Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3
Audizione del Direttore generale della Banca d'Italia, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 2844 , di conversione del decreto-legge n.3 del 2015, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3
Rossi Salvatore , Direttore generale della Banca d'Italia ... 3
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 11
Paglia Giovanni (SEL) ... 11
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 12
Barbanti Sebastiano (Misto-AL) ... 12
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 13
Benamati Gianluca (PD) ... 13
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 14
Gitti Gregorio (PD) ... 14
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 15
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 15
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 16
Carbone Ernesto (PD) ... 16
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 16
Causi Marco (PD) ... 16
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 17
Rossi Salvatore , Direttore generale della Banca d'Italia ... 18
Paglia Giovanni (SEL) ... 21
Rossi Salvatore , Direttore generale della Banca d'Italia ... 21
Carbone Ernesto (PD) ... 21
Rossi Salvatore , Direttore generale della Banca d'Italia ... 21
Barbanti Sebastiano (Misto-AL) ... 21
Rossi Salvatore , Direttore generale della Banca d'Italia ... 21
Pesco Daniele (M5S) ... 21
Sottanelli Giulio Cesare (SCpI) ... 21
Rossi Salvatore , Direttore generale della Banca d'Italia ... 22
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA X COMMISSIONE ETTORE GUGLIELMO EPIFANI
La seduta comincia alle 13.30.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Direttore generale della Banca d'Italia, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 2844, di conversione del decreto-legge n. 3 del 2015, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Direttore generale della Banca d'Italia, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 2844, di conversione del decreto-legge n. 3 del 2015, recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti. Il dottor Salvatore Rossi è accompagnato dal dottor Barbagallo, capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria, dal dottor Trequattrini e dalla dottoressa Dragotto.
Siamo rimasti d'intesa con il dottor Rossi che svolgerà il suo intervento introduttivo per circa mezz'ora, poi i colleghi che lo riterranno opportuno potranno formulare quesiti e richieste di chiarimenti, a cui seguiranno le eventuali risposte del direttore generale. Questa organizzazione dei lavori ci consentirà di approfondire i temi che egli intenderà sollevare. Ci lascerà, come è prassi, la documentazione scritta, in modo che potremo esaminarla con maggiore attenzione.
Cedo dunque la parola al dottor Salvatore Rossi per lo svolgimento della sua relazione.
SALVATORE ROSSI, Direttore generale della Banca d'Italia. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati per l'invito di queste Commissioni riunite a dare il contributo della Banca d'Italia e mio personale a questa attività istruttoria. Mi concentrerò, in quest'intervento introduttivo, sull'articolo 1 del decreto-legge, la cui conversione viene dibattuta, quell'articolo cioè che riforma la disciplina delle banche popolari.
In sintesi, questa norma restringe il novero delle popolari che possono mantenere la forma cooperativa a quelle la cui dimensione, misurata dal totale dell'attivo di bilancio, non eccede gli 8 miliardi di euro. Le altre, che chiamerò d'ora in poi banche popolari maggiori, per intenderci – c’è in allegato al contributo scritto che vi lascio una lista di tutte le popolari italiane messe in ordine decrescente di dimensione dell'attivo di bilancio – dovranno invece trasformarsi in società per azioni entro un anno e mezzo, pena l'adozione di provvedimenti da parte dell'Autorità di vigilanza.
Premetto subito, come sapete bene, che la Banca d'Italia auspicava da tempo un intervento del legislatore in questa materia. Una riforma era anche ripetutamente indicata come necessaria dal Fondo monetario internazionale e dalla Commissione europea.
Esaminerò la questione sotto due aspetti. Quali possiamo ritenere siano gli Pag. 4effetti positivi di queste norme ? Quali timori di effetti negativi queste norme possono suscitare ? Tali timori sono fondati ? Commenterò poi qualche aspetto tecnico del provvedimento e alla fine trarrò qualche sintetica conclusione.
Cominciamo dagli effetti positivi possibili o attesi da questa riforma. Ne citerò due fondamentalmente. Il primo e principale effetto positivo che ci attendiamo dalla riforma è di facilitare gli aumenti di capitale quando necessario, che essa metta cioè in condizione le maggiori banche popolari, in questo momento sono dieci come sapete, di aumentare il loro capitale nella misura e, soprattutto, con la rapidità che possono essere richieste dalle circostanze rivolgendosi ad una platea più ampia di risparmiatori e investitori.
Questo deve essere un obiettivo prioritario perché viviamo in una fase storica, gli anni successivi alla grande crisi finanziaria globale, in cui si è formato in tutto il mondo un consenso generale tra regolatori e operatori di mercato sulla necessità che le banche, soprattutto quelle di dimensione media e grande, siano costantemente dotate per fare fronte a perdite potenziali di un cuscinetto patrimoniale decisamente maggiore di quello considerato sufficiente prima della crisi.
L'attenzione alle dotazioni di capitale delle banche è particolarmente sentita oggi in Europa. Mi soffermerò brevemente su questo punto perché lo considero molto importante. Sapete che l'Europa si è data di recente nuove norme sulla regolazione, la supervisione e la risoluzione delle banche – si usa in italiano questo termine pudico, traduzione dall'inglese resolution, per indicare in realtà la terapia intensiva in cui si mette una banca in seria difficoltà – terapia intensiva che poi può finire nei due modi possibili.
Nell'area dell'euro è da poco in funzione un sistema di vigilanza comune che ha posto al suo centro il tema del capitale. Lo abbiamo visto in occasione di questo cosiddetto esercizio di valutazione approfondita, il comprehensive assessment, dello scorso anno, e che naturalmente guarda in modo trasversale a tutte le banche europee, dell'area dell'euro. Se si rendessero necessarie ricapitalizzazioni da parte di più banche europee simultaneamente in un mercato sempre più concorrenziale e che è diventato molto selettivo nell'allocazione del capitale, è fondamentale presentarsi senza svantaggi competitivi.
La forma giuridica cooperativa è uno svantaggio competitivo in questo contesto. Non c’è dubbio su questo. Se l'aumento di capitale richiesto è per dimensione e urgenza realizzabile solo sul mercato dei capitali, cioè solo chiedendo soldi agli investitori di taglia diversa da quella del piccolo risparmiatore, fattori quali il voto capitario, i limiti al possesso azionario e alla rappresentanza in assemblea sono molto poco attraenti per investitori istituzionali. Questi ultimi, infatti, per tutelare il loro investimento, desiderano incidere sulle scelte gestionali dei soggetti finanziati o almeno controllarle.
Accennavo poco fa ad un secondo tema importante da considerare: ci muoviamo in una nuova cornice normativa europea sulle crisi bancarie, quella definita dalla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche, il cui recepimento peraltro in Italia deve ancora perfezionarsi e su cui abbiamo un ritardo abbastanza serio. Nel nuovo quadro, se non soddisfatte in tempi brevi, esigenze eventuali ed esigenze di capitali, che debbano o possano essere rilevate dal regolatore o anche chieste dal mercato, possono arrivare a far scattare i presupposti per la «risoluzione» della banca.
In questo caso, secondo le nuove norme europee, azionisti e altri creditori diversi dai depositanti, quindi per esempio i possessori di obbligazioni, piccoli risparmiatori che possano avere sottoscritto obbligazioni di quella banca, sarebbero chiamati a partecipare alle perdite. È il cosiddetto principio del bail-in, diverso dal bail-out, che è il salvataggio, senza di che non sarebbe consentito nemmeno il sostegno dello Stato, comunque configurato come un’extrema ratio per casi eccezionali, in deroga al generale divieto di aiuti di Stato.Pag. 5
A settembre 2014, l'ultimo momento nel tempo in cui abbiamo dati consolidati per tutte le banche, il patrimonio di migliore qualità, il cosiddetto core tier 1 delle popolari maggiori, quindi delle dieci, era pari in media all'11,6 per cento, un livello solo lievemente più basso di quello delle altre sei banche italiane cosiddette significative, cioè quelle sottoposte alla supervisione diretta del sistema unico di vigilanza, ma decisamente più basso di quello che le altre banche europee significative registravano già un anno prima, alla fine del 2013, 12,1 per cento.
Tuttavia, quel valore dell'11,6 per cento era stato raggiunto in extremis al fine di rientrare nei parametri del comprehensive assessment. Quasi tutte le popolari coinvolte nell'esercizio sono riuscite a passare il test solo grazie alle misure di rafforzamento patrimoniale faticosamente prese nel 2013 e nel 2014 dietro insistenza della Banca d'Italia. Poiché, però, i dati sul comprehensive assessment sono stati resi pubblici a Francoforte con riferimento alla situazione alla fine del 2013, nella percezione della stampa e dell'opinione pubblica europee sette delle otto banche popolari italiane coinvolte sono state comunque non voglio dire bocciate, ma rimandate e non pienamente promosse al test, con un notevole danno reputazionale per le banche stesse e per il sistema tutto.
La tempestività nel rafforzare il patrimonio, quando richiesto dalle circostanze, è essenziale quanto la misura del rafforzamento. Naturalmente, il patrimonio va commisurato ai rischi, sappiamo che le dieci maggiori banche popolari italiane hanno risentito fortemente nella lunga recessione dell'economia italiana alla fine di giugno del 2014 la quota di partite deteriorate, come le chiamiamo nel gergo della vigilanza, quindi sofferenze più incagli, più crediti che non stanno in perfetta salute, pari al 18,7 per cento del totale dei prestiti, 2 punti in più della media del sistema.
Il tasso di copertura con accantonamento di bilancio, il core tier ratio – se ho dei crediti non in buona salute, devo fare accantonamenti in bilancio per fronteggiare le perdite potenziali – era pari al 32 per cento, 10 punti in meno che nella media del sistema delle dieci popolari maggiori. Anche la redditività di quelle banche era più bassa.
