Sulla pubblicità dei lavori:
Bordo Michele , Presidente ... 2
Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2013 e relativi allegati (COM(2012)629 final), del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea per il periodo 1 gennaio 2013-30 giugno 2014 (17426/12) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2013 (Doc. LXXXVII-bis, n.1)
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Bordo Michele , Presidente ... 2
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 3
Bordo Michele , Presidente ... 9
Galgano Adriana (SCPI) ... 9
Bordo Michele , Presidente ... 10
Gozi Sandro (PD) ... 10
Carinelli Paola (M5S) ... 11
Schirò Planeta Gea (SCPI) ... 11
Spessotto Arianna (M5S) ... 11
Mosca Alessia Maria (PD) ... 11
Moscatt Antonino (PD) ... 11
Crimì Filippo (PD) ... 12
Bordo Michele , Presidente ... 12
Moavero Milanesi Enzo , Ministro per gli affari europei ... 12
Bordo Michele , Presidente ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE BORDO
La seduta comincia alle 8.40.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2013 e relativi allegati (COM(2012)629 final), del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea per il periodo 1 gennaio 2013-30 giugno 2014 (17426/12) e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2013 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, nell'ambito dell'esame congiunto del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2013 e relativi allegati, del Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea per il periodo 1 gennaio 2013-30 giugno 2014 e della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2013.
L'audizione odierna del ministro riveste una rilevanza centrale ai fini della prosecuzione della discussione sugli argomenti che sono iscritti all'ordine del giorno. Abbiamo condiviso la scelta del ministro di ritrasmettere alle Camere la relazione che era già stata presentata a gennaio, che non avemmo la possibilità di dibattere a causa dello scioglimento anticipato delle Camere e delle conseguenti elezioni politiche. La ripresentazione di quella relazione ci consente di non ritardare ulteriormente l'intervento parlamentare nella definizione delle linee generali della politica europea dell'Italia.
Al tempo stesso, molte delle indicazioni contenute nei documenti, proprio perché presentate a suo tempo, sono divenute obsolete, benché in più circostanze, come in occasione delle precedenti audizioni in Commissione e nelle discussioni in Aula, il presidente Letta e lo stesso ministro abbiano illustrato con grande chiarezza le priorità che l'Italia affronta e affronterà a livello di Unione europea. L'audizione di oggi, quindi, è certamente l'occasione per aggiornare e integrare il quadro che fino a questo momento ci è stato fornito dal Governo.
Vorrei concentrarmi su almeno quattro questioni per me prioritarie, tra l'altro contenute anche nella relazione presentata in Commissione la scorsa settimana. La prima questione concerne il completamento dell'unione economica e le prospettive di un'integrazione politica. Al riguardo, osservo che, per un verso, abbiamo l'impressione che, almeno fino alle elezioni tedesche di settembre, si sia registrato un forte rallentamento nell'attuazione Pag. 3dalla tabella di marcia concordata dal Consiglio europeo del 2012; per altro verso, anche alla luce della discussione affrontata con gli altri Parlamenti nazionali in occasione dell'ultimo vertice della COSAC, Conferenza degli organi specializzati in affari comunitari, è evidente che per molti Paesi la realizzazione di un'unione economica sia il livello massimo accettabile anche nella condivisione di sovranità.
A questo proposito, sarebbe utile comprendere quali iniziative il Governo intenda assumere per rilanciare, anche in vista del semestre di presidenza, un percorso di integrazione politica, dando seguito, soprattutto, alle risoluzioni che il Parlamento ha approvato in molteplici circostanze.
La seconda questione attiene più specificamente alle modalità per il coordinamento ex ante delle riforme economiche per il relativo sostegno finanziario, prospettate dalla Commissione europea con due comunicazioni che stiamo esaminando insieme alla Commissione bilancio. Si tratta di questioni di estrema delicatezza in quanto si delineano ampie condivisioni di sovranità su scelte fondamentali di politica economica.
Dalle audizioni sinora svolte sono emersi numerosi aspetti problematici e posizioni forti, manifestati sia dai rappresentanti del Governo che dalla Banca d'Italia. Sarebbe utile comprendere quali siano le valutazioni del ministro al riguardo.
La terza questione concerne la preparazione del semestre di presidenza che l'Italia assumerà a partire dal 1 luglio 2014.
Infine, raccogliendo la sollecitazione da lei stesso fatta, signor ministro, in occasione dell'audizione sulle linee programmatiche, vorrei chiederle di esporci più nel dettaglio le ragioni per cui il Governo propone l'adesione del nostro Paese alla cooperazione rafforzata sul brevetto unico.
Ieri, abbiamo ascoltato il presidente di Confindustria che, su questo tema, ha una posizione favorevole, come anche la mia, ma sappiamo anche che su questo esistono posizioni differenti, specialmente da parte delle piccole e medie imprese. Sarebbe utile comprendere meglio e nel dettaglio, attraverso la sua relazione, quale sia la posizione del Governo.
Do, quindi, la parola al ministro Moavero Milanesi per lo svolgimento della sua relazione.
ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Ringrazio, anzitutto, per quest'opportunità.
La presentazione della relazione programmatica insieme alla presentazione della relazione consuntiva costituisce uno snodo, più importante di ciò che all'apparenza possa sembrare, nel sistema della legislazione che regola la nostra partecipazione all'Unione europea. Questo è stato, come sapete, riformato verso la fine dell'ultima legislatura grazie al lavoro intenso svolto proprio dalle Camere per portare in approvazione, a dicembre 2012, la legge n. 234, che ha riformato grandemente proprio nel senso del coinvolgimento pieno del Parlamento nel predisporre, vigilare e partecipare agli elementi che riguardano l'interfaccia italiana nell'Unione europea.
Queste due relazioni rappresentano, in qualche modo, una sorta di sintesi e l'occasione per riesaminare, in prospettiva, ciò che l'anno in corso predispone programmaticamente a livello di attività dell'Unione europea, ciò che facciamo oggi e, a fine percorso, quella consuntiva, ciò che effettivamente si è fatto.
Queste due occasioni di esame, una preventiva e una consuntiva, sono importanti perché inquadrano quell'attività corrente del Parlamento che, come ho avuto già modo di sottolineare quando sono venuto a presentare le linee programmatiche relative al mio incarico, penso sia fondamentale che possiate svolgere, come Commissione XIV, in quanto punto di riferimento più puntualmente individuato, come anche le altre Commissioni dei due rami del Parlamento, soprattutto attraverso una stretta interazione con i ministri.Pag. 4
A mio parere, una delle novità fondamentali della legge n. 234 del 2012, per la quale avevo io stesso molto insistito nella fase di seconda e terza lettura dell'iter di approvazione, è rappresentata dalla facoltà in capo alle Commissioni parlamentari di effettuare un'audizione ai ministri prima che si rechino ai vari Consigli in sede di Unione europea e di emanare, in quell'occasione, laddove giudicato opportuno, delle linee di indirizzo, chiedendo in seguito ai ministri, tornati dal Consiglio, di riferire.
È così importante non tanto e non solo per un meccanismo di sindacato parlamentare concreto sulle attività di Governo, ma soprattutto perché questo consente al Parlamento, che in sede di recepimento delle norme europee deve effettuare l'attività legislativa in sede nazionale, di conoscere queste norme mentre sono ancora in corso di approvazione a livello di Unione europea.
Se, quindi, si identificano i problemi, questi devono essere identificati nella fase in cui la normativa europea è discussa in sede di Consiglio dell'Unione europea. Identificarli dopo può essere troppo tardi dal punto di vista normativo. Possono, infatti, essere richieste delle deroghe, delle integrazioni o, al limite, anche delle norme più rigorose, che però sono in contrasto con la normativa che è stata adottata a livello di Unione europea. Semplicemente, anche, si può rischiare, come a noi accade con una frequenza imbarazzante, di essere in ritardo o inadempienti nel recepimento della normativa stessa.
Come sapete, le infrazioni europee affliggono il nostro Paese, che, purtroppo, da tanti anni e ancora oggi, pur avendole ridotte, continua ad averne il maggior numero in termini relativi rispetto agli altri Paesi europei. Ebbene, le infrazioni si evitano con un'attentissima partecipazione alla fase ascendente della normativa europea.
Naturalmente, la fase cosiddetta ascendente, come sapete, si snoda in sede europea in due filoni legislativi: uno è il Consiglio, a cui partecipa il ministro per materia competente di ciascun Governo nazionale; l'altro è il Parlamento europeo. Sul filone del Consiglio, i Parlamenti nazionali giocano un ruolo cruciale. Nella nostra tradizione parlamentare, questo ruolo era sporadico, mentre la legge n. 234 del 2012 offre l'occasione per renderlo sistematico.
Ricordo per completezza che è una facoltà quella di chiedere ai ministri di venire in audizione prima e dopo i Consigli, ma diventa un obbligo per il Governo presentarsi alle Commissioni competenti, e di conseguenza per le Commissioni audire i membri del Governo quando le discussioni che si svolgono in sede europea chiamano in causa possibili oneri economico-finanziari per il Paese.
