Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 3
Audizione del Governatore della Banca d'Italia, sulle tematiche concernenti l'attuazione dell'Unione bancaria europea e il credito all'economia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Capezzone Daniele , Presidente ... 3
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 3
Capezzone Daniele , Presidente ... 16
Causi Marco (PD) ... 16
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 16
Capezzone Daniele , Presidente ... 16
Galli Giampaolo (PD) ... 16
Ruocco Carla (M5S) ... 17
Pesco Daniele (M5S) ... 17
Colaninno Matteo (PD) ... 18
Ribaudo Francesco (PD) ... 19
Ginato Federico (PD) ... 19
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 19
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 20
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 20
Palese Rocco (FI-PdL) ... 21
Capezzone Daniele , Presidente ... 21
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 22
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 26
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 26
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 26
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 26
Ginato Federico (PD) ... 27
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 27
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 28
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 28
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 28
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 28
Villarosa Alessio Mattia (M5S) ... 28
Visco Ignazio , Governatore della Banca d'Italia ... 28
Capezzone Daniele , Presidente ... 31
ALLEGATO: Documentazione depositata dal Governatore della Banca d'Italia, professor Visco ... 33
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE
La seduta comincia alle 15.30.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
Audizione del Governatore della Banca d'Italia, sulle tematiche concernenti l'attuazione dell'Unione bancaria europea e il credito all'economia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Governatore della Banca d'Italia, sulle tematiche concernenti l'attuazione dell'Unione bancaria europea e il credito all'economia.
Abbiamo il piacere di accogliere il Governatore della Banca d'Italia, professor Visco, che è accompagnato dal dottor Barbagallo, dal dottor Gaiotti, dal dottor Trequattrini e dalla dottoressa Ansuini. Si tratta di un'audizione che avevamo programmato da tempo per ascoltare il Governatore sulle tematiche relative all'attuazione dell'Unione bancaria e sul credito all'economia.
Ascolteremo un'introduzione del Governatore, che avrà poi la gentilezza di reagire a eventuali domande. Nel dargli il benvenuto, invito i colleghi a una lettura davvero bella della rivista «Il Mulino» di alcune settimane fa, in cui il Governatore Visco ha detto molte cose, citando anche Bob Dylan. Speriamo che oggi non aggiunga un'altra citazione di Dylan, come quella sulla «dura pioggia che cadrà».
Do la parola al Governatore Visco per lo svolgimento della relazione.
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Buongiorno a tutti e grazie dell'invito. Credo sia importante anche per noi questo momento. Io ho consegnato una memoria che è stata distribuita. Procederò seguendo questa memoria, al cui interno vi sono una serie di approfondimenti e un allegato.
L'allegato è il capitolo relativo all'Esercizio di valutazione della BCE pubblicato nell'ultimo numero del Rapporto di stabilità finanziaria che abbiamo prodotto a fine novembre. Invece, il testo ha dei paragrafi più piccoli, nei quali vi sono alcuni dettagli sui quali io non entrerei. Sono pronto, però, a dare conto di essi.
L'Unione bancaria rappresenta un segnale di ripresa e di continuità del progetto europeo. Nel disegno originario esso si compone di tre pilastri fondamentali: il Meccanismo unico di vigilanza sulle banche, un Sistema unico di risoluzione delle crisi bancarie e uno Schema integrato di assicurazione dei depositi.
Il primo di questi elementi, il Meccanismo unico di supervisione bancaria, è stato varato nel mese di novembre, dopo un esercizio complesso e approfondito di valutazione dei bilanci delle principali banche dell'area dell'euro.
L'Unione bancaria comporta dei benefìci di ampia portata. Questi sono, tra gli altri, l'accelerazione del processo d'integrazione finanziaria tra i Paesi membri, il consolidamento degli scambi transfrontalieri fra le banche, l'aumento del grado di concorrenza nel mercato del credito.Pag. 4
Per l'Unione bancaria, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti relativi alla soluzione delle crisi, un importante obiettivo è quello di scindere il legame tra le banche e gli emittenti sovrani. Parte della crisi che abbiamo attraversato, forte soprattutto tra il 2011 e il 2013, è stata dovuta a questo legame, in conseguenza del quale all'aumentare del rischio sovrano, ossia all'aumentare dello spread, si è accompagnato l'aumento del rischio per le banche, come si desume dai Credit default swaps.
Questo legame è connesso al fatto che, se vi è una crisi in un Paese, essa tende a ripercuotersi anche su tutte le imprese e soprattutto sulle banche di quel Paese. Il rating di queste banche viene, quindi, a essere correlato al rating che viene attribuito al Paese.
Questo avviene perché la crisi di una banca in un Paese, in quegli anni, veniva risolta soprattutto attraverso le finanze pubbliche del Paese stesso. Se un Paese non ha finanze da destinare alla soluzione della crisi, emerge questo legame con le banche. Su questo meccanismo sono intervenute, negli ultimi anni, una serie di innovazioni di cui vi parlerò.
Sostenuto dall'armonizzazione delle regole in materia bancaria, il meccanismo di vigilanza mira ad attenuare distorsioni che possono essere attribuite ad approcci di vigilanza diversi ed è stato disegnato con il contributo significativo della Vigilanza della Banca d'Italia. Abbiamo così contribuito a mettere a fattor comune quelle che riteniamo essere le migliori prassi di vigilanza.
Le questioni che più ci stanno a cuore sono tre. La prima è un'analisi dei rischi basata su indicatori quantitativi e valutazioni di natura qualitativa. La seconda è l'integrazione tra gli esami a distanza, quelli cartolari effettuati dalla sede centrale, e le verifiche ispettive. La terza è la relazione stretta tra la valutazione degli intermediari e l'azione correttiva.
Questo Meccanismo nasce come sistema fondato sulla partecipazione delle Autorità nazionali alla vigilanza sia sui principali intermediari, sia sulle banche locali. La supervisione sulle 120 principali banche dell'area dell'euro sarà condotta sotto la responsabilità diretta della BCE, ma in stretto raccordo con le Autorità nazionali, le quali costituiscono l'elemento fondamentale e portante dei gruppi congiunti di vigilanza.
Questi gruppi congiunti sono responsabili operativi dell'attività di vigilanza sulle principali banche e rappresentano lo strumento più importante di cooperazione tra le Autorità nazionali e la Banca centrale europea. Sono anche il primo interlocutore, l'interlocutore diretto, degli intermediari. Con essi, per esempio, sono in contatto gli intermediari che hanno in corso piani di rafforzamento patrimoniale.
Ogni gruppo sarà coordinato dalla Banca centrale europea e comprenderà esperti di vigilanza sia nazionali, sia della BCE. Il numero dei componenti che proviene dalle Autorità nazionali sarà di norma superiore – in alcuni casi, anche molto superiore – rispetto a quello dei membri della BCE. Sulla base della pianificazione annuale i gruppi svolgeranno compiti di supervisione sugli intermediari di competenza e assicureranno l'attuazione delle decisioni del Meccanismo.
La supervisione sulle altre banche, che in Italia sono circa 550, continuerà a far capo alle Autorità nazionali. Nell'effettuare la supervisione si utilizzeranno standard definiti a livello europeo, utilizzando, per così dire, lo stesso libro delle regole.
Il decentramento si basa sull'esperienza, la capacità e le risorse delle Autorità nazionali. La loro prossimità ai soggetti vigilati facilita il confronto e l'acquisizione delle informazioni. Molti dicono: «Adesso fa tutto Francoforte. A che serve più la vigilanza della Banca d'Italia ?» Non è così, neanche per la politica monetaria. Buona parte delle decisioni di politica monetaria è il risultato di scambi costanti, molto accesi, importanti e approfonditi tra coloro che hanno il potere di prendere decisioni, ossia i membri del Consiglio. I membri del Consiglio sono i sei partecipanti al board della BCE a Pag. 5Francoforte e i governatori delle banche centrali nazionali, i quali agiscono nella loro capacità individuale.
Per poter intervenire, però, essi devono avere come sostegno l'analisi, la valutazione, la ricerca, le previsioni e anche le discussioni svolte nelle rispettive banche centrali. Questo spiega perché noi abbiamo un forte servizio di ricerca e di analisi della congiuntura, ma abbiamo anche importanti servizi di messa in pratica delle decisioni di politica monetaria.
Tutto ciò significa che la responsabilità viene condivisa, non viene allocata a Francoforte. Su quel modello, del Sistema europeo delle banche centrali, è fondato anche questo Sistema europeo di Autorità di vigilanza, che reca l'importante innovazione data dall'adozione di regole comuni e conduzione centralizzata.
Il decentramento ha come complemento il fatto che le decisioni vengono poi sottoposte all'approvazione del Consiglio di vigilanza della BCE, il quale le sottopone al Consiglio direttivo, ossia ai governatori.
Il potere di prendere le decisioni nella BCE spetta ai governatori nel Consiglio direttivo. Anche sulle materie di vigilanza siamo, quindi, noi che dobbiamo prendere le decisioni. Questo vuol dire che dobbiamo avere le conoscenze e le informazioni necessarie riguardo a tutte le principali banche.
Nello stesso tempo, così come vi sono Comitati ai quali partecipano tutti i funzionari e i dirigenti di banche nazionali per i vari settori – per la politica monetaria, ad esempio, ci sono il Comitato dei rischi, il Comitato di politica monetaria, il Comitato operativo e il Comitato legale – in questo sistema bisognerà discutere tra tutti i rappresentanti delle Autorità nazionali, non soltanto all'interno del Consiglio di vigilanza, di cui fa parte un membro del Direttorio della Banca d'Italia così come io faccio parte del Consiglio direttivo.
Alle responsabilità che competono alla Banca d'Italia nell'ambito del nuovo sistema di supervisione nazionale ed europea si aggiungono gli altri compiti di vigilanza.
La Banca d'Italia si occupa, in base a quanto stabilito nell'ordinamento italiano, della regolamentazione del sistema finanziario, del controllo a distanza e ispettivo degli intermediari non bancari, della verifica del rispetto delle norme antiriciclaggio e di quelle a tutela della trasparenza e della correttezza del rapporto tra intermediari e clienti.
Dall'inizio dell'anno scorso la Banca d'Italia ha anche la responsabilità di vigilanza sul settore assicurativo, la cui Autorità competente è l'IVASS. Il Presidente dell'IVASS è infatti il Direttore generale della Banca d'Italia e il Governatore è il presidente del Direttorio integrato che prende le decisioni. Del Direttorio integrato fanno parte il Direttore generale della Banca d'Italia, i tre Vice Direttori generali e due consiglieri.
L'avvio del Meccanismo unico di vigilanza è stato preceduto dall'esercizio di valutazione approfondita, il comprehensive assessment. Si tratta di un esercizio di valutazione dei bilanci delle principali banche, che è composto da due parti: una valutazione degli attivi delle banche, ossia della qualità del credito e dei titoli che le banche hanno in portafoglio; una prova di resistenza, uno stress test, condotta con riferimento a due scenari, uno scenario di base e uno scenario avverso.
Questo esercizio aveva tre finalità: valutare lo stato di salute degli intermediari sulla base di criteri comuni; quantificare le misure di rafforzamento patrimoniale, ove queste fossero risultate necessarie; diffondere informazioni confrontabili sulle maggiori banche europee.
Tali informazioni dovevano essere confrontabili e trasparenti, perché uno degli obiettivi di questo esercizio, prima dell'avvio del sistema di supervisione unica, era proprio quello di rispondere a osservazioni del mercato.
Il mercato dubitava del sistema bancario europeo riguardo alle capacità di resistere a shock avversi, sostenendo che la capitalizzazione non fosse sufficientemente elevata, dopo la crisi finanziaria, e che in portafoglio vi fosse, a causa della crisi economica, in alcuni casi, e della Pag. 6forte propensione all'attività di investimento, all’investment banking, in altri casi, una certa opacità rispetto ai rischi.
Questa operazione, quindi, fornisce a tutti informazioni dettagliate sulle banche che sono state oggetto dell'esercizio. Chiunque, nel mercato, tra i policy maker o nei media, può andare a calcolare anche indicatori diversi da quelli che sono stati utilizzati, per effettuare le proprie valutazioni.
Nell'ambito di questo esercizio, l'ammontare di patrimonio minimo richiesto è stato fissato all'8 per cento delle attività ponderate per il rischio, sia per la valutazione della qualità dei bilanci, sia per lo scenario di base della prova di resistenza. Per lo scenario avverso, l'indicatore è stato portato al 5,5 per cento.
In entrambi i casi si tratta di valori più elevati di quelli regolamentari. Il valore minimo regolamentare fissato dall'accordo «Basilea 3» è del 4,5 per cento. Il valore regolamentare aumentato del margine di conservazione del capitale è del 7 per cento. In entrambi i casi (analisi degli attivi e stress test) i valori scelti per il comprehensive assessment sono superiori: infatti 8 è superiore a 7 e 5,5 è superiore a 4,5.
Con riferimento alla fine del 2013, la Banca centrale europea ha rilevato come l'esercizio di valutazione approfondita abbia fatto emergere, per 25 delle 130 maggiori banche dell'area dell'euro esaminate, esigenze di rafforzamento di capitale per un ammontare complessivo di quasi 25 miliardi di euro.
Tenuto conto, però, degli aumenti di capitale che hanno avuto luogo tra gennaio e settembre del 2014, le banche interessate al rafforzamento patrimoniale sono 13 e l'ammontare del rafforzamento richiesto è pari a 9,5 miliardi di euro.
Per le banche italiane, questi risultati sono in linea con le valutazioni effettuate dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca d'Italia, pubblicate circa un anno fa nell'ambito del Financial Sector Assestment Programme, il quale è un programma che il Fondo monetario conduce su tutte le economie di anno in anno.
I risultati mostrano la sostanziale tenuta del sistema bancario italiano, nonostante le tensioni alle quali esso è stato sottoposto dalle gravi tendenze recessive della nostra economia dall'inizio della crisi. L'economia italiana ha avuto, dall'inizio della crisi, una caduta del PIL di oltre il 9 per cento e una caduta della produzione industriale del 25 per cento. Le banche, secondo le valutazioni che avevamo fatto, sulla base di dati dettagliati, col Fondo monetario, non evidenziavano rischi sistemici, anche se presentavano esigenze di ricapitalizzazione.
Un resoconto dettagliato dei risultati è contenuto nel Rapporto sulla stabilità finanziaria che abbiamo pubblicato il mese scorso, il cui relativo capitolo si trova in appendice alla memoria che vi ho consegnato. Vediamone i punti principali.
