Sulla pubblicità dei lavori:
Lainati Giorgio , Presidente ... 3
Audizione di rappresentanti dell'A.P.T. - Associazione Produttori Televisivi:
Lainati Giorgio , Presidente ... 3
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 3
Lainati Giorgio , Presidente ... 6
Airola Alberto ... 6
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 7
Lainati Giorgio , Presidente ... 8
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 8
Lainati Giorgio , Presidente ... 8
Anzaldi Michele (PD) ... 8
Lainati Giorgio , Presidente ... 8
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 8
Airola Alberto ... 8
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 8
Airola Alberto ... 8
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 8
Lainati Giorgio , Presidente ... 9
Leone Giancarlo , presidente dell'Associazione produttori televisivi ... 9
Lainati Giorgio , Presidente ... 9
Lupi Maurizio (AP-CpE-NCD) ... 9
Lainati Giorgio , Presidente ... 9
Lupi Maurizio (AP-CpE-NCD) ... 9
Lainati Giorgio , Presidente ... 9
Audizione di rappresentanti di Confindustria Radio Televisioni:
Lainati Giorgio , Presidente ... 9
Selli Stefano , vicepresidente di Confindustria Radio Televisioni ... 9
Lainati Giorgio , Presidente ... 12
Ca’ Zorzi Carlotta , Confindustria Radio Televisioni ... 12
Lainati Giorgio , Presidente ... 13
Airola Alberto ... 13
Anzaldi Michele (PD) ... 13
Selli Stefano , vicepresidente di Confindustria Radio Televisioni ... 13
Ca’ Zorzi Carlotta , Confindustria Radio Televisioni ... 14
Lainati Giorgio , Presidente ... 15
Audizione di rappresentanti di Donne in quota e di Rete per la parità:
Lainati Giorgio , Presidente ... 15
Martini Donatella , presidente di DonneinQuota ... 15
Lainati Giorgio , Presidente ... 17
Oliva Rosa , presidente di Rete per la Parità ... 17
Lainati Giorgio , Presidente ... 20
Nesci Dalila (M5S) ... 20
Martini Donatella , presidente di DonneinQuota ... 21
Lainati Giorgio , Presidente ... 21
Audizione della presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai:
Lainati Giorgio , Presidente ... 21
Maggioni Monica , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 21
Lainati Giorgio , Presidente ... 24
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 24
Lainati Giorgio , Presidente ... 26
Gasparri Maurizio ... 26
Lainati Giorgio , Presidente ... 27
Airola Alberto ... 27
Lainati Giorgio , Presidente ... 28
Airola Alberto ... 28
Lainati Giorgio , Presidente ... 28
Airola Alberto ... 28
Lainati Giorgio , Presidente ... 28
Airola Alberto ... 28
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 29
Lainati Giorgio , Presidente ... 29
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 29
Airola Alberto ... 29
Lainati Giorgio , Presidente ... 29
Airola Alberto ... 29
Lainati Giorgio , Presidente ... 29
Airola Alberto ... 29
Lainati Giorgio , Presidente ... 29
Airola Alberto ... 29
Lainati Giorgio , Presidente ... 30
Airola Alberto ... 30
Lainati Giorgio , Presidente ... 30
Verducci Francesco ... 30
Lainati Giorgio , Presidente ... 31
Crosio Jonny ... 31
Lainati Giorgio , Presidente ... 32
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD) ... 32
Maggioni Monica , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 32
Nesci Dalila (M5S) ... 32
Lupi Maurizio (AP-CpE-NCD) ... 33
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 34
Lupi Maurizio (AP-CpE-NCD) ... 34
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 34
Lupi Maurizio (AP-CpE-NCD) ... 34
Lainati Giorgio , Presidente ... 34
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 34
Lainati Giorgio , Presidente ... 34
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 34
Maggioni Monica , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 36
Lainati Giorgio , Presidente ... 38
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 38
Airola Alberto ... 38
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 38
Airola Alberto ... 38
Lainati Giorgio , Presidente ... 38
Orfeo Mario , direttore generale della Rai ... 38
Lainati Giorgio , Presidente ... 38
(La seduta, sospesa alle 12.35, è ripresa alle 12.45) ... 38
Audizione di rappresentanti di rappresentanti di UsigRai, Adrai, Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl-Telecomunicazioni, Snater, Libersind. ConfSal e Fistel-Cisl:
Lainati Giorgio , Presidente ... 38
Di Trapani Vittorio , segretario di UsigRai ... 39
Lainati Giorgio , Presidente ... 43
Airola Alberto ... 43
Verducci Francesco ... 44
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD) ... 45
Lainati Giorgio , Presidente ... 46
De Luca Alessio , Slc Cgil ... 46
Lainati Giorgio , Presidente ... 48
Bulletti Ottavi Antonio , Uilcom-Uil ... 48
Cuppoletti Marco , Libersind Conf Sal ... 49
Lainati Giorgio , Presidente ... 49
Cuppoletti Marco , Libersind Conf Sal ... 49
Lainati Giorgio , Presidente ... 50
Pellegrino Piero , Snater ... 50
Lainati Giorgio , Presidente ... 51
Di Trapani Vittorio , segretario di UsigRai ... 51
Lainati Giorgio , Presidente ... 52
Di Trapani Vittorio , segretario di UsigRai ... 53
Lainati Giorgio , Presidente ... 53
(La seduta, sospesa alle 13.50, è ripresa alle 14.45) ... 53
Audizione di rappresentanti dell'Ordine nazionale dei giornalisti:
Lainati Giorgio , Presidente ... 53
Verna Carlo , presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti ... 53
Lainati Giorgio , Presidente ... 55
Verna Carlo , Presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti ... 55
Lainati Giorgio , Presidente ... 55
Verna Carlo , presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti ... 55
Lainati Giorgio , Presidente ... 56
Verna Carlo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 56
Lainati Giorgio , Presidente ... 56
Anzaldi Michele (PD) ... 56
Nesci Dalila (M5S) ... 57
Verna Carlo , presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti ... 57
Lainati Giorgio , Presidente ... 59
Nesci Dalila (M5S) ... 59
Anzaldi Michele (PD) ... 59
Verna Carlo , presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti ... 59
Lainati Giorgio , Presidente ... 59
Anzaldi Michele (PD) ... 59
Verna Carlo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 60
Lainati Giorgio , Presidente ... 60
Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella:
Lainati Giorgio , Presidente ... 60
Pitruzzella Giovanni , presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 60
Lainati Giorgio , Presidente ... 62
Pitruzzella Giovanni , presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 62
Lainati Giorgio , Presidente ... 62
Nesci Dalila (M5S) ... 62
Pitruzzella Giovanni , presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 62
Lainati Giorgio , Presidente ... 63
Pitruzzella Giovanni , presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 63
Lainati Giorgio , Presidente ... 63
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIORGIO LAINATI
La seduta comincia alle 9.15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Comunico, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della nostra Commissione, che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti dell'A.P.T. - Associazione Produttori Televisivi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A., per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), di rappresentanti dell'A.P.T.-Associazione Produttori Televisivi.
Sono presenti il presidente, Giancarlo Leone, e il direttore generale Chiara Sbarigia, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola al dottor Leone, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere a lui, al termine del suo intervento, e alla dottoressa Sbarigia domande e richieste di chiarimento.
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. Vi ringrazio. Sarò sintetico, come mi è stato richiesto, ragion per cui entro subito nel merito dell'audizione, non prima, però, di aver ringraziato la Commissione per questa importante opportunità.
Il sistema televisivo, come sappiamo, è sempre più multimediale e multicanale e il ruolo delle opere audiovisive – è questo il tema che svolgerò – è sempre più centrale e indispensabile, perché consiste nella produzione certamente dei contenuti cosiddetti premium, cinema e serialità, ma con importanti certezze che provengono anche dalle animazioni e da documentari. Questo ruolo viene svolto in modo quasi esclusivo dai produttori indipendenti. In Italia, come in tutto il mondo, essi svolgono un decisivo compito di produrre contenuti di qualità e di innovazione per un'offerta certamente completa e sempre crescente sulla televisione gratuita a pagamento e on demand. Il ruolo delle televisioni è fondamentale soprattutto nella produzione di contenuti di informazione, di contenitori e di molti altri prodotti, ma nella maggior parte dei casi in Italia, come in tutto il mondo, questo tipo di contenuti è sostanzialmente assicurato dalla produzione indipendente.
Mentre la regolamentazione generale del settore proviene da alcune norme primarie, tra cui il TUSMAR e il recente decreto sul tax credit, certamente, in questo caso, il contratto di servizio che è stato finora approvato tra il Mise e la Rai viene sottoposto al vostro importante esame obbligatorio, anche se non vincolante, ma sappiamo che le vostre decisioni avranno sicuramente un peso su ciò che poi le parti decideranno.
Ho fatto parte in passato di quasi tutte le delegazioni della Rai che hanno negoziato Pag. 4 i precedenti contratti fin dal 1994, a volte anche con compiti di coordinamento. Pertanto, ne conosco bene la struttura e ne riconosco in parte anche la genesi. Nella nuova veste di presidente dell'Associazione produttori televisivi, avendo lasciato Rai quasi un anno fa, ho colto molti segnali importanti nel testo che consentono certamente una nuova visione e prospettive importanti per il servizio pubblico radiotelevisivo multimediale. Oggi entrerò esclusivamente nei temi attinenti allo sviluppo dell'audiovisivo. Mi farebbe piacere parlare anche di altro, ma ovviamente non è questo il tema, che necessita di regole coerenti con il rilancio del settore produttivo e culturale. Il cinema, la fiction – termine magari improprio, che racchiude prodotti di serialità – miniserie, tv movie, documentari e animazione sono la linfa vitale del servizio pubblico. Ricordo che soltanto Rai 1, la rete principale, trasmette mediamente tre prime serate a settimana proprio di serialità. Esse dovrebbero trovare una fonte di regolamentazione sempre più equa, trasparente e non discriminatoria, non dimenticando comunque anche l'intrattenimento.
Ricordo che vi sono format e linguaggio script dell'intrattenimento che spesso assolvono anch'essi compiti di servizio pubblico, sebbene non pienamente riconosciuti. Nel testo esaminato, però, la regolamentazione prevista può trovare ampi margini di miglioramento e di modifica. Ho letto, infatti, pochi progressi in questo testo rispetto a quello precedente, che è di nove anni fa, alcuni passi indietro e anche alcuni disallineamenti con la convenzione da cui discende l'obbligo del contratto, almeno nel settore dell'audiovisivo.
Partiamo proprio da questo. La convenzione stabilisce, per esempio, che l'adeguato sostegno allo sviluppo dell'industria nazionale dell'audiovisivo passi dalla definizione – lo dice la convenzione – tramite il contratto di servizio della durata e degli ambiti dei diritti di sfruttamento televisivo e multimediale dei prodotti negoziabili della società concessionaria. La convenzione è recente, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 5 maggio scorso, dunque pochi mesi fa e stabilisce che tra gli obblighi del concessionario del servizio pubblico siano previste regole d'ingaggio chiare e oggettive, che sono sinonimi trasparenza e di equità, sulla durata e gli ambiti dei diritti, ma non vi sono tracce di questa indicazione nel testo del contratto.
L'articolo 23, comma 1, lettera f), intitolato «Industria dell'audiovisivo», si limita, infatti, a riportare le quote di investimento previste nel contratto di nove anni fa, salvo ovviamente prevedere il recepimento della norma primaria, ossia la revisione dell'articolo 44 del TUSMAR, attualmente in fase di approvazione da parte del Governo, credo domani. Si limita, inoltre, a chiarire le nuove modalità di presentazione dei progetti, di redazione dei budget e di procedura di certificazione. Non mi sfugge che la coincidenza della stesura del testo con il decreto legislativo che è in fase di approvazione da parte del Consiglio dei ministri abbia in qualche modo toccato questo punto e che, quindi, ne abbia impedito magari una scrittura più attenta. Comunque, come dicevo prima, non si è entrati nel merito di quanto la convenzione ha stabilito. Infatti, l'articolo 2, comma 2, lettera c) del contratto, alla voce «Princìpi generali», prevede genericamente interventi in grado di valorizzare il sistema culturale creativo dei talenti e di supportare la crescita dell'industria dell'audiovisivo sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo, senza però citare in alcun modo le produzioni indipendenti. Chi dovrebbe supportare la Rai, quando si parla di industria dell'audiovisivo? Come dicevo prima, invece, l'articolo 23 omette il dettaglio fondamentale della durata e dell'ambito dei diritti. Da qui deriva il nostro giudizio critico, ma anche, ovviamente, propositivo.
Le proposte che illustrerò non devono impedirci di ricordare, però, che con Rai sono stati fatti importanti passi avanti grazie a un eccellente lavoro svolto dal broadcaster pubblico insieme ai produttori. Cito, in particolare, alcune aree della Rai che si sono prodigate, come Rai Fiction, Rai Cinema, risorse televisive e affari legali. Siamo di fronte a un'azienda che nei confronti della produzione ha avuto sempre un atteggiamento fortemente responsabile. Rai Pag. 5ha fatto certamente molto per la generazione di valore nel campo dei contenuti multimediali e dell'industria dell'audiovisivo: questo va riconosciuto con convinzione e sarebbe ingeneroso e ingiusto non farlo. Senza un servizio pubblico forte, che ha investito molto e ha rispettato le quote, non esisterebbe un sistema produttivo altrettanto forte, ma sono ancora sul tappeto temi rilevanti, tra cui il miglioramento delle condizioni generali di contratto, lo snellimento delle procedure, la necessaria pianificazione annuale e pluriennale delle produzioni, la limitazione temporale dei diritti e la loro valorizzazione nell'intera e sempre più ampia filiera che comprende ormai piattaforme diversificate.
Questi temi andrebbero affrontati. Sono certo che questa Commissione tenderà quantomeno a esaminarli e a cercare di risolverli in modo responsabile e fattivo. Vediamoli brevemente nel dettaglio, cominciando dalla pianificazione.
L'associazione che presiedo chiede che venga espressamente previsto l'obbligo per Rai di approvare annualmente – questo avveniva fino a pochi anni fa – i Piani di produzione di fiction e anche di cinema, analogamente a quanto già avviene in Rai per i Piani annuali di produzione e trasmissione per la cosiddetta utilità immediata. Senza questa semplice ed equa misura, ossia il Piano annuale, non vi sarà la possibilità per Rai e per i produttori indipendenti di percorrere in modo virtuoso la strada di una pianificazione industriale in tempi congrui e corretti. Tutto ciò produrrebbe anche un importante segnale di trasparenza e di rispetto per imprese che hanno una presenza rilevante sul mercato internazionale, ma con modalità di approvazione, sviluppo e produzione di contenuti disallineate rispetto alle reali necessità.
La limitazione temporale dei diritti è prevista dalla normativa europea e deve essere chiaramente prevista nei contratti. È una forma di salvaguardia del prodotto delle realtà imprenditoriali, costituisce una garanzia per chi investe e per chi produce, impedisce l'ormai abolita pratica dell'appalto e contribuisce allo sviluppo dell'industria dell'audiovisivo.
Dunque, proponiamo che venga chiaramente indicata – lo chiede anche la convenzione – la necessità di questa previsione nei contratti, il che già avviene in molti casi, con un limite temporale che si attesti, però, sui cinque anni modulabili a seconda delle tipologie contrattuali.
Quando la convenzione scrive di durate e ambiti di diritti, si riferisce, infatti, non soltanto alla limitazione temporale, ma anche alla valorizzazione dell'intera filiera dei diritti disponibili, da quelli primari ai cosiddetti diritti secondari e via elencando. Stiamo parlando oggi di una vasta filiera, che comprende sempre più soggetti importanti, una filiera che trova titolarità da parte dei produttori, che altrimenti si trovano a operare in condizioni negoziali tali da dover cedere i diritti di cui dovrebbero legittimamente essere titolari. Stiamo parlando di pay tv, pay per view, video on demand, della cosiddetta SVOD e del TVOD, della catch-up TV, del free video on demand, dei diritti di advertising, dell’home video, dei diritti theatrical e dei diritti internazionali, e non li ho citati tutti. Quale occasione migliore del contratto di servizio per ribadire che ogni singolo diritto necessita della sua adeguata e corretta valorizzazione e che il servizio pubblico deve poter lasciare alla disponibilità dei produttori, qualora ne facciano espressa richiesta nel corso della negoziazione, quei diritti che non sono nella disponibilità trasmissiva della Rai, per esempio i diritti pay e VOD e che comunque vengano equamente e singolarmente riconosciuti e valorizzati? Sia chiaro che Rai non agisce senza considerare questi diritti, che però hanno necessità di un maggior riconoscimento e titolarità.
Aggiungo ancora alcune brevi considerazioni. Il documentario è un genere sempre più qualificato nelle strategie editoriali e delle piattaforme, ma è palesemente lontano dall'essere riconosciuto in Italia come tale proprio da parte dei broadcaster, a partire anche da quello pubblico, in termini di investimento e di qualificazione editoriale e di politiche di palinsesto.
Avanzo due proposte. La prima si riferisce all'articolo 23, comma 1, lettera f), Pag. 6laddove si stabilisce una percentuale non inferiore al 4 per cento per produzione e acquisto di documentari italiani ed europei, senza però – piccola dimenticanza – alcun cenno ai produttori indipendenti. Nel testo vigente, invece, quello attuale, si parla anche di produttori indipendenti. Abbiamo fatto, quindi, un passo indietro, anziché un passo avanti. Il tempo trascorso e gli sviluppi del mercato dovrebbero prevedere il suo reintegro totale. Dunque, la proposta è che la quota di investimento si riferisca, per quanto riguarda i documentari, ai produttori indipendenti. Un altro auspicio è che Rai, sebbene la televisione non possa essere contenuta – me ne rendo conto – nel contratto, si doti finalmente di una direzione documentari analogamente a quanto avviene per cinema, fiction e la stessa animazione, che è all'interno della direzione Rai Ragazzi. Questa direzione dovrebbe essere un punto di riferimento per l'azienda innanzitutto, frammentata sul genere e senza una visione strategica budgettaria, e per il vasto e importante sistema della produzione indipendente, che ha un potenziale di sviluppo straordinario, ma non ha interlocutori certi. Ricordo che la direzione documentari non la propongo soltanto oggi come presidente dell'Associazione produttori televisivi, ma ho avuto modo di proporla per molto tempo quando ho svolto incarichi di rilievo anche in azienda.
Infine, c'è il tema del computo degli investimenti. Se la ratio della legge a partire dal TUSMAR e dalle modifiche in corso è quella di far convergere investimenti sul prodotto audiovisivo, che sia cinema, serialità, TV movie, animazione o documentari, sarebbe certamente corretto, come è nella prima parte del comma 2 dell'articolo 23, considerare come investimenti gli importi corrisposti a terzi per l'acquisto di diritti e per i costi di produzione, coproduzione per acquisto.
La citazione, analoga al testo vigente, per cui per investimento si intendono anche i costi di promozione e distribuzione ci lascia alquanto perplessi, nella convinzione che possa trattarsi di una voce che si presta a una valorizzazione discutibile nella forma e nella sostanza e a una riduzione degli investimenti diretti sul prodotto. Proponiamo, pertanto, di non inserire queste due voci, cioè promozione e distribuzione, nella configurazione di costo degli investimenti in audiovisivo.
In conclusione, faccio un appello, che non si riferisce al contratto di servizio, ma è più generale, affinché il Governo individui i possibili percorsi, data l'importanza dell'investimento Rai nell'intero settore, per attenuare l'effetto dell'extra gettito che proviene dal canone in bolletta e che ritorna allo Stato oggi nella misura del 50 per cento, di fatto impedendo a Rai di avere risorse, dal nostro punto di vista, adeguate per concorrere meglio alla valorizzazione dell'intero sistema delle opere europee, italiane e non soltanto.
Sappiamo che la diminuzione del canone, una volta inserito in bolletta, da 113 a 90 euro ha sostanzialmente congelato l'effetto positivo che avrebbe dovuto avere proprio la mancata evasione. Da questo punto di vista il nostro auspicio è che la certezza di risorse su cui Rai può far conto a partire dagli anni prossimi possa anche essere aiutata e favorita dalla diminuzione, se non dall'eliminazione, del ritorno dell'extra gettito allo Stato.
PRESIDENTE. Grazie, dottor Leone. La ringrazio molto. L'hanno ascoltata, oltre ai colleghi, anche i due relatori del nostro parere, l'onorevole Nesci e il Presidente Lupi. Penso che abbiano colto, in particolare, la sua sottolineatura sulla questione, che ci è molto cara, dei produttori indipendenti. Non voglio, però, sottrarre tempo. Lei è stato, peraltro, chiarissimo e ha indicato anche alcune richieste di sottolineatura da parte dell'associazione che presiede.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALBERTO AIROLA. Presidente, grazie di essere qui. Ci siamo già visti recentemente e ho apprezzato molto anche le vostre posizioni sul provvedimento del rilancio dell'audiovisivo in Europa. Mi interesserebbe Pag. 7 parlare, oltre che della pianificazione pluriennale, che mi sembra doverosa, proprio perché è una richiesta che hanno fatto altri stakeholder e altri fornitori Rai, dell'obbligo previsto di approvare annualmente il piano di produzione.
Su questo, per esempio in relazione al documentario, mi è stata chiesta più volte la possibilità di avere anche più che annualmente un piano. Progetti documentaristici che durano tre o quattro anni come minimo necessitano di un appoggio della Rai maggiore, soprattutto per quanto riguarda la coproduzione. Non si sta parlando di milioni di euro. Si parla di pochi «spiccioli», che poi vengono, però, ben sfruttati per trovare altri coproduttori internazionali.
Quanto alla direzione documentaristica, penso sia anche questa una cosa molto importante, ma moltissimi si sono lamentati del fatto che mancano dei riferimenti in Rai. Uno arriva in Rai con un progetto e, o è accompagnato dall'amico della Rai, che gli porta... Sulla questione delle quote le volevo chiedere se il 4 per cento – non ho ben capito – le sembra poco o se chiede di più.
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. Il tema della pianificazione annuale e pluriennale è, come lei sottolineava, decisivo. Ricordo che Rai approva ogni anno – lo fa per legge, perché è previsto dalla norma primaria – un piano di produzione e trasmissione annuale, il quale contiene sostanzialmente i budget dell'azienda. Nel dettaglio ci sono i programmi di utilità immediata. L'immediata, a differenza della ripetuta, riguarda i programmi di intrattenimento e di informazione e non cinema e fiction. Il costo è complessivo. Comprende anche questi costi, ma senza alcun dettaglio.
Fino a qualche anno fa Rai approvava anche il piano annuale della fiction e anche Rai Cinema, sebbene sia una società esterna, aveva altre modalità, ma sempre molto chiare. Forse le ha ancora. Da qualche anno Rai non fa più il piano annuale delle fiction. Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che non vi è alcuna certezza di pianificazione di produzioni tra Rai e produttori. Sappiamo che la fiction, a differenza di un programma di utilità immediata, non si fa in poche settimane o in pochi mesi. Ha bisogno di almeno un anno di preparazione e di produzione. Dunque, è corretto, trasparente ed equo che Rai e il mercato riconoscano idonei strumenti di pianificazione. Per quale motivo non si fa più questo piano di produzione della fiction? Credo che Rai potrà, da questo punto di vista, spiegarvelo. Non sta a me. Credo non sia corretto che sia io a dirlo. Credo, però, che questo consenta a Rai, tanto più se è pluriennale, il grande vantaggio di poter pianificare con certezza e anche di avere probabilmente dei vantaggi di natura economica, perché, più si pianifica in tempo, più si possono fare risparmi ed economie. Diventa necessario e fondamentale anche per i produttori, i quali non possono vivere di incertezza nel momento in cui sono i principali fornitori della Rai.
Per quanto riguarda i documentari, non si tratta tanto di fare un piano di produzione annuale o pluriennale. Si tratta di avere intanto un luogo dove tutto questo possa essere deciso. Se oggi un produttore di documentari vuole proporre un suo progetto alla Rai, per la verità, non sa dove andare. Non c'è un luogo. Rai Cinema ha una parte di budget che si occupa di documentari, le reti si occupano documentari, ma nessuno di loro ha questa come finalità, tantomeno un budget dedicato. È una ricerca estrema e spericolata per trovare canali e clienti interessati a un prodotto che non è un prodotto di nicchia, ma è un prodotto fondamentale. Ricordo che in tutto il mondo il documentario sta crescendo come qualità e come genere. L'individuazione di un budget e di un luogo certificato che sia il punto di riferimento della produzione esterna, ma anche interna – i canali, che sono poi quelli che lo utilizzano – sia una cosa saggia, minima, equa, corretta e trasparente per una grande azienda come la Rai.
Con riguardo al 4 per cento, non discutevo se la quota fosse equa o meno. È sempre stata questa. Non siamo qui per presentare proposte diverse. Segnalo che nel contratto di servizio vigente si dice che Pag. 8questa quota del 4 per cento può essere investita anche con i produttori indipendenti. Nell'attuale testo sono scomparsi proprio i produttori indipendenti. Propongo, quindi, dati il tempo e l'importanza di tutto ciò che, ferma restando la quota del 4 per cento, siano citati espressamente i produttori indipendenti come contraenti rispetto a questo genere.
PRESIDENTE. Grazie, presidente. Avevo sottolineato prima questa importante sua indicazione per quanto riguarda i produttori indipendenti. Ripeto, penso che sia la collega Nesci, sia l'onorevole collega Lupi troveranno un punto di sintesi per reinserire il riferimento. Poiché apprezzo questo richiamo che ha fatto più volte il senatore Airola sulla questione dei documentari, perché ha perfettamente ragione e sono d'accordo con lui su questa sottolineatura, volevo chiederle una cosa. Per esempio, nel contesto di un programma molto bello come quello che fa Alberto Angela, che si chiama Ulisse. Il piacere della scoperta, presumo utilizzi materiale quasi da Discovery Channel, in qualche misura. Quello, però, è un contenitore documentaristico di grande eccellenza per la Rai. Non so che ne pensa lei.
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. Lei ha citato uno degli esempi principali e maggiori di grande qualità della Rai. Figuriamoci, Alberto Angela, così come Piero Angela, sono una garanzia totale per l'azienda. Stiamo parlando di alcuni episodi importantissimi, ma che non possono costituire una strategia intera per l'azienda. Stiamo anche parlando spesso di documentari di acquisto a livello internazionale. Il ruolo dei produttori indipendenti nazionali, da questo punto di vista, non sempre viene espresso.
PRESIDENTE. Grazie. Credo di avere stimolato con la mia domanda.
MICHELE ANZALDI. Presidente, grazie. Mi ha stimolato. Se non sbaglio, quella di Angela non è una produzione tutta esterna?
PRESIDENTE. Stiamo ponendo al nostro ospite domande per il ruolo che ha avuto precedentemente. Comunque, la prego.
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. Rai potrà dirvelo meglio, ma, per le mie memorie, fino a che ero in Rai, era una opposizione interna Rai sia quella di Piero, sia quella di Alberto Angela. Credo che su questo Rai potrà essere più chiara.
Un conto, però, è il contenitore, che si tratti di Ulisse, di altri prodotti o di Superquark, un conto sono i contenuti all'interno del contenitore. Questi contenuti documentaristici sono spesso di acquisto a livello internazionale. Sono due cose diverse. All'interno di un programma prodotto da Rai vi è, naturalmente, trattandosi molto del mondo dei documentari, l'acquisto di produzioni esterne.
ALBERTO AIROLA. Vorrei una precisazione. Questo è un modo per aggirare le quote, per caso, o risulta come tale?
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. No, assolutamente no. La quota di documentario che è all'interno di un programma come quello di Alberto Angela viene considerata correttamente...
ALBERTO AIROLA. Non parlo di Alberto Angela. Parlo dell'attitudine ad acquistare programmi venduti poi come documentari sul mercato audiovisivo.
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. Se un documentario è prodotto in Europa, non è un modo per aggirare le quote. Ritengo, però, che l'attuale contratto di servizio, tanto più questo di oggi, attribuendo un ruolo marginale ai produttori indipendenti, quando parla di «anche» nell'attuale – in questo addirittura non ne parla proprio – non consente la crescita di un settore che ha prodotto (faccio l'esempio del cinema, da Fuocoammare a tanti altri esempi) una cultura e una qualità straordinarie. Rai ha tutte le possibilità e le potenzialità di essere Pag. 9volano di questo sistema e di mettersi al fianco delle produzioni indipendenti nazionali e internazionali, creando una nuova strategia. Ci vuole poco. Ci vuole soltanto la voglia di farlo. Credo e mi auguro che la Rai approfitterà di questa occasione. Certamente, come sempre succede, se viene sollecitata dalla vostra Commissione o se addirittura troverà inserita nel testo del contratto di servizio una previsione ad hoc, tutto questo sarà più realizzabile.
PRESIDENTE. La ringrazio molto, Presidente Leone, e le chiedo se, qualora lei volesse, può far avere un testo.
GIANCARLO LEONE, presidente dell'Associazione produttori televisivi. Invierò tra qualche ora il testo che ho svolto.
PRESIDENTE. Scusi, c'è una domanda del Presidente Lupi.
MAURIZIO LUPI. Non essendo esperto, non faccio domande, ma in questo momento ascolto.
PRESIDENTE. Però è il relatore.
MAURIZIO LUPI. Infatti. Credo di avere una lievissima esperienza da questo punto di vista. Era esattamente questo che volevo dire, oltre che ringraziarla, ovviamente. Ci sono molto utili le audizioni per ricevere contributi partendo non dall'esterno, ma dall'interno e dialogando con i soggetti coinvolti, con gli attori primi o con coloro che ne discendono, attivi o passivi, rispetto al contratto che stiamo esaminando. Il contributo anche puntuale che lei e voi ci vorrete mandare dalla vostra associazione sarà utilissimo per sviluppare la discussione all'interno della Commissione di vigilanza e l'espressione dei pareri sia del relatore di maggioranza, sia di quello di minoranza.
Volevo ringraziarvi.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Lupi.
Ringrazio il presidente e la direttrice generale dell'Associazione produttori televisivi per la loro presenza e dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di rappresentanti di Confindustria Radio Televisioni.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A., per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), di rappresentanti di Confindustria Radio Televisioni.
Sono presenti il vicepresidente Stefano Selli, il direttore generale Rosario Alfredo Donato e la dottoressa Carlotta Ca’ Zorzi, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola al dottor Selli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere a lui, al termine del suo intervento, e agli altri componenti di Confindustria Radio Televisioni domande e richieste di chiarimento.