Secondo me, tutto questo mostra con notevole evidenza quanto sia importante l'obiettivo di poter rafforzare il patrimonio per una banca di dimensioni apprezzabili come quelle di cui stiamo parlando nella misura necessaria e molto tempestivamente; come la riforma della forma societaria sia importante a questo fine, ma c’è un secondo effetto positivo che pure possiamo aspettarci da questa riforma, che è quello di migliorare la gestione di queste banche.
Rispetto alla tradizionale impresa capitalistica, incorporata in una società per azioni, il modello cooperativo – tornerò in seguito su questo concetto – espone nelle moderne economie avanzate a tensioni tra l'originario spirito di mutuo servizio e l'esigenza, soprattutto se l'azienda ha raggiunto dimensioni cospicue, di stare sul mercato in un contesto concorrenziale, a ciò orientando la gestione aziendale.
I caratteri che tipicamente si accompagnano alla forma societaria cooperativa e che già citavo, quindi i limiti al possesso azionario, il voto capitario, i vincoli alla rappresentanza in assemblea, possono ostacolare un vaglio corretto ed efficiente della banca introducendo elementi di opacità nelle relazioni tra soci e amministratori e causando a volte ingerenze nelle scelte gestionali da parte di minoranze organizzate in direzioni diverse da quelle dell'utilità per la generalità dei soggetti interessati, che sono i soci, ma anche i risparmiatori, anche le imprese finanziate.
Negli ultimi difficili anni di prolungata recessione, di crisi dei debiti sovrani, la Banca d'Italia ha dovuto intervenire in non pochi casi di gravi difficoltà di banche, per la verità di ogni forma giuridica, popolari e non. Spesso, in queste banche le difficoltà sono state acuite e certe volte in misura drammatica dall'egemonia prolungata e incontrollata di una singola figura o di un gruppo di potere espressione di una minoranza. Questa è una Pag. 6notazione generale che riguarda tutte le banche che sono andate in difficoltà in questi anni.
Nelle grandi popolari il rischio di una deriva di questo tipo è accentuato proprio dalla forma societaria. Nel 2014, per esempio, alle assemblee delle banche popolari maggiori, sempre le dieci che dicevo, ha partecipato in media, contando anche le deleghe, poco più di un socio su dieci. Si tratta, comunque, di svariate migliaia di persone. Mobilitarle implica per gli amministratori la necessità di impegnarsi in una vera e propria campagna elettorale, con ovvi rischi di clientelismo.
Consentitemi una considerazione molto generale. La democrazia è sacrosanta nelle istituzioni deputate, come questa Camera che mi sta ospitando. Una malintesa democrazia nella gestione di grandi imprese, che devono competere in un vasto mercato, è fonte solo di inefficienze e di perdite a detrimento dalla collettività.
Non va, inoltre, dimenticato che per le banche significative dell'area dell'euro, cioè quelle sottoposte alla vigilanza diretta del sistema unico, e sette delle maggiori popolari italiane sono tra queste, gli standard organizzativi e di governance richiesti dalle norme e dagli orientamenti della vigilanza comune saranno nei prossimi anni sempre più elevati, quindi questo nuovo sistema di vigilanza, oltre a mettere al suo centro la dotazione di capitale come abbiamo detto, innalza tendenzialmente gli standard che vuole vedere applicati di modalità di organizzazione e gestione. Fin qui ho descritto gli effetti positivi diretti che ci aspettiamo dalla riforma.
Vediamo timori di possibili effetti negativi. Un primo timore espresso nel dibattito di questi giorni è che con la riforma si rischi di mortificare lo spirito cooperativo. Anzitutto, le banche costituite in forma cooperativa sono presenti, sia pure con modalità organizzative diverse, nella maggior parte dei Paesi europei, diffuse anche in numerosi Paesi fuori dell'Europa. Cito dati delle associazione europee di categoria: i prestiti delle banche cooperative superano il 30 per cento di quelli complessivi, oltre che in Italia, che è uno di questi Paesi, anche in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Paesi Bassi. In Germania sono intorno al 20 per cento, comunque una quota cospicua. Le piccole e medie imprese sono certamente la loro clientela di elezione.
In Europa, però, oggi prevale un modello assimilabile a quello delle nostre banche di credito cooperativo, a quello delle BCC. Il modello BCC è quello che prevale in Europa, ma organizzato in reti federali a più livelli. C’è, quindi, un primo livello con i singoli intermediari, generalmente piccoli, che operano localmente a contatto diretto con i soci, con la clientela retail; a un secondo livello ci sono le associazioni, le banche regionali, gli istituti centrali, che invece svolgono attività su larga scala a beneficio dei soggetti di primo livello, per le quali i vantaggi del modello cooperativo sono scarsi o nulli, e quindi vengono fatte queste attività da queste centrali al servizio della molteplicità dei soggetti.
In Italia c’è la peculiarità per cui la cooperazione di credito si manifesta in due diverse famiglie di intermediari: alle BCC, che troviamo anche nel resto d'Europa, si aggiungono le banche popolari, che ricordo il testo unico bancario già nella sua versione pre-decreto considera comunque prive di prevalente carattere mutualistico, come dice la legge, tanto che le banche popolari sono escluse dai benefìci fiscali che riguardano, invece, le cooperative vere e proprie, le BCC.
Inoltre, le popolari si dividono in due classi chiaramente distinte: da un lato, banche che hanno mantenuto una dimensione contenuta, che operano sul territorio; dall'altro, gruppi bancari di grandi dimensioni, operanti su vasta scala, la cui capogruppo è di norma quotata in borsa – in sette su dieci casi che abbiamo oggi la capogruppo è quotate in borsa – gruppi che, come sappiamo, si sono formati nel tempo per aggregazioni. È difficile salvaguardare i valori fondanti della cooperazione in un grande gruppo bancario che opera in un mercato che può essere anche sovranazionale. Il legame cooperativo tende a diventare più debole, fino a scomparire, Pag. 7con il crescere della dimensione e della complessità della banca, con il crescere del numero dei soci.
Le BCC italiane somigliano abbastanza, come dicevo, alle banche cooperative europee: hanno, per esempio, riserve indivisibili, una loro caratteristica. Va detto che la normativa italiana le mantiene in una condizione vicina allo spirito originario, imponendo vincoli all'espansione territoriale e limiti minimi di operatività con i soci. C’è questa diversità che già dicevo tra le BCC italiane e le cooperative in altri Paesi europei per cui quelle sono molto ben organizzate in reti, mentre le BCC italiane non lo sono, sono un gregge sparpagliato. C’è un istituto centrale, ma il legame di rete è meno forte che in altri Paesi.
Le popolari italiane, nate nel XIX secolo, quindi quasi 150 anni fa, a imitazione di esperienze d'Oltralpe, in particolare di Germania e Olanda, che poi però si sono andate evolvendo, sono oggi una peculiarità del nostro Paese. Si trovano banche somiglianti alle nostre popolari solo in due casi tedeschi. Abbiamo condotto una lunga indagine per verificare se avremmo trovato delle analogie e abbiamo individuato solo due banche medio-piccole tedesche che somigliano un po’ alle nostre popolari.
Le banche popolari maggiori, cui prevalentemente si indirizza la riforma, non appaiono proprio confrontabili con le forme di credito cooperativo che si osservano oggi in Europa e sono molto distanti dall'originario spirito cooperativo. Alla domanda se la riforma mortifichi lo spirito cooperativo la risposta è che non può, perché quello spirito nelle banche di cui stiamo parlando si è fondamentalmente perso.
Veniamo al secondo timore: con la riforma si attenua il legame con il territorio ? Ammetto che anche questo è un timore legittimo posto da molti. Esaminiamo questo punto. Le popolari italiane maggiori, oltre che dallo spirito cooperativo, si sono allontanate anche dal modello di banca del territorio, cui invece restano informate le tante banche cooperative presenti in altri Paesi.
Cosa intendiamo per banca del territorio ? Le definizioni possibili sono molte. Ne scelgo qui una che mi sembra particolarmente calzante e che condivido con voi: definiamo del territorio una banca che concentri i suoi prestiti in un territorio circoscritto e che, inoltre, rappresenti una quota rilevante dei prestiti erogati da tutto il sistema in quel territorio. In altri termini, parliamo di un legame reciproco: il territorio è importante per la banca e questa lo è per il territorio. Se ricorrono entrambe queste condizioni, definiamo quella una banca del territorio.
Se adoperiamo parametri quantitativi ragionevoli – non vi cito la letteratura per non annoiarvi – rileviamo in Italia quasi 300 banche del territorio, ma con una quota del mercato nazionale piuttosto piccola, il 4 per cento in termini di attivo complessivo, il 6 per cento in termini di prestiti alle imprese. Nessuna delle dieci maggiori popolari si avvicina a quel modello neanche lontanamente.
Per citare un dato, le dieci popolari maggiori hanno in media sportelli in 60 province italiane, un numero molto vicino ai circa 70 delle prime tre banche italiane non popolari. Tanti altri indicatori potrebbero essere, però, citati per negare che queste siano definibili banche del territorio, perlomeno nel senso che vi ho proposto.
Per le banche che, invece, mantengono un legame con il territorio, tra le quali possiamo considerare che vi siano le popolari minori, quelle diverse dalle dieci, un'ampia letteratura sottolinea un punto di forza fondamentale: il contatto diretto con la clientela di riferimento, il cosiddetto relationship lending, che genera vantaggi informativi nella selezione del merito di credito e riduce la rischiosità dei prestiti.
