Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3
SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»
Esame del documento conclusivo.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3
ALLEGATO: Proposta di documento conclusivo ... 5
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA
La seduta comincia alle 8.25.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE . Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Esame del documento conclusivo.
PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca l'esame del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze».
Oggi abbiamo previsto di iniziare la discussione su questo testo. Vorrei svolgere al riguardo alcune brevi considerazioni.
In primo luogo, vorrei ringraziare gli uffici, i consulenti e tutti voi per il lavoro che abbiamo fatto; un lavoro molto complesso, articolato e devo dire assolutamente approfondito. Abbiamo svolto una serie di audizioni nel corso di venti sedute di Commissione e credo che si rivelerà un lavoro molto utile, sia nel caso in cui i cittadini dovessero approvare la riforma costituzionale, sia nel caso in cui la riforma non dovesse essere approvata.
Il nostro è un lavoro che si è organizzato attorno ai due possibili scenari e, sia nell'uno che nell'altro caso, fornisce delle indicazioni di lavoro per rivedere le forme di raccordo previste sia a Costituzione vigente che nel caso in cui la Costituzione, soprattutto nella parte che riguarda il ruolo del Senato e i rapporti fra Stato e Regioni, dovesse essere modificata.
Abbiamo pensato di suddividere il lavoro in più parti, analizzando tutti i profili relativi alle funzioni del nuovo Senato e anche l'attuale stato di funzionamento del «sistema delle conferenze». C'è una parte, molto interessante di diritto comparato, che si riferisce a tutte le esperienze straniere significative, dal nostro punto di vista, per ciò che concerne i sistemi di raccordo.
Poi abbiamo delineato le conclusioni, sia con riguardo all'ipotesi in cui i cittadini dovessero esprimersi per il «sì», sia nel caso in cui i cittadini dovessero esprimersi per il «no». Sia nell'uno che nell'altro caso, siamo giunti alla conclusione che una riforma del «sistema delle conferenze» sia importante perché esse sono state disciplinate in epoche ormai molto lontane. L'ultimo testo che disciplina il «sistema delle conferenze» risale a prima della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
Dunque, il «sistema delle conferenze» si è dovuto anche far carico di una serie di compiti che gli sono stati assegnati a seguito degli orientamenti e delle decisioni formulati da parte della Corte costituzionale. Tutto questo, in qualche modo, ha reso il sistema più importante ma anche più pesante dal punto di vista del funzionamento e dell'accessibilità delle decisioni e dei lavori delle conferenze da parte dei cittadini.
Poiché sono si tratta di sedi in cui ad oggi si decide gran parte della vita dei cittadini – pensiamo a ciò che ci ha detto la Ministra Lorenzin, ad esempio, nel corso della sua audizione con riferimento al Piano sanitario nazionale, al riparto delle risorse Pag. 4 del Fondo sanitario nazionale, alla definizione dei cosiddetti «patti per la salute» – è assai importante che noi segnaliamo sia l'uno che l'altro scenario, con alcune ipotesi di lavoro che danno un quadro di un percorso che potrebbe essere fatto – ripeto – sia nell'uno che nell'altro caso.
Se ci sono colleghi che vogliono intervenire già oggi nella discussione, la apriamo senz'altro, altrimenti possiamo aggiornarci alla prossima settimana. Ricordo che in calce al resoconto della seduta odierna sarà allegata la proposta di documento conclusivo.
Non vedo richieste di intervento. Il seguito del dibattito è dunque rinviato alla prossima seduta.
Grazie a tutti.
La seduta termina alle 8.30.
Pag. 5ALLEGATO
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»
PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO
1. PREMESSA
2. IL SISTEMA DELLE CONFERENZE
2.1 Assetto attuale: introduzione
2.2 Composizione e attività delle Conferenze intergovernative
2.3 Le Conferenze orizzontali
2.4 La giurisprudenza costituzionale sulla centralità del «sistema delle conferenze» nei rapporti tra Stato e autonomie territoriali
2.5 Punti di forza e di debolezza del «sistema delle conferenze» nel sistema attuale
3. LA RIFORMA COSTITUZIONALE IN ITINERE ED IL RACCORDO TRA LO STATO E GLI ENTI TERRITORIALI
3.1 Il Senato come Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali
3.2 Il «sistema delle conferenze» a seguito della riforma costituzionale in itinere: soppressione o riordino?
3.3 Le funzioni attribuite al Senato ed il riordino del «sistema delle conferenze»
3.3.1 La rappresentanza delle istituzioni territoriali e la composizione del Senato
3.3.2 Il raccordo e le altre funzioni attribuite al Senato ed il «sistema delle conferenze»
3.3.3 La funzione legislativa
3.3.4 La funzione di partecipazione ai processi decisionali dell'Unione europea
3.3.5 L'attività di valutazione
3. 4. Le modifiche al titolo V ed il principio di leale collaborazione
4. PROPOSTE DI RIORDINO DELL'ASSETTO DELLE CONFERENZE
4.1. Proposte di riordino del sistema di raccordo a costituzione invariata
4.1.1 Attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001
4.1.2 La razionalizzazione delle attuali Conferenze
4.1.3 Maggiore autonomia dall'Esecutivo
4.1.4 La rappresentanza degli enti locali
4.1.5 Istituzione della Conferenza degli Esecutivi
4.2 Proposte di riordino del «sistema delle conferenze» nel nuovo assetto costituzionale
4.2.1 Proposte di riordino nell'ambito della funzione legislativa Pag. 6
4.2.2 Proposte di riordino nell'ambito della funzione regolamentare e della funzione amministrativa
4.2.3 Ulteriori proposte di riordino:
a) nell'ambito della funzione di valutazione
b) nell'ambito della partecipazione ai processi decisionali dell'Unione europea
4.2.4 Proposte di coordinamento fra il Senato e il «sistema delle conferenze»
4.2.5 La Commissione bicamerale per le questioni regionali nell'ambito della riforma
5. PROFILI DI DIRITTO COMPARATO
5.1 Premessa
5.2. Sulla provenienza dei componenti delle Camere territoriali
5.3. Sul sistema delle conferenze
5.4 Sulle forme di partecipazione delle seconde camere alle politiche UE
5.5 Sulla cosiddetta clausola di supremazia
5.6 Sulle procedure di negoziazione tra lo Stato e le autonomie territoriali
5.7 Sulla conferenza delle assemblee legislative regionali
6. CONCLUSIONI
6.1. Prospettive a Costituzione vigente: possibili interventi di riordino del sistema di raccordo tra Stato e autonomie.
6.2. Prospettive a Costituzione modificata: la revisione del sistema di raccordo tra Stato e autonomie.
1. PREMESSA
La Commissione parlamentare per le questioni regionali, contestualmente al raggiungimento di uno stadio avanzato dell’iter di esame del disegno di legge di riforma costituzionale – ora approvato in via definitiva dalle Camere ed in attesa dello svolgimento del referendum approvativo – ha fatto propria l'esigenza di una riflessione sistematica sulle forme di raccordo fra Stato e autonomie territoriali, alla luce del ruolo che la riforma attribuisce al Senato, con specifico riferimento alle funzioni di rappresentanza delle istituzioni territoriali e di raccordo tra gli enti costitutivi della Repubblica. A tal fine in data 11 novembre 2015 la Commissione ha deliberato l'avvio dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali con particolare riguardo al «sistema delle conferenze».
L'indagine si è mossa con un duplice obiettivo: da un lato, verificare l'impatto delle nuove disposizioni costituzionali (qualora il referendum abbia un esito approvativo della riforma costituzionale in itinere) sul sistema vigente, al fine di offrire elementi utili per un incisivo riordino delle forme di raccordo, tenendo conto anche dei punti di forza e di debolezza dell'attuale «sistema delle conferenze»; dall'altro, acquisire elementi istruttori utili (nell'eventualità che il referendum non abbia esito approvativo) per verificare se – ad oltre trentadue anni dall'istituzione della Conferenza Stato-Regioni e dopo alcuni tentativi di riforma – sia opportuno, ed eventualmente secondo quali linee direttrici, un riordino complessivo delle Conferenze a Costituzione vigente.
La Commissione ha dedicato allo svolgimento dell'indagine conoscitiva 20 sedute dall'13 gennaio al 21 luglio 2016, nelle quali sono stati ascoltati rappresentanti del Governo (Maria Elena Boschi, ministra per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, Angelino Alfano, ministro dell'interno, Beatrice Lorenzin, ministra della salute, Gianclaudio Bressa, sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa, ministro per gli affari regionali e le autonomie), professori esperti della materia (Franco Bassanini, Raffaele Bifulco, Guido Rivosecchi, Luca Castelli, Massimo Carli, Guido Carpani, Paolo Caretti, Antonio D'Atena, Marco Olivetti, Marcello Cecchetti, Alessandro Morelli, Simone Pajno, Stelio Mangiameli, Luciano Vandelli, Massimo Luciani, Enzo Moavero Milanesi, Jörg Luther, Anna Mastromarino, Nicola Lupo), la Corte dei conti (Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei conti), rappresentanti degli organi portatori degli interessi delle autonomie territoriali (Franco Iacop, coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Matteo Ricci, vicepresidente dell'ANCI, Giuseppe Rinaldi, presidente dell'UPI Lazio, Enrico Borghi, presidente dell'UNCEM), funzionari delle conferenze (Marcello Mochi Onori, segretario generale della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Antonio Naddeo, direttore della Conferenza Stato-Regioni, Paolo Pietrangelo, direttore generale della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome).
La Commissione si è altresì avvalsa della consulenza, a titolo gratuito, del professor Giacomo D'Amico, del dottor Antonino Iacoviello, dell'avvocato Giuseppe Ribaudo, del professor Gaetano Armao, Pag. 8 della dottoressa Donatella Scandurra e della dottoressa Maristella Vicini.
Nel corso dello svolgimento dell'indagine, come sarà illustrato nel prosieguo del documento, è emerso che la riforma costituzionale non impone la soppressione del «sistema delle conferenze». Piuttosto, una convivenza fra il «nuovo» Senato e le conferenze è ritenuta opportuna in una prospettiva di sistema. Del resto, nei sistemi federali e regionali, anche in quelli caratterizzati da una consolidata presenza di Camere delle autonomie territoriali, si registra una pluralità di sistemi di raccordo.
Ciò premesso, la riforma costituzionale pone tuttavia in modo ineludibile l'esigenza di procedere ad una riflessione sulle funzioni del sistema delle Conferenze, per la definizione del quale occorre muovere dal ruolo che la Costituzione attribuisce al «nuovo» Senato. Occorre, in sostanza, partire dalla finalità stessa della riforma di superare una delle principali criticità del regionalismo italiano, riconducibile all'assenza di sedi e istituti di cooperazione tra Stato e autonomie nella formazione delle leggi e nella definizione delle politiche pubbliche.
La Corte costituzionale (nella sentenza n. 6 del 2004) ha del resto riconosciuto alle Conferenze il ruolo di sede di raccordo e perseguimento della leale collaborazione, nei casi di intervento dello Stato nelle materie di competenza concorrente e residuale delle Regioni, fondandolo sulla «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi» idonea a garantire le autonomie territoriali. Assenza dovuta anche, come noto, alla mancata attuazione della disposizione costituzionale (articolo 11, commi 1 e 2(1) , della legge costituzionale n. 3 del 2001), che prevede la possibilità di integrare la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti di Regioni, Province autonome ed enti locali e attribuisce ai pareri resi dalla medesima Commissione, così integrata, su disegni di leggi vertenti su materie di competenza concorrente o attinenti alla finanza regionale e locale, un valore rinforzato (nello stesso senso, cfr. anche sentenze n. 7/2016, n. 278/2010, n. 401/2007, n. 383/2005).
L'esigenza di porre mano ad una rivisitazione dell'attuale sistema di raccordo, come è emerso nell'ambito della procedura informativa, si impone, tuttavia, anche a prescindere dalla riforma costituzionale e, pertanto, anche dall'esito del referendum costituzionale.
Nel prosieguo del Documento, si svolgerà preliminarmente un inquadramento dell'assetto attuale delle Conferenze e del ruolo svolto sino ad oggi, con particolare riferimento ai punti di forza e debolezza del sistema. A seguire, sarà valutato l'impatto dell'eventuale approvazione della riforma costituzionale, soffermandosi in particolare sul Pag. 9 rapporto tra il nuovo Senato ed il «sistema delle conferenze». Si darà dunque conto delle proposte che sono emerse nel corso delle audizioni in entrambe le ipotesi (Costituzione vigente e Costituzione modificata). Per completare il quadro, ci si soffermerà sui profili di diritto comparato rilevanti ai fini delle tematiche trattate dall'indagine conoscitiva.
2. IL SISTEMA DELLE CONFERENZE
2.1 Assetto attuale: introduzione
Con il termine «sistema delle conferenze» ci si riferisce ai seguenti tre organismi intergovernativi a composizione mista, costituiti da rappresentanti dello Stato e delle autonomie territoriali: la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (d'ora innanzi Conferenza Stato-Regioni); la Conferenza Stato – Città ed autonomie locali; la Conferenza unificata. Si tratta di organismi che, nell'assetto costituzionale vigente, rappresentano le sedi istituzionali privilegiate di confronto e raccordo tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
Alle conferenze intergovernative, si affiancano le conferenze cosiddette orizzontali (per distinguerle dalle precedenti in cui prevale il carattere verticale), in cui il raccordo è fra gli enti territoriali stessi. Fra queste si distinguono la Conferenza delle Regioni e delle province autonome e la Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome. Ad esse si aggiungono ulteriori forme di organizzazione riguardanti gli enti locali, realizzate dall'ANCI, dall'UPI e dall'UNCEM. Si tratta in questo caso di associazioni di carattere privatistico, che hanno spesso peraltro trovato un riconoscimento a livello legislativo nell'ambito delle procedure concernenti gli enti territoriali.
Sin dall'inizio degli anni Ottanta si era avvertita l'esigenza di istituire sedi di confronto e coordinamento fra lo Stato e le autonomie territoriali, in un quadro costituzionale che non contemplava una Camera in rappresentanza delle autonomie, né specifici meccanismi di raccordo politico-istituzionale con i territori.
La prima ad essere istituita è stata la Conferenza Stato-Regioni, con il DPCM 12 ottobre 1983, e, a seguire, negli anni Novanta sono state introdotte nell'ordinamento la Conferenza Stato-Città, con DPCM 2 luglio 1996, e la Conferenza unificata, con il decreto legislativo n. 281 del 1997.
Il «sistema delle conferenze» è attualmente disciplinato, per gli aspetti generali, dall'articolo 12 della legge n. 400 del 1988 (con riferimento alla Conferenza Stato-Regioni) e dal decreto legislativo n. 281 del 1997, ai quali si affiancano disposizioni integrative di rango legislativo su specifici aspetti, come ad esempio la legge n. 234 del 2012, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, che attribuisce un ruolo di rilievo alle Conferenze nel dialogo con l'Unione europea.
Come è stato segnalato anche nel corso delle audizioni, le disposizioni che disciplinano la composizione ed il funzionamento del sistema non sono mai state adeguate alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, che, nel 2001, ha profondamente modificato Pag. 10 l'ordinamento costituzionale delle autonomie territoriali e, conseguentemente, ha inciso sul sistema dei rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali medesime.
2.2 Composizione e attività delle Conferenze intergovernative
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (Conferenza Stato-Regioni), istituita presso la Presidenza del Consiglio, è presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri, o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali ovvero, se tale incarico non è attribuito, da altro Ministro.
Ne fanno parte i Presidenti delle Regioni a statuto speciale e ordinario e i Presidenti delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Alle riunioni della Conferenza sono invitati, dal Presidente del Consiglio, i Ministri interessati agli argomenti iscritti all'ordine del giorno, nonché rappresentanti di amministrazioni dello Stato e di enti pubblici (art. 12, comma 2, della legge n. 400 del 1988).
La Conferenza Stato-città e autonomie locali, secondo la normativa vigente, è «presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali nella materia di rispettiva competenza; ne fanno parte altresì il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanità, il Presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia (ANCI), il Presidente dell'Unione province d'Italia (UPI) e il Presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM). Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI. Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le città individuate, dall'art. 17 della legge n. 142 del 1990» (poi confluito nell'art. 22 del Tuel), come centro delle aree metropolitane. «Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici» (art. 8, comma 2, del decreto legislativo n. 281 del 1997).
La Conferenza unificata è presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell'interno.
Ne fanno parte i componenti della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città e autonomie locali (art. 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997).
Quanto all'attività svolta dal «sistema delle conferenze» intergovernative, essa si esplicita essenzialmente attraverso i pareri (facoltativi od obbligatori), le intese (che rivestono un carattere obbligatorio), gli accordi (che hanno un carattere facoltativo), le deliberazioni, le designazioni, oltre ad attività di scambio di dati e informazioni.
Il segretario pro tempore della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza unificata, nella propria audizione, ha richiamato le statistiche riguardanti il lavoro svolto dalle due Conferenze. Nel 2014 sono state svolte 21 sedute della Conferenza Stato-Regioni, con 221 ordini del giorno iscritti e 196 atti adottati; nel 2015 le sedute della Conferenza Stato-Regioni sono state 22, 302 gli ordini del giorno iscritti e 239 gli atti adottati. Pag. 11
L'attività preponderante della Conferenza è quella sulle intese e sugli accordi. Nel 2014 le intese raggiunte sono state 72 e le mancate intese 5, mentre nel 2015 sono state 91 le procedure avviate per addivenire ad intese, con 2 mancate intese. Gli accordi sono stati 20 nel 2014 e 31 nel 2015.
L'attività della Conferenza si estrinseca altresì in pareri su disegni di legge e su decreti-legge del Governo. Nel 2014 i pareri della Conferenza Stato-Regioni sono stati 50, nel 2015 sono stati 65.
L'attività più rilevante è proprio quella sulle intese, che si esplica nella normazione secondaria, mentre i pareri vengono dati sulla normazione primaria e le intese e gli accordi vengono fatti su atti regolamentari, su attività di raccordo tra lo Stato e le Regioni.
Per quanto riguarda la Conferenza unificata, i dati sono i seguenti: 19 sedute nel 2014 e 14 nel 2015, 193 gli ordini del giorno iscritti nel 2014, 188 nel 2015, 162 gli atti adottati nel 2014, 136 nel 2015. Le intese sono state 39 nel 2014, anno in cui non c'è stata alcuna mancata intesa, mentre sono state 28 nel 2015, di cui una mancata intesa; gli accordi sono stati 15 nel 2014 e 12 nel 2015.
2.3 Le Conferenze orizzontali
La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome si è costituita, con la denominazione di Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, nel 1981, nella persona dei Presidenti delle Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale e dei Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, con l'obiettivo di operare come momento di raccordo delle Regioni con il Governo nazionale, con il Parlamento, con il sistema degli Enti locali (Atto costitutivo, Pomezia 1981).
Nel 2005, la Conferenza – il cui funzionamento fino ad allora era stato demandato alla prassi – ha adottato un proprio regolamento, poi integrato da Linee interpretative.
All'art. 1 del Regolamento vengono elencate le finalità della Conferenza: a) definire, promuovere posizioni comuni su temi di interesse delle Regioni, elaborare documenti e proposte al fine di rappresentarli al Governo, al Parlamento, agli altri organismi centrali dello Stato e alle istituzioni comunitarie; b) predisporre pareri e basi di intesa in osservanza della legislazione vigente; c) favorire il raccordo con le autonomie locali a livello nazionale.
I lavori dell'Assemblea sono programmati anche in relazione alle riunioni delle Conferenze Stato-Regioni e Unificata.
Appare rilevante sottolineare che è nell'ambito della Conferenza delle Regioni che maturano le valutazioni e gli indirizzi politici regionali che vengono successivamente rappresentate al Governo nell'ambito delle riunioni della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza unificata.
La Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Istituita nel 1994, la Conferenza si compone dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province ed ha come finalità la valorizzazione del ruolo istituzionale delle Assemblee delle Regioni e delle Province autonome. È sede di coordinamento e scambi di esperienze per le attività di interesse delle Pag. 12 Assemblee legislative e promuove gli opportuni raccordi con le Assemblee legislative di ambito nazionale, comunitario e internazionale.
In particolare, svolge funzioni propositive e consultive nei confronti delle Assemblee elettive e costituisce sede di riferimento per i rapporti delle Regioni con le Assemblee parlamentari nazionali ed europea; interagisce con le Commissioni parlamentari in ordine a tutti i temi di competenza; si relaziona con la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni d'Europa (CALRE) e con il Parlamento europeo, nonché con altri coordinamenti internazionali di omologhe istituzioni legislative.
Di particolare rilievo appare il ruolo svolto dalla Conferenza ai fini dell'armonizzazione nell'attuazione a livello regionale di alcune politiche nazionali particolarmente delicate, come segnalato, nel corso dell'audizione, dal direttore generale pro tempore della Conferenza, il quale a titolo esemplificativo ha richiamato il decreto-legge Monti n. 174 del 2012. Al riguardo, ha segnalato come l'autonomia regionale è tanto più forte quanto più è armonizzata: è dunque fondamentale avere una sede in cui procedere a scelte condivise.
Significativo, come rilevato sempre dal direttore generale pro tempore della Conferenza, il rapporto instaurato con la Corte dei conti, ed in particolare il coordinamento tra la sezione delle autonomie e il sistema delle Assemblee per quanto riguarda tutta la fase dei controlli, avviato appunto con il decreto-legge n. 174 e con l'entrata in vigore dell'armonizzazione di carattere anche finanziario. Tale rapporto ha poi trovato un riconoscimento a livello legislativo con l'approvazione, nel corso dell'esame parlamentare del decreto legge n. 113 del 2016, dell'articolo 10-bis che consente alla Conferenza di richiedere pareri alla Sezione delle autonomie della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica.
Va segnalata infine l'attività di collaborazione della Conferenza con il Senato nell'ambito della fase ascendente della normativa dell'Unione europea, con la XIV Commissione e con le altre Commissioni parlamentari, anche relativamente ad alcuni early warning.
Un altro versante di rilievo su cui le Assemblee regionali hanno molto investito negli ultimi anni, come rilevato anche dal direttore generale pro tempore della Conferenza, è stato il tema della valutazione delle politiche pubbliche.
2.4 La giurisprudenza costituzionale sulla centralità del «sistema delle conferenze» nei rapporti tra Stato e autonomie territoriali
Come diffusamente ricordato nel corso delle audizioni, l'evoluzione normativa, la giurisprudenza costituzionale e la prassi hanno complessivamente contribuito al considerevole ampliamento degli ambiti di intervento delle Conferenze, rispetto al momento della loro istituzione e pur in assenza di un riconoscimento costituzionale del ruolo svolto(2) . Più in generale, il «sistema delle conferenze» ha indubbiamente acquisito un ruolo centrale e strategico nel raccordo politico-istituzionale tra Stato ed autonomie territoriali. Pag. 13
Come osservato dal sottosegretario Bressa nel corso dell'audizione, le caratteristiche del regionalismo italiano aiutano a comprendere le ragioni e l'attuale assetto del «sistema delle conferenze» imperniato sulla Conferenza Stato-Regioni, sulla Conferenza unificata e sulla Conferenza Stato-città: «da un lato, l'assenza di una seconda Camera capace di dare voce al centro degli interessi territoriali, dall'altro, il forte rilievo assunto dai comuni, riconosciuto dalla Costituzione, in particolare dall'articolo 118, primo comma». Occorre inoltre tener presente che il sistema è nato e si è poi assestato grazie al decreto legislativo n. 281 nel 1997, sulla base di un assetto normativo diverso e comunque antecedente rispetto a quello venuto fuori con le riforme costituzionali del 1999 e del 2001.
Il ruolo strategico di raccordo svolto dalle Conferenze non ha tuttavia impedito finora un consistente contenzioso presso la Corte costituzionale, che ha evidenziato limiti nella capacità del sistema di assicurare in talune occasioni la necessaria composizione degli interessi politici.
La mancata costituzione di una Camera legislativa in rappresentanza degli enti territoriali e la mancata introduzione di specifici strumenti di raccordo fra i vari livelli di governo hanno determinato la pressoché esclusiva titolarità in capo al «sistema delle conferenze» delle funzioni di coordinamento tra i diversi livelli di governo.
Anche prima della riforma del 2001, la Corte costituzionale ha fatto applicazione, in molteplici pronunce, del principio di leale collaborazione, desumendolo dal tenore dell'articolo 5 della Costituzione, e, in particolare, dal carattere di unità ed indivisibilità della Repubblica, che richiede l'esigenza di perseguire una composizione di interessi degli enti che, ai sensi dell'art. 114 della Costituzione, la costituiscono. Nella sentenza n. 242 del 1997, la Corte riconosce che il principio di leale cooperazione «deve governare i rapporti fra lo Stato e le Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi (...). Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, “riconosce e promuove le autonomie locali”, alle cui esigenze ’adegua i principi e i metodi della sua legislazione’ (art. 5 Cost.), va al di là del mero riparto costituzionale delle competenze per materia, e opera dunque su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e Regioni».
Dopo l'approvazione nel 2001 della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, il problema principale posto dalla nuova ripartizione di attribuzioni legislative tra Stato e Regioni è stato quello di determinare la linea di demarcazione tra competenza statale e competenza regionale.
La complessità dei fenomeni sociali oggetto di disciplina legislativa rende infatti molto spesso difficile la riconduzione sic et simpliciter di una normativa ad un'unica materia, determinandosi invece un intreccio tra diverse materie e diversi livelli di competenza che la Corte stessa non ha esitato a definire inestricabilmente «commiste» (sentenza n. 250/2015; ex plurimis, sentenze n. 213/2006, n. 133/2006, n. 431, n. 231/2005; n. 219/2005, n. 50/2005, n. 308/2003). Pag. 14
In questi casi il principio-cardine su cui ha fatto leva la giurisprudenza della Corte costituzionale per risolvere i frequenti casi di intersezione e sovrapposizione tra competenze statali e competenze regionali, nei casi in cui non sia possibile individuare una materia prevalente, è stato nuovamente il principio di leale collaborazione, «che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni» ed impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze (sentenza n. 50/2005; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 44/2014, n. 234/2012, n. 187/2012, n. 88/2009, n. 50/2008, n. 213/2006, n. 133/2006, n. 231/2005, n. 219/2005).
Oltre che nelle ipotesi di «concorrenza di competenze», il principio di leale collaborazione viene richiamato dalla Corte costituzionale nei casi di cd. «attrazione in sussidiarietà» (o «chiamata in sussidiarietà»), ossia nei casi in cui, «allorché sia ravvisabile un'esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, lo Stato è abilitato, oltre che ad accentrare siffatto esercizio ai sensi dell'art. 118 Cost., anche a disciplinarlo per legge, e ciò anche quando quelle stesse funzioni siano riconducibili a materie di legislazione concorrente o residuale». Peraltro, per configurare questa deroga agli ordinari criteri di riparto delle competenze legislative è necessario – stante la rilevanza dei valori in gioco – per un verso, che la valutazione dell'interesse unitario sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata e rispondente a ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto; per altro verso, che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate nello svolgimento delle funzioni allocate in capo agli organi centrali, in modo da contemperare le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni stesse (sentenza n. 261 del 2015; nello stesso ex plurimis, sentenze n. 179 e n. 163 del 2012, n. 232 del 2011, sentenze n. 374 e n. 88 del 2007, n. 303 del 2003).
Nella giurisprudenza costituzionale in materia di Titolo V sono dunque numerosissimi i casi in cui è emersa la necessità di attivare procedimenti destinati ad integrare il parametro della leale collaborazione, in particolare attraverso il «sistema delle conferenze». Il «sistema delle conferenze» costituisce infatti il «luogo di espressione e insieme di sintesi degli interessi regionali e statali coinvolti» (sentenza n. 21/2016), ove «si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate» (sentenza n. 31/2006, nello stesso senso, ex multis, sentenza n. 114/2009).
Una nutrita giurisprudenza costituzionale dunque ha spesso richiesto per l'adozione di una disciplina, segnatamente di carattere regolamentare, in ambiti normativi di pertinenza regionale, la previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, al fine di garantire un contemperamento tra potestà statali e prerogative regionali.
L'intesa è stata talora costruita – soprattutto in una prima fase della giurisprudenza costituzionale – come intesa «forte», con un livello di codecisione paritaria tra Stato e Regioni (sentenza n. 383 del 2005); in tal caso, il mancato raggiungimento dell'intesa costituisce Pag. 15 ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento (sentenza n. 6 del 2004).
In una seconda fase la Corte costituzionale ha ritenuto che la previsione dell'intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una «drastica previsione» della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, reputando necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2016, n. 39 del 2013, n. 179 del 2012, n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del 2005). Solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all'accordo, può essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (sentenze n. 165/2011 n. 33/2011). Allorquando, invece, l'intervento unilaterale dello Stato venga prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, è violato il principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale (sentenze n. 39/2013 e n. 179/2012); infatti il mero decorso del tempo «per sua natura prescinde completamente dall'osservanza, da parte di Stato e Regioni, di comportamenti ispirati al principio di leale collaborazione».
In un caso, la Corte non ha inoltre ritenuto sufficiente la previsione che il Consiglio dei ministri deliberi, in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, che non «può essere considerata valida sostituzione dell'intesa, giacché trasferisce nell'ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all'esterno, in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parità» (sentenza n. 165 del 2011).
Anche con riferimento all’«attrazione in sussidiarietà», la Corte ha inoltre ripetutamente affermato la necessità di una disciplina che contempli, nel percorso attuativo, l'intesa, imposta dal «principio di lealtà» (sentenze n. 131/2016, n. 7/2016, n. 261/2015, n. 278/2010, n. 383/2005, n. 6/2004 e n. 303/2003).
In altri casi di minore impatto sulle competenze regionali, la Corte ha invece ritenuto sufficiente l'acquisizione di un parere della Conferenza (sentenze n. 232/2009 e n. 200/2009). In particolare, «nelle materie di competenza concorrente, allorché vengono attribuite funzioni amministrative a livello centrale allo scopo di individuare norme di natura tecnica che esigono scelte omogenee su tutto il territorio nazionale improntate all'osservanza di standard e metodologie desunte dalle scienze, il coinvolgimento della conferenza Stato Regioni può limitarsi all'espressione di un parere obbligatorio» (sentenze n. 62/2013, n. 265/2011, n. 254/2010, n. 182/2006, n. 336/2005 e n. 285/2005).
La giurisprudenza costituzionale è invece costante nell'escludere l'applicazione del principio di leale collaborazione all'esercizio del potere legislativo. Secondo la Corte, infatti, «l'esercizio dell'attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione». Meccanismi cooperativi potrebbero applicarsi ai procedimenti legislativi solo in quanto la loro osservanza fosse prevista da una fonte costituzionale, in grado di vincolare il legislatore statale (sentenza n. 250 del 2015; nello Pag. 16 stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014; n. 112 del 2010, n. 249 del 2009, n. 159 del 2008).
2.5 Punti di forza e di debolezza del «sistema delle conferenze» nel sistema attuale
Nel corso delle audizioni è stato unanimemente riconosciuto l'importante ruolo svolto dal «sistema delle Conferenze» nell'ambito dell'attività di raccordo fra Stato ed enti territoriali.
Nelle parole del ministro Costa, «come ha riconosciuto la Corte costituzionale in numerose sentenze, fra le quali la famosa n. 31 del 2006, (...) proprio il “sistema delle conferenze” è diventato una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole destinate a integrare il parametro della leale collaborazione che per il giudice delle leggi è l'architrave sul quale, soprattutto dopo la riforma costituzionale del 2001, si regge la Repubblica. Non va dimenticata neppure l'importanza assegnata dalla Corte costituzionale al “sistema delle conferenze”, considerato come la base fondamentale di un corretto rapporto tra Stato, Regioni e autonomie locali, giunta fino ad affermare l'illegittimità, per interposta violazione dell'articolo 76 della Costituzione, di un decreto delegato adottato in difformità dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza prevista dalla relativa legge di delega».
Fra i principali elementi di forza, il Ministro ha affermato che il «sistema delle conferenze», pur adottato prima della riforma costituzionale del Titolo V, si è dimostrato, nella sua flessibilità e nell'ampio spettro delle sue competenze, un'istituzione fondamentale per consentire l'attuazione della nuova normativa costituzionale, in molti casi alleggerendo anche la possibile conflittualità tra legislatori.
Il ministro Alfano, a sua volta, ha sottolineato la valenza positiva del contributo che le Conferenze sono state in grado di apportare alla coesione istituzionale e alla leale cooperazione tra i diversi livelli di governo. Il ministro, quale Presidente della Conferenza Stato-città, ha ricordato come in seno alla stessa «sovente trovano risposta concreta e immediata problemi di funzionamento delle amministrazioni locali. Anche attraverso tale organismo, che riesce a garantire efficacemente il sistema di interlocuzione tra centro e territorio, si manifesta la prossimità degli apparati governativi centrali rispetto alle istituzioni e alle comunità locali».
Con riferimento al sistema di raccordo nel suo complesso, il ministro Costa e il sottosegretario Bressa hanno segnalato tuttavia l'inidoneità delle Conferenze, nella loro configurazione attuale, a poter essere sede di confronto fra il Governo nazionale e gli Esecutivi territoriali sulle politiche pubbliche nazionali, sulle priorità e sulle scelte necessarie per attuarle. Sarebbe a loro avviso importante poter contare su una conferenza degli Esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Presidenti delle Giunte regionali e delle due Province di Trento e Bolzano, simile a quelle operanti in Stati federali, come l'Australia e il Canada.