STEFANO SELLI, vicepresidente di Confindustria Radio Televisioni. Grazie, presidente. Grazie a tutti i parlamentari presenti. Porto i saluti del presidente Franco Siddi, che purtroppo è ancora in convalescenza e non riesce a spostarsi dalla sua Sardegna e io, che sono il vicepresidente dell'associazione, lo sostituisco un po’ indegnamente.
Confindustria Radio Televisione è un'associazione che ha associate al suo interno le principali imprese nazionali e locali, compresa la Rai, radiofoniche e televisive. Il tema ci pone in una posizione per cui cerchiamo di trovare degli equilibri, perché sapete che alcune argomentazioni degli operatori privati soprattutto su alcuni aspetti delle risorse della Rai possono essere diverse. Cerchiamo di fornire un'analisi di sistema in cui fare anche ragionamenti proprio di sistema nel senso di riequilibrio delle risorse.
Il contratto di servizio è sicuramente un documento importantissimo. Tutto il sistema Pag. 10 televisivo attribuisce alla Rai un ruolo fondamentale e la sua regolamentazione e la sua disciplina e tutto quello che riguarda la sua attività influenzano le scelte e le dinamiche del mercato. Premetto subito che siamo contenti e favorevoli rispetto a un sistema di servizio pubblico forte. Siamo anche in concorrenza con il servizio pubblico, ma questo è un discorso diverso. Le nostre imprese cercano di operare sul mercato in un contesto molto difficile, ma siamo i primi a volere un servizio pubblico forte e radicato, che svolga effettivamente il suo ruolo, che sia messo nelle condizioni di farlo nelle condizioni ottimali, e che sia volano di tutta una serie di attività, non ultima quella della produzione audiovisiva di qualità del nostro Paese. In questa logica e in questo contesto siamo sicuramente su questa linea.
Il problema del servizio pubblico è un tema di inserimento nel sistema e soprattutto di risorse. Le risorse del servizio pubblico sono un tema importante. Il suo finanziamento è un tema importante. La distribuzione delle risorse all'interno del sistema è un punto fondamentale. È importante per noi che il sistema delle risorse Rai sia stabilizzato al massimo. Nel contratto di servizio viene segnalato soprattutto dai colleghi della Rai un discorso in cui si parla di quota di canone. Non c'è una certezza di assegnazione e di attribuzione e non c'è soprattutto nel contratto di servizio, ma forse non poteva essere nel contratto di servizio un sistema che stabilizzi queste risorse, cioè che dia certezze pluriennali alla concessionaria del servizio pubblico sul modo di investire e sul modo di programmare. Questo sicuramente per noi non è un elemento positivo. Riteniamo che sia importante che le risorse da canone siano una certezza di sistema, anche in una logica pluriennale. Siamo assolutamente favorevoli a che la Rai possa sviluppare i suoi piani di programmazione e di investimento in tutti i settori, naturalmente, non solo sul prodotto, ma anche sull'attività gestionale occupazionale. Quindi, siamo i primi a volere e a favorire una stabilizzazione di risorse del sistema. Questo perché? Perché riteniamo che nell'ambito di una stabilizzazione di risorse della Rai e di certezze attribuite dal canone di abbonamento in una logica pluriennale, il discorso della distribuzione delle risorse all'interno del sistema possa toccare anche l'annoso, delicato e controverso tema della pubblicità. In tutti i servizi pubblici europei la Rai forse è uno dei pochi servizi pubblici ad avere anche la pubblicità in aggiunta alla risorsa pubblica. In tutti i contesti europei – lo prevede anche il diritto europeo, comprese le direttive – la risorsa pubblicitaria deve essere meramente residuale e ancillare. In questo contesto e in questa logica auspichiamo che, a fronte di una stabilizzazione e una certezza di risorse che le vengono anche dalla meritoria azione del Governo – il canone in bolletta è stato sicuramente un'iniziativa non facile e di difficile applicazione, che però ha portato a risultati positivi; si è avuto anche coraggio da questo punto di vista – la Rai possa fare della pubblicità una risorsa meramente residuale, non solo da un punto di vista quantitativo, perché questo è un discorso che dovrà essere discusso, ma soprattutto nella sua strategia commerciale. In questo momento tale strategia vede la Rai alla ricerca di risorse con atteggiamenti che sono spesso tipici, soprattutto nella sua concessionaria di pubblicità, di un soggetto privato, ossia la ricerca del mercato con una politica sui prezzi e sugli sconti e con tutta una serie di elementi che creano all'interno del sistema una concorrenza su questo aspetto inutile, sperequata e soprattutto dannosa sotto tutti i punti di vista. Il nostro concetto – lo ribadisco e lo ripeto – è che ci sia una stabilizzazione della risorse della Rai, con una Rai forte, che conti su risorse certe da canone, ma anche che questo possa portare a un cambio di politica commerciale sulla pubblicità. Sugli aspetti della quantità ci sono molti servizi pubblici europei, come sapete, in cui la Rai, o in alcuni orari o addirittura in tutta la giornata di programmazione, non trasmette pubblicità. Questo, però, non è il tema e il contesto. Non voglio dire nulla. Tuttavia, questa logica di sgravarla dall'essere competitiva anche sul mercato della pubblicità Pag. 11significa un bene e un'importanza per tutto il settore.
Da questo punto di vista noi spingiamo, e spingiamo anche affinché in questo contratto di servizio possano esserci degli elementi di maggior controllo, che già ci sono, come previsto dalla convenzione, su prezzi, sconti e affollamenti praticati dalla Rai, in una logica sempre di consentire al settore di poter operare. Il mondo delle televisioni sta vivendo un momento molto difficile. Questo è ovvio e scontato. Sta vivendo una concorrenza molto forte con altri competitor molto più forti dei soggetti televisivi. Sta scontando una difficoltà a operare vincolata da tutta una serie di norme pesantissime, al contrario di altri soggetti a cui sostanzialmente la mancanza di regole ha consentito di svilupparsi e di proliferare. In questa fase, naturalmente, un discorso di equilibrio di sistema in cui prevedere un ruolo fondamentale del servizio pubblico, ancorato alla sua missione e al suo obbligo, è sicuramente importante e fondamentale. Auspichiamo che nel prosieguo del suo contratto di servizio possano trovare posto – ci rendiamo conto che non si tratta di un atto normativo e che non è nel contratto di servizio che si possono introdurre disposizioni di un dato tipo – elementi di chiarezza, trasparenza, maggiore controllo e maggiore verifica degli obblighi soprattutto su alcuni aspetti, che erano quelli che illustravo.
Da un punto di vista generale della struttura la dottoressa Ca’ Zorzi entrerà eventualmente ancora sul tema della pubblicità e dei generi. Vorrei sottolineare qualche altro elemento rilevante.
Vi è una norma, quella sulla neutralità tecnologica, che, nella logica di garantire il massimo delle risorse alla Rai e il massimo della valorizzazione del suo prodotto e dei suoi contenuti, non riusciamo a comprendere. C'è una definizione rispetto ai precedenti contratti di servizio che impone – è un «dovrà» rispetto al «potrà»; era una facoltà nei precedenti contratti di servizio – e obbliga la Rai a cedere i contenuti della sua piattaforma satellitare a chiunque glieli chieda. C'è, da un punto di vista di riequilibrio, un discorso negoziale, perché la Rai è comunque tenuta a osservare e a praticare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie in sede negoziale, con l'Autorità che dovrà avere dirimere un'eventuale controversia. È sicuramente un'innovazione rispetto al passato. Nell'articolo 18, che riguarda la neutralità tecnologica, al comma 1 c'è una chiarezza sul fatto che la Rai deve andare su tutte le piattaforme e su almeno una piattaforma. C'è anche una garanzia che per quanto riguarda quella satellitare nelle zone di accesso dove non arriva il segnale debba essere utilizzata TV SAT. Non si comprendono le ragioni di un cambio di linea e soprattutto non si comprendono le ragioni di una svalorizzazione del bene. Penso alla presenza di quella che in lingua inglese si chiama retransmission feature, ossia la possibilità di chiedere un apporto economico forte ed equilibrato, ma anche teoricamente la facoltà di non chiederlo, o comunque di avere una forza nella trattativa anche di avere una facoltà di svolgere questa trattativa. Non sta a me dirvi che, se questa trattativa diventa un obbligo vincolante, ovviamente, una delle parti contraenti ha una debolezza nettamente maggiore rispetto alle altre. Non si comprende perché un bene, un valore della Rai, pagato con il canone dei cittadini, la sua programmazione, debba stare obbligatoriamente su piattaforme satellitari senza alcuna ragione e senza che questa programmazione venga valorizzata in termini adeguati sul suo valore effettivo anche di mercato.
Vi è una norma sulla banda 700. Sapete che il sistema sarà chiamato a un refarming della banda 700, che viene incontro alle esigenze del sistema di utilizzare anche la Rai e di spingere la Rai a essere protagonista in questo sistema. C'è soltanto una piccola definizione, ma ci riserviamo magari di mandare una nota scritta in cui si parla di multiplex regionali. Rai, naturalmente, non può essere multiplex regionale. Per sua natura e per vocazione non può che essere un multiplex nazionale, che diffonde su tutto il territorio.
La dottoressa Ca’ Zorzi vi dirà qualcosa in merito. Sicuramente abbiamo visto nella norma sull'audiovisivo un disallineamento Pag. 12rispetto ai contenuti del decreto legislativo che andrà domani in approvazione in Consiglio dei ministri e che ha avuto il suo passaggio parlamentare. Come mondo televisivo, veramente a nome di tutti, abbiamo combattuto duramente quel provvedimento. Si tratta di un provvedimento che sicuramente penalizza le imprese e introduce dei vincoli sui palinsesti veramente al di fuori di ogni logica costituzionale. Prevede sanzioni aberranti e un aumento di quote e sotto quote. Nei pareri parlamentari c'è stato sicuramente un passo in avanti e sono state introdotte alcune nostre richieste. In queste ore si sta discutendo – questa, naturalmente, è una facoltà che ha soltanto il Governo – di accogliere, oltre alle condizioni, anche le osservazioni. Abbiamo, purtroppo, segnali molto negativi sull'accoglimento delle osservazioni giuste, lecite e legittime che migliorano il provvedimento fatte dal Parlamento. Speriamo che non sia così. Speriamo domani di poterci rendere conto che la situazione è diversa. Detto questo, per quanto mi riguarda, in una logica generale di sistema che ha fatto studio e approfondimento sulle tematiche, vorrei soltanto aggiungere che su controllo e verifiche vi è anche una logica aggressiva e commerciale di utilizzo di alcuni escamotage che fa la Rai. Mi riferisco soprattutto a come affolla le proprie reti e al modo e ai termini con cui affolla le proprie reti. C'è un limite di affollamento settimanale. Nel contratto di servizio è prevista la possibilità di introdurre norme di controllo che diano facoltà all'Autorità di controllare in maniera puntuale. Si tratta di una norma chiara, che non necessita di interpretazioni e che la stessa convenzione e lo stesso contratto di servizio hanno ritenuto di riprodurre proprio per la sua chiarezza e semplicità.
PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Ca’ Zorzi.
CARLOTTA CA’ ZORZI, Confindustria Radio Televisioni. Anch'io ringrazio la Commissione per averci audito e invitato a partecipare a quest'audizione. Io, peraltro, rappresento anche La7, perché è l'emittente per cui lavoro. Sono responsabile degli affari legali e regolamentari dell'emittente, anche se partecipo alla delegazione di Confindustria Radio TV.
Volevo spendere due parole, in aggiunta a quanto ha detto il vicepresidente Selli, che riguardano alcune osservazioni di carattere sistemico. A nostro avviso, in merito all'affidamento diretto della concessione in totale esclusiva alla Rai per dieci anni, la convenzione annessa risulta molto generica e non ha puntualizzato la situazione in maniera chiara, come forse avrebbe dovuto, considerando che questo rinnovo della concessione è intervenuto in un momento in cui il mercato dell'audiovisivo è completamente cambiato. Si tratta di un sistema molto più aperto, molto più pluralista e molto più concorrenziale. In quest'ottica questa è quasi un'occasione mancata di rivedere il ruolo del servizio pubblico nel mutato sistema dei media. A maggior ragione, questo contratto di servizio, che è diventato quinquennale rispetto ai precedenti che duravano tre anni, risulta ancora più importante, perché dovrebbe sopperire alla genericità della convenzione, andando, a nostro avviso, a chiarire il perimetro dell'attività di servizio pubblico e delle risorse ad esso destinate. Sul tema delle risorse ha già parlato il dottor Selli. Il tema centrale è proprio quello. Si tratta di ribaltare la logica e definire prima il perimetro di cosa sia il servizio pubblico e di cosa distingua il servizio pubblico dall'offerta commerciale. Sappiamo tutti che ormai la percezione generale degli spettatori, degli osservatori più esperti e dei critici vede la programmazione Rai spesso molto simile ai modelli commerciali rincorrendoli. Si pongono quindi i temi delle risorse e dei contenuti e di come si individua il servizio pubblico rispetto alla genericità dell'offerta commerciale. In questo senso il contratto di servizio sembra ricalcare, in realtà, il contratto precedente, che era addirittura del 2010-2012, anche qui senza un passo avanti in termini anche di innovazione. La fotografia che emerge da questo documento è quella dello stato attuale: il numero dei canali e la loro tipologia sono sempre quelli, i generi sono, più o meno, Pag. 13tutti i generi televisivi, senza uno sforzo di inserire nuovi generi più innovativi e sperimentali. Ci pare che con uno sforzo in più in questo senso andrebbe fatto.
Il tema connesso alla verifica dell'efficienza e della trasparenza dell'utilizzo delle risorse pubbliche mi porta a fare un commento sulla contabilità separata, in riferimento a cui questo contratto di servizio ricalca quanto fatto finora negli ultimi dieci anni e più da quando è stato introdotto tale meccanismo. In realtà, si tratta di un esercizio di natura piuttosto contabile. Si fa l'elenco dei programmi che si ritiene siano di servizio pubblico, si fa il conteggio delle risorse a essi dedicate e, di fatto, non si fa altro che fotografare quello che si è messo in un insieme A e quello che si mette in un insieme B, tanto da arrivare a sostenere che il servizio pubblico è finanziato dalla pubblicità e che, quindi, la Rai ha bisogno della pubblicità per finanziare il servizio pubblico. Su questo sarebbe necessario ribaltare il ragionamento e definire che cosa sia il servizio pubblico anche in base alle risorse pubbliche a disposizione, quindi il canone, anche alla luce della riforma sulla riscossione del canone, che ha consentito di recuperare risorse. È stato scelto di abbassare il canone, il che va benissimo, ma, come si diceva, occorrerebbe stabilizzare le risorse, avere risorse certe e su quelle declinare e disegnare il perimetro del servizio pubblico. Questo consentirebbe di fare chiarezza anche sull'utilizzo delle risorse pubblicitarie in un'ottica che la nostra proposta, per quanto riguarda le emittenti private, è quella di liberare risorse pubblicitarie a favore, invece, del sistema privato. Questo consentirà anche di superare la commistione tra servizio pubblico e servizio commerciale in ambito Rai. In merito non è stata fatta un'analisi di impatto concorrenziale del sistema di finanziamento misto della Rai sul settore privato. Sarebbe stato molto utile proprio in questa fase di rinnovo della concessione.
PRESIDENTE. Sono presenti anche i relatori del provvedimento in oggetto, l'onorevole Nesci e il presidente Lupi. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALBERTO AIROLA. Grazie di essere qui. Ci siamo visti poco tempo fa in Commissioni 7a e 8a unite. È stata citata l'invadenza di questo decreto-legge sul mercato e sui palinsesti, invadenza che abbiamo rifiutato in quanto non lecita e illegittima, secondo noi. Volevo chiedere al dottor Selli, sulla questione del satellitare, di fare un esempio pratico di questa cessione di contenuti prevista dall'articolo 18, comma 1 e di definire meglio perché usa la perifrasi di aumentare una forza di trattativa sulla cessione di contenuti ad altri broadcaster.
MICHELE ANZALDI. Solo due precisazioni. Il vicepresidente dice che altri senza regole hanno potuto proliferare. Volevo capire se ci può dire chi siano gli altri.
Un'altra domanda è rivolta alla dottoressa Ca’ Zorzi. Volevo sapere se ci può precisare quali sono i nuovi programmi sperimentali a cui si riferiva che si sarebbero potuti includere.
STEFANO SELLI, vicepresidente di Confindustria Radio Televisioni. Rispondo innanzitutto all'onorevole Anzaldi per chiarire che «altri» sicuramente non è la Rai. Quando parliamo di un sistema di regole che sottopone il mondo televisivo nel suo complesso, con tutti i servizi lineari, a una regolamentazione fortissima esistente su obblighi (abbiamo visto anche le polemiche di questi giorni) di programmazione e di investimento, su par condicio e su affollamento pubblicitario – in Europa si sta discutendo ancora se reintrodurre il limite giornaliero; c'era stata una certa apertura – tutte queste sono cose che hanno le televisioni tradizionali e che non hanno gli OTT e gli altri soggetti che operano sul mercato. Alcune di quelle regole sicuramente non sono a loro applicabili. È il solito discorso del level playing field. Non chiediamo un'applicazione sistematica. Chiediamo forme di facilitazione e di livellamento del mercato. Ripeto, è assurdo che si discuta a Bruxelles se reintrodurre limiti di affollamento giornalieri, quando ormai la pubblicità è tutta programmatica, va su Internet e funziona con sistemi diversi. Le televisioni ancora hanno questo. Pag. 14
Sono direttore delle relazioni istituzionali di Mediaset. Come sapete, quando c'è la par condicio, abbiamo tre persone che devono lavorare a controllare i minuti e i secondi. Abbiamo regole giuste, alcune sui minori. Creiamo un sistema. Era a questo mondo che mi riferivo, che naturalmente non è soggetto alle regole, ma che a noi fa una concorrenza devastante. Naturalmente c'è una concorrenza di mercato. Un soggetto come Netflix, per carità, opera legittimamente, ma ci sta facendo una concorrenza fortissima. C'è anche una concorrenza che viene anche da una pirateria per noi assolutamente devastante e incontrollata, contro cui, purtroppo, si è fatto molto poco. Segnalo, per esempio, che ci sono decoder in vendita a 10 euro con dépliant di pubblicità, con i quali si possono vedere centinaia di canali di tutto il mondo. Sono cose che devastano anche la Rai. Con soli 10 euro si vedono tutte le partite, i film e tutto quello che si vuole vedere di 200 o 300 canali. In questa logica dobbiamo trovare degli equilibri di sistema, perché queste cose penalizzano una sola parte e noi, da un punto di vista competitivo e concorrenziale, siamo fortemente in difficoltà. Questi erano i soggetti.
L'altro discorso era sulla cessione della capacità trasmissiva. Essere trasmessi o non ritrasmessi deve rimanere, a nostro avviso, una facoltà e non un obbligo. In una logica contrattuale si sceglie se andare o meno su quella piattaforma. Naturalmente, per il servizio pubblico c'è tutta una serie di norme che prevedono che almeno su un soggetto di una piattaforma si debba andare. La trasmissione satellitare deve essere garantita e assicurata. Nel momento in cui si assolve all'onere di servizio pubblico, però, si deve poter scegliere se andare anche su un'altra piattaforma e soprattutto fare una valutazione forte e congrua sul proprio valore, su ciò che vale il proprio contenuto di servizio pubblico, perché quel contenuto di servizio pubblico serve soprattutto al soggetto che ospita, per valorizzare il suo bouquet. Questo è un bene che non può essere escluso per legge, ma che, per come è scritto nel contratto di servizio, è posto in maniera vincolante, soprattutto in una logica in cui il soggetto ci deve andare per forza. È un organo terzo che deve decidere, ma non ci sono neanche i criteri. Sicuramente la parte contraente, che dovrebbe essere più forte in virtù anche di una facoltà e di una forza dei suoi contenuti, viene sicuramente fortemente indebolita da un punto di vista contrattuale. Se si sa che si deve fare una cosa per forza, si ha sicuramente meno potere e meno capacità contrattuale rispetto a chi, per fare la stessa cosa, si fa pagare una somma congrua e adeguata.
CARLOTTA CA’ ZORZI, Confindustria Radio Televisioni. Sul tema dei nuovi filoni, in realtà, cito la Rai. Ne ha parlato la dottoressa Andreatta, responsabile della fiction Rai, in occasione dell'audizione congiunta della 7a e 8a Commissione in Senato. Per esempio, tutto il filone della serialità per ragazzi, che ha molto successo negli Stati Uniti e in molti altri Paesi e che la Rai ha auspicato potesse entrare nei generi di cui agli obblighi sulle quote di investimento e di programmazione, è un filone di prodotto che, fatto in un dato modo per i ragazzi e per i giovani, avrebbe la capacità di riattrarre verso la televisione i giovani, che tendono ormai a ignorarla a favore di tutti gli altri media. In più, sarebbe un filone di prodotto italiano, che potrebbe trovare uno sviluppo e che, anche in un'ottica di supporto e di sviluppo della produzione audiovisiva italiana, potrebbe essere una tipologia di prodotto che oggi non vediamo sul servizio pubblico. Non credo proprio che la vediamo, perché in realtà ci sono Yoyo per i piccoli e Gulp per quelli un po’ più grandi, ma siamo sempre nell'ambito dei cartoni animati. Questo è un esempio. Oppure si tratterebbe di sviluppare maggiormente i docu-film e le docu-fiction, che potrebbero essere un prodotto proprio tipicamente di servizio pubblico.
In generale, sui contenuti è chiaro che si pone un tema di definizione di cosa sia un contenuto anche nell'ambito dell'informazione. Che cosa distingue programmi che vediamo sulle reti Rai rispetto a programmi di altre emittenti, tra cui La7, per esempio? Bisognerebbe fare un ragionamento e capire quali dovrebbero essere gli Pag. 15obiettivi e anche fissare gli obiettivi che si vogliono raggiungere, che siano di pluralismo, di coesione sociale o di rappresentanza delle minoranze. Se il servizio pubblico ha risorse dedicate per questo tipo di attività, deve porsi degli obiettivi che vadano al di là degli ascolti, dell’audience share e della pubblicità che, alla fine, può raccogliere grazie a questi programmi.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti. Mi sembra che il vostro intervento sia stato veramente esaustivo. Non mi resta che ringraziarvi e soprattutto chiedere al vicepresidente Selli, per un ausilio di lavoro ai due relatori, l'onorevole Nesci e l'onorevole Lupi, anche se i vostri interventi sono stati chiarissimi, se fosse possibile trasferire gli interventi in una comunicazione scritta. Ve ne saremmo molto grati. Vi ringraziamo per la vostra presenza.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di rappresentanti di Donne in quota e di Rete per la parità.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A., per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), di rappresentanti di DonneinQuota e di Rete per la Parità.
Sono presenti la presidente di DonneinQuota, Donatella Martini, e la presidente di Rete per la Parità, Rosa Oliva, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola alla dottoressa Martini, e successivamente alla dottoressa Oliva, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine degli interventi, domande e richieste di chiarimento.
DONATELLA MARTINI, presidente di DonneinQuota. Ringraziamo per quest'audizione. I tempi minimi tra la ricezione della bozza e la data dell'audizione ci hanno impedito di fare un lavoro più approfondito di quello che avremmo voluto fare, ma ci abbiamo messo tutto il cuore. Chi si occupa di comunicazione ha un'enorme responsabilità nei confronti della società. Questa responsabilità è stata mal gestita per quanto riguarda le donne. È per questa ragione che vogliamo regole più stringenti, per evitare che possano succedere episodi come la trasmissione di Paola Perego, per esempio, o lo scarso spazio mediatico dato alla manifestazione contro la violenza alle donne di «Non una di meno» del 25 novembre dell'anno scorso. È ormai inconfutabile la stretta correlazione tra le immagini sessiste e la violenza di genere. Ricordo in questa sede i trattati internazionali che l'Italia ha firmato sull'argomento, l'ultimo dei quali risale al 2003: mi riferisco alla Convenzione di Istanbul contro la violenza alle donne.
Il 2017 è stato un anno particolarmente intenso per quanto riguarda la rappresentazione delle donne nella TV pubblica: il nostro convegno del 23 di gennaio, le lettere alla e dalla Rai, la pubblicazione del monitoraggio relativo all'immagine femminile per il 2016, gli incontri che abbiamo avuto con il Sottosegretario Giacomelli e, infine, il contratto di servizio.
Partiamo dal convegno che DonneinQuota e Rete per la parità hanno organizzato il 23 gennaio scorso presso la Sala Aldo Moro della Camera dei deputati, dal titolo «CambieRai per non cambiare mai. Donne vere in TV». Punto di partenza della discussione è stato CambieRai, la consultazione pubblica svolta in vista del rinnovo della concessione ventennale Stato-Rai organizzata dal Mise il 12 aprile del 2016 a cui né noi, né le poche altre associazioni che si occupano da anni di sessismo nei media siamo state invitate a partecipare. L'esclusione è stata una grave e ingiustificabile omissione da parte del Ministero, che ha ignorato i risultati degli ultimi sei anni di interlocuzione con i precedenti governi, che hanno portato all'inserimento nel contratto di servizio 2010-2012, tuttora vigente, di 13 emendamenti sull'immagine della donna. Punto di arrivo del convegno è stata la nostra ferma intenzione di partecipare Pag. 16 alla stesura del prossimo contratto di servizio, ed eccoci qua, a quasi quattro anni dalla nostra prima audizione in questa Commissione, avvenuta il 4 gennaio del 2014, dopo aver dato il nostro contributo alla bozza di contratto 2013-2015, mai entrata in vigore. Durante il convegno e successivamente alle lettere scritte alla e dalla Rai ci siamo concentrate, in particolare, sul monitoraggio di genere che la Rai svolge ogni anno in ottemperanza al contratto di servizio. Nell'analisi della bozza preferiamo partire appunto dal monitoraggio, in quanto è il solo dei 13 emendamenti sull'immagine delle donne del contratto scaduto nel 2012 che è stato applicato.
Abbiamo bisogno di un monitoraggio annuale come base per le azioni correttive. La pubblicazione del monitoraggio deve essere fatta entro fine gennaio di ogni anno. La presentazione deve essere annuale e pubblica per il monitoraggio e le azioni correttive alla società civile. Tutti gli elementi riferiti ai dati raccolti devono essere dichiarati, altrimenti la valutazione della società civile del monitoraggio è impossibile. Quest'anno, quindi riguardo al monitoraggio del 2016, i titoli dei programmi erano oscurati. Voi capite che è impossibile ogni valutazione. Chiediamo il mantenimento delle serie storiche dei dati. Nel 2016 la società di rilevazione è cambiata e con la nuova metodologia proposta ha interrotto il confronto con il passato. Abbiamo bisogno che vengano esaminate più reti. Nel monitoraggio 2016 le reti esaminate erano solo quattro, contro le undici degli anni precedenti. Poi vorremmo discutere la qualità del monitoraggio: i criteri devono essere decisi dal Dipartimento delle pari opportunità e dalla Commissione paritetica della Rai. Tutte queste osservazioni le abbiamo inserite punto per punto. Vi lasciamo una bozza e nei prossimi giorni vi forniremo l'originale.
Passiamo alla pubblicità. DonneinQuota si occupa in particolar modo di pubblicità sessista dal 2008, ovvero a partire dalla Risoluzione europea sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini. Come già precisato nella bozza del 2013-2015, anche in questa edizione abbiamo fatto alcune richieste in merito, più precisamente nell'articolo 2, «Princìpi generali» e nell'articolo 23, «Obblighi specifici». La stessa risoluzione, ma anche una successiva del 2012 si occupa di stereotipi di genere, definendoli «più dannosi di quelli sessisti, in quanto pervasivi e occulti». Si vedano l'articolo 3 nell'offerta televisiva e l'articolo 6 nell'informazione.
Il sistema attuale di controllo delle pubblicità non funziona. Dipende esclusivamente dall'Istituto di autodisciplina pubblicitaria, a cui il Governo ha di fatto delegato la completa gestione delle pubblicità sessiste. Lo sa il Dipartimento delle pari opportunità, con cui siamo in interlocuzione da tempo. Speriamo che i nostri suggerimenti siano stati inseriti nel Piano nazionale contro la violenza che verrà presentato tra qualche giorno. Tuttavia, il protocollo contro la pubblicità sessista che la Ministra Carfagna firmò nel 2011 con l'Istituto di autodisciplina pubblicitaria non è mai entrato in funzione e non ha mai lavorato. Quindi, deve cambiare qualcosa.
Abbiamo tenuto a precisare che gli eventi sportivi – stiamo parlando dell'articolo 3 – devono riguardare anche le sportive. È inutile dire che l'attenzione mediatica nei confronti degli eventi sportivi che riguardano le attività maschili è preponderante rispetto a quella nei confronti delle attività femminili, nonostante negli ultimi anni le sportive abbiano portato a casa risultati ben maggiori rispetto agli sportivi.
In merito all'articolo 10, «Informazioni sull'istituzione...», al punto 4, chiediamo che le trasmissioni dell'accesso di cui siamo fruitrici siano garantite anche sulla radio, cosa che al momento non è, e raccomandiamo che avvengano in giorni e orari di massima utenza. Quando si sono aperte le trasmissioni dell'accesso in Lombardia, le trasmissioni venivano messe in onda il martedì mattina alle 10,30, quindi nessuno le visionava. Adesso si è passati al sabato alle 10,30, quindi già c'è stato un miglioramento. Vorremmo evitare che questo miglioramento venisse perduto all'interno del contratto di servizio.
Invece, riferendomi agli articoli 21 e 22, che prendo così in titolo, perché altrimenti Pag. 17mi rendo conto di essere noiosa perché non li avete magari sottomano, che riguardano commissione paritetica e comitato di controllo, ci siamo premurate di inserire il rispetto dell'equilibrio di genere, ma soprattutto di sottolineare l'importanza della presenza di almeno un'esperta di genere e comunicazione tra gli otto membri della commissione paritetica e di due esperti di genere tra i dodici membri del comitato di controllo.
Arriviamo all'articolo 23, che, per quanto ci riguarda, è il più importante, in quanto parla di dignità della persona e di parità di genere. Abbiamo abbastanza stravolto i contenuti. Ve li trasmetteremo proprio perché siano più chiari. È ovvio che le nostre sono ipotesi. Abbiamo aggiunto una precisazione per quanto riguarda la dignità della persona in merito al principio di non discriminazione, che abbiamo dettagliato in modo esteso, di sesso, origine etnica o culturale, orientamento sessuale e appartenenza religiosa. Per quanto riguarda la parità di genere, a parte i suggerimenti che abbiamo già indicato per quanto riguarda il monitoraggio, abbiamo precisato, al punto 1, che la Rai è tenuta a promuovere in tutta la programmazione – abbiamo precisato «in tutta» – sulle diverse piattaforme distributive, perché deve riguardare tutte le piattaforme (stiamo parlando non solo di televisione, ma anche di web e di radio), ma soprattutto abbiamo aggiunto la presenza equilibrata di ospiti e partecipanti, in quanto siamo stufe di vedere panel con solo volti maschili. Lo riteniamo soprattutto dannoso per le giovani generazioni, che si trovano senza role model femminili, il che comporta che nessuna si voglia candidare come Presidente della Repubblica, se consideriamo quello che è successo negli Stati Uniti. Al punto 2 abbiamo chiesto che la struttura sia composta da esperte di donne e media sia interne sia esterne all'azienda. Infine, è stata nostra premura sottolineare l'importanza di una formazione obbligatoria.