Seguono nel testo scritto altre considerazioni che vi risparmio e che, comunque, militano tutte a favore della tesi secondo cui le banche del territorio sono importanti, utili, hanno dei vantaggi. Conoscere Pag. 8approfonditamente le imprese tipicamente piccole o anche le famiglie cui prestano i soldi dà loro una marcia in più rispetto a banche grandi e distanti da quel territorio e da quella comunità.
Su questo punto di forza le banche italiane del territorio hanno fatto leva durante la prima fase della crisi globale, come abbiamo visto proprio nel 2009 e nel 2010, anni difficilissimi, poi non più. Il fatto di essere di piccola dimensione e concentrate geograficamente si è loro ritorto contro con il prolungarsi della recessione, in particolare con l'entrare in crisi delle imprese più piccole e di quei settori ai quali tipicamente le banche del territorio sono vicini, come quello immobiliare. Le banche del territorio hanno cominciato ad avere prestiti deteriorati in misura maggiore rispetto alle altre banche. Rimane il fatto che queste banche possono svolgere una funzione preziosa al servizio delle economie locali purché i princìpi di sana e prudente gestione restino saldi. Viva le banche del territorio, quindi, se sono davvero tali.
Ancora un timore: la riforma rischia di cancellare posti di lavoro ? Tra il 2008 e il 2013, l'occupazione del settore bancario italiano è diminuita complessivamente di circa 30 mila persone a poco più di 300 mila adesso. È una tendenza imposta dall'evoluzione tecnologica, della domanda di servizi bancari, dall'integrazione del mercato bancario in Europa. È difficile che questa tendenza possa essere rovesciata negli anni futuri. Può essere compensata da nuova occupazione in ambiti diversi dall'attività bancaria tradizionale, anche se confinanti con quell'attività.
Il timore affacciato da alcuni di un'accelerazione della perdita di posti di lavoro indotta dalla riforma è connesso con l'aspettativa di aggregazioni tra banche, viste da chi esprime questi timori come il vero obiettivo della riforma. Ora, le aggregazioni, le fusioni, le acquisizioni eccetera, non devono mai essere intese come un fine in sé. Naturalmente, possono essere un mezzo per accrescere l'efficienza e la stabilità dei singoli intermediari e del sistema.
Allora, se gli operatori del mercato lo riterranno opportuno – è da loro che devono nascere le proposte di aggregazione – se le autorità di vigilanza le autorizzeranno, queste aggregazioni non potranno non implicare un contenimento dei costi grazie a economie di scala e di scopo, altrimenti mancherebbero un obiettivo, se non il principale, dell'aggregazione.
Proprio l'esperienza di questi ultimi difficilissimi anni, però, ha mostrato chiaramente secondo me come la prima e più seria minaccia ai livelli occupazionali nel settore bancario non derivi tanto dalle azioni per aumentare la produttività e contenere i costi di gestione, quanto dalla mancanza di tali azioni, che finisce per porre quella banca in una condizione di crisi.
Vengo a qualche aspetto tecnico. Anzitutto, la soglia dimensionale fissata dal decreto-legge di 8 miliardi di euro è congrua ? La soglia è fissata su base consolidata per i gruppi bancari, quindi non per singole banche, ed è calcolata rispetto al totale dell'attivo, per cui si sceglie quella variabile. Il primo criterio è coerente col principio di neutralità della disciplina bancaria rispetto all'articolazione individuale o di gruppo dell'impresa.
Il secondo, cioè la scelta di questa variabile totale dell'attivo, è coerente con i più recenti sviluppi della regolamentazione finanziaria, che vede questa variabile non da sola ma insieme ad altre, come un indicatore in grado di ricomprendere la complessità di un moderno intermediario bancario di una certa dimensione e la sua rilevanza per la stabilità del sistema finanziario. Inoltre, una soglia numerica ha il pregio di essere chiara e oggettiva e questo va a beneficio della certezza del diritto.
Il valore di 8 miliardi appare, a nostro giudizio, ragionevole alla luce dei dati. Se guardate la lista delle 37 popolari in allegato a questo documento, vedrete un salto abbastanza netto tra le prime dieci, che hanno tutte attivi almeno a doppia cifra in miliardi di euro, e le restanti 27. Tra l'altro, il gruppo delle dieci maggiori comprende le sette popolari soggette alla Pag. 9vigilanza diretta del sistema unico e tutte le quotate. La soglia, quindi, coglie abbastanza opportunamente la distinzione che emerge proprio dai dati tra queste due classi dimensionali.
Cosa faranno le banche che superano la soglia ? La riforma prevede, a parte l'ipotesi teorica della liquidazione volontaria, che nella prima fase di applicazione, quindi nel momento del passaggio, una banca popolare al di sopra della soglia abbia 18 mesi di tempo a partire dall'emanazione da parte della Banca d'Italia delle disposizioni attuative per trasformarsi in Spa o tornare al di sotto della soglia, se lo vuole, visto che la scelta è rimessa all'assemblea. Il decreto-legge fissa dei quorum costitutivi e deliberativi che possono agevolare la decisione assembleare. Se non c’è una determinazione in tal senso, è previsto che la Banca d'Italia intervenga.
La riforma, quindi, non comprime l'autonomia privata della banca oltre quanto ragionevolmente richiesto da esigenze di tutela del risparmio e stabilità del sistema finanziario, che sono quelle su cui mi sono soffermato in precedenza. Nel nuovo quadro normativo, naturalmente le banche al di sopra della soglia potranno realizzare, come dicevamo, processi di concentrazione con altri intermediari creditizi, ma in ogni caso il soggetto che ne risulterà dovrà essere una società per azioni.
Cosa si dice per le popolari sotto soglia, quindi per le piccole ? Come ho già ricordato, il rilievo della singola persona dell'impresa sociale, caratteristico della cooperazione, si basa su presupposti molto precisi: una base sociale omogenea geograficamente circoscritta, un radicamento nell'economia locale e un azionariato stabile interessato allo scambio mutualistico, tipico della cooperazione originale.
La riforma si muove in questa prospettiva, tanto che salvaguarda per le banche popolari minori i tratti essenziali del modello cooperativo: il voto capitario, i limiti al possesso azionario e il gradimento. Il decreto-legge cerca, però, comunque di favorire anche per questi intermediari una governance efficiente e un accesso al mercato dei capitali, che può essere utile anche per loro.
Si consente a queste banche di emettere strumenti finanziari partecipativi, peraltro una possibilità già da tempo prevista dal codice civile per la generalità delle cooperative. Il decreto-legge allinea, dunque, la disciplina delle popolari e quella di diritto comune, superando un'asimmetria ereditata dal passato, dalla riforma del diritto societario di dodici anni fa. Questi strumenti possono conferire anche diritti amministrativi rafforzati, come la nomina di una parte degli amministratori. Inoltre, si elimina l'obbligo di scelta della maggioranza degli amministratori tra i soci cooperatori, buona idea in origine, ma oggi c’è un'attenzione crescente al fatto che gli amministratori di una banca anche piccola debbano essere dotati di competenza e quel vincolo limitava oggettivamente la selezione degli amministratori per competenze. Essere amministratore di una banca anche piccola è diventato un mestiere difficilissimo, complicato, con responsabilità legali, servono delle competenze. Si introduce un limite minimo di deleghe conferibili per il voto in assemblea; si innalza il numero massimo delle deleghe da dieci a venti, in modo da favorire il coinvolgimento più ampio possibile della base sociale nelle decisioni assembleari seppure indiretto, seppure per delega.
Va notato che i quorum assembleari previsti dal decreto-legge per la trasformazione volontaria in società per azioni sono applicabili anche alle popolari minori, un'opportunità in più, ma ovviamente rimessa all'autonomia decisionale degli azionisti.
Veniamo, un momento prima delle conclusioni, a una questione importante. Il dibattito che si è aperto in Italia ha fatto emergere alcune ipotesi di temperamento della riforma, quindi ipotesi emendative. Alcuni hanno suggerito di mantenere ferma la natura cooperativa di tutte le banche popolari, limitandosi a rafforzare il peso degli investitori istituzionali con l'attribuire loro una rappresentanza nel Pag. 10consiglio di amministrazione, proporzionale alla quota di capitale posseduta.
A nostro giudizio, questa soluzione non è sufficiente a rimuovere le difficoltà di accesso al mercato dei capitali di una grande banca popolare che debba rafforzare il patrimonio, e quindi fa mancare alla riforma la sua principale finalità, è un emendamento che la stravolge. Altri accettano l'idea di trasformare in società per azioni le banche popolari più grandi, ma suggeriscono accorgimenti per sfumarne l'effetto sulla compagine sociale o sulle decisioni assembleari. Gli accorgimenti proposti sono di tre tipi: limiti al possesso azionario; limiti al diritto di voto; maggiorazione del diritto di voto per chi si ritrova a essere socio da tempo al momento dell'attuazione della riforma, cosiddette azioni di fedeltà.
I limiti al possesso azionario sono stati finora una delle principali debolezze della governance delle popolari, e quindi appaiono sostanzialmente contrari alle finalità della riforma. I limiti al diritto di voto e le maggiorazioni di quel diritto per i vecchi soci stabili sono già oggi consentiti alle società per azioni in generale. Misure specifiche per le banche popolari che si trasformano in Spa concernenti alternativamente uno dei due strumenti, che sono logicamente in alternativa perché si dà più diritti di voto ai vecchi soci o si limita il diritto di voto dei nuovi soci, possono essere considerate non stravolgenti rispetto allo spirito della riforma, ma se fissate in misura da non compromettere la contendibilità delle aziende, che rimane l'obiettivo fondamentale.