Grazie anche ai cospicui accantonamenti su crediti effettuati nel biennio 2012-13 (53 miliardi di euro) e agli aumenti di capitale realizzati negli anni scorsi (che ammontano, solo per il 2014, a 11 miliardi di euro) – i quali hanno costituito operazioni che la Banca d'Italia ha fortemente incoraggiato – tutti gli intermediari italiani inclusi nell'esercizio possedevano patrimoni adeguati ai rischi rilevati dalla revisione della qualità degli attivi, che è la prima componente dell'esercizio.
Esigenze di rafforzamento patrimoniale sono emerse nello scenario avverso dello stress test. Queste non sono perdite effettive. Nell'altro caso potrebbero essere perdite effettive: nel caso in cui, ad esempio, fosse emersa una valutazione di crediti che avrebbe dovuto essere corretta verso il basso tenuto conto dell'effettivo rischio connesso a questi crediti, rischio che, nell'anno, magari si era deteriorato e non era stato rilevato da ispezioni nelle banche. Nel caso dello stress test si tratta invece di rischi potenziali, non di perdite effettive. Si tratta di una stima delle maggiori risorse patrimoniali che si renderebbero necessarie nel caso di un ipotetico ulteriore forte deterioramento della situazione economica e finanziaria a livello italiano e internazionale.Pag. 7
Queste esigenze di rafforzamento riguardano quattro banche. Due di esse, la Banca Popolare di Milano e la Banca Popolare di Vicenza, hanno una necessità di rafforzamento di circa 400 milioni di euro, ma avevano già deliberato le misure necessarie per colmarle all'atto della pubblicazione dei risultati dell'esercizio. Hanno adottato, infatti, una serie di interventi: la cessione di asset e la conversione di titoli che erano stati emessi. Le esigenze effettive interessano due banche, Banca Monte dei Paschi Siena e Banca Carige. Queste esigenze ammontano complessivamente a 2,9 miliardi di euro, che rappresentano lo 0,2 per cento del PIL. Le difficoltà di queste due banche derivano in ampia misura, seppur non esclusivamente, da episodi che definiamo di mala gestio. C’è stata molta polemica su Monte dei Paschi e su Carige.
Quando si rileva un problema bancario, ci si chiede dove sia la Banca d'Italia. Il punto è che in tutti questi casi la Banca d'Italia non fa un comunicato stampa. La Banca d'Italia conduce ispezioni, ottiene dei risultati e li passa alla magistratura, se rilevanti penalmente.
Se non si rilevano profili penalmente rilevanti, bensì emergono elementi di carattere amministrativo – come nel caso in cui una banca corre troppi rischi perché non è organizzata bene nonostante precedenti analisi ispettive, oppure alcuni crediti vengono concessi senza avere tutte le deleghe necessarie, oppure ancora gli amministratori non osservano determinati tipi di requisiti – c’è, da parte della Vigilanza della Banca, un'analisi che conduce, sentite le controparti, a proporre misure sanzionatorie che il Direttorio della Banca, in sede collegiale, assume nei confronti dei banchieri.
In entrambi questi casi c’è stata un'attività forte, in collaborazione anche con la magistratura, che ha avuto come obiettivo finale la sostituzione dei vertici, il cambiamento del Piano industriale e la revisione della governance. In entrambi i casi sono state riscontrate gravi carenze. Queste carenze sono alla base anche di quanto recentemente emerso.
Gli altri intermediari italiani oggetto di quest'analisi, tenuto conto degli aumenti di capitale che sono stati effettuati nel corso del 2014, hanno fatto riscontrare eccedenze di capitale, in alcuni casi significative, rispetto alle soglie fissate dall'esercizio le quali, come ho già ricordato, sono superiori ai minimi regolamentari.
I piani di rafforzamento di queste due banche, Monte dei Paschi e Banca Carige, che sono basati su aumenti di capitale sul mercato, sono stati approvati venerdì scorso dal Consiglio di vigilanza della BCE. La Banca d'Italia ne seguirà l'attuazione nell'ambito di questi gruppi congiunti di vigilanza e del Consiglio di vigilanza operando per un'efficace e tempestiva adozione delle misure previste.
Questa revisione della qualità degli attivi si è svolta in continuità con gli accertamenti ispettivi condotti dalla Banca in anni recenti, nell'ambito dei quali è stato richiesto a tutte le banche, e ad alcune in particolare, un progressivo e cospicuo incremento degli accantonamenti.
Un impiego può entrare in una categoria che potrebbe comportare perdite. A fronte di ciò, si chiede alle banche di mettere da parte riserve per far fronte a queste perdite nel momento in cui esse si materializzeranno. Il motivo di fondo che ci ha spinto a sollecitare le banche a fare questo, pur avendo incontrato, soprattutto inizialmente, resistenze molto forti, è stato lo sviluppo della crisi del debito sovrano e della crisi bancaria in Europa.
La Spagna rappresenta un caso particolare. Essa non aveva il problema che avevamo noi del debito pubblico. Aveva un problema di un'esposizione eccessiva nei confronti del settore delle costruzioni, tale da rendere le banche fortemente illiquide e, in alcuni casi, essendo fallite le imprese di costruzione, causare perdite che hanno comportato anche rischi di sopravvivenza.
Da questa situazione è nata la necessità di ricorrere al Meccanismo europeo di stabilità e, quindi, a un prestito che è stato fatto alla Spagna, trasferendo al sistema bancario spagnolo del capitale aggiuntivo.
Ciò ha creato notevoli danni all'economia e ha generato un aumento del tasso di Pag. 8disoccupazione, che ha superato il 25 per cento. Tuttavia, ha anche stimolato l'assunzione di decisioni, a volte discutibili, ma sicuramente molto importanti, che hanno stabilizzato le condizioni e hanno messo in moto un processo di correzione. Il costo, però, è stato elevato.
La nostra attività, in sostanza, è stata quella di andare a vedere come stessero le banche italiane nei confronti della loro clientela e come fossero esposte. Abbiamo rilevato che c'era un aumento delle sofferenze forti, legato soprattutto alle piccole e medie imprese e alle imprese di costruzione. Noi, però, abbiamo un'economia diversa da quella spagnola. Siamo meno concentrati settorialmente sul settore delle costruzioni e abbiamo una grande dispersione per quanto riguarda il settore delle imprese manifatturiere.
Questo intervento è stato molto importante perché ha portato ad aggiustamenti di valore sui crediti, emersi grazie alla revisione, di 12 miliardi (9 miliardi al netto dell'effetto fiscale), che si confrontano con i circa 47 miliardi di euro per tutte le banche dell'area. Questo è il risultato di accertamenti condotti dai gruppi ispettivi della Banca d'Italia e dipende, in buona parte, dal peggioramento delle condizioni economiche generali del nostro Paese.
In tale quadro va, prima di tutto, osservato che gli aggiustamenti di valore sui crediti sono correlati sostanzialmente agli andamenti congiunturali dei diversi Paesi. Quanto più difficile è la situazione congiunturale, tanto maggiori sono risultati questi aggiustamenti di valore. Fare un aggiustamento di valore sul credito vuol dire tener conto del fatto che, a fronte di un prestito di 100, probabilmente non sarà restituito 100, bensì una cifra diversa e più bassa.
In parte ciò è compensato dagli accantonamenti. Ci sono inoltre delle garanzie reali a fronte di questi prestiti. Anche sulle garanzie reali, peraltro, bisogna fare una valutazione della congruità dei prezzi degli asset che stanno a fronte di un prestito. Come potete immaginare, spesso c’è una forte differenza di valore.
Questo è il motivo per cui, nel fare l'esercizio di valutazione approfondita, abbiamo fatto ricorso, in base a una decisione presa collettivamente a livello di BCE, anche ad analisti esterni, in modo che fossero oggettive queste valutazione sulla qualità dei valori alla base del collaterale sul quale viene concesso il credito.
Quanto ai risultati – li cito a memoria – in media le differenze non sono altissime. È emerso circa il 10 per cento di differenza di valore. Tutto ciò ha comportato un aggiustamento nella valutazione del capitale necessario per far fronte alle perdite.
La situazione difficile dell'economia italiana non ha pesato soltanto sull'AQR, ma anche sugli stress test. Lo scenario avverso contempla una caduta cumulata del PIL che, dopo la flessione del 9 per cento tra il 2008 e il 2013, aggiunge un altro 3 per cento tra il 2014 e il 2016. Si tratta di una caduta di 12 punti percentuali, la più forte di tutti i Paesi dell'area dell'euro e più elevata di circa 8 punti rispetto a quella media registrata dall'area nel suo complesso.
Inoltre, sui risultati delle banche che posseggono un ammontare rilevante di titoli di Stato, hanno inciso anche le ipotesi molto sfavorevoli circa le prospettive del mercato dei titoli pubblici. Nel disegnare lo scenario avverso, colpiti dalla crisi del debito sovrano, ci si è chiesti: «Che succederebbe se si ripetesse questa crisi ?» Si è fatta l'ipotesi, pertanto, che i tassi d'interesse da qui ai prossimi anni ritornino ai livelli di tre o quattro anni fa.
Questo ha comportato che, nello scenario avverso, il rendimento del BTP decennale risaliva già quest'anno al 5,9 per cento, tornando al livello raggiunto negli anni 2011-2012, mentre, in realtà, tale rendimento oggi è del 2 per cento. Questa componente dell'esercizio di valutazione, quindi, è una componente che non si è realizzata. Ciononostante, è stata incorporata nella valutazione del capitale da considerare per le banche attraverso la rimozione di un filtro prudenziale.
Si tratta di una questione prettamente tecnica: l'Autorità di vigilanza, in base alle Pag. 9norme contabili vigenti, le quali sono valide permanentemente finché non saranno modificate dall'Istituto internazionale della contabilità (IASB), può decidere di proteggere i bilanci delle banche da fluttuazioni eccessive dei tassi d'interesse. A fronte di fluttuazioni molto forti dovute a movimenti speculativi, infatti, le banche potrebbero anche subire gli effetti di un'instabilità accesa, pur non essendovi ragioni di fondo. Si tratta di un filtro simmetrico.
È stato deciso di rimuovere tale filtro gradualmente, rimuovendone il 20 per cento quest'anno, il 40 per cento l'anno prossimo e il 60 per cento nel 2016. Di fatto, quindi, si è deciso di rimuoverlo al 60 per cento e di tener conto delle valutazioni di tutti i titoli (non soltanto di quelli che stanno nel trading, ma anche di quelli che si tengono negli Available for sale, che è la parte del portafoglio nella quale sono tenuti molti di questi titoli) valutandoli ai prezzi di mercato quali definiti dall'esercizio avverso.
Questo comporta, per le nostre banche, un notevole effetto di shortfall di capitale, o di capitale da accantonare a fronte di questo rischio, che per l'intero sistema ha un valore di 4 miliardi di euro e per il solo Monte dei Paschi di Siena è pari a 1 miliardo di euro.
Questa è stata una misura di armonizzazione di una forma di discrezionalità nazionale: la discrezionalità di imporre questo filtro che varie Autorità di vigilanza avevano e che è stata rimossa. Noi abbiamo, peraltro, osservato che altre forme di discrezionalità nazionali non sono state armonizzate; tra queste, ad esempio, la possibilità di graduare nel tempo la deduzione degli avviamenti dal capitale di migliore qualità delle banche. Un avviamento può essere eliminato front-loaded, ossia immediatamente, o può essere eliminato gradualmente. Ovviamente, a seconda di quando lo si elimina, serve più o meno capitale alla banca, in quanto l'avviamento può essere sovrastimato.
Noi l'abbiamo eliminato mentre altri l'hanno tenuto. Ci sono quindi una serie di specificità nazionali. L'unica che è stata rimossa è quella relativa ai titoli del debito sovrano, perché, in questo caso, c’è stata una reazione contro un fenomeno molto grave che abbiamo sperimentato.
Noi non abbiamo condiviso questa asimmetria e l'abbiamo contestata formalmente, sia nel Consiglio di vigilanza, sia nel Consiglio direttivo. Con «formalmente», intendo dire, che abbiamo voluto che la nostra contestazione sul punto fosse messa a verbale.
Ovviamente, l'approccio asimmetrico degli istituti nazionali è una delle questioni sulle quali si sta lavorando per il futuro. Ci si propone, infatti, di avere una rimozione di queste specificità oppure una condivisione di specificità che nasca dall'accettazione di un sistema che consente di tener conto di una gradualità nel rafforzamento patrimoniale, per non essere prociclici in modo meccanicistico.
Va inoltre sottolineato il fatto che le banche italiane non hanno beneficiato del sostegno finanziario dello Stato, mentre per gli intermediari di altri Paesi il supporto pubblico è stato significativo.
Questo l'ho già detto in altre occasioni e credo che lo abbiano ripetuto in molti. Il punto importante è: perché lo si dice ? Alla fine si afferma che il sistema italiano è stato quello oggetto di maggiore attenzione, quello che aveva livelli di capitalizzazione mediamente più bassi.
È vero, anche se non erano straordinariamente bassi. Bisogna anche considerare che ci sono differenze a seconda della specializzazione delle banche. Le banche commerciali hanno rischi diversi dalle banche di investimento e, quindi, anche necessità patrimoniali diverse.
C’è anche un altro punto importante. Le banche italiane hanno subito questa crisi molto forte dell'economia e hanno ricevuto in tutto 4 miliardi di euro, quasi tutti concentrati nella banca Monte dei Paschi di Siena, che presenta una specificità molto evidente. In Germania, sono stati messi dallo Stato nelle banche tedesche 250 miliardi di euro, nei Paesi Bassi 50, così come in Irlanda, che è un Paese piccolo, in Grecia 40 e in Spagna 60.Pag. 10
Ciò significa che il sistema bancario italiano, che non ha subito alcun fallimento, di fatto ce l'ha fatta con le sue forze, pur risultando, in media, meno patrimonializzato e con un aumento notevole delle sofferenze.
Gli interventi statali effettuati all'estero sono stati realizzati prima del 2013. Adesso non è più possibile attuarli, perché sono entrate in vigore delle normative a livello europeo, sottoscritte anche dal Governo italiano, che impediscono il cosiddetto bail-out e impongono il bail-in. Prima che il settore pubblico attui degli interventi di ricapitalizzazione delle banche e, quindi, di copertura di perdite, occorre che tale operazione sia compiuta dai clienti delle banche; non dai depositanti, i quali fino a 100.000 euro circa sono coperti. Mi riferisco a coloro che posseggono obbligazioni; chiaramente, se tali obbligazioni sono al dettaglio, c’è un problema.
Da noi, per esempio, le obbligazioni hanno in buona parte sostituito quelli che, quando io avevo la vostra età, si chiamavano i conti di risparmio i quali, a differenza dei conti correnti, avevano una durata più lunga e tassi d'interessi più alti e rappresentavano una forma di investimento per le famiglie.