Anche la ministra Lorenzin ha sottolineato il rilievo dell'attività svolta dal «sistema delle conferenze», rilevando come molte delle criticità derivanti dall'assetto delle competenze in materia di tutela della salute, delineato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, siano state risolte in quella sede. In particolare, ha richiamato tre settori di Pag. 17 interesse del Ministero della salute per cui il ruolo della Conferenza è stato determinante a Costituzione vigente: la definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA); la determinazione del fabbisogno sanitario nazionale e il relativo riparto tra le Regioni, nonché l'approntamento di strumenti e procedure per il ripiano dei disavanzi sanitari (il riferimento è ai c.d. piani di rientro); la stipulazione dei c.d. Patti per la salute (per le ragioni specifiche che hanno reso necessario il frequente ricorso alla concertazione in sede di Conferenza Stato-Regioni, si rinvia alla memoria depositata dal Ministro, ed in particolare alle pagine 10 e ss.).
Sulla base di tali considerazioni, ha rilevato che, a Costituzione vigente, la Conferenza Stato-Regioni rappresenta l'unico organismo in grado di assicurare, a livello istituzionale, il raccordo e la negoziazione tra livelli di governo.
Ciò premesso, secondo la ministra «il sistema delle conferenze» dimostra inevitabili limiti consistenti soprattutto nell'appesantimento dei processi decisionali, anche nei casi in cui sarebbe invece necessaria una maggiore celerità e immediatezza nell'assunzione delle decisioni. Appesantimento peraltro imputabile all'assetto istituzionale in tema di rapporti tra i diversi livelli di governo ed al riparto delle competenze, che ha comportato un intreccio di competenze dei vari livelli e, per conseguenza, un frequente ricorso alla concertazione.
La lentezza delle procedure per arrivare all'accordo tra i diversi livelli di governo condiziona negativamente il processo decisionale, soprattutto quando si tratta di fare riforme che, ad esempio, devono tener conto dello sviluppo tecnico-scientifico; in tali casi, il modello organizzativo non consente di agire nei tempi stretti necessari per il migliore effetto delle decisioni.
Quanto alla ministra Boschi, pur riconoscendo l'importante ruolo svolto dal «sistema delle Conferenze», ha richiamato l'opportunità offerta dalla riforma costituzionale in itinere di assicurare, attraverso il Senato, maggiore trasparenza riguardo all'esercizio delle funzioni di raccordo rispetto a quanto assicurato dall'attuale sistema ed in particolare dai lavori della Conferenza Stato-Regioni, «rispetto ai quali la dottrina ha rilevato l'opacità del processo decisionale, in quanto caratterizzato da forme di trasparenza meno forti rispetto a quelle che possono assicurare i lavori parlamentari».
Il sottosegretario Bressa – dopo aver a sua volta dato atto degli indiscutibili meriti delle conferenze – ha osservato che uno dei limiti dell'attuale sistema è dato dall'ampiezza ed eterogeneità degli ordini del giorno, «nel senso che su trenta punti all'ordine del giorno, un paio possono avere un significato perché o preludono a un'intesa o pongono un tema rilevante, mentre gli altri concernono tutti atti di attuazione amministrativa di previsioni di legge o di pareri su adeguamenti normativi alla normativa europea». In quella sede il Sottosegretario ha colto l'occasione per respingere le critiche in ordine alla scarsa trasparenza dell'attività del «sistema delle conferenze», sottolineando che «tutti gli atti della Conferenza sono pubblici e accessibili in via telematica, perché a distanza di due o tre giorni vengono pubblicati: l'accesso, come per tutte le altre attività amministrative, dà la possibilità di vedere la documentazione alla base delle decisioni assunte». Pag. 18
Il sottosegretario ha fatto poi presente che il «sistema delle conferenze» prevede una specializzazione per materie, che consente di arrivare in sede plenaria dopo che le pratiche sono state istruite dalle varie Commissioni tecniche, composte dai rappresentanti delle Regioni e dai rappresentanti delle amministrazioni interessate. Si tratta di un sistema presente in altri sistemi ordinamentali, come ad esempio in Belgio, in cui «il sistema è stato formalizzato e vi è una Commissione che si occupa delle infrastrutture e delle ferrovie, una della scuola e così via». Con riguardo alla riflessione in ordine al riordino del richiamato sistema, occorrerà a suo avviso procedere «senza immaginarne uno diverso, altrimenti si corre il rischio che uno strumento di coordinamento diventi uno strumento di assembramento e che vi siano troppi luoghi in cui si cerca di trovare una sintesi, nessuno dei quali è in grado di farlo».
Anche l'ANCI ha evidenziato nel corso dell'audizione l'importante contributo svolto sino ad oggi dal «sistema delle conferenze» in quanto sede permanente di confronto, sulla base del principio di leale collaborazione fra gli enti costitutivi della Repubblica, per l'elaborazione delle politiche pubbliche nelle materie di interesse e, attraverso gli strumenti assegnati dalla legge (accordi, intese, deliberazioni), per la composizione di questioni che altrimenti sfocerebbero in contenziosi.
Un modello di concertazione che, ad avviso dell'ANCI, assicura flessibilità e rapidità di decisione, una posizione paritaria delle diverse componenti, nonché trasparenza, capacità di veicolare e comunicare alle autonomie territoriali le decisioni assunte. Secondo l'ANCI, si tratta di una caratteristica molto importante che va considerata, anche alla luce della rilevanza finanziaria delle decisioni che vengono assunte e della possibilità di assicurare un confronto chiaro, evitando scambi one to one con Regioni o Comuni, consentendo la ricerca di una soluzione di sintesi delle diverse istanze.
Ancora, l'ANCI ha aggiunto che un altro aspetto meritevole di particolare considerazione attiene alla ricerca di una sintesi il più possibile condivisa tra le componenti e all'interno delle stesse (Stato, Regioni ed Enti locali), grazie alla prevalenza di posizioni sostanzialmente unitarie, a prescindere dalle differenze di carattere politico.
Tuttavia, come ha sottolineato il vicepresidente Ricci, il «sistema delle conferenze», pur avendo dato un contributo molto importante e positivo, va modificato e snellito, collegando tale esigenza anche con quella di assicurarne la coerenza con la nuova configurazione del Senato. È del resto atteso da tempo un riordino del sistema per l'adeguamento al quadro costituzionale vigente.
L'UNCEM ha ricordato che all'epoca della prima istituzione delle Conferenze si pensava ad un sistema di relazioni e di confronto fra Stato e autonomie locali, come tappa intermedia che preludesse al raggiungimento di un livello più compiuto e più strutturato attraverso l'istituzione del Senato delle autonomie.
Il mancato completamento del percorso ha comportato nel tempo l'emersione di due limiti strutturali del «sistema delle conferenze»: il primo è che nel «sistema delle conferenze» si sono progressivamente riversate funzioni che avrebbero dovuto essere affidate invece alla seconda Camera; il secondo è l'eccessivo numero di competenze ad esse attribuite. Allo stato attuale, infatti, il «sistema delle conferenze» passa Pag. 19 dall'analisi di provvedimenti di altissima rilevanza (dal DEF, alla legge di stabilità, alle riforme costituzionali) fino alla formulazione di pareri su questioni di interesse di singoli Comuni (es. localizzazione di discariche). Nel tempo, ad avviso dell'UNCEM, il ruolo delle Conferenze si è così «affievolito», fino ad arrivare alla prevalenza della mera espressione di pareri spesso superati unilateralmente dal Governo.
ANCI, UPI ed UNCEM sostengono che il «sistema delle conferenze» debba evolvere a strumento di reale confronto fra i livelli di Governo del Paese su poche, ma ben circostanziate, materie.
Nel corso delle audizioni, anche dai contributi della dottrina è emerso il ruolo strategico del «sistema delle conferenze» svolto sino ad oggi e come esso abbia assicurato il raccordo tra Stato e Regioni, superando le logiche di appartenenza politica, a favore dell'effettiva emersione degli interessi dei territori (Carpani). La funzione più rilevante è stata appunto individuata in «una forma di supplenza della rappresentanza territoriale» (Mangiameli); in questi venti anni le Conferenze sono state infatti caricate anche di compiti e di funzioni che derivano dall'assenza di un organo preposto al raccordo a livello delle scelte di politiche pubbliche e a livello della legislazione (Bassanini).
È stato poi ricordato che l'assetto attuale delle conferenze funziona anche come sede di raccordo con le istituzioni che rappresentano le Regioni (Conferenza delle Regioni, Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali, in qualche caso) (D'Atena).
Quanto alle criticità dell'attuale «sistema delle conferenze», secondo il professor Mangiameli, la principale consiste nell'assenza di autonomia rispetto al Governo.
Il professor Rivosecchi ha condiviso tale rilievo, soffermandosi sulla carenza di autonomia e indipendenza (incardinamento presso la Presidenza del Consiglio, con le relative conseguenze sulla definizione dell'ordine del giorno, procedure decisionali, attività di segreteria, ecc.) ed ha altresì rilevato la debolezza di un sistema decisionale rimesso all'informalità(3) . Pag. 20
È stata inoltre richiamata la cosiddetta «fuga dalle Conferenze», ossia la sempre più accentuata tendenza delle Regioni a cercare un'interlocuzione diretta con il Parlamento o a concludere atti di raccordo con associazioni di rappresentanza territoriale che vengono conclusi in Conferenza delle Regioni e poi formalizzati in Conferenza Stato-Regioni (Bifulco).
Si è osservato che il «sistema delle conferenze» è stato spesso anche utilizzato dal Governo al fine di guadagnarsi il consenso delle autonomie territoriali su provvedimenti normativi che quest'ultimo ha inteso adottare, favorendo «l'abuso della delega» da parte del Governo (Bifulco).
A conferma delle difficoltà incontrate dal «sistema delle Conferenze», è stato ricordato che la legge delega sul federalismo fiscale (legge n. 42/2009) ha previsto dei succedanei di queste, quali la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e la Commissione permanente per il coordinamento della finanza pubblica (Bifulco).
Vi è poi chi ha espresso dissenso per una delle richiamate critiche, sostenendo che l'attuale collocazione del «sistema delle conferenze» presso la Presidenza del Consiglio non ne lederebbe l'autonomia e il carattere di terzietà. Le segreterie delle conferenze svolgono infatti un ruolo di supporto alle stesse, senza porsi in posizione gerarchica nei confronti del Governo. In proposito, il segretario della Conferenza, che è un dirigente dalla Presidenza del Consiglio, per le attività di segretario della conferenza non prende indicazioni dal Segretario generale di Palazzo Chigi, ma dal Presidente della Conferenza (Carpani).
Si è registrata una tendenziale convergenza sul riconoscimento dell'inadeguatezza delle forme di pubblicità dell'attività delle conferenze intergovernative e sul carattere informale dei loro lavori, già evocata nell'intervento della ministra Boschi. In proposito, è stato rilevato che considerando «l'alto numero di pratiche e la totale mancanza di una selezione per qualità politica e rilevanza pubblica delle decisioni, anche solo tramite comunicati di stampa, il sistema di registrazione e pubblicità-notizia degli atti non agevola la conoscibilità pubblica dei lavori della Conferenza» e che gli «atti delle Conferenze dovrebbero essere resi pubblici integralmente, insieme agli allegati» (Luther).
L'esigenza di garantire la pubblicità e la trasparenza dei lavori è stata motivata anche al fine di conformare i procedimenti decisionali secondo caratteri idonei a giustificare l'efficacia vincolante degli atti prodotti da tali organismi (Morelli).
Inoltre, è stato osservato che la scarsa trasparenza non consente «una valutazione oggettiva dell'efficacia e della performance dei processi decisionali, essendo utilizzabili soltanto testimonianze e autovalutazioni di soggetti partecipanti e pubblicazioni occasionali di singoli atti insieme a statistiche meramente formali» (Luther). In particolare non consente di distinguere le pratiche di effettiva negoziazione da quelle di semplice «presa d'atto», da ottenere anche con procedure telematiche più snelle, e di esaminare la qualità delle eccezioni sollevate a titolo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Manca inoltre una seria analisi dei costi del «sistema delle conferenze» e Pag. 21 dell'utilizzabilità di strumenti di e-government (conferenze telematiche) (Luther).
L'informalità è stata tuttavia ritenuta anche un fattore che ha favorito il raggiungimento di soluzioni per la composizione dei vari interessi (Carpani).
Il professor Lupo ha individuato il maggior pregio del «sistema delle conferenze» nella capacità di spingere il livello regionale e quello autonomistico a trovare una soluzione comune. Ha inoltre segnalato il limite dovuto all'opacità dell'attività delle conferenze, che può talvolta favorire l'assunzione di posizioni ambigue da parte delle Regioni, che, con una sorta di «doppio gioco», prima spingono per l'adozione di una legge statale e poi, a legge approvata, propongono impugnazione davanti alla Corte costituzionale.
Infine, sono state rilevate criticità in ordine alla capacità del «sistema delle conferenze» di svolgere al meglio la funzione di coordinamento per l'efficiente impiego delle risorse messe a disposizione dai fondi strutturali europei (Moavero Milanesi).
3. LA RIFORMA COSTITUZIONALE IN ITINERE ED IL RACCORDO TRA LO STATO E GLI ENTI TERRITORIALI
La legge di riforma costituzionale, approvata in seconda deliberazione dalle Camere e in attesa dello svolgimento del referendum approvativo, prevede il superamento del bicameralismo perfetto, con la configurazione del Senato quale organo ad elezione indiretta, sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali, e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione, con un'ampia rivisitazione del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni in direzione di un riaccentramento delle stesse.
La riforma, come ampiamente segnalato nel corso delle audizioni, nell'introdurre il nuovo bicameralismo differenziato, pone ineludibilmente la questione del riassetto del «sistema delle conferenze», che ha finora svolto un ruolo significativo, sulla base dei criteri di riparto della competenza legislativa del vigente titolo V, ai fini dell'attuazione delle leggi, sia sul piano normativo che su quello amministrativo, costituendo – come già detto – l'unica sede istituzionale di coordinamento tra gli enti costitutivi della Repubblica.
Ciò, in considerazione del nuovo ruolo che l'articolo 55, quinto comma, nel testo modificato, assegna al Senato, che diviene la Camera di «rappresentanza delle istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea».
Con l'introduzione di una Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali si è posta l'esigenza di riflettere sull'opportunità di mantenere in vita un duplice canale di raccordo con le istituzioni territoriali e, eventualmente, procedere alla (ri)definizione delle rispettive competenze(4) .
3.1 Il Senato come Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali
La riforma costituzionale, attualmente in attesa dell'esito referendario, supera l'attuale sistema di bicameralismo paritario, configurando il Senato quale Camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali.
Pur essendo il rapporto fiduciario riservato alla Camera, l'ampiezza delle funzioni riconosciute al Senato (basti citare, oltre al raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali, la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni, la verifica dell'impatto delle politiche europee sui territori e la verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato) lo inserisce pienamente nel circuito della responsabilità politica «diffusa», cioè di quella responsabilità che si dirige alla pubblica opinione e che eventualmente si sconta in termini di perdita di consenso (Luciani).
L'indagine conoscitiva svolta ha messo in luce come la riforma del Senato e la sua trasformazione in un organo rappresentativo delle autonomie territoriali, e soprattutto delle Regioni, costituisca il tassello mancante della riforma del 2001 (D'Atena).
La giurisprudenza costituzionale ha del resto più volte fatto riferimento, nelle sentenze relative al principio di leale collaborazione ed all'assetto costituzionale delle Camere e dei procedimenti legislativi, alla «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3», che richiede l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali (sentenze n. 7/2016, n. 278/2010, n. 401/2007, n. 383/2005, n. 6/2004).
Diversi auditi hanno sottolineato come la riforma costituzionale superi una lacuna del nostro ordinamento costituita dalla mancanza di una sede politica di raccordo con funzioni di compartecipazione delle autonomie all'esercizio della funzione legislativa (Olivetti), la quale ha contribuito nei fatti al fallimento della riforma del Titolo V (Lupo).
Le nuove funzioni di raccordo costituzionalmente attribuite al Senato rispetto agli enti territoriali e all'Unione Europea riconoscono al Senato un ruolo che va ben al di là della funzione di mero collegamento tra i livelli istituzionali di Governo: gli riconoscono piuttosto una funzione di composizione e integrazione del disegno autonomistico, che richiama il Senato a realizzare il principio cooperativo tra Stato e Regioni in tutte le sue funzioni (Rivosecchi).
In ogni caso, la riforma costituzionale appare ispirata da un intento chiaro, ben sintetizzato dalla formula del «trade-off tra competenze e partecipazione»: da un lato, si prevede il coinvolgimento delle autonomie Pag. 23 territoriali nelle istituzioni centrali e nei procedimenti decisionali statali, soprattutto attraverso la trasformazione del Senato in una Camera rappresentativa delle «istituzioni territoriali»; dall'altro lato, si procede ad una razionalizzazione e a una considerevole riduzione delle competenze legislative regionali (Morelli, Pajno, Rivosecchi).
La presenza in Parlamento dei rappresentanti delle Regioni e dei Comuni appare funzionale alla creazione di «un circuito virtuoso tra la sede dove le grandi regole unificanti si elaborano e si producono e i territori dove queste regole vengono sviluppate, attuate e implementate», circuito che allo stato attuale manca. In tal modo si spiega la presenza dei sindaci, in quanto i comuni, pur sprovvisti di poteri legislativi, costituiscono il terminale avanzato dell'applicazione, dell'attuazione e dello sviluppo delle norme (Vandelli).
Compito principale del Senato sarà dunque quello di rappresentare e far pesare, anzitutto nell'ambito del procedimento legislativo, le esigenze della differenziazione, che presuppone l'effettiva capacità di rappresentare le istituzioni territoriali, mentre alla Camera dei deputati prevale l'esigenza di unità (Carli).
La ministra Boschi ha ricordato che, pur avendo la composizione e le funzioni del nuovo Senato subìto alcune modifiche nel corso dell'esame parlamentare rispetto alla proposta iniziale del Governo, sono comunque rimaste impregiudicate la natura del Senato e la scelta iniziale di rendere il Senato stesso il soggetto di raccordo e di coordinamento tra lo Stato e le istituzioni territoriali. È stato dunque confermato l'obiettivo di dare completa attuazione all'articolo 5 della Costituzione, «garantendo un pieno e armonioso sviluppo del principio dell'autonomia nell'ambito dello Stato e del nuovo Senato».
Anche il ministro Costa ha sottolineato che la riforma, attribuendo al Senato il ruolo di Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali e, allo stesso tempo, «anche il compito di eleggere due dei cinque giudici costituzionali di nomina parlamentare, dà finalmente un solido equilibrio a un sistema istituzionale che, già delineato dall'articolo 5 della Costituzione, parzialmente prefigurato nel Senato eletto a base regionale e nel vecchio Titolo V della Costituzione del 1948, ha richiesto ben 70 anni di faticoso lavoro per giungere a compimento». In questo modo, «finalmente i processi decisionali e le responsabilità dei diversi livelli di governo trovano allo stesso tempo chiarezza di ruoli, rapidità di procedure e forme innovative di compartecipazione alle decisioni comuni».
Secondo il Presidente della Corte dei conti Squitieri, la nuova configurazione del Senato che emerge dal testo della legge di riforma costituzionale consolida la connotazione di un ordinamento della Repubblica basato sul riconoscimento delle autonomie, attraverso la funzione ad esse assegnata di rappresentatività degli enti territoriali e con l'esercizio organico di un potere di valutazione e di indirizzo nelle politiche pubbliche riguardanti i diversi livelli di governo locale.
La ministra Lorenzin, soffermandosi sul rapporto tra il nuovo Senato, la Conferenza Stato-Regioni e il sistema sanitario nazionale, ha sottolineato l'importanza di assicurare, tramite il Senato, la partecipazione delle istituzioni territoriali all'elaborazione delle politiche nazionali, attraverso la loro formale inclusione nel circuito decisionale e nella cornice degli organi costituzionali. Il concorso di Regioni ed enti Pag. 24 locali al procedimento legislativo statale, quindi «a monte», dovrebbe ridurre la necessità di un loro coinvolgimento «a valle», con una riduzione significativa, nella legislazione ordinaria, di eventuali rinvii, e pertanto con una conseguente attenuazione del ricorso al «sistema delle conferenze», quantomeno nella fase della produzione della normativa.
Secondo la ministra Boschi, le modalità di svolgimento della funzione di raccordo tra lo Stato e gli enti che lo costituiscono e il destino dell'attuale Conferenza Stato-Regioni, oltre che degli altri organismi che svolgono funzioni analoghe, dipenderanno non soltanto dalla declinazione concreta che il nuovo articolo 55 della Costituzione dovrà avere nella definizione delle funzioni del Senato, secondo le scelte rimesse ai Regolamenti del Senato e della Camera, ma anche dalla composizione che emergerà dalla legge elettorale per il nuovo Senato. Il ruolo della Conferenza Stato-Regioni potrà dunque essere valutato solo «a valle» dell'implementazione e della messa a regime della riforma.
La ministra ha altresì ricordato che il Governo ha accolto nel corso dell'esame parlamentare ordini del giorno volti ad una revisione complessiva del «sistema delle conferenze» alla luce della riforma. Tale sistema, nella scelta del Governo, poi condivisa anche dal Parlamento, non è stato costituzionalizzato; la scelta in merito sarà dunque effettuata a livello di legislazione ordinaria.
3.2 Il «sistema delle conferenze» a seguito della riforma costituzionalein itinere: soppressione o riordino?
L'indagine conoscitiva ha evidenziato che il ruolo di raccordo che la riforma assegna al Senato determina l'esigenza di un riordino complessivo del «sistema delle conferenze», ma non una loro soppressione, nonostante queste ultime non siano espressamente previste nella riforma costituzionale in itinere (come del resto non lo sono nella Costituzione vigente).
I ministri Boschi e Costa ed il sottosegretario Bressa hanno sottolineato inoltre che l'importanza di mantenere un ruolo alle Conferenze emerge anche in considerazione di elementi di carattere comparativo con altri Paesi federali o caratterizzati comunque da una presenza molto significativa delle istituzioni territoriali, in particolare guardando a modelli come quello spagnolo, inglese, austriaco, tedesco, ma anche a modelli più lontani di carattere anglosassone. In tutti questi ordinamenti ci sono organismi di raccordo e condivisione tra lo Stato e le istituzioni territoriali, la cui attività spesso ha ad oggetto non singoli atti normativi, non singoli elementi di carattere settoriale e micro-settoriale, ma un confronto su politiche ampie, di carattere generale.
La ministra Boschi in particolare ha sottolineato che in un'esperienza come quella tedesca ci sono organismi che effettuano poi un raccordo non solo verticale tra lo Stato e le istituzioni territoriali, ma anche orizzontale tra le stesse istituzioni, paragonabile alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che nel nostro Paese ha un'organizzazione autonoma, rimessa alle Regioni stesse, ma non ha un confronto diretto con il Governo.
Ad avviso del ministro Costa, il ruolo centrale svolto dalle Conferenze in tutti gli Stati federali o regionali o con forma di governo Pag. 25 parlamentare, che ha consentito loro di affiancarsi alla seconda Camera rappresentativa degli enti territoriali, si spiega con la circostanza che «il Parlamento, anche quando una delle due Camere rappresenta le istituzioni territoriali, è sempre la sede del confronto con il governo centrale». In altri termini, la Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali è comunque un'Assemblea parlamentare ed essa «interloquisce in primo luogo, in modo tendenzialmente esclusivo, con il Governo e con l'amministrazione dello Stato»
Anche per il sottosegretario Bressa l'istituzione del «nuovo» Senato non è destinata a rendere superfluo il «sistema delle conferenze» per una serie di ragioni: i) nell'ambito del procedimento legislativo, la riforma costituzionale limita a determinate materie l'intervento collaborativo del Senato e quest'ultimo «sembra chiamato a garantire il sistema delle autonomie», «più che chiamato a determinare le politiche nazionali»; ii) il Senato sarà composto da esponenti dei Consigli regionali, non degli Esecutivi regionali e la previsione dell'elezione con metodo proporzionale allenta ulteriormente il vincolo con il territorio, a favore di quello di appartenenza politica (e, del resto, coerentemente con la scelta relativa al metodo di elezione dei componenti, i futuri senatori non saranno sottoposti a vincolo di mandato); iii) il nuovo assetto delle competenze prevede un loro accentramento e, in molti casi, il compito dello Stato sarà, però, quello di definire disposizioni legislative generali e comuni che chiamano in causa le funzioni legislative, regolamentari e amministrative delle Regioni. Occorrerà pertanto una sede di raccordo tra l'Esecutivo statale e gli Esecutivi regionali per la determinazione di politiche nazionali.
Anche ad avviso della Conferenza delle Regioni la riforma costituzionale ed in particolare l'introduzione del bicameralismo differenziato impone di riconsiderare il ruolo, la missione e il concreto funzionamento del «sistema delle conferenze», senza tuttavia poter prefigurare una loro soppressione. Nel dibattito sul riordino delle conferenze, essa sostiene che «servono forme di raccordo tra Senato e “sistema delle conferenze”, al fine di realizzare uno strumento unico di contatto delle Regioni sia con il Governo sia con il Parlamento».
Al di fuori della funzione legislativa, secondo la Conferenza delle Regioni, restano necessarie sedi di raccordo tra gli Esecutivi nazionale, regionali e locali, nonché di raccordo e di rappresentazione unitaria a livello orizzontale tra le varie forme di governo territoriale, tra cui includere anche le aree di governo intermedio rappresentate dalle aree vaste. In definitiva, la riforma del «sistema delle conferenze» deve affiancarsi ed integrarsi con la riforma del Senato e ne deve riflettere, in via speculare, la mission, in quanto entrambe le sedi assicurano il raccordo tra gli enti. Occorre per questo interrogarsi sulla corretta individuazione dei tratti qualificanti il rapporto tra cooperazione interistituzionale extraparlamentare (conferenze) e cooperazione interistituzionale intraparlamentare (Senato), tenuto conto del sostanziale spostamento nell'organo parlamentare di una parte importante della mediazione politico-istituzionale che oggi si svolge nelle Conferenze (Bonaccini).
Quanto al punto di vista degli enti locali, l'ANCI e l'UPI concordano nel ritenere che l'eventuale entrata in vigore della riforma costituzionale Pag. 26 renderebbe indifferibile la revisione del «sistema delle conferenze», che dovrebbe evitare sovrapposizioni con il Senato.
Segnatamente, ad avviso dell'ANCI, una rafforzata concertazione fra gli Esecutivi, anche attraverso una rivisitazione del ruolo del «sistema delle Conferenze», e l'innesto nel circuito legislativo degli interessi delle istituzioni territoriali, Regioni e Comuni, rappresentano due momenti complementari e non alternativi dell'assetto e della vita politica ed istituzionale.
Non si pongono pertanto problemi di alternatività, ma di complementarietà fra Senato e «sistema delle conferenze», che va realizzata con una riforma delle sedi di concertazione e con la costruzione di un nuovo Senato, capace di rappresentare e perseguire l'interesse generale, pur innestando in sé la rappresentanza degli interessi dei livelli di governo della Repubblica.
Secondo l'ANCI, peraltro, la componente in rappresentanza degli enti locali risulta sottodimensionata rispetto alle aspettative degli enti locali: una diversa composizione avrebbe consentito una più efficace rappresentanza del Paese. Tale orientamento è condiviso dall'UPI, che ritiene che il «sistema delle conferenze» resti necessario per rispondere a pieno alla necessità di assicurare il confronto tra Stato centrale e autonomie, anche in considerazione dell'esiguo numero di senatori eletti tra i sindaci delle diverse Regioni, che non consente di rappresentare pienamente il complesso sistema delle autonomie.
Anche gli esperti di settore hanno concordato sull'opportunità che, a seguito dell'entrata in vigore della riforma costituzionale, non si proceda alla soppressione delle conferenze, bensì ad un loro riordino.
È stato al riguardo richiamato anche in tal caso il quadro comparatistico, che dimostra come Camere degli Stati-membri, delle Regioni o delle Autonomie convivano con organismi intergovernativi analoghi alle conferenze italiane (fra gli altri, Bassanini, Morelli, Mastromarino).
Quanto alla mancata «costituzionalizzazione» delle Conferenze, il professor Bifulco ha ritenuto che essa non incida sul loro ruolo futuro, ma anzi è un elemento di forza, perché stigmatizza il loro carattere essenziale, rappresentato in tutti i sistemi federali dalla flessibilità, dalla informalità.
Ciò premesso, è stato altresì rilevato che le funzioni del Senato non coprono tutte le funzioni di raccordo e di coordinamento che la Corte costituzionale ha affidato alle Conferenze e che pertanto residuerà un ruolo al «sistema delle conferenze» (D'Atena). La Corte costituzionale sarà chiamata peraltro a rispondere all'interrogativo se, una volta creata (con il nuovo Senato) quell'istanza cooperativa in difetto della quale la stessa Corte giustificava il ricorso al circuito alternativo delle conferenze, questo circuito sia ancora utilizzabile (D'Atena).
Pur essendoci una sede di raccordo politico, si è sostenuta l'opportunità di non sopprimere o marginalizzare «il sistema delle conferenze», ferma restando l'esigenza di lavorare per rendere complementari e armonici i diversi meccanismi di coordinamento, rendendo comunicanti i diversi canali di raccordo (Caretti, Olivetti).
Su un piano più generale, il professor Bassanini ha inoltre ripercorso l’iter delle riforme adottate nel corso degli anni che hanno ampiamente modificato l'assetto dei poteri e delle funzioni delle Pag. 27 autonomie territoriali. La prima riforma, attuata a livello di legislazione ordinaria negli anni Novanta, è stata quella del cd. «federalismo amministrativo». In tale stagione era fortemente diffusa l'idea, anche nell'opinione pubblica, che una riforma del sistema che si ispirasse al principio di sussidiarietà – espressione peraltro non ancora utilizzata – potesse avvicinare le istituzioni ai cittadini e migliorare i livelli di capacità di risposta del sistema istituzionale ai bisogni e alle esigenze dei cittadini. Nell'attuazione, questa riorganizzazione delle funzioni amministrative comportava la necessità di istituire sedi nelle quali si potesse svolgere il raccordo tra le funzioni amministrative più importanti del sistema delle autonomie e le funzioni amministrative che restavano in capo al Governo, che furono individuate appunto nelle Conferenze.
La logica della riforma costituzionale del Titolo V del 2001 era diversa dal «federalismo amministrativo». Quest'ultima, infatti, si basava su un modello simile a quello tedesco o austriaco, dove è soprattutto nell'esercizio delle funzioni amministrative che si attuano il principio di sussidiarietà e la valorizzazione delle autonomie, che hanno, come ad esempio i Länder in Germania, funzioni legislative, senza che queste costituiscano peraltro il fulcro principale della loro attività. Con la riforma del Titolo V, incentrata sul riparto di competenze legislative, si interveniva invece secondo un orientamento ispirato più che altro a una forma di Stato di tipo federale.
Ancora in questa fase gli orientamenti dell'opinione pubblica spingevano fortemente a ritenere che un forte accrescimento delle competenze dell'autonomia regionale e locale avrebbe potuto risolvere i problemi di risposta del sistema istituzionale ai bisogni e alle domande dei cittadini e, in tal modo, porre rimedio alla crisi di rappresentatività del sistema istituzionale e alla legittimazione della politica.
Gli scenari sono attualmente mutati. La globalizzazione e l'inevitabile forte rafforzamento del ruolo delle istituzioni europee spingono inesorabilmente a porre l'accento sulla necessità di decisioni e risposte rapide da parte del sistema istituzionale al cambiamento degli scenari e della realtà che ci circonda, che interagisce con l'attività delle imprese e con i problemi delle famiglie. Vi è quindi una forte richiesta di procedimenti di decisione e di implementazione delle decisioni molto più rapidi e meno complessi rispetto al passato.
Di qui sorge la riforma del bicameralismo, attraverso l'adozione di un modello di bicameralismo differenziato, che dovrebbe rendere molto più rapida la risposta legislativa ai problemi che impongono modifiche nelle politiche pubbliche.
La pubblica opinione appare del resto oggi meno favorevole alla differenziazione: «mentre 20-25 anni fa nel sistema delle imprese non si poneva l'accento sul fatto che aumentare l'autonomia regionale potesse significare, per esempio, che gli stessi procedimenti sarebbero stati differenziati da Regione a Regione, poiché prevaleva l'idea che così ci si sarebbe potuti adattare alla specificità delle situazioni, delle realtà e anche delle diversità culturali e di storia politica e amministrativa, oggi, nell'era della globalizzazione, è molto più forte la richiesta, da parte del sistema delle imprese, di avere procedimenti unificati, di non Pag. 28 dover avere di fronte regole fortemente differenziate nelle diverse parti del Paese, che impongono di adottare comportamenti differenti».
3.3 Le funzioni attribuite al Senato ed il riordino del «sistema delle conferenze»
Come è emerso in modo univoco nel corso delle audizioni, dalla riforma scaturisce dunque l'esigenza di procedere ad un riordino del «sistema delle conferenze», che deve essere calibrato sulla base delle funzioni attribuite al Senato e delle modalità con cui esse saranno effettivamente esercitate.
È stato al riguardo ripetutamente riconosciuto che non è affatto agevole, allo stato, formulare proposte d'interventi di riforma del «sistema delle conferenze», considerate l'assenza di diversi fondamentali tasselli del mosaico (a cominciare dalla legge elettorale del Senato), che impediscono di conoscere le esigenze sistemiche che emergeranno dall'assetto costituzionale in formazione.