Esempio recente sono i regolamenti del cosiddetto six pack e quelli del cosiddetto two pack, che riguardano la collaborazione e i vincoli in materia di bilanci per i vari Governi, così come lo stesso Trattato internazionale del fiscal compact, che ha istituito il cosiddetto meccanismo europeo di solidarietà.
Questo è un punto molto importante: si può programmare proprio quando si esamina nel suo insieme l'attività di programmazione per l'anno in corso, che è quello che stiamo facendo. Per questo ho ritenuto di dover fare questa premessa, a mio avviso molto più di sostanza che di metodo, proprio per segnalare la possibilità di un'azione migliore da parte del legislatore con l'Esecutivo e per una migliore prestazione del nostro Paese nel suo insieme in seno all'Unione europea.
Va tenuto presente che esistono Paesi che hanno una – chiamiamola pure così – combattività molto forte durante il processo legislativo in sede di Unione europea, esprimendo anche in maniera vigorosa dei dissensi, proponendo alternative ed emendamenti alla legislazione. Una volta che, però, la legislazione europea è stata adottata, magari a maggioranza, come ormai accade nel maggior numero dei casi, e questi Paesi si ritrovano eventualmente nella minoranza, sono rapidissimi nel recepirla.
Spesso noi facciamo il contrario: siamo degli entusiasti o dei distratti – le due cose Pag. 5non sempre vanno separate, magari siamo dei distratti entusiasti – nella fase di discussione e approvazione della normativa europea, ma quando questa è entrata in vigore a livello di Unione europea e deve essere recepita a livello nazionale e inizia il dibattito parlamentare, come quello che abbiamo in corso e che incardineremo domani per la legge europea, ci rendiamo conto che tale normativa ci crea problemi. A quel punto però ci troviamo tra l'incudine e il martello del dovere di adempimento e del rischio di infrazione.
Dobbiamo, allora, agire prima e la metodologia che vi dicevo e che è messa a disposizione per la prima volta in maniera esplicita – prima lo era implicitamente – dalla legge n. 234 del 2012 rappresenta un punto di snodo fondamentale.
Per quanto riguarda la nostra relazione, di cui parliamo oggi in maniera più puntuale, mi scuso subito come ministro per il fatto che esaminiamo adesso un testo predisposto sul finire del 2012. Siamo quasi a metà del 2013 e stiamo trattando un programma di un anno che per metà è già trascorso, ma questo accade un po’ per il cambio di legislatura, un po’ perché effettivamente – guardo la trave nel mio occhio come ministro, come struttura amministrativa, benché quest'anno abbiamo già migliorato rispetto a quelli precedenti e cercheremo di fare ancora meglio il prossimo anno – dovremmo cercare di accelerare i tempi di composizione di questa relazione.
La relazione scaturisce, infatti, da un lavoro piuttosto articolato, decisamente pesante, di coordinamento tra le varie amministrazioni effettuato dal Dipartimento per le politiche europee, che riceve i contributi settoriali dalle varie amministrazioni competenti per le singole componenti delle varie materie trattate dalla relazione e li mette insieme mirando, al tempo stesso, tenuto conto anche della tempistica a disposizione, a un non facile lavoro di omogeneizzazione, anche di linguaggio. Trovate, infatti, un linguaggio non sempre completamente omogeneo e questo dipende dalla natura dei contributi ricevuti; in generale, anziché arrivare esattamente all'inizio dell'anno, questa relazione arriva solitamente verso la fine del mese di gennaio.
Cercheremo in futuro di fare meglio, sforzandoci di anticipare i tempi, ma ancora per quest'anno il problema si è, seppure in misura ridotta rispetto agli anni precedenti, manifestato, e quindi ci tenevo a scusarmi.
Avete potuto verificare che la struttura del documento è sostanzialmente articolata su tre capitoli. Si tratta della struttura che abbiamo impostato da un paio d'anni, da quando, in particolare, mi occupo di queste questioni.
Il primo capitolo riguarda le questioni che consideriamo prioritarie come Governo del programma di attività dell'Unione europea. In questo caso le questioni di carattere economico, la crisi economica in atto, la frequenza quasi mensile degli incontri dei Capi di Stato e di Governo europei, la frequenza mensile delle riunioni del Ministri dell'economia e delle finanze e dei ministri che seguono le questioni europee in seno al Consiglio affari generali hanno fatto sì che si stia sviluppando dal 2009-2010 un corpo legislativo imponente che riguarda soprattutto la disciplina dei bilanci nazionali, l'elaborazione in questa materia tra i vari Governi, i sistemi di garanzia a salvaguardia della stabilità monetaria e dell'integrità della zona euro. In sostanza, le meccaniche di governo dell'Unione economica, che, come sapete, da circa una settimana, comprende 18 Paesi, con l'adesione della Lituania all'euro.
Il secondo capitolo riguarda il quadro finanziario pluriennale che rappresenta l'inquadramento su un periodo di 7 anni del bilancio dell'Unione europea. Su questo abbiamo avuto modo di discorrere. Sapete che è stato raggiunto, giovedì 27 del mese di giugno, immediatamente prima dell'inizio dell'ultimo Consiglio europeo, l'accordo finale tra il Parlamento e il Consiglio. In seguito, il Parlamento europeo ha votato, la settimana scorsa nella sessione di luglio di Strasburgo, il bilancio dell'Unione europea.Pag. 6
Sostanzialmente, le cifre rimangono quelle di cui all'accordo raggiunto al Consiglio europeo di febbraio 2013, per cui parliamo di 960 miliardi di euro su un periodo di 7 anni, che rappresentano l'1 per cento del reddito lordo dell'intera Unione europea. Questo 1 per cento era stato qualificato, nella reazione di molti e, in particolare, del Parlamento europeo, come un accordo al ribasso rispetto alla proposta originaria della Commissione di un bilancio pari all'1,9 per cento del reddito interno lordo.
La proposta spesso definita ambiziosa era, dunque, di uno 0,9 per cento in più di bilancio rispetto al reddito lordo, che corrisponde all'incirca a 73 miliardi di euro in cifra assoluta su 7 anni divisi per 28 Paesi. Stiamo parlando, allora, certamente di un ribasso simbolicamente e politicamente visibile, di un ciclo di bilancio che, per la prima volta, è leggermente inferiore a quello del ciclo precedente in cifra assoluta. Il segnale politico di riduzione del bilancio, dunque, indubbiamente c’è ed è inutile negarlo. Oltretutto, un gruppo di Paesi importanti l'ha fortemente rivendicato come scelta politica. Allo stesso tempo, però, stiamo parlando, per essere concreti, in termini di cifre assolute, di 73 miliardi di meno, 960 anziché di poco più di 1.000 miliardi di euro: quindi, da questo punto di vista, di un ribasso relativo.
Quello che è importante è che il Parlamento europeo, nel dare il suo accordo, ha chiesto e ottenuto dal Consiglio che nel 2016 ci sia una revisione di questo bilancio. Questo è un punto su cui anche noi come Governo italiano avevamo insistito molto. Pensavamo, infatti, e pensiamo che decidiamo oggi un bilancio per 7 anni, in un momento di crisi, in cui molti bilanci nazionali sono stati ridotti, e quindi non condividiamo in realtà questo segnale di riduzione, ma comprendiamo che alcuni Governi volessero darne uno di riduzione di bilancio anche a livello di Unione europea. Così era avvenuto a livello nazionale.
Ci auguriamo, però, che nel periodo 2014-2020, ci possa essere una ripresa della crescita e, di conseguenza, auspichiamo una revisione che permetta di valutare se, una volta l'economia in ripresa, si possa finanziare in modo diverso anche il bilancio dell'Unione.
Il motivo per cui non condividiamo e non condividevamo la scelta di ridurre il bilancio dell'Unione europea, ma pensavamo, al contrario, che si sarebbe dovuto aumentare, è abbastanza semplice, a mio modo di vedere: riteniamo che quando dei Paesi sono uniti in un'unione, in particolare di carattere economico e monetario, e si trovano di fronte a una grave situazione di crisi economica, facciano bene ad assumere delle politiche di rigore a livello nazionale.
Potrebbero, però, a livello di insieme, che potremmo definire ’federale’, pur nella consapevolezza che l'Unione europea non è ancora una struttura federale, effettuare delle politiche antirecessive, cosiddette anticicliche, esattamente come gli Stati Uniti, che hanno richiesto agli Stati una politica di grande rigore a livello di bilanci nazionali, ma col bilancio federale hanno effettuato numerose iniziative politiche antirecessive.
Naturalmente, quando ci compariamo agli Stati Uniti d'America, stiamo comparando due realtà molto differenti non solo sotto il profilo politico – una federazione con un'unione di Stati ancora abbastanza lontana dalla prospettiva compiutamente federale – ma anche sotto il profilo economico: l'1 per cento del reddito di insieme al lordo a livello di Unione europea al 24,7 per cento di bilancio federale degli Stati Uniti d'America comparato al loro reddito interno lordo.
