6
Pajno Alessandro , Consigliere di Stato ... 6
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14
Tria Giovanni , Professore ordinario di economia politica dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata ... 14
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 20
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA
La seduta comincia alle 9.50
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione dell'Ispettore generale capo dell'Ispettorato Generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato, Salvatore Bilardo, del dottor Alessandro Pajno, Consigliere di Stato, e del professor Giovanni Tria.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle Commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi, l'audizione dell'Ispettore generale capo dell'Ispettorato Generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato, Salvatore Bilardo, del dottor Alessandro Pajno, Consigliere di Stato, e del professor Giovanni Tria.
Il dottor Salvatore Bilardo è accompagnato dalla dottoressa Alessandra Bonifazi e dal signor Marco Brozzi, funzionari dell'Ispettorato.
Darei subito la parola al dottor Bilardo per lo svolgimento della relazione.
SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato Generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato. Consentitemi preliminarmente di ringraziare il presidente e la Commissione per l'opportunità che viene data alla Ragioneria generale dello Stato di esporre le proprie riflessioni su un tema delicato per la finanza pubblica, che è quello dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali.
Tra i vari quesiti posti nell'ambito dell'indagine conoscitiva inizierei da una valutazione complessiva della situazione dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali. Veniamo da un momento difficile, dovuto alla scarsità di risorse pubbliche che ha interessato l'ultima fase della finanza pubblica e ha creato non poche situazioni di conflittualità.
L'anno 2014 può tuttavia costituire per noi un anno di svolta, una nuova stagione nei rapporti, soprattutto alla luce dell'intenso lavoro che ha portato nella seconda metà dell'anno 2014 alla sottoscrizione di accordi con le varie autonomie speciali, ad eccezione della Valle d'Aosta con cui il confronto è ancora in atto e vi è la speranza che si possa pervenire a un accordo analogo a quello raggiunto con le altre autonomie speciali.
Perché questi accordi sono importanti per la finanza pubblica secondo il punto di vista della Ragioneria generale dello Stato ? Perché hanno toccato punti fondamentali del percorso della finanza territoriale nel nostro Paese. Possiamo ricondurre a tre concetti fondamentali: la definizione del concorso finanziario delle autonomie speciali alla finanza pubblica; Pag. 4l'impegno delle regioni ad assumere come regola incontestabile il pareggio di bilancio come definito dalla legge n. 243 del 2012, attuativa del nuovo articolo 81 della Costituzione, l'impegno delle regioni ad acquisire nei propri territori – quindi con riferimento ai propri bilanci ma anche con riferimento ai bilanci di tutti gli enti locali del proprio territorio – le nuove regole di contabilità degli enti territoriali introdotte dal decreto legislativo n. 118 del 2011.
Il concorso sulle manovre, che ha costituito l'elemento più conflittuale in questi anni, ha collaborato a dare certezza sia per quanto riguarda la finanza pubblica nel suo complesso, sia per quanto riguarda la singola autonomia speciale.
Parliamo di entità della manovra consistenti: nel 2015, cumulati dai vari provvedimenti che si sono succeduti dal 2010, si registrano 3,2 miliardi in termini di saldo netto da finanziare, riferendomi a risorse che dai bilanci delle autonomie speciali vengono acquisite dalla finanza pubblica, e oltre 6 miliardi per quanto riguarda l'indebitamento netto, inteso come riduzione della capacità di spesa delle autonomie speciali per il perseguimento degli obiettivi indicati dall'Unione europea.
Si tratta quindi di importi consistenti, che a nostro giudizio non hanno pregiudicato il livello delle funzioni esercitate, ma in alcuni casi hanno riequilibrato situazioni di eccesso di risorse statutariamente spettanti.
Il primo impegno è quello del pareggio di bilancio, che è un punto fondamentale perché dietro il pareggio di bilancio vi è il concetto che ciascun ente spende le risorse che ha, cercando di costituire un forte argine all'altro grande problema di finanza pubblica che abbiamo avuto in questi anni, che è quello della costituzione della consistente mole di debiti commerciali. Parliamo complessivamente di circa 60 miliardi di euro.
La riforma della contabilità è partita per i comuni delle regioni a statuto ordinario – per i comuni della Sicilia e della Sardegna già dal 1 gennaio 2015 – e le regioni a statuto speciale hanno assunto l'impegno di adottarla anche nel proprio o territorio.
La nuova riforma è fondamentale per il consolidamento dei conti pubblici, si inserisce in un contesto di armonizzazione che interessa oltre 13.000 pubbliche amministrazioni ed è fondamentale sia per arginare i debiti commerciali, sia per dare attuazione al federalismo e alla perequazione. Farò poi una riflessione sull'attuazione del federalismo e della perequazione dei territori delle autonomie speciali.
L'accordo supera una difficoltà di armonizzazione dei bilanci pubblici, perché l'armonizzazione dei bilanci pubblici è inserita nell'articolo 117 della Costituzione tra le competenze esclusive; dunque, da qui deriva il dubbio circa l'applicazione nei territori delle autonomie speciali.
In particolare, l'articolo 79 del decreto legislativo n. 118 del 2011, che comunque è antecedente alla riforma costituzionale che ha spostato l'armonizzazione dei conti pubblici dalla competenza concorrente alla competenza esclusiva, rinvia all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, quindi a una procedura che ha dimostrato una notevole debolezza applicativa.
Essere riusciti con l'accordo ad ottenere l'impegno delle autonomie speciali ad acquisire anche nei loro territori forme di contabilità degli enti territoriali è un elemento sicuramente importante per la finanza pubblica.
Cosa manca negli accordi ? Come già si intravede nei quesiti dell'indagine, laddove si fa riferimento al tema del recepimento dei principi di federalismo fiscale da parte delle regioni speciali e all'applicazione del principio della correlazione tra le funzioni svolte e le risorse attribuite. La risposta a queste domande che non è stata data nell'ambito dei recenti accordi dal punto di vista della Ragioneria generale dello Stato è la risposta che viene data dalla legge n. 42 del 2009, cioè capacità fiscali e fabbisogni standard.
In questi decenni il tema irrisolto è quello delle giuste risorse per ciascun ente e la distribuzione di risorse pubbliche è avvenuta negli anni, a seguito di scelte Pag. 5spesso occasionali, dove comuni e regioni nelle stesse condizioni godono di risorse diversificate. La risposta sta nell'attuazione della legge n. 42 del 2009 e dell'articolo 119 della Costituzione.
La corretta risposta può essere data attraverso l'analisi di capacità e fabbisogni standard, quindi a giudizio della Ragioneria generale dello Stato occorre una riflessione sull'attuale disciplina legislativa dei fabbisogni standard nei territori delle autonomie speciali, perché l'articolo 31 del decreto legislativo n. 68 del 2011 ha un duplice limite.
Un primo limite è che viene prevista la ricognizione dei fabbisogni standard solo a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi; l'altro limite riguarda il rinvio all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 per l'attuazione; in realtà nulla è avvenuto ad oggi nei territori delle autonomie speciali, mentre si è registrata un'accelerazione nell'ultimo periodo nei territori delle regioni a statuto ordinario.
Il caso concreto recentissimo è il Fondo di solidarietà comunale 2015, laddove in base alla legge di stabilità 2015 il 20 per cento è distribuito tenendo conto di fabbisogni standard. Stiamo parlando della distribuzione di circa 800 milioni di euro, che ha interessato sulla base di questi criteri i comuni delle regioni a statuto ordinario, ma non ha potuto interessare i comuni delle regioni Sicilia e Sardegna, anch'esse beneficiarie del fondo di solidarietà comunale, la cui distribuzione è avvenuta sulla spesa storica, quindi prescindendo da valutazioni di efficientamento o di perequazione.
Come la riforma costituzionale, l'Atto Senato 1429-B, si inserisce nel contesto del coordinamento della finanza pubblica. In primo luogo finalmente il coordinamento della finanza pubblica viene spostato dalla legislazione concorrente alla legislazione esclusiva.