In realtà, dato che ora opera il cosiddetto bail-in, è bene che le banche, nell'effettuare emissioni di obbligazioni, prestiti subordinati o altro, abbiano chiaro che questi titoli vanno collocati presso investitori qualificati che siano in grado di comprendere il rischio di questo tipo di strumenti. Il rendimento di questi strumenti è, infatti, sicuramente più alto ma, quando il rendimento è più alto, di solito bisogna interrogarsi, perché anche il rischio può essere più alto.
Sulla calibrazione dell'esercizio di valutazione – come è naturale, nel caso in cui vi siano decisioni assunte collettivamente – non sono mancate discussioni e valutazioni contrastanti, all'interno dei gruppi che in BCE hanno discusso di queste questioni (per questo esercizio si trattava dello Steering Committee, oltre che del Consiglio direttivo).
Cionondimeno, questo è stato un esercizio che io ritengo utile. Era necessario che fosse severo, anche per dissipare i dubbi sulla tenuta del sistema bancario europeo, e ha richiesto un forte impegno, concentrato nel tempo, di chi vi ha preso parte nelle autorità e nelle banche. Moltissime persone sono state impiegate (da noi 450, se ricordo bene), in sette-otto mesi di lavoro molto intenso.
Certamente vi è una serie di questioni di cui bisogna tener conto, primo fra tutti il fatto che in alcuni casi il riporto all'universo è stato basato su tecniche statistiche. È stato osservato che ciò non dovrebbe comportare l'iscrizione in bilancio delle relative rettifiche. La motivazione risiede nel fatto che i bilanci delle banche seguono una valutazione contabile, mentre queste sono valutazioni prudenziali. Vi è una differenza tra aspetto contabile e prudenziale. Per esempio, se si compie un'ispezione e si constata che un impiego non vale 100, bensì vale 50, una volta che ciò sia stato verificato, tale dato va inserito nel bilancio, perché, se così non fosse, verrebbe compiuto un falso in bilancio. Il problema è: se quell'impiego vale 50, a questo punto che facciamo con tutti quelli che non abbiamo visto ? Nell'esercizio, quanto esaminato analiticamente è stato riportato all'universo. È un esercizio di inferenza statistica. Si può fare sul piano prudenziale, non su quello contabile.
Un altro effetto è legato al fatto che ci sono Paesi che hanno grandi imprese, per le quali sono fondamentali indicatori di bilancio, di cash flow, di leverage debito/vendite e così via, e altri, come l'Italia, che hanno molte piccole imprese, per le quali è molto importante, anziché analizzare il cash flow, guardare alle loro potenzialità e analizzarle qualitativamente.
In questo caso, per motivi di comparabilità, sono stati utilizzati indicatori meccanici, deterministici e finanziari. Non è stato possibile effettuare un'analisi qualitativa e questo spiega anche il verificarsi di una certa distorsione nella valutazione delle banche che operano soprattutto con una clientela di questo tipo.Pag. 11
Comunque, se il giudizio sulla tenuta del sistema bancario, alla luce dei risultati del comprehensive assessment, è complessivamente positivo, le eccedenze patrimoniali rispetto ai target dell'esercizio di valutazione sono risultate contenute per alcune banche popolari di media dimensione, che sono caratterizzate da strutture proprietarie e da assetti di governo societario che non agevolano gli interventi di rafforzamento.
Noi abbiamo una determinata posizione su questo tipo di banche, non perché pensiamo che il modello cooperativo non sia un modello importante, ma perché pensiamo che queste banche, soprattutto se operano a livello nazionale e internazionale, devono essere in grado di andare sul mercato dei capitali per rafforzarsi.
Pertanto, è importante continuare a sollecitare queste banche a porre in essere le misure, non solo organizzative, necessarie per agevolare la capacità di reperire risorse sul mercato e divenire più attraenti agli occhi degli investitori.
Analoghe richieste andranno rivolte alle banche minori, che non sono state parte dell'esercizio, così da accrescerne la robustezza patrimoniale e la capacità di finanziare imprese e famiglie.
Per tutti gli intermediari, questo processo di rafforzamento dovrà passare attraverso interventi sulle strutture organizzative e sui modelli operativi, ovvero sul business model, in modo da migliorare la redditività.
Aggregazioni volte a incrementare in senso operativo la capacità di raccogliere capitali possono favorire questi processi. Queste aggregazioni non sono necessariamente limitate alle piccole banche.
Completato questo assessment, è importante che l'attività di supervisione si estenda ora a livello dell'area dell'euro a temi importanti, analizzati finora in modo insufficiente. Tra questi, vi è sicuramente il controllo sui rischi connessi con l'operatività nel campo della finanza.
Poche banche in Italia, ma molte banche a livello internazionale, hanno nel loro portafoglio i cosiddetti «prodotti della finanza strutturata», quali i derivati e altri. Tutti questi prodotti non hanno un valore di mercato, perché spesso non sono standardizzati e non sono scambiati sul mercato. Questi prodotti si chiamano, infatti, over the counter.
Per valutare questi prodotti si usano modelli matematici di finanza, basati su ipotesi. Bisognerebbe analizzare queste ipotesi una per una. In parte questo è stato fatto, ma alla fine l'esercizio nella nostra valutazione si è concentrato sulla valutazione dei crediti. Si è riusciti a valutare meno in profondità questi level 3 assets (attività di terzo livello).
Il punto importante è che questi prodotti possono essere tenuti in portafoglio ma devono essere valutati a prezzi giusti. Questo sarà un aspetto che andrà verificato già da quest'anno.
Altro aspetto riguarda la valutazione della congruità degli attivi a rischio delle banche, la quale richiede di verificare se i modelli interni che le banche usano per valutare i loro rischi di credito e di mercato sono effettivamente adatti.
Ad esempio, con riferimento ai titoli di Stato. Qualora una banca ne possieda tanti, come ne valuta la loro congruità in bilancio ? Deve fare delle ipotesi sul loro rischio desumendolo dalla serie storica ma, se c’è un cambiamento di regime, è difficile usare la serie storica: a volte bisogna tener conto dei dati più recenti e non di quelli più lontani, o viceversa. Si tratta, quindi, di effettuare una serie di interventi di convalida e di revisione dei modelli interni.
Sono questioni che consigliano la riduzione, ove necessario, del cosiddetto «grado di leva finanziaria degli intermediari» cioè, sostanzialmente, del rapporto tra il capitale delle banche di migliore qualità e l'attivo non ponderato, ovvero tutti gli investimenti che le banche fanno attraverso crediti alla clientela, acquisti di titoli e di partecipazioni.
Su questo fronte le banche italiane sono solide. Questo indice sarà introdotto formalmente nei prossimi anni e dal 2018 dovrebbe diventare vincolante. Noi siamo ai livelli di rischio molto bassi in base a questo parametro.Pag. 12
Concludo questa parte affermando che, in ogni caso, le banche italiane, come anche le banche europee, si trovano nella necessità di valutare con attenzione l'adeguatezza del loro modello di business. Questo peraltro non riguarda solo le banche ma le imprese in generale.
Abbiamo infatti un mondo tecnologicamente molto diverso da quello di pochi anni fa, abbiamo una serie di filiali di banche che probabilmente hanno poco lavoro. Non c’è più molta gente che va fisicamente in banca. Immagino che molti di voi trattino con le banche attraverso internet. Di tutto questo bisogna tenere conto. Che cosa diventeranno le banche e come si riorganizzeranno per far fronte a questo è una questione importante. Ciò è necessario anche per recuperare livelli di redditività adeguati, che sono nel nostro caso bassi a causa del cattivo andamento dell'economia. Quando l'economia va male, non ci può essere un settore particolare che va bene.
L'altro elemento – non parlo dell'assicurazione comune dei depositi, perché si tratta di un punto che è ancora a un livello iniziale di discussione – è la risoluzione unica delle crisi bancarie. Essa consentirà una gestione accentrata delle crisi e contribuirà, anche attraverso un graduale processo di mutualizzazione delle risorse necessarie per la gestione ordinata delle crisi, a recidere il legame tra le condizioni degli Stati e quelle delle banche.
Il problema è quello illustrato poc'anzi. Se, di fronte a una crisi in un Paese, non si riesce a isolare la banca da quel Paese, essa, sebbene in buone condizioni e ben organizzata, risente di quella crisi.
Purtroppo, si tratta di un processo complesso e laborioso. Ci vorranno molti anni prima che si possa veramente contare su un fondo in grado di mutualizzare le perdite, cioè su una sorta di fondo di assicurazione tra Stati.
In ogni caso, bisogna che partiamo entro i tempi che sono stati stabiliti, ovvero entro il gennaio 2016. È in corso in questo momento la costituzione a Bruxelles dell'autorità di risoluzione delle crisi bancarie.
L'impianto regolamentare in Europa è, quindi, basato su una separazione tra la risoluzione e la vigilanza, che si attua con il coordinamento della BCE. È un sistema di vigilanza nel quale noi sicuramente abbiamo rinunciato a un po’ di sovranità, in cambio della condivisione tra tutti i Paesi della sovranità sull'intero sistema bancario.
Molti, in special modo i tedeschi, sono preoccupati del possibile conflitto d'interessi che potrebbe crearsi. Se una banca è in crisi e il supervisore ne evita il fallimento per evitare un rischio di reputazione, le cose potrebbero aggravarsi ulteriormente. Pertanto, occorre separare i compiti.
Rispetto a tale modello, ritengo giusto ridurre i conflitti d'interesse dell'autorità responsabile delle funzioni di vigilanza e di risoluzione delle crisi, ma bisogna avere chiara una cosa: occorre assolutamente evitare sovrapposizioni di compiti. Chi decide di fare le ispezioni è un unico soggetto. Non è possibile che soggetti diversi mandino ispezioni alle banche. Bisogna attribuire chiaramente la responsabilità alle due autorità per diversi obiettivi e occorre sfruttare assolutamente le sinergie informative.
In fondo, per noi, che abbiamo svolto le due funzioni all'interno della Banca d'Italia e che peraltro ancora le svolgiamo – dato che siamo, e saremo anche per il 2015, autorità di risoluzione delle crisi – è molto importante avere l'informazione sulla situazione di una determinata banca. Magari deve essere separata la fase della decisione e deve essere chiaro chi costruisce l'intero iter, il quale non deve essere lo stesso soggetto che si occupa di vigilare sulla banca, ma è altrettanto importante la sinergia informativa.
L'ultimo punto di questa relazione riguarda il credito. Il credito a famiglie e imprese ha risentito pesantemente, non solo in Italia, della crisi finanziaria globale e di quella dei debiti sovrani.Pag. 13
Il peggioramento dell'economia è stato contrastato dall'azione del Consiglio direttivo della BCE e da misure adottate a livello sia nazionale sia europeo, quali il consolidamento delle finanze pubbliche, con tutti gli effetti difficili e problematici che questo ha comportato e tuttora comporta, l'avvio di riforme a sostegno della competitività e i progressi nel rafforzamento della governance economica dell'Unione.
In buona parte, la crisi del debito sovrano è stata causata da una cattiva governance dell'Unione, che in molti di coloro che investivano nell'Unione, ovvero in titoli pubblici dell'Italia, della Spagna, della Francia e degli altri Paesi, ha fatto sorgere il dubbio che l'unione monetaria si potesse rompere e, quindi, che l'euro si dovesse abbandonare.
Se questo dubbio si fosse affermato, chiaramente sarebbe stato impossibile recidere il rischio del debito sovrano, ovvero il default di uno Stato, dal funzionamento dell'economia e delle banche.
Questo è stato evitato, almeno nell'idea, con più Unione europea e non con meno Unione. Io ogni tanto faccio delle discussioni sull'Unione europea. È indubbio che, come diceva Padoa-Schioppa, questa è una moneta senza Stato. Ci sono, peraltro, due possibilità: o si fanno tante monete e tanti Stati e, quindi, si torna indietro, con tutti i rischi che ciò comporta, oppure si fa più Stato e, quindi, si progredisce nell'Unione, il che vuol dire unione di bilancio e condivisione di responsabilità (non cessione di sovranità), fino a momenti di unione politica.
Se prima della moneta unica ci fosse stato l'esercito unico, nessuno avrebbe avuto dubbi che questo Stato europeo sarebbe rimasto in vigore e, quindi, che l'euro non sarebbe stato abbandonato. Nel momento in cui non c’è lo Stato, questo dubbio può sorgere.
Dei progressi sono stati fatti in questo senso. Nel 2012 è stato deciso di realizzare l'unione bancaria. I rapporti della Commissione e del presidente dell'Unione hanno specificato i vari passi per gli altri tipi di unione e la BCE, con la definizione di un possibile intervento sui titoli pubblici, ha deciso di credere a questo progresso e di fare da ponte, per evitare che i mercati mettessero in dubbio questo processo.
Questo è stato molto importante per il riassorbimento dello spread, buona parte del quale si è verificato da quel momento. Questo ha evitato il circolo vizioso. Ciò non vuol dire che lo spread scenda a zero, perché il differenziale tra i titoli pubblici di un Paese e quelli di un altro Paese dipende dai fondamentali dell'economia. Questo è inevitabile ed è anche un buono stimolo per prendere decisioni di correzione. Invece, la parte che riguarda l'assicurazione che il mercato richiede per assumersi un rischio che era stato valutato in modo impreciso è stata corretta.
In seguito, con la riduzione dei tassi ufficiali, abbiamo reagito a un andamento dell'economia molto negativo. Noi abbiamo rischiato il credit crunch nel 2011-2012. Lo abbiamo superato con operazioni di rifinanziamento delle banche, le quali hanno avuto funding dalla BCE, che ha sostituito il funding che era venuto a mancare. Questo funding ovviamente aveva due funzioni: la prima era quella di mantenere i crediti e l'altra era quella di ottenere una liquidità mediante la quale dotarsi di finanziamenti per far fronte alla scadenza di obbligazioni che le banche avevano in portafoglio.
Nel frattempo, questi fondi sono stati in buona parte tenuti in titoli di Stato. L'analisi dell'ipotesi controfattuale, cioè di ciò che sarebbe successo in assenza di questo, è un esercizio che va compiuto. Il controfattuale sarebbe stato una caduta del credito molto più forte di quella che si è verificata.
Il punto è che tale misura non è stata sufficiente a stimolare l'economia. Infatti, l'economia risentiva, da un lato, di aggiustamenti di finanza pubblica e, dall'altro, della difficoltà concreta di attuare riforme di natura strutturale, in grado di creare un ambiente più favorevole per gli investimenti.
