Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3
Audizione dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini
(ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Vito Elio (FI-PdL) ... 5 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 5 ,
Mogherini Federica , Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea ... 5 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 11 ,
Cociancich Roberto ... 12 ,
Cimbro Eleonora (MDP) ... 12 ,
Romani Paolo ... 13 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 14 ,
Alli Paolo (AP-NCD-CpE) ... 14 ,
Divina Sergio ... 15 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL) ... 16 ,
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 17 ,
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI) ... 18 ,
Moscatt Antonino (PD) ... 18 ,
Garavini Laura (PD) ... 19 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 ,
Artini Massimo (Misto-AL-P) ... 20 ,
Mauro Mario ... 21 ,
Altieri Trifone (Misto-CR) ... 21 ,
Schirò Gea (PD) ... 22 ,
Farina Gianni (PD) ... 23 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 24 ,
Mogherini Federica , Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea ... 24 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 31
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa: AP-NCD-CpE;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FABRIZIO CICCHITTO
La seduta comincia alle 14.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che dal resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea, onorevole Federica Mogherini.
Saluto e do il benvenuto ai colleghi presidenti delle Commissioni affari esteri, difesa e politiche dell'Unione europea dei due rami del Parlamento, ai presidenti delle Delegazioni presso le Assemblee parlamentari della NATO, del Consiglio d'Europa, dell'OSCE, dell'Iniziativa Centro Europea e dell'Unione per il Mediterraneo, nonché ai colleghi deputati e senatori presenti.
Sono lieto di dare il benvenuto all'onorevole Federica Mogherini, che dal 1º novembre 2014 ricopre la carica di Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, nonché di Vicepresidente della Commissione europea.
Prima di darle la parola, mi permetto di proporre qualche spunto di riflessione, senza con questo voler precludere ai colleghi presidenti seduti a questo tavolo e ai colleghi di procedere a un ampio dibattito che si svilupperà, in quanto abbiamo circa due ore di tempo e ciò consente un confronto serio.
La situazione del mondo e in esso dell'Europa per molti aspetti sfugge ai paradigmi tradizionali, quelli – per capirci – descritti da Henry Kissinger nel suo libro sull'ordine mondiale. Di fronte a ciò, riteniamo che sprecheremmo questa occasione se, come talora si fa, dessimo vita ad una versione parlamentare della «messa cantata», diplomatizzando questioni di politica internazionale assai controverse, sulle quali è aperto un forte dibattito anche fra di noi, qui in Parlamento, e nel Paese.
D'altra parte, in recenti esternazioni proprio il Presidente Tusk e il Commissario Moscovici ci sollecitano a prendere di petto le questioni fondamentali. Il Presidente Tusk ha affermato che «la prima minaccia di natura esterna è connessa alla nuova situazione geopolitica del mondo e intorno all'Europa» e si è riferito esplicitamente alla Cina, alla Russia e agli stessi Stati Uniti.
Il Commissario Moscovici, nella sua recente audizione al Senato, ha affermato fra l'altro: «Voglio dire che si tratta di un sussulto di volontà dell'Unione europea. Siamo oggi in una fase pericolosa con delle forze che vorrebbero smantellarci. Penso alla politica americana, alla politica russa e alle forze interne da temere, come la Brexit».
Tutto ciò dimostra, appunto, che l'Unione europea ha problemi che derivano Pag. 4dall'esterno e problemi che esistono al suo stesso interno, con implicazioni riguardanti ogni singola nazione.
Non sappiamo ancora come si svilupperà nella realtà la presidenza Trump, sta di fatto che una serie di dichiarazioni di stampo protezionista e isolazionista e anche sulla NATO pongono degli interrogativi. Peraltro, queste dichiarazioni sono talora contraddette da altre prese di posizione del presidente e di suoi autorevoli collaboratori.
Per parte sua, la Cina ha, invece, manifestato la sua positiva propensione per la globalizzazione, che però è accompagnata da una prassi che spesso non rispetta le regole di mercato.
Quanto alla Russia, non possiamo continuare a far finta che non esista una linea globale di stampo neoimperiale, con forti ricadute sull'Europa, che si sono tradotte nella guerra asimmetrica in Ucraina e in una linea così aggressiva nei confronti dei Paesi del Nord Europa che ha spinto perfino la Svezia a riarmarsi.
Per di più, è evidente l'esplicito sostegno alle forze antieuropeiste e populiste in Francia, in Italia e in altri Paesi dell'Europa. È di ieri l'incontro fra l'onorevole Salvini e il Ministro degli esteri russo Lavrov.
L'Europa ha, a sua volta, una molteplicità di questioni aperte al suo interno, che si sono espresse in fenomeni di disaffezione, di contrapposizione e, talora, addirittura di rigetto. La manifestazione più clamorosa di essa è stata la Brexit, la fuoriuscita di un Paese importante come la Gran Bretagna. Ma sul piano della dialettica politica all'interno dei vari Paesi della comunità emergono posizioni nazionaliste, sovraniste e populiste, che arrivano a proporre come toccasana anche la fuoriuscita dall'euro.
Tutto ciò è stato accentuato dalla miscela infernale costituita dall'esplosione del terrorismo islamico e da fortissimi fenomeni migratori.
Proprio chi, come il sottoscritto, è favorevole al rilancio dell'Europa attraverso il suo rinnovamento non può sottacere che ci sono state due linee politiche sbagliate: l'adozione di scelte economiche rigoriste in una situazione recessiva e la mancanza di una reale solidarietà sul terreno dell'assorbimento e dei filtri dei fenomeni migratori.
A nostro avviso, però, bisogna stare attenti a non buttare via con l'acqua sporca anche il bambino. Certamente, è indispensabile correggere, nel senso della crescita, la politica economica europea, è indispensabile anche una reale solidarietà sul terreno dell'immigrazione. Invece, a nostro avviso, l'uscita dall'euro o l'affermazione sovranista e nazionalista dei singoli Stati europei non ci porterebbe in avanti, ma all'indietro, ad un'Europa che ha già vissuto esperienze che hanno portato a due guerre mondiali e, sul piano economico, ad una svalutazione selvaggia, ad una fuga del risparmio all'estero, ad un'esplosione del debito pubblico.
In questo quadro esiste il problema del confronto e della possibile mediazione fra quella che Giuliano Amato e, in un libro dal titolo «Né Centauro né Chimera», Armellini e Mombelli hanno chiamato «l'Europa di Altiero Spinelli» e «l'Europa di Margaret Thatcher». Questa mediazione sarebbe un'Europa flessibilmente confederale, che è contenuta negli scenari prospettati nel Libro bianco dal presidente della Commissione europea. Ne è emersa, al fondo, la proposta per un modello di comunità federale a cerchi concentrici, insomma quella che è chiamata «Europa a più velocità». Si tratta, a nostro avviso, di uno sforzo assai impegnativo, complesso e difficile.
Così rimangono del tutto aperte le problematiche riguardanti il coordinamento e l'omogeneità delle politiche sulle migrazioni e quelle riguardanti una politica estera e della difesa che sia omogenea. Esse sono richieste sia da una comune risposta europea al terrorismo islamico, sia dall'esigenza di un salto di qualità indispensabile, se l'Europa vuole realmente esistere a fronte delle sfide provenienti sia dall'esterno sia dall'interno.
A nostro avviso, esiste una sfasatura fra le politiche estere assai differenziate da parte di singoli Stati membri, come è avvenuto in Libia e ancor più in Siria, e rilevanti sforzi di coordinamento, che, per Pag. 5Suo merito, sono stati portati avanti con esiti assai differenziati. Invece, Ella, onorevole Mogherini, ha ottenuto, a nostro avviso, dei risultati assai rilevanti sul terreno della difesa, ma su di esso si soffermeranno anche gli altri colleghi.
Infine, vogliamo sottolineare l'impegno che riguarda il processo di integrazione europea con riferimento all'area dei Balcani occidentali. Lei è reduce da un viaggio in questi Paesi, da cui proviene una forte domanda d'Europa. Tramontata, infatti, la Jugoslavia di Tito, solo l'Unione europea riesce a prospettare un futuro di pace ad un'area tuttora percorsa da antagonismi profondi e, in alcuni casi, anche pericolosi.
Lei, onorevole Mogherini, inaugura con questa sua audizione la stagione delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della sigla dei Trattati di Roma, quindi Le siamo assai grati per il contributo che vorrà darci.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Vito. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Grazie, presidente. Mi spiace dover fare questo intervento. Noi siamo venuti – e ringraziamo della disponibilità la Commissaria Mogherini – ad ascoltare un'importante audizione alla vigilia di un appuntamento altrettanto importante. È sicuramente prassi possibile e auspicabile che, nell'introdurre questa audizione, i presidenti svolgano un intervento introduttivo. Mi permetta, però, di osservare, signor presidente, che Lei, con il suo intervento, è entrato assolutamente nel merito delle questioni che dovrà trattare la Commissaria Mogherini, facendolo in maniera non rappresentativa di tutte le posizioni della Commissione, che, invece, dovrebbe rappresentare.
Sarebbe stato, quindi, auspicabile un Suo intervento di merito nel dibattito e non un'introduzione così caratterizzata politicamente.
PRESIDENTE. Io non ho problemi, nel senso che credo che sia diritto di chi presiede e di chi non presiede esprimere delle posizioni di merito, sulle quali è aperto un confronto. Francamente, anche in passato, ho sentito presidenti di Commissione che intervenivano dicendo come la pensavano. Riaffermo questo mio diritto, che è identico al Suo di dire quello che pensa nel corso del dibattito.
Do, quindi, la parola all'Alto Rappresentante, onorevole Mogherini, per il suo intervento.
FEDERICA MOGHERINI, Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea. Innanzitutto, vi ringrazio per l'invito, per me è un piacere. Che voi ci crediate o no, mi manca molto la vita parlamentare italiana nella sua vivacità e nella sua ricchezza, così come mi mancano anche molto tutti i colleghi che, con la loro dedizione, lavorano in modo eccellente a sostenere il lavoro delle vostre Commissioni. Io dico spesso che la mia base di partenza per il lavoro di oggi è stato il lavoro sia nella Commissione esteri che nella Commissione difesa e la possibilità di lavorare con molti colleghi che mi hanno insegnato molto. Inizio, quindi, ringraziandovi non solo dell'invito, ma anche di questa comune base di partenza, che credo condividiamo ancora.
Capisco che la mia audizione, oggi, intervenga in una giornata particolarmente importante per i temi dell'audizione stessa. So che il Presidente del Consiglio ha presentato in Senato questa mattina – e lo farà oggi pomeriggio alla Camera – le linee con le quali il Governo italiano sarà domani in Consiglio europeo, e chiaramente, come sapete bene, le istituzioni europee hanno iniziato a lavorare agli scenari del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma non tanto come momento di celebrazione, ma soprattutto come momento di riflessione sul futuro dell'Unione e di rilancio del progetto di Unione europea.
Non farò di questo il tema principale della mia comunicazione, perché credo che sia mia responsabilità, in questo momento, condividere con voi almeno due o tre aspetti del lavoro dell'azione esterna dell'Unione, che riguardano, in modo specifico, la competenza di queste Commissioni. Però, vorrei dire che certamente le celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati di Pag. 6Roma dovranno costituire un momento di riflessione approfondita sul senso di marcia della nostra Unione, su cosa va cambiato per salvare il progetto di Unione, che è un progetto che, visto con gli occhi della politica estera dell'Unione e, quindi, attraverso gli occhi dei nostri partner nel mondo, è diventato un progetto indispensabile.
Inizierei con questo elemento, che vorrei condividere con voi, così come condivido spesso questa riflessione con i miei colleghi, ma anche con i vostri colleghi in altri Parlamenti nazionali: vista con gli occhi dei nostri partner nel mondo, che siano i nostri partner nella regione, che siano i nostri partner in America Latina, in Asia, in Africa o nell'est dell'Europa, l'Unione europea è una potenza globale indispensabile.
So che questa non è la percezione che molti cittadini europei hanno e credo che una delle riflessioni profonde che andrà fatta è come colmare questa distanza tra la percezione di noi che hanno nel mondo, come un modello e, comunque, come luogo del mondo dove i diritti, ma anche l'economia e una certa concezione di vivere insieme si sono affermati negli ultimi sessant'anni, e, invece, la crisi profonda di fiducia nelle istituzioni europee, che chiama in causa credo tutti noi, in quanto l'Unione europea è ciò che noi decidiamo di farne, non esiste un'Unione europea senza europei. C'è, quindi, una chiamata alla responsabilità e alla riflessione di come si rilancia il progetto dell'Unione europea, che ci ha garantito sessant'anni di pace, sessant'anni di sviluppo economico, ma che oggi ha bisogno di essere ripensato proprio per garantirgli i prossimi sessant'anni di pace, di sviluppo e anche di investimento in un certo modo di concepire la politica internazionale.
Se me lo permettete, vorrei soffermare il mio intervento di oggi su due filoni di lavoro dell'azione esterna dell'Unione europea, che credo tocchino in modo esemplare anche il tema del rilancio del progetto dell'Unione: il tema della difesa europea e il tema delle nostre politiche esterne per la gestione dei flussi migratori. Questo non significa che non sia pronta, anzi mi farebbe molto piacere, a toccare una serie di situazioni particolari (aree di crisi, settori di lavoro, come quello dei Balcani, il lavoro che facciamo sulla Siria o sul Medio Oriente o su altre aree chiave del mondo), ma credo che avremo tempo e modo di tornare su alcune di queste questioni durante il dibattito e nelle conclusioni.
Credo che sia il settore della difesa sia il settore della nostra azione esterna rispetto alla gestione dei flussi migratori siano esempi chiave di come agire attraverso i nostri strumenti comuni, quelli dell'Unione europea, e rappresentino, in realtà, per gli europei un modo di riconquista di sovranità. So che il dibattito più accentuato in questi mesi, non soltanto qui in Italia, ma anche nel resto d'Europa, è rispetto alla cessione o al recupero di sovranità.
Vista dall'ottica globale, l'Unione europea è l'unico strumento che gli europei hanno per riconquistare la propria sovranità in un mondo globalizzato. Che sia nel settore del commercio internazionale, che sia nel settore della gestione della sicurezza e della pace, che sia nel sostegno al multilateralismo, attraverso il lavoro che facciamo insieme alle Nazioni Unite, in un mondo in cui ci sono tutte queste conquiste e anche tutte queste sfide – perché molti di questi campi presentano anche problematicità –, in tutti questi settori, oggi ci sono meno punti di riferimento nel mondo di quanti non ce ne fossero pochi mesi fa.