Ogni riflessione sul nuovo Senato è condizionata, oltre che dalla configurazione dell'organo in base alla legge elettorale, anche dall'incertezza sul ruolo che effettivamente esso riuscirà a giocare nella dialettica con le altre istituzioni, sulla sua composizione, sull'organizzazione interna e sul funzionamento rispetto alle funzioni attribuitegli (fra gli altri, Caretti, Lupo, Morelli).
Secondo il professor Luciani, nel contesto di un modello cooperativo quale quello delineato dalla riforma costituzionale, gli istituti di coordinamento fra centro e periferia acquistano una centralità assoluta. Si tratta dunque di capire se il nuovo Senato sia in grado di esaurire in sé l'intera funzione, oppure se compiti di coordinamento possano essere o debbano essere esercitati anche da istituzioni diverse. Allo stato mancano alcuni elementi essenziali, quali appunto il contenuto della legge elettorale del Senato. Fondamentali per il funzionamento del Senato saranno, inoltre, le strategie delle forze politiche sulla composizione del Senato, se cioè esse punteranno su candidature forti e autorevoli oppure su scelte di secondo piano e scarsamente rappresentative. Non è inoltre possibile prevedere se nella seconda Camera gli schieramenti si articoleranno in base a cleavage o fratture politiche ovvero territoriali.
Secondo il professor Lupo, la naturale vaghezza delle disposizioni costituzionali fa sì che il nuovo Senato possa assumere ruoli molto diversi, potendo persino arrivare ad essere qualcosa di molto vicino a un Bundesrat, pur trattandosi di un'opzione non prescelta nel corso del processo di riforma costituzionale. Ciononostante, la vaghezza di alcune disposizioni costituzionali – la quale non costituisce un difetto, ma è una caratteristica, spesso positiva, delle stesse – consente, in realtà, a certe condizioni, di far funzionare il nuovo Senato anche in modo simile a un Bundesrat. Semplificando tra le due alternative, il nuovo Senato potrà essere un Bundesrat tedesco oppure un Bundesrat austriaco. Molto dipende da chi eleggeranno i Consigli regionali, quindi dalla nuova legge elettorale, e dai nuovi regolamenti parlamentari.
Al riguardo, è stato anche sostenuto che «il modello più vicino, almeno per composizione ma anche per la maggior parte delle funzioni, appare il Bundesrat austriaco» (Luther). Pag. 29
Si può in proposito parlare, ad avviso del professor Lupo, di tre cleavage, cioè di tre linee di frattura, che coesisteranno necessariamente tutte nel nuovo Senato. Una è la linea di frattura politica; un'altra è la linea di frattura territoriale, ovvero la rappresentanza del territorio; la terza è quella istituzionale: Regioni speciali, Regioni ordinarie, Comuni grandi, Comuni piccoli. Come queste tre linee si articoleranno dipende dalle scelte che verranno compiute in sede attuativa.
Secondo il professor Caretti, andrà inoltre verificato se nello svolgimento concreto delle sue attività il nuovo Senato intenderà accentuare il suo ruolo di co-legislatore, o puntare invece su quello di valutatore delle politiche pubbliche, ed evidenziare quindi di più la sua funzione di organo di controllo.
Su un piano più generale, il professor Mangiameli ha sottolineato come, in definitiva, l'intero ruolo del sistema territoriale non sia definito con precisione. Il sistema, nel complesso, resterà dunque aperto ai futuri atti legislativi e soprattutto alle prassi istituzionali che possono determinare il vero senso del regionalismo e della rappresentanza territoriale.
In particolare, uno degli elementi che rimarrà aperto nel sistema costituzionale anche dopo la riforma è quello del cosiddetto «federalismo di esecuzione». Il nostro modello viene riformato dal punto di vista della legislazione, del riparto delle competenze, del ruolo legislativo delle Regioni, ma sul piano dell'amministrazione non vi è un intervento effettivo di riordino né di precisazione di come si debbano svolgere le relazioni amministrative fra le autonomie locali e le Regioni e fra tutte queste, autonomie locali e Regioni insieme, con lo Stato. Le future scelte politiche saranno dunque determinanti; il regionalismo futuro dipenderà anche dai risultati elettorali.
Guardando all'esperienza di diritto comparato, il professor Mangiameli ha in particolare rilevato che «nei sistemi federali ordinati le conferenze sono importanti, perché sussiste appunto il federalismo di esecuzione. Le conferenze svolgono essenzialmente due compiti: realizzano la collaborazione orizzontale, quella che gli americani chiamano “compact”, e limitano i guasti del potere centrale, assumendo una tutela più intensa della popolazione. La loro forza è determinata, però, nei sistemi federali ordinati, dal potere fiscale degli Stati membri, quali i Länder, e dalla circostanza che la classe politica di questo livello di governo si pone in competizione con quella federale». Le due richiamate condizioni a giudizio del professor Mangiameli non sussistono in Italia. Non è però escluso che esse si possano realizzare in futuro: si tratta anche in tal caso di una questione politica.
3.3.1 La rappresentanza delle istituzioni territoriali e la composizione del Senato
Secondo un'opinione condivisa da larga parte degli auditi, sia tra gli esponenti istituzionali che tra gli esperti della materia, una prima questione da affrontare è dunque quella della composizione del nuovo Senato: il modo in cui essa verrà risolta influirà sulla capacità di rappresentare le istituzioni territoriali e, in ultima analisi, condizionerà sia il peso politico dell'organo nelle dinamiche inter-istituzionali sia le concrete modalità di esercizio delle sue funzioni. Pag. 30
Il sottosegretario Bressa ha sottolineato che l'elezione con metodo proporzionale come delineata dalla riforma costituzionale allenta il vincolo con il territorio, a favore di quello di appartenenza politica. In linea con la scelta relativa al metodo di elezione dei componenti, i futuri senatori non saranno sottoposti a vincolo di mandato. La logica vorrebbe peraltro, in coerenza con lo spirito della riforma, che non ci siano gruppi politici. A tal riguardo, il sottosegretario Bressa ritiene che l'organizzazione per gruppi territoriali sia complicata, anche se auspicabile, non essendo previsto, a differenza di altri sistemi, il voto bloccato per rappresentanze regionali. A titolo personale, il sottosegretario non condivide la soluzione trovata del riferimento ad una forma diretta di elezione, perché, di fatto, in tal modo, si attribuisce una rappresentanza politica, seppure diminuita, per le competenze del Senato nei confronti del Governo, anche in assenza del voto di fiducia. Ritiene che sarebbe un segno di grande intelligenza istituzionale se il prossimo regolamento del Senato prevedesse un'articolazione dei gruppi per territori e non per formazioni politiche.
La soluzione adottata dalla riforma costituzionale è stata il frutto di un difficile compromesso tra i sostenitori dell'elezione diretta e quelli dell'elezione indiretta. La formula impiegata nel nuovo art. 57, quinto comma («in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi»), ha, di fatto, rinviato la decisione alla successiva fase attuativa della riforma, consentendo l'adozione, in sede di predisposizione della legge elettorale, di opzioni opposte, compresa quella per un metodo di designazione sostanzialmente diretto (Morelli).
Ampia convergenza si è registrata nel corso delle audizioni, sia nell'ambito dei contributi istituzionali (in particolare Boschi e Alfano), sia nell'ambito di quelli della dottrina (fra gli altri, Vandelli, Carli, Morelli) sulla rilevanza della presenza dei Presidenti di Regione in Senato. Essi infatti «rappresentano l'intera Regione, sono normalmente membri del Consiglio, sono motore sostanziale dell'iniziativa legislativa, sono i più efficaci testimoni del funzionamento delle leggi e, dunque, i più competenti portatori delle esigenze di correzione e di innovazione, in quel circuito tra applicazione delle regole e loro correzione e rinnovamento» (Vandelli).
La presenza in Senato dei Presidenti di Regione sarebbe altresì determinante ai fini della definizione del nuovo ruolo ed assetto del «sistema delle conferenze». Se i Consigli regionali eleggeranno i Presidenti, lo spazio per il «sistema delle conferenze» si ridurrà notevolmente, mentre molto diverso sarà lo scenario nel caso in cui i Presidenti non entreranno a far parte del Senato (Lupo, Rivosecchi). Qualora fosse prevista la presenza dei Presidenti, inoltre, si potrebbe verificare «la possibilità di ricondurre alla seconda Camera anche funzioni di raccordo in ambito amministrativo» (Rivosecchi).
La presenza in Senato dei Presidenti delle Regioni, componenti della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza unificata, potrebbe avere una duplice funzione: da un lato, quella di valorizzare il ruolo ed aumentare il peso politico dell'organo; dall'altro, quella di consentire un più agevole raccordo con il «sistema delle conferenze», coerentemente con la logica della rappresentanza territoriale, piuttosto che con quella della contrapposizione tra forze politiche di maggioranza e di Pag. 31 opposizione (Castelli, Morelli). Del resto, il progressivo rafforzamento del «sistema delle Conferenze», che ha indotto a parlare di uno «slittamento [...] dal piano della forma di Stato a quello della forma di governo» è dovuto soprattutto al fatto che il punto di vista delle Regioni, in Conferenza, è espresso dai loro Presidenti, quindi dal massimo livello rappresentativo (Castelli).
Tra gli argomenti richiamati in favore della presenza dei Presidenti appare altresì opportuno segnalare quanto segue:
- si «rafforzerebbe l'autorevolezza e la legittimazione democratica del Senato» (Luther) o, in altri termini, si «scongiurerebbe il rischio di avere un “sistema delle conferenze” più legittimato del “nuovo” Senato» (Rivosecchi);
- i Presidenti godono ampiamente dell'investitura popolare richiesta, da ultimo, dal nuovo articolo 57, quinto comma, in base al quale l'elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali avviene «in conformità alle scelte espresse dagli elettori» (Castelli);
- sono i Presidenti di Regione a promuovere la questione di legittimità costituzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge dello Stato, previa deliberazione del Giunta (ai sensi dell'art. 32, comma 2, della legge n. 87 del 1953). Se il nuovo Senato dovrà prevenire i conflitti tra Stato e Regioni sulle leggi, è opportuno che ne siano membri anche coloro che quelle leggi sono chiamati a impugnare (Castelli, Rivosecchi);
- si potrebbe in larga parte realizzare la cooperazione tra Stato e Regioni «a monte», nel procedimento di formazione della legge (Rivosecchi);
- si potrebbe rafforzare la rappresentanza territoriale rispetto a quella dei partiti, «premiando alleanze e cooperazioni interregionali» (Luther).
I ministri Boschi ed Alfano hanno in proposito ricordato come, nel testo iniziale del Governo, la presenza dei Presidenti di Regione, fosse prevista di diritto. L'originario intendimento del Governo era infatti nel senso di assicurare una forte rappresentanza delle Regioni attraverso la presenza di diritto dei loro organi di vertice. Nel corso dell'esame parlamentare, si è adottata una soluzione diversa: la presenza in Senato dei Presidenti di Regione non è più necessitata ma rimessa al momento dell'individuazione dei componenti del Senato.
Secondo la ministra Boschi, la scelta di prevedere in modo più stringente la presenza dei presidenti di Regione potrebbe forse essere affrontata al momento della discussione della legge elettorale per il nuovo Senato. La valutazione in merito non compete peraltro esclusivamente al Governo, perché dovrà essere il Parlamento a pronunciarsi sulla nuova legge elettorale del Senato, Il Governo ritiene comunque auspicabile la presenza dei Presidenti di Regione, che possono rappresentare al meglio un ruolo di vero coordinamento e di assunzione di responsabilità rispetto alla Regione che rappresentano.
Peraltro i ministri Boschi ed Alfano ed il sottosegretario Bressa hanno riconosciuto che l'eventuale presenza dei Presidenti di Regione Pag. 32 ha valore più da un punto di vista politico che sul piano strettamente istituzionale o di assetto costituzionale, in quanto sia i Presidenti di Regione che gli altri componenti del Consiglio regionale eletti senatori saranno legittimati sulla base della medesima elezione per il Senato, e quindi non solo e non tanto per il ruolo istituzionale che rivestono nell'ambito della Regione. L'eventuale presenza in Senato, dunque, avrebbe «riflessi più politici che istituzionali, nel senso che, pur non incidendo formalmente sulla funzione di rappresentanza del Senato, finirebbe tuttavia per caratterizzarla in maniera più pregnante» (Alfano).
Per la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, tutti i Presidenti di Regione avrebbero dovuto essere membri di diritto, se non altro per il ruolo che le Regioni, a maggior ragione con la scomparsa delle province, assumeranno dentro il nuovo Senato. Si tratta tuttavia di una questione aperta, che non può non tenere conto che la rappresentanza delle Regioni sarà proporzionale al numero degli abitanti, e che essa potrebbe anche non includere gli stessi Presidenti.
Anche gli esponenti della dottrina hanno sottolineato che fondamentale al riguardo sarà l'attuazione della riforma costituzionale con l'approvazione della nuova legge elettorale del Senato, che declinerà il livello di rappresentanza regionale (fra gli altri, Carli, Morelli, Vandelli).
Secondo alcuni auditi, peraltro, i Presidenti di Regione non potrebbero far parte del Senato, in quanto l'elezione da parte del Consiglio regionale deve avvenire conformemente alle indicazioni espresse dal corpo elettorale «per i candidati consiglieri» in occasione dell'elezione del Consiglio medesimo. Il Presidente della Regione, quand'anche membro del consiglio, non è invece un candidato consigliere (D'Atena, Mangiameli). Lo stesso dovrebbe valere per il candidato presidente non eletto, cui spesso la legge elettorale riserva l'ultimo seggio disponibile, sottraendolo alla distribuzione tra i candidati consiglieri per attribuirlo a quest'ultimo come una sorta di ricompensa (Mangiameli).
Altri si sono pronunciati nel senso dell'inopportunità della presenza dei Presidenti di regione nel futuro Senato, sulla base un ragionamento complessivo che ha il proprio perno sull'esigenza di poter «contare su un efficace circuito governativo a latere» (Mastromarino, si veda in particolare il documento allegato agli atti dell'indagine conoscitiva). Tale presenza rischierebbe di snaturare il ruolo del Senato, conformandolo come un organo paragovernativo, secondo un'opzione che potrebbe recuperare funzioni storiche dei Senati federali, ma che, tuttavia, non risulterebbe in linea con i principi informatori del nostro assetto costituzionale (Morelli).
Nel complesso, dall'indagine conoscitiva è comunque emerso un consenso piuttosto diffuso circa l'opportunità che i Presidenti di regione siedano in Parlamento e si è dibattuto in ordine alle modalità con cui tale presenza possa essere assicurata, soffermandosi in particolare sull'idoneità della legge statale ad imporre tale presenza.
Al riguardo, è stato fatto osservare, in particolare, che spetta alla legge statale fissare i principi delle leggi elettorali regionali (Carli). In particolare, il sistema delle ineleggibilità e delle incompatibilità, che è rimesso dall'articolo 122 della Costituzione alla legge regionale nei limiti della legge di principio statale, dovrebbe favorire e non precludere Pag. 33 la presenza dei Presidenti di Giunta regionale in Senato (Rivosecchi).
Secondo altri, la presenza o meno dei Presidenti di Regione dipenderà, in concreto, dal combinato disposto della legislazione regionale e della nuova legge elettorale per il Senato (Castelli). È stato anche rilevato che la riforma costituzionale in itinere, nello stabilire (all'articolo 55, quinto comma) che il Senato «rappresenta le istituzioni territoriali», implica la presenza dei Presidenti (Carli), che svolgono ai sensi degli statuti regionali proprio la funzione di rappresentanza delle Regioni stesse.
Altri auditi hanno sostenuto che non sarebbe invece possibile prevedere come obbligatoria la presenza in Senato dei Presidenti di Regione (fra gli altri, Iacop, Mangiameli, Morelli).
Occorre tener conto che:
- ove la legge elettorale prevedesse che i Presidenti di Regione siano per legge senatori, si verificherebbe un contrasto con la previsione costituzionale dell'elezione da parte del Consiglio regionale; questa elezione non può infatti essere predeterminata dalla legge elettorale per il Senato (Lupo);
- l'elezione deve comunque avere luogo in conformità alle scelte espresse dagli elettori (Morelli);
- ai sensi del testo di legge costituzionale i senatori devono essere scelti tra i componenti dei Consigli regionali e di quelli delle Province autonome e possono esserci Presidenti che non sono consiglieri (Castelli, Mangiameli, Morelli; al riguardo Carli e Lupo hanno fatto osservare che attualmente tutti i Presidenti sono anche consiglieri);
Sono stati inoltre segnalati argomenti che incidono negativamente sull'opportunità di una presenza obbligatoria dei Presidenti di Regione:
- per quanto possa essere importante il rapporto con il rispettivo Consiglio regionale, i Presidenti hanno un ruolo di governo amministrativo dell'ente Regione e pare pertanto inappropriato applicare loro l'articolo 68 della Costituzione sulle immunità parlamentari, che non dovrebbero coprire chi assume responsabilità di ordine gestionale (Mangiameli);
- la presenza in entrambi gli organi dei Presidenti potrebbe sminuire eccessivamente le Conferenze (Mangiameli);
- i Presidenti sarebbero poco presenti nell'attività parlamentare quotidiana a causa degli impegni connessi al ruolo istituzionale svolto (Iacop, Luciani); ciò creerebbe non poco squilibrio tra le Regioni grandi, per le quali gli ulteriori protagonisti dell'attività parlamentare sarebbero i consiglieri regionali-senatori, e le Regioni più piccole, con soli due senatori, per le quali, essendo previsto un solo consigliere-senatore, gli unici rappresentanti regionali sarebbero i Presidenti (Mangiameli, Iacop).
Il Presidente Iacop, in rappresentanza della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali, ha fatto in proposito presente che i lavori parlamentari preparatori della riforma costituzionale confermano Pag. 34 tale orientamento: rispetto alla proposta originaria del Governo, il legislatore di revisione costituzionale ha espresso una chiara volontà di espungere dal testo di riforma la presenza di diritto di alcuno, compresi i Presidenti (in questo senso anche Mangiameli); l'eventuale scelta del legislatore, in sede di approvazione della legge elettorale, di prevedere meccanismi idonei a consentire l'ingresso automatico dei Presidenti, anche qualora fosse frutto di un patto politico prestabilito, sarebbe una forma surrettizia di rappresentanza di diritto, che il legislatore di revisione costituzionale non ha voluto.
In ogni caso, pur non essendo prevista la presenza di diritto dei Presidenti di Regione, non sussistono preclusioni a che le Assemblee regionali possano mandare il proprio Presidente, tenendo conto delle espressioni dell'elettorato (Vandelli). La presenza dei Presidenti potrebbe dunque affermarsi – attraverso l'elezione da parte dei Consigli regionali – in tutte le Regioni in cui i Presidenti siano anche consiglieri e il loro ruolo potrebbe anche essere valorizzato dal nuovo regolamento del Senato, ad esempio nella formazione delle commissioni, considerato che il disegno di legge costituzionale specifica che soltanto alla Camera, ma non appunto al Senato, le commissioni debbano essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari (cfr. nuovi artt. 72, quarto comma; 82, secondo comma, Cost.) (Morelli).
Quanto al richiamo alle difficoltà che i Presidenti di Regione (così come i sindaci di grandi capoluoghi) incontrerebbero nel conciliare l'impegno di vertice dell'Esecutivo territoriale con quello di senatore, è stato osservato (ad esempio Morelli) che si pongono problemi pratici di non poco conto, poiché non sarà certo agevole per i titolari degli organi di vertice degli Esecutivi regionali partecipare attivamente e proficuamente ai lavori del nuovo Senato, il quale rischia, in concreto, di risultare un organo poco frequentato e di scarso rilievo.
Al riguardo, è stato tuttavia affermato che il problema del doppio incarico può essere risolto sul piano organizzativo, e a tal fine è stata richiamata l'esperienza del Senato francese, che ha a lungo ospitato nei propri scranni titolari di cariche molto rilevanti, come sindaci di grandi città o Presidenti di Regione (Vandelli).
La questione del doppio incarico riguarda peraltro tutti i senatori, che devono essere necessariamente consiglieri regionali o sindaci, ciò che non potrà non ripercuotersi nell'attività degli organi di provenienza degli appartenenti alla Camera Alta. In proposito, il Presidente della Conferenza delle Assemblee legislative regionali ha sottolineato che la partecipazione dei consiglieri ai lavori del Senato – il cui obbligo è sancito dal nuovo sesto comma dell'articolo 64 della Costituzione, a mente del quale «i membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell'Assemblea e ai lavori delle Commissioni» – in considerazione dei tempi ristretti di esame dei progetti di legge non bicamerali (dieci giorni per la richiesta e trenta giorni per l'esame), non è affatto ininfluente rispetto al funzionamento del Consiglio regionale di appartenenza. In taluni casi, quelli in cui ci sono più consiglieri-senatori, proiettando la composizione attuale delle Assemblee regionali, si potrebbe non avere una maggioranza con un'evidente incidenza sull'ordine dei lavori dei Consigli stessi.
Alcuni intervenuti in audizione (ad esempio, Bifulco, Cecchetti, Mastromarino) hanno segnalato che la capacità del Senato di rappresentare Pag. 35 le istituzioni territoriali non può esaurirsi nel dibattito sulla presenza o meno dei Presidenti di Regione.
È stata al riguardo evidenziata la presenza di disposizioni costituzionali che favoriscono lo svolgimento del Senato dell'attività di rappresentanza delle istituzioni territoriali: i senatori non rappresentano la Nazione (art. 55, terzo comma); in Senato non ci sono le opposizioni, ma le minoranze (art. 64, primo comma, lettera a)); le Commissioni in sede legislativa e le Commissioni d'inchiesta sono formate in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi solo alla Camera (art. 72, quarto comma, e art. 82, secondo comma).
Il professor Cecchetti ha sostenuto che, «ai fini del riordino del “sistema delle conferenze”, tanto la concreta configurazione della rappresentanza nel nuovo Senato, con le due alternative possibili, ovvero logiche politico-partitiche o logiche di rappresentanza territoriale (a mio avviso sono entrambe possibili), quanto la presenza o meno nel nuovo Senato dei Presidenti delle Regioni potrebbero risultare variabili non decisive. [...] Gli elementi cruciali da cui muovere sono le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica attribuite al nuovo Senato e il concorso al medesimo raccordo tra lo Stato, gli enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea».
Particolare enfasi è stata poi posta sull'eventuale articolazione dei gruppi secondo logiche territoriali e non partitiche, rimessa al Regolamento del Senato, che renderebbe effettiva la funzione di rappresentanza della autonomie territoriali (fra gli altri, Carli).
Sempre in tema di rappresentatività delle istituzioni territoriali, è stata richiamata nelle audizioni (ad esempio Vandelli) l'importanza della presenza in Senato dei sindaci dei capoluoghi più rilevanti. Tale presenza potrebbe favorire l'emergere delle istanze connesse alle esigenze di milioni di cittadini amministrati nell'ambito dell'ente locale e, in ultima analisi, l'autorevolezza dell'organo.
Con riferimento alle modalità di scelta dei componenti del Senato, con particolare riferimento alla componente rappresentativa degli enti locali, secondo l'ANCI, sarebbe opportuno che la legge statale ricalcasse il sistema di elezione di secondo grado applicato per l'elezione dei consigli metropolitani, chiamando a raccolta le assemblee di sindaci per eleggere un proprio rappresentante.
Sempre in tema di senatori-sindaci, è stato ritenuto auspicabile che questi ultimi trovino una collocazione in un gruppo ad hoc, ciò che favorirebbe una rappresentanza unitaria degli interessi istituzionali dei comuni, secondo logiche diverse da quelle di appartenenza politica (Carli).
Dall'affermazione secondo cui la funzione di rappresentanza delle autonomie del Senato è collegata all'eventuale articolazione dei senatori in gruppi secondo logiche diverse da quelle politiche, si deduce che dipenderà dalla legge elettorale e dal regolamento del Senato la possibilità di favorire un'evoluzione dell'organizzazione e del funzionamento del nuovo Senato nel senso di garantire la rappresentanza dei territori (Rivosecchi).
Con riferimento alle prime elezioni del Senato, che – come ricordato (Carli, Lupo) – potrebbero svolgersi sulla base della disposizione transitoria dell'articolo 39, comma 1, si segnala che, secondo Pag. 36 un'opinione, la disciplina transitoria potrebbe essere integrata da una legge elettorale che, sia pure a seguito di una faticosa interpretazione dei commi successivi dell'articolo 39, può essere approvata nella legislatura in corso, senza tuttavia poter derogare, per l'elezione del primo Senato, alla disposizione transitoria dell'articolo 39, comma 1 (Lupo); secondo un'altra opinione, occorre attendere l'avvio del funzionamento del nuovo Senato prima di procedere all'adozione della legge elettorale (Carli).
3.3.2 Il raccordo e le altre funzioni attribuite al Senato ed il «sistema delle conferenze»
Dall'indagine è emersa una posizione condivisa sia dagli esponenti istituzionali che dalla dottrina sul fatto che le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica costituiscano appannaggio esclusivo del nuovo Senato (Boschi, Alfano, Mangiameli) e costituiscano «la ragion d'essere del nuovo Senato, la sua “metafunzione”» (Lupo) «elemento di sintesi tra tutte le funzioni attribuite al Senato e una vera e propria core mission della nuova istituzione» (Cecchetti).
Come rilevato dalla ministra Boschi, la funzione di raccordo è attribuita al Senato come funzione fondamentale, connaturata alla struttura dell'organo, e rappresenta un punto di riferimento imprescindibile e insuperabile nella declinazione delle funzioni che dovrà effettuarsi in sede di attuazione della riforma costituzionale di altri organismi oggi presenti, che già esercitano attività di raccordo tra Stato, Regioni ed enti locali. Nel corso dell'esame parlamentare, è cambiato il nome, e, in parte, la composizione del Senato, ma è rimasta immutata la scelta di fondo che assegna al Senato il ruolo di rappresentanza delle istituzioni territoriali.
La ministra Lorenzin si è soffermata sull'espressa attribuzione della funzione di raccordo al Senato con specifico riferimento al settore sanitario, che potrà determinare un superamento delle funzioni oggi esercitate in particolare dalla Conferenza Stato-Regioni, rendendo più celere il processo decisionale. Al riguardo, ha richiamato il procedimento per l'approvazione dei Patti per la salute: potranno essere deliberati dal Senato, anche in considerazione del fatto che quest'ultimo sarà chiamato a partecipare al procedimento legislativo volto all'adozione delle leggi che, poi, dovranno recepire i contenuti dei Patti (per l'adozione delle leggi di bilancio il testo di riforma prevede infatti l'intervento automatico del Senato). Per l'assunzione delle «macrodecisioni» non dovrebbe più quindi essere necessario ricorrere al «sistema delle conferenze».
Secondo il Presidente Iacop, appare difficile ipotizzare che le funzioni di raccordo del Senato, dipendenti dalle scelte di composizione del Senato stesso e di organizzazione dei lavori, possano essere tutte ricondotte a processi tipizzati preordinati all'esercizio di altre funzioni, quali quella legislativa e quella di controllo e valutazione. Proprio perché il raccordo, per effetto della giurisprudenza costituzionale, è posto a fondamento del processo di collaborazione tra lo Stato e le Regioni, si potrà tradurre in diverse e flessibili forme, quali codecisione, consultazione e informazione tra le istituzioni statali e quelle regionali, non solo dunque attraverso i singoli consiglieri- Pag. 37 senatori, che saranno di fatto i nuovi membri del Senato, nella loro duplice veste di senatori e, come precondizione, di consiglieri regionali o sindaci.
Inoltre, in termini di progettazione generale del nuovo sistema di concertazione fra dimensione nazionale e dimensioni territoriali, i canali di raccordo verticale potrebbero ricomprendere tutti gli ambiti d'intervento della cooperazione tra lo Stato e le autonomie, ma saranno diversamente modulati a seconda che si riferiscano alle funzioni parlamentari o di governo.
Nella connotazione funzionale del Senato, una particolare attenzione andrà a rivestire il dialogo con le Assemblee regionali nella partecipazione all’iter parlamentare e all'attività legislativa, diversamente dalle sedi di concertazione statale tra Governo e giunte regionali, funzionali alle attività amministrative e all'esame degli atti del Governo (Iacop).
Quanto al contributo della dottrina, sono state per l'appunto segnalate la centralità della funzione di raccordo del Senato, «in cui gli enti costitutivi della Repubblica sono resi co-responsabili per il bene complessivo dello Stato-ordinamento» (Luther), e l'esigenza di comprendere come nella prassi riuscirà a configurarsi questo ruolo (Caretti, D'Atena, Morelli, Olivetti, Rivosecchi).
Del resto, la norma contenuta nel testo di riforma costituzionale in itinere riveste un contenuto fondamentalmente programmatico, perché indica un fine ma non il modo in cui avviene il raccordo (D'Atena).
Secondo il professor Mangiameli, le funzioni di raccordo sono state sinora carenti nel nostro sistema, come dimostra la vicenda dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. La riforma pone rimedio a questa situazione. Anche se al Senato sembrano attribuite due forme di raccordo, una in via esclusiva e una in via concorrente, in realtà, in base ad una lettura di tipo sistematico, le funzioni di raccordo non si prestano a essere viste in termini di esclusività e di concorrenza, perché esse sono espressione del principio di leale collaborazione e hanno come finalità quella di fluidificare le relazioni istituzionali, al fine dell'esercizio delle rispettive competenze. Di conseguenza, il Senato diventa il luogo in cui devono convergere i conflitti irrisolti per trovare una mediazione. Ciò colloca le altre sedi di collaborazione orizzontale e verticale in una posizione privilegiata con il Senato. Questo rapporto di coordinamento, di tipo funzionale, abbraccia più il Governo che non l'altra Camera, con la quale il raccordo passa essenzialmente attraverso la funzione legislativa.
Per il professor Morelli, al fine di apprezzare le funzioni di raccordo del Senato, occorre infatti considerare che il nuovo Senato non eserciterà funzioni esclusivamente normative, avendo il compito, oltre che di concorrere all'esercizio della funzione legislativa, anche di svolgere competenze di altra natura (partecipazione alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea, valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni, verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori, concorso all'espressione di pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato). Riprendendo i tratti di organi simili, presenti in altri ordinamenti di carattere federale, il nuovo Senato si Pag. 38 presenta, quindi, come un organo avente funzioni non solo camerali ma anche paragovernative, potenzialmente idoneo ad assorbire buona parte delle competenze attualmente svolte dalle Conferenze. Possono avanzarsi dubbi, tuttavia, sulla riuscita di una simile trasformazione, considerando soprattutto l'assenza del mandato imperativo, che mal si concilia con l'assunzione di funzioni esecutive e amministrative da parte dell'organo, il quale dovrebbe mantenere comunque la propria connotazione di assemblea legislativa (Morelli).
Anche altri auditi hanno avanzato dubbi, nonostante il dettato del nuovo articolo 55 della Costituzione, circa la capacità del Senato di svolgere effettivamente in maniera corrispondente alle aspettative la funzione di rappresentanza delle istituzioni territoriali e di valorizzare il punto di vista delle autonomie territoriali, a causa della debolezza del legame con le istituzioni politiche regionali, dovuta alla libertà di mandato ed all'assenza di un voto unitario di delegazione (Pajno, Carli).
Il nuovo testo costituzionale assegna al Senato la funzione di rappresentare le istituzioni territoriali, ma non è sufficiente una «formula scritta in Costituzione» affinché questa funzione sia effettivamente esercitata; sussiste infatti il rischio che il nuovo Senato sia sconfessato dalle istituzioni politiche regionali e dalle Conferenze dei Presidenti. Ci si trova dunque di fronte a una scelta: «valorizzare il libero mandato dei futuri senatori e, quindi, immaginare che questi ultimi abbiano un margine di manovra ampio, però nel contesto di un'istituzione che rischia di essere depotenziata, oppure circoscrivere la libera esplicazione di questo mandato in virtù di un raccordo forte, non giuridicamente strutturato ma politico, con le istituzioni territoriali, lasciando che si guadagnino sul campo il ruolo e l'autorevolezza del vero interlocutore territoriale». La seconda opzione appare di certo preferibile (Pajno). Sussiste infatti il rischio che, qualora il Senato non sia in grado di svolgere al meglio la richiamata funzione di rappresentanza, le istituzioni territoriali potrebbero continuare a privilegiare il «sistema delle conferenze», con la possibilità che si abbiano due luoghi diversi, uno per le istituzioni ed uno per i territori (Carpani).
È stato affermato al riguardo che occorra dunque valorizzare il più possibile l'istituzionalizzazione di un raccordo con le conferenze delle Regioni. «Nella misura in cui il Senato saprà farsi guidare e guidare esso stesso, e saprà agire in simbiosi con la Conferenza delle Regioni, ma anche, per le questioni di competenza, con la Conferenza di tutti gli enti territoriali, allora [...] riuscirà ad affrontare» al meglio il nuovo ruolo che la Costituzione gli assegna (Pajno).
3.3.3 La funzione legislativa
Con le richiamate premesse di inquadramento dell'attività di raccordo, nel corso delle audizioni si è ampiamente dibattuto sulle modalità con cui essa sarà declinata alla luce delle funzioni che l'articolo 55, quinto comma, della Costituzione riformata assegna al Senato.
Si è al riguardo registrata un'ampia convergenza sia da parte dei rappresentanti del Governo, sia da parte degli esperti del settore sul riconoscimento della strategicità della funzione di raccordo fra Stato ed autonomie territoriali che il Senato è chiamato a svolgere nell'ambito dell'esercizio della funzione legislativa e, conseguentemente, dell'esigenza Pag. 39 che siano riconsiderate le funzioni che attualmente il «sistema delle conferenze» svolge nel procedimento legislativo.