Modifiche statutarie che li prevedano, che ripeto possono essere avanzate già oggi con le norme vigenti, sarebbero valutate dalla Banca d'Italia, cui spetta la competenza su questo tipo di autorizzazione, sulla base delle linee guida europee, nella loro compatibilità con le esigenze di sana e prudente gestione. Misure di questo tipo dovrebbero comunque essere derogabili di fronte a necessità forti di tempestivo ricorso al mercato dei capitali ed essere volte solo a facilitare la transizione tra i due regimi. In un tempo congruo, compiuta la transizione, andrebbe ripristinata la piena proporzionalità tra proprietà e controllo, che è uno dei principali vantaggi delle società per azioni.
La riforma delle banche popolari che il Governo ha introdotto va, a nostro giudizio, nella direzione di rafforzarne la capacità di ben operare in un mercato bancario in forte cambiamento. Il modello di regolazione e di supervisione bancaria che si è affermato in questi anni nel mondo e in Europa è incentrato sul rispetto rigoroso di alti requisiti di capitale, più alti che in passato, in periodiche prove di stress severe e diffuse, nel tempestivo coinvolgimento di azionisti e creditori in eventuali perdite.
Poter adeguare al bisogno il capitale in modo cospicuo e rapido è oggi per una banca prerequisito fondamentale per la stessa sopravvivenza. Può essere necessario farlo accedendo tempestivamente al mercato dei capitali, nel qual caso non bisogna avere vincoli impropri. Per intermediari della dimensione e della complessità delle dieci maggiori popolari italiane, la forma societaria cooperativa è un handicap che va rimosso.
Ho portato in questo mio intervento argomenti a sostegno della tesi che la riforma, oltre a facilitare il ricorso al mercato dei capitali, può anche migliorare la gestione delle banche popolari nell'interesse dell'economia tutta, perché banche mal gestite alla fine entrano in difficoltà e mettono in difficoltà il tessuto delle imprese e delle famiglie che hanno prestato soldi. Banche ben gestite e solide sono un uno strumento fondamentale di crescita economica.
Credo di avere anche portato argomenti a favore della tesi che temere lesioni allo spirito cooperativo o al legame stretto con un territorio e nel caso di banche grandi e complesse è anacronistico e in contrasto con i fatti. Non lo è nel caso delle banche piccole. Conseguenze negative per l'occupazione discenderebbero dal mantenerle in una condizione di fragilità patrimoniale e gestionale, non da un assetto societario, che può anzi facilitare la ricerca di efficienza e di economia.Pag. 11
L'approvazione della riforma è, quindi, auspicabile a mio modo di vedere e non perché lo impongano i regolatori o i mercati internazionali, ma perché lo suggerisce il buonsenso. L'economia italiana ha bisogno, come avrà ancor più nella ripresa che sta iniziando, di banche efficienti, patrimonialmente solide, a loro agio nel mercato internazionale, che siano – questo è molto importante – in grado di accompagnare e anzi di sollecitare la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese dinamiche e innovative, soprattutto nei territori più dinamici e innovativi presenti in Italia, in cui molte delle grandi banche popolari sono insediate.
Da questa crescita, cioè dalla possibilità e dalla capacità di una cospicua pattuglia di imprese medio-piccole di crescere molto rapidamente e di poterlo fare con l'assistenza di un sistema finanziario che le accompagna in questa crescita, ci giochiamo il futuro dell'economia italiana, che continuerà ad avere bisogno anche di banche piccole e cooperative che sappiano interpretare i migliori valori di comunità che i territori sanno esprimere al servizio del tessuto di risparmiatori e di quelle imprese che resteranno piccole, perché non tutte le piccole imprese ovviamente sono destinate a diventare dei giganti.
La maggior parte di loro resteranno – felicemente si spera – piccole, al servizio di quelle imprese. È utile e opportuno avere banche di dimensioni contenute e radicate sul territorio di appartenenza, ma anche quelle banche dovranno adoperarsi comunque per trovare soluzioni organizzative che le rendano più sane ed efficienti.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Rossi.
Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
Inizia l'onorevole Paglia.
GIOVANNI PAGLIA. Innanzitutto, francamente all'interno della relazione che abbiamo ascoltato ho trovato, almeno dal mio punto di vista, un eccesso di giudizi di valore che non mi aspettavo. Avrei preferito che si restasse su giudizi di merito. In particolar modo, quale sia o non sia il perimetro al cui interno si può fare meno cooperazione o quale sia il livello di efficienza di un sistema cooperativo o altro, non credo sia tema affrontabile con questa semplicità.
Sappiamo, peraltro, che è un dibattito molto antico quello che ha a che fare col fatto che la cooperazione come modello organizzativo abbia o meno dei limiti quantitativi. È un dibattito che questo Paese ha già affrontato e vederlo risolvere in due parole che in qualche modo danno un indirizzo positivo rispetto alla riforma un po’ mi stupisce. Allo stesso modo, anche un'affermazione che distingua l'ambito proprio della democrazia, cioè la politica, da quello che non dovrebbe esserlo, cioè l'economia, è un giudizio al limite dell'ideologismo dal mio punto di vista, quindi anche questo non mi aspetto da una relazione di Banca d'Italia.
Avrei voluto e chiedo un po’ più di approfondimento, per esempio, sulla questione del criterio utilizzato degli 8 miliardi di euro di attivi. Questo secondo me andrebbe approfondito un po’ di più da parte di Banca d'Italia. Qui si dice semplicemente che è un criterio congruo, mentre mi aspetterei molto più in dettaglio di capire su che base sia sancita questa congruità. A me sembra, invece, un criterio tutt'al più tagliato sul fatto che quelle dieci banche devono cambiare, quindi un criterio a posteriori, non a priori. Avrei ritenuto più logico un criterio soggettivo, come ho già detto altre volte, che per esempio distingua società quotate in borsa da società che non lo sono. L'avrei capito di più. La BCE ha parlato di 30 miliardi di euro, ha posto una soglia, che noi poniamo a 8, non a 10, non a 6. Si dice semplicemente che è congruo e vorrei capire perché.
Ancora, mi piacerebbe conoscere da Banca d'Italia una valutazione rispetto all'urgenza di questo provvedimento. Doveva essere fatto necessariamente in 60 giorni o, rispetto all'utilità per il Paese, Pag. 12poteva essere affrontato serenamente anche in 120, 150, 180, 300 giorni ? Dal nostro punto di vista politico, quest'urgenza intesa come tempistica, ha un valore, e quindi vorrei capire da un punto di vista tecnico dalla Banca d'Italia se quello di 60 giorni sia ritenuto un termine assolutamente necessario. Inoltre, si è detto che a livello di prestiti erogati dalle banche popolari siamo attorno al 30 per cento, in linea con altri grandi Paesi europei: a seguito di questa riforma, di fatto finiremo a metà circa. Le banche rimaste cooperative, se queste dieci diventano Spa, evidentemente non saranno più quantificabili in quel 30 per cento.
Dato che queste dieci da sole, se non ricordo male – chiedo conferma su questo punto – hanno una parte consistente di quei prestiti, ci distaccheremo completamente dai termini quantitativi degli altri grandi Paesi europei e avremo una posizione del tutto diversa. La maggior parte dei prestiti in questo Paese appartiene in modo ultroneo al mondo delle Spa, che tra parentesi, anche rispetto agli stress test, non hanno dato grande prova di sé.
Se abbiamo problemi, li abbiamo avuti in Monte Paschi di Siena e in Carige. Per quanto riguarda Monte Paschi di Siena, mi sembra che la sua capacità, nonostante sia una Spa, di reperire positivamente capitali sul mercato possa essere come minimo messa in discussione. Forse, allora, non si tratta di un problema di modello cooperativo contro modello capitalistico, ma di altro, che ha più a che fare con le modalità con cui sono gestite e vigilate le banche. Ancora, la Banca popolare dell'Etruria, è stata commissariata: questo significa che la Banca d'Italia si prepara a gestire attraverso un commissario la fase della sua trasformazione in Spa ? Secondo me, questo è un aspetto piuttosto rilevante. Un passaggio epocale, anziché essere gestito ordinariamente, sarà gestito da Banca d'Italia per una di queste banche, per di più quotata in borsa, perché 18 mesi ad occhio e croce coincide più o meno con i tempi in cui la banca resterà commissariata se si guarda ai tempi medi di commissariamento. Credo che la questione meriti una risposta.
Infine, credo sia utile farle una richiesta: visto che qualche fonte governativa nella settimana passata ha rilasciato ai giornali esplicitamente la dichiarazione secondo cui questa riforma è stata scritta dalla Banca d'Italia, credo che questo sia il luogo adatto per smentire ufficialmente a tutela della reciproca indipendenza.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Paglia e do la parola all'onorevole Barbanti.
SEBASTIANO BARBANTI. Ringrazio Banca d'Italia per la corposa relazione.
Penso che il problema delle banche non sia tanto la governance, quanto chi gestisce la banca, tanto più che a Siena stanno lavorando più i magistrati che i banchieri. Riprendendo anche quanto richiamato dal collega Paglia, in questo momento le banche popolari sono solide – non sono io a dirlo, ma addirittura Matteo Renzi – e anche per questo non riusciamo a capire la ratio del decreto-legge in esame. Oltretutto, come più volte ha richiamato, quanto alla contendibilità, se una banca è buona, troverà capitali sotto qualunque aspetto; se non lo è, non troverà capitali né sul mercato né all'interno di una gestione diversa, come quella popolare. In ogni caso, qualora anche fosse contendibile in misura più o meno buona, c’è sempre lo strumento dell'OPA (offerta pubblica di acquisto) o anche dell'eventuale quotazione. Cassa di Risparmio di Ravenna acquistò, ad esempio, la BCC di Imola; MPS acquistò Banca Agricola Mantovana. Nulla mi toglie dalla mente che, se Santander domani volesse comprare UBI, circa 5 miliardi di euro, se mettesse sul piatto 11-12 miliardi di euro, sarebbero ben felici di cedere la banca. Con questo decreto-legge lasciamo l'interrogativo di cosa accadrebbe se, anziché 12 miliardi, Santander ne mettesse sul piatto 7, se quindi si vendesse a 7 miliardi di euro.