Era una richiesta forte della Ragioneria generale già durante l’iter che ha portato alla legge costituzionale n. 1 del 2012, che fu accolta limitatamente all'armonizzazione dei bilanci pubblici e non fu accolta con riferimento al coordinamento di finanza pubblica.
Adesso, con l'articolo 31 dell'Atto Senato 1429-B, il coordinamento della finanza pubblica viene spostato alla legislazione esclusiva statale, probabilmente dando una sanzione costituzionale a quello che già la Corte costituzionale di fatto aveva riconosciuto, pur in presenza di una legislazione concorrente, e cioè il potere dello Stato di dettare regole finanziarie e contabili anche nei territori delle autonomie speciali per il perseguimento di obblighi comunitari. La Corte Costituzionale con diverse sentenze richiamava l'articolo 11 della Costituzione a sostegno di questa impostazione.
Cosa preoccupa la Ragioneria generale dello Stato nell'Atto Senato 1429-B ? La norma contenuta nell'articolo 39, laddove il capo quarto dell'Atto Senato dovrà essere recepito attraverso modifiche statutarie; quindi vi è la preoccupazione che quel percorso individuato con i recenti accordi possa essere indebolito. Fra l'altro, il precedente articolo 27 della legge n. 42 del 2009, che aveva individuato un percorso di adeguamento degli statuti, di applicazione dei principi di solidarietà e di perequazione anche nei territori delle autonomie speciali, di fatto (occorre riconoscerlo) non ha sortito gli effetti sperati.
La recente sentenza n. 19 del 2015 della Corte costituzionale, sentenza a nostro giudizio importantissima per la finanza pubblica, fuga questi timori: l'esigenza del coordinamento di finanza pubblica come un'esigenza nazionale, quindi valida in tutto il territorio del Paese, non è più messa in discussione.
Un'altra questione posta nell'indagine è la cogenza del principio pattizio, sulla quale le due recenti sentenze della Corte Costituzionale, la n. 19 e la n. 46, sembrano dire con una certa chiarezza che deve essere l'elemento fondamentale nei rapporti fra Stato ed autonomie speciali. Le stesse sentenze, infatti, pur riconoscendo il potere dello Stato di imporre manovre a carico delle autonomie speciali, parlano di un potere di deroga limitato Pag. 6alle particolari circostanze della finanza pubblica e sanciscono che il percorso che deve regolare i rapporti debba essere quello concordato e pattizio.
La sentenza n. 19 del 2015 individua come percorso un accordo che non sia limitato, ma che abbia una portata generale, dove venga affrontata la revisione degli ordinamenti finanziari per verificarne l'adeguatezza e l'attualità in una visione complessiva dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali.
Quale dovrebbe essere il ruolo delle Commissioni paritetiche ? A giudizio della Ragioneria generale dello Stato, quello di riflettere attentamente sulla correlazione tra risorse e funzioni, tenendo conto di capacità fiscale e fabbisogni standard; sicuramente, infatti, esiste la necessità di armonizzare i vari ordinamenti finanziari, dal momento che esistono esempi di statuti che incidono sulle stesse basi imponibili con duplicazioni di oneri a carico del bilancio dello Stato.
Per far comprendere meglio, in tema di IRPEF, gli statuti di Sicilia, Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia fanno riferimento al gettito riscosso, quindi decimi di compartecipazione che vengono definiti e quantificati facendo riferimento al concetto di riscosso, mentre gli ordinamenti finanziari di Trento e Bolzano e della Sardegna fanno riferimento al concetto di maturato.
Questo comporta che Sicilia, Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia beneficiano dei decimi di IRPEF riscossi nello stesso territorio, ma lo stesso gettito spetta a queste regioni per disposizione degli ordinamenti finanziari di Trento e Bolzano e Sardegna; dal momento che stiamo parlando del medesimo gettito e quindi di una duplicazione di oneri a carico del bilancio dello Stato, esiste la necessità di armonizzare gli ordinamenti finanziari.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Salvatore Bilardo non solo per la relazione, ma anche per la documentazione depositata agli atti della Commissione, che è molto utile per il nostro lavoro.
Darei quindi la parola al dottor Alessandro Pajno, Consigliere di Stato, che ringrazio.
ALESSANDRO PAJNO, Consigliere di Stato. Grazie, presidente, anch'io vorrei all'inizio di questa audizione ringraziare il presidente e la Commissione per l'opportunità che mi è stata data di aggiungere qualche riflessione a quanto già autorevolmente indicato da chi mi ha preceduto, visto che ci sono state audizioni di importanti e insigni studiosi.
Mi sono peraltro chiesto le ragioni della mia presenza in questa sede, ovvero le ragioni della mia legittimazione a interloquire con questa Commissione. Ho studiato e ho avuto qualche parte nell'attuazione del sistema regionale, ma questo non sembra possa da solo giustificare l'audizione dal momento che sono stati auditi altri importanti studiosi.
Ho pensato allora che il titolo di legittimazione potesse essere riscontrato in una certa esperienza della questione del regionalismo e non solo di quello differenziato, e ciò nella mia pregressa attività, diversi anni addietro, di commissario straordinario per l'attuazione del federalismo amministrativo, dal momento che in quell'occasione furono sperimentati moduli partecipativi e convenzionali che dimostrano l'importanza di questo strumento non solo nel sistema del regionalismo differenziato, ma in tutti i rapporti che riguardano le relazioni fra sistema regionale e locale.
Poco prima dell'inizio dell'audizione ricordavamo con il dottor Bilardo, che ebbe la fortuna di partecipare a questa esperienza, come quello sia stato l'unico, vero trasferimento di funzioni e di risorse fatto a Costituzione invariata, prima ancora che ci fosse la riforma del Titolo V. Furono trasferiti 64.000 miliardi per finanziare le funzioni che erano state trasferite.
Ho pensato che l'altro titolo di legittimazione potesse consistere nella mia attività di magistrato del Consiglio di Stato, in particolare di presidente titolare della Quinta Sezione del Consiglio di Stato che, come è noto, è quella che si occupa del Pag. 7contenzioso delle regioni e degli enti locali, o nella mia partecipazione ad esperienze concrete di regionalismo differenziato e in particolare nella mia partecipazione in qualità di presidente della Commissione paritetica per l'attuazione dello Statuto della regione Sardegna durante il Governo Monti.
Se questi sono i titoli di legittimazione, penso che la Commissione intenda conoscere i risultati di un'esperienza che, come quelle autentiche, non mette da parte la riflessione teorica, ma la utilizza per sintetizzare i risultati di queste esperienze.
Dato che queste sono le premesse, cercherò di dare il mio contributo in particolare indicando quale apporto possa dare la giurisprudenza, non solo costituzionale ma anche amministrativa, alla considerazione dei temi che sono oggetto dell'indagine, e il contributo derivante dalla conoscenza sperimentale dei meccanismi attuativi legati all'esperienza delle Commissioni paritetiche.
Attraverso la considerazione di queste duplici esperienze cercherò di rispondere ai quesiti che sono indicati nel documento che dà inizio alla consultazione. Prima di passare all'esame di questi argomenti vorrei fare alcune considerazioni generali, che secondo me sono indispensabili per orientare la nostra riflessione, della Commissione in primo luogo ma di tutti noi, sui temi proposti.
La prima, fondamentale riguarda il fatto che a mio avviso non esiste una prospettiva generale del regionalismo speciale; possiamo generalizzare per quanto si vuole, costruire schemi teorici che valgono per tutte le regioni a statuto speciale, ma in concreto non esiste il regionalismo speciale, esistono i regionalismi differenziati, tutti diversi fra loro.
Mi pare anche un esito ragionevole, posto che ogni regionalismo differenziato trova la propria ragione storica in una situazione culturale, storica, economica, che in quanto speciale non è suscettibile di essere predicata agli altri. In un certo senso la generalizzazione dell'esperienza del regionalismo a statuto speciale sarebbe una sorta di ossimoro, perché fa diventare generale ciò che invece è speciale.