Un'ipotesi di riordino del «sistema delle conferenze» non può prescindere, in primis, dall'esigenza di riconoscere che le sensibilità dei territori nell'ambito dell’iter di approvazione delle leggi siano rappresentate esclusivamente dal Senato.
Particolare attenzione è stata posta, in alcuni interventi in audizione, nei confronti della capacità del Senato di svolgere la funzione di raccordo tra Stato ed enti territoriali nell'ambito legislativo e di come quest'ultima sarà strettamente misurata non solo in termini di codecisione sui provvedimenti ad approvazione bicamerale, ma anche (e per certi versi soprattutto) sulla capacità di incidere sul contenuto dei provvedimenti esaminati dalla Camera su cui viene attivata la procedura di richiamo (Carli). A tal fine, è stata sostenuta l'utilità di forme di raccordo fra i due rami del Parlamento per far sì che la posizione espressa dal Senato, in rappresentanza delle sensibilità del territorio, possa essere discussa, approfondita ed eventualmente fatta valere in sede di esame presso la Camera dei deputati. Nell'ambito dei meccanismi che consentano la presa in esame e la valutazione delle proposte emendative del Senato nel processo decisionale, è stata richiamata l'opportunità che i regolamenti parlamentari possano riconoscere un ruolo centrale alla Commissione bicamerale per le questioni regionali (Carli). In quella sede, la posizione del Senato potrebbe essere illustrata ed argomentata dalla componente senatoriale e l'eventuale dibattito potrebbe consentire la maturazione di una posizione prevalente, sintetizzata in un parere ad hoc della stessa Commissione sul disegno di legge in esame, che potrebbe favorire il recepimento, nell'ambito del prosieguo dell'iter legislativo, delle sensibilità dei territori, almeno per gli aspetti ritenuti strategici da questi ultimi.
Altra variabile che potrebbe incidere in modo significativo sul modo con cui il Senato riuscirà ad adempiere alle proprie funzioni è collegata alla personalità del primo Presidente del nuovo Senato. In proposito, il sottosegretario Bressa, nel sottolineare che il Senato riformato assolve pienamente e in maniera compiuta alla necessità di raccordare le legislazioni, ha espresso il proprio avviso circa la centralità del ruolo che il primo Presidente del Senato sarà chiamato a svolgere, perché sarà colui il quale determinerà il rapporto tra Camera e Senato nel procedimento legislativo. In quest'ambito la prassi e le convenzioni sono destinate ad incidere in modo determinante, più del dettato costituzionale.
Vi è poi chi ha osservato che le funzioni legislative del Senato attribuite dalla riforma costituzionale non sembrano sempre idonee a sostituire, in toto, l'attività svolta dal «sistema delle conferenze» sul piano legislativo, ed in particolare dalla Conferenza Stato-Regioni e Province autonome (Caretti). Al riguardo, è stato rilevato che la mancata inclusione delle leggi settoriali, che incidono sulla legislazione regionale, fra le leggi bicamerali, pone il Senato in una posizione subordinata sia nei confronti delle leggi di potestà esclusiva dello Stato, sia con riferimento alle leggi rientranti nella potestà residuale espressa, sulla base dell'articolo 117, comma terzo (Bifulco); tale circostanza non può considerarsi pienamente controbilanciata dalla facoltà del Senato, Pag. 40 peraltro eventuale e condizionata da tempi ristretti, di disporre l'esame di tali leggi.
È stata in proposito argomentata l'opportunità che il «sistema delle conferenze» possa fornire un proprio contributo per l'esame degli schemi di atti riferiti a materie di interesse regionale, specie con riferimento alle materie diverse da quelle di competenza bicamerale, nella fase della formazione dell'iniziativa legislativa da parte del Governo (Caretti, D'Atena, Olivetti), ovvero prima della presentazione degli stessi alle Camere.
Con riferimento alla clausola di supremazia – in ordine alla quale è riconosciuto al Senato il potere di formulare proposte di modifica a maggioranza assoluta dei propri componenti che la Camera può disattendere solo pronunciandosi nella votazione finale con la medesima maggioranza – è stato osservato che la posizione del Senato risulta indebolita dalla circostanza che «con il nuovo sistema elettorale (cd. Italicum) non sarà difficile avere una maggioranza assoluta alla Camera e quindi non sarà difficile per la Camera superare l'eventuale maggioranza assoluta del Senato» (Bifulco).
In senso adesivo alla tesi dell'opportunità che il «sistema delle conferenze», sia pur riformato, continui a svolgere un ruolo nell'ambito del processo legislativo, si sono registrati altri contributi della dottrina, che hanno sottolineato in particolare la capacità del «sistema delle conferenze» ad intercettare in anteprima gli atti normativi di interesse regionale (D'Atena, Olivetti), eventualmente anche come strumento di supporto all'esame parte del «nuovo» Senato. In proposito, è stato tuttavia osservato che, proprio per le materie diverse da quelle coperte da leggi bicamerali, tutto dipenderà dal ruolo che assumerà la procedura di proposta emendativa del Senato (D'Atena). Secondo tale impostazione, bisognerà vedere se il Senato funzionerà come il Bundesrat tedesco, che compie un esame tecnico di tutta la legislazione, utilizzando anche in sede di Commissione le competenze dei funzionari regionali, nel qual caso riuscirà ad occupare gran parte del ruolo di raccordo oggi svolto dal sistema delle conferenze.
Il ruolo di raccordo del Senato, alla luce della riforma, non si esaurisce tuttavia nella partecipazione al procedimento legislativo. In altri termini, il Senato delineato dalla riforma – come ha osservato il ministro Costa – «non è soltanto una Camera che partecipa in modo variabile e talvolta anche differenziato al procedimento legislativo, ma è dotata di molte importanti funzioni che ne fanno un'assemblea che va ben oltre la partecipazione all'esercizio della funzione legislativa».
A giudizio del sottosegretario Bressa, la riforma costituzionale oltre ad attribuire al Senato la funzione collaborativa nel processo legislativo, circoscrivendola a determinate materie, gli riconosce infatti una funzione politico-istituzionale di garanzia del sistema delle autonomie che non si risolve, né si esaurisce nella competenza legislativa. Nella riforma il Senato, al pari delle Regioni, si pone a contatto con le esigenze di sviluppo del territorio.
3.3.4 La funzione di partecipazione ai processi decisionali dell'Unione europea
La ministra Boschi nel suo intervento ha richiamato l'attenzione sulle modalità con cui verranno declinate sia la funzione di raccordo Pag. 41 con l'Unione europea – nelle fasi ascendente e discendente – sia una funzione del tutto nuova, quale quella di valutazione dell'impatto delle politiche europee sui territori (di quest'ultima si darà conto nel successivo paragrafo).
Anche in tal caso molto sarà rimesso alla fonte regolamentare, cui spetta valorizzare un ruolo che il Senato in Italia già sta svolgendo, perché l'apporto che il Senato fornisce in fase di pareri e quindi di contributo alla normativa europea nella cosiddetta fase ascendente già oggi è molto forte. Basti pensare che, nel 2014, in tutta Europa, il Senato è stato secondo soltanto al Parlamento portoghese per il numero di pareri resi nel percorso di formazione della normativa europea.
Il Presidente Iacop ha affermato che l'impegno comune e crescente delle Assemblee regionali sulle politiche europee in relazione alla fase ascendente, alla partecipazione all'esercizio del controllo di sussidiarietà e al dialogo politico consente di immaginare dei meccanismi di interazione e coordinamento tra l'attività della Conferenza delle assemblee legislative regionali, nella sua funzione di sede di raccordo delle posizioni dei Consigli regionali, e il Senato come Camera nazionale, con funzioni di mediazione e sintesi degli interessi territoriali rispetto a tematiche che impattano a velocità crescente sulle politiche regionali.
Al riguardo, va ricordato che l'impegno comune delle Assemblee legislative regionali sulle politiche europee in relazione alla fase ascendente, alla partecipazione all'esercizio del controllo di sussidiarietà e al dialogo politico ha condotto nel settembre 2014 all'approvazione di una Risoluzione (doc. XXIV, n. 35) della 14a Commissione del Senato con la quale si promuove la maggiore collaborazione tra la Commissione e la Conferenza, ai fini di dare attuazione alle disposizioni della legge 24 dicembre 2012, n. 234. Tale collaborazione si traduce in attività di programmazione che consentono di coordinare i lavori parlamentari e delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per la redazione dei pareri espressi nell'ambito del dialogo politico o relativamente ai profili di sussidiarietà e proporzionalità degli atti europei, anche tenendo conto delle osservazioni regionali; in una reciproca condivisione delle attività di partecipazione alla fase ascendente di formazione del diritto europeo, con particolare riferimento all'individuazione dei principali dossier di interesse comune, attraverso l'esame simultaneo del Programma legislativo e di lavoro annuale della Commissione UE e della Relazione annuale programmatica del Governo in materia europea e le audizioni di rappresentanti della Conferenza presso la Commissione Politiche dell'Unione europea del Senato.
È stato poi asserito che il Senato potrebbe assorbire le funzioni (o almeno parte delle stesse) attualmente attribuite alle Conferenze con riferimento alla partecipazione alla formazione ed all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea, con particolare riguardo alle competenze della Conferenza Stato-Regioni di cui agli articoli 22 e 23 della legge n. 234/2012 (Moavero Milanesi, Olivetti). Il riferimento è alle competenze, ad oggi esercitate dal «sistema delle conferenze» in materia di indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti dell'Unione europea che riguardano gli ambiti Pag. 42 di interesse delle Regioni e delle Province autonome, di criteri e modalità di conformare l'esercizio delle funzioni delle Regioni e delle Province autonome all'osservanza e all'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 1 della legge 234 del 2012, nonché di schemi di disegni di legge europea e di legge di delegazione europea (Olivetti).
Secondo il professor Moavero Milanesi, una simile opzione sarebbe coerente con le sue attribuzioni che riguardano, in particolare, la rappresentanza delle istituzioni territoriali e il raccordo fra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Si eviterebbe, infatti, che gli indirizzi generali relativi all'elaborazione, oltre che all'attuazione, degli atti dell'UE di interesse delle realtà territoriali, siano discussi in una sede diversa (quella delle conferenze) rispetto a quella costituzionalmente vocata a rappresentare le istituzioni territoriali e a raccordarle con le esigenze dello Stato (il Senato).
Il Senato dovrà poi a suo avviso continuare a svolgere un ruolo centrale con riferimento alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà a livello di Unione europea.
Infine, il professor Moavero Milanesi si è soffermato sul ruolo che il Senato potrà svolgere in termini di miglior raccordo, nell'ambito del rapporto enti territoriali-Stato-Unione europea, con il Comitato delle Regioni(5) .
Il professor Moavero Milanesi suggerisce in proposito che l'attuale «sistema delle conferenze» o, con la riforma costituzionale, il nuovo Senato possano acquisire funzioni specifiche riguardo all'individuazione delle persone che poi formalmente il Governo comunica a Bruxelles per la nomina, nonché riguardo al raccordo con detto organismo.
Ancora, con riferimento al ruolo di raccordo del Senato sui temi europei, anche il professor Olivetti ha evidenziato il ruolo del Senato come canale di comunicazione privilegiato con le assemblee legislative regionali, per il tramite della Conferenza dei Presidenti, con riferimento all'esercizio del controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà da parte dei progetti di atti legislativi dell'Unione europea (Olivetti).
In tal senso, è stato sostenuto che lo studio comparato del ruolo dei Parlamenti nazionali nel controllo di sussidiarietà dimostra che sono più efficaci le Camere alte perché, non partecipando al rapporto di fiducia con il Governo, non sono costrette a omogeneizzarsi alla linea politica di maggioranza che prevale nella Camera politica (Olivetti).
Secondo il professor Luciani, il terreno dell'integrazione europea è molto significativo. Nella seconda Camera, infatti, si dovrebbe realizzare il coordinamento alto fra il centro e la periferia in rapporto alle esigenze poste dall'integrazione europea. In tale sede sarebbe però impossibile un esame tecnico congiunto dell'impatto nell'ordinamento nazionale a tutti i livelli. Di conseguenza, è probabile che il Senato Pag. 43 tenderà a occuparsi dell'impatto delle condizioni europee sulla legislazione, mentre le Conferenze dovrebbero occuparsi essenzialmente dell'impatto sull'amministrazione.
3.3.5 L'attività di valutazione
Fra le funzioni attribuite dall'articolo 55 della Costituzione, come modificato dalla riforma costituzionale in itinere, al Senato spetteranno la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni, la verifica dell'impatto delle politiche europee sui territori e la verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato.
In stretta attinenza con la funzione di partecipazione ai processi decisionali europei, come evidenziato dalla ministra Boschi, con la riforma costituzionale il ruolo del Senato è ulteriormente rafforzato dall'attribuzione della funzione valutativa riferita alla verifica dell'impatto delle politiche europee sui territori, funzione che completa l'intervento nella fase ascendente e consente di valutare gli effetti del processo decisionale europeo anche a valle del suo svolgimento. Tale competenza chiamerà auspicabilmente in causa in modo molto forte anche le Regioni, che non potranno essere deresponsabilizzate dal percorso di utilizzo, e quindi di buona gestione, delle risorse europee, dal momento che esse stesse dovranno renderne conto, anche ai fini di un'eventuale valutazione dell'attività svolta in ogni Regione da parte delle relative istituzioni nell'ambito del Senato.
Secondo la ministra Boschi, inoltre, la nuova competenza del Senato in tema di valutazione della pubblica amministrazione e delle politiche pubbliche è collegata in generale sia alla possibilità dello Stato di sostituirsi alle Regioni e quindi di esercitare la clausola di supremazia, sia alla possibilità di dare piena attuazione al cosiddetto regionalismo differenziato, istituto che nella riforma è stato ulteriormente valorizzato e accentuato. Nell'attuazione concreta della riforma, la valutazione dell'attività della pubblica amministrazione e la valutazione delle politiche pubbliche costituiscono infatti il presupposto per verificare come valorizzare le singole Regioni, e quindi dare piena attuazione al regionalismo differenziato; ciò può contribuire inoltre alla valutazione sull'opportunità o meno di un intervento più forte dello Stato in alcuni casi, eventualmente esercitando la clausola di supremazia.
Anche il ministro Costa ha inteso richiamare l'attenzione sulla circostanza che il ruolo del Senato, alla luce della riforma, non è circoscrivibile alla partecipazione al procedimento legislativo, ma è dotato «di molte importanti funzioni che ne fanno un'assemblea che va ben oltre la partecipazione all'esercizio della funzione legislativa», «tra le quali, accanto al raccordo con l'Unione europea, spicca anche la valutazione delle politiche pubbliche e il concorso alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato».
Come sottolineato dalla ministra Lorenzin, il compito di valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni, unitamente a quello di raccordo tra i diversi livelli di governo, dovrebbe portare a configurare il nuovo Senato della Repubblica come il luogo privilegiato per le funzioni valutative delle politiche di settore, compresa quella sanitaria, e fornire la base informativa più qualificata Pag. 44 per l'assunzione delle decisioni necessarie ad assicurare la governance del sistema.
Al riguardo, è stato inoltre osservato che il Senato dovrà vagliare le politiche pubbliche e l'attuazione delle leggi non in generale, ma nella prospettiva del loro impatto sui territori. Si tratta dunque di una funzione diversa da quella attualmente assolta dal «sistema delle conferenze», ma che in qualche modo ad essa si raccorda. La verifica e la valutazione in Senato viene prima dell'apporto delle Conferenze e queste ultime, dal canto loro, non potranno prescindere dalle risultanze di questa attività senatoriale (Luciani).
Per il Presidente della Corte dei conti Squitieri, il ruolo di controllo e valutazione delle politiche pubbliche del nuovo Senato rende auspicabile un rafforzamento del ruolo della Corte dei conti nei confronti del nuovo Senato e il coerente sviluppo del rapporto istituzionale già da tempo instaurato dalla Corte con il Parlamento.
Le politiche pubbliche sono ordinariamente già oggetto di analisi da parte della Corte, in occasione del giudizio di regolarità del rendiconto generale dello Stato oltre che di quelli regionali.
Per la nuova funzione di valutazione affidata al Senato, risulta palese il raccordo con l'attività referente della Corte. Un utile strumento è dato proprio, per queste finalità, dalla corretta predisposizione di documenti contabili. Rileva a tal fine anche l'impostazione del bilancio per missioni e programmi introdotta per lo Stato a partire dalla legge del 2008, adottata sulla scia di quella francese ed ora estesa anche ai bilanci degli enti territoriali, nel quadro dell'armonizzazione.
Nella prospettiva di un'informazione obiettiva, sistematica e funzionale alle esigenze che si correlano ai compiti di raccordo e di valutazione intestati al nuovo Senato, è ipotizzabile una specifica funzione di referto modulato su obiettivi particolari o su fenomeni tendenziali che posso riguardare gli aspetti gestionali o anche assetti ordinamentali che servono ad orientare la funzione decisionale in sede legislativa.
In merito al tema della valutazione delle politiche pubbliche, va peraltro menzionato l'impegno profuso dalla Conferenza dei Presidenti della Assemblee legislative, che ha promosso dal marzo 2006 il progetto CAPIRe (Controllo delle Assemblee sulle Politiche e gli Interventi regionali). Fin dall'inizio il progetto, avviato in una prima fase dai Consigli regionali di Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana e realizzato su proposta e in collaborazione con l'Associazione per lo Sviluppo della Valutazione e l'Analisi delle Politiche Pubbliche, ha avuto l'obiettivo di aiutare le assemblee a sperimentare procedure, istituti e strumenti tesi a produrre conoscenze utilizzabili in seno al processo legislativo regionale. Nell'ottobre 2013 la Conferenza dei Presidenti ha approvato il documento programmatico «Imparare a spendere meglio. Manifesto delle Assemblee regionali a favore di un impiego diffuso di strumenti e metodi per valutare l'efficacia delle politiche», in cui si riconosce l'importanza che la valutazione entri nell'abituale modo di operare delle pubbliche amministrazioni italiane e abbandoni lo status di lodevole, ma del tutto isolata, eccezione. Con la firma del protocollo d'Intesa del 3 dicembre 2015 il Senato della Repubblica, la Conferenza e le Assemblee regionali hanno dichiarato l'intenzione di lavorare insieme per far sì che tale impegno si traduca Pag. 45 operativamente nella progettazione e nell'organizzazione di un master universitario di II livello.
3. 4. Le modifiche al titolo V ed il principio di leale collaborazione
L'assetto dei rapporti tra Stato e Regioni è destinato ad essere modificato dalla riforma costituzionale in itinere a seguito delle incisive modifiche al titolo V della parte II della Costituzione.
A tal proposito, il ministro Costa ha sostenuto che la nuova ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni «non può essere vista solo come una riallocazione di competenze tra lo Stato e le Regioni» ma va inquadrata nell'ambito del nuovo disegno di «tutta l'architettura istituzionale della Repubblica delle autonomie». Si tratta, a suo avviso, di una riforma «che non solo non marginalizza le regioni, ma le valorizza ulteriormente, assegnando loro la competenza e la disciplina degli enti di area vasta, salvo i principi generali relativi al loro ordinamento, che restano di competenza dello Stato».
Ha dunque richiamato l'importanza del cosiddetto regionalismo differenziato, come delineato dall'articolo 116, terzo comma, che, fermo restando il vincolo di equilibrio economico, «può riguardare un numero assai ampio di competenze legislative statali e può divenire, in effetti, una modalità di forte valorizzazione delle Regioni, basata anche sulla valutazione delle politiche pubbliche e l'attività della pubblica amministrazione ad essa riconducibile».
La stessa ridefinizione delle materie di competenza statale presuppone un dialogo forte, costante e molto costruttivo tra legislatore regionale e legislatore statale in ordine alla modalità di attuazione di tali poteri, che si avvarrà anche del contributo della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali.
Con particolare riferimento al settore della salute, secondo la ministra Lorenzin, la riforma costituzionale ed in particolare il nuovo riparto delle competenze legislative dovrebbe ridurre la necessità di fare ricorso al «sistema delle conferenze», quanto meno nella fase di produzione della normativa. In tal senso, ha osservato che con riferimento alla materia «tutela della salute», nella prassi, si è fatto ampio ricorso al «sistema delle conferenze» per diversi motivi: ampliamento delle funzioni legislative attribuite alle Regioni e difficoltà di distinguere, nell'ambito della potestà legislativa concorrente, i principi fondamentali, riservati alla competenza legislativa statale, dalle norme di dettaglio, affidate alla competenza regionale; impossibilità per lo Stato di adottare regolamenti in materie diverse da quelle attribuite alla sua potestà legislativa esclusiva (la tutela della salute è infatti ricompresa tra le materie di competenza concorrente, mentre le azioni in questo settore richiedono spesso un approccio di carattere nazionale); infine, impossibilità per lo Stato di adottare atti di indirizzo e coordinamento nelle materie riservate alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni.
In tale contesto, la legislazione ordinaria statale ha fatto sempre più spesso rinvio ad intese o accordi da stipulare in sede di Conferenza Stato – Regioni per l'emanazione dei dispositivi attuativi delle leggi statali e per la ricerca di un coordinamento dell'azione delle amministrazioni statali e di quelle regionali. La riforma costituzionale, eliminando la normativa concorrente, dovrebbe risolvere definitivamente il Pag. 46 problema di distinguere l'ambito materiale riservato alla legislazione statale da quello riservato invece alla competenza regionale. Con riferimento a quest'ultima, peraltro, la riforma costituzionale non si limita a delimitare tale potestà ricorrendo unicamente al criterio della «residualità» (cioè facendovi rientrare tutte le materie non riservate alla potestà legislativa statale, come nel testo attualmente vigente) ma indica espressamente alcuni specifici ambiti considerati propri delle regioni, tra cui, per quanto di interesse del Ministero della salute, «l'organizzazione dei servizi sociali e sanitari».
Più in generale, la Ministra Lorenzin ha sottolineato che dal testo della riforma costituzionale emerge chiaramente la consapevolezza della necessità di assicurare in alcuni settori uniformità di trattamento sull'intero territorio nazionale. A corollario della potestà esclusiva statale, è infatti prevista la possibilità per il legislatore statale di emanare disposizioni generali e comuni. Ad esempio, per quanto di interesse del Ministero della salute, sono previste disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare, mediante le quali si intende garantire la soddisfazione di quelle istanze unitarie, connaturate ad alcuni qualificati e specifici obiettivi di carattere generale, come appunto la tutela della salute, che giustificano l'intervento legislativo dello Stato in via esclusiva. Ad ulteriore garanzia delle esigenze unitarie, è stata introdotta la cd. «clausola di supremazia».
Il nuovo assetto delle competenze legislative dovrebbe pertanto consentire pertanto allo Stato di recuperare anche parte della propria potestà regolamentare, anche in settori – come quello della salute – che prima gli erano preclusi. Tali innovazioni, dovrebbero assicurare la risoluzione di molte delle criticità prima segnalate soprattutto se lette in combinato con il superamento del bicameralismo perfetto e la radicale riforma del Senato.
Per quanto riguarda le osservazioni della dottrina, il professor Bifulco ha rilevato che il modello che si prefigura con la riforma costituzionale individua la propria coerenza «nel ridurre fortemente i poteri legislativi delle Regioni e nell'attribuire allo Stato maggiore efficacia ed efficienza» (Bifulco) e che vada interpretata in questo senso la scelta di trasferire nell'ambito della legislazione esclusiva statale alcune materie tradizionalmente di competenza delle Regioni, come ad esempio il governo del territorio. Del resto, a suo avviso, la delimitazione della competenza statale alle «disposizioni generali e comuni» non sembra assicurare alle Regioni le medesime garanzie che, nella Costituzione vigente, esse potevano vantare in quanto titolari del potere di legislazione concorrente. Nulla sembra infatti impedire alla Camera di definire liberamente le «disposizioni generali e comuni», mentre la Corte costituzionale, per quanto integrata con due membri di nomina senatoriale, potrebbe esercitare un opportuno self-restraint sul punto, soprattutto in considerazione del coinvolgimento del Senato e dunque degli enti territoriali nell'ambito del procedimento legislativo. Anche il professor Mangiameli ha evidenziato che le competenze esclusive statali sono in molti punti aperte a un riparto determinato di volta in volta dalla legge dello Stato che disciplina la materia.
Il professor D'Atena ha peraltro rilevato che i nuovi criteri per il riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni, ancora una volta, Pag. 47 lasciano delle zone di ombra e di confine rispetto alle quali si possono porre dei problemi di competenza, mentre, ad avviso del professor Luciani, il contenzioso costituzionale fra lo Stato e le Regioni non sarebbe dovuto principalmente alle materie di competenza concorrente, in quanto le principali controversie sono state sollecitate dalle materie cosiddette «trasversali» di competenza esclusiva statale, quali la «tutela della concorrenza» e l’«ordinamento civile» e da una materia di competenza concorrente, ossia il «coordinamento della finanza pubblica», che però la giurisprudenza costituzionale ha configurato, in realtà, come sostanzialmente esclusiva statale.
Il professor Carli ha in proposito suggerito di favorire accordi fra Stato e Regioni sul riparto di competenze, da approvare in sede di Conferenza Stato-Regioni, al fine di definire il riparto delle competenze per materia, il quale continua a presentare molte zone grigie, che non possono essere eliminate scrivendo le norme in maniera più chiara. Ha richiamato in proposito l'esempio del settore della sanità, nel quale si è proceduto al riparto di competenze attraverso lo strumento del Patto per la salute, un accordo fra Stato e Regioni in cui sono stati dettagliatamente stabiliti i compiti dei soggetti interessati.
Diversi auditi si sono inoltre soffermati sui riflessi che il nuovo quadro costituzionale delineato dalla riforma in itinere avrà sui principi sinora elaborati dalla giurisprudenza costituzionale. Tale nuovo quadro, caratterizzato dalla trasformazione del Senato in Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, da diversi criteri di riparto di competenze tra Stato e Regioni e dall'introduzione della «clausola di supremazia», che riprende il concetto di interesse nazionale, non pare infatti consentire un'applicazione automatica dei paradigmi elaborati dalla Corte costituzionale sotto il vigore del Titolo V novellato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
È stato così evidenziato che la giurisprudenza costituzionale sull’«attrazione in sussidiarietà» (o «chiamata in sussidiarietà»), che ricorre quando allo Stato è consentito intervenire su ambiti che, pur rimessi alla competenza regionale, richiedano necessariamente l'elaborazione di una strategia unitaria a livello nazionale, si fonda sul rilievo dell’«assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi» che garantisca l'integrazione del punto di vista dello Stato con quello delle autonomie territoriali (Lupo, Pajno, Rivosecchi), nonché sulla cancellazione nel 2001 del limite dell'interesse nazionale (Morelli). Dal momento che la riforma costituzionale realizza proprio quella «trasformazione delle istituzioni parlamentari» evocata dalla Corte e che con la «clausola di supremazia» viene inoltre reintrodotto il limite dell'interesse nazionale, la giurisprudenza costituzionale in materia di sussidiarietà legislativa appare destinata ad un superamento, e con essa la relativa applicazione del principio di leale collaborazione, che, come già più volte rilevato, trova una delle sue principali forme di inveramento nel «sistema delle conferenze» (Lupo, Morelli, Pajno, Rivosecchi).
Appare invece riproponibile l'applicazione del principio della leale collaborazione nei casi di sovrapposizione tra competenze statali e competenze regionali (Pajno, Rivosecchi). Anche in tali ipotesi occorre però considerare, il nuovo ruolo del Senato, portatore delle istanze territoriali, nell'ambito del procedimento legislativo, che potrebbe rendere Pag. 48 più difficile per la Corte sostenere la necessità di un ricorso alla leale collaborazione (Pajno). Le procedure collaborative incentrate sul «sistema delle conferenze» appaiono comunque destinate ad essere mantenute nei procedimenti di attuazione delle leggi nei casi di forte ricaduta sulle funzioni che rimangono attribuite alle Regioni, sia sul piano della legislazione sia sul piano dell'amministrazione (Rivosecchi).
Inoltre, in relazione alle materie di competenza esclusiva del legislatore statale, è stato rilevato che la stessa lettura delle stesse come «materie trasversali» (o «materie-non materie») si basa sul riconoscimento della scomparsa del limite dell'interesse nazionale e sulla sua «immanentizzazione» nel nuovo sistema costituzionale delle competenze legislative e amministrative. L'introduzione della «clausola di supremazia», quale strumento atto a legittimare l'intervento del legislatore statale allo scopo di far valere l'interesse nazionale, potrebbe dunque legittimare letture meno estensive delle competenze legislative statali da parte della giurisprudenza costituzionale. In altri termini, la Corte potrebbe anche abbandonare, ove possibile, l'indirizzo delle «materie trasversali» in considerazione della circostanza che nel loro esercizio non potrebbe più farsi valere l'interesse nazionale «immanente», la cui salvaguardia appare ora affidata alla «clausola di supremazia» (Morelli).
4. PROPOSTE DI RIORDINO DELL'ASSETTO DELLE CONFERENZE
Nell'ambito della riflessione sul riordino del «sistema delle conferenze» alla luce della riforma costituzionale in itinere si è registrata, in sede di audizione, un'ampia condivisione in ordine all'esigenza di una rivisitazione dell'attuale sistema di raccordo anche a prescindere dall'approvazione referendaria della riforma costituzionale. Come è stato segnalato nelle audizioni l'esigenza di un riordino del «sistema delle conferenze», anche in caso di mancata modifica della Carta costituzionale, si spiega con la circostanza che esso è stato disciplinato in un quadro costituzionale già superato dalla riforma del Titolo V del 2001.
Nel paragrafo 4.1 saranno illustrate ipotesi di intervento normativo che la Commissione per le questioni regionali, facendo tesoro degli ampi contributi conoscitivi e della approfondite riflessioni emerse nelle audizioni al fine di superare le criticità del ’sistema delle conferenze’ (si veda in proposito il paragrafo 2.6), ritiene opportune anche qualora l'esito referendario non sia approvativo della riforma.
Nel paragrafo 4.2 si darà invece conto delle proposte di riordino nell'ipotesi che la riforma costituzionale entri in vigore, fermo restando che la maggior parte delle soluzioni di riordino prospettate a costituzione vigente (nel paragrafo 4.1) si possono considerare valide anche nell'ipotesi di modifica della Costituzione, se opportunamente calibrate al fine di tener conto in particolare del ruolo strategico di raccordo assegnato al Senato.
4.1. Proposte di riordino del sistema di raccordo a costituzione invariata
4.1.1 Attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001
Pag. 49 Come evidenziato nelle audizioni, una delle principali criticità dell'assetto attuale è data dall'assenza di meccanismi che consentano agli enti territoriali un'effettiva partecipazione ai processi decisionali, ed in particolare al procedimento legislativo.
Al riguardo, basti ricordare i numerosi richiami alla nota sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2004 che aveva segnalato la «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi» idonea a garantire le autonomie territoriali, in quel caso per legittimare – come soluzione transitoria – l'attività delle Conferenze, sedi di raccordo e perseguimento della leale collaborazione.
Qualora il referendum dovesse avere un esito non approvativo della riforma in itinere, e non si potesse realizzare la trasformazione del Senato in Camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali, si riproporrà l'esigenza di individuare forme di raccordo che assicurino l'integrazione del punto di vista dello Stato con quello delle autonomie territoriali, che consentano di superare la richiamata «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e (...) dei procedimenti legislativi». Al riguardo, nel corso dell'indagine conoscitiva è stata a più riprese richiamata la mancata attuazione dell'articolo 11, commi primo e secondo, della legge costituzionale n. 3 del 2001 che prevede la possibilità di integrare la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti di Regioni, Province autonome ed enti locali e attribuisce ai pareri resi dalla medesima Commissione, così integrata, su disegni di leggi vertenti su materie di competenza concorrente o attinenti alla finanza regionale e locale, un valore rinforzato.
Come è stato osservato, il vigente ordinamento costituzionale prevede dunque un'ipotesi molto particolare per avviare la presenza dei territori in seno al Parlamento, ossia l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali (Mangiameli, Pietrangelo), anche se prefigura una soluzione temporanea, la cui vigenza è destinata a cessare con la riforma del Titolo I della parte seconda della Costituzione, cioè del titolo che riguarda il Parlamento (Mangiameli).
Fra i contributi emersi nel corso delle audizioni, si segnala altresì l'enfasi sulla circostanza che nelle sentenze in cui la Corte costituzionale valorizzava il ricorso alle intese forti con le singole Regioni interessate nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari, essa puntava a incentivare anche l'integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti delle Regioni (Pajno).
Poiché, come è stato affermato in audizione, proprio la mancanza della richiamata funzione di raccordo ha contribuito al fallimento della riforma del Titolo V e spesso alla paralisi del Paese (Lupo), nell'intento di superare tale criticità, occorrerà interrogarsi sulla persistenza delle ragioni che hanno impedito sino ad oggi l'attuazione della richiamata disposizione di cui all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
4.1.2 La razionalizzazione delle attuali Conferenze
È stata da più parti avanzata la proposta di operare una razionalizzazione delle attuali tre Conferenze intergovernative: taluni auspicano Pag. 50 l'istituzione di un'unica Conferenza (Caretti, Castelli), mentre altri ritengono auspicabile ricondurre a due le attuali Conferenze (Carpani).
Tra i primi viene avanzata l'idea di istituire una Conferenza unica, articolata in una sede plenaria e in due distinte sezioni (una regionale e una locale).
La Conferenza unica, con l'aiuto di altri organi comuni tra Stato e Regioni, potrebbe operare secondo lo schema che è stato seguito fin dall'inizio dell'esperienza delle Regioni a statuto speciale, con le commissioni paritetiche che progressivamente hanno proceduto al trasferimento delle funzioni amministrative (Caretti).
