Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FISCALITÀ NELL'ECONOMIA DIGITALE
Audizione dei rappresentanti di Confindustria digitale.
Capezzone Daniele , Presidente ... 3
Catania Elio , Presidente di Confindustria digitale ... 3
Capezzone Daniele , Presidente ... 6
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 6
Causi Marco (PD) ... 7
Pesco Daniele (M5S) ... 8
Capezzone Daniele , Presidente ... 9
Causi Marco (PD) ... 9
Capezzone Daniele , Presidente ... 10
Catania Elio , Presidente di Confindustria digitale ... 10
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 12
Catania Elio , Presidente di Confindustria digitale ... 12
Capezzone Daniele , Presidente ... 14
ALLEGATO: Documentazione depositata dal dottor Catania ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DANIELE CAPEZZONE
La seduta comincia alle 14.25.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
Audizione dei rappresentanti di Confindustria digitale.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla fiscalità nell'economia digitale, l'audizione dei rappresentanti di Confindustria digitale.
Oggi diamo inizio all'indagine conoscitiva sulla fiscalità nell'economia digitale, a cui lavoreremo per quattro mesi. Abbiamo il piacere di ascoltare per primi i rappresentanti di Confindustria digitale, ossia il presidente, dottor Elio Catania, accompagnato dal dottor Zingaro, che ringraziamo.
Il presidente Catania avrà la gentilezza di introdurci al tema e poi eventualmente di rendersi disponibile a interloquire con i membri della Commissione.
Do la parola al presidente Catania.
ELIO CATANIA, Presidente di Confindustria digitale. Grazie, presidente. Ringrazio tutti i membri della Commissione per questa opportunità che viene offerta a Confindustria digitale e al sottoscritto, che la rappresenta, di portare il suo punto di vista su un tema importante e attuale come quello della fiscalità nella cosiddetta economia digitale.
Confindustria digitale è la federazione che rappresenta tutte le imprese di telecomunicazioni e di informatica del Paese. È stata creata proprio con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo dell'economia digitale a beneficio della concorrenza e dell'innovazione del nostro Paese.
Fanno parte di Confindustria digitale quattro associazioni: Asstel, che si occupa di telecomunicazioni; Assinform, che si occupa di informatica; Anitec, la quale si occupa di apparati di tecnologia; Assocontact, che si occupa del settore dei call center.
Inizierei con qualche riflessione sulla diffusione delle tecnologie e sul suo impatto sul sistema economico, partendo da quanto stabilito dall'OCSE.
Il 16 settembre 2014 l'OCSE, nel contesto del suo ben noto Action Plan sul tema fiscale, volto a contrastare i fenomeni di erosione della base imponibile e di localizzazione dei profitti da parte delle imprese multinazionali, ha pubblicato il suo report relativo alla tassazione della digital economy. Lo stesso report è stato, peraltro, discusso e condiviso integralmente da tutti i Paesi presenti alla riunione del G20, svoltasi in Australia il 20 e 21 settembre di quest'anno.
L'OCSE, a nostro giudizio correttamente, evidenzia come l'economia digitale stia diventando essa stessa la cosiddetta intera economia. La diffusione delle tecnologie ha, infatti, cambiato completamente il modo di intendere l'impresa, che è sempre più mobile, interconnessa, globalizzata e caratterizzata dall'impiego Pag. 4massiccio di beni immateriali e da una nuova forma di ricchezza, data dalle informazioni e dai dati che si possono raccogliere tramite Internet.
La diffusione di Internet ha, in realtà, impatti sull'intero sistema economico, non soltanto attraverso i suoi effetti sulle imprese, ma anche e soprattutto attraverso l'innovazione, la destrutturazione e la ricostruzione delle forme di intermediazione. Ritengo che questo aspetto sia molto importante per il tema qui in discussione.
In passato si diceva che Internet avrebbe portato alla scomparsa delle attività di intermediazione, ponendo a diretto contatto gli utenti e i fornitori delle diverse attività economiche. Oggi sappiamo che questa prima fase, cosiddetta «distruttiva», è stata contestuale alla fase costruttiva, in cui nuovi intermediari sono sorti nell'ambiente digitale, sia per i flussi informativi, sia per i beni fisici.
A seguito della digitalizzazione si modificano vecchie «catene del valore» per crearne di nuove, a valore aggiunto maggiore, attraverso un miglioramento del rapporto tra i benefici, intesi come efficacia nel soddisfare i bisogni del cittadino, del consumatore e della collettività, e i relativi costi. La riorganizzazione delle catene del valore coinvolge gradualmente tutte le attività e avviene su dimensione globale, con inevitabili impatti sugli attori tradizionali dei mercati e sugli ordinamenti giuridici sorti per disciplinare fenomeni ormai mutati.
Per questo motivo, ritengo che non si possa pensare di distinguere l'economia digitale da quella reale e che sia piuttosto corretto parlare di economia digitalizzata, per indicare questo mutamento profondo dell'intero sistema economico a causa dei nuovi strumenti digitali.
Pertanto, reputo necessario aggiornare gli strumenti giuridici in modo compatibile con le dinamiche che caratterizzano il nuovo «ecosistema». A tale proposito, ricordo che, secondo l'OCSE, le suddette nuove caratteristiche dell'economia possono amplificare il rischio di erosione della base imponibile ad opera delle imprese del settore.
Per quanto riguarda i beni immateriali, ad esempio, essi possono essere facilmente localizzati in Paesi a bassa fiscalità; il business model può essere strutturato in modo da evitare di dar luogo a una taxable presence, ossia una presenza tassabile, una sub-specie di stabile organizzazione, in un dato Paese; l'applicazione delle imposte indirette, sulla base del principio della tassazione nel Paese di origine, può portare ad arbitraggi fiscali da parte di imprese in grado di svolgere la propria attività a distanza dal luogo di consumo dei beni e dei servizi forniti.
