XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 11 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DELL'EUROPA NEI NUOVI SCENARI GEOPOLITICI. PRIORITÀ STRATEGICHE E DI SICUREZZA

Audizione di rappresentanti del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali), dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e dell'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), con particolare riferimento alle conseguenze della crisi in Ucraina.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Di Liddo Marco , Responsabile Desk Balcani ed Ex URSS del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali) ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 6 
Camporini Vincenzo , Vicepresidente dello IAI (Istituto Affari Internazionali) ... 6 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 
Ferrari Aldo , Responsabile del Programma Russia e Vicini Orientali dell'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica internazionale) ... 8 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 
Fava Claudio (SEL)  ... 10 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 11 
Cirielli Edmondo (FdI)  ... 11 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali), dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e dell'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), con particolare riferimento alle conseguenze della crisi in Ucraina.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali), dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e dell'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), con particolare riferimento alle conseguenze della crisi in Ucraina.
  Chiedo scusa ai nostri invitati perché il prolungarsi dei lavori dell'Assemblea ci ha costretto a farli aspettare rispetto ai tempi che avevamo indicato.
  Questa audizione ha il valore di una riflessione su un tema in questo momento assai acuto e rientra nell'impostazione di stabilire sempre uno stretto contatto con i principali centri di ricerca per acquisire un quadro più approfondito e analitico, soprattutto di prospettiva.
  Gli esperti presenti sono Marco Di Liddo, responsabile Desk Balcani ed Ex URSS del Ce.S.I.; Vincenzo Camporini, vicepresidente dello IAI e già capo di Stato maggiore nelle nostre Forze armate; Aldo Ferrari, Responsabile del Programma Russia e Vicini Orientali dell'ISPI.
  Nella seduta di martedì 4 marzo scorso il Ministro degli Affari esteri Mogherini è stata audita dalle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato sugli sviluppi della situazione in Ucraina. Successivamente i Ministri degli Affari esteri e della difesa hanno informato le Commissioni circa l'invio in Crimea di due ufficiali italiani nell'ambito di una missione di monitoraggio dell'OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).
  Invito gli auditi a svolgere le loro relazioni, pregandoli di contenerle nel limite di dieci minuti ciascuna per consentire un minimo svolgimento del dibattito.

  MARCO DI LIDDO, Responsabile Desk Balcani ed Ex URSS del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali). Signor presidente, onorevoli deputati, buongiorno e grazie per l'invito. Vi porto i saluti del presidente del Centro Studi Internazionali, il professor Andrea Margelletti, che in questo momento si trova a Baghdad per un convegno internazionale sul terrorismo e tuttavia vuole far sentire forte la sua presenza, visto il rapporto che da diversi anni caratterizza il nostro istituto e il Servizio studi della Camera dei deputati.
  Vista la brevità del tempo che avrò a disposizione, la mia relazione non riguarderà una ricostruzione storica di quella che è stata la crisi in Ucraina, ma cercherà, anche in accordo con la particolarità analitica del Centro studi di cui faccio parte, di concentrarsi sull'analisi di quello che è successo, sulle implicazioni per lo scenario interno ucraino, sui possibili sviluppi Pag. 4per il nostro Paese e a livello strategico.
  Partendo dalla situazione che caratterizza in questo momento l'Ucraina, mi preme sottolineare come i fatti di Kiev, quindi la rivolta di Euromaidan, costituiscano un evento abbastanza controverso. Non dobbiamo dimenticare che la destituzione del Presidente Yanukovich da parte di un amalgama di gruppi molto differenziati tra loro – movimenti europeisti, attivisti dei diritti umani, ma anche una sostanziosa componente di movimenti di estrema destra che con la spinta europeista hanno poco a che fare – rappresenta un evento giuridico la cui giustificazione è difficile.
  Yanukovich è tuttora il Presidente legittimamente eletto dell'Ucraina e i gravi fatti di Kiev, la modalità con cui Yanukovich è stato deposto, compreso il voto del Parlamento, potrebbero avere dei problemi di costituzionalità e di legittimità del voto. Nel momento in cui il Parlamento si è esposto e ha votato per la deposizione, innanzitutto non era chiaro se avesse i poteri per farlo e, in secondo luogo, i deputati della Rada, cioè del Parlamento ucraino, non potevano, a giudizio del Centro Studi Internazionali, esercitare il loro voto in maniera chiara e soprattutto senza paura, visto che i palazzi del potere e la piazza di Kiev erano ancora invasi dai manifestanti.
  Inoltre, sull'insediamento del nuovo Governo, aggiungo che esso ha al proprio interno una grande componente di movimenti di destra ed estrema destra. Non dobbiamo dimenticare che il partito Svoboda, che ha una grossa componente e ricopre ruoli importanti, compreso quello del Ministero della difesa del nuovo esecutivo ucraino, è un partito nazionalista che intende portare avanti un'agenda che potrebbe non essere inclusiva, e questo è molto pericoloso in un Paese che da quando esiste accoglie al proprio interno due anime (ma anche più di due): una volge lo sguardo ad ovest, verso l'Unione europea, e una ha legami fortissimi, non solo identitari e linguistici, ma anche sociali ed economici, con la Russia.
  Proprio la formazione di questo Governo, che non è riconosciuto da molti altri Governi internazionali, è stata la causa della sollevazione da parte della comunità russofona e della comunità russa etnica, che ha temuto e teme tuttora che le nuove politiche nazionaliste e conservatrici da parte della componente ucrainofona dei partiti conservatori ucraini possano portare a una limitazione dei propri diritti identitari e politici.
  La questione del bilinguismo in Ucraina è molto importante. Il fatto che il primo decreto di questo nuovo esecutivo sia stato quello di abolire il bilinguismo nelle regioni autonome, quindi in generale di togliere la lingua russa come lingua paritaria all'interno dello scenario ucraino, è stata la miccia che ha innescato il meccanismo delle proteste in Crimea. Non è stata la causa, ma ha portato a galla un contrasto latente che dura almeno dal 1991, da quando cioè l'Ucraina ha dovuto decidere se essere uno Stato indipendente o diventare una Repubblica all'interno della Federazione russa.
  C’è un dato che vorrei sottolineare. Nel 1991, per poche centinaia di migliaia di voti l'Ucraina decise di essere uno Stato indipendente. Questo vuol dire che c’è una grande componente, al suo interno, che inevitabilmente si sente parte della famiglia russa.
  Oltre ai legami identitari, quello che lega la comunità russa e russofona ucraina a quella che possiamo chiamare la «madrepatria» sono ragioni economiche. Nelle regioni orientali e nella Crimea ci sono industrie pesanti, industrie meccaniche e minerarie che hanno come principale mercato di esportazione la Russia e che non vedono come positive eventuali misure economiche necessarie nel caso in cui il Paese debba integrarsi nell'Unione europea.
  Sto parlando di industrie meccaniche, di piccoli beni di consumo e soprattutto della cantieristica navale e della motoristica che serve l'industria della difesa russa. Questo comparto è particolarmente forte nelle regioni orientali, dove ci sono le industrie che lavorano a stretto contatto Pag. 5con l'Antonov, e in Crimea, dove ci sono i cantieri che svolgono la manutenzione della flotta russa in generale, non solo quella del Mar Nero.
  Questo argomento è quello che ci permette di capire perché la Russia abbia così a cuore il destino dell'Ucraina. Innanzitutto, la Russia ha percepito gli eventi di Kiev come un golpe da parte dell'Unione europea. Putin ha usato una parola forte, definendolo «golpe morbido», però sarebbe ipocrita da parte dell'istituto negare che una grande influenza negli eventi di Kiev è stata svolta dagli Stati Uniti d'America e dalla Germania, che hanno finanziato determinati movimenti e pare che abbiano chiuso gli occhi sul comportamento delle opposizioni di Maidan.
  C’è stata un'intercettazione – di cui sicuramente sarete al corrente – tra la baronessa Ashton e il Ministro degli esteri estone, dalla quale risultava evidente che parte dei movimenti di Euromaidan avevano controllato cecchini che hanno sparato non solo sulla polizia, ma anche sulla popolazione, fomentando una strategia della tensione volta a destabilizzare un clima già tesissimo.
  Se la situazione è degenerata in questo modo, ciò è anche dovuto ad alcune lacune da parte dell'Europa. Se il Presidente ucraino, mentre era da tutti ritenuto imminente l'accordo di associazione con l'Unione europea a novembre, ha cambiato improvvisamente idea, è per due ragioni: in primo luogo, perché la Russia gli ha fatto un'offerta più concreta, più vantaggiosa e più funzionale all'economia ucraina che rischiava e rischia il default; in secondo luogo, perché – a detta degli stessi ucraini – l'offerta dell'Unione europea era per certi aspetti inconsistente.
  Certo, l'azione di forza che ha fatto la Russia in questo momento è condannabile, però è nella strategia dell’hard power russo mettere l'Occidente di fronte al fatto compiuto, sfruttando il sentimento secessionista della Crimea, che potrebbe estendersi anche ad Odessa e alle regioni orientali.
  Siamo in una situazione giuridicamente ambigua. Abbiamo un precedente come quello del Kosovo che rende difficile alla comunità internazionale condannare o appoggiare in pieno le pretese russe. Siamo in una zona grigia. A nostro parere, il fatto che l’escalation militare in Crimea si sia momentaneamente fermato è un segnale che Putin, entro certi limiti, è disposto a negoziare.
  L'ipotesi secessionista non è una pura ipotesi accademica, anche perché in questi giorni, negli ambienti politici russi, comincia a girare l'opzione di un eventuale favore del Cremlino ad una soluzione confederale che, sostanzialmente, è una sorta di politica della «porta socchiusa». Il timore da parte dei russi è di perdere un Paese che ritengono parte della loro cultura. Ricordiamo che Kiev è chiamata dai russi la «madre» di tutte le città russe.
  È un problema di status, poiché l'Ucraina viene considerata una parte del territorio della Federazione; è un problema militare, perché i russi da almeno mille anni cercano l'approccio ai mari caldi e, privati della Crimea, avrebbero una perdita insostenibile, essendo il loro unico sbocco sui mari caldi; è un problema militare, perché senza la Crimea non ci sarebbe la base del Mar Nero, quindi la Russia non potrebbe essere un attore anche mediterraneo e non potrebbe giocare la partita che sta giocando adesso in Siria; infine, è un problema economico.
  Dal punto di vista del Ce.S.I., in una situazione così delicata e piena di rischi l'Italia potrebbe avere un'ottima opportunità, anche in vista del semestre europeo, per proporre, come guida dell'Europa, una mediazione tra le parti.
  Qualsiasi sia la soluzione, il nostro Paese potrebbe guadagnarne. Non dobbiamo dimenticare che a livello di rapporti politici ed economici abbiamo un rapporto molto più consolidato con la Russia, un rapporto che affonda le sue radici da prima che i due Paesi fossero addirittura Stati unitari moderni, un rapporto politico ed economico molto forte, come testimoniato dagli accordi firmati a Trieste alcuni mesi fa.
  Non dobbiamo altresì dimenticare che, in quanto Paese europeo, possiamo aiutare e ascoltare le istanze delle comunità Pag. 6ucraine. Nel tempo il nostro Paese è stato sempre abile a proporsi come difensore dell'autodeterminazione dei popoli e delle soluzioni pacifiche alle controversie.
  Anche qualora si realizzasse in Ucraina un'ipotesi di secessione, l'Italia potrebbe essere un attore importante per entrambe le realtà statuali che ne deriverebbero, perché da una parte continuerebbe ad avere rapporti ottimi con la Russia e dall'altra potrebbe sfruttare le opportunità economiche che deriverebbero dall'ingresso di un'Ucraina occidentale nell'Unione europea.
  In tutto questo, l'Italia potrebbe anche porsi come interlocutore privilegiato di una Germania che in questo momento ha difficoltà oggettive, perché il suo bluff è stato visto dal Cremlino quindi ha margini di manovra limitati.

  PRESIDENTE. Do la parola al rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali.

  VINCENZO CAMPORINI, Vicepresidente dello IAI (Istituto Affari Internazionali). Grazie, presidente e onorevoli presenti. Porto i saluti del presidente dell'Istituto Affari Internazionali, l'ambasciatore Nelli Feroci, che ha avuto la bontà di designarmi per questo evento.
  Attenendomi al titolo che avete voluto dare a questa audizione, partirò con qualche considerazione molto rapida sulla politica europea che, nel campo degli affari esteri, è chiaramente molto debole. La politica estera rimane comunque nell'ambito di quell'area intergovernativa che prevede un accordo di tutti i Governi dei Paesi dell'Unione e che, quindi, si situa in quello che comunemente viene definito il minimo comune denominatore, ossia a livelli molto modesti, a prescindere anche dalle personalità che in qualche modo gestiscono la materia e che possono essere più o meno forti, ma non hanno certamente la possibilità di trascinare i Paesi per fare delle politiche.
  Attualmente, verso questa vicenda che ci interessa molto, quella dell'Ucraina, abbiamo atteggiamenti abbastanza divergenti fra i vari membri dell'Unione europea e, se vogliamo includerli, anche gli Stati Uniti, in questo dialogo.
  In particolare, c’è da osservare l'atteggiamento della Germania che cerca di essere un pochino più soft, anche per i motivi illustrati da chi mi ha preceduto. Si tratta di atteggiamenti che in qualche modo cercano di ricondurre la vicenda su tavoli negoziali.
  Non dimentichiamo che questa posizione tedesca è chiaramente in diretta contrapposizione con i Paesi che più recentemente hanno aderito sia all'Unione europea che alla NATO, Polonia e Paesi baltici, i quali vivono qualsiasi rapporto con la Russia in modo conflittuale, memori delle loro vicissitudini all'epoca dell'Unione Sovietica. Quindi, c’è un problema per la Germania di favorire la sua politica verso l'est, senza peraltro rompere con chi vorrebbe fare la voce un po’ più dura.
  L'Italia non ha al momento grandi armi a sua disposizione. Ritengo che l'allineamento di fatto che abbiamo potuto constatare in questi giorni sulla politica tedesca, alla ricerca di tavoli negoziali che in qualche modo possano portare a soluzioni condivise, sia la politica più giusta da fare. Non sarebbe neanche credibile un atteggiamento più rigido da parte nostra e, oltretutto, questo risponde un po’ alla vocazione classica dell'Italia circa il multilateralismo che, nel caso specifico, deve fare riferimento all'OSCE che è chiaramente l'istanza dove è possibile radunare intorno a un tavolo tutti coloro che hanno qualcosa da dire sull'argomento.
  La situazione in Ucraina, a mio avviso, ha radici profonde nel fatto che, da oltre un decennio, c’è stata una politica tendente a strappare l'Ucraina dalla sfera di influenza di Mosca. Uso volutamente l'espressione «sfera di influenza», impudica per l'Occidente, ma che per la Russia rappresenta, oggi come ieri, il modus di osservare il mondo e di cercare di plasmarlo secondo i propri interessi.
  Apro una parentesi. L'Occidente sta operando come se fosse diventato il modo universale di comportamento quello del postmoderno, post-Westfalia, con gli Stati Pag. 7che non hanno più quella rilevanza individuale che avevano nel passato. Lo stiamo facendo perché i nostri confini ormai sono tali più sulla carta che nella realtà: li attraversiamo quotidianamente senza alcuna difficoltà, senza neanche accorgercene, mentre altrove i confini esistono, sono spesso tracciati anche con muri, con reticolati che non è possibile superare.
  Da questo punto di vista, noi viviamo e ci comportiamo nel mondo postmoderno, mentre il resto del mondo si comporta secondo le vecchie regole, ed è difficile giocare una partita quando i due contendenti, ammesso che siano soltanto due, usano regole diverse. Sfortunatamente per noi, le regole e i metodi che usa la Russia hanno un'assertività dovuta ai mezzi usati, che comprendono anche la forza, che noi non siamo più abituati a usare in questo modo. Quindi, è un tentativo di strappare l'Ucraina da questa vicinanza storica con Mosca, che Mosca ovviamente ha sempre percepito come un'aggressione nei suoi confronti.
  Qualche giorno fa abbiamo fatto una piccola tavola rotonda interna ed è emersa l'opinione comune che, in realtà, nella sua convinzione Putin è in difesa, sta difendendo le prerogative che lui ritiene essenziali per gli interessi russi. Quindi, mentre noi lo vediamo come un aggressore, lui si considera come uno che si difende. Dobbiamo tener conto di come la pensa l'avversario, non di come la pensiamo noi, se vogliamo avere qualche modo di influire sulla partita.
  Abbiamo, quindi, in qualche modo agevolato questa spaccatura interna all'Ucraina, tra comunità che si riconoscono chi più vicino all'Occidente e chi più vicino a Mosca, ma è una spaccatura interna che è diventata qualcosa di cruento con la rivolta che abbiamo visto, che ha portato allo scontro e in qualche modo ha fornito a Mosca il pretesto – da parte di Putin, chiaramente, la convinzione è che si tratti non di un pretesto, ma di un motivo – per quello che sta succedendo adesso.
  Che cosa può succedere ? Che cosa possiamo fare noi ? Credo che la partita per la Crimea sia ormai persa, nel senso che la Crimea – è questione di ore, di giorni, di settimane – ritroverà l'abbraccio della grande madre Russia. Lo dico perché anche gli sviluppi delle ultime ore fanno pensare a un andamento in questa direzione. Il fatto che il Parlamento della Crimea abbia chiesto la presenza di osservatori dell'OSCE alle votazioni che si terranno per il referendum è un chiaro sintomo di forza, perché sono convinti di vincere questa partita, e di volontà di tornare nella legalità, perché in questo modo tornerebbero nella legalità assoluta.
  Oggi abbiamo anche la dichiarazione che è stata fatta (non so se avete letto le ultime agenzie) in cui c’è il richiamo alla questione kosovara, dove evidentemente c’è stata una secessione, un cambiamento dei confini – cosa che prima era considerata assolutamente un tabù – che l'Occidente ha favorito. Quindi, non vedono perché non debba accettare anche quest'altro cambiamento di confini.
  Credo che questo sia il pericolo più grande che stiamo correndo perché, avendo aperto questo vaso di Pandora, si aprono le porte a rivendicazioni che possono portare in direzioni pericolosissime. Voglio ricordare che nei Paesi baltici, in particolare in Estonia e in Lettonia, la parte orientale – la contea del nord-est per l'Estonia e le municipalità orientali per la Lettonia – è a grande maggioranza russa, come origini e come lingua. Si tratta oltretutto di comunità che vedono in qualche modo calpestati i propri diritti umani, il diritto ad avere un passaporto, il diritto al movimento, il che rende abbastanza difficile sostenere che questi Paesi rispettano i criteri di Copenhagen, in particolare il primo criterio, che dovrebbe consentire l'adesione alle comunità occidentali.
  Avendo accettato questi stati di fatto, si può arrivare a rivendicazioni che possono addirittura toccare l'interno dell'Unione europea. Non dimentichiamo le minoranze presenti nei vari Paesi. Uno dei casi più eclatanti è quello della minoranza ungherese in Romania (il caso della Transilvania), dove le rivendicazioni possono nascere e i sintomi li abbiamo già avuti anche in tempi recenti: ci sono stati scontri Pag. 8armati, qualche anno fa, proprio in quelle regioni, con vittime, il che non viene dimenticato molto rapidamente.
  Il rischio grosso che il mondo corre in questa circostanza è che vengano rimesse in discussione delle situazioni che al momento presentano degli equilibri e che, se si toglie questo freno, possono precipitare in squilibri pericolosissimi. Si tratta di problemi che, peraltro, ha la stessa Russia: anche la Russia ha all'interno delle proprie frontiere comunità che non si riconoscono nella lingua russa, quindi Mosca sta correndo un grosso rischio anche da questo punto di vista.
  È tornata la politica di potenza. Come possiamo diminuire la virulenza di queste vicende ? Credo che la strada sia oggettivamente quella che il nostro Paese ha perseguito, ossia trovare comunque il modo di mettersi intorno a un tavolo e dialogare.
  Il 5 marzo scorso Kissinger ha pubblicato sul Washington Post un bellissimo articolo nel quale ha illustrato in modo molto chiaro i termini della situazione, fornendo opzioni di buonsenso che, a mio avviso, devono essere perseguite: in primo luogo, un approccio dell'Unione europea nei confronti dell'Ucraina che non sia un approccio che porti a inglobare questo Paese all'interno dell'Unione europea, ma un'associazione che in qualche modo favorisca lo sviluppo economico, che non venga considerata né dagli ucraini né da Mosca come un tentativo di annettersi questo Paese; in secondo luogo, evitare in modo assoluto di pensare a un'associazione dell'Ucraina alla NATO. Questo è un punto fondamentale.
  Non dimentichiamo quello che accadde nel 2008: dal 4 al 6 aprile si tenne a Bucarest il vertice della NATO dove gli Stati Uniti premevano per offrire immediatamente l'adesione a Georgia e Ucraina e, dopo un dibattito piuttosto acceso, si trovò una formulazione molto blanda, in cui si diceva che comunque le porte erano aperte e che in un futuro sarebbe stata possibile l'adesione. Quindi, si attenuò un pochino questa volontà di espandere i confini della NATO, ma non abbastanza, perché dopo pochi mesi – anche perché il comportamento dei governanti locali si presta a qualche critica – la Russia invase la Georgia.
  Da questo punto di vista, questa ansia di espandere i confini dell'Alleanza atlantica al di là di quelli che sono i confini attuali è un'ansia pericolosa; bisogna metterla in un cassetto e non pensarci più. Non lo dico io, lo dice un personaggio come Kissinger che, dal punto di vista della politica estera, qualcosa ci capisce.
  Io sono assolutamente convinto che se questo atteggiamento duplice verrà messo sul tavolo, in qualche modo la Russia potrà accontentarsi – e dobbiamo già essere contenti di questo – della Crimea, senza farsi tentare dalla volontà di spaccare l'Ucraina per annettersene un pezzo.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al rappresentante dell'ISPI.

  ALDO FERRARI, Responsabile del Programma Russia e Vicini Orientali dell'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica internazionale). Sono molto contento di quanto ho ascoltato da parte dei colleghi. Mi sembra che questa expertise possa essere utile per chiarire alcune cose che, altrimenti, alla luce dell'informazione giornalistico-pubblicistica di questi mesi, rischierebbero di essere fuorvianti.
  Il problema è che molto spesso si deve fare politica – oltre che, ahimè, giornalismo – avendo di fronte delle frontiere e delle realtà di fatto, trascurando la storia. Chi conosce la storia di queste aree, in particolare la storia dell'impero russo e poi dell'Unione sovietica e della dissoluzione, sa bene che l'Ucraina è un Paese che ha tutte le ragioni istituzionali per essere indipendente, ma che storicamente, demograficamente, economicamente fatica a essere consistente.
  È un problema che, detto così, sembra terribile, ma ventitré anni di instabilità ne sono esattamente la conseguenza. Questo non risolve il problema, ma la consapevolezza del fatto che l'Ucraina è un Paese che non aveva mai goduto di un'autonoma statualità, ma esiste su frontiere – consentitemi Pag. 9di dirlo, da storico – sbagliate, è un problema reale. È un problema reale perché è un Paese che su queste frontiere non dovrebbe esistere; potrebbe esistere se ci fosse stato un serio lavoro (ma sappiamo bene quanto delicato) di federalizzazione, cioè se le diverse anime – sono più di due – di questo Paese fossero state rispecchiate a livello istituzionale.
  Abbiamo, invece, uno Stato sostanzialmente unitario, con l'eccezione della Repubblica di Crimea, che è un errore, una bizzarria storica: nella luce dei millenni forse non è un territorio russo, ma nella luce degli ultimi secoli lo è sicuramente. È un territorio cervelloticamente trasferito nel 1954, per celebrare la secolare amicizia tra Russia e Ucraina, in omaggio a un antico trattato che faceva dell'Ucraina una parte dell'impero russo. Il fatto che la Crimea stia all'interno dell'Ucraina non ha senso storico né politico.
  Quindi, noi ci troviamo di fronte a un Paese nel quale esistono due anime almeno. A ogni votazione parlamentare ed elettorale il Paese risulta spaccato a metà: sud ed est con determinati partiti filorussi, ovest con partiti filoccidentali. Non è certo un caso. Buona parte dell'Ucraina occidentale è stata parte del regno polacco e dell'impero asburgico sino al Novecento; ha, quindi, sviluppato tendenze culturali e antropologiche del tutto diverse rispetto all'est.
  Questo Paese è inevitabilmente, da ventitré anni, dal momento dell'indipendenza, lacerato in due, senza possibilità – parrebbe – di soluzione. Inevitabilmente, quando vince la parte filoccidentale, la parte filorussa si sente esclusa dal potere; quando vince la parte filorussa, all'incontrario.
  Soprattutto, parliamo di una struttura istituzionale non federale, in cui chi va al potere prende tutto. Come giustamente è stato rilevato, il fatto che il primo atto del nuovo Governo sia stato l'eliminazione del russo come seconda lingua ufficiale è stato non solo un errore madornale, ma qualcosa di sbagliato. Un Paese plurale va colto nella sua pluralità, non va costretto solo in una direzione.
  Se noi vogliamo che questo Paese rimanga unito è necessario rimodularlo attraverso comportamenti completamente diversi da quelli sinora seguiti negli ultimi ventitré anni, altrimenti l'instabilità sarà ciclica, a ogni elezione. Gli sconfitti faranno del loro meglio non solo per opporsi, ma per minare il Governo.
  Questa particolarissima situazione ha fatto sì che da ventitré anni l'Ucraina non sia all'interno di una «normale» dinamica politica tra conservatori e progressisti – scusate la rozzezza dell'espressione – ma tra filorussi e filoccidentali, e questa non è normalità politica, ma anormalità politica fatta a sistema.
  La crisi attuale non ha nulla di eccezionale. È semplicemente l'ultimo tassello di una instabilità politica che nasce da queste ragioni storiche, antropologiche, linguistiche e culturali inerenti al Paese.
  In questa situazione difficilissima, mi permetto di rilevare che la responsabilità della gestione politica è stata molto grande praticamente da parte di tutti. È facilissimo prendersela con un Presidente arrogante e corrotto come Yanukovich, indifendibile credo da tutti i punti di vista, persino da quello di Mosca. Neanche a Mosca sono contenti di un servo sciocco, che è troppo sciocco anche per servire il padrone, posto che l'abbia servito, perché in realtà Yanukovich serviva essenzialmente se stesso, si vendeva al miglior offerente fra l'uno e l'altro, non serviva Mosca. Questo è un grave errore di prospettiva.
  Anche l'Unione europea – permettete, ho vissuto in Ucraina, anche di recente – sin dall'inizio di queste manifestazioni ha scelto da che parte stare, senza rendersi conto che assumere una scelta, in un Paese così fortemente lacerato, ha letteralmente gettato benzina sul fuoco.
  L'Unione europea, con la sua promessa – peraltro non sostanziata da reali aiuti economici a un Paese che, come è stato detto, è in crisi devastante – ha spinto la parte antirussa (chiamiamola così) a opporsi con una violenza che solo in parte è stata rappresentata realmente dai nostri Pag. 10media. Non si uccidono poliziotti armati in tenuta antisommossa così facilmente se non si spara loro dall'alto.
  La repressione c’è stata, ma la violenza è stata fortissima anche dall'altra parte, ed è stata una violenza, quella dell'opposizione, ampiamente legittimata dal sostegno ufficiale e ufficioso di molti Paesi, non tutti, ma alcuni molto intensamente, e sapete quali, non c’è bisogno di dirlo: la Polonia, gli Stati baltici, la Svezia e la Gran Bretagna. Di solito, rispetto a questo blocco antirusso, Italia, Germania e Francia riuscivano a fare da contraltare.
  Lo stesso avvenne all'epoca della guerra di Georgia (e io fui qui in quella stessa occasione). L'Italia, e poi la Germania e la Francia che seguirono, riuscirono a fermare questa deriva antirussa e in qualche maniera a riequilibrare la situazione. Ora la Francia, la Germania e anche l'Italia, per ragioni che non sta a me analizzare, si sono invece un po’ appiattite sulla posizione dei Paesi antirussi. Questo è un ulteriore problema.
  Fatta questa analisi molto rapida e molto superficiale, rimane il problema di che cosa fare di fronte a una situazione, quella ucraina, che – anche se, come pare giustamente probabile, la Crimea verrà in qualche maniera sottratta al controllo dell'Ucraina, senza dire se sarà indipendente o parte della Federazione russa oppure no – rimarrà delicatissima. Le regioni russofone dell'est e del sud rimarranno problematiche, quindi anche l'eventuale secessione, inaccettabile o accettabile da parte occidentale, non risolverà la situazione.
  Allora, una crisi di questa gravità dovrebbe probabilmente essere affrontata sfruttando l'occasione, con strumenti differenti da quelli sinora utilizzati, cioè tendenti a stabilizzare un Paese che sostanzialmente è lacerato al suo interno, un Paese che non dovrebbe essere lacerato anche esternamente dalle tendenze espansionistiche. È infatti una tendenza espansionistica quella di Mosca, ma lo è stata anche quella dell'Unione europea, in maniera goffa e antieconomica. Il Paese, comunque, non può continuare a essere lacerato. L'Ucraina non può essere il campo di battaglia in cui si contendono lo spazio l'Unione europea e la Federazione russa.
  Sarebbe il momento per individuare delle operazioni politiche ed economiche triangolari in cui non ci siano sconfitti e vinti, in cui non si parli neanche di NATO, non si parli neanche di trattati di associazione, non si parli neanche di unione doganale euroasiatica, ma si veda come far convivere le tre parti (Unione europea, Federazione russa e Ucraina) in una tendenziale stabilità che è difficilissima da individuare e da raggiungere. Non provare neanche a fare questo tentativo ci lascerà sicuramente un'Ucraina in preda a crisi cicliche come quelle che stiamo vedendo in questi giorni.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO FAVA. Se ho un minuto, presidente, vorrei fare una sottolineatura. Concordo in buona sostanza con quello che abbiamo ascoltato. Mi sembra che la minaccia di golpe che ha avvertito e denunciato Putin più che una mira espansionistica dell'Unione europea riguardi la NATO, proprio per la goffaggine con cui si è mossa l'Unione europea, per l'inadeguatezza anche della proposta economica: a fronte di 15 miliardi di dollari, da questa parte c'era un trattato di associazione, leggero in termini di peso e di convenienza.
  Il punto di vista di Putin è che l'allargamento della NATO, che ha scelto di arrivare fino ai confini della Russia, è stato ed è considerato elemento di minaccia, tenendo conto di cosa rappresenta la Crimea dal punto di vista strategico-militare di Putin. In questo senso, credo che siamo all'atto finale di una politica dell'Unione europea di allargamento, anche attraverso gli strumenti dei trattati di associazione. Non è un problema che riguarda soltanto l'Ucraina, ma in genere la scarsa appetibilità di questa proposta: in tempo di crisi, un accordo di associazione non propone ai Paesi che si associano Pag. 11strumenti che consentano a quei Paesi di uscire dalla crisi. Ben diversa è stata la proposta che ha fatto la Russia.
  Premesso che Yanukovich a tutti noi sembra un satrapo indifendibile, è bene anche lasciare agli atti che le elezioni che lo portarono al governo del Paese furono considerate dagli osservatori dell'Unione europea, dell'OSCE e delle Nazioni Unite perfettamente legittime. Dall'altra parte, è bene chiarire che parliamo di una popolazione che non è russofona, ma per il 60 per cento in Crimea sono russi. Essere russofoni o filorussi è altra cosa, si tratta di russi. Il 77 per cento parla solo lingua russa, il 10 per cento appena parla la lingua ucraina e la prima scelta del Governo di mettere fuorilegge la lingua russa ci fa capire come la complessità meriti una risposta altrettanto complessa, che forse l'Unione europea potrebbe recuperare su di sé se avesse uno sguardo un po’ più lungimirante.

  VINCENZO AMENDOLA. Anch'io vorrei fare una sottolineatura, concordando con l'intervento di Claudio Fava e con molte delle considerazioni fatte da voi che mi inducono a dire che il Governo italiano – insieme anche ad altri partner, innanzitutto la Germania – sta avendo una posizione che lascia aperto questo dialogo che è fondamentale per uscire dalla crisi.
  Condividendo molte delle cose dette prima, vorrei porre una questione che riguarda la strategia economica e politica della Federazione russa. Se non è ben chiaro, come diceva Claudio Fava, qual è la vocazione geopolitica dell'Europa, o meglio qual è lo stato successivo all'allargamento e alla relazione col mondo che ci circonda, una domanda su quello che a volte non appare – per gli stereotipi, la semplificazione, la nuova cortina di ferro e tutte queste baggianate – è questa: qual è la strategia dell'unione economica euroasiatica ? È sostenibile quel progetto di unione doganale, di cooperazione economica ? Intendo sostenibile non dal punto di vista delle alleanze con la Bielorussia, con il Caucaso, con i protettorati in Transnistria o in Georgia, ma dal punto di vista della prospettiva. Dunque, quel progetto è sostenibile o è solo drogato da un mercato della «gas-diplomazia», come dicono alcuni ?
  Ovviamente, reggere una sfida anche di competizione internazionale, sovvenzionando protettorati o Olimpiadi come quelle di Sochi, o grandi sforzi bellici drammatici come la guerra in Cecenia, per un Paese come la Russia, al di là della valutazione sul suo sistema politico, ma dal punto di vista della prospettiva geopolitica, è sostenibile ?
  Questa è una domanda che mi pongo al netto di tutte le considerazioni che ho ascoltato, su cui sono d'accordo. Mentre noi ci interroghiamo sulla nostra vocazione di rapporti, non solo nel Mediterraneo inesistenti, ma anche verso est, su cui dobbiamo misurarci in questa crisi, chiedo quanto, dall'altra parte del confine, cioè della prospettiva e della vocazione russa, sia sostenibile questa loro costruzione economica e politica oltre i propri confini.

  EDMONDO CIRIELLI. Intervengo solo per dare a chi ha l'opportunità di studiare più di noi qualche spunto di riflessione su cui magari possiamo anche dibattere successivamente.
  Premetto che sono un convinto atlantista. Per dirla alla Churchill, ritengo che gli americani siano un pessimo alleato, ma il migliore che c’è sulla scena internazionale. Partendo da questa considerazione, non posso immaginare che gli americani siano così sciocchi da non sapere che la Russia, che ha una popolazione assai più nazionalista, se non sciovinista, rispetto a tante altre, avrebbe costretto – a livello di opinione pubblica – Putin, di fronte a una situazione del genere, a intervenire.
  D'altro canto, se la Russia avesse voluto assumere atteggiamenti di annessione nei confronti delle zone russofone, russe nel caso specifico, lo avrebbe potuto fare tranquillamente in questi venti anni. Quindi, penso che logicamente la politica diplomatica della Russia sia in estremo imbarazzo per essere stata costretta a questo tipo di intervento paramilitare o pseudomilitare, Pag. 12visto che non si capisce bene come stanno le cose.
  D'altro canto, è altrettanto logico immaginare che la Crimea non farà una fine diversa rispetto all'Abkhazia, all'Ossezia, al Nagorno Karabakh. La Crimea non tornerà più indietro nella sovranità ucraina, perché, dopo quello che è accaduto, non è possibile.
  La sensazione è che proprio parte della NATO, gli Stati Uniti d'America, la diplomazia parallela americana abbia spinto la Russia a un intervento del genere per metterla oggettivamente in difficoltà sullo scenario internazionale, aprendo un fronte di pseudo guerra civile al suo confine. D'altro canto, quello che avviene in Cecenia e in altre zone non è completamente al di fuori dell'attività di intelligence di Paesi nostri alleati.
  Credo che i vostri studi, che producono un lavoro di grande qualità, potrebbero occuparsi di questo, magari senza esasperare le teorie complottiste a cui mi riferisco, ma anche allo scopo di rendere maggiore forza alla nostra posizione diplomatica.
  Credo che la posizione della Ministra Mogherini sia giusta e corretta. Qualcuno può accusare questa politica di essere timida, in realtà è diplomatica. Certamente non possiamo ignorare un rapporto particolare che abbiamo, non solo sul piano economico, con la Russia; mi riferisco anche a un ruolo politico che da vent'anni, anche grazie allo spirito di Pratica di Mare, si è costruito.
  Credo che le ragioni politiche di questa scelta, che non può essere solo opportunistica, ma va rafforzata, debbano essere date proprio da istituti come i vostri.

  PRESIDENTE. In ragione dello scarso tempo a disposizione, poiché stanno per riprendere le votazioni in Assemblea sulla riforma della legge elettorale, prendo atto della disponibilità degli auditi ad intervenire nuovamente e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.15.