Con riferimento alla proposta di estendere lo strumento delle commissioni paritetiche nell'ambito delle negoziazioni tra Stato ed enti territoriali appartenenti alle Regioni ordinarie, pur condividendone la finalità, ne è stata rilevata la complessità (Olivetti). Nell'ambito di tale riflessione, è stata colta l'occasione per ricordare che lo strumento per il trasferimento di competenze tra Stato e Regioni, almeno in teoria, dovrebbe essere l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che dovrebbe però essere inteso come negoziazione puntuale su singole materie, proprio come accade nelle paritetiche e non invece – come hanno ritenuto alcune Regioni del Nord – come via verso uno statuto speciale (Olivetti).
Chi auspica la riduzione delle attuali tre Conferenze a due ritiene che queste ultime debbano essere sostanzialmente corrispondenti all'attuale Conferenza Stato-Regioni e alla Conferenza unificata (Carpani).
In tema di razionalizzazione, appare opportuno segnalare anche il contributo dell'ANCI, secondo cui il riordino dovrebbero rispondere ad un obiettivo generale di efficienza del sistema, che potrebbe, o dovrebbe, accorpare nel suo ambito tutti i soggetti di partenariato e misti presenti nei vari settori; a tal proposito, si potrebbe spingere per una tendenziale concentrazione nella Conferenza di tutti i meccanismi e soggetti di raccordo settoriale previsti dalla legislazione, configurando così una sede unica di raccordo con il Governo.
Ancora, sarebbe interessante istituire nella Conferenza organi interni di raccordo anche solo fra le autonomie territoriali.
Sempre ad avviso dell'ANCI, bisognerebbe assicurare maggiore visibilità ai pareri resi sugli atti per cui è previsto un passaggio parlamentare, con l'obbligo di allegarli poi all'atto cui si riferiscono; si potrebbe altresì prevedere un rapporto annuale che dia conto di tutta l'attività svolta e degli atti adottati. In tal modo, secondo il Segretario generale dell'ANCI, Nicotra, si potrebbe risolvere il problema della inadeguata valorizzazione dei pareri della Conferenza nell'ambito del dibattito parlamentare, che è stato uno dei temi già oggetto di attenzione in tutti i tentativi di riforma del sistema delle autonomie che si sono susseguiti negli anni, e si recupererebbe una circolarità tra Parlamento, autonomie territoriali ed Esecutivi.
4.1.3 Maggiore autonomia dall'Esecutivo
Nell'ambito di un eventuale riordino delle Conferenze è stata sostenuta l'opportunità di ridurre, se non di eliminare del tutto, la posizione di supremazia del Governo nella convocazione delle Conferenze Pag. 51 e nella fissazione dell'ordine del giorno, al fine di garantire una maggiore bilateralità (Morelli, Vandelli).
Potrebbe dunque essere prevista la codeterminazione del programma delle attività della Conferenza Stato-Regioni e del suo ordine del giorno da parte della Conferenza delle Regioni e del Consiglio dei ministri, rafforzando quanto già previsto dalla normativa vigente, che consente alla Conferenza di richiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre alla Conferenza Stato-Regioni oggetti di interesse regionale (art. 2, comma 4, del decreto legislativo n. 281/1997).
Si potrebbe introdurre, inoltre, una regola di rotazione della Presidenza o di co-presidenza (Morelli) o, in alternativa, prevedere un vicepresidente espresso dalle autonomie, al fine di concertare con il Presidente i lavori e l'ordine del giorno (Vandelli).
È stato inoltre segnalato che una riforma legislativa dell'attività del ’sistema delle conferenze’ potrebbe rappresentare l'occasione per una «procedimentalizzazione di questa attività, perché è vero che queste Conferenze hanno funzionato e hanno avuto un elemento di virtuosità nell'informalità del raccordo, ma è ancor più vero che una procedimentalizzazione consentirebbe di ottenere quantomeno tempi certi nella decisione e più trasparenza e pubblicità nei lavori delle Conferenze stesse» (Cecchetti).
Tale auspicio è stato condiviso anche da ANCI, che ritiene opportuno un coinvolgimento formalizzato delle autonomie territoriali nella fissazione dell'ordine del giorno, nella definizione del calendario dei lavori, proseguendo nella linea della previsione di sessioni di lavoro predeterminate (come la sessione comunitaria, o quella dedicata alla materia finanziaria, o alla legge di semplificazione).
4.1.4 La rappresentanza degli enti locali
In sede di riordino del «sistema delle conferenze» ed in particolare della composizione della Conferenza Stato-città, il sottosegretario Bressa ha evidenziato inoltre l'esigenza di una riflessione sulla questione che riguarda l'efficacia e la serietà del modello rappresentativo degli enti territoriali. Per la Conferenza Stato-città, che ha una funzione eminentemente consultiva, sarebbe a suo avviso estremamente difficile definire una disciplina, alternativa a quella vigente, in grado di assicurare «una rappresentanza estremamente complessa, perché vi sono 8.000 comuni, di cui 5.000 al di sotto dei 5.000 abitanti»; «risulta complicato stabilire il meccanismo in grado di individuare realmente una rappresentatività capace di essere tale e non, invece, frutto di altre forme e altri tipi di accordi». Nel riconoscere la debolezza dell'attuale sistema, basato sulle designazioni dell'ANCI, che è un'organizzazione sostanzialmente privata, anche se composta da enti pubblici e che continua ad avere carichi di responsabilità decisionale sempre crescenti, il Sottosegretario Bressa ha richiamato l'attenzione sull'esigenza di spostare l'asse del problema dalle modalità di elezione o nomina dei rappresentanti nella Commissione alla definizione del ruolo delle associazioni rappresentative degli enti locali.
4.1.5 Istituzione della Conferenza degli Esecutivi
Il ministro Costa e il sottosegretario Bressa, come già anticipato, ritengono che una delle criticità dell'attuale sistema sia rinvenibile Pag. 52 nell'assenza di una sede ad hoc in cui il Governo nazionale e gli Esecutivi territoriali possano confrontarsi sulle politiche pubbliche nazionali, sulle priorità e sulle scelte necessarie per attuarle. Ritengono che questa non possa essere individuata dalla Conferenza Stato-Regioni nella sua configurazione attuale e che l'attuale «sistema delle conferenze» possa essere arricchito dall'istituzione di una Conferenza degli Esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Presidenti delle giunte regionali e delle due Province di Trento e Bolzano, sulla falsariga di quelle operanti in Stati federali, come l'Australia (Council of Australian Governments) e il Canada (First Ministers'conference). Le riunioni di tale Conferenza dovrebbero svolgersi secondo procedure informali, una o due volte l'anno, e dovrebbero avere ad oggetto temi di particolare rilievo politico. Si tratterebbe di una sorta di conferenza intergovernativa in cui Stato e Regioni espongano le rispettive priorità con l'obiettivo di influenzare l'agenda dell'attività di un Parlamento in cui le Regioni stesse saranno pienamente rappresentate.
Quanto alla composizione, considerato «il carattere pluralistico del nostro ordinamento costituzionale, sarebbe opportuno prevedere [nell'ambito della richiamata sede politica] anche la presenza di un'adeguata componente di sindaci metropolitani e non, in rappresentanza dei comuni e delle loro associazioni». In tendenziale sintonia con l'opportunità di estendere la partecipazione anche agli enti locali, il sottosegretario Bressa ha segnalato che, in considerazione della composizione del nuovo Senato, che vede al proprio interno rappresentanti dell'ente comunale, si apre la possibilità della presenza anche di un rappresentante del livello comunale, nella figura, ad esempio, del Presidente nazionale dell'ANCI.
Relativamente ai rapporti della Conferenza degli Esecutivi con il «sistema delle conferenze» vigente, il sottosegretario Bressa ha evocato la definizione di un'organizzazione reticolare con al centro la Conferenza degli Esecutivi e intorno a essa l'attuale «sistema delle conferenze».
4.2 Proposte di riordino del ’sistema delle conferenze’ nel nuovo assetto costituzionale
Come illustrato in precedenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva è emerso che la riforma in itinere non impone la soppressione dell'attuale «sistema delle conferenze», bensì rende auspicabile un suo riordino, che tenga conto delle richiamate funzioni demandate al Senato. In questa sede, saranno richiamati i contributi informativi raccolti con riguardo alle funzioni che potrebbero essere svolte dal «sistema delle conferenze» qualora l'esito del referendum sia favorevole alla riforma costituzionale, e saranno formulate proposte operative di riordino.
Come evidenziato dal ministro Alfano, l'attribuzione al Senato a livello costituzionale delle funzioni di raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali implica la necessaria trasformazione, sul piano funzionale, delle Conferenze, che dovranno conservare un ruolo limitato principalmente agli aspetti attuativi della legislazione, e quindi ad aspetti prevalentemente amministrativi e tecnici. In tal senso sono stati richiamati Pag. 53 gli ordini del giorno accolti dal Governo nel corso dell'esame parlamentare.
Sono stati così delineati «due distinti ambiti del raccordo: il primo, che attiene ai “rami alti” e che investe il momento della decisione politico-legislativa, e il secondo, che invece verrebbe a riguardare le fasi discendenti o i livelli sottostanti, in cui il confronto è destinato a riferirsi a profili di dettaglio, tra i quali bisognerebbe includere la normazione secondaria e la regolazione tecnica» (Alfano).
Anche con riguardo a questo aspetto, è stato sottolineato che, ai fini della definizione dei nuovi rapporti tra Senato e «sistema delle conferenze», risulta peraltro decisivo il completamento della riforma, con l'adozione di una nuova legge elettorale del Senato e la revisione dei regolamenti parlamentari.
Con specifico riferimento al settore sanitario, la ministra Lorenzin, come già accennato, ha rilevato che il Senato è destinato ad assorbire gran parte delle funzioni attualmente svolte dalle Conferenze, che pertanto potrebbero conservare un ruolo di attuazione tecnico – amministrativa delle deliberazioni del Senato. In proposito, ha richiamato il procedimento per l'approvazione dei Patti per la salute: essi potranno essere deliberati dal Senato, anche in considerazione del fatto che quest'ultimo sarà chiamato a partecipare al procedimento legislativo volto all'adozione delle leggi che, poi, dovranno recepire i contenuti dei Patti (per l'adozione delle leggi di bilancio il testo di riforma prevede infatti l'intervento automatico del Senato). Anche con riguardo alla funzione di valutazione, con particolare riferimento ai Piani di rientro e di monitoraggio dei servizi sanitari regionali e della loro qualità, secondo la ministra il Senato è destinato ad assorbire le funzioni attualmente svolte dal «sistema delle conferenze». Più in generale, per l'assunzione delle «macrodecisioni» a suo avviso non sarà più necessario il ricorso al «sistema delle conferenze».
Riguardo alla posizione espressa dalle associazioni rappresentative degli enti locali, l'UPI ha proposto di strutturare un rapporto costante tra il nuovo Senato e le Conferenze, magari prevedendo nel Senato la segreteria di riferimento di tutto il «sistema delle conferenze», inteso in questo senso ampio, in modo che questo diventi il punto unitario di raccordo tra il Governo nazionale e i governi territoriali a cui debbano necessariamente fare riferimento i diversi Ministeri.
Una scelta di questo tipo, secondo quanto indicato nella memoria depositata dall'UPI agli atti dell'indagine conoscitiva, consentirebbe di sviluppare organicamente il principio della leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie territoriali: relativamente alle funzioni legislative, per applicare i nuovi criteri di riparto della potestà legislativa e regolamentare tra lo Stato e le Regioni e la c.d. «clausola di supremazia», prevenendo i conflitti dinanzi alla Corte; relativamente alle funzioni amministrative, per assicurare la più funzionale attuazione degli indirizzi politici e delle leggi, e dare stabilità alle procedure di negoziazione tra Stato ed enti locali.
In tale contesto, l'UPI propone altresì di strutturare nel nuovo Senato anche un rapporto costante con le associazioni rappresentative degli enti locali e con le Assemblee legislative regionali. Attraverso il raccordo tra il Senato della Repubblica e il «sistema delle conferenze» si potranno rendere più trasparenti ed efficaci i processi decisionali, Pag. 54 fornendo una sede istituzionale di riferimento autorevole e visibile ai cittadini e alle imprese, in stretto rapporto con l'attività di valutazione delle politiche pubbliche e di verifica sull'attuazione delle leggi che la riforma pone in capo al nuovo Senato.
ANCI ed UPI hanno poi convenuto sulla necessità di evitare che in sede di riordino delle Conferenze si determinino sovrapposizioni con il Senato: in particolare, hanno evidenziato che occorre evitare che si duplichi nelle Conferenze il confronto sulla legislazione, che dovrà invece essere affidato tutto al Senato riformato. Il nuovo ruolo delle Conferenze dovrebbe essere definito con una nuova legge – i cui contenuti dovrebbero essere delineati parallelamente alla concreta definizione del ruolo legislativo del Senato – che riconosca ad esse competenze di tipo amministrativo o eminentemente politico (si veda quanto richiamato nel capitolo precedente).
Pur essendovi condivisione di vedute sulla necessità di operare un distinguo fra una funzione «alta» di raccordo affidata in via esclusiva al Senato e una funzione di raccordo di carattere più squisitamente attuativo e tecnico-amministrativo da mantenere tendenzialmente in capo al «sistema delle conferenze», nel corso delle audizioni di accademici ed esperti della materia sono emersi spunti di riflessione e posizioni non sempre convergenti di cui si ritiene opportuno dare conto in modo analitico. Si sono in particolare registrati due indirizzi prevalenti: parte della dottrina si è focalizzata sulla possibilità di individuare una netta distinzione fra funzioni attribuibili al Senato, ed in primis, quella legislativa, e quelle (di carattere amministrativo) attribuibili al «sistema delle conferenze». Parte, di contro, ha invitato a riflettere sui limiti di individuare una linea di demarcazione netta fra le richiamate funzioni.
Secondo alcuni, la più razionale distribuzione delle competenze tra il nuovo Senato e le Conferenze sembra essere proprio quella che distingue tra legislazione e amministrazione (Castelli Cecchetti, Morelli), assegnando al primo il ruolo di sede privilegiata di esercizio della leale cooperazione nell'ambito della funzione di produzione normativa e alle seconde quello di assicurare il luogo di esercizio cooperativo dell'amministrazione (Morelli). Risulta quindi necessario delineare una più netta divisione dei compiti tra le due istituzioni della leale collaborazione, in modo che il Senato sia il dominus della codecisione nella formazione della legge, la Conferenza il dominus della codecisione nella sua attuazione (Bassanini, Castelli, Morelli).
È stato dunque osservato (Rivosecchi) che al Senato dovrebbero spettare «in via esclusiva i raccordi relativi all'attività legislativa, riservando invece al “sistema delle conferenze” i raccordi con riguardo all'esercizio delle funzioni amministrative»: il «sistema delle conferenze» non interverrebbe più «a monte» nel procedimento legislativo con pareri sui disegni di legge governativi; il Senato, per l'esercizio di questa funzione, dovrebbe raccordarsi direttamente con la Conferenza delle Regioni; sul versante amministrativo, la competenza spetterebbe al «sistema delle conferenze», anche se su provvedimenti più significativi non dovrebbe essere preclusa la possibilità del Senato di fornire un contributo; le Conferenze dovrebbero continuare a svolgere attività attuativa delle disposizioni legislative attraverso lo strumento delle intese, specie per gli ambiti riguardanti le leggi statali recanti disposizioni Pag. 55 generali e comuni, riservate al procedimento legislativo a prevalenza Camera.
Il professor Bassanini ha rilevato a sua volta che, tenendo presente la grande distinzione tra la formazione delle scelte di politiche pubbliche, la loro definizione normalmente attraverso norme primarie, il controllo e la valutazione da una parte, e l'esecuzione e gestione dall'altra, che richiede anche una funzione di definizione di scelte tecnico-amministrative secondarie, si hanno le guideline per una ridefinizione del ruolo delle Conferenze. Fino ad ora infatti il «sistema delle conferenze» ha avuto una forte connotazione sul versante dell'esecuzione, gestione e attuazione delle politiche pubbliche. Molti compiti affidati in concreto alle Conferenze non potrebbero, a suo avviso, essere trasferiti ad un'Assemblea parlamentare, perché riguardano essenzialmente il raccordo tra Esecutivi. Ne consegue che la funzione di raccordo, di concertazione e di coordinamento, in alcuni casi paritario, non può essere assorbita nel ruolo di raccordo del Senato. In primo luogo si finirebbe con l'aggravare ma anche con il degradare il ruolo proprio del Senato a una funzione di negoziazione, contrattazione e coordinamento a livello amministrativo. In secondo luogo, ciò sarebbe contrario alla «summa divisio», intendendosi per tale la distinzione fondamentale tra ruolo proprio del Parlamento e ruolo proprio degli Esecutivi, ossia del governo nazionale e dei governi regionali e locali, in quanto vertici delle amministrazioni chiamate ad attuare le decisioni e le scelte di politiche pubbliche tradotte negli atti legislativi e anche in atti di indirizzo politico delle assemblee legislative.
Resta dunque al di fuori dall'area del raccordo esercitato dal Senato la sfera relativa all’«amministrazione», intendendosi per tale «l'esecuzione, la gestione e l'attuazione delle politiche pubbliche [...] che sono pur sempre affidate allo Stato, ma in particolare all'area delle attività di governo», comprendendo in tale area la normazione secondaria, i piani e i programmi, la ripartizione delle risorse. Ciò anche al fine di evitare di «confondere indebitamente controllore e controllato», in quanto al Senato è attribuita dalla Costituzione la funzione di valutazione delle politiche pubbliche (Cecchetti).
Il «sistema delle conferenze», del resto, per quanto presenti disfunzioni e difetti che meriterebbero correzioni anche sul piano della disciplina regolatrice della materia, costituisce ad oggi il principale strumento effettivamente operativo di svolgimento, sul piano politico-istituzionale, del principio di leale collaborazione e la molteplicità di funzioni svolte dalle Conferenze, la quantità e il livello delle questioni in esse affrontate, nonché la frequenza delle riunioni delle stesse testimoniano l'importanza di tale sistema nella dinamica inter-istituzionale (Morelli).
Secondo il professor Bassanini, il ruolo delle Conferenze dovrebbe restare fondamentale, per ciò che attiene alla funzione di raccordo tra gli Esecutivi, che non sarebbe utile porre in capo al Senato, se non al costo di snaturarne il ruolo e di soffocarlo in funzioni che non è in grado di svolgere. Il Senato dovrebbe essere invece chiamato a valutare e a controllare se gli Esecutivi, anche nel raccordo tra loro, riescano ad attuare e ad implementare le scelte politiche che il Parlamento, nello schema del nuovo bicameralismo differenziato, ha effettuato. Spostando invece funzioni esecutive-gestionali dal lato degli Esecutivi al Pag. 56 lato del Parlamento, si verificherebbe una coincidenza tra chi deve controllare e valutare e chi è controllato e valutato, con una soluzione non accettabile dal punto di vista di un'efficiente architettura istituzionale.
Benché, inoltre, la formula «funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica», utilizzata dal nuovo art. 55, quinto comma, sia tanto ampia da poter assorbire, almeno in teoria, tutte le funzioni di coordinamento e di raccordo di tipo verticale, essa non include necessariamente quelle di tipo orizzontale, che anzi dovrebbero rimanere di competenza della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative, sedi certamente più idonee a tali compiti (Rivosecchi, Morelli). Peraltro, anche in riferimento al coordinamento verticale, il nuovo Senato non sembra essere la sede adatta per l'adozione delle intese e degli accordi previsti dalla legislazione vigente, perché non è certa la presenza dei vertici degli Esecutivi regionali e l'adozione dell'intesa presuppone la partecipazione dell'organo in grado d'impegnare l'ente territoriale di appartenenza (Morelli).
Del resto la maggior parte del lavoro del «sistema delle conferenze» si incentra sulla risoluzione di questioni amministrative e tecniche. Se le Conferenze affrontano anche questioni di grande respiro per le autonomie e per la legislazione statale, ciò deve essere ricollegato, per usare la stessa espressione della Corte costituzionale, alla «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari» (Vandelli, Lupo). Le Conferenze hanno infatti assunto in questa fase una funzione supplente impropria rispetto al disegno complessivo degli equilibri tra i vari soggetti (Vandelli); ma trattandosi appunto di una supplenza e, quindi, di un'opera che non è stata svolta nel modo in cui avrebbe dovuto se il sistema avesse funzionato nella sua fisiologia, si è rivelata inevitabilmente parziale e insufficiente (Lupo).
Quanto alla funzione di raccordo che il «sistema delle conferenze» potrebbe svolgere nell'ambito delle funzioni amministrative, ne è stata sottolineata la centralità, tenuto conto che il nuovo modello di regionalismo delineato dalla riforma costituzionale appare orientato prevalentemente sul versante amministrativo e che la riallocazione delle funzioni amministrative secondo i principi dell'articolo 118 della Costituzione diventa un elemento decisivo (Caretti).
In tale direzione, è stato rilevato che l'articolo 118 della Costituzione resta immutato a seguito della riforma costituzionale e che, pertanto, il trasferimento di funzioni legislative dalle Regioni allo Stato non dovrebbe necessariamente significare anche un ulteriore trasferimento di funzioni amministrative dalle Regioni e dal sistema degli enti locali verso lo Stato (Olivetti). In tale contesto, benché non si possa immaginare una sostanziale «pietrificazione» dell'attuale riparto delle funzioni amministrative, si potrebbe presumere che vi sia un onere di motivazione molto forte per giustificare lo spostamento verso l'alto delle funzioni amministrative, ai fini del controllo di ragionevolezza delle eventuali leggi che dovessero disporre in tal senso (Olivetti).
Un punto di vista diverso è stato espresso fra gli altri dal professor Luciani, che ha criticato l'ipotesi che la linea di demarcazione fra le competenze del nuovo Senato e quelle del «sistema delle conferenze» passi lungo il crinale che divide la legislazione dall'amministrazione, in Pag. 57 quanto si tratta di un criterio eccessivamente meccanico. Anzitutto il crinale ha un carattere problematico da definire, perché all'amministrazione sono affidati sovente compiti regolatori che sono stati abbandonati dalla legge; specularmente, la legge invade il campo dell'amministrazione sempre più di frequente con le cosiddette «leggine».
Se in alcuni campi, quali la questione dell'impatto delle politiche europee, la distinzione tra legislazione e amministrazione può essere utilizzata, attribuendo al Senato il campo della legislazione ed al «sistema delle conferenze» quello dell'amministrazione, il quadro è più complesso. Poiché il «sistema delle conferenze» resterà pur sempre protagonista delle procedure negoziali fra lo Stato e le autonomie, è bene prendere atto che in quelle procedure la distinzione fra legislazione e amministrazione non risulta affatto chiara. Quando Stato e autonomie si confrontano sulla definizione in concreto delle loro competenze – che sono stabilite dalle norme costituzionali solo a grandi linee, mentre ci sono margini di apprezzamento lasciati alle parti – oppure sull'assegnazione di certi beni della vita, quali in particolare le risorse finanziarie, essi non possono certo distinguere fra il dominio della legge, quello dell'atto normativo dell'amministrazione e quello dello stesso provvedimento amministrativo. Anche se generalmente l'intesa si muove sul terreno dell'amministrazione, la sua formalizzazione richiede sovente e prioritariamente un passaggio legislativo.
Nonostante l'assenza di alcuni elementi essenziali del disegno di riforma, quali il contenuto della legge elettorale del Senato e la composizione dello stesso, alcune prime considerazioni, ad avviso del professor Luciani, possono essere sviluppate. Innanzitutto, la ridefinizione della composizione e delle attribuzioni del Senato non toglie ragion d'essere al «sistema delle conferenze».
Il principio di leale collaborazione, imposto dalla costante giurisprudenza costituzionale e che diviene ancora più centrale nel modello cooperativo delineato dalla riforma costituzionale, opera, ad avviso del professor Luciani, su quattro distinti piani: il primo è la partecipazione ai processi decisionali; il secondo è quello delle intese e degli accordi generali; il terzo è quello delle intese e degli accordi individuali; il quarto è quello della definizione di determinazioni centrali che siano ispirate a ragionevolezza, proporzionalità e sussidiarietà. Quest'ultimo piano attiene al contenuto delle singole decisioni e, quindi, non ha rilevanza in questa sede.
Per quanto attiene agli altri tre, innanzitutto l'avvento del nuovo Senato comporterebbe un diverso coinvolgimento delle autonomie sul primo terreno, quello della partecipazione al procedimento legislativo, che sarebbe già garantita per molti profili in Senato.
Il secondo terreno, le intese e gli accordi di carattere generale, è il terreno tipico di intervento del «sistema delle conferenze», che non può venir meno con la nuova struttura costituzionale. Il nuovo Senato non può infatti essere la sede di accordi intersoggettivi, ma solo di accordi intrasoggettivi. È vero che il Senato rappresenta le istituzioni territoriali, ma queste non sono direttamente presenti nella forma di distinte delegazioni, sicché non è possibile che esse vi stipulino pattuizioni giuridicamente qualificate. Le intese, che per consolidata giurisprudenza costituzionale sono strumento essenziale del regionalismo Pag. 58 cooperativo, avendo carattere intersoggettivo, non possono concludersi in Senato. È dunque necessario individuare un'altra sede, che talora sarà quella dei rapporti bilaterali fra lo Stato e la Regione o la Provincia autonoma interessata, talaltra e più frequentemente sarà una sede collegiale, quale la Conferenza Stato-Regioni, o, in caso di coinvolgimento degli enti locali, la Conferenza Stato-Città e la Conferenza unificata.
Cionondimeno, è ragionevole immaginare che l'avvento di una nuova sede partecipativa quale quella del Senato determini l'opportunità di un alleggerimento di alcuni compiti attualmente assegnati alle Conferenze. Tra questi assume particolare rilievo, la sfera dei pareri. Del resto, una delle principali criticità che sembrano caratterizzare oggi il «sistema delle conferenze» è proprio il sovraccarico di attività consultiva; se le Conferenze si concentrassero dunque sul terreno dell'interlocuzione diretta con lo Stato per il profilo della stipulazione di intese e di accordi, questo sarebbe opportuno.
Anche per il professor Lupo non è pienamente corretto ragionare operando una distinzione rigida tra funzioni legislative e funzioni amministrative. Da un lato, infatti, nelle forme di governo parlamentari il Governo è il principale promotore dell'iniziativa legislativa e dei processi di attuazione delle leggi e, dall'altro, il Parlamento è chiamato a indirizzare e a controllare l'attività del Governo, anche con riferimento alle opzioni in concreto, che vanno definite congiuntamente alle autonomie territoriali.
Secondo il professor Lupo, la soluzione del nodo sul ruolo delle Conferenze è strettamente legata a un altro nodo, che è quello dei rapporti tra i governi e il nuovo Senato.
L'articolo 64, quarto comma, ai sensi del quale «i membri del Governo hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute delle Camere», si riferisce ad entrambe le Camere; il Governo è pertanto presente in Parlamento non solo presso la Camera dei deputati, ma anche presso il Senato. In qualche misura è inoltre previsto che anche i governi regionali e locali abbiano un'interazione con il Senato, come desumibile dall'articolo 63, secondo comma, ai sensi del quale il regolamento del Senato «stabilisce in quali casi l'elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate in ragione dell'esercizio di funzioni di governo regionali o locali». I governi regionali dunque hanno fisiologicamente, ai sensi del testo costituzionale, una loro proiezione nel Senato.
Ne consegue che il «sistema delle conferenze» permarrà, ma non potrà non operare in stretto e costante raccordo con il nuovo Senato. Le Conferenze rappresentano i governi e i governi in Senato ci sono, non sono una realtà diversa rispetto al Senato: in Senato, esse devono portare la risultanza del confronto che c'è stato tra i governi in Conferenza. Resta naturalmente da definire come si debba articolare in concreto questo contatto.
I governi, sia quello statale che quelli regionali e comunali, saranno nel Senato, ed è nel nuovo Senato che nodi quali, ad esempio, quello della dislocazione di un'opera pubblica, del riparto degli oneri del Servizio sanitario nazionale e della distribuzione dei tributi devono trovare una soluzione, o quantomeno devono essere oggetto di una Pag. 59 discussione sulle opzioni compiute e sui risultati fino a quel momento raggiunti.
Il ’sistema delle conferenze’ ha funzionato bene quando le autonomie territoriali sono state chiamate ad assumere una posizione comune. Il suo grande pregio è proprio quello di spingere il livello regionale e quello autonomistico a trovare una posizione comune. A volte questa posizione comune non si riesce a raggiungere e ciò ha portato al rinvio e, in qualche caso, alla paralisi. Questo è il momento in cui devono emergere le potenzialità del nuovo Senato. Non è detto che ogni decisione debba essere presa necessariamente in Senato, ma deve almeno emergere una chiara assunzione di responsabilità politiche ed amministrative. Non a caso, quelle che saranno le procedure di voto del nuovo Senato dovrebbero servire a questo fine.
La soluzione migliore, in sintesi, secondo il professor Lupo, è quella di appoggiare le Conferenze e le loro strutture presso il Senato. Volendo, potrebbe invertirsi il meccanismo previsto dalla legge n. 42 del 2009, la quale, all'articolo 3, comma 4, in mancanza di un Senato delle autonomie e di una Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata, ha stabilito, con una norma che poi è rimasta sostanzialmente inattuata, di affiancare alla Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale un comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali, «al fine di assicurare il raccordo della Commissione con le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni». Questi ultimi avrebbero dovuto essere designati dalla componente rappresentativa di Regioni ed enti locali nell'ambito della Conferenza unificata.
A seguito delle domande poste, il professor Lupo ha precisato ulteriormente la sua posizione, rilevando che il Governo in Senato non deve essere necessariamente solo il Governo dello Stato centrale, ma è il Governo dello Stato centrale che matura la sua posizione nelle Conferenze. Non vi è pertanto alcun problema a che questo Governo sia rappresentato in Senato, in Commissione e forse anche in Assemblea, sia dal Governo centrale sia dal rappresentante delle Regioni. In Senato potrà intervenire oltre al Governo centrale, che avrà avuto voce in capitolo alla Camera nell'approvazione in prima lettura della legge a prevalenza della Camera dei deputati, se il regolamento del Senato così disponesse, anche un Presidente di Regione o un assessore che rappresenti, insieme al Governo centrale, la sintesi delle posizioni emerse a monte in sede di Conferenza. Ciò tanto più se le posizioni degli enti territoriali non possano essere già assicurate dalla presenza generalizzata, fra i senatori, di Presidenti o consiglieri a essi molto vicini.
Dal punto di vista delle fonti del diritto, un ruolo potrà essere giocato dal nuovo Regolamento del Senato, che peraltro potrebbe fare fatica a regolamentare soggetti che non sono parlamentari. Non dovrebbe essere scartato a priori il meccanismo degli accordi interistituzionali, che, per esempio, in sede europea hanno un ruolo rilevante. Un ipotetico accordo interistituzionale, che coinvolga tutte le Regioni, il nuovo Senato e in ipotesi anche la nuova Camera e il Governo sulle procedure, potrebbe probabilmente essere uno strumento che integra, dettaglia e arricchisce i contenuti del nuovo Regolamento del Senato. Pag. 60
Con riferimento alla difficoltà di circoscrivere l'attività di raccordo del Senato e della Conferenza sulla base della dicotomia fra funzioni legislative e funzioni amministrative, si segnala, altresì, quanto affermato dal professor Luther, ad avviso del quale secondo la riforma in itinere, le funzioni di raccordo del Senato non possono che abbracciare tutte le funzioni legislative ed esecutive dello Stato e degli enti costitutivi della Repubblica nonché dell'UE. Sono funzioni trasversali riferibili a tutte le funzioni nelle quali si realizza una cooperazione tra lo Stato e le autonomie territoriali da un lato e tra queste ultime e l'Unione europea dall'altro. (...) Le funzioni di raccordo possono, ma non devono, includere la stipulazione di intese ed accordi, escluse quelle interregionali. Possono includere anche il coordinamento della programmazione statale e regionale finora svolta in Conferenza, perfino i criteri di ripartizione territoriale di risorse finanziarie, l'attuazione di direttive UE ecc. (...) In ultima analisi, il Senato potrà rivendicare ed esercitare anche funzioni di raccordo amministrativo ed intergovernativo nella multilevel governance. Più forte sarà la rappresentanza degli Esecutivi regionali, più idoneo sarà il Senato a svolgere funzioni di partecipazione alla governance.
Ciò premesso, osserva che la «riforma costituzionale pone tuttavia anche dei limiti alle funzioni di raccordo del Senato» che «non potrà assorbire oltre alle funzioni di raccordo legislativo anche tutte quelle di raccordo amministrativo, sacrificando del tutto la separazione tra primo e secondo potere. Spetterà alla legge “organica” – peraltro monocamerale – individuare funzioni di raccordo amministrativo adeguate, cioè solo laddove esista effettivamente un bisogno di raccordo non realizzabile senza accorgimenti organizzativi o procedimentali. Inoltre non può assorbire le funzioni di raccordo amministrativo endoregionali, né quelle di cooperazione interregionale e intercomunale spontanea, né le funzioni delle commissioni paritetiche».