Però si poteva immaginare, come ipotizzato nelle discussioni dei primi mesi sul quadro finanziario, che, per esempio si raddoppiasse il bilancio dell'Unione europea proprio per dedicare la parte raddoppiata a delle iniziative di quel tipo. Questa, tuttavia, non è la linea che ha raccolto un sufficiente numero di sostegni in seno al Consiglio e non è stata nemmeno particolarmente rivendicata in seno al Parlamento europeo. Questa è, dunque, la situazione per quanto riguarda il bilancio.Pag. 7
In ogni caso, quello europeo è un bilancio che incrementa notevolmente i fondi dedicati all'attività pro crescita, come la ricerca e lo sviluppo tecnologico, le iniziative relative alle costruzioni di grandi reti infrastrutturali, in tema di trasporti, di energia, dove si punta anche a un mercato unico dell'energia molto rapidamente, come di telecomunicazioni e informatica.
È un quadro di bilancio nell'ambito del quale il negoziato che abbiamo condotto come Governo ci ha portato a un aumento di fondi assegnati all'Italia, in questo caso soprattutto a titolo di fondi strutturali, che vanno a beneficio non solo delle regioni del centro-sud, ma anche, con un aumento in percentuale significativo, benché l'ammontare in cifra assoluta sia ovviamente inferiore, delle regioni del centro-nord, che soffrono del declino industriale.
Migliorando la nostra situazione rispetto ai fondi strutturali nel rapporto di dare e avere e anche rispetto al fondo di sviluppo rurale, abbiamo migliorato il saldo netto negativo che l'Italia ha oramai da numerosi anni col bilancio dell'Unione europea.
Per saldo netto negativo si intende che, nel rapporto tra ciò che versiamo a titolo di risorse proprie e a titolo di contributo in base al nostro PIL nazionale e ciò che riceviamo a titolo dei fondi preallocati agli Stati, soprattutto fondi strutturali e della politica agricola, il saldo netto è negativo, cioè l'Italia è un Paese contribuente netto del bilancio europeo, per la precisione siamo il terzo contribuente netto del bilancio europeo.
Lo siamo anche perché, insieme a Francia, Belgio e Lussemburgo, tra i contribuenti netti, siamo gli unici che non beneficiano di forme di riduzione o compensazione, la più famosa delle quali è quella garantita dal lontano 1984-1985 alla Gran Bretagna, a cui se ne sono aggiunte svariate altre a beneficio di Paesi come la Germania, la Svezia, l'Olanda e, in una certa qual misura, anche l'Austria e la Danimarca.
Naturalmente, questo ci impone un dovere fondamentale rispetto ai nostri cittadini (se l'Italia, infatti, è un contribuente netto, sono i cittadini a essere contribuenti netti del bilancio dell'Unione europea), che consiste nell'utilizzare, da un lato, al meglio i fondi messi a disposizione in modo che questo nostro saldo netto non diventi nella realtà più ampio di ciò che cartolarmente sarebbe, e, allo stesso tempo, anche di far valere le nostre posizioni con forza, in maniera da poter, come azionisti importanti, se vogliamo usare questo termine, dell'Unione europea avere anche l'influenza che ci spetta in quanto tali. Dobbiamo essere coscienti di quest'elemento di presenza nazionale che dobbiamo far valere in sede di Unione.
Dobbiamo, però, sempre parlarci con grande chiarezza e dirci che siamo anche il Paese col maggior ritardo, ad esempio, nell'utilizzo dei fondi strutturali. L'acronimo circolante nel gergo delle stanze delle sedi europee, R.A.L., che già nel suo suono non promette niente di buono, sta per reste à liquider: si tratta dei resti di fondi non utilizzati e che devono esserlo e che, tra l'altro, con le nuove disposizioni, a un certo punto rischiano di essere persi.
Noi abbiamo il maggior numero di questi fondi non utilizzati. La ragione è legata a elementi di nostro funzionamento nazionale dell'interazione tra Stato centrale, regioni ed enti locali, nella nostra migliorabile capacità di programmazione e di individuazione dei progetti e di rapidità di impegno e di spesa delle risorse.
Sapete che, tra l'altro, con un grande sforzo, compiuto dal Governo precedente – in particolare, abbiamo lavorato moltissimo insieme Fabrizio Barca, e oggi con il Ministro Carlo Trigilia abbiamo recuperato parte di questa lentezza di spesa – siamo comunque arrivati all'ultimo anno del ciclo di bilancio 2007-2013 con un impegno di fondi pari al 40 per cento.
Leggiamo la cifra al contrario: siamo all'ultimo giro di pista e il 60 per cento dei fondi non è stato ancora utilizzato. Questo non significa che la notte di san Silvestro del 2013 li perdiamo, perché c’è comunque un margine di recupero, ma che dobbiamo fare e fare di più.Pag. 8
Sappiamo bene, come ci ricordano anche i proverbi, che quando si fanno le cose in fretta non sempre si fanno bene. Il nostro non è solo un problema di capacità di spesa, ma anche di qualità della spesa. Altro è, infatti, utilizzare i fondi strutturali per reali opere d'intervento strutturali permanenti che diano al Paese strutture di crescita, ma anche di miglioramento.
Pensiamo al settore ambientale e al fatto gravissimo di avere, da una parte, infrazioni per non esserci messi in regola con le norme europee sulle acque e sulla depurazione delle acque, sull'aria e così via, e, dall'altra, fondi non spesi per strutture che potrebbero essere anche utilizzati in quel settore, per citare solo un esempio, ai miei occhi abbastanza macroscopico come dato di inadempimento.
Dobbiamo programmare meglio e in tempo, accelerare la capacità di spesa e far interagire regioni, enti locali e Stato insieme. Il motivo per cui non riusciamo a utilizzare bene questi fondi si spalma veramente sull'intera struttura della nostra Italia e della nostra capacità di Governo. Su questo, occorre una presa di coscienza molto puntuale.
Commetteremmo un errore se pensassimo che il problema si situi solo nelle strutture pubbliche perché lo Stato, le regioni, gli enti locali e quant'altro non sanno spendere i fondi strutturali. In realtà, purtroppo, il problema di capacità di accedere ai fondi europei si situa anche nelle strutture private.
L'esempio lampante sono i fondi per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, fondi che direi all'evidenza dedicati alla crescita di un sistema produttivo, di un sistema Paese: questi sono direttamente gestiti su bandi di gara emessi a livello europeo, quindi senza una preallocazione. I bandi di gara prevedono una cooperazione internazionale tra centri di ricerca, aziende, università, soggetti pubblici e privati, e chi presenta i progetti migliori vince le gare e ottiene i fondi.
Ebbene, avremmo, in teoria, se calcoliamo il nostro rapporto dare/avere, una potenziale aspirazione all'incirca al 12-13 per cento di questi fondi, e da anni navighiamo intorno al 6,5-7 per cento annuo nei casi migliori. Questo, francamente, riguarda strutture di azienda, in senso lato private, anche aziende di proprietà pubblica, però non strutture di Stato, di regioni o di enti locali.
Quando parliamo, quindi, del nostro stare nell'Unione europea, del dare e avere, di quel che ci conviene o meno, dobbiamo anche tenere conto che abbiamo delle opportunità che non riusciamo a utilizzare al meglio. Questa è un po’ la chiave di lettura di quella prima parte della Relazione programmatica proiettata sul futuro.
La seconda parte della Relazione programmatica indica in maniera molto dettagliata i principali sviluppi previsti nelle varie politiche settoriali. Qui attiro, solo per segnalarlo, la vostra attenzione su alcuni punti. Quando si parla di mercato interno, si parla di una legislazione oramai molto capillare, che va ben al di là della classica circolazione delle merci, ma tocca, soprattutto in questa fase, il settore terziario, dei servizi.
Esiste la cosiddetta «direttiva Bolkestein», dal nome del commissario europeo che all'epoca la fece approvare. Fanno parte di questa legislazione la normativa sugli appalti pubblici, tra l'altro in corso di riforma, rispetto alla quale suggerirei uno stretto monitoraggio del Parlamento nella fase tuttora ascendente.
Fa parte di questa legislazione del mercato interno quell'importantissima azione su cui, come Governo, abbiamo spinto molto per arrivare a un più completo e reciproco riconoscimento tra gli Stati dei titoli di studio, ma soprattutto delle qualifiche professionali, in maniera da offrire il potenziale mercato del lavoro di scala europea a chi desidera fruirne.
Quanto alla dimensione esterna dell'Unione europea, sapete che all'ultimo Consiglio europeo è stata fissata la data per l'inizio dei negoziati per l'adesione della Serbia. Sapete anche che col mese di luglio è entrata formalmente la Croazia come 28 Stato membro ed è stato negoziato anche un accordo di cooperazione con il Kosovo.Pag. 9
Esiste, dunque, un'azione di vicinato, soprattutto per l'area dei Balcani; la dimensione esterna dell'Unione europea comprende anche il vicinato in senso più ampio, con Paesi candidati come la Turchia o altri e con Paesi non necessariamente di area europea, ma comunque geograficamente prossimi della riva sud del Mediterraneo.
Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia comprende tutte le azioni legate alle politiche comuni in materia di asilo, di controlli alle frontiere. Parlavo recentemente anche con il Ministro dell'interno e con il Ministro dell'integrazione del fatto che si tratta di elementi molto importanti, su cui dobbiamo avere, a nostro parere, come Governo, un'azione europea più efficace e maggiormente di insieme. Importanti sono le azioni legate agli aspetti sociali. Sapete che il Consiglio europeo ha focalizzato molto su quelle a favore della disoccupazione giovanile, aumentando anche i fondi a disposizione.
Naturalmente, la frontiera sociale rappresenta, secondo il parere del Governo, un punto di snodo essenziale. Dobbiamo affiancare e stiamo affiancando – l'Italia ha contribuito molto a questo risultato – alla dimensione economica finanziaria anche quella sociale e del lavoro.
Qui vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che è stato su nostra insistenza, non semplice e piuttosto lunga, ma alla fine evidentemente persuasiva, che nelle conclusioni formali del Consiglio europeo del dicembre 2012 è riapparsa l'espressione «dimensione sociale dell'Unione europea e dell'unione economica e monetaria», così come l'espressione «dialogo sociale». Da circa 15-20 anni, queste espressioni non si trovavano scritte tra gli obiettivi sottolineati dai Capi di Stato e di Governo in maniera così chiara. È con grande soddisfazione che salutiamo la decisione dei Capi di Stato e di Governo di dedicare il vertice di ottobre 2013 del Consiglio europeo proprio alla dimensione sociale.
Importanti sono le normative in materia ambientale, di salute e di sanità, che stanno diventando un filone di produzione normativa estremamente intenso, con visioni anche molto variegate nelle realtà nazionali e anche nella realtà europea, così come altre materie su cui penso che il Parlamento debba seguire con grande attenzione l'azione di fase ascendente.
Quanto alla parte dedicata all'industria, all'energia e alle infrastrutture, siamo nella fase di sviluppo. Sapete che sono state lanciate, a livello europeo, linee direttrici per portare il settore manifatturiero a coprire almeno il 20 per cento dell'economia. Su questo, c’è un'adesione del nostro Paese, che tra l'altro si trova già nella gamma alta, a una serie di misure che riguardano la cooperazione in materia fiscale.
L'ultima parte della relazione, e concludo, il terzo capitolo, riguarda la componente adempimenti. Come ho già sottolineato, si tratta di una nota dolente. Vantiamo, infatti, il maggior numero di infrazioni tra gli Stati membri. Dobbiamo assolutamente lavorare per ridurle e, in questo, la collaborazione tra Governo e Parlamento è estremamente importante.
Siamo ora nelle vostre mani: se porteremo in approvazione la legge europea e la legge di delegazione europea prima della pausa estiva, i tempi potrebbero esserci – siete, però, voi i domini nel senso latino del termine – potremmo ridurre di una ventina le nostre infrazioni, attualmente 104 per la precisione, e scendere a un livello che da molti anni non vediamo. Poi, però, vanno aggredite anche le restanti infrazioni, che necessitano di interventi normativi e operativi molto importanti.
Vi ringrazio per l'attenzione.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Moavero Milanesi e cedo la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ADRIANA GALGANO. Grazie presidente. Come emerso dal dibattito di ieri con il presidente di Confindustria Squinzi, molto favorevole all'adozione del brevetto unico, una parte di noi è invece più cauta. Tralascio i motivi, benché uno di questi sia senz'altro che in Italia ci sono 5.000 richieste Pag. 10di brevetti, mentre i tedeschi ne hanno 60.000 e siano molto più preparati di noi. Noi non abbiamo la cultura del brevetto, quindi tutto questo potrebbe danneggiare le nostre piccole imprese.
Vorrei chiedere al ministro se non sia possibile pensare a un periodo di adeguamento, magari coincidente coi tempi della risposta al ricorso della Spagna.
Inoltre, vorrei conoscere la sua opinione sull'eventualità che le elezioni tedesche dei primi di settembre abbiano un'influenza nelle decisioni rispetto alla flessibilità, alle politiche di austerity dell'Unione europea o se pensa che si tratti di variabili indipendenti.
Vorrei anche conoscere, se ritiene di trattarne, la sua posizione sullo strumento di convergenza. Si tratta, infatti, ovviamente di una discussione che abbiamo differito, non urgente: cosa pensa rispetto a questo tema, dal momento che abbiamo avuto varie opinioni discordanti ?
Infine, qual è il nostro stato rispetto alle infrazioni ? Ci aveva parlato di 98 nella scorsa relazione: nel frattempo abbiamo fatto passi avanti ?
PRESIDENTE. Sono diventate 104 e cercheremo di ridurle con l'approvazione delle leggi europee.
SANDRO GOZI. Ringrazio il Ministro anche perché ricorda sempre il lavoro su iniziativa parlamentare che ha portato alla riforma della legge n. 234 del 2012. Credo che quella legge ora in vigore abbia un grande potenziale che stiamo cominciando a sfruttare e spero che lo faremo sempre di più in futuro.
Non abbiamo mai condiviso, ministro, questo bilancio dell'Unione europea. Lei ricorda bene, anche nella passata legislatura, quale sia stata la posizione delle principali forze parlamentari. Personalmente, continuo a dare una valutazione tiepida del risultato finale perché è evidente che sia al di sotto delle aspettative ed era già insufficiente quella che alcuni definirono ambiziosa proposta della Commissione, che ambiziosa non era perché era già molto al ribasso.
Adesso, però, guardiamo in prospettiva anche al lavoro dell'Italia, della futura presidenza italiana con la clausola del 2016, a cui lei giustamente faceva riferimento: qual è la vostra valutazione ?
Capisco che sia difficile fare previsioni, ma ritiene che possa essere utilizzata anche per aumentare le quantità o per un adattamento a livello di flessibilità di spostamenti dai capitoli di bilancio ? Questo forse è il punto su cui dovremmo concentrarci.
In materia di brevetto, faccio una sola notazione. Esiste un ricorso spagnolo sui due regolamenti: non le chiedo di fare previsioni sulla decisione finale, ma, solamente, se non ritenga opportuno prendere il tempo di valutare l'esito di questi ricorsi prima di arrivare a una decisione finale per l'Italia, ovvero se ritenga, invece, che del ricorso spagnolo non debba tenersi conto per motivi che eventualmente può indicarci.
In materia di diritti fondamentali, su due questioni vorrei conoscere il suo parere. La prima riguarda il regolamento sul trattamento dei dati personali. Lei ricorda che questa Camera ha espresso un parere motivato per la violazione del principio di sussidiarietà sul regolamento sul trattamento dei dati personali, per alcuni aspetti legati al diritto all'oblio, nonché al ruolo molto ampio che la Commissione si sarebbe data in esecuzione delegata. Credo che il negoziato sia ancora in corso: qual è la posizione dell'Italia ? Può informarci oggi o farci sapere in un secondo momento (capisco, infatti, che si tratta di una questione molto articolata) quale sia nel dettaglio la posizione del Governo ?
L'altra questione riguarda l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti umani, quindi la sinergia da sviluppare tra l'Unione europea e il Consiglio d'Europa: su questo, come vede il processo ? Quali tempi prevede ? Crede che questo obiettivo potrà essere conseguito prima della presidenza italiana o potrebbe essere, invece, una delle priorità da perseguire da parte della nostra presidenza ?Pag. 11
L'ultimo punto è rappresentato dalla questione del negoziato tra Unione europea e Stati Uniti. Ricordo, anzitutto, a noi e a me stesso, che è un'area di libero scambio amplissima e quello diventerebbe il mercato più grande del globo. Al riguardo, le chiedo: come si sta organizzando il Governo per seguire questo negoziato ? Credo infatti – ma la mia è solo una proposta – che il Parlamento debba essere informato in maniera particolare su tale negoziato perché non si tratta di un negoziato internazionale qualsiasi, ma che ha un impatto notevole su una grandissima serie di settori economici in cui abbiamo interessi molto forti.
PAOLA CARINELLI. Mi ricollego anch'io alla questione dei brevetti.
Ieri, appunto, ne abbiamo parlato anche con Confindustria. Vorremmo qualche informazione ulteriore sui rimborsi previsti per i costi di traduzione. Ieri ci si diceva che esiste un rimborso totale per i primi 5 anni, ma abbiamo provato a guardare la normativa e non l'abbiamo trovato indicato in maniera così precisa. La normativa ci sembra, al contrario, un po’ vaga. Lei dispone di maggiori informazioni al riguardo ?
GEA SCHIRÒ PLANETA. Ministro, lei non ha parlato di politiche fiscali. Mi interesserebbe conoscere la posizione del Governo riguardo a una razionalizzazione comunitaria delle politiche fiscali, in particolare delle aliquote, perché sarebbe sicuramente un'iniziativa di superamento di un momento di crisi in modo comunitario.