Per le regioni a statuto speciale valgono quindi le parole che i francesi usano per le autorità indipendenti quando vengono contrapposte al sistema generale di amministrazione, laddove si dice che le norme che riguardano le autorità indipendenti sono norme circostanziali, mai norme generali, e che quindi non possono essere estese ex abrupto a tutto il resto della realtà.
Questo spiega perché il regionalismo differenziato ha registrato esperienze molto diverse e istituzioni che si sono avvalse in modo molto efficace di esso: le province autonome di Trento e di Bolzano, la regione Friuli Venezia Giulia e altre che invece hanno segnato il passo in modo significativo (Sardegna e Sicilia su tutte).
La seconda questione generale riguarda il fatto che la questione del regionalismo differenziato intercetta il rapporto fra politica e amministrazione. Noi pensiamo che normalmente questo rapporto sia riferito a quella che è l'attività di Governo, in quanto si distingue l'attività di indirizzo che è data dalla politica dall'attività dell'amministrazione, che è attuativa dell'indirizzo politico o comunque volta a perseguire l'obiettivo che viene dato nell'ambito dell'indirizzo politico.
Una situazione analoga si verifica per l'esperienza del regionalismo differenziato, in particolare per il lavoro delle Commissioni paritetiche, perché da una parte le Commissioni paritetiche entrano nel procedimento legislativo e quindi partecipano anch'esse in senso lato dell'esercizio di questa funzione politica, ma d'altra parte per esercitare questa funzione hanno un'interlocuzione costante con il sistema amministrativo.
Devono acquisire i pareri necessari dell'amministrazione dell'economia e delle altre amministrazioni, devono inserire lo schema di decreto legislativo che viene presentato all'interno di un sistema di rapporti, che potrebbe portare questo documento Pag. 8all'esame del Consiglio dei Ministri; prima, dunque, è necessario un lungo procedimento.
Nel rapporto politica/amministrazione sono importanti le finalità, ma anche gli strumenti tecnici in cui questi due mondi si collegano e interloquiscono. In fin dei conti questa audizione e i quesiti posti ne sono la prova, perché si evidenziano le conseguenze di un certo uso di strumenti tecnici (decreti legislativi, Commissioni paritetiche e altri) al fine di raggiungere la finalità politica sottesa al regionalismo differenziato e cioè la perequazione della questione regionale. Questo ci aiuta a capire che le difficoltà delle Commissioni paritetiche sono in parte appartenenti alla politica, in parte appartenenti al loro rapporto con l'amministrazione.
La questione del regionalismo differenziato costituisce anche a mio modo di vedere un problema di prospettiva culturale, perché occorrerebbe rispondere al alcune domande (su questo tornerò alla fine) che ci dicono la prospettiva in cui introdurre la questione del regionalismo differenziato.
Quale rapporto hanno fra loro regionalismo ordinario e regionalismo differenziato ? Possiamo concepire un regionalismo differenziato distaccato completamente dal regionalismo ordinario o a questo strutturalmente contrapposto ?
La questione del regionalismo speciale non deve indurre a una divisione che è una separazione, ma semmai a una distinzione, perché una separazione rischia di risolversi in una perdita dell'obiettivo comune e in un'oggettiva minusvalenza del regionalismo speciale, che viene visto solo in funzione della propria attuazione specifica e non in funzione dell'attuazione di un interesse più ampio e quindi della collaborazione all'interesse generale.
In questo quadro si pone infine l'ultima questione, quella dell'attualità e dell'utilità del regionalismo speciale in un contesto come quello europeo, che tende per un verso a moltiplicare i tentativi di regionalismo differenziato, ma peraltro a spingere moltissimo le pressioni che le esigenze del sistema generale esercitano. La legge di stabilità da questo punto di vista costituisce un vincolo che riguarda tutto il sistema.
Passando a esaminare nel concreto i capitoli in cui mi è sembrato di dover sintetizzare questo mio intervento, il primo riguarda la giurisprudenza costituzionale ma soprattutto amministrativa. Da questo punto di vista devo introdurre una indicazione: presiedo la Quinta Sezione del Consiglio di Stato che si occupa del contenzioso di regioni, province e comuni, dal contenzioso in materia di opere pubbliche al contenzioso elettorale.
Questo però significa che in realtà non vengono in considerazione presso la giustizia amministrativa alcuni dei problemi fondamentali che sono dati invece dal contenzioso costituzionale, in particolare tutti quei problemi che riguardano la qualificazione del decreto legislativo come fonte interposta e tutto ciò che attiene alla gerarchia delle fonti.
La maggior parte delle norme che noi applichiamo sono norme generali, in quanto ad esempio più del 60 per cento del nostro contenzioso riguarda i lavori pubblici, gli appalti di servizi e quindi le norme del Codice degli appalti o le norme regionali e statali in materia di recupero ambientale o norme regionali che manifestano la loro forza in sistemi circoscritti.
Ho quindi pensato che il contributo che potevo dare, citando la giurisprudenza costituzionale ma anche amministrativa, poteva riguardare da una parte il profilo più simbolico del regionalismo speciale, cioè il modo in cui la giurisprudenza considera le Commissioni paritetiche, dall'altro l'indicazione di casi in cui il regionalismo speciale rischia talvolta di risolversi in una complicazione del sistema istituzionale.
Vengo alla prima e poi alla seconda delle indicazioni. Le Commissioni paritetiche sono il cuore della specialità, perché nel procedimento legislativo le norme costituzionali prevedono sempre l'intervento delle Commissioni paritetiche nella forma della collaborazione alla stesura del testo o nella forma del parere.Pag. 9
Da questo punto di vista un corpo significativo della giurisprudenza è stato dedicato alla riserva necessaria costituzionalmente e dal punto di vista amministrativo all'intervento delle Commissioni paritetiche. Qui cito a titolo di esempio soltanto alcune indicazioni, quali la normativa di attuazione del coordinamento della finanza pubblica delle regioni speciali, attuazione che non può essere fatta in via unilaterale dallo Stato, ma con gli strumenti delle normative di attuazione (anche le ultime sentenze che il dottor Bilardo citava confermano questa indicazione).
Richiamo una vecchia sentenza del 1989, che riserva alla Commissione paritetica l'intervento in materia di trasporti ferroviari e filotranviari per le linee di trasporto ferroviario interprovinciale attribuite alle province autonome di Trento e Bolzano. Anche qui abbiamo una forza particolare della Commissione paritetica.
Ci sono anche indicazioni della necessità della Commissione paritetica per l'emanazione della norma di attuazione dello Statuto del Trentino, una sentenza del 1985, la essenzialità dell'intervento della Commissione paritetica per le norme relative al passaggio degli uffici del personale in Sicilia e in Sardegna, di giurisprudenza a partire dal 1980.
Poi ancora la giurisprudenza amministrativa: viene considerato illegittimo un bando di concorso per un posto di amministrazione statale in Trentino Alto Adige ove l'accertamento della conoscenza del bilinguismo non sia affidato alla Commissione paritetica, ma sia affidato soltanto alla valutazione in sede di esame di concorso. Qui abbiamo una forza espansiva della pariteticità, che si proietta anche sulla disciplina concreta della selezione.
Abbiamo anche qualche esempio (uno del 2012) in cui l'intervento della Commissione paritetica è fatto valere dallo Stato, cioè quando lo Stato impugna la legge regionale perché dice che la Regione non poteva provvedere da sola, ma doveva provvedere per il tramite della Commissione paritetica, e quindi l'autorizzazione della Commissione paritetica viene considerata strumento di reintroduzione dell'interesse statale.
Potrei dare molte altre indicazioni, ma è opportuno ricordare soltanto le più interessanti, come ad esempio la sentenza del TAR di Bolzano n. 57 del 2009, che definisce di natura politica gli atti con cui il Consiglio provinciale di Bolzano rifiuta il nuovo accertamento della rappresentatività delle associazioni sindacali.
Questo si lega soprattutto alla peculiarità della provincia autonoma di Bolzano, e il fatto che un atto normalmente amministrativo volto a indicare la rappresentatività delle associazioni sindacali sia posto in essere da un organo politico come il Consiglio provinciale ne cambia soggettivamente la natura.