Secondo il professor Luther, la funzione di raccordo del Senato inoltre «non potrà diventare luogo di esercizio unitario di funzioni di amministrazione attiva», deve essere rispettosa dei principi di semplificazione e trasparenza dell'azione amministrativa e di buon andamento delle amministrazioni, non può incidere sull'attivazione di conflitti di attribuzione inter-istituzionali e, più in generale, non può presumersi, ope constitutionis, conforme ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
4.2.1 Proposte di riordino nell'ambito della funzione legislativa
Dall'indagine conoscitiva è emersa una sostanziale condivisione sull'idea che tutta la fase di concertazione e interlocuzione tra Governo e istituzioni territoriali ai fini della presentazione dei disegni di legge governativi trasmigri necessariamente dal ’sistema delle conferenze’ al nuovo Senato. L'attività attualmente svolta dalle Conferenze nell'ambito del procedimento legislativo sarà dunque assorbita nelle funzioni del nuovo Senato (Bassanini, Cecchetti, Carli, Carpani, Castelli, Rivosecchi).
Anche con riferimento alla legislazione delegata, è apparsa prevalente l'esigenza di riservare l'espressione dei relativi pareri al Senato, facendo venir meno la relativa funzione delle Conferenze, anche al fine di evitare orientamenti contrastanti dei diversi organi. Le Commissioni Pag. 61 del Senato potrebbero comunque avvalersi del contributo della Conferenza delle Regioni, in caso affiancata dagli apporti delle autonomie locali (Carli, Carpani, Vandelli).
Al riguardo, il professor Pajno ha sottolineato l'importanza dell'istituzionalizzazione di un legame tra Senato e Conferenze, al fine di evitare il rischio che il Senato non disponga neanche del know how sufficiente per individuare le esigenze del sistema regionale da rappresentare nell'ambito del procedimento legislativo e per interloquire efficacemente sulle singole questioni. Occorre dunque «far sì che la conferenza orizzontale possa esprimere posizioni politiche, possa richiedere di richiamare leggi della Camera affinché possa essere espresso un voto sulle medesime, possa in qualche modo orientare politicamente i lavori della futura assemblea senatoriale».
In proposito, anche il professor Rivosecchi ha sottolineato l'opportunità di favorire forme di sinergia fra il Senato, da un lato, e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative e la Conferenza delle Regioni, dall'altro. In particolare, ha sostenuto che le funzioni di impulso, che (...) [quest'ultima] «oggi di fatto svolge nei confronti delle Conferenze intergovernative, nel rinnovato assetto istituzionale potrebbero essere prevalentemente indirizzate nei confronti del Senato». Una sinergia, finalizzata a favorire il tempestivo scambio di dati informativi e statistici, che potrebbe a suo avviso spingersi sino a forme di integrazione funzionale e strutturale fra le amministrazioni coinvolte.
4.2.2 Proposte di riordino nell'ambito della funzione regolamentare e della funzione amministrativa
Nell'ambito dell'indagine conoscitiva si è registrata un'ampia convergenza in ordine all'esigenza che le questioni riguardanti l'attuazione delle disposizioni legislative e, più in generale, le questioni di carattere tecnico-amministrativo non possano prescindere da un'interlocuzione fra gli Esecutivi statale e regionali.
Salvo quanto riguarda la partecipazione al procedimento di formazione dei regolamenti di esclusiva spettanza dello Stato, è stato auspicato che tale competenza permanga in capo al «sistema delle conferenze» (Vandelli, Caretti, Carli, Rivosecchi), in particolare per ciò che attiene alla regolamentazione attuativa e alla regolamentazione tecnica (Bassanini).
Ad avviso della Conferenza delle Regioni, il raccordo sul versante dei provvedimenti di normazione secondaria rappresenta un'attività propria del «sistema delle conferenze».
Al riguardo, è stato ricordato che la Corte costituzionale ha costantemente valorizzato gli atti delle Conferenze affermando l'efficacia non solo politica ma anche giuridica delle intese o degli accordi, come istituti privilegiati di integrazione del parametro sulla leale collaborazione. «Questo valore delle intese e dei pareri in Conferenza (...) dovrebbe essere perpetuato anche nel nuovo quadro costituzionale perché non cambiano le norme costituzionali sulla leale collaborazione e sui criteri di riparto della potestà regolamentare» (Rivosecchi).
Analoga sorte potrebbe essere riservata agli atti delle Conferenze in relazione alle materie che transitano dalla competenza concorrente a quella esclusiva dello Stato, ma limitatamente alle «disposizioni generali e comuni». In questi casi è ragionevole ritenere che possa essere Pag. 62 chiesta l'intesa «a valle» in Conferenza per l'attuazione delle leggi statali che incidono comunque sulle materie regionali o su significative funzioni amministrative regionali (Rivosecchi).
Come segnalato dal professor Vandelli, nella «grandissima parte del loro lavoro, le Conferenze funzionano come motore della connessione tecnica e amministrativa puntuale del sistema amministrativo statale con il sistema amministrativo regionale e locale», come del resto confermano i dati a disposizione, secondo cui nel 2015 la Conferenza si è riunita 28 volte, mentre le commissioni si sono riunite 175 volte e ci sono state 183 riunioni dei coordinamenti tecnici interregionali e 129 riunioni di confronto tecnico con le amministrazioni.
Nell'ambito della riforma, ad avviso del sottosegretario Bressa, il «sistema delle conferenze» deve essere concentrato sull'attuazione amministrativa di tutti i provvedimenti, che coinvolge competenze tecniche e richiede la presenza di addetti ai lavori. A suo giudizio, «al di là di una dimensione amministrativa, che deve essere perfezionata e razionalizzata, il senso del permanere delle Conferenze (...) sta nell'istituto dell'intesa, che rappresenta lo strumento attraverso il quale si raggiunge un accordo su politiche fondamentali tra il Governo e le Regioni».
A tal riguardo, è stato tuttavia osservato (Luther) che «nella misura in cui il Senato svolgerà effettivamente funzioni di raccordo, dovrebbe avere non solo conoscenza, ma potrebbe anche acquisire un potere di approvazione e veto, sospensivo o definitivo, rispetto alle intese» stipulate in Conferenza. In questo modo spetterebbe al Senato, rappresentante delle autonomie territoriali, (e non alla Corte costituzionale) garantire la lealtà della ricerca di intesa e rivedere scelte eventualmente affrettate della Conferenza.
Tenuto conto del nuovo modello di regionalismo delineato dalla riforma costituzionale, orientato prevalentemente sul versante amministrativo, è stata in particolare sottolineata la centralità del contributo all'attuazione dell'articolo 118 della Costituzione da parte del «sistema delle conferenze», ovvero della Conferenza unica che potrebbe sostituire l'attuale «sistema delle conferenze» (Caretti).
Pur nell'ambito di una generale condivisione in ordine al mantenimento di funzioni amministrative alle Conferenze intergovernative, è stato osservato tuttavia che allorché si intreccino «scelte ad alto tasso di politicità (programmazione economico-finanziaria, delle opere pubbliche, delle politiche ambientali e di governo) e scelte relative all'attuazione concreta delle politiche (intese e pareri delle Conferenze sulle modalità di attuazione delle leggi, sui criteri di realizzazione delle opere fissati dal CIPE...) non dovrebbe essere comunque precluso al Senato di intervenire anche nelle procedure di raccordo che, pur non formalmente riferite all'esercizio di funzioni legislative, investono scelte politiche di primario rilievo, destinate a condizionare l'esercizio della legislazione e le scelte di programmazione» (Rivosecchi). Il riferimento è anche «agli accordi sui criteri di riparto di risorse finanziarie stanziate da leggi, o, più diffusi in tempi recenti, a quelli sui criteri di riparto degli oneri finanziari degli enti territoriali per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica» (Rivosecchi). In questo modo il Senato potrebbe recuperare scelte riguardanti ambiti fondamentali di interesse regionale, come nel caso della finanza locale, della cooperazione tra Pag. 63 Stato e Regioni, in riferimento ai quali rischierebbe di svolgere un ruolo marginale anche perché l'esercizio della funzione legislativa prevede un iter di approvazione «monocamerale».
Il principio secondo cui le decisioni di carattere amministrativo di maggiore interesse debbano transitare dalla Conferenza al Senato è stato riconosciuto anche da esponenti del Governo. Con specifico riferimento al proprio settore di competenza, la ministra Lorenzin, nel sottolineare il ruolo svolto sino ad oggi dal «sistema delle conferenze» in ordine alla definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), alla determinazione del fabbisogno sanitario nazionale, al relativo riparto tra le Regioni, alla definizione del ripiano dei disavanzi sanitari, e alla stipulazione dei cosiddetti Patti per la salute, ha affermato che in tali settori («in tutti settori che ho sinteticamente illustrato») «la riforma costituzionale (...) potrà determinare un superamento delle funzioni oggi esercitate dalla Conferenza».
Il coinvolgimento delle Conferenze è meno ipotizzabile – anche nella fase dell'attuazione amministrativa – nelle materie di competenza esclusiva statale piena per quelle materie qualificate in ragione dell'interesse nazionale, in quanto espressione della preminenza dell'indirizzo politico statale (Rivosecchi).
4.2.3 Ulteriori proposte di riordino:
a) nell'ambito della funzione di valutazione
Quanto alle funzioni di monitoraggio e verifica, è stato rilevato il rischio di una possibile duplicazione con la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni, che l'art. 55, quinto comma, Cost., affida al nuovo Senato. In presenza di simili sovrapposizioni, il «sistema delle Conferenze» dovrebbe retrocedere al cospetto delle attribuzioni del nuovo Senato, che sono attribuzioni costituzionalmente garantite (Castelli).
Appare pertanto auspicabile che nell'ambito di un processo di riordino tutte le funzioni attualmente svolte dalle Conferenze intergovernative in tale ambito siano dismesse, affinché esse siano affidate al Senato, in ossequio a quanto previsto del novellato articolo 55 della Costituzione.
b) nell'ambito della partecipazione ai processi decisionali dell'Unione europea
Con riguardo alla partecipazione ai processi decisionali dell'Unione europea, è stata segnalata l'esigenza di individuare soluzioni affinché sia assicurato un attento coordinamento dell'attività delle autonomie territoriali in funzione di contrasto all'elevato numero di procedure di violazione del diritto UE, e alle conseguenti condanne della Corte di giustizia dell'Unione, nonché il migliore utilizzo dei finanziamenti stanziati dal bilancio dell'UE, ed in primis dei fondi strutturali europei. A tal fine, nel quadro della riforma costituzionale, il professor Moavero Milanesi ha proposto che le «funzioni che, attualmente, dovrebbero essere esercitate – e non sempre lo sono, accuratamente – esercitate dal “sistema delle conferenze” nell'ambito della stessa “sessione europea” (...) possano essere svolte dal nuovo Senato». Pag. 64
In quest'ottica il Senato assumerebbe il ruolo di sede privilegiata delle principali questioni europee, sarebbe chiamato a svolgere funzioni rafforzate rispetto a quelle già svolte nell'ambito della cosiddetta «fase ascendente», di coordinamento ed impulso rispetto all'attuazione da parte delle regioni della normativa dell'UE, e potrebbe procedere all'individuazione dei componenti del Comitato delle Regioni dell'UE (Moavero Milanesi).
4.2.4 Proposte di coordinamento fra il Senato e il ’sistema delle conferenze’
Da quanto precede emergono due aspetti centrali, fra loro solo apparentemente inconciliabili. Da un lato, l'esigenza di definire con precisione le competenze attribuite al Senato e quelle spettanti al sistema delle Conferenze. Esigenza che parte dalla considerazione che il Senato potrebbe non essere in grado di svolgere, senza il supporto del «sistema delle conferenze», talune funzioni di raccordo nell'ambito dell'attuazione delle disposizioni legislative e amministrative in considerazione della composizione prefigurata in Costituzione (che non garantisce la presenza dei Presidenti di Regione), della possibilità che al suo interno possano prevalere logiche di appartenenza politica (e non territoriale), nonché dell'assenza di un patrimonio di conoscenze ed esperienze nell'ambito delle funzioni di raccordo, invece posseduto dalle Conferenze. Per tali attività, che includono profili più squisitamente regolamentari e tecnico-amministrativi, e richiedono di poter contare sulla presenza di esperti ed «addetti ai lavori», è emersa nelle audizioni l'opportunità di non rinunciare al contributo delle Conferenze in cui è stato possibile, sino ad oggi, realizzare un efficace confronto fra gli Esecutivi statale e territoriali.
Dall'altro, nell'ambito dell'indagine, come ricordato, si sono registrate sollecitazioni ad evitare rigide delimitazioni di competenza fra i compiti del Senato (funzioni legislative) e quelli delle Conferenze (funzioni amministrative), definibili più sul piano teorico che su quello pratico. Occorre infatti considerare che «nelle forme di governo parlamentari il Governo è il principale promotore dell'iniziativa legislativa e dei processi di attuazione delle leggi» e che «il Parlamento è chiamato ad indirizzare e a controllare l'attività del Governo, anche con riferimento alle opzioni in concreto, che vanno definite assieme alle autonomie territoriali» (Lupo).
In merito a possibili sinergie fra l'attività del Senato e quella delle Conferenze, il professor Cecchetti ha rilevato la necessità per un efficace esercizio delle funzioni di raccordo tra Stato ed enti territoriali dell’«istituzionalizzazione nell'ambito dell'attività del Senato del ruolo delle Conferenze orizzontali e delle associazioni degli enti locali», richiamando anche il ruolo della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali nelle procedure di formazione e attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea.
Circa le modalità per strutturare questo legame, sono state prospettate diverse soluzioni.
Al riguardo, è stato asserito che le funzioni di impulso, che la Conferenza delle Regioni oggi svolge nei confronti delle Conferenze intergovernative, «nel rinnovato assetto istituzionale potrebbero essere prevalentemente indirizzate nei confronti del Senato, soprattutto svolgendo Pag. 65 compiti di ausilio nella predisposizione del materiale documentale e di ricerca, sul modello dei comitati previsti, a vario titolo, dal diritto dell'Unione europea, i quali svolgono funzioni “spurie” tra tecnica e politica, essenziali nei procedimenti decisionali» (Rivosecchi). I senatori potrebbero in tal modo disporre in tempo quasi reale del punto di vista proveniente dagli enti territoriali e di istruttorie già mature e al tempo stesso effettuare un monitoraggio continuo sull'applicazione della legislazione primaria (Cecchetti). Ciò può essere perseguito attraverso un «riordino delle burocrazie e degli uffici degli organi coinvolti, a partire dal Senato, anche in relazione alle “nuove” funzioni di valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni» (Rivosecchi).
Al riguardo le richiamate riflessioni si inquadrano in un processo avviato negli ultimi anni, quindi ben prima dell'approvazione della legge costituzionale, di potenziamento e valorizzazione delle competenze dell'amministrazione parlamentare nel settore della valutazione delle politiche pubbliche, dei processi decisionali dell'Unione europea, nonché di rafforzamento delle esistenti sinergie con le Conferenze, in particolare la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali.
Come è stato argomentato, lo strumento regolamentare, alla medesima stregua con cui oggi disciplina il ruolo del Governo all'interno del Senato, potrebbe disciplinare la modalità per assicurare la partecipazione o addirittura la presenza stabile e organizzata all'interno del Senato delle Conferenze orizzontali (Mangiameli, Pajno). Per quanto riguarda nello specifico il ruolo dei Presidenti di Regione, taluni hanno sostenuto che il regolamento del Senato potrebbe intervenire anche su questo aspetto (Pajno). È stato peraltro segnalato che se la richiamata sinergia dovesse giungere sino ad un formale incardinamento della Conferenza delle Regioni all'interno del Senato, potrebbe non essere sufficiente la fonte regolamentare e occorrerebbe prefigurare l'approvazione di una legge costituzionale (Pajno).
Nell'interesse della funzionalità e della coerenza complessiva del sistema di raccordo, appare di particolare interesse la proposta, emersa nel corso delle audizioni, di far sì che il confronto fra gli Esecutivi possa avvenire in Senato, nell'ambito del processo di rivisitazione dei regolamenti parlamentari che la riforma costituzionale presuppone.
Ciò può essere assicurato dalla duplice presenza del Governo nazionale e di rappresentanti dei Governi degli enti territoriali. La prima è sancita all'articolo 64, quinto comma, della Costituzione riformata («I membri del Governo hanno diritto, e se richiesti l'obbligo, di assistere alle sedute delle Camere.»), che riproduce sostanzialmente il quarto comma del testo della Costituzione vigente.
Quanto alla presenza dei Governi delle Regioni, essa innanzitutto non è esclusa dalla riforma costituzionale, che anzi la presuppone – come segnalato dal professor Lupo – ai sensi dell'articolo 63 Cost., secondo comma, secondo cui «il Regolamento stabilisce in quali casi l'elezione o la nomina alle cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate in ragione dell'esercizio di funzioni di governo regionali o locali.» Pag. 66
La partecipazione ai lavori del Senato dei rappresentati dei Governi degli enti territoriali può nello specifico essere disciplinata dal regolamento del Senato.
Il regolamento potrebbe contemplare uno strumento per consentire ai rappresentanti dei Governi regionali di poter partecipare nell'ambito di specifiche sessioni di lavoro nelle quali si discutono, alla presenza del Governo, questioni di particolare rilievo o «macrodecisioni», come ad esempio potrebbero essere, nel settore sanitario: la definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA); la determinazione del fabbisogno sanitario nazionale, il relativo riparto tra le Regioni; l'approntamento di strumenti e procedure per il ripiano dei disavanzi sanitari, attraverso i cosiddetti piani di rientro; nonché la stipulazione dei cosiddetti Patti per la salute, ambiti in riferimento ai quali secondo la ministra Lorenzin «la riforma costituzionale (...) potrà determinare un superamento delle funzioni oggi esercitate dalla Conferenza».
Quanto alla rappresentanza in Senato dei governi delle autonomie territoriali, auspicata – come già richiamato – nell'ambito delle audizioni svolte, essa potrebbe essere demandata al portavoce designato dalla Conferenza delle Regioni per la discussione di atti o questioni non esaminati, in precedenza, nell'ambito delle Conferenze intergovernative.
Tale forma di rappresentanza potrebbe essere riconosciuta alle Conferenze intergovernative (ovvero al soggetto o ai soggetti istituzionali che dovessero risultare dal processo di razionalizzazione delle attuali tre secondo quanto auspicato nel corso dell'indagine conoscitiva, si veda il paragrafo 4.1.2) in tutti i casi in cui la questione posta all'attenzione del Senato abbia registrato già un confronto preliminare fra gli Esecutivi in tali sedi.
Nei casi in cui l'interlocuzione diretta fosse con le Conferenze intergovernative, in Senato sarebbe opportuno che, oltre al componente dell'Esecutivo nazionale che presiede la Conferenza (nella persona del Ministro per gli affari regionali nel caso della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza unificata; ovvero del Ministro dell'interno nel caso della Conferenza Stato-città) o suo delegato, possa partecipare almeno un rappresentante degli Esecutivi territoriali (verosimilmente il portavoce della Conferenza delle regioni qualora si verta su questioni di competenza della Conferenza Stato-Regioni) cui si potrebbe aggiungere un portavoce degli enti locali appositamente designato dalla Conferenza unificata o dalla Conferenza Stato-città (qualora si verta su questioni di competenza di questi ultimi organismi).
Inoltre, l'interlocuzione diretta con la Conferenza unificata (ovvero con la Conferenza Stato-città) appare particolarmente appropriata per consentire al Senato di svolgere la funzione di raccordo anche con riferimento a questioni di particolare rilievo per gli enti locali, sempre che il regolamento parlamentare non intenda delineare una procedura in cui si preveda la partecipazione diretta ai lavori del Senato, a seconda delle circostanze, dei rappresentanti di comuni, città metropolitane, enti di area vasta, magari affiancati da rappresentanti delle Regioni.
La forma di raccordo prefigurata appare in linea, fra gli altri, con l'auspicio emerso nel corso delle audizioni in ordine alla idea «di un sistema reticolare, stellare, con al centro il Senato e intorno questo Pag. 67 sistema di tavoli, di Conferenze» (Bifulco); con l'affermazione (Luther) secondo cui la riforma costituzionale consentirebbe «il mantenimento di alcune strutture di raccordo in seno al governo, purché funzionalmente chiaramente subordinate e non competitive rispetto a quelle del nuovo Senato»; nonché con l'affermazione secondo cui in alternativa alla presenza di diritto in Senato dei Presidenti, è ipotizzabile un raccordo tra Senato e Conferenze intergovernative, che favorisca forme di inserimento di queste quantomeno in funzione istruttoria e/o consentendo la rappresentanza di membri degli Esecutivi regionali nel Senato tramite le Conferenze, prevedendo sessioni di lavoro del Senato integrate con i rappresentanti delle Conferenze (Rivosecchi).
Con riferimento a forme di sinergia con le Conferenze orizzontali, è stata posta l'esigenza di un forte raccordo anche tra Senato e Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative.
Secondo il Presidente Iacop, l'idea di fondo dovrebbe essere basata su un'organizzazione interna dello Stato fondata su una rete di raccordo con i territori tra il Parlamento e i Consigli regionali, attraverso il Senato e la Conferenza delle assemblee da una parte e un rivisitato circuito intergovernativo Stato-Regioni-autonomie dall'altra.
A suo avviso, se è vero che i legislatori regionali partecipano dall'interno alle decisioni legislative e di controllo dello Stato, attraverso la presenza in Parlamento dei consiglieri regionali-senatori, ancor più devono essere coinvolti nel nuovo circuito di coordinamento i Consigli regionali, attraverso la Conferenza, in quanto depositari della competenza legislativa insieme al Parlamento e già partecipi in forme crescenti nella dinamica dei processi decisionali europei e nelle attività di valutazione delle politiche pubbliche. La connessione tra le due sedi di cooperazione appare di tutta evidenza, se si considera l'incidenza che il doppio incarico dei consiglieri-senatori avrà sull'organizzazione dei lavori sia del Senato che delle Assemblee regionali.
È dunque possibile ipotizzare che le sedi di raccordo orizzontale interagiscano con il Senato per il miglior funzionamento dell'organo. Si pensi, ad esempio, alla possibilità dell'istruttoria preventiva che già in sede di Conferenza può essere fatta o all'attività di documentazione e ricerca congiunta tra Senato e Conferenza dei Consigli regionali.
In sintesi, si potrebbero individuare soluzioni che pongano un raccordo a rafforzamento del circuito Camera alta-Assemblee regionali per il tramite della loro Conferenza per tutte le funzioni che afferiscono alle prerogative delle Assemblee legislative, e un coinvolgimento degli Esecutivi regionali, per il tramite del «sistema delle conferenze», laddove necessario. Entrambe le forme di raccordo potrebbero essere procedimentalizzate nel regolamento parlamentare del Senato.
Una strutturata interazione del Senato con le sedi di raccordo orizzontale, ad esempio sul piano dell'istruttoria preventiva e dell'attività di documentazione e ricerca, oltre ad essere funzionale al miglior funzionamento dell'organo, può infatti contribuire a compensare l'identità istituzionale e territoriale rispetto alla dimensione partitica, in considerazione della possibile prevalenza della dimensione politica in seno al Senato.
Tale impostazione risulta sostanzialmente condivisa dal ministro Costa, che ha riconosciuto il ruolo ampio e significativo della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali «che si Pag. 68 configura sin da ora come un interlocutore necessario del Parlamento e specificatamente della Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali», specialmente nei casi in cui il legislatore debba affrontare «aspetti che incidono direttamente, sia in modo ampliativo che limitativo, rispetto alla competenza del legislatore regionale».
Nell'ambito delle riflessioni in ordine all'opportunità di sviluppare sinergie fra Senato e «sistema delle conferenze», si è dibattuto nelle audizioni sulla possibilità di individuare nel Senato la sede in cui incardinare le strutture di raccordo attualmente operanti e, contestualmente, di procedere sin da subito ad uno stretto coordinamento fra le strutture amministrative, al fine di assicurare una forma di istruttoria preventiva, completa e condivisa. Detto coordinamento potrebbe spingersi sino alla concentrazione in una struttura amministrativa unica delle complessive funzioni di raccordo.
L'evocata sinergia favorirebbe la maturazione di un orientamento comune su questioni legislative, con ricadute anche sul piano amministrativo, con l'effetto di evitare che Senato e Conferenze possano assumere posizioni contrastanti, a detrimento, in primis, della capacità del sistema di recepire, rappresentare e far valere le esigenze dei territori, nell'ambito di un bilanciamento complessivo con le esigenze statali.
Inoltre, tale sinergia potrebbe favorire il superamento di una delle criticità evidenziate circa l'attuale «sistema delle conferenze», e di cui si è già dato conto, riguardante il loro incardinamento presso la Presidenza del Consiglio, che, secondo parte della dottrina, incide sulla loro effettiva autonomia organizzativa e di programmazione delle attività.
4.2.5 La Commissione bicamerale per le questioni regionali nell'ambito della riforma
L'articolo 36 del testo di legge di riforma costituzionale, modificando l'articolo 126 della Costituzione, trasferisce al Senato la competenza ad esprimere il parere sul decreto motivato del Presidente della Repubblica con il quale sono disposti lo scioglimento anticipato del Consiglio e la rimozione del Presidente della Giunta. Nel testo vigente della Costituzione tale funzione consultiva è assegnata alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il trasferimento della funzione consultiva riconosciuta alla Commissione per le questioni regionali risulta riferito esclusivamente alle Regioni a statuto ordinario, mentre la Commissione mantiene tale funzione per le Regioni a statuto speciale. Le modifiche apportate dalla riforma costituzionale all'articolo 126 non si applicano infatti alle Regioni a statuto speciale sino alla revisione dei rispettivi statuti, che contemplano il parere della Commissione nella procedura di scioglimento dei consigli regionali (con l'eccezione dello statuto della Regione siciliana).
La Commissione dunque, nonostante la formulazione della rubrica dell'articolo 36 del testo di legge di riforma costituzionale, non pare poter essere soppressa, almeno fino al compimento del processo di revisione degli statuti speciali.
Attualmente l'attività prevalente della Commissione è costituita dall'attività consultiva nell'ambito del procedimento legislativo, per i Pag. 69 profili inerenti all'attività legislativa e amministrativa delle Regioni. Questa funzione non appare riproponibile nel nuovo sistema in considerazione della nuova configurazione del Senato.
Nel corso dell'indagine conoscitiva, è stato proposto di riconoscere una funzione consultiva alla Commissione nell'ambito della seconda lettura alla Camera delle leggi ad approvazione monocamerale, quando si porrà il problema di valutare l'accoglimento delle proposte di modifica del Senato. In tal modo, deputati, da una parte, e senatori, dall'altra, in rappresentanza, i primi, dell'unità nazionale, e, i secondi, della differenziazione, esaminerebbero le proposte del Senato per poi riferire alle Commissioni di merito che dovranno istruire l'affare (Carli).
Inoltre, la Commissione parlamentare per le questioni regionali, per la sua natura di organo paritetico composto da un uguale numero di deputati e di senatori, potrebbe svolgere un ruolo di mediazione tra le due Camere, sulla falsariga degli organismi di conciliazione operanti in altri ordinamenti, ove in tal senso si orientassero i regolamenti parlamentari (ad esempio, quale organo di consulenza dei Presidenti delle Camere ai fini del raggiungimento dell'intesa sulle questioni di competenza inerenti al procedimento legislativo oppure nell'ambito del procedimento legislativo bicamerale).
5. PROFILI DI DIRITTO COMPARATO
5.1 Premessa
Molti auditi hanno fatto riferimento a quanto è previsto in altri ordinamenti costituzionali, sia con riguardo al nuovo Senato sia in relazione al sistema delle Conferenze. In particolare, sono stati frequenti i richiami al Bundesrat austriaco, che, sebbene sia in fase di superamento nell'ordinamento di quello Stato, risulta essere il modello più vicino all'assetto del futuro Senato, così come si è venuto delineando all'esito del procedimento parlamentare.
Al diritto comparato è stata, poi, dedicata un'apposita sessione di audizioni, al fine di cogliere, dalle esperienze maturate in alcuni Paesi, utili indicazioni per un migliore funzionamento delle sedi di incontro e di rappresentanza delle autonomie territoriali. L'esame di questi profili appare particolarmente utile se si considera che l'eventuale approvazione della riforma costituzionale e la nascita di un Senato rappresentativo delle autonomie territoriali rischiano di delegittimare l'esistenza dell'attuale sistema delle Conferenze. Si tratta, dunque, di indagare sulle forme e sulle modalità di un'eventuale coesistenza tra una Camera delle autonomie e una o più sedi di incontro dello Stato e delle stesse autonomie.
Da questo punto di vista la comparazione offre «un menù di dispositivi normativi e pratici» che possono servire a tali propositi (Luther). Le scelte possono essere fatte nella prassi o attraverso un intervento normativo, che potrebbe riguardare le norme del regolamento del Senato oppure potrebbe consistere nell'approvazione di una legge «organica» (art. 117, co. 2, lett. f e g, Cost.) idonea a coordinare le funzioni del Senato con quelle del sistema delle conferenze.
5.2. Sulla provenienza dei componenti delle Camere territoriali
Pag. 70Con specifico riferimento alla provenienza dei componenti del futuro Senato, il Professor Luther ha compiuto una disamina di alcuni dei più importanti ordinamenti stranieri evidenziando quanto segue:
a) La funzione di rappresentanza territoriale, intesa come rappresentanza di domini feudali o comunità, non era estranea al bicameralismo aristocratico fino alla rivoluzione francese e fu sviluppata successivamente soprattutto nei modelli federali delle seconde camere elettive. Gli studi e le statistiche sulla rappresentatività territoriale della House of Lords, da tempo in attesa di una riforma che la rafforzi, evidenziano che su 601 ben 387 lords hanno un titolo con una denominazione territoriale, 185 Lords sono stati eletti in circoscrizioni regionali e locali, 137 sono o sono stati consiglieri locali, 27 consiglieri regionali. Nel 2015 si registra la presenza di 4 Lords che sono anche consiglieri nelle assemblee regionali e altri 23 Lords già consiglieri, dei quali 3 hanno rivestito anche la carica di «First Minister» regionale.
b) Rispettando il principio di separazione dei poteri orizzontale e verticale nei sistemi federali, il Senato statunitense pare che non abbia mai conosciuto governatori senatori, ma oggi ben 11 senatori sono ex-governatori. Un buon ex-governatore potrebbe anche in Italia avere buone chances di essere eletto a senatore. Una candidatura degli ex-presidenti alle elezioni per il consiglio regionale potrebbe allora diventare una candidatura per il Senato. Ma questa premiazione dell'esperienza non è comune a tutti i sistemi federali.
c) La forma di governo presidenziale non è decisiva per questo modello di premiazione degli elder statesmen. I 46 deputati dello Ständerat svizzero sono eletti direttamente dai corpi elettorali dei cantoni e non sono incompatibili con posizioni del potere esecutivo cantonale (art. 144 Cost., art. 14 legge federale del 13. 12. 2002). Tuttavia, nella prassi sono elette persone che hanno avuto esperienza di governo cantonale.
d) Piuttosto rileva il sistema elettorale, anche perché il premio all'esperienza non viene dato ovunque. Nel Senato australiano, ad es., le elezioni dirette dei senatori con il sistema proporzionale non premia gli ex-governatori o – legislatori.
e) Le candidature ed elezioni possono in effetti essere anche dominate da utilità partitiche. In India è stato conservato il modello statunitense originario delle elezioni indirette della Rajya Sabha, ma con metodo proporzionale da parte dei parlamenti dei vari Stati (art. 80). Il bicameralismo deve essere conservato anche a livello regionale (art. 168 Cost.), con un terzo dei consiglieri regionali eletti dai consigli locali (art. 171 Cost.). Questi eletti possono, ma non devono essere membri dei corpi elettorali che li eleggono. Nella prassi elettorale, la rappresentanza territoriale e l'esperienza di legislatore pertanto non contano affatto.
f) In Sudafrica invece, i membri del National Council of Provinces sono per il 60 per cento eletti da, ma non necessariamente «tra», i consiglieri provinciali, anche perché il consigliere provinciale perde la propria carica non appena viene eletto consigliere nazionale. Nella prassi, spesso vengono eletti consiglieri che hanno perso le elezioni Pag. 71 nazionali o provinciali. Per questi consiglieri eletti indirettamente è ammesso il «recall» da parte dei consigli provinciali se perdono la fiducia del partito che ne ha proposto l'elezione o se cambia la maggioranza in consiglio (art. 62 Cost.). A questi consiglieri eletti indirettamente si aggiungono altri quattro «special delegates»: uno è il premier del governo provinciale e tre sono consiglieri provinciali che restano consiglieri e rappresentano il parlamento provinciale solo temporaneamente nella trattazione di argomenti particolari (art. 61 Cost.).
g) La rappresentanza territoriale non è una funzione esplicitamente attribuita, ma può ritenersi implicita nel mandato imperativo praticato al Bundesrat tedesco quando il Minsterpräsident o il sindaco governatore della città-stato delegano altri ministri o assessori o funzionari accreditati nei loro uffici di rappresentanza presso la Federazione (art. 52 LF), modello originale prodotto dal federalismo monarchico ottocentesco e conservato in una forma depotenziata al fine di rendere possibile un quasi-monocameralismo e di evitare momenti di duplicazione del Governo. Il Bundesrat non si articola formalmente in gruppi politici, ma è composto dai membri dei governi dei Länder, peraltro con presenza dei Ministerpräsidenten e Regierende Bürgermeister anche nelle commissioni dello stesso, ad es. nella Commissione affari europei. Questo non significa escludere la politica dei partiti dal Bundesrat, ma quanto meno alleggerire le pressioni verso l'omologazione delle coalizioni nei vari livelli di governo e favorire ricerche di posizioni bipartisan.