ARIANNA SPESSOTTO. Vorrei chiedere quali interventi tecnici ha in mente il Governo per migliorare questa gestione di fondi europei e anche quali criteri sono adottati per individuare i pochi obiettivi su cui concentrare queste risorse.
Vorrei anche sapere se sono previsti strumenti concreti per monitorare l'attuazione dei programmi, come auspicato dal Ministro Trigilia, con l'attivazione di un'agenzia che si occupi proprio della progettazione e dell'aiuto alle regioni in questo campo.
ALESSIA MARIA MOSCA. Molte domande sono già state rivolte, per cui ne aggiungerò solo un altro paio di approfondimento, non prima di aver ringraziato il ministro per l'ottima relazione.
In primo luogo, mi interessa qualche elemento in più relativamente allo stato di preparazione del nostro semestre di presidenza, in modo particolare per capire quali possano essere le nostre iniziative. La domanda è posta anche alla luce di una rinnovata credibilità che in Europa si sta facendo sentire del nostro Paese per la decisione di uscire dalla procedura d'infrazione, assieme a tutto quanto fatto, per cercare, appunto, di dare un impulso che superi il programma attuale del Consiglio e della Commissione. Questo è ancora troppo timido rispetto ai passaggi ulteriori di unione che, appunto, si limitano ancora a essere solo economici e non fanno il passo verso un'unione più fortemente politica.
Gradirei, inoltre, conoscere qualche ulteriore elemento relativamente al Consiglio straordinario di fine anno sulla materia della difesa. Penso possa essere un altro tema per noi di grande interesse anche alla luce degli equilibri che si possono trovare nella geografia europea.
L'ultima osservazione è relativa al nostro essere, come strutture sia pubbliche sia private, incapaci di utilizzare bene i fondi europei. Al riguardo, le chiedo: non è possibile immaginare iniziative nella definizione dei requisiti per i bandi, forse penalizzanti per l'Italia, e intervenire non solo in sede di decisioni normative, ma anche nella definizione dei requisiti stessi per fare in modo che il sistema Italia complessivamente riesca a essere più capace di spendere fondi ?
ANTONINO MOSCATT. Buongiorno, ministro. Mi ricollegherò a quanto diceva la collega Mosca sulla possibilità di accesso ai fondi europei.
Se ben ricorda, nella sua prima audizione avevo sottolineato la necessità che si potesse realizzare una sorta di informazione e comunicazione istituzionale per facilitare agli enti pubblici e quelli privati Pag. 12all'accesso ai fondi. Immagino che si possa mettere in piedi un'azione, anche uno studio rispetto ai vari passaggi fatti dal momento in cui vi è il programma a quando esce il bando, passando per le difficoltà di accesso legate, per esempio, per gli enti pubblici, al patto di stabilità, come sappiamo tutti, ma anche a una non perfetta preparazione degli impiegati, degli operatori degli enti pubblici nella progettazione, ovvero alla difficoltà delle imprese di accedere al cofinanziamento, specialmente quando si parla di giovani, di associazioni, di cooperative: non esiste, infatti, un fondo reale di garanzia che consenta l'accesso al credito per il cofinanziamento.
Le difficoltà sono spesso anche legate alle lungaggini burocratiche dal momento in cui il bando è emesso a quello della scadenza, al momento dell'esito finale.
Molti investimenti, trascorrendo dai 6 mesi a volte all'intero anno dal momento in cui si presenta la domanda a quello di una prima risposta sull'esito del bando, probabilmente non sono più utili per le aziende o per gli enti che stanno partecipando alla gara. Sicuramente, poi, manca anche una programmazione da parte degli enti pubblici rispetto alle strategie proprie per l'accesso a questi bandi.
Non ritiene, dunque, opportuno che insieme Parlamento e Governo possano creare non dico una commissione, ma anche un comitato che analizzi tutti questi passaggi e individui le difficoltà oggettive, provando a intervenire con tutto ciò che serve e con una pianificazione che possa essere utile affinché queste risorse sia, questa volta, spese e nei tempi giusti ?
FILIPPO CRIMÌ. Ringrazio il ministro per la relazione molto precisa e puntuale. Vorrei rivolgergli una domanda secca dato che ha toccato l'argomento del riconoscimento dei titoli di studio e della libera circolazione di professionisti. Vorrei, infatti, sapere: cosa ha intenzione di fare il Governo anche per difendere i nostri professionisti ?
Mi viene in mente l'esempio degli odontoiatri, che in alcuni Paesi non devono effettuare il test di entrata a numero chiuso, mentre da noi sì; agli avvocati, che in alcuni Paesi hanno una laurea abilitante, mentre da noi devono superare un esame di Stato. Esiste in programma qualcosa per uniformare queste problematiche, che alla fine rischiano di sfasare le esigenze statali che abbiamo e i fabbisogni di professionisti ?
PRESIDENTE. Ministro, personalmente, vorrei semplicemente ricordarle quanto ho evidenziato nell'introduzione. Le avevo chiesto, infatti, di illustrarci, rispetto al semestre di presidenza, quali saranno le priorità, i costi, le strutture da utilizzare e così via.
Do la parola al ministro per la replica.
ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Riprenderò prima i punti che sono stati più ricorrenti nelle domande, brevetto, fondi, semestre, e poi quelli più specifici che sono invece venuti con minore frequenza.
Quanto al brevetto, la situazione attuale è la seguente: esistono due componenti di questo nuovo sistema del cosiddetto brevetto unitario, laddove unitario è il vocabolo che a volte è adesso utilizzato al posto di comunitario, quindi in realtà si parla di brevetto unitario, ma c’è chi ama adesso questo nuovo vocabolo, c’è chi lo ama meno, e quindi parla di brevetto europeo. In ogni caso, stiamo sempre parlando della stessa cosa.
Questo brevetto ha, tuttavia, delle radici in una convenzione preesistente, un atto convenzionale che riuniva i Paesi della Comunità europea e poi dell'Unione europea, quindi di stipula multilaterale e non un atto proprio formale del diritto dell'Unione europea, come è invece poi avvenuto.
Le due componenti sono, da una parte, i regolamenti che istituiscono l'istituto del brevetto unitario per l'Unione europea, i quali sono stati adottati in cooperazione rafforzata, quindi solo da alcuni Paesi e non da tutti e, dall'altra parte, un accordo internazionale per la creazione di una corte specifica, una sede giurisdizionale Pag. 13specifica, per le controversie in materia di brevetto unitario.
I due atti sono, già nell'evidenza di questa rapidissima definizione, atipici, fuori dall'ordinario. Infatti, la cooperazione rafforzata è disciplinata dal Trattato, ma rappresenta un elemento fuori dalla via ordinaria, che prevede normalmente la partecipazione di tutti. L'accordo internazionale, inoltre, si è reso necessario perché si è voluta creare una corte ad hoc e non inquadrare, quindi, la Corte per il brevetto unitario nel sistema normale della corte di Giustizia dell'Unione europea, pur essendo questa ad hoc subordinata alla Corte di giustizia in quanto tale. Per capirci, però, il Trattato prevede la possibilità di istituire dei tribunali specializzati. Attualmente, ne esiste solo uno per le vertenze di lavoro dei dipendenti delle istituzioni europee. Se ne potrebbe istituire un altro per il brevetto, così come se ne potrebbe istituire uno per il marchio, attualmente sottoposto a camere ad hoc che operano presso l'Ufficio della registrazione dei marchi di Alicante.
Tuttavia, si è preferita una terza via rispetto alla quale la Corte di giustizia non ha obiettato e che rimane, comunque, subordinata alla Corte di giustizia come cassazione finale degli eventuali giudizi. Questo è il motivo per cui si procede per accordo internazionale.
Veniamo alla posizione dell'Italia rispetto a questa situazione. L'Italia, con decisione assunta nel periodo 2009-2010, non ha aderito alla cooperazione rafforzata per i regolamenti sul brevetto unitario per due motivi che abbiamo portato di fronte alla Corte di giustizia, causa peraltro persa.
Il primo era l'utilizzo della cooperazione rafforzata in materia di mercato unico, quindi una materia che ritenevamo e sommessamente, con tutto il rispetto della pronuncia della Corte, continuiamo in una certa qual misura a ritenere che sia inclusiva, mentre la cooperazione rafforzata per definizione diventa divisiva, se vogliamo usare termini più semplici. In ogni caso, la Corte non ha accolto questa eccezione.
Il secondo motivo era la violazione del principio dell'eguaglianza linguistica di cui al Regolamento n. 1 delle Comunità europee, che stabilisce che tutte le lingue dei Paesi sono lingue ufficiali, mentre il sistema del brevetto unitario opera in tre lingue (inglese, francese e tedesco). Peraltro, già il sistema della Convenzione di Bruxelles sul brevetto unico per la Comunità europea operava in tre lingue, quindi c’è una certa continuità.