In merito alla parità di genere, oltretutto, ci siamo concentrate anche sull'articolo 2, punto A, sull'articolo 5.1 C, sull'articolo 23, «Offerta dedicata», e sull'articolo 23, «Bilancio sociale di genere», di cui vi parlerà più tardi Rosanna Oliva. In più, in alcuni articoli abbiamo dato la precedenza a ciò che riguarda le differenze di sesso, per esempio all'articolo 2 «Princìpi generali» 1 B. Abbiamo dato la precedenza alle differenti esigenze di sesso in quanto le donne sono il 52 per cento della popolazione, quindi la metà dell'umanità. L'abbiamo fatto considerando la Costituzione, che proprio recita prima la differenza di sesso.
A questo punto, passerei la parola a Rosanna Oliva, che proseguirà nell'analisi.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottoressa Martini. Prima di dare la parola alla dottoressa Oliva, mi permetto di sottolineare che nella nostra Commissione abbiamo cercato di dare effettivamente un equilibrio, nel momento in cui è stata scelta come relatrice la collega Nesci. L'altro relatore di maggioranza è il presidente Lupi.
Prego, dottoressa, a lei la parola.
ROSA OLIVA, presidente di Rete per la Parità. Innanzitutto vi ringrazio per questa possibilità di essere audite in Commissione. Sono già venuta una volta con la precedente Commissione, come Accordo di azione comune per la democrazia paritaria, sui regolamenti durante le elezioni. Abbiamo ottenuto un ottimo risultato, tra l'altro, sempre insieme con DonneinQuota, in quanto trovammo da parte della Commissione molta sensibilità sulla questione, tant'è vero che poi da quel momento i regolamenti che vengono emanati di concerto con l'Agcom in occasione delle campagne elettorali recepiscono una serie di suggerimenti che noi portammo in quella sede. Vengo qui altrettanto fiduciosa, anche perché mi sembra che in questi ultimi anni ci sia stato un aumento di attenzione alle questioni di genere. Mi aspetto, quindi, da questa Commissione risultati altrettanto importanti sulle numerose proposte che abbiamo elaborato, e che sono state per la maggior parte illustrate da Donatella Martini, come proposte di modifica al contratto Rai.
Riteniamo che sia un'occasione preziosa quella di incidere sulla sostanza e anche Pag. 18sulla forma del contratto come segno di attenzione a questioni che non possono essere ulteriormente rimandate in Italia, visto che l'Italia, purtroppo, come sempre, è fanalino di coda in Europa su queste questioni che riguardano la condizione delle donne e che, come purtroppo in tutto il mondo, deve affrontare la piaga della violenza di genere. Come Rete per la parità, abbiamo individuato, dalla fondazione nel 2010, tra le nostre linee guida la necessità di contrastare l'invisibilità delle donne. Riteniamo che attraverso l'invisibilità si eserciti un potere di coloro che non vogliono prendere atto che la società è cambiata e che le donne hanno un ruolo importantissimo, che deve essere riconosciuto. La contromossa è quella di rendere le donne invisibili.
Qui è stato accennato, per esempio, il fatto che la Rai, come servizio pubblico, avrebbe dovuto prestare grande attenzione a un evento mondiale che c'è stato l'anno scorso in occasione della Giornata contro la violenza delle donne, che ha visto a Roma 200.000 donne, uomini, bambine e bambini in piazza. Abbiamo monitorato quello che il servizio pubblico ha trasmesso, che è assolutamente insoddisfacente. Ho avuto l'occasione di lamentarmi di questo con il Presidente della Repubblica in persona, quando ci ha auditi come Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, pochi giorni dopo. Riteniamo tutti che debba essere responsabilità di ciascuno fare in modo che il servizio pubblico non nasconda le donne, ma dia un'immagine e un risalto al ruolo delle donne oggi in Italia e nel mondo, che è quello che meritano, nulla di più, ma anche nulla di meno.
La prima serie di proposte che ci permettiamo di sottoporre alla Commissione sul contratto comprende numerose proposte che riguardano modifiche nel linguaggio adottato già nella stesura del contratto. Personalmente, negli anni mi sono auto-messa in discussione e non accetto l'incoerenza. Non possiamo proclamare il principio che le donne devono essere visibili – siamo tutti d'accordo – e poi adottare nel contratto un linguaggio che nasconde le donne. Pertanto, mi sono permessa di presentare una serie di proposte rispetto a punti in cui si usa il maschile neutro, che tra l'altro non esiste in italiano. È anche un uso scorretto della lingua italiana. Per riferirsi a donne e uomini c'è una serie di possibilità di utilizzare termini diversi dal maschile neutro per includere le donne. A questo proposito mi permetto anche di suggerire che esiste un numeroso gruppo di esperte, di cui molte accademiche, che da anni si occupano di queste questioni. Ho preparato anche un elenco che posso lasciarvi, perché alcune di queste potrebbero essere inserite negli organismi che il contratto prevede proprio a questi fini. Allo stesso modo è molto utile tener conto che esiste un'associazione, GiULiA (Giornaliste Unite, Libere e Autonome), che recentissimamente ha presentato qui alla Camera un manifesto su come comunicare la violenza contro le donne. Prossimamente, proprio in occasione del 25 novembre, a Venezia, anche con CPO, al Teatro la Fenice ci sarà la presentazione di questa iniziativa, che tende proprio a evitare l'invisibilità delle donne e a usare correttamente l'italiano. Ricordo l'enorme ruolo che ebbe la televisione italiana nel far imparare a tutti gli italiani la lingua italiana. Oggi c'è bisogno di ripetere un'esperienza del genere. Spero in un servizio radiotelevisivo pubblico che innanzitutto adoperi in proprio ma poi anche trasmetta questo linguaggio che eviti l'invisibilità delle donne. Non è una questione da poco. Non vorrei che si rispondesse che c'è ben altro, perché attraverso l'invisibilità c'è, invece, una parte della violenza sulle donne.
Un altro aspetto che riguarda sempre l'invisibilità, in questo caso non il linguaggio ma la cosiddetta par condicio, che abbiamo ottenuto anche come Accordo di azione comune, grazie a una risposta bipartisan del Parlamento, è la modifica della legge n. 28 del 2000 sulla par condicio. Nel 2012 è stata approvata una norma, inserita nella legge n. 215 del 2012, che passa soprattutto perché ha introdotto la doppia preferenza di genere almeno per ridurre gli ostacoli che impediscono alle donne di arrivare al 50 e 50 nei luoghi decisionali e nelle assemblee elettive. Fu introdotta anche Pag. 19 – questo è anche merito della pressione esterna che abbiamo esercitato nei confronti del Parlamento e nella risposta bipartisan da parte delle donne parlamentari – una modifica alla legge sulla par condicio di genere, nel senso di un richiamo all'articolo 51 della Costituzione per quanto riguarda la presenza delle donne nelle trasmissioni televisive. Si tratta di una presenza che in particolare è importante durante le campagne elettorali, ma che deve riguardare tutto l'arco dell'anno. Tra l'altro, l'importanza di questa necessità di trasmettere argomenti all'opinione pubblica durante tutto l'arco dell'anno da parte del servizio radiotelevisivo pubblico è stata oggetto anche di sentenze della Corte costituzionale, proprio per l'importanza che ha la formazione dell'opinione politica del cittadino attraverso la legge sulla par condicio, che va rispettata anche per quanto riguarda la cosiddetta par condicio di genere. Abbiamo proposto anche modifiche di integrazione al contratto, che riguardano – mi sembra – l'articolo 10.1.
Un'altra proposta che riteniamo importante, per quanto riguarda l'industria dell'audiovisivo, è che vorremmo inserire un minimo di investimento anche per programmi che riguardino le donne. C'è qualcosa del genere sui minori. Proponiamo un'aggiunta che riguarda, in particolare, la percentuale non inferiore al 5 per cento sulle opere appositamente prodotte per contrastare gli stereotipi di genere. Uno dei maggiori ostacoli al progresso della società attraverso il progresso delle donne riguarda il prolungarsi di stereotipi di genere, stereotipi di cui a volte siamo inconsapevoli noi stesse e di cui noi stesse siamo a volte portatrici. Un servizio televisivo pubblico deve farsi carico innanzitutto di non esserne vittima e soprattutto di non trasmetterli e di contrastarli. Un'altra cosa molto importante è evitare questi stereotipi.
Passando a un argomento che sembra più generale, ma che riguarda sempre la condizione delle donne, alcune delle nostre proposte di integrazione riguardano l'Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile. Ogni volta che nel contratto si fa cenno all'ambiente e al richiamo a disposizioni della Costituzione e dell'Unione europea, noi ci permettiamo di suggerire di riferirsi anche all'Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, che, come dice il nome stesso, riguarda lo sviluppo sostenibile e, quindi, apparentemente potrebbe essere limitata alla difesa dell'ambiente. Così non è, però, perché negli ultimi mesi del 2015 l'ONU ha approvato quest'Agenda con 17 obiettivi, superando quel limite, che in passato c'era stato, di impostare la difesa dell'ambiente solo in senso limitato alla difesa dell'aria che respiriamo o dell'acqua di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. I 17 obiettivi coprono tutto l'arco della vita umana e della possibilità di sopravvivenza dell'uomo in questa terra, che è l'unica che abbiamo a disposizione. Non a caso, tra i 17 obiettivi ci sono la pace, la lotta alle disuguaglianze e anche l'obiettivo 5, parità di genere, proprio perché negli anni si è assunta la consapevolezza che senza una condizione giusta, paritaria, di uomini e donne, l'umanità non può raggiungere la sostenibilità e tutto ciò che concerne la sostenibilità. Una serie di nostre proposte aggiuntive riguarda, quindi, l'Agenda ONU e l'ambiente come punti focali sui quali puntare l'attenzione, laddove già c'è attenzione alla Costituzione italiana e alle norme dell'Unione europea.
Sempre riguardo la questione della visibilità, abbiamo presentato, il 25 aprile di quest'anno, una petizione alla Rai e al MIUR, firmata da persone, più che da associazioni – tra l'altro, c'è una firma illustre, quella di Marisa Rodano – in cui chiediamo alla Rai e al MIUR di far uscire la storia delle donne dall'invisibilità. Questa questione è lamentata ancora oggi, dopo anni di impegno, che però hanno avuto scarso successo. Ancora nei libri di testo di storia le donne sono quasi del tutto ignorate. Purtroppo, sono questioni anche secolari. È chiaro che occorrono tempi lunghi per porre rimedio a questo. Speriamo, però, che attraverso proprio una presa in carico di questo problema anche da parte della Rai i tempi si possano velocizzare. In particolare, questa petizione, che si chiama «Liberiamo la storia delle donne» – anche Pag. 20questa ve la posso lasciare – chiede alla Rai di consentire l'uso delle preziosissime Teche della Rai, che sono un tesoro. Tra l'altro, gli anni d'oro della televisione in bianco e nero hanno visto numerosissime trasmissioni di alto livello dedicate alla storia delle donne. Ebbene, non è possibile accedervi liberamente. C'è tutta una questione molto complessa che riguarda i diritti d'autore. Ci chiediamo, però, se magari, prevedendo anche dei fondi ad hoc, non si possano mettere a disposizione, innanzitutto del MIUR. Non a caso, la petizione l'abbiamo rivolta anche al MIUR per quanto riguarda i libri di testo, ma anche per quanto riguarda l'accesso alle Teche Rai. Questo è un altro punto che mi preme sottolineare, su cui la Commissione potrebbe forse darci davvero una mano molto preziosa.
L'ultima questione riguarda il bilancio sociale. Il contratto prevede già un bilancio sociale. Da quest'anno, ma pochi lo sanno – confesso che anch'io l'ho saputo molto in ritardo – è partita una sperimentazione per il bilancio statale di genere. Del bilancio di genere si parla da anni. È un bilancio in cui si pone attenzione alle ricadute di scelte economiche sulla condizione delle donne. La nostra proposta è di inserire, laddove si prevede il bilancio sociale, che questo bilancio sociale copra anche degli aspetti relativi al genere.
PRESIDENTE. Grazie davvero, dottoressa Oliva. La dottoressa mi ha cortesemente fornito la petizione che la sua associazione ha rivolto alla presidente della Rai, che peraltro sta per venire in audizione, per chiedere alla Rai di rendere visionabili e disponibili al pubblico, in un'apposita sezione delle Teche Rai, utilizzabili non a fini di lucro, i materiali di repertorio utili a ricostruire la storia delle donne e al Ministero dell'università e della ricerca di agire affinché la storia delle donne abbia un'equa rappresentazione nelle scuole. Noi adesso la riconsegneremo alla presidente, visto che verrà in audizione dopo di voi.
Credo che la relatrice, onorevole Nesci, voglia intervenire.
DALILA NESCI. Grazie, presidente. Grazie a voi per essere qui, intanto perché siete state molto puntuali e, quindi, ci faciliterete il lavoro. Credo anch'io che ci siano delle mancanze in questo testo rispetto al tema di cui avete trattato e che sia necessario porvi rimedio. Il testo, ovviamente, arriva dal Governo e questa Commissione di vigilanza può proporre un parere alternativo. Per come abbiamo sempre lavorato all'interno di questa Commissione, teniamo ad avere un testo unico, al di là delle diversità e delle divergenze di provenienza politica che possiamo avere. Spero che ci sia effettivamente da parte di tutti i miei colleghi questa volontà, in particolare sulla modifica del linguaggio e sulla necessità di un monitoraggio effettivo ed efficace, altrimenti sarà impossibile comprendere quanto ancora dobbiamo scontare in termini di arretratezza. Ritengo che nel contesto italiano, composto di una larga fetta di italiani che, purtroppo, è definita analfabeta funzionale – aggiungo anche in virtù della disinformazione o dello svilimento della scuola e dell'università pubblica italiana – è difficile leggere la realtà e anche magari i concetti di sessismo, maschilismo e di quanto il nostro Paese viva ancora sotto un regime patriarcale. Forse dovremmo parlarne in un contesto anche altro rispetto a questo. Mi rendo disponibile anche in altre sedi ad approfondire il tema, perché forse parlare di pari opportunità mette in crisi proprio il sistema capitalistico. Forse dovremmo ragionare anche in termini economici del motivo per cui queste questioni di genere non vogliono essere affrontate.
Pongo solo una brevissima domanda. In merito agli articoli 21 e 22, per quanto riguarda i comitati di confronto e la commissione paritetica, diverse associazioni si sono espresse al riguardo e giustamente ognuna vuole inserire un membro che sia un esperto su determinati temi. Personalmente, penso che questi comitati dovrebbero avere funzioni specifiche e scadenze temporali entro le quali fornire riscontri o contributi. Diversamente, si tratterà dell'ennesimo organismo che mette confusione, o che comunque non aggiunge nulla al servizio pubblico, che ha tanto bisogno Pag. 21di aiuti non solo esterni, perché all'interno ci sono tante risorse che potrebbero essere utili e che hanno già tutti gli strumenti per agire. Ciò vale anche per il Parlamento, come dimostra la vostra testimonianza, visto che è da anni che riproponete questioni che avrebbero già potuto essere inserite in questo testo, così come in tante altre leggi italiane.
DONATELLA MARTINI, presidente di DonneinQuota. In merito alla commissione paritetica e al comitato di controllo le persone che abbiamo chiesto di inserire sono proprio specialiste in genere e media – hanno una doppia specializzazione – e, secondo noi, sono assolutamente importanti. Come si fa a valutare se una trasmissione contiene stereotipi, se non la valuta un esperto del settore? Oppure, come si fa a valutare un bilancio sociale e di genere, se non lo fa chi si intende di questi argomenti? Secondo noi, ciò è assolutamente necessario. Su tempi e funzioni, naturalmente, siamo assolutamente d'accordo con lei: devono funzionare, altrimenti non ha senso.
PRESIDENTE. Ringrazio davvero molto sentitamente le nostre ospiti soprattutto per l'impegno e la coerenza con cui portano avanti le loro battaglie. Do il mio personale sostegno, quale vicepresidente della Commissione, al vostro impegno. Sono certo che la relatrice Nesci e il relatore Lupi sapranno porre correzioni. Vorrei segnalare alla relatrice e al relatore che le nostre ospiti ci forniscono una bozza del testo del contratto con evidenziati alcuni punti. Invieranno poi il testo definitivo. Vi ringrazio e dichiaro chiusa l'audizione.
Audizione della presidente del Consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A., per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), della presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Sono, inoltre, presenti il direttore delle relazioni istituzionali della Rai, Fabrizio Ferragni, l'ingegner Stefano Ciccotti, direttore delle tecnologie, e il dottor Giuseppe Pasciucco, direttore finanza, che ringrazio per la loro presenza.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola alla presidente Maggioni, e successivamente al direttore generale Orfeo, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine degli interventi, domande e richieste di chiarimento.
MONICA MAGGIONI, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Buongiorno e grazie a tutti. Mi fa particolarmente piacere tornare qui questa volta per parlare insieme del contratto di servizio. Il fatto che il contratto di servizio sia arrivato in Commissione di vigilanza è un passaggio fondamentale, perché è stato fatto da parte di tutti un grande lavoro per arrivare a questo punto. Mi sembra importante ricordare in premessa che stiamo parlando di un atto che sana il fatto che dal 2012 non si fosse arrivati a un risultato di questo tipo. Eviterò di passare punto per punto lungo il contratto di servizio e mi fermerò piuttosto sull'analisi degli elementi chiave che, secondo me, lo caratterizzano e delle ragioni per le quali lo ritengo un buon contratto di servizio. È un buon contratto di servizio innanzitutto perché ci siamo arrivati ed è un buon contratto di servizio perché ristabilisce la centralità del servizio pubblico all'interno del sistema del nostro Paese e il fatto che Rai abbia anche degli obblighi, sui quali sono assolutamente d'accordo, tra l'altro, nell'essere punto di indirizzo non solo sui contenuti ma anche sulla tecnologia e che abbia obblighi specifici nei confronti dei cittadini che pagano il canone che hanno tutto il diritto di avere da Rai una serie di risposte precise. C'è, quindi, un arretrato che risale almeno al 2012. Nel testo di questo contratto si cerca di guardare Pag. 22 rapidamente avanti. Un elemento tra i tanti che ritengo di particolare importanza è il fatto che si tenda ad avere uno sguardo più lungo e a dire che servono cinque anni per vedere alcuni processi compiersi. È un elemento di serietà, perché è molto difficile immaginare che alcuni processi di grande complessità aziendale e industriale si compiano in percorsi inferiori. Si tratta di un contratto che riesce a mettere in rapporto diretto – credo che l'abbia sottolineato anche in quest'aula il Sottosegretario Giacomelli – la questione delle richieste che vengono fatte a Rai e le risorse direttamente connesse alla possibilità di realizzare una serie di giuste e doverose richieste.
Un altro degli aspetti che, secondo me, caratterizzano questo contratto è la rinnovata attenzione a pubblici diversi, intesi come categorie di cittadini con diverse esigenze che dentro il servizio pubblico devono trovare risposte. Sono pubblici diversi perché sono fasce diverse della società, perché sono persone e mondi con esigenze precise che dentro il servizio pubblico devono trovare risposta. Ancora una volta, viene sancito il valore universale di servizio pubblico come l'elemento di fondo e il fatto che in una democrazia compiuta non ci si possa accontentare che solo chi può pagare abbia il meglio. Si ribadisce invece che il servizio pubblico debba essere la risposta in termini di qualità, di opportunità e di possibilità anche rispetto a chi non può essere soggetto al pagamento specifico di quote. Di nuovo, è l'elemento del pluralismo e della diversità che viene sottolineato a più riprese.
Lasciatemi fare un passaggio sul discorso dell'innovazione, che viene a più riprese trattato nel contratto di servizio. Il fatto di ribadire la necessità di interpretare il cambiamento della società è un elemento fondamentale. In questi anni molte cose sono state fatte. Basti pensare a quanto è importante oggi nella fruizione Raiplay, il luogo dove le persone molto spesso vanno a cercare prodotti e programmi senza aver bisogno di una televisione che li agganci a un luogo fisico. È stato fatto ed è un primo pezzo di un lavoro molto più complesso che deve essere fatto e che in questo contratto di servizio viene delineato. Non a caso, molto spesso in questo contratto si parla di multimedialità. Si può dire che finalmente si fa, nel 2017. Sì, ma è meglio che, a un dato punto, i termini entrino anche nei testi e sanciscano una volta per tutte dei punti di non ritorno. La multimedialità viene stressata a più riprese.
C'è anche la possibilità che Rai continui a svolgere un suo ruolo di riferimento anche dal punto di vista della tecnologia. Mi riferisco, in questo caso, per esempio, a quello che accadrà nello switch delle frequenze con la banda 700 entro il 2022. La Rai si è già messa a disposizione – il contratto di servizio lo recepisce – per fare da capofila tecnologico per questa migrazione, che non sarà fatta per Rai, che tra l'altro teoricamente sarebbe la meno influenzata da questo cambiamento. Non è fatto per Rai in sé e per sé, ma è fatto proprio per dire che essere servizio pubblico significa anche sulle tecnologie essere il soggetto che è in grado di studiare e fornire servizi che magari gli altri non hanno ancora sviluppato o non hanno interesse a sviluppare. Lo stesso vale per la possibilità di arrivare alla fruizione totale da parte dei cittadini del prodotto di Rai e dei contenuti di Rai.
Questa, dunque, è la filosofia del contratto di servizio, che ci trova molto d'accordo. Ci sono alcuni passaggi, di cui poi sentiremo parlare in dettaglio dal direttore generale, che però mi sembra importante sottolineare.
In questo contratto di servizio si parla di tempi certi su una serie di passaggi fondamentali e di efficientamento, razionalizzazione e programmazione che diventano essenziali per capire dove questa Rai vuole andare e dove si proietta rispetto ai prossimi anni. Personalmente, ancorché questo richiederà un enorme sforzo da parte di Rai, delle strutture e di tutte le persone coinvolte, penso che sia un aspetto importante e doveroso, perché a Rai viene dato qualcosa che è il canone, questa investitura, che non è solo finanziaria, ma è un'investitura di fiducia da parte del Paese e dei cittadini. La risposta deve essere una Pag. 23serie di risultati certi che si vadano a proiettare nei prossimi anni.
Le scadenze le analizzerà probabilmente con più precisione e con una serie di dettagli il direttore generale. Ribadisco, però, che dal mio punto di vista tenere in connessione il Piano per l'informazione, il Piano editoriale e il Piano industriale – sottolineo il Piano industriale – diventa un elemento essenziale per capire che forma debba avere la Rai dei prossimi anni, a chi debba rispondere e quali sono gli elementi chiave dai quali non si può prescindere. Questo è il lavoro che certamente – ne sono sicura – verrà fatto all'interno dell'azienda per essere in grado di fornire risposte precise a queste sfide.
Non solo, continuo a pensare che – se ne parla a tratti nel contratto di servizio – non possiamo prescindere dal fatto di pensare che la Rai di questi e dei prossimi anni dovrà sempre di più lavorare sull'essere il luogo dove il senso critico e lo sviluppo del senso critico del Paese trovano un ambito e una possibilità di lavoro. È veramente quello che il servizio pubblico oggi può e deve permettersi di fare all'interno di scenari che si fanno sempre più complessi e sempre più difficili da interpretare.
Ci si può chiedere: è necessariamente il servizio pubblico quello che dice le verità assolute? Credo di no, ammesso che esista un concetto di verità assoluta. Quello che il servizio può e deve fare, invece, è dare una mano alle persone ad avere informazioni verificate, quando è il caso, e consentire la possibilità di uno sviluppo continuo di uno spirito critico, che è quello che poi serve alla collettività e allo sviluppo del Paese.
C'è una serie di progetti nuovi, uno per tutti il progetto dedicato all'estero, con questo canale in lingua inglese, come ha ricordato il Sottosegretario Giacomelli, che è considerato molto più che un canale in lingua inglese, ossia una piattaforma nella quale il Paese si racconta a sé stesso e al resto del mondo in tutte le sue complessità, legate a tutti i filoni di produzione e di straordinaria ricchezza del Paese, che non sono semplicemente, ancorché grande fonte di indotto per il nostro Paese, il turismo e la bellezza. Sono anche le filiere di produzione, le filiere di innovazione e le filiere di ricerca. Sono le start-up, sono le capacità innovative che in questo Paese ci sono e che troppo poco vengono raccontate, ancorché ne siano elemento vitale.
Un'altra parte a cui viene fatto cenno nel contratto di servizio è l'importanza di tutto il materiale che Rai ha in termini di Teche, che deve sempre di più diventare uno strumento a disposizione del Paese per costruire una storia contemporanea e collettiva attorno a quello che siamo e siamo stati. Mi collego – credo – all'audizione che avete appena avuto, perché ho incontrato fuori in corridoio le persone che avevate appena audito, le quali dicevano che le Teche dovrebbero, per esempio, aiutarci a ricostruire di più e meglio la storia delle donne in questo Paese. Ho risposto assolutamente sì, ma non solo. Questo è uno degli esempi, perché attraverso le Teche possiamo ricostruire molto bene ciò che il Paese è diventato e magari dare un po’ meno per scontata una serie di sistemi e di valori sui quali oggi viviamo e che difficilmente capiamo da dove arrivano, o di cui diamo molto per scontata l'esistenza. Le Teche – sono d'accordo; lo dice il contratto – credo davvero siano un passaggio fondamentale.
Lasciatemi chiudere sul discorso delle risorse, che si intuisce a più riprese dentro il testo del contratto, ma che è davvero un elemento fondamentale. L'idea di poter avere risorse certe su base pluriennale è un elemento indispensabile per poter fare un Piano industriale degno di questo nome e per – non voglio usare l'espressione «essere sempre meno sotto ricatto» – allentare il rapporto con la committenza. Avere risorse pluriennali vuol dire che si fa un Piano industriale su base pluriennale e che su quello si valuta l'efficacia di quello che è stato fatto. Non c'è azienda che sia in grado di fare un Piano industriale senza sapere su quali risorse far conto l'anno successivo. La capacità di proiezione è anche la capacità di essere innovativi rispetto al presente. Non è detto che Rai debba essere per sempre, per tutta la sua storia, quello che è oggi. È molto difficile, però, immaginare dei cambiamenti anche strutturali Pag. 24 significativi se non si ha la certezza di risorse su base pluriennale.
Volevo chiudere proprio su questo punto, dicendo che per me questo contratto, come tutte le cose del mondo e degli uomini, è assolutamente perfettibile. Il fatto, però, che si sia arrivati, dopo tutti questi anni, in tempi corretti all'elaborazione di un testo che comunque mette il servizio pubblico al centro della scena del Paese è fondamentale. Questo implica ancora più responsabilità da parte del servizio pubblico, perché penso che con il riconoscimento della centralità vada di pari passo il senso della responsabilità. Devo anche dire che, al netto del rumore di fondo quotidiano, Rai sa di avere questo tipo di responsabilità e agisce ogni giorno pensando a questo tipo di responsabilità.
I risultati sono tutti perfetti? Non lo so. Certamente so qual è l'atteggiamento di fondo da cui si parte, che è un senso di enorme responsabilità nei confronti dei cittadini, nei confronti di questo Paese e nei confronti del fatto di essere servizio pubblico, con tutta una serie di obblighi e di responsabilità che vanno insieme al concetto stesso di servizio pubblico.
Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Grazie, gentile presidente. Grazie anche per aver ricordato, in particolare, l'audizione precedente con le rappresentanti della Rete per la parità e dell'associazione DonneinQuota, che hanno chiesto una sorta di rilettura al femminile di alcuni punti del contratto di servizio e hanno chiesto, come la presidente ha giustamente riferito, una sensibilità in particolare per il patrimonio enorme, che è un vero tesoro che ha la Rai, di Rai Teche per quanto riguarda la costruzione di una sorta di storia delle donne del nostro Paese.
Do la parola al direttore generale Orfeo.
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Grazie, presidente. Ringrazio lei e tutti i membri della Commissione per questo invito e per l'attenzione. Saluto, in particolare, perché non ci sono riuscito prima – è arrivato qualche minuto dopo l'inizio di questa riunione – il senatore Bonaiuti per l'antica colleganza, giornalistica soprattutto. Ringrazio la presidente non solo per l'ampia introduzione sugli obiettivi strategici che ci eravamo prefissati con questo contratto, ma anche per il riconoscimento dei risultati del lavoro che abbiamo svolto in questi mesi sia all'interno dell'azienda, sia nel confronto con i diversi interlocutori istituzionali, a cominciare dal Ministero dello sviluppo economico, ovviamente, con cui il dialogo è stato, a partire dal mio insediamento, datato al 9 giugno scorso, praticamente costante e quotidiano.
Ci siamo divisi i compiti. La presidente ha delineato i punti e gli obiettivi principali. Io entrerò un po’ più nello specifico di questo contratto, cominciando dal metodo di lavoro che ci siamo dati con il Mise, su cui evidenzierei tre punti essenziali di riferimento che ci hanno guidato nella scrittura del testo.
Il primo è la coerenza con il quadro normativo. Il lavoro è stato sviluppato tenendo conto dei contenuti della Convenzione, che è di aprile di quest'anno, ossia aprile 2017, e del lavoro già svolto, cui faceva riferimento anche la presidente, per il contratto relativo al triennio 2013-2015, che però poi non terminò il proprio iter e, conseguentemente, non è mai entrato in vigore. Ovviamente, è stato assunto anche quello come punto quantomeno di partenza.
Il secondo punto essenziale riguarda il metodo di lavoro, la chiarezza e la semplicità anche in termini di leggibilità del contratto. In tal senso, come avrete sicuramente visto, sono state nettamente separate le parti relative alla definizione dei contenuti della missione di servizio pubblico (articoli 1-22 inseriti all'interno del capo 1) e quelli attinenti invece all'attuazione della missione (articoli 23- 25 accorpati nel capo 2).
Terzo punto è la progressività nell'attuazione, non solo in termini di tempistica dello sviluppo operativo dei diversi progetti, ma anche sotto il profilo dell'adeguamento in funzione dell'evoluzione dello scenario di riferimento, a partire dallo spostamento della banda 700. Rientra in tale ambito tra l'altro la costituzione di una Pag. 25Commissione mista Ministero e Rai, prevista dall'articolo apposito.