Inoltre, il dottor Rossi ha parlato giustamente di democrazia, ma mi chiedo se Pag. 13la democrazia sia maggiore nel contesto, seppur chiuso, delle banche popolari, dove poche centinaia di persone decidono, o in una Spa, dove grazie ai patti di sindacato sono quattro o cinque grandi soci a gestire la banca.
Bankscope, la CGIA (Associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre, ha calcolato che durante questo un periodo di crisi il tasso di crescita dell'impiego delle popolari è stato superiore al 15 per cento, mentre per le Spa c’è stata una contrazione di quasi il 5 per cento. Abbiamo degli esempi oltreoceano bellissimi di banche cooperative. Mi riferisco a Desjardins del Canada, una delle migliori banche del Nord America.
Sulla redditività è giusto quello che diceva, ma non dimentichiamo che la volatilità degli utili delle Spa per la loro natura è maggiore di quella delle banche popolari. Qui riporterei uno dei pensieri di Martin Wolf del Financial Times, secondo cui forse bisogna abbandonare il modello di banca orientata solo ed esclusivamente al profitto e tornare più sul territorio. Soprattutto, gli utili volatili delle Spa finiscono ai soci in forma di dividendi; quello delle popolari ritorna in parte al territorio e in parte all'autofinanziamento.
Mi chiedo e vi chiedo: cosa vi fa pensare, proprio empiricamente, che questo cambiamento in Spa significhi maggiore stabilità, e quindi maggiore tutela dei depositanti ? È questo che in quanto organo di vigilanza, ovviamente per voi e per noi investitori, è fondamentale da questo punto di vista.
Molto rapidamente vi chiedo: c’è un connubio evidente tra credito e vicinanza al territorio/governance ? Ci stiamo chiedendo un po’ tutti quale possa essere il giusto trade-off tra questi due elementi, quale sia il modello di governance che permette alla banca di rimanere vicino al territorio, e quindi di poter erogare credito. Mi sembra di aver letto tra le righe che una delle proposte che gradireste sarebbe un po’ il modello UniCredit – passatemi il termine – dove c’è un limite al voto del 5 per cento, se non erro. Potremmo prevedere una soglia simile, per cui su questo bene o male vi siete già espressi.
Tornando, però, alla soglia degli 8 miliardi di euro, che personalmente recepisco come molto deleteria per il territorio e per lo sviluppo dell'economia reale, una banca potrebbe fermarsi alla soglia dei 7,9 miliardi, anche lei ha accennato che potrebbe fare un deleveraging, con tutte le ripercussioni sul territorio, quindi danneggiando l'economia reale: perché, invece, non si pensa a qualcos'altro ?
Se il problema è la governance, pensiamo ad esempio a un limite in termini di numero di soci o – la butto lì – a trasformare solo quelle quotate. Meglio ancora, perché non prevediamo una trasformazione automatica quando il Tier 1 o il total capital ratio sorpassa al ribasso una certa soglia che fa scattare l'allarme di un potenziale pericolo della banche e in automatico potrebbe scattare la soglia della trasformazione ? In questo modo, riusciremmo anche a mantenere la stabilità della banca.
Vengo all'ultima questione delle deleghe. Mi sembra che qualche mese fa, a luglio-agosto, abbiate indicato come un numero di deleghe congruo quello di cinque, mentre adesso vi state spostando su un campo che va da dieci a venti: come mai questo ripensamento ?
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Barbanti e do la parola all'onorevole Benamati.
GIANLUCA BENAMATI. Cercherò di tenermi su alcune limitate questioni e domande, perché credo che la relazione sia stata esaustiva e perché anche altri colleghi vogliono intervenire.
Credo, diversamente da quanto detto, che le ragioni esposte dal direttore generale della Banca d'Italia rispetto allo spostamento tra il modello di banca popolare e la società per azioni abbiano un senso profondo. Lei ci ha illustrato, ovviamente, gli effetti di queste banche popolari maggiori in termini di legami con il territorio e di presenza nella raccolta sul territorio, Pag. 14di situazione di credito deteriorato e di difficoltà di capitalizzazioni, questioni ampiamente evidenti e dibattute anche in maniera significativa e importante nell'ambito della conversione di questo decreto.
Probabilmente mi è sfuggita o, comunque, è rimasta sottotraccia riguarda l'importanza delle banche maggiori nella concessione di credito al cosiddetto territorio. Una discussione che abbiamo avuto sempre in quest'Aula riguarda il fatto che le banche popolari, soprattutto di dimensioni minori e più legate, come gli istituti di credito cooperativo, al territorio, sono fortemente impegnate, come diceva anche lei, sul territorio, ma i valori della concessione di credito delle grandi popolari mi pare siano più o meno nei limiti e negli andamenti dei grandi istituti di credito azionari. Questo sarebbe un punto importante da dirimere, secondo me, anche per la nostra discussione. Inoltre, anch'io gradirei qualche parola in più sul tema del limite posto sugli 8 miliardi. Nella relazione trovo anche qualcosa di più di quanto è stato detto negli interventi che mi hanno preceduto. Questa è una valutazione meditata che viene da alcuni parametri identificati: se lei potesse anche per noi spendere qualche parola in più su questo tema, sarebbe importante anche rispetto al livello di controllo del sistema unico europeo.
L'ultima questione che le pongo, diversa, riguarda il tema della SACE, che oggi non è stato trattato. In questo caso, passiamo da una situazione quale quella attuale, ovviamente per un rafforzamento delle nostre prospettive di export, a fornire la SACE di una licenza bancaria per operare anche nel settore della gestione del credito. Questo è oggetto di discussione qui in Commissione e anche nelle audizioni che si sono svolte.
Sono state sollevate diverse problematiche, a partire ovviamente dai modelli presenti in Europa di realtà di questo tipo, problematiche legate alla concorrenza e agli aiuti di Stato. Su un tema, però, vorrei una sua delucidazione o, comunque, una sua opinione, e cioè riguardo al fatto che una licenza bancaria simile possa porre questo tipo di nuova realtà sotto la vigilanza unica europea, che quindi potrebbe eventualmente, come è emerso in alcune audizioni, anche essere estesa alle controllate e alle controllanti di questa realtà.
Come ovviamente non le sfuggirà, la preoccupazione che avremmo in questo caso sarebbe precisa e fondata. Lei ha ben chiaro quale sia la situazione dell'azionariato e della catena di controllo di questa importante realtà, per cui sarebbe importante fare chiarezza su questo punto.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Benamati e do la parola all'onorevole Gitti.
GREGORIO GITTI. Ho ascoltato con molta attenzione la relazione del direttore generale di Banca d'Italia dottor Rossi, che ringrazio per la cura e il dettaglio con cui ha affrontato alcuni dei temi più rilevanti della questione, in particolare ovviamente della riforma delle banche popolari.
Ho ascoltato in modo particolare quel passaggio che, se non ricordo male, è a pagina 15 della relazione, in cui si discute dei tre strumenti che in modo probabilmente veloce si potrebbero dire di annacquamento della riforma. È importante che Banca d'Italia abbia dato apertura su due degli strumenti di cui anche nel dibattito politico più recente si è fatto parola, cioè a dire del limite del possesso azionario e di quello del diritto di voto.
Peraltro, in un passaggio antecedente, che pure ho apprezzato, il direttore ha affermato anche, ma come principio generale scontato, il rispetto nei confronti dell'autonomia contrattuale, o privata che dir si voglia, che attraverso l'autonomia statutaria gli azionisti possono evidentemente regolare. Questo mi sembra un punto molto importante, di cui prendere atto oggi nelle Commissioni, cioè l'apertura da parte di Banca d'Italia sull'elemento di stabilizzazione dell'azionariato.
Quanto al tema del voto maggiorato, invece, è previsto da una riforma intervenuta durante questa legislatura. Faccio riferimento all'articolo 2351 del codice Pag. 15civile, terzo comma, che consente certe azioni agli statuti delle società chiuse. Nel novero delle dieci banche coinvolte questo potrebbe essere uno strumento utilizzabile già a ordinamento vigente da parte delle tre popolari non quotate.
Ora, per quanto concerne le quotate potrebbe esserci una possibilità, ovviamente con riferimento ai soci già ammessi, e quindi nell'elenco soci delle popolari, i soci attuali – non tutti gli azionisti sono soci, come forse va detto con chiarezza, ci sono gli azionisti e ci sono i soci – di immaginare l'applicazione di un principio generale. Su questo ho visto che il direttore non ha assunto una posizione precisa. Questa è la mia prima domanda.
Sempre scorrendo il tema della stabilizzazione di un sistema bancario, Banca d'Italia ha già fatto una verifica e una simulazione per il giorno dopo, the day after, cioè l'assemblea di trasformazione sul tema del controllo ?
Citerò solo l'esempio di una banca molto orgogliosa del suo radicamento, la Popolare di Sondrio, che è una delle popolari a maggiore frammentazione del voto capitario, con una tradizione di partecipazione assembleare molto importante. I valtellinesi sono persone attaccate alle tradizioni e conservano, ovviamente, anche tradizioni di questo tipo. Lo dico da vicino, essendo bresciano, quindi contiguo.
L'esempio, però, è emblematico: a fronte di un grande frazionamento dell'azionariato, e quindi di un esercizio importante del voto capitario, esistono due entità internazionali, una norvegese e una americana, presenti nel capitale della banca, che immagino dia qualche soddisfazione, gestita da più di cinque anni, una di queste da sei. Credo che possano seguire con un certo interesse l'evoluzione della forma giuridica del loro target di investimento.