Potremmo ancora parlare di questa ultrattività connessa alla necessità delle proposte della Commissione paritetica in Sicilia al fine del trasferimento nei ruoli regionali dei professori incaricati dichiarati inidonei al ruolo di professore associato.
Il panorama che viene fuori è che però nella giurisprudenza ordinaria amministrativa e costituzionale il modo di essere particolare del regionalismo differenziato è quello che si attua attraverso la considerazione del meccanismo della pariteticità. Questo conferma quanto il dottor Bilardo diceva poc'anzi, ossia questo rapporto che definire pattizio è troppo, ma necessariamente collaborativo nelle indicazioni fra Stato e regioni.
Sui casi in cui gli effetti del regionalismo differenziato possono introdurre qualche complicazione vorrei ricordare solo due casi molto recenti. Un caso ha riguardato le recenti elezioni provinciali in Friuli Venezia Giulia, dove è stata approvata una legge provinciale che ricorda nella sua struttura la legge Delrio e cambia l'elettorato attivo e passivo per la partecipazione a questa competizione, elettorato attivo e passivo che spetta solo a chi è sindaco o consigliere comunale.
A questo punto il panorama vede una impugnazione fatta dal presidente uscente della Provincia di Pordenone, il quale Pag. 10impugna l'atto di indizione delle elezioni per il rinnovo delle province in Friuli e deduce la questione di legittimità costituzionale della legge provinciale nella parte in cui cambia questo elettorato attivo o passivo.
Il TAR del Friuli ritiene non manifestamente infondata questa questione e la invia alla Corte Costituzionale e contemporaneamente sospende il decreto dell'assessore regionale che aveva indetto le elezioni e quindi sospende le elezioni provinciali fino alla data in cui la Corte Costituzionale non si fosse pronunziata.
Questo provvedimento cautelare di sospensione viene impugnato in Consiglio di Stato e la Quinta Sezione del Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 4809 del 2014 evidenzia che il fatto che il ricorso sia sospeso perché mandato alla Corte Costituzionale riguarda il profilo del merito ma non l'azione cautelare, che è autonoma. In sede di appello può quindi riapprezzare questo presupposto e la sezione perviene a una decisione per cui annulla il provvedimento cautelare del TAR Friuli Venezia Giulia, consentendo l'effettuazione delle elezioni.
Lo annulla per una serie di ragioni, innanzitutto osservando che nel bilanciamento degli interessi un interesse al corretto espletamento di una procedura elettorale è comunque un interesse che pare prevalente sul piano della tutela cautelare rispetto alla tutela del singolo individuo, che la tutela di quell'interesse può essere a sua volta ristorata anche successivamente, mentre quell'interesse non potrebbe essere ristorato.
Non potrebbe in ogni caso prevedersi un'applicazione del potere cautelare che comporti una totale disapplicazione della legge, perché altrimenti avremmo una condizione in cui il rinvio alla Corte Costituzionale determina la mancata applicazione della legge vigente, prima ancora che ci sia la pronuncia della Corte costituzionale.
Questo è un episodio di complicazione. L'altro è più recente e riguarda le province sarde. Non so se voi abbiate seguito la vicenda delle province sarde, è un'ordinanza con cui la questione è stata rimessa alla Corte Costituzionale, la n. 1866 del 2015.
In Sardegna esistono delle province storiche che preesistevano e altre province che sono state istituite in attuazione delle norme dello statuto con legge regionale. Lo stesso statuto prevede forme particolari di intervento delle popolazioni interessate per la modificazione degli ordinamenti provinciali. A seguito di un referendum popolare in parte abrogativo e in parte consultivo, si è quindi decisa l'abrogazione delle province istituite al di fuori di quelle storiche, quindi la provincia dell'Ogliastra, di Tempio e altre, ed è stata adottata una legge di esecuzione.
La legge ha generato una grande confusione perché, non distinguendo fra province, ha dato l'indicazione che potessero essere soppresse tutte, sia quelle storiche che quelle successive, e poi è stata sospettata di incostituzionalità perché il referendum abrogativo non era sufficiente a decretare la fine delle province se non si fosse seguito il percorso indicato dallo statuto regionale, cioè la partecipazione dei comuni interessati rientranti in queste province.
Tale questione è stata rimessa alla Corte Costituzionale con una recente ordinanza della Quinta Sezione, la n. 1866 del 2015, e sarà prossimamente risolta.
È probabile che la recente sentenza della Corte, la n. 50 che riguarda la legge Delrio, che ha in parte risolto alcuni problemi analoghi, potrà far pervenire a una più rapida definizione di queste questioni, ma anche qui la coesistenza di un potere regionale e di un potere statale e i procedimenti speciali previsti dallo statuto regionale hanno portato a una condizione di difficoltà pratica, non semplicemente teorica, perché sul piano provinciale vengono distribuite le risorse ma gli uffici finanziari non sapevano più a quale ufficio assegnarle e per non sbagliare hanno continuato a erogarle agli uffici che le ricevevano tradizionalmente.
Passando alla seconda parte dell'audizione, risponderò brevemente ai quesiti posti, ossia alle ragioni principali della Pag. 11ritardata o mancata attuazione degli statuti e se questa mancata attuazione possa farsi risalire alla difficoltà di individuare strumenti attuativi di previsione ormai datati.
Qui ricordo la distinzione del rapporto fra politica e amministrazione, perché le difficoltà sono chiaramente tecniche e politiche. Una diversa velocità delle regioni a statuto speciale deriva anche dal fatto che, come qualcuno ha detto, il carburante è diverso: c’è un carburante politico che viene dato in alcune regioni, c’è un carburante che altre regioni non sono in condizione di utilizzare. Basta considerare come negli ultimi anni siano state emanate 168 norme di attuazione per il Trentino Alto Adige, mentre le ultime della Sicilia (ma il presidente mi potrà correggere) risalgano al 2005-2006 e lo stesso si possa dire per la Sardegna.
Questo intercetta evidentemente un diverso dinamismo del sistema regionale, che sta alla base. Forse occorrerebbe fare una valutazione sul concetto di attuazione stessa dello statuto, ossia se questa attuazione sia una mera esecuzione o debba essere un completamento e un'integrazione che suppone un'attività anche di indirizzo dalla parte regionale ai componenti regionali della Commissione, dalla parte statale ai componenti statali.
Sul piano teorico lo strumento del decreto legislativo previsto dagli statuti speciali previa approvazione ed elaborazione da parte della Commissione paritetica teoricamente costituisce lo strumento migliore per assicurare l'attuazione, perché assicura questa disciplina partecipativa.
Questo in astratto è il metodo migliore, perché è quello che fa convergere in un unico luogo tutte le decisioni e anche il regionalismo non differenziato ha seguito con la Conferenza unificata un regime simile. Questo strumento rischia tuttavia di incontrare molte difficoltà, perché è condizionato da molti profili istruttori e procedimentali assai complessi (pareri all'amministrazione, correzioni, interlocuzioni).
Il problema soprattutto è dato dalla possibile separazione fra il lavoro delle Commissioni paritetiche e la fase successiva, che dipende esclusivamente delle amministrazioni statali. Le Commissioni paritetiche possono elaborare un certo testo, che vede una limitata interlocuzione con le amministrazioni statali.
Quando il testo lascia la sede della Commissione paritetica e viene attribuito all'amministrazione statale interessata, sia essa l'economia, l'interno o qualunque altra amministrazione, questo entra nel grande circolo dei provvedimenti senza che la Commissione paritetica e per esso anche lo strumento regionale possa intervenire nell’iter di questo procedimento.
Da questo punto di vista questa separazione fra il lavoro delle Commissioni paritetiche e questa fase successiva, dipendente esclusivamente dalle amministrazioni statali, costituisce un rischio fortissimo di rallentamenti, soprattutto in mancanza di un indirizzo politico chiaro e preciso. Non può quindi non colpire il fatto che gli strumenti di trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni ordinarie sono molto più facilmente adottati, sono decreti del Presidente del Consiglio previo parere della Conferenza unificata, quindi un sistema molto più snello che cerca di assicurare una certa partecipazione ma che non si ferma così facilmente.