Va inoltre segnalato che nella maggior parte dei Länder sono nominati appositi ministri per gli affari federali ed europei, l'equivalente funzionale di un ministro degli esteri. Una simile soluzione potrebbe essere anche adottata dalle regioni italiane, specialmente ove volessero integrare i consiglieri eletti senatore nella giunta regionale.
h) Il riformato Senato italiano si ispira più al modello del Bundesrat austriaco, eletto dai consigli dei Länder e integrati, con diritto di ascolto e di parola, ma senza diritto di voto o di istruzione, dai presidenti dei Länder (Landeshauptmänner) i quali possono essere membri anche del Landtag e devono avere dei supplenti (art. 101 co. 2 e 3, 105 B-VG), ma – a quanto pare a fortiori – non possono essere anche eletti consiglieri federali (art. 36 co. 4 BV-G). Tale soluzione del solo diritto di parola, in sostanza un diritto di censura nei confronti di senatori che volessero interpretare gli interessi regionali in modo divergente dalla posizione del capo di governo del Land, richiederebbe in Italia almeno una norma del regolamento del Senato.
i) Necessiterebbero indagini empiriche più approfondite alcune altre seconde camere europee elette indirettamente. Il Senato francese «assure la représentation des collectivités territoriales de la République» (art. 24 co. 3), con senatori eletti indirettamente e incompatibili con cariche esecutive locali e regionali, non invece con la carica di consigliere locale o regionale. Dei 348 senatori francesi attuali 266 rivestono altre cariche elettive, di cui due la carica esecutiva di presidenza di un consiglio regionale, 14 quella di presidenza di consiglio dipartimentale. Nel 2017 si applicherà una nuova legge che esclude un cumulo di mandati per le principali cariche esecutive delle istituzioni territoriali.
Pag. 72k) Nel Senato belga, 50 su 60 senatori sono eletti dai parlamenti delle comunità linguistiche tra i propri componenti, gli altri sono cooptati ma incompatibili con la carica di membro del parlamento di una comunità o regione (art. 119), incompatibilità estesa dalla legge sulle elezioni provinciali a tutti i senatori. Non sono previste in Costituzione incompatibilità per i membri dei governi regionali, ma – secondo uno studio del Senato francese – la carica di senatore cessa se egli è eletto nel governo di una comunità linguistica ed è anche incompatibile con una carica nell'esecutivo di comunità e regioni.
l) La Eerste Kammer olandese è stata democratizzata solo nel 1923, in base al sistema elettorale proporzionale costituzionalmente garantito per entrambe le camere (Generalstaaten). Gli stati provinciali, presieduti da un commissario del re, eleggono i «senatori» della prima camera. L'art. 57 co. 2 stabilisce un'incompatibilità per i ministri e segretari di stato, non invece per le cariche di governo delle province. Fino al 1971, il membro della prima camera aveva anche altre cariche, in particolare quella di sindaco o ministro di provincia o anche quella di leader sindacale, successivamente pare essersi stabilizzata una tendenza ad escludere altre cariche politiche o pubbliche.
m) Il modello corporativo dello Seanad Eireann irlandese ha una componente territoriale in quanto 43 su 60 senatori sono eletti dai parlamentari della prima camera e della seconda camera uscente e membri designati dai consigli municipali e di contea, la cui scelta è tuttavia vincolata a cinque cd. Vocational Panels, dei quali solo uno valorizza esperienze amministrative. Per questo panel possono essere fatte proposte anche dalla Association of Irish Local Government. La Costituzione impone ai ministri di essere membri del Parlamento, ma solo due ministri possono essere membri del Senato. La carica di Senatore quindi non è incompatibile con funzioni di governo, ad eccezione con quelle di primo ministro (Taoiseach), del suo vice e del ministro delle finanze (art. 28.7 Cost.) ma di tale norma è stato fatto uso solo due volte (nel 1957 e nel 1981). I senatori eletti nel 2016 non dichiarano appartenenze neanche a consigli locali.
n) Nel Senado spagnolo, sono eletti indirettamente dai parlamenti regionali solo i senatori delle Comunidades autonomas (art. 69 co. 5 Cost. e fonti procedurali autonome), attualmente 58 su 266. È stabilita espressamente l'incompatibilità della carica di deputato e di componente di assemblea della Comunidad (art. 67), mentre gran parte degli statuti delle Comunidades autorizza il cumulo e la sincronizzazione di mandati tra centro e periferia.
o) Anche nel Consiglio Nazionale della Slovenia, 22 su 40 membri sono eletti dagli enti locali, con norme costituzionali di incompatibilità che non includono le cariche locali.
p) Nel Senato della Polonia, l'elezione diretta dei 100 senatori è governata da regole di incompatibilità che ammettono esplicitamente l'assunzione di funzioni governative (art. 103 co. 1 Cost.), anche a livello locale.
q) Analoga è la disciplina del Senato della Repubblica Ceca (art. 22 Cost.), dove i ministri sono tuttavia esclusi dalla presidenza delle commissioni e del plenum (art. 32 Cost.). Pag. 73
In conclusione, secondo il Professor Luther, la presenza dei Presidenti delle Regioni accanto ai senatori consiglieri e sindaci non può essere vietata dal legislatore statale. Potrebbe rafforzare l'autorevolezza e la legittimazione democratica del Senato. Potrebbe rafforzare la rappresentanza territoriale rispetto a quella dei partiti, disincentivando la formazione di gruppi e premiando alleanze e cooperazioni interregionali. Non implicherebbe la fine del sistema delle conferenze, anzi potrebbe garantire una leale collaborazione del sistema delle conferenze anche rispetto al Senato. Per evitare un sovraccarico di lavoro e riunioni, molto dipenderà dalla capacità di auto-organizzazione del Senato e dalla creatività del suo regolamento. Il regolamento potrebbe infatti prevedere sul modello tedesco procedure di approvazione anche senza seduta, cioè in riunione telematica, e consentire una istruttoria in commissioni alle quali partecipino anche esperti e che siano supportate sia dalle strutture parlamentari integrate (art. 40 co. 3) sia da una struttura comune delle giunte e dei consigli regionali e locali.
5.3. Sul sistema delle conferenze
La comparazione dei «sistemi delle conferenze» intergovernative nei Paesi con seconde camere dimostra innanzitutto che la cooperazione degli Esecutivi è per lo più un fenomeno informale e politico, ma che esiste una tendenza crescente a disciplinarlo anche nella Costituzione (ad es. art. 145 Cost. Spagna, art. 35-37, 91a-91e Legge fondamentale Germania, art. 15a, 23d, 59b Cost. Austria; esemplare da ultimo gli art. 44-49 Cost. Svizzera). In secondo luogo, ove le secondo camere sono organi federali, devono partecipare alla supremazia del potere centrale su quello periferico. L'informalità delle conferenze implica una loro strumentalità rispetto ai raccordi organici offerti dalle seconde camere.
a) Storicamente le Länderkonferenzen tedesche sono nate solo dopo il Bundesrat dell'Impero Germanico, con una norma del regolamento interno del governo dell'Impero nel 1924. Per il mezzo del Bundesrat tedesco attuale, i Länder collaborano alla legislazione e all'amministrazione federale (art. 50), mentre per mezzo delle conferenze esercitano autonomamente in forme comuni o concertate o con la collaborazione di organi federali le proprie competenze. Le 16 commissioni del Bundesrat rispecchiano pertanto le competenze dei ministeri federali, inclusi gli affari esteri e difesa, mentre le 18 conferenze ministeriali coincidono solo in parte con le commissioni del Bundesrat (Europa, interni, salute, ambiente, circolazione, economia, finanze) sono più orientate verso i ministeri regionali, ad es. unendo famiglia e anziani, parità e giovani (Bundesrat: gioventù e famiglia) o separando agricoltura da tutela dei consumatori, interni da sport e integrazione da lavoro e affari sociali (uniti nel Bundesrat). Mentre una conferenza si occupa dell'edilizia, ben due commissioni del Bundesrat si occupano rispettivamente di governo del territorio e di edilizia abitativa. Solo in materia di scienza esiste una commissione con un rappresentante del Land. Mentre il Bundesrat ha sede e un apparato proprio a Berlino, le conferenze non sono unificate e hanno sede nei Laender che a turno la presiedono, anche se le strutture amministrative delle 4 principali Pag. 74 (economia, circolazione, interni, finanze) sono domiciliate presso la segreteria del Bundesrat.
In entrambe le istituzioni sono possibili deleghe e sostituzioni, nelle commissioni del Bundesrat per lo più a funzionari degli uffici regionali di rappresentanza a Berlino. La conferenza non è vincolata all'ordine del giorno che comprende di solito tra 10 e 15 affari e tiene sedute non pubbliche, il Bundesrat ha in genere da 60 a 80 affari all'ordine del giorno che sono dibattute in seduta pubblica, ma preparate dalle commissioni in seduta non pubblica.
A differenza del Bundesrat, le conferenze non sono organi costituzionali della Federazione e non si occupano di affari federali, ma soprattutto di affari autonomi e questioni di status comuni. Pertanto le conferenze non devono in alcun modo menomare le competenze del Bundesrat. Nel 1992, la Conferenza dei presidenti, la Ministerpräsidentenkonferenz (MPK) ha deliberato formalmente di non discutere affari pendenti nel Bundesrat.
I regolamenti delle conferenze contemplano norme procedurali analoghe rispetto a quelle del Bundesrat e hanno abbandonato sin dal 2004 la regola dell'unanimità. Quello della conferenza dei ministri della cultura (Kultusministerkonferenz), ad es., stabilisce che le delibere sono prese all'unanimità se «servono a produrre la necessaria unitarietà e mobilità nell'istituzioni della formazione, se producono effetti per i bilanci regionali, se riguardano la stessa conferenza o l'istituzione di istituzioni comuni», altrimenti serve una maggioranza di 13 su 16 Länder, mentre le delibere di procedura sono prese a maggioranza semplice.
La partecipazione del Bundesrat all'amministrazione del Bund consiste essenzialmente in un potere di approvazione di fonti normative secondarie, in particolare di regolamenti (Rechtsverordnungen) e di norme amministrative (Verwaltungsvorschriften). Questo vale per tutte le fonti secondarie che derivano da leggi che richiedono l'approvazione del Bundestag o la cui esecuzione spetta ai Länder come affare autonomo o delegato, ma anche per principi e tariffe per i servizi delle poste e telecomunicazioni e costruzione, gestione e prezzi delle ferrovie (art. 80 co. 2 LF). Per queste materie, il Bundesrat ha anche un diritto di iniziativa nei confronti del governo (art. 80 co. 3 LF). L'approvazione viene deliberata spesso in forma condizionata, costringendo il governo a modificare tali fonti prima che entrino in vigore.
b) Per quanto riguarda i rapporti tra il Bundesrat austriaco e la Landeshauptleutekonferenz dei nove presidenti dei Länder austriaci, la legge costituzionale federale si limita a garantire ai governatori dei Laender diritto di parola nel Bundesrat. L'organo è implicitamente riconosciuto dalla norma che disciplina l'istituzione di una commissione mista per la determinazione delle retribuzioni dei funzionari pubblici eletti in una delle camere, composta da 3 membri nominati dai presidenti della prima camera (art. 59b BV-G), 2 membri nominati dal presidente del Bundesrat, e 5 membri nominati dal presidente federale su proposta dei presidenti dei Laender (2), dell'associazione dei comuni (1) e di quella delle città (1), cui si aggiunge un ex-magistrato.
Come nel Bundesrat tedesco, accanto a quella dei presidenti esistono conferenze dei membri di governo regionali, dei direttori amministrativi che preparano le sedute (Landesamtdirektorenkonferenz),Pag. 75 dei presidenti dei parlamenti regionali e di esperti regionali. Il coordinamento è realizzato dall'Ufficio di coordinamento dei Länder con sede presso il governo del Niederösterreich (Verbindungsstelle der Bundesländer). Alla Conferenza dei presidenti sono invitati anche il Kanzleramtminister e il direttore del servizio costituzionale del Bundeskanzleramt. Il potere politico di questo sistema sembra crescere, mentre quello del Bundesrat sembra diminuire.
Nella prassi, il Bundesrat austriaco si organizza a differenza delle conferenze in gruppi politici. Il Bundesrat austriaco ha competenze non solo legislative. Pur non partecipando al rapporto fiduciario, può esercitare tutti i poteri di controllo ed indirizzo spettanti anche alla prima camera del parlamento: interpellanze, question-time, richiesta di comparizione, accesso ad informazioni, risoluzioni. A questo si aggiunge il diritto a un ricorso in via principale di un terzo dei membri del Bundesrat e il diritto alla censura di sussidiarietà e altre prerogative negli affari europei (infra sub 6), peraltro sin dal 2015 con un diritto di parola degli europarlamentari. Durante l'inchiesta del 2014 sulla riforma del Bundesrat è stato chiesto anche un diritto di veto in materia di finanze.
Una totale parificazione dei poteri di controllo tra le due camere sarebbe in Italia incompatibile con il nuovo art. 55, comma quarto, Cost., una totale esclusione di qualsiasi strumento di indirizzo e controllo sulle funzioni di raccordo sarebbe invece incompatibile con il nuovo art. 55, comma quinto, Cost.
c) Lo Ständerat svizzero è stato affiancato solo nel 1993 dalla conferenza dei governi dei cantoni (Konferenz der Kantonsregierungen (KdK), inizialmente coinvolta soprattutto nei lavori per la riforma costituzionale. La convenzione che la istituisce definisce come scopo il rinnovamento e lo sviluppo del federalismo, la divisione dei compiti tra federazione e cantoni, la formazione della volontà e delle decisioni all'interno della Federazione, l'esecuzione di compiti della Federazione da parte dei cantoni nonché la politica estera e di integrazione (art. 1 co. 2). La conferenza deve cooperare con le autorità federali e realizzare un coordinamento «con altre istituzioni della cooperazione verticale» (art. 3 co. 3) nonché cooperare con la conferenza dei direttori amministrativi e con le altre conferenze intercantonali, incluse quelle regionali (Zentralschweizer Regierungskonferenz (ZRK), Westschweizer Regierungskonferenz (WRK), Nordwestschweizer Regierungskonferenz (NWRK) Ostschweizer Regierungskonferenz (ORK) (art. 4). L'ufficio di collegamento pubblica una relazione annuale delle attività delle conferenze nonché i nominativi degli esperti che compongono i vari gruppi di lavoro, per lo più competenti per politiche europee e accordi con UE, ma anche ad es. per l'attuazione del diritto federale e per le convenzioni intercantonali. La conferenza decide con la maggioranza di 18 su 26 governi cantonali.
Nel 1998 la KdK ha convenuto con lo Ständerat un'intensificazione della cooperazione. Al di là dei due incontri annuali, lo Ständerat informa la conferenza preventivamente sugli ordine del giorno delle proprie sessioni per consentire una partecipazione di delegati della conferenza alle proprie sedute su temi di interesse cantonale.
d) In Spagna, il sistema delle conferenze include la Conferencia de Presidentes, le Conferencias Sectoriales e le Comisiones Bilaterales de Pag. 76 Cooperación, sistema che è stato razionalizzato dalla recente Ley 40/2015, de 1 de octubre, de Régimen Jurídico del Sector Público. La Conferenza dei presidenti delle comunità autonome spagnole, istituita nel 2004, si riunisce finora solo raramente per deliberare accordi con lo Stato o raccomandazioni. Sono finora poche sia le convenzioni sulla gestione di servizi propri, da comunicare al Parlamento, sia gli accordi di cooperazione, da autorizzare da parte del parlamento (art. 145 co. 2 Cost.). Il regolamento della conferenza approvato nel 2009 stabilisce come obiettivi un dialogo sulle politiche pubbliche, settoriali e territoriali dello Stato, su attuazioni congiunte di carattere strategico e su questioni di competenza bilaterali, il potenziamento delle relazioni di cooperazione tra stato e autonomie nonché l'impulso e l'orientamento delle conferenze settoriali e di altri organi di cooperazione multilaterale (art. 2). La conferenza ha sede nel Senato, ma può tenere sedute anche nelle sedi dei governi autonomi partecipanti (art. 4 co. 4).
Il centro del sistema delle conferenze sono le Conferencias Sectoriales che devono ora essere informate sui progetti di legge e di regolamento dello Stato e delle Comunità autonome che possono interessare l'ambito delle competenze anche di altre amministrazioni pubbliche, il tutto al fine di evitare duplicazioni e consentire una pianificazione congiunta della produzione normativa. Anche la «Ley 7/1985, de 2 de abril, Reguladora de las Bases del Régimen Local» nella sua versione attuale rafforza la centralità del sistema delle conferenze settoriali nel quale è anche integrata una Conferencia de Ciudades.
La dottrina auspica una revisione integrale del sistema delle conferenze, ma anche delle riforme che trasformino il Senato in organo permanente.
e) Per quanto riguarda la Francia, va segnalata innanzitutto l'avvenuta istituzione della prima conferenza delle collettività territoriali nella sede del Senato Francese nel dicembre 2014, peraltro partecipata dal presidente del Senato. Le più recenti riforme del territorio e delle regioni hanno rafforzato le conferenze amministrative (conférence territoriale d'action publique, conférences régionales de l'aménagement et du développement du territoire, conférence de coordination des collectivité territoriales). È stata invece archiviata la proposta di creare un «Haut Conseil des territoires». Il recente rapporto di Claudy Lebreton (Une nouvelle ambition territoriale pour la Fance en Europe – Mission sur l'Aménagement du territoire: refonder les relations entre Etat et collectivités territoriales, 2016) propone invece la creazione di un «Conseil des collectivités» sul modello del comitato delle regioni dell'UE, con compiti di mera consulenza sull'esecuzione delle leggi e non concorrenti con le competenze del Senato, e una riforma del sistema di elezione del Senato che tenga maggiormente conto dei risultati delle elezioni amministrative. Anche altre misure dovrebbero rafforzare la collaborazione tra stato ed istituzioni territoriali, specialmente per il governo del territorio.
f) Cenni ulteriori meritano i poteri di nomina e di controllo politico sussidiario del Senato polacco, anche in assenza di informazioni su eventuali rapporti tra il Senato e la conferenza dei voivodeship marshals. La legge che disciplina lo statuto dei parlamentari autorizza i senatori come i deputati a chiedere informazioni e spiegazioni a membri dei governi nazionale, regionale e locale e chiedere alle amministrazioni di Pag. 77 prendere in considerazione certe situazioni. Possono inoltre partecipare a sedute di consigli delle istituzioni territoriali, invitare rappresentanti di tutte le istituzioni alle sedute delle proprie commissioni ed esaminare le relazioni dell’ombudsman.
g) Qualche cenno ulteriore merita ancora il sistema statunitense delle Governors's conferences. Tali riunioni sono organizzate sin dal 1908 all'interno della National Governors Association (NGA) che svolge funzioni di lobbying di categoria in aggiunta a quella individuale ed è dotata di un esecutivo bipartisan e di proprie strutture di supporto, sin dal 1967 in particolare di un Office for Federal Relations preposto all'elaborazione di posizioni di policy e scambio di best practices. Gli Stati si avvalgono sin dal 1933 inoltre del Council of State Governments (CSG) con sede a Lexington. Alla commissione che ne revisiona le norme organizzative partecipano tre senatori, ma l’executive board del CSG è formato esclusivamente da delegati degli Stati rappresentativi di tutti i loro poteri, incluso quello giudiziario. L'obiettivo del consiglio, anche secondo la bozza attuale, non contempla l'adozione di atti o negoziazione di accordi.
5.4 Sulle forme di partecipazione delle seconde camere alle politiche UE.
Per quanto riguarda le forme di partecipazione delle seconde camere ai raccordi con l'UE, particolari esperienze sono offerte dalle seconde camere dei membri dell'associazione dei senati europei i cui scopi statutari includono peraltro: «development of relationships between members, promotion of bicameralism in the framework of parliamentary democracy, and strengthening of European identity and awareness». In questa sede interessano in particolare Germania, Austria, Spagna e Francia.
a) Il ruolo del Bundesrat tedesco e dei parlamenti regionali nelle politiche dell'integrazione europea è stato ampiamente disciplinato nella costituzione riformata, ma risulta nella prassi ancora meno visibile di quello del Bundestag. I dettagli sono disciplinati da una legge federale la «Legge sulla collaborazione tra Federazione e Länder negli affari dell'Unione europea» del 12 marzo 1993 (EUZBLG 1993 e succ. mod.), che include nel suo allegato punti di un accordo tra la Federazione e i Länder e riserva la disciplina di ulteriori dettagli ad accordi ulteriori (§ 9).
La collaborazione del Bundesrat si svolge da un lato nella Europakammer, la camera europea prevista in costituzione (art. 52 co. 3 a LF), dall'altro lato in una «Commissione per le questioni dell'Unione europea» (Ausschuss für Fragen der Europäischen Union), i cui precedenti risalgono fino al 1957.
Essendo il Bundesrat un organo di rappresentanza dei governi dei Länder, entrambi gli organi sono composti da delegati dei governi regionali, cioè dai ministri competenti per materia, in genere appositi ministri per gli affari federali ed europei o gli stessi presidenti dei governi dei Länder (Niedersachsen, Mecklenburg, Berlin, Hamburg) o anche ministri per o con altre materie (interni, giustizia ecc). Nella maggior parte, un membro della Kammer svolge in un'unione personale anche funzione di membro della Commissione. Pag. 78
In base alle fonti costituzionali e legislative sopra individuate cui si aggiungono le disposizioni delle costituzioni dei Länder e il regolamento interno del Consiglio federale (Geschäftsordnung des Bundesrats del 26 novembre 1993, GO-BR), la Europakammer svolge le funzioni di partecipazione del Bundesrat negli affari dell'UE in tutti i casi d'urgenza o di riservatezza delle quali non può essere investito il plenum nella sua riunione mensile (§ 45d GO-BR). Le delibere della Europakammer sono preparate dalle altre commissioni (§ 45e GO-BR), in particolare dalla commissione per le questioni dell'UE che si occupa di tutti gli affari dell'UE che rientrano nei titoli di competenza del Bundesrat o dei Länder, cioè dall'agricoltura fino ai servizi, pagamenti, asilo e immigrazione, traffico, concorrenza ecc., incluse le questioni di sussidiarietà e di proporzionalità e tutti i profili delle politiche di integrazioni, in ogni caso in cui si esprime una posizione vincolante per il governo o in cui si esercitano diritti in base alla legge sulla responsabilità per l'integrazione.
Le sedute della Europakammer sono di norma pubbliche (§ 45f GO-BR), mentre quelle della commissione non sono pubbliche. Le delibere della Europakammer sono di norma pubblicate con motivazione, mentre il resoconto delle sedute resta riservato (§ 45j GO-BR). I resoconti dei lavori della commissione nella legislatura attuale e di quella precedente sono secretati, mentre tutte le altre possono essere visionate solo nella biblioteca dell'organo. Alle sedute della Europakammer possono partecipare membri e incaricati dei governi federali e regionali nonché «altre persone se ammesse dal presidente» (§ 45g GO-BR), ma non è dato sapere chi partecipa a quale titolo e se sono invitati anche ad es. i membri del Comitato delle Regioni. È appena il caso di ricordare che alla commissione affari europei del Bundestag partecipano con diritto di parola anche gli europarlamentari dei partiti che hanno superato la soglia di sbarramento per il Bundestag.
Nella realtà, le convocazioni della Europakammer sono rare. Se il presidente ritiene che la decisione non necessiti di dibattito, la deliberazione viene presa di norma in via di consultazione ad interpello («Umfrage») verbalizzata dalla segreteria (§ 45i GO-BR).
b) Per quanto riguarda il Bundesrat austriaco, la legge costituzionale federale garantisce un'informazione tempestiva da parte del Governo federale che consente al Consiglio federale di esprimere pareri su tutti i progetti in ambito UE (Art. 23 e co. 1). La posizione è di norma vincolante se il parere ritiene necessaria l'approvazione di una disposizione di legge costituzionale (co. 4). La Costituzione garantisce inoltre una sostanziale parità dei diritti delle due camere con riguardo agli affari europei, inclusi i controlli di sussidiarietà e la richiesta di ricorsi alla Corte di giustizia dell'UE. Ciascun Ministro federale, all'inizio di ogni anno, riferisce all'inizio di ogni anno ad entrambe le Camere sulle iniziative che si devono attendere in tale anno da parte del Consiglio e della Commissione nonché sulla prevedibile posizione austriaca al riguardo (art. 23f co. 2 B-VG).
Mentre nel consiglio nazionale esiste una subcommissione della commissione principale (Hauptausschuss) che si occupa di tutti gli affari UE non avocati dalla commissione principale e le cui delibere più importanti sono riferite nel servizio informazioni parlamentari (Parlamentskorrespondenz) nonché un'apposita commissione per lo ESM Pag. 79 (European Stability Mechanism), nel Bundesrat è stata istituita con apposite norme regolamentari (§ 13 a e b Geschäftsordnung Bundesrat) una commissione affari UE le cui sedute, a differenza delle altre 22 commissioni settoriali e della conferenza bicamerale per le finanze, sono di norma pubbliche, tranne che quando vertono su atti secretati secondo le norme generali in materia.
A richiesta di più della metà dei consiglieri di tre dei nove Länder, la deliberazione di un affare è riservata al plenum dietro istruttoria della commissione. Il ministro componente, la stessa minoranza, un quarto dei membri del Bundesrat o, in casi urgenti, un singolo consigliere possono chiedere di mettere all'ordine del giorno della commissione un progetto dell'UE. In tal caso, il presidente della commissione richiede un'informazione scritta del ministro competente secondo le norme della legge sulle informazioni UE (EU-Informationsgesetz – EU-InfoG, BGBl. I Nr. 113/2011). Ogni gruppo rappresentato in commissione può chiedere almeno tre volte per anno informazioni scritte dettagliate su documenti europei. Ulteriori richieste possono essere fatte dal presidente, sentita la conferenza dei capigruppo. Alle sedute della commissione possono partecipare con diritto di parola tutti i membri del consiglio e gli europarlamentari eletti in Austria. Il presidente può mettere all'ordine del giorno anche questioni di attualità. Possono essere sentiti ministri e loro delegati.
c) Nel Senato spagnolo, articolato come quello austriaco per gruppi politici, non esiste una commissione affari europei, essendo stata invece istituita una commissione mista bicamerale per gli affari Europei con la Ley 8/1994 e con risoluzioni congiunte. In tale sede possono chiedere di comparire anche i membri dei governi delle comunità autonome.
Il regolamento del Senato attribuisce alla «Comisión General de las Comunidades Autónomas» inoltre le seguenti funzioni:
«p) Ser informada, por el Gobierno y la Comisión Mixta Congreso-Senado para las Comunidades Europeas, sobre los procesos de adaptación normativa o actos de los órganos de la Unión Europea con trascendencia regional o autonómica.
q) Formular al Gobierno sus criterios respecto a la representación española en todos aquellos foros internacionales donde haya una participación territorial.
r) Conocer la cuantía y distribución de los Fondos de la Unión Europea destinados a la corrección de los desequilibrios regionales o interterritoriales en España, así como efectuar el seguimiento de la ejecución de los proyectos de inversión que se financien a su cargo.»
d) Nel Senato francese è stata istituita una commissione affari europei per volontà della riforma costituzionale del 2008 (art. 88-4 co. 4 Cost.). Secondo le disposizioni del regolamento del Senato, la Commissione ha finora 36 e in futuro 41 membri nominati «de façon à assurer une représentation proportionnelle des groupes politiques et une représentation équilibrée des commissions permanentes» (art. 73-bis). Il regolamento non consente una partecipazione di altri soggetti e dispone la comunicazione delle posizioni solo al Governo e all'altra camera. Con sentenza del 25 giugno 2009, il Conseil constitutionnel ha deciso che le proposte della commissione possono essere riconsiderate Pag. 80 dal Senato stesso a norma del proprio regolamento: «le Gouvernement ainsi que les groupes d'opposition et les groupes minoritaires dans le cadre du jour de séance mensuel qui leur est réservé ont le droit de demander que le Sénat se prononce sur cette proposition avant l'expiration du délai d'un mois prévu par le quatrième alinéa de l'article 73 quinquies». Nel 2015, la commissione ha peraltro tenuto una seduta comune con l'analoga commissione del Senato italiano.
In conclusione, secondo il Professor Luther, la comparazione dimostra che potrebbe essere considerato anche insufficiente trasferire semplicemente la sede della conferenza al Senato. Se il nuovo Senato si dovrà occupare della qualità delle pubbliche amministrazioni e dell'attuazione delle politiche, la qualità delle funzioni di raccordo del Senato sarà decisiva per la riuscita di una riforma complessiva del regionalismo che riesca a rilegittimare le istituzioni territoriali attraverso una migliore performance delle autonomie amministrative. Il sistema delle conferenze dovrebbe essere subordinato a questa esigenza e avere una struttura differenziata per materie, pienamente interattiva con le commissioni del Senato.
5.5 Sulla c.d. clausola di supremazia
Per quanto riguarda le esperienze costituzionali comparate, la clausola di supremazia recepisce sostanzialmente concetti dell'art. 72 co. 2 della Legge fondamentale tedesca, omettendo tuttavia l'obiettivo della «realizzazione di condizioni di vita equivalenti nel territorio federale» che attua il principio dello Stato federale sociale (art. 20 co. 1 LF). Nella misura in cui l'art. 3, secondo comma, Cost. impone alla Repubblica la realizzazione dei diritti sociali, la tutela dell'unità giuridica ha comunque una funzione dinamica, riconosciuta anche all'analoga formula tedesca nella giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht di Karlsruhe.
a) Al riguardo va ricordato che la giurisprudenza costituzionale tedesca pratica tradizionalmente una forma di sindacato materiale limitato (weak), limitandosi a verificare la non arbitrarietà delle scelte di unitarizzazione del legislatore. Questa linea restrittiva – che non va confusa con una insindacabilità totale – ha tuttavia anche una ragione storica specifica nella circostanza che la clausola dell'unità era stata inserito nella Legge fondamentale su richiesta del governo militare degli alleati e che sviluppava l'art. 9 della costituzione di Weimar secondo cui «nella misura in cui sussiste un bisogno per l'emanazione di disposizioni uniformi», l'Impero legiferava su welfare e pubblica sicurezza, i pilastri dello Stato sociale. La cd. Grundsatzgesetzgebung, cioè il potere dell'Impero di stabilire principi per una serie di materie di legislazione regionale (art. 10) era considerata un caso speciale di necessità presunta di tutela dell'unitarietà.
L'unità del diritto e dell'economia era stata raggiunta invece per altre vie nella precedente costituzione germanica del 1871. L'Impero aveva competenza legislativa «nella misura in cui di quanto è necessario per l'esercizio dei poteri costituzionalmente conferiti e per la tutela delle istituzioni concesse» (art. 62). Nell'esercizio di questo potere legislativo, la legge dell'Impero poteva contenere delle disposizioni di dettaglio meramente sussidiarie e quindi cedevoli nei confronti Pag. 81 della legislazione dei Länder. In questo senso si potrebbe anche interpretare la nuova clausola di supremazia, cioè come potere dello Stato di intervenire con un mix di norme cogenti e derogabili per la legislazione regionale.
b) Nel 2004, in Svizzera è stata abrogata tramite referendum la nuova disposizione costituzionale che consentiva alla federazione di svolgere «compiti che esigono una disciplina uniforme» (art. 1 co. 2 Cost. federale), ma i giudici non possono sindacare l'incostituzionalità di leggi federali. Dal 1815 al 1848, la legislazione della prima confederazione era basata su una legislazione comune «concordata» tra i cantoni. L'art. 7 della costituzione federale del 1848 aveva salvaguardato il diritto di concludere «Vorkommnisse» (occorrenze) «su oggetti della legislazione, della giustizia e dell'amministrazione che dovevano essere comunicate e potevano essere bloccate dalle autorità federali». Nell'ottica comparata si potrebbe concludere che la necessità di una tutela dell'unità giuridica del Paese potrebbe non sussistere qualora le regioni presentassero nella seconda Camera (e anticipassero nel sistema delle conferenze) un accordo sull'esercizio uniforme delle proprie competenze.
c) Un sistema non federale, ma rilevante per l'Italia fu quello austriaco designato dalla Legge fondamentale austriaca sugli affari comuni dei Länder e sulla loro trattazione del 1867 che distingueva competenze per leggi comuni, approvate anche per l'Ungheria, da cd. «leggi pattuite», cioè approvate simultaneamente dal Reichsrat austriaco e da quello ungherese, per affari amministrati a livello regionale «secondo principi eguali da concordarsi di volta in volta»: commercio, dogane, produzione industriale, moneta, linee ferroviarie, sistema di difesa. Nella costituzione austriaca odierna esistono tuttora competenze federali per la legislazione su principi fondamentali della legislazione regionale (ad es. assistenza ai poveri e diritto dei lavoratori, art. 12 B-VG) accanto a competenze legislative federali condizionate da particolari necessità soggettive o oggettive (ad es. smaltimento rifiuti, procedimento amministrativo, limiti di emissioni, art. 10 co. 1 n. 12 B-VG, art. 11 co. 2 e 5) e molto ristrette di legislazione pattuita tra Bund e Laender per le amministrazioni federali delegate dai Laender in materia di polizia delle strade non locali e polizia della navigazione interna (art. 15 co. 4 B-VG).
d) Il modello svizzero potrebbe aver indotto infine anche gli Stati Uniti a creare nel 1890 la National Conference of Commissioners on Uniform State Laws (UCL), una conferenza di ca. 300 esperti delegati degli Stati che hanno elaborato ca. 200 atti di legislazione uniforme per le legislature regionali, prefiggendosi l'obbiettivo «to promote uniformity in the law among the several States on subjects as to which uniformity is desirable and practicable». Una conferenza analoga, la Uniform Law Conference of Canada fu istituita nel 1918 in Canada. Sin dal 2004 esiste anche il Mexican Center of Uniform Law.