Per quanto riguarda invece i contenuti del contratto, tenuto conto anche del fatto che tra mercoledì e giovedì della settimana scorsa avete audito prima il Sottosegretario Giacomelli e poi il presidente dell'Agcom Cardani, mi limito a segnalare di seguito alcuni punti salienti.
Il primo riguarda la definizione dei passaggi operativi necessari a sviluppare il processo che vede il trasferimento a livello europeo delle frequenze inserite nella banda 700 dalla televisione alle telecomunicazioni, e che attribuisce alla Rai il ruolo di capofila del sistema. La conferma dell'impostazione editoriale incentrata sulla necessità di avere una quota preponderante di programmazione dedicata ai generi più tipicamente di servizio pubblico, quindi informazioni, minori, sport, in quote di 70 per cento per la televisione e di 90 per cento per la radio.
Lo sviluppo del nuovo canale istituzionale, che nelle nostre intenzioni e anche in quelle del Ministero serve ad avvicinare i cittadini al funzionamento dei vari organismi: a questo proposito non parliamo soltanto di Governo e Parlamento, ma anche degli organismi europei, della Presidenza della Repubblica, delle Autorità, della Corte dei conti, quindi per accrescere il senso di partecipazione dei cittadini alla vita e alla conoscenza di questi organismi.
Il lancio (questo è un punto qualificante di questo contratto, a cui faceva riferimento anche la presidente) di un nuovo canale in lingua inglese sul modello di quello che fanno già (non inventiamo niente, però è un'assenza che si sente nel nostro progetto di televisione, nella nostra azienda) i principali servizi pubblici europei, canale in lingua inglese che vuole sviluppare un'offerta destinata agli stranieri interessati a conoscere il nostro Paese.
La previsione di nuove misure finalizzate ad accrescere l'attenzione della Rai verso le persone con disabilità, al fine di rendere il servizio pubblico sempre più inclusivo verso tutti i cittadini. Questo è un tema che ci sta molto a cuore e su questo aspetto vorrei sin da subito mettere in evidenza come, anche indipendentemente dalle previsioni contenute in questo contratto di servizio, abbiamo costituito un gruppo di lavoro che sta già elaborando proposte operative di intervento, da mettere in campo in tempi brevi per migliorare in termini non solo quantitativi, ma anche qualitativi l'offerta dedicata alle persone con disabilità, nella convinzione e nella certezza che si tratti di un'area strategica per il servizio pubblico. Per essere pratici e operativi, in tale ambito contiamo entro il 2018 di sottotitolare le edizioni di Tg ad oggi non ancora sottotitolate (Tg1 delle 13.30, Tg3 delle 19.00, Tg2 delle 20.30) e di portare questa sottotitolazione anche ai canali tematici (Rai Yoyo, Rai Movie, Rai Premium e Rai4), di ampliare anche l'offerta sottotitolata a RaiPlay, di cui parlava prima la presidente, che ha già una sezione apposita, e possibilmente di internalizzare parte delle attività oggi realizzate in appalto. Da ultimo, aggiungo che da dicembre riprenderemo il tavolo di confronto con le varie associazioni di tutela dei disabili, e segnalo l'attività di responsabilità sociale della Rai, che ottiene il miglior valore in termini di gradimento del pubblico (oltre il 7 per cento) nell'ambito della ricerca periodica che si fa sulla reputation della corporate.
Ancora, l'individuazione di interventi per ampliare la tutela delle minoranze linguistiche, da quelle storiche previste dalla legge n. 103/1975 a quelle introdotte recentemente dalla convenzione friulana e, per la gioia di un nostro consigliere sardo, a quelle stabilite nella legge n. 482 del 1999.
Fatta questa ampia premessa, ci sono due aspetti in particolare su cui vorrei richiamare la vostra attenzione. Il primo attiene al fatto che abbiamo previsto che i principali progetti, il piano industriale che ovviamente è la bussola di tutti gli altri, il piano editoriale, il piano news, i piani di sviluppo del canale istituzionale e del canale in lingua inglese, il progetto di tutela delle minoranze linguistiche, lo schema della contabilità separata e le altre cose a cui abbiamo fatto cenno prima devono essere definiti entro sei mesi. Aspettiamo che il contratto sia varato nella sua forma definitiva, Pag. 26 ma stanno per partire degli specifici gruppi di lavoro aziendale. Si tratta di una previsione che ritengo importante per i motivi che vorrei esporre e che sono fondamentalmente quattro: evita la coincidenza con la campagna elettorale, come ha ricordato qualche giorno fa il Sottosegretario Giacomelli, con cui abbiamo lungamente e puntualmente valutato la questione; consente alla Rai di poter disporre di un quadro di riferimento maggiormente definito rispetto ad oggi (basti pensare a titolo esemplificativo al fatto che non sappiamo quale sarà la capacità trasmissiva di cui disporremo a regime, quindi quanti canali potremo concretamente realizzare); crea i presupposti per sviluppare il futuro della Rai secondo un processo organico e strutturato, tenuto conto del fatto che tutti questi progetti sono tra loro strettamente interconnessi, quindi richiede un forte coordinamento nell'impostazione; perché si tratta di una tempistica seria e ragionevole (ci piace fare le cose serie che hanno una logica) vista la quantità e la qualità del lavoro che ci aspetta.
Il secondo aspetto attiene invece al più volte citato processo di transizione al nuovo sistema senza banda 700. Alla Rai è stato assegnato il compito di fungere da capofila dell'intero processo, un ruolo importante che siamo pronti a compiere con la massima determinazione e responsabilità. Non posso però non rilevare che si tratta di un ruolo che comporta per noi dei costi anche importanti. Immaginate in particolare lo spostamento di RaiUno e RaiDue dall'attuale Mux 1, che raggiunge oltre il 99 per cento della popolazione, per lasciare spazio alle emittenti locali. Credo quindi sia importante evidenziare all'istituzione parlamentare che voi rappresentate, proprio in questi giorni in cui il Parlamento sta esaminando la legge di stabilità, la legge di bilancio del 2018, la necessità di individuare misure concrete, finalizzate ad assicurare alla Rai le risorse corrispondenti, necessarie a far sì che lo sviluppo del processo possa avvenire in modo virtuoso non solo per la Rai, ma per l'intero sistema radiotelevisivo.
Questi sono i punti principali con i quali sono entrato più nello specifico rispetto alle linee guida indicate dalla presidente, spero di aver fornito gli elementi essenziali e chiarificatori per voi. Naturalmente siamo a disposizione per ulteriori richieste di chiarimento con la presidente e i responsabili delle strutture che hanno lavorato in questi mesi a questo testo.
PRESIDENTE. La ringrazio molto, direttore generale. In particolare mi permetta di dire che questa presidenza insieme ai colleghi ha molto apprezzato il suo riferimento alla questione del Terzo settore e alla disabilità, perché abbiamo avuto venerdì una mattinata completamente dedicata alle audizioni delle associazioni dei disabili, che hanno tutte fatto riferimento a quello che lei ha già dato nella sua dichiarazione di apertura, ed è molto positivo perché avevano tutti sottolineato quanto fosse stato fino a qualche tempo fa positivo il rapporto con la televisione pubblica. Era presente la relatrice, onorevole Nesci, che ringrazio ancora, e abbiamo veramente seguito con attenzione le problematiche che hanno sollevato, quindi la ringrazio molto delle sue parole che sono veramente chiarificatrici.
Vi devo chiedere una cortesia, onorevoli colleghi, siamo qui dalle 9.00 di mattina e ringrazio coloro i quali sono venuti sin da quel momento, ma ringrazio ovviamente tutti i presenti e dovremmo arrivare fino alle ore 15.30 con le audizioni. Quindi vi chiedo la cortesia di rimanere nei tempi predisposti dei cinque minuti. Do immediatamente la parola al collega Gasparri che ne ha fatto richiesta.
MAURIZIO GASPARRI. Meno di cinque minuti per dire che il contratto di servizio per molti versi è anche un atto molto rituale, ci sono cose importanti, ma molte cose che vengono ricollocate perché così si deve fare. Il vero contratto di servizio la Rai l'ha avuto su due aspetti, l'inserimento del canone in bolletta che ha garantito risorse per un lungo numero di anni, sancite poi dalla concessione rinnovata, e la norma che c'è nella legge di stabilità che di Pag. 27fatto dà alla Rai maggiori margini di manovra rispetto alla sua natura di società da un lato 100 per cento pubblica, dall'altro che deve operare nel mercato, quindi quella norma consente alla Rai una libertà di azione enorme.
Cito queste due cose per dire che sono più importanti del pur importante contratto di servizio, perché risorse e maggiore libertà di azione sono due cose fondamentali, al di là del codicillo dell'articolo 23 e dell'articolo 34.
A fronte di questo, il mio Gruppo porrà due questioni (lo dico più come contributo alla fase emendativa). La prima è la questione del dumping pubblicitario che abbiamo discusso più volte ed è oggetto di una discussione apposita qui in Commissione di vigilanza, con un atto di indirizzo che è scaturito da osservazioni che facemmo in occasione del rinnovo della concessione. C'era un problema in passato, il presente dicono tutti che è migliore, però vogliamo che su questo ci sia anche una garanzia a tutela di tutto il mercato, perché un dumping pubblicitario della Rai fa un danno anche al settore dei giornali, al settore della comunicazione in tutti i lati, al sistema complessivo. La pubblicità ha un valore, Fazio lo abbassa, però dovrebbe avere un valore, quindi va salvaguardato.
L'altra questione è il pluralismo, perché all'inizio degli articoli si parla del pluralismo, ovviamente è un richiamo che è nella legge, però ritengo che sia insufficiente allo stato la garanzia della Rai sotto il profilo del pluralismo (pensiamo ai talk show monocorde e a un indirizzo prevalente), quindi in sede di discussione all'interno della Commissione dovremo rendere più cogente il richiamo del pluralismo che c'è all'inizio (credo all'articolo 2, cito a memoria), ma che è un po’ una chimera, perché l'attuale situazione sotto il profilo del pluralismo della Rai è largamente e notoriamente insufficiente. Non entro nel merito, non è questa la sede, è un'audizione sul contratto di servizio, sul quale interverremo sui temi pubblicità e pluralismo: come ho detto, il vero contratto sono le due norme che ho citato, ma anche tenendo conto delle due norme, perché il canone in bolletta rende ancora di più la Rai la casa di tutti, sostenuta da tutti, anche quelli che non volevano pagare sono diminuiti ed è bene che paghino, su questo faremo delle nostre sottolineature di indirizzo generale.
PRESIDENTE. Grazie, senatore Gasparri, anche perché lei giustamente ha sottolineato l'importanza di rimanere nel perimetro della nostra audizione sul contratto di servizio.
ALBERTO AIROLA. Grazie di essere qui oggi, direttore generale e presidente. Parto da alcune considerazioni che ho fatto sull'affermazione della presidente Maggioni riguardo alle richieste che vengono scritte nel contratto di servizio, perché queste richieste devono avere poi un corrispettivo economico, devono essere pagate, quindi non si può chiedere troppo alla Rai.
Partirei dicendo che questo intervento è basato sul tentativo di trovare delle quadre in questa discussione che faremo, attraverso gli emendamenti, in maniera da realizzare i punti principali che sono descritti, andando però inevitabilmente a sacrificare altre questioni. La premessa è sicuramente che manca un piano industriale news e web, sia TV sia web separati. Ci avete parlato di sei mesi, ma direi che in tre mesi o comunque al più presto serve un piano industriale, altrimenti contestualmente si dovrà ammettere che si è clamorosamente fallita la riforma basilare per l'esistenza del servizio pubblico.
Parto dall'intervento di Parascandolo, di Articolo 21, che sottolinea che la questione di cui si parla di più (viene ripetuto numerose volte) in questo contratto è quella di par condicio, di equità, di pluralismo, come citava il collega Gasparri. Si cita svariate volte nell'articolo 2, nell'articolo 5, nell'articolo 6, nell'articolo 23, nell'articolo 21 e nell'articolo 22. Purtroppo io invece verifico che manca attualmente in Rai un giornalismo di inchiesta vero, manca un'informazione economico-finanziaria, e questa è una cosa importantissima, quindi voglio sapere da voi il nome di un programma di informazione economico-finanziaria, manca il giornalista che sta in strada (tra l'altro, Pag. 28questa idea del giornalista che sta in strada e che riporta le notizie arriva da Articolo 21).
Quando si parla di par condicio, equità e pluralismo, mi pare che attualmente in Rai si intenda più rispetto ai partiti presenti nelle trasmissioni che quello politico, sociale ed economico del Paese e delle soluzioni proposte dalle varie forze politiche. La triste dimostrazione sta nel fatto che si continui a raccogliere dai politici dichiarazioni persino senza giornalista. È ancora capitato recentemente a me: troupe con tanto di microfono senza il giornalista. No, ho fatto una dichiarazione che forse troverà su qualche dischetto presente in Rai. Ovviamente non ho rilasciato dichiarazioni, ho detto che mancava il giornalista e che lo specializzato non è tenuto a fare domande.
Il fatto che si continui a raccogliere dai politici dichiarazioni vale il detto «non fare mai la seconda domanda», ed è questa la linea che avete preferito quando comprate programmi da agenti piuttosto che tenersi uno «scomodo» come Giletti, che magari personalmente non mi è simpatico, ma faceva un programma che smuoveva le coscienze e non scippava soldi pubblici regalando basso share e pessima Tv commerciale (adesso pare che sia sospeso il programma domenicale delle sorelle Parodi)... no? Una domenica solo ce le risparmieremo, va bene. Sotto l'ennesimo potente agente Presta, pure imparentato.
Parliamo di piani falliti precedenti che proponevano il rilancio del web della Rai, non di una semplice trasposizione – badate bene – di prodotti Tv pubblicati su un sito magari come quello di RaiNews, ventinovesimo nei ranking italiani (lo potete verificare) dopo Repubblica, Corriere, ma una vera e propria piattaforma con nuovi prodotti (si dice nel contratto) di sperimentazione. Questo è un nuovo linguaggio che richiede il web.
Su questo la responsabilità ricade innanzitutto sul Governo, ma anche su di voi, sul direttore generale, sulla presidente e anche sul consiglio di amministrazione Rai, che in questa sede ha dichiarato che non ha mai votato un piano, perché non gli è mai stato presentato. La presidente Maggioni ci ha tenuto a raccomandarci di contenerci negli obblighi di servizio pubblico prossimamente, e allora vi chiedo se questa Commissione nel contratto proporrà tagli sulle Tv generaliste, su programmi di entertainment costosissimi, su uno spropositato budget (secondo me) di 400 milioni per fiction e cinema (nel contratto all'articolo 7 è scritto «adeguato sostegno», quindi molto vago, non enorme sostegno) con sempre meno risorse per programmi di approfondimento economici, culturali, sociali, di costume e scientifici come Tg Leonardo, Report, Nemo, Petrolio, tra l'altro sostituito senza criterio tutto d'un colpo da Tale e Quale Show, vi può sembrare una buona proposta? In questo, ribadita da tutti, persino da Cardani, c'è l'attitudine della Rai a inseguire la Tv commerciale. Se questa Commissione fa atti di indirizzo per proibire l'acquisto di prodotti esterni, fatti completamente da agenti come Caschetto che ci costano più di 80 milioni in quattro anni...
PRESIDENTE. Senatore Airola, la invito cortesemente a concludere. Grazie.
ALBERTO AIROLA. Per piacere...
PRESIDENTE. Lei sa che chi l'ha preceduta ha parlato addirittura tre minuti.
ALBERTO AIROLA. Lei mi sta portando via del tempo. Mi scusi, ma cinque minuti con il direttore generale e la presidente me li deve concedere!
PRESIDENTE. Cinque minuti già sono passati.
ALBERTO AIROLA. Sono passati perché lei me ne ha bruciato uno. Fatti completamente in esterno da agenti... Vi andrebbe bene usare quei soldi per fare per esempio il canale inglese o RaiWorld o quello che è, con prodotti originali, per investire i soldi nella digitalizzazione degli archivi (articolo 5 e articolo 23)? A proposito, ci fate una relazione tecnica seria (questa ve la chiedo) sulla vastità dell'archivio, le condizioni di lavoro e le tempistiche Pag. 29 di completamento con indicizzazione? Perché quelli sono tanti soldi, e l'aveva detto lei, presidente Maggioni.
Della Gabbanelli non ne parliamo più, perché se ne è andata, ma il suo progetto dovrebbe restare in piedi.
Centri di produzione. Si parla di saturare la capacità dei centri di produzione, ma vorrei conoscere il destino dei centri di produzione che sono a Napoli, Torino, Milano e Roma. Il contratto è molto ampio, ha 24 articoli, e questo è un argomento importante di cui non abbiamo mai parlato, avrei chiesto anche l'audizione dei direttori di centro, ma ci siete qua voi, quindi meglio ancora. Questo perché da una parte si lavora e dall'altra si usano, come a Torino (conosco la situazione di Torino) occasionalmente, magari come supporto a fiction, quando invece avevano una vocazione Tv molto forte e anche una vocazione a seguire eventi di reti (l'orchestra della Rai, l'unica in Italia, l'opera), ma hanno bisogno di tecnologie nuove tipo l'HD. Tg Leonardo e programmi per i ragazzi: facevamo questo a Torino, e, per restare sempre a Torino, anche sul centro di ricerca Rai citato (articolo 23) sempre da Cardani in questa audizione.
Parlavamo di fake news. Ho sentito di programmi per denunciare le fake news. Questo genera ridondanza delle fake news, invece dobbiamo parlare di alfabetizzazione. Il fatto è che, non avendo neanche un piano web, è difficile parlare di programmi che facciano alfabetizzazione digitale. Le smentite delle fake news si deve insegnare al popolo a trovarle sul web, non ripeterle in televisione. Questa sì che è alfabetizzazione digitale, oppure a fare un vero fake checking durante tutti i programmi di informazione. Questo lo trovo basilare, cioè, se un politico, uno di noi dice una castroneria, con tutti i collaboratori che ci sono si fa fake checking durante il programma d'informazione. C'era invece un programma interessante, Il verificatore, sulle truffe on-line, ma non si è più visto. Possiamo risparmiare facendo meno fiction. Va bene, questa è una mia idea. Possiamo aumentare il budget...
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Mi scusi se la disturbo...
PRESIDENTE. No, scusi, direttore...
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Solo per dire che c'è un decreto del Governo che impone...
ALBERTO AIROLA. Sì, c'è una quota.
PRESIDENTE. Senatore Airola, la prego, sta sottraendo tempo agli altri colleghi e non mi sembra carino.
ALBERTO AIROLA. Ho finito.
PRESIDENTE. Sì, ma anche l'attinenza al tema.
ALBERTO AIROLA. Se vuole, cito gli articoli.
PRESIDENTE. Molti li ha citati, ma molti altri sono avulsi dal contesto.
ALBERTO AIROLA. Va bene. Il canale istituzionale era una annosa questione, di cui abbiamo parlato qua parecchie volte, e avevamo deciso nel precedente contratto di non inserirlo, a cominciare dal fatto che ci manca (e come Senato paghiamo) la trasmissione dei lavori dell'Assemblea. Anche Rai Parlamento potrebbe fare quel lavoro. Vi risparmio tutta la questione dei precari, dei giornalisti e di come vengono trattati, perché di quello parlerò sicuramente con le parti sociali che audiremo fra poco, perché continuano a esserci programmisti che lavorano male, che vengono pagati male, anzi spesso anche ricattati («se vuoi fare la prossima stagione mi devi fare lo sconto»), quindi serve più controllo. Mi imporrò sulla questione delle risorse certe, perché quello è un modo per ricattare la Rai, e ci sarà anche il problema della contabilità separata che andrà affrontato, perché non sappiamo come si potrà definire cosa venga fatto con soldi per il servizio pubblico o no. La soluzione è fare solo servizio pubblico.
Sulla par condicio non esiste soltanto quella politica e partitica. Oltre che parlare Pag. 30di Raggi, Appendino, Livorno, si può parlare tra l'altro anche di Milano, Sala, Consip, Etruria, di dieci minuti di servizi...
PRESIDENTE. Ma questo non c'entra niente, senatore.
ALBERTO AIROLA. Sto parlando di par condicio, e c'entra perché sono citate in tutti questi articoli l'equità e la par condicio. Allora, non voglio fare polemiche, ma voglio dire che esiste anche una par condicio nei servizi delle varie sedi regionali che riguardano le notizie delle città, che non sono solo quelle amministrate dal Movimento 5 Stelle. Esistono scandali a Venezia, a Milano, a Genova e a Firenze, quindi gradirei che, in vista di una campagna elettorale pesantissima, voi teniate presenti questi aspetti. Vi ringrazio.
PRESIDENTE. La ringrazio, ma vorrei ricordare che la campagna elettorale sarà disciplinata da un regolamento che approveremo noi prima delle elezioni, quindi non mi preoccuperei adesso di quello che faremo fra qualche mese.
Do immediatamente la parola al vicepresidente Verducci e mi scuso con gli altri perché i tempi sono saltati per colpa non certo del sottoscritto.
FRANCESCO VERDUCCI. Grazie, presidente. Grazie alla presidente Maggioni e al direttore Orfeo. Per rispetto di questa Commissione, presidente, parlerò di quello che è l'oggetto della nostra riunione, di un appuntamento strategico che abbiamo con il contratto di servizio. Dico per rispetto di questa Commissione per evitare che questa Commissione, in maniera un po’ mortificante, si trasformi sempre più in una rubrica di commentatori della televisione del giorno o in un'appendice quotidiana della campagna elettorale. Dovremmo risparmiarcelo soprattutto quando siamo in presenza di appuntamenti così importanti. Voglio sottolinearlo ancora una volta: per noi questa discussione sul contratto di servizio è qualcosa di strategico, lo è per l'azienda, lo è per il servizio pubblico, e hanno fatto bene la presidente e il direttore a sottolineare che ci giochiamo su questo passaggio la centralità del servizio pubblico, le sue potenzialità.
Il compito che abbiamo è rendere questo un testo ancora più forte e ancora più innovativo di quello che ci viene consegnato. È un passaggio per questa Commissione assolutamente importante, e penso che dobbiamo avere consapevolezza e trasmettere questa consapevolezza nel testo finale che licenzieremo, innanzitutto che i prossimi cinque anni che attenderanno il mercato televisivo saranno, dal punto di vista dei contenuti, dell'offerta e dei consumi, cinque anni in cui tantissime cose cambieranno in virtù delle nuove trasformazioni tecnologiche, così come sono stati rapidissimi le trasformazioni e i cambiamenti dei cinque anni precedenti. Ritengo quindi che dobbiamo avere un atteggiamento molto sfidante rispetto a quello che scriveremo, non accontentarci che in questo contratto di servizio vengano recepite le indicazioni presenti nella convenzione, ma cercare di fare di più, evitare soprattutto che si rimanga nella vaghezza di alcuni pronunciamenti. Penso al tema dell'offerta internazionale del servizio pubblico, penso ai temi che riguardano il piano industriale, il piano editoriale, il piano informativo, che sono i fondamenti, l'essenza del servizio pubblico, sui quali da tempo in questa Commissione vi stiamo incalzando, penso anche ai temi che riguardano l'organizzazione aziendale. Certamente in questo percorso dovremo fare in modo che in questo contratto di servizio ci sia un tema, che è quello delle sedi regionali, molto importante per la nostra azienda e dobbiamo introdurlo come merita.
Voglio anche aprire anche una parentesi, e qui mi lego al discorso della presidente Maggioni. Siccome i nostri lavori si sovrappongono in questi giorni e in queste ore a quelli che stiamo facendo sulla legge di bilancio, in discussione in Senato, penso che dovremo fare di tutto affinché venga data all'azienda maggiore certezza di risorse su base quinquennale, visto che abbiamo un obiettivo quinquennale. Penso (lo dico riferendomi alla presidente e in particolare al direttore) che nel momento in Pag. 31cui questo c'è e abbiamo cominciato anche a farlo in questi anni con la legge di riforma, da parte dell'azienda ci debba essere anche la disponibilità a essere giudicati su obiettivi finalmente stringenti e misurabili, quindi con un meccanismo di incentivi oppure di «penalità» su obiettivi che siano misurabili. Naturalmente la certezza delle risorse permette non solo la governabilità, come qui è stato detto, ma anche l'autonomia e quindi anche il pluralismo che tutti noi vogliamo abbia il servizio pubblico in ogni stagione politica e non a fasi alterne.
Chiudo sottolineando altri due temi che penso debbano stare con forza in questo contratto di servizio. Uno è quello del rapporto tra l'azienda e le università e gli enti di ricerca, e quindi attraverso loro con la società italiana, con le energie trainanti della nostra società. Penso che questa azienda dovrebbe porsi l'obiettivo sin da questo contratto di avere un centro di studi, di analisi e di ricerca, che le permetta di essere maggiormente performativa e di affrontare con maggiore consapevolezza le grandi trasformazioni che avremo di fronte.
Da ultimo, ma a mio avviso è il primo tema, di cui abbiamo parlato nel dibattito a margine dell'approvazione della convenzione, penso che questo contratto di servizio debba essere l'occasione per l'azienda di affrontare il lavoro e le risorse umane nell'azienda, e che questo tema non possa non esserci. Nella legge di riforma che abbiamo approvato in Parlamento in questa legislatura abbiamo previsto che nel consiglio di amministrazione ci sia un rappresentante dei lavoratori, quindi dobbiamo dare continuità a questa innovazione presente nella legge e fare in modo che il servizio pubblico si distingua per i rapporti di lavoro, per le questioni sociali, non solo per i risultati che raggiunge in termini economici, dobbiamo evitare che il finanziamento del servizio pubblico porti a modalità di precarizzazione, di iniquità o anche di disincentivi, perché è intollerabile che questo avvenga. Scrivere che debbono esistere garanzie a tutela dei dipendenti, dei collaboratori, trasparenza, equità, merito: tra gli obiettivi esigibili penso vada messo finalmente anche dentro l'arco temporale di questi cinque anni un piano di stabilizzazione dei precari che ci sono in questa azienda.
Grazie, presidente.
PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente Verducci, per la cortesia di essere rimasto nei tempi che ci siamo dati da diversi anni a questa parte, cortesia che chiedo anche al prossimo intervento del senatore Crosio.
JONNY CROSIO. Cercherò di stare nei tempi, presidente. Volevo approfittare della presenza della presidente e del direttore generale per avere un loro autorevole parere su una questione che mi sta particolarmente a cuore, perché vorrei presentare delle proposte nel testo che dovremo poi licenziare. Prendo spunto da un'affermazione che ha fatto lei, presidente, sulla responsabilità verso i cittadini e verso il Paese che ci accomuna, in particolare la responsabilità verso i cittadini di domani, i nostri giovani, dei quali dobbiamo contribuire tutti assieme a migliorare la qualità formativa ma anche la consapevolezza di far parte di un mondo sempre più globalizzato, dove i modelli di riferimento troppo spesso sono alterati o comunque distorsivi della realtà. Mi riferisco a un problema che ho letto su una rivista specializzata che parlava di istruzione e del proliferare di queste produzioni americane che in particolare abbiamo come offerta su televisioni a pagamento, di queste accattivanti serie televisive dove ci sono giovani che non fanno parte del nostro mondo e che diventano modelli di riferimento per i nostri giovani, intendo quelli più vulnerabili tra i 10-12 anni e i 16 anni. Questi ragazzi prevalentemente americani diventano modelli di riferimento, ma non fanno parte del nostro mondo, si alimentano con cibo che non fa parte della nostra cultura – facciamo grossi investimenti per educare anche da questo punto di vista e i modelli di riferimento fanno esattamente il contrario – frequentano contesti scolastici che non fanno parte della nostra cultura, le serie sono ambientate in contesti ambientali lontani dalla nostra società. Va bene tutto, ma Pag. 32la domanda che si poneva questo autorevole sociologo e che mi pongo è se non sia il caso che chi ha la responsabilità, in questo caso la politica ma anche chi potrebbe fare una produzione alternativa, produca qualcosa di alternativo, che sia modulato sulla nostra realtà, per creare proprio questa consapevolezza nel Paese ma anche in questa Europa, anche se è complicato. Quello che vorrei sapere da voi è se vi siano margini per poter creare qualcosa che sia alternativo e di qualità, pur non potendo pretendere che chi fa produzione televisiva faccia questo servizio, perché magari non è produttivo: abbiamo una responsabilità, perché dobbiamo puntare sulla qualità, per evitare questo grosso problema che si sta creando – ai miei tempi abbiamo guardato Fonzie e ha creato in questo Paese dei grossi problemi... è colpa di Berlusconi anche in questo caso, è del tutto evidente – battute a parte, effettivamente c'è questo problema.
PRESIDENTE. Grazie, senatore Crosio, presumo che lei facesse riferimento all'audizione di stamane alle ore 9.00, quando abbiamo audito il presidente dell'Associazione produttori nella persona di un autorevole ex dirigente della Rai, il dottor Leone, dove si faceva riferimento appunto alle produzioni. Scusi, onorevole Peluffo, siccome gli ultimi due interventi richiesti sono dei relatori, lei vuole parlare prima affinché poi loro chiudano? La ringrazio.
VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io presidente e direttore. Prima il presidente Gasparri ha richiamato emendamenti presentati nel corso della discussione che abbiamo svolto sul rinnovo della concessione e poi nella risoluzione, dando conto del suo punto di vista, e io non condivido il suo punto di vista.
Sul tema della pubblicità: prima abbiamo avuto l'audizione di Confindustria Radio Tv, che oltre a richiamare quanto detto dal presidente e dal direttore, ossia l'importanza della certezza e della stabilità di risorse anche su base pluriennale, concetto richiamato anche dal collega Verducci, ha ripreso la questione del contenimento del rischio dumping e scontistica e quella dell'affollamento pubblicitario; a mio parere la norma in questione è precisa, però, siccome su questo c'è una parte svolta in maniera puntuale nel contratto di servizio, volevo sapere se ci siano eventuali elementi aggiuntivi.
La seconda questione è stata sollevata dal senatore Airola, tra le tante. Lui faceva riferimento ai centri di produzione TV. Di questo non c'è granché nel contratto di servizio. È una parte molto simile alla convenzione: vorrei capire se, invece, esistono già dei progetti dell'azienda anche al di là del contratto di servizio o se ci sono anche qui cose che possono essere aggiunte.