L'altra domanda riguardava il rango di legge costituzionale degli statuti speciali e la natura di norma interposta, se può costituire un limite per il Governo. Qui la risposta è chiara sul piano del diritto: la Corte Costituzionale considera la norma di attuazione contenuta nel decreto legislativo una fonte atipica, una norma interposta che nella gerarchia delle fonti precede la legge statale, è una norma rafforzata in posizione intermedia rispetto alla legge costituzionale e legge ordinaria. Non a caso non c’è mai stato un sindacato da parte della Corte della norma interposta, perché è considerata superiore alla legge ordinaria.
Anche qui, quindi, sulla carta abbiamo uno strumento ottimo per il rapporto con Pag. 12il regionalismo differenziato, ma nella pratica questa particolare natura della fonte può generare una maggiore, particolare preoccupazione soprattutto da parte statale, perché il contenuto di quella norma, facendo parte di una norma di rango superiore, non risulta più sindacabile ed è modificabile soltanto attraverso lo stesso procedimento contrattato con il sistema regionale.
Questo spiega la ritrosia da parte di alcuni apparati sia statali che regionali nel portare avanti queste norme. Da parte degli apparati statali si è talvolta manifestata una resistenza ai cambiamenti nell'attuazione degli statuti di autonomia, anche nell'esigenza di tutelare l'unitarietà del sistema o interessi specifici ritenuti non rinunciabili, ovvero ancora efficaci meccanismi di raccordo con la legislazione statale.
Da parte degli apparati regionali vi è stata talvolta una non adeguata o completa considerazione dei contesti giuridici ed economici in cui quella norma si cala, quindi una ritrosia dovuta alla consapevolezza che, se si sbaglia quel passo, la situazione è compromessa.
Si può dire quindi che è il meccanismo del decreto legislativo a creare una difficoltà in fatto, perché porta a una considerazione separata della soluzione che si adotta per la regione a statuto speciale rispetto al complesso delle soluzioni che si adottano con riferimento alle regioni a statuto ordinario. Il rischio è che prevalga, piuttosto che una prospettiva che comprende questi due interventi, una prospettiva che tende a separarli e, rendendoli separati, li rende minusvalenti.
Funzionamento delle Commissioni paritetiche e mancata attuazione dello statuto: quanto hanno influito i ritardi nella composizione delle Commissioni paritetiche, quanto è imputabile al procedimento di formazione del decreto di attuazione.
Come ho detto prima, la questione delle Commissioni paritetiche è centrale sotto tutti i profili, perché in essa si riflette tutta la debolezza o la difficoltà del sistema generale. Basta pensare che ogni Governo nomina la Commissione paritetica, quindi la debolezza dei Governi si riflette anche sulla debolezza della composizione della Commissione paritetica: ogni volta che cambia un Governo, la Commissione paritetica che opera è costretta a fermarsi in attesa che ci sia la nuova, che potrà essere, come spesso avviene, non la stessa, quindi con una necessità di ricominciare daccapo le indicazioni.
Vi è anche un ritardo nelle designazioni da parte degli organi statali e regionali, ma più spesso quelli statali rispetto a quelli regionali nella composizione delle Commissioni paritetiche. Da questo punto di vista occorrerebbe assicurare uno strumento di maggiore continuità, che potrebbe essere costituito dal fatto di legare la composizione delle Commissioni paritetiche non ai Governi, ma alla legislatura, con una possibilità per i Governi di modificare quando lo ritengano la composizione in corso d'opera, perché non possiamo negare la possibilità di un diverso Governo di introdurre profili specifici.
L'esistenza di una Commissione paritetica che per un periodo uguale alla legislatura in linea di massima dovrebbe occuparsi dell'attuazione di quelle norme può assicurare una maggiore funzionalità di queste composizioni. Oggi, se cade il Governo, il lavoro della Commissione si ferma.
L'altro profilo è dato dalla rilevanza dell’expertise, dell'autorevolezza dei componenti. Nelle audizioni precedenti veniva evidenziato come molti accademici siano stati individuati e questo è certamente un apporto importante, ma è necessario che il presidente della Commissione paritetica abbia un’expertise specifica nel rapporto con il sistema politico e istituzionale perché altrimenti questi agiscono per la loro strada e il lavoro della Commissione paritetica rischia di divenire autoreferenziale.
Ricordo un'esperienza in sede di Commissione paritetica per la Sardegna per l'attuazione dell'articolo 8 dello statuto, quello riguardante le disposizioni finanziarie, laddove fu possibile realizzare un lavoro importante perché al tavolo della Commissione paritetica vennero i rappresentanti Pag. 13dell'amministrazione dell'economia. Il tavolo della Commissione paritetica non fu quindi un tavolo separato da quello di queste amministrazioni, che interloquirono direttamente con il responsabile dell'ufficio legislativo del Ministero dell'economia, ramo finanze, e il responsabile del dipartimento.
Questo grande lavoro non riuscì a ultimarsi perché una sentenza della Corte Costituzionale fece dubitare la regione dell'opportunità della soluzione trovata. Ora pare che il problema sia stato risolto con un accordo sul quantum.
Il dato che colpiva è che la Commissione paritetica non ha lavorato soltanto al proprio interno, ma in diretta collaborazione con l'amministrazione statale, e che si è modificato anche il ruolo della Commissione paritetica, che da luogo di elaborazione della norma è diventato luogo di interlocuzione di parti diverse, quindi di una mediazione in senso nobile fra le esigenze che le diverse componenti esprimono.
È stata evidenziata l'opportunità di una codificazione della disciplina di formazione del procedimento del decreto delegato. Credo che una codificazione di questo genere possa essere utile, però non occorra aspettarsi risultati miracolistici, perché ogni situazione ha il proprio inconveniente. Si potrebbe quindi intervenire prevedendo una preventiva acquisizione dei pareri delle amministrazioni statali.
Oggi il dibattito è lasciato alle parti, l'amministrazione della Commissione paritetica emana il progetto di norma che viene affidato alle amministrazioni statali che non si sa quando risponderanno. Obbligo delle amministrazioni statali di rispondere in un tempo certo, trascorso il quale il parere favorevole potrebbe ritenersi acquisito: questo è il meccanismo conosciuto del silenzio assenso, che rischia che le amministrazioni statali intervengano solo per evitare la formazione del silenzio assenso e quindi non per un esame del merito.
Una particolare considerazione del procedimento volto a chiarire i rapporti del testo licenziato dalla Commissione paritetica con il pre-Consiglio e con il Consiglio dei ministri. Nella struttura dell'attività legislativa del Governo lo schema di decreto delegato va prima in pre-Consiglio e poi dovrebbe andare in Consiglio dei ministri, oggi non si ha mai certezza che questo schema approdi al pre-Consiglio se non è posto dall'amministrazione statale che lo propone, e non si ha mai certezza dell'iscrizione all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, sia pure per avere una risposta negativa.
Si potrebbe introdurre un obbligo di sottoporre queste proposte, una volta esitate dall'organo paritetico, al Consiglio dei Ministri dopo un certo periodo di tempo. Qualcuno ha anche prospettato la possibilità di una decisione condivisa da parte del Consiglio dei ministri, cioè la questione viene rimessa al Consiglio perché il Consiglio dei ministri trovi una soluzione che sia condivisa da tutte le parti. Questo talvolta è possibile, altre probabilmente no. L'esperienza dalla Conferenza dei servizi, che adesso decide a maggioranza e non più all'unanimità, spiega come questa operazione non sia facile.
Queste difficoltà procedurali si ripercuotono sulla sorte dei decreti attuativi; non sono soltanto causa del problema, ma sono anche epifenomeno, cioè manifestano un problema a monte. La domanda è infatti perché i meccanismi procedurali non funzionano. Probabilmente perché manca una visione strategica sul problema del rapporto generale centro/periferia e una visione strategica specifica sul contributo del regionalismo differenziato a questo rapporto generale.