Ciò che è avvenuto, alla fine, è stata la necessità da parte della Banca centrale di Pag. 14utilizzare tutti gli strumenti di politica monetaria convenzionali, portando i tassi d'interesse praticamente a zero, e aggiungervi degli strumenti non convenzionali.
Tra questi strumenti, cito le targeted longer-term refinancing operations, cioè le operazioni di finanziamento mirate – di cui le prime due tranche si sono esaurite nei giorni scorsi – l'acquisto di altri titoli, gli asset-backed securities (ABS) o covered bonds e, in prospettiva, di titoli tout court. Ciò è quanto serve per riportare il bilancio della Banca centrale europea a livelli congruenti con un'economia la quale risente in questo momento di una disinflazione molto forte. Non è una deflazione ma è un allontanamento consistente dall'obiettivo di stabilità monetaria, ovvero di stabilità dei prezzi, definito dalla BCE.
In Italia, questi interventi hanno certamente attenuato la caduta del credito, ma la dinamica dei prestiti resta negativa. Ci si può interrogare su quali siano le ragioni di questo fenomeno. Ritengo vi siano un effetto di domanda e un effetto di offerta.
L'effetto di domanda è dovuto al fatto che queste operazioni di finanziamento mirato, che sono molto convenienti per le banche, non sono state completamente utilizzate. Da noi sono state utilizzate per i tre quarti, in altri Paesi per il 50 per cento. Ciò vuol dire che in parte la domanda di credito, a fronte di investimenti possibili, ancora non è consistente.
In secondo luogo, vi sono delle strozzature dal lato dell'offerta. Tali strozzature dipendono in parte dal fatto che in alcuni casi vi è già una rischiosità molto forte nei portafogli delle banche, le quali hanno quindi la tendenza a richiedere requisiti molto pesanti ai propri clienti, per evitare di avere un incremento delle sofferenze.
La cosa importante è che i prestiti in sofferenza delle banche italiane sono cresciuti negli ultimi anni. Attualmente rappresentano quasi il 10 per cento del credito all'economia. Negli ultimi tempi, peraltro, il flusso di nuove sofferenze è sceso: era salito dall'1 per cento circa al 3 per cento all'inizio di quest'anno e poi è sceso negli ultimi tempi. Credo che adesso sia intorno al 2,5 per cento e probabilmente continuerà a scendere. Tuttavia, si sono accumulati nel frattempo uno stock di sofferenze alto e uno stock di crediti deteriorati alto e ciò costituisce un problema.
La ripresa dei prestiti bancari sarà necessariamente graduale. Stimiamo che quelli alle società non finanziarie riprenderanno a crescere non prima della metà del 2015 e quelli alle famiglie potranno tornare ad aumentare già nei primi mesi dell'anno. Come ho detto, le operazioni TLTRO possono avere un effetto modesto. Se non saranno sufficienti, bisognerà fare altro.
L'andamento del credito, secondo me, risente soprattutto dell'incertezza sulle prospettive di crescita complessive. È vero che sembra un ragionamento circolare: il credito serve per crescere, però senza crescita non c’è credito.
Il punto di fondo è avere piani di investimento, in particolare da parte delle imprese, e poi, rispetto a questi piani, ricercare i finanziamenti adeguati.
Quello dei piani d'investimento è un problema grande, legato a fattori congiunturali e anche a fattori strutturali. Il mondo è molto cambiato negli ultimi anni, come abbiamo visto: c’è stato un invecchiamento della popolazione, quindi bisogna soddisfare esigenze diverse da quelle sulla base delle quali le imprese si sono andate costituendo negli ultimi anni. C’è inoltre un problema di globalizzazione, c’è la concorrenza internazionale, ci sono le nuove tecnologie. Forse serve meno lavoro e servono più macchine e più robot.
Tutto questo aggiustamento comporta, però, anche la necessità di una certezza delle modalità in cui le imprese possono operare, sul piano amministrativo, sul piano fiscale, sul piano dei servizi pubblici, sul piano delle autorizzazioni ambientali e sul piano della legalità, ovvero sul piano delle questioni di cui leggiamo sui giornali.
Tutto questo è quello che io chiamo il «clima per le imprese», o business climate, senza il quale è molto difficile che vi sia certezza.Pag. 15
Inoltre, bisogna avere certezza che, se si fa una riforma, questa si mantiene nel tempo. Non si può fare una riforma e poi tornare indietro e farne un'altra. Si può legittimamente cambiare idea, però l'importante è che ciò non avvenga ogni due mesi, altrimenti l'impresa rimane in attesa che le idee si siano ben consolidate e nel frattempo non investe.
Intendo dire che l'incertezza gioca un ruolo importante nel tenere bassi gli investimenti e, con gli investimenti bassi, rimane bassa anche la domanda di credito per buoni progetti. La domanda di credito per mantenere in vita imprese in difficoltà c’è sempre. È quella che le banche fronteggiano anche con un aumento delle sofferenze.
Oltre a questi aspetti, c’è un indebolimento della ripresa in generale, non soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi, perfino in Germania. Abbiamo un andamento dell'inflazione molto negativo, che è diffuso in tutti i Paesi e peggiorerà nei prossimi mesi, a causa della caduta del prezzo del petrolio.
La caduta del prezzo del petrolio è una cosa positiva per le economie, ma bisogna tener conto del fatto che essa, contemporaneamente, fa scendere i prezzi e se si resta con prezzi bassi e con inflazione bassa molto a lungo ciò costituisce un problema rilevante per i Paesi che hanno debiti. Infatti, come insegna la teoria economica, la deflazione con i debiti porta conseguenze molto negative.
Questo è il motivo per cui, a livello di BCE, molti di noi sostengono che si debba andare nella direzione di un contenimento assoluto di questi rischi.
Infine, in una prospettiva di medio termine, bisogna considerare un aspetto inevitabile: le banche dovranno aumentare il loro grado di patrimonializzazione e la dipendenza del sistema produttivo dalle banche si dovrà ridurre; ciò dovrà avvenire anche in un contesto, come quello italiano, in cui il finanziamento delle imprese nel mercato dei capitali, attraverso l'emissione di obbligazioni o di azioni, è particolarmente difficile.
Si tratta di una caratteristica non solo italiana, ma dell'Europa continentale. In Italia questa tendenza è più forte perché abbiamo molte piccole e medie imprese: sono ripartiti infatti i prestiti obbligazionari per le medie e le grandi imprese in Europa, e questo trend ha interessato anche le grandi imprese italiane, ma per le piccole imprese ciò è molto più complesso.
Ci sono interventi su cui sta riflettendo sia la Commissione europea sia il Governo, finalizzati a rivitalizzare una modalità di finanziamento privato, alternativo a quello bancario. È indubbio che questa è una sfida importante che bisogna raccogliere con forza.
Vorrei chiudere dicendo che, per proseguire nel ripristino durevole della stabilità finanziaria nell'area dell'euro e per assicurare più favorevoli condizioni di finanziamento, vanno ulteriormente rafforzate le politiche europee. Sono stati compiuti dei passi avanti. C’è stato un accentramento della vigilanza, il quale ha l'obiettivo di migliorare il mercato unico del credito, che faccia da pendant al mercato unico che esiste in Europa per beni e servizi.
È indispensabile che ci sia un contesto giuridico completo, chiaro e omogeneo, nel quale possa operare l'attività di vigilanza. Tuttavia, sono necessari anche progressi in altre direzioni: da un lato, la creazione di un bilancio pubblico comune e, dall'altro, un'azione condivisa per sostenere gli investimenti pubblici, che in Europa sono diminuiti in quattro anni di circa il 25 per cento.
Per quanto riguarda il modo in cui si affrontano i problemi di flessibilità, ritengo non sia questa la sede né l'autorità alla quale bisogna rivolgersi per avere tali risposte. Tuttavia, è chiaro che va ricercato il contributo di tutte le fonti di finanziamento: le banche, il bilancio comunitario e la Banca europea degli investimenti. Pensate al Piano Juncker, che ha l'obiettivo di finanziare 300 miliardi di euro di investimenti ma con un capitale ridotto e un leverage molto alto. Pertanto, ci sono questioni ancora da approfondire. Pag. 16Un'altra fonte di finanziamento sono forse gli stessi bilanci pubblici nazionali. Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Governatore.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARCO CAUSI. Vorrei porre al Governatore soltanto una domanda.
Abbiamo letto tutti l'altro ieri, su un importante giornale italiano, un'ampia intervista del Presidente della Bundesbank, che riporta le opinioni di quest'ultimo.
Peraltro, lei poco fa ha affermato che ritiene che il contenimento del rischio di avvitamento fra deflazione e debito pubblico sia il tema principale dei prossimi giorni. Io le domando: Governatore, lei ha mai fatto un'intervista su un grande quotidiano tedesco ? Ha intenzione di fare un'intervista su un grande quotidiano tedesco per sostenere le tesi a favore del Quantitative Easing (QE), mentre il suo collega interviene con un'intervista su un grande quotidiano contro il QE ?
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Jens Weidmann è seduto accanto a me nel Consiglio della BCE, quindi noi siamo le due persone che parlano di più, sia nel Consiglio in generale, sia fra di noi, scambiandoci delle idee. È una persona molto simpatica, Dal punto di vista anagrafico potrebbe essere mio figlio
Per quanto riguarda l'intervista, la risposta è affermativa. L'intervista di Weidmann è interessante, ma si possono non condividere molte delle cose che ha affermato. In particolare, lui mette in luce il fatto che, nel caso si acquistassero titoli pubblici, ci sarebbero rischi sui bilanci delle banche nazionali, sottolineando che, se poi ci fosse un problema in uno Stato, i rischi verrebbero accollati al taxpayer di un altro Paese. Questo non gli pare giusto. Tuttavia, non afferma che non si deve fare, dice che non gli pare opportuno che si faccia. Dice infatti che non è vietato, mentre fino a ieri lo era: dunque, abbiamo imparato qualcosa da questo intervento.
Dall'altro lato, non approfondisce un elemento che bisognerebbe mettere in luce. È vero che ci sono dei rischi sui bilanci delle banche centrali. Se io compro i titoli di un Paese che non va tanto bene, mi assumo un rischio. Se il Paese fallisce, questo rischio sta nel mio bilancio o nel bilancio generale del sistema e viene ripartito pro quota, per cui io me ne prendo il 18 per cento e Weidmann se ne prende il 27 per cento.
Ciò vuol dire che, nella retrocessione degli utili, oltre a quei pochi soldi che daremo alle banche, andrà meno al taxpayer, ma ridurremo, per correlazioni evidenti, i rischi individuali, attraverso l'abbassamento del rischio macroeconomico complessivo. Infatti, c’è una correlazione con il rischio macroeconomico. Pensate all'aumento dello spread, che è legato al fallimento dell'euro. Se io riesco a eliminare l'uno, elimino anche l'altro e, quindi, anche il rischio sul bilancio della sua banca centrale si riduce. In qualche modo, bisogna convincerlo di questo.
PRESIDENTE. È un'intervista che sprizza bontà da tutti gli artigli.
GIAMPAOLO GALLI. Credo che questa audizione abbia confermato almeno la mia opinione circa il fatto che la Vigilanza in Italia ha operato secondo criteri molto prudenziali.
Abbiamo sentito i dati sugli interventi di ricapitalizzazione delle banche che sono stati realizzati in Italia: 4 miliardi di euro a fronte di 250 miliardi di euro in Germania e di numeri molto più elevati negli Stati Uniti, in Spagna, in Irlanda e così via.
Bisogna tener conto del fatto che anche gli stress test sono stati fatti con uno stress formidabile sul Paese Italia e, quindi, anche sulle banche. Di questo i giornali hanno sì dato conto, ma non hanno dato abbastanza rilievo al fatto che lo stress è stato del – 12 per cento di PIL cumulato e dell'aumento del tasso d'interesse dal 2 al 6 per cento.
Per ciò che riguarda l'unione bancaria, vista come uno degli strumenti per dare Pag. 17solidità all'euro, mi chiedo in quale misura possiamo dire se siamo nella direzione giusta o a metà del guado.
A me sembra che, se l'obiettivo è quello di scindere il legame fra il rischio sovrano e il rischio bancario, questo non lo si ottiene con la supervisione unica, bensì con il trasferimento di risorse (il cosiddetto transfer union), rispetto al quale Weidmann è contrario, e quindi attraverso il meccanismo unico di risoluzione, il quale, peraltro, sarà operativo dal 2023 con risorse molto modeste, e con l'assicurazione unica dei depositi.
Certamente non vedo come lo si possa ottenere con il meccanismo di bail-in. Io sono rimasto stupefatto che quella cosa sia stata approvata. Si tratta, in qualche modo, del modello Cipro. A me sembra che quello sia un meccanismo di intervento che peggiora la trasmissione dei rischi ed elimina fattori di discrezionalità che sono assolutamente indispensabili nelle operazioni di salvataggio, o di non salvataggio, delle banche da parte delle autorità preposte.
Mi chiedo se possiamo già dare un giudizio positivo, perché comunque la supervisione unica è un primo passo indispensabile, oppure siamo ancora molto lontani da dove dovremmo essere per dare solidità al sistema.
Mi chiedo anche se, da un lato, abbiamo fatto un passo troppo piccolo, perché non siamo arrivati a un trasferimento di risorse, e, dall'altro, abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, nel senso che abbiamo creato una sorta di scissione fra il momento della sovranità e il momento della decisione circa l'utilizzo delle risorse del contribuente. Se si è creato un meccanismo per cui c’è qualcuno, a Bruxelles o a Francoforte, che dice che una nostra banca non va bene e poi qualcun altro, nel nostro caso il Governo italiano con la Banca d'Italia e il Parlamento, che è tenuto a impegnare delle risorse.
Credo che questo meccanismo del bail-in abbia dei limiti. Mi chiedo se non ci siano dei problemi che attengono, non solo a una ripartizione funzionale di compiti, che pure è importantissima, fra la BCE e le banche centrali nazionali, ma anche al contenuto di questa devoluzione. Mi chiedo quindi se, nel momento in cui si devolvono poteri, si devolvono anche risorse. Le due cose, infatti, devono andare insieme.
CARLA RUOCCO. Ho una domanda che riguarda il rispetto da parte della banche delle condizioni cosiddette «patti chiari». Non sempre queste condizioni sono rispettate. I clienti, e in particolare le piccole imprese, soffrono molto di questo, perché ciò determina l'alterazione delle strategie commerciali e finanziarie delle imprese stesse. Vorrei, quindi, sapere come la Banca d'Italia intende esercitare questo tipo di controllo.