In relazione ad altre banche, invece, possiamo immaginare che esistano delle entità fondi, a volte anche hedge fund, entrati sia negli aumenti di capitale sia successivamente sfruttando finestre di mercato, che immagino destinati, ovviamente in base ai loro regolamenti, a dismettere e a entrare e a uscire.
Immagino, quindi, che strumenti di stabilizzazione possano essere pensati, e quindi attuati in sede di conversione, con riferimento in modo particolare – lo ricordiamo tutti e l'ho ricordato anche al presidente Vegas, quando con riferimento a UniCredit anche allora i libici ci davano qualche preoccupazione – al tesoro libico e al fondo sovrano, quando si doveva capire se fossero rispettosi di quote diverse o se dovessero essere sommati entro la soglia del 5 per cento. Questo destò qualche inquietudine.
La terza domanda che voglio rivolgerle – non è entrata nel dibattito e credo che sia questa la sede più idonea e opportuna – è se Banca d'Italia veda con favore, sempre in una logica di stabilizzazione del sistema, fusioni tra le popolari o tra alcune delle popolari oggetto di questo provvedimento. Non è scritto nella relazione di accompagnamento del decreto-legge, non è stato detto ancora con una certa chiarezza: nell'ambito degli strumenti di stabilizzazione, Banca d'Italia vede nel settore delle popolari i presupposti di un ulteriore consolidamento, proprio anche per effetto della trasformazione in società per azioni ?
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Gitti e do la parola all'onorevole Villarosa.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Ringrazio il direttore e i vicedirettori di Banca d'Italia.
Finalmente, dopo numerose audizioni, riusciamo a cancellare una delle ratio di questo decreto-legge, ovvero che le banche popolari non danno credito alle piccole e medie imprese. Oggi finalmente ero venuto con un'analisi dei dati, che nessuno finora aveva portato. La stessa ABI, ieri intervenuta in Commissione Finanze, non aveva dato nessuna informazione sull'erogazione del credito delle popolari sulle piccole e medie imprese.
Dalla mia analisi già riscontravo che popolari e UBI arrivavano al 72,69, mentre Pag. 16Intesa al 55,59. Dalla vostra relazione scopro che nella totalità superano addirittura il 30 per cento di quelle complessive e che le piccole e medie imprese sono la loro clientela di elezione. Perfetto, quindi nessuno potrà più dire che una delle motivazioni di questo decreto è che le banche popolari non erogano credito alle piccole e medie imprese.
Passiamo all'articolo 2514 del codice civile e all'articolo 45 della Costituzione. A oggi, le banche popolari, le banche in forma cooperativa, in base all'articolo 2514 del codice civile, lettera d), prevedono che, in caso di scioglimento, il patrimonio, i dividendi, il capitale siano devoluti ad associazioni che si occupano di sviluppare la cooperazione e il mutualismo.
Oggi queste banche popolari diventeranno società per azioni: cosa accadrà in caso di scioglimento al patrimonio di queste banche ? Chi ha investito in queste banche probabilmente lo ha fatto anche con l'idea di investire in una banca che, in caso di scioglimento, avrebbe devoluto tutto il patrimonio, i dividendi e il capitale a queste forme di cooperazione, al mutualismo in generale. Chiedo informazioni su cosa accadrà in caso di eventuale scioglimento.
Quanto a voto ed egemonia, non riesco a capire. Qua si parla di problemi di egemonia prolungata presenti nelle popolari, ma vogliamo trasformare le popolari in Spa. Come ricordava bene il collega Barbanti, anche grazie ai patti di sindacato l'egemonia lì è fissa e prolungata, prassi presente e prolungata: vorrei capire quale sia la ratio delle vostre dichiarazioni.
Non parliamo delle valutazioni sulle asset quality review, che abbiamo già avuto modo di discutere e a proposito delle quali devo richiedere ancora a Banca d'Italia come siano nate, visto che fanno parte di un'altra delle ratio di questo decreto-legge.
Concludo su una delle vostre affermazioni: le banche popolari rischiano di creare, a causa della loro struttura, grossi problemi al sistema bancario, giusto ? Ho sentito questo ? MPS era una popolare ? MPS non era una popolare. Ha creato grossi problemi al sistema bancario, quindi non si può affermare che sia la struttura della banca a far rischiare in automatico il sistema bancario, dal momento che abbiamo esempi che vanno in direzione completamente opposta.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Villarosa e do la parola all'onorevole Carbone.
ERNESTO CARBONE. Innanzitutto, ringrazio il dottor Rossi per la sua relazione, che condivido in toto.
Comincio con una precisazione e mi ricollego a quanto già chiesto dal collega Gitti. Come sappiamo, il limite al diritto di voto e la maggiorazione del diritto stesso, come dice lei stesso nella relazione, sono già consentiti alle società per azioni, dopodiché dice giustamente che le modifiche statutarie che prevedono eventualmente questo tipo di strumenti saranno valutate dalla Banca d'Italia stessa. Alla fine del paragrafo, a pagina 15, dice sempre giustamente che questo tende a facilitare il regime transitorio.
Vorrei sapere, innanzitutto, quale sia il limite rispetto a quello espresso dal codice civile, quale debba essere successivamente il regime transitorio e da quando inizi, se dai 18 mesi previsti o anche successivamente.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Carbone e do la parola all'onorevole Causi.
MARCO CAUSI. In qualità di relatore del provvedimento, devo cercare di restare il più possibile ancorato al mio ruolo di rappresentare tutto il Parlamento. Non posso, però, non dire alle colleghe e ai colleghi che giudico la relazione del direttore della Banca d'Italia un documento di grandissimo rilievo. Auspico, presidente, che possa essere fatto pervenire a tutti i colleghi deputati, soprattutto perché, quando dovremo andare in Aula, tutti siano informati. Mi sembra, infatti, che in questa relazione troviamo non soltanto argomenti tecnici, ma una discussione Pag. 17completa anche di molti argomenti politici, di quelli più caldi, per cui ringrazio Banca d'Italia per questo contributo.
Direi, dopo aver letto questa relazione, ai colleghi che si pongono il problema della ragione della soglia di 8 miliardi che come relatore sono anche pronto ad abbassarla se la si giudica troppo discrezionale. Peraltro, leggo sui giornali che alcune banche sono sotto gli 8 miliardi stanno autonomamente progettando delle fusioni per salire sopra la soglia e trasformarsi in Spa.
Penso, però, e chiedo adesso al direttore di fornirci qualche altro dato, rispetto a tre questioni. La prima è quella del deterioramento dei crediti. Comprendo e condivido la prudenza con cui l'Autorità di vigilanza in questa sede parlamentare ha minimizzato i dati di questo documento, ma le pongo una questione precisa. Ho letto una recente analisi di Mediobanca da cui emergerebbe che la dinamica di crescita dei crediti deteriorati è particolarmente negativa proprio per le popolari e poi per le BCC rispetto alle altre banche.
Apprezzando la prudenza – da qui non deve uscire nessun elemento di preoccupazione – la dinamica dei crediti erogati cresce, però, parecchio probabilmente per i motivi che il dottor Rossi ci ha spiegato nella sua relazione, cioè per il fatto che soprattutto nella seconda fase della crisi questi istituti bancari hanno particolarmente sofferto quella delle piccole e medie imprese.
Inoltre, il dottor Rossi può spiegare ai colleghi – forse anche questo è un elemento di comprensione non ancora chiaro – come funzioneranno i processi di risoluzione delle crisi bancarie nel nuovo assetto della regolamentazione europea ? Questi sono elementi che la legislazione italiana deve recepire. Ha ragione Banca d'Italia che lo sta facendo con un po’ di ritardo, ma sono nella legge comunitaria del 2014, appena incardinata in Senato, quindi comincerà auspicabilmente nei prossimi giorni il suo cammino al Senato. Come funzioneranno i processi di risoluzione bancaria ?
Se ben ricordo, ma naturalmente ho di fronte a me i soggetti più competenti in materia, mentre nel meccanismo di vigilanza c’è questa ripartizione delle grandi vigilate da Francoforte e le meno grandi dai singoli Paesi, quando avvengono le crisi bancarie sono gestite direttamente da Francoforte anche per le piccole, se ben ricordo. Il fatto che piccole banche abbiano un effetto di sistema meno rilevante non toglie che nel futuro assetto anche la crisi di una piccola banca può avere dei danni reputazionali per l'intero sistema, un impatto sistemico forte perché piccola, ma un analogo impatto reputazionale.
Terzo elemento, molti colleghi si preoccupano che le vecchie popolari trasformate in Spa diventino scalabili, contendibili: vorrei che l'Autorità di vigilanza chiarisse a tutti noi come funzioni. Non credo che scalare una banca sia semplice, serve comunque un'autorizzazione, un piano industriale da depositare alla Banca d'Italia o alla BCE, un processo specifico che si metta in moto. Il cambiamento della struttura proprietaria di un'azienda bancaria ovvero il cambiamento della sua struttura azionaria con un cambiamento di piano industriale, hanno bisogno di un iter autorizzativo che forse è bene ci spieghiate come elemento ulteriore. Infine, visto che con molta abilità e, a mio giudizio, con molta capacità di convinzione avete affrontato anche i temi più caldi del dibattito di queste ore, vi chiederei di affrontarne un altro che nella relazione non affrontate. Circolano, tra le altre cose, alcune proposte anche in materia di non quotate, cioè modelli di intervento e di riforma nel solo caso delle non quotate, che passerebbero per un modello simile a quello della legge Amato-Ciampi, una sorta di società cooperativa fondazione che resta proprietaria di una quota minoritaria delle azioni dell'azienda bancaria, con una sorta di separazione: qual è, eventualmente, la vostra valutazione di queste ipotesi che stanno circolando in queste ore ?