In questo quadro di riferimento, i Governi possono esercitare un ruolo chiave, facilitando la creazione di un ambiente in cui si possa sviluppare la spinta all'investimento e all'assunzione del rischio da parte delle imprese, con la conseguente implicazione di favorire gli investimenti e gli incrementi dei livelli occupazionali. La leva fiscale regolamentare può determinare, infatti, un effetto propulsivo oppure inibente del contesto economico, ma a condizione che tale leva sia ben bilanciata e non crei sperequazioni tra i diversi attori e attività.
Entriamo adesso nel tema della riforma della fiscalità. L'idea stessa di riformare la fiscalità internazionale prendendo di mira un particolare settore, per non dire particolari aziende all'interno di quel settore, a nostro giudizio, è problematica. Pertanto, si rendono necessari un maggior coordinamento internazionale delle politiche tributarie regolamentari e la fine della concorrenza sleale tra giurisdizioni fiscali o settori di attività.
Per converso, un contesto normativo più chiaro, semplice e lineare è propedeutico per evitare fenomeni di concorrenza fiscale dannosa tra Stati e settori industriali.
Per cercare di porre rimedio a queste forme di tax planning aggressive, l'OCSE ritiene che sia necessario elaborare un nuovo criterio di collegamento, il cosiddetto Pag. 5nexus, tra l'attività di impresa digitale e gli Stati titolati a imporre il prelievo fiscale.
Scendendo nel dettaglio, l'OCSE mette sul piatto varie alternative. Sul versante delle imposte dirette, alcune delle proposte sono le seguenti: la sostituzione del concetto di «stabile organizzazione» con quello di «presenza significativa» dell'impresa nell'economia di un Paese; il rafforzamento della normativa e della prassi sui prezzi di trasferimento per le transazioni infragruppo aventi a oggetto intangible asset e proprietà intellettuale; l'istituzione di una bit tax, ossia di un'imposta basata sull'utilizzo di dati da parte dei siti web; una ritenuta volta a colpire le sole transazioni del commercio elettronico.
Naturalmente, queste tematiche riguardano anche l'economia italiana. Il legislatore ha già mostrato di dedicare attenzione alla tassazione del commercio elettronico intervenendo nei confronti delle imprese impegnate nel settore della pubblicità online con la non troppo ponderata, e per questo poi abrogata, web tax e le ben note disposizioni in tema di prezzi di trasferimento e di tracciabilità dei pagamenti.
La riforma fiscale avviata con la legge delega n. 23 del 2014 ha già cominciato ad affrontare la materia, permettendo al Governo di recepire le linee-guida internazionali e al contempo evitando prematuri provvedimenti legislativi.
A tale riguardo, Confindustria digitale ritiene che un'auspicabile soluzione di questo dibattito non possa che passare attraverso una più attenta revisione dei modelli organizzativi e funzionali con cui un gruppo multinazionale opera all'interno del mercato globale. Peraltro, tale approccio dovrebbe chiaramente basarsi su un'attenta riflessione in merito all'intera catena del valore generato all'interno di un modello di business e dei relativi rischi sostenuti.
In tale contesto Confindustria intende portare il suo contributo al Governo nell'elaborazione dei decreti delegati, offrendo la sua competenza e la sua conoscenza dello specifico settore e del peculiare modello di business per trovare soluzioni ispirate a criteri di equità della tassazione. Noi di Confindustria digitale riteniamo di poter rappresentare un punto di riferimento per un confronto costruttivo sulla riforma della tassazione dell'economia digitale.
Vogliamo esprimere il nostro punto di vista, quindi, sulle specifiche alternative proposte dall'OCSE.
Sulla bit tax, in via preliminare noi non riteniamo che l'istituzione di una bit tax possa costituire una soluzione al problema. Nel contesto di una pressione fiscale elevata come quella italiana, un simile intervento si tradurrebbe semplicemente in un ulteriore onere per le imprese del settore digitale, peraltro già penalizzate rispetto ad altri comparti produttivi, non conforme al principio di capacità contributiva. Senza contare che alcune imposte, le quali hanno, come punto di riferimento, i consumi, possono entrare facilmente in conflitto con l'IVA, che è l'imposta comunitaria per eccellenza.
Inoltre, una bit tax rappresenterebbe una barriera all'ingresso per le aziende, grandi e piccole, che vogliono sperimentare nuovi modelli d'impresa basati sulla raccolta dei dati, lasciando questa nuova frontiera dello sviluppo solo alle grandi aziende che hanno già modelli consolidati di utilizzo dei dati a fini economici.
Le stesse considerazioni valgono per la proposta di una ritenuta sui pagamenti per transazioni di commercio elettronico, la quale rappresenterebbe un prelievo che potrebbe limitare l'espansione di un settore dell'economia il quale, come abbiamo detto, sta ormai diventando l'intera economia. Questo sarebbe un inutile aggravio in termini di adempimenti in capo agli intermediari finanziari e un irrigidimento del sistema dei pagamenti che mal si concilia con la natura flessibile e veloce delle transazioni nell'ambito della cosiddetta digital economy. Peraltro, un'iniziativa in tal senso richiederebbe un preliminare e articolato ripensamento del modello di convenzioni bilaterali.