Inoltre, vorrei sapere dov’è fisicamente l'oro della Banca d'Italia, cioè in quali Paesi, e se si intende farlo rientrare integralmente.
Oltre a ciò, vorrei conoscere la sua opinione circa la solidità delle banche di piccole dimensioni. È chiaro infatti che si va verso una globalizzazione e, quindi, un'estensione del fenomeno dell'accorpamento bancario, per cui le banche di piccole dimensioni sono destinate a scomparire. Vorrei sapere se lei prevede, in prospettiva, una scomparsa delle piccole realtà oppure che tipo di intervento normativo ritiene si possa adottare per aiutare queste realtà a non scomparire.
DANIELE PESCO. Lei ha parlato di Banca Carige e della Banca Monte dei Paschi di Siena. Non possiamo non ribadire che secondo noi la Vigilanza in questi casi è stata veramente insufficiente.
Ad esempio, sul caso Carige le prime avvisaglie che qualcosa non andava si sono avute nel 2005-2006, quando la Banque de France comunicò che vi erano operazioni particolari per la filiale francese di Banca Carige. Solo nel 2013 è stata realizzata e consegnata alle autorità una relazione su quello che stava accadendo in Banca Carige.
Ciò vale anche per il caso Monte dei Paschi. Secondo noi, infatti, quando vengono acquistate da una banca altre banche Pag. 18a prezzi spropositati, senza che l'autorità di vigilanza verifichi se effettivamente siano state acquistate con una dovuta valutazione dei rischi o con una corretta due diligence, si è verificata qualche mancanza.
Purtroppo, peraltro, il Parlamento non può neanche chiedere al Governo un parere su come ha operato Banca d'Italia. Si tratta di una cosa veramente singolare. Su tali questioni i parlamentari non possono interrogare il Governo sull'operato di Banca d'Italia, perché ci viene risposto che essa è autonoma e che non è tra le competenze del Governo cercare di capire se un'istituzione così importante stia operando nel modo corretto. In ogni caso, su questo punto faremo degli approfondimenti.
L'altro tema su cui voglio insistere riguarda l'unione bancaria europea, alla quale probabilmente ci stiamo avvicinando in modo non troppo regolare e non vantaggioso per i cittadini di tutta Europa. Ritengo che la stessa valutazione delle banche europee sia stata fatta in modo poco ortodosso, visto che sembrerebbe che i 54 trilioni di euro di derivati che sono nella pancia delle banche tedesche siano stati ignorati, mentre sono state penalizzate le nostre banche, le quali «fortunatamente» sono più esposte per quanto riguarda il credito.
Ciò che mi ha incuriosito, inoltre, è che lei quasi non ha menzionato il fatto che le banche hanno compiuto anche molte operazioni speculative in questi anni. Sembra che il cattivo andamento del sistema bancario sia dovuto solo agli incagli, alle sofferenze, ma le banche hanno investito anche in molte attività diverse dal credito all'economia reale. Su queste cose può dirci qualcosa in più ? Secondo lei, le banche hanno forse qualche responsabilità in investimenti mal fatti lontani dall'economia reale ?
Forse un miglior andamento della situazione economica e finanziaria dell'Europa e le misure che si stanno attuando sono qualcosa, ma non sono sufficienti. Forse un Quantitative Easing più sostenuto potrebbe dare una mano in più all'economia reale, che è quella che veramente dobbiamo riuscire a sostenere.
L'acquisto di ABS è iniziato: secondo lei, potrebbe continuare anche con l'acquisto di altri titoli cartolarizzati di altro tipo ?
Questa è la situazione. I conti delle banche sono messi piuttosto male, quindi un'attività di pulizia come quella che sta avvenendo forse è la soluzione migliore, ma bisogna anche ammettere che probabilmente ci sono delle responsabilità per questa situazione.
L'ultima osservazione è sul reddito di cittadinanza. Alla Banca d'Italia siete molto esperti in statistiche e in analisi dei dati, soprattutto sulla situazione delle famiglie italiane. Anche noi spesso abbiamo utilizzato i vostri dati per elaborare le nostre stime: cosa pensa della possibilità di riuscire a dare un reddito a tutti, che possa essere speso e utilizzato per il rilancio dell'economia reale ?
MATTEO COLANINNO. Signor Governatore, mi concentrerei sulle ultime frasi della sua relazione. Parlando di business claim, lei ha fatto riferimento all'urgenza condivisa di sostenere gli investimenti pubblici, i quali sono diminuiti nell'area dell'euro di quasi un quarto in quattro anni, e ha fatto esplicito riferimento, oltre che al bilancio comunitario, alla Banca europea degli investimenti, agli investitori privati e agli stessi bilanci pubblici nazionali.
Con riguardo alla situazione italiana, peraltro, posto che veniamo da un periodo di crisi molto pesante e ci troviamo di fronte a un sistema produttivo industriale caratterizzato da un numero elevatissimo di imprese con una capitalizzazione molto sottile, oltre che da una organizzazione spesso insufficiente per affrontare la competizione sui mercati internazionali, siamo in una condizione di avversione al rischio molto elevata e di un indice di fallibilità delle piccole imprese molto elevato. In tale quadro, credo non sia facile attendersi a breve da questo numero elevato – parliamo di milioni – di piccole imprese, una reazione in termini di capacità di rimettere Pag. 19in moto la dinamica degli investimenti.
Poiché lei fa proprio riferimento esplicito alla necessità di sostenere gli investimenti pubblici, che cosa pensa di un'eventuale creazione di un fondo sovrano – come è accaduto in molte altre economie non solo occidentali, ma anche asiatiche – che orienti i propri investimenti pubblici ma che abbia anche l'obiettivo di mobilitare i mercati finanziari internazionali, quindi risorse private, insieme a un eventuale fondo sovrano a controllo pubblico ?
Il target non sarebbero solo i settori strategici tradizionali, quale il settore manifatturiero, ma anche, e soprattutto, i mercati di altri settori come il turismo – rispetto al quale tutti parlano di grandi potenzialità ma che in realtà oggi partecipa al PIL per un livello inferiore al 10 per cento – o l'agricoltura. A tale proposito, cito l'esempio di Israele, che si sta distinguendo per investimenti particolarmente elevati, in termini tecnologici, proprio nel settore agricolo. Qual è la sua opinione su questi temi ?
Una domanda molto specifica riguarda la pagina 9 del testo scritto della sua relazione, con riferimento al tema delle banche popolari. Nell'unione bancaria europea c’è già una idea, un benchmarking, rispetto a questo tipo di attività bancaria ? Si tratta infatti di un tipo di attività bancaria che è molto ancorata ai nostri territori ma che, in una proiezione futura – anche rispetto a quanto emerso in questi anni – ha evidenziato dei limiti in relazione agli assetti di governance, che si sono perpetuati fisiologicamente per molti anni, al voto capitario, alla partecipazione al capitale. Tutto questo ha una proiezione futura nell'ambito di un benchmarking nell'attuazione dell'unione bancaria europea ?
FRANCESCO RIBAUDO. Vorrei esplicitare meglio, dal mio punto di vista, la domanda rivolta dal collega Colaninno. Con la nuova unione bancaria e l'ipotesi di avere banche di investimento separate dalle banche commerciali, le piccole banche avranno ancora ragion d'essere, che prospettive avranno ?
Inoltre, dato che la Commissione Finanze ha lavorato tantissimo sulla riforma della Banca d'Italia, vorrei capire a che punto siamo con le sottoscrizioni delle quote della Banca da parte delle banche.
FEDERICO GINATO. Tocco due punti già citati nella relazione, ma per fare un passo in avanti. Mi sembra che sia emerso dalla relazione che la costruzione dello scenario avverso nell'ambito degli stress test abbia penalizzato in modo particolare il sistema bancario italiano, sia per quanto riguarda l'esposizione verso i titoli di Stato – mi riferisco al suo accenno ai titoli available for sale – sia per quanto riguarda l'esposizione nei confronti dell'economia reale, e mi riferisco, in questo caso, all'ipotesi prospettata di caduta del PIL, che era particolarmente negativa.
Sul tema lei ha già risposto in parte, tuttavia le chiedo: c’è la possibilità che, nel breve o nel medio periodo, gli stress test siano rimodulati e riequilibrati considerando l'esposizione verso la finanza, ossia l'esposizione speculativa delle banche ? Lei citava dei modelli matematici difficilmente armonizzabili: ci sono già delle ipotesi concrete, anche nel breve periodo, di riequilibrio di questi parametri ?
In secondo luogo, mi sembra che sia sotto gli occhi di tutti il perdurare delle sofferenze bancarie, sebbene ve ne sia stata una riduzione. I titoli di Stato renderanno probabilmente meno nei prossimi mesi e anni, quindi c’è un'ipotesi di caduta della profittabilità delle banche: questo fenomeno avrà un riflesso anche sull'erogazione del credito all'economia reale ? Se sì, qualora non fossero sufficienti gli strumenti messi in campo dalla Banca centrale europea – quali l'acquisto degli ABS, le obbligazioni bancarie garantite, i TLTRO – ci sono già delle ipotesi in campo ?
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Una cosa che mi colpisce e mi preoccupa molto, Governatore, è l'atteggiamento che si è tenuto presso la Commissione Finanze, Pag. 20anche da parte della Banca d'Italia, in merito all’asset quality review. Per la prima volta nella storia del nostro Paese, abbiamo deciso che non sarebbe stata la Banca d'Italia a svolgere questa tipologia di operazioni di verifica, bensì delle società private.
Ho presentato un'interrogazione in Commissione al riguardo. Data l'indipendenza della Banca d'Italia, è sempre molto difficile presentare atti di sindacato ispettivo su qualsiasi argomento che la riguardi. Infatti, le nostre interrogazioni in merito a qualsiasi operazione di Banca d'Italia vengono quasi sempre considerate inammissibili, qualsivoglia questione riguardino. Nel caso in esame, noi riteniamo che ci sia un conflitto d'interesse all'interno di Banca d'Italia – così come evidenziato dall'interrogazione che ho appena citato – in merito al Direttorio, agli azionisti, alla nomina del Governatore, all'emanazione delle quote di stipendio spettanti al Governatore, al Direttore generale. Credo, però, che questo conflitto d'interesse sia minore rispetto a quello che potrà verificarsi con riferimento alle dieci società private che dovranno effettuare le due diverse valutazioni degli asset bancari durante l’asset quality review.
In risposta alla mia interrogazione, ho avuto, da parte del Governo, informazioni soltanto su cinque di queste società.
In particolare, ad una mia prima interrogazione non ho avuto alcuna risposta. Chiedevo quale fosse l'abbinamento tra queste società e le società bancarie oggetto della valutazione, anche perché all'interno del decreto-legge n. 25 c'era una norma, introdotta dal gruppo M5S al Senato, che prevedeva l'eliminazione di qualsiasi tipologia di conflitto d'interesse, anche qualora esso emergesse in un momento successivo alle operazioni di valutazione in essere.
Dopo una seconda interrogazione, rispetto a tali società sono stati forniti soltanto i nomi di PwC, Ernst & Young, KPMG, Deloitte e Mazars. La mia analisi, invece, riguardava principalmente le altre cinque società: Prelios, ad esempio, la quale è posseduta da MPS per il 3,39 per cento, Bipiemme per il 5,62, Camfin per il 5,62, Intesa San Paolo per il 5,54, UniCredit per il 10,71, e Pirelli Spa per il 29,21; quest'ultima è, a sua volta, proprietà di Lauro 61 Spa al 26,9 – e sappiamo tutti di chi è la proprietà di Lauro 61 Spa – e di Mediobanca Spa al 3,95. Inoltre, essa riguardava CRIF, la quale è proprietà di Deutsche Bank al 2,55 e di Banco Popolare all'1,92 per cento.
Non è estremamente rischioso affidarsi a queste società, piene di conflitti d'interesse, che sappiamo non essere normati, dato che in Italia la normativa sul conflitto d'interesse è piuttosto fumosa ? Addirittura, il 15 per cento di Protos Spa è di proprietà di KPMG, che era un'altra società che faceva valutazioni diverse, ma sempre nell’asset quality review.
Lei parla del filtro sulle attività available for sale (AFS) e della mancanza di armonizzazione tra norme europee e norme nazionali e afferma che l'Italia è giustamente dispiaciuta per questo atteggiamento e non concorda con queste modalità. Ebbene allora le chiedo: cosa fa l'Italia in merito a tale questione ? Che cosa può fare ?
Avrei tante domande, ovviamente, ma abbiamo fretta.
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Perché non mi viene a trovare...
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Con piacere, Governatore. Veramente con piacere. È da tanto che ci pensavo. Intanto, le rivolgo quest'ultima domanda. Con riferimento al bail-in, lei prima ha parlato di obbligazioni, ma non è così. Si parla anche di depositi sopra i 100.000 euro, mi corregga se sbaglio. Vorrei quindi chiederle: al di fuori del suo ruolo, che cosa pensa del fatto che dovrebbe pagare chi non ha voce in capitolo sulla gestione del rischio bancario ? Il correntista che potere di gestione ha all'interno della banca e dell'intero sistema bancario ? Non ne ha nessuna. Di conseguenza: perché dovrebbe pagare ?
In secondo luogo, nel caso in cui dovesse pagare lui, andrebbero rivalutati Pag. 21tutti i rischi derivanti dalle obbligazioni acquistate dai clienti, perché i rischi stessi diminuirebbero. Se il cliente partecipa al rischio, allora dovrà pagare anche meno. Nel momento in cui sarà introdotta un'operazione come quella del bail-in, a livello nazionale la media dei costi di questi prodotti dovrebbe scendere. Qual è il suo parere su tale questione ?
ROCCO PALESE. Ringrazio il presidente e la Commissione, che hanno assunto quest'iniziativa molto importante e salutare per il Paese. Ringrazio, chiaramente, il Governatore della Banca d'Italia per aver fornito in quest'audizione una serie enorme di informazioni.
Tanti profili sono già stati trattati dai miei colleghi e li toccherò nuovamente. Vorrei chiedere al Governatore, in maniera molto pragmatica: in merito all'attuazione dell'unione bancaria europea, che cosa può fare il Parlamento, ove fosse necessario, in termini di intervento normativo, per rafforzarla e attuarla nel migliore modo possibile ? Le saremmo veramente molto grati se indicasse alla Commissione Finanze e al Parlamento, per attuare l'unione bancaria europea al meglio e in maniera concreta e trasparente, se ritiene necessario integrare la normativa vigente e in che modo.
In secondo luogo, le sottopongo un aspetto relativo alla attività di Vigilanza. Mi rendo conto del grande lavoro svolto dalla Banca d'Italia per la Vigilanza e cito le situazioni assai note di MPS, Carige, Tercas, Banca Marche. Non sappiamo se ce ne sono altre, ma mi riferisco a queste in particolare per porre un altro problema.