Infine, il collega Verducci ha fatto riferimento alla legge di riforma, alla parte che riguarda il futuro. Il prossimo consiglio di amministrazione verrà eletto con un componente in rappresentanza dei lavoratori. Questo non attiene al contratto di servizio, per cui possono anche non rispondere a questa domanda, può esserci occasione in altro momento. Siccome, però, deve essere definito un regolamento per questa elezione, vorrei capire se avete già istruito il dossier.
MONICA MAGGIONI, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Iniziamo a discuterne oggi in consiglio di amministrazione, avendo già elaborato una bozza di regolamento. È evidente che, essendo una cosa completamente nuova, va regolamentata daccapo. Ci stiamo predisponendo perché nei tempi giusti ci sia un regolamento per le elezioni.
DALILA NESCI. Sottoscrivo le domande rivolte dagli altri colleghi, in modo da poter avere un quadro più dettagliato. Forse due domande non sono state esplicitate dagli altri.
Molti degli auditi dei vari ambiti hanno sottolineato l'oscurità dell'articolo 18 della neutralità tecnologica, in sostanza il fatto che la Rai dovrà consentire la trasmissione dei suoi canali sulle varie piattaforme distributive. Si parla di equo compenso, di un Pag. 33accordo che deve trovare la Rai con queste piattaforme. Potete darci un aiuto a comprendere la portata di quest'articolo? L'equo compenso potrà anche significare la possibilità, per esempio, per Sky di commercializzare in un certo modo il marchio Rai presentandolo nell'ambito delle sue attività?
Per quanto riguarda la copertura integrale della popolazione, di cui si parla sempre all'articolo 18, già avete idea di chi certificherà e come quali zone del territorio non sono raggiunte adeguatamente dal segnale del digitale terrestre? Sarebbe già interessante comprenderlo da ora.
Concludo con l'ultima domanda. Per quanto riguarda gli articoli 21 e 22, diverse parti sociali hanno sottolineato nelle audizioni precedenti la mancanza di interlocuzione con il Segretariato sociale. Questo vi risulta? Questi nuovi comitati e commissioni significano il soppiantarsi del Segretariato sociale? Diversamente, dateci più informazioni sulla portata di questi due articoli.
Sono felice che ci sia stata già in prima battuta da parte del direttore generale un'attenzione all'inclusione sociale, e quindi alle esigenze di gran parte dei nostri cittadini, collegata anche al ruolo del Segretariato sociale, che pare sia mancato anche nella scrittura di questo testo. Va fatta particolarmente attenzione alla qualità della sottotitolazione per rendere pienamente autonomi i nostri cittadini che hanno capacità e difficoltà diverse da altri.
MAURIZIO LUPI. Ho anch'io alcune osservazioni. Giudico molto importante quest'audizione con voi, perché siete l'altro soggetto contraente del contratto. C'è un contratto stipulato tra due soggetti, che prevede impegni e risorse reciproche, e nell'ambito del quale si discute.
La Commissione di vigilanza e i relatori, nel dibattito che faremo, hanno il compito, all'interno di questo rapporto, di vedere se esista coerenza o debbano essere ulteriormente implementati gli obiettivi, gli impegni e le risorse.
In questo contesto, credo che già un passo in avanti nelle vostre relazioni ci aiuti ancora di più a svolgere il nostro lavoro, ma vorrei capire meglio. È evidente che questa è la fine di un percorso: convenzione, concessione e contratto di servizio. Gli elementi di coerenza in convenzione, concessione e contratto di servizio devono tenersi. La prima valutazione che dovrà fare la Commissione di vigilanza, rafforzare o meno nel suo parere, è se ci sia stata questa coerenza. Mi piacerebbe capire dal presidente e dal direttore generale, se si può sottolineare, quali sono gli elementi principali di coerenza, ma anche le novità principali. Come è stato più volte sottolineato, tra l'altro, l'ultimo contratto di servizio è del 2012. Nel momento in cui c'è una concessione, praticamente l'attività della Rai si è svolta lo stesso, senza un contratto di servizio. Questo impedisce, però, limita lo sviluppo.
Stiamo lavorando a un contratto di servizio che va dal 2018 al 2022. È la Rai del futuro. La Commissione ha chiesto, nell'audizione precedente, che ci fosse fatto avere un contratto a fronte, cioè un testo a fronte tra il contratto di servizio 2010-2012 e il contratto di servizio 2018-2022. Perché? Non tanto per vedere se sia coerente o meno, ma per capire, ed è questa la seconda domanda, quali sono secondo voi, proprio nello sguardo verso il futuro, le principali novità. Questo contratto di servizio è uno strumento che vi permette di guardare, di proiettare al futuro. Alcuni elementi sono già stati presenti nelle vostre relazioni, ma nella replica mi piacerebbe che ne fossero sottolineati altri.
La terza questione, quindi, è quella della coerenza tra convenzione, concessione e contratto di servizio 2018-2022. Secondo me, poi, una delle principali novità è quella legata all'articolo 23. A fronte di un'enunciazione legittima di princìpi, per la prima volta – questo non c'era nel contratto di servizio 2010-2012, sono andato a vederlo – c'è un articolo che parla degli obblighi per attuare quei punti, e si elencano. La Commissione di vigilanza potrebbe, dal suo punto di vista – ci sono state già discussioni su questo, e penso al pluralismo, uno dei temi veri, non solo quello politico, ma anche quello culturale – dire che questi obblighi devono essere puntuali, che rischiano, Pag. 34 nel momento in cui sono troppo puntuali, di limitare, e addirittura di essere controproducenti rispetto agli impegni. E le reazioni sono esattamente quelle a cui assistiamo. Se c'è l'obbligo del pluralismo e poi questo non si attua, diventa un problema. Questo è un punto delicato, è un elemento importante. Faccio due esempi, perché ci sono nelle audizioni.
Il tema del pluralismo, toccato prima dal senatore Airola e dal senatore Gasparri, non è una cosa da poco e c'entra con il contratto di servizio. È veramente anomalo – faccio una battuta, non è l'oggetto – che oggi uno dei quotidiani attacchi Fazio, e oggi stesso, mentre siamo qui, esca la notizia che l'editore di quel giornale viene invitato alla trasmissione di Fazio. Sto facendo un esempio in positivo: però l'avrebbe invitato lo stesso. Forse sarebbe stato il caso di invitarlo tra due settimane. Il titolo del giornale di oggi riporta quella notizia e un'ora dopo, Berlusconi va da Fazio...
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Scusi l'interruzione: c'è un problema di tempistica che va chiarito. Gli inviti non si fanno la mattina del...
MAURIZIO LUPI. È uscito oggi sui giornali, ma comunque non era l'oggetto...
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Come sapete, Fazio ha cominciato un ciclo di interviste ai leader politici, quindi immagino che, avendo incontrato Di Maio, leader del Movimento 5 Stelle, inviterà...
MAURIZIO LUPI. Ci siamo capiti: magari era una questione di opportunità.
Faccio un altro esempio in positivo, per capirci. Abbiamo fatto un'audizione con il Terzo settore. C'è un'implicazione positiva nel racconto. È una delle battaglie – è stato detto anche da voi – da una parte, le disabilità, dall'altra raccontare una società plurale, una società positiva. L'osservazione da parte di questi soggetti del sociale è che nei princìpi i temi esistono, e anzi enucleate molto bene i vostri princìpi, ma nell'attuazione questi hanno difficoltà a trovare format e contenuti diversi. Il principale quotidiano italiano ha fatto una scommessa, che pare essere vincente, Buone Notizie: addirittura fa un format in cui si raccontano appunto le buone notizie.
L'ultima domanda è sul piano industriale. Tempi certi, risorse certe, impegni, futuro: credo che il piano industriale – vorrei capire se state lavorando su questo e se può esserci un aiuto da parte della Commissione – proietti più verso il futuro che ripercuotere il piano industriale e la riorganizzazione dell'azienda per vincere le sfide future, anche disponibili a cambiare tutto, ad azzerare, a inventare nuovi modelli, nuove strutture all'interno. A me sembra che questo debba essere lo spirito con cui vi aiutiamo a vincere le sfide del futuro, perché un servizio pubblico deve vincere le sfide del futuro.
PRESIDENTE. Ringrazio il relatore Lupi.
Do immediatamente la parola al direttore generale della Rai, al dottor Orfeo, perché risponda a queste numerosissime domande.
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Ci divideremo un po’ i compiti.
PRESIDENTE. Certo. È una consuetudine.
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Esatto. Come abbiamo fatto prima nella relazione iniziale, risponderei alle domande più tecniche, più specifiche, lasciando alla presidente il compito di tracciare le linee guida più generali del contratto sulle domande fatte dai membri della Commissione.
Andrò un po’ random, partendo dalla pubblicità, tema che è apparso subito con l'intervento del senatore Gasparri all'inizio. Mi pare che lui stesso abbia riconosciuto che il presente è migliore. Per quanto ci riguarda, non riscontriamo nel comportamento Rai alcuna anomalia. Siamo abbondantemente meno affollati con il 4 per cento di saturazione. Rispettiamo gli affollamenti in maniera pedissequa, vista anche la vigilanza che Agcom esercita su di noi. Pag. 35Non siamo andati mai fuori dei limiti previsti dalla legge. In cinque anni, infatti, non abbiamo mai subìto una sanzione. Da questo punto di vista, l'atto di indirizzo presentato dalla senatrice Bernini non ci trova assolutamente d'accordo. A proposito della battuta del senatore Gasparri sulla pubblicità che cala con Fazio, voglio ricordare che nei primi sei mesi dell'anno abbiamo avuto qualche contrazione nella raccolta pubblicitaria rispetto al 2016. Da settembre a novembre del 2017, quindi da quando anche Fazio è in onda, insieme a tanti altri programmi, la raccolta pubblicitaria segna un +2 milioni rispetto all'anno precedente. Non c'è quindi calo... I fatti sono questi. Non lego a Fazio né il calo né la discesa, onestamente, per giustizia, per amore della verità.
Per quanto riguarda il pluralismo, è un tema che ovviamente ci è caro. Cerchiamo di rispettare nella maniera più attenta, più coerente possibile, anche con i dati oggettivi di informazione, di cronaca e di attualità, a cui il servizio pubblico non si può sottrarre.
Per quanto riguarda la campagna elettorale, rispetteremo, come sempre abbiamo fatto, anche in qualità di direttori generali delle testate, il regolamento che sarà stabilito da questa Commissione.
Quanto ai centri di produzione, domanda posta sia dal senatore Airola sia dal capogruppo Peluffo, l'articolo 23, comma 20, prevede la valorizzazione dei centri di produzione decentrati, quindi c'è un impegno già scritto in quest'articolo. Il nostro compito, al di là del contratto di servizio, è quello di far lavorare, di sviluppare questi centri di produzione. Il senatore Airola faceva riferimento a Torino, che immagino sia la sua città. Non facciamo solo l'orchestra, peraltro fiore all'occhiello della Rai, o fiction, ma partirà proprio nei prossimi giorni, perché va in onda a gennaio, il nuovo programma di Michele Santoro su Rai Tre, realizzato completamente nel centro di produzione di Torino, come altri programmi e altre trasmissioni vengono realizzate nei centri di produzione di Napoli e Milano, oltre che, ovviamente, in quelli di Roma.
Sempre per stare su alcuni punti specifici, per rispondere all'onorevole Nesci sulla neutralità tecnologica, la domanda è stata molto chiara e molto diretta, altrettanto lo sarà la risposta. Sky potrà trasmettere sulla sua piattaforma i canali Rai, previo accordi, come è scritto, come ha letto, equi e non discriminatori alla fine di una trattativa, di un accordo. In caso di controversia, è previsto che intervenga l'Agcom come arbitro di quest'eventuale controversia. Noi ci auguriamo che con Sky si possa raggiungere un accordo ovviamente utile a Sky, ma soprattutto a Rai.
Per quanto invece riguarda lo sviluppo del digitale terrestre come copertura, do alcune note tecniche. Il nuovo multiplex per l'emittenza locale Rai Tre regionale manterrà lo stesso grado di copertura attuale, quindi maggiore del 99 per cento; Rai Uno, Rai Due e Rai News, così come i canali semigeneralisti, troveranno posto nei multiplex nazionali, che ci verranno assegnati, e che intendiamo portare a superare il limite del 95 per cento di copertura. La copertura universale, invece, sarà garantita dalla piattaforma satellitare, su cui sarà presente tutta l'offerta TV alla massima qualità di trasmissione possibile. Inoltre, se, come speriamo, nel frattempo verrà definito uno switch-off reale nello standard DVB-T2, anche le reti cosiddette DTT terrestri nazionali potranno raggiungere la quasi totalità della popolazione, anche qui per il 99 per cento.
Sono assolutamente d'accordo, e raccolgo con forza e con impegno, se possibile maggiori rispetto agli altri punti, su quello che ha detto l'onorevole Nesci, ma apparso anche in altri interventi, relativamente all'attenzione verso le disabilità, i cittadini disabili, e in questo caso verso il ruolo del Segretariato sociale. Ripeto – l'ho citato nella relazione iniziale – che il Segretariato sociale è molto impegnato nelle sue funzioni di contatto con queste associazioni, che sono poi rappresentanti di questi cittadini, ma anche direttamente con i cittadini. La reputazione della corporation è uno degli ambiti che ha conquistato un punteggio più alto, ma in questo caso l'impegno non basta mai. Credo che il contratto Pag. 36 di servizio, come ho detto anche in apertura, dia un'indicazione forte a tutta l'azienda perché questo percorso venga seguìto, rafforzato, sviluppato e possa veramente garantire una copertura, un sostegno, un contributo, un aiuto massimo a tutta la popolazione che non può guardare o ascoltare la televisione come facciamo noi. Poi io ho un caso personale in famiglia, ho una madre cieca, quindi sono particolarmente sensibile a questo elemento.
Per il resto, con il permesso del Presidente, darei la parola alla presidente per le risposte di carattere più generale.
MONICA MAGGIONI, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Ripercorro anch'io gli interventi per cercare di non perdere pezzi. Ritengo sia davvero importante poterci confrontare, quindi vorrei evitare sintesi troppo azzardate.
Alle questioni poste dal senatore Gasparri ha già risposto in toto il direttore generale, quindi mi sembra esaurito il tema.
Su alcuni dei rilievi mossi dal senatore Airola sono molto d'accordo. Il tema della quadra delle risorse ci trova esattamente nello stesso luogo. Sappiamo che, per produrre, si deve avere e un inquadramento generale aziendale fatto in un certo modo e la certezza di risorse.
Sono molto contenta di sentire il senatore Airola dire che dobbiamo smetterla di inseguire la TV commerciale. Ce lo ricorda, e ce lo ricorda anche sulla base di audizioni precedenti. Questo mi fa sentire un po’ meglio, perché tutte le mattine mi sveglio con una rassegna stampa in cui i nostri ascolti vengono paragonati agli ascolti più bizzarri dei programmi più bizzarri, che non solo non ci possiamo permettere di fare, ma siamo molto orgogliosi di non fare e di non voler fare. Colgo questo stimolo positivo, e la ringrazio. Se ha senso darci i soldi del canone, ha senso darceli anche per metterci in una prospettiva diversa in termini di proposta e di risposta. Su questo stesso piano, è vero che c'è l'antico adagio per cui non ci sono abbastanza giornalisti in strada. Glielo dice una che di strada ne ha fatta tanta con le suole da giornalista di quest'azienda. Non lo ripetiamo, perché oggi ce ne sono tanti, in questo stesso istante, in giro di giornalisti per strada. Si figuri quanto io possa essere felice ad averne sempre di più, ma anche il direttore generale, che ha fatto lo stesso mio mestiere, che abbiamo fatto per tanto tempo insieme. È vero, però, usciamo veramente un po’ anche dalla retorica, perché Rai ha ancora tanta gente in giro, sempre di più. Cercheremo di farlo di più, ed è giusto che così sia, e ovunque. Se però ha un senso ancora oggi darci il canone, è perché di gente ce n'è in giro tanta e perché si cerca di essere sui posti il più possibile, mai abbastanza, e sono con lei, ma ci siamo molto, non siamo certo post-produttivi come atteggiamento rispetto all'informazione.
Sul discorso fiction o meno fiction, invece, non sono molto d'accordo, perché penso che attraverso le fiction passi un sistema culturale. In questo mi collego al tema sollevato dal senatore Crosio. Quello che lui faceva relativo ai modelli di interpretazione della realtà, è un discorso molto serio, che in Europa in questo momento occupa gran parte del ragionamento. Quando importiamo delle serie, non importiamo semplicemente un prodotto televisivo, ma dei modelli culturali. Lungi da me l'idea di un protezionismo e di barriere rispetto ai modelli culturali. Non siamo all'epoca del lancio delle casse di tè davanti a Boston, ma è vero che ci dobbiamo porre un tema di quanto riusciamo a produrre noi, autonomamente. Nelle nostre produzioni passa anche una visione del mondo, modelli culturali, un modo di essere, per esempio, europei, che non possiamo dare per perso. È lì che bisogna trovare il bilanciamento giusto.
Al senatore Verducci vorrei dire che la misurabilità, e vado al cuore del ragionamento, è una mia grande passione. Penso, su tutto quello che in termini di misurabilità viene chiesto – abbiamo già eliminato il discorso per cui la misurabilità non è l'Auditel per sé, se no crolla tutto l'impianto filosofico sul quale stiamo ragionando in termini di servizio pubblico – su efficacia, su costruzione di forme anche industriali sempre più corrispondenti alle sfide che abbiamo, e non ancorate al secolo scorso, su capacità di proposta e di connessione Pag. 37 con pezzi di paese, e lei citava l'università e la ricerca, che debbano esserci pezzi di paese che sanno che in Rai non solo si parla di loro. Non ci deve essere il singolo rettore che insegue il direttore generale, me o qualcuno del consiglio di amministrazione per avere il pezzettino. Bisogna sapere che ci sono pezzi di paese strategici nella costruzione di una cultura condivisa e collettiva, e che quindi hanno in Rai un interlocutore privilegiato.
Su questo inserire anche strumenti di verifica mi trova totalmente d'accordo. Non dobbiamo avere nessuna paura a dire che vogliamo andare in una certa direzione. Certo, sì, misuriamoci su queste cose, andiamo a vedere quanto lo abbiamo fatto e quanto no.
In questo senso, il discorso dell'onorevole Peluffo è stato sulla pubblicità e sui centri di produzione. Anche lì, però, fare cose concrete, che si possono raccontare ed elencare, vuol dire mettere al centro anche il nostro sistema produttivo, e non più considerarlo area marginale cui si danno dei contentini qua e là. Questo sarà di sicuro un atteggiamento.
Mi sembra, presidente Lupi, che su alcune di queste cose ho risposto, perché è il discorso di come declinare gli obblighi, alla fine, quello che sto tentando di dire.
Alle domande dell'onorevole Nesci ha risposto, sostanzialmente, il direttore generale, ma il passaggio sul Terzo settore per me è fondamentale. Non deve essere e non può essere una di quelle cose che si fa perché tanto almeno abbiamo un'aura di cose buone che facciamo, e questo va a coprire il resto: no, deve essere un pezzo centrale della missione Rai. Rai lo ha molto fatto nella sua vita per sua stessa indole, per sua stessa presenza al centro della comunità del nostro Paese, ma è vero che oggi abbiamo anche strumenti per farlo di più e meglio. La sottotitolazione è una mia antica battaglia. Sono stata direttore di Rai News 24, e le garantisco che per me, ogni volta che c'era qualcosa che non funzionava nella sottotitolazione, era una sfida persa. Non ci possiamo semplicemente permettere di non essere i migliori e i più bravi da questo punto di vista. I nostri centri, anche dal punto di vista dello studio tecnologico, stanno capendo come elaborare al meglio, probabilmente anche all'interno, alcune soluzioni. Io stessa ho avuto sollecitazioni da altri canali europei, che stanno elaborando tecnologicamente delle soluzioni a questa stessa questione. Metteremo in comune le informazioni che abbiamo, non perché «c'è anche quello». No. Se sei servizio pubblico, quello è al centro di quello che stai facendo.
Quanto alle buone notizie, e lì mi fermo, presidente Lupi, già un'iniziativa che si chiama Buone Notizie contrasta un po’ con un mio modello culturale. A me interessa che ci sia un elemento costruttivo, non buone notizie da dare, ma una capacità di costruire buone notizie insieme. Dopodiché, rispetto a un'inondazione di angosce, qualcuna giustificata e qualcuna meno, ben vengano i posti in cui si possono anche dire delle cose positive, specie se sono cose positive realizzate grazie a un lavoro insieme.
Stiamo facendo in questo momento con Ebu una campagna che si chiama «Keep media good», tieni il pezzo buono dei media. L'Ebu e il senso del servizio pubblico sono in discussione non solo in Italia, ma nel resto dell'Europa. Una delle campagne che stiamo facendo è legata proprio al racconto della storia di Monica Contrafatto, che tutti voi conoscerete, un'atleta paralimpica, che soprattutto viene dal nostro esercito. In questo spot che sta girando, racconta come nel marzo del 2012, dopo essere stata colpita da una bomba in Afghanistan, sia stata ricoverata in Germania e le sia stata amputata una gamba. Dice: «Torno a casa e sono sulla Rai quando vedo la mia prima gara paralimpica. Mi dico “Ok, appena esco dall'ospedale, voglio anch'io la mia protesi da corsa”». È un pezzetto minuscolo, ma di quelle storie che Rai deve essere in grado di raccontare, non nel senso che c'è anche il racconto di queste cose. Da lì si riparte. Il che ci permette anche di dire che vogliamo fare sì l'ascolto, ma ci sono certi ascolti che non vogliamo proprio fare. Il racconto della realtà in tutte le sue forme lo vogliamo fare, sì, ma non vogliamo essere schiacciati esclusivamente Pag. 38 sull'elemento numerico. Secondo me, nel contratto di servizio questo tipo di complessità compare e sarà – credo – un grande esercizio poterci lavorare sopra insieme.
PRESIDENTE. La ringrazio molto. Se non erro, direttore, lei ha necessità di interloquire e di approfondire la domanda del senatore Verducci. Prego, direttore, a lei la parola.
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Qualcosa accade in mezzo. Sul tema lavoro, risorse umane e precariato, ci interrogava il senatore Verducci. C'è anche una sua interrogazione, alla quale risponderemo. Adesso abbiamo tutti gli uffici qui, ma è in arrivo, la risposta. Spero che sia già pronta, solo da inviare. Naturalmente, è un tema a noi molto presente, che lo sarà ancor di più davanti all'impegno che abbiamo preso con il contratto di servizio, e quindi anche in questa sede, piano industriale, piano news, piano informazione, perché è strettamente collegato a questo. Le dico di più. C'è un impegno formale, perché ne abbiamo discusso frequentemente anche all'interno del consiglio di amministrazione, di dedicare una sessione straordinaria del consiglio di amministrazione – la sollecitazione è venuta più volte da diversi consiglieri, dalla consigliera Borioni, dal consigliere Freccero e da altri – come abitualmente non facciamo su nessun argomento, proprio alla situazione del precariato in Rai e al tema del lavoro in generale e delle risorse umane. È un tema che si incrocia inevitabilmente in maniera stringente con quello che sarà il piano industriale, poi il piano dell'informazioni che da lì discenderà, presente nel contratto di servizio e tra i nostri obblighi, gli impegni che abbiamo preso con il Ministero dello sviluppo economico e con voi oggi.
ALBERTO AIROLA. Che cosa pensate della possibilità di un emendamento che preveda, oltre che l'eliminazione dei canali tematici, anche di quelli generalisti, proprio per ridistribuire le risorse su canali tematici e andare verso una Rai più proiettata al futuro, quindi alla scelta del singolo utente?
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. La domanda è impegnativa. Va specificata un po’ meglio.
ALBERTO AIROLA. Ha senso scrivere un emendamento del genere?
PRESIDENTE. Scusi, senatore, non dipende da loro. Dipende dai relatori e da tutti noi membri della Commissione. Proprio per quello che ha detto la presidente, voglio ringraziare la presidente e tutti voi per quest'importante audizione. Devo dire che le risposte che loro hanno dato ai relatori, all'onorevole Nesci e all'onorevole Lupi, saranno importantissime per la realizzazione del nostro parere. Mi fa piacere, come la presidente ricordava, che da questa parte del tavolo stamane ci siano, a partire dal dottor Ferragni ad arrivare al sottoscritto, quattro giornalisti professionisti.
MARIO ORFEO, direttore generale della Rai. Anche dall'altra parte!
PRESIDENTE. Ce ne sono anche dall'altra parte, ma è una curiosità. Questo mi consente di dire grazie alla presidente e al direttore generale. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 12.35, è ripresa alle 12.45.
Audizione di rappresentanti di UsigRai, AdRai, Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl-Telecomunicazioni, Snater, Libersind. Conf. Sal e Fistel-Cisl.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana Spa, per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), di rappresentanti di UsigRai, ADRai, Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl-Telecomunicazioni, Snater, Libersind. Conf. Sal e Fistel-Cisl. Pag. 39
Sono presenti: per l'USIGRai, il segretario, Vittorio Di Trapani, e Lidia Galeazzo; per l'ADRai, il presidente Luigi Meloni e il membro del consiglio direttivo Giuliano Fiorini Rosa; per Slc-Cgil, Cinzia Maiolini e Alessio De Luca; per Uilcom-Uil, Antonio Bulletti Ottavi; per UGL-Telecomunicazioni, Dante Iannuzzi e Cristiano Lanni, del coordinamento nazionale; per lo Snater, il segretario generale Piero Pellegrino e il segretario nazionale del settore radio televisioni Walter Zanni; per Libersind. Conf. Sal, Marco Cuppoletti e Fabio Spadoni; per Fistel-Cisl, Pietro Muratori.
Anche a nome dei colleghi, ringrazio tutti per aver accolto l'invito della Commissione.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola al dottor Di Trapani, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere a lui, al termine del suo intervento, e agli altri rappresentanti sindacali domande e richieste di chiarimento.
Dato il succedersi impellente delle nostre audizioni – siamo qui dalle 9 e dovremo arrivare intorno alle 16 – mi sembra di aver compreso che il segretario Di Trapani riassumerà nella sua persona molte altre opinioni.
VITTORIO DI TRAPANI, segretario di UsigRai. Buongiorno, presidente. Grazie a lei, grazie alle commissarie e ai commissari presenti per quest'invito, che le organizzazioni sindacali, tutte le organizzazioni sindacali, i dirigenti, i giornalisti, quadri, impiegati e operai, hanno deciso di raccogliere in maniera unitaria. Sul testo che leggerò c'è anche il totale e pieno assenso anche da parte della Federazione nazionale della stampa italiana. Così come in occasione dello schema di Convenzione, abbiamo deciso di parlare con una voce unica.
Di fronte alle scelte strategiche i lavoratori rispondono in maniera unitaria e compatta. I tempi del confronto sul contratto di servizio dettati dalle norme vigenti sono oggettivamente contingentati e molto ristretti, ma il contratto di servizio è ciò che impegna la Rai servizio pubblico per il futuro, quindi meriterebbe un confronto aperto e pubblico, approfondito e serio. A ogni modo, ci auguriamo che possano essere accolti gli spunti che stanno arrivando e che arriveranno nel corso di questo utile ciclo di audizioni.
Noi partiamo dalle risorse. Ancora una volta, la discussione viene fatta al buio. Non c'è alcuna certezza di risorse, men che meno di medio-lungo termine, salvo un blando riferimento a garanzie per i tre anni del piano industriale. Diciamolo con chiarezza una volta per tutte: il canone in bolletta è stata un'ottima operazione di lotta all'evasione, oggettivamente riuscita, ma è sostanzialmente a saldo invariato per la Rai, che nel 2017, secondo calcoli che non sono solo nostri – ultimo in ordine di tempo, il focus annuale di Mediobanca – incasserà una cifra inferiore a quella incassata nel 2013. Siamo consapevoli che questo nodo non andava sciolto nel contratto, ma allora perché non approvare prima la norma che deve assicurare risorse certe e di lungo periodo, ad esempio in stabilità o altra norma? Non esiste un contratto in cui la prestazione sia nota e il corrispettivo economico rinviato a una seconda fase. La Rai deve poter contare su risorse certe, adeguate e per l'intero periodo del contratto, ovvero cinque anni. Oggi, invece, tutto passa per la legge di stabilità, dunque Governo e maggioranza di turno hanno in mano la leva economica dell'azienda, con pesanti ripercussioni sull'autonomia gestionale della Rai, che implicano un controllo indiretto sulla possibilità di informare liberamente. In termini di certezza e stabilità, sarebbe stato già un segnale, così come era stato annunciato anche da alcuni componenti del Governo, ricondurre l'intero ammontare del canone alla Rai, quindi eliminare ad esempio il taglio strutturale del 5 per cento, rivedere da subito, senza attendere il 2019, la distribuzione del cosiddetto extragettito, e fare chiarezza sul 4 per cento di IVA. Intanto, però, si coglie subito l'occasione per ipotizzare interventi sulla pubblicità. Un intervento sui tetti non è accettabile in assenza di risorse adeguate, certe e non modificabili anno per anno, e senza un Pag. 40intervento sul SIC per rivedere i limiti Antitrust. In assenza di queste condizioni, non è accettabile. Allo stesso modo, il calcolo dei tetti suddivisi rete per rete rappresenterebbe un danno pesantissimo per la Rai.
Il secondo tema cruciale è quello della rete delle frequenze. Il passaggio alla banda larga mobile e la liberazione della banda 700 avvengono senza chiarire alcuni aspetti fondamentali, non tutti toccati nel contratto di servizio, ma pare evidente una connessione tra i diversi provvedimenti. Perché la Rai deve liberare il MUX 1 a vantaggio dell'emittenza privata locale? I costi in termini tecnologici di comunicazione, di prevedibile perdita di telespettatori, verranno interamente coperti da risorse aggiuntive dello Stato? La domanda è ancora più stringente, tenuto conto dell'obbligo in capo alla Rai di coprire il 100 per cento del territorio e del passaggio alla DVB-T2. Poi c'è la questione di fondo: l'obiettivo finale, qual è, quello di istituire l'operatore unico di rete? Noi dichiariamo sin da ora di essere contrari a qualsiasi ipotesi di perdita da parte della Rai delle risorse frequenziali delle quali è concessionaria e della propria rete di trasmissione, una struttura capillarmente presente sul territorio che è stata utilizzata negli anni per assolvere agli obblighi di servizio pubblico, a differenza di quella degli altri broadcaster privati, a meno che non sia la controllata Rai Way a divenire lei stessa l'operatore unico. Quel che è certo è che, se è questo l'obiettivo, l'operatore unico, va dichiarato subito e in maniera chiara. A tal fine consideriamo inaccettabile che nel secondo comma dell'articolo 1 si consenta a Rai di avvalersi, per le attività inerenti al servizio pubblico, di società da essa solo partecipate e non controllate.