Noi avevamo sostenuto la tesi, se vogliamo semplificare, dell'adozione di una lingua unica, l'inglese, ovvero, in alternativa, avremmo preferito il rispetto della parità linguistica. Anche su questo elemento, la Corte di giustizia non ha accolto il ricorso che, insieme alla Spagna, avevamo presentato. Tuttora, l'Italia non ha aderito alla cooperazione rafforzata ed è la questione che, peraltro, vi è sottoposta perché all'epoca vi furono anche degli atti di indirizzo del Parlamento al Governo, nel 2010, invitandolo a non aderire alla cooperazione rafforzata.
La Spagna ha mantenuto ancora sub iudice un altro ricorso che aveva presentato da sola contro alcuni degli elementi dei regolamenti stessi. Se questo ricorso fosse accolto, bisognerà vedere in che misura lo sarà dalla Corte di giustizia e che effetto avrebbe sui regolamenti. Infatti, se si trattasse di un accoglimento totalitario, potrebbe portare all'annullamento dei regolamenti, e quindi comincerebbe da capo tutto il processo; se fosse solo parziale, potrebbe avere effetti diversi. Per il momento, è sub iudice.
Sull'altro versante, c’è l'accordo internazionale per la costituzione di una corte unitaria per l'appunto competente per i giudizi. Era stato chiesto, a suo tempo, un parere alla Corte di giustizia, la quale lo aveva dato in una maniera tale che è stato poi ritenuto che fosse legittimo costituire questa corte e si è, quindi, proceduto al negoziato.
Nel dicembre 2011, il Governo Monti aveva mutato la posizione rispetto al Governo precedente aderendo al negoziato per la costituzione di questo tribunale e, alla fine del percorso, abbiamo firmato il Pag. 14trattato che, però, adesso deve essere ratificato in qualità di trattato internazionale, per cui deve passare di fronte al Parlamento nel suo percorso di ratifica.
Avevamo aderito al negoziato per il trattato sulla Corte fondamentalmente perché, se non lo avessimo firmato, questa corte si sarebbe costituita con un meccanismo che escludeva la possibilità, un domani, per dei giudici italiani di farne parte e la corte sarebbe diventata estranea alla partecipazione dell'Italia. Di conseguenza, abbiamo ritenuto opportuno partecipare al negoziato.
Questa corte avrà sede, a seconda delle materie, a Monaco, Londra e Parigi, per la divisione principale, dopodiché la sede di appello sarà in Lussemburgo, dove ha sede anche la Corte di giustizia, scelta dovuta anche a ragioni di prossimità.
Peraltro, sono da decidere delle sedi regionali. Emerge Monaco di Baviera perché il sistema della Convenzione sul brevetto unico per le Comunità europea aveva già sede lì; Londra e Parigi sono emerse nel negoziato finale. C'era stata, per mantenere una memoria storica, anche una candidatura di Milano, ma il fatto di essere con un piede dentro un piede fuori, non ha certamente agevolato questa possibilità. Resta, però, aperta la possibilità di sedi secondarie nel nostro Paese.
Anzitutto, il Governo è aperto all'opinione del Parlamento, che consideriamo indispensabile come linea di indirizzo. Ieri, avete ascoltato i pro dell'adesione al sistema del brevetto unico dal presidente di Confindustria (anch'io ho avuto modo di leggere la relazione che ha depositato) e posso confermare che, effettivamente, i punti a favore sono quelli da lui enunciati. Il sistema prevede la possibilità di brevettare, per dirlo nei termini più sintetici, un'unica volta con valore in tutti i Paesi che aderiscono al sistema stesso, quindi tutti i Paesi dell'Unione europea tranne, attualmente, Spagna e Italia.
Nell'attuale situazione, un inventore italiano che intenda brevettare, se ritiene di chiedere la protezione del suo brevetto solo per il territorio italiano, brevetterà in Italia secondo la procedura nazionale ed eventuali contestazioni in Italia saranno giudicate dal sistema giurisdizionale italiano.
Se, però, intende ricevere una protezione in Europa, al di là del territorio nazionale, se va in Spagna, in particolare, dovrà brevettare secondo il sistema spagnolo, altrimenti dovrà comunque recarsi nel sistema del brevetto unitario, effettuare la registrazione nelle tre lingue e ottenere la protezione in tutti gli altri Paesi tranne, per l'appunto, l'Italia e la Spagna.
In sostanza, lasciando un attimo da un lato la Spagna, l'inventore ha attualmente due procedure da compiere: una nel meccanismo italiano per la protezione sul territorio nazionale e una seconda nel meccanismo europeo per la protezione negli altri Stati dell'Unione europea, salvo appunto la Spagna.
I brevetti registrati nel sistema europeo saranno giudicati dalla corte speciale di cui al trattato internazionale. I brevetti registrati solo in Italia sono giudicati nel sistema giurisdizionale italiano. Tutti i brevetti registrati col vecchio sistema della Convenzione di Monaco sul brevetto unico per le Comunità europee saranno giudicati dalla nuova corte, quindi i brevetti europei vecchi del sistema-convenzione passano comunque nella giurisdizione della corte.
Se aderiamo alla cooperazione rafforzata, anche per l'Italia varrebbe il brevetto unitario. L'inventore italiano, anche per ottenere la protezione sul territorio italiano e, automaticamente, nel resto dell'Unione europea, brevetterebbe nelle tre lingue e, se chiamato in giudizio per delle contestazioni, dovrebbe difendersi di fronte alla corte unitaria, quindi, a seconda delle materie, nelle sue tre sedi di Londra, Parigi e Monaco di Baviera.
La facilità del sistema è che si brevetta una volta sola. C’è un unico costo legato a quest'unico brevetto contro i precedenti 26-27 costi per brevettare in ciascuno dei Paesi. Inoltre, c’è un'unica sede di giudizio, quindi c’è una semplificazione.
La complicazione, invece, è legata, secondo le obiezioni sollevate, da una parte, all'uso di tre lingue, che non includono la Pag. 15nostra – attualmente, comunque non servono tutte e tre quelle lingue, ma una sola – e, dall'altra, al fatto di doversi difendere per eventuali contestazioni di fronte a una corte che opererebbe nelle tre lingue e che avrebbe sede in tre posti diversi. C’è, dunque, una semplificazione e, naturalmente, per i Paesi che non utilizzano una delle tre lingue previste, una potenziale complicazione.
Secondo fiumi di letteratura, questo può essere un problema per le piccole e medie imprese, per gli inventori individuali; altrettante opinioni spiegano che oramai chi inventa al giorno d'oggi opera molto spesso quanto meno in inglese, per cui questo non rappresenterebbe un problema.
Per quanto riguarda la difesa di fronte alla corte speciale, naturalmente chi era abituato a interagire in sede nazionale, vede questa come una complicazione maggiore, ma è anche vero che veniamo da qualche decennio in cui molte delle vertenze nazionali approdano, in una maniera o nell'altra, anche in sede europea.
C’è, dunque, veramente una scelta da fare tra aprirsi a un sistema che assume una scala europea e che, evidentemente, pone una sfida e prevede un salto di qualità da parte del nostro sistema imprese, da parte dei nostri inventori, di operare su scala più ampia – siamo comunque uno dei Paesi importanti a livello europeo per numero di invenzioni – e una parziale conservazione del sistema preesistente.
La conservazione è parziale perché, effettivamente, il sistema preesistente sussisterebbe unicamente per un inventore che immagini di sfruttare la sua invenzione unicamente e limitatamente al territorio nazionale. Infatti, se appena desiderasse andare fuori, dovrebbe comunque brevettare nell'ambito del sistema europeo per ottenere la protezione. Questi sono i termini della questione.
Abbiamo effettuato le contestazioni che ritenevamo corretto effettuare e, nella continuità comunque di almeno due Governi italiani, abbiamo effettuato tutta la nostra interlocuzione nell'ambito della discussione legislativa europea. Il risultato, a livello sia di sentenza di Corte di giustizia sia di cooperazione rafforzata, è quello che conoscete.
È vero, è ancora pendente il ricorso spagnolo e un meccanismo di temporeggiamento in attesa dell'esito del ricorso spagnolo esiste nei fatti: potremmo rimandare la nostra decisione di adesione alla cooperazione rafforzata a dopo l'esito del ricorso spagnolo.
La scelta resta nelle mani del Parlamento, come linea di indirizzo, e del Governo, tenendo peraltro presente che, naturalmente, a supporre che il sistema entri in vigore, più tardi ci inseriremo nel meccanismo, più col senno di poi potremmo dirci che abbiamo perso del tempo.
Nell'ipotesi in cui il ricorso spagnolo, viceversa, avesse successo, anche se avessimo aderito, a seconda di come la Corte si pronuncerà, il processo potrebbe ritornare indietro e bisogna vedere di quanto. È difficile prevedere come si pronuncerà la Corte. Il ricorso è basato su elementi diversi dall'altro che ha avuto esito negativo, e quindi rimane da comprendere.