Ferma restando l'indipendenza assoluta della Banca d'Italia nello svolgimento delle sue funzioni, ritiene che possa essere necessario, anche in quest'ambito, un rafforzamento della normativa vigente o l'introduzione di norme ad hoc per realizzare un aumento dei poteri propri della Banca d'Italia con riferimento alla Vigilanza ? Le faccio questa domanda ricordando anche quello che è emerso dalle inchieste giudiziarie. Ritiene necessario un intervento del Parlamento in tal senso ?
Poi vorrei fare una considerazione non prettamente tecnica. Io risiedo, Governatore, in una regione, la Puglia, molto ricca di banche territoriali. Lei saprà, certamente meglio di me, che abbiamo una ricchezza enorme di banche popolari, di banche di credito cooperativo, che sostengono e hanno sostenuto da sempre, storicamente, il territorio. C’è in alcune parti del territorio pugliese addirittura un'identificazione con la banca, che i cittadini ritengono essere un'istituzione locale.
Nel contesto dell'unione bancaria europea, cosa è possibile fare – anche in questo caso, se necessario, attraverso un intervento di tipo normativo – per cercare di mantenere questo forte legame delle banche locali con il territorio ?
Passo ora alla parte finale della sua relazione la quale, ahimè, segnala anche elementi di preoccupazione. In questo contesto vorrei chiederle, e la domanda non è riferita certo a lei: si parla di attuazione dell'unione bancaria, di unione fiscale, ma nel sistema bancario europeo, nell'ambito delle vostre autorevoli riflessioni tecniche, si ha la percezione di quello che sta accadendo all'interno dell'Europa in termini di sofferenza e di credibilità ?
Ci si rende conto del livello di ribellione dei cittadini nei confronti dell'Europa e del sistema bancario ? C’è consapevolezza che in più parti dell'Europa sta sorgendo una grande contestazione, come se il sistema bancario fosse nemico della gente ? Ripeto: questa è una considerazione assolutamente non tecnica, ma di altro profilo, ma, perlomeno da quello che traspare, ho l'impressione che spesso e volentieri questa consapevolezza non ci sia.
PRESIDENTE. Concluderei con tre piccole domande da parte mia, signor Governatore.
Vorrei ritornare un istante proprio sul tema di crisi, salvataggio e bail-in. Vorrei chiederle qualche chiarimento sull'entità, sulla dotazione del Fondo unico a cui Pag. 22saranno affidati i salvataggi. Abbiamo letto nelle scorse settimane e mesi l'ipotesi di un Fondo di 50-55 miliardi di euro in 8 anni, ma sappiamo che l'entità delle sofferenze è molto maggiore. Considerando inoltre il meccanismo del bail-in, quali strumenti si possono mettere in campo per la salvaguardia dei risparmiatori, quindi per evitare che anche loro, oltre agli azionisti, siano chiamati in ultima analisi a ripagare i creditori, con gli effetti devastanti che ciascuno può immaginare ?
Inoltre, in questi mesi ci si rallegra molto, spero a ragione, dell'andamento basso degli spread. A mio avviso, però, poco ci si occupa e ci si preoccupa dell'andamento un po’ inquietante e poco rassicurante dei credit default swap. Cito a memoria: negli ultimi mesi, sul BTP decennale siamo saliti da 130 a 200 come CDS. Detto in termini brutali, questo vuol dire che servono 200.000 euro per assicurare contro il default un controvalore di 10 milioni di euro di BTP, e questa somma è il 50 per cento più alta di quella che era necessaria tre mesi fa. Mi sembra un dato piuttosto preoccupante.
Infine, lei ha intenzione, in sede di BCE e non solo, di porre anche formalmente la questione della modifica dello statuto della BCE, ovviamente nel senso di un suo ampliamento, non solo sul fronte dell'acquisto titoli, ma anche degli interventi sul cambio e di tutti quegli strumenti che possano allinearla alle banche centrali che contano ?
Le abbiamo trasferito sul tavolo materia per un ciclo di conferenze e ci affidiamo a lei.
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Non ho intenzione di chiedere modifiche dello statuto della BCE. Ogni cittadino potrebbe chiederlo, anche se di fatto non sarebbe ascoltato. Lo statuto è la conseguenza del Trattato di Maastricht, poi di Lisbona, e stabilisce l'indipendenza della Banca centrale, il che non vuol dire che la BCE possa fare quello che le pare, insieme con alcuni divieti.
Molti osservano che la Banca centrale europea, a differenza di altri soggetti, si occupa solo della stabilità dei prezzi e non fa altro per rilanciare l'economia; in realtà non credo che questo sia il vero problema. Se veramente fossimo in grado di garantire la stabilità dei prezzi, avremmo l'inflazione al 2 per cento e meno problemi di quelli che abbiamo. Forse non abbiamo gli strumenti per farlo in un'unione monetaria. Il problema grosso è che abbiamo una situazione imperfetta, quindi la questione, posta da Weidmann, relativa alla distribuzione dei rischi, è il punto cruciale. Siamo lontani dall'avere tutto l'armamentario possibile per affrontare questi problemi.
Ciò detto, non c’è nulla che possa impedirci di usare tutti gli strumenti che possediamo, perché il nostro mandato è molto chiaro e consiste nel dare stabilità monetaria. Se per ottenere ciò è necessario comprare titoli sul mercato secondario, viene fatto. Ovviamente vanno valutate anche le conseguenze di queste operazioni. In futuro si potranno mettere una serie di paletti ed è allo studio una serie di proposte, da parte di economisti di valore, secondo cui si potrebbero comprare anche titoli sintetici.
Credo, per rispondere anche a chi ha chiesto di altri eventuali strumenti e titoli, che il punto importante sia che lo statuto per ora prevede che i titoli dello Stato italiano non si possano comprare sul mercato primario. Si tratta di un divieto stabilito dal Trattato di Maastricht: è proibito il finanziamento monetario del Tesoro. Tale previsione risponde, in linea di massima, all'esigenza di evitare ciò che è stato molto spesso osservato da economisti tedeschi, in base a quanto già avvenuto in passato: si tratta dell'azzardo morale, del rischio morale. È quello che ha detto proprio Weidmann: se ti concedo un finanziamento, tu non ti comporti più in modo corretto. Il problema è che dobbiamo decidere cosa significhi comportarsi bene e questa è un'altra questione; è una questione politica, che compete ai Governi.
Penso che il Governatore non dovrebbe occuparsi di assicurare che un Paese si comporti bene, ma di cosa sia necessario fare per assicurare la stabilità monetaria, a meno che i cattivi comportamenti non Pag. 23mettano a rischio la stabilità monetaria, ed è un'opinione legittima. Molti pensano che, effettivamente, se c’è un problema di finanza pubblica, questo alla fine porta all'instabilità monetaria. A mio parere porta all'instabilità monetaria attraverso l'instabilità finanziaria e questa è un'altra delle condizioni necessarie da verificare.
Ieri, addirittura, si parlava ancora di rischio di inflazione, quindi c’è chiaramente un problema che non ha a che fare soltanto con la modifica di uno statuto che consente o meno di acquistare titoli pubblici, ma con una mutualizzazione, cioè con la creazione di un'unione vera. Se non c’è un'unione nella quale si possa considerare che il taxpayer è uno solo, è evidente che questo continuamente avverrà. La Jugoslavia si è disintegrata su tale questione, se ricordate, ma il motivo era che era costruita male dal punto di vista della governance.
Quanto alla riduzione degli spread, è vero, i credit default swap (CDS) sono aumentati recentemente, ma sono molto scesi rispetto al livello che avevano in passato. Nel 2012, rilasciai un'intervista al Corriere della Sera. All'epoca lo spread era intorno a 600: dissi che, secondo me, di quei 600, 200 punti erano più o meno ragionevoli, perché riflettevano le differenze fondamentali tra le economie. Gli altri circa 400 erano dovuti all'assicurazione contro un rischio eventuale di rottura dell'euro, che poi è stato scongiurato grazie al «whatever it takes» e alle decisioni che abbiamo preso in sede di BCE. Bisogna tuttavia considerare che non abbiamo scongiurato per sempre tale rischio.
La politica monetaria può avere effetti limitati sull'economia reale. Di certo non può far cambiare il tasso di crescita dell'economia né può sostituirsi alla politica. È la politica che deve prendere decisioni su riforme strutturali o sul riequilibrio dei conti pubblici. La politica monetaria deve dare il tempo perché tali iniziative abbiano successo, ma non può sostituirsi a quelle iniziative. Questo punto è importante e i mercati lo percepiscono.
Va anche chiarito che cosa siano i mercati. C’è chi dice che fanno solo speculazione, così come le banche: attenzione, nei mercati operano persone che cercano di investire i propri risparmi. Se le banche usano quei risparmi in modo speculativo e li mettono a rischio, certamente non rendono un servizio, per cui vanno accertate assolutamente la trasparenza e l'osservanza delle regole da parte delle banche stesse. Contemporaneamente, c’è da dire che i mercati sono composti da persone che operano in modo collettivo – a volte seguendo l'onda, altre volte accelerando uno stato di incertezza – e che quindi essi vanno regolati e bene interpretati. Anche l'aumento di CDS separati dai titoli di Stato, quindi, è un fenomeno che andrebbe letto collegandolo a quello che fanno le agenzie di rating le quali, sebbene siano, talvolta, utili, spesso non hanno le risorse sufficienti per capire le questioni fondamentali e arrivano troppo tardi.
Del bail-in mi è stato chiesto in vari interventi. Il punto fondamentale per separare il legame tra banche e debiti sovrani è l'attività di risoluzione delle crisi. Peraltro la Vigilanza è importante, perché una Vigilanza che opera in modo unico sulla base di standard comuni garantisce trasparenza: si possono esaminare le banche tedesche, così come quelle francesi, valutare ciò che possiedono e chiederci se siano state valutate correttamente. Si tratterebbe di un'operazione molto difficile perché bisognerebbe procedere, probabilmente, operazione per operazione, ed è questo il motivo per cui non è stata fatta in questo momento.
In ogni caso, è evidente che la dotazione del fondo di risoluzione è troppo bassa e che l'esercizio dal punto di vista burocratico è troppo complesso.
Siamo stati capaci di intervenire su visioni alternative prospettate da altri importanti Ministri di altri Paesi ? No. In proposito, vorrei ricordare dei dati: sono diventato Governatore nel 2011, abbiamo avuto cinque Ministri delle finanze in Italia, ma c’è sempre stato un solo Ministro delle finanze in Germania.
Di fronte a questo, però, il punto importante è che il nostro peso dipende veramente da quanta certezza riusciamo a Pag. 24dare ai nostri partner rispetto al fatto che alla prossima riunione ci saremo ancora e che saremo ancora efficaci. Molto importante è anche il lavoro dei nostri «burocrati», quello che fa la Banca d'Italia. Molte cose possono essere migliorate in Banca d'Italia e sono disposto a parlarne. Posso dire, però, che, ad oggi, è fondamentale andare nelle sedi istituzionali con tutte le informazioni necessarie per prenderci le nostre responsabilità.
Sul bail-in ce le siamo assunte tutte e abbiamo fatto cambiare la norma; non c’è stato nessuno che ci è venuto dietro. Alla fine, il presidente Draghi ha scritto una lettera ad Almunia. È stata una cosa straordinaria: volevamo sostanzialmente adottare uno strumento di salvataggio, mentre il bail-in, per come è concepito, a mio modo di vedere è qualcosa che può accelerare le crisi.
Siamo riusciti ad inserire la clausola di salvaguardia secondo cui, nel caso di rischi sistemici, tale meccanismo non si applica. Quando andiamo a discutere di queste questioni abbiamo sempre bisogno del sostegno del Governo e del Parlamento.
Mi avete chiesto che cosa possa fare concretamente il Parlamento. Il Parlamento, in effetti, su questi temi non ha mai preso posizione. Attualmente, ad esempio, c’è la direttiva europea CRD IV che non è stata esaminata, che riguarda anche i poteri di rimozione dei vertici bancari. In proposito si è detto: dov'era la Banca d'Italia nel 2005, nel 2011 o nel 2012 ? La realtà è che non poteva fare niente. L'unica cosa che avremmo dovuto fare era commissariare una banca, ma non si può commissariare una banca se ha un capitale sufficiente, così come non potevamo rimuovere i vertici della banca.
Si è richiamato il Monte dei Paschi di Siena. In questo caso abbiamo fatto un'ispezione e tirato fuori i dati, che sono stati consegnati alla magistratura, è stata poi svolta un'altra ispezione e i dati sono stati di nuovo consegnati alla magistratura. Alla fine il risultato è stato che abbiamo mandato a casa i vertici della banca. Venivamo da un momento in cui chi acquisiva una banca, lo faceva a prezzi di mercato sul mercato. Noi garantiamo, sostanzialmente, il rispetto delle norme, la ricapitalizzazione. Alcuni hanno scritto di 17 miliardi di euro, ma non è esatto, perché c’è una linea di liquidità assicurata da Antonveneta, tanto è vero che, quando è scoppiata la crisi di Lehman Brothers, non ci sono stati problemi di liquidità.
I problemi sono sorti a causa della costruzione della copertura di una perdita attraverso un derivato, motivata dalla volontà di escludere tale perdita, in quanto essa avrebbe determinato l'impossibilità di distribuire un dividendo. Si trattava di una costruzione complessa, sulla quale riteniamo di aver fatto tutto il possibile per capire e per intervenire. In una prima ispezione di vigilanza del 2010, infatti, abbiamo colto che qualcosa non andava e abbiamo chiesto una ricapitalizzazione. Essa è stata fatta, purtroppo, mettendo nei guai la Fondazione, ma tuttavia non è stata sufficiente. Abbiamo cominciato a constatare che c'erano dei problemi di liquidità e che la banca non ce la faceva.
Abbiamo disposto quindi una seconda ispezione nel 2011. Abbiamo appurato che il problema della liquidità era legato, sostanzialmente, al fatto che la banca doveva continuamente spostare risorse per far fronte a rischi derivanti dall'aumento dei tassi di interesse. Era esplosa infatti la crisi del debito sovrano e il problema era legato al fatto che la curva dei tassi si era invertita e non era spostata verso il basso, il che avrebbe compensato con un guadagno nel lungo periodo il minore beneficio a breve dovuto alla riduzione dei tassi da parte della BCE.