Venendo al terzo punto, il contratto impone la presentazione entro sei mesi di un nuovo piano industriale e un nuovo piano editoriale, un fatto positivo se visto come imposizione di fatto nei confronti di un vertice di viale Mazzini che in due anni ha fagocitato ben due progetti di riforma. Tuttavia, non possiamo non notare che questa scadenza mette in capo a un vertice, che a quel punto sarà a un passo dalla fine del proprio mandato, uno degli atti più rilevanti per la sopravvivenza e il rilancio della Rai. Si affida, dunque, un piano a un gruppo dirigente che sicuramente non sarà quello che dovrà poi attuarlo. Allo stesso modo, non possiamo non notare che i sei mesi scadranno all'indomani di elezioni dall'esito incerto, e pertanto è perlomeno dubbio che la Commissione sarà già operativa in tempo utile per esaminare i due piani. Per di più, gli indirizzi non dicono nulla di concreto sulla strada industriale da intraprendere. Pertanto, per noi restano grandi incognite rispetto a scelte che possono determinare il ridimensionamento o il rilancio del servizio pubblico. Nel contratto molte cose sono ipotizzate, ma dipende poi dalla strada che si intraprende. Allora, citiamo alcuni esempi.
Relativamente alla riorganizzazione delle reti, non abbiamo alcun pregiudizio verso la rimodulazione del numero di canali non generalisti, così come è previsto in convenzione, ma riteniamo che il piano non possa limitarsi a una mera riduzione dei canali. Qualunque decisione deve essere improntata all'interesse collettivo dei cittadini e a un mantenimento, se non ampliamento, del perimetro produttivo e occupazionale.
In secondo luogo, nulla si dice sulle sedi regionali. La presenza di redazioni in ogni regione e provincia autonoma è elemento fondamentale ma non sufficiente. Seppur nel quadro di una utile riorganizzazione, le sedi regionali vanno rafforzate e i centri di produzione vanno impiegati al massimo della loro capacità produttiva per salvaguardare informazione e approfondimento culturale nelle realtà locali. In tal senso, è debole anche il capitolo sui centri di produzione decentrati, ai quali non viene concessa con chiarezza la disponibilità delle risorse necessarie per svolgere il compito assegnato dalla norma, rimandandola a possibili convenzioni con province e regioni. Oltretutto, nel contratto di servizio manca una chiara distinzione dal punto di vista produttivo e ideativo di tali realtà, che devono necessariamente avere più redazioni e l'obbligo di una programmazione più complessa rispetto alle altre sedi regionali. Pag. 41 La presenza sul territorio è elemento distintivo di tutti i servizi pubblici europei, spesso in maniera più massiccia che in Italia. Questo può essere reso possibile anche individuando ruoli nuovi per la Rai servizio pubblico.
Laddove, ad esempio, il contratto prevede che la Rai digitalizzi tutto il proprio patrimonio audiovisivo, si potrebbe prevedere che il servizio pubblico diventi il luogo della memoria e della conservazione in digitale della memoria di tutto il territorio, un servizio a disposizione di tutte le altre realtà produttive (istituzioni, amministrazioni, scuole, centri di cultura) per far sì che questo patrimonio possa essere poi messo a disposizione del pubblico o dei cittadini, un modo concreto per dare sostanza alla definizione di Rai come più grande azienda culturale del Paese. Di sicuro, appare come una contraddizione quella di richiamare alla conservazione della memoria collettiva senza imporre alla Rai però uno stop al ricorso sfrenato agli appalti e il ritorno alla produzione all'interno delle immagini. Oggi, giornalisti per immagini e operatori sono in numero sempre più residuale, e la Rai non intende formarne di nuovi. Insomma, in una TV che va verso una maggiore definizione della qualità dell'immagine, il 4K, l'8K e così via, la Rai rinuncia ai professionisti dell'immagine.
Il terzo punto riguarda il ruolo delle società di produzione e lo strapotere degli agenti. Ormai, in Rai decidono gli agenti e le società di produzione palinsesti, conduttori, autori e perfino ospiti e commentatori. Nei fatti, è la privatizzazione del servizio pubblico. Serve uno stop netto al loro strapotere, che ha comportato costi elevati e spesso pessimi risultati di ascolto. Serve un impegno chiaro, uno strumento normativo efficace per esigere la piena utilizzazione e la valorizzazione di tutte le risorse professionali interne.
Segnaliamo poi tre grandi fronti aperti sui quali la Rai rischia la débâcle rispetto ai competitori privati.
Relativamente alla radio, mentre i privati investono e costruiscono, la Rai continua a non mettere in campo progetti e risorse per la radiofonia. Tutti gli indicatori ci dicono che è un mezzo dalle straordinarie potenzialità, ma pressoché dimenticato dalla Rai. Vista l'evoluzione e l'espansione del settore, sono assolutamente necessarie risorse specifiche per lo sviluppo della rete e per il DAB+.
Quanto a Web e social, dopo il successo di Rai Play, il vuoto. Ancor di più in vista della DVB-T2 e del 5G, la Rai deve colmare con urgenza il vuoto totale di progetto sul Web e social; un ritardo che rischia di diventare incolmabile, creando una frattura ancora più grande, sempre più grande, con un'intera generazione. Per dirla tutta, è paradossale che nel 2017 si debba attendere il contratto di servizio per spingere un'azienda, che si dice multimediale, a mettere in campo un serio progetto multipiattaforma. È paradossale. Il tentativo avviato tre-quattro anni fa è nei fatti naufragato per errori che il sindacato aveva annunciato da tempo e per tempo. Così oggi siamo tuttora senza un piano, anzi assistiamo a continui rinvii, anche con motivazioni ai limiti della pretestuosità.
Di fronte all'assenza della capacità progettuale dei vertici vecchi e nuovi, ben venga l'impulso del contratto di servizio, ma deve essere più preciso. La definizione chiave in tutto il mondo è digital first. La BBC, nel confronto con il Governo, ha fissato per sé come obiettivo quello di restare rigorosamente un broadcaster, ma pensandosi e ripensandosi internet fit, ovvero adatto al Web. La Rai servizio pubblico deve fare su questo un salto deciso in avanti.
Venendo ai diritti sportivi, se lo sport è davvero trasmissione di valori, non possiamo accettare che sia ormai a beneficio dei pochi che possono spendere soldi per la pay tv. Governo e Parlamento hanno l'opportunità di affermare che lo sport deve tornare a essere di tutti e per tutti, sulle reti generaliste prima di tutto, ma sfruttando anche le potenzialità, soprattutto per il pubblico più giovane, delle nuove piattaforme.
Riflessioni analoghe debbano essere fatte sul fronte della riforma delle news, un progetto che manca da anni e che i sindacati tutti sollecitano da anni. Pag. 42
Nessun tabù sulla ridefinizione del numero delle testate giornalistiche, ma il piano non può essere pensato solo con questa finalità. Il piano dovrà assicurare il rispetto del pluralismo, della qualità, dell'autonomia, dell'indipendenza e della veridicità dell'informazione, temi ancora più stringenti e cruciali alla luce delle attuali norme sulla governance, che hanno riportato ancora di più sotto Governo e maggioranza parlamentare il controllo del vertice di viale Mazzini. Per questo ribadiamo con forza che il primo passo decisivo per il rilancio della Rai servizio pubblico resta quello di liberarla dal controllo dei governi e dei partiti. Confermiamo che il DDL che porta il nome dell'attuale Presidente del Consiglio resta comunque un'ottima base di partenza di discussione per la riforma.
Sempre sul fronte editoriale, nulla si dice sui contenuti. Molto avremmo da dire, ma visti i tempi contingentati, ci limitiamo a poche indicazioni fondate sui fatti degli ultimi giorni: giornalismo investigativo, contrasto all’hate speech, periferie da illuminare.
Il giornalismo investigativo è uno dei tratti distintivi del servizio pubblico. Il contratto potrebbe chiedere alla Rai ciò che nessun vertice ha voluto realizzare: il nucleo di giornalismo investigativo, proposto ormai anni fa dal direttore Roberto Morrione.
Nel contratto si fissano obiettivi e impegni per la Rai, ma nulla si dice sul no hate speech, il contrasto ai linguaggi di odio. Ricordiamo che su questo fronte l'unico impegno formale e concreto è contenuto in un accordo sindacale, caso unico in Italia, nell'ambito della sperimentazione su Web e social. Basterebbe far entrare nel contratto di servizio l'atto di indirizzo, delibera n. 424 del 2016, delibera su questa materia approvata un anno fa dall'Agcom.
Infine, sarebbe opportuno un impegno concreto rispetto alla necessità di illuminare le periferie. Sempre per esigenze di tempo, non ci dilunghiamo, e lasciamo agli atti il rapporto pubblicato alcuni giorni fa a cura di COSP e Osservatorio di Pavia, con il sostegno di FNSI-UsigRai, dove tra le altre cose si sottolinea che nei TG di prima serata solo l'1 per cento delle notizie è dedicato alle periferie. Dal contratto potrebbe arrivare un impegno chiaro e concreto a ribaltare questi numeri.
Sulla collaborazione e il sostegno della produzione cinematografica italiana e indipendente bisogna riportare il lavoro e le risorse nel nostro Paese, dare valore alle professionalità del nostro cinema, produrre fiction, documentari e film sul nostro territorio. Per fare questo, bisogna indicare tali impegni con maggiore chiarezza nel contratto di servizio.
Ancora, se il contratto è il luogo dei diritti e dei doveri per la Rai servizio pubblico, allora è indispensabile che si imponga alla Rai un dovere etico: il rigoroso rispetto dei contratti e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Pertanto, è indispensabile una parola di chiarezza su precariato e su contratti atipici. Pensiamo ai lavoratori autonomi, ai programmisti, agli assistenti, ai tecnici, che troppo spesso non sono contrattualizzati per il lavoro che realmente svolgono. Problema ormai non più gestibile anche nell'interesse dei cittadini nei programmi di informazione di rete, è presente anche nelle testate giornalistiche, ma è esteso anche ad altri settori produttivi e a diverse figure professionali. Eventualmente, approfondiremo dopo il tema anche relativamente a fatti di attualità.
Infine, sarebbe necessario definire con maggiore forza che l'obiettivo, anzi la priorità del servizio pubblico è la qualità.
In un momento storico in cui la risposta degli editori alla crisi economica è stata la crescente «deskizzazione», riteniamo opportuno affermare che la Rai servizio pubblico ha il compito di tornare a essere fonte delle notizie. Per farlo, servono mezzi, risorse, figure professionali adeguati a chi svolge il lavoro sul campo.
La coscienza del Paese passa attraverso le produzioni e l'informazione Rai, dalla formazione delle idee allo sviluppo di creatività e forme di cultura. Mentre, infatti, l'imprenditoria privata deve puntare a bilanci e fatturato, agli utili economici per intenderci, il servizio pubblico invece deve avere come priorità la creazione di utili Pag. 43sociali, quindi favorire un processo di crescita di tutto il Paese, che in futuro potrebbe trasformarsi anche in crescita sociale e anche economica. Dunque, futuro: questa dovrebbe essere la parola chiave per la Rai servizio pubblico, e quindi anche del nuovo contratto di servizio.
In chiusura, un grazie lo voglio dire a tutte le sigle sindacali, perché trovare questo sforzo di unità, questo sforzo di compattezza non è banale in un momento in cui nella politica, nel sindacato, nelle realtà sociali, è più facile dividersi. Le lavoratrici e i lavoratori della Rai hanno scelto, invece, di unirsi, di mettersi insieme per parlare con una voce, perché sappiamo che questo è un momento cruciale e volevamo suggellarlo così. Ancora grazie.
PRESIDENTE. Grazie, caro Vittorio Di Trapani. Anch'io mi associo alle sue ultime parole. Posso assicurarvi, perché lo conosco da tanti anni, come voi, che avete scelto un ottimo portavoce.
Do il benvenuto ai rappresentanti dell'UGL, che sono arrivati.
Mi permetteranno i colleghi, prima di dare la parola a chi ne ha fatto richiesta, di dire a Vittorio Di Trapani due cose.
Venerdì abbiamo avuto l'audizione di Articolo 21, con il professor Parascandolo. Come la collega Nesci ricorda – c'era anche il collega Anzaldi – abbiamo parlato molto di questo giornalismo d'inchiesta, facendo riferimento a tantissime argomentazioni. I colleghi hanno già mostrato di avere sensibilità sull'argomento. Vorrei poi significare a Vittorio e a tutti voi, gentili auditi, che pochi istanti fa il direttore generale della Rai, su sollecitazione di vari colleghi, ha annunciato che sulla questione emergenza lavoro in Rai e precariato si terrà, presumo a breve, mi auguro a breve, una sessione straordinaria e monotematica del consiglio di amministrazione. Se non erro, questo ha detto pochi istanti fa.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALBERTO AIROLA. Grazie a tutti voi. Con molti di voi ci siamo visti svariate volte.
Lei non ha sentito, dottor Di Trapani, il mio intervento di poco fa, ma verteva su moltissimi punti che lei ha citato. Tra l'altro, pur non essendoci, ho sentito via Web l'intervento di Articolo 21, e sono d'accordissimo con quello che è stato detto.
Qua c'è un grave problema, e a questo punto faccio un intervento unico per sindacati UsigRai e FNSI, che mi dicono essere comunque omogeneo alla sua posizione, sull'inquadramento dei giornalisti in Rai. Qui c'è un problema grave di precariato, c'è poca copertura e sfruttamento, nel senso anche di ricatto. Un giornalista è libero se sa di essere coperto, di avere la copertura aziendale, e non essere ricattato dalla paghetta, dalla partita Iva, dall'anticipo. Il giornalista di Nemo, tanto per portare un caso di cronaca recente, quello aggredito, era un giornalista precario in partita Iva, peraltro di un service esterno. Anche sulla saturazione del personale, sull'uso completo del personale interno, qua non ci siamo ancora.
Un altro aspetto sicuramente basilare era quello del fact checking, che chiedo a tutti i giornalisti di fare durante tutte le trasmissioni.
Alla Federazione nazionale stampa, che non c'è – lo chiedo tramite lei – chiedo che cosa pensi del fatto che, quando all'ultima audizione venne un rappresentante, che mi pare fosse il vicedirettore, perché si stava cambiando direzione, chiese che tutti i programmi di informazione fossero diretti da giornalisti. Come ben sapete, è passato un tetto a tutti, e per aggirare questo tetto alcuni giornalisti si sono trasformati in artisti. Vorrei sapere se questa è un'operazione che giudicate lecita, se non sia un'operazione da contrastare, perché da un certo punto di vista lesiva proprio della professionalità e della specificità del giornalismo, che ha una sua deontologia, che magari l'artista sicuramente ha, magari ha quella circense per alcune cose. Questo mi sembra un aspetto molto importante.
Ai sindacati chiedo un maggior impegno, perché avete facoltà di chiedere conto del pieno utilizzo delle risorse interne. Mi riferisco a quello che si diceva prima. Pag. 44
Relativamente agli appalti, solo lo Snater ha chiesto conto dell'utilizzo di registi, scenografi e autori esterni. Il job posting per l'area editoriale è stato abolito dalla scorsa gestione. Questa è una cosa su cui dovette lottare, dovete impegnarvi. È inaudito, perché poi ci sono gli scandali di corruzione. In Senato è passata una legge sul whistleblowing, che adesso è passata anche alla Camera. Speriamo nei decreti attuativi. Questo metterà al riparo i dipendenti da denunce in merito a fatti di corruzione. Voi potete fare da sponda in maniera molto utile per l'azienda, perché è un'azienda che si risana dall'interno fondamentalmente. Tra poco concludo, presidente.
Sarebbe interessante anche capire quante cause ancora ci sono in Rai. Il direttore generale ci ha garantito che si affronterà l'argomento. Sono numerose.
Sull'archivio ho chiesto alla Rai una maggiore specificità, una maggiore ricchezza, una relazione tecnica per capire a che punto si è, qual è la mole ancora di archivio, vagamente – immagino sia immensa – a che punto, e mi è stato risposto circa al 20 per cento, in quanto tempo l'hanno fatto, e mi hanno risposto in qualche anno, facendo presente che alcuni supporti degradano in maniera velocissima.
Sulla questione poi – non ne parliamo – del piano web abbiamo fatto il diavolo a quattro in questa Commissione. Manca. L'abbiamo richiesto ancora stamattina. È inaudito che lo slogan digital first venga completamente ignorato. Il sito di Rai News è 29° nel ranking dei siti italiani. L'addio della Gabanelli è stato una grossa perdita per la Rai.
Anche sui CPT sono d'accordo. Ho chiesto, e credo che sia necessaria anche tra i sindacati – ho incontrato i sindacati locali – che ci sia progettazione, progettualità e di fare TV, non di usarli come supporto, almeno a Torino, per fiction di passaggio o altro. Questo crea anche problemi contrattualistici e professionali, perché sono mestieri anche leggermente diversi.
Che dire su Rai Sport? È una grande delusione, non ha mandato neanche in onda il dopo partita. Sull'aspetto giornalistico metterei un punto interrogativo, perché è grave che non ci sia stato il dopo partita dopo la sconfitta dell'Italia per le selezioni mondiali.
FRANCESCO VERDUCCI. Ci tengo particolarmente a intervenire, e chiedo scusa ai rappresentanti delle forze che rappresentano il lavoro in Rai e al loro portavoce, Vittorio Di Trapani, se non potrò ascoltare tutta la replica. Come lei sa, però, presidente, in Senato abbiamo in queste ore la riunione delle Commissioni che votano sulla legge di bilancio, cui non possiamo sottrarci. Mi scuso, come ho avuto modo anche di dire informalmente a Vittorio Di Trapani, con lui e con loro. Voglio ringraziare per il contributo che qui è stato presentato. Voglio ringraziare anche perché il fatto che questo contributo abbia una voce unica mi pare lo rafforzi molto.
È un contributo che ci induce a fare un lavoro di grande qualità, perché le aspettative che stanno emergendo da quest'audizione, e in particolare quelle che emergono dal vostro documento, sono molto alte.
Condivido queste aspettative. Penso, come ho detto intervenendo poco fa nell'audizione con la presidente Maggioni e con il direttore Orfeo, che davvero il lavoro che stiamo facendo sia particolarmente importante, perché i cinque anni che abbiamo di fronte trasformeranno radicalmente, ulteriormente in virtù dei mutamenti tecnologici e sociali, il mercato televisivo dal punto di vista sia dell'offerta sia della domanda, e quindi anche dei consumi. La Rai dovrà anche avere l'ambizione di pensare il proprio modello e farlo – utilizzo le sue parole, per me fondamentali – mantenendo, o ampliando eventualmente, la stessa capacità produttiva e la stessa capacità occupazionale e di lavoro. Questo è un punto fondamentale. Penso sia fondamentale che questo sorregga anche l'ambizione di avere i pilastri del futuro lavoro della Rai, e cioè il piano industriale e il piano editoriale informativo, tenendo conto di quest'ambizione.
Devo essere breve, e allora voglio dire che certamente alcuni temi posti qui, quello delle sedi regionali e dei centri di produzione, Pag. 45 che anch'io in precedenza citavo, sono particolarmente rilevanti.
Deve essere introdotto nel contratto di servizio il tema delle sedi regionali. Il tema del territorio è un grande valore aggiunto per il nostro servizio pubblico e per il servizio pubblico rispetto anche alle potenzialità del sistema Paese. Sappiamo, infatti, che sempre più a livello anche internazionale il nostro sistema Paese compete per la capacità di valorizzare i nostri territori. Da questo punto di vista, certamente il servizio pubblico può fare tanto.
L'altro tema importantissimo è quello della radio, un asset strategico che deve tornare al centro del lavoro dell'azienda.
Anch'io sottoscrivo poi un'attenzione particolare a tutto quello che riguarda il multimediale e i social. Il compito del servizio pubblico è fare in modo di riuscire a parlare a quei target delle nuove generazioni, rispetto a cui la Rai oggi soffre, come sappiamo, come dicono le statistiche, decisive però per la credibilità, per la legittimazione sociale, e anche per le fortune commerciali – permettetemi di dire – del servizio pubblico.
Devo, però, sottolineare, e concludo, presidente, il filo conduttore del ragionamento che qui è stato fatto, che è quello del lavoro in Rai. Nel mio intervento precedente sottolineavo come nella nostra legge di riforma abbiamo voluto introdurre un'importante innovazione, cioè il fatto che ci sia nel nuovo consiglio di amministrazione un rappresentante dei lavoratori in Rai. Penso che questo contratto di servizio non possa perdere l'occasione di scrivere un capitolo importante sul lavoro in Rai. La Rai deve distinguersi non solo per la sua capacità, appunto, di essere riconoscibile per la qualità dei suoi programmi, ma per l'esempio che dà sulla qualità del lavoro in Rai. Penso che dobbiamo scrivere queste cose nel prossimo contratto di servizio, norme che riguardino la trasparenza, l'equità, le tutele, il merito. Dobbiamo anche fare in modo che, tra gli obiettivi esigibili, l'azienda ponga al primo posto quello di cancellare sperequazioni intollerabili, ovvero il proliferare di professionisti a cui non vengono riconosciute caratteristiche che meriterebbero, che invece sono inseriti dentro la grande categoria, quando appunto quella categoria non corrisponde invece alle funzioni svolte dei programmisti registi, degli assistenti, tante partite Iva molto spesso utilizzate impropriamente. Allo stesso modo, penso che un obiettivo che tutti insieme (l'azienda, le forze sindacali, la politica) devono esigere sia che questi cinque anni, a fronte di risorse che vogliamo certe, come è stato detto – anch'io voglio sottolineare che la certezza delle risorse è il modo più importante per avere autonomia, e quindi autonomia gestionale, ma anche pluralismo – finalmente ci sia un piano di stabilizzazione dei precari nell'azienda, in modo che il servizio pubblico possa da questo punto di vista distinguersi, e i finanziamenti che diamo non aiutino forme di precarietà, ma le contrastino con tutta la forza possibile.
VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Credo anch'io che nella relazione svolta da Di Trapani sia stato sottolineato un segnale di grande rilievo, che abbiate deciso di parlare con un'unica voce e mettere in evidenza gli elementi principali.
Per quanto riguarda il contratto di servizio, ovviamente, vista l'occasione, c'è una serie di temi che non sono propriamente di contratto di servizio, ma credo anch'io che sia giusto avere l'occasione per mettere in fila le questioni complessive. Mi permetto soltanto di riprenderne alcune. Anche nel corso delle audizioni che stiamo svolgendo alcune questioni si sono riproposte.
Il primo tema, quello della certezza delle risorse della Rai, di certezza sulla base pluriennale, è emerso anche in altre audizioni. Questa Commissione, nel lavoro che ha svolto per il parere sulla convenzione, lo aveva messo all'interno del parere. Non è una delle parti che è stata recepita. Ne sono state recepite altre. Il tema continua a esserci e a essere sul tavolo, quindi credo che sia fondamentale su questo insistere.
Un'altra questione da voi sollevata è stata oggetto di interlocuzione con il Governo quando c'è stata l'audizione del viceministro Morando. C'è tutta la questione che riguarda l'extragettito e la quota riservata a Rai, che non riguarda il complesso di queste risorse. In quell'audizione, l'avevo Pag. 46sollevata io stesso per capire se ci fosse una disponibilità a intervenire su quest'aspetto, sapendo che una quota va alla Rai, una quota va al fondo per il pluralismo dell'informazione. È opinione mia, ma non sarebbe da toccare quello. C'è la parte che va direttamente al Ministero dell'economia per la riduzione della pressione fiscale. Il tema è se ci sia una disponibilità a intervenire su quello, in maniera che vada a Rai, consapevoli che sappiamo che il tema è essenzialmente sul 2019, perché poi il meccanismo cambia. Credo che questa sia una questione sul tavolo.
Quanto all'altra preoccupazione, relativa al perimetro della riduzione della spesa, sapete che in legge di bilancio, discussa contemporaneamente dalle Camere – in questo momento è al Senato l'articolo 97 – Rai verrebbe esentata da quell'intervento che ne riduceva le risorse. Alcuni pezzi, che non sono in questa Commissione, perché non è sua competenza, ma nel lavoro del Parlamento, potrebbero concorrere a quell'aspetto di certezza delle risorse, ma la pluriennalità continua a essere centrale.
La seconda questione – ce ne sono diverse, ne richiamo solo due – è quella dei centri di produzione. È stata sollevata nell'audizione precedente. Non so se avete avuto occasione di utilizzare il circuito interno per seguire. Il collega Airola e io stesso l'abbiamo sollevata. Su questo c'è stata una risposta di Rai. Ho sentito che Di Trapani faceva riferimento al fatto che questo è un capitolo debole. Non so se fosse parte dello speech predisposto prima di sentire l'audizione, o se questo giudizio permanga anche dopo la risposta che abbiamo sentito dopo. Credo che questo possa essere un altro terreno su cui i gruppi possono predisporre anche degli emendamenti, un contributo.
Infine, ma lo diceva già adesso il collega Verducci, nella legge di riforma abbiamo previsto l'elezione di un rappresentante dei lavoratori. Abbiamo chiesto prima al presidente e al direttore se questo dossier – bisogna definire un regolamento, che appunto intervenga sulle modalità – è stato aperto dall'azienda, e ci è stato detto che oggi ci sarà un consiglio di amministrazione in cui verrà per la prima volta istruito. Dovrebbe essere un lavoro in corso d'opera. C'è ancora un po’ di tempo prima dello scioglimento delle Camere. Su questo potremo continuare a svolgere il nostro ruolo di vigilanza perché questo lavoro venga fatto.
PRESIDENTE. Ringrazio e saluto il vicepresidente Verducci. Per aiutare la ripresa televisiva, do la parola ad Alessio De Luca, che rappresenta la CGIL.
ALESSIO DE LUCA, Slc Cgil. Non penso di dare una risposta esaustiva su tutto. Magari qualche altro collega interverrà per aggiungere argomentazioni. Provo, però, a dare qualche risposta. Alcune domande sono specifiche dell'area giornalistica, quindi penso che anche Di Trapani interverrà per rispondere ad alcune questioni. Parto da uno degli ultimi ragionamenti, che però abbiamo messo nel nostro documento, che poi vi consegneremo, in testa ai ragionamenti, cioè la questione delle risorse.
Faccio notare, al di là delle risposte che in parte sono arrivate dalla Commissione poco fa, che la Convenzione e il contratto di servizio conseguentemente richiedono una serie di attività aggiuntive rispetto a quanto la Rai precedentemente faceva. Anche giustamente, la Convenzione aggiunge elementi qualitativi che il servizio pubblico deve fornire ai cittadini. Alcuni investimenti sono irrinunciabili. Faccio riferimento a tutti quelli di carattere tecnologico, necessari per la qualità dei prodotti, a quelli necessari sugli impianti, la rete di trasmissione, che proprio per quanto richiesto dalla normativa (passaggio al digitale), alla questione della copertura del 100 per cento della popolazione, che impegnerebbero l'azienda, in assenza di chiarezza su risorse aggiuntive, a investimenti economici probabilmente insostenibili. Parlo anche della parte editoriale, ad esempio dell'investimento sul canale in inglese. Anche quello è un elemento aggiuntivo dell'attuale contratto di servizio. Questo è al di là della tenuta produttiva dell'azienda, che appunto, come anticipavate, è composta sul territorio di diverse strutture dislocate: centri Pag. 47 di produzione, sedi regionali e centri di produzione decentrati, quelli che poi svolgono l'attività relativa al bilinguismo e alle minoranze linguistiche sul territorio nazionale. Quando parlavamo di risorse, e noi siamo partiti dal concetto che è complicato partire dalle risorse in legge di stabilità per poi ragionare della qualità del contratto di servizio, lamentavamo questo. Dovremmo capire prima che cosa deve fare la Rai e, sulla base di questo, quante risorse ha a disposizione.
Il contrario ci preoccupa in un senso. Preoccupa, penso complessivamente tutte le organizzazioni sindacali e i lavoratori, che se dobbiamo tagliare la qualità produttiva dell'azienda sulle risorse, probabilmente uno dei temi è quale sia il perimetro industriale di quest'azienda, cioè che cosa deve continuare a fare, con quale dislocazione territoriale e con quale organico. È evidente che c'è un tema legato al lavoro precario. Abbiamo detto con chiarezza all'azienda che il lavoro precario è anche quello per il quale non si utilizzano le risorse e i contratti adeguati a quel tipo di attività. Abbiamo provato a iniziare un discorso, secondo i contratti di lavoro che gestiamo a livello dei giornalisti o dei dipendenti. Abbiamo provato, nella discussione anche contrattuale, a iniziare questo tipo di ragionamento: emersione del precariato e stabilizzazione dei lavoratori. Tutto questo, però, deve essere dentro un perimetro che ci dice che ci sono risorse sufficienti. Non si può chiedere la stabilizzazione, che magari può riguardare doverosamente 2.000-3.000 lavoratori, e contemporaneamente non avere risorse neanche per tenere i lavoratori attualmente in forza presso l'azienda. Questo è l'elemento di preoccupazione, che – lo dicevamo nel documento – aumenta perché alcune indicazioni rispetto al perimetro produttivo anche nel contratto di servizio secondo noi sono carenti, a partire dalle sedi regionali.
Abbiamo avuto in questi anni una riduzione di organico straordinaria su quelle realtà territoriali. Ormai, siamo arrivati al punto che i lavoratori non riescono più a coprire i turni di lavoro, quindi c'è anche il rischio che il telegiornale regionale non riesca ad andare in onda, o ci riesca in maniera corretta. La questione, allora, è come l'azienda si riorganizza e la necessità di assunzioni in quelle realtà territoriali. Rischiamo, altrimenti, di andare totalmente in appalto. Il fatto che nel documento del contratto di servizio si individui l'espressione «presìdi redazionali» e non «sedi regionali», aumenta l'elemento di preoccupazione. È come se, in fondo, a contare fosse solo la redazione. Se poi il personale che tecnicamente gestisce l'attività giornalistica è interno o esterno, questo non è un problema. Per noi è un problema. Oltretutto, la qualità dell'attività legata a quello che proponevamo è legata al fatto che si ha personale interno che conosce l'azienda e agisce nei confronti dell'azienda in un determinato modo: ovviamente, la saturazione dei centri di produzione è uno degli elementi centrali. Poi abbiamo una diversificazione sulle realtà territoriali presenti a livello nazionale. Roma, per esempio, ha una facilitazione rispetto alla saturazione di attività, anzi ha in pancia un'enormità di appalti, mentre il centro di produzione di Torino, ma anche quello di Napoli e quello di Milano, hanno una difficoltà oggettiva alla saturazione dell'attività. Si potrebbe, ad esempio, spostare alcune attività presso quelle realtà. Non parlo di cose che già ci sono sul territorio romano, ma di programmazione futura che potrebbe essere tranquillamente fatta in un centro o in un altro a parità di condizioni.
C'è la questione dei centri di produzione decentrati. Mi permetto di dire che sono stati normati qualche anno fa dal precedente governo, ma, tolto il centro di produzione decentrato di Bolzano, che ha avuto grandi risorse da parte della provincia, tutti gli altri centri sono in esaurimento d'organico e di capacità produttiva, esattamente come le sedi regionali. Allora, o ha un valore la questione del bilinguismo e dell'attività svolta in quel luogo o non lo ha, ma diciamocelo e prendiamone atto. Questa è la preoccupazione generale.
Noi giornalisti e lavoratori stiamo provando a rinnovare dei contratti. Vi dico anche che stiamo trovando un'enorme difficoltà relativa alla questione dell'emersione Pag. 48 dalla precarietà, come anche nella riorganizzazione complessiva dell'azienda. Ci preoccupa il piano industriale e, in qualche modo, il già paventato piano di riorganizzazione, proprio per le condizioni che stiamo descrivendo qua oggi. Insisteremo per un percorso di emersione della precarietà, ovviamente in una condizione di compatibilità e di tenuta economica. Non vorremmo avere lavoratori subordinati che escono e lavoratori in partita Iva che sono assunti. La cosa si deve tenere tutta, complessivamente.
Qualcuno parlava di tempi per riuscire a normalizzare questa situazione. Stiamo provando, come organizzazioni sindacali, a fare questo tipo di ragionamento. Si tratta di capire quanta disponibilità da parte dell'azienda ci sia. Al momento, la nostra sensazione è che grandissime aperture non ce ne siano. Non vorremmo riprodurre quanto fatto qualche anno fa con l'idea della selezione di una parte di questo personale. Al personale in condizione di precarietà, molto – esistono anche professionisti veri, a cui l'attribuzione della partita Iva ha anche senso contrattuale – bisogna dare una risposta, ma in un percorso di emersione di carattere sindacale. Se, invece, si parla di selezione di personale già assunto, la domanda che abbiamo posto all'azienda è: perché prima lo si è assunto e ora lo si riseleziona? Se assunto la prima volta, evidentemente era personale adeguato a svolgere quell'attività. La questione è molto complessa. L'invito alla Commissione è quello di porre attenzione a questi particolari, in modo che si creino le condizioni perché le organizzazioni sindacali costruiscano un modello di servizio pubblico con una sua tenuta e un suo indirizzo anche relativamente alla qualità del lavoro.
PRESIDENTE. La ringrazio. Vorrei solo aprire e chiudere rapidissimamente una parentesi a proposito dei centri regionali.
Su richiesta del senatore Airola e di altri colleghi, il direttore generale, seduto dove è seduto lei in questo momento, pochi minuti fa ha annunciato che la sede di Torino ospiterà il nuovo programma di Michele Santoro. Presumo che si tratterà di un impegno produttivo molto importante per la sede di Torino.
Do la parola al rappresentante della Uilcom, Antonio Bulletti Ottavi.
ANTONIO BULLETTI OTTAVI, Uilcom-Uil. Sarò brevissimo, perché è un tema che purtroppo ha implicazioni non indifferenti su quello che abbiamo detto del servizio, e anche del perimetro produttivo. Mi riferisco al discorso delle frequenze.
Abbiamo fatto riferimento, nel nostro intervento, al discorso di liberare il MUX 1 a vantaggio delle TV private. Ricordo solo che il MUX 1 è quello che ha la copertura maggiore, che vuol dire che liberare il MUX 1 da parte della Rai significa dover coprire con nuovi impianti e con investimenti non indifferenti per arrivare a quel 100 per cento richiesto. Questa è la prima osservazione che posso fare per quanto riguarda il discorso delle frequenze. Il discorso delle frequenze ha anche implicazioni dirette sul ruolo di Rai Way per quanto riguarda il contratto di servizio che Rai Way ha con la Rai. Si prevede la diffusione di cinque MUX. Ora, la diminuzione dei MUX concessi alla Rai significherebbe una riduzione del fatturato che riguarda Rai Way. Torno al discorso occupazionale, che è quello che a noi interessa principalmente.
Aggiungo un altro piccolo particolare, che è stato ricordato, e cioè il discorso della radiofonia. Radiofonia significa comunque, anche in questo caso, frequenze, ma soprattutto significa il potenziamento della rete. Ricordo solo una cosa, che per i non addetti ai lavori senz'altro potrebbe essere un fatto nuovo. La rete radiofonica che riguarda la diffusione del servizio radiofonico Rai è veramente non dico antica, ma vecchia, senza dubbio. Parlare di un potenziamento, come viene richiesto, del servizio radiofonico ha implicazioni enormi dal punto di vista economico, perché significa veramente rivedere tutta la rete, che ripeto è una rete con necessità enormi di manutenzione, ma soprattutto di intervento con nuovi apparati. Questa è, purtroppo, la situazione nella quale versa la rete radiofonica del servizio pubblico. È già stato detto anche in altre occasioni e molto si parla della radiofonia, ma sembra quasi Pag. 49la Cenerentola. Anche per quanto riguarda gli investimenti sugli apparati di diffusione, è un'autentica Cenerentola. Ripeto che non dico che siano vecchi, ma potrei dire quasi antichi, detto francamente, conoscendo la situazione. Questo mi sentivo di aggiungere a quello che è stato detto. In effetti, il problema delle frequenze, che non è stato toccato, non è stato accolto, credo abbia un ruolo non indifferente per quanto riguarda il discorso anche del contratto di servizio e del ruolo della Rai.
MARCO CUPPOLETTI, Libersind Conf Sal. Sarò velocissimo, perché i colleghi hanno già rappresentato i punti nodali dell'audizione di oggi. Tengo però a sottolineare tre punti a mio avviso particolarmente importanti.
Per quanto riguarda la possibilità che si intravede nel contratto di servizio di esercire le trasmissioni da parte della Rai attraverso una società non più controllata di diffusione, come attualmente è Rai Way, ma anche con una semplice società partecipata, si dovrebbe accendere un campanello d'allarme anche da un punto di vista di strategia del Paese sulle telecomunicazioni. Tanto per intenderci, non vorrei che anche dal punto di vista del broadcasting televisivo pubblico si facessero errori fatti in passato per esempio riguardo alla proprietà statale, e quindi la strategia di controllo della rete telefonica pubblica. Questo è un passaggio particolarmente delicato. Attualmente, Rai Way è ancora un'azienda controllata da Rai, perché ha il 51 per cento. Immaginare uno scenario in cui il servizio pubblico radiotelevisivo illumini il territorio e i cittadini attraverso l'utilizzo di una società non più controllata, ma di un semplice operatore di rete, magari partecipato al minimo delle azioni, dal punto di vista Paese dovrebbe far riflettere molto.
L'altra questione è la perdita di know how. È indubbio che bisogna focalizzarci come servizio pubblico sul tema informazione e sul tema editoriale, ma questa si crea e si fa con turni di lavoro, con know how tecnico, con know how organizzativo. La Rai, in virtù del fatto che il massimo delle assunzioni con la nascita delle sedi regionali è avvenuto nel 1974, da qui ai prossimi tre anni si svuoterà di figure tecniche. Il precariato è un tema importante, che attiene alla produzione editoriale. Qui parliamo di funzionamento delle infrastrutture tecniche. Le sedi regionali si stanno svuotando, ma anche di figure che consentono la messa in onda della programmazione.
Da ultimo, ci sono gli investimenti tecnologici. La Rai deve fare passi da gigante, ma come ben sapete la Rai ha anche una zavorra rispetto ai competitor, agli altri broadcaster: ha, come è anche logico, necessità di rispettare il codice degli appalti. Qui non si tratta di chiedere mano libera su questo aspetto, ma quantomeno di trovare una particolarità, come c'è nel codice, per altri settori strategici e appunto particolari, i cosiddetti mercati ristretti. Faccio riferimento, per esempio, alle Ferrovie o alle aziende di produzione energetica. Diversamente, diventa difficile andare velocemente a un cambio infrastrutturale e a una digitalizzazione veloce, così come si chiede alla Rai, dovendo fare poi gare pubbliche per acquistare materiali assolutamente specifici per un settore, che rendono i tempi talmente dilatati che, quando arriva finalmente la commessa, abbiamo acquistato apparecchiature obsolete. Questo è un altro aspetto strettamente legato alla competitività e all'adeguamento infrastrutturale.
PRESIDENTE. La sua osservazione è molto interessante e molto pertinente, ma come si potrebbe, a suo avviso, superare questa sorta di ostacolo? Qui siamo tutti d'accordo che bandire una gara per acquistare una telecamera che magari dopo tre anni o meno è già vecchia, non abbia senso. A suo avviso...
MARCO CUPPOLETTI, Libersind Conf Sal. Presidente, nel codice degli appalti è prevista già una particolarità per alcuni settori. Anche le Ferrovie fanno gara per acquistare i locomotori, ma sono tre-quattro produttori nel mondo che li producono. C'è una gara pubblica in questo senso, ma i tempi sono più veloci, perché non c'è tutto un processo di evidenza pubblica europea. Pag. 50Non parliamo di comprare le risme di carta, naturalmente, ma di comprare un mixer video, un trasmettitore, apparecchiature tecnologiche specifiche, il cui mercato è ristretto. Anche lì, ci sono tre o quattro grandi produttori nel mondo, e questi adeguamenti, specialmente per il recupero delle teche per esempio, vanno fatti velocemente, non possiamo aspettare questi processi che hanno dei loro tempi naturali di sviluppo.
PRESIDENTE. Le teche sono veramente un patrimonio straordinario della Rai. Lo dicono tutti gli auditi. D'altronde, diversamente non avrebbe più di sessant'anni di vita. È come una banca in cui c'è la storia del Paese – vero, Vittorio? – e quindi vanno assolutamente salvaguardate a qualsiasi costo.
PIERO PELLEGRINO, Snater. Farò solo un brevissimo intervento, perché il documento era unitario, quindi ha espresso giustamente la posizione di tutti i lavoratori della Rai.
Faccio solo un passaggio per ricordare che nel 2014 la legge n. 89 ha sostanzialmente detto che il canone non è più tassa di scopo, e questo ha creato a nostro parere un problema nei finanziamenti della Rai. È il ministero che decide la parte di risorse che devono essere destinate al servizio pubblico. Il canone in bolletta ha sicuramente eliminato quella stortura che era l'evasione fiscale, ma non ci restituisce le risorse, anche per l'abbassamento dichiarato del canone annuale, se non quelle del 2013, quindi c'è oggettivamente un problema economico. Ho sentito oggi che c'è stato un intervento della Commissione sul parere sulla Convenzione per poter invece risolvere questa questione. Tanto non è stato – mi dispiace – ma apprezzo l'intervento della Commissione, che ha dimostrato grande sensibilità su quell'argomento. Oggi, però, abbiamo un problema: le risorse non sicure in qualche maniera rallentano, frenano quell'autonomia dell'informazione, che invece il servizio pubblico deve necessariamente avere. Qualcuno ricordava prima di me l'esempio del giornalista di Nemo. Ringrazio il senatore Airola per avermi citato prima come Snater. Non avere sicurezza economica rende anche meno liberi, e nello stesso senso è quello che può succedere anche alla Rai servizio pubblico, cioè non avere una sicurezza economica certa in qualche maniera la tiene meno libera di poter informare, probabilmente, così come invece è nel suo compito. Su questo non si può fare nulla. Probabilmente, interverrà nei prossimi anni una norma, una riforma. Io me lo auguro. Nello stesso tempo, però, dovremmo provare a intervenire sugli sprechi delle risorse che ogni anno arrivano in Rai. Gli sprechi sono quelli che citava prima il senatore Airola, ovvero tutte quelle case di produzione che pesano sul lavoro in Rai. Abbiamo circa 2.500 collaboratori esterni, di cui alcuni sono collaboratori precari, ma in realtà è lavoro subordinato nascosto – sono colleghi che fanno il nostro stesso lavoro e che tutti i giorni vengono, timbrano, lavorano a una postazione – e quelle situazioni vanno sicuramente sanate. Poi c'è una serie di collaboratori che drenano le risorse dell'azienda. Faccio un esempio per spiegarmi meglio.
È notizia di poche settimane fa la questione del programma di Fiorella Mannoia, che per tre puntate ha avuto un regista esterno: per due puntate la regia è stata fatta da questo regista, che però non ha potuto fare l'ultima. Essendo infatti contrattualizzato a belle cifre a puntata anche per la trasmissione di Fazio a Milano, non avendo il dono dell'ubiquità, si è dovuto recare a Milano a fare la preparazione della trasmissione di Fazio, e la regia interna l'ha fatta un nostro regista interno. Questa è la vera ferita della Rai, secondo noi. Abbiamo 1.200 programmisti registi interni perfettamente abili, arruolati, e pagati aggiungo, per fare quel lavoro, e invece dobbiamo per forza utilizzare professionisti esterni, che ci costano probabilmente a puntata tre volte lo stipendio di un nostro collega, che ha dimostrato nell'ultima puntata di saper fare perfettamente quel lavoro. Abbiamo fatto un esposto – lo ricordava il senatore – all'ANAC e alla Corte dei conti nonché al consiglio di amministrazione. Purtroppo, su questa stortura – la do come notizia, ma naturalmente già lo Pag. 51sapete – la Corte dei conti si è dichiarata non competente. Tutte le spese interne della Rai non sono più di competenza della Corte dei conti. L'ha dichiarato riguardo alla questione di Meocci, dei 14 milioni, non so se lo ricordate, una vecchia storia. È grave, per noi. Almeno prima potevamo dire alla Rai, noi lavoratori, rappresentanti dei lavoratori, che ci saremmo rivolti alla Corte dei conti: oggi, neanche più questo possiamo fare. La questione è materia del tribunale ordinario, al quale può ricorrere soltanto la proprietà della società, quindi il ministero. Questo, secondo me, va rivisto. Bisogna dare risorse certe e non farle drenare al servizio pubblico.
PRESIDENTE. La ringrazio. Il dottor Di Trapani sa, ironia della sorte, che la prossima audizione è quella del presidente del nostro ordine dei giornalisti, che dovrebbe essere alle 14, ma lui sarà rapidissimo. Io, però, devo rubare 30 secondi per fare un'annotazione. Lei parlava della necessità di una riforma futura. Penso che sarebbe molto più utile, anche per il vostro ruolo di sindacalisti, chiedere alle forze politiche che parteciperanno alle prossime elezioni politiche, a marzo, aprile, maggio, non lo so, ma ci saranno, che ciascuno metta nei propri programmi un capitolo che riguarda il futuro della televisione pubblica. Sapete che ci sono molte forze politiche che vogliono un futuro privatizzato, non so se in tutto o in parte. Forse, sarebbe il caso che i sindacati fossero informati che ci potrebbe essere questa prospettiva. Molti ne parlano e producono atti parlamentari in questo senso.
Do la parola al dottor Di Trapani.
VITTORIO DI TRAPANI, segretario di UsigRai. In replica, visto che sono stato sollecitato su alcuni temi, tengo semplicemente a dare delle risposte. Presidente, mi permetta di ringraziare ancora una volta tutte le sigle sindacali e una volta in più AdRai, Cisl e Ugl, che in questo momento non sono intervenute rispetto agli altri, ma tenevamo ancora una volta a dire che questa è veramente l'audizione di tutte le lavoratrici e i lavoratori della Rai. Vengo ad alcune risposte rapide.
È ancora debole la risposta sulle sedi regionali? È importante quello che è stato detto su Santoro e Torino. Qui, però, stiamo chiedendo un impegno non legato a un fatto congiunturale, ma in maniera strutturale un impegno chiaro sulle sedi regionali. Ecco perché il richiamo all'interno del contratto di servizio.
Per quel che riguarda il cosiddetto rappresentante dei lavoratori, direi più correttamente e semplicemente un componente del consiglio di amministrazione indicato dai lavoratori, per essere più corretti rispetto alla norma. Abbiamo appreso durante l'audizione precedente che il consiglio di amministrazione discuterà e sta discutendo un regolamento. Ci farebbe piacere, visto che rappresentiamo i lavoratori, essere coinvolto in questa discussione, dal momento che si parla dell'elezione di un componente da parte dei lavoratori.
Sulla vicenda dei contratti e l'inquadramento ovviamente rispondo per la parte dei giornalisti, ma è una riflessione che si può fare su tutti. A noi fa piacere che finalmente sia diventata questione di attualità la contrattualizzazione, come vengono utilizzati i giornalisti in Rai, cioè chi fa il lavoro giornalistico senza avere il contratto giornalistico. Ci fa piacere. Segnaliamo che lo diciamo da tempo. Lo abbiamo detto anche qui in Commissione parlamentare di vigilanza. Ci sono gli atti a testimoniarlo. E quando l'abbiamo detto, è calato il silenzio. Non ci sono stati atti da parte di nessuno. Avremmo sperato e preferito non dover arrivare a una testata data a un nostro collega per aprire questo tema. In ordine di tempo – la cito per analogia – un anno fa, quando una nostra collega è stata aggredita perché indagava sui rifiuti, facemmo la stessa denuncia, e calò lo stesso silenzio. Comunque, ci fa piacere che in quest'occasione finalmente si sia aperto questo tema e confidiamo che finalmente lo si discuta, ma soprattutto che si trovi la soluzione.
Ci auguriamo che da parte del consiglio di amministrazione, da parte dell'azienda, visto che si parlava di rinnovo dei contratti, che la questione del tipo di contratto col quale i giornalisti lavorano in Rai rappresenti uno dei pilastri fondamentali nel rinnovo Pag. 52 del contratto integrativo chiesto dall'UsigRai. Mi permetto solo perché è riferito ai giornalisti. È un elemento centrale, e su questo la risposta al momento non c'è, richiesta fatta d'intesa con la Federazione nazionale della stampa.
Concludo dicendo che allo stesso modo siamo contenti della solidarietà arrivata alle colleghe e ai colleghi minacciati, aggrediti, intimiditi. Si faceva riferimento alla presenza qui di Articolo 21. C'era il collega Paolo Borrometi. A noi fa piacere. Eccellente, la solidarietà, ma dopo la solidarietà – è vero che non è tema della Commissione, ma siete parlamentari – passeremo ai fatti. Ci sono allora degli atti concreti che il Parlamento può fare. E il primo elemento concreto è quello di una norma chiara sulle liti temerarie. Si può imbavagliare picchiando un collega, ma si può imbavagliare un collega anche minacciando risarcimenti danni che il collega non può sostenere, ancor di più se il collega è precario. Un primo atto si può fare. Ci sono i provvedimenti in Parlamento. Ripescateli. Serve un provvedimento sulle liti temerarie. Aggiungo, per quel che riguarda la Rai, che sui giornalisti della Rai c'è un elemento in più: in considerazione della responsabilità civile, dai colleghi Rai viene esercitato il cosiddetto diritto di regresso, ovvero – dice la Rai – laddove il collega dovesse essere ritenuto responsabile con sentenza passata in giudicato, la Rai chiederà al collega i soldi che la Rai eventualmente deve sborsare come risarcimento danni. È un'aggravante, che toglie ancora di più libertà al giornalista di servizio pubblico.
Infine, c'è un atto, che non è simbolico, si può fare. Se avete sentito le ultime minacce, sostanzialmente dicono che, se si picchia con le mani, non si va in galera. Questa è stata la minaccia nei confronti del collega Paolo Borrometi. Purtroppo, si dice una cosa che indica il senso di impunità, ma soprattutto che conoscono le norme, minacciano conoscendole. Allora, rilanciamo una richiesta che facciamo da tempo: si può introdurre un'aggravante per quel che riguarda i reati commessi contro i giornalisti, non per difendere una casta, ma perché quei reati sono contro l'articolo 21 della Costituzione, non contro i giornalisti, ma contro il diritto dei cittadini a essere correttamente e pienamente informati. C'è anche il precedente di una sentenza molto interessante. Nella condanna di un boss per le minacce a un collega, Giovanni Tizian, il giudice parla di atto eversivo, perché minacciare Giovanni Tizian vuol dire minacce l'articolo 21 della Costituzione. Questo può essere un precedente, ma ribadisco che dopo la solidarietà vi invitiamo ad atti concreti.
Concludo, visto che la richiesta mi è stata fatta, sul tema degli artisti. Riteniamo non accettabile che un giornalista che conduce un programma informativo venga definito artista. Se è un programma di informazione, deve essere contrattualizzato come giornalista. Dato che (chi mi conosce lo sa) preferisco dire le cose in maniera ancora più chiara, ciò che ho trovato ancora più sgradevole – lo voglio dire all'interno di quest'aula – è che nel documento che il conduttore artista ha rivolto al consiglio di amministrazione per dire che era giusto riconoscerlo come artista evidenzia alcune motivazioni, tra queste proprio il fatto che, laddove dovesse essere riconosciuto lui come giornalista, si rendeva necessario poi dare il contratto giornalistico a chi lavorava con lui.
Ecco, ho trovato sgradevole il fatto di dire all'azienda: attenta, se dici che io sono giornalista, allora devi contrattualizzare come giornalisti anche coloro che lavorano con me. Avremmo preferito che si rinunciasse a quel contratto e si accettasse il tetto, a condizione che la Rai regolarizzasse la posizione dei tanti che lavorano da giornalisti senza l'adeguato riconoscimento contrattuale.
PRESIDENTE. Solo per chiudere e per fare contento il senatore Airola, da presidente supplente voglio ricordare che il Presidente Fico ha annunciato che il Movimento 5 Stelle a proposito di questa questione chiederà nel prossimo regolamento per i programmi della campagna elettorale di escludere dal cappello dell'informazione (mi correggano i colleghi del Movimento 5 Stelle se sbaglio) i programmi tipo quello a cui sta facendo riferimento lei, il cui conduttore Pag. 53 è nella cornice di un artista ben noto, che è peraltro autorevole giornalista italiano.
VITTORIO DI TRAPANI, segretario di UsigRai. Presidente, un'ultima aggiunta ma veramente spot. Colgo l'occasione, visto il tema che stiamo trattando, per evidenziare che domani mattina, a piazza Montecitorio, alle ore 11.00 avviene un fatto che non era mai avvenuto prima: si convocano contestualmente il Consiglio nazionale della Federazione nazionale stampa italiana e il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Audirete il collega Carlo Verna, che tra l'altro è stato mio predecessore e che saluto. È la prima volta che si riuniscono collettivamente in seduta pubblica davanti a Montecitorio. Qual è il tema? Proprio il tema del precariato e di come quel precariato vada a toccare la libertà nel fare il proprio lavoro, il lavoro del giornalista, e quindi il diritto dei cittadini.
Tenevo a dirlo, perché è un'occasione concreta, reale di ascolto e di confronto anche per i successivi atti normativi.
PRESIDENTE. Ringrazio lei, dottor Di Trapani, e anche i tanti rappresentanti delle sigle sindacali della televisione pubblica. Vi auguro buona giornata. Grazie.
La seduta, sospesa alle 13.50, è ripresa alle 14.45.
Audizione di rappresentanti dell'Ordine nazionale dei giornalisti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A., per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), l'audizione di rappresentanti dell'Ordine nazionale dei giornalisti.
È presente il Presidente del Consiglio nazionale del nostro Ordine, Carlo Verna, che saluto e ringrazio anche a nome dei colleghi della Commissione.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola al dottor Verna, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.
CARLO VERNA, presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti. Buon pomeriggio a tutti. Interpreto questa convocazione anche come un momento di doveroso saluto istituzionale alla Commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo, a cui peraltro mi onoro di appartenere come dipendente. Tra l'altro, si tratta anche del principale editore del Paese. Ritengo che questa sia un'occasione utile per mettere a fuoco una serie di tematiche.
Come molti altri sono stato convocato ad horas. Con un precedente incarico già avevo frequentato quest'Aula, studiando molto più approfonditamente tutte le tematiche del contratto di servizio. Credo che alcuni nodi che c'erano all'epoca ci siano ancora. È cambiato qualcosa, c'è il canone in bolletta che prima non c'era, ma credo che molti nodi irrisolti, ai quali tra poco mi riporterò, ci siano tuttora. Ecco perché mi sono immediatamente correlato con gli ambienti aziendali. Sono reduce da una fresca elezione, sono presidente del consiglio nazionale dal 25 ottobre. Siamo un ente pubblico associativo e abbiamo una complessa procedura elettiva. Credo che un'analoga procedura, altrettanto complessa e altrettanto democratica, riguardi il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico, l'USIGRAI, per cui mi sento di garantire per quanto di necessità sulla rappresentatività democratica anche di chi mi ha preceduto in questa audizione. Ho avuto modo di apprezzare il documento elaborato da USIGRAI, Adrai e le altre sigle sindacali. So che l'audizione della delegazione in maniera congiunta è stata fatta proprio pochi minuti fa, e ai contenuti di questo documento mi riporto sottoscrivendolo idealmente, in particolare per quanto riguarda alcuni temi come la certezza di risorse, le sedi regionali, le frequenze, i diritti sportivi. Sono temi estremamente importanti e cruciali per il servizio Pag. 54 pubblico radiotelevisivo, ma mi stanno a cuore due punti in particolare.
Articolo 2, princìpi generali. Si parla di rispetto dei princìpi di imparzialità, di indipendenza e di pluralismo. Mi preme sottolineare come questa legge, come d'altronde la precedente, non riesca a salvaguardare l'imparzialità e l'indipendenza. Per quanto riguarda il pluralismo c'è uno sforzo enorme che viene fatto dai giornalisti (e in qualche modo ricomprendo anche gli attuali vertici aziendali) per cercare di garantirlo, però sia con la legge precedente sia con quella attuale imparzialità e indipendenza non sono garantite, perché c'è un riporto sostanziale sotto il governo di turno, e questo rende impraticabile una effettiva imparzialità e indipendenza. Peraltro, ne sono anche meravigliato a distanza di qualche anno, perché ebbi modo di interagire all'epoca con una splendida proposta basata sulla diversificazione delle fonti di nomina, che portava un nome eccellente, perché era firmata dall'attuale primo ministro Paolo Gentiloni, a lungo all'epoca ministro delle comunicazioni del Governo Prodi. Quel disegno di legge naufragò e quel concetto di diversificazione delle fonti di nomina non è stato mai ripreso, e di questo mi rammarico profondamente, perché anche come presidente dell'Ordine dei giornalisti credo che i giornalisti abbiano una funzione essenziale, che viene indicata molto bene dall'articolo 2 della nostra legge istitutiva, il rispetto della verità. Rispetto della verità significa anche non adesione, ma ponti per il pluralismo. Noi dobbiamo favorire il dialogo, e l'inquadramento normativo nel quale poi ci muoviamo è fondamentale, in particolare quando qualcosa come il servizio pubblico radiotelevisivo deve essere di esempio per le altre situazioni, e non può essere un esempio negativo.
Vengo a un altro punto che impatta fortemente sulle questioni prettamente ordinistiche. Mi riferisco all'articolo 3 del contratto di servizio sull'offerta televisiva. Si parla di programmi di servizio, di programmi culturali e di intrattenimento, programmi che vengono gestiti dalle reti, nelle quali c'è una sorta di far west contrattuale, siamo all'appalto dell'informazione. Considero assolutamente inaccettabile trovare sul mio tavolo praticantati d'ufficio, che costituiscono situazioni patologiche che non provengono da piccole realtà asfittiche da un punto di vista economico e anche dal punto di vista del quadro di regole di riferimento, ma dal servizio pubblico radiotelevisivo. Ho chiesto agli uffici di quantificarmi i praticantati d'ufficio che provengono dalla Rai, ma non è possibile tirar fuori questo dato, e vi spiego anche la motivazione: la maggior parte di questi praticantati viene approvata in prima istanza dai consigli regionali, in particolare dal Lazio, laddove non ci sia una residenza in una regione al di fuori del Lazio, perché le reti sono qui a Roma anche se la sede lavorativa è Roma. Noi in consiglio nazionale con la commissione ricorsi valutiamo tutte quelle istanze respinte in primo grado, perché di norma il procuratore generale non fa ricorso quando il praticantato viene accettato. Mi permetto di dire, approfittando della vostra attenzione e augurandomi di ritrovarvi tutti nella prossima legislatura per poter interloquire come Ordine su questi temi, che abbiamo un disperato bisogno di riforma dell'accesso (perdonate la digressione, ma si ricollega con i temi di cui ci stiamo occupando), perché la legge attuale è datata 1963, esattamente 54 anni fa. C'erano soltanto l'ANSA, il servizio pubblico radiotelevisivo e i grandi giornali che erano delle navi scuola. Uso un'immagine e dico che era come immaginare nel Medioevo un aereo. La situazione è completamente cambiata, riteniamo che sia problematico un accesso sul campo, siamo però vincolati dalla legge del 1963 e anche dalla giurisprudenza che si è andata costruendo in questi anni per cui quando si determina una situazione di praticantato d'ufficio mi trovo ancora a doverlo approvare senza alcun tipo di certezza sull'effettività dell'ambiente formativo. Sono legato da una giurisprudenza che va avanti da anni, finché non c'è un quid novi, uno ius novum sulla legge istitutiva siamo tenuti a rispettare la giurisprudenza acquisita. Faremo altri praticanti, faremo altri praticanti di ufficio, che è un dato allarmante, Pag. 55una situazione quasi patologica, ma quello che mi meraviglia è che questa cosa possa scaturire anche da situazioni che sono maturate all'interno del servizio pubblico radiotelevisivo. Io credo che queste cose vadano dette con fermezza. L'Ordine farà la sua parte d'intesa con l'USIGRAI e la Federazione della stampa, però vi prego di accendere i riflettori su questa questione, che è venuta nuovamente alla ribalta della cronaca con i fatti di Ostia. Tra l'altro, sotto il profilo della forza dell'immagine (pensiamo quello che accadde con la guerra in Vietnam, l'immagine consentì di lavorare sulle coscienze e far finire quella guerra) abbiamo avuto «la fortuna» nell'episodio tremendo di Ostia che le minacce verso i giornalisti sono venute fuori, perché spesso i giornalisti sono minacciati nell'ombra, quindi ci è parsa opportuna l'iniziativa del Ministro Minniti che ha annunciato questo centro di coordinamento per la tutela fisica del giornalista, ma sul fatto di Ostia è venuta fuori anche questa sorta di appalto dell'informazione che viene fatto. Lo riteniamo un fenomeno inaccettabile, che dovremo trattare facendo anche riconoscimenti d'ufficio, quindi accrescendo le fila di un elenco di professionisti, ma anche di pubblicisti perché ormai il sistema è imploso, siamo a oltre 106.000 iscritti, quindi va ripensata complessivamente la questione dell'accesso. In questa sede non posso non sottolineare che, se qualche disfunzione arriva da qualche piccolo ambito, non può arrivare dal servizio pubblico radiotelevisivo, che, oltre a garantire il pluralismo, dovrebbe garantire anche la legalità estrema.
PRESIDENTE. Grazie, presidente. Alla luce di questa sua presa di posizione che ci ha ricordato pochi istanti fa, la questione dei praticantati d'ufficio che purtroppo si inserisce in un panorama editoriale drammaticamente in crisi in questi ultimi anni. Ecco perché credo che sia necessario che l'Ordine dei giornalisti solleciti i legislatori a intervenire in qualche modo. Mi sembra che sia questo il suo messaggio.
CARLO VERNA, Presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti. Assolutamente sì. Questa è una cosa che, approfittando della rappresentanza plurale che c'è qui, cominciamo a proporvi come tema nella campagna elettorale che verrà, unitamente al tema dell'indipendenza effettiva del servizio pubblico radiotelevisivo. Non ho citato prima un episodio, ma lo voglio recuperare. I 150 milioni che furono sottratti nel 2014 furono un altro atto di violazione dell'autonomia del servizio pubblico, perché, se qualcosa andava sottratto al pubblico, andava sottratto a tutte le aziende pubbliche, altrimenti ci può essere una correlazione tra il tipo di programmazione gradita o sgradita e la sottrazione di risorse.
PRESIDENTE. Mi sono permesso pochi istanti fa, presidente, di toccare involontariamente l'argomento che lei ha appena citato, chiudendo l'audizione del segretario dell'USIGRAI e dei sindacati in tutta la loro molteplicità dei sindacati della Rai, di suggerire loro di sollecitare le forze politiche in occasione della prossima campagna elettorale, affinché ciascuna si esprima sul futuro del servizio pubblico. Stiamo parlando della più grande azienda produttrice di informazione, cultura e intrattenimento, ma l'informazione con 1.600 colleghi giornalisti, che peraltro danno un contributo fondamentale a tutta la parte previdenziale.
Siccome in occasione della mini riforma voluta dal Governo Renzi dei criteri di nomina della governance sono stati prodotti in Parlamento da altre forze politiche atti normativi volti alla privatizzazione o per intero o parziale del servizio pubblico, diventa a mio avviso un argomento di straordinaria importanza rispetto a quello che lei diceva nella prospettiva della campagna elettorale. I partiti si rivolgono infatti agli elettori, di cui gran parte si riconosce nei 16 milioni di abbonati al servizio pubblico. Volevo chiedere la sua opinione in merito.
CARLO VERNA, presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti. La ringrazio molto di questo. Come sa, sono di estrazione sindacale, ma parlando di autonomia ho fatto tirare fuori un'intervista che ha fatto il presidente di Confindustria Boccia in una Pag. 56trasmissione televisiva e me la sono fatta inviare dai miei uffici (proprio il testo puntuale). «Privatizzerebbe la Rai?», «Non so» risponde Boccia «se privatizzerei la Rai, perché penso che debba essere un elemento di garanzia dell'informazione pubblica. Più che privatizzare, la renderei forte, cioè la renderei autonoma dalla politica, perché abbiamo bisogno di una Rai autonoma nell'interesse del Paese». È curioso che ci sia una così forte convergenza tra il disegno di legge dell'attuale presidente del Consiglio Gentiloni, un movimento sindacale e il presidente di Confindustria, però questa autonomia non la si riesca a determinare.
PRESIDENTE. Perché la legge Renzi non ha sciolto i nodi, se mi permette.
CARLO VERNA, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Non ha sciolto i nodi, ma questo l'ho detto in apertura dell'audizione...
PRESIDENTE. Lo devo dire con sincerità. Chiedo scusa se sto interloquendo con il presidente direttamente, ma è chiaro che, quando il presidente fa riferimento al disegno di legge dell'allora Ministro delle Comunicazioni Gentiloni del 2007, quello era un disegno di legge che disegnava la famosa Fondazione, quindi è evidente che l'altro approvato l'anno scorso è stata una cosa molto parziale. Mi taccio per dare immediatamente la parola che mi è stata richiesta dall'onorevole Anzaldi.
MICHELE ANZALDI. Innanzitutto mi permetto di tornare su quest'ultimo intervento sul testo Gentiloni che ho ripresentato identico, aggiornandolo, perché ai tempi si pensava che chiudesse il CNR, l'ho ripresentato ed è a mia firma. Ricordiamoci come è andata. Nonostante denunciassi che eravamo in ritardo, siamo arrivati lunghi, quindi quello che adesso stiamo definendo disegno Renzi è stata una modifica fatta in fretta e furia per dare al direttore generale più poteri, facendolo diventare una specie di amministratore delegato, e poter competere con le grandi televisioni commerciali. La cosa è stata questa, sappiamo tutti che si poteva fare di meglio, però fra le tante cose su cui non abbiamo trovato l'accordo, partendo dal Presidente della Repubblica, siamo arrivati pure su questo. Dopodiché, la politica tanto bistrattata... Io che avevo lavorato su quel testo Gentiloni, cercando di sostituire alcune cose, e alla fine è la cosa più rappresentativa che c'è, è l'unica cosa dove si vota in maniera onesta, dove ci sono i carabinieri ed è rappresentativa. Tutte le altre votazioni, se le vai a vedere, sono strane.
Chiuso questo discorso, vorrei tornare sull'incidente di cui parlava il presidente, incidente che è stato particolarmente grave, e questa Commissione e l'Ordine dei giornalisti dovrebbero chiarire una volta per tutte a questa Rai che grazie al Governo Renzi è la Rai con il più alto numero di giornalisti professionisti che fino a ieri facevano i giornalisti, che stanno sia nel consiglio d'amministrazione, sia addirittura al posto di direttore generale e di presidente. Se c'è un problema, lo dobbiamo guardare anche tra noi, dentro l'Ordine.
Il giornalista che ha avuto questo grave incidente a Ostia è stato presentato a tutti come un giornalista Rai per tanti giorni, tanto da indurre addirittura il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio a dichiarazioni in tal senso. Poi si scopre che una trasmissione, che è una delle pochissime trasmissioni di informazione, se si può chiamare informazione, Nemo, è completamente appaltata all'esterno, quando abbiamo una Rai che ha circa 1.700 giornalisti, di cui tanti lamentano di non lavorare, tra i quali, da una lista pubblicata da Il fatto, 42 super dirigenti, tanto che superavano ampiamente il tetto dei 240, arrivando a 330-350. Lì c'è una situazione di gente pagata o strapagata, che non fa nulla. Andiamo in appalto esterno. L'Ordine secondo me dovrebbe prendere in mano questa situazione anche per il futuro. Un'ipotesi potrebbe essere una specie di job posting super trasparente, per cui ti do l'incarico, tu lo rifiuti, ma la seconda o terza volta l'Ordine deve trovare una soluzione, altrimenti abbiamo solo i Pag. 57lati negativi di questa cosa. Ad esempio, una televisione commerciale come La7 ha quasi tutto in appalto esterno, quindi con grandi guadagni, tranne il TG, però non ha dipendenti, invece la Rai ha i dipendenti e in più tutti gli appalti esterni. Così non se ne esce. In più abbiamo la mortificazione di tanti colleghi. Nelle prossime ore presenterò un'interrogazione in cui chiedo quanti sono i programmisti registi, in quali redazioni sono, quanti sono gli appalti esterni per trasmissioni che seguono l'informazione. Grazie a questi incidenti e grazie a questo consiglio di amministrazione e a questa direzione che è tutta di colleghi giornalisti, potremmo mettere un punto fermo da oggi in poi, perché non accada più. Chi fa il giornalista deve avere il contratto da giornalista. Non stiamo parlando del contratto da conduttore o artista, è un contratto che ti consente di pagare la rata del mutuo.
Fra le altre cose penso che ci sia anche un risvolto non dico di evasione fiscale, ma di riduzione di contributi che vanno sia all'Ordine sia al fisco. Questa cosa in aziende straricche, perché non stanno sul mercato, non devono competere con i grandi mercati internazionali, hanno una fonte super garantita e sono molto legati al Governo, tant'è vero che i loro amministratori delegati vengono nominati dal Governo. Dovremmo cavalcare questo aspetto per cercare di mettere uno stop a questo malcostume che va avanti da troppi anni.
DALILA NESCI. Brevemente, solo per contribuire a questo dibattito che di fatto si è creato, perché effettivamente la Rai dovrebbe fare quel lavoro e quell'approfondimento che le TV commerciali non farebbero di proprio. Ribadisco un'espressione utilizzata dal dottor Di Trapani nella precedente audizione, la Rai deve inseguire utili, ma sociali, e questo si ricollega al tema del finanziamento delle risorse nella disponibilità della Rai.
Ci siamo tutti trovati d'accordo nell'idea che ci debba essere una programmazione pluriennale chiara nelle risorse a disposizione della Rai, anche per dare sostegno ai contratti dei giornalisti e di tutti i dipendenti della Rai, quindi per i diritti che ne conseguono, oltre che i doveri.
Siccome lei giustamente dice che il giornalismo deve favorire il dialogo e l'esercizio del senso critico dell'opinione pubblica, aggiungo da donna del sud anche l'emancipazione da quella cultura mafiosa del compromesso, laddove il compromesso è una risoluzione dei problemi al ribasso, che poi si riverbera su tutta la società. Oltre che dalla Rai, ci deve essere un impegno forte da parte dell'Ordine dei giornalisti, che potrebbe e dovrebbe vigilare su quella deriva al ribasso del lavoro di certi giornalisti, che all'interno di un circolo vizioso porta anche a legittimare scelte governative anche parlamentari che non fanno comprendere all'opinione pubblica cosa sta accadendo davvero, nell'ottica anche di una massa di cittadini italiani ritenuta da importanti studi analfabeta funzionale. Se dunque tutte le parti in gioco non si mettono in pari con le défaillances e soprattutto con le parzialità politiche... perché lei ha fatto una denuncia molto grave, che però mi ha fatto piacere sentir risuonare in quest'Aula, sul fatto che la Rai oggi non riesca a garantire l'imparzialità e l'oggettività dell'informazione. Questa è una consapevolezza che deve venire da tutte le parti.
Quando il Movimento 5 Stelle ha proposto il suo testo di riforma della governance della Rai, da cui poi sono derivate tutte le problematiche di cui discutevamo anche prima, perché l'abbiamo presentato in occasione della calendarizzazione da parte del Governo di quel testo, per settimane fummo costretti a spiegare che non proponevamo un sorteggio per coloro che avrebbero fatto parte della governance Rai, quando invece il giornalismo doveva impegnarsi a capire come una forza politica nuova su tutto il panorama non solo italiano, ma anche europeo, stesse modificando crucialmente la Rai, il servizio pubblico radiotelevisivo, quindi sempre nell'ottica di contribuire in maniera leale a politica, giornalismo e tutti gli altri poteri dello Stato.
CARLO VERNA, presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti. So che ci sono Pag. 58preoccupazioni sul quadro che emergerà dalle elezioni su una sorta di tripolarizzazione che c'è nel nostro Paese. Mi par di capire che però qui siate tutti d'accordo sul fatto che Rai debba cambiare, e allora rimbocchiamoci le maniche.
Mi ricollego all'intervento dell'onorevole Nesci sulla redditività sociale. Noi usiamo questo termine per sottolineare quanto sia importante la funzione sociale che il servizio pubblico radiotelevisivo svolge nell'ambito della complessiva funzione del giornalismo come elemento di ossigeno per la democrazia. Redditività sociale significa anche essere al passo con i tempi, come lei accennava nel suo intervento. Da tempo sostengo che Rai radiotelevisione italiana S.p.A. debba diventare Rai multimedialità italiana S.p.A. C'è un ritardo pazzesco su questo tema ed è un'altra questione che andrebbe rilanciata per una Rai diversa.
Ricordo che da tempo non si riesce ad avere all'interno della Rai una riforma dell'informazione. Non dicevo che la Rai non riesca a produrre comunque un prodotto che abbia una sua rilevanza sociale, dicevo che ovviamente tutto è condizionato a monte da una legge.
Riconosco naturalmente che c'era una congiuntura particolare, così come al senatore Gasparri per molto tempo ho cercato di spiegare come non ci fosse nulla nei confronti della legge che portava il suo nome, era semplicemente che quel tipo di legge come la legge attuale non garantisce l'autonomia del servizio pubblico dal Governo di turno. Poi ci possono essere varie tesi, per esempio Gasparri sosteneva che nessun sistema è più perfetto di quello che fa capo al Parlamento in cui si esprime la sovranità del popolo. Sono tutte tesi. So che il risultato finale sia nella legge Gasparri sia nella legge attuale, con tutte le questioni, che sottoscrivo, che ha rappresentato l'onorevole Anzaldi, è una legge che non garantisce indipendenza e imparzialità. Poi sul pluralismo ci battiamo tutti, perché il pluralismo è un pezzetto del rispetto della verità che fa parte della nostra legge ordinistica.
Vengo alle cose che diceva l'onorevole Anzaldi, che sottoscrivo totalmente, però, onorevole Anzaldi, siete voi che vigilate su Rai, non noi come Ordine dei giornalisti. Noi ci occupiamo di accesso, di deontologia e di formazione. Posso quindi assicurare che dal punto di vista «politico» noi domani saremo in piazza insieme con il sindacato, perché ritengo che il giornalismo si trovi oggi al centro di una tempesta perfetta tra questa polverizzazione che nasce dalla multipiattaforma, le minacce ai giornalisti, le querele temerarie, la precarizzazione del lavoro, e che quindi l'ente pubblico associativo Ordine non possa rimanere chiuso nel suo palazzo. Dal punto di vista politico sarò quindi al fianco di tutte quelle azioni che lei annunciava prima. Tuttavia non posso sanzionare, a parte un discorso che riguarderebbe il funzionamento dei consigli di disciplina territoriale che sono adesso separati dalla funzione amministrativa dell'Ordine, ma non mi dilungo su questo punto, non posso sanzionare il dottor Orfeo perché è direttore generale, ma anche giornalista iscritto nell'elenco dei giornalisti professionisti. Questa è una funzione di vigilanza, sulla quale c'è tutto il supporto politico dell'Ordine. Purtroppo mi trovo di fronte a una questione che viene rappresentata: di fatto ho fatto il giornalista perché ero inserito in una struttura in cui lavoravo, anche perché poi spesso in una struttura di rete c'è anche un giornalista professionista, quindi si fa riferimento a quello come fosse un tutor.
Questo meccanismo comporta una sorta di giurisprudenza che automaticamente noi dobbiamo applicare e non possiamo far altro che riconoscere quel diritto che, sulla base della legge attuale e della giurisprudenza, viene alla luce, ma non possiamo sanzionare l'azienda perché determina queste condizioni, se non con una moral suasion o con una dichiarazione pubblica che in questo momento sto ribadendo qui, davanti all'illustrissima Commissione di vigilanza. Quindi sostanzialmente siamo d'accordo, ma il punto è quali poteri effettivi ha l'Ordine sulla base della legge attuale. Per il resto siamo concordi. Auspico anche che la visione che mi pare espressa da tutte le parti faccia lievitare il dibattito su una trasformazione della Rai sia in senso multimediale Pag. 59 dal punto di vista della oggettiva funzionalità, sia soprattutto da un punto di vista di un'azienda che riesca a esprimere una funzione democratica al passo con questi tempi.
PRESIDENTE. Onorevole Nesci, hanno dato i venti minuti in Aula, quindi non so bene come potremo fare.
DALILA NESCI. Siccome nella precedente audizione il dottor Di Trapani, leggendo il documento che era sottoscritto anche dalla Federazione nazionale della stampa italiana, ha denunciato, rispondendo a una domanda del senatore Airola, che Vespa nei momenti della negoziazione del suo contratto da artista avrebbe scritto come controproposta al fatto di essere contrattualizzato da giornalista soltanto l'eventualità che anche gli altri collaboratori e dipendenti della redazione fossero contrattualizzati. Ci è sembrato, se fosse così, una sorta di ricatto. Siccome poi è andata a finire come sappiamo, che Vespa ha optato, in accordo con l'azienda evidentemente, per definirsi artista, questo aggraverebbe la situazione che già abbiamo evidenziato.
Volevo sapere se ne fosse a conoscenza e potesse fornirci qualche elemento in più.
MICHELE ANZALDI. Scusi, presidente, solo un flash: non sono d'accordo sulla politica che opprime la Rai, secondo me bisogna guardare i fatti di quest'ultima Rai. È l'unica Rai dove i direttori dei Tg sono tutti interni, non c'è una trasmissione filogovernativa, per la prima volta secondo me la politica ha fatto un passo indietro, e prova ne sono i risultati dell'Osservatorio di Pavia, le proteste mie che mi sento sottoutilizzato. Per il resto chiedevo al presidente dell'Ordine, su questa piaga che conosciamo tutti dei contratti dei programmisti registi per i giornalisti (e ci siamo passati forse tutti da ragazzini) una collaborazione. È chiaro che un presidente dell'Ordine sa più di noi se quello è un giornalista, quindi lo segnala alla Commissione e noi proviamo a interloquire con l'azienda, ricordando che è un'azienda che riceve ben 2 miliardi ogni anno. Non voglio accusare nessuno ma, visto che siamo per la prima volta tutti colleghi, secondo me la politica sta parecchio indietro, si può realizzare una tappa storica nella storia della Rai, eliminare un malcostume. Solo questo.
CARLO VERNA, presidente del consiglio dell'Ordine dei giornalisti. Mi sembra che quello che ha detto ora l'onorevole Anzaldi ci consenta di fare una cosa, se per voi non è irrituale: quando ci sarà un praticantato d'ufficio (lo segnalerò anche alla consulta dei presidenti che sarà convocata la prossima volta il 17 gennaio) che proviene dalla Rai, faremo una segnalazione automatica in Commissione parlamentare di vigilanza. Questa è una cosa che è assolutamente possibile fare, così come mi sono lamentato del fatto che l'Inpgi, il nostro istituto di previdenza, non riesca a intervenire laddove si è palesata una evidente situazione di irregolarità contrattuale, quindi anche da un punto di vista contributivo. Volevo precisare una cosa: non facevo una valutazione di come la Rai oggi fa il servizio pubblico, sto dicendo che a monte certe leggi vulnerano l'imparzialità e l'indipendenza, tanto è vero che, quando ho parlato di sforzo di pluralismo riferito ai giornalisti, ho ricompreso anche gli attuali vertici aziendali, che, come è noto, sono costituiti da due colleghi giornalisti. Se siete d'accordo, chiederò alla consulta dei presidenti di fornirmi questa indicazione, perché alcune cose avvengono in primo grado...
PRESIDENTE. Assolutamente sì.
MICHELE ANZALDI. Parliamo del contratto di programmista regista che viene fatto a un giornalista già professionista. Il praticantato è cosa diversa. Se adesso volessi lavorare in Rai, mi farebbero un contratto di programmista regista, con una serie di tutele in meno. Questo lo sappiamo tutti. Quelli che bazzicano il nostro mondo, presidente, che quel giornalista avesse un contratto di programmista regista secondo me lo davano per scontato tutti, non pensavano che fosse addirittura Fremantle, però questa cosa come l'ho fatta io in Commissione con Articolo 21: tutti lo dovevano Pag. 60 fare. Il problema è che ormai si filtra questa cosa, perché quello è sfortunato e io sono fortunato, da giornalista guadagno 2 milioni l'anno e quello deve guadagnare 800 euro. Penso che non sia giusto, soprattutto in un'azienda partecipata, addirittura un'azienda che si prende 2 miliardi con il canone. Vale anche per le altre, vale anche per quelle partecipate.
CARLO VERNA, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Ribadisco la condivisione dell'analisi. Tengo però a segnalare i poteri che l'Ordine dei giornalisti ha.
Sul riconoscimento del praticantato c'è anche un grosso problema: quando facciamo il praticantato d'ufficio, significa che quando l'aspirante praticante d'ufficio viene all'Ordine, sottopone una situazione di fatto che si è determinata, perché nel corso di quel periodo ha svolto un'attività completamente al di fuori di qualunque regola deontologica, non essendo iscritto all'Ordine dei giornalisti e questa cosa ci preoccupa particolarmente. Possiamo sanare, l'Inpgi potrebbe intervenire, potrei passare queste situazioni alla Commissione di vigilanza, perché dica un altro praticante d'ufficio in Rai, e questa è una questione.
Per quanto riguarda i giornalisti professionisti, si tratta di aspetti contrattuali soprattutto di competenza del sindacato. Ho fatto anche una dichiarazione programmatica che vale per l'intera consiliatura, dicendo che c'è uno straordinario bisogno di unità per rispondere a questa tempesta perfetta che si abbatte sul giornalismo, quindi tutte le cose che faranno la Federazione della stampa, l'Inpgi, gli enti di categoria vedranno l'Ordine al fianco, ma – ribadisco il concetto – senza poteri specifici, perché posso denunciare i consigli di disciplina territoriale, ma senza sanzioni.
Vengo alla questione che poneva l'onorevole Nesci, che ha un enorme fondamento dal punto di vista politico complessivo. Se dovessi rispondere come la penso, però, risponderei come la pensa Carlo Verna, non come la pensa il presidente dell'Ordine. Le dico come la può pensare il presidente dell'Ordine: poiché l'attività artistica è libera, non c'è alcun tipo di violazione da parte di Vespa, perché se faccio il pittore, il poeta o l'artista, non c'è la violazione di quel vincolo di esclusiva che è previsto dalla legge. Il resto sono aspetti contrattuali e di vigilanza. Su questo posso soltanto dire, sulla base della pregressa esperienza, che poiché nel periodo di par condicio viene tutto riportato sotto il controllo del direttore di testata, può il direttore di testata controllare un artista? Date voi una risposta. A me non compete.
PRESIDENTE. Grazie, presidente, è stato chiarissimo. La ringrazio molto a nome dei colleghi.
Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di Contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A., per il periodo 2018-2022 (Atto n. 477), del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Sono inoltre presenti la portavoce, dottoressa Luisa Cordova (per me è un piacere particolare, perché con Luisa Cordova abbiamo iniziato molti anni fa il comune percorso da giornalisti in una grande emittente televisiva), e il dottor Antonio Buttà, chief economist, che ringrazio per la loro presenza.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola al dottor Pitruzzella, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere a lui, al termine del suo intervento, e agli altri componenti dell'Autorità domande e richieste di chiarimento.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Grazie, presidente, e grazie ai componenti della Commissione parlamentare. Ho inviato un testo scritto, al quale rinvio, Pag. 61e questo mi consente di essere anche più veloce nell'esposizione orale e, per rispetto del vostro tempo, cerco quindi di farvi recuperare un po’ di tempo.
Primo punto. Ci eravamo già incontrati a discutere su questo tema più di una volta in occasione dell'esame del disegno di legge numero 1880 sulla riforma della Rai, con un'audizione al Senato; in questa Commissione invece sono stato ascoltato sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che riguarda proprio l'affidamento in concessione del servizio pubblico. Oggi qui non faccio altro che ribadire opinioni che a suo tempo sono state espresse.
Innanzitutto come Autorità antitrust guardiamo le cose da un punto di vista particolare, che è quello del rapporto tra l'esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo e lo sviluppo di un'economia di mercato. È chiaro che è fondamentale l'esigenza di definire il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo come strumento di tutela e di promozione degli aspetti culturali e delle diversità nazionali, ai sensi dell'articolo 177 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il punto è come possiamo riuscire a coniugare in maniera efficace e proporzionata l'esistenza di un servizio pubblico e la concorrenza nel settore radiotelevisivo? È chiaro che dal nostro punto di vista il contratto di servizio dovrebbe servire anche a questo fine. È un tema del resto dibattuto non solo da noi, pensiamo alla Gran Bretagna.
Gli aspetti di possibile criticità possono essere così sintetizzati: l'ampiezza della nozione di servizio pubblico, l'impatto che la diversa perimetrazione del servizio ha sul mercato, i legami tra la società che offre il servizio pubblico e le altre società del gruppo che svolgono attività commerciale, infine la distribuzione dei canali di servizio pubblico sulle diverse piattaforme tecnologiche e commerciali.
Questi problemi in Italia sono aggravati dal fatto che il finanziamento Rai deriva non solo dal gettito del canone, ma in misura rilevante dalla raccolta pubblicitaria. Non a caso poi in Italia la raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo ha un elevato livello di concentrazione, quindi un ulteriore aspetto del problema, e la distinzione tra le attività di servizio pubblico e le attività commerciali in Rai storicamente non è stata mai definita in modo particolarmente trasparente e chiaro.
L'Antitrust ha quindi sempre suggerito la necessità che si procedesse a realizzare un bilanciamento tra le esigenze del servizio pubblico radiotelevisivo e quelle del mercato. In questa prospettiva, anche nella precedente audizione abbiamo sottolineato che possono essere utilizzate due metodologie, due strumenti fondamentali, cioè in primo luogo la puntuale e circoscritta definizione dell'estensione del servizio pubblico – quali sono i perimetri, i confini del servizio pubblico – e in secondo luogo una chiara distinzione tra l'attività svolta e le fonti di finanziamento utilizzate da un lato per il servizio pubblico, dall'altro lato per l'attività commerciale della concessionaria. Queste secondo noi sono questioni fondamentali, che abbiamo posto anche in altra sede e che il contratto di servizio, se dobbiamo essere franchi, soltanto parzialmente affronta: quindi sotto questo profilo riteniamo sussistano criticità nel contratto attuale.
Rispetto al precedente contratto di servizio riferito al triennio 2010-2012 non si registra un vero e proprio mutamento di rotta nelle definizioni di che cosa è servizio pubblico, né nella determinazione di quanto debba essere esteso. C'è qualche variazione, quasi che i contenuti ritenuti di interesse pubblico oggi si estendono, in relazione alle definizioni date dall'articolo 3 del contratto, anche ai programmi di intrattenimento. È un problema che poniamo, ma sono strettamente osservante del principio per cui le scelte spettano alle politiche, e le Autorità debbano fare il loro compito e non invadere il campo altrui: però, certo, non c'è una discontinuità con il passato. Probabilmente un'impostazione diversa avrebbe potuto consentire di identificare in maniera più restrittiva i contenuti ritenuti di interesse pubblico e di distinguere più chiaramente le reti di servizio pubblico rispetto a quelle che offrono contenuti commerciali. Per guardare con maggiore Pag. 62 ottimismo al futuro dico che forse, se questo non è stato fatto con il contratto di servizio, potrebbe esser fatto, in misura magari non perfetta, con riguardo al piano editoriale che la Rai, ai sensi dell'articolo 23, lettera u), deve comunque porre in essere. Quello che non è stato fatto con il contratto di servizio potrebbe con molta buona volontà, se c'è il controllo del Parlamento...
PRESIDENTE. L'onorevole Anzaldi è un po’ scettico.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Siamo stati critici, quindi speriamo che si possa... Perfetto, è realista.
Dobbiamo anche osservare che sotto il profilo della separazione tra le due attività lo schema di contratto di servizio attua una soluzione di continuità con il passato. C'è l'articolo 20 che, come sapete meglio di me, parla della contabilità separata, per cui c'è il divieto di utilizzare direttamente o indirettamente i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico, la predisposizione dell'attività separata, ma in fondo si riprende quello che dice la legge, non si aggiunge nulla di nuovo a quello che dice il Testo unico in materia di contabilità separata.
L'opinione dell'Autorità antitrust espressa in diverse sedi è quella secondo cui la scelta della mera separazione contabile costituisce una soluzione poco incisiva per disciplinare il comportamento societario e garantire l'effettiva separazione delle attività della concessionaria da quelle svolte a titolo commerciale. La contabilità separata è un livello minimo di garanzia, probabilmente si potevano prevedere forme più incisive di separazione.
Quanto all'attività di raccolta pubblicitaria, il contratto prevede che la Rai è tenuta a garantire la conclusione dei contratti di diffusione pubblicitaria sulla base dei princìpi di concorrenza, trasparenza e non discriminazione, però onestamente il riferimento al principio di leale concorrenza quale conseguenza operativa avrà nelle concrete gestioni aziendali è difficile da capire. Non mi pare che il riferimento a un principio di leale concorrenza nelle attività di raccolta pubblicitaria possa ritenersi una soluzione realmente succedanea di forme strutturali di separazione tra attività di servizio pubblico e attività nel mercato.
Altro aspetto che probabilmente richiederebbe a nostro parere un maggiore approfondimento riguarda la dimensione multimediale della concessione. L'Autorità in passato ha rilevato come l'offerta della Rai su internet non debba essere considerata solo un aspetto del servizio pubblico imposto dal nuovo contesto tecnologico, ma dovrebbe essere valorizzato proprio come un driver fondamentale per lo sviluppo della cultura digitale nel nostro Paese. Anche su questo non mi pare che ci siano passi avanti significativi.
Anche per tutto il resto, per cui rinvio al testo scritto, forse il contratto di servizio non ha segnato una svolta da un punto di vista concorrenziale – il nostro è un punto di vista assai limitato, lo riconosciamo.
Resto a vostra disposizione per eventuali considerazioni o domande.
PRESIDENTE. Presidente, oltre che rapidissimo, lei è stato anche molto molto chiaro, ha richiamato i punti salienti delle valutazioni e peraltro ricordo che ha consegnato una memoria scritta. Do immediatamente la parola alla relatrice, onorevole Nesci.
DALILA NESCI. Ho dato solo uno sguardo veloce al documento, però volevo sapere se abbia inserito nel documento o voglia già adesso dirci qualcosa rispetto al tema della liberazione delle frequenze, perché sarebbe utile avere da voi un contributo.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Nel documento, poiché andava oltre la tematica del contratto, non ce ne siamo occupati, però se avete interesse ad avere un nostro punto di vista, lo inviamo alla presidenza per tutti i parlamentari.
Pag. 63PRESIDENTE. Grazie, sì. È una cosa assolutamente importante, per la quale vi esprimo gratitudine sin d'ora, avere una risposta scritta tenendo conto che a porle la domanda è stata proprio uno dei due relatori, l'onorevole Nesci, che la trasmetterà anche all'onorevole Lupi ed insieme dovranno elaborare un parere. Onorevoli colleghi, le votazioni ci chiamano e dobbiamo precipitarci alla Camera. Devo scusarmi con voi, ma eventualmente tramite l'Ufficio di presidenza porremo a lei e ai suoi collaboratori ulteriori questioni.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Grazie, presidente. Naturalmente siamo sempre a disposizione del Parlamento in questa come in altre occasioni, quindi per qualsiasi cosa, al di là della formalità dell'audizione, nel modo più efficace possibile, siamo sempre a vostra disposizione. Grazie ancora e buone votazioni.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e i suoi collaboratori e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.35.