Per quanto riguarda, viceversa, l'adesione al meccanismo del tribunale, il trattato è firmato e sarà sottoposto a ratifica del Parlamento. Noi continuiamo a pensare che, dato che il nuovo tribunale del brevetto unitario sarà competente anche per quelli registrati sotto l'egida della convenzione di Monaco preesistente, a cui molti inventori italiani o aziende avevano aderito, sia meglio che questo tribunale non sia estraneo alla nostra presenza. Questo è il motivo per cui abbiamo firmato il trattato. Comunque, infatti, quel tribunale diventa competente per giudicare su brevetti detenuti da soggetti italiani e a suo tempo registrati nell'ambito della convenzione sul brevetto europeo.
Naturalmente, però, la giurisdizione di quel tribunale rimane valida per i brevetti preesistenti o futuri europei, non per i brevetti unicamente italiani. In questo senso, forse alcune delle osservazioni e delle obiezioni opposte debbono essere rilette.Pag. 16
Il Governo, sostanzialmente, ritiene che sia molto importante avere un parere in piena libertà da parte del Parlamento su cosa fare per la cooperazione rafforzata.
Per quanto riguarda, invece, il processo di ratifica, naturalmente lo sottoponiamo con una raccomandazione di ratifica per il tribunale perché pensiamo che in ogni modo abbia una competenza, come ripeto e sottolineo, a giudicare su brevetti di portata europea già detenuti nel vecchio sistema da soggetti italiani.
Quanto la questione della capacità di spesa dei fondi europei, indubbiamente, ogni tipo di iniziativa, indagine conoscitiva, valutazione e così via è più che utile, probabilmente, anche nelle mani del Parlamento. Io ritengo, però, che nella questione della scarsa capacità di spesa dei fondi europei abbiamo una sorta di cartina al tornasole di quelle nostre «sclerosi» e piccoli problemi di carattere nazionale che ci accompagnano nella azione quotidiana di governo del Paese tanto a livello locale che a livello nazionale.
C’è, indubbiamente, un sistema complesso che ci richiede di programmare, discutere e redigere a più mani i progetti, le liste delle iniziative e quant'altro insieme con la Commissione europea, di gestire poi questi progetti, di metterli in opera, di vararli con tempistiche e con controlli. È un sistema rispetto al quale abbiamo sempre avuto delle difficoltà.
Può darsi, come entrambi i ministri che si sono succeduti nell'attuale e nel precedente Governo per la parte delle politiche di coesione ritengono, che la creazione di un'Agenzia possa aiutare. Io credo che quello che può realmente determinare il salto di qualità sia una forte presa di coscienza a livello locale, regionale e nazionale sull'indispensabilità dell'utilizzo al meglio di questi fondi che, mobilitando, accanto alle risorse europee, anche risorse nazionali, costituiscono il più grosso ammontare complessivo di risorse pubbliche mai messe a disposizione dell'economia.
Questo, peraltro, è il motivo per cui per 13 o 14 mesi ho negoziato quello che si è materializzato nelle conclusioni dei Consigli europei, in particolare di marzo e di giugno, ma anche in una certa buona misura di dicembre 2012, vale a dire la flessibilità, che ha fatto nuovamente notizia quando il Presidente Barroso la settimana scorsa ha illustrato, di fronte al Parlamento europeo, come fosse messa in opera la possibilità di una flessibilità per i Paesi con un deficit sotto il 3 per cento, e cioè utilizzando il margine tra il tetto del 3 per cento e il loro deficit nominale per investimenti pubblici produttivi, in particolare, come peraltro noi avevamo fortemente richiesto, per cofinanziare i fondi europei.
Perché questo, in particolare, è così importante al punto che lo richiedevamo e ci siamo anche molto battuti perché fosse così e non fosse una nozione più riduttiva. Perché, per dirla in termini semplici, ad ogni euro di spesa pubblica aggiuntiva che siamo autorizzati a fare in questo margine tra il nostro deficit nominale e il tetto del 3 per cento, si aggiunge, grossomodo, altrettanto, e anzi poco di più, dai fondi europei di tipo strutturale. All'economia, dunque, finiscono due euro.
Se nel 2014 si rispettano le previsioni di un deficit nominale italiano del 2,4 per cento, questo significa che avremo uno 0,5 di spesa nazionale e altrettanto che arriverebbe dai fondi europei e saremo in grado di immettere nell'economia un 1 per cento del PIL, che non è niente male come risorsa di stimolo.
Dobbiamo riuscire a farlo, dunque, e nei termini migliori, finanziando iniziative e progetti di carattere strutturale, anche quelli a cui non sempre pensiamo. Ripeto l'esempio, secondo me molto importante, degli interventi pro-ambiente, con infrastrutture pro-ambiente, che hanno molteplici ricadute positive sulla salute e sugli aspetti di sostenibilità ambientale, ma che possono costituire anche un adeguamento importante e un salto di qualità di modernizzazione del sistema Paese.
Oltre a consentirci di spendere bene, ci eliminerebbero una serie di infrazioni. Sapete che le infrazioni ambientali – pensiamo alla gestione dei rifiuti, altro esempio in cui si potrebbe utilmente impiegare il denaro pubblico – comportano anche Pag. 17delle sanzioni rilevanti e in due situazioni molto specifiche siamo già a rischio di sanzioni di svariate decine di milioni di euro. Rischiamo, quindi, la beffa del mancato utilizzo dei fondi strutturali e il danno materiale delle sanzioni.
Per quanto riguarda le questioni dei fondi banditi direttamente dall'Unione europea a sostegno dell'innovazione e della ricerca, abbiamo molto insistito a livello europeo per una semplificazione dei bandi di gara, a volte molto complicati, per cui anche a me piccole e medie spesso hanno detto di non avere in casa la capacità di assorbimento dei testi, che spesso devono rivolgersi a un consulente, pagarne le spese per sapere se eventualmente e come possono partecipare a una gara che non sanno neanche se vinceranno e che, in periodi di ristrettezze, fanno due conti ed evitano di partecipare.
Questo, effettivamente, è molto grave. Noi insistiamo e sarebbe bene anche nei vostri rapporti col Parlamento europeo – ne ho parlato spesso coi parlamentari italiani, che incontro mensilmente – che si lavori per una semplificazione di questi bandi di gara non tanto nel loro rigore concettuale, quanto proprio nella loro palatabilità.
Segnalo, di passaggio, in collegamento con quanto dicevo prima per il brevetto, che viceversa l'Italia ha già vinto due ricorsi di fronte alla Corte di giustizia europea per la pubblicazione anche in tutte le lingue nazionali dei bandi di gara per i fondi europei. In questo caso, è stata riconosciuta in pieno la parità linguistica.
Anche su questo terreno si può fare di più, creando ad esempio, a mio modesto parere, a livello di regioni, di enti locali, delle strutture pubbliche, private – l'ho detto varie volte anche, per esempio, parlando con Confindustria – miste o unicamente pubbliche, laddove possibile, che diano un'assistenza più diretta e più a buon mercato alle piccole e medie imprese, alle microimprese, ai centri universitari che intendono partecipare a questi bandi.
Degli esperimenti di questo tipo erano stati effettuati all'inizio degli anni Novanta e avevano anche portato a un miglioramento del nostro tasso di partecipazione e di vittoria in questi bandi di gara, ma è, ancora una volta mutatis mutandis, un po’ come per il brevetto europeo, lo stimolo a un salto di qualità realmente europeo del nostro modo di interagire: a uscire, cioè, da quella prospettiva importante, ma comunque angusta rispetto a quella europea, di carattere puramente nazionale.
Quanto al semestre di presidenza italiana, da un punto di vista organizzativo, l'idea attuale del Governo – stiamo proprio affinandola in questi giorni – è di avere un punto di riferimento a livello politico che coinvolgerà sicuramente il Presidente del Consiglio, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'economia e il Ministro degli affari europei e, all'occorrenza anche altri ministri e un punto di organizzazione materiale degli eventi, che nel nostro sistema legislativo è ancora disciplinato da una legge degli anni Ottanta.
Stiamo cercando di capire in che modo, nel rispetto della normativa, possiamo adeguare le strutture all'epoca previste a un semestre di presidenza che si svolge comunque una trentina di anni dopo, nel 2013 rispetto al 1994, data della legge a suo tempo immaginata.
Naturalmente, per quanto mi riguarda, accoglierei in modo molto positivo quella che mi è sembrata essere la proposta di interagire in maniera molto stretta tra Parlamento e Governo. In particolare, presidente, credo che questa Commissione sia il luogo più opportuno per questa interazione.
Nel semestre, come sapete, ci sono fondamentalmente un compito e un'opportunità. Il compito è di portare avanti il programma che nel 2014 sarà stabilito a livello di Unione europea, quindi lo vedremo nella prossima relazione programmatica, per la parte del semestre che spetta all'Italia.
Uno degli elementi virtuosi di questo meccanismo un po’ datato dei semestri di presidenza è che, comunque, ciascuno Stato che è alla presidenza semestrale, cerca durante quel periodo di portare a Pag. 18casa dei risultati, per cui c’è una sorta di accelerazione emulativa spesso virtuosa. Questo è un compito da nobile cireneo, come peraltro era nobile Simone di Cirene, nel compito di condurre a termine l'operazione di programma ordinario.
Naturalmente, c’è anche l'opportunità di inserire degli elementi di stimolo specifico, degli elementi di novità e, per quanto ci riguarda, credo che dovremmo iniziare subito – sono completamente a disposizione – una riflessione insieme per quelli che giudichiamo i punti focali di possibile sviluppo, siano essi inerenti la legislazione europea in quanto tale o la linea di orizzonte che diamo all'Unione europea.
Qui, naturalmente, si apre l'opportunità, il cantiere e la prospettiva di riuscire, durante il nostro semestre di presidenza, a preparare e, possibilmente, anche a compiere un salto di qualità sotto il profilo di quell'unione politica in cui la «P» comincia a diventare realmente maiuscola, che molti fra noi ritengano possa essere indispensabile per consentire all'Europa di avere un suo futuro più compiuto.
È ovvio che su questo percorso abbiamo degli elementi molto positivi, anche legati ad alcune dichiarazioni o ad alcuni percorsi politici all'apparenza non positivi. Lo stesso discorso, per fare un esempio, del referendum in Gran Bretagna annunciato dal Primo Ministro David Cameron e messo in relazione a un eventuale modifica del Trattato può essere, viceversa, letto non tanto nel senso di una chiusura della porta per andar via, ma, in senso contrario, a seconda di come il Trattato potrà essere modificato.
Le stesse affermazioni della Corte costituzionale tedesca nella sentenza sul Trattato di Lisbona, ma come già nella sentenza sul Trattato di Maastricht, secondo la quale bisognerebbe appellarsi con un referendum al popolo tedesco nel momento in cui l'Europa dovesse avere una svolta di tipo federale, come non è previsto né realizzabile coi trattati attuali, da una parte precisa un elemento di snodo operativo ma, dall'altra, non esclude affatto che questa prospettiva si possa aprire.
Del resto, non mi sembra, personalmente, affatto un assurdo, quanto piuttosto assolutamente in coerenza con i princìpi di democrazia che, nel momento in cui la forma di Stato nazionale a cui siamo abituati dovesse dissolversi in una forma di Stato federale europeo, si chieda di esprimersi alle persone. Due anni fa abbiamo celebrato il Centocinquantenario dell'Unità nazionale e sappiamo che ci furono i famosi plebisciti negli Stati italiani preunitari: sarebbe, a mio parere, indispensabile che operazioni analoghe si svolgessero anche in vista di un'unione politica europea.
In questi termini, dunque, ritengo ci sia modo durante il nostro semestre di piantare dei semi e magari anche veder germogliare qualcosa di più dei semi. In questo senso, le questioni legate alla posizione tedesca, alle elezioni tedesche, come a ogni elezione democratica, sono naturalmente molto importanti perché portano, come dopo ogni elezione, alla definizione di una linea di Governo.
Procederò più telegraficamente sugli altri punti per non abbandonarli. Per quanto riguarda le questioni legate allo strumento di convergenza, ci rivediamo oggi pomeriggio e avremo modo di ritornarci, come anche sulle questioni legate al quadro finanziario. Siccome è uno degli elementi che si è definito a cavallo col Consiglio europeo, riferirei nel pomeriggio.
Gli accordi tra Unione europea e Stati Uniti sono fondamentali. Conosciamo tutti il quadro generale e, in particolare, la grande opportunità per l'Italia. Qui vedrei assolutamente essenziale un'interazione tra Parlamento e Governo e suggerirei a questa Commissione, come anche a quella più direttamente competente per materia, di effettuare delle audizioni ad hoc del ministro o anche del viceministro che sono più direttamente incaricati del negoziato.
Per quanto riguarda l'Unione europea e l'adesione alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, le questioni vanno avanti anche in maniera abbastanza spedita. Il Pag. 19nodo maggiore è forse più percepibile dai giuristi, ma è comunque la primazia tra la Corte di giustizia europea e la Corte dei diritti dell'uomo. È un tema estremamente sensibile, soprattutto tra i giudici, anche se sul piano pratico le due giurisprudenze coincidono, per cui l'impatto è molto relativo. Si comprende, però, la sensibilità che esiste tra due Corti supreme su chi alla fine debba avere su questa delicata materia dei diritti fondamentali un'ultima voce in capitolo.
Resta, in ogni caso il nodo principale di un'evoluzione di adesione che procede velocemente, per cui può darsi anche che, prima del semestre di presidenza italiano o, all'occorrenza, da inserire tra le misure del semestre italiano, possa essere previsto.
Di passaggio, rilevo che siamo purtroppo anche uno dei Paesi col maggior numero di condanne a livello di Corte di Strasburgo. A parte, quindi, l'Unione europea, abbiamo anche difficoltà nel sistema del Consiglio d'Europa. Siamo molto europeisti ma, concretamente, presentiamo anche numerosi punti di debolezza.
Quella delle aliquote fiscali è una questione tradizionalmente aperta. Sapete che il sistema europeo, per quanto riguarda le tasse, è il seguente. Per le imposte dirette, la autonomia degli Stati è molto ampia, c’è solo la possibilità di convenzioni, ma non sono previsti atti europei di diritto derivato specifico, invece previsti per le imposte indirette, quindi IVA e accise in modo particolare.
L'IVA e le accise sono schemi di imposta uguali per tutti i Paesi armonizzati da direttive, tuttavia le aliquote sono lasciate nella potestà fiscale dei Paesi e, in generale, i Paesi, gli Stati e i Governi sono estremamente gelosi – usiamo questo termine – della loro potestà fiscale. Lo sono all'evidenza più che della loro potestà monetaria, che hanno comunque conferito al sistema dell'unione e monetaria.
Naturalmente, anche qua sono presenti due filoni di letteratura un po’ come nei discorsi precedenti. Gli uni sostengono i difetti di un sistema di aliquote differenti nell'ambito di un mercato unico, che può portare anche a decisioni di dislocazione di impresa e di acquisti; gli altri sostengono la virtù di un sistema di emulazione, di competizione fiscale, che dovrebbe determinare effetti virtuosi di riduzione delle imposte.
Quello attuale, con la crisi economica, è un periodo molto specifico e particolarmente non favorevole a misurare gli affetti cosiddetti positivi della competizione fiscale. Sta di fatto che, ogni qual volta si discute in materia di armonizzazione fiscale a livello europeo, poiché il Trattato prevede da sempre e non si è mai riusciti a modificare la clausola dell'unanimità, è estremamente difficile compiere dei progressi.
Un altro filone è costituito dalla cooperazione in materia fiscale per la lotta all'evasione e alla frode fiscale che, invece, come deciso ancora dal Consiglio europeo del mese di maggio, progredisce in misura notevole.
Quanto ai titoli di studio e alle qualifiche professionali, l'idea è di arrivare a una maggiore armonizzazione, non solo per i titoli di studio e la libera circolazione dei professionisti, ma anche per il lavoro subordinato e per le qualifiche professionali, quindi per il lavoro di tipo materiale.
Naturalmente, anche qua ci troviamo di fronte a meccanismi legislativi con radici in tradizioni locali e anche – diciamolo pure con onestà e franchezza – un obiettivo un po’ corporativo e protezionista. Le direttive europee procedono anche in questo caso con una discreta difficoltà. In ogni modo, si sono aperte maggiormente le possibilità di accesso a diverse professioni nei diversi Paesi. Si può fare di più: noi chiediamo che si faccia di più, a partire proprio dal riconoscimento dei titoli di studio oltre che dei sistemi di abilitazione.
Sappiamo, però, anche perché ne parlano sovente e non solo in rete, della possibilità di acquisire abilitazioni professionali più facilmente in alcuni Paesi, per poi chiedere di essere ammessi negli altri. Non c’è, tuttavia, nulla di nuovo in questo poiché accadeva anche nel nostro Paese Pag. 20quando, per certe professioni, si andava a prendere l'abilitazione in un posto piuttosto che in un altro.
Il meccanismo progredisce e si va sempre più verso un mercato aperto anche dell'esercizio delle libere professioni, ma non limitiamo la questione dei titoli di studio solo all'accesso alle libere professioni perché questo riguarda la possibilità di garantire una vera e propria e molto più concreta libera circolazione dei lavoratori.
Vorremmo, infatti, che, a questi elementi si affiancassero anche misure precise che garantiscono la portabilità dei diritti pensionistici, il mantenimento del valore delle rispettive previdenze e così via, in maniera da offrire, anche in termini temporanei, la possibilità di trovare un lavoro da costa a costa, come abbiamo visto che è possibile e che rappresenta una delle forze del sistema di mercato e del mercato del lavoro negli Stati Uniti.
Credo e spero di avere risposto a tutte le domande. In ogni caso, su alcuni temi ritornerei nella nostra seduta congiunta di oggi pomeriggio.
PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro. Dichiaro conclusa l'audizione. La seduta riprenderà alle 13.45.
La seduta termina alle 10.15.