Veniamo al transfer pricing, in merito al quale il nostro punto di vista è un po’ Pag. 6diverso. È certamente condivisibile la necessità di rivedere la normativa di transfer pricing concernente gli intangible asset, ossia i beni immateriali, facendo in modo che emerga il vero valore prodotto dai cosiddetti beni intangibili lungo la catena di creazione e di sfruttamento del valore, ed evitando, allo stesso tempo, derive che sfocino in uno scostamento del principio dell’arm's length. Si tratta del principio in base al quale il prezzo equo applicabile nelle transazioni infragruppo è quello che sarebbe stato pattuito per transazioni similari poste in essere tra imprese indipendenti.
La stabile organizzazione è un altro tema assolutamente di rilievo. Confindustria digitale è favorevole al ripensamento del tradizionale concetto di «stabile organizzazione» e alla sua sostituzione con quello di «presenza significativa», purché si rifletta approfonditamente sulle soglie che possono dar luogo a tale presenza significativa.
A tal fine, un confronto con le imprese del settore appare assolutamente necessario per il Governo, dal momento che l'impresa della digital economy è l'interlocutore più adatto per comprendere il modello di business e per declinare con chiarezza quali possano essere le attività significative all'interno di tale modello.
Da ultimo, si pone il tema dell'imposizione indiretta. Confindustria digitale auspica l'adozione di provvedimenti che consentano di allineare la disciplina IVA dei contenuti digitali a quella applicabile ai beni fisici assimilabili, rispetto ai quali le tecnologie informatiche intervengono esclusivamente cambiando le modalità di fruizione del bene.
Si pensi per esempio agli e-book, tema in evoluzione. Essi sono soggetti ad aliquota IVA ordinaria e, dunque, non si giovano dell'aliquota ridotta prevista per i prodotti dell'editoria classica. A nostro modo di vedere, è necessario intervenire in questo settore per eliminare evidenti disparità di trattamento e per ripristinare l'equità fiscale.
Vengo alle conclusioni. Ritengo che qualsiasi ripensamento dei concetti chiave della tassazione dell'economia digitale dovrà essere effettuato con una costante attenzione agli obiettivi e alle strategie concordati a livello internazionale. In particolare, sono pienamente validi i princìpi affermati con decisione dall'OCSE sin dalla Conferenza di Ottawa del 1998, ossia i princìpi di neutralità, efficienza, certezza, semplicità, effettività ed equità della normativa fiscale. Tutto questo per creare una nuova tax policy per la digital economy in un'ottica di collaborazione e condivisione tra Governo e imprese, finalizzata proprio allo sviluppo sostenibile dell'ecosistema e, più in generale, del quadro economico di riferimento.
In conclusione, non v’è dubbio che il problema esista e sia oggetto di studi e di dibattiti. Esso non riguarda soltanto il settore ICT o Internet ma l'intera economia – posto che le tecnologie digitali pervadono tutti i settori – e tocca regole di sistema a livello internazionale. Occorre che il nostro Paese su questi temi non compia fughe in avanti, che potrebbero tradursi in situazioni penalizzanti qualora non fossero armoniche con le decisioni assunte dagli altri Paesi europei.
Come quarto punto, noi ci rendiamo disponibili a partecipare a un lavoro comune su queste nuove frontiere mai percorse prima, e anzi riteniamo che tale metodo di lavoro rappresenti il modo più appropriato per affrontare le nuove questioni che ci vengono poste dallo sviluppo dell'economia digitale.
Grazie per la vostra attenzione.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Catania e do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. La ringrazio per le spiegazioni presidente Catania e le chiederei se fosse possibile avere prossimamente un altro colloquio con lei. Vorremmo infatti ottenere da Confindustria digitale delle indicazioni utili per elaborare, nell'ambito dell'esame dei decreti delegati ai quali lei prima faceva riferimento, delle proposte che rispecchino anche talune delle vostre indicazioni.Pag. 7
La fiscalità nell'economia digitale è un tema molto importante, posto che buona parte della ricchezza italiana si sta spostando all'estero e, soprattutto, in Paesi nei quali vige un regime fiscale agevolato. In tale ambito, ciò che più mi preoccupa sono proprio gli intangible asset, i quali sono beni veramente difficili da seguire, da monitorare e da valutare.
Al momento attuale, è possibile eludere il fisco con estrema facilità spostando una società in uno di questi Paesi a fiscalità agevolata. A tale riguardo le vorrei chiedere che cosa pensa di una norma, che è stata approvata di recente e sulla quale forse non ci siamo soffermati abbastanza, con la quale viene innalzata la soglia entro la quale devono essere segnalate all'Agenzia delle entrate alcune operazioni. In base alla normativa precedente, infatti, sussisteva l'obbligo di segnalare all'Agenzia delle entrate le operazioni compiute verso Paesi appartenenti alla cosiddetta black list per importi superiori a 5.000 euro. Oggi tale soglia è stata aumentata a 15.000 euro e noi riteniamo che questo innalzamento abbia esclusivamente l'effetto di facilitare la creazione di nuove imprese di commercio elettronico in Paesi appartenenti alla black list.
Avremmo potuto comprendere la logica di un intervento in tal senso se si fosse trattato delle operazioni compiute verso Paesi appartenenti alla white list o alla grey list. Al contrario, riteniamo che aumentare a 15.000 euro la soglia delle operazioni da segnalare all'Agenzia delle entrate qualora esse abbiano luogo nei confronti di Paesi appartenenti alla black list, in un Paese come l'Italia avrebbe esclusivamente l'effetto di facilitare questa tipologia di operazioni elusive. Le chiedo quindi quale sia il suo parere su tale questione.
MARCO CAUSI. Presidente Catania, la ringrazio per questo intervento. Noi cominciamo oggi un'indagine conoscitiva su un territorio molto complicato, importante e nuovo. Abbiamo letto tutti i due report BEPS dell'OCSE, nonché il recente report dell'Unione europea e sappiamo che, su tali temi, sono in corso discussioni a livello internazionale. Per quanto possibile, tramite questa indagine conoscitiva, vorremmo mettere il Parlamento italiano e il Governo al centro di un'iniziativa proattiva.
Avrei molte domande da porle, sulle quali potrebbe anche risponderci in forma scritta.
La prima domanda riguarda le modalità con cui questa evoluzione tecnologica sta cambiando la configurazione dei mercati e della stessa attività di produzione delle imprese. Come lei ricordava, all'inizio di questo processo sembrava che la rete Internet esercitasse un effetto soltanto sulle modalità con cui opera la distribuzione, mentre abbiamo poi scoperto che sono stati creati nuovi modelli di business con amplissimi impatti anche sulla produzione, e non soltanto di beni immateriali. Questo è un tema molto importante, e ricordo che anche l'OCSE è intervenuto su di esso: l'impatto sulla catena del valore aggiunto non riguarda solamente la produzione di contenuti digitalizzabili, ma anche di beni fisici. Quando mio figlio mi dice che ha comprato un paio di scarpe tramite Internet, alla fine è un paio di scarpe che arriva a casa, non sono solo un po’ di bit con un contenuto culturale, quale una musica o un libro.
La questione è molto complicata e complessa. La prima domanda che le farei è questa. Dato che l'Italia è un Paese in grandissime difficoltà economiche e, quindi, tende molto spesso, anche legittimamente, a guardare alle proprie difficoltà in termini piuttosto drammatici e pessimistici, qual è il ruolo che l'Italia sta giocando in questa fase di rivoluzione tecnologica ? Quali sono i rischi e quali le opportunità per l'Italia ?
Questo aspetto è molto importante. È evidente che alcuni settori corrono dei rischi, ma potrebbero anche essere adottate delle politiche di carattere non fiscale, relative all'assetto industriale del Paese, le quali ci potrebbero permettere di ridurre tali rischi e di migliorare le opportunità. In Commissione Finanze affrontiamo, infatti, la questione dal punto di vista fiscale Pag. 8ma ritengo sia necessario che noi comprendiamo bene qual è la scommessa industriale del Paese nell'ambito dello sviluppo dell'economia digitale, così da poter svolgere il nostro lavoro in maniera efficiente.
Pongo la seconda domanda. Mi pare che sia emersa una posizione – rispetto alla quale lei ha sollevato delle critiche – sostenuta prima di tutto dalla Francia e favorevole a nuove forme di fiscalità basate sull'ammontare dei dati intermediati, ossia dei bit. Qual è la posizione degli altri Paesi in merito a tale questione ? Lei trova, nell'ambito del progetto BEPS, elementi d'interesse su cui lavorare, in particolare con riferimento alla ridefinizione della stabile organizzazione e dei transfer pricing ?
Passo ora ad un'altra questione. È vero che l'anno scorso il Parlamento ha introdotto una norma sull'obbligo di partita IVA sulla cui compatibilità con la normativa europea alcuni di noi sollevarono subito dei dubbi. Contemporaneamente, però, il Governo introdusse, nella legge di stabilità per il 2014, un'altra norma sul transfer pricing. Vorrei sapere se, a vostra conoscenza, l'amministrazione finanziaria abbia iniziato ad avviare le procedure per l'attuazione della normativa introdotta con le imprese che lavorano nel mercato digitale.
Infine, un'ultima domanda relativa al settore dei distributori di contenuti culturali digitali. In questo caso, mi riferisco ai soli contenuti culturali e non al complesso dell'economia digitale. Sappiamo che i produttori di contenuti culturali stanno vivendo un momento di grandissima preoccupazione. Parliamo di musica, libri ed editoria, contenuti che sono molto facilmente smaterializzabili e digitalizzabili, diversamente dai beni fisici.
Concentrandoci sugli operatori di questi settori – rispetto ai quali assistiamo a una campagna di forte pressione, anche mediatica, per ottenere qualche forma di rafforzamento della loro posizione nei rapporti di business contrattuale con le grandi piattaforme digitali – le pongo questa domanda: che cosa possiamo fare, anche al fine di difendere, in modo non corporativo, la diversità culturale della lingua italiana e dei contenuti culturali prodotti dai produttori italiani ?
Si pone in merito una questione di copyright e di rapporti fra editori e web, nonché anche un tema, più generale, di come fare in modo che l'industria culturale italiana possa trovare anche nell'economia digitale modalità per svilupparsi e non soltanto per sentirsi aggredita.
Nel corso della prossima audizione, nell'ambito di questa indagine conoscitiva, ascolteremo i rappresentanti di Confindustria di questi settori produttivi e ringraziamo molto Confindustria per aver scelto questo approccio. È evidente che siamo in un ambito entro il quale vi sono anche dei conflitti fra i diversi settori e che c’è la necessità di gestire questi conflitti.
Il tema di come i produttori di contenuti culturali si rapportano con le piattaforme digitali è un tema all'ordine del giorno. Basta leggere il giornale di oggi per vedere che cosa è successo in Spagna, con la chiusura di Google News. Dobbiamo capire come possiamo affrontare questo tema in Italia in modo proattivo, utilizzandolo come una scommessa industriale, e non soltanto in modo difensivo.
DANIELE PESCO. Vorrei porre al presidente Catania una domanda. Noi stiamo parlando di un settore in forte espansione, il quale dovrebbe essere del tutto trasparente nei suoi aspetti economici, dato che gli scambi economici in questo settore vengono effettuati tramite sistemi di pagamento tracciabili, quali le carte di credito.
Internet, però, ha un lato sommerso, ossia quello relativo al trattamento dei dati. Gli utenti, quando navigano in Internet, lasciano una traccia che può essere acquisita da uno o più operatori per essere poi rivenduta ad altri e, purtroppo, gli utenti spesso sono inconsapevoli di tutto ciò. Si tratta di un'altra economia, il cui esatto giro e volume di affari non è noto, che potremmo quasi definire un'economia sommersa. Noi saremmo lieti di ricevere delle informazioni su questi aspetti dell'economia Pag. 9digitale per riuscire a capire se vi sia la possibilità di riuscire a far pagare le tasse anche su tale settore.
Al riguardo, vorrei specificare il fatto che noi riteniamo che non si debba limitare la capacità informativa della rete Internet e che le nuove tasse di cui parliamo non dovrebbero, a nostro avviso, avere l'effetto di limitare tale capacità di informazione.
Allo stesso tempo, entrando nel merito dei contenuti, anche in relazione alla posizione assunta dell'OCSE con riferimento ai diversi tipi di tassazione, vorrei discutere, in particolare, della ritenuta sui pagamenti, anche in considerazione del fatto che in questa Commissione il MoVimento 5 Stelle ha depositato una risoluzione che affronta proprio il tema delle intermediazioni immobiliari sulle locazioni brevi. Ci siamo resi conto del fatto che Internet rappresenta uno strumento per rendere tracciabili molte operazioni le quali, soprattutto nell'ambito di locazioni brevi, probabilmente non verrebbero registrate né tracciate senza l'utilizzo di Internet.
Considerato che tale settore è in forte espansione, mi chiedo: perché non pensare a dei sistemi automatici di ritenuta sui pagamenti, con conseguente riversamento dell'imposta nelle casse dell'Erario ? Inoltre, poiché la suddetta imposta, rispetto a strumenti tradizionali, sarebbe facile da raccogliere, si potrebbe pensare a una sua riduzione. Potremmo infatti definire, per questo tipo di operazioni, una tassazione agevolata.
In tale ambito, noi abbiamo preso in esame le locazioni brevi, ma pensiamo che i settori nei quali ci potremmo muovere siano anche altri. Dovremmo riuscire, anche grazie al vostro contributo, a riconoscere quali sono questi ambiti nei quali vi è facilità a individuare le imposte da pagare e dei flussi di pagamento.
Non nascondo che abbiamo ascoltato le opinioni di alcuni operatori del settore, che lavorano in diversi Paesi, i quali hanno mostrato delle perplessità in proposito, rilevando come si vedrebbero penalizzati da una tassa sicura e certa. Dovremmo riuscire, però, a far capire che lo Stato dovrebbe riuscire comunque a raccogliere le tasse anche su questi settori.
PRESIDENTE. Se non vi sono altri colleghi che intendano intervenire, farei io stesso una domanda al presidente Catania, nello spirito molto agile, volto alla più efficace circolazione delle opinioni, che anima questi nostri incontri.
I colleghi conoscono la mia personale – al di là di ogni appartenenza di partito – diffidenza e contrarietà rispetto alla web tax e al modo un po’, a mio parere, provinciale con cui in Italia se ne è discusso, compiendo delle fughe in avanti. Qualcuno potrebbe ricordare la battuta che faceva Reagan sui tassatori: «Se qualcosa si muove, tassalo. Se si muove ancora, regolamentalo». Lo spirito in Italia mi è parso questo.
Allo stesso modo, qualche collega conosce la mia personale diffidenza rispetto a un approccio un po’ novecentesco al diritto d'autore. Mi riferisco all'idea di trattare i motori di ricerca come se fossero editori.
Il mix di queste due questioni è stato realizzato in Spagna, peraltro con una legge approvata dal Partito popolare, con curiosi rovesciamenti di parte. Il Centrodestra ha optato per una Google tax e per un trattamento molto pesante sul piano sanzionatorio per gli aggregatori i quali rimandino a contenuti altrui. Il risultato è quello che abbiamo visto, con la chiusura di Google News.
L'esempio tedesco è invece l'opposto. A fronte della legislazione del 2013, il gruppo Springer ha deciso altro, ossia ha deciso di concedere l'accesso gratuito, temendo, altrimenti, un danno per sé.
Io le chiedo di esporci una fotografia spagnola o una fotografia tedesca. Riprendendo quindi le parole del collega Causi, vi invito a guardare i vostri vicini di stanza, che ascolteremo la prossima settimana, i quali presumibilmente ci diranno cose diverse. Come vive la vostra organizzazione questi diversi punti di vista, i quali vanno in direzioni non convergenti ?
MARCO CAUSI. Presidente, vorrei aggiungere al dibattito una considerazione. Pag. 10Quando gli editori sostengono che l'intermediazione per la vendita di un e-book è un'attività totalmente diversa dall'intermediazione per la vendita di un libro fisico e che, quindi, le tariffe da praticare nei rapporti contrattuali fra editore e distributore devono essere ricontrattate, ritengo che non abbiano tutti i torti. Svolgere un'attività d'intermediazione per la vendita di un e-book è come svolgerla per un bit o per un file. L'attività svolta dal distributore digitale è molto diversa da quella del distributore tradizionale, che deve invece svolgere un'intermediazione su prodotti che consistono in tonnellate di carta.
In questa ridefinizione dell'industria dei prodotti culturali, in Germania, gli editori tedeschi, i quali sono molto forti, hanno ottenuto o stanno contrattando delle condizioni contrattuali diverse. Alla luce dei grandi cambiamenti che hanno investito l'industria della distribuzione, nel caso dei contenuti culturali, e dei libri, in particolare, come si potrebbe intervenire per regolamentare e facilitare questo processo, così da giungere all'ipotesi di una regolamentazione che potrebbe essere lasciata alla scelta alle parti contraenti ?
PRESIDENTE. Do la parola al presidente Catania per la replica.
ELIO CATANIA, Presidente di Confindustria digitale. Vi ringrazio moltissimo. Queste, più che domande, sono considerazioni molto profonde, su cui cercherò di esporre il nostro punto di vista. Se mi consentite, partirei dalla seconda domanda, perché mi consente di rispondere contestualmente anche alla domanda dell'onorevole Villarosa.
L'onorevole Causi ha chiesto come la tecnologia stia cambiando i mercati e, soprattutto, qual sia la situazione del mercato italiano. È giusto che si parta da questo, perché dobbiamo tener conto che oggi ci stiamo giocando veramente il posizionamento competitivo strategico del Paese attraverso il digitale.
Forse io parto da un preconcetto, dovuto al fatto che provengo dal mondo delle tecnologie ma, avendo studiato a fondo questi fenomeni, credo che uno dei motivi fondamentali per cui oggi il Paese non cresce sia proprio perché non abbiamo abbracciato la trasformazione competitiva digitale come avremmo dovuto fare quindici anni fa. Internet ci ha trovati un po’ bloccati e inflessibili.
Purtroppo, Internet e tutte le tecnologie web non sono come le vecchie tecnologie che consentivano di fare più velocemente le attività tradizionali. Il grande valore delle tecnologie di rete si esplica se esse si applicano a modelli di business nuovi, a modelli nuovi con cui ci si rapporta con il cittadino nel modo di fare politica, di svolgere le attività proprie della pubblica amministrazione, di fare attività di formazione e di gestire le imprese.
Da questo punto di vista, l'Italia è indietro e la dimensione di questo «stare indietro» è imponente: 25 miliardi di euro all'anno è la somma che noi dovremmo spendere per metterci al pari della media europea in questo settore. Mediamente, i Paesi europei investono nel settore dell'ICT circa il 6,2-6,5 per cento del PIL, mentre l'Italia spende, nello stesso settore, circa il 4-4,2 per cento del PIL. Si tratta quindi di un distacco davvero importante.
Per questo motivo voi fate benissimo a trattare questi temi, i quali vanno assolutamente portati nelle giuste sedi, perché su di essi si gioca la crescita del Paese. Sono temi che vanno affrontati correttamente, senza prendere fughe in avanti o fughe all'indietro, e tenendo in considerazione il fatto che, quando parliamo di economia digitale, non parliamo soltanto di un settore dell'economia, ma dell'economia nel suo insieme.
Lei ha ragione, onorevole Causi, quando dice che la prima intuizione era di andare a disintermediare la distribuzione, in modo che sparissero gli intermediari, come le agenzie di viaggi e tanti altri soggetti. Non è tutto, però. Quella è stata la prima forma di disintermediazione. Mettendo a diretto contatto domanda e offerta, è chiaro che chi sta in mezzo rimane spiazzato.Pag. 11
Io dicevo che Internet è come la livella di Totò: siamo tutti uguali rispetto al mercato.
Inoltre, Internet ha toccato tutti i settori: il manifatturiero classico, ad esempio, che è forse il settore più toccato dalle nuove tecnologie di rete; i sistemi di produzione, che vanno al di là della vecchia fabbrica iper-robotizzata e automatizzata; i mutamenti intervenuti nell'integrazione delle catene logistiche, nell'integrazione delle catene verso i clienti, oltre che nelle modalità di funzionamento interno delle aziende.
Questo aspetto è molto importante, per rispondere alla domanda sugli intangible asset dell'onorevole Villarosa, perché è il modo in cui l'azienda lavora al suo interno sta cambiando in maniera profonda. Oggi, grazie alle tecnologie di rete, si possono allocare le competenze proprie dei diversi soggetti che lavorano in un'azienda in diverse parti del mondo e farle lavorare in network, in rete, in maniera cooperativa, 24 ore al giorno.
Lei ha chiesto, inoltre, che cos'altro si deve fare in questa materia, oltre ad intervenire sulla tassazione. Sarebbe una discussione molto lunga, ma io credo che noi dobbiamo fare leva su tre elementi.
Il primo è la leadership. Queste trasformazioni non avvengono dal basso. Si tratta di adottare un nuovo modello di impresa, di pubblica amministrazione, di attività di formazione e tale compito è affidato ai leader di impresa, agli amministratori delegati, ai ministri e anche al Presidente del Consiglio, lasciatemi dire in maniera rispettosa. Questi soggetti devono svolgere una costante analisi e favorire la realizzazione di un processo di trasformazione che è, prima di tutto, una trasformazione culturale.
Il secondo elemento consiste nel cercare di fare poche cose e di fare in modo che vengano attuate. Devo dire che la pubblica amministrazione si sta muovendo in modo corretto. Ho visto il documento strategico preparato dall'Agenzia per l'Italia digitale (AGID) e il documento che è stato predisposto sulla banda larga: si tratta di iniziative concrete, con date e responsabilità.
Penso anche all'anagrafe unica del cittadino, al fascicolo sanitario elettronico, al fascicolo unico dello studente, al sistema elettronico dei pagamenti della pubblica amministrazione. Facciamo, quindi, poche cose, ma facciamole avvenire in tempi brevi. In tal modo daremo, sia alle imprese sia al Paese nel suo insieme, il segnale fortissimo che sta cambiando veramente qualcosa.
Da ultimo, c’è il tema della tassazione. Lei ha detto che questo è un tema delicato. In effetti, tutte le volte che siamo di fronte a un'innovazione tecnologica di portata profonda c’è sempre il rischio, o di over-regolare o, peggio ancora, di applicare le vecchie regole estendendole al nuovo. Purtroppo, entrambi i sistemi non funzionano. Mi si chiede qual è la nostra posizione e se vogliamo tassare i volumi dei dati. Noi non siamo del parere che tassare i volumi dei dati risolva il problema dell'intercettazione di un taxable income che oggi stiamo in qualche modo perdendo.
Rispondo all'onorevole Villarosa. È evidente che molte di queste imprese, le quali possono operare in maniera virtuale in giro per il mondo, stiano spostando le loro sedi nei Paesi in cui ci sono degli incentivi a livello fiscale. Questa peraltro non è una questione che riguarda soltanto le società tecnologiche, essendo una questione che investe tutte le aziende.
Se in Irlanda, nel Lussemburgo e in Olanda ci sono delle opportunità, è chiaro che le aziende vanno a coglierle e, a maggior ragione, tengono questo comportamento quelle imprese che, essendo immateriali e potendo spostare il loro valore attraverso la rete, possono avere dei centri di sviluppo in California, dei centri di competenza in Irlanda, la logistica nel Lussemburgo o in Germania, in modo da ottimizzare la distribuzione fiscale.
È quello il contesto in cui bisogna intervenire alla radice. Ponetevi la domanda se sia opportuno a livello europeo equilibrare la situazione fiscale dei diversi Paesi. Noi italiani – qui mi metto il Pag. 12cappello di italiano – con i problemi che abbiamo, dovremmo far nascere delle imprese come Amazon e Google in Italia. Questo è l'obiettivo verso cui dobbiamo tendere e ritengo che possiamo riuscire a raggiungerlo.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Sono d'accordo. Infatti, come abbiamo visto dal servizio andato in onda nella puntata del 7 dicembre della trasmissione televisiva Report, ci sono italiani che vanno in un Paese europeo come la Germania ad aprire un'azienda che si occupa di comunicati e notizie destinate agli italiani.
ELIO CATANIA, Presidente di Confindustria digitale. Il nostro punto di vista su tali questioni è che non sia opportuno intervenire sul volume dei dati, bensì lavorare sulle questioni serie che ne costituiscono le ragioni e il fondamento.
Una delle suddette questioni è il concetto di stabile organizzazione. Si tratta di un concetto antico, superato nei fatti, che deve essere rivisto oggi, per giungere alla definizione di un'organizzazione che noi abbiamo chiamato rilevante, significativa.
Lavoriamo insieme per stabilire i criteri per definire il concetto di organizzazione significativa. Essi dovranno basarsi non certo sul numero di persone occupate, come avveniva per la stabile organizzazione, bensì si potrà fare riferimento al volume del traffico gestito. Si potrebbe misurare sulla base del volume degli affari che vengono generati. Andiamo a valutare che cosa significa organizzazione significativa, superando quindi il concetto di stabile organizzazione. Questo è un capitolo su cui noi siamo assolutamente aperti alla discussione.
Il secondo capitolo riguarda il transfer pricing. Chi ha esperienza di società multinazionali sa che questo problema esiste da sempre ma, mentre nel mondo dei beni fisici era chiaro, nel momento in cui le transazioni riguardano sempre più spesso dei servizi e, quindi, la cosiddetta intellectual property, occorre misurare fattori diversi. Pensate a un centro di competenza in Germania che fornisce servizi di supporto alle operazioni italiane: come valutare e quotare un bene di questa natura ?
In un mondo virtuale, dove la distribuzione passa attraverso la rete, è necessario affrontare questo tema. Allora noi ci accorgeremo che tanta parte del taxable income che oggi in Italia non riusciamo a intercettare si muove in una logica di questo tipo.
Come ho già detto, noi dobbiamo analizzare nuovamente il modello dell'impresa multinazionale e dobbiamo farlo insieme ai nostri Partner europei; nel fare ciò, dobbiamo evitare di fare i primi della classe mentre gli altri diventano più competitivi di noi e le imprese italiane, come ricordato dall'onorevole Villarosa, vanno a svolgere in Germania attività a servizio di clienti italiani. Sono questi i due capitoli fondamentali, piuttosto che gli altri che sono stati toccati.
Voi avete toccato l'altro importantissimo tema dei settori dell'editoria e della musica. Proviamo a mettere in ordine i diversi aspetti che riguardano questa questione.
Innanzitutto, la tecnologia è uno dei più grossi motori di sviluppo delle capacità dell'ingegno e della creatività. Mi riferisco ai prodotti culturali della musica, del cinema e di altre attività di questo tipo, rispetto ai quali, oltre ai canali tradizionali, si sono aggiunti i canali digitali, che costituiscono dei canali straordinari di fruizione di tali prodotti.
È evidente che si tratta di canali nuovi, i quali possono veicolare molti più prodotti di quanto non facessero i canali tradizionali. Questo vuol dire aumentare le possibilità di ascolto per gli autori.
Sul tema, per esempio, della copia privata, che è stato uno dei temi più dibattuti, noi abbiamo idee molto chiare. È inutile over-tassare i dispositivi, in quanto, quando si conclude un contratto di streaming oppure di download, ad esempio con iTunes, si paga un servizio che prevede la possibilità di fare fino a 12 copie di una determinata canzone. Perché si deve ripagare di nuovo il PC o il telefonino ?Pag. 13
Anche qui siamo forse tra i Paesi più aggressivi in Europa. In Inghilterra, in Spagna e in tanti Paesi questo non è previsto, essendo rimasto soltanto in Germania e in Francia. Noi pensiamo che la tecnologia, se associata alle forme tradizionali dei media, non può che essere un fattore di moltiplicazione e di amplificazione.
Il punto è proprio questo. Anche con riguardo ai nostri amici e colleghi delle varie società, sia del settore della televisione, sia dell'editoria, bisogna tener conto del fatto che va evitato un approccio difensivo sul tema dell'innovazione. Noto che prevale questo atteggiamento: invece di vedere l'innovazione e, quindi, questi nuovi modelli di business, quali Netflix o Google, come modelli da seguire, li si vede come realtà da cui proteggersi. Questo non è l'approccio giusto. Così facciamo male al Paese.
Detto questo, passo alla questione della pirateria, la quale, siamo i primi a dirlo, va combattuta. Siamo stati i primi, con l'AGCOM, a stabilire delle regole contro la pirateria.
In secondo luogo, il diritto d'autore va tutelato, perché la creatività va tutelata. Evitiamo anche qui, però di over-tutelare quando ciò non è necessario, come già avvenuto in passato.
Con riferimento al punto da lei sollevato, presidente, relativo alla legge sul diritto d'autore, le cui ultime modifiche mi pare risalgano al 1992, ritengo che essa meriti di essere rivista alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi ventidue anni. Crediamo sia nell'interesse di tutti: non solo di chi fornisce tecnologie o adotta questi nuovi modelli di business, ma dell'intero settore della creatività.
In merito, ci permettiamo di suggerire di andare a guardare cosa succede al di fuori dell'Italia. Gli atteggiamenti che voi avete citato, sia della Spagna, sia della Germania, nei confronti della tassa su Google, sono emblematici. In Spagna il legislatore ha stabilito che è un diritto-dovere chiedere un risarcimento a Google nel momento in cui le proprie news vanno sulle news di Google. Quindi, hanno stabilito che si tratta addirittura di un diritto e Google, in risposta, ha preferito chiudere.
In Germania, è successo il contrario. Sono stati proprio gli editori, con Springer in testa, che hanno affermato di non volere questo tipo di disciplina normativa, perché si sono resi conto che, se Google avesse chiuso le proprie news, sarebbero andate a picco le loro vendite e ciò avrebbe portato fuori mercato migliaia di piccoli editori che oggi vivono della distribuzione in rete.
Pertanto, capire qual è il confine tra motore di ricerca e ruolo dell'aggregatore ed editore è molto importante, anche con riferimento all'altro tema, quello della tutela della privacy. Su questo noi siamo estremamente attenti. Quella che ha fatto la Francia io credo sia un po’ una fuga in avanti rispetto a una realtà dei mercati e alle loro richieste.
Rispondo all'onorevole Pesco: il tema dei trasferimenti di dati da un operatore all'altro ricade nella tematica complessiva della privacy e della protezione dei dati personali. Al riguardo, se lei ritiene possa esserle utile, esporremo in un piccolo documento le nostre opinioni su questo tema specifico, il quale è molto importante, posto che riguarda la portabilità e la messa a disposizione dei propri dati a vantaggio di altri soggetti. Le rispondo ora sulla questione delle transazioni dirette: è vero che ci sono oggi dei fenomeni di transazioni online che sfuggono alla tassazione e questo non deve avvenire. In questo momento, tuttavia, non mi sento di dire se sia giusto o sbagliato pervenire ad una forma di tassazione alla fonte, come da lei suggerito. Ritengo che, su questo punto dobbiamo fare attenzione in primo luogo perché, così facendo, costruiamo un sostituto d'imposta, con tutte le responsabilità che ciò comporta. Inoltre ritengo che, anche su questo tema, sia auspicabile un'armonizzazione della legislazione di tutti i Paesi europei.
Io non dimentico questa dimensione europea perché è chiaro ormai che i mercati competono su base sistemica. Cerchiamo di agire in modo efficace perché Pag. 14non ci sia elusione. Ci sono dei princìpi molto chiari e condivisi, ma, nell'attuarli, dobbiamo evitare di andare troppo avanti rispetto agli altri Paesi.
Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di avere tante di queste nuove società e centri cloud con sede in Italia e non all'estero, altrimenti si tratterà di centri di cui noi siamo soltanto degli umili fruitori, senza avvantaggiarci delle opportunità di occupazione che essi offrono. Un centro di cloud computing che offre servizi per l'Europa localizzato in Germania impiega 4.000 persone. Perché non aprirlo a Catania, ad Agrigento o a Pordenone ? Questo è ciò a cui noi dobbiamo mirare anche attraverso degli interventi normativi.
Per concludere, per quanto riguarda lo specifico settore della tassazione, noi riteniamo che le due leve, a nostro giudizio molto efficaci, che andrebbero utilizzate, siano la revisione del concetto di stabile organizzazione e il transfer pricing.
Eviterei fughe in avanti sulla tassazioni dei volumi. Come affermato dall'OCSE, in una delle sue proposte, tassare il commercio elettronico significa penalizzare proprio uno dei settori con migliori prospettive di crescita.
Sappiate che solo il 4 per cento delle piccole e medie imprese italiane oggi fa transazione online, contro una media europea del 20 per cento. Se aumentiamo la tassazione sulle transazioni online e l’e-commerce, che costituiscono l'unica maniera per far salire il fatturato delle nostre piccole e medie imprese, arrechiamo a tali imprese un danno pesantissimo. L'83 per cento delle piccole e medie imprese italiane fallite lo scorso anno non aveva un sito web. Noi dobbiamo andare esattamente nella direzione opposta.
Io rimarrei su questi due aspetti e sul tema della necessità di un'assoluta coerenza al livello internazionale su questi temi. Rispondo quindi alla sua prima domanda, onorevole Villarosa: io proporrei di intervenire sui regimi fiscali a livello europeo. È, infatti, quello il punto di partenza e la madre di tutti i problemi.
In conclusione, sappiamo che stiamo affrontando un tema che pervade l'intera economia e che, quindi, su questo tema si gioca la crescita del sistema.
PRESIDENTE. Grazie al dottor Catania e al dottor Zingaro anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.15.
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