Abbiamo colto tale problema in itinere e ai primi di novembre ho chiamato il Presidente del Monte dei Paschi, il Presidente della Fondazione, il Direttore generale e, con il capo della Vigilanza e il Direttorio, abbiamo detto che la situazione non andava bene. Nel corso di un'ispezione sulla liquidità, l'ispettore ha detto che non c'era niente da fare, che la banca non ce la faceva, quindi abbiamo sollecitato l'uscita degli esponenti aziendali, sebbene non avessimo il potere di rimuoverli.Pag. 25
Il Parlamento può rivedere l'ambito di questo potere, ovviamente assicurando tutte le garanzie. Non è affatto detto che ciò sia facile.
Ho mandato una lettera i primi di gennaio 2012 al nuovo amministratore delegato di MPS dicendo che occorreva un programma totalmente diverso, che dovevano cambiare il modo in cui la finanza è organizzata e così via: hanno gradualmente preso misure che a me, nel complesso, sembra debbano essere valutate positivamente, superando molte difficoltà grazie al grande senso di responsabilità delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori. Hanno chiuso numerose filiali e ridotto gli addetti. Questo alla Commissione europea non bastava, sempre per motivi «religiosi», ma anche per motivi concreti, perché dei rischi ancora sussistono.
Inoltre, la stampa ha molto enfatizzato questo come un grandissimo caso, come se si trattasse del Crédit Lyonnais. Non lo era, ma a Bruxelles e a Francoforte questo caso è stato interpretato così. Non siamo credibili nel dire che siamo un Paese che riesce a contenere fenomeni di questo tipo perché in Italia si innescano dei circoli viziosi. Assicuro che, da parte nostra, abbiamo fatto il massimo e che non è stato facile.
Si parlava di Tercas e di Banca delle Marche: noi abbiamo un'economia che ha subito una caduta del 25 per cento della produzione industriale e abbiamo banche del territorio che hanno avuto problemi.
Per quanto riguarda il problema di Banca delle Marche: esso è dovuto solo alla caduta della produzione industriale ? No. Anche alle attività speculative ? Non direi, ma per una gestione scorretta dell'attivo. Su questo siamo intervenuti con il commissariamento. Ci si chiede se avremmo dovuto farlo prima. È difficile dirlo. Posso assicurare che noi ci vediamo tutti i martedì mattina per discutere le decisioni da assumere sulle banche e poi ci occupiamo anche delle assicurazioni: prendiamo molte decisioni e portiamo avanti moltissimi lavori.
Con riferimento al conflitto di interessi, prima di tutto abbiamo avuto pochissime persone coinvolte rispetto alle esperienze di altre autorità di vigilanza. In secondo luogo, è stata una decisione collettiva. All'inizio ero molto contrario, alla fine ero praticamente l'unico contrario e, se tutti adottano una certa pratica e tu sei l'unico che non lo fa, potrebbe nascere il sospetto che copri qualcosa. Per motivi di trasparenza, quindi, ci siamo avvalsi di un consulente, la società Oliver Wyman, che è quella che è costata più di tutti, mentre gli altri consulenti sono costati molto poco. Oltretutto, la società Oliver Wyman è quella che con la BCE ha gestito tutto l'esercizio di valutazione. La abbiamo affiancata.
Oliver Wyman ha tenuto un riscontro continuo con noi per correggere, per rivedere, per approfondire una conoscenza che non era amplissima, e lo ha fatto per tutti i Paesi, in quanto le persone che lavorano con Oliver Wyman sono intervenute in ciascun Paese per standardizzare le valutazioni.
In secondo luogo, devo ricordare che la valutazione dell'AQR l'abbiamo fatta noi e non i consulenti. Sono gli ispettori della Banca d'Italia che sono andati dentro il Monte dei Paschi, dentro il Banco Popolare, dentro la Banca Popolare di Vicenza e hanno compiuto una valutazione prudenziale, anziché contabile, dei portafogli. Poi la BCE ha fatto l'esercizio di universal report, statistico, di join-up e così via, sulla base di modelli meccanici, ma siamo noi ad aver verificato portafoglio per portafoglio, credito per credito. Sono stati gli ispettori della Banca d'Italia.
Quanto alle società di consulenza, so che abbiamo pagato circa 20 milioni di euro e che le società stesse sono state coinvolte per verificare il valore delle garanzie reali, al fine di essere sicuri che esse non fossero stimate dalle singole banche e per dare certezza che ci fosse un elemento esterno di valutazione. Per farlo, abbiamo dovuto ottenere un'autorizzazione da parte del Parlamento, perché altrimenti non avremmo potuto fare queste verifiche, così come ho spiegato a lungo Pag. 26anche alla BCE. Le società di consulenza interessate, per poter avere l'accesso ai dati, hanno dovuto quindi firmare moduli e contro-moduli, proprio sul conflitto d'interesse. Siamo pieni di carte. Questo è uno stato di diritto, quindi questo è il modo in cui possiamo condurre queste attività.
Contemporaneamente, è stato valutato il valore degli immobili. Credo siano stati valutati circa 8.000 immobili ...
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. È su questo aspetto che mancano i dati.
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Mi spiace...
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. In particolare, introducendo all'interno della norma il conflitto d'interessi anche susseguente, quindi la possibilità di recedere dal contratto di consulenza nel momento in cui si viene a conoscenza di possibili conflitti d'interesse, nel momento in cui noi chiediamo delle informazioni e non le riceviamo, non possiamo neanche stabilire se effettivamente ci sia un conflitto d'interesse...
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Lo capisco, si tratta di un conflitto d'interessi potenziale.
Proprio per questo, però, abbiamo fatto firmare tutte le liberatorie necessarie. Si trattava di adempiere a un accordo internazionale che accomunava tutti i Paesi. Ci sono solo un certo numero di società di consulenza in Italia che potevano essere utilizzate e noi siamo stati molto attenti esattamente agli aspetti di cui lei parlava. Abbiamo valutato questi aspetti con molta attenzione, perché eravamo preoccupati quanto lei e siamo ancora preoccupati.
Sono molto preoccupato, in particolare, trattandosi di un Paese come l'Italia, dove le informazioni si possono utilizzare in modo arbitrario. Abbiamo cercato di minimizzare i rischi e massimizzare il rapporto tra benefici e costi, cercando peraltro di ottenere un riscontro che ci ponesse nella stessa linea degli altri. Secondo me, è andata abbastanza bene.
Per quanto riguarda la valutazione degli immobili, segnalo che le banche li avevano valutati abbastanza in linea con quanto è stato poi stabilito dagli analisti di mercato per quegli immobili che sono stati selezionati e valutati. Abbastanza in linea vuol dire che c’è stato in media uno scostamento del 10 per cento tra le due valutazioni.
Quanto alle banche del territorio e alla sopravvivenza delle piccole banche, molti anni fa in Banca d'Italia c'era il dottor Galli, responsabile di un'intera direzione. Avemmo in Banca un professore belga molto famoso, Jacques Drèze, vincitore del Premio Baffi, il quale doveva tenere una lezione. Il professor Drèze mi mandò una lettera in cui scriveva che aveva due possibilità: fare una lezione sull'indicizzazione dell'attività reale, ovvero sulle piccole banche, che si sarebbe potuta chiamare «Small is beautiful: what about banks ?» (Piccolo è bello: che dire a proposito delle banche ?), perché aveva appena chiuso la banca di famiglia che era stata comprata da una grande banca e ne era dispiaciuto.
Sulle piccole banche penso che delle realtà di raccolta e di credito sul territorio e, in generale, di mutualità, siano probabilmente destinate a rimanere. Non vedo problemi in questo senso. Molte volte, però, quelle del territorio sono banche che operano sull'intero territorio nazionale. I soci sono della banca popolare di un certo paese, ma questa poi opera nell'intera Nazione, se non in un contesto internazionale. In ogni caso, le banche richiedono di essere ricapitalizzate: come si può fare ? Se la banca opera a livello internazionale, può avere delle esigenze di questo tipo. Deve rapportarsi a mercati finanziari, quindi c’è sicuramente necessità di affrontare questa questione. Ogni volta che dico che occorre che le banche popolari diventino società per azioni, ricevo attacchi dalle popolari, dai giornali, dal Parlamento, che ovviamente rappresenta gli interessi del territorio. Tuttavia il problema esiste effettivamente. Le banche cooperative possono esserci, ma la domanda è: quante ?Pag. 27
Noi abbiamo 550 banche piccole e più di 300 banche cooperative, popolari e altro. In Germania è lo stesso. È uscito un lavoro dell'European Systemic Risk Board (ESRB), autorità a livello europeo che si occupa del rischio sistemico, la quale afferma che c’è overbanking in Europa. L'autore principale del lavoro è il professor Pagano, insieme a Hellwig. Abbiamo discusso con Mario Draghi, il quale ha affermato che c’è overbanking in Italia. Gli ho risposto che non c’è overbanking in Italia; in Italia ci sono troppe banche, ma non c’è eccesso di bancarizzazione, perché il rapporto credito/PIL in Italia non è fuori linea.
È vero che il sistema di finanziamento dell'economia passa sostanzialmente attraverso il credito per la parte esterna, che c’è molto autofinanziamento e ci sono molti crediti commerciali. Manca il mercato, questa è la questione fondamentale. L’overbanking dipende dal fatto che ci sono troppe banche. Noi abbiamo 700 addetti alla Vigilanza, in Banca d'Italia, molti dei quali sono impegnati in operazioni di ispezione e valutazione di queste piccole banche. Abbiamo tante di queste piccole banche che si devono commissariare, e si tratta di situazioni di difficile soluzione, perché una banca di credito cooperativo non può andare sul mercato, essendo proibito dallo statuto. Come fanno quindi ad aumentare il capitale se non possono andare sul mercato ? O trovano nuovi soci – ma è difficile che trovino nuovi soci data la loro situazione – oppure utilizzano i retained earnings, cioè profitti non distribuiti. Ma se non fanno profitti, cosa utilizzano ? Cosa mettono a capitale ? Molte di queste banche hanno due o tre sportelli.
Ciò detto, ci sono anche piccole banche che funzionano bene, sono ben gestite e sono dei gioielli. A me arrivano le valutazioni effettuate dagli ispettori della Vigilanza e, laddove essi esprimono giudizi positivi («prevalentemente favorevoli»), spesso essi riguardano queste piccole banche. Quindi, ci sono delle realtà in cui il consiglio di amministrazione funziona bene, il direttore generale è capace, il collegio sindacale funziona, però spesso accade il contrario. In molti casi il consiglio di amministrazione è formato da gente che con le banche non ha niente a che fare. Questo francamente non va bene ed è l'altra questione affrontata dalla CRD (Capital Requirements Directive).
FEDERICO GINATO (PD). (fuori microfono) Nella valutazione di queste piccole banche si applica un criterio di proporzionalità...
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Sì, sicuramente applichiamo il principio di proporzionalità. Però poi c’è la crisi della banca di credito cooperativo di Roccacannuccia di Sotto e sul giornale si legge «dov'era la Banca d'Italia ?». Dov'era ? Non era a Roccacannuccia di Sotto, era a Roccacannuccia di Sopra, allora ! Quindi, bisogna cercare di capire come deve funzionare la proporzionalità.
Credo, però, che non si possano avere realtà effimere; a volte noi non possiamo negare l'autorizzazione alla costituzione di una piccola banca. Nei primi tre anni questa piccola banca ha un piano industriale, può avere delle perdite; dopo tre anni vediamo che, se funzionano male molte di queste banche si chiudono. Si tratta di un processo laboriosissimo e, secondo me, questa è una situazione sulla quale bisogna ragionare.
Ugualmente, bisogna ragionare su un aspetto importante: chi possiede le banche ? Di chi sono ? La proprietà è una questione complicata a livello europeo.
Con riferimento al tema relativo alla tutela del cliente e al riciclaggio, noi abbiamo costituito un Servizio apposito, nell'ambito della Vigilanza. È un servizio che riceve moltissimi esposti. Alcuni vengono trattati con facilità mediante l'arbitro bancario e finanziario, che abbiamo costituito noi e che sosteniamo attraverso una segreteria tecnica (credo che in Italia vi lavorino circa 60 persone) che istruisce la pratica su cui un Collegio di esperti decide. Si tratta comunque di una struttura che adotta le proprie decisioni in Pag. 28modo indipendente rispetto alla Banca. Sono sostanzialmente decisioni di arbitraggio tra clienti e banche. È un sistema interessante, funziona bene, ma va detto che le banche non ne escono tanto bene. Non intendo dire che le banche abbiano sempre torto, però il rapporto tra decisioni favorevoli ai clienti e decisioni favorevoli alle banche non è al 50 per cento, come ci si aspetterebbe, ma è di circa il 65 per cento contro il 35 per cento. È necessario, quindi fare ancora molto in quest'ambito. Molte volte si tratta di questioni piccole, altre volte tuttavia vengono trattate questioni importanti che incidono in maniera notevole sulla tutela del cliente. Personalmente credo molto in questo sistema e ritengo che sia una delle attività da portare avanti.
Con riferimento alla presenza della Banca d'Italia sul territorio, alcuni dicono che la Banca d'Italia deve essere distribuita sul territorio e stare in tutte le località in cui ci sono delle banche. Io penso invece che la Banca d'Italia debba essere ben presente nelle singole regioni e, attraverso l'attività di vigilanza che viene condotta, attraverso un piano regionale, anche in merito ai profili di trasparenza, debba verificare che non ci siano abusi.
Altra questione: dov’è l'oro della Banca d'Italia ? È in Banca d'Italia. Alcuni parlamentari sono venuti a vederlo e hanno chiesto se quello che vedevano era veramente oro, avanzando il dubbio che potesse essere altro materiale dipinto d'oro. Va detto innanzitutto che la Banca d'Italia è un'istituzione seria.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA (M5S). Credo che questa problematica sia stata posta esclusivamente perché c’è un dibattito aperto ovunque...
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Sul rimpatrio, sì.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA (M5S). Ci si chiede dove sia quest'oro. Si è fatta semplicemente un po’ di chiarezza.
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Ma credo che sia scritto sul sito della Banca d'Italia !
ALESSIO MATTIA VILLAROSA (M5S). Se lei spulcia giornali e libri, vedrà che l'opinione pubblica aveva dei dubbi e semplicemente sono stati fugati.
IGNAZIO VISCO, Governatore della Banca d'Italia. Comunque, è scritto sul sito. Metà si trova qui, una parte in Svizzera, un'altra parte a Londra e negli Stati Uniti. Abbiamo tutta la documentazione in merito e la situazione è ben chiara. Abbiamo la possibilità di rendere parte di questo oro commerciabile, mentre molta parte non è commerciabile, non trattandosi di lingotti standard (si tratta di lingotti, ma non conformi alle pratiche commerciali).