PRESIDENTE. Dottor Rossi, mi pare che ci sia argomento per risposte molto Pag. 18attese, per cui le lascio la parola per la replica.
SALVATORE ROSSI, Direttore generale della Banca d'Italia. Non voglio trattenervi per troppo tempo. Proverò a rispondere in qualche caso anche raggruppando risposte a domande simili.
Inizio dall'onorevole Paglia: mi spiace che abbia trovato la mia relazione semplicistica e ideologica. Non ritengo che fosse tale, ma naturalmente tutte le opinioni sono assolutamente legittime.
Dico subito che sulla questione dell'urgenza, cioè della scelta dello strumento, se decreto-legge o disegno di legge, non posso, non voglio entrare e non entro, perché è questione squisitamente politica e di tecnica legislativa, quindi non è materia nostra.
La riforma è stata scritta dalla Banca d'Italia ? No. La risposta a una domanda così formulata è negativa. La risposta alla domanda se Banca d'Italia abbia collaborato tecnicamente con il Governo al disegno di questa riforma è positiva. Collaboriamo sempre tecnicamente, tutte le volte che ci viene chiesto, con il Governo in carica. Lo abbiamo fatto anche in questo caso. In questa circostanza, come ho peraltro detto subito in premessa della mia relazione, stavamo lavorando a una riforma che auspicavamo da molto tempo più o meno lungo queste linee, poi naturalmente il Governo non fa tutto quello che suggeriamo di fare.
Vengo all'onorevole Barbanti, secondo il quale, se una banca è buona, ben gestita – sono assolutamente d'accordo che la gestione sia importantissima – trova capitali, se ne ha bisogno, come e quando vuole. È vero, ma fino a un certo punto. Questo ho provato a dire nella mia relazione. Certo, la gestione è importantissima.
La governance non è poco importante, perché alcune modalità possono oggettivamente disincentivare investitori potenziali pure attratti da una banca ben gestita. Di fronte a una banca che si affaccia sul mercato dei capitali perché deve rafforzare il suo patrimonio in quanto lo sta chiedendo l'Autorità di vigilanza o perché c’è una generale percezione del mercato che sia debole patrimonialmente, ma che ha un buon potenziale, una buona clientela, è ben gestita, si può investire in quel capitale e guadagnarci.
Anche se chi investe non conta niente in assemblea, molti fondi restano comunque presenti, come sappiamo bene, nel capitale azionario. Qualcuno ricordava che bisogna sempre distinguere soci da azionisti. Nel capitale azionario di molte grandi popolari sono presenti i fondi, con una quota complessiva del capitale che, se ricordo bene, si aggira in media intorno al 20 per cento, quindi comunque per una quota piccola. Dei chips sono stati messi dunque da molti fondi, perché queste banche sono state considerate dei buoni investimenti.
In prospettiva, però, il punto – rispondo così ad alcune osservazioni – è che bisogna guardare al futuro, non fare tanto processi al passato, guardare alle banche che sono andate peggio, a quelle che sono andate meglio, al fatto che le popolari non erano quelle che in fin dei conti sono andate peggio. Il problema non è il passato, ma il futuro.
Nel futuro, in questo mondo regolamentare, tecnologico e di mercato cambiati e che ancora stanno cambiando, come dicevo nella mia relazione, non bisogna avere svantaggi competitivi, perché questo va a danno della banca stessa e di tutto il sistema economico nel quale quella banca è inserita. Una forma societaria come quella cooperativa per una banca grande e complessa – torno a dire, non per tutte – è oggettivamente uno svantaggio competitivo.
Su una questione sollevata da molti, le soglie quantitative hanno, come dicevo, il vantaggio di essere chiare, e quindi di dare certezza, ma presentano in ogni circostanza lo svantaggio di contenere una dose di arbitrarietà. Non esiste un algoritmo che in modo meccanicistico possa aiutarci in questo caso e dirci che la soglia è esattamente quella di 8 miliardi 561 milioni di euro e così via. Un algoritmo di questo tipo non esiste.Pag. 19
Ho provato ad argomentare che gli 8 miliardi, guardando la lista, saltano agli occhi come un buon compromesso, come una soluzione ragionevole di buonsenso. L'onorevole Paglia chiedeva perché 8 e non 10 o 6: non sarebbe cambiato niente. Se il Governo avesse detto 10 o 6, il risultato sarebbe stato sostanzialmente lo stesso, proprio perché c’è tra le due classi dimensionali delle popolari italiane intorno a quella cifra un forte stacco.
Apriamo la parentesi SACE, tema sollevato dall'onorevole Benamati. SACE è una questione complicata. Lì vanno tenuti distinti due profili: uno di efficienza economica, cosa sia meglio per il sistema Paese, che tipo di modello di promozione e di sostegno all’export e all'internazionalizzazione sia meglio per il sistema Paese; uno regolamentare, nel quale come Banca d'Italia e anche come IVASS, l'autorità che vigila sulle assicurazioni, siamo coinvolti.
Sotto il primo profilo, possono darsi diverse opinioni, perché nel mondo ci sono fondamentalmente due modelli: quello angloamericano e quello franco-tedesco, per estremizzare. Nel modello angloamericano, un unico soggetto fa tutto, credito all'esportazione, ma anche assicurazione, garanzia sulle grandi forniture, in particolare nei confronti di soggetti o di Paesi a forte rischio politico. Nel modello franco-tedesco ci sono due distinti soggetti, eventualmente con una regia, che fanno il credito e l'assicurazione.
Nel decreto-legge, un articolo introduce la possibilità per SACE di fare credito diretto all'esportazione. Quello certamente può porre un problema regolamentare. Bisogna capire meglio cosa significhi. Se quella norma volesse dire che SACE si trasforma in una banca, essendo SACE posseduta totalitariamente da Cassa depositi e prestiti, questo sicuramente farebbe scattare vigilanze anche maggiorate, perché avremmo un conglomerato finanziario, con un'assicurazione e una banca.
Tra l'altro, un profilo tecnico sul modo in cui la norma è scritta pone oggettivamente un problema: la norma dice che SACE può fare quello su autorizzazione della Banca d'Italia. Scrivere la norma in quel modo è pericoloso: significa che non si sta derogando al TUB – scusate se entro in tecnicismi – e quindi quasi costringe la Banca d'Italia a negare quell'autorizzazione, ma questo problema si risolve semplicemente modificandone la dicitura.
Se, invece, SACE non si trasforma in una vera e propria banca, ma fa quello che si chiama direct lending, fa credito ad alcuni soggetti, ma non la raccolta al dettaglio, tipica delle banche, allora la questione dal punto di vista regolamentare si semplifica molto. Chiudo la parentesi SACE.
L'onorevole Gitti mi chiedeva se Banca d'Italia veda con favore fusioni tra popolari. Non ne facciamo una questione ideologica, appunto, o di principio. Ho detto nella mia relazione che aggregazioni possono essere utili e addirittura richieste dal mercato stesso. Spetta all'organo di vigilanza valutare le richieste di aggregazione. Stiamo parlando di banche, non di società qualunque. Se due banche vogliono realizzare un'aggregazione per fusione, per acquisizione, devono chiedere l'autorizzazione all'organo di vigilanza, che valuta la richiesta di aggregazione sulla base di criteri vari, che però alla fine mettono capo al concetto di sana e prudente gestione. In altri termini, l'organo di vigilanza deve assicurarsi che l'operazione prospettata di aggregazione produca un soggetto con un «senso industriale», quindi che avrebbe un buon posizionamento di mercato, efficienza al suo interno, che realizzerebbe economie di scala e di scopo, soprattutto che sarebbe solido patrimonialmente, sempre la prima preoccupazione dell'organo di vigilanza. L'onorevole Causi mi esortava a precisare se le aggregazioni tra banche siano liberamente lasciate all'iniziativa del mercato e basta: ovviamente, no. Da sempre è e continua a essere così: l'organo di vigilanza le valuta e deve autorizzarle con criteri rigorosi.
Vengo all'onorevole Causi, visto che sto affrontando le questioni da lui sollevate. Mi spiace se ho dato l'impressione di minimizzare il problema dei crediti deteriorati, che certamente non va minimizzato. D'altro canto, ne dibattiamo da Pag. 20molto tempo e sappiamo che i crediti deteriorati sono molto cresciuti in Italia in questi anni. È presumibile che ancora cresceranno, perché l'esperienza storica ci insegna che c’è un ritardo temporale anche quando la congiunturale e l'economia si riprende, come sta in questo momento succedendo e come speriamo che continui a succedere nei mesi futuri. Anche quando l'economia si riprende, però, il backlog, il peso dei crediti che diventano deteriorati, continua per inerzia o può accrescere e poi dopo un po’, se l'economia si è davvero ripresa, decresce anch'esso.
In questo momento, quello dei crediti deteriorati è certamente un peso importante per tutte le banche italiane, peso che le costringe ad accumulare più capitale, alla cui questione torniamo. È oggettivamente un freno all'espansione dell'offerta di credito, che in questo momento di ripresa della congiuntura ricomincia a diventare importante. Negli anni passati era prevalentemente la domanda di credito a essere venuta meno perché le imprese non investivano, erano incerte, caute o in difficoltà.
Adesso, se l'economia – come sono fiducioso che succederà – convince le imprese a ricominciare a investire, la domanda di credito tornerà ad aumentare e a questo punto è importante che l'offerta di credito la accompagni, la accomodi. Se le banche hanno un peso di crediti deteriorati, e quindi di accantonamenti da fare in bilancio e di capitali da aumentare, tutto questo rende più problematico aumentare in modo cospicuo l'offerta di credito. È certamente un problema. Sappiamo che c’è un dibattito, ci sono idee, iniziative allo studio su come risolverlo, ma adesso non voglio aprire questo dossier molto complicato.