Il fatto di essere, quindi, punto di riferimento indispensabile nel mondo su multilateralismo, pace e sicurezza, commercio libero ed equo, una certa concezione di costruzione della sicurezza e della pace e anche rispetto a una serie di battaglie molto precise che l'Unione europea ha come priorità (penso alla lotta al cambiamento climatico o ai diritti delle persone, a partire dai diritti delle donne e dei bambini, fatemelo dire oggi) ci porta, quindi, anche una responsabilità che non è soltanto rispetto ai nostri cittadini, ma anche rispetto alla stabilità globale.
Nel campo della difesa negli ultimi sei, sette mesi abbiamo fatto più passi in avanti di quanti non ne avessimo fatti negli ultimi sessant'anni. Questo perché, finalmente, ci Pag. 7si è resi conto che il tema della sicurezza è diventato prioritario per i cittadini europei, insieme a quello della situazione economica e alla creazione di posti di lavoro, e che, sia sulla sicurezza interna sia sulla sicurezza esterna, è solo attraverso una più forte cooperazione a livello di Unione europea che si possono trovare effettivamente soluzioni.
Le sfide alla sicurezza a cui l'Europa fa fronte oggi non hanno confini all'interno del nostro continente e spesso non hanno confini anche all'esterno del nostro continente. Questo significa che non ci possono essere risposte frammentate. Le risposte nazionali, per definizione, non hanno l'ampiezza e l'orizzonte che consenta loro di trovare soluzioni efficaci.
Per questo negli ultimi sei mesi abbiamo non solo presentato, a fine giugno, una strategia globale dell'Unione europea, ma, nei mesi estivi, abbiamo anche iniziato la sua messa in opera, a partire dal settore della sicurezza e della difesa, ma anche con riferimento ad altri settori, come quello degli investimenti in cooperazione allo sviluppo, nel settore umanitario e in una serie di altre strategie globali, che abbiamo messo in piedi in questi ultimi sei mesi e che toccano campi della diplomazia non tipicamente tradizionali a livello europeo, che, invece, come italiani abbiamo sempre avuto familiarità ad utilizzare. Penso allo sviluppo di una diplomazia culturale, di una diplomazia economica, di un lavoro di accompagnamento che, come istituzioni europee, oggi svolgiamo, alla presenza dell'Europa nel mondo e anche all'attrazione di investimenti in Europa.
Sulla difesa soltanto due giorni fa, lunedì, a Bruxelles, abbiamo svolto un Consiglio affari esteri, che riuniva insieme i ministri degli esteri e della difesa, e abbiamo preso una decisione particolarmente importante: abbiamo dato vita a una nuova struttura di pianificazione e comando delle nostre missioni militari e abbiamo deciso di proseguire, nelle prossime settimane, il lavoro sulla cooperazione rafforzata nel settore della difesa e sul Fondo europeo per la difesa, che sosterrà investimenti comuni degli Stati membri nel settore dell'industria della difesa, soprattutto a partire da ricerca e innovazione, che sappiamo essere la base tecnologica che può fare la differenza per la nostra industria e anche per la nostra economia.
Abbiamo anche deciso – è un tema che so essere caro ad alcuni di noi in questa sala da molti anni – di proseguire il lavoro sui battlegroup e abbiamo previsto la possibilità di renderli operativi entro (in modo abbastanza ambizioso) quest'anno, che rappresenta il decimo anniversario di istituzione dei battlegroup, che esistono ma che non abbiamo mai utilizzato, pur essendocene stati, diverse volte, la possibilità e il bisogno.
Questo è un lavoro che ho lanciato sei mesi fa a Bratislava durante la presidenza slovacca. In soli sei mesi siamo riusciti ad adottare conclusioni unanimi al Consiglio europeo di dicembre, che davano indicazioni chiare su sette aree di lavoro molto concrete, di cui queste sono alcune, e due giorni fa, esattamente sei mesi dopo il primo incontro dei Ministri della difesa su questo tema a Bratislava, abbiamo preso le prime decisioni operative.
Tutto ciò si inserisce anche nel quadro di un altro lavoro che stiamo facendo con la Commissione europea, quindi un lavoro che sto guidando come vicepresidente della Commissione insieme al vicepresidente Katainen: la creazione di un fondo per sostenere gli investimenti in ricerca, innovazione e industria della difesa e una rafforzata cooperazione con la NATO. Negli ultimi sei mesi abbiamo dato vita a un accordo Unione europea-NATO, che ha superato decenni di fatiche e anche di reciproche diffidenze, avviando quarantadue progetti specifici di cooperazione congiunta, dalla sicurezza cyber alla sicurezza marittima. Parte di questo accordo è la decisione di coordinare le nostre operazioni nel Mediterraneo, ma anche contro la pirateria. Quindi, si tratta di una serie di decisioni molto operative che stiamo mettendo in pratica adesso e nei prossimi mesi. Vorrei cogliere l'occasione per ringraziare i colleghi che sono componenti dell'Assemblea parlamentare della NATO per aver accompagnato Pag. 8 questo percorso anche da posizioni di responsabilità importanti.
Credo che questo ci possa aiutare, innanzitutto, ad essere un attore serio nel settore della difesa e della sicurezza, nel modo in cui possono e sanno farlo gli europei, cioè con la serietà anche della forza militare, laddove serva (come sapete, ci sono sedici missioni militari e civili dell'Unione europea in giro per il mondo), e anche con la consapevolezza, tipica di noi europei, che non c'è nessuna crisi al mondo che si possa né prevenire né gestire né curare alla fine della crisi solo con strumenti militari. Quindi, all'uso delle nostre forze militari si accompagna sempre l'uso dei nostri strumenti civili, che siano investimenti per la creazione di posti di lavoro, che siano investimenti nello Stato di diritto e nello spazio democratico dei Paesi, che siano azioni umanitarie, di prevenzione dei conflitti e di mediazione post-conflitto.
L'unicità dell'Unione europea come attore sia sull’hard power sia sul soft power ci mette in una condizione privilegiata, anche al di là di quanto la NATO, alleanza militare per definizione, o le Nazioni Unite, attore del soft power per definizione, possano essere da soli. Con entrambi, NATO e Nazioni Unite, la nostra cooperazione è non soltanto fortissima, ma anche in via di intensificazione.
Vorrei anche dire che questo lavoro che stiamo svolgendo sul rafforzamento dell'Unione europea come attore di difesa e sicurezza a livello globale è anche un elemento importante nelle nostre relazioni con i nostri partner americani. Io sono tra coloro che credono che quando parliamo di relazioni transatlantiche non dobbiamo parlare soltanto delle nostre relazioni con Washington, ma con tutto il continente americano, dal Canada all'Argentina. Per questo stiamo intensificando i nostri rapporti, i contatti, il lavoro non soltanto con il Canada e con il Messico, ma anche con l'intero continente latinoamericano, attraverso le sue organizzazioni regionali, subregionali e singolarmente con Paesi che sono per noi partner chiave.
Certamente, il dibattito è in corso al di qua e al di là dell'Atlantico sulla condivisione di obiettivi, che sono obiettivi NATO e non dell'Unione europea – su cui non entro –, ad esempio, sulla spesa del 2 per cento del PIL sulla difesa. Ciò che è chiaro è che, qualsiasi siano le scelte dei singoli Paesi, per gli Stati membri dell'Unione europea c'è un modo per spendere meglio, a prescindere da quanto si spende, ed è quello di spendere insieme.
Io faccio sempre un esempio: gli europei spendono il 50 per cento degli statunitensi in difesa, ma il risultato dei nostri investimenti nel settore della difesa è il 15 per cento di quello statunitense. C'è, quindi, quello che in inglese chiamiamo l’output gap, cioè la distanza sulla efficacia dei nostri investimenti, che può essere colmato attraverso lo strumento dell'Unione europea, ovvero attraverso la creazione di un'economia di scala che incentivi investimenti comuni. Soltanto il 20 per cento degli investimenti in difesa dei Paesi dell'Unione europea avviene non su scala puramente nazionale ed è questo che frammenta enormemente il sistema e ci fa spendere in modo non particolarmente efficace.
Se si vuole agire in modo immediato su questo, il canale è quello dell'usare gli strumenti dell'Unione europea, il che significa spendere meglio, poi quanto spendere è scelta dei singoli Stati membri ed è, appunto, un criterio non dell'Unione europea, ma della NATO. Intanto, certamente si può fare questo tipo di lavoro, che sarà importante per gestire bilanci che vengono da anni di crisi economica non indifferente.
Vorrei anche aggiungere che – credo che qui in Italia sia particolarmente ovvio e particolarmente sentito – il nostro investimento sulla sicurezza non si esaurisce sul nostro investimento militare. Rappresentano investimento sulla sicurezza anche l'investimento in cooperazione allo sviluppo, l'investimento sulla lotta al cambiamento climatico, l'investimento sulla cultura, sull'educazione e sulla stabilizzazione di intere parti del mondo, che, senza questi investimenti, vanno incontro a crisi magari tra dieci o vent'anni. Il settore della difesa non è, quindi, l'unico settore per la sicurezza globale e anche europea, ma questo Pag. 9è un dato acquisito normalmente nel dibattito politico italiano.
A Roma, per il 25 marzo, portiamo scelte e decisioni già prese e alcune già avviate, quindi in cantiere, su una maggiore e migliore integrazione europea nel campo della difesa. Questo è un lavoro che a Roma, alla celebrazione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, consegniamo come un terreno di integrazione più profonda, già ampiamente avviato, con alcune decisioni operative prese, altre in corso di preparazione, che poi starà ai capi di Stato e di governo o ai ministri dei singoli Stati membri spingere più avanti nel corso dei prossimi mesi.
Dal punto di vista personale – è mia opinione politica, che credo di essere autorizzata a esprimere –, credo che sarebbe un errore limitarsi al settore della difesa nella riflessione sul futuro dell'Unione europea. Il lavoro che stiamo facendo sulla difesa è serio, è consistente ed è molto ben avviato. Credo che un lavoro simile dovrà essere svolto rispetto ad altri settori relativi all'integrazione europea, dall'euro alla zona Schengen, e alla parte sociale del progetto di integrazione europea. Non è mia responsabilità istituzionale farlo, ma, come vicepresidente della Commissione, posso condividere con voi la speranza che ci sia un'analoga spinta anche per una profonda riflessione su come rafforzare la nostra Unione in questi settori, che sono fondamentali per la vita dei cittadini.
La seconda area dell'azione esterna dell'Unione europea sulla quale vorrei soffermarmi, che ha un impatto immediato sulla vita dell'Unione e rispetto alla quale soltanto agendo insieme possiamo sperare di avere dei risultati, è quella della gestione dei flussi migratori. Finalmente, nell'ultimo anno e mezzo, si è assunta la consapevolezza che questo non è un tema che riguarda un singolo Paese dell'Unione, che sia l'Italia, che sia Malta, che sia la Spagna, che sia la Grecia o che sia, un domani, la Svezia oppure l'Irlanda, ma che è un tema che va affrontato come Unione europea.
Le resistenze ci sono ancora, le vediamo tutti i giorni. Posso dire, con molta sincerità, che sono resistenze che riguardano più l'aspetto delle politiche interne della gestione dell'immigrazione e dell'asilo piuttosto che il nostro lavoro sul fronte esterno. Lasciatemi anche dire che è stato del tutto evidente per un'italiana – ma, evidentemente, così evidente non era fino a qualche anno fa – il fatto che le politiche di gestione dei flussi migratori debbano avere una fortissima componente di politica esterna.
Quando io sono arrivata a Bruxelles il tema dell'immigrazione non compariva nell'agenda dei ministri degli esteri, non compariva nel mandato dell'Alto Rappresentante – ancora non compare, ma ci siamo presi qualche libera interpretazione –, come se la gestione dei fenomeni migratori fosse questione unicamente interna, di gestione delle frontiere o di gestione dell'ordine pubblico. È chiaro che la gestione dei flussi migratori nel mondo va presa anche come un aspetto di politica interna, ma soprattutto con un partenariato con i Paesi di origine e di transito e anche con le grandi organizzazioni internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, che hanno competenza in materia.
Anche questa è stata una battaglia italiana, che credo sia stata almeno parzialmente vinta, ossia quella di mettere nell'agenda europea il tema della gestione comune del fenomeno migratorio e il fatto di inserire una fortissima componente di azione esterna nella gestione del fenomeno migratorio da parte dell'Unione europea. Ciò sta avvenendo in questi mesi attraverso lo strumento dei compact per l'immigrazione. Abbiamo avviato i primi cinque partenariati dall'estate scorsa con il Niger, la Nigeria, l'Etiopia, il Mali e il Senegal e domani riferirò al Consiglio europeo del progresso fatto in questi mesi. Con ognuno di questi Paesi, alcuni di più, alcuni di meno, si sono fatti passi in avanti.
Il caso chiave, anche per l'Italia, è il Niger, dove abbiamo visto una riduzione drastica dei transiti. Se non ricordo male i numeri, siamo passati da 76.000 transiti nel mese di maggio dell'anno scorso a meno di 10.000 a gennaio, grazie a una gestione comune del controllo del territorio, potenziando le capacità del Governo del Niger a Pag. 10controllare un territorio molto vasto, desertico e molto difficile da monitorare.
Con un partenariato fortissimo con l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, l'Unione europea ha sostenuto la creazione di un centro di tale Organizzazione ad Agadez, luogo di snodo dei flussi in entrata verso la Libia. Abbiamo sostenuto il ritorno volontario, gestito dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni, da Agadez ai Paesi di origine, in questo modo garantendo non soltanto la protezione dei migranti – noi vediamo coloro che muoiono in mare, ma spesso non vediamo coloro che muoiono nel deserto –, che vanno protetti e salvati attraverso un'azione che le organizzazioni internazionali, non soltanto le ong, ma anche l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'UNHCR, possono fare se adeguatamente sostenute, cosa che noi stiamo facendo.
Un ulteriore elemento, insieme al controllo del territorio e al sostegno all'OIM, è la creazione di posti di lavoro e di opportunità in luogo, per creare un'economia legale, alternativa al traffico di esseri umani in aree dove, fino a qualche anno fa, si viveva di turismo. Agadez, infatti, era snodo del turismo per l'area del nord del Niger. Oggi, per motivi di sicurezza, il turismo non c'è più e l'economia locale si è convertita al traffico di esseri umani. Quindi, stiamo parlando della creazione di opportunità di lavoro per i giovani del Paese che tolga spazio ad un'economia criminale, basata sulla tratta di esseri umani, ma anche su una serie di attività criminali che possono anche andare in altre direzioni, da tutti i tipi di traffici a questioni più serie anche per la sicurezza.
Questo è soltanto un esempio di come funziona un compact. Lo stesso tipo di approccio lo stiamo avendo con gli altri quattro Paesi e iniziamo ad avere dei primi risultati positivi.
Insieme a questo lavoro di medio periodo con i Paesi di transito e di origine, abbiamo finalmente avviato un lavoro più complessivo con l'Africa. Anche questa è una battaglia italiana, che credo sia arrivata ad avere un buon risultato, anche grazie ad una presenza maltese che oggi è particolarmente attenta al nostro rapporto con il nostro vicino della sponda sud del Mediterraneo. L'Unione europea è non soltanto il primo donatore a livello mondiale, ma anche il primo donatore per l'Africa, anche il primo partner commerciale e anche il primo interlocutore per quello che riguarda il lavoro sui diritti, sullo Stato di diritto, sulla governance e sulla democrazia con l'Unione africana e le diverse organizzazioni subregionali africane.
Quest'anno si svolgerà un summit tra Unione europea e Africa, che sarà incentrato sui giovani del continente, troppo spesso visti come bomba demografica e non come opportunità di sviluppo del continente. L'approccio che stiamo avendo è quello di lavorare intensamente con l'Africa come uno dei primi partner per l'Unione europea non più nella logica donatore/beneficiario, ma nella logica di partner per lo sviluppo. Quindi, si tratta di un lavoro che va dallo sviluppo digitale all'energia, alle infrastrutture e agli investimenti privati, per consentire all'Africa di utilizzare appieno il proprio potenziale.
Proprio per questo abbiamo lanciato un piano di investimenti esterni dell'Unione europea sulla falsariga del cosiddetto Piano Juncker, con la possibilità di sostenere investimenti privati europei nel continente africano, non solo con garanzie finanziarie – infatti, investire nei Paesi fragili è ciò che serve di più, ma è anche ciò che è più rischioso per il settore privato –, ma anche indirizzando investimenti privati agli obiettivi di sviluppo sostenibile con riferimento, quindi, all'Agenda di sviluppo globale delle Nazioni Unite.
Sul versante migrazioni c'è, infine, il lavoro sulla Libia. So che avete appena votato il provvedimento sulle missioni internazionali. Una parte fondamentale del lavoro che abbiamo messo in piedi nell'ultimo anno e mezzo è quella relativa all'operazione Sophia, che da sola ha salvato decine di migliaia di persone – per me ognuna di queste è una ragione valida per essere in mare con i nostri uomini e le nostre donne sotto la bandiera dell'Unione europea, con ventiquattro nazionalità diverse – ma che ha anche consegnato alla Pag. 11giustizia italiana più di cento sospetti trafficanti e iniziato a formare la Guardia costiera libica.
Insieme al Ministro Pinotti e al Primo Ministro maltese, abbiamo consegnato qualche settimana fa i primi diplomi ai primi novanta uomini della Guardia costiera libica, sapendo molto bene tutti i limiti, tutte le difficoltà e tutte le fatiche che incontreranno nei prossimi mesi. Quello che vediamo oggi è ancora una drammatica perdita di vite in mare in acque territoriali libiche, un'area dove l'operazione Sophia e le operazioni internazionali, come sapete bene, non possono operare.
Se vogliamo continuare a salvare vite, ma anche smantellare la rete dei trafficanti, ciò va fatto, oggi, in acque libiche. Possiamo dare gli strumenti alle autorità libiche – non soltanto al Governo di accordo nazionale, ma anche ai nostri interlocutori nelle municipalità, che poi hanno il controllo del territorio in modo diretto –, le quali avranno la capacità e la possibilità di fare la loro parte. È una responsabilità che noi, come europei, stiamo iniziando finalmente a prendere in quest'ultimo anno e mezzo, ma non è una responsabilità che esercitiamo da soli. C'è l'esigenza che i nostri amici africani, per quello che li riguarda, e i nostri amici libici, per quello che li riguarda, condividano questa battaglia di civiltà per salvare vite umane e proteggere diritti e anche per smantellare le reti criminali.
Il lavoro che stiamo facendo con la Libia, quindi, è, in mare, di contrasto ai trafficanti e di salvataggio di vite umane, con l'operazione Sophia e con l'addestramento della Guardia costiera libica; a sud della Libia, prima che il flusso entri in Libia, in Niger, ma anche in Mali e in Ciad, con un approccio regionale; all'interno della Libia, con un'altra operazione dell'Unione europea, EUBAM, che, come sapete bene, sta provando a lavorare sulla capacità di gestire le frontiere.
Questo è un lavoro che stiamo facendo anche con i Paesi che confinano con la Libia, perché le frontiere possono anche essere gestite dall'esterno, con tutte le difficoltà che immaginate. Anche con Tunisia, Algeria, Egitto, Niger e Ciad c'è un lavoro di gestione, il più possibile integrata, di questa questione, con un unico ulteriore sforzo, a cui sono molto legata. Mi riferisco al fatto che abbiamo iniziato a lavorare con l'UNHCR e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni per una loro presenza in Libia, perché la situazione dei campi all'interno del Paese è drammatica e far finta che non esistano non la risolve, dato che la presenza di centinaia di migliaia di migranti all'interno del Paese va gestita.
Noi stiamo sostenendo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'UNHCR perché riescano a trovare le condizioni per operare all'interno del Paese e, in questo modo, prendersi cura dei migranti presenti, ma anche organizzare i rientri dalla Libia ai Paesi di origine. L'Organizzazione internazionale per le migrazioni ha deciso di riaprire il proprio ufficio a Tripoli e credo che lo farà nelle prossime settimane. Stiamo lavorando insieme per accentuare e ampliare il più possibile questo lavoro comune.
Mi fermo qui, mi sono dilungata troppo. Mi scuso, sapendo di non aver coperto gran parte del terreno su cui stiamo lavorando. Mi riferisco alla Siria e ai Balcani, su cui mi piacerebbe poter tornare. Il presidente ha perfettamente ragione: è un'area cruciale per noi, in positivo o in negativo, se la situazione gira in un altro modo. Sono stata recentemente in visita in tutti i sei Paesi dei Balcani. Quella è anche un'area in cui solo l'Unione europea ha gli strumenti per prevenire un'eventuale crisi o per incoraggiare sviluppi positivi attraverso la credibilità del processo di allargamento.
PRESIDENTE. In sede di replica può tornare sull'argomento. La situazione è la seguente: dobbiamo concludere i nostri lavori alle 16,30, per gli impegni della Camera e gli impegni del Senato, e ho sedici interventi, almeno allo stato attuale. Proporrei, quindi, un tempo di cinque minuti per oratore, che credo consenta a tutti di intervenire. Ovviamente, gli interventi sono combinati insieme, sia tra Camera e Senato sia, ovviamente, rispetto alle posizioni politiche. Pag. 12
Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ROBERTO COCIANCICH. Ringrazio l'Alto Rappresentate Mogherini. Io ho trovato estremamente interessante questa relazione, che ho veramente apprezzato in quanto molto ricca e molto dettagliata.
Lei ha fatto riferimento al programma di investimenti dell'Unione europea nei Paesi dell'Africa, che era un'indicazione contenuta anche nel Programma della Commissione presentato, se non erro, nello scorso mese di settembre o ottobre, e che sostanzialmente, se ricordo bene, prevedeva di replicare il meccanismo pensato per l'area interna, il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), anche per gli investimenti da effettuare nell'area esterna.
Questa a me pare un'iniziativa molto positiva da parte dell'Unione e della Commissione, che ha l'obiettivo di prevenire le cause che determinano il flusso migratorio così imponente, che oggi stiamo sperimentando. Lei ha dato alcune indicazioni concrete e ha fatto alcuni commenti. È previsto un finanziamento adeguato di questo programma? Al di là dell'idea, che è sicuramente positiva, qual è lo status del finanziamento di questo progetto?
La seconda riflessione sulla quale chiedo un Suo commento riguarda lo stato degli accordi commerciali con i Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). Se si fanno degli investimenti ma poi gli accordi commerciali relativi alla compravendita e alla commercializzazione dei prodotti che vengono realizzati sono così sfavorevoli, come oggi appaiono risultare dai testi degli accordi commerciali, si rischia di fare, un'altra volta, un'operazione a metà, se non addirittura controproducente. Di conseguenza, mi domando se non ci sia una riflessione o un'iniziativa anche in questo senso.
In Commissione affari costituzionali del Senato abbiamo condotto un'indagine che riguardava anche questa parte del problema, nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulle migrazioni. È convinzione comune che questo sia un aspetto fondamentale del problema complessivo dell'immigrazione, quindi io richiamo la Sua attenzione anche su questo argomento.
Visto che parliamo di accordi commerciali, faccio un accenno anche all'aspetto più scabroso che riguarda gli accordi commerciali con gli Stati Uniti. La nuova Amministrazione ha annunciato una sospensione della negoziazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Mi pare di capire che sia stato annunciato un approccio più unilaterale caso per caso, tenendo conto dei rapporti commerciali che gli Stati Uniti hanno con i singoli Paesi membri. Vorrei capire se questo atteggiamento un po’ unilateralista da parte degli Stati Uniti viene in qualche modo contrastato, se l'Unione europea rivendica la propria competenza esclusiva su questo genere di trattati e quali sono le azioni che voi intendete intraprendere per dare forza a questa posizione.
Infine, siamo tutti rimasti abbastanza scioccati quando, nei giorni scorsi, abbiamo appreso della pervasività dei controlli che la CIA ha sulle telecomunicazioni, sui telefoni cellulari e addirittura sui televisori. Emerge un quadro molto preoccupante rispetto alle interferenze e all'attività di spionaggio, che, peraltro, credo faccia da pendant ad analoghe attività, quantomeno di disturbo, da parte della Federazione Russa.
L'Unione europea è in mezzo e credo che abbia l'interesse e il dovere di difendersi da questo tipo di interferenze, così indebite, da parte di Paesi con i quali noi riteniamo di avere dei rapporti di partenariato, più o meno problematico di volta in volta, ma comunque di correttezza.
È chiaro che non possiamo accettare passivamente un'interferenza di questo tipo, quindi domando e sollecito, al tempo stesso, un'iniziativa da parte dell'Unione europea per salvaguardare gli interessi e i diritti dei propri cittadini.
ELEONORA CIMBRO. Ringrazio l'Alto Rappresentante Mogherini per aver fornito informazioni che sono sicuramente molto utili per il lavoro che stiamo facendo sia in Commissione affari esteri sia in Commissione difesa sia nella Commissione per le politiche dell'UE. Pag. 13
Io credo che questo momento di riflessione oggi, a seguito della votazione del provvedimento sulle missioni internazionali, sia utile per capire anche come ci stiamo muovendo a livello europeo. Infatti, oggi c'è stata la possibilità di confrontarci, forse per la prima volta, in modo importante e profondo, su alcuni temi che ci stanno davvero a cuore.
Lei ha svolto sicuramente una descrizione molto precisa degli interventi che avete deciso di attuare rispetto alla politica di difesa, però io vorrei avere un quadro più chiaro rispetto alla visione di insieme sulla politica estera dell'Unione europea. Infatti, se è vero che andiamo a intervenire in questi scenari, che sono indiscutibilmente problematici, con degli interventi ad hoc, credo anche che l'Unione europea debba avere una visione chiara di come intenda porsi rispetto ai tanti problemi di politica estera che abbiamo. Mi riferisco sia all'interlocuzione con il Sud dell'Europa – a questo proposito vorrei capire a che punto siamo rispetto al partenariato meridionale – sia al nostro rapporto con l'Est. A tal proposito, mi piacerebbe capire qual è la sua posizione, anche personale, rispetto al partenariato orientale. Da una parte, noi abbiamo autorizzato delle missioni che oggettivamente creano un problema rispetto al rapporto con la Russia. Dall'altra parte, gli interventi che abbiamo previsto come Unione europea, anche rispetto alla risoluzione della crisi libica e al problema della gestione del Mediterraneo, hanno posto una serie di questioni riguardo, per esempio, al passaggio dalla fase 2 alla fase 3 della missione Sophia, che Lei ha ricordato. Anche su questo aspetto vorrei sapere qual è la Sua posizione e che cosa pensa rispetto a un eventuale blocco navale.
Mi permetto di concludere dicendo che, forse, una visione globale più matura dell'Unione europea per la gestione delle crisi, che sono presenti soprattutto nel Nord Africa, aiuterebbe a evitare interventi che sono intrapresi come risposta a un'emergenza e non come prevenzione di un problema.
PAOLO ROMANI. Mi alzo anch'io, perché mi sembra un atto di rispetto dovuto. Sarò telegrafico anche per rispetto degli altri colleghi.
Stamattina, presidente, mi è capitato di parlare in Aula al Senato del Libro bianco Juncker. Lei è la Rappresentante della politica estera e della sicurezza comune dell'Unione europea, ma è anche la rappresentante italiana della Commissione. Devo dire che ho trovato la lettura del Libro bianco sorprendente, come ho detto in Aula stamattina, nei cinque scenari che Juncker ipotizza per quanto riguarda il futuro dell'Europa.
Vorrei capire se avete parlato di questo Libro bianco all'interno della Commissione e, se posso chiederlo, vorrei capire qual è stata la Sua posizione nel merito. Capisco che sono cinque scenari profondamente diversi fra di loro, alcuni abbastanza inquietanti. Vorrei capire se il Suo contributo è andato in una direzione, come io auspico, senza menzionarla, oppure in un'altra.
In secondo luogo, Lei sa – lo dice il rapporto Frontex – che il problema della migrazione dalla Libia sta nel rapporto che si è instaurato fra gli scafisti, i loro telefoni cellulari e le ong. Partono i canotti, che ormai sono due tubi con una tavola di legno e un motore raffazzonato, fanno poche miglia, ma hanno già la sicurezza che arriverà la nave dell'ong, probabilmente anche in acque territoriali libiche. In seguito, ovviamente, i migranti vengono trasportati tutti sulle navi delle varie organizzazioni che si sono schierate ai limiti dei confini territoriali.
Lei prima aveva giustamente menzionato la distinzione fra soft power e hard power, con l'ONU che ovviamente identifica se stessa con il soft power, con la NATO che giustamente identifica se stessa con l’hard power e con l'Unione europea che, invece, è elemento di congiunzione fra il soft power e l’hard power, che alle volte può anche esercitare.
I libri insegnano che il segmento di congiunzione fra i due power è l'effetto deterrenza. Siccome abbiamo molti rappresentanti europei nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, fra i quali l'Italia, Lei è nelle condizioni di convincere questi Paesi europei che sono all'interno del Consiglio di Pag. 14Sicurezza a spingere per una risoluzione – è qua l'effetto deterrenza – che potrebbe consentire alle organizzazioni internazionali, fra le quali ovviamente l'Unione europea, di avere la possibilità - è questo l'effetto deterrenza – di bloccare il flusso migratorio?
Se è vero come è vero che il meccanismo è quello che descrivevo prima, ovvero il collegamento diretto tra ong e scafisti con i loro telefoni cellulari, un forte effetto di deterrenza sarebbe la possibilità delle organizzazioni internazionali di intervenire e anche di schierarsi laddove non si interrompesse questo flusso illegale.
Capisco che il collo di bottiglia fondamentale è quello che Lei citava della frontiera Libia-Niger, sulla quale, oltre all'Unione europea, mi pare sia intervenuto anche il nostro Ministro Minniti, siglando accordi con le tribù che stazionano da quelle parti. Tuttavia, è giusto fare anche accordi con i governi.
Avere la possibilità, sancita da organismi internazionali, in questo caso dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, di intervenire direttamente, laddove la moral suasion non fosse sufficiente per interrompere questo flusso, mi sembra possa essere una buona proposta che al Suo livello potrebbe essere portata nei Paesi europei, che tutto sommato Lei rappresenta.
PRESIDENTE. Siccome vedo che diversi colleghi pongono delle domande, preannuncio che intorno alle 16,10 sarò costretto a interrompere gli interventi per consentire all'onorevole Mogherini di dare una risposta.
Lo dico in termini positivi, non in termini negativi.
PAOLO ALLI. Innanzitutto, intervengo sul tema della difesa e della sicurezza, per riconoscere il lavoro fatto dall'Alto Rappresentante Federica Mogherini in questo campo. Giustamente Lei ci ha ricordato che si sono fatte più cose nell'ultimo anno che nei decenni precedenti. Questo è vero. Auspichiamo che questo percorso vada avanti rapidamente.
Io sono un po’ scettico sui battlegroup, ma il Suo auspicio, ossia che si riesca a farli partire entro l'anno, è anche un mio auspicio, con qualche perplessità.
Credo che, invece, il rafforzamento del rapporto con la NATO e la recente iniziativa del Centro unificato di comando delle missioni militari a Bruxelles segnino sicuramente due direzioni che permettono di andare verso un sistema di difesa e di sicurezza comune. Lei lo ha velatamente accennato, io lo direi in modo un po’ più esplicito: questa azione è anche una risposta necessaria alla nuova Amministrazione statunitense. Certamente, le dichiarazioni del presidente Trump hanno accelerato la consapevolezza che dobbiamo fare di più.
Io, però, penso che su questo fronte si debba eliminare qualche equivoco. Per esempio, sento parlare di esercito comune europeo. Credo che, prima di arrivare a quello, semmai ci si arriverà, ci siano molti passi intermedi da fare. Lei ha citato, tra le altre cose, la razionalizzazione delle spese. Bisogna essere realistici e non buttare troppo fumo negli occhi all'opinione pubblica con formule un po’ equivoche.
Ritengo che ci siano due cose sulle quali bisogna lavorare da subito. La prima è il tema della misurazione del contributo che ciascun Paese dà alla difesa e alla sicurezza più in generale. Oggi i parametri che si usano sono necessariamente parametri macro, ma, essendo macro, sono anche grossolani (il 2 per cento del PIL, il 20 per cento speso per gli investimenti eccetera).
Secondo me, bisognerebbe fare uno sforzo di ridefinizione di questi criteri, con una sorta di fine tuning. Infatti, se considerassimo le altre spese che ciascun Paese sostiene per azioni inerenti la sicurezza (nel caso del nostro Paese il tema delle migrazioni sta tutto sulle nostre spalle), se considerassimo gli output reali che ciascun Paese dà rispetto alla sicurezza globale – ricordo, per esempio, che l'Italia è uno dei principali contributori mondiali, in termini di truppe, nelle operazioni internazionali –, se misurassimo anche i ritorni sull'industria della difesa che alcuni Paesi hanno e altri no, forse troveremmo delle sorprese.
È chiaro che i nostri amici d'oltreoceano dicono: «Aumentate le spese della NATO, perché non possiamo continuare a Pag. 15sostenere, noi, il 70 per cento della spesa». Tuttavia, guarda caso, le spese di investimento ritornano in larga misura sulle loro industrie. Anche questo dovrebbe essere considerato. Questo tema della misurazione, secondo me, va affrontato in modo un po’ più serio.
La seconda considerazione riguarda, invece, l'Unione europea in sé. Siamo in una situazione straordinaria e la sicurezza è diventata così importante per quello che è successo negli ultimi anni. Di conseguenza, ci vogliono misure straordinarie. L'idea di un fondo per sostenere la ricerca nella difesa è positiva, però noi dobbiamo arrivare a escludere le spese militari, o una parte di esse, dal Patto di stabilità. Questa è la vera svolta che aiuterebbe i nostri Paesi a incrementare la quota di spese per la difesa rispetto al PIL, avvicinandoci a quel famoso 2 per cento.
Qualche segnale rispetto a questo aspetto è contenuto nel Libro bianco di Juncker, però è una proposta difficile. Sappiamo che alcuni Paesi non ne vorrebbero sentir parlare, a partire dalla Germania, però anche la Merkel potrebbe avere qualche convenienza, dal momento che ha detto ufficialmente che la Germania è pronta a portare le spese per la difesa al 2 per cento del PIL.
È un percorso difficile, ma, secondo me, è possibile. Vorrei avere un Suo parere a questo proposito, cioè vorrei sapere se questa è una suggestione che si può lanciare sui tavoli politici e su cui poter lavorare. Credo che sarebbe determinante per molti Paesi dell'Unione europea.
Concludo con una considerazione più ampia. Mi rendo conto che si esce dai limiti del Suo intervento, che sono stati necessari. Ovviamente io apprezzo i colleghi che chiedono di parlare di tutto, però bisogna concentrarsi sulle questioni principali. Il multilateralismo, tema che Lei ha toccato, oggi rischia di essere messo in crisi a livello globale per il fatto che la principale potenza che lo ha creato e sempre sostenuto, cioè gli Stati Uniti d'America, sembra avviarsi a un approccio di tipo bilaterale. Infatti, quando Trump dice: «America first», il rischio è che gli americani dialoghino bilateralmente con gli altri, come fa la Cina e come fa la Russia.
Magari si arriverà addirittura a consegnare la palma di alfiere del multilateralismo a una Cina che sta facendo un'operazione, quella della nuova «Via della seta», da tutti elogiata, che, sotto le vesti di intervento market-driven, cioè di intervento di mercato, in realtà, a mio parere, è la più grande operazione geopolitica mai fatta nella storia del nostro mondo. Questa è la mia considerazione, su cui Le chiedo un breve spunto. Vorrei capire se e come il rapporto tra l'Unione europea e la Cina tiene conto di questa iniziativa di espansionismo cinese.
SERGIO DIVINA. Presidente, farò risparmiare qualche minuto, andando al nocciolo.
La precedente Amministrazione americana, l'amministrazione Obama, ha creato una totale instabilità nel Mediterraneo, perché l'obiettivo era liberare i Paesi mediterranei dai dittatori e, per fare questo, ha creato una forte frattura con la Federazione Russa.
La nuova Amministrazione americana entrante sembra meno incline a esportare la democrazia con le bombe, anche se non ha ancora ottenuto premi Nobel, ma ha stabilito come punto primo della sua attività la lotta per sconfiggere il terrorismo. Per fare questo, serve una forte cooperazione tra i grandi blocchi e sembra che ci sia una cooperazione tra Russia e Stati Uniti d'America. In questo campo deve entrare in gioco anche l'Unione europea. Com'è possibile questo se noi, come europei, continuiamo a mantenere le sanzioni nei confronti della Russia?
In secondo luogo, Lei parla di «spendere meglio le risorse dell'Unione». Siamo tutti d'accordo su razionalizzare gli strumenti, i mezzi, gli armamenti eccetera. Tuttavia, non nascondiamoci che l'industria degli armamenti è per lo più un'industria di Stato e che l'industria della difesa è un'industria concorrente a livello europeo. Pertanto, come si può conciliare la razionalizzazione dei mezzi, quando nessuno può fare passi indietro nei confronti Pag. 16del proprio sistema industriale della difesa?
ERASMO PALAZZOTTO. Ringrazio l'Alto Rappresentante per essere qui. La ringrazio anche perché voglio riconoscere lo sforzo che Lei ha messo nel cercare di dare una funzione politica a un ruolo che in Europa ha sempre avuto una funzione meramente simbolica, quale quello di Alto Rappresentante per la politica estera e di difesa.
Infatti, io ritengo che l'assenza di una politica estera e di difesa comune abbia rappresentato il principale punto di crisi del progetto europeo. Lo abbiamo visto negli ultimi vent'anni, in maniera plastica, rispetto alla maggior parte delle crisi che si sono aperte. Quella libica è forse la più emblematica di come gli interessi dei singoli Paesi dell'Unione europea erano contrapposti dentro a uno scenario a noi molto vicino. Mi riferisco agli interessi economici, a quelli di approvvigionamento energetico e anche a quelli militari.
Credo che dovremmo interrogarci su questo. Colgo lo spirito che sottolineava il presidente Cicchitto in apertura rispetto alla possibilità di trasformare questa discussione da semplice question time a elemento di riflessione su alcune questioni politiche.
I movimenti populisti, che rappresenterebbero una minaccia per l'Europa, non sono un imprevisto della storia, ma sono evidentemente una risposta sbagliata a una domanda giusta. Sono una risposta alla crisi di un progetto europeo che è stato molto coeso nell'imporre politiche fiscali e politiche di austerità, che si sono scaricate sui popoli europei, e, invece, poco coeso rispetto al mercato finanziario, che in questi anni di crisi ha potuto continuare la sua speculazione. Si prosegue su una strada che sembra quella sbagliata, cioè sull'idea di un'Europa che si chiude in un bunker, che cerca di aggiustare malamente tutti i meccanismi che non funzionano.
Tutto questo avviene mentre il mondo cambia rapidamente e l'Europa, invece, va a un passo lento. Se si dovesse parlare di più velocità, in questo momento mi sembra che le due velocità riguardino quello che succede su scala globale e quello che avviene, invece, a livello europeo. Un esempio su tutti è Trump. Mi pare che la risposta dell'Unione europea a quello che è accaduto negli Stati Uniti con l'elezione di Trump non sia per nulla all'altezza rispetto a quello che si sta producendo.
Ciò vale anche rispetto ai rapporti con la Russia. Non vorrei che noi arrivassimo per ultimi a togliere le sanzioni, viste le complicità – chiamiamole così – tra il presidente russo e quello americano. Mi riferisco anche al fatto che Trump rappresenta la controparte transatlantica di quei movimenti populisti di cui tanto abbiamo paura in Europa. Evidentemente, è successo che la più grande potenza mondiale, sia sul piano economico che militare, è finita in mano a quei movimenti populisti di cui tanto si ha paura in Europa.
La prima cosa che fa il presidente americano è rilanciare la corsa al riarmo nucleare. Il silenzio di tutti i governi europei e anche il Suo, onorevole Mogherini, è imbarazzante rispetto a una questione di così grave importanza. L'idea è che, mentre sta smottando l'equilibrio che si era costruito nel Novecento su scala globale, l'Europa continui a navigare guardando al passato. Quella sul ruolo della NATO e sulla militarizzazione del confine orientale è una discussione che sembra quasi surreale davanti allo scenario attuale, a maggior ragione perché riguarda solo una corsa agli armamenti.
In questa occasione è stato più volte ribadito: credo che darsi come obiettivo prioritario il raggiungimento del 2 per cento del PIL della spesa militare per i Paesi dell'Unione europea, nel momento di massima crisi economica, in cui i popoli stanno pagando il prezzo di queste scelte scellerate, sia una follia. Nonostante ciò, la spesa militare è cresciuta in questi anni. Abbiamo appena approvato una risoluzione che impegna il Governo ad aumentare del 7 per cento le spese militari rispetto allo scorso anno, in cui erano cresciute dell'8 per cento.
Per quanto riguarda la Libia, ho già detto che la situazione, secondo me, è del tutto surreale. Noi stiamo addestrando la Guardia costiera libica, eppure abbiamo Pag. 17tutti gli strumenti per sapere che il capo della Guardia costiera libica, che gestisce da Tripoli a Sabratha il punto di partenza degli sbarchi, tale Al Bija, è colui che gestisce il traffico di migranti, quantomeno nella funzione di esattore. Infatti, bisogna pagare una quota del 30 per cento alla Guardia costiera libica per far partire i barconi. È lo stesso che gestisce il centro di detenzione di Nasser, pagato con i soldi italiani ai tempi dell'accordo tra l'Italia e Gheddafi. È lo stesso che appartiene al clan che comanda le milizie che gestiscono la sicurezza degli impianti dell'ENI.
Noi ci confrontiamo con una situazione in cui descriviamo i nostri interlocutori come se fossero interlocutori istituzionali, ma, in realtà, in Libia la situazione è un po’ più complessa. Noi stiamo addestrando la Guardia costiera che è gestita da questo tizio. Gli stiamo consegnando i mezzi con cui governerà meglio il flusso migratorio e, soprattutto, avrà modo di imporre meglio la tassazione ai trafficanti.
Concludo – perché capisco che i tempi sono molto stretti, ma molta è la carne al fuoco – sul tema principale che, secondo me, fotografa la crisi dell'Unione europea in questo momento. In questo caso, la crisi migratoria non è solo una crisi della capacità di gestione di fenomeni strutturali del nostro tempo, ma sta diventando anche una crisi di valori per l'Unione europea. La risposta che l'Unione europea dà a un fenomeno strutturale di proporzioni storiche non ripetibili, quantomeno negli ultimi secoli, è una risposta securitaria, che, dietro alla narrazione della visione di una politica estera che, come ci diceva Lei, guarda con più ampio respiro al fenomeno migratorio, di fatto sta esternalizzando le frontiere. L'accordo con il Niger ha previsto che il campo di Agadez diventi un campo di detenzione e di rimpatrio a sud del Sahara. Invece di farli arrivare fino a qui per poi espellerli nei CIE, cominciamo a mettere un tappo al di sotto del Sahara.
La stessa cosa si può dire sull'accordo con il Sudan. La informo che il Capo della nostra polizia ha firmato un accordo con il capo della polizia del Sudan, cioè colui che gestisce le milizie Janjaweed, che sono quelle che hanno contribuito a due condanne della Corte penale internazionale per il presidente al-Bashir per crimini contro l'umanità. Capisco che noi, davanti alla necessità di dare una risposta securitaria, siamo pronti a tutto, però credo che barattare il nostro legame con i valori universali e soprattutto con il rispetto dei diritti umani sia una cosa che non ci possiamo permettere.
Potrei dire molto di più, anche sull'accordo con la Turchia. Anche quello è un accordo che rimane informale, in quanto non può essere sottoscritto dall'Unione europea sul piano formale, perché viola le stesse leggi che l'Unione europea si è data.
A questo proposito, io penso che noi siamo davanti a una sfida e che questo secolo che si è aperto sarà, in un modo o in un altro, il secolo dei diritti umani, della loro riaffermazione su scala planetaria o della loro negazione. Quello che ancora non è chiaro è da che parte della storia noi, alla fine, saremo schierati. La mia sensazione è che, dietro all'idea di una Realpolitik, noi finiremo per essere schierati, giocoforza, dalla parte sbagliata.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto l'Alto Rappresentante. Abbiamo atteso questa discussione a lungo e credo che sia davvero molto utile per i lavori di tutte le Commissioni qui riunite.
Lei nel Suo intervento è partita dall'indicare come le sfide interne all'Unione europea ci aiutino a dire perché ci convenga stare insieme anche sul fronte esterno. Credo che Lei abbia presentato degli argomenti molto potenti, che effettivamente ci stanno aiutando a rafforzare in varie tappe il processo di integrazione europea e stanno portando a dei risultati molto positivi, come abbiamo visto. Credo che stiamo producendo degli strumenti che aspettano solo di essere effettivamente utilizzati.
Io vorrei, però, porre la questione da un punto di vista politico. Ci sono governi nel mondo – penso ad esempio a quello del Presidente Trump o alla Brexit – che esprimono un orientamento politico molto diverso, ovvero dicono che sostanzialmente le crisi globali devono o possono essere risolte meglio utilizzando un sistema unilaterale. Pag. 18
Vorrei capire come questi orientamenti diversi ci possono spingere, invece, a riaffermare che con una gestione multilaterale delle crisi si produce un risultato migliore. Lo chiedo con riferimento in particolare a due grandi risultati della gestione multilaterale europea di questioni internazionali. Mi riferisco, da un lato, al clima di cui Lei ha parlato e, dall'altro, alla vicenda iraniana, anch'essa ascrivibile al Suo intervento.
Sono due questioni dove effettivamente questa gestione unilaterale delle crisi può mettere in discussione dei risultati raggiunti. Nel caso in cui questo succeda o anche se non dovesse succedere, ci sono margini per fare di più e fare meglio, soprattutto guardando al clima? Nel caso in cui dovesse essere messo in discussione l'accordo con l'Iran, in che modo noi affermiamo, invece, che una gestione multilaterale produce più risultati in termini di sicurezza, di pace e di stabilità?
PIA ELDA LOCATELLI. Ringrazio l'Alta Rappresentante per la sua relazione. Voglio fare due brevissime considerazioni e tre domande.
Riconosciamo ovviamente il lavoro fatto in tema di difesa e sicurezza. Rispetto al niente dei sessant'anni, anche dei piccoli passi sembrano passi da gigante. Ovviamente ci auguriamo che il tema di una maggiore e migliore integrazione dell'Unione europea in ambito difesa e sicurezza vada avanti spedito. Comunque, apprezziamo questo lavoro.
Voglio, invece, esprimere qualche preoccupazione in tema di gestione dei flussi migratori. Lei ha parlato di azione esterna e di resistenze interne per quanto riguarda questo argomento.
Partiamo dall'azione esterna. Nel maggio dello scorso anno l'Italia aveva presentato un migration compact che era molto più ambizioso in entrata rispetto a quanto poi è uscito dall'Unione europea; alla fine sono usciti cinque mini-compact e per questo siamo un poco dispiaciuti. Comunque, mi auguro che quel poco che ne è uscito venga osservato con il più profondo rispetto dei diritti umani, perché è un tema che si pone.
Per quanto riguarda, invece, la resistenza interna, io trovo che l'Unione europea in tema di resistenza interna rispetto alla gestione dei flussi migratori abbia usato un peso e una misura diversi da quelli che si usano, ad esempio, in tema di politica finanziaria.
C'è una severità in tema di politiche di austerità (se vogliamo chiamarle così) che non troviamo assolutamente, invece, in tema di gestione dei flussi migratori. C'è rigidità nel tentativo di applicazione delle regole, ma c'è, a mio avviso, una grande flessibilità da parte dell'Unione europea nella gestione dei flussi. Ci sono dei Paesi totalmente irresponsabili nei confronti dei quali non c'è severità.
Detto questo, passo alle domande. Vorrei conoscere qual è lo stato dei rapporti dell'Unione europea con la Turchia e l'Egitto per quanto riguarda i temi connessi allo Stato di diritto e ai diritti umani. Faccio due esempi, uno per ciascun tema: caso Regeni in Egitto e arresto e carcerazione dei parlamentari in Turchia.
In secondo luogo, vorrei sapere quali iniziative intenda assumere l'UE per favorire il consolidamento del Governo di al-Serraj e per stabilizzare la Libia anche tenendo conto delle relazioni del generale Haftar con l'Egitto.
In terzo luogo, vorrei sapere quali sono, dopo il Suo viaggio nei Balcani (Albania, Serbia, Kosovo e così via), le Sue valutazioni dei rischi e dei benefici per l'Unione europea di un ulteriore allargamento ad est, anche tenendo conto della prospettiva di disimpegno degli Stati Uniti e di un maggiore coinvolgimento della Russia.
ANTONINO MOSCATT. Anch'io mi associo ai ringraziamenti all'Alto Rappresentante Mogherini per la sua presenza e per il lavoro che sta facendo, perché penso che noi viviamo in una stagione particolare. Mi si consenta questa piccola premessa. È vero che tutte le stagioni quando si vivono hanno una propria particolarità, ma penso che quella che stiamo vivendo oggi in Europa sia veramente difficile e complessa, perché si ridisegna il perimetro di ciò che l'Europa vuole essere e la prospettiva che la stessa si vuole dare. Pag. 19
Ritengo che, al di là delle materie economiche e delle materie specifiche che l'Unione europea porta con sé, la qualità di ciò che si vuole essere e di questo perimetro si ridisegni e si stabilisca con alcuni temi e con alcune politiche estere e della difesa.
Infatti, ad esempio, alcuni temi che Lei ha posto, come quello dell'immigrazione, fanno capire quanto è capace l'Europa di rapportarsi con il resto del mondo e con i contesti globali e anche quanto è capace l'Europa di tenere per sé alcuni temi fondamentali.
Non mi riferisco solo alla solidarietà e all'aiuto verso le persone che scappano per ragioni umanitarie, quindi al salvataggio delle vite umane, ma anche alla capacità di interfacciarsi con quegli Stati, l'Italia in primis, che affrontano di petto la vicenda.
L'onorevole Mogherini sa, anche dalla mia cadenza, che io vengo dalle terre degli sbarchi. Abbiamo avuto il privilegio, in tempi non sospetti, di averla in quei territori. Lei sa quanto si sente forte l'esigenza di avere un'Europa più presente.
Lei diceva bene: noi abbiamo vinto una battaglia, ovvero abbiamo portato il tema dell'immigrazione al centro del dibattito europeo. Ora, però, dobbiamo vincerne una seconda, ovvero fare in modo che il tema dell'immigrazione non rimanga chiuso nel dibattito, ma si concretizzi con le azioni che già abbiamo fatto e che devono diventare più incisive per dare sostegno agli Stati che sono in prima linea nel fronteggiare il tema dell'immigrazione.
Dopodiché, come dicevo prima, c'è il tema della difesa comune. Noi in questi anni in Italia, come Lei ben saprà, stiamo stravolgendo la materia delle politiche della difesa. Mi riferisco ai provvedimenti che abbiamo approvato, l'ultimo dei quali è la legge-quadro sulle missioni, che prima non esisteva, al Libro bianco e ad altri temi che fanno parte del nuovo modo di immaginare la difesa.
Noi riteniamo che, nel momento in cui l'Europa – e ci fa piacere vederlo – sta facendo propri degli spunti che arrivano dall'Italia e sta cercando di immaginare una politica di difesa comune, i capisaldi che Lei ha citato debbano essere ancora più rafforzati, perché ci sono alcune cose che consentono agli Stati membri e ai loro cittadini di sentirsi più al sicuro.
Questo cose sono la condivisione delle competenze, quella delle esperienze, il coraggio di condividere le informazioni, anche quelle particolarmente sensibili – infatti, Lei mi insegna che conoscendo le informazioni si possono evitare tante situazioni – e di scommettere anche su nuove formule di sicurezza, quali quella della cyber security.
Un'Europa che guardi alle nuove dimensioni della difesa, anche attraverso un grande impegno sulla ricerca e sui nuovi strumenti di difesa, può consentire agli Stati membri di sentirsi più integrati.
A tal proposito, ciò che si sta facendo in questi giorni e quello che Lei citava ci consentono di avere questo quartier generale comune.
Mi piacerebbe sapere, però, come stanno interagendo gli altri Stati. Lo dico perché in queste ore, oltre a raccontare ciò che siamo e ad ascoltare i racconti degli altri, stiamo cercando di comprendere le percezioni. Le chiedo, dunque, come viene percepito in altri Stati il lavoro che si sta facendo perché ci serve saperlo e non è una cosa di poco conto.
Infine, sulla Libia serve probabilmente più coraggio dell'Europa in quanto Europa complessivamente, non in quanto Stati. L'augurio che Le faccio è che questi anni siano caratterizzati da una parola: coraggio. Lei ne ha tanto. Le auguriamo in bocca al lupo e buon lavoro.
LAURA GARAVINI. Faccio una considerazione, una domanda e una raccomandazione. Parto dai ringraziamenti e dai complimenti per il fatto di arrivare al 25 marzo addirittura con degli accordi concreti in materia di difesa, una materia così delicata, sulla quale è così difficile pervenire a un'armonizzazione o comunque all'estensione ad altri Paesi di una cooperazione rafforzata, peraltro in una fase nella quale l'Europa ha molto bisogno di una difesa comune e di compattarsi rispetto alle minacce che ci arrivano dal punto di vista terroristico. Pag. 20
Dunque, si arriva al 25 marzo con una risposta fattiva al quesito che proponeva il senatore Romani, rispetto alle opzioni proposte dal presidente Juncker, e a dare un'interpretazione fattiva di un rilancio dell'Europa attraverso un'Europa a più velocità, che fa riferimento alla cooperazione rafforzata su una serie di tematiche.
Credo che questa sia una prima risposta fattiva, a dimostrazione del lavoro svolto e della capacità almeno di iniziare a dare all'Europa una voce politica unitaria molto concreta, in un momento così delicato come il sessantesimo anniversario dei Trattati.
Questo va segnalato con chiarezza. Ho poi una domanda in merito al secondo punto. Anche in questo caso devo partire da un complimento per essere riusciti a inserire nell'agenda politica dell'Unione europea questioni quali i flussi migratori, l'Africa e la Libia. Sono tutti punti che oggi possono essere dati per scontati, ma che non lo erano affatto soltanto un paio di anni fa.
Peraltro, queste proposte effettivamente – diciamocelo pure con un minimo di orgoglio – erano tutte partite dall'Italia. Addirittura quella di un'Europa a due velocità era stata espressa per la prima volta dall'attuale Presidente del Consiglio, all'epoca Ministro degli esteri. Anche le ultime questioni sono state poste dall'Italia sia durante il Governo Renzi sia durante l'attuale Governo Gentiloni.
Ciononostante, però, come diceva bene Lei nella sua relazione e come altri interventi che mi hanno preceduto non potevano che rimarcare, c'è una difficoltà nel procedere fattivamente, alla luce del comportamento di numerosi Paesi, a partire dal gruppo di Višegrad e dall'Ungheria, che ne fa parte. Con il voto parlamentare assunto ieri, si prevede addirittura l'arresto e la detenzione di profughi che richiedano asilo.
Ci sono singoli Paesi e gruppi di Paesi che fungono da freno rispetto a quelle politiche che l'Europa finalmente sta mettendo in atto. Io do una lettura positiva – a differenza di alcuni colleghi che mi hanno preceduto, come l'onorevole Locatelli – del fatto che l'Europa, anche se lentamente e con alcuni limiti, ha recepito grandi parti del migration compact, anche quello proposto dall'Italia.
Di fronte a queste difficoltà e al fatto che alcuni Paesi fungono da freno e si oppongono anche a decisioni già assunte dall'Europa – penso, per esempio, al ricollocamento dei profughi – ritiene che si possa iniziare a pensare anche a forme sanzionatorie nei loro confronti, laddove si rifiutino di adempiere a quegli impegni che hanno assunto a livello europeo?
Presidente, faccio un'ultima raccomandazione, come semplice parola-chiave. Esula dalle questioni che Lei oggi ci ha proposto, però mi preme utilizzare questa occasione per sottolineare e per porre alla sua attenzione l'esigenza di tener conto dei diritti acquisiti dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna nell'ambito degli accordi che l'Europa stilerà con la Gran Bretagna stessa a seguito della Brexit.
PRESIDENTE. Ci sono altri cinque interventi. Siccome voglio evitare di usare la ghigliottina, vi pregherei di essere sintetici, nei limiti del possibile.
MASSIMO ARTINI. Ringrazio l'Alto Rappresentante Federica Mogherini. Io mi vorrei concentrare su tre spunti. Il primo riguarda la parte balcanica e, in particolare, il Kosovo in relazione al quale Lei, nell'ultimo mese e mezzo, ha avuto una serie di rapporti con entrambe le parti.
Il secondo riguarda la Brexit e le implicazioni rispetto alle varie agenzie di difesa e agli strumenti che a livello europeo possono facilitare quel percorso di efficientamento che Lei citava prima nel Suo buon discorso. L'ultimo si riferisce all'appunto sui battlegroup, all'implementazione ex articolo 44 del Trattato, alla parte PESCO (Permanent Structured Cooperation) eccetera.
Sul Kosovo noi oggi abbiamo approvato, a larghissima maggioranza – oserei dire totale – la missione EULEX, che vede una presenza ancora molto importante e anche delle recrudescenze non indifferenti rispetto agli anni passati.
Mi chiedo se la decisione di ridurre il numero dei componenti della missione EULEX Pag. 21 – in particolare nel controllo finanziario e quindi a contrasto della situazione kosovara, decisamente particolare – non possa essere rivista al fine di aumentare quel tipo di controllo rispetto ad altre situazioni, più gestibili.
Relativamente alla Brexit, al netto di quelli che saranno i passaggi parlamentari o meno della Gran Bretagna, la considerazione che vorrei fare relativa al mondo difesa, in particolare EDA, OCCAR e le eventuali lettere di intenti che negli anni sono state sviluppate, parte dal fatto che la Gran Bretagna era un Paese fondamentale in tutti questi organismi. In EDA assicurava un supporto finanziario non insignificante; in OCCAR, per esempio, essendo uno dei membri, avrebbe diritto a rotazione a una presidenza.
Non c'è il rischio, nella volontà di quell'efficientamento, che la Gran Bretagna ci blocchi determinati tipi di programmi o di efficientamenti che a livello europeo si potrebbero sviluppare? E se, nell'eventualità, questo rischio esistesse, come state operando? In merito al ragionamento sui battlegroup, mi permetta una battuta: spero che funzionino da un punto di vista organizzativo, ma che non se ne debbano impiegare altri, che significherebbe una nuova realtà di crisi, e quindi l'implementazione di una nuova missione.
Mi preme, però, comprendere una cosa, che ho chiesto varie volte con riguardo all'operazione EUNAVFOR MED, relativamente all'implementazione di una missione per la prima volta sotto un articolo del Trattato e non come volontà dei Paesi sotto l'egida europea: so che nella preparazione di EUNAVFOR MED fu pensato anche quel tipo di soluzione e arrivare a implementarla in questo suo mandato penso sia uno degli obiettivi più logici e auspicabili.
MARIO MAURO. Ho due brevissime domande.
Anzitutto, chiederei all'Alto Rappresentante, ringraziandola per i temi che ha svolto, se può brevemente tornare sul fondo di finanziamento per la ricerca e l'industria nel settore della difesa. Mi piacerebbe sapere a che punto è il lavoro sul fondo di finanziamento e se lo si può configurare come una vera e propria rivisitazione del bilancio dell'Unione europea, già potendo prospettare che si tratti di un'apposita voce di bilancio dedicata. Vorrei inoltre sapere come si può collegare il lavoro che sta facendo con il Vicepresidente Katainen con il tema delle risorse proprie già trattato dal gruppo presieduto dal professor Monti.
La seconda domanda sarà altrettanto veloce, anche se immagino che le conclusioni che si aprono veloci non possano essere. La questione è ancora una volta quella dei Balcani.
Io giudico i Balcani pericolosi, non solo perché sono litigiosi, ma soprattutto perché ci fanno litigare. In questo senso, è proprio come affermava Churchill, ovvero producono più storia di quella che sono in grado di reggere.
Faccio riferimento a cose che probabilmente non ho capito. Ho avuto l'impressione, dopo il Suo passaggio in Albania, che le dichiarazioni dell'Alto Rappresentante – attraverso la sottolineatura della necessità di procedere alla riforma del sistema giudiziario – tendessero a legittimare una certa posizione nella disputa in corso tra il partito di governo, che aderisce alla famiglia socialista europea, e il partito dell'opposizione, che aderisce a quella popolare. È una cosa che ho trovato, onestamente, problematica.
Ho cercato di chiarirmi le idee seguendo la conferenza stampa gestita dalla Sua portavoce, ma i miei dubbi sono aumentati. Io credo che, se c'è una cosa che le istituzioni europee non devono fare, sia proprio quella di interporsi nelle dispute, soprattutto quelle di carattere balcanico, propendendo a favore di uno piuttosto che dell'altro.
TRIFONE ALTIERI. Ringrazio l'Alto Rappresentante Mogherini per questa riflessione importante, che dobbiamo fare anche in occasione di questo sessantesimo anniversario dei Trattati.
È noto a tutti, ormai è storicizzato, che la Comunità economica europea nasce dal fallimento della Comunità europea della difesa (CED). I grandi padri fondatori dell'Europa – De Gasperi, Adenauer, Schuman – sognarono prima un'unione politica vera, che quindi potesse estrinsecarsi per Pag. 22l'appunto nella difesa, che è un elemento di scelta politica. Forse sarebbe necessario rileggere le pagine di quei giorni prima di affrontare, in maniera a mio parere sbagliata, un percorso invece assai necessario.
Oggi, è curioso che ci ritroviamo a festeggiare la Comunità economica europea nata dal fallimento della Comunità europea di difesa in un momento in cui fallisce l'unione economica europea, e quindi si vuole rilanciare un'unità politica attraverso l'unione sulla difesa.
Il tema è sempre lo stesso, ed è quello che va affrontato e sviscerato. Se noi affrontiamo oggi un'unione nella difesa con le stesse regole che ci hanno portato al fallimento nell'unione economica, ovvero con criteri, paletti (sento parlare di livelli finanziari) non siamo sulla giusta strada. L'unione nella difesa significa manifestare l'Unione europea con un solo indirizzo politico e con una sola visione, cosa che purtroppo oggi non esiste. Come si è manifestata l'Unione europea rispetto alla tratta degli esseri umani negli ultimi tre anni?
Oggi Lei ci dice di festeggiare l'inserimento nell'agenda europea del tema dei migranti, ma l'unica vittoria potrebbe essere solo quella della sconfitta degli scafisti. Dico questo perché ogni giorno migliaia e migliaia di migranti arrivano sulle nostre coste e in questi anni nell'attraversare il Mediterraneo ne sono morti migliaia. E noi che cosa facciamo? L'Unione europea che cosa fa? Festeggia oggi attraverso le sue parole l'inserimento di un tema nell'agenda.
Noi dobbiamo affrontare questi criminali e sconfiggerli. Questa è un'organizzazione criminale, che come Lei stessa ha detto, oggi occupa la maggior parte del tessuto economico di quei Paesi. Questi criminali oggi stanno dando lavoro a loro connazionali per sfruttare povere vittime, mandate alla morte verso l'Europa e verso l'Italia, dove creano ulteriori problemi di sicurezza e di stabilità. È qui che bisogna intervenire.
Prima di procedere verso un percorso interrotto sessant'anni fa, ma che è giusto riprendere con le giuste regole, facendo tesoro degli errori di allora e di oggi, l'Unione europea come intende manifestarsi rispetto alla minaccia del terrorismo? Come intende manifestarsi realmente con un'attività di contrasto militare rispetto al triste fenomeno della tratta degli esseri umani?
Possiamo ancora aspettare che EUNAVFOR MED resti nella fase 2 e non proceda mai verso la fase 3? Che cosa sta facendo l'Unione europea per far sì che, anche in accordo con la Libia e con tutte le parti in causa, si possa finalmente procedere al contrasto dei criminali sfruttatori della tratta degli esseri umani sulle coste libiche e nel territorio libico e fermare quell'economia di cui Lei stessa parlava?
GEA SCHIRÒ. Ringrazio l'Alto Rappresentante di essere qui con noi commissari, oggi soprattutto.
Giusto per iniziare, se ho capito bene, chi mi ha preceduto vorrebbe implementare il detto aristotelico che, per preparare la pace, bisogna fare la guerra.
Alto Rappresentante, ho due o tre punti. Sarò rapidissima, vista l'ora. Innanzitutto, Le faccio i complimenti per il lavoro della global strategy, che ho avuto l'opportunità e l'onore di leggere. Si vede lo sforzo a tutto tondo, che non riguarda soltanto la difesa, ma quella che Lei ha definito – è il punto più importante – la resilienza che si domanda agli Stati di cercare di costruire rispetto alle competenze nazionali.
Il primo pilastro della global strategy parla di interessi. Mi è venuto in mente, mentre Lei faceva la prolusione iniziale, che anche nel suo breve speech di insediamento il presidente Trump – forse è stato poco sottolineato – per la prima volta ha parlato soltanto di interessi degli americani, mai di valori. Non c'è un solo passaggio del discorso di insediamento del presidente in cui si parli dei valori americani.
Personalmente, ho messo sul piatto della bilancia del vero cambiamento tra Stati Uniti ed Europa l'approccio valoriale che manteniamo – ho citato prima la resilienza – in una global strategy sulla difesa e l'approccio temporaneo, che non so se sia un cambiamento ma non sta a me dirlo, quello cui abbiamo potuto assistere e vediamo in Pag. 23questi mesi rispetto all'atteggiamento americano.
Dovendo, però, collaborare e continuare a costruire, e non lamentarci – in genere, sia nella vita privata sia nella vita pubblica, ci si lamenta quando non ci si assumono delle responsabilità –, e dovendo implementare e cercare di portare, il prossimo passaggio sarà il 25 marzo, un'azione di difesa comune, quello che ho non è una soluzione, ma un dubbio, che quindi Le pongo. Ho notato che già il presidente Juncker, nel discorso sullo stato dell'Unione, aveva citato il punto.
Nel Trattato NATO, all'articolo 5 vi è un comma che riguarda il trattato dei tre uomini saggi, che Lei conoscerà bene, del ’56, che parla appunto della valorizzazione delle opportunità diplomatiche della NATO. Giusto per tornare all'intervento precedente, ricordiamo che quell'intervento dei tre uomini saggi del ’56 era una tripletta di uomini saggi, che già era dopo quella del ’51, dove c'era Monnet che incoraggiava la fondazione dell'Europa.
Detto questo, il punto è: la NATO, che ha una struttura diplomatica e ha delle forze presenti sul territorio, potrebbe essere chiamata a una maggiore assunzione di responsabilità di costi, di oneri e onori? Potrebbe essere un supporto da implementare in una struttura di difesa europea, visto l'incipiente, e non so se sostanziale, disimpegno degli Stati Uniti?
Vengo alla seconda domanda. Sul sito del Ministero della difesa tedesco è appena stato pubblicato il libro bianco della difesa tedesca, che parla – conoscendo i tedeschi dev'essere una cosa ben calibrata – di un investimento di 90 miliardi per i prossimi tre anni per la difesa tedesca. All'interno di un quadro europeo, capisco le pressioni a est, di cui siamo inconsapevoli e che sono anche più pericolose di quelle che forse vengono da sud, come rientra quest'investimento tedesco all'interno della global strategy, o comunque di un progetto di difesa comune?
GIANNI FARINA. Approfitto per salutare l'Alto Rappresentante Mogherini. Abbiamo perso un'ottima Ministra degli esteri, ma abbiamo trovato un'alta personalità europea, quindi l'augurio è di poter continuare positivamente questo Tuo impegno in Europa e nel mondo.
Vorrei porre alcune questioni che non ho visto trattate in questo dibattito. Innanzitutto non ritengo – probabilmente sono tra i pochi – che la politica del nuovo presidente americano Trump sia, com'è stata annunciata da tempo, una politica pro-Russia, anzi ritengo esattamente il contrario. Questo suo programma nucleare è una dichiarazione di guerra al ruolo della Russia in Europa e nel mondo. Non mi sfugge che l'Unione Sovietica cadde sulle spese militari, sugli investimenti stratosferici con cui Reagan, in un momento particolare della storia del mondo, costrinse l'Unione Sovietica di allora a distruggere la sua economia con le spese militari.
Se questo è vero, ritengo che la strategia di Trump sia bipolare e che porta a considerare che il vero nemico degli Stati Uniti d'America non sia la Russia e nemmeno l'Europa, che viene trascurata, ma la nuova Cina emergente, come grande potenza globale. Naturalmente, io vorrei da Lei un parere. Questa è la prima considerazione.
La seconda considerazione riguarda l'Europa. L'Europa è in crisi, una gravissima crisi, ma io ci vedo anche qualche lato positivo. In un momento in cui due grandi Paesi europei (Francia e Germania) si apprestano a rinnovare il loro legislativo e ad avere probabilmente nuovi responsabili politici alla testa di questi due grandi Paesi. Quelli che si preannunciano sono, infatti, due grandi europeisti. Peraltro, in Germania, anche la concorrente, l'attuale Cancelliera, secondo me ha un'immagine europeista.
Sicuramente Schulz ha fatto della sua vita la battaglia politica dell'Europa, come sicuramente Macron in Francia, che pure è una nazione isolazionista, populista, antieuropea, antireferendaria. Sappiamo tutti che cosa è successo. Da vero europeista – secondo me, il primo dopo Valéry Giscard d'Estaing, che io considero uno dei migliori presidenti che la Francia abbia avuto – porta avanti una politica di unità dell'Europa di straordinario valore. Questo è un fatto positivo. Pag. 24
Faccio una considerazione anche sugli armamenti. Non so chi ha detto che bisognerà far fronte a un maggior aumento della difesa in Europa attraverso investimenti importanti. Io farei una considerazione: innanzitutto, bisognerebbe cercare di spendere meglio quello che si ha. La Libia è stata un fenomeno disastroso in riferimento all'unità dell'Europa e a una politica di difesa comune.
È chiaro che, a mio modo di vedere, la politica di Trump non solo costringerà la Russia, di fatto secondo me già considerata unicamente potenza regionale – naturalmente, dopo il Medio Oriente, in Europa ha una sua forza e persino una sua pericolosità, basta guardare all'est – ma porrà anche problemi all'Europa sull'innovazione, le tecnologie, lo sviluppo nucleare eccetera. Oltretutto, dopo la Brexit, ogni singolo Paese europeo è un nano nel settore della tecnologia e della difesa rispetto alla potenza americana e direi anche a quella cinese.
Vengo alle ultime due considerazioni brevissime. Innanzitutto, di fronte alla stupidità della Camera dei comuni inglesi, c'è la Camera dei Lord, considerata la Camera della Regina – adesso non più, ma un tempo così era – molto più saggia, che ha detto di non toccare i cittadini europei. Lì c'era un pericolo. Voglio sottolinearlo anch'io. Il fatto che dopo la Brexit si mettesse anche solo in dubbio il diritto alla libera circolazione in Europa mi sembra veramente una cosa tragica, ma è inutile sottolinearlo a Te, che naturalmente anche in questo campo porti avanti una visione aggiornata, moderna e innovativa.
L'altro problema è l'immigrazione politica. Un'unione politica europea presuppone due cose: una l'abbiamo fatta, e l'abbiamo fatta male, cioè l'euro; l'altra è la difesa, la politica estera. Altro non c'è. Negli Stati Uniti d'America, gli Stati sono molto autonomi e, infatti, si chiamano Stati. Nei governi federali e addirittura confederali, gli Stati hanno una grande autonomia, ma è l'unione politica all'esterno che dà il presupposto di un'unità vera. Questo è il presupposto vero.
Poi c'è questo problema terrificante dell'immigrazione. Siamo di fronte a un dramma, attaccati dai populisti, che vanno a incontrare Lavrov, cosa dell'altro mondo, cosa impensabile. Io giudico sciocco che, invece di avere rapporti con i capi di Stato europei, si abbiano rapporti con singole formazioni, ma questo è un ragionamento a parte.
Tornando al discorso iniziale, vorrei chiederTi il parere sulla prima questione vera. La politica di Trump è sicuramente antieuropea, perché ci costringe sicuramente all'unità; secondo me, è anche antirussa per i motivi che ho detto, ma va verso o tende a portare avanti una battaglia bipolare di fronte al grande colosso emergente, la Cina.
PRESIDENTE. Vedo che l'onorevole Farina è passato dal lei al tu.
Do la parola all'onorevole Mogherini per la replica.
FEDERICA MOGHERINI, Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione europea. Lo prendo come un gesto di affetto di colleghi e amici.
Cercherò di essere non soltanto rapida, ma anche puntuale nelle risposte ad alcune delle domande che sono state fatte in modo molto chiaro, partendo dal tema che poneva il senatore Cociancich sul piano di investimenti esterno per l'Africa, cosa per me essenziale.
Il senatore ha posto una domanda precisa: se le risorse dedicate a questo fondo di investimenti sono sufficienti. Sono 3,3 miliardi di euro a valere sul bilancio europeo, che possono arrivare, con lo stesso meccanismo del piano Juncker, quindi del fondo per gli investimenti interno, a mobilitare 44 miliardi. Se gli Stati membri metteranno fondi equivalenti a quelli del bilancio dell'Unione europea, possiamo arrivare addirittura a 88 miliardi. Il meccanismo di moltiplicazione, sulla base non di proiezioni astratte ma di ciò che è successo già con il fondo di investimenti interno, ci dà questi dati.
Questo, chiaramente, sta nelle mani degli Stati membri, che, quando chiedono Pag. 25investimenti per l'Africa, poi devono anche sostenerli con scelte coerenti.
Spesso, assistiamo a questo meccanismo: viene sollecitata la messa in campo di politiche di un certo tipo, per esempio investimenti per l'Africa; sul lato degli strumenti delle politiche comunitarie si mettono in campo effettivamente delle scelte e anche delle risorse consistenti; infine, si torna al tavolo del Consiglio, dove gli Stati membri sono chiamati a fare altrettanto e lì ogni tanto abbiamo delle contraddizioni da affrontare.
Dal punto di vista del bilancio comunitario, però, le risorse ci sono. Io vedo anche un interesse del settore privato europeo a sfruttare questo meccanismo, che non è soltanto di garanzia finanziaria, ma anche di accompagnamento per far sì che gli investimenti in Paesi fragili non si scontrino con corruzione, burocrazia, gestione complicata, infrastrutture o assenza di infrastrutture. È anche un processo di accompagnamento che facciamo attraverso le nostre ambasciate e le nostre delegazioni dell'Unione europea nei Paesi in questione.
Il senatore Cociancich chiedeva anche che cosa ne è del tentativo americano – passo poi al tema Stati Uniti e Unione europea – di frammentare, almeno apparentemente, il panorama dei negoziati per gli accordi commerciali tra Stati Uniti e Unione europea, o meglio Paesi europei, nel caso in cui i tentativi andassero avanti. Qui non c'è dubbio che tenga.
Quella rispetto agli accordi commerciali è una competenza dell'Unione europea. Nessuno degli Stati membri dell'Unione europea può negoziare o chiudere accordi commerciali bilaterali con nessun altro Stato membro, fintanto che è membro dell'Unione europea, il che vale anche per la Gran Bretagna fintanto che sarà membro dell'Unione europea, il che significa almeno nei prossimi due anni a partire dalla data in cui sarà notificato l'articolo 50.
Questo è chiarissimo ai nostri amici britannici. Io credo che sia chiarissimo anche all'Amministrazione americana, che fa il proprio interesse forse quando mette il dubbio nelle nostre opinioni pubbliche europee sul fatto che questo significhi essere in una prigione.
Negoziare trattati commerciali in quanto Unione europea dà a noi europei una forza contrattuale molto maggiore piuttosto che negoziare contratti commerciali separatamente. Immaginatevi l'Austria, il Portogallo, la Slovenia o la Danimarca a negoziare accordi commerciali con gli Stati Uniti o col Messico.
È evidente che negoziare da Unione europea ci mette in una posizione contrattuale di forza, quindi è ovvio che alcuni dei nostri interlocutori possono avere l'interesse a provare a insinuare il dubbio che la via bilaterale agli accordi commerciali possa essere più conveniente. Può essere più conveniente forse per loro. Oltretutto, non lo è neanche, perché il mercato coinvolto è infinitamente meno interessante del mercato unico dell'Unione.
In ogni caso, gli accordi commerciali sono negoziati e conclusi dall'Unione europea. Non c'è modo, a tutela degli stessi cittadini europei, che questo non avvenga fintanto che uno Stato è membro dell'Unione europea. Peraltro, questo è il modo di garantire i cittadini europei – tema estremamente caro alle nostre opinioni pubbliche – sul fatto che i benefìci degli accordi commerciali vengano equamente distribuiti all'interno del territorio dell'Unione e che non ci sia un sistema di concorrenza interna all'Unione rispetto al commercio con l'estero.
È, quindi, a garanzia di noi europei che facciamo gli accordi insieme. Alcuni dei nostri interlocutori possono non apprezzarlo, ma è nel nostro interesse essere certi che questo continui ad avvenire, e questo è quello che stiamo facendo.
Relativamente agli Stati Uniti, credo che siamo ancora di fronte a un momento di elaborazione e definizione. Io sono stata a Washington qualche settimana fa, ci sarò di nuovo tra dieci giorni. Abbiamo ospitato il Vicepresidente Pence a Bruxelles per una visita ufficiale alle istituzioni europee, segno estremamente importante. Ho avuto contatti in queste settimane con il Segretario di Stato, Tillerson, con il Sottosegretario alla difesa Mattis, con il Vicepresidente, Pag. 26 con altri interlocutori, compresi vostri colleghi del Congresso.
Credo che siamo ancora in una fase di transizione e che dovremo aspettare ancora qualche mese per la definizione delle politiche della nuova Amministrazione americana. I segnali ufficiali che abbiamo ricevuto sono tutti di volontà di cooperare con l'Unione europea su alcune questioni. Da parte nostra, quello che è chiaro è che continueremo a cercare di lavorare insieme all'Amministrazione americana sulla base dei nostri valori, dei nostri princìpi e dei nostri interessi, che sono chiari, definiti e comuni. Non sta a noi definire interessi, valori e princìpi di un altro Paese.
Quello che vedo anch'io è una semplificazione eccessiva, secondo me non corrispondente a verità, nella definizione di una presidenza Trump amica della Russia. Credo che le tensioni siano evidenti, e anche che nella posizione americana si debbano considerare non soltanto alcune dichiarazioni del Presidente, ma anche gli orientamenti della maggioranza congressuale, che anzi ha criticato la precedente Amministrazione per essere troppo dialogante con la Russia e che oggi ha posizioni rafforzate nel campo repubblicano. È una quadratura del cerchio, che per una volta non è una crisi europea. Sarà piuttosto una crisi americana, che non sta a noi risolvere. Dovremo capire come si definirà. A oggi, è presto per dire quale sia la politica americana su una serie di questioni.
Quello che stiamo facendo è interagire con loro su quello che noi riteniamo fondamentale in questo momento: un certo approccio alla crisi israelo-palestinese; un certo approccio alla crisi siriana; un'attenzione e un certo approccio alla crisi libica. Su tutte queste vicende, come sull'Ucraina, credo possa esserci un lavoro comune. Su altre questioni sicuramente noi europei e i nostri amici americani avremo delle posizioni diverse.
Penso all'accordo sul clima, al multilateralismo, al sostegno alle Nazioni Unite. All'Iran ci arrivo, ma non credo. Credo che ci possiamo lavorare. Penso alla concezione del commercio internazionale. Per noi, è fondamentale rafforzare un sistema globale di commercio basato su regole che garantiscano l'equità del commercio globale, ma un libero commercio. Oltretutto, è ciò che ha portato all'Europa, come primo partner commerciale per tutto il mondo, la ricchezza che noi europei abbiamo. Con tutti i limiti e tutte le difficoltà economiche, siamo pur sempre la seconda potenza economica al mondo. Abbiamo beneficiato, anche se con dei dati negativi, di questo sviluppo del commercio globale.
Quanto alla Cina, credo che, mentre le politiche americane al momento non siano ancora del tutto definite, quelle cinesi siano perfettamente definite. Abbiamo visto a Davos il Presidente mandare un messaggio nuovo per la Cina, quale campione di globalizzazione e diritti umani. Su entrambe le questioni l'Unione europea ha delle credenziali un po’ più solide e un ruolo da giocare nel mondo che viene riconosciuto.
Certamente, questa dinamica apre uno spazio enorme per l'Unione europea. A me piacerebbe che uscissimo da alcuni stereotipi che troppo spesso usiamo, come, per esempio, l'Europa in crisi, l'Europa lenta e che non è un attore politico. Anche prima, ma negli ultimi due mesi in modo impressionante, l'elenco dei Paesi nel mondo – non soltanto i governi, ma anche i parlamenti, il settore privato, la società civile, le grandi organizzazioni internazionali che guardano all'Unione europea in quanto tale come al punto di riferimento su una serie di questioni globali fondamentali, dalla sicurezza al commercio, al clima e potrei continuare – è infinito.
A volte, sottovalutiamo il potere che abbiamo e in questo modo lo indeboliamo. Chiamerei tutti noi non a un facile ottimismo – abbiamo un sacco di problemi da risolvere – ma a renderci anche conto della forza che abbiamo, che nel mondo viene vista più di quanto a volte venga vista all'interno dei nostri stessi confini.
Ho sicuramente il privilegio di vedere l'Unione europea con gli occhi dei nostri partner internazionali e vedo un'Europa forte, la cui forza è richiesta nel mondo, compresa la Cina, i grandi giganti asiatici, i grandi movimenti di opinione che nel mondo cercano un punto di riferimento, Pag. 27che forse oggi non hanno più altrove. Credo che abbiamo, appunto, una responsabilità in questo senso.
Il senatore Romani mi chiedeva la mia posizione sul Libro bianco.
Il fatto che l'altro ieri, non in quanto Vicepresidente della Commissione ma in quanto Alto Rappresentante, presiedendo il Consiglio affari esteri con i Ministri degli esteri e della difesa, abbia non soltanto proposto, ma anche facilitato una decisione a 28 – siamo ancora 28 – vale a dire all'unanimità sulla difesa e sulla creazione di un comando unificato, uno dei temi più controversi e divisivi degli ultimi sessant'anni, all'indomani del referendum sulla Brexit, sia la risposta migliore che posso dare.
Credo che ci sia non soltanto lo spazio, ma anche la necessità, l'indispensabilità della nostra Unione in una serie di settori su cui nessuno Stato membro da solo può fare ciò che serve ai cittadini di quello stesso Stato membro fare in questo momento.
L'Europa scommessa di pace di sessant'anni fa, che aveva il sogno di unificare il continente in pace, ha ancora una grandissima forza. Quando spiego, come tantissimi di noi, che conviene anche dal punto di vista economico fare la pace e la cooperazione economica piuttosto che la guerra nei Balcani, faccio quello che i nostri padri fondatori spiegavano alle nostre opinioni pubbliche sessant'anni fa e che oggi ha ancora un senso in altre parti del mondo. Questo era il sogno di sessant'anni fa.
La mia generazione ha vissuto l'identità europea e l'Unione europea, se mi consentite il termine, come «lusso» della libera circolazione, della moneta unica, dell'Erasmus, del bello dell'essere insieme. Oggi, siamo in un'altra fase; siamo di fronte all'Europa indispensabile, senza la quale i nostri cittadini sono esposti – sul tema della sicurezza, dell'economia, della globalizzazione e del commercio – a una serie di venti non facilmente gestibili, se non attraverso la nostra Unione. Dico spesso che abbiamo due tipi di Stati membri: quelli piccoli e quelli che ancora non hanno capito di esserlo nel mondo di oggi.
Sono dell'idea che l'Unione europea oggi sia indispensabile e che sia responsabilità delle istituzioni europee provare a guidare un processo di rilancio dell'Unione, più efficiente, con un'attenzione ai settori su cui il valore aggiunto dell'essere Unione è evidente, e altri in cui invece non è necessario. Lo abbiamo già nei Trattati. Credo che ci sia bisogno di un'assunzione di responsabilità politica molto profonda. Temo, altrimenti, che in questo momento il rischio economico, sociale, di sicurezza, a cui i cittadini europei potrebbero essere esposti, possa essere sottovalutato. Stiamo un po’ giocando col fuoco.
Credo di aver risposto. Comunque, sì, ne abbiamo parlato in Commissione. Le decisioni della Commissione sono sempre collegiali, ma sono sempre anche molto politiche. Questa è una Commissione effettivamente molto politica, siamo quasi tutti ex ministri o ex primi ministri, quindi c'è una dinamica sempre particolarmente interessante, e molto positiva io credo.
Passo ad altre questioni precise. L'onorevole Alli chiedeva se abbiamo iniziato prima questo lavoro sulla difesa europea accelerata dalla Presidenza americana. Abbiamo iniziato questo lavoro a luglio dell'anno scorso. Lo abbiamo intensificato tra settembre e ottobre, quindi ben prima del cambio di amministrazione americana, perché serve agli europei. Poi può servirci anche nel rapporto transatlantico, ma serve agli europei.
Credo che serva anche, nella dinamica di rilancio dell'Unione europea, a indicare che un terreno di cooperazione anche così complicato è possibile e porta dei buoni risultati.
Rispondo adesso sul tema dell'industria della difesa europea e anche a quello che il senatore Mauro mi chiedeva sul fondo di finanziamento per la difesa.
Sto rendendo molto chiaro anche ai nostri interlocutori americani che aumentare gli investimenti europei nel settore dell'industria della difesa significa anche buy European: una cosa andrà con l'altra. Sono persone abituate al business e lo comprendono bene. In ogni caso, non si può pensare di aumentare gli investimenti Pag. 28per la difesa e legarli al fatto che vengano poi spesi da un'altra parte.
Questo è un lavoro che serve non soltanto a rafforzare la razionalità della nostra spesa sulla difesa. Di questo si tratta, superare la frammentazione degli investimenti, e quindi spendere meglio, ma si tratta anche di investire in un settore industriale europeo che altrimenti avrebbe probabilmente delle difficoltà nei prossimi decenni e la cui base di ricerca e di innovazione è fondamentale. È, sì, un lavoro che facciamo sulla sicurezza, ma è anche un lavoro che facciamo sull'economia europea fondamentale.
Il fondo è ancora in fase di definizione. Soprattutto per gli aspetti economici e finanziari è, ovviamente, responsabilità del Vicepresidente Katainen definirlo. Ha due finestre di finanziamento: una è quella dei progetti di ricerca e di innovazione, e su questo già c'è un primo finanziamento di progetti pilota per quest'anno; ci sarà una finestra di finanziamento più ampia, che però ancora deve essere definita, che sarà presentata a giugno al Consiglio europeo, per finanziare lo sviluppo di capability in comune.
Qui c'è l'aspetto per me più interessante, perché la possibilità con strumenti comunitari, europei, di incentivare cooperazioni di produzione industriale e di capacità militari in comune tra Stati membri, può essere utilmente collegata all'avvio delle cooperazioni rafforzate.
Questo lavoro congiunto può portare, effettivamente, alla creazione di un nucleo dell'Europa della difesa, che può dare il vero impulso al lavoro che certamente sessant'anni fa andò frustrato e di cui oggi c'è bisogno per un motivo legato sia alla nostra sicurezza sia all'autonomia della difesa europea.
Comprendo molto bene le preoccupazioni che ci possono essere sull'aspetto «militarizzazione» dell'Europa. Io mi sento tranquilla, perché so bene che il modo in cui l'Unione europea utilizza i propri strumenti militari è sempre il modo europeo di fare difesa, quindi connesso con l'aspetto umanitario, dello sviluppo, della prevenzione, della gestione umana e umanitaria delle crisi.
Inoltre, se non c'è una difesa europea, non è che non ci sia nient'altro. C'è qualcos'altro. Avere un'Unione europea che sul versante della difesa e delle capacità di difesa ha la sua autonomia, ci garantisce sulla possibilità di fare degli interventi in un certo modo e di non dipendere necessariamente da altri attori a livello globale.
L'onorevole Lia Quartapelle chiedeva sul clima e sull'Iran: risultati effettivamente grandi del multilateralismo europeo. Senza l'Unione europea non ci sarebbe stato né l'Accordo di Parigi sul clima né l'accordo sull'Iran, che oggi vanno preservati e attuati.
Sul clima stiamo costruendo una rete di rapporti privilegiati con tutti quegli attori nel mondo che mettono questo come loro priorità assoluta, anche perché i cambiamenti climatici sono un fattore che incide sulla sicurezza e sui fenomeni migratori. Chiedete a chi arriva in Europa perché è partito: una buona parte di loro vi parlerà di carestie, inondazioni e siccità. È, quindi, anche un investimento nella prevenzione degli spostamenti di massa e nella sicurezza, perché carestie, inondazioni e siccità provocano anche assenza di opportunità economica, radicalizzazione, fenomeni terroristici.
Capisco che sembra di tracciare un quadro estremamente ampio, ma investire nel clima, cioè nella lotta al cambiamento climatico, è anche un investimento in sicurezza e in gestione dei flussi migratori. È l'approccio europeo, olistico, onnicomprensivo, come diciamo con parole orrende.
Una serie di attori nel mondo ha una grandissima attenzione, un grandissimo interesse a far sì che gli accordi sul clima di Parigi vengano attuati. Noi stiamo connettendo questa rete globale per far sì che questo avvenga e per metterlo in sicurezza.
L'accordo sull'Iran è stato uno dei temi che ho discusso di più con i nostri interlocutori americani. Ho avuto garanzie sul fatto che l'accordo sul nucleare iraniano non sarà messo in discussione dagli Stati Uniti. È mio compito anche personale, perché presiedo ancora la Commissione congiunta Pag. 29 che ha il compito di monitorare l'applicazione dell'accordo. Facciamo riunioni costanti a livello ministeriale o a livello immediatamente inferiore.
È fondamentale il totale rispetto dell'accordo sul versante nucleare, così come è fondamentale mantenere con l'Iran – è una cosa che l'Europa continuerà a fare – un canale aperto su una serie di questioni, dallo sviluppo economico alla scienza, all'educazione, ai diritti umani, all'energia, ai rifugiati, alle questioni regionali, dalla Siria allo Yemen, su cui gli iraniani devono sapere di avere negli europei un interlocutore. Non è la politica americana, ma è la politica europea.
Quasi mai su ognuno di questi temi abbiamo visioni coincidenti, ma abbiamo un dialogo e abbiamo una cooperazione su alcune di queste questioni. Abbiamo, oltretutto, non soltanto con l'Iran ma anche con altri Paesi – penso all'Egitto o a Cuba, dall'altra parte del mondo – un sistema di dialoghi sui diritti umani già strutturati e che vanno avanti in modo costruttivo, utile. Siamo l'unico attore al mondo, ormai, che investe sul piano dei diritti umani in modo coerente e solido.
Anche su questo, facciamo un po’ attenzione a come gestiamo i nostri messaggi. Attenzione a confondere con un baratto dei diritti umani l'appoggio al lavoro dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, delle Nazioni Unite e dell'UNHCR in Niger: lì stiamo salvando vite, proteggendo diritti e facendolo con i più alti standard delle Nazioni Unite relativi ai diritti umani. Siamo rimasti gli unici a farlo nel mondo. Facciamo attenzione a come gestiamo noi stessi e la percezione di noi stessi. Siamo rimasti uno dei pochi, se non l'unico baluardo, per i diritti umani nel mondo con una certa solidità, su cui le Nazioni Unite si appoggiano molto spesso e volentieri.
Vengo agli ultimi punti. Relativamente ai rischi e ai benefìci di ulteriore allargamento ai Balcani, sono convinta – l'ho detto in questa mia visita nei Balcani la scorsa settimana – che mentre noi ragioniamo di futuro dell'Unione europea, dobbiamo farlo sapendo che non saremo 27, ma di più. Credo di avere esaurito qui il tema.
Stiamo parlando della credibilità del processo di allargamento, che non chiamerei neanche di allargamento, ma di riunificazione del nostro continente. Qualcuno, infatti, mi deve spiegare per quale motivo parliamo di prospettiva europea dei Balcani, come se non fossero europei. La capitale più vicina a Roma è Podgorica, a parte il Vaticano e San Marino. Non c'è bisogno di dare una prospettiva europea.
C'è bisogno di dare una prospettiva credibile all'essere membri in un futuro dell'Unione europea. Dalla Puglia si vede l'Albania in una giornata di sole. Noi italiani ce l'abbiamo chiaro in mente ed è nostro interesse. Lo abbiamo visto nella gestione dei flussi di rifugiati l'anno scorso che abbiamo bisogno di lavorare insieme. Lo vediamo nella gestione del ritorno dei foreign fighter. Abbiamo bisogno di lavorare insieme.
Il grande potere dell'Unione europea è questo: offrire una prospettiva credibile dentro l'Unione europea è il modo migliore di trasformare società, sistemi politici e istituzionali, economie, Stato di diritto in tantissimi Paesi di quell'area, senza interferire nella loro dinamica politica interna.
Colgo l'occasione per chiarire che il mio messaggio a Tirana sulla necessità, da parte dell'Albania, di applicare una riforma della giustizia, votata all'unanimità dal Parlamento albanese lo scorso luglio, è un invito a realizzare quella che è stata posta come condizione per aprire i negoziati di allargamento con il Paese.
Non è un entrare nelle dinamiche di un partito o di un altro. Non entro nelle dinamiche politiche del mio Paese, figuriamoci in quelle di altri. È questione di ricordare agli attori istituzionali di quel Paese che una riforma della giustizia votata all'unanimità dal Parlamento deve poi essere anche realizzata, altrimenti resta sulla carta e non è elemento sufficiente perché l'Unione europea apra ai negoziati.
Come sapete molto bene, le riforme, oltre che approvate in Parlamento, poi devono anche essere applicate. In questo caso specifico, la riforma della giustizia approvata Pag. 30 all'unanimità dal Parlamento albanese prevede un sistema di vetting, che, per iniziare, deve basarsi su Commissioni parlamentari. Se l'opposizione boicotta il lavoro del Parlamento, boicotta anche l'applicazione della riforma della giustizia che lei stessa ha votato e blocca l'avvio dei negoziati con l'Unione europea.
Ho soltanto ricordato questo.
Poi sta alle forze politiche albanesi, nelle loro dinamiche democratiche, gestire il loro futuro, soprattutto senza nessuna interferenza. È fondamentale, però, che l'Unione europea ricordi quali sono i passi necessari per trasformare alcuni meccanismi, compreso quello del sistema della giustizia, della lotta alla corruzione e al narcotraffico, che consentono al Paese di procedere sulla strada dell'Unione.
Durante la visita in Kosovo, ero anche con il nostro personale EULEX a Mitrovica a inaugurare i lavori per il ponte tra Mitrovica nord e Mitrovica sud, un lavoro reso possibile grazie all'Unione europea, compresa EULEX. Qui credo che sia necessario tenere insieme due elementi: da un lato, un ridimensionamento della nostra presenza, che è possibile; dall'altro, un mantenimento della nostra presenza. Le tensioni ancora presenti sul terreno potrebbero degenerare. Lì abbiamo un grandissimo potere di contenimento anche delle provocazioni verbali, che a volte si fanno, o simboliche. Credo che il lavoro che stiamo facendo lì sia buono.
Arrivo all'ultimo punto, e credo poi di aver risposto quasi a tutto. Tornerò soltanto su un ultimo punto finale. L'onorevole Artini chiedeva dell'articolo 44 e dei battlegroup. Io credo che possa essere necessario usarli come forza di intervento rapido, soprattutto in casi, come a volte abbiamo in alcuni scenari africani, in cui è prevista una missione delle Nazioni Unite, che però come sappiamo – quella sì – è lenta a costituirsi. Una missione delle Nazioni Unite di solito si istituisce con un anno, un anno e mezzo di lavoro.
L'utilizzo di un battlegroup europeo potrebbe facilmente fare da ponte tra un intervento immediato e la missione di una forza multilaterale delle Nazioni Unite o dell'Unione africana che possa costituirsi in tempi successivi. Non si tratta di augurarsi scenari conflittuali nuovi, ma credo che già in alcune situazioni di crisi attuali possa essere impiegato l'uso di una forza europea, e percepita come le forze europee sono percepite, ovvero come sempre costruttive.
Ho sentito, anche nei nostri scambi di oggi pomeriggio, ripetersi alcune frasi o alcuni elementi che troviamo spesso nel discorso comune: l'Unione europea non ha una politica estera, l'Unione europea è lenta, c'è divisione, c'è crisi del progetto europeo, crisi di fiducia nell'istituzione europea.
Vorrei condividere con voi i dati. Non ho visto i dati ultimi, ma nei dati che ho visto qualche mese fa dell'Eurobarometro c'è una crisi di fiducia dei cittadini europei nelle istituzioni. Se, però, guardate la fiducia nelle istituzioni europee e nelle istituzioni nazionali, spesso in molti Stati membri le istituzioni europee hanno maggiore fiducia delle istituzioni nazionali.
Facciamo attenzione, allora, a non cadere nel trabocchetto dell'indicare qualcosa o qualcuno che ha più o meno fiducia. A volte, c'è sì una crisi di rappresentanza. È una crisi di rappresentanza dei sistemi democratici. La viviamo in Europa, la viviamo dall'altro lato dell'Atlantico, la viviamo in moltissime delle democrazie. Non sono sicura che sia una crisi europea. Credo che sia una crisi di sistema che dobbiamo affrontare.
Vedo, però, anche un grandissimo entusiasmo europeo in tanti degli incontri che faccio, per esempio con i ragazzi dell'Erasmus, dentro e fuori l'Unione europea, con gli imprenditori europei e persino con gli imprenditori americani, che sanno benissimo che il mercato europeo in quanto Unione europea conviene anche a loro.
Vedo una consapevolezza molto maggiore del fatto che la nostra Unione è vitale. C'è anche un'energia di europei orgogliosi di esserlo che non dobbiamo sottovalutare e che non dobbiamo neanche deprimere. Credo che ci sia uno spazio di lavoro sul miglioramento di tantissime cose, di unità su tantissime cose.
Divisioni nel campo della politica estera in questi due anni non ne ho viste. Abbiamo Pag. 31 sempre preso insieme le decisioni, abbiamo sempre lavorato, a partire dalla Siria. Faremo una conferenza internazionale sul futuro della Siria proprio a Bruxelles come Unione europea e Nazioni Unite, tra un mese esatto. Sulla Libia, sugli Stati Uniti, sul Medioriente, e potrei continuare, sono posizioni che abbiamo preso insieme.
Nel passato, non è sempre stato così. È verissimo, ma oggi c'è una politica estera europea, c'è un'azione comune esterna dell'Unione e c'è spazio per crescere in questa direzione. Non so se il bicchiere possa essere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma penso che abbiamo la responsabilità di rappresentare la realtà per quella che è, e cioè con moltissimi limiti, con moltissima fatica, ma anche con moltissimi risultati e con moltissimo spazio per fare ancora meglio.
Vi ringrazio moltissimo dell'opportunità e del lavoro che svolgete.
PRESIDENTE. Ringraziamo l'Alto Rappresentante Mogherini.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.15.
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