L'ultimo quesito riguarda la portata dell'articolo 39 del disegno di legge costituzionale di riforma della Costituzione, che prevede che le disposizioni della legge costituzionale non si applichino alle regioni a statuto speciale e alle province autonome fino all'adeguamento dei relativi statuti e che resti ferma la disciplina prevista da questi statuti ai fini di quanto previsto dall'articolo 120 della Costituzione.Pag. 14
È stato chiesto se questa norma possa rilanciare questi statuti speciali in una linea di tendenza che porta invece a una diminuzione del regionalismo ordinario. Onestamente credo che le cose non vadano in questo senso, perché si introduce un sistema molto complicato e confuso in quanto la competenza concorrente continua a permanere per le regioni a statuto speciale, ma non per le regioni a statuto ordinario, e perché mi pare irragionevole ritenere che il ripensamento del regionalismo nel suo complesso non coinvolga, anche per confermarne le ragioni, il regionalismo speciale. In una situazione di questo genere credo che queste norme non garantiscano il regionalismo speciale.
Alla fine di queste indicazioni forse occorre utilizzarne alcune per migliorare la situazione esistente, ma anche porsi delle domande generali a cui la Commissione potrebbe contribuire a dare una risposta importante. Qual è lo spazio delle autonomie speciali in un periodo in cui in cui il vincolo economico si fa sempre più stringente ? Questo è il quesito fondamentale, che riguarda anche profili di giustizia e perequativi, però se non si pone questo problema del rapporto fra perequazione e compatibilità, non si pone il problema del regionalismo differenziato.
È possibile un rilancio dell'autonomia speciale in un periodo di calo generalizzato della legittimazione dell'istituto regionale ? Oggi assistiamo a un calo istituzionale e nell'opinione pubblica. Occorre quindi un soprassalto di vocazione da parte delle regioni a statuto speciale, laddove soprattutto alcune regioni dovrebbero contribuire a dare la sensazione che la specialità del loro statuto non serva per bloccare i processi di cambiamento che avvengono in sede statale e ritardarli in sede periferica.
Sono rimasto colpito dal fatto che quando fu approvata la legge n. 241 del 1990, lo statuto del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, ogni regione a statuto speciale abbia dovuto approvare una propria legge n. 241, nella sostanza uguale a quella statale, che però ne ha ritardato l'attuazione. Si potrebbe prevedere che alcune grandi leggi importanti entrino subito in vigore nel sistema delle regioni a statuto speciale, salvo il fatto che la regione possa intervenire successivamente a modificarla.
Occorre porsi il problema del rapporto fra regionalismo ordinario e regionalismo a statuto speciale. Penso che non debba e non possa esservi antagonismo fra questi due regionalismi, perché un regionalismo speciale senza collegamento con il regionalismo ordinario indebolisce la causa delle regioni nell'intero sistema.
Deve essere un rapporto tra regionalismo speciale e interesse generale, cioè le regioni a statuto speciale devono dimostrare di poter partecipare a una condizione in cui è l'interesse generale che viene in discussione, perché essere regioni speciali non significa essere non partecipi di una causa comune.
Ci sono quindi cambiamenti che possono utilmente essere effettuati, però in buona parte la partita delle regioni speciali è nelle mani degli attori politici e istituzionali e cioè delle regioni stesse e della parte statale, che intende ugualmente rilanciare questa prospettiva della dimensione regionale.
PRESIDENTE. Ringrazio il consigliere Pajno a cui ricordo che un'altra ragione per cui abbiamo chiesto il suo contributo a questa indagine conoscitiva è rappresentata dal suo essere siciliano.
Darei quindi subito la parola all'ultimo dei nostri auditi, il professor Giovanni Tria, Professore ordinario di economia politica e presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione.
GIOVANNI TRIA, Professore ordinario di economia politica dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Ringrazio anch'io, in primo luogo, il presidente e la Commissione per avermi invitato a portare qualche considerazione dal punto di vista dell'economista sui quesiti posti dalla Commissione.
Poiché la finalità di questa audizione è trarre elementi principalmente anche se non esclusivamente sul ruolo che ha svolto Pag. 15e ancora oggi può svolgere nel percorso di attuazione delle autonomie il metodo negoziale tra lo Stato, le regioni e province ad autonomia speciale attraverso lo strumento delle Commissioni paritetiche, di cui si è discusso ampiamente finora, io mi concentrerò soprattutto nell'analisi economica del gioco di interessi tra Stato e autonomie speciali che è stato alla base dei processi negoziali.
Questo anche perché ritengo che la Commissione abbia già ricevuto dettagliate informazioni sul piano normativo e dei fatti nel corso delle audizioni già avvenute. D'altra parte sull'argomento, che tratterò brevemente in questa audizione, ho lasciato agli atti una memoria più dettagliata e anche uno studio specifico, in cui si riportano i dati quantitativi che sono alla base delle mie considerazioni.
Ritengo che l'analisi economica degli spazi negoziali e del ruolo che possono avere svolto fino ad oggi nel determinare il maggiore o minore attivismo delle diverse regioni e province autonome nel processo attuativo delle autonomie sia una delle chiavi di lettura utilizzabili anche per guardare al futuro e alle possibili strade che il processo di completamento delle autonomie speciali può ancora percorrere.
Credo che questo approccio possa dare una parziale risposta ad alcuni dei quesiti posti dalla Commissione. Penso al quesito sullo stato dell'arte in relazione al recepimento dei princìpi di federalismo fiscale da parte delle regioni speciali, al diverso grado di funzionamento del meccanismo negoziale affidato alle Commissioni paritetiche, ai motivi del divergere o convergere dei diversi modelli di specialità regionale, ai possibili motivi della ritardata o in molti casi mancata attuazione delle norme degli statuti speciali.
Sui fatti mi limiterò solo a richiamare alcuni dati funzionali a sviluppare questa linea di analisi. Come è noto, le tre componenti principali delle entrate regionali sono le compartecipazioni ai tributi e alle imposte erariali, i tributi propri e i trasferimenti dalle amministrazioni centrali.
Se guardiamo alla struttura delle entrate finanziarie delle regioni e delle province ad autonomia speciale, questa struttura si differenzia da quella delle regioni a statuto ordinario per la dipendenza delle prime principalmente dalle compartecipazioni ai tributi erariali, cioè da quote di tributi imposte dallo Stato che gravano sulle imponibili generate nel proprio territorio e poi devoluti alle regioni speciali senza vincoli di destinazione.
Si tratta di un gettito legato all'andamento e alle caratteristiche dell'economia locale, consistente in quote di gettito prodotto in ciascuna regione e provincia autonoma, e quindi rappresenta il legame tra la finanza regionale e il territorio, secondo i princìpi propri del federalismo fiscale.
Vi sono però delle discrepanze significative tra le diverse autonomie, e già qui si apre una differenziazione: queste compartecipazioni rappresentano infatti sul totale delle entrate finanziarie circa il 75 per cento delle entrate totali nella provincia autonoma di Trento e il 39 per cento in Sicilia. In base a questo indicatore l'autonomia finanziaria della regione Sicilia appare più vicina alle ordinarie che alla media delle altre regioni speciali.
Per quanto riguarda i tributi propri, tipicamente nelle regioni a statuto ordinario esse hanno un peso sul totale delle entrate finanziarie doppio rispetto a quello medio delle speciali e delle province autonome (25 per cento, circa il 12 per cento).
La caratteristica delle speciali è quella di dipendere in misura minore rispetto alle ordinarie dai trasferimenti dalle amministrazioni centrali, e ciò rappresenta l'altra faccia della medaglia della concessione di cui godono le prime di trattenere buona parte dei tributi erariali generati nel territorio.
Questo è vero solo per la Valle d'Aosta, il Friuli Venezia Giulia, la provincia autonoma di Trento e la Sardegna, che dipendono solo marginalmente da trasferimenti, mentre la provincia autonoma di Bolzano ha una dipendenza dai trasferimenti simile a quella media delle ordinarie, e la Sicilia una dipendenza molto Pag. 16superiore a quella delle regioni ordinarie dai trasferimenti. Questa percepisce infatti non solo i fondi strutturali europei per la coesione e lo sviluppo, ma anche il fondo di solidarietà nazionale riconosciuto dall'articolo 38 del suo statuto, fondo che ha avuto varie vicissitudini, essendo stato sospeso e ripreso, appare molto ridotto, ma esiste.