5.6 Sulle procedure di negoziazione tra lo Stato e le autonomie territoriali
Per quanto riguarda le esperienze di diritto comparato, occorre distinguere la disciplina della cooperazione negoziale nei sistemi federali da quelli degli Stati con garanzie costituzionali di decentramento. Pag. 82 Nei sistemi federali, la cooperazione può essere autorizzata da norme costituzionali specifiche o vietata da una norma generale che istituisce un potere di autorizzazione del parlamento.
a) Nella Costituzione statunitense esiste la compact clause (art. 1 sect. 10 cl. 3): «No State shall, without the Consent of Congress, (...) enter into any Agreement or Compact with another State, or with a foreign Power, (...) unless (...) in such imminent Danger as will not admit of delay». La giurisprudenza applica questa clausola solo ad accordi che istituiscono strutture amministrative comuni o statuiscono doveri reciproci, non avendo finora dichiarato nullo alcun accordo interstatale per mancanza di autorizzazione.
b) L'art. 15a della Costituzione austriaca stabilisce che le intese vincolanti per la legislazione federale devono essere approvate dalla prima camera. Le altre intese tra Bund e Länder riguardanti «affari dei rispettivi ambiti di azione» sono autorizzate ope constitutionis, quelle tra i Länder devono essere comunicate al governo federale.
c) L'obbligo di comunicazione è sancito anche dall'art. 48 della Costituzione svizzera che autorizza i cantoni a stipulare intese e creare istituzioni per svolgere in comune funzioni di interesse regionale, vietando accordi «contrari al diritto e agli interessi della Federazione o ai diritti di altri cantoni». I cantoni possono chiedere che la Federazione dichiari accordi su certe materie efficaci anche per i cantoni che si rifiutino di aderire (art. 48a Cost.).
d) Il potere dei Länder tedeschi di stipulare strumenti pattizi tra loro è sancito implicitamente nella clausola di competenza generale residuale di cui all'art. 30 LF. Si distinguono tradizionalmente gli accordi (inter-)amministrativi dai cd. «Staatsverträge», cioè strumenti pattizi nei quali si disciplinano rapporti tra i Länder nella loro residua statualità e i cittadini, ad es. in materia di radiotelevisione o di ammissione agli studi in corsi di laurea soggetti a numero chiuso. Questi ultimi richiedono l'assenso dei parlamenti regionali e sono disciplinati secondo parte della dottrina, almeno per analogia, da fonti del diritto internazionale.
La partecipazione del Bund all'esercizio delle funzioni dei Länder e una cooperazione amministrativa tra Bund e Länder sono consentiti solo al fine di «migliorare le condizioni di vita», in particolare nelle materie di «miglioramento della struttura economica regionale» e della struttura agraria (art. 91a LF), di promozione della ricerca scientifica (art. 91b), di sistemi di informatica (art. 91c), di studio della performance delle amministrazioni (art. 91d) e di sicurezza sociale di base per i disoccupati (art. 91e LF).
Controversa è invece la questione se la competenza pattizia può essere esercitata anche tramite intese o convenzioni che risolvono questioni inerenti alla delimitazione delle sfere di competenza del Bund e dei Länder. Particolare attenzione meritano al riguardo il cd. Koenigsteiner Abkommen e il cd. Lindauer Abkommen.
Il primo accordo fu concluso in data 30 agosto 1950 da membri del Bundesrat tedesco in una riunione nella sede dello stesso a Königstein e prevede che la carica di presidente del Bundesrat ruota annualmente tra i presidenti o sindaci dei Länder o stati-città, seguendo il numero decrescente della popolazione degli stessi. In questo caso, i «signori» Pag. 83 del Bundesrat trovarono tra di loro un accordo bipartisan su come esercitare i propri poteri all'interno del Bundesrat.
La seconda convenzione, formalmente stipulata in data 14 novembre 1957 tra il Governo federale e le cancellerie dei Länder, serviva a risolvere una controversia sull'interpretazione del potere dei Länder di stipulare con l'assenso del Governo federale trattati con stati esteri ai sensi dell'art. 32 co. 3 LF, secondo una dottrina federalista competenza esclusiva, secondo la dottrina unitarista solo competenza concorrente. Si trattava sostanzialmente di una transazione che consentiva di evitare conflitti fra il Bund e i Länder davanti alla Corte di Karlsruhe. La convenzione stabilisce in quali casi i Länder acconsentono (ossia tollerano) un'interpretazione estensiva del potere pattizio della Federazione in alcune materie, mentre in altre materie di competenza esclusiva dei Länder richiede che il governo federale chieda al più tardi con la presentazione dello strumento pattizio al Bundesrat l'assenso dei governi dei Länder senza il quale lo strumento non può diventare efficace sul piano del diritto internazionale. Infine per ogni caso in cui un trattato internazionale tocca interessi essenziali dei Länder, il governo federale deve informare al più presto i Länder per consentire loro la rappresentazione di propri interessi e posizioni. A tal fine fu istituita una commissione permanente dei Länder per i trattati internazionali che interloquisce con il ministero degli esteri e i dicasteri competenti per materia.
Altre convenzioni (Vereinbarungen) tra il governo federale e i governi dei Länder disciplinano ad es. le modalità di informazione del Bundesrat in materie di politica europea.
e) I modelli federali sembrano aver condizionato anche quello spagnolo. L'art. 145 co. 1 Cost. vieta innanzitutto accordi di federazione tra Comunità sul modello svizzero del Sonderbund. Il secondo comma demanda invece agli statuti autonomi la disciplina delle ipotesi, dei requisiti e dei termini nei quali le Comunità autonome possono procedere a convenzioni (convenios de colaboracion) per la gestione e prestazione di servizi, da comunicare alle Cortes, mentre gli accordi di cooperazione che potrebbero sortire obblighi non solo amministrativi richiedono l'autorizzazione delle Cortes.
Ad avviso del Professor Luther questi cenni di diritto comparato consentono di concludere che le procedure di negoziazione di intese o accordi potranno essere svolte sempre nel sistema delle conferenze, ma non potranno vincolare il parlamento che anzi deve potersi riservare strumenti di controllo anche quando si negoziano soltanto le competenze amministrative.
Nella misura in cui il Senato riuscisse effettivamente a rafforzare la cooperazione orizzontale tra le autonomie (e all'interno delle istituzioni territoriali), l'informalità e il carattere politico di intese ed accordi non dovrebbe essere eccessivamente gravata da vincoli di calendario e di sede. Semmai occorre trovare delle modalità che garantiscano la concretezza e completezza operativa delle scelte concordate e garantiscano procedure di controllo idonee a smascherare pseudo-intese o accordi.
Infine, gli accordi potrebbero avere per oggetto peraltro anche la stessa conformazione del futuro Senato, fermo restando che il suo regolamento potrà essere approvato pure solo a maggioranza assoluta.
5.7 Sulla conferenza delle assemblee legislative regionali
Per quanto riguarda i profili di diritto comparato, in questa sede è possibile solo un cenno alla Germania. Una conferenza dei presidenti dei parlamenti dei Laender (Landtagspräsidentenkonferenz, LPK) si era già costituita nel 1925 nella Repubblica di Weimar. Ricostituita nel 1947 ha avuto un ruolo significativo nelle ricostruzione della Germania, anche dopo la riunificazione. Includendo anche i presidenti di Bundestag e Bundesrat, la conferenza si unisce di regola due volte all'anno e ogni due anni associa anche le assemblee austriache e dell'Alto Adige. La conferenza si occupa tradizionalmente del diritto parlamentare comparato e comune, ma anche delle politiche del federalismo e dell'integrazione europea.
Nel 2014 ha adottato ad es. una risoluzione che richiama ad un maggiore coinvolgimento dei parlamenti regionali nelle politiche dell'Unione europea. Particolare attenzione meritano al riguardo anche le norme costituzionali regionali che disciplinano la partecipazione dei parlamenti regionali tedeschi agli affari europei. La costituzione del Land di Berlino del 1995 statuisce ad es. un obbligo di informazione tempestiva del governo (Senat) nei confronti del parlamento (art. 50). I dettagli sono stabiliti dal regolamento parlamentare.
La costituzione del Baden-Württemberg (1953/2008) è stata modificata nello stesso anno come segue: «Artikel 34a. (1) Il governo del Land informa al più presto possibile il Landtag su tutti i progetti in ambito di Unione europea che sono di significato politico eminente per il Land e toccano direttamente interessi essenziali del Land, dando l'opportunità di prendere posizione. (2) In caso di progetti che toccano essenzialmente competenze legislative del Land, il governo del Land tiene conto delle prese di posizione del Landtag. Lo stesso vale in caso di cessione di diritti di sovranità dei Länder all'Unione europea. (3) I particolari dell'informazione e della partecipazione del Landtag sono riservati ad un accordo tra governo e dieta del Land». La disciplina dei dettagli è stata riservata ad una legge. Un accordo inter-oganico è stato stipulato in diversi altri Länder ed è stato in Baviera allegato al regolamento interno del Landtag.
La partecipazione dei parlamenti regionali alle politiche europee per mezzo delle commissioni affari europei dei Länder risale peraltro sino all'anno 1978, anno in cui ne fu istituita una prima «commissione per affari federali e questione europei» in Baviera. Simili istituzioni sono state create sin dal 1990 anche in tutti gli altri parlamenti regionali. Rispecchiando i dicasteri nei governi regionali, non di rado tali commissioni svolgono funzioni ulteriori, ad es. in materie di relazioni regionali (Bayern), cooperazione allo sviluppo (Nordrhein-Westfalen), media e cooperazione (Brandeburgo), partnership interurbane (Hamburg), cooperazione nell'area del mare baltico (Schleswig-Holstein), economia e tecnologia (Sachsen-Anhalt), giustizia (Thüringen 1994-1999), affari legali (Mecklemburg-Vorpommern). Trattando affari tra di loro spesso eterogenei e trasversali, il peso politico di questi organismi è piuttosto limitato. La loro funzione di coordinamento è considerata non sempre effettiva.
Le modalità di partecipazione dei parlamenti regionali differiscono in più di un dettaglio e solo alcuni parlamenti dei Länder più grandi Pag. 85 (Brandenburg, Baden-Württemberg, Bayern, Hessen und Nordrhein-Westfalen) hanno propri uffici a Bruxelles.
6. CONCLUSIONI
Con il presente documento conclusivo la Commissione parlamentare per le questioni regionali intende fornire il proprio contributo al dibattito sul rinnovamento del sistema dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali.
L'indagine conoscitiva si è conclusa in un momento istituzionale particolarmente delicato, essendo ormai prossimo lo svolgimento del referendum confermativo della riforma costituzionale approvata dalle Camere.
Al momento di licenziare il documento conclusivo ci si trova così di fronte a due possibili scenari, molto diversi: il primo, a Costituzione vigente, che si prospetta in caso di esito non confermativo del referendum; il secondo, a Costituzione modificata, che seguirebbe all'esito confermativo.
I risultati dell'attività di approfondimento e studio, in entrambi i casi, evidenziano l'opportunità di ripensare l'attuale assetto dei rapporti tra Stato e Regioni, sia nell'ambito delle procedure parlamentari che all'interno del «sistema delle conferenze».
A Costituzione vigente, appare ineludibile l'esigenza di portare a compimento la riforma del 2001, adeguando finalmente ad essa le procedure parlamentari e riordinando il «sistema delle conferenze», tuttora regolato da una disciplina precedente alla riforma del 2001.
A Costituzione modificata, la nuova configurazione del Senato come Camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali apre nuove prospettive suscettibili di essere sviluppate in diverse direzioni.
Come dimostra l'esperienza della riforma costituzionale del 2001, la riuscita di una riforma dipende soprattutto dalla sua successiva attuazione. È stata proprio l'assenza di un chiaro disegno attuativo che ha in sostanza condizionato negativamente l'efficacia di quella riforma, che sulla carta poneva le premesse per un nuovo rapporto tra Stato ed autonomie territoriali, basato sui principi di differenziazione, sussidiarietà ed adeguatezza, in un sistema in cui il riconoscimento di una piena autonomia degli enti territoriali sarebbe dovuto andare di pari passo con una chiara individuazione delle responsabilità dei diversi livelli di governo.
Fra le diverse possibili soluzioni attuative della nuova riforma costituzionale, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha cercato di individuare quelle che meglio rispondono a quell'obiettivo di semplificazione del sistema istituzionale che la riforma ha l'ambizione di realizzare, soluzioni che si fondano sulla valorizzazione del Senato quale Camera politica di rappresentanza delle autonomie territoriali e sul conseguente riassetto del «sistema delle conferenze».
6.1. Prospettive a Costituzione vigente: possibili interventi di riordino del sistema di raccordo tra Stato e autonomie.
L'assetto dei rapporti tra Stato e Regioni successivo alla riforma del 2001 risulta caratterizzato da un quadro ancora incerto di riparto delle competenze, da frequenti sovrapposizioni di funzioni tra livello centrale, Pag. 86 regionale e locale e da una forte conflittualità tra Stato ed autonomie.
La legge costituzionale n. 3 del 2001 individuava peraltro, all'articolo 11, uno strumento volto a garantire alle autonomie territoriali la partecipazione al procedimento legislativo attraverso l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti di Regioni, Province autonome ed enti locali e attribuendo un valore rinforzato ai pareri resi dalla medesima Commissione su disegni di leggi concernenti materie incidenti su competenze regionali o sull'autonomia finanziaria regionale e locale.
La Corte costituzionale ha del resto più volte fatto riferimento, nelle sentenze volte a dirimere i conflitti tra Stato e Regioni applicando il principio di leale collaborazione, alla «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» (sentenze n. 7/2016, n. 278/2010, n. 401/2007, n. 383/2005, n. 6/2004).
Nel corso dell'indagine conoscitiva, la mancata integrazione della Commissione è stata più volte richiamata come una delle cause che hanno contribuito all'insorgere dell'elevato contenzioso.
Una modifica dei regolamenti parlamentari volta a dare attuazione all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 potrebbe dunque costituire uno strumento per assicurare «a monte», nell'ambito del procedimento legislativo, il rispetto del quadro delle competenze delineato dal titolo V della Costituzione. Tale rispetto allo stato attuale è rimesso esclusivamente alle sentenze della Corte costituzionale, che possono intervenire solo ex post e a distanza di lungo tempo dall'approvazione della legge, collocandosi in un momento in cui la legge è spesso già in fase di avanzata attuazione e determinando frequentemente situazioni di impasse.
La Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata potrebbe poi divenire il punto di riferimento per valorizzare il rapporto tra conferenze (anche orizzontali) e Parlamento. Tramite questo collegamento il Parlamento potrebbe fruire dell'ampio lavoro istruttorio svolto in quelle sedi sul piano legislativo e conoscere la posizione delle autonomie territoriali nel corso dell'iter parlamentare dei provvedimenti.
Un secondo intervento necessario è la razionalizzazione del ’sistema delle conferenze’, mai adeguato alla riforma del titolo V.
Possono essere in tal caso riprese proposte di semplificazione già avanzate nel corso degli anni, con la riduzione delle tre attuali conferenze intergovernative a due (in sostanza corrispondenti alla Conferenza Stato-Regioni e alla Conferenza unificata) o, come più frequentemente suggerito e come previsto anche dai più recenti disegni di legge di riforma del sistema, con l'istituzione di una Conferenza unica, articolata in una sede plenaria e in due distinte sezioni (regionale e locale).
Nell'ambito delle Conferenze, appare auspicabile una maggiore bilateralità, attenuando la posizione di supremazia del Governo, con la previsione di forme di rotazione nella Presidenza o di una co-Presidenza ed assicurando una maggiore partecipazione degli enti territoriali alla formazione dell'ordine del giorno. Pag. 87
Auspicabile è anche l'introduzione di più ampie forme di trasparenza e di pubblicità degli atti e delle sedute delle Conferenze, al fine di rendere conoscibile la posizione dei vari soggetti per una corretta assunzione di responsabilità.
L'attività potrebbe essere poi maggiormente procedimentalizzata, rispondendo alla più volte richiamate esigenze di razionalizzazione e velocizzazione. Ad esempio, gli atti di natura più squisitamente tecnica potrebbero essere esaminati adottando iter specifici semplificati, quale quello attualmente riservato alla materia agricoltura, con riferimento alla quale opera efficacemente il Comitato tecnico permanente di coordinamento, istituito già nel dicembre 1997 presso la Conferenza Stato-Regioni con funzioni istruttorie, di raccordo, collaborazione e concorso alle attività della Conferenza.
Nell'ambito delle Conferenze potrebbero poi essere individuate apposite procedure per i casi in cui occorra procedere all'adozione di atti di rilevanza sovraregionale che però interessino solo alcune Regioni o per i casi in cui debba essere presa in considerazione la diversa posizione istituzionale delle Regioni ad autonomia speciale.
Sotto diverso profilo, si registra l'assenza di una vera sede politica in cui il Governo nazionale e gli Esecutivi territoriali si confrontino sulle grandi scelte strategiche per il Paese. È stata in proposito proposta l'istituzione di una Conferenza degli esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, che si riunisca una o due volte l'anno per delineare un'agenda politica condivisa tra Governo centrale e territori.
In un'ottica di più ampia razionalizzazione, dovrà inoltre essere valutata l'opportunità di una disciplina anche delle conferenze orizzontali e dovrà essere affrontata la questione della rappresentanza del sistema delle autonomie locali.
6.2. Prospettive a Costituzione modificata: la revisione del sistema di raccordo tra Stato e autonomie.
La mancata trasformazione del Senato in una Camera delle Regioni è sempre stata considerata l'elemento mancante della riforma del 2001, cui non ha fatto seguito un adeguamento dei procedimenti legislativi, neanche nella forma dell'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, che avrebbe consentito una chiara emersione già in sede parlamentare del punto di vista delle autonomie territoriali.
Il riparto di competenze legislative delineato dall'articolo 117 ha peraltro ben presto dimostrato la sua insufficienza nella composizione degli interessi nazionali, regionali e locali, anche a causa della mancata attuazione dell'autonomia finanziaria – anche nell'ambito dei decreti attuativi della legge delega sul federalismo fiscale – che l'articolo 119 riconosce sulla carta agli enti territoriali.
Come noto, è stata conseguentemente la Corte costituzionale a dover risolvere i continui conflitti tra Stato e Regioni, svolgendo di fatto un ruolo di arbitro che non dovrebbe competere ad un giudice delle leggi. L'abnorme mole del contenzioso costituzionale sul titolo V costituisce infatti il segno più evidente della crisi del sistema.
Come già ricordato, la Corte stessa ha più volte fatto riferimento nelle sue sentenze alla «perdurante assenza di una trasformazione Pag. 88 delle istituzioni parlamentari» che garantisca, già a livello di procedimento legislativo, la partecipazione dei livelli di governo coinvolti.
La configurazione del nuovo Senato quale organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali costituisce dunque un'occasione per porre fine alla stagione del conflitto ed aprire una nuova fase dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali.
Allo stato non è dato conoscere la fisionomia del nuovo Senato, composto da consiglieri regionali e da sindaci, né quali saranno le modalità della sua organizzazione e le procedure per il suo funzionamento. Mancano infatti alcuni tasselli fondamentali, in primis, la legge elettorale ed il nuovo regolamento del Senato. Molto dipenderà naturalmente dalle dinamiche politiche e dagli equilibri che saranno raggiunti, che decideranno se il Senato sarà organizzato secondo logiche partitiche o in base a criteri di rappresentanza territoriale.
È però possibile al momento svolgere una riflessione sugli elementi che dovranno caratterizzare il Senato per essere in condizione di assolvere pienamente il ruolo di garante di un nuovo equilibrio del sistema territoriale, dimostrandosi una Camera incisiva, determinante dal punto di vista degli interessi e delle dinamiche territoriali, diversa e complementare rispetto alla Camera dei deputati, che mantiene la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo.
Dall'indagine conoscitiva svolta è infatti emersa con chiarezza l'idea che la funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica costituisce la funzione fondamentale del Senato, connaturata alla struttura stessa dell'organo e rappresenta la vera e propria core mission della nuova istituzione. Essa costituisce un punto di riferimento per la declinazione delle altre funzioni riconosciute dal nuovo articolo 55, segnatamente della funzione legislativa, della funzione di raccordo e di partecipazione agli atti dell'Unione europea e della funzione di valutazione delle politiche pubbliche. Queste rilevanti funzioni inoltre inseriscono pienamente il Senato nel circuito delle responsabilità politica «diffusa».
Il nuovo Senato funzionerà dunque quanto più riuscirà a divenire sede di composizione degli interessi nazionali e dei territori, in quell'ottica di leale collaborazione che costituisce principio fondativo dei rapporti tra Stato ed autonomie.
Al fine di assicurare al Senato una vera capacità di rappresentanza degli enti territoriali, sia esponenti istituzionali che accademici hanno sottolineato la rilevanza strategica della presenza dei Presidenti di Regione.
Tale soluzione peraltro presta il fianco ad una serie di rilievi di diversa natura.
La presenza di diritto dei Presidenti di Regione in Senato, contemplata dal disegno di legge governativo di riforma costituzionale, è stata espunta nel corso dell'esame parlamentare. Secondo l'opinione prevalente, essa potrebbe essere assicurata solo dalla legge elettorale del Senato, peraltro mediante un meccanismo di particolare complessità tecnica che potrebbe irrigidire ulteriormente tale legge.
Ove si ammettesse la possibilità per la legge elettorale di imporre tale presenza, vi sarebbero comunque molte Regioni (quelle che sono chiamate ad individuare due senatori) che sarebbero rappresentate solo dal Presidente e da un sindaco, che in virtù dei carichi di lavoro Pag. 89 istituzionali potrebbero non essere in grado di assicurare una presenza costante all'attività del Senato.
In assenza di una scelta in tal senso della legge elettorale, la presenza dei Presidenti sarebbe in ultima analisi rimessa alla volontà dei singoli Consigli regionali.
In ogni caso, i Presidenti sarebbero presenti in Senato non in funzione del ruolo di vertice nella Regione ma in virtù dell'elezione da parte del Consiglio regionale, al pari di tutti gli altri consiglieri-senatori; la loro presenza pertanto potrebbe rilevare più sul piano politico che su quello dell'assetto istituzionale.
Dunque, anche in considerazione della circostanza che la legge elettorale potrebbe non imporre di diritto tale presenza, è apparso opportuno valorizzare i contributi e le proposte che non danno per scontata tale partecipazione.
Appare dunque più utile proporre anche un approccio di tipo diverso, che consideri come punto di partenza non la composizione del Senato, ma le sue funzioni, sulla scorta del fondamentale insegnamento di Massimo Severo Giannini, in base al quale «in principio sono le funzioni», individuando le modalità organizzative che consentano di assolvere pienamente a quelle funzioni.
Come già ricordato, la funzione essenziale del nuovo Senato è costituita dal raccordo tra lo Stato e gli enti territoriali, funzione di raccordo che allo stato risulta in massima parte affidata al «sistema delle conferenze».
Il «sistema delle conferenze» ha infatti finora svolto un ruolo di supplenza all'assenza di una sede parlamentare di confronto e mediazione tra centro ed autonomie, un ruolo improprio ma necessario. Il rapporto tra Senato e conferenze diviene dunque centrale nel nuovo assetto istituzionale.
L'indagine conoscitiva ha evidenziato che il «sistema della conferenze» non può ritenersi superato dalla riforma costituzionale. La molteplicità di funzioni svolte fa sì che molti compiti delle attuali conferenze, soprattutto quelli meramente amministrativi e tecnici, non possano essere trasferiti al nuovo Senato. In particolare, mal si prestano ad essere trasferite ad un ramo del Parlamento quale è il Senato, le procedure di carattere negoziale che tipicamente sfociano nelle intese o negli accordi.
L'esperienza comparatistica del resto dimostra come, nei Paesi di stampo federale o comunque caratterizzati da un ampio riconoscimento delle autonomie territoriali, le Camere delle Autonomie convivano con organi intergovernativi analoghi alle conferenze italiane.
Il «sistema delle conferenze» non può dunque essere soppresso ma dovrà essere ampiamente rivisitato per essere adattato al nuovo sistema di bicameralismo differenziato, ripensandone il ruolo, la missione ed il concreto funzionamento, in considerazione del trasferimento nella sede parlamentare della mediazione politico-istituzionale oggi assegnata alle conferenze.
Occorre inoltre considerare che sull'esercizio delle funzioni di raccordo incidono in maniera rilevante le modifiche apportate dalla riforma costituzionale al titolo V, che segnano nel loro complesso un riaccentramento delle competenze. Se larga parte delle modifiche appare confermativa e rafforzativa di orientamenti già emersi nella Pag. 90 giurisprudenza costituzionale, quest'ultima appare destinata ad essere superata proprio in alcune sue statuizioni relative al principio di leale collaborazione su cui si è sinora fondato il coinvolgimento delle conferenze, nella forma più pregnante dell'intesa, nelle grandi scelte strategiche per il Paese.
Per l'individuazione delle funzioni attribuite alle conferenze che devono essere traslate al nuovo Senato, è stata proposta la tradizionale distinzione tra funzioni di carattere legislativo e funzioni di carattere amministrativo: le prime dovrebbero essere trasferite al Senato, mentre le seconde resterebbero di competenza delle conferenze.
Se appare condivisibile l'assunto che la funzione consultiva svolta dalle conferenze nell'ambito dei procedimenti legislativi debba ritenersi assorbita dal ruolo del Senato nel procedimento legislativo delineato dal nuovo art. 70 Cost., il riferimento alle funzioni di carattere amministrativo non sembrerebbe sufficiente per tracciare una linea di demarcazione.
Queste funzioni riguardano un ambito vastissimo di atti, spaziando da decisioni di assoluto rilievo politico direttamente incidenti sulla vita dei cittadini (basti pensare al Patto per la salute) alla partecipazione ad atti di carattere microsettoriale o riferiti a singoli enti.
In tal caso gli atti di maggior rilievo politico, in cui si concretano scelte o indirizzi che incidono sui diritti dei cittadini o sulla vita economica del Paese (si pensi ai grandi piani infrastrutturali, al già citato Patto per la salute, ai piani sociali di rilievo nazionale) dovrebbero essere riservati alla sede parlamentare e quindi al Senato. In questa sede potrà inoltre essere garantita la necessaria trasparenza degli atti e delle procedure, spesso carente nell'ambito delle conferenze.
Le conferenze continuerebbero quindi ad adottare gli atti più propriamente amministrativi e tecnici, a cui meglio si attaglia quella flessibilità delle procedure che le caratterizza e che garantisce quell'informalità talora necessaria per addivenire ad una posizione condivisa.
Nulla impedisce – e sembrerebbe anzi auspicabile – che atti unitari possano essere affidati al Senato per ciò che attiene alla determinazione degli indirizzi generali e rimessi alle Conferenze per i profili amministrativi meramente attuativi e tecnici.
In tal modo sia il Senato che le Conferenze svolgerebbero un ruolo volto alla ricomposizione degli interessi statali e territoriali, agendo il primo nel campo della mediazione politico-istituzionale e le seconde sul piano più propriamente amministrativo ed attuativo.
Come è evidente, i due piani non sono impermeabili tra loro, sono anzi necessariamente comunicanti, dovendosi assicurare nelle due sedi una concorde rappresentazione degli interessi degli enti territoriali. In caso contrario, l'intero sistema rischierebbe di arenarsi, riproponendo distorsioni che con l'introduzione del bicameralismo differenziato dovrebbero essere superate.
Dall'indagine conoscitiva sono emersi molti spunti che inducono a puntare su una sinergia tra il nuovo Senato e le conferenze.
Al fine di realizzare questa sinergia, possono prospettarsi due diverse soluzioni, suscettibili anche di operare congiuntamente.
In primo luogo, potrebbe essere riconosciuta in Senato la presenza degli esecutivi regionali, prevedendo la partecipazione, oltre che del Pag. 91 rappresentante del Governo nazionale anche di un rappresentante dei Governi regionali, espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (e dunque dalla conferenza orizzontale).
Se la presenza del Governo nazionale è espressamente mantenuta in Costituzione (art. 64 Cost.), nulla esclude che il Regolamento del Senato disciplini quella dei Governi delle Regioni. In tal modo parrebbe anche superata la questione della presenza di diritto dei Presidenti, in quanto la posizione degli esecutivi regionali troverebbe un riconoscimento formale.
Questa soluzione avrebbe il pregio di garantire un confronto diretto ed immediato, nella dialettica del procedimento parlamentare, tra Governo centrale ed autonomie territoriali, rendendo chiari fin da subito punti di incontro e punti di divergenza e agevolando la ricerca di soluzioni condivise.
In secondo luogo, appare condivisibile l'idea di una istituzionalizzazione dei rapporti tra Senato e conferenze, da realizzare anche, nella sua forma più compiuta, con l'incardinamento delle stesse presso il Senato.
Attraverso questo rapporto diretto, si assicurerebbe la formazione di un orientamento comune del Senato e delle conferenze, evitando l'assunzione di posizioni contrastanti, a detrimento della capacità del sistema di recepire, rappresentare e far valere le esigenze dei territori.
Questa istituzionalizzazione dei rapporti dovrebbe interessare tanto le conferenze intergovernative quanto le conferenze orizzontali, con forme e modalità naturalmente differenziate che tengano conto della diversa natura di questi soggetti.
L'intervento richiederebbe, per le conferenze intergovernative, l'adeguamento – che peraltro dovrebbe avvenire con legge ad approvazione monocamerale – della legislazione in materia, che dovrebbe operare una razionalizzazione delle stesse ed il superamento del loro incardinamento presso la Presidenza del Consiglio.
La disciplina dei rapporti tra il nuovo Senato e le conferenze spetterà invece al Regolamento del Senato.
Se appare opportuno valorizzare il rapporto anche con le conferenze orizzontali, più problematico appare il riconoscimento nel Senato delle posizioni degli enti locali, per i quali si riscontra un problema di rappresentatività. Su questo punto le soluzioni possono essere diverse: può essere considerata come punto di riferimento la componente rappresentativa degli enti locali in seno alla Conferenza unificata (riformata), può essere riconosciuto un ruolo alle associazioni rappresentative degli stessi, che però hanno carattere privatistico, può essere valorizzata la posizione dei 21 senatori-sindaci, che potrebbero farsi congiuntamente portatori degli interessi degli enti locali medesimi.
Le soluzioni delineate potranno consentire al Senato di operare compiutamente quale Camera politica di rappresentanza delle istituzioni territoriali e di svolgere pienamente le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
(1) Art.11. – «1. Sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. 2. Quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all'introduzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svolto l'esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l'Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti».
(2) In proposito, si rammenta che anche la riforma costituzionale in itinere non fa menzione del «sistema delle conferenze».
(3) Con riferimento alle modalità con cui è definito l'ordine del giorno, delle Conferenze, tale compito è attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri o al ministro delegato. In proposito, si registra tuttavia nella prassi una sostanziale codecisione attraverso il coinvolgimento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
Quanto alle modalità di votazione, così come peraltro di verbalizzazione dei lavori, esse sono prevalentemente demandate alla prassi. In Conferenza Stato-Regioni, le Regioni non esercitano il voto singolarmente e la posizione delle stesse, precedentemente raggiunta in Conferenza dei Presidenti delle Regioni, è infatti rappresentata da un portavoce. Con riferimento infine alle convocazioni: i) la legge n. 400 del 1988 prevede che la Conferenza Stato-Regioni sia convocata dal Presidente del Consiglio dei ministri almeno ogni sei mesi, e in ogni altra circostanza in cui il Presidente lo ritenga opportuno, tenuto conto anche delle richieste dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome; ii) il decreto legislativo n. 281 del 1997 dispone che la Conferenza Stato-città e autonomie locali sia convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessità o qualora ne faccia richiesta il Presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM; iii) la legge n. 234 del 2012, più recentemente, ha stabilito che il Presidente del Consiglio dei Ministri convochi almeno ogni quattro mesi (in precedenza sei mesi), o su richiesta delle Regioni e delle Province autonome, una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche dell'Unione europea di interesse regionale e provinciale (art. 22), e che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei convochi, d'intesa con il Ministro dell'interno, almeno due volte l'anno, o su richiesta del Presidente dell'ANCI, del Presidente dell'UPI o del Presidente dell'UNCEM, una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche dell'Unione europea di interesse degli enti locali.
(4) La materia è stato oggetto di diversi ordini del giorno nel corso dell'esame in prima lettura presso la Camera dei deputati, che sono stati accolti dal Governo:
l'ordine del giorno Dorina Bianchi n. 6, che prevede una riforma del sistema delle Conferenze, riconoscendo allo stesso esclusivamente attività di natura tecnica, amministrativa e gestionale;
l'ordine del giorno Paglia n. 41, che prevede una ridefinizione del ruolo della Conferenza Stato-Regioni alla luce della riforma del Senato;
l'ordine del giorno Lattuca n. 48, che prevede anch'esso un adeguamento del "sistema delle conferenze" alla presenza di una seconda Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali.
(5) Il Comitato delle regioni – istituito dal Trattato di Maastricht – è un organo consultivo dell'Unione europea, composto da rappresentanti degli enti territoriali presenti negli Stati membri, che opera affinché le esigenze e l'orientamento dei medesimi enti siano rappresentati nell'ambito del procedimento legislativo concernente atti afferenti ai settori di interesse dell'amministrazione locale e regionale. Quest'ultimo è un organismo che formula pareri potenzialmente su tutta la legislazione europea, pareri di cui poi il legislatore europeo deve tenere conto, non fosse altro in termini di motivazione dell'eventuale mancato recepimento.