Come funzionerà la risoluzione delle crisi bancarie ? È un mondo totalmente nuovo quello nel quale stiamo entrando, tra l'altro giuridicamente molto diverso da quello a cui noi italiani siamo abituati. Noi italiani ci portiamo dietro gli istituti tradizionali per l'amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, i due pilastri intorno ai quali l'Italia ha affrontato le crisi bancarie che si è trovata a gestire.
Adesso un framework normativo entrerà pienamente in vigore, se ricordo bene, dall'inizio dell'anno prossimo, si chiama appunto di resolution, ma non trova facilmente una somiglianza con il mondo italiano. Come provavo a dire con una metafora semplificata, la resolution è una terapia intensiva e il punto importante è quando l'Autorità di vigilanza stabilisce che una banca non è più viable, come si dice in inglese, quindi non sta più in piedi da sola.
Rispondo a una domanda dell'onorevole Causi: a decidere è la Banca centrale europea; a seconda del tipo di definizione che la Banca centrale europea ha dato, il prosieguo, quindi la cura intensiva spetta sempre alla medesima Banca centrale europea o all'autorità nazionale, e in ogni caso la Banca centrale europea ha sempre la possibilità di avocare a sé la competenza sulla risoluzione anche nel caso di una banca piccola.
Al centro del concetto di risoluzione c’è quello, come dicevo, di bail-in, a cui noi italiani non siamo affatto abituati: la prima cosa che si farà quando una banca entrerà in risoluzione è chiamare gli azionisti e gli obbligazionisti e dire loro che comparteciperanno alle perdite. Quello è il primo passo. Bisogna assuefarsi a quest'idea.
Un altro punto sollevato dall'onorevole Causi riguarda l'idea che sarebbe circolando in questi giorni per le grandi popolari non quotate. Non ne ho fatto menzione nella mia relazione perché, diversamente dalle altre ipotesi che ho citato, questa mi è sembrata meno presente sulla stampa. Ho letto soltanto un paio di articoli che l'hanno riguardata.
Se capisco bene, l'idea è quella di scorporare la banca dalla società cooperativa, che in questo momento coincide con la banca popolare, farla diventare una società per azioni, dopodiché, per valutare quest'idea che prima facie potrebbe anche apparire interessante, poi il diavolo sta sempre nei dettagli e bisogna capire e Pag. 21studiare bene il modo in cui quest'idea sarebbe realizzata. Cosa fa la società cooperativa che rimane al tempo iniziale della riforma proprietaria totalitaria della banca Spa ? Scende nel possesso azionario ? Di quanto ? Che poteri conserva ? Tutti questi dettagli vanno capiti e studiati prima di poter esprimere una valutazione dal punto di vista della sana e prudente gestione, che è il punto di vista dell'organo di vigilanza.
Molto probabilmente ho omesso di rispondere a qualche domanda. Se ce n’è qualcuna che volete rammentarmi...
GIOVANNI PAGLIA. Le avevo chiesto della Banca Popolare dell'Etruria.
SALVATORE ROSSI, Direttore generale della Banca d'Italia. Come ricordava, è stata posta in amministrazione straordinaria, perché siamo ancora nel vecchio regime di gestione delle crisi bancarie. In questi casi, gli organi di amministrazione sono sospesi, i commissari straordinari si sostituiscono al consiglio di amministrazione, il consiglio di sorveglianza al collegio sindacale, ma l'Assemblea rimane tale e, siccome è l'assemblea che deve deliberare. Vedremo quanto durerà il commissariamento. Non possiamo saperlo.
ERNESTO CARBONE. Le avevo chiesto del limite del diritto di voto stabilito dal codice civile e del regime transitorio che potete autorizzare all'interno dello statuto.
SALVATORE ROSSI, Direttore generale della Banca d'Italia. Queste sono decisioni del legislatore. Qualora si decida di percorrere questa strada, francamente non vorrei essere io a indicar quanto debba essere lungo il regime transitorio, e cioè il periodo in cui mantenere questa clausola.
Per stare nel mio ruolo tecnico, ho indicato l'opportunità che si tratti di clausole temporanee, che alla fine si arrivi a un regime in cui, avendo evitato grandi traumi, scossoni, nell'adattamento della compagine sociale e della modalità di decisione assembleare dovuta al passaggio da un regime all'altro, avendo accertato tutto questo, poi a un certo punto si ripristini la corrispondenza tra proprietà e diritti.
SEBASTIANO BARBANTI. Quanto alla soglia, non mi riferivo agli 8 miliardi. Intendevo riferirmi alla ragione del totale dell'attivo: perché non prendiamo, ad esempio, numero soci o altro.
SALVATORE ROSSI, Direttore generale della Banca d'Italia. Sì, avevo provato ad accennare anche questo nella relazione: il totale dell'attivo è una variabile onnicomprensiva che contiene la capacità della banca di erogare prestiti, ma anche la sua capacità di fare investimenti, che dà conto di tutta la complessità di un intermediario di dimensione cospicua, che è quello che vogliamo identificare come soggetto che va aiutato ad accedere al mercato dei capitali, a essere gestito in modo più trasparente.
Di nuovo, altri criteri potrebbero essere decisi dal legislatore. Quel criterio ha molti meriti. Questo è ciò che ho provato ad argomentare, di chiarezza, di significatività, tutto qua.
DANIELE PESCO. Sarò velocissimo. Sulla capacità di emettere credito, abbiamo visto che probabilmente le popolari hanno emesso più credito rispetto alle banche quotate in borsa. Visto che proprio lei ha detto che la riforma va vista con l'occhio al futuro, non pensate che, avendo più banche quotate in borsa, vi sia un peggioramento del credito verso aziende e famiglie ?
L'ultima questione riguarda il fatto che, appunto, abbiamo pagine oscure legate a banche che non erano banche popolari: come autorità di vigilanza, avete avuto difficoltà particolari nel vigilare le banche popolari rispetto alle altre tipologie di banche ?
GIULIO CESARE SOTTANELLI. Intervengo molto telegraficamente per dire che noi di Scelta civica siamo molto favorevoli al decreto, quindi non ripeterò cose già dette, ma condivido la relazione del collega Causi e tutte le riflessioni. Mi complimento Pag. 22col direttore per la qualità della relazione, che certamente ha fugato eventuali dubbi in qualcuno dei presenti.
La mia domanda, siccome il tema non è stato toccato, riguarda l'articolo 2 sulla portabilità dei conti correnti: dall'osservatorio dalla Banca d'Italia, oggi nei sistemi informativi delle banche si riesce ad attuare l'articolo 2 da subito o con quale tempistica ?
SALVATORE ROSSI, Direttore generale della Banca d'Italia. Sulla questione della capacità di far credito all'economia, l'intero sistema bancario ha attraversato una fase di difficoltà nell'esprimerla e devo dire che le differenze tra grandi banche, che fossero popolari o meno, non sono a una prima analisi molto rilevanti. Ci sono state difficoltà da una parte e dall'altra.
Il punto che ho provato a fare è che le banche popolari vanno aiutate a rafforzare questa loro vocazione a fare credito alle imprese medie, medio-grandi, più dinamiche, più innovative, soprattutto nei territori, come ho già detto, in cui la maggior parte di loro sono insediate.
Continuo a giudicare positivamente l'opportunità di metterle nella condizione di essere più convincenti nei confronti di tutto l'ambiente, di tutto il sistema internazionale come soggetti che al momento al bisogno possono rafforzare il patrimonio senza problemi. Lei capisce che, se una banca popolare con la forma societaria di grande dimensione nel giro di pochissimo tempo deve procurarsi un miliardo di euro di capitale e vuole farlo soltanto presso la sua enorme larghissima base sociale costituita da 50-100 mila soci, può riuscirci, ci è riuscita di fatto negli anni 2013 e 2014, ma facendo molta fatica e mettendoci molto tempo.
Quest'operazione riuscita nel 2013 e nel 2014 rischia di essere sempre più difficile a mano a mano che il tempo passa. Questo è il punto fondamentale. Se mettiamo queste banche nella condizione di poter dire a tutto il mondo che hanno una forma societaria che ha eliminato i vincoli, gli svantaggi, questo secondo me rafforza la loro capacità di fare il loro mestiere, che è quello di prestare soldi.
Venendo alla portabilità dei conti correnti, come Banca d'Italia riteniamo che sia importantissima. Va nella direzione della direttiva europea 2014/92/UE che però ha tempi lunghi di recepimento previsto negli ordinamenti nazionali entro il mese di settembre del 2016. Questa norma presente nel decreto anticipa una parte di quella direttiva e va certamente nella direzione di risolvere uno dei problemi presenti in Italia nei rapporti tra banche e clientela bancaria al dettaglio, depositanti: l'anzianità dei conti.
Abbiamo verificato nelle nostre indagini che le spese di gestione dei conti in Italia sono piuttosto alte, che sono un po’ diminuite nel tempo, ma che restano alte e lo sono particolarmente quelle dei conti vecchi, come possiamo immaginare, tenuti da persone che lo fanno per fidelizzazione, che quindi non controllano. Vediamo che le spese di gestione di quei conti lievitano nel corso del tempo.
Inserire modalità che facilitino la mobilità tra banche, e quindi fondamentalmente la concorrenza tra loro, certamente avrà l'effetto di abbassare le spese di gestione dei conti, che è uno dei problemi su cui tra l'altro in misura ricorrente c’è spesso un dibattito anche sui giornali.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Salvatore Rossi per il contributo e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.15.