Guardiamo al percorso di attuazione dell'autonomia finanziaria. Lo stato attuale dell'autonomia finanziaria delle regioni e province a statuto speciale e delle competenze esercitate da queste è il risultato di un percorso differenziato per ciascuna di esse, come tutti voi sapete, un percorso che ha portato correttamente a parlare di tante specialità nella specialità, anche se vi è stato un processo di polarizzazione che vede ai suoi estremi il modello della provincia autonoma di Trento, verso il quale sono andate convergendo la provincia autonoma di Bolzano e la Regione Valle d'Aosta, e dall'altra il modello Sicilia.
In posizione intermedia in questo processo abbiamo trovato la situazione del Friuli Venezia Giulia e della Sardegna con varie specificità su cui non voglio entrare. Nella documentazione lasciata agli atti troverete i dati per valutare queste specificità.
Ai fini di quanto voglio esprimere qui, prenderò in considerazione il modello Trentino, su cui convergono in vario grado tutte le autonomie speciali del nord, e il modello peculiare della Sicilia, che anche per il peso che rappresenta nell'economia italiana è degno di particolare attenzione.
Si nota chiaramente il diverso attivismo negoziale tra la provincia autonoma di Trento e la regione Siciliana, come già richiamato nei vari interventi. Per la provincia autonoma di Trento, sono stati approvati dall'istituzione della Commissione paritetica nella provincia circa 87 provvedimenti normativi di attuazione tra decreti legislativi e decreto del Presidente della Repubblica, di cui 86 con il coinvolgimento della Commissione.
Nello stesso periodo, dal 1972 in poi, per la Sicilia sono stati approvati 29 atti normativi di attuazione, di cui 25 con il coinvolgimento della Commissione. Dietro questi numeri vi sono delle storie molto differenti: la provincia autonoma di Trento assieme a quella di Bolzano e alla Valle d'Aosta ha proceduto, utilizzando lo strumento pattizio e le commissioni bilaterali, lungo la strada di una progressiva acquisizione di autonomia, caratterizzata dalla contemporanea assunzione di maggiori competenze e da una quota crescente di compartecipazione al gettito di tributi erariali afferenti al proprio territorio.
In tal modo è arrivata fino alla quasi completa devoluzione di tutte le entrate tributarie erariali e a ottenere anche buona parte delle imposte e accise, dalle quali era ed è ancora esclusa la compartecipazione spettante alla Sicilia.
Negli ultimi anni, dopo la riforma del 2009, che ha riguardato le regioni a statuto ordinario, ma ha anche chiamato esplicitamente le speciali, pur preservandone la specialità, a contribuire agli obiettivi di solidità e perequazione fiscale, di risanamento fiscale.
Dopo questa riforma lo scambio tra Stato e provincia di Trento, a cui associamo le altre che si sono comportare in modo simile, si è avuto sostanzialmente bilanciando mediante accordi i contributi finanziari diretti al risanamento della finanza pubblica con contributi in natura, cioè attraverso l'assunzione di ulteriori competenze a carico delle autonomie, quindi gravando dell'onere lo Stato.
Le province di Trento e Bolzano hanno acquisito con l'accordo di Milano del 2009 e successivamente un crescente potere di modificare aliquote, esenzioni, detrazioni, deduzioni pur con il divieto di superare le aliquote massime stabilite a livello nazionale. Vi sono poi altre competenze fiscali anche relative alla fiscalità comunale, su cui non voglio entrare.
La flessibilità acquisita per quanto riguarda la possibilità di ridurre il peso dei vari tributi è un grande passo nella direzione dell'uso della politica fiscale tributaria come strumento di politica economica Pag. 17e di sviluppo del territorio, anche se ciò dà luogo a forme di concorrenza fiscale.
Passando dal dato quantitativo a quello qualitativo e soffermandoci sulle funzioni istruzione e sanità, si trova conferma della progressiva acquisizione di competenze che ha accompagnato la conquista di sempre maggiore devoluzione di gettito erariale da parte della provincia, con successivi atti legislativi concordati con lo Stato a partire del 1973 fino ad oggi.
La provincia è arrivata a coprire pressoché completamente la spesa per istruzione. Un analogo meccanismo contraddistinto da abbondante rivoluzione di competenze legislative e funzioni amministrative si è sviluppato anche in materia di sanità, di cui attualmente la provincia copre totalmente gli oneri.
La storia è completamente diversa per quanto riguarda la regione Sicilia. L'autonomia siciliana vantava fin dalle origini rispetto alle altre il privilegio dell'attribuzione integrale di tutti i tributi erariali riscossi sul proprio territorio, con l'eccezione delle accise sugli oli minerali, le entrate del Monopolio dei tabacchi e del Lotto, l'imposta di fabbricazione sugli Speedy, e in aggiunta aveva attribuito un fondo di solidarietà al quale si sarebbero poi aggiunti i fondi europei di sviluppo e coesione.
Essa quindi partiva con un federalismo più avanzato rispetto alle altre autonomie speciali, ma nel corso degli anni non vi sono stati grandi mutamenti nel processo di attuazione dell'autonomia in termini sia di esercizio di nuove competenze, sia di compartecipazione alle imposte escluse. Lo strumento è stato utilizzato in misura minore rispetto a quanto avvenuto per le Regioni a statuto speciale del nord e ancora oggi ciò che riguarda le funzioni fondamentali di sanità e istruzione le competenze esercitate sono minori rispetto a quelle acquisite dalle altre autonomie speciali.
La Sicilia dipende ancora, come la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia, per circa l'80 per cento della spesa per istruzione dallo Stato ed è l'unica autonomia speciale ad avere una dipendenza dallo Stato attraverso il fondo sanitario per la spesa sanitaria.
Anche in questo è più simile alle regioni ordinarie che alle autonomie speciali del nord. Attualmente, pur conservando la totale attribuzione dei tributi erariali indicati nello Statuto del 1948, la Regione è stata quindi superata da altre autonomie, anche in termini di attribuzione di quote di ulteriori tributi.
I due modelli estremi sono quindi rappresentati da Trentino e Sicilia, a cui ho associato Bolzano e Valle d'Aosta, mentre altre Regioni a statuto speciale come Friuli Venezia Giulia e Sardegna hanno avuto un'evoluzione intermedia.
Per entrare nel punto centrale della mia audizione, qual è l'analisi economica di questo processo negoziale, cioè quale interpretazione si può dare di questi diversi percorsi, risultati del processo negoziale di attuazione e modifica degli statuti ?
Ci metteremo a individuare le possibili ragioni economiche di questi divari, quindi una delle concause del diverso funzionamento del meccanismo negoziale sul quale la Commissione ha chiesto un parere.
Un meccanismo pattizio o di accordi consensuali implica che vi sia uno spazio di scambio che consenta accordi nell'interesse delle parti. Per ciò che riguarda le autonomie che abbiamo iscritto nel modello Trentino, lo spazio di scambio esisteva, le autonomie avevano da offrire allo Stato l'acquisizione di competenze e quindi l'acquisizione degli oneri del loro esercizio. Lo Stato aveva da concedere un aumento della quota del gettito dei tributi erariali generati nel territorio, con il quale finanziare l'esercizio delle maggiori funzioni.
Nell'ultima fase, come si già detto, il terreno sul quale si è esercitata la negoziazione è stato quello dello scambio tra la difesa di questo gettito e quindi del contributo finanziario alla solidità della finanza pubblica per la richiesta di partecipazione a questo processo di consolidamento da parte dello Stato e ancora nuove assunzioni di competenze. Lo scambio Pag. 18vede quindi prendere più competenze piuttosto che contribuire direttamente a questo.
Lo scambio negoziale è stato possibile nel momento in cui sono maturate le condizioni necessarie a determinare un chiaro vantaggio a seguire questa strada. Il professor Pajno richiamava l'aspetto politico decisionale generale della negoziazione. Le condizioni necessarie sono l'esistenza di un buon margine di gettito erariale territoriale ancora non devoluto e aver raggiunto una buona capacità fiscale, legata al grado di sviluppo del territorio, tale da consentire che una maggiore quota di compartecipazione fosse in grado di finanziare l'estensione eventuale delle competenze.
Questo calcolo di convenienza si può effettuare in termini dinamici, nell'ambito di una previsione di crescita della capacità fiscale, acquisendo quote che adesso valgono tanto ma domani varranno di più, previsione che può però essere legata alla considerazione che l'autonomia finanziaria avrebbe probabilmente consentito un uso delle entrate regionali nel finanziamento delle diverse funzioni acquisite più efficiente e più rispondente alle specifiche strategie di sviluppo del territorio.
Non è un caso ad esempio che nelle tre autonomie del modello Trentino vi è un'elevatissima spesa pro capite per istruzione rispetto a quelle delle regioni a statuto ordinario e anche rispetto alle altre regioni a statuto speciale, una differenza che invece non si riscontra nella spesa sanitaria pro capite, quindi è un prodotto di scelte di attribuzione di risorse.
Queste condizioni di convenienza sembrano essere state sufficientemente presenti e via via rafforzate avviando un circolo virtuoso nel caso delle autonomie che hanno promosso, soprattutto dagli anni ’80, un'attività negoziale particolarmente intensa. La quota di tributi erariali inizialmente devoluti era parziale e si poteva quindi aumentare, inoltre questo aumento della quota avrebbe determinato un incremento di gettito consistente, dato il grado di sviluppo economico raggiunto e le aspettative di crescita.
Non è facile stimare quale sia la soglia di sviluppo che innesca il meccanismo virtuoso e quanto possa giocare invece nella valutazione dei vantaggi a negoziare l'attuazione dell'economia anche solo l'effetto delle aspettative di crescita, però si osserva dai dati un'evidente correlazione tra il livello pro capite di entrate finanziarie regionali per compartecipazioni ai tributi erariali e il grado di sviluppo delle autonomia in termini di competenze acquisite su base negoziale.
Naturalmente in tutto questo processo possono anche aver giocato l'efficienza delle Commissioni, la capacità negoziale e altre condizioni, soprattutto nel modo in cui le regioni speciali hanno reagito al mutato atteggiamento dello Stato nella fase del consolidamento fiscale, in cui il negoziato ha riguardato soprattutto l'ammontare del prelievo di solidarietà al consolidamento di bilancio, ma è bene non trascurare le basi economiche oggettive che determinano i vantaggi del processo negoziale e quindi l'azione e i risultati conseguenti.
Se passiamo a considerare la Sicilia, le condizioni per l'evoluzione del processo di attuazione dell'autonomia secondo il meccanismo negoziale non ci sembra che siano state altrettanto presenti e secondo la mia opinione non appaiono molto forti neanche oggi. Quale sarebbe stato il vantaggio per la Sicilia a procedere in modo più attivo per questa strada, data questa differenza di attivismo ?
In primo luogo l'autonomia siciliana ha goduto fin dall'inizio della totale compartecipazione al gettito erariale, con l'eccezione delle imposte e delle entrate dei Monopoli che abbiamo richiamato. Era più ristretto, quindi, dall'origine lo spazio negoziale per procedere in direzione di una maggiore acquisizione di competenze.
Il gettito derivante dalla compartecipazione erariale ha inoltre un peso ridotto nelle entrate regionali che, come ho detto prima, si compongono per una quota rilevante di trasferimenti.Pag. 19
Ugualmente l'eventuale estensione della compartecipazione a tributi e imposte che erano escluse dalla compartecipazione difficilmente avrebbe equilibrato l'onere aggiuntivo derivante dall'allineamento delle competenze al livello di quelle esercitate dalle Regioni del modello Trentino.
In un certo senso la Sicilia è partita con un federalismo compiuto asimmetrico, in cui la totalità del gettito erariale, sempre con le eccezioni ricordate, già non era sufficiente per scarsa capacità fiscale a finanziare le competenze esercitate dall'inizio, da cui la previsione di un fondo di solidarietà e poi attribuzione di fondi strutturali europei.
È quindi comprensibile, a mio avviso, la scarsa propensione a spingere un processo negoziale in cui era difficile assumere altre competenze in assenza di ulteriori tributi da acquisire, che fossero capaci di generare un gettito sufficiente per il loro funzionamento.
Una stima possibile del gettito ottenibile dall'acquisizione totale dell'imposta accise non partecipate non credo superi il miliardo, a fronte di una riduzione di oltre un miliardo nei trasferimenti dal 1994 al 2013. Non stupisce, quindi, che il negoziato sia ruotato intorno più all'interpretazione giuridica del modo di calcolare la compartecipazione ai tributi erariali (è stata richiamata la discussione tra tributi riscossi e tributi generati o maturati nell'area, che ha dato vita a un vario contenzioso davanti alla Corte, con pronunciamenti diversi) e alla possibile acquisizione di tributi e imposte la cui devoluzione non era prevista dallo statuto siciliano.
Anche il negoziato per allargare la compartecipazione a queste imposte per le quali non era prevista la compartecipazione dallo statuto incontra un ostacolo nella scarsa convenienza dell'acquisizione, ove in cambio lo Stato chiedesse una piena competenza nell'istruzione e nella sanità come logica di un processo negoziale. Né il negoziato può fondarsi sull'aspettativa di un improbabile, rapido aumento della capacità fiscale, tale da generare una convenienza in prospettiva, considerato che i vincoli di bilancio attuali della regione non consentono uno scambio intertemporale tra maggiori oneri attuali e possibili maggiori entrate future.
Ciò spiega perché il processo negoziale della Regione si sia maggiormente concentrato, più che sull'attuazione dell'autonomia, sull'ammontare dei trasferimenti e sul contributo al risanamento della finanza pubblica. In altri termini, per la Regione siciliana riteniamo che sia difficile giudicare quanto abbia giocato quel fattore di inefficienza, il fattore politico nel minor funzionamento o minore attivismo dello strumento pattizio nel processo di attuazione dello statuto e quanto invece questo sia il risultato dell'insufficienza di spazio reale di scambio per accordi di interesse reciproco tra Stato e Regione.
Credo che la risposta a questo interrogativo sia di non poco conto e suggerisca due altre considerazioni. Se il meccanismo pattizio non è sostenuto in Sicilia da adeguati interessi in capo alle due parti, solo un eventuale intervento unilaterale dello Stato potrebbe dare impulso a un negoziato sul tema del trasferimento di competenze.
La seconda considerazione, che è un po’ forte: conviene alla Sicilia seguire la strada del completamento dell'autonomia speciale ? Come abbiamo visto, la Sicilia ha caratteristiche sul piano della struttura delle entrate finanziarie e della spesa forse più simili a quelle delle Regioni ordinarie che a quelle delle autonomie speciali del nord.
Le ragioni della specialità sono ovviamente di varia natura, storico-politiche oltre che di specificità del territorio e sociali, ma dal punto di vista strettamente finanziario ed economico non è chiaro in qual modo e in quale direzione si possa oggi sviluppare virtuosamente il processo di attuazione dell'autonomia siciliana in funzione di uno sviluppo della Regione.
Ci si può quindi legittimamente chiedere se, al contrario, non sia nell'interesse della Regione forse più che dello Stato, anche se l'interesse generale dello Stato non può che comprendere anche lo sviluppo della Regione, riconsiderare i vantaggi della specialità, confrontandoli con Pag. 20quelli di un percorso nella direzione che il nuovo assetto costituzionale va delineando per le regioni ordinarie.
PRESIDENTE. Grazie, professor Tria, per la documentazione che ci ha consegnato e per la prospettiva diversa, molto ancorata a dati di fatto e non ad argomentazioni che sono ormai da anni in pasto alla pubblicistica sulle questioni oggetto della nostra indagine conoscitiva nella parte che riguarda i rapporti finanziari fra lo Stato e le Regioni ad autonomia differenziata.
Nel ringraziare sentitamente tutti i nostri autorevoli relatori, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11.20.