Un'altra domanda che si pone spesso è la seguente: di chi è l'oro ? L'oro, nel bilancio della Banca d'Italia, è sostanzialmente del popolo italiano. È una garanzia fondamentale per il Paese. Questa è la mia risposta.
Passo al problema dell'indipendenza delle banche centrali. Con riferimento alla ragione di questa indipendenza, onorevole Villarosa, ricordo che, quando lei non era ancora nato, purtroppo abbiamo avuto un'inflazione molto forte e c’è stato un grande dibattito sull'indipendenza delle banche centrali. Weidmann ancora la cita, dicendo che i tedeschi non vogliono essere come gli italiani che, a metà degli anni ’70, finanziavano il Tesoro e attraverso questo meccanismo hanno creato l'inflazione. Ebbene, io c'ero e posso dire che non è così che è nata l'inflazione anche se, effettivamente, la Banca d'Italia era il compratore di ultima istanza di titoli che venivano emessi dal settore pubblico, e non solo: il settore pubblico all'epoca obbligava le banche a tenere, attraverso vincoli di portafoglio, titoli emessi dal Tesoro.
Tutto questo dibattito ha portato a dire che l'inflazione dipende dalla non indipendenza delle banche centrali, ma io non sono certo di questa impostazione. Ciò detto, l'indipendenza della banca centrale è in alcuni casi – cito l'esempio dell'America Latina – assente e la banca centrale è stata utilizzata sostanzialmente per stampare banconote e per finanziare il Pag. 29settore pubblico in qualunque attività. Napoleone ha in effetti creato la Banca di Francia per finanziare le guerre...
Il signoraggio nasce proprio dal fatto che il signore prendeva un pezzetto di quello che creava. Per questo nasce la questione dell'indipendenza delle banche centrali.
Penso di aver risposto sulla questione Carige e Monte dei Paschi, però possiamo approfondire l'argomento. Capisco che vi siano valutazioni diverse e capisco anche che vi sia un problema di credibilità che nasce, molte volte, dalla nostra difficoltà nella comunicazione. A volte abbiamo veramente difficoltà a comunicare.
Cito un esempio banale. Adesso gli acquisti della Banca sono gestiti attraverso un meccanismo di procurement; sostanzialmente, per ogni spesa della Banca d'Italia – eccetto per le banconote, per cui ci sono questioni di riservatezza del materiale – svolgiamo una gara pubblica. La gara ha un costo, dura molti mesi, poi ci sono i ricorsi. Dopodiché, su un giornale (piccolo o grande che sia) si legge che la Banca d'Italia spende 36 milioni di euro per le mense oppure 5 milioni di euro per pulire i giardini, o in videocitofoni.
Non dico che questo atteggiamento sia offensivo nei confronti di coloro che svolgono tutta questa attività, ma la questione va chiarita. La mensa costa un euro a persona e se ci sono mille persone che si servono della mensa per tot giorni ovviamente si arriva ad un certo costo complessivo; ci sono i videocitofoni e c’è un'intera attività di sicurezza, che non riguarda i citofoni ma significa mettere i sensori per i depositi di circolante, fare una serie di attività informatiche che garantiscono la sicurezza dei luoghi nei quali si opera. Quanto ai giardini, ci sono molte sedi della Banca d'Italia che vengono tenute pulite e curate e queste attività vengono affidate nel loro insieme, per motivi di efficienza. Certo, ognuna di queste cose costa.
È stata fatta una domanda importante sui titoli e la domanda riguardava possibili altri titoli, oltre agli ABS e ai covered bonds, diversi dai titoli di Stato. I titoli del settore privato sono sicuramente interessanti per creare liquidità, dato che l'esercizio mira a creare liquidità attraverso l'acquisto di titoli. Adesso operazioni di questo tipo vengono chiamate «politica monetaria non convenzionale», quando studiavo io era il modo normale di creare moneta. Però questi titoli privati sono pochi; gli stessi ABS sono pochi. I covered bonds sono difficili da comprare, perché sono un ottimo investimento, per chi ce li ha, hanno rischio basso, sono prezzati bene e quindi non si può stimolare una variazione di prezzo tale da poterne creare di più.
Abbiamo chiaro che si può andare in questa direzione, ma che tipo di titoli possiamo comprare ? Anche perché bisogna considerare che, in queste circostanze, ricominciano ad avanzare delle riserve coloro i quali dicono che servono garanzie, che bisogna si tratti di titoli molto buoni, e che sono migliori quelli di un Paese anziché quelli di un altro
Secondo me, bisogna portare il bilancio della BCE in alto, a tot miliardi di euro, credo un trilione, per riportarlo a dov'era a marzo 2012.
Il Quantitative Easing degli altri ha avuto successo ? Per ora sembra di sì. Sicuramente ha avuto successo negli Stati Uniti, mentre per quanto riguarda il Giappone c’è un punto interrogativo. In ogni caso, se vogliamo trovare un modo per creare moneta, uno dei modi è quello di comprare titoli. Se ci sono titoli privati, va bene; se non ci sono, che ci siano titoli pubblici. Francamente non vedo il problema.
Passo alla questione della separazione delle banche di investimento dalle banche commerciali: si tratta di una questione complessa. Volcker negli Stati Uniti, Vickers in Inghilterra, Liikanen in Europa hanno più o meno fatto proposte di separazione.
È prevalsa l'idea della banca universale. La crisi finanziaria non è stata creata dalla banca universale perché, se ci pensate bene, banche di investimento e banche commerciali erano separate: la banca d'investimento era una banca di investimento. Si sono posti dei problemi nel Pag. 30momento in cui alla banca d'investimento è stata data la licenza commerciale. L'unica banca di investimento che non ha avuto grossi problemi durante la crisi finanziaria, anzi ci ha guadagnato, è JP Morgan, che aveva la banca commerciale Chase Manhattan.
Ciò detto, la separazione è corretta e a tale problema è rivolta sia la raccomandazione del Rapporto Liikanen, sia – con più forza – l'intervento compiuto in Inghilterra. È in corso un dibattito in Europa, poiché i tedeschi, i francesi e noi italiani facciamo delle valutazioni sui costi di un intervento di questo genere. I costi significano minore attività, mancato utilizzo delle sinergie. Vi sono invece altri che sostengono l'opportunità di imporre una separazione netta tra l'attività di banca di investimento e l'attività di banca commerciale. A tale proposito, va considerato che esiste un'area, per così dire, grigia – la quale rappresenta un problema – che si chiama market making.
Il market making è un'attività con cui si interviene per creare liquidità nel mercato. Faccio l'esempio del mercato dei titoli di Stato: se ha un sistema molto efficiente di infrastrutture gestito dalle banche è un mercato che costa meno anche agli Stati. Alcuni Paesi sfruttano questa condizione, altri chiedono di limitarla e di renderla trasparente. Su questo è in atto un dibattito in sede europea. Non so dire a che cosa condurrà tale dibattito. Noi abbiamo gestito tale discussione durante il semestre italiano di Presidenza dell'Unione e la trasferiamo adesso alla Presidenza lituana. Ne seguiremo gli sviluppi.
Con riguardo al tema della caduta della profittabilità delle banche, ci sono dei problemi e ritengo sia difficile rispondere.
Quanto al riequilibrio degli stress test, è vero che gli stress test sono stati fatti soprattutto considerando il credito e meno le altre forme di investimento. Alla fine, è venuto fuori il rapporto di 1 a 100 come correzione.
È sicuramente intenzione della BCE affrontare questi temi e certamente lo farà. L'unico aspetto che io credo vada enfatizzato, tuttavia, è l'attenzione alla prociclicità degli interventi. Dobbiamo stare molto attenti, perché i tagli effettuati da una parte o dall'altra, alla fine, finiscono per avere delle conseguenze sul credito.
Credo che il problema del leverage significhi questo: se continuerà a esserci deleveraging, il credito si restringerà. O siamo in grado, come sistema, di creare più mercato per finanziare le attività d'impresa, o questo problema permarrà e sarà necessario seguire questo aspetto.
Onorevole Galli, sulla risoluzione della crisi ho risposto. Sul bail-in, abbiamo fatto una lunga discussione su questo e siamo stati gli unici. Il modello Cipro è un modello rischioso. D'altra parte, siccome l'hanno applicato anche gli spagnoli, noi siamo in minoranza: gli spagnoli dicono di averlo utilizzato, i tedeschi volevano che lo si utilizzasse, sostanzialmente tutti chiedono per quali ragioni non si dovrebbe fare in questo modo per il futuro. Noi possiamo rispondere: come mai, avendo applicato il bail out fino adesso, ora non lo si può più utilizzare ? Tuttavia, la storia va avanti e quello che è stato, è stato, quindi è una questione molto complessa.
È vero, può trattarsi, al contempo, di un passo troppo modesto – perché non siamo andati a mutualizzare veramente laddove si dovrebbe – e un passo troppo lungo, perché potremmo aver perso delle capacità, che noi abbiamo mantenuto forti in Vigilanza, che vanno trasferite laddove in questo momento saranno centralizzate. Noi lavoreremo molto nei Joint Supervisory Teams, dovremo essere molto attivi da tutti i punti di vista. C’è questa forte tensione, da parte della BCE, di avere una Vigilanza intrusiva, giusta, ma il problema è che potrebbe essere più un atteggiamento formale che sostanziale se non si riesce a trasferire anche un metodo di lavoro. Questo è lo stato delle cose.
Il meccanismo unico di Vigilanza non riduce le crisi finanziarie; le potrebbe anzi, in qualche caso, accelerare. Per risolvere questo problema deve essere attivo un meccanismo di risoluzione, e così non è ancora.Pag. 31
Infine, non so che cosa voglia dire creazione di un fondo sovrano. Credo, però, che sia importante individuare sistemi di garanzia migliori; c’è stato un forte incremento, anche da noi, della garanzia che viene data dal fondo di garanzia.
Per quanto riguarda gli investimenti: mancano in Italia investimenti diretti dall'estero e forse mancano anche gli investimenti da parte degli italiani. Ciò per un motivo di fondo, dovuto al fatto che abbiamo un ambiente scarsamente favorevole per gli investimenti. Quindi, io andrei a considerare gli elementi di struttura: bisogna migliorare il rapporto con la pubblica amministrazione; è necessario che si impieghi poco tempo per ottenere un'autorizzazione, e non degli anni; bisogna rendere più facile la consulenza sui vari compiti ai quali si deve ottemperare.
A volte, scherzando, dico che bisognerebbe dare a tutti coloro che vorrebbero aprire un'impresa un foglio su cui sono indicati tutti gli adempimenti (la parte legale, la parte fiscale, la parte ambientale), cosicché, dopo averli esauriti, possano operare. In fondo, basterebbe che ci fosse un simile foglio, ma da noi non c’è neanche questo.
Se uno di voi vuole aprire un'impresa, deve affrontare una sfida enorme, perché non sa quali sono le norme che deve seguire: deve andare dal consulente, dal commercialista, dall'avvocato, dal fiscalista, dall'esperto di legislazione europea sull'ambiente (la quale viene declinata in modo diverso dalle diverse ASL che abbiamo sul territorio).
Riguardo alla questione dell'ambiente per le attività d'impresa, c’è poi il problema della legalità, che io considero cruciale. Forse non spetta alla Banca d'Italia dirlo, anche se noi siamo molto attivi su questo aspetto attraverso una particolare componente che sta nell'ambito della Banca d'Italia e che si chiama Unità di informazione finanziaria. Si tratta di una struttura indipendente, anche se composta interamente da personale della Banca d'Italia – scelto da noi e, per quel che riguarda il Direttore, nominato dal Governatore – con risorse della Banca d'Italia, che fornisce le proprie informazioni non al Governatore bensì direttamente alla magistratura. Tutto quello che leggete sui giornali in materia viene da lì.
Il problema è che, se non si affronta in maniera diretta questo problema della legalità, i buoni imprenditori non investono. Circa 23 anni fa scrissi, con un'altra persona che lavorava in Banca d'Italia, Fabrizio Barca, un saggio sull'economia italiana, sul terziario protetto, sul Mezzogiorno, sulla politica dei redditi.
Sul Mezzogiorno, dopo aver citato un pregevole studio del dottor Galli che spiegava perché non funzionassero gli incentivi per le imprese nel Mezzogiorno (perché si aprivano, si chiudevano e via dicendo), abbiamo inserito una nota a piè di pagina di quattro righe citando un imprenditore del nord Italia il quale affermava che, in una di quelle regioni, non avrebbe investito, non soltanto per se stesso, ma perché non sarebbe riuscito a garantire la sicurezza di quelli che avrebbero lavorato in quell'impresa. Questo è un punto fondamentale.
Anche sul piano dell'immagine, uno dei migliori risultati potremmo averlo se potessimo far scrivere al New York Times, fra un anno, che la cosiddetta Terra dei fuochi è completamente bonificata e che ciò che viene prodotto in quella zona è commercializzabile a livello internazionale. Altro che agricoltura israeliana !
Bisogna trovare aree nelle quali riuscire a mostrare che si può avere successo, svolgendo un'attività congiunta tra Governo centrale, Governo locale e imprese. Credo che questo sia cruciale. L'ambiente dell'impresa è una problematica complessa, ma va vista in tutte le sue sfaccettature, più che creare un fondo sovrano che deve dare i soldi. Alla fine, se il progetto imprenditoriale e l'ambiente ci sono, i soldi si trovano.
PRESIDENTE. Signor Governatore, la ringraziamo molto per questo dialogo così approfondito. Restano tanti interrogativi, com’è naturale. Noi speriamo di rivederla presto, anche per un'iniziativa che abbiamo Pag. 32già deliberato e che partirà dopo la pausa dei lavori parlamentari di fine anno, cioè un'indagine conoscitiva, che durerà quattro mesi, sui derivati nel settore pubblico e nel settore privato. Terremmo molto al fatto che una delle ultime audizioni di tale indagine fosse proprio quella della Banca d'Italia.
Il nostro obiettivo, su un altro tema così delicato, è quello di arrivare a un rapporto «radiografia» sulla situazione degli strumenti finanziari derivati nel settore pubblico e nel settore privato. Quindi, speriamo di avere l'occasione di rivederla presto, sia sui temi generali affrontati oggi, sia su quella questione specifica.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 18.10.
Pag. 33ALLEGATO
Pag. 34
Pag. 35
Pag. 36
Pag. 37
Pag. 38
Pag. 39
Pag. 40
Pag. 41
Pag. 42
Pag. 43
Pag. 44
Pag. 45
Pag. 46
Pag. 47
Pag. 48
Pag. 49
Pag. 50
Pag. 51
Pag. 52
Pag. 